If we burn, you burn with us

di Fyamma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** The Impossible Trip ***
Capitolo 3: *** Memories ***
Capitolo 4: *** Demon ***
Capitolo 5: *** Hope ***
Capitolo 6: *** AVVISO IMPORTANTE ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


                                                                

 

Jace 

 

È una tipica mattinata settembrina di New York, fresca e nuvolosa. Molte coppiette girano per Central park mano nella mano, oppure pomiciano sulle panchine.

Ho sempre avuto una buona vista periferica ed una attenzione ai dettagli fuori dall' ordinario, quindi sono perfettamente in grado di notare tutti questi dettagli senza distogliere troppo l'attenzione dal demone con cui sto combattendo.

Faccio una smorfia schifata nel notare una coppia che si sta spingendo un po' troppo oltre per i miei gusti. "Per l'Angelo, se fanno così in pubblico non oso immaginare cosa fanno in privato..." Sogghigno al pensiero, facendo infuriare il demone che evidentemente l'ha presa per un offesa personale.

Insomma, poi avrei tutto il diritto di offenderlo, visto quanto è brutto. Ma dopotutto sono così bello che farei sfigurare chiunque camminasse al mio fianco.

Mentre sono impegnato a immaginare come sarebbe stato passeggiare al fianco di un demone Oni per le via di Manhattan, magari stando a braccetto con "lui", paro quasi meccanicamente tutti gli attacchi che quel demone da quattro soldi mi lancia contro.

Generalmente gli Oni sono più divertenti di così, ma questo evidentemente è un pivello. Peccato.

Lo osservo annoiato per un po', mentre cerca di muoversi più agevolmente in quel vicolo stretto in cui ci troviamo. Sorrido, desideroso di finirla al più presto, e parto all'attacco.

 

Clary

 

Cammino silenziosa tra le strade grigie e vuote del villaggio addormentato, con la mente presa a pensare cosa potrei fare oggi per sfamare la mia famiglia.

Sono debole, ieri non ho mangiato nulla, ho preferito cedere la mia razione ai miei fratelli. Ovviamente loro non sanno che sono rimasta a digiuno, di sicuro non approverebbero, ma io non sopporto di vedere i loro faccini magri deformati dalla smorfia che solo la fame può procurare. Per cui, faccio finta di aver mangiato fuori e cedo tutto a loro.

Credo però che Jason, il più grande dopo di me, sospetti qualcosa. La settimana scorsa sono svenuta mentre lavavo i piatti, per la mancanza di cibo e lo stress causato dalla consapevolezza che la vita della mia famiglia dipende da me.

Faccio finta di essere forte, ma la verità è che io davvero non ce la faccio. Sono stanca di tornare a casa tardi e uscire presto, prima dell'alba, per poter racimolare una quantità di cibo appena sufficiente a non farci morire di fame. Sono stanca di stare sveglia tutta la notte con il senso di colpa che mi logora, perchè ho sempre paura di non fare abbastanza, che la mia famiglia muoia per colpa mia. E alla fine ho ceduto.

Comunque ho bidonato la cosa come un calo di zuccheri momentaneo, e ho detto loro di non preoccuparsi, che sto bene, le solite cose.

Ma da allora Jason continua a guardarmi sospettoso, e io faccio del mio meglio per fingere che vada tutto bene, quando è palese che non va bene proprio niente. La mia vita è uno schifo. Vado avanti solo perché so che senza di me i miei fratelli non avrebbero scampo, e se c'è qualcosa che ho a cuore, in questo posto che ti succhia l'anima, e la vita dei miei fratelli. Perché non posso permettere che soffrano come ho sofferto io.

Sospiro pesantemente, cominciando a camminare a passo più spedito, di sicuro non otterrò nulla stando qui ad autocommiserarmi.

Per la strada non incontro nessuno, è prestissimo, e nell'aria si avverte ancora il gelo della notte. Affondo le mani nelle tasche ed incasso la testa tra le spalle, cercando un po' di calore dalla giacca a vento che indosso. Il cielo è nuvoloso, nell'aria si avverte la tempesta imminente.

C'è qualcosa che non va, riesco a percepirlo. Il cuore aumenta i suoi battiti senza alcun motivo preciso. I palmi delle mani cominciano a sudarmi, ma al posto di essere paralizzata dalla paura ingiustificata che provo, sento scorrere nel mio corpo un'adrenalina che mi impedisce di stare ferma.

Così mi metto a correre, e corro come non ho mai corso. Sfreccio per le vie della mia cittadina, arrivo alla recinzione che la delimita e spicco un balzo, rigirandomi in aria facendo in modo che il mio corpo passi attraverso il buco che uso per uscire dal perimetro senza neanche sfiorare i bordi. Atterro perfettamente in piedi, ansante, ma per nulla stanca, anzi. Il mio corpo ricomincia a correre quasi senza che io me ne accorga.

Riesco ad afferrare al volo le armi dal tronco cavo in cui le tengo per impedire che qualcuno le scopra, e non posso fare altro che seguire il mio istinto, quella vocina che mi URLA di correre, correre e correre diretta proprio in quel punto. Non ho possibilità di scelta. Se non lo faccio accadrà qualcosa di terribile, non so come faccio a saperlo, so solo che lo so, e non posso ignorarlo.

Raggiungo una radura che ho visitato poche volte, e finalmente mi fermo. "È questo il posto" penso inconsciamente.

Subito dopo mi do della stupida. Ho perso tempo ed energie solo per seguire una stupida sensazione che mi ha portata in un posto sperduto e lontano da casa, lontano dalle trappole che ho piazzato ieri e che oggi speravo di trovare piene di prede.

Furiosa con me stessa, faccio per andarmene, ma un improvviso cambiamento nell'ambiente che mi circonda mi blocca. La pressione sembra decuplicare, le orecchie mi si tappano, poi sembrano esplodere.

Urlo, gettandomi a terra in preda ad un dolore terribile alla testa, rannicchiandomi in posizione fetale, nelle orecchie mi risuona un fischio acutissimo e il terreno pare tremare.

"Sto per morire" penso disperata.

"Chi baderà a loro adesso?" No. No. NO! Mi rifiuto di morire! La mia vita fa schifo, ma non posso fare questo a loro. Loro, che so essere la cosa migliore che mi potesse capitare, che sono l'unica cosa che so di amare senza nessun riserbo, egoisticamente anche. Perché in fondo so che la loro vita sarebbe più semplice senza di me, ma ne soffrirebbero. Morirebbero di fame. E sono abbastanza egoista, e masochista, perchè morire per me sarebbe una liberazione, da resistere per loro.

 

Jace

 

Busso impaziente al portone dell'Istituto, lo stomaco che brontola. Ma non è la fame la necessità primaria, e sono bravo ad accantonare le questioni poco importanti per poi riaffrontarle in seguito. Questione di piorità, me lo hanno insegnato fin da piccolo.

Mi viene ad aprire Izzy, il cui viso si distende in un'espressione di sollievo appena mi vede, presto sostituita da rabbia.

"Si può sapere dove diavolo sei stato?!" Urla inviperita.

Alzo gli occhi al cielo, scansandola malamente dall'ingresso. Voglio bene ad Isabelle, ma a volte sopportare i suoi isterismo diventa sfiancante. E non ho tempo da perdere.

"Si, si. Ciao. Ho incontrato un demone per strada e l'ho ammazzato ok? Adesso seguimi e vedi di chiamare Alec, devo farvi vedere una cosa."

Izzy fa per aprire la bocca e vomitare ogni genere di insulto che conosca, più probabilmente qualcuno inventato sul momento, ma la blocco.

"Ascoltami. È importante ok? Dopo potrai pure picchiarmi, ma adesso devo proprio farvi veder questa cosa." gli dico sbrigativo, cercando di farle capire quanto sia importante per me.

Lei sospira, mi guarda e dice: "Non finisce qui." Puntandomi un indice contro, poi gira sui tacchi e va a chiamare suo fratello.

"Ci vediamo in cucina!" Le urlo. Lei mi mostra il dito medio, sempre di spalle, continuando a camminare. Sorrido e mi dirigo in cucina.

 

"Allora? Cosa c'è di così importante?" Esordisce Alec annoiato.

Ghigno, poi mi tiro fuori di tasca il tanto agognato oggetto, che poso sul tavolo della cucina. Vedo il loro sguardo farsi curioso.

"Cos'è?" Domanda interessato il mio parabatai.

"Ah, non ne ho idea" scuoto le spalle. Si tratta di un oggettino simile a un telecomando, con un unico pulsante al centro. È viola, ricco di sfumature che sembrano quasi vive se sottoposte alla giusta luce.

Ghigno ancora, poi dico: "propongo di scoprirlo però" e prima che mi possano fermare premo il pulsante.

 

Angolino dell'autrice

*si affaccia timidamente*

*si guarda un pò in giro*

BUONSALVE BELLA GENTE!

... cri cri...

Ehm, si ok. Sono tornata con una nuova storia, siete contente/i? Per favore non rispondete. Allora, non so bene quando la mia mente malata ha partorito questo obbrobbrio, ma mi sono detta: "ehy, tanto vale pubblicarla, tanto è risaputo che sono pazza!" ed eccomi qui.

Già.

Eccomi.

Non so che dire... spero che non veniate a linciarmi e... niente... cercate di compatirmi un pò, il mio cervello ha qualquadra che non cosa. A questo punto... Ciao.

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Capitolo 2
*** The Impossible Trip ***


                             

                                                               

                                                      THE IMPOSSIBLE TRIP

JACE

All'inizio non succede proprio nulla. Io, Alec e Izzy ci guardiamo perplessi, poi, proprio quando penso che in realtà quello è solo un banale oggettino senza nessuna funzione e utilità, il pulsante al centro comincia ad alzarsi da solo, poi intorno ad esso si apre una cavità dove il pulsante si incastra grazie ad una serie di meccanismi che producono dei ticchettii e dei rumori sinistri.

Si abbassa e si incastra perfettamente nella cavità che si richiude senza lasciare tracce del pulsante. Tuttavia i rumori perdurano, mentre noi guardiamo il marchingegno come incantati.

Presto la cavità si riapre, ma non rispunta il pulsante, al suo posto c'è una specie di antenna. Sulla sommità dell'antenna si accende una luce rossa, che comincia a pulsare con abbastanza intensità da far assumere ad intermittenza un colore rosso alla stanza. Poi, con un'altra serie di scatti rumorosi, una specie di laser rosso scannerizza la stanza, noi compresi.

La luce si spegne all'improvviso, lasciandoci quasi accecati dalla mancanza di luce. Il colore rosso mi è rimasto impresso nella retina, e vedo ancora un alone colorato quando chiudo le palpebre. Per scacciare l'immagine comincio a sbattere velocemente le palpebre, un po' stordito, ma prima che chiunque di noi possa riprendersi l'antenna si illumina di nuovo, stavolta di una luce bianca, e comincia ad emettere un fischio acutissimo che ci costringe a piegarci in due dal dolore, con le mani a coprire le orecchie per smorzare il rumore, anche se è inutile.

E' questo che fa? Ti costringe al suolo, in preda ad un dolore inimmaginabile, con i sensi azzerati?!

Quel suono sembra arrivare in ogni parte del corpo, lo sento risuonare nelle ossa e ribollire nel sangue, come se in ogni cellula del mio corpo un'orchestra avesse iniziato a graffiare con le unghie mille lavagne. Non posso più resistere, mi getto a terra e urlo con tutto il fiato che ho in gola, cercando disperatamente di proteggere i timpani da quel frastuono infernale.

Già, infernale... Avrei dovuto pensarci prima: questo congegno deve essere una specie di strumento di tortura demoniaco... Che sciocco che sono stato a non pensare che qualunque cosa appartenente a un demone non avrebbe potuto portare nulla di buono.

Non posso fare altro che maledirmi, mentre mi contorco urlante al suolo. La luce si fa sempre più intensa, finché l'unica cosa che riesco a vedere è un infinita luce bianca, tanto intensa da farmi chiudere le palpebre. Sento uno strattone allo stomaco, e poi vengo come infilato in una gigantesca centrifuga, vengo sballottato da una parte all'altra senza poter fare nulla per impedirlo, mentre quel suono orribile continua.

Mi sembra che non finisca mai. Il cervello sembra esplodermi, e sono sicuro che se non tenessi le palpebre serrate gli occhi mi schizzerebbero fuori dalle orbite.

Mi sono quasi convinto che morirò qui, più che altro arrabbiato per la ridicola fine che mi aspetta, quando il suono se possibile diventa più forte. Urlo, e forse per la prima volta in vita mia prego, prego che tutto finisca presto. Poi ricevo uno strattone più forte degli altri, e ricevo una botta alla schiena che mi fa usciate tutto il fiato dai polmoni.

Mi sento ancora in balìa di quella specie di corrente, ma capisco che è tutto dentro la mia testa, perché il suolo sotto di me è finalmente solido.

Gemo piano, tremante, mentre il fantasma dell'"urlo" mi risuona ancora nelle orecchie. Provo ad aprire gli occhi, e anche se all'inizio vedo tutto sfocato, riesco a mettere a fuoco un tappeto di foglie sopra la mia testa.

Un minuto... Foglie?! L'unico posto con degli alberi all'Istituto è la serra... Ma avrei giurato di trovarmi in cucina prima della "centrifugata".

Non oso ancora muovermi, anche perché probabilmente vomiterei. Anche se quella specie di vento è passato, il mio stomaco non sembra ancora del tutto convinto, e decido di lasciargli un po' di tempo per riprendersi. Chiudo gli occhi, inspirando ed espirando profondamente per calmare il mio stomaco irrequieto.

Tasto il terreno sotto di me, sentendo delle foglie secche sbriciolarsi al mio tocco. Non ci sono foglie secche nella serra, e anche l'odore è diverso.

Qui è tutto più... Selvatico.

Niente a che fare con gli odori forti e delicati al tempo stesso delle piante esotiche della serra.

Aspetto che le vertigini passino prima di azzardarmi ad aprire di nuovo gli occhi, continuando a respirare profondamente, e mi arrischio a voltare la testa di lato, attento a non esagerare. A qualche metro alla mia destra c'è Alec, sdraiato di lato con una mano sullo stomaco; mentre voltandomi alla mia sinistra posso vedere Izzy nella stessa posizione.

A quanto pare è stato un viaggio turbolento per tutti.

Un altro gemito che non proviene da nessuno dei miei fratelli adottivi mi spinge a voltare di scatto la testa a destra (cosa che mi provoca non poche vertigini) e a sollevare lo sguardo più in alto.

Sdraiata a qualche metro di distanza da me c'è una figura minuscola, che sembra più un impacco sformato di stoffa che un essere vivente. Ma dai gemiti che getta capisco che è assolutamente vitale.

Questo mi spinge a sollevarmi di scatto e, ignorando le vertigini, sfodero la mia spada angelica e la punto verso il fagotto. Due occhi verdissimi si fissano nei miei, ma sono troppo occupato a tenere il mio pranzo al suo posto per farvici tanto caso.

"Chi sei?" Domando, o meglio farfuglio, cercando di sembrare autorevole.

Beh, non è che sia tanto difficile sembrare più autorevole di quello scricciolo.

"Allora?!" Incalzo, impaziente.

Ma l'unica risposta che ottengo è:

"Uccidimi."


Der Winkel Fyamma!!!

Buonsalve gente!!!! eccomi tornata (finalmente) siete contente??

...

......

............

ok non vi accalcate eh. Per parlare di questo capitolo, so che è un pò corto, ma è di passaggio e mi serve per continuare la storia. Il prossimo sarà migliore, parola di Francesco Amadori! ora, la mia amica qui presente sta cercando di uccidermi con la gentile collaborazione di mio fratello,quindi vi lascio.

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Capitolo 3
*** Memories ***


 

 

 

 

                                                                                                                                               MEMORIES

 

CLARY

-Uccidimi.- È la prima cosa che mi viene in mente guardando quegli occhi dorati, che mi sono terribilmente familiari. Le parole mi escono dalla bocca quasi senza che me ne accorga.

L'unica cosa che provo è rassegnazione, mentre guardo la punta di quella strana spada puntata alla mia gola. Sono terribilmente stanca. Ogni volta che provo a scappare dal mio passato torna a bussare alla mia porta, incessantemente, ed è tutto inutile, tutto inutile...

Non ho mai aspirato alla felicità estrema. Tutto quello che volevo, e che voglio, è un po' di pace, e Dio sa se non ho lottato per ottenerla...

Ho sofferto, ogni dannatissimo giorno, per poter solo tornare a casa sapendo che si, domani sarà orribile come oggi, ma almeno la mia vita precedente starà al suo posto... Dove farà male solo a me. Ma forse chiedo troppo.


JACE

Per un attimo rimango stordito. Cosa vuol dire "Uccidimi"?!

E poi il suo sguardo... Non penso che lo dimenticherò mai. Non era rassegnato... Non solo. Era stanco. Vuoto. Come chi ha già smesso di vivere da tanto ormai, come se la gioia di vivere fosse stata succhiata via da quella piccoletta. Lo sguardo di chi riceve dalla vita l'ennesima batosta, ed è così arrabbiato che decide di farla finita. Di vivere per aspettare la morte.

Quanti anni ha, dodici? Tredici? È così minuscola che non so dirlo. Cosa le può essere successo per avere quello sguardo?

Quello sguardo che ho visto una sola volta in vita mia... Negli occhi di mia madre. Qualche giorno prima che si suicidasse.


 

 

Cammino svelto lungo il corridoio e giù per le scale, i miei piedi nudi che non fanno rumore sul pavimento di pietra freddo. Rabbrividisco, stringendomi nelle spalle, in una specie di auto-abbraccio. Fa freddo, e piove.

Sbircio fuori da una finestra, e rimango quasi incantato. Sembra di essere sott'acqua... Si distingue a malapena la sagoma del Vecchio Stanco, in giardino.

Mio padre odia quando lo chiamo così, dice che il suo nome esatto è quercia, Quercus robur per l'esattezza. Uno splendido albero nel pieno dello sviluppo merita rispetto, e un nomignolo simile non è appropriato, dice. Per me invece rappresenta qualcuno a cui puoi dire tutto, che non ti tradirà mai. Un amico, il solo che ho.

Oggi però non posso andare a trovarlo, papà si arrabbierebbe se uscissi con questa pioggia.

Rimango triste a guardare fuori dalla finestra il mio vecchio amico, piegato su se stesso, come se fosse triste per qualcosa. Poggio una mano su vetro, ignorando il freddo che mi assale. C'era un motivo per cui dovevo andare da papà, ma non lo ricordo più. Tanto vale stare qui.

Poggio la fronte sul vetro freddo, continuando a fissare il vecchio albero, con una voglia matta di andare a salutarlo. Ma il pensiero della punizione che sicuramente riceverei mi trattiene.

Strizzo gli occhi per vedere meglio tra la pioggia battente: no, non mi sono sbagliato. C'è qualcosa appeso a uno dei rami più bassi della pianta. Sembra un lenzuolo, è tutto bianco. Sarà volato via mentre era steso ad asciugare... Se continua a stare li si rovinerà.

Senza pensarci due volte, mi metto a correre lungo il corridoio, dimentico del freddo, felice di poter cogliere l'occasione di sfogarmi con il Vecchio. Supero le varie foto e i numerosi dipinti appesi alle pareti, la foto più recente è di qualche mese prima, il giorno del mio settimo compleanno.

Spalanco il portone principale, ansimando per la corsa, gli occhi brillanti di gioia. Non posso essere punito, voglio aiutare mamma, mi ripeto mentalmente.

Corro fuori, incurante della pioggia battente che mi inzuppa i vestiti e mi bagna i capelli biondi, lisciandomi i ricci e appiccicandomeli sulla fronte. I miei piedi nudi sono tutti sporchi di fango, ma non m'importa.

Arrivo di fronte all'albero con un sorrisone stampato in faccia.

-Ciaoooo! Sono tornato!- Urlo per sovrastare il rumore della pioggia.

Come per rispondermi, il vento agita i rami, che sembrano salutarmi.

-Aspetta un attimo, ti libero da quello straccio, ok?-

Quasi scivolo per il fango. Mi avvicino al lenzuolo penzolante, e mi strofino gli occhi per liberare le ciglia dalle gocce di pioggia. Adesso che ci vedo meglio, noto che è un po' strano per essere un lenzuolo, è troppo grosso.

Mi avvicino di più, strizzando gli occhi per cercare di vedere meglio, ma è troppo buio e c'è troppa pioggia per distinguere bene ciò che ho di fronte. Almeno finché un lampo non illumina tutto.

Sobbalzo così forte da scivolare finendo nel fango, e così facendo mi ritrovo dritto sotto il manichino. Perché di sicuro è un manichino, insomma, non esistono persone così pallide, con le labbra blu, e gli occhi aperti che non battono le palpebre... Ma perché qualcuno ha appeso per il collo un manichino sul mio albero? E perché quel manichino ha il viso della mamma?

Scoppio a ridere, isterico. Uno stupido scherzo, è solo uno stupido scherzo. Per forza. Ancora ridendo rientro in casa tutto inzaccherato, sporcando tutto il pavimento.

Afferro un sgabello e ritorno fuori, poi mi posiziono sotto l'albero e tiro giù il pupazzo. È terribilmente pesante, per essere uno spaventapasseri. Mentre lo tiro giù rischio di cadere, e nel riacquistare l'equilibrio il suo corpo preme sul mio viso... E sento il suo odore.

A quel punto rischio di crollare, perché sento quel l'odore da quando sono nato, l'ho sentito quando mi sono sbucciato un ginocchio a cinque anni e lei mi ha abbracciato, e quando mio padre ha ucciso il mio falcone e mi ha confortato. È l'odore che ho sempre associato a "mamma", e non è dovuto a profumi o shampoo... È il SUO odore.

Crollo a terra, urlando, bagnato fradicio e ricoperto di fango, tra le braccia troppo deboli per sostenerne il peso tengo il cadavere di mia madre. Scoppio in singhiozzi isterici e disperati, guardando il mio albero con uno sguardo vuoto offuscato dalle lacrime, che si mischiano alla pioggia.

Mi sento tradito... perfino un albero è riuscito a ferirmi, dopo tutto. Mia madre ha preferito suicidarsi piuttosto che stare con me.

Quasi non mi accorgo dei passi che si avvicinano a me. Mi ritrovo a fissare due occhi neri come pozzi senza fondo, che scrutano il corpo senza vita tra le braccia del figlio di sette anni con sguardo freddo e distaccato. -Spero che tu abbia capito cosa intendevo un anno fa, con quel tuo falcone. Amare significa distruggere.-

E Valentine mi lasciò sotto la pioggia.


 

 

Riemergo dai miei ricordi come un se stessi affogando e fossi riuscito a riemergere da un oceano di dolore. Vedo un po' appannato, e sbatto le palpebre per scacciare la sensazione. Mi rifiuto di piangere.

Mi sembrano passate ora, mentre probabilmente sono passati solo pochi secondi.

Sento qualcosa spingermi di lato e crollo a terra inerme e stordito. Izzy mi guarda furiosa, gli occhi che mandano scintille. Io rimango impassible.

-Ma sei impazzito?! Non vedi che è solo una ragazzina?! Minacciarla in quel modo!- Urla brandendo la sua frusta.

Non mi spaventa, so che non mi colpirebbe mai.

-Hai pensato al fatto che potrebbe essere la responsabile di quel che ci è successo?!- Replico io, iniziando ad alterarmi.

-La colpa di quel che ci è successo- mormora lei -è solo tua, Jace Lightwood. Se non avessi premuto quel maledetto bottone non saremmo qui!-

Scrollo le spalle.

-Forse. O forse è colpa sua.- Insisto.

Izzy strilla esasperata, gettando le braccia al cielo. Un movimento che noto con la coda dell'occhio mi fa scattare la testa di lato, ma è solo la ragazzina che si mette seduta, abbracciandosi le ginocchia, scrutandoci con quegli occhi inquietanti, uno ad uno, analizzandoci in cerca di pericoli.

È guardinga, si vede da come sta rigida, e quando i nostri sguardi si incrociano distoglie subito lo sguardo, come se non sopportasse di vedermi.

Izzy le si avvicina cauta, con fare tranquillizzante, come se fosse un animale selvatico. I suoi occhi guizzano subito verso di lei, minacciosi, e Iz si ferma più che altro per non spaventarla. Di certo non la teme.

-Hey.- Mormora Isabelle rassicurante. -Come ti chiami?-

-Clary- risponde lei piatta.

-Ok, Clary. Sai dirci dove siamo?- Continua con lo stesso tono.

La ragazza inclina la testa di lato e la guarda divertita, le palpebre socchiuse come i gatti. Ora sembra assolutamente rilassata.

-Non mi trattare come una bambina. Ho sedici anni.- Replica.

Noi la guardiamo stupefatti. Non li dimostra assolutamente, non avrei mai detto che è quasi mia coetanea.

-Ah... Beh, si certo, io...- Farfuglia Izzy imbarazzata.

-La domanda resta. Sai dove siamo?- Interviene Alec, che fino a quel momento non aveva proferito parola.

-Si certo.- Risponde lei.

Cala un silenzio carico di attesa.

-Allora?!- Sbotta Alec ad un certo punto.

Lei sorride di nuovo, si sdraia e si mette una mano dietro la nuca.

-Mi avete chiesto se sapevo dove ci troviamo, e ho detto di si. Ma non credo di aver mai detto che avevo intenzione di dirvelo.- Risponde.

Ad Alec viene un tic all'occhio. Izzy invece scoppia a ridere, non so se per l'isteria o se per esasperazione. Invece va da Clary e le dice: -Mi piaci!- E ridacchia ancora.

Io è Alec ci guardiamo straniti. Clary inclina la testa di lato, sfoderando un altro dei suoi sorrisi.

-Deve essere ubriaca. Per forza.- Bofonchia Alec.

Io, stufo mi alzo e vado verso la ragazzina, levando di nuovo la spada.

-Diccelo, prima che perda la pazienza.- Minaccio.

Lei sbuffa.

-Sei duro d'orecchie? Non so se l'hai notato, ma non m'importa granché di morire.- Sussurra lei, negli occhi di nuovo quello sguardo spaventoso.

-Beh, forse dovresti preoccuparti di quel che ti accadrà PRIMA di morire- replico io.

Lei scrolla le spalle.

-Fa pure.- E si sistema più comoda sull'erba.

All'apparenza è completamente rilassata, ma noto che la sua postura è rigida e si suoi muscoli contratti. Tiene ancora una mano dietro la nuca o mò di cuscino.

-No- interviene Iz -per favore, no. Non c'è bisogno di arrivare a tanto. Vogliamo solo sapere dove siamo finiti.- Implora.

È sull'orlo di una crisi, come tutti noi. Clary si volta a guardarla e vacilla un po.

-Promettete che non farete del male a nessuno.- Impone.

-Ma per chi ci hai preso?!- Sbotto indignato.

Lei mi guarda storto.

-Mi hai puntato una spada alla gola, cosa avrei dovuto pensare?!- Replica.

Non so che rispondere.

-Ok, lo promettiamo.- Interviene precipitosamente Alec.

-Molto bene. Seguitemi.- risponde lei, alzandosi.

A quel punto noto che sulla schiena ha una faretra e un arco, e capisco perché si era sdraiata con la mano dietro la nuca. Avrebbe potuto ucciderci quando voleva.

Sorrido. Quella ragazza inizia a piacermi.

 

HOEK AUTHOR

Oggi tocca all'africano! 

Alloooora, rieccomi con un leggerissimo ritardo (tanto per cambiare, lol) per farmi perdonare ho deciso di fare un capitolo un pò più lungo... I'm sorry. La scuola mi impegna tantissimo, ed è arrivato il tanto temuto periodo-pagelline ç.ç

Un minuto di silenzio per tutti gli studenti nella mia situazione. Sono con voi ragazzi. 

Anyway, questo capitolo mi ha fatto piangere mentre lo scrivevo, giuro. Credo che mia madre mi voglia mandare da uno psicologo. L'ispirazione mi è venuta in un giorno di pioggia, mentre tornavo da scuola imbarcando acqua peggio del Titanic. Maaaa tanto non ve ne frega una mazza.

Adesso vado, mia madre ha fatto le crepes per cena ^*^

Non per essere ripetitiva, ma una recensione è sempre gradita.

 

Un beso

 

Fyamma


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Capitolo 4
*** Demon ***


 

 

                                                         DEMON 

 

CLARY 

Sono a capo del gruppo, occupata a fare strada agli altri. Mi volto per vedere come se la cavano, e rimango sorpresa nel constatare che non hanno neanche il fiatone, nemmeno la ragazza. Sono a malapena accaldati, ma è il minimo con le temperature del bosco a mezzogiorno.

Un minuto, mezzogiorno?! Quando sono partita non era neanche l'alba... Quanto tempo ho passato in quella radura? Mi mordicchio il labbro inferiore, preoccupata, e mi fermo di botto, mentre un pensiero mi fulmina come un lampo a ciel sereno: non ho nulla da portare a casa. Avevo puntato tutto su quella "spedizione", perché per i successivi due giorni mi sarebbe stato impossibile cacciare.

Mentre impreco sommessamente, mi prendo la testa tra le mani, arrovellandomi per cercare una soluzione. I miei occhi scrutano il bosco che mi circonda, fino a posarsi sui nuovi arrivati che mi fissano confusi. Allora un'idea mi folgora, e sogghigno compiaciuta. Metto una mano sul fianco e sposto il peso del mio corpo su una gamba, mordicchiandomi l'interno della guancia a sangue. Quando il sapore metallico mi invade la bocca, chiudo gli occhi, sospirando, e mi massaggio le tempie doloranti. Sollevo lentamente le palpebre, spostando lo sguardo su tutti i ragazzi e soffermandomi a studiarli attentamente, notando la grandissima varietà di armi che hanno addosso. Si, potrebbe funzionare. Sorrido di nuovo, e prendo un bel respiro.

"Allora?!" Esclama quello biondo. "Perché ci siamo fermati? Non mi dire che ti sei persa..."

Ha un tono di sufficienza che mi fa saltare i nervi già scossi, e mi devo trattenere per non saltargli alla gola. Per tutto il viaggio era stato un lamento continuo, con abbondanza di frecciatine acide.

"Non si preoccupi sua maestà, mi sono fermata solo per permettervi di riprendere fiato, so quanto sia difficile quel periodo del mese" Ribatto sarcastica, godendomi la sua espressione adirata. Il moro ridacchia sommessamente.

"Passando alle cose serie, ho bisogno del vostro aiuto. So che sapere cacciare, non penso che abbiate tutte quelle armi addosso solo per un bizzarro gusto modaiolo. E io ho bisogno di cibo per la mia famiglia."

Grazie al cielo ho sempre avuto il dono della sintesi. Loro mi fissano allibiti, neanche gli avessi chiesto di riempirsi di penne e provare a sedurre una ghiandaia imitatrice.

"Tu vuoi che cacciamo... Per procurarti del cibo?!" Chiede lentamente la ragazza, come se parlasse ad una pazza. "Tesoro, c'è il supermercato per quello. Sai, il negozio molto grande dove si compra il cibo e tutto il resto." Asserisce annuendo, sempre con quel tono fastidioso.

Ora sono io a fissarla stranita.

"Il che cosa?! Senti, non è che hai battuto la testa?! Premettendo che qui non esiste niente del genere, non mi posso permettere di comprare il cibo ai negozi. È una cosa che possono fare i ricchi, quella. Io al massimo posso andare al mercato nero. Detto ciò, avete intenzione di aiutarmi?"

Si rivolgono un occhiata stupefatta, mentre la ragazza mi fissa e boccheggia come se annaspasse in cerca d'aria. Alla fine il moro sospira.

"Abbiamo forse altra scelta? Non conosciamo questi boschi, senza di lei non potremmo capire dove siamo finiti e se c'è un modo per tornare a casa."

Tenta di convincere i suoi amici, parlando più pacatamente possibile, ma sento una nota tesa nella sua voce. Anche lui infondo è provato dalla faccenda. Gli altri, con mia somma soddisfazione, non possono che asserire.

"Iniziamo subito allora!" Esclamo, quasi allegra. Il loro aiuto potrebbe rivelarsi prezioso.

Chissà, magari quella sera sarei riuscita a mangiare anch'io.

 

 

JACE

Fantastico. Ora mi tocca fare la spesa per i boschi per conto di una ragazzina arrogante solo perché è la nostra unica salvezza.

Ridicolo.

Rassegnandomi ad una giornata sprecata a correre dietro ai conigli, mi armo di pugnali da lancio, e seguo Clary nel bosco. Sono convinto che alla fine faremo noi tutto il lavoro, perché quella ragazzina non sembra proprio capace di cacciare. Mi ci vuole poco per capire che, per l'ennesima volta in quella giornata, mi sono sbagliato.

Mentre procediamo per il bosco senza produrre il minimo rumore, la ragazzina si irrigidisce, tende le orecchie e, con uno scatto repentino, si volta e tira una freccia che sfiora il mio orecchio destro.

"Ma sei impazzita?!" Urlo.

"Shhh" mi rimbrotta lei. "Fai scappare gli animali."  

Poi mi sorpassa e si avvicina a un albero dietro di me. Stizzita, mi indica qualcosa che prima non riesco a focalizzare bene, ma poi mi è subito chiaro: uno scoiattolo, con una freccia che gli entra da un occhio e gli esce dall'altro, inchiodato all'albero. La guardo stupefatto, rifiutandomi di credere a ciò che vedo. Nel frattempo Clary, in tutta tranquillità, schioda l'animale dal tronco ed estrae delicatamente la freccia, che fuoriesce con un disgustoso rumore di risucchio. Pulisce la freccia strisciandola sull'erba e ripone il corpicino dello scoiattolo nella sacca a tracolla che si porta dietro. Poi solleva lo sguardo e inarca un sopracciglio sotto i nostri sguardi straniti.

"Che avete da guardare?" Sbotta burbera.

Sbatto le palpebre, poi faccio un sorrisetto divertito, pensando che probabilmente nessuno è mai riuscito a prendermi alla sprovvista così tante volte in una sola giornata.

Scuoto la testa, prendo un pugnale e lo lancio contro un'incauta lepre che correva a qualche metro da noi, centrandola al fianco. Clary non batte ciglio, limitandosi ad alzare leggermente le sopracciglia, e va a raccogliere il corpo dell'animale. Estrae il pugnale e lo pulisce come ha fatto con la freccia, poi si ferma ad osservarlo, probabilmente incuriosita dalle rune incise sopra la lama. Tuttavia non fa domande e si limita a tendermi il pugnale dalla parte del manico, senza guardarmi.

Ho notato che fa di tutto per non incrociare il mio sguardo, e non ho potuto fare a meno di chiedermi il perchè. Subito dopo mi sono odiato per questo. È solo una stupida ragazzina presuntuosa ed egocentrica, magari un po' furba e abile a cacciare, ma tutto qui. Non mi interessa di lei. Ripeto questa frase tra me e me come un mantra, cercando di convincere me stesso. Non mi interessa di lei.

Mi accorgo a malapena che abbiamo ricominciato a muoverci, perso com'ero nei miei pensieri, e mi riscuoto velocemente per stare al passo con gli altri. Non so quanto tempo passiamo nei boschi, correndo dietro ai conigli e distruggendoci la schiena per raccogliere radici (radici? Chi mangia le radici?!) ma alla fine mi rendo conto di avere una fame da lupi. Siamo riusciti ad accumulare un bel bottino, e a quel punto mi sarebbe piaciuto tornare alla civiltà, anche se alla fine è stato divertente.

Tra me è la rossa si era instaurata una sorta di bonaria competizione, e devo dire che è stata capacissima di tenermi testa. Ho avuto modo di notare che, se con arco e frecce è brava, con i coltelli è strabiliante. Ha anche una vastissima conoscenza delle piante, sia commestibili che velenose. Mi chiedo come sarebbe se fosse una Shadowhunters.

"Allora Ginger, ti vuoi decidere a portarci in un posto civile? Oppure vivi in una grotta in mezzo ai lupi?" Non riesco a trattenermi, mi piace troppo stuzzicarla.

Lei mi sorride innocentemente ed esordisce: "Una volta sono stata inseguita da una specie di lupo. Ha cercato di staccarmi la testa, ma devo dire che è stato più educato di te." E si allontana saltellando.

Beh, forse uno dei motivi per cui mi piace stuzzicarla è che lei non si fa mettere i piedi in testa facilmente. Ed è risaputo il fatto che io amo mettermi nei guai.

 

 

CLARY

Quanto lo odio! Quel ragazzo è un flagello! Che ho fatto di male per meritarlo? Era meglio quando si limitava a popolare i miei incubi.

Almeno è bravo a cacciare, e grazie al suo aiuto per un po' sono a posto; anche se, tra lui e la fame, farei fatica a decidere qual'è il male minore.

Non dimenticherò mai la prima volta che l'ho visto: è stato un attimo, eravamo ragazzini. Avrò avuto nove anni, ma non mi sono mai più scordata il suo viso... E i suoi occhi. Lui non poteva vedermi, ma per un attimo avrei giurato che il nostro sguardo si fosse incrociato. Ovviamente adesso ho la conferma che non è andata così, e per qualche motivo sono un po' delusa. Forse perché il suo viso è l'unico ricordo che ho antecedente ai miei undici anni, al mio arrivo li, mentre tutto il resto è vuoto. Gli unici ricordi che avevo quando mi sono svegliata nel bosco erano il mio nome, Clary, e il viso di quel ragazzo, all'epoca un bambino. Ma un paio di occhi come quelli non si scordano, neanche se la persona che li ha visti soffre di amnesia. Penso che però forse questo non è l'unico motivo per cui sono delusa, ma scaccio subito il pensiero. Non mi importa nulla di lui.

Aggrotto le sopracciglia, confusa, quando uno strano rumore giunge alle mie orecchie.

"Lo sentite anche voi?" Chiedo, mentre cerco di capire da dove viene.

Il biondino aggrotta le sopracciglia, sorpreso, e si tasta la tasca dei pantaloni. Tira fuori uno strano oggetto a forma di scatola nera, tutto pieno di lucine e pulsanti e ricoperto da strani simboli, simili a quelli che hanno tatuati sulla pelle. È quello che manda quello strano rumore.

"Strano, il sensore si è attivato..." Borbotta.

Lo alza in aria e lo si sposta, come se stesse cercando qualcosa. Quando lo punta verso la direzione da cui proveniamo il ronzio diventa più forte. A quel punto il biondo spalanca gli occhi, e tira fuori la spada con cui mi ha minacciata poco prima. Se la fa ruotare in mano per avere una presa più salda, mentre negli occhi gli brilla una luce quasi folle.

Mentre piango la tragica scomparsa dell'ultimo neurone rimasto a qual ragazzo, anche gli altri due tirano fuori le armi (quand'è che le spade sono tornate di moda?) e si mettono in guardia. Se ci provassi io probabilmente mi colpirei da sola con l'elsa (se mi va bene) e sverrei eroicamente seduta stante.

Ma ho ancora l'arco e sono riuscita a sgraffignare qualche pugnale al biondino senza che lui se ne accorgesse, e non esito ad impugnare le mie armi. Se una persona estrae all'improvviso una spada è pazza o stupida, se lo fanno in due comincio a pormi qualche problema, ma se tre persone sguainano le armi tutte insieme e nello stesso posto è sicuro che c'è qualcosa che non va.

Purtroppo in mezzo a quei ragazzi guerrieri sembro una bambina arrabbiata che si è appena rotolata nel fango. Ridicola.

Intanto il ronzio si fa sempre più forte, e la tensione continua a salire. Quando sento degli strani rumori venire nella nostra direzione sobbalzo e rompo un ramoscello con il piede; il suono secco sembra infinitamente amplificato nel silenzio improvviso che si è creato. Gli uccelli non cinguettano, e tutti i rumori che popolano il sottobosco sono spariti. Perfino il vento ha smesso di soffiare, e le foglie sono immobili. È come se ogni forma vitale della foresta si sia improvvisamente messa in allerta, tutto in quel bosco urlava: PERICOLO.

Il biondo sembra ricordarsi di me in quel momento, si volta di scatto e guarda confuso il pugnale che tengo in mano, probabilmente riconoscendo i disegni. Ma al posto di rimproverarmi e accusarmi di furto, lui mi grida di scappare, e mi da persino una spinta per scansarmi, neanche fossi un cane molesto che non vuole avere tra i piedi. Io gli rivolgo la mia migliore occhiata indignata, prima di voltarmi e arrampicarmi più velocemente possibile sull'albero più vicino. Le mie dita si riempiono di schegge e ho le unghie tutte spezzate e sanguinanti, ma non vi faccio caso.

Mi fermo su un ramo che mi sembra appropriato, abbastanza robusto da essere sicura che avrebbe retto il mio peso e abbastanza in alto, anche se non eccessivamente. È una buona postazione di tiro. Incocco una freccia e mi metto in posizione. Gli faccio vedere io chi è che deve andare a nascondersi come una bambina. Attendo qualche minuto, ma non succede nulla, anche sei i rumori si fanno sempre più forti e vicini. Quando comincio a pensare che sia tutto uno scherzo, la creatura più assurda che abbia mai visto sbuca dalla boscaglia.

La prima cosa a cui riesco a paragonarla è una lumaca, anche se ha più o meno le dimensioni di un elicottero, di quelli che a volte si vedono nei filmati che Capitol trasmette per ricordarci che mentre noi moriamo di fame loro se la spassano. A quanto pare però gli abitanti dei distretti non sono gli unici a morire di fame: sotto il mio sguardo stupefatto quella cosa si divora un intero cespuglio di bacche, e noto a malapena che si tratta di un tipo di frutto velenosissimo, prima che una doppia fila di denti lunghi quanto il mio avambraccio faccia scomparire la pianta. Non posso fare a meno di sperare che il veleno faccia effetto, o che almeno gli causi un indigestione. Ovviamente, nulla da fare.

Impreco sommessamente è tendo la corda dell'arco, prendendo la mira. Inspiro ed espiro lentamente, controllando la respirazione come se mi apprestassi ad entrare in apnea. Prima di scoccare la freccia però esito, indecisa sul bersaglio da prendere. Dove dovrei colpirlo? Dannazione, non riesco neanche a capire se ha una testa!

Ringhio, frustrata al limite, e decido di tirare a caso. La freccia centra il mostro in pieno ed esso sembra fremere e dissolversi, ma si ricompone all'improvviso, a diversi passi di distanza.

"Ma che diamine..." Mormoro.

Il biondo solleva per un attimo lo sguardo verso di me, per poi tornare a concentrarsi sulla creatura e partire all'attacco con un urlo belluino. Infilza il mostro con la spada, ma non ha più fortuna di me, perché come prima il mostro scompare e si riforma, a pochi metri dal moro. Anche lui segue l'esempio del compagno, ma il risultato non cambia. Il mostro però sembra più confuso e stordito, come se rigenerarsi gli costasse energia. Forse, se non gliene rimanesse più...

Io continuo a scoccare le mie frecce e i ragazzi ad attaccarlo con la spada, mentre la ragazza lo colpisce con una frusta. Sembra funzionare, perché il mostro è sempre più debole e stanco. Ma non è l'unico, perché anche i ragazzi si stanno stancando, e la creatura non sta di certo immobile implorando di colpirla. E più si indebolisce, più si arrabbia.

Nello scontro, il mostro sputa una sostanza vischiosa contro il biondo e lui non riesce a schivarla del tutto, venendo colpito di striscio al braccio, che inizia a fumare mentre l'acido corrode la pelle. Si lascia sfuggire un gemito soffocato, ma stringe i denti e contrattacca ancora più furiosamente. Quando il mostro si riforma, è a qualche metro di distanza da me, e mi offre un meraviglioso spettacolo ravvicinato dell'interno della sua bocca.

Faccio per prendere una freccia dalla faretra, ma la mia mano si chiude sul nulla, nello scontro ho usato tutte le frecce. Impreco, e ripesco il pugnale. Lo soppeso un po', verificando l'equilibrio e il peso, e la mia mano si chiude sicura sull'impugnatura. Il mostro apre la bocca, diffondendo il tanfo acre del suo alito che per poco non mi fa svenire, e rischio di cadere dall'albero. Riesco a serrare la presa sul ramo all'ultimo minuto, e rimango appesa a testa in giù per le gambe. Non è di certo la posizione di tiro migliore, ma mi trovo un po' troppo vicina ai denti della creatura, e non ho altra scelta: lancio il coltello mirando al palato del mostro, in un punto dove gli sarebbe impossibile inghiottire l'arma, e spero.

Grazie al cielo ho fortuna, e il mostro si impenna agonizzante, lanciando una specie di grido stridulo. Poi si accascia e inizia a ripiegarsi su se stesso, fino a che non ne rimane più traccia. Testimoni della sua effettiva esistenza sono la ferita sul braccio del biondo e le espressioni sfinite di noi altri, nonché i numerosi graffi e lividi che i ragazzi si sono procurati durante la battaglia. Io sono ancora appesa a testa in giù, ma sento che le mie gambe stanno per cedere.

Lancio un urlo mentre precipito, ma l'impatto che mi aspettavo non arriva mai. Intorno a me si chiudono delle braccia forti, mentre la mia testa si poggia su un petto muscoloso. Apro gli occhi, e il mio sguardo è come calamitato verso due cerchi dorati. Io e il ragazzo restiamo a guardarci, poi io mi divincolo dalla sua stretta, con la faccia più rossa dei miei capelli. Lui mi lascia andare senza dire nulla.

Mi schiarisco la voce e tento di riprendermi, passandomi nervosamente una mano tra i capelli e rinunciando quando le mie dita si bloccano sui nodi. Probabilmente al posto dei capelli ho un nido di gallina rosso fuoco. Faccio di tutto per nascondere l'imbarazzo dietro un'espressione truce, il che per fortuna mi riesce bene.

"Potrei sapere che diavolo era quella cosa?" Sbotto.

"Beh, noi tendiamo a chiamarli demoni, non diavoli. Comunque era un Behemoth." Mi risponde atono il biondo.

Dire che resto di stucco è dire poco.

"Un... Un demone?! Come tutta la faccenda del paradiso e bla bla bla?" Sto cominciando a chiedermi se non mi stiano prendendo in giro.

"Non esattamente. I demoni sono mostri provenienti da altre dimensioni, e non si possono uccidere veramente. Poco fa ci siamo limitati a rispedirlo nella sua dimensione di origine, per questo è sparito." Mi risponde dolcemente la ragazza.

Probabilmente mi vede come una ragazzina che è stata improvvisamente catapultata in un mondo pericoloso e orribilmente nuovo, e le faccio pena. Non mi sembra il tipo da lasciarsi andare a sentimentalismi.

"Beh, in realtà il merito è anche un po tuo. Sei stata brava." Si complimenta il moro. "Dove hai imparato a lanciare coltelli in quel modo?" Mi chiede poi.

Io sorrido amaramente.

"Non sai quanto mi piacerebbe saperlo." Rispondo. Loro mi guardano confusi, e io incrocio le braccia seccata.

"Ora, mi potreste dire il vostro nome, o è un informazione riservata?" Cambio bruscamente argomento, cercando di distogliere l'attenzione da me.

Loro sgranano gli occhi sorpresi, come se l'idea non li avesse nemmeno sfiorati.

"Giusto, hai ragione. Allora, io sono Isabelle, lui è mio fratello Alec e lui invece è Jace." Alec fa un timido cenno con la mano, i suoi occhi miti mi ispirano simpatia. Jace invece è tutta un altra storia. Non c'è nulla di mite in lui, mentre tutto è letale. Persino quei meravigliosi occhi dorati potrebbero attirarti in trappola, ipnotizzarti come quelli di un serpente. Tuttavia sono convinta che non è tutto sarcasmo e cinismo, nascosto in fondo c'è dell'altro.

Ma molto in fondo.

"Bene, ora almeno non dovrò ricorrere a dei soprannomi per riconoscervi." Rispondo. Jace fa un sorrisetto malizioso.

"Di un po', il mio com'era? Lo Strafico? Il Meraviglioso? Non ti devi vergognare, non saresti la prima." Sghignazza.

Davvero tanto in fondo.

Io gli sorrisi angelicamente, nella mia versione personale di una smorfia strafottente.

"Io pensavo che qualcosa tipo "l'idiota" fosse più appropriato." Rispondo.

Poi ripesco il suo pugnale dall'erba (a quanto pare il mostro... Pardon, il demone, non se l'era portato nell'altra dimensione) e glielo porgo.

"Dovresti fare più attenzione alle tue armi, Jace." Dico, marcando sul suo nome.

Il suo sguardo si fa più duro, ma poi si riprende subito.

"Oh, non ti preoccupare, presto molta attenzione a certe mie armi." Mi risponde a tono.

Restiamo un po a fissarci in cagnesco, poi io mi volto stufa.

"Bene, non manca molto ormai. Andiamo." Proclamo. "Ci sono tante cose di cui dobbiamo parlare."

Ricomincio a fare strada nella boscaglia, fino a che non giungiamo davanti a una rete metallica. Nascondo l'arco e la faretra ormai vuota e li guido davanti al buco che uso per uscire e rientrare, incitandoli a sbrigarsi. Una volta dentro al perimetro si guardano intorno spaesati, come se non si aspettassero nulla del genere.

Mi schiarisco la voce, e annuncio:

"Ragazzi, benvenuti al distretto 4"

 

 

RACO' DEL AUTOR

EHM EHM....

Buonasera...

Sono forse in ritardo?

Si, è possibile. scusate scusate scusate.

Ho davvero provato ad aggiornare in fretta, ma ogni volta c'era un impegno nuovo, e ovviamente siccome mi piace complicarmi la vita ho deciso di pubblicare un'altra storia.

come se non bastasse non posso neanche scusarmi come si deve perchè devo correre.

Un bacio

Fyamma ;)

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Capitolo 5
*** Hope ***


 

 

˜HOPE˜

AVVERTENZA: Capitolo eccessivamente lungo. Prepararsi psicologicamente. Passo e chiudo.

 


 

 

JACE

Il distretto 4? Che razza di posto è? Non l'ho mai sentito, e sono davvero pochi i posti che io non conosco. D'altronde è un villaggio così piccolo che non sarà nemmeno segnato sulle mappe. Ammesso e non concesso di trovarci ancora sulla terra. Quella ragazza si comporta in modo così strano che non mi sorprenderei se scoprissi che è un'aliena.

Mi volto verso il folletto malefico e, spolverando uno sguardo irresistibilmente truce giusto per fare un po' di effetto, incrocio le braccia e sbotto:

"Credo proprio che noi dovremmo fare una lunga chiacchierata."

Sbam. A questo punto dovrebbe sciogliersi ai miei piedi. Non so perchè, ma alle ragazze piace esser trattate da schifo dai ragazzi fighi, e ovviamente con me è ancora più efficace. Lei invece mi ignora totalmente, non mi degna nemmeno di uno sguardo, e si limita ad annuire con sguardo perso. Inaudito.

Questa ragazza va contro ogni legge naturale: prima si trova esattamente nel posto in cui tre ragazzi vengono teletrasportati tramite un telecomando di probabile origine demoniaca, poi si rivela essere una potenziale arma di distruzione di massa per conigli e selvaggina varia concentrata in poco più di un metro e cinquanta di altezza, e infine (cosa più assurda di tutte) ignora il sottoscritto. Inspiegabile.

Sembra quasi che non voglia darmi soddisfazione, se c'è una cosa che ho capito è che è un tipetto abbastanza testardo. La sua mente va in una direzione diversa da quella di tutte le ragazze che conosca, di tutte le persone che conosca. Affascinante.

No, aspetta, cosa? Ma che diavolo vado a pensare? Evidentemente non mi sono ancora ripreso da quel turbolento viaggio.

"Seguitemi, vi porto a casa mia. Ma ricordate che mi avete promesso di non far del male a nessuno." Dice lei, riemergendo dal suo mondo.

Sbuffo, infastidito, e ribatto: "Si lo sappiamo, ma non avremmo fatto nulla comunque."

Lei, sempre senza guardarmi (perchè la cosa mi irrita tanto?!), scrolla le spalle.

"Meglio ricordarvelo. Io devo proteggere la mia famiglia."

"Ah già, quella per cui oggi mi sono spaccato la schiena. Di un po', hai fatto scorte per tutto l'inverno? Perché tutto questo cibo basterebbe per un bel po."

Non so nemmeno perché continuo ad insistere. Forse perché il solo vedere la sua irritazione ogni volta che apro bocca è appagante.

"Beh, vi ricordo che ci siete anche voi tre adesso. Non so per quanto dovrete restare, ma immagino che mi toccherà ospitarvi fino alla vostra partenza." Sospira lei, quasi rassegnata.

"Se ti da tanto fastidio non sei obbligata." Borbotto.

"Beh, sei molto gentile" interviene Izzy, mettendomi a tacere con una gomitata nelle costole "ma non vorremmo disturbare. Ai tuoi genitori va bene ospitare sconosciuti in casa?"

Io mi massaggio il punto colpito, guardando male la mia sorella adottiva. Preferisco stare zitto, dato che intavolare una discussione con lei significherebbe stuzzicare un grizzly addormentato.

"Non so chi siano i miei genitori. Non ho memoria prima dei miei undici anni, quando mi sono risvegliata da sola nel bosco." Afferma lei con voce neutra, un po' come se ci stesse raccontando cosa aveva mangiato il giorno prima.

Blocco un commento sarcastico sul nascere, ammutolito da quella strana dichiarazione. Izzy ha la bocca semiaperta, come se volesse dire qualcosa ma non sapesse cosa. Come già detto, quella era la ragazza impossibile: nessuno era mai riuscito a far rimanere senza parole Izzy per ben due volte nel giro di poche ore.

Lei continua imperturbabile, senza fare caso alle nostre reazioni.

"Per ora vivo con i miei fratelli, siamo una famiglia parecchio numerosa."

Aggrotto le sopracciglia, c'è qualcosa che non quadra.

"Aspetta, come fai ad avere dei fratelli se ti sei risvegliata nel bosco da sola?"

Lei si azzarda a gettarmi un'occhiata, e stavolta non distoglie lo sguardo, così da permettermi di guardare finalmente i suoi occhi. Sono di un verde incredibile, dello stesso colore delle foglie sugli alberi nel bosco, con lo stesso aspetto selvatico. Unici nel loro genere, non tanto per il loro aspetto, ma per il carattere della persona che li possiede, che li anima di quella luce sconosciuta. Una luce fioca però, come se qualcosa dentro di lei le impedisse di alimentare quella scintilla.

Mi accorgo di aver assunto un'espressione ebete quando Iz mi da una piccola spallata, con uno sguardo malizioso che non capisco. La guardo come se fosse pazza, mentre lei continua a sogghignare divertita da non so cosa. Le donne sono tutte pazze.

Ignara di tutto, la ragazza che nella mia mente ho iniziato a chiamare Ginger per i suoi capelli rossissimi comincia a raccontare.

"Beh, in realtà non sono i miei fratelli naturali, ma anche se lo fossimo non potremmo essere più legati. Quando mi sono risvegliata ho vagato per un po' da sola nel bosco, mangiando ciò che capitava. Sono fortunata a non aver assunto nulla di velenoso. Comunque dopo qualche giorno cominciai ad indebolirmi, non riuscivo a trovare dell'acqua e mi stavo disidratando. Quando crollai pensai che probabilmente non mi sarei più risvegliata, ma ricordo che al pensiero di morire non provavo assolutamente nulla. Mentre svenivo sentii dei rumori nel sottobosco, qualcosa si avvicinava, ed era grosso. Pensai che si trattasse di un animale, e mi sentii sollevata al pensiero che avrebbe posto fine alle mie sofferenze in fretta. Poi ricordo di aver visto qualcosa che si avvicinava, che mi prendeva in braccio, poi credo di essere svenuta. È tutto confuso. Mi sono risvegliata in un lettino, nell'orfanotrofio del distretto. Il ragazzo che mi aveva trovato mi disse che voleva portarmi a casa con lui, ma lo avevano scoperto e costretto a portarmi li. Mi fecero delle domande, ma io ricordavo solo il mio nome e... Poco altro."

La sua voce esita sull'ultima frase, e riprende precipitosamente a parlare.

"Diventammo legatissimi, l'orfanotrofio era un posto orribile. Il mio soprannome era punchingball."

Stringe i pugni, come se il ricordo la ferisse. Quando noi realizziamo cosa significa la guardiamo sconvolti. Ci credo che è così restia a fidarsi.

"Qualche mese dopo arrivarono tre gemelli. Avevano tre anni, i genitori si erano suicidati quando il figlio maggiore morì agli Hunger Games. Erano come me, continuamente tiranneggiati dai ragazzi più grandi, e mi sentii in dovere di prenderli con me, anche se ad undici anni ero a malapena in grado di badare a me stessa. Sono dovuta crescere in fretta. Mi presi cura di loro, e loro si affezionarono al punto da non voler andare da nessuna parte senza di me. Ammetto che erano delle vere pesti.

 Ride, forse per la prima volta quel giorno.

"Ma gli volevo, e gli voglio, un gran bene. Loro di conseguenza si legarono anche al mio salvatore, e diventammo un po' una famiglia. L'anno dopo lui venne sorteggiato per gli Hunger Games, a soli quattordici anni. Era convinto di non riuscire a vincere, e supplicò i genitori di adottarci, un po' come un ultimo desiderio, e loro decisero di esaudirlo. Diventarono i miei genitori adottivi, e gliene sarò sempre grata. Ho acquisito un altro fratello, l'altro loro figlio, il minore. Si chiama Jason."

Nei suoi occhi si legge un misto di tristezza e gioia, come di una felicità bruscamente interrotta da qualcosa, e che ora non potrà mai più essere completa. Alec la interrompe, intromettendosi nel racconto.

"Non capisco. Cosa sono questi Hunger Games? Che intendi con "ultimo desiderio"?"

Lei si volta verso di lui, bloccandosi bruscamente in mezzo alla strada.

"Non sapete cosa sono?" Domanda con un filo di voce.

Scuote la testa. "Non esiste nulla del genere da noi."

Il suo viso si illumina come un albero di Natale.

"Un mondo senza Hunger Games..." Mormora, portandosi una mano alla bocca.

Poi ci fa uno dei sorrisi più grandi e belli che io abbia mai visto e ricomincia a camminare, mentre nei suoi occhi comincia a brillare la luce della speranza.

"Se vi aiuto a trovare un modo per tornare a casa" inizia frenetica "mi promettete che porterete me e la mia famiglia con voi? Giuro che non vi daremo alcun fastidio, se volete non dovrete mai più rivederci, ma vi prego, vi supplico, portateci con voi."

Sembra che stia per scoppiare a piangere, le tremano le mani, ma non capisco se è per la felicità o per qualcos'altro. Scrollo le spalle.

"Non vedo perché no"

Sono un po' costretto ad assentire, dopotutto lei ci sta aiutando adesso, non possiamo non ricambiare il favore. Lei sembra scoppiare di gioia, e in uno slancio di felicità arriva a gettarmi le braccia al collo. Io mi irrigidisco, mentre sento uno strano calore salire in faccia. Sto arrossendo? Ma che mi sta succedendo? Devo riprendermi in fretta da questo viaggio.

Non faccio neanche in tempo a decidere se ricambiare o no che lei si scolla, sempre sorridente, e annuncia tutta contenta che siamo arrivati, lasciandomi per un attimo con la bocca semiaperta e un braccio sospeso in aria, mentre Izzy arriva di nuovo con la spallata e il sorrisetto. Forse la pazzia di quella ragazza è contagiosa. O forse sono entrambe in quel periodo là, che l'Angelo ci protegga.

Osservo con occhio critico la catapecchia che Ginger si ostina a chiamare casa, e non posso credere che li dentro ci debbano vivere dei bambini. Lei sembra percepire il mio disgusto, e si volta con un sorriso triste.

"Lo so che non è granchè, ma ti assicuro che l'orfanotrofio era peggio. Siamo stati abbastanza fortunati, apparteneva ai genitori dei gemelli prima che morissero, e ci è tornata comoda dopo l'incendio."

Senza darmi tempo di chiedere di cosa sta parlando, apre la porta di "casa" e viene letteralmente assalita da tre uragani in miniatura. Quelli che presumo siano i gemelli le si appendono addosso, facendole le feste, e lei ridendo ne prende in braccio uno, tra le proteste degli altri. Uno le si attacca alla gamba e l'altro la assale da dietro, arrampicandosi sulla sua schiena fino ad appendersi al suo collo.

Lei, sbilanciata, rischia di cadere all'indietro, e corro a scrostargli di dosso il mocciosetto. Lui sembra accorgersi di noi in quel momento, e si divincola dalla mia stretta spaventato. Corre a nascondersi dietro le gambe della sorella adottiva insieme al fratello, mentre quello che Clary ha in braccio si stringe di più a lei.

Ricordo che aveva detto che venivano spesso aggrediti dai bambini più grandi, e capisco la loro reazione.

Lanciano uno sguardo confuso alla sorella; è divertente quando si muovono nello stesso istante. È come guardare tre cloni. Sono identici fin nell'ultimo ricciolo ramato, anche nella più piccola sfumatura azzurra degli occhi.

Lei gli sorride di rimando e gli assicura che siamo amici. Loro si rilassano, e uno arriva a trotterellare vicino a noi guardandoci curioso. Poi porge solennemente una mano ad Isabelle, presentandosi:

"Io sono Leo, molto piacere, mademoiselle." Si esibisce in un buffo inchino, e quasi mi aspetto che le faccia il baciamano.

Non posso non scoppiare a ridere alla vista di un bambino di sette anni che fa delle avance ad Izzy, e vedo anche Alec trattenere una risatina. Iz sorride, probabilmente intenerita, e sta al gioco:

"È un vero piacere monsieur, io mi chiamo Isabelle, ma mi puoi chiamare Izzy, o Iz, se preferisci."

Il fratello scoppia a ridere e si sporge da dietro le gambe di Clary, strillando:

"È fuori dalla tua portata Leo!"

Per poi mettersi a correre inseguito dall'altro bambino, ridendo come un pazzo, mentre Leo lo placca alle spalle buttandolo a terra. Cominciano ad azzuffarsi, mentre il terzo li guarda scuotendo la testa, ancora in braccio alla rossa.

"Che immaturi." Asserisce saccente, mentre Clary lo butta sul vecchio divano e inizia a fargli il solletico.

"Ma se tu sei peggio!" Esclama, cercando di evitare i calci e i pugni che gli tira quello cercando di divincolarsi. Lo lascia ad implorare pietà per un po', poi lo libera per andare a separare i due "combattenti". Per l'Angelo, è una famiglia di folli.

"Ian, va a chiamare Jason per favore, dobbiamo mangiare." Riesce a sputare fuori mentre tenta di evitare i colpi volanti.

Leo e l'altro smettono di azzuffarsi, guardandola come se avesse detto che Natale era arrivato in anticipo, mentre il bambino sul divano schizza in piedi obbediente, arrampicandosi su per le scale malandate e pericolanti.

"Hai trovato qualcosa di buono?" Domanda entusiasta l'unico di cui non conosco ancora il nome.

Riconoscerli sarà un bel problema, sono assolutamente identici. Chissà come fa Ginger.

"Si, sono riuscita a prendere un bel bottino, anche grazie a loro." Dice lei sorridente, sembra che stare con quei bambini le infonda una botta di vita. Ha sorriso di più negli ultimi cinque minuti di quanto abbia fatto in tutto il giorno.

"Anche grazie a noi? Ma se saresti stata persa senza di noi." Esclamo sarcastico, alludendo però al demone che ci ha attaccati.

Lei capisce cosa intendo in realtà, e ribatte: "Si, i conigli erano molto aggressivi oggi, fortuna che sono brava con i coltelli."

Mi fissa dritto negli occhi, sfidandomi, e tra noi ricomincia la lotta di sguardi. Veniamo interrotti da una voce alle spalle di lei.

"Oggi non hai mangiato fuori, Clary?" Si volta, incontrando lo sguardo azzurro di un ragazzo che non può avere più di quattordici anni.

Lei fa un sorriso tirato, triste, e scuote piano la testa.

"No, oggi no." Mormora, e capisco che quella in domanda era celato qualcos'altro, che non era una mera curiosità sul luogo dove la ragazza mangiava.

Alterno uno sguardo sospettoso tra i due ragazzi, ma lui è intento a guardare lei, e lei tiene gli occhi puntati a terra, il viso nascosto dai capelli rossi. Poi il ragazzo ci degna della sua attenzione, o forse si accorge solo ora della nostra presenza, e si avvicina sorridendo.

Ci stringe la mano, presentandosi, e ho la certezza di trovarmi di fronte a Jason. Noi ci presentiamo di rimando, e cala un silenzio imbarazzato. Jason si passa una mano tra i riccioli ramati, a disagio, finché la rossa non si riprende e solleva la testa, avvicinandosi.

Posa una mano sulla spalla del ragazzo, e gli mormora qualcosa all'orecchio. Lui annuisce e si allontana, andando in un altra stanza con i gemelli al seguito, incurante delle loro proteste. La ragazza ci fissa un po', poi ci fa segno di seguirla e si siede su una vecchia poltrona, logora come tutto il resto, mentre noi ci accomodiamo sul divano.

È più comodo del previsto, anche se sento le molle premere contro la schiena. Si affloscia contro la poltrona, sollevando i piedi e rannicchiandosi su di essa, cosa che la fa sembrare ancora più minuscola. Io invece mi chino in avanti, un po' per evitare di infilzarmi la schiena, e poggio i gomiti sulle ginocchia.

Lei fa un cenno pigro con la mano, per invitarci a chiedere quello che vogliamo.

"Cosa sono questi Hunger Games?" Chiedo subito, mentre vedo Alec ed Iz farsi più attenti.

Lei sospira e si passa una mano tra i capelli, mettendosi comoda. Poi fissa il suo sguardo su di noi, e nei suoi occhi leggo di nuovo il tormento.

"Non avrei mai pensato di doverlo spiegare a qualcuno. Qui tutti sanno cosa sono gli Hunger Games, siamo costretti ad assistervi ogni anno fin da quando veniamo al mondo, consapevoli da subito che siamo tutti sorteggiabili.                                                                                                                    Forse è meglio iniziare dal principio.                                                                                          Circa sessantanove anni fa, nel paese scoppiò una rivolta. Dovete sapere che Panem all'epoca era divisa in tredici distretti, tutti sotto il dominio della capitale, Capitol City. La capitale si arricchiva a spese degli abitanti dei distretti, e mentre loro vivevano nel lusso più sfrenato la popolazione moriva di fame. Fu allora che scoppiò la rivolta. I tredici distretti insorsero e scoppiò una feroce guerra civile, che si concluse con la vittoria della capitale. Il distretto tredici fu raso al suolo, mentre tutti gli altri ritornarono sotto la dittatura capitolina. Ma ovviamente i vincitori non potevano permettere di lasciar correre e basta, dovevano trovare il modo di evitare altre future ribellioni, e idearono gli Hunger Games. Da allora ogni anno un ragazzo ed una ragazza tra i dodici e i diciotto anni, provenienti da ognuno dei dodici distretti restanti, vengono sorteggiati in una pubblica mietitura e mandati a combattere in un'arena. La lotta è all'ultimo sangue, e vi è un solo vincitore. L'ultimo a restare in vita. È il loro modo per farci capire quanto siamo impotenti, come sia facile per loro mandare a morire i nostri figli, fratelli, amici, senza che a noi sia concesso fare nulla. Ma volete sapere la cosa più crudele?"

Si alza e si sporge verso di noi, e io non posso fare a meno di tirarmi un po' indietro

"Noi siamo costretti a guardare. Costretti a vederli morire uno dopo l'altro, senza poter fare nulla. NULLA! E poi siamo costretti a festeggiare il vincitore, magari proprio colui o colei che ha ucciso un tuo caro, come se fosse un eroe! Siamo costretti a vedere dei dodicenni andare a morire con la consapevolezza di non avere scampo, siamo costretti a vedere la ragione abbandonare il loro sguardo mentre uccidono altri ragazzi per sopravvivere! Siamo costretti a vedere la fine di giovani vite e a considerarla come un GIOCO!"

Ansima, alla fine del racconto, che poi è più uno sfogo. Noi non possiamo fare altro che guardarla disgustati, increduli, addolorati. È assurdo, una cosa così non può esistere. Non è possibile che sia permesso. Per l'Angelo, in che posto siamo capitati?

 

 

CLARY

Crollo di nuovo sulla poltrona, prendendomi la testa tra le mani. Loro continuano a fissarmi sconvolti, e infondo li posso capire.

Ricordo bene la mia reazione quando mi raccontarono quella stessa storia, ad undici anni, quando ancora ricordavo a malapena chi ero. Ebbi gli incubi per giorni.

La voce di un bambino mi riscuote.

"Clary, abbiamo fatto!" Strilla Zach correndo nella stanza con l'allegria che solo un bambino di sette anni può avere.

Ho cercato di proteggerli il più possibile, ma gli anni passano in fretta, e presto sarò costretta a prepararli all'idea che sono sorteggiabili per i giochi, e che io non posso proteggerli nemmeno offrendomi volontaria. Ho passato notti insonni tormentata dal pensiero che uno di loro potrebbe morire senza che io possa fare nulla.

Mi costringo ad assumere un'espressione rilassata, e gli prendo una mano lasciandomi trascinare in cucina. Sento che gli altri ci stanno seguendo.

Cerco di non pensare all'imbarazzante momento in cui ho gettato le braccia al collo del biondo, troppo euforica per fare caso alle mie azioni. Il pensiero che ci porteranno con loro mi rincuora, dato che è probabilmente l'unico modo che ho per salvarli.

E poi, non posso fare a meno di pensare che devo avere qualcosa a che fare con il loro mondo, se uno dei miei pochi ricordi precedenti all'amnesia è il viso di quel ragazzo.

Raggiungiamo la cucina, in pratica l'unica altra stanza del pianterreno oltre al salottino. Sopra ci sono tre camere da letto, ma di solito dormiamo tutti insieme in quella più grande, un po' per stare più vicini, un po' per il freddo.

I genitori dei gemelli non erano ricchissimi, almeno non secondo gli standard del nostro distretto, ma avevano abbastanza soldi da permettersi qualche lusso. Quando morirono tutti i loro soldi vennero confiscati, ma prima di suicidarsi riuscirono a far promettere al sindaco (loro vecchio amico) di lasciare la casa per i loro figli, se fossero morti prematuramente.

L'uomo accettò, ma scommetto che non si aspettava che la "morte prematura" avvenisse così presto. Ancora non posso fare a meno di pensare che è stata probabilmente l'unica cosa giusta che hanno fatto per i bambini.

Mi siedo a tavola, per la prima volta dopo non so quanto tempo, e lascio che il profumo del cibo mi invada. Il mio stomaco borbotta impaziente.

I bambini mi mettono davanti un piatto fumante di stufato, e io li ringrazio con un sorriso. Mi trattengo dall'avventarmi sul cibo, e aspetto che tutti si siedano e comincino a mangiare. Solo allora mi porto la forchetta alle labbra, e quando il primo boccone scende giù per la mia gola tutti i pasti arretrati sembrano ripresentarsi, e fatico parecchio a non cominciare ad ingozzarmi come un animale.

Cerco di mantenere un minimo di contegno, ma evidentemente mi riesce solo in parte, perchè il biondino solleva un sopracciglio e so che sta per sparare una delle sue battutine.

"Vuoi onorare la memoria dei conigli mangiando tu per loro tutto il cibo che non hanno avuto modo e tempo di mangiare?"

Eccola, infatti. Sinceramente non so cosa speri di ottenere con queste frasi idiote, né come facciano gli altri due ad averlo sempre di fronte senza prenderlo a schiaffi. Io mi limito a scrollare le spalle, continuando a mangiare. Non vale la pena di rovinare il primo vero pasto dopo mesi per rispondere a quell'idiota.

"Un idiota molto carino" sussurra una vocina nella mia testa, ma la metto subito a tacere. O almeno ci provo, perchè in effetti non ha tutti i torti.

Avvampo e abbasso lo sguardo, sperando che nessuno abbia notato il mio rossore, e per fortuna è così. La cena procede in silenzio, gli unici rumori sono quelli delle forchette contro i piatti e qualche eventuale battutine di Jace, ma almeno stavolta importuna solo Isabelle. Sembra che la cucina di lei non sia granchè.

Poi il silenzio viene rotto dalla voce di Jason, che blocca l'ennesimo commento del biondo sul nascere.

"Oggi mi sono iscritto alle tessere." Annuncia così velocemente che faccio fatica a distinguere le singole parole, ma il messaggio mi arriva forte e chiaro.

Stavo per portarmi alla bocca la forchetta, ma a quell'affermazione la lascio cadere nel piatto per lo shock, restando con la mano a mezz'aria e la bocca semiaperta. Sbatto un po' le palpebre, pregando di aver sentito male, ma il suo sguardo basso e la sua espressione mi dicono che è tutto vero. Mi porto una mano alla bocca.

"Jason..." Sussurro, sconvolta, e lui abbassa ancora di più la testa, incapace di reggere il mio sguardo.

Vorrei chiedergli perché, come, quando, se era colpa mia, se avevo sbagliato qualcosa... Ma la parte più pratica di me prese il sopravvento e mi limitai a chiedere: "Quante?" Con voce spenta.

Mi lancia un'occhiata fugace e torna subito a fissare il suo piatto.

"Quattro. Una per me è una per ciascuno dei gemelli. Sapevo che non mi avresti mai permesso di prenderne una anche per te."

Continua a non guardarmi, e l'idea che non lo faccia perché si vergogna mi colpisce come uno schiaffo in pieno viso.

"Jason" mormoro gentilmente "guardami."

Quando lui solleva timidamente lo sguardo mi sforzo di sorridere, cercando di rassicurarlo.

"Non sono arrabbiata. Capisco perchè l'hai fatto. Sono solo preoccupata. Volevo impedire che questo peso gravasse anche su di te, ma evidentemente non ho fatto un buon lavoro."

Sollevo una mano per bloccare una sua protesta.

"Ormai non ha più importanza, quel che è fatto è fatto. Ma avrei preferito che fossi venuto prima da me, e che ne avessimo parlato..."

"Ma tu non me lo avresti permesso! Mi avresti rassicurato e saresti andata tu ad iscriverti a più tessere! Ne hai già sette, una per ciascuno di noi e due in più per avere un po' di cibo extra, non avrei potuto farti avere altre nomine!"

Resto completamente ammutolita. Non avrei mai pensato che lo avesse fatto per me. Sono così impegnata a pensare sempre agli altri da non permettere agli altri di pensare a me. Boccheggio per un po', incapace di rispondere, poi un sorriso si fa strada sulle mie labbra.

"Sai che ti dico? Hai ragione. Hai assolutamente ragione. L'unica cosa che ti rimprovero è il numero delle tessere, ne bastavano due. In questo modo sommando le nostre ne avremmo avute nove, quindi due per ciascuno di voi è una per me."

Lo blocco di nuovo, sorridendo, sapendo già dove voleva andare a parare.

"Ok, ok, ne bastavano tre così ciascuno di noi ne avrebbe avuto due. Contento? Resta il fatto che ce n'è una in più."

Sembra rincuorato dal fatto che non l'abbia rimproverato, e adesso un timido sorriso aleggia sulle sue labbra.

"Beh, può tornare comoda. Adesso ci sono anche loro." Dice scrollando le spalle, indicando gli ospiti di cui, sinceramente, mi ero dimenticata.

Mi volto a guardarli, notando il loro sguardo confuso, probabilmente non avevano capito nulla del discorso. Sospiro, rassegnata al fatto che dovrò spiegargli ogni singola cosa.

"Le tessere sono una specie di bonus. Vedete, anche qui i ricchi hanno più importanza dei poveri. Mettiamo caso che stai morendo di fame e non sai cosa fare. Se rientri nella fascia di età in cui sei sorteggiabile per i giochi ti puoi iscrivere alle tessere. Ti danno una razione mensile di cereali e altre cose, anche se mai sufficienti per poter mangiare davvero, e in cambio hai più nomine. Vi ho spiegato come scelgono chi mandare nell'arena, no? Estraggono il nome da una boccia di vetro, come in una lotteria. Tutti abbiamo una nomina quando iniziamo a dodici anni, ma siccome sono cumulabili a tredici ne avremo due, a quattordici tre e così via. Ottieni una nomina in più per ogni tessera che hai, quindi io che ne ho sette ho sette nomine più una che mi spetta. A dodici anni avevo già otto nomine, e adesso che ne ho sedici il mio nome risulta in quaranta striscioline di carta, in quell'ampolla."

Ah, la sintesi. Spieghi tutto velocemente è il più delle volte lasci le persone a bocca aperta e con lo sguardo spento. È qualcosa di meraviglioso.

Intercetto lo sguardo confuso di Jason, che probabilmente si starà chiedendo che glielo spiego a fare se tutti sanno cosa sono le tessere, e borbotto:

"Storia lunga, Jason. Te la racconto più tardi."

Torno a fissare il mio piatto, notando sconsolata che lo stufato è ormai freddo. I gemelli non hanno prestato la minima attenzione alla conversazione, ci hanno ascoltati solo un po' quando Jason ha sganciato la notizia bomba, guardandolo preoccupati, poi quando il peggio è passato hanno ricominciato a mangiare in tutta tranquillità parlottando tra loro come fanno sempre.

A volte mi sorprendo a pensare che mi sarebbe piaciuto avere un gemello, qualcuno che ti conosce letteralmente da quando sei nato e che non ti tradirà mai. Ma io ho già i miei fratelli, quindi della cosa alla fine mi importa ben poco.

Comunque ormai hanno finito di mangiare, e noto che Zach sta per addormentarsi con la faccia dentro il piatto, mentre gli altri due si strofinano gli occhi e sbadigliano. Guardo l'orologio, in effetti si è fatto abbastanza tardi. Sono quasi le undici, e noi di solito dobbiamo svegliarci all'alba.

Divoro il mio stufato in tutta fretta, e lo finisco in tempo record. Metto il piatto sporco nel lavandino, e chiedo a Jason di lavare le stoviglie mentre io metto a letto i piccoli mostri. Ian e Leo protestano affermando di non avere sonno, tra uno sbadiglio e l'altro, mentre Zach non ne ha nemmeno la forza.

Lo prendo in braccio con un piccolo sbuffo, stanno crescendo e si stanno facendo pesantucci. Lui poggia la testa sulla mia spalla e sbadiglia, già pronto ad addormentarsi. Ian mi segue senza fare troppe storie, anche se si lamenta un po' dicendo che ormai è grande.

Leo è quello che fa più storie di tutti, ogni sera. Ma stavolta c'è Isabelle che, vedendomi in difficoltà, lo prende in braccio. Lui è così sorpreso che ammutolisce, e lo vedo arrossire. Ridacchio divertita, facendo segno con la testa alla ragazza di seguirmi. Credo che forse potremmo diventare amiche, anche se non ho mai avuto un'amica prima d'ora.

Guido Isabelle nella stanza dove dormiamo di solito, la più grande, e apro la porta con una spallata. Aiuto i bambini mezzi addormentati a mettersi il pigiama, poi li infilo sotto le coperte e faccio per andare. Leo mi afferra una manica, bloccandomi, e mi chiede se vengo anche io a dormire con loro. Io gli sorrido dolcemente e gli scosto i ricci dalla fronte, rimboccandogli le coperte.

"Vi raggiungo tra poco. Voi intanto dormite." Sussurro.

Do un bacio in fronte a ciascuno di loro ed esco dalla stanza, seguita dalla mora.

"Te la cavi con i bambini." Dico così, tanto per fare conversazione. Lei sorride.

"Ho un fratello più piccolo a casa. Ma direi che tu sei molto più brava di me. Come fai a farli obbedire così?" Chiede, ammirata. "Io ne ho uno solo è a volte vorrei strozzarlo. Credo impazzirei con tre."

Rido, quando esco con i gemelli molte madri mi fanno la stessa domanda, e le rispondo come faccio con loro: "Io non faccio niente. Sono loro che sono dei veri angeli per la loro età, anche se a volte fanno qualche capriccio, come è giusto che sia."

Torniamo di sotto, e troviamo Jason e gli altri nel salotto, mentre chiacchierano del più e del meno. Mi siedo tra mio fratello e Alec, mentre Isabelle e Jace si siedono sulle due poltrone.

"Allora" inizio, sistemandomi meglio per stare più comoda "credo che ora sia arrivato il vostro turno di parlare."

Sento gli occhi del biondo su di me, ma mi sforzo di guardare Isabelle. È quella con cui ho più confidenza. Lei scrolla le spalle.

"Cosa vuoi sapere?" Mi chiede.

"Beh, potreste iniziare dicendomi cosa diavolo è successo in quella radura." Affermo, inarcando un sopracciglio.

Lei guarda truce Jace, e gli dice:"Prego, a te l'onore." in tono di sfida.

Lui ricambia l'occhiataccia e inizia a raccontare.

"D'accordo, iniziamo dal principio.Dice fissandomi, citando quanto ho detto io poco prima.

"Noi siamo Shadowhunters, o Nephilim, il nostro compito è quello di cacciare demoni, come quello che ci ha attaccati. Veniamo addestrati fin da piccoli a questo scopo, ogni bambino che nasce è destinato ad una vita di cicatrici e morte. Veniamo cresciuti con la consapevolezza che i nostri parenti potrebbero uscire dalla porta di casa e non tornare, dando la propria vita per proteggere le persone senza ricevere nulla in cambio, dato che nessun essere umano normale sa della nostra esistenza. Nessuno si può tirare indietro, perché essere Shadowhunters non è una scelta, è il nostro sangue ad imporcelo. Non siamo completamente umani, in noi è presente anche del sangue di angelo, dell'Angelo Raziel per l'esattezza."

Si ferma per vedere le nostre reazioni. Jason è a dir poco stupito, io invece mi limito ad aggrottare le sopracciglia. Il mio cervello va a mille. Penso a come mi sono risvegliata da sola, nel bosco, di come ricordassi quegli occhi dorati come se li avessi davanti... Ma come potevo conoscere un Nephilim? L'ha detto lui stesso, il loro è un mondo segreto, noto solo a chi ne fa parte. Ciò significa che io avevo a che fare con i Nephilim, in un modo o nell'altro.

Intanto Jace continua a raccontare della vita di uno Shadowhunter, del fatto che lui ed Alec sono parabatai, guerrieri legati per la vita, dei demoni, degli angeli, di come nacque la stirpe dei Nephilim, delle rune. E io ascoltavo, cercando di capire quale fosse il mio posto in quel mondo. Poi, una volta spiegate le cose fondamentali, ci spiega come sono arrivati in quella radura.

"Fammi capire" lo interrompo massaggiandomi le tempie doloranti "tu trovi questo congegno addosso ad un demone in un vicolo, lo porti a casa, e poi premi il pulsante?" Chiedo, incredula.

Lui aggrotta le sopracciglia.

"Così la fai sembrare una cosa stupida." Dice.

"Perchè È una cosa stupida!" Esclama Isabelle, alzandosi e mettendo le mani sui fianchi, gettando a Jace un occhiata che avrebbe dovuto trasformarlo in una macchiolina sul pavimento. Ovviamente però quel ragazzo ha una sorta di immunità.

Sospiro, cercando di metabolizzare tutte quelle informazioni. Jason sembra affascinato.

"Come funzionano esattamente queste rune?" Chiede curioso.

Jace sorride malandrino.

"Ti faccio vedere."

Prende un pugnale dalla cintura, e si incide profondamente il palmo della mano. Sobbalzo, alla vista di tutto quel sangue, e lui ridacchia divertito dalla mia reazione. Prende dalla tasca uno strano cilindretto argenteo luminoso e appuntito, grande come un dito, e se lo poggia sulla pelle sopra la ferita, iniziando a tracciare un complicato disegno. Quando la punta dell'aggeggio viene a contatto con la pelle essa emana del fumo, come se fosse marchiata a fuoco. Quando finisce il taglio inizia a rimarginarsi, finché non rimane solo una sottile cicatrice che scompare in fretta. Però al posto del marchio nero rimane una cicatrice argentata, una delle tante che percorrono il corpo del ragazzo.

Jason lancia un fischio ammirato, mentre io gli afferro la mano per guardarla più da vicino, incredula. Lui ridacchia di nuovo, e io gli lascio la mano.

"Comodo." Commento, ancora stupita.

Lui annuisce, compiaciuto, e ripone il coltello e l'aggeggio, che mi spiega essere uno stilo. Dice che i marchi si possono fare solo su un Nephilim, e che farebbero perdere la ragione ad un normale umano, pardon, mondano.

"Aspetta" dico io, mentre un'idea mi balena in mente "se siete arrivati con quel telecomando, allora è possibile che vi faccia anche tornare indietro, giusto?"

"È possibile" concorda Alec grattandosi il mento pensieroso "ma non era vicino a noi quando ci siamo ritrovati nella radura, o almeno io non l'ho visto."

Guarda i suoi compagni, che scuotono la testa. Nessuno di loro aveva il telecomando. Mi accascio contro lo schienale del divano, delusa, mentre penso ad una soluzione. Ed essa mi giunge da sola, mentre ascolto distrattamente un commento di Isabelle.

"Sarà rimasto a New York." Mormora pensierosa, mentre io scatto come una molla.

"Dove?" Domando, a voce decisamente più alta del dovuto.

Loro mi guardano confusi.

"A New York. È da li che proveniamo." Dice Jace.

Io alterno lo sguardo su loro tre, pensando, spremendomi le meningi. Torno a sedermi, ma stavolta non sono affatto rilassata, anzi, sono quasi febbrile, mentre la mia mente vede chiaramente cosa è successo. Mi alzo di nuovo, incapace di stare ferma, e inizio a camminare per la stanza tormentandomi le mani. Poi mi blocco, voltandomi verso gli altri occupanti della stanza, che mi guardano confusi, Jason compreso. Sbuffo, pensando alla mia deduzione, ma non c'è altra spiegazione.

"Ragazzi." Inizio, scandendo bene le parole. "Che anno è?" Chiedo, cercando di far capire quanto sia cruciale quella domanda.

Loro mi guardano come se gli avessi chiesto di che colore è il cielo. Come se fossi pazza.

"Rispondete e basta, per favore." Dico io bloccando le loro domande. Vedo che anche Jason ci sta arrivando, mentre sul volto gli si dipinge una smorfia concentrata.

Jace sbuffa. "Hai battuto la testa per caso? Siamo nel 2013, anzi, quasi nel 2014." Afferma sicuro.

Jason sobbalza al punto da fare un salto sul divano, esclamando:"Porco Snow!" A gran voce.

Lo rimprovero con lo sguardo, ma non ci faccio troppo caso. Sorrido, avevo ragione.

"Credo di aver capito cosa vi è successo." Affermo.

Loro si voltano tutti verso di me, in attesa di spiegazioni.

"Fino ad ora avete supposto che il telecomando vi ha fatto viaggiare da un posto all'altro, o addirittura da una dimensione all'altra. È corretto?"

Loro si limitano ad annuire, cercando di capire dove volessi andare a parare.

"E se non fosse così? Se, invece di spostarvi nello spazio, vi foste spostati nel tempo?"

Finalmente arrivano alla mia stessa conclusione, e vedo il loro sguardo farsi meravigliato.

"È per questo che ci hai chiesto l'anno prima? Di un po', che anno è questo?" Mi chiede Jace, serio.

Io lo fisso per un po', poi rispondo con voce che è appena un sussurro.

"È il 2573."

 

 

JACE

Scoppia l'inferno.

Le parole della ragazza all'inizio ci congelano sul posto, poi Isabelle si alza e si mette ad elencare tutte le imprecazioni che conosce, alcune delle quali non riconosco nemmeno io; Alec pare sotto shock, mentre io scatto in piedi e inizio a camminare avanti e indietro, tirando persino un pugno al muro, sbucciandomi le nocche.

E probabilmente avremmo continuato per molto, se una voce decisa non avesse urlato: "BASTA!"

Ginger è in mezzo alla stanza, furiosa. È stata lei ad urlare, sembra un pulcino che arruffa le piume.

"Adesso" dice piano "vi sedete e mi state a sentire, in silenzio, perché se svegliate i bambini vi serviranno parecchi di quegli iratze. Chiaro?"

Annuiamo all'unisono, affrettandoci ad ubbidire. Poi un dubbio mi assale.

"Come fai a sapere come si chiama? Io non ti ho detto che il nome di quella runa è "iratze"."

Lei pare spiazzata. E confusa.

"Io... Io non lo so. In qualche modo lo sapevo ma..." Scuote la testa. "Al momento non è una priorità. State a sentire la mia idea. Se, come ha supposto Isabelle, il telecomando è rimasto a New York, significa che nel 2013 si trova lì. Ora, provate ad immaginare. Cosa succederebbe se tre ragazzi scomparissero nel nulla lasciando dietro di se solo un telecomando? Cosa farebbero gli altri Shadowhunters?" Chiede.

"Beh, immagino che prenderebbero il telecomando e lo studierebbero, poi se non riuscissero a trovare niente lo registrerebbero negli archivi e lo custodirebbero." Risponde Alec.

"E dove lo terrebbero?" Domanda ancora.

"All'Istituto, immagino. Ma, non vedo come ci possa aiutare." Rispondo io.

Lei annuisce, pensierosa, e riprende.

"Allora, negli anni successivi ai vostri ci sono stati numerosi disastri climatici, guerre nucleari e stermini di massa, dai quali sorse Panem. Ma nessun attacco di demoni o cose varie, il che comporta la presenza dei Nephilim. Ciò significa che anche oggi, da qualche parte, ci sono dei Nephilim. Mi seguite?"

Annuiamo, cercando di capire come ciò ci possa aiutare.

"Quindi, se ogni oggetto di possibile origine demoniaca viene schedato, significa che da qualche parte c'è un documento che parla di quel telecomando..."

"Spiegando magari dove è stato spostato negli anni! Potremmo capire dove si trova ADESSO, in questo tempo!" Intervengo io, riuscendo finalmente a capire. Possibile che lei ci avesse pensato fin dall'inizio?

"È una speranza vaga. Ma parlare con quegli Shadowhunters potrebbe aiutarci lo stesso. Dobbiamo sperare che non sia andato disperso, o addirittura distrutto, dopotutto sono passati cinquecento anni. È possibile che anche qualcun altro lo abbia azionato. Ma, se è rimasto integro e funzionante in tutti questi anni, forse potrebbe riportarvi a casa."

Si lasciar andare ad un sorriso soddisfatto, mentre una nuova speranza anima i nostri cuori. Quella ragazza è assolutamente geniale.

"Dovremmo iniziare con il cercare che fine ha fatto l'Istituto di New York. Anzi, cerchiamo direttamente che fine ha fatto New York." Propongo io.

Lei assume un'espressione concentrata.

"La maggior parte delle città è andata distrutta, ma so che alcuni edifici dei distretti e della Capitale sono riusciti a sopravvivere, anche se sono stati ristrutturati, ovviamente. Forse sulle rovine di New York è stato costruito un Distretto. Non ricordo... Se vi dessi una mappa, mi sapreste dire dove si trovava la città?"

"Penso di si. Potremmo provare. Il primo passo sta comunque nel trovare gli altri Nephilim." Dico io soddisfatto.

 

 

CLARY

Siamo tutti d'accordo. Inizieremo le ricerche domani, ora è meglio riposare, siamo tutti stanchi.

Sto per mostrargli le loro stanze, quando il rumore della serratura che scatta ci blocca. Stiamo tutti immobili, e io per sicurezza tiro fuori un pugnale, venendo subito imitata dagli altri.

Sentiamo un colpo alla porta, il rumore delle chiavi che cercano di far scattare la serratura e qualche imprecazione, poi la porta si spalanca e una sagoma familiare si delinea in controluce.

Lascio cadere l'arma, che tintinna sul pavimento attirando l'attenzione del ragazzo.

Un sorriso enorme mi si dipinge in faccia.

"Finnick!" Esclamo, poi vado a gettare le braccia al collo del mio fratellone.

 

 

 

LE COIN DE L'AUTEUR

Saaaalve :3

oddio sembro Bruna Vespa D:

Sono tornata e non sono passati mesi! Miracolo! (Non sono passati mesi, vero?)

Comunque, questo capitolo è abbastanza lunghetto, forse un pò troppo... ma è indubbiamente il mio preferito della storia, o almeno quello che mi fa meno schifo .-.

Cioè, è il primo capitolo dell'anno! Amiamolo! *^*

A proposito, buon anno a tutti! Mi sento come il tizio della pubblicità della tim, quello che arriva vestito da Babbo Natale a gennaio .-.

Comunque, che ve ne pare del capitolo? C'è Finnick, c'è Finnick! gioiamo!

Direi che parecchie cose vengono svelate, mentre altri misteri calano sui nostri personaggi *voce alla Adam Kadmond*

Clary non è geniale? Ho scritto quel pezzo mentre davano doctor Who (*^*) e devo dire che è stata fonte di ispirazione ^^ Quell'uomo è un genio, nonchè mia unica speranza da quando non ho ricevuto la lettera da Hogwarts.... Sono ancora sotto shock. insomma, come possono lasciare una strega in balia di questi babbani? *si dondola in un angolo*

Come è stato il ritorno a scuola? Io sono rimasta traumatizzata. Ora mi è venuta un pò di influenza, quindi oggi l'ho scampata *balla la conga*

Vorrei ringraziare tutti coloro che recensiscono e che hanno inserito le storia tra le liste, questa storia non esisterebbe senza di voi! *hugga*

Bien, fatemi sapere cosa ne pensate, alla prossima!

 

Un bacio,


Fyamma ;)


*getta un fumogeno per terra e se ne va tossendo*


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Capitolo 6
*** AVVISO IMPORTANTE ***


AVVISO


Salve a tutti.
So perfettamente che ormai è passato quasi un anno dall'ultimo aggiornamento di questa storia (e delle mie storie in generale) ma dovete sapere che in questo periodo me ne sono capitate di tutti i colori, e rileggendo i capitoli precedenti mi rendo conto che non li sento piu MIEI. Credo di essere cambiata. Dopotutto, sono cambiate tante cose nella mia vita, quindi penso che io ne sia stata influenzata. Non fraintendetemi, non mi è successa nessuna tragedia come quelle che purtroppo capitano a tanta, troppa gente, i miei genitori e i miei parenti sono ancora vivi (con l'eccezione di qualche anziano prozio che purtroppo è venuto a mancare, ma a cui non ero abbastanza legata da giustificare un cambiamento radicale nella mia vita), io non ho il cancro o simili, ho ancora un tetto sotto cui stare... Semplicemente, la mia vita è cambiata, nè in meglio nè in peggio. Ed è cambiato anche il mio modo di pensare, che è diventato molto più critico soprattutto nei confronti di me stessa, dopo un paio di belle batoste ricevute a scuola. Sono in quella fase dell'adolescenza in cui ti rendi conto che c'è qualcosa di profondamente sbagliato in questo Paese, ma in cui ancora si pensa di poter fare davvero qualcosa per cambiarlo, nonostante i tentativi di dissuasione dei parenti più maturi e vissuti. Ma sento che se non provo adesso a cambiare le cose, poi da adulta vivrò con un certo rimorso, continuando a pensare "e se..."
Ma i miei ideali politico-sociali non sono il tema di questo messaggio.
Prima di tutto ci tengo a porvi le mie più sentite scuse, per quanto valore possano avere, per non essermi neanche fatta sentire in questi dieci mesi, per non avervi avvertito, lasciandovi con domande del tipo "ma che cavolo sta facendo quella fannullona?" -cit. cara amica, che tiene a questa storia più di quanto probabilmente ci tenga io.
Per questo, non smettero mai di scusarmi.
In secondo luogo, volevo avvertirvi che per i motivi sopracitati ho deciso di revisionare la storia, cercando di renderla più vicina alla Fyamma che arde in questo momento, e che credo sia destinata a durare un bel pò. La fic resterà qui finchè non avrò finito di riscriverla e mi sarò portata avanti con i nuovi capitoli, cosa che non dovrebbe tardare molto, dato che ho già iniziato a rivederla e il capitolo sette è pronto. In questo modo spero almeno di non dover più sottoporvi ad un'attesa simile.
Inoltre volevo assicurarvi che non ho la minima intenzione di abbandonare nè questa nè l'altra mia storia, perchè ormai sono legata ad esse da più di un legame affettivo, sono un vero e proprio memento di quello che sono stata, e penso che sarà divertente e utile riscriverle con gli ideali che ho ora. Quando la storia sarà pronta avvertirò tutti coloro che hanno ancora il coraggio di leggere qualcosa partorito dalla sottoscritta e dalla sua mente malata e lunatica, se ancora qualcuno si ricorda di me. Se così non fosse, sappiate che ero quella ragazza strana che un bel giorno si è svegliata con un mondo folle in testa, e che aveva deciso di condividerlo con voialtri, mentre adesso sono sempre la stessa ragazza, ma la mia mente è cambiata al punto da modificare anche il mio mondo folle. 
A questo punto non ho altre parole da darvi, o forse ne ho troppe, ma perdonate la mia negligenza e provate ad accontentarvi nuovamente delle mie scuse, se non dovesse riuscirvi siete liberissimi di bruciarmi viva, o magari di tentare di annegare questa Fyamma molesta che dopo tanto tempo non riesce a fare di più per voi.

Nonostante tutto, sempre vostra

Fyamma

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