Caffé nero e semi di melograno

di Alexiel Mihawk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo: in cui non ci si dovrebbe fidare delle apparenze. ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo: in cui Ade rischia una crisi di nervi e Persefone scopre che il mondo dei morti è più vivo di quanto pensasse. ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo: in cui Demetra per ripicca organizza una riunione non richiesta e Persefone decide di dimostrare la sua indipendenza. ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo: in cui non ci si dovrebbe fidare delle apparenze. ***


Autore: Alexiel Mihawk | alexiel_hamona (LJ)
Titolo: Caffé nero e semi di melograno
Fandom: Mitologia Greca
Personaggi: Ade, Thanatos, Persefone, Demetra
Genere: generale, commedia, sentimentale
Rating: verde, sfw
Avvertimento: one shot, implied!Incest, modern!AU, coffeshop!AU
Parole: 2246
Prompt: Mitologia, Ade/Persefone, coffe shop AU
Note: Prompt di kuma_cla, nato da un’iniziativa su LJ che si chiama FanFiction Meme. Funziona così, io dò una lista di fandom e il mondo mi lascia dei prompt su quei fandom/quelle ship, in modo che io possa poi scriverci. Trovate la mia lista qui sul mio Livejournal, se volete passare e lasciare dei prompt sentitevi liberi di farlo
Per le note tecniche: Euboleo, "il benevolente"; Trofonio, "colui che rende più fertile la terra"; Aidoneo, "quello che non si vede": sono tutti epiteti di Ade. Chloe, "Il verde germoglio" è un epiteto di Demetra che si ritrova in Pausania. In realtà è anche un po’ What!If, perché mi immagino un universo in cui Demetra non ha mai mostrato sua figlia a nessuno e se l’è sempre scarrozzata dietro; Ade non l’ha mai incontrata nell’era del mito e sicuramente non l’hai mai rapita (per ora). Parte 1 di 3. 
 
 
Caffé nero e semi di melograno
Capitolo Primo: In cui non ci si dovrebbe fidare delle apparenze.
 
 
Chiude con uno scatto irritato il McBook e si mette a fissare la sua tazza di caffè nero piena fino all’orlo: ha bisogno di una vacanza.
E magari di riprendere a concentrarsi come dovrebbe sul lavoro, perché ultimamente non ci sta proprio riuscendo, certo forse aiuterebbe lavorare in ufficio e non al bar, ma di recente non riesce a stare lontano da quel posto: i tavoli in legno, il profumo di torta appena sfornata, il leggero chiacchiericcio dei mortali e, soprattutto, lei.
Lei che passa tra i tavoli scivolando con eleganza e che ha sempre un sorriso per tutti, anche per lui, nonostante la sua aria seria e le sopracciglia perennemente corrucciate.
Ade si passa una mano sugli occhi e si porta alla bocca la tazza fumante, sono due mesi che viene lì ogni giorno alla stessa ora e ci resta quanto? Tutto il pomeriggio? Non lo sa bene nemmeno lui, sa solo che nelle ultime due settimane Thanatos è dovuto venire a prenderlo quattro volte per faccende di particolare urgenza e la cosa l’ha urtato parecchio, perché quando il ragazzo è entrato tutto il bar si è girato ad ammirarlo.
Certo, perché Thanatos non è come lui, Thanatos se ne va in giro in giacca di pelle e occhiali da sole e la sua carnagione olivastra assume toni color nocciola al minimo contatto con i raggi del sole, Thanatos tiene i capelli lunghi, dello stesso colore dei suoi ma infinitamente più fluenti, legati in una coda bassa e non si fa problemi a non farsi la barba perché tanto il suo volto è così simmetrico e così perfetto che nessuno ci fa caso. Ade forse è un po’ geloso perché lui è sempre così pallido, sempre in giacca cravatta, perfettamente sbarbato, e i suoi capelli sono neri come la pece e tagliati ordinati e forse, sì, gli piacerebbe essere più disinvolto e meno noioso, ma in fondo il suo lavoro richiede una certa serietà, non a caso anche suo fratello è come lui. Zeus ovviamente, perché Poseidone, beh lui è tutto festini sulla spiaggia e ukulele.
«Oggi il tuo amico non c’è?» gli domanda una voce gentile scatenando in lui il peggior travaso di bile degli ultimi tre giorni.
«No. Oggi non viene».
Spera di non essere stato troppo piccato nella risposta, perché non ci sarebbe niente di peggio che vederla andare via e seguire con lo sguardo la scia dei suoi capelli aranciati che spariscono dietro il bancone.
«Meno male!» esclama invece la ragazza, lasciandosi cadere sul divanetto di fronte a lui e lanciando un’occhiata veloce al locale semivuoto.
Ade la guarda e solleva un sopracciglio, consapevole di essersi perso un passaggio.
«Scusa?»
«Sì, nel senso, è sempre un po’ inquietante. E poi chi è che tiene gli occhiali da sole al coperto, andiamo! Solo due categorie di persone lo fanno, i ciechi e gli idioti. Oddio! Non è cieco, vero?»
Ade scoppia a ridere e nonostante la sua aria austera la sua bocca si piega in un sorriso sincero e i suoi occhi brillano di stupore e ilarità.
«No, no, non è cieco» dice tra i singulti «C’è qualcosa che posso fare per te…?»
«Persefone, no, in realtà mi stavo solo annoiando e avevo voglia di chiacchierare e tu sei sempre qui, quindi mi è sembrato normale farmi un po’ di fatti tuoi mentre sono in pausa. Aspetta, stavi lavorando?»
Ade ride di nuovo, perdendosi a osservare le lentiggini sparse su tutto il suo volto e i suoi occhi verdi, che brillano di curiosità e preoccupazione.
«No, ho finito» anche se, ovviamente, non è vero e quando tornerà in ufficio avrà il doppio di cose da fare «Posso offrirti qualcosa?»
La giovane ride e gli fa cenno di aspettare, armeggia velocemente dietro il bancone e fa ritorno con due fette di torta di mele e cannella e gli sorride.
«E dimmi» gli domanda sedendosi nuovamente di fronte a lui «Cosa fai nella vita, ché ti vedo sempre in giro e sono curiosa. Aspetta, come hai detto che ti chiami?»
«Non l’ho detto, mi chiamo –» e si blocca un secondo, perché non può presentarsi dicendo Ciao sono Ade e sono il dio degli Inferi, tanto piacere «Mi chiamo Aidoneo».
«E che cosa fai nella vita?»
Ma, sai, gestisco il regno dei morti, rispondo alle preghiere dei mortali, ogni tanto organizzo un terremoto in giro e mando Thanatos a raccogliere le anime dei defunti.
«Oh, niente di che, le solite cose noiose: bilanci, più che altro».
«Lavori in una compagnia che si occupa di bilancio? Non l’avrei mai detto».
«Sì, beh, non è esattamente così. Diciamo che sono a capo di una grossa azienda che gestisce vasti gruppi di persone. Tu piuttosto, lavori qui? Studi? Insomma quanti anni potrai avere, diciannove, venti?»
E non te lo sto chiedendo perché mi sento un pedofilo a venire qui tutti i giorni a guardare una mortale che probabilmente non ha nemmeno un quarto di secolo.
Persefone si morde un labbro e nicchia.
«Qualcosa del genere, sì» e Ade per un terribile secondo pensa che stia per dirgli che è minorenne, e a quel punto chi lo sentirebbe più Thanatos? «Ma non studio, per lo più giro, seguo mia madre, visito posti nuovi: si può dire che inseguiamo l’estate».
Questo spiega perché non si fosse mai accorto di lei prima.
Persefone rimane a chiacchierare con lui per un quarto d’ora prima di riprendere a lavorare, quando Ade torna al suo carro – che in realtà assomiglia più a una volvo – sente che quei quindici minuti sono valsi due mesi di pomeriggi passati a guardarla da lontano.
Decide che tornerà anche domani.
 
Trascorre una settimana e Ade cambia tavolo, passa da quello vicino alla finestra, molto più illuminato e perfetto per lavorare, a quello vicino alla cassa, da cui riesce a parlare con Persefone quando è ferma dietro al bancone. Si diverte a commentare con lei la clientela, e scopre che gli piace rimanere ad ascoltarla parlare mentre redige noiosissimi atti relativi agli ultimi decessi, a guardarla con la coda degli occhi mentre prepara le ordinazioni; quando Thanatos viene a portargli un plico di fogli da firmare (perché oramai ci ha rinunciato a farlo uscire da lì) Persefone scrolla leggermente le spalle e si allontana.
«Dovevi proprio venire?» borbotta seccato il dio dei morti.
«Senti, capo, se tu cazzeggi non è colpa mia!»
«Sì, ma non le piaci, l’hai fatta scappare!»
Il dio della morte assume un’espressione oltraggiata e abbassa di poco gli occhiali, quel tanto che basta perché il compare riesca ad intravedere i suoi occhi color rubino.
«Questo è impossibile. Io piaccio a tutti, sono bello come Eros e molto più letale di lui».
«Come ti pare» borbotta Ade firmando i fogli senza nemmeno leggerli.
Il più giovane sbuffa e da dietro le lenti scure si mette a fissare Persefone, aggrotta le sopracciglia perplesso, perché c’è qualcosa di strano in quella ragazza, e, per quanto si sforzi di fare del suo meglio per vederla, nemmeno lui riesce a trovare il filo della vita della ragazza.
«Capo» sussurra lentamente «Sei sicuro che sia umana?»
Ade si blocca e di scatto gira la testa per guardarla, arrossisce vagamente quando lei, accorgendosi del suo sguardo, gli sorride.
«Sei appena arrossito?»
«Oh, per l’amore di Gea! Sparisci, Thanatos!»
È sempre più sicuro di volersi prendere una vacanza.
 
Quando sua sorella arriva Ade frequenta il bar da oramai tre mesi e mezzo ed è diventato un vero habitué, conosciuto sia dal proprietario che dagli altri clienti, che, però, mantengono una rispettosa distanza intimiditi dal suo portamento regale e dalla sua aria seria. L’unica che non ha soggezione di lui è Persefone e Ade sente di volerle un po’ bene per questo.
Demetra entra nel locale come una furia e va a sedersi al suo tavolo, i suoi occhi mandano lampi; Ade non fa un plissé, non spegne il computer, ma continua a lavorare imperterrito.
«E buongiorno anche a te, sorella. Sono anni che non ti fai vedere, come stai? Io bene, grazie per averlo chiesto» non potrebbe essere più sarcastico di così.
«Falla finita, Ade. Che ci fai qui?» domanda la donna con voce minacciosa, ma bassa, in modo tale che solo lui possa udirla.
«Lavoro, o almeno ci stavo provando» sospira il dio dell’oltretomba rassegnato. Chiude il portatile e alza lo sguardo, mentre un cameriere dall’aria allampanata, uno di quelli che di solito lo evitano, si avvicina al tavolo sorridendo.
«Ciao Chloe, che ti porto?»
«Un caffè d’orzo, grazie».
«Chloe?» domanda l’uomo osservando il cameriere allontanarsi «Vorrei avere io qualcuno dei tuoi soprannomi, hai mai provato a presentarti come Euboleo, o Trofonio? Immagino di no».
La donna si passa una mano tra i capelli rossi, la carnagione dorata brilla a contatto col sole che penetra dalle finestre, anche se Ade immagina che per i mortali sia solo uno strano gioco di luci.
«Seriamente, cosa ci fai qui? Come hai fatto a trovarla?»
«A trovare chi?» domanda seriamente perplesso «Demetra, la pianti di parlare per enigmi? Vengo qui perché mi rilassa stare con i mortali».
«Per l’amore di Urano! Tu odi i mortali!» esclama la dea con un tono un po’ troppo alto, perché dal retro del locale qualcuno la sente e riconosce il timbro di voce.
«Mamma?»
«Oh, Kore! Scusa, cara, sono impegnata con il signore, arrivo subito» risponde Demetra, agitando la mano in direzione della figlia.
Ade sbianca, o meglio ci prova, anche se diventare più pallido di quanto già sia è più che un’impresa.
«Kore? Non ti chiamavi Persefone?»
La ragazza si avvicina e arrossisce, vistosamente imbarazzata.
«Oh, per Crono! Ancora con quel soprannome? Te l’ho detto mille volte che non è consono a te».
«Non credo che ad Aidoneo interessi, madre».
«Demetra, ho mal di testa» si lamenta il pover’uomo senza capirci più nulla e la ragazza nell’udire sua madre venire chiamata col suo vero nome ammutolisce «Mi spieghi cosa vuoi? Tu non vieni mai a trovarmi a meno che tu non voglia qualcosa, come l’ultima volta quando –».
Poi si interrompe e si gira molto lentamente verso Persefone, quindi sposta nuovamente il suo sguardo su sua sorella.
«Kore, come tua figlia Kore. Kore, come “Ehi ciao, mi sono fatto Demetra e ora è incinta”» testuali parole di Zeus millenni prima «Kore, come la dea che hai deciso di segregare chissà dove e che nessuno di noi ha mai visto perché avevi paura che nostro fratello ci mettesse le mani sopra?».
Persefone si lascia cadere su una sedia e li guarda con gli occhi spalancati.
«Avresti potuto essere più fine, e comunque sì. Mia figlia Kore, e ora mi dici cosa ci fai qui, Ade?»
«Te l’ho detto, mi rilassa stare coi mortali, e tua figlia fa un ottimo caffè» borbotta l’uomo abbassando lo sguardo e sentendosi vagamente colpevole, perché sì, dopo tutto critica tanto Zeus, ma non è che sia poi così diverso da lui.
«Madre?»
«Oh, certo cara, questo è Ade, tecnicamente è tuo zio, nonché il dio dei morti, ma quella è una spiacevole conseguenza della divisione della terra, in realtà non è davvero così sgradevole».
L’uomo alza gli occhi al cielo, non sa se essere più seccato perché l’intuizione di Thanatos si è rivelata corretta o per come, ogni volta, sua sorella debba velatamente insultare il suo operato e più o meno ogni cosa lo riguardi.
«Me ne vado» borbotta seccato lasciando cinque dollari sul tavolo «E stai tranquilla, non andrò a riferire a Zeus dove hai nascosto Pers-, Kore».
Si incammina verso l’uscita e, mentre la sua veste emette un leggero sbuffo di fumo nero, che per fortuna i mortali non riescono a percepire, alle sue orecchie giunge solo ovattato il brusio di una discussione tra madre e figlia che sta avvenendo alle sue spalle; raggiunge la macchina e fruga con irritazione nelle tasche alla ricerca delle chiavi, perché non possono usare ancora i cavalli? Sobbalza, quando sente una mano toccargli la schiena e come si gira davanti ai suoi occhi c’è Persefone, con lo sguardo triste e le spalle piegate.
«Mi dispiace» gli sussurra, e Ade sente un nodo alla bocca dello stomaco e la voce di quel porco di suo fratello che urla “Ehi! Non giudico mica, ogni lasciata è persa!”.
Sospira mentre un sorriso si fa strada sul suo viso, perché come si può rimanere offesi di fronte al volto corrucciato di Persefone? Le passa una mano sui capelli mossi e le accarezza una guancia.
«Non preoccuparti» risponde «Non è colpa tua».
Ma di quella stronza di tua madre, questo però ritiene saggio non dirlo.
Il sorriso mesto che gli viene rivolto non è abbasta, e il dio sente che non ce la può fare a rimanere lì a osservarla; apre la portiera della macchina e vi si infila dentro, ma quando abbassa il finestrino per salutarla lei è sparita. Rimane perplesso ad guardare il punto sul marciapiede in cui si trovava prima, domandandosi dove possa essere finita, finché la portiera dal lato del passeggero non si spalanca e la ragazza si infila all’interno.
«Parti, parti, prima che se ne accorga!»
Ade impallidisce.
«Ma non posso! È sottrazione di minore!»
«Ma se ho più di tremila anni!» si lamenta la ragazza con aria disperata «Ti prego».
E l’uomo non riesce a rifiutarsi, sbatte la testa contro il volante un paio di volte, ma poi si decide e mette in moto.
«Me ne pentirò sicuramente» borbotta.
La macchina parte e sparisce, lasciando dietro di sé solo una scia di fumo nero.







 

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo: in cui Ade rischia una crisi di nervi e Persefone scopre che il mondo dei morti è più vivo di quanto pensasse. ***


Autore: Alexiel Mihawk | alexiel_hamona (LJ)
Titolo: Caffé nero e semi di melograno
Fandom: Mitologia Greca
Personaggi: Ade, Thanatos, Persefone, Ecate (Hypnos, Radamante)
Genere: generale, commedia, sentimentale
Rating: verde, sfw
Avvertimento: one shot, implied!Incest, modern!AU
Parole: 4243
Prompt: Mitologia, Ade/Persefone, modern AU, scappare di casa
Note: Prompt di kuma_cla, nato da un’iniziativa su LJ che si chiama FanFiction Meme. Funziona così, io dò una lista di fandom e il mondo mi lascia dei prompt su quei fandom/quelle ship, in modo che io possa poi scriverci. Trovate la mia lista qui sul mio Livejournal, se volete passare e lasciare dei prompt sentitevi liberi di farlo.
Ora, come sempre le note tecniche. Ho cercato di dare agli dei una caratterizzazione particolare, senza lasciarmi influenzare da altri fandom o dal luoghi comuni, sono contenta che mi abbiate detto che sono IC, ma IC rispetto a cosa? Perché non esiste un vero canone per la mitologia e credo di essermi permessa un po' di uscire dai confini con questo capitolo (e ricordo che il fandom è Mitologia Greca!).
Quindi sì, Ecate è molto diversa da come ve l’aspettate, ha l’aspetto di una ragazzina, ma non solo quello, ha un pessimo gusto: guarda soap opere americane, si veste come una rockettara senza soldi e le piacciono il rosa e l’animalier. Non solo questo però, siccome mi piace molto il concetto di Ecate come dea trimorfa ho deciso di applicarlo qui, anche se per ora si vede solo un assaggio della dea cambia età, diventato più giovane. Siccome Ecate è fanciulla, madre e anziana (wicca, sì, e nel prossimo capitolo rinfaccerà la cosa a chi di dovere) e ha influenza sia sulla terra che sul cielo che sul mare, ho deciso di darle la possibilità di cambiare età; quando cambia la sua età cambiano anche i suoi gusti e di conseguenza l’intero mobilio delle sue stanze si trasforma. Inoltre la dea si incazza quando viene definita semplicemente dea dei crocevia, perché lei dei crocevia se ne sbatte, ma a quanto pare gli Olimpi si dimenticano sempre (apposta) che è la dea della magia e degli spettri e soprattutto una divinità psicopompa. A parte Ade con cui sono amiconi (sì, 100 Days of Night, questa è colpa tua). Per quanto riguarda altre cose tecniche: Ecate è figlia di Perse e Asteria che sono due titani; Selene ed Eos sono sorelle, figlie dei titani Theia e Iperione; Thanatos e Hypnos, la morte e il sonno, sono fratelli, figli di Nyx, la notte, ed Erebo, le tenebre; Eaco, Minosse e Radamante sono i tre giudici degli inferi. E credo avere finito.

Detto ciò buona lettura e mi spiace se ci sarà meno sarcasm!Ade e più dork!Ade, ma in questo capitolo me lo sono troppo immaginato alle prese con Persefone. In casa sua. Sotto lo stesso tetto. Ansia.
 
 
 
Caffè nero e semi di melograno
Capitolo secondo: in cui Ade rischia una crisi di nervi e Persefone scopre che il mondo dei morti è più vivo di quanto pensasse.
 
 
 
«Scusa, dove ti lascio?»
«Cosa? Da nessuna parte! Quella ha orecchie dappertutto!»
«Mica posso portarti con me negli inferi!»
«Veramente mi sembra un’idea eccellente».
Ovviamente non lo fu.
 
Al contrario di quello che pensano in molti, l’Averno non è un brutto luogo in cui vivere. Il grande errore dei mortali, così come di quasi tutti gli dei, è confondere il regno dei morti con il Tartaro, che non è che una piccola parte di un territorio più vasto; certo il Tartaro è uno schifo, sporco, buio, umido, affitti carissimi e punizioni atroci, ma il resto? Il resto è solo diverso dalla superficie.
La reggia di Ade sorge tra le praterie degli Asfodeli e i Campi Elisi, si tratta di un enorme palazzo in ossidiana nera, illuminato da innumerevoli fiaccole celesti e verdi e decorato di pietre preziose; ampi giardini ed edifici di dimensioni più basse lo circondano, dando vita a una vera e propria città sotterranea.
Persefone non sapeva bene cosa aspettarsi quando era entrata nella macchina di Ade, ma di una cosa ora è certa: non si aspettava quello.
Come l’uomo in completo scuro scende dalla vettura e le apre la portiera con fare gentile, la ragazza si trova di fronte un nugolo di facce curiose, perché “Ehi! Il capo ha portato qualcuno a casa!”, e vorrebbe avvicinarsi e vedere chi abita in quel luogo, ma la sua attenzione viene catturata dalla Volvo che si trasforma lentamente in un carro trainato da cavalli neri.
«Ma cosa!» esclama la ragazza sorpresa andando a sbattere contro qualcuno.
«Fai attenzione!» borbotta Thanatos seccato, ci mette qualche secondo per metterla a fuoco e riconoscerla e quando lo fa inizia a indicarla boccheggiando e fissa Ade così a lungo che il dio dei morti è quasi tentato di prenderlo a schiaffi.
«Dentro. Tutti e due» sibila tra i denti imboccando l’ingresso del palazzo e dirigendosi a passo spedito verso il suo ufficio.
 
«Quindi fammi capire» gli dice Radamante dopo averlo raggiunto assieme ad Hypnos «Lei è salita sulla tua macchina, ti ha detto di partire e tu, come un povero fesso, le hai dato retta?»
Ade si passa le mani sulle tempie, il suo mal di testa sta aumentando esponenzialmente da quando la stanza si è riempita; annuisce e lancia uno sguardo di fuoco a Thanatos che gli scoppia a ridere in faccia.
«Senti, capo, posto che avevo ragione io e non è umana, non credi che sia stata una scelta, come dire, del cazzo, quella di portarla qui?» domanda il dio della morte, senza lasciarsi sfuggire la possibilità di rimarcare che lui glielo aveva detto.
Radamante agita una mano, come a scacciare un insetto fastidioso e riprende il discorso da dove si è interrotto.
«Ade, non voglio mettere in dubbio le tue decisioni, ma ti sei completamente bevuto il cervello?» esclama il giudice degli Inferi saltando in piedi «Hai idea di quali ripercussioni dovremo aspettarci da quella psicopatica di Demetra?»
«Beh» interviene Hypnos per la prima volta, cercando di non addormentarsi sulla poltrona, perché a lui proprio quella faccenda non interessa «Poteva andare peggio».
«Ah, sì? E in che modo, fratello?» domanda Thanatos sarcastico.
«Immaginate se al posto di Demetra ci fosse stata Era».
Nessuno osa discutere su questo punto, perché i problemi di gestione della rabbia della regina degli dei sono cosa nota a tutti; che poi lei ci ha anche provato a darsi agli ansiolitici, ma non è che stiano funzionando benissimo.
«Beh, lei vuole restare, quindi resta. E tu» dice indicando Thanatos «Tu andrai a procurarle del cibo in superficie. Due volte al giorno».
«Cosa? Perché io? Vacci tu!»
«Con Demetra che mi cerca per farmi fuori? Ho scritto beota in fronte, per caso?»
«No, hai scritto “pollo”» risponde Radamante fissandolo con scherno «E dove hai lasciato la fanciulla?».
«Con Ecate, qui fuori».
«Fantastico» borbotta Hypnos «Perché non l’hai lasciata con mia madre già che c’eri? Affidiamo pure la gente a Ecate, tanto lei è così simpatica».
«Senza contare che adesso tempo due ore e tutto l’Ade saprà della sua presenza, quella non sa stare zitta» borbotta Thanatos a sua volta.
«Fuori. Tutti. Adesso» esclama Ade sull’orlo di una crisi di nervi.
 
Persefone non ha mai visto nulla di così imponente.
La casa di sua madre a Efeso è un semplice edificio di mattoni bruciati dal sole, con tegole rosse e muri di legno; gli appartamenti in cui ha vissuto girando per il mondo, senza meta e senza sosta, sono sempre stati piccoli e accoglienti, dipinti in colori caldi e decorati con fotografie e stoffe aranciate. Il palazzo di Ade è su un altro livello, è la casa di un re e per la prima volta nella sua vita la giovane prova un moto di ammirazione. L’ossidiana nera riflette la luce e la cattura al suo interno, rifrangendola in bagliori colorati che illuminano le alte volte e le stanze che sembrano non finire mai, è fredda al tatto, ma Persefone ne rimane ugualmente affascinata.
«Un po’ troppo nero per i miei gusti, ma quando ho provato a colorare le lanterne di rosa Ade mi ha ignorata per una settimana, per non parlare di quando abbiamo provato col rosso: sembrava un film horror di pessimo gusto».
Una ragazza con un corto caschetto nero e una frangetta sfilata le si avvicina, indossa stretti pantaloni di pelle e una canotta rosa fin troppo larga; il rossetto sul suo viso è rosso come il sangue, e il trucco sugli occhi scuro e pesante, assomiglia a una di quelle persone che sua madre le ha sempre sconsigliato di frequentare e a Persefone piace immediatamente.
«Sono Ecate» si presenta la mora «Tu devi essere Kore».
La giovane storce il naso e le stringe la mano.
«Persefone, preferisco Persefone».
Ecate la studia per un momento quindi annuisce: «Ti si addice di più».
La prende sotto braccio e se la trascina dietro attraverso un lungo corridoio, fino a giungere in un piccolo salotto con divani zebrati e mobili dai colori sgargianti.
«Vuoi un tè, cara?» le domanda mettendosi ad armeggiare con una credenza «È importato, è puro tè del Cachemire, non come quel pezzentone di Ade che si fa solo caffè nero annacquato. Comunque non devi preoccuparti, non succederà niente se lo bevi, anche l’acqua che uso è imbottigliata e proviene dalla superficie».
Non sa esattamente cosa potrebbe succederle, perché non le sembra che il sottosuolo sia così pericoloso come glielo aveva descritto sua madre, quindi accetta volentieri e si siede all’estremità di un divanetto.
«Tu vivi qui?» domanda esitante.
«Sì, non amo gli dei e sull’Olimpo non mi vedono di buon occhio, nessuno apprezza i parenti anziani che ti dicono cosa fare e Zeus è sempre stato troppo arrogante per accettare i suggerimenti. No, Ecate. Stai zitta, Ecate. So come si combatte un centimano, Ecate. Sparati! Biscottino?»
«Sì, grazie, ma io credevo che fossi una dea anche tu. Mia madre ti ha nominata qualche volta, sei la dea dei crocevia, non è così?»
La ragazza scoppia a ridere e a Persefone sembra proprio che ora sia più piccola di prima, ma non si spiega come sia possibile.
«Oh, tesoro! Tua madre è una stronza, non devi ascoltare tutto quello che dice».
Persefone rimane a bocca aperta con il biscotto ancora stretto tra le dita e la mano a mezz’aria, non può credere che l’abbia detto davvero.
«Oh, scusa, ti sei offesa?»
«No, no, è che non ho mai sentito nessuno parlarne così; sono d’accordo, credo. Cioè le voglio bene, ma per tutti i Titani se sa essere irritante!»
«Visto? In ogni caso non sono propriamente una dea tesoro, e di sicuro non solo la dea dei crocevia, quello è venuto dopo. Rimango una degli ultimi discendenti dei Titani che camminano sulla terra» esclama lasciandosi cadere sul divano al suo fianco e porgendole una tazzina rosa shocking.
«Persino tuo padre aveva rispetto per me, certo prima di iniziare a provarci con qualsiasi cosa si muovesse e venire preso a pesci in faccia quando si è presentato alla mia porta dicendo “Ehi, lo sai che Era è in vacanza?”. Ehi, lo sai che sei un vero bastardo?! Ma non siamo qui per parlare di me, né di quel porco di Zeus, dimmi un po’, carina, come ci sei finita qui?»
Persefone si torce nervosamente le mani, perché vorrebbe dire la verità, ma non vuole nemmeno mettere nei guai Aidoneo. Può ancora chiamarlo Aidoneo? Perché ora che sa che il suo nome è Ade la cosa suona troppo strana. Senza contare che non dovrebbe essere il capo lì sotto, perché tutti sembrano fare quello che vogliono?
«Ecco io –»
«Oh. Mio. Dio! Non me lo dire, Ade ti ha rapito! Oh, sapevo che prima o poi sarebbe successo! Non poteva rimanere single a vita!»
«No, veramente no, cioè sono salita a forza sulla sua macchina e l’ho costretto a partire» la corregge Persefone arrossendo leggermente.
«Tesoro, nessuno costringe Ade a fare niente. Una volta Thanatos ha provato a obbligarlo a uscire per un doppio appuntamento con Selene e Eos, si è ritrovato a ripulire la barca di Caronte. Con uno spazzolino da denti».
La ragazza scoppia a ridere divertita e in parte sollevata all’idea che, dopo tutto, Ade è esattamente come l’aveva immaginato in quei mesi che si sono incontrati al bar, certo con in più il fattore dio dell’oltretomba, ma quello è secondario. O forse non lo è, ma di sicuro a Persefone non dà fastidio.
Ecate sta per lanciarsi di nuovo in una serie di domande quando la porta del salottino si apre e ne entra Ade in persona con un’aria esasperata e la cravatta leggermente allentata.
«Tu, con me» borbotta indicando Persefone «E tu, muta. Come un pesce, e– Oh, per Urano! Ma le hai dato da mangiare?»
«Rilassati, Ciccio» e c’è un che di comico nel vedere il re degli inferi chiamato ciccio da una ragazzina che dimostra appena sedici anni «Tutta roba di sopra. Non dirmi che non glielo hai ancora spiegato, sei un pessimo ospite».
«Spiegato cosa?» domanda la figlia di Demetra.
Ade le offre il braccio e, mentre Ecate li saluta agitando una mano, la conduce verso la porta.
«Tutto ciò che di commestibile è prodotto in questa terra, l’oltretomba, è, come dire, vincolante. Se mangi qualcosa del mondo dei morti sei costretto a vivere nel mondo dei morti, ne diventi parte. È per questo che quelli di noi che vivono qui difficilmente si allontanano a lungo».
Persefone annuisce, domandandosi però se sia davvero un posto così brutto in cui vivere, l’Averno. Lei si immaginava un antro buio e freddo, ma lì di buio c’è solo in cielo, e non è nemmeno sicura che sia un cielo vero, anche se la volta si eleva per chilometri sopra il suo capo ed è costellato di luci verdi e bianche e rosa che le ricordano le stelle.
«Aidon-, no, zio, posso chiederti –»
Il dio dei morti si blocca all’improvviso e la interrompe con una smorfia di disgusto stampata in viso.
«Ti prego, chiamami Ade. Sentirmi chiamare zio è imbarazzante e mi irrita».
Scopre di essere d’accordo e scopre di non voler pensare alle strane relazioni di parentela della loro disfunzionale famiglia divina.
Mentre l’accompagna per le strade di quella città sotterranea Ade gliene racconta le origini e le parla a lungo della struttura dell’Averno; la conduce lungo le praterie degli Asfodeli, dove anime in pena camminano senza sosta su campi fioriti. Le indica le porte dei campi Elisi dove riposano le anime dei giusti e degli eroi e la porta a vedere i fiumi degli inferi, che imponenti e vorticanti scorrono in un tripudio di fiamme, ghiaccio e grida.
Persefone è affascinata da quello spettacolo, ma anche intimorita. Vede per la prima volta dinnanzi ai suoi occhi la potenza della morte, e scopre che la sua mente è attraversata da pensieri che non l’hanno mai sfiorata prima: quel luogo è vivo e in costante movimento e i suoi abitanti sono gentili e caldi. Per una dea della primavera come lei la morte è sempre stata sinonimo di annullamento, di oblio, non ha mai pensato che potesse esserci qualcos’altro dopo, non ha mai pensato che l’Ade potesse essere abitato da persone in carne ed ossa, da qualcuno che non vuole lasciarlo e, intimamente, scopre di apprezzarlo. Scopre che quel paesaggio freddo, in cui aleggia una vaga nebbia biancastra e in cui si muovono le anime dei morti, riflette molto della personalità del suo sovrano, basta guardare oltre la superficie per scoprire particolari che a prima vista sfuggono.
Ade veste Armani, ma se potesse tornerebbe al chitone; Ade è sempre serio, ma cerca in ogni modo di strapparle un sorriso con il suo sarcasmo pungente; Ade è freddo come il ghiaccio e respinge chiunque cerchi di avvicinarsi, ma in quei tre mesi che è venuto a trovarla al caffè è sempre stato gentile e ha sempre avuto un sorriso per lei. Persefone ha imparato a non fermarsi alla prima occhiata e non ha intenzione di farlo nemmeno con l’Averno che, a modo suo, la sta stregando più di quanto credesse possibile, nonostante non ci siano fiori colorati, né alberi in fiore, né grano, né frutti.
 
«Capo».
«Capo».
«Che palle, Ade! Mi stai ascoltando, si o no?» domanda Thanatos scocciato.
Sperava che ora che Persefone si trova lì, la concentrazione del dio dei morti sarebbe migliorata, ovviamente la sua era una pia illusione, perché ora Ade è ancora più distratto di prima. Non riesce a pensare ad altro che alla giovane dea che cammina lungo i corridoi, che dorme sotto il suo stesso tetto, che mangia alla sua tavola; ripensa a come si è presentata quella mattina a colazione, con i capelli rossicci raccolti in una morbida treccia oltre la spalla, un vestito bianco a papaveri rossi e gli occhi ancora semichiusi; ripensa a come gli abbia versato il caffè, senza nemmeno pensarci, nero e bollente come piace a lui, augurargli una buona giornata e a come sia uscita dalla porta, per poi tornare subito indietro con il giornale in mano: «Cerbero ha portato questo, ed incredibilmente non è sbavato. Ho pensato lo volessi».
Thanatos si sbatte una mano sulla faccia e molto lentamente la fa scivolare verso il basso, non stanno andando da nessuna parte e quella situazione non si smuoverà da sola. Forse è il caso di fare al capo un discorsetto.
«Ade» comincia il dio della morte, scuotendolo per le spalle per richiamare la sua attenzione «Dobbiamo parlare di come si fanno i bambini».
L’uomo sgrana lo sguardo, quindi arrossisce leggermente, per poi rischiare di cadere dalla sedia.
«Sei completamente deficiente? So come si fanno i bambini».
«Perfetto! Quindi sai che serve un essere del sesso opposto! Ora» continuò Thanatos facendo un passo di lato per evitare di essere colpito da un libro «Dovresti chiedere a Persefone di uscire».
«Per andare dove!? È scappata di casa!»
«Come se non l’avessi notato» borbotta l’amico «Senti portala a spasso, portala a cena fuori, a Venezia di notte, a Parigi, a fare un pic-nic sui campi elisi, basta che tu faccia qualcosa perché non ti si può veder in queste condizioni, ti sei completamente bevuto il cervello».
«Io mi sono bevuto il cervello? Ma ti senti parlare? Non ho tempo da perdere, ho un regno da portare avanti, Minosse che è sparito di nuovo ed Eaco che non lo trova, Cerbero ha mangiato di nuovo la posta e ho duecento mail di preghiere da leggere. Fammi un favore e sparisci, tu e le tue idee del cazzo» ringhia per tutta risposta il Re degli inferi sistemandosi il nodo della cravatta per darsi un tono e cacciando in malo modo Thanatos dallo studio.
«E non tornare finché non avrai finito di prelevare le anime della giornata!» sbotta chiudendo la porta con un tonfo.
Ade sa che Thanatos ha ragione, e se Persefone fosse stata una semplice mortale forse l’avrebbe già invitata ad uscire; in realtà il fatto che sia una dea semplifica di molto tutta la parte del ti spiego che sono il dio degli inferi, per piacere non dare in escandescenze, peccato che fosse anche sua nipote e lui non era come Zeus. Per Gea! Forse avrebbe davvero avuto bisogno del consiglio dei suoi fratelli, lui non era mai stato tipo da darsi a grandi avventure romantiche, anche perché nessuna dea, ninfa e nemmeno figlia di titani aveva mai voluto avvicinarsi a qualcuno con il dominio sull’Oltretomba. Inquietante, dicevano sempre; e un po’ Ade ci rimaneva male, perché insomma ha sempre saputo di non essere affascinante come Zeus, né carismatico come Poseidone, o biondo come Apollo, né schifosamente bello come Thanatos o Eros, ma, insomma, era pur sempre un Re e, a dirla tutta, non era un brutto uomo. Sì, forse il suo naso avrebbe potuto essere un po’ più piccolo e la sua carnagione un po’ meno pallida e i suoi occhi un po’ meno neri, ma insomma, la genetica mica l’aveva decisa lui e nemmeno il suo dominio, a dire la verità.
Perché in realtà il cielo, l’oceano e il sottosuolo lui e quei mentecatti dei suoi fratelli se li erano giocati a dadi una sera che erano troppo ubriachi per pensare lucidamente (ma forse Zeus non era poi così ubriaco come aveva fatto loro credere), quando ancora si stavano dando ai bagordi per festeggiare la vittoria su Crono.
Decide che chiederà a Persefone se vuole cenare con lui sulla terrazza quella sera, perché, anche se non possono uscire, non è giusto che la ragazza passi le sue giornate ad annoiarsi da sola.
«E quindi poi Cerbero ha passato il pomeriggio con me e ha rincorso le anime sulle praterie degli Asfodeli, e sì, all’inizio mi sentivo in colpa per averlo trascinato lì e ho cercato di fermarlo, ma –, Ade mi ascolti?» domanda Persefone mentre racconta con tono entusiasta come ha trascorso la giornata.
No, scusa, sono troppo impegnato a contare le lentiggini sul tuo naso perché ho appena realizzato che amo le donne con le lentiggini.
«Sì, certo, continua ti prego» risponde l’uomo felice anche solo di poterla ascoltare.
«Ecco, e quindi si è messo a rincorrere le anime come fossero palline e io volevo tanto sentirmi in colpa, ma alla fine ho iniziato a trovarlo divertente. Oddio, sono una persona orribile?»
Ade scoppia a ridere e Persefone pensa che sia veramente bello quando ride.
«Tu? Una persona orribile? Ma se sei la persona più bella che abbia mai incontrato!»
Silenzio.
«Cioè la dea. Cioè bella dentro. Voglio dire anche fuori sei bellissima» Ade arrossisce leggermente, non sa cosa dire per non fare la figura del perfetto imbecille «Credo che mi stiano chiamando. Sì, sì, tu non senti che mi chiamano? Torno subito».
Ecco, perfetto, ora ha fatto la figura del perfetto imbecille.
Persefone trattiene a malapena una risatina, rendendosi conto di quanto le abbia fatto piacere quel complimento; realizza anche che Ade non deve essere molto abituato a trattare con le donne, perché sì, insomma, è così impacciato che quasi le fa tenerezza. C’è qualcosa di incredibilmente dolce in un omone altro un metro e ottanta, pallido e serio, che cerca di lodare le grazie di una donna, si impappina e assume lo stesso colore dei papaveri in primavera. Alla dea si scalda un po’ il cuore e mentre le sue dita si stringono attorno al bicchiere di vino sorride leggermente. Scappare di casa non è stata una brutta idea, dopo tutto.
Quando il dio dei morti ritorna (dopo avere sbattuto ripetutamente la testa contro un muro) ha la cravatta leggermente allentata e un’espressione nuovamente seria, sta cercando disperatamente di darsi un contegno, per non far vedere a Persefone che è completamente perso per i suoi capelli fulvi e i suoi occhi verdi: la cosa, purtroppo per lui, non gli riesce molto bene.
Si appoggia al parapetto della terrazza e riprende in mano il suo calice di rosso, mentre lancia un sorriso timido alla ragazza, incoraggiandola a riprendere il discorso di prima. Lei gli si avvicina e si sporge a guardare il panorama, che a dispetto dell’oscurità e delle nebbie mozza il fiato, perché da lì si vedono gli immensi prati di Asfodeli (e potrebbero risultare rossi quella sera, invece che bianchi, perché Persefone si è divertita a giocare con i fiori quel pomeriggio) e il grande albero che sorge nel mezzo.
«Chi ti chiamava?»
«Radamante» inventa l’uomo sul momento, cercando una scusa a cui non ha pensato quando ne aveva la possibilità «Aveva delle notizie su Demetra».
«Credi che mi stia cercando?»
Ade vorrebbe passarle la mano attorno alla vita e abbracciarla perché in quel momento la giovane dea sembra così piccola da non riuscire a gestire il pensiero di sua madre preoccupata.
«Sei scappata di casa, Persefone, certo che ti sta cercando, ti starà cercando per tutta la terra. Chiunque lo farebbe».
«Tu lo faresti?» domanda la ragazza fissandolo negli occhi e prendendolo in contropiede.
«Beh, se avessi una figlia, può essere».
«No, intendevo cercare me, per tutta la terra» arrossisce leggermente, ma sostiene il suo sguardo mentre il viso del re dei morti vira leggermente verso il fucsia.
«Sì» borbotta piano distogliendo lo sguardo e fissando i fiori rossi in lontananza «Per tutta la terra».
Persefone sorride, gli appoggia le mani sul petto per poi stringere gentilmente la cravatta e fissare il nodo.
«Forse dovrei davvero tornare a casa» mormora, le mani ancora strette intorno all’indumento e la testa piegata verso il basso.
Ade sente il cuore perdere un battito, il che è assurdo visto che fino a mezzo secondo prima stava battendo come un tamburo suonato da un rockettaro ubriaco fatto di acidi. Ecco, fantastico, ora se ne sarebbe andata e lui si sarebbe ritrovato con il cuore spezzato, venticinque maledizioni di Demetra e Thanatos a insultarlo per l’eternità: complimenti, Ade, tu sì che sai sempre cavartela in ogni circostanza.
Cosa farebbero i suoi fratelli in una situazione come quella? Pensa facendo funzionare il cervello alla velocità della luce, scarta subito la voce di Zeus che urla “Trasformati in animale e fecondala, subito!”, decide anche di evitare il suggerimento di Poiseidone perché “Cantale una serenata con l’ukulele e mostrale i pettorali” non è proprio cosa che si adatta alla sua persona; gli dispiace di non essere più in confidenza con Afrodite, perché avrebbe potuto chiamarla e farsi dare qualche consiglio. Forse no, poi l’avrebbe saputo l’intero Olimpo e sarebbe stato preso in giro a vita. Sospira sconsolato e passa le mani lungo le braccia di Persefone che solleva il viso e gli sorride.
«Puoi sempre restare» le dice piano con voce gentile «Può essere anche casa tua, se lo vuoi».
Sente la giovane dea irrigidirsi e pensa di avere detto la cosa sbagliata, ma quando lei alza il viso i suoi occhi brillano e Ade pensa che sia bellissima. Non sa bene cosa lo spinga in quel momento, ma sente l’impulso di baciarla (ed è la quindicesima volta quella sera) e, una volta tanto, si lascia guidare dall’istinto e, dopo averla avvicinata leggermente a sé, le chiude le labbra con le proprie.
È un bacio leggero, gentile e in qualche modo casto e per Persefone è anche il primo bacio della sua vita. Mentre chiude gli occhi si immagina come debba essere approfondire quel contatto e si domanda che sapore abbia Ade, perché baciarlo davvero deve essere un’esperienza incredibile. Anche se al momento, con il cuore che batte all’impazzata e il sangue che affluisce alle guance, la ragazza fatica ad immaginare qualcosa più incredibile di quello.
Quando il dio dei morti si stacca la dea legge nei suoi occhi un misto di amore e desiderio e si chiede come abbia fatto a non accorgersene prima.
«Io. Io ci penserò» risponde piano, ma dentro di sé sa di avere già deciso.
Quando si ritira in camera sua quella sera sente le rotelle del suo cervello che girano vorticosamente e capisce che le serve qualcosa, qualcosa che convinca sua madre a lasciarla andare, a lasciarla lì, altrimenti Demetra non si arrenderà mai.
 
Thanatos si è addormentato sul divano.
La televisione mortale prende abbastanza bene in quella parte dell’Averno, per lo più grazie ai ripetitori che Efesto ha installato su richiesta di Ecate (che dal 1963 non si può perdere nemmeno un episodio di General Hospital), e il dio della morte spesso finisce con l’assopirsi mentre rumorosi mortali discutono le notizie del giorno.
Ovviamente non si accorge che qualcuno bussa alla porta; non è come Hypnos che non si sveglia nemmeno con le cannonate, ma ha il sonno pesante. Quando, però, Persefone spalanca la porta e la sbatte rumorosamente per richiuderla, il ragazzo salta sull’attenti sul divano, bofonchiando qualcosa riguardo al fatto che è sveglio e no, non stava assolutamente dormendo.
«Oh, sei tu» borbotta mettendo a fuoco la ragazza «Che ci fai qui? Se Ade ti trova in camera mia mi uccide, poi mi riporta in vita e mi uccide di nuovo. O peggio, mi spedisce a lavare Cerbero».
«Ho bisogno del tuo aiuto» risponde la ragazza raggiungendolo e sedendosi su una poltrona di fronte a lui.
Thanatos alza un sopracciglio e sta per dirle che no, lui non commette omicidi su commissione, ma quando Persefone gli spiega il suo problema allora cambia tutto. Perché nel momento in cui la ragazza dice: «Devi aiutarmi a trovare un modo per rimanere qui». Thanatos capisce solamente che, finalmente, dopo secoli di noia, può tornare a divertirsi alle spalle degli altri dei.
«Dimmi» dice il dio della morte «Hai mai sentito parlare di semi di melograno?»




 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo: in cui Demetra per ripicca organizza una riunione non richiesta e Persefone decide di dimostrare la sua indipendenza. ***


Autore: Alexiel Mihawk | alexiel_hamona (LJ)
Titolo: Caffé nero e semi di melograno
Fandom: Mitologia Greca
Personaggi: Ade, Thanatos, Persefone, Ecate, Zeus, Poseidone, Era, Demetra (e tutti gli Olimpi, o quasi)
Genere: generale, commedia, sentimentale
Rating: verde, sfw
Avvertimento: one shot, implied!Incest, modern!AU
Parole: 4767
Prompt: Mitologia, Ade/Persefone, Modern AU in cui Demetra va a trovare sua figlia
Note: Prompt di kuma_cla, nato da un’iniziativa su LJ che si chiama FanFiction Meme. Funziona così, io dò una lista di fandom e il mondo mi lascia dei prompt su quei fandom/quelle ship, in modo che io possa poi scriverci. Trovate la mia lista sul mio Livejournal (link nel capitolo precedente o sul mio profilo), se volete passare e lasciare dei prompt sentitevi liberi di farlo.
Qualche nota tecnica. Cliff Edwards aka Ukelele Ike è un musicista realmente esistito; tutti i nomi di ansiolitici da me citati esistono davvero (e sono bellissimi, chi li inventa è il mio mito). Per quanto riguarda la caratterizzazione degli dei in questo capitolo, sento di dovermi spiegare. Io non credo che Zeus sia un totale cazzone, nemmeno che Era sia solo una gran stronza, non solo almeno, in questa storia si vede poco, ma ognuno di questi dei ha i sui pregi e i suoi difetti. Zeus se si impegna può essere un buon padre e nonostante tutte le volte in cui ha tradito Era, sono anche convinta che a modo suo la ami. Era è una madre, sì è una donna gelosa e vendicativa, ma è anche una sorella e donna e capisce certe cose meglio di tutti, inoltre me la immagino che non si scandalizza per nulla, dopo tutto ha sposato Zeus. Persefone sta attraversando una fase molto ribelle della sua vita, Demetra non è di per sé cattiva, ma è una madre iperprotettiva che non si mette nei panni di sua figlia e non ne capisce le esigenze; qui Persefone scoppia, non ne può più e quindi arrivano a litigare. Non ho voluto concludere con un “si sposarono e vissero tutti felici e contenti”, perché mi sembrava prematuro.
Con questo capitolo si conclude questa raccolta, ma non la mia esplorazione di questa coppia, ho già in programma un’altra one shot legata a questo universo, e poi beh, credo mi darò alla pazza gioia con altro, visto che di prompt Ade/Persefone ne ho ricevuti tantissimi.
 
 
 
Caffè nero e semi di melograno
Capitolo terzo: in cui Demetra per ripicca organizza una riunione non richiesta e Persefone decide di dimostrare la sua indipendenza.
 
 
 
Il dio dei morti è sempre stato un uomo pacato e abitudinario.
La sua sveglia suona sempre alla stessa ora e, dopo essere rimasto cinque minuti (ma non di più, perché lui è una persona seria) a poltrire nel letto, il dio dei morti si lava, si veste e va a fare colazione, sempre in quest’ordine. Ha i suoi rituali, rituali che gli piace compiere ogni mattina appena sveglio, tra di essi compare bersi una tazza di caffè nero, rigorosamente senza zucchero, rigorosamente fumante. Da quando Persefone abita con lui, in quel grande palazzo un po’ meno deprimente, il caffè delle nove è migliore, forse perché è lei a farlo, forse semplicemente perché è lei a versarglielo nella tazza con un sorriso (e Ade si scioglie, perché quei gesti sono così naturali, così quotidiani, che sembra che non ci sia altro luogo in cui la giovane dea sia destinata a stare).
Quando riesce a bere il suo caffè, leggere l’Eco dei morti, magari addirittura ascoltare le chiacchiere sconclusionate di Persefone appena sveglia, allora sa che la giornata inizierà bene e, se è fortunato, proseguirà meglio.
Quel mattino, tuttavia, non sembra essere destinato a far parte di questa ambita schiera di piacevoli giornate; Ecate e Thanatos piombano nella sala da pranzo urlando e agitando la posta come dei forsennati, facendogli rovesciare il caffè sulla camicia bianca e facendo quasi cadere Persefone dalla sedia. Ade trattiene a stento una bestemmia e l’impulso di incenerire quei due sul posto.
«Siete ubriachi?» domanda scocciato. Non sarebbe la prima volta.
«No, ascolta, è successa una cosa» esclama Ecate, che quella mattina dimostra una trentina d’anni.
«Una cosa orribile» aggiunge Thanatos.
«Hai finito lo shampoo?» domanda Ade sarcastico cercando, invano, di pulirsi la camicia.
«Il copri poltrona rosa non si intona col rossetto?» chiede Persefone, rincarando la dose e meritandosi un’occhiata adorante da parte del dio dei morti; l’Averno la sta rendendo più ironica.
«Ridete pure, stronzi» ribatte Ecate piccata «Intanto Demetra è andata a lamentarsi da Zeus accusandoti di averle rapito la figlia!»
Silenzio.
«E Zeus ha deciso di autoinvitarsi qui, insieme a tutta la combriccola, per una –, passami il foglio per favore. Ah, ecco. Una riunione familiare di emergenza, che avrà sede presso la reggia di Ade, Averno, in data 23 Settembre» legge Thanatos, non indossa gli occhiali da sole e in quel momento i suoi occhi rossi mandano lampi «Siamo fottuti».
«Ma il 23 è dopodomani» Persefone lascia cadere la brioche sul tavolo e si mette le mani tra i capelli.
«Calmatevi!»
La voce di Ade è regale come poche volte l’hanno udita. Tutti sanno quanto il dio dei morti detesti le riunioni familiari, i suoi parenti sono pettegoli, rumorosi e spesso imbarazzanti, tuttavia quella gli sembra una buona occasione per dimostrare a sua sorella che no, non ha rapito Persefone; senza contare che sull’Olimpo tutti sono curiosi come una perpetua il giorno delle confessioni di vedere la misteriosa figlia di Demetra e, Ade ne è convinto, anche lei non vede l’ora di incontrare la sua famiglia.
E poi, sì, vuole togliersi lo sfizio, perché quei bastardi dei suoi fratelli non sono mai venuti a trovarlo, nemmeno una volta, con la scusa che “È tutto buio, scusa, ma l’assenza di spazi aperti me lo ammoscia” e quello che dice Zeus è legge, quando fa comodo.
«Per prima cosa, qualcuno mi porti una camicia pulita» borbotta facendo un cenno a un’arpia di passaggio «Poi radunate tutti, bisogna organizzare questa riunione. Non posso mica servire ai miei parenti idromele di bassa qualità e ambrosia del secolo scorso».
 
«Se ci dovesse essere Afrodite non farti infinocchiare dai suoi occhioni azzurri e dalla sua voce melliflua, è una vera manipolatrice. E ricordati di essere sempre gentile con Ares, o di mandarlo al diavolo, è tuo cugino, ma è anche in parte tuo fratello, insomma fai come ti pare. E se Zeus o Apollo dovessero allungare le mani, ti autorizzo a trasformarli in un cespuglio di rovi, o a scatenargli dietro Cerbero» borbotta Ade cercando, invano, di allacciare la cravatta.
«Lascia, ci penso io» ride Persefone alzandosi dalla poltrona sulla quale si è adagiata nell’attesa «E quindi sono quasi tutti miei zii, cugini e fratelli, giusto?»
Ade annuisce, mentre le mani candide della ragazza si muovono attorno al suo collo andando a formare un nodo perfetto.
«Ti ho già detto quanto è disfunzionale la nostra famiglia? E quanto tuo padre non sappia tenerselo nelle mutande?» risponde Ade a cui la vicinanza di Persefone fa sempre un effetto strano.
Lei ride e gli posa un bacio leggero sulle labbra.
«Andrà bene» gli sussurra e il suo cuore si scioglie un pochino quando il dio degli inferi le sorride dolcemente, le passa una mano dietro la schiena e l’attira più vicina per baciarla di nuovo.
Ade si chiede per quanto tempo riuscirà a limitarsi a baciarla, perché, davvero, se continua così rischia di impazzire e nessuno vuole un dio dei morti impazzito, che preleva anime a caso e lascia uscire titani dal tartaro per fargli fare passeggiatine serali sull’olimpo. Forse è meglio pensare ad altro, come alla comitiva di spostati che in quel momento sta facendo ingresso a casa sua.
Zeus guida la truppa, e a vederlo con il suo completo marrone, la camicia bianca, il viso abbronzato e i capelli biondi, sembra che non sia possibile che abbia un qualsiasi grado di parentela con Ade, la cui carnagione pallida è evidenziata dal completo total black che indossa quella sera (e Persefone ci ha provato a dirgli che camicia nera su giacca nera con cravatta nera forse era un po’ eccessivo, ma il dio degli inferi non l’ha ascoltata).
Segue Poseidone, con un cappellino di paglia, una maglietta azzurra con enormi fiori viola stampati sopra, un paio di pantaloncini color kaki e quello stramaledetto ukulele sotto braccio; io glielo brucio, pensa Ade vedendolo entrare.
Era è particolarmente tranquilla, probabilmente si è presa un’intera boccetta di Valium prima di arrivare ed è, cosa assolutamente incredibile, accompagnata da Ares e Afrodite, anche se Ade ricorda bene che durante l’ultima riunione la regina degli dei ha chiamato la dea dell’amore con epiteti non esattamente eleganti. Era Vacca grassa? O forse, no, ricorda male, probabilmente si trattava di Sgualdrina con le labbra rifatte. In ogni caso, lui lo sa, Afrodite è lì solamente per godersi lo spettacolo, non certo per aiutare una divinità sotto sedativi. Seguono gli altri figli di Zeus: Dioniso, Apollo ed Ermes, mancano solo Efesto e Atena, che, pur essendo gli unici veramente ben accetti in quel luogo, non sono riusciti a venire. A chiudere la fila ecco Demetra (che in realtà tutti si aspettavano sarebbe entrata per prima urlando come una furia e mettendo a soqquadro ogni cosa) accompagnata da Artemide.
Non c’è nemmeno bisogno di aspettare che lo salutino, perché inizi la scenata plateale della dea dell’agricoltura.
«Tu!» esclama la donna puntando un lungo dito abbronzato contro il dio dei morti.
«Io» Ade rotea le pupille e va a sedersi sul suo scranno, ad un’estremità di un enorme tavolo rotondo che ha fatto preparare apposta (rotondo, così che nessuno litighi per chi deve stare a capotavola).
«Hai rapito la mia bambina! La mia meravigliosa, innocente bambina! Zeus, digli qualcosa!»
Il capo degli dei, osserva Demetra, poi lancia uno sguardo a suo fratello, la cui aria non potrebbe essere più scocciata di così, quindi a quella che immagina essere Persefone, e porca merda, capisce perfettamente cosa abbia spinto Ade!
«Dammi il cinque fratello! Sei grande!» esclama avvicinandosi con il braccio per aria.
«Zeus!» Demetra è sull’orlo del collasso.
«Padre!» rincara la dose Artemide, che è sempre la prima a difendere le fanciulle il cui onore è stato macchiato da qualche maschio senza dignità.
«Sì, sì. Ade sei stato molto cattivo! Cattivo Ade» borbotta sedendosi a fianco del fratello e dandogli di gomito.
Ora lo ammazzo e getto il suo cadavere a concimare le praterie degli Asfodeli, pensa il dio dei morti esasperato.
In quel momento, fortunatamente, interviene Persefone, meravigliosa nel suo lungo abito verde e arancione.
«Madre, ora smettila! Ade non mi ha rapito, lo sai benissimo!»
Il gruppo di divinità alle spalle di Demetra esplode in una fiumana di commenti: “Mi sembrava strano”, “Ade non è come quel porco di papà”, e anche “Demetra, mi hai presa in giro, stronza!” probabilmente di Artemide stessa.
«Son scappata di casa perché ero stufa di vivere segregata tra quattro mura, perché ero stufa di non poter fare niente, di non conoscere la mia famiglia e di non poter avere una vita».
«Figlia ingrata!»
«Piantatela!» esclama Zeus, e la sua voce risuona potente come un fulmine per tutta la sala «Prendete posto. Adesso. O andate a ubriacarvi da qualche parte, oh! Ciao Ecate!»
«Ciao questo paio di palle! Mi devi ancora dei soldi dall’ultima guerra, bastardo!» risponde la donna con astio, ora dimostra almeno quarantacinque anni e indossa un tailleur nero; al suo fianco Thanatos ridacchia sotto i baffi, lanciando occhiate d’intesa a Dioniso.
Qualcuno si siede, qualcuno segue il consiglio di suo padre e, con un’anfora sottobraccio, si fa strada verso la terrazza; Demetra sulla sua sedia sembra affranta, i suoi ricci si sono afflosciati e il suo sorriso si è spento, Era li fissa tutti come se fossero idioti (e probabilmente ha ragione). Al tavolo oltre a loro si sono seduti Persefone, Afrodite e Poseidone, che pare veramente molto impegnato ad accordare l’ukulele.
«Merda, dovevo farlo fare ad Apollo! A quest’ora avrebbe già finito!»
«L’unica cosa che dovevi fare, fratello, era lasciarlo a casa quello schifo di coso!» borbotta Ade innervosito dal rumore, passandosi le dita lungo le tempie e facendosi versare due dita di vino, sapendo che non lo calmerà comunque.
«Schifo farà il tuo completo da becchino! Lo sai da quanto tempo giriamo assieme io e questo strumento? Lo sai?» esclama il dio del bare con voce tonante «Mi è stato regalato nel 1920 da Ukelele Ike!»
Afrodite si mette le mani nei capelli, Zeus sbatte la testa contro il tavolo.
«Fantastico» borbotta Era aprendo una boccetta di Valium «Di nuovo la storia di quello strumento del cazzo. Vuoi cara?»
Demetra scuote disperatamente la testa all’offerta della sorella mentre lancia occhiate di sottecchi a sua figlia, che, seduta a sinistra di Ade, osserva con interesse i membri di una famiglia a cui non è nemmeno stata presentata.
«…e dopo che lo trassi in salvo dalla tempesta, Clif per ringraziarmi mi regalò il suo primo Ukulele e mi insegnò anche a suonarlo! E poi dicono che i mortali non fanno più niente per noi!» Poseidone finalmente conclude la sua storia, che tutti hanno cercato di ignorare visto che è stata raccontata almeno ottanta volte negli ultimi novant’anni.
«Parla per te. Io sono ancora parecchio apprezzata dai pagani» ridacchia Ecate avvicinandosi al tavolo con un bicchiere di martini in mano, si appoggia alla spalla di Zeus e, approfittando bassamente dello stato di rincoglionimento di Era, gli sussurra «Peccato che queste religioni neopagane diano maggiore spazio alle divinità femminili, non trovi. Chi è che prega Zeus al giorno d’oggi? Ah, sì, nessuno».
Scompare ridacchiando, evitando per un pelo un fulmine, mentre il re degli Dei mastica silenziosamente maledizioni tra i denti.
«Quando avete finito di dare sfoggio di tutte le vostre tare mentali» interviene Ade sarcastico «C’è qualcuno che vorrei presentarvi».
Porge la mano a Persefone per aiutarla ad alzarsi e le sorride (cosa che ovviamente ai suoi fratelli non sfugge).
«Vi presento Persefone, che Demetra ha gentilmente nascosto per tutti questi secoli».
La ragazza sorride timidamente e azzarda un timido “Come va?”, prima di essere bruscamente interrotta da Zeus che, rovesciata la sedia (ma mi raccomando, comportiamoci pure come se i mobili fossero IKEA), le si avvicina e la abbraccia con foga.
«Demetra! Come hai potuto nascondermi una figlia così bella!»
Probabilmente perché sei un porco, è il pensiero che sfreccia nelle teste di tutti i presenti al tavolo.
«Sei bellina davvero» interviene Afrodite approvando silenziosamente i capelli ramati e il viso delicato.
Persefone, ancora stretta nell’abbraccio paterno, arrossisce: «Grazie, ma tu sei molto più bella».
Sceglie di seguire i suggerimenti di Ade, consapevole di quanto gli dei possano essere permalosi a volte.
«Ben detto, tesoro» ridacchia Afrodite sistemandosi una ciocca bionda oltre l’orecchio «Ora, se questi vecchi rompiscatole si decidono a lasciarti andare, ti porto a conoscere il resto della famiglia. Visto che tua madre non sembra intenzionata a farlo».
Demetra mastica un’imprecazione tra i denti e si trattiene dal sollevare il dito medio all’insegna della dea della bellezza, si alza con un moto di stizza e, lanciando uno sguardo glaciale a tutti, si avvicina alla figlia.
«Non sarò intenzionata a farlo, ma nulla mi vieta di venire con voi» anche perché a quanto pare è l’unica occasione che ha per parlare con Persefone e non vuole sprecarla.
Come scompaiono dietro la porta Zeus si rimette a sedere e si scambia uno sguardo d’intesa con Poseidone.
«Dunque» comincia il re degli dei «Persefone, eh?»
«Persefone cosa?» domanda di rimando Ade, già scocciato.
«Tu e lei, sotto lo stesso tetto… Sì, insomma, mi stai dicendo che non è successo niente?» passa una mano sulla spalla del fratello con fare complice, mentre in sottofondo Poseidone suona due note col suo fido strumento, come ad accompagnare l’insinuazione di Zeus.
Ade vira dal bianco lenzuolo al fucsia rossetto di Ecate.
«Devi ammettere, fratello» interviene il dio del mare «Che tu non sei mai stato tipo da soccorrere damigelle in difficoltà o da prestarsi alle richieste di chiunque, anche quando si trattava di belle donne».
«Te la sei fatta?» continua Zeus, realmente interessato.
«Siete dei bastardi! E no, non ci sono andato a letto!» esclama il dio dei morti imbarazzatissimo.
«Ma se l’è fatta» borbotta Era intervenendo per la prima volta nella discussione e attirando su di sé una serie di sguardi sorpresi.
«Cosa, cosa c’è? Solo perché sono donna non posso parlare? Guardate che sono la dea del matrimonio, queste cose le noto. Tra voi due c’è così tanta tensione sessuale non risolta che Elena e Paride impallidiscono al confronto».
«Ecco la donna che ho sposato!» interviene Zeus ridendo e prendendole la mano, in uno dei suoi rari slanci d’affetto.
«Ma tu non eri strafatta di ansiolitici? Che ne so Valium, Prozac, Lexotan, Tavor, Oblivon, niente eh?» domanda Ade, che ora è dello stesso colore dei capelli di Persefone.
«Io la trovo carina» esclama Poseidone, mollando finalmente l’ukulele sul tavolo e facendosi più vicino «Secondo me sareste una bella coppia».
«Se ti senti in colpa perché è mia figlia non farlo, hai la mia benedizione!»
«Mi sento in colpa perché è mia nipote, idiota!»
«Oh, certo» borbotta nuovamente Era sarcastica «Perché siamo sempre stati così attenti a queste cose noi, niente incesto, assolutamente».
«Senza contare, che se non te la fai tu me la faccio io!» esclama Zeus convinto, ricevendo uno scappellotto dalla moglie.
«Per Urano! È tua figlia! Non hai un minimo di decenza?» persino Poseidone è schifato.
«No» è la placida risposta del dio del cielo.
«Zeus, io te lo dico. Sei mio fratello, e, nonostante la tua insopportabile testa di cazzo, ti voglio anche bene. Ma se ci provi sei morto» borbotta Ade, incrociando le braccia sul petto con fare oltraggiato e strappando una risata ai presenti.
 
«…il tizio sdraiato sul parapetto a provarci con le arpie è Ermes e quello che abbraccia la giara cantando è Dioniso» conclude Afrodite, che stringe la mano a un uomo grande e grosso con iridi di fuoco e ispidi capelli neri.
«Donne e giovinetti amanti, viva Bacco e viva Amore! Ciascun suoni, balli e canti!» sta gridando a squarciagola il dio del vino, con un braccio stretto attorno alla giara di vino e l’altro sulla spalla di Thanatos.
«In realtà gli viene meglio quando c’è Eros con lui» borbotta Ares, riferendosi agli orribili duetti di suo figlio e Dioniso.
«Solo perché sono due spostati» rimbrotta Demetra, ma Persefone sta ridendo.
Apollo le si avvicina baldanzoso e la invita a unirsi a loro, seduta in un angolo Artemide sbuffa, ancora offesa per essersi fatta raggirare in quel modo da sua zia.
«Benvenuta in famiglia!» esclama il biondissimo dio del sole porgendole un bicchiere di vino.
«Grazie» risponde la ragazza arrossendo.
«Se avessi saputo che stavi bene me ne sarei rimasta a casa» mugugna la dea vergine sorseggiando di malavoglia un bicchiere di ambrosia.
«Oh, ma io sono tanto contenta di averti conosciuta, Artemide! Ho sentito così tanto parlare di te, ti ammiro tanto!» Persefone cerca di risollevare il morale sorella-cugina, riuscendo a strapparle un sorriso.
«Oh, gente, dovete sentire Dioniso, sta raccontando di quella volta che –» Thanatos viene interrotto dal dio del vino stesso che si fa avanti ciondolando.
«Stavo parlando io! Vi ricordate quella volta, al compleanno di Ade, quando Eros si è presentato con Eos e Selene e ha cercato di presentarle a Phobos e Deimos, dicendo che erano troppo soli e gli mettevano tristezza?»
Apollo scoppia a ridere: «E invece di accettare quei due l’hanno inseguito per tutto il ristorante, dandogli dello stronzo perché li aveva definiti tristi. E chi se lo scorda».
«E rincorrendosi sono inciampati nella scultura di ghiaccio, che crollando ha ribaltato il tavolo» aggiunge Ermes tra i singulti.
«E Zeus ed Era si sono ritrovati coperti di salsa rosa e zuppa di miso» finisce Artemide che non riesce a respirare.
Persefone li guarda e ride con loro, un calore sconosciuto le si fa strada nel petto, mentre per la prima volta si trova circondata da gente uguale a lei, persone per cui è più di un’estranea, persone che cercano di rimediare al tempo perduto raccontandole aneddoti del passato. E in parte è ancora tremendamente arrabbiata con sua madre, che fino a quel momento l’ha privata della possibilità di avere una famiglia, ma se dovesse bilanciare i sentimenti sarebbe più forte la felicità che prova in quel momento, con il braccio di Artemide sulle spalle e Apollo che gesticola imitando il verso di qualche animale.
È a casa e ha di nuovo una famiglia ed è tutto merito di Ade; questa consapevolezza la fa sorridere e Persefone si rende conto di volerlo lì, si rende conto che sarebbe tutto ancora più perfetto se Ade fosse lì adesso, a ridere con lei.
A interrompere il momento ci pensa Demetra, che, ripresasi dallo stato di sconforto iniziale, afferra la figlia per un braccio e la tira in piedi per poi prenderle dalle mani il bicchiere di vino.
«Non posso crederci! Non solo sei scappata di casa, ma ti sei pure data all’alcool!?»
Persefone sbatte le ciglia osservando il calice mentre compie un perfetto arco e si sfracella per terra.
«Lo sapevo io che l’Averno ti avrebbe rovinata» continua la dea.
Prende la figlia per il polso e inizia a trascinarsela dietro.
«Madre, cosa stai facendo?»
«Ti porto a casa, lontana da questa desolazione, dove arrivano i raggi del sole» esclama Demetra, e la sua scenata inizia ad attirare l’attenzione, non solo di coloro che si trovano sulla terrazza, ma anche di quegli dei che sono rimasti all’interno.
Persefone si ferma di colpo e si divincola dalla presa ferma di sua madre.
«No» risponde con rabbia.
«Scusa, come?»
«No» ripete la ragazza fissando i suoi profondi occhi verdi in quelli nocciola della madre «Non tornerò indietro con te. Quella non è casa mia, è casa tua. E io sono stufa di seguirti come un cane e di non poter fare niente. Io resto qui».
Zeus, Poseidone e Ade osservano la scena dalla portafinestra che dà sul terrazzo, la bocca di tutti e tre è spalancata, gli occhi sono sgranati ed Era, in piedi di fronte a loro, trattiene una risatina nel vedere come i suoi fratelli si assomiglino nelle piccole cose pur essendo così diversi fisicamente.
«Qui? Qui nell’Averno? Oh, per piacere! In questo posto c’è solo morte e buio e nebbia, non fa per te».
«Sei tu che vedi solo morte, solo il buio, solo la nebbia, perché non riesci ad andare oltre la superficie! C’è molto più calore qui che in quella che tu chiami casa, con un fuoco acceso e il sole che entra dalla finestra!» ora Persefone sta urlando, un leggero rossore si è diffuso sulle sue guance e gli occhi brillano di rabbia e passione.
«Quella è anche casa tua, bambina» risponde Demetra irata.
«No, fidati, Madre, quella non è mai stata casa mia!»
«E invece questa sì? L’Averno non è casa tua, Persefone» ed è così sicura mentre lo dice che la giovane dea della primavera sente l’impulso di prenderla a schiaffi ed è una sensazione del tutto nuova, perché mai ha sentito così tanta rabbia nei confronti di sua madre.
Abbassa gli occhi e infila una mano nella tasca del vestito, in cui riposa un leggero involto di stoffa rossa.
«Ma potrebbe esserlo» mormora tra i denti a voce così bassa che Demetra riesce a malapena a sentirla.
«Come hai detto? Conosci le mie idee sul borbottio».
«Ho detto» Persefone solleva il capo e la fissa nuovamente negli occhi, per poi spostare lo sguardo prima su Thanatos (e sa che il cenno di approvazione con cui le risponde non se l’è immaginato) e poi su Ade, che la fissa a metà tra l’ammirato e il preoccupato «Ho detto che potrebbe esserlo».
«Oh, smettila di dire scemenze, verrai con me a costo di trascinarti fuori da qui a forza, Zeus!?»
Nessuno si aspetta quanto accade dopo, Persefone estrae dalla tasca del vestito un fagotto di stoffa, così piccolo che nemmeno le sporge dalla mano, lo apre e di fronte allo sguardo attonito dei presenti ne mostra il contenuto: semi.
Quando Ade si rende conto di cosa sono è troppo tardi, non fa in tempo ad urlarle di non farlo che già lei se li è portati alla bocca e li ha ingeriti; quando la raggiunge i suoi occhi neri mandano lampi, la scuote per le spalle e ringhia: «Persefone, cosa hai fatto?»
«Cos’è? Ade, cos’era?» domanda Demetra, preoccupata nel vedere lo scatto d’ira del fratello, perché il dio dei morti non si infuria mai, non si agita mai e non lascia mai che le emozioni prendano il sopravvento.
«Semi di melograno» mormora l’uomo a mezza voce «Presi dal mio giardino».
Non è solo Demetra a impallidire a quella risposta e un brusio inquieto di domande concitate e proteste sommesse invade la terrazza, ognuno sembra impegnato a dire la sua; Ade non sente niente, i suoi occhi rimangono fissi in quelli di Persefone, che da parte sua si rifiuta di interrompere quel contatto.
«Dove li hai presi?» e la domanda del dio dei morti è un sussurro roco, si contiene a fatica e la ragazza lo nota. Scuote il capo, rifiutandosi di rispondere.
«Si può sapere che diamine sta succedendo?» domanda in quel momento Ecate comparendo dall’interno del palazzo, ha sedici anni e un brutto paio di leggins zebrati indosso.
Ade la ignora, ma non Demetra che le si avventa contro puntatole un dito dorato a mezzo centimetro dal naso.
«Tu!» esclama furibonda «Sei stata tu! Mi hai sempre odiato».
«A fare cosa? Cioè, non sto negando che mi stai sul cazzo, ma non ho fatto nulla. A meno che tu non stia chiedendo chi è stato a spargere il diserbante sulle tue azalee».
«Ti avevo detto che non ero stata io!» esclama Persefone da dietro il dio dei morti.
Demetra la zittisce con un gesto della mano e i suoi occhi tornano a posarsi sulla donna di fronte a lei.
«Sei stata tu a dare a mia figlia i semi di melograno, non è così!?»
«No» risponde per lei una voce maschile «Sono stato io».
Thanatos si avvicina, gli occhi rossi brillano di sicurezza e spavalderia, non teme nessuno il dio della morte, e non risponde a nessuno, nessuno tranne Ade. Appoggia una mano sulla spalla di Ecate e fissa lo sguardo sul Re dell’Averno.
«Sono entrato nel tuo giardino, ho preso uno dei frutti del tuo melograno e ho dato a Persefone i semi».
«Quanti?» ruggisce il dio dei morti.
«Sei».
«Ade, ti prego. Non prendertela con lui» la giovane dea della primavera gli afferra la mano con le proprie e lo costringe a guardarla negli occhi «Gliel’ho chiesto io, sapevo a cosa andavo incontro, ma è stata una mia scelta».
L’uomo si libera debolmente dalla presa e si passa una mano stanca sul volto; lancia un’occhiata disperata ai fratelli, che fortunatamente capiscono al volo, ma ancora prima che possano intervenire è Era stessa a prendere l’iniziativa.
«Credo sia il momento di levarci tutti dalle palle, anche tu Demetra. Vieni cara, ho del Nirvanil nella tasca della giacca che credo potrebbe farti bene».
«Lasciane un po’ anche a me» si lamenta Ade disperato.
«Tranquillo, ti ho lasciato del Nottem sul tavolo».
 
Persefone osserva le fiamme crepitare nel camino, sono verdi e fredde e creano strane sfumature di luce sulle pareti; si trova nelle stanze di Ade ed è la prima volta che ci mette piede, ma il dio era così furioso prima: l’ha trascinata per tutta la reggia, l’ha fatta entrare e se ne è andato sbattendo la porta, dicendo qualcosa a proposito dello sistemare Thanatos una volta per tutte. E ora lei aspetta.
Cammina distrattamente per la stanza, osserva i dettagli, il mobilio e cerca di incamerare ogni informazione; nota come sia tutto ordinato, non ci sono vestiti fuori posto, non ci sono soprammobili che stonino, né libri o riviste in giro, il portatile che tante volte a visto nel bar è appoggiato su una scrivania, nel centro esatto del piano. Forse è un po’ ossessivo compulsivo, pensa dentro di sé, mentre si affaccia alla camera da letto; vorrebbe entrare, ma si limita a osservare il grande baldacchino da lontano.
Quando Ade ritorna ha la cravatta allentata, la giacca del completo in mano e l’aria stanca di chi è appena sopravvissuto a un litigio con un mentecatto.
«Non ho ucciso Thanatos» esordisce, mentre Persefone gli va incontro, pensando che quello sia già un inizio positivo: niente vittime accidentali.
«Ade, io-»
«No, Ade un corno! Hai idea di cosa hai fatto? E meno male che sono solo sei semi, pensa se avessi mangiato un intero frutto!» lancia la giacca sul divano e si volta verso di lei.
«Mi hai chiesto tu di restare» mormora Persefone abbassando lo sguardo e lui si sente un verme, perché, sì, è vero, è stato lui a dirle che quella sarebbe potuta essere anche casa sua, ma non intendeva questo.
«Ma non pensavo a questo prezzo» risponde avvicinandosi e accarezzandole il viso.
La dea della primavera strofina la guancia contro la mano insolitamente calda dell’uomo e sorride.
«Sono consapevole di quello che ho fatto. Sei semi, sei mesi. Ho pensato anche di mangiarne di più, ma sono pur sempre la dea della primavera e devo fare la mia parte, anche se – lo sai – quasi tutto il lavoro lo fa già Gea, con le stagioni».
«Persefone sono sei mesi chiusa qui dentro, sei mesi in cui non potrai allontanarti per più di quarantotto ore; la tua vita è legata all’Averno ora, ne fai parte».
La ragazza lo guarda negli occhi e sorride.
«Anche tu ne fai parte Ade, e ora ne facciamo parte insieme: sono sei mesi con te».
Il dio dei morti vorrebbe trovare la forza di ribattere, di dirle che è sbagliato e che non è giusto, ma non riesce a farcela, perché in quel momento si sente come se il cuore dovesse saltargli fuori dal petto per dargli del pollo innamorato, ed è felice, irrimediabilmente felice: Persefone ha scelto lui.
La dea gli appoggia le mani sul torace e lascia che Ade la stringa contro di sé, poi lo fissa negli occhi e sorride, sollevandosi in punta di piedi e baciandolo con delicatezza. Un braccio dell’uomo risale lungo la sua schiena accarezzandone la linea sinuosa, fino ad immergersi nei suoi capelli, mentre l’altro la stringe in vita sollevandola appena.
Persefone socchiude la bocca per dargli libero accesso e Ade non si fa pregare, le morde il labbro inferiore e continua a baciarla, lasciando che sia la sua lingua a scegliere il ritmo.
«Wow» mormora la ragazza quando il bacio finisce.
I suoi occhi verdi brillano di desiderio e, quando gli sorride, Ade si trattiene dal ricominciare a baciarla di nuovo, magari questa volta trascinandosela addosso da qualche parte: il divano dovrebbe essere comodo.
Come se gli avesse letto nel pensiero Persefone lo afferra per la cravatta e, camminando all’indietro, con gli occhi ancora fissi nei suoi, inizia a trascinarlo verso la camera da letto.
«Ti ho già detto» gli sussurra con fare sornione mentre Ade chiude la porta «Che amo le tue cravatte?».







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