Caffé nero e semi di melograno di Alexiel Mihawk (/viewuser.php?uid=28142)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo: in cui non ci si dovrebbe fidare delle apparenze. ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo: in cui Ade rischia una crisi di nervi e Persefone scopre che il mondo dei morti è più vivo di quanto pensasse. ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo: in cui Demetra per ripicca organizza una riunione non richiesta e Persefone decide di dimostrare la sua indipendenza. ***
Capitolo 1 *** Capitolo primo: in cui non ci si dovrebbe fidare delle apparenze. ***
Autore: Alexiel Mihawk
| alexiel_hamona
(LJ)
Titolo:
Caffé nero e semi di melograno
Fandom: Mitologia Greca
Personaggi: Ade, Thanatos,
Persefone, Demetra
Genere: generale,
commedia, sentimentale
Rating: verde, sfw
Avvertimento:
one shot, implied!Incest, modern!AU, coffeshop!AU
Parole: 2246
Prompt: Mitologia,
Ade/Persefone, coffe
shop AU
Note: Prompt di kuma_cla,
nato da un’iniziativa
su LJ che si chiama FanFiction
Meme. Funziona così, io dò una lista
di fandom e
il mondo mi lascia dei prompt su quei fandom/quelle ship, in modo che
io possa
poi scriverci. Trovate la mia lista qui
sul mio Livejournal, se volete passare
e lasciare dei prompt sentitevi liberi di farlo
Per
le note tecniche: Euboleo, "il benevolente"; Trofonio, "colui
che rende più fertile la terra"; Aidoneo, "quello che non si
vede": sono tutti epiteti di Ade. Chloe, "Il verde germoglio"
è
un epiteto di Demetra che si ritrova in Pausania. In realtà
è anche un po’
What!If, perché mi immagino un universo in cui Demetra non
ha mai mostrato sua
figlia a nessuno e se l’è sempre scarrozzata
dietro; Ade non l’ha mai
incontrata nell’era del mito e sicuramente non
l’hai mai rapita (per ora). Parte 1 di 3.
Caffé
nero e semi di melograno
Capitolo
Primo: In cui non ci si dovrebbe fidare delle apparenze.
Chiude
con uno scatto irritato il McBook e si mette a fissare la sua tazza di
caffè
nero piena fino all’orlo: ha bisogno di una vacanza.
E
magari di riprendere a concentrarsi come dovrebbe sul lavoro,
perché
ultimamente non ci sta proprio riuscendo, certo forse aiuterebbe
lavorare in
ufficio e non al bar, ma di recente non riesce a stare lontano da quel
posto: i
tavoli in legno, il profumo di torta appena sfornata, il leggero
chiacchiericcio dei mortali e, soprattutto, lei.
Lei
che passa tra i tavoli scivolando con eleganza e che ha sempre un
sorriso per
tutti, anche per lui, nonostante la sua aria seria e le sopracciglia
perennemente corrucciate.
Ade
si passa una mano sugli occhi e si porta alla bocca la tazza fumante,
sono due
mesi che viene lì ogni giorno alla stessa ora e ci resta
quanto? Tutto il
pomeriggio? Non lo sa bene nemmeno lui, sa solo che nelle ultime due
settimane
Thanatos è dovuto venire a prenderlo quattro volte per
faccende di particolare
urgenza e la cosa l’ha urtato parecchio, perché
quando il ragazzo è entrato
tutto il bar si è girato ad ammirarlo.
Certo,
perché Thanatos non è come lui, Thanatos se ne va
in giro in giacca di pelle e
occhiali da sole e la sua carnagione olivastra assume toni color
nocciola al
minimo contatto con i raggi del sole, Thanatos tiene i capelli lunghi,
dello stesso
colore dei suoi ma infinitamente più fluenti, legati in una
coda bassa e non si
fa problemi a non farsi la barba perché tanto il suo volto
è così simmetrico e
così perfetto che nessuno ci fa caso. Ade forse è
un po’ geloso perché lui è
sempre così pallido, sempre in giacca cravatta,
perfettamente sbarbato, e i
suoi capelli sono neri come la pece e tagliati ordinati e forse,
sì, gli
piacerebbe essere più disinvolto e meno noioso, ma in fondo
il suo lavoro
richiede una certa serietà, non a caso anche suo fratello
è come lui. Zeus
ovviamente, perché Poseidone, beh lui è tutto
festini sulla spiaggia e ukulele.
«Oggi
il tuo amico non c’è?» gli domanda una
voce gentile scatenando in lui il
peggior travaso di bile degli ultimi tre giorni.
«No.
Oggi non viene».
Spera
di non essere stato troppo piccato nella risposta, perché
non ci sarebbe niente
di peggio che vederla andare via e seguire con lo sguardo la scia dei
suoi
capelli aranciati che spariscono dietro il bancone.
«Meno
male!» esclama invece la ragazza, lasciandosi cadere sul
divanetto di fronte a
lui e lanciando un’occhiata veloce al locale semivuoto.
Ade
la guarda e solleva un sopracciglio, consapevole di essersi perso un
passaggio.
«Scusa?»
«Sì,
nel senso, è sempre un po’ inquietante. E poi chi
è che tiene gli occhiali da
sole al coperto, andiamo! Solo due categorie di persone lo fanno, i
ciechi e
gli idioti. Oddio! Non è cieco, vero?»
Ade
scoppia a ridere e nonostante la sua aria austera la sua bocca si piega
in un
sorriso sincero e i suoi occhi brillano di stupore e ilarità.
«No,
no, non è cieco» dice tra i singulti
«C’è qualcosa che posso fare per
te…?»
«Persefone,
no, in realtà mi stavo solo annoiando e avevo voglia di
chiacchierare e tu sei
sempre qui, quindi mi è sembrato normale farmi un
po’ di fatti tuoi mentre sono
in pausa. Aspetta, stavi lavorando?»
Ade
ride di nuovo, perdendosi a osservare le lentiggini sparse su tutto il
suo
volto e i suoi occhi verdi, che brillano di curiosità e
preoccupazione.
«No,
ho finito» anche se, ovviamente, non è vero e
quando tornerà in ufficio avrà il
doppio di cose da fare «Posso offrirti qualcosa?»
La
giovane ride e gli fa cenno di aspettare, armeggia velocemente dietro
il
bancone e fa ritorno con due fette di torta di mele e cannella e gli
sorride.
«E
dimmi» gli domanda sedendosi nuovamente di fronte a lui
«Cosa fai nella vita,
ché ti vedo sempre in giro e sono curiosa. Aspetta, come hai
detto che ti
chiami?»
«Non
l’ho detto, mi chiamo –» e si blocca un
secondo, perché non può presentarsi
dicendo Ciao sono Ade e sono il dio degli
Inferi, tanto piacere «Mi chiamo
Aidoneo».
«E
che cosa fai nella vita?»
Ma, sai,
gestisco il
regno dei morti, rispondo alle preghiere dei mortali, ogni tanto
organizzo un
terremoto in giro e mando Thanatos a raccogliere le anime dei defunti.
«Oh,
niente di che, le solite cose noiose: bilanci, più che
altro».
«Lavori
in una compagnia che si occupa di bilancio? Non l’avrei mai
detto».
«Sì,
beh, non è esattamente così. Diciamo che sono a
capo di una grossa azienda che
gestisce vasti gruppi di persone. Tu piuttosto, lavori qui? Studi?
Insomma
quanti anni potrai avere, diciannove, venti?»
E non te lo sto
chiedendo perché mi sento un pedofilo a venire qui tutti i
giorni a guardare
una mortale che probabilmente non ha nemmeno un quarto di secolo.
Persefone
si morde un labbro e nicchia.
«Qualcosa
del genere, sì» e Ade per un terribile secondo
pensa che stia per dirgli che è
minorenne, e a quel punto chi lo sentirebbe più Thanatos?
«Ma non studio, per
lo più giro, seguo mia madre, visito posti nuovi: si
può dire che inseguiamo l’estate».
Questo
spiega perché non si fosse mai accorto di lei prima.
Persefone
rimane a chiacchierare con lui per un quarto d’ora prima di
riprendere a
lavorare, quando Ade torna al suo carro – che in
realtà assomiglia più a una volvo
– sente che quei quindici minuti sono valsi due mesi di
pomeriggi passati a
guardarla da lontano.
Decide
che tornerà anche domani.
Trascorre
una settimana e Ade cambia tavolo, passa da quello vicino alla
finestra, molto
più illuminato e perfetto per lavorare, a quello vicino alla
cassa, da cui
riesce a parlare con Persefone quando è ferma dietro al
bancone. Si diverte a
commentare con lei la clientela, e scopre che gli piace rimanere ad
ascoltarla
parlare mentre redige noiosissimi atti relativi agli ultimi decessi, a
guardarla con la coda degli occhi mentre prepara le ordinazioni; quando
Thanatos viene a portargli un plico di fogli da firmare
(perché oramai ci ha
rinunciato a farlo uscire da lì) Persefone scrolla
leggermente le spalle e si
allontana.
«Dovevi
proprio venire?» borbotta seccato il dio dei morti.
«Senti,
capo, se tu cazzeggi non è colpa mia!»
«Sì,
ma non le piaci, l’hai fatta scappare!»
Il
dio della morte assume un’espressione oltraggiata e abbassa
di poco gli
occhiali, quel tanto che basta perché il compare riesca ad
intravedere i suoi
occhi color rubino.
«Questo
è impossibile. Io piaccio a tutti, sono bello come Eros e
molto più letale di
lui».
«Come
ti pare» borbotta Ade firmando i fogli senza nemmeno leggerli.
Il
più giovane sbuffa e da dietro le lenti scure si mette a
fissare Persefone,
aggrotta le sopracciglia perplesso, perché
c’è qualcosa di strano in quella
ragazza, e, per quanto si sforzi di fare del suo meglio per vederla,
nemmeno
lui riesce a trovare il filo della vita della ragazza.
«Capo»
sussurra lentamente «Sei sicuro che sia umana?»
Ade
si blocca e di scatto gira la testa per guardarla, arrossisce vagamente
quando
lei, accorgendosi del suo sguardo, gli sorride.
«Sei
appena arrossito?»
«Oh,
per l’amore di Gea! Sparisci, Thanatos!»
È
sempre più sicuro di volersi prendere una vacanza.
Quando
sua sorella arriva Ade frequenta il bar da oramai tre mesi e mezzo ed
è
diventato un vero habitué, conosciuto sia dal proprietario
che dagli altri
clienti, che, però, mantengono una rispettosa distanza
intimiditi dal suo
portamento regale e dalla sua aria seria. L’unica che non ha
soggezione di lui
è Persefone e Ade sente di volerle un po’ bene per
questo.
Demetra
entra nel locale come una furia e va a sedersi al suo tavolo, i suoi
occhi
mandano lampi; Ade non fa un plissé, non spegne il computer,
ma continua a
lavorare imperterrito.
«E
buongiorno anche a te, sorella. Sono anni che non ti fai vedere, come
stai? Io
bene, grazie per averlo chiesto» non potrebbe essere
più sarcastico di così.
«Falla
finita, Ade. Che ci fai qui?» domanda la donna con voce
minacciosa, ma bassa,
in modo tale che solo lui possa udirla.
«Lavoro,
o almeno ci stavo provando» sospira il dio
dell’oltretomba rassegnato. Chiude il
portatile e alza lo sguardo, mentre un cameriere dall’aria
allampanata, uno di
quelli che di solito lo evitano, si avvicina al tavolo sorridendo.
«Ciao
Chloe, che ti porto?»
«Un
caffè d’orzo, grazie».
«Chloe?»
domanda l’uomo osservando il cameriere allontanarsi
«Vorrei avere io qualcuno
dei tuoi soprannomi, hai mai provato a presentarti come Euboleo, o
Trofonio? Immagino
di no».
La
donna si passa una mano tra i capelli rossi, la carnagione dorata
brilla a
contatto col sole che penetra dalle finestre, anche se Ade immagina che
per i
mortali sia solo uno strano gioco di luci.
«Seriamente,
cosa ci fai qui? Come hai fatto a trovarla?»
«A
trovare chi?» domanda seriamente perplesso
«Demetra, la pianti di parlare per
enigmi? Vengo qui perché mi rilassa stare con i
mortali».
«Per
l’amore di Urano! Tu odi i mortali!» esclama la dea
con un tono un po’ troppo
alto, perché dal retro del locale qualcuno la sente e
riconosce il timbro di
voce.
«Mamma?»
«Oh,
Kore! Scusa, cara, sono impegnata con il signore, arrivo
subito» risponde
Demetra, agitando la mano in direzione della figlia.
Ade
sbianca, o meglio ci prova, anche se diventare più pallido
di quanto già sia è
più che un’impresa.
«Kore?
Non ti chiamavi Persefone?»
La
ragazza si avvicina e arrossisce, vistosamente imbarazzata.
«Oh,
per Crono! Ancora con quel soprannome? Te l’ho detto mille
volte che non è
consono a te».
«Non
credo che ad Aidoneo interessi, madre».
«Demetra,
ho mal di testa» si lamenta il pover’uomo senza
capirci più nulla e la ragazza
nell’udire sua madre venire chiamata col suo vero nome
ammutolisce «Mi spieghi
cosa vuoi? Tu non vieni mai a trovarmi a meno che tu non voglia
qualcosa, come
l’ultima volta quando –».
Poi
si interrompe e si gira molto lentamente verso Persefone, quindi sposta
nuovamente il suo sguardo su sua sorella.
«Kore,
come tua figlia Kore. Kore, come “Ehi
ciao, mi sono fatto Demetra e ora è incinta”»
testuali parole di Zeus
millenni prima «Kore, come la dea che hai deciso di segregare
chissà dove e che
nessuno di noi ha mai visto perché avevi paura che nostro
fratello ci mettesse
le mani sopra?».
Persefone
si lascia cadere su una sedia e li guarda con gli occhi spalancati.
«Avresti
potuto essere più fine, e comunque sì. Mia figlia
Kore, e ora mi dici cosa ci
fai qui, Ade?»
«Te
l’ho detto, mi rilassa stare coi mortali, e tua figlia fa un
ottimo caffè»
borbotta l’uomo abbassando lo sguardo e sentendosi vagamente
colpevole, perché
sì, dopo tutto critica tanto Zeus, ma non è che
sia poi così diverso da lui.
«Madre?»
«Oh,
certo cara, questo è Ade, tecnicamente è tuo zio,
nonché il dio dei morti, ma
quella è una spiacevole conseguenza della divisione della
terra, in realtà non
è davvero così sgradevole».
L’uomo
alza gli occhi al cielo, non sa se essere più seccato
perché l’intuizione di Thanatos
si è rivelata corretta o per come, ogni volta, sua sorella
debba velatamente
insultare il suo operato e più o meno ogni cosa lo riguardi.
«Me
ne vado» borbotta seccato lasciando cinque dollari sul tavolo
«E stai
tranquilla, non andrò a riferire a Zeus dove hai nascosto
Pers-, Kore».
Si
incammina verso l’uscita e, mentre la sua veste emette un
leggero sbuffo di
fumo nero, che per fortuna i mortali non riescono a percepire, alle sue
orecchie giunge solo ovattato il brusio di una discussione tra madre e
figlia
che sta avvenendo alle sue spalle; raggiunge la macchina e fruga con
irritazione nelle tasche alla ricerca delle chiavi, perché
non possono usare ancora i cavalli? Sobbalza, quando sente
una mano toccargli la schiena e come si gira davanti ai suoi occhi
c’è Persefone,
con lo sguardo triste e le spalle piegate.
«Mi
dispiace» gli sussurra, e Ade sente un nodo alla bocca dello
stomaco e la voce
di quel porco di suo fratello che urla “Ehi!
Non giudico mica, ogni lasciata è persa!”.
Sospira
mentre un sorriso si fa strada sul suo viso, perché come si
può rimanere offesi
di fronte al volto corrucciato di Persefone? Le passa una mano sui
capelli mossi
e le accarezza una guancia.
«Non
preoccuparti» risponde «Non è colpa
tua».
Ma di quella
stronza
di tua madre,
questo però ritiene saggio non dirlo.
Il
sorriso mesto che gli viene rivolto non è abbasta, e il dio
sente che non ce la
può fare a rimanere lì a osservarla; apre la
portiera della macchina e vi si
infila dentro, ma quando abbassa il finestrino per salutarla lei
è sparita. Rimane
perplesso ad guardare il punto sul marciapiede in cui si trovava prima,
domandandosi dove possa essere finita, finché la portiera
dal lato del
passeggero non si spalanca e la ragazza si infila all’interno.
«Parti,
parti, prima che se ne accorga!»
Ade
impallidisce.
«Ma
non posso! È sottrazione di minore!»
«Ma
se ho più di tremila anni!» si lamenta la ragazza
con aria disperata «Ti
prego».
E
l’uomo non riesce a rifiutarsi, sbatte la testa contro il
volante un paio di
volte, ma poi si decide e mette in moto.
«Me
ne pentirò sicuramente» borbotta.
La
macchina parte e sparisce, lasciando dietro di sé solo una
scia di fumo nero.
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Capitolo 2 *** Capitolo secondo: in cui Ade rischia una crisi di nervi e Persefone scopre che il mondo dei morti è più vivo di quanto pensasse. ***
Autore: Alexiel Mihawk
| alexiel_hamona
(LJ)
Titolo:
Caffé nero e semi di melograno
Fandom: Mitologia Greca
Personaggi: Ade, Thanatos,
Persefone, Ecate
(Hypnos, Radamante)
Genere: generale,
commedia, sentimentale
Rating: verde, sfw
Avvertimento:
one shot,
implied!Incest, modern!AU
Parole: 4243
Prompt: Mitologia,
Ade/Persefone, modern
AU, scappare di casa
Note: Prompt di kuma_cla,
nato da
un’iniziativa su LJ che si chiama FanFiction Meme. Funziona
così, io dò una
lista di fandom e il mondo mi lascia dei prompt su quei fandom/quelle
ship, in
modo che io possa poi scriverci. Trovate la mia lista qui
sul mio Livejournal,
se volete passare e lasciare dei prompt sentitevi liberi di farlo.
Ora,
come sempre le note tecniche.
Ho cercato di dare agli dei una caratterizzazione particolare, senza
lasciarmi
influenzare da altri fandom o dal luoghi comuni, sono contenta che mi
abbiate detto che sono IC, ma IC rispetto a cosa? Perché non
esiste un vero canone per la mitologia e credo di essermi permessa un
po' di uscire dai confini con questo capitolo (e ricordo che il fandom
è Mitologia Greca!).
Quindi sì, Ecate è molto
diversa da come ve l’aspettate, ha l’aspetto di una
ragazzina, ma non solo
quello, ha un pessimo gusto: guarda soap opere americane, si veste come
una
rockettara senza soldi e le piacciono il rosa e l’animalier.
Non solo questo
però, siccome mi piace molto il concetto di Ecate come dea
trimorfa ho deciso
di applicarlo qui, anche se per ora si vede solo un assaggio della dea
cambia
età, diventato più giovane. Siccome Ecate
è fanciulla, madre e anziana (wicca,
sì, e nel prossimo capitolo rinfaccerà la cosa a
chi di dovere) e ha influenza
sia sulla terra che sul cielo che sul mare, ho deciso di darle la
possibilità
di cambiare età; quando cambia la sua età
cambiano anche i suoi gusti e di
conseguenza l’intero mobilio delle sue stanze si trasforma.
Inoltre la dea si
incazza quando viene definita semplicemente dea dei crocevia,
perché lei dei
crocevia se ne sbatte, ma a quanto pare gli Olimpi si dimenticano
sempre
(apposta) che è la dea della magia e degli spettri e
soprattutto una divinità
psicopompa. A parte Ade con cui sono amiconi (sì, 100 Days
of Night, questa è
colpa tua). Per quanto riguarda altre cose tecniche: Ecate è
figlia di Perse e
Asteria che sono due titani; Selene ed Eos sono sorelle, figlie dei
titani
Theia e Iperione; Thanatos e Hypnos, la morte e il sonno, sono
fratelli, figli
di Nyx, la notte, ed Erebo, le tenebre; Eaco, Minosse e Radamante sono
i tre
giudici degli inferi. E credo avere finito.
Detto
ciò buona lettura e mi spiace
se ci sarà meno sarcasm!Ade e più dork!Ade, ma in
questo capitolo me lo sono
troppo immaginato alle prese con Persefone. In casa sua. Sotto lo
stesso tetto.
Ansia.
Caffè
nero e semi di melograno
Capitolo
secondo: in cui Ade rischia una crisi di nervi e Persefone scopre che
il mondo
dei morti è più vivo di quanto pensasse.
«Scusa,
dove ti lascio?»
«Cosa?
Da nessuna parte! Quella ha
orecchie dappertutto!»
«Mica
posso portarti con me negli
inferi!»
«Veramente
mi sembra un’idea
eccellente».
Ovviamente
non lo fu.
Al
contrario di quello che pensano
in molti, l’Averno non è un brutto luogo in cui
vivere. Il grande errore dei
mortali, così come di quasi tutti gli dei, è
confondere il regno dei morti con
il Tartaro, che non è che una piccola parte di un territorio
più vasto; certo
il Tartaro è uno schifo, sporco, buio, umido, affitti
carissimi e punizioni
atroci, ma il resto? Il resto è solo diverso dalla
superficie.
La
reggia di Ade sorge tra le
praterie degli Asfodeli e i Campi Elisi, si tratta di un enorme palazzo
in
ossidiana nera, illuminato da innumerevoli fiaccole celesti e verdi e
decorato
di pietre preziose; ampi giardini ed edifici di dimensioni
più basse lo
circondano, dando vita a una vera e propria città
sotterranea.
Persefone
non sapeva bene cosa
aspettarsi quando era entrata nella macchina di Ade, ma di una cosa ora
è certa:
non si aspettava quello.
Come
l’uomo in completo scuro scende
dalla vettura e le apre la portiera con fare gentile, la ragazza si
trova di
fronte un nugolo di facce curiose, perché “Ehi!
Il capo ha portato qualcuno a casa!”, e vorrebbe
avvicinarsi e vedere chi
abita in quel luogo, ma la sua attenzione viene catturata dalla Volvo
che si
trasforma lentamente in un carro trainato da cavalli neri.
«Ma
cosa!» esclama la ragazza
sorpresa andando a sbattere contro qualcuno.
«Fai
attenzione!» borbotta Thanatos
seccato, ci mette qualche secondo per metterla a fuoco e riconoscerla e
quando
lo fa inizia a indicarla boccheggiando e fissa Ade così a
lungo che il dio dei
morti è quasi tentato di prenderlo a schiaffi.
«Dentro.
Tutti e due» sibila tra i
denti imboccando l’ingresso del palazzo e dirigendosi a passo
spedito verso il
suo ufficio.
«Quindi
fammi capire» gli dice
Radamante dopo averlo raggiunto assieme ad Hypnos «Lei
è salita sulla tua
macchina, ti ha detto di partire e tu, come un povero fesso, le hai
dato
retta?»
Ade si
passa le mani sulle tempie,
il suo mal di testa sta aumentando esponenzialmente da quando la stanza
si è
riempita; annuisce e lancia uno sguardo di fuoco a Thanatos che gli
scoppia a
ridere in faccia.
«Senti,
capo, posto che avevo
ragione io e non è umana, non credi che sia stata una
scelta, come dire, del
cazzo, quella di portarla qui?» domanda il dio della morte,
senza lasciarsi
sfuggire la possibilità di rimarcare che lui glielo aveva
detto.
Radamante
agita una mano, come a
scacciare un insetto fastidioso e riprende il discorso da dove si
è interrotto.
«Ade,
non voglio mettere in dubbio
le tue decisioni, ma ti sei completamente bevuto il
cervello?» esclama il
giudice degli Inferi saltando in piedi «Hai idea di quali
ripercussioni dovremo
aspettarci da quella psicopatica di Demetra?»
«Beh»
interviene Hypnos per la prima
volta, cercando di non addormentarsi sulla poltrona, perché
a lui proprio
quella faccenda non interessa «Poteva andare
peggio».
«Ah,
sì? E in che modo, fratello?»
domanda Thanatos sarcastico.
«Immaginate
se al posto di Demetra
ci fosse stata Era».
Nessuno
osa discutere su questo
punto, perché i problemi di gestione della rabbia della
regina degli dei sono
cosa nota a tutti; che poi lei ci ha anche provato a darsi agli
ansiolitici, ma
non è che stiano funzionando benissimo.
«Beh,
lei vuole restare, quindi
resta. E tu» dice indicando Thanatos «Tu andrai a
procurarle del cibo in
superficie. Due volte al giorno».
«Cosa?
Perché io? Vacci tu!»
«Con
Demetra che mi cerca per farmi
fuori? Ho scritto beota in fronte,
per caso?»
«No,
hai scritto “pollo”»
risponde Radamante fissandolo
con scherno «E dove hai lasciato la fanciulla?».
«Con
Ecate, qui fuori».
«Fantastico»
borbotta Hypnos «Perché
non l’hai lasciata con mia madre già che
c’eri? Affidiamo pure la gente a Ecate,
tanto lei è così simpatica».
«Senza
contare che adesso tempo due
ore e tutto l’Ade saprà della sua presenza, quella
non sa stare zitta» borbotta
Thanatos a sua volta.
«Fuori.
Tutti. Adesso» esclama Ade
sull’orlo di una crisi di nervi.
Persefone
non ha mai visto nulla di
così imponente.
La casa
di sua madre a Efeso è un
semplice edificio di mattoni bruciati dal sole, con tegole rosse e muri
di
legno; gli appartamenti in cui ha vissuto girando per il mondo, senza
meta e
senza sosta, sono sempre stati piccoli e accoglienti, dipinti in colori
caldi e
decorati con fotografie e stoffe aranciate. Il palazzo di Ade
è su un altro
livello, è la casa di un re e per la prima volta nella sua
vita la giovane
prova un moto di ammirazione. L’ossidiana nera riflette la
luce e la cattura al
suo interno, rifrangendola in bagliori colorati che illuminano le alte
volte e
le stanze che sembrano non finire mai, è fredda al tatto, ma
Persefone ne
rimane ugualmente affascinata.
«Un
po’ troppo nero per i miei
gusti, ma quando ho provato a colorare le lanterne di rosa Ade mi ha
ignorata
per una settimana, per non parlare di quando abbiamo provato col rosso:
sembrava un film horror di pessimo gusto».
Una
ragazza con un corto caschetto
nero e una frangetta sfilata le si avvicina, indossa stretti pantaloni
di pelle
e una canotta rosa fin troppo larga; il rossetto sul suo viso
è rosso come il
sangue, e il trucco sugli occhi scuro e pesante, assomiglia a una di
quelle
persone che sua madre le ha sempre sconsigliato di frequentare e a
Persefone
piace immediatamente.
«Sono
Ecate» si presenta la mora «Tu
devi essere Kore».
La
giovane storce il naso e le
stringe la mano.
«Persefone,
preferisco Persefone».
Ecate
la studia per un momento
quindi annuisce: «Ti si addice di più».
La
prende sotto braccio e se la
trascina dietro attraverso un lungo corridoio, fino a giungere in un
piccolo
salotto con divani zebrati e mobili dai colori sgargianti.
«Vuoi
un tè, cara?» le domanda
mettendosi ad armeggiare con una credenza «È
importato, è puro tè del
Cachemire, non come quel pezzentone di Ade che si fa solo
caffè nero
annacquato. Comunque non devi preoccuparti, non succederà
niente se lo bevi,
anche l’acqua che uso è imbottigliata e proviene
dalla superficie».
Non sa
esattamente cosa potrebbe
succederle, perché non le sembra che il sottosuolo sia
così pericoloso come
glielo aveva descritto sua madre, quindi accetta volentieri e si siede
all’estremità di un divanetto.
«Tu
vivi qui?» domanda esitante.
«Sì,
non amo gli dei e sull’Olimpo
non mi vedono di buon occhio, nessuno apprezza i parenti anziani che ti
dicono
cosa fare e Zeus è sempre stato troppo arrogante per
accettare i suggerimenti. No, Ecate. Stai
zitta, Ecate. So come si
combatte un centimano, Ecate. Sparati! Biscottino?»
«Sì,
grazie, ma io credevo che fossi
una dea anche tu. Mia madre ti ha nominata qualche volta, sei la dea
dei
crocevia, non è così?»
La
ragazza scoppia a ridere e a
Persefone sembra proprio che ora sia più piccola di prima,
ma non si spiega
come sia possibile.
«Oh,
tesoro! Tua madre è una
stronza, non devi ascoltare tutto quello che dice».
Persefone
rimane a bocca aperta con
il biscotto ancora stretto tra le dita e la mano a mezz’aria,
non può credere
che l’abbia detto davvero.
«Oh,
scusa, ti sei offesa?»
«No,
no, è che non ho mai sentito
nessuno parlarne così; sono d’accordo, credo.
Cioè le voglio bene, ma per tutti
i Titani se sa essere irritante!»
«Visto?
In ogni caso non sono
propriamente una dea tesoro, e di sicuro non solo la dea dei crocevia,
quello è
venuto dopo. Rimango una degli ultimi discendenti dei Titani che
camminano
sulla terra» esclama lasciandosi cadere sul divano al suo
fianco e porgendole
una tazzina rosa shocking.
«Persino
tuo padre aveva rispetto
per me, certo prima di iniziare a provarci con qualsiasi cosa si
muovesse e
venire preso a pesci in faccia quando si è presentato alla
mia porta dicendo “Ehi, lo sai che
Era è in vacanza?”. Ehi,
lo sai che sei un vero bastardo?! Ma non siamo qui per parlare di me,
né di
quel porco di Zeus, dimmi un po’, carina, come ci sei finita
qui?»
Persefone
si torce nervosamente le
mani, perché vorrebbe dire la verità, ma non
vuole nemmeno mettere nei guai
Aidoneo. Può ancora chiamarlo Aidoneo? Perché ora
che sa che il suo nome è Ade
la cosa suona troppo strana. Senza contare che non dovrebbe essere il
capo lì
sotto, perché tutti sembrano fare quello che vogliono?
«Ecco
io –»
«Oh.
Mio. Dio! Non me lo dire, Ade
ti ha rapito! Oh, sapevo che prima o poi sarebbe successo! Non poteva
rimanere
single a vita!»
«No,
veramente no, cioè sono salita
a forza sulla sua macchina e l’ho costretto a
partire» la corregge Persefone
arrossendo leggermente.
«Tesoro,
nessuno costringe Ade a
fare niente. Una volta Thanatos ha provato a obbligarlo a uscire per un
doppio
appuntamento con Selene e Eos, si è ritrovato a ripulire la
barca di Caronte.
Con uno spazzolino da denti».
La
ragazza scoppia a ridere
divertita e in parte sollevata all’idea che, dopo tutto, Ade
è esattamente come
l’aveva immaginato in quei mesi che si sono incontrati al
bar, certo con in più
il fattore dio dell’oltretomba, ma quello è
secondario. O forse non lo è, ma di
sicuro a Persefone non dà fastidio.
Ecate
sta per lanciarsi di nuovo in
una serie di domande quando la porta del salottino si apre e ne entra
Ade in
persona con un’aria esasperata e la cravatta leggermente
allentata.
«Tu,
con me» borbotta indicando
Persefone «E tu, muta. Come un pesce, e– Oh, per
Urano! Ma le hai dato da
mangiare?»
«Rilassati,
Ciccio» e c’è un che di
comico nel vedere il re degli inferi chiamato ciccio
da una ragazzina che dimostra appena sedici anni «Tutta roba
di sopra. Non dirmi che non glielo hai ancora spiegato, sei un pessimo
ospite».
«Spiegato
cosa?» domanda la figlia
di Demetra.
Ade le
offre il braccio e, mentre
Ecate li saluta agitando una mano, la conduce verso la porta.
«Tutto
ciò che di commestibile è
prodotto in questa terra, l’oltretomba, è, come
dire, vincolante. Se mangi
qualcosa del mondo dei morti sei costretto a vivere nel mondo dei
morti, ne
diventi parte. È per questo che quelli di noi che vivono qui
difficilmente si
allontanano a lungo».
Persefone
annuisce, domandandosi
però se sia davvero un posto così brutto in cui
vivere, l’Averno. Lei si
immaginava un antro buio e freddo, ma lì di buio
c’è solo in cielo, e non è
nemmeno sicura che sia un cielo vero, anche se la volta si eleva per
chilometri
sopra il suo capo ed è costellato di luci verdi e bianche e
rosa che le
ricordano le stelle.
«Aidon-,
no, zio, posso chiederti –»
Il dio
dei morti si blocca
all’improvviso e la interrompe con una smorfia di disgusto
stampata in viso.
«Ti
prego, chiamami Ade. Sentirmi
chiamare zio è imbarazzante e mi irrita».
Scopre
di essere d’accordo e scopre
di non voler pensare alle strane relazioni di parentela della loro
disfunzionale famiglia divina.
Mentre
l’accompagna per le strade di
quella città sotterranea Ade gliene racconta le origini e le
parla a lungo
della struttura dell’Averno; la conduce lungo le praterie
degli Asfodeli, dove
anime in pena camminano senza sosta su campi fioriti. Le indica le
porte dei
campi Elisi dove riposano le anime dei giusti e degli eroi e la porta a
vedere
i fiumi degli inferi, che imponenti e vorticanti scorrono in un
tripudio di
fiamme, ghiaccio e grida.
Persefone
è affascinata da quello
spettacolo, ma anche intimorita. Vede per la prima volta dinnanzi ai
suoi occhi
la potenza della morte, e scopre che la sua mente è
attraversata da pensieri
che non l’hanno mai sfiorata prima: quel luogo è
vivo e in costante movimento e
i suoi abitanti sono gentili e caldi. Per una dea della primavera come
lei la
morte è sempre stata sinonimo di annullamento, di oblio, non
ha mai pensato che
potesse esserci qualcos’altro dopo, non ha mai pensato che
l’Ade potesse essere
abitato da persone in carne ed ossa, da qualcuno che non vuole
lasciarlo e,
intimamente, scopre di apprezzarlo. Scopre che quel paesaggio freddo,
in cui
aleggia una vaga nebbia biancastra e in cui si muovono le anime dei
morti,
riflette molto della personalità del suo sovrano, basta
guardare oltre la
superficie per scoprire particolari che a prima vista sfuggono.
Ade
veste Armani, ma se potesse
tornerebbe al chitone; Ade è sempre serio, ma cerca in ogni
modo di strapparle
un sorriso con il suo sarcasmo pungente; Ade è freddo come
il ghiaccio e
respinge chiunque cerchi di avvicinarsi, ma in quei tre mesi che
è venuto a
trovarla al caffè è sempre stato gentile e ha
sempre avuto un sorriso per lei.
Persefone ha imparato a non fermarsi alla prima occhiata e non ha
intenzione di
farlo nemmeno con l’Averno che, a modo suo, la sta stregando
più di quanto credesse
possibile, nonostante non ci siano fiori colorati, né alberi
in fiore, né
grano, né frutti.
«Capo».
«Capo».
«Che
palle, Ade! Mi stai ascoltando,
si o no?» domanda Thanatos scocciato.
Sperava
che ora che Persefone si
trova lì, la concentrazione del dio dei morti sarebbe
migliorata, ovviamente la
sua era una pia illusione, perché ora Ade è
ancora più distratto di prima. Non
riesce a pensare ad altro che alla giovane dea che cammina lungo i
corridoi,
che dorme sotto il suo stesso tetto, che mangia alla sua tavola;
ripensa a come
si è presentata quella mattina a colazione, con i capelli
rossicci raccolti in
una morbida treccia oltre la spalla, un vestito bianco a papaveri rossi
e gli
occhi ancora semichiusi; ripensa a come gli abbia versato il
caffè, senza
nemmeno pensarci, nero e bollente come piace a lui, augurargli una
buona
giornata e a come sia uscita dalla porta, per poi tornare subito
indietro con
il giornale in mano: «Cerbero ha portato questo, ed
incredibilmente non è
sbavato. Ho pensato lo volessi».
Thanatos
si sbatte una mano sulla
faccia e molto lentamente la fa scivolare verso il basso, non stanno
andando da
nessuna parte e quella situazione non si smuoverà da sola.
Forse è il caso di
fare al capo un discorsetto.
«Ade»
comincia il dio della morte,
scuotendolo per le spalle per richiamare la sua attenzione
«Dobbiamo parlare di
come si fanno i bambini».
L’uomo
sgrana lo sguardo, quindi arrossisce
leggermente, per poi rischiare di cadere dalla sedia.
«Sei
completamente deficiente? So
come si fanno i bambini».
«Perfetto!
Quindi sai che serve un
essere del sesso opposto! Ora» continuò Thanatos
facendo un passo di lato per
evitare di essere colpito da un libro «Dovresti chiedere a
Persefone di
uscire».
«Per
andare dove!? È scappata di
casa!»
«Come
se non l’avessi notato»
borbotta l’amico «Senti portala a spasso, portala a
cena fuori, a Venezia di
notte, a Parigi, a fare un pic-nic sui campi elisi, basta che tu faccia
qualcosa perché non ti si può veder in queste
condizioni, ti sei completamente
bevuto il cervello».
«Io
mi sono bevuto il cervello? Ma
ti senti parlare? Non ho tempo da perdere, ho un regno da portare
avanti,
Minosse che è sparito di nuovo ed Eaco che non lo trova,
Cerbero ha mangiato di
nuovo la posta e ho duecento mail di preghiere da leggere. Fammi un
favore e
sparisci, tu e le tue idee del cazzo» ringhia per tutta
risposta il Re degli
inferi sistemandosi il nodo della cravatta per darsi un tono e
cacciando in
malo modo Thanatos dallo studio.
«E
non tornare finché non avrai
finito di prelevare le anime della giornata!» sbotta
chiudendo la porta con un
tonfo.
Ade sa
che Thanatos ha ragione, e se
Persefone fosse stata una semplice mortale forse l’avrebbe
già invitata ad
uscire; in realtà il fatto che sia una dea semplifica di
molto tutta la parte
del ti spiego che sono il dio degli
inferi, per piacere non dare in escandescenze, peccato che
fosse anche sua
nipote e lui non era come Zeus. Per Gea! Forse avrebbe davvero avuto
bisogno
del consiglio dei suoi fratelli, lui non era mai stato tipo da darsi a
grandi
avventure romantiche, anche perché nessuna dea, ninfa e
nemmeno figlia di
titani aveva mai voluto avvicinarsi a qualcuno con il dominio
sull’Oltretomba. Inquietante,
dicevano sempre; e un po’
Ade ci rimaneva male, perché insomma ha sempre saputo di non
essere
affascinante come Zeus, né carismatico come Poseidone, o
biondo come Apollo, né
schifosamente bello come Thanatos o Eros, ma, insomma, era pur sempre
un Re e,
a dirla tutta, non era un brutto uomo. Sì, forse il suo naso
avrebbe potuto
essere un po’ più piccolo e la sua carnagione un
po’ meno pallida e i suoi
occhi un po’ meno neri, ma insomma, la genetica mica
l’aveva decisa lui e
nemmeno il suo dominio, a dire la verità.
Perché
in realtà il cielo, l’oceano
e il sottosuolo lui e quei mentecatti dei suoi fratelli se li erano
giocati a
dadi una sera che erano troppo ubriachi per pensare lucidamente (ma
forse Zeus
non era poi così ubriaco
come aveva
fatto loro credere), quando ancora si stavano dando ai bagordi per
festeggiare
la vittoria su Crono.
Decide
che chiederà a Persefone se
vuole cenare con lui sulla terrazza quella sera, perché,
anche se non possono
uscire, non è giusto che la ragazza passi le sue giornate ad
annoiarsi da sola.
«E
quindi poi Cerbero ha passato il
pomeriggio con me e ha rincorso le anime sulle praterie degli Asfodeli,
e sì,
all’inizio mi sentivo in colpa per averlo trascinato
lì e ho cercato di
fermarlo, ma –, Ade mi ascolti?» domanda Persefone
mentre racconta con tono
entusiasta come ha trascorso la giornata.
No,
scusa, sono troppo impegnato a contare le lentiggini sul tuo naso
perché ho
appena realizzato che amo le donne con le lentiggini.
«Sì,
certo, continua ti prego»
risponde l’uomo felice anche solo di poterla ascoltare.
«Ecco,
e quindi si è messo a
rincorrere le anime come fossero palline e io volevo tanto sentirmi in
colpa,
ma alla fine ho iniziato a trovarlo divertente. Oddio, sono una persona
orribile?»
Ade
scoppia a ridere e Persefone
pensa che sia veramente bello quando ride.
«Tu?
Una persona orribile? Ma se sei
la persona più bella che abbia mai incontrato!»
Silenzio.
«Cioè
la dea. Cioè bella dentro.
Voglio dire anche fuori sei bellissima» Ade arrossisce
leggermente, non sa cosa
dire per non fare la figura del perfetto imbecille «Credo che
mi stiano
chiamando. Sì, sì, tu non senti che mi chiamano?
Torno subito».
Ecco,
perfetto, ora ha fatto la figura
del perfetto
imbecille.
Persefone
trattiene a malapena una
risatina, rendendosi conto di quanto le abbia fatto piacere quel
complimento;
realizza anche che Ade non deve essere molto abituato a trattare con le
donne,
perché sì, insomma, è così
impacciato che quasi le fa tenerezza. C’è qualcosa
di incredibilmente dolce in un omone altro un metro e ottanta, pallido
e serio,
che cerca di lodare le grazie di una donna, si impappina e assume lo
stesso
colore dei papaveri in primavera. Alla dea si scalda un po’
il cuore e mentre
le sue dita si stringono attorno al bicchiere di vino sorride
leggermente.
Scappare di casa non è stata una brutta idea, dopo tutto.
Quando
il dio dei morti ritorna (dopo
avere sbattuto ripetutamente la testa contro un muro) ha la cravatta
leggermente allentata e un’espressione nuovamente seria, sta
cercando
disperatamente di darsi un contegno, per non far vedere a Persefone che
è
completamente perso per i suoi capelli fulvi e i suoi occhi verdi: la
cosa,
purtroppo per lui, non gli riesce molto bene.
Si
appoggia al parapetto della
terrazza e riprende in mano il suo calice di rosso, mentre lancia un
sorriso
timido alla ragazza, incoraggiandola a riprendere il discorso di prima.
Lei gli
si avvicina e si sporge a guardare il panorama, che a dispetto
dell’oscurità e
delle nebbie mozza il fiato, perché da lì si
vedono gli immensi prati di
Asfodeli (e potrebbero risultare rossi quella sera, invece che bianchi,
perché
Persefone si è divertita a giocare con i fiori quel
pomeriggio) e il grande
albero che sorge nel mezzo.
«Chi
ti chiamava?»
«Radamante»
inventa l’uomo sul
momento, cercando una scusa a cui non ha pensato quando ne aveva la
possibilità
«Aveva delle notizie su Demetra».
«Credi
che mi stia cercando?»
Ade
vorrebbe passarle la mano
attorno alla vita e abbracciarla perché in quel momento la
giovane dea sembra
così piccola da non riuscire a gestire il pensiero di sua
madre preoccupata.
«Sei
scappata di casa, Persefone,
certo che ti sta cercando, ti starà cercando per tutta la
terra. Chiunque lo
farebbe».
«Tu
lo faresti?» domanda la ragazza
fissandolo negli occhi e prendendolo in contropiede.
«Beh,
se avessi una figlia, può
essere».
«No,
intendevo cercare me, per tutta
la terra» arrossisce leggermente, ma sostiene il suo sguardo
mentre il viso del
re dei morti vira leggermente verso il fucsia.
«Sì»
borbotta piano distogliendo lo
sguardo e fissando i fiori rossi in lontananza «Per tutta la
terra».
Persefone
sorride, gli appoggia le
mani sul petto per poi stringere gentilmente la cravatta e fissare il
nodo.
«Forse
dovrei davvero tornare a
casa» mormora, le mani ancora strette intorno
all’indumento e la testa piegata
verso il basso.
Ade
sente il cuore perdere un
battito, il che è assurdo visto che fino a mezzo secondo
prima stava battendo
come un tamburo suonato da un rockettaro ubriaco fatto di acidi. Ecco,
fantastico, ora se ne sarebbe andata e lui si sarebbe ritrovato con il
cuore
spezzato, venticinque maledizioni di Demetra e Thanatos a insultarlo
per
l’eternità: complimenti, Ade, tu sì che
sai sempre cavartela in ogni circostanza.
Cosa
farebbero i suoi fratelli in una situazione come quella? Pensa facendo
funzionare il
cervello alla velocità della luce, scarta subito la voce di
Zeus che urla “Trasformati in
animale e fecondala, subito!”,
decide anche di evitare il suggerimento di Poiseidone perché
“Cantale una serenata con
l’ukulele e
mostrale i pettorali” non è proprio cosa
che si adatta alla sua persona;
gli dispiace di non essere più in confidenza con Afrodite,
perché avrebbe
potuto chiamarla e farsi dare qualche consiglio. Forse no, poi
l’avrebbe saputo
l’intero Olimpo e sarebbe stato preso in giro a vita. Sospira
sconsolato e
passa le mani lungo le braccia di Persefone che solleva il viso e gli
sorride.
«Puoi
sempre restare» le dice piano
con voce gentile «Può essere anche casa tua, se lo
vuoi».
Sente
la giovane dea irrigidirsi e
pensa di avere detto la cosa sbagliata, ma quando lei alza il viso i
suoi occhi
brillano e Ade pensa che sia bellissima. Non sa bene cosa lo spinga in
quel
momento, ma sente l’impulso di baciarla (ed è la
quindicesima volta quella
sera) e, una volta tanto, si lascia guidare dall’istinto e,
dopo averla
avvicinata leggermente a sé, le chiude le labbra con le
proprie.
È
un bacio leggero, gentile e in
qualche modo casto e per Persefone è anche il primo bacio
della sua vita. Mentre
chiude gli occhi si immagina come debba essere approfondire quel
contatto e si
domanda che sapore abbia Ade, perché baciarlo davvero deve
essere un’esperienza
incredibile. Anche se al momento, con il cuore che batte
all’impazzata e il
sangue che affluisce alle guance, la ragazza fatica ad immaginare
qualcosa più
incredibile di quello.
Quando
il dio dei morti si stacca la
dea legge nei suoi occhi un misto di amore e desiderio e si chiede come
abbia
fatto a non accorgersene prima.
«Io.
Io ci penserò» risponde piano,
ma dentro di sé sa di avere già deciso.
Quando
si ritira in camera sua
quella sera sente le rotelle del suo cervello che girano vorticosamente
e
capisce che le serve qualcosa, qualcosa che convinca sua madre a
lasciarla
andare, a lasciarla lì, altrimenti Demetra non si
arrenderà mai.
Thanatos
si è addormentato sul
divano.
La
televisione mortale prende
abbastanza bene in quella parte dell’Averno, per lo
più grazie ai ripetitori
che Efesto ha installato su richiesta di Ecate (che dal 1963 non si
può perdere
nemmeno un episodio di General Hospital), e il dio della morte spesso
finisce
con l’assopirsi mentre rumorosi mortali discutono le notizie
del giorno.
Ovviamente
non si accorge che
qualcuno bussa alla porta; non è come Hypnos che non si
sveglia nemmeno con le
cannonate, ma ha il sonno pesante. Quando, però, Persefone
spalanca la porta e
la sbatte rumorosamente per richiuderla, il ragazzo salta
sull’attenti sul divano,
bofonchiando qualcosa riguardo al fatto che è sveglio e no,
non stava
assolutamente dormendo.
«Oh,
sei tu» borbotta mettendo a
fuoco la ragazza «Che ci fai qui? Se Ade ti trova in camera
mia mi uccide, poi
mi riporta in vita e mi uccide di nuovo. O peggio, mi spedisce a lavare
Cerbero».
«Ho
bisogno del tuo aiuto» risponde
la ragazza raggiungendolo e sedendosi su una poltrona di fronte a lui.
Thanatos
alza un sopracciglio e sta
per dirle che no, lui non commette omicidi su commissione, ma quando
Persefone
gli spiega il suo problema allora cambia tutto. Perché nel
momento in cui la
ragazza dice: «Devi aiutarmi a trovare un modo per rimanere
qui». Thanatos
capisce solamente che, finalmente, dopo secoli di noia, può
tornare a
divertirsi alle spalle degli altri dei.
«Dimmi»
dice il dio della morte «Hai
mai sentito parlare di semi di melograno?»
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Capitolo 3 *** Capitolo terzo: in cui Demetra per ripicca organizza una riunione non richiesta e Persefone decide di dimostrare la sua indipendenza. ***
Autore: Alexiel Mihawk
| alexiel_hamona
(LJ)
Titolo:
Caffé nero e semi di melograno
Fandom: Mitologia Greca
Personaggi: Ade, Thanatos,
Persefone, Ecate,
Zeus, Poseidone, Era, Demetra (e tutti gli Olimpi, o quasi)
Genere: generale,
commedia, sentimentale
Rating: verde, sfw
Avvertimento:
one shot, implied!Incest, modern!AU
Parole: 4767
Prompt: Mitologia,
Ade/Persefone, Modern AU
in cui Demetra va a trovare sua figlia
Note: Prompt di
kuma_cla, nato da
un’iniziativa su LJ che si chiama FanFiction Meme. Funziona
così, io dò una
lista di fandom e il mondo mi lascia dei prompt su quei fandom/quelle
ship, in
modo che io possa poi scriverci. Trovate la mia lista sul mio
Livejournal (link nel capitolo precedente o sul mio profilo),
se volete passare e lasciare dei prompt sentitevi liberi di farlo.
Qualche
nota tecnica. Cliff Edwards aka Ukelele Ike è un musicista
realmente esistito;
tutti i nomi di ansiolitici da me citati esistono davvero (e sono
bellissimi,
chi li inventa è il mio mito). Per quanto riguarda la
caratterizzazione degli
dei in questo capitolo, sento di dovermi spiegare. Io non credo che
Zeus sia un
totale cazzone, nemmeno che Era sia solo una gran stronza, non solo
almeno, in
questa storia si vede poco, ma ognuno di questi dei ha i sui pregi e i
suoi
difetti. Zeus se si impegna può essere un buon padre e
nonostante tutte le
volte in cui ha tradito Era, sono anche convinta che a modo suo la ami.
Era è
una madre, sì è una donna gelosa e vendicativa,
ma è anche una sorella e donna
e capisce certe cose meglio di tutti, inoltre me la immagino che non si
scandalizza per nulla, dopo tutto ha sposato Zeus. Persefone sta
attraversando
una fase molto ribelle della sua vita, Demetra non è di per
sé cattiva, ma è
una madre iperprotettiva che non si mette nei panni di sua figlia e non
ne
capisce le esigenze; qui Persefone scoppia, non ne può
più e quindi arrivano a
litigare. Non ho voluto concludere con un “si sposarono e
vissero tutti felici
e contenti”, perché mi sembrava prematuro.
Con
questo capitolo si conclude questa raccolta, ma non la mia esplorazione
di
questa coppia, ho già in programma un’altra one
shot legata a questo universo,
e poi beh, credo mi darò alla pazza gioia con altro, visto
che di prompt
Ade/Persefone ne ho ricevuti tantissimi.
Caffè
nero e semi di melograno
Capitolo
terzo: in cui Demetra per ripicca organizza una riunione non richiesta
e
Persefone decide di dimostrare la sua indipendenza.
Il
dio dei morti è sempre stato un uomo pacato e abitudinario.
La
sua sveglia suona sempre alla stessa ora e, dopo essere rimasto cinque
minuti
(ma non di più, perché lui è una
persona seria) a poltrire nel letto, il dio
dei morti si lava, si veste e va a fare colazione, sempre in
quest’ordine. Ha i
suoi rituali, rituali che gli piace compiere ogni mattina appena
sveglio, tra di
essi compare bersi una tazza di caffè nero, rigorosamente
senza zucchero,
rigorosamente fumante. Da quando Persefone abita con lui, in quel
grande
palazzo un po’ meno deprimente, il caffè delle
nove è migliore, forse perché è
lei a farlo, forse semplicemente perché è lei a
versarglielo nella tazza con un
sorriso (e Ade si scioglie, perché quei gesti sono
così naturali, così
quotidiani, che sembra che non ci sia altro luogo in cui la giovane dea
sia
destinata a stare).
Quando
riesce a bere il suo caffè, leggere l’Eco dei
morti, magari addirittura
ascoltare le chiacchiere sconclusionate di Persefone appena sveglia,
allora sa
che la giornata inizierà bene e, se è fortunato,
proseguirà meglio.
Quel
mattino, tuttavia, non sembra essere destinato a far parte di questa
ambita
schiera di piacevoli giornate; Ecate e Thanatos piombano nella sala da
pranzo
urlando e agitando la posta come dei forsennati, facendogli rovesciare
il caffè
sulla camicia bianca e facendo quasi cadere Persefone dalla sedia. Ade
trattiene a stento una bestemmia e l’impulso di incenerire
quei due sul posto.
«Siete
ubriachi?» domanda scocciato. Non sarebbe la prima volta.
«No,
ascolta, è successa una cosa» esclama Ecate, che
quella mattina dimostra una
trentina d’anni.
«Una
cosa orribile» aggiunge Thanatos.
«Hai
finito lo shampoo?» domanda Ade sarcastico cercando, invano,
di pulirsi la
camicia.
«Il
copri poltrona rosa non si intona col rossetto?» chiede
Persefone, rincarando
la dose e meritandosi un’occhiata adorante da parte del dio
dei morti; l’Averno
la sta rendendo più ironica.
«Ridete
pure, stronzi» ribatte Ecate piccata «Intanto
Demetra è andata a lamentarsi da
Zeus accusandoti di averle rapito la figlia!»
Silenzio.
«E
Zeus ha deciso di autoinvitarsi qui, insieme a tutta la combriccola,
per una –,
passami il foglio per favore. Ah, ecco. Una riunione familiare di
emergenza,
che avrà sede presso la reggia di Ade, Averno, in data 23
Settembre» legge
Thanatos, non indossa gli occhiali da sole e in quel momento i suoi
occhi rossi
mandano lampi «Siamo fottuti».
«Ma
il 23 è dopodomani» Persefone lascia cadere la
brioche sul tavolo e si mette le
mani tra i capelli.
«Calmatevi!»
La
voce di Ade è regale come poche volte l’hanno
udita. Tutti sanno quanto il dio
dei morti detesti le riunioni familiari, i suoi parenti sono pettegoli,
rumorosi e spesso imbarazzanti, tuttavia quella gli sembra una buona
occasione
per dimostrare a sua sorella che no, non ha rapito Persefone; senza
contare che
sull’Olimpo tutti sono curiosi come una perpetua il giorno
delle confessioni di
vedere la misteriosa figlia di Demetra e, Ade ne è convinto,
anche lei non vede
l’ora di incontrare la sua famiglia.
E
poi, sì, vuole togliersi lo sfizio, perché quei
bastardi dei suoi fratelli non
sono mai venuti a trovarlo, nemmeno una volta, con la scusa che
“È tutto buio, scusa, ma
l’assenza di spazi
aperti me lo ammoscia” e quello che dice Zeus
è legge, quando fa comodo.
«Per
prima cosa, qualcuno mi porti una camicia pulita» borbotta
facendo un cenno a
un’arpia di passaggio «Poi radunate tutti, bisogna
organizzare questa riunione.
Non posso mica servire ai miei parenti idromele di bassa
qualità e ambrosia del
secolo scorso».
«Se
ci dovesse essere Afrodite non farti
infinocchiare dai suoi occhioni azzurri e dalla sua voce melliflua,
è una vera
manipolatrice. E ricordati di essere sempre gentile con Ares, o di
mandarlo al
diavolo, è tuo cugino, ma è anche in parte tuo
fratello, insomma fai come ti
pare. E se Zeus o Apollo dovessero allungare le mani, ti autorizzo a
trasformarli in un cespuglio di rovi, o a scatenargli dietro
Cerbero» borbotta
Ade cercando, invano, di allacciare la cravatta.
«Lascia,
ci penso io» ride Persefone alzandosi
dalla poltrona sulla quale si è adagiata
nell’attesa «E quindi sono quasi tutti
miei zii, cugini e fratelli, giusto?»
Ade
annuisce, mentre le mani candide della ragazza
si muovono attorno al suo collo andando a formare un nodo perfetto.
«Ti
ho già detto quanto è disfunzionale la nostra
famiglia? E quanto tuo padre non sappia tenerselo nelle
mutande?» risponde Ade
a cui la vicinanza di Persefone fa sempre un effetto strano.
Lei
ride e gli posa un bacio leggero sulle labbra.
«Andrà
bene» gli sussurra e il suo cuore si
scioglie un pochino quando il dio degli inferi le sorride dolcemente,
le passa
una mano dietro la schiena e l’attira più vicina
per baciarla di nuovo.
Ade si
chiede per quanto tempo riuscirà a limitarsi
a baciarla, perché, davvero, se continua così
rischia di impazzire e nessuno
vuole un dio dei morti impazzito, che preleva anime a caso e lascia
uscire
titani dal tartaro per fargli fare passeggiatine serali
sull’olimpo. Forse è
meglio pensare ad altro, come alla comitiva di spostati che in quel
momento sta
facendo ingresso a casa sua.
Zeus
guida la truppa, e a vederlo con il suo
completo marrone, la camicia bianca, il viso abbronzato e i capelli
biondi,
sembra che non sia possibile che abbia un qualsiasi grado di parentela
con Ade,
la cui carnagione pallida è evidenziata dal completo total
black che indossa
quella sera (e Persefone ci ha provato a dirgli che camicia nera su
giacca nera
con cravatta nera forse era un po’ eccessivo, ma il dio degli
inferi non l’ha
ascoltata).
Segue
Poseidone, con un cappellino di paglia, una
maglietta azzurra con enormi fiori viola stampati sopra, un paio di
pantaloncini color kaki e quello stramaledetto ukulele sotto braccio; io glielo brucio, pensa Ade vedendolo
entrare.
Era
è particolarmente tranquilla, probabilmente si
è presa un’intera boccetta di Valium prima di
arrivare ed è, cosa assolutamente
incredibile, accompagnata da Ares e Afrodite, anche se Ade ricorda bene
che
durante l’ultima riunione la regina degli dei ha chiamato la
dea dell’amore con
epiteti non esattamente eleganti. Era Vacca
grassa? O forse, no, ricorda male, probabilmente si trattava
di Sgualdrina con le labbra rifatte.
In
ogni caso, lui lo sa, Afrodite è lì solamente per
godersi lo spettacolo, non
certo per aiutare una divinità sotto sedativi. Seguono gli
altri figli di Zeus:
Dioniso, Apollo ed Ermes, mancano solo Efesto e Atena, che, pur essendo
gli
unici veramente ben accetti in quel luogo, non sono riusciti a venire.
A
chiudere la fila ecco Demetra (che in realtà tutti si
aspettavano sarebbe entrata
per prima urlando come una furia e mettendo a soqquadro ogni cosa)
accompagnata
da Artemide.
Non
c’è nemmeno bisogno di aspettare che lo
salutino, perché inizi la scenata plateale della dea
dell’agricoltura.
«Tu!»
esclama la donna puntando un lungo dito
abbronzato contro il dio dei morti.
«Io»
Ade rotea le pupille e va a sedersi sul suo
scranno, ad un’estremità di un enorme tavolo
rotondo che ha fatto preparare
apposta (rotondo, così che nessuno litighi per chi deve
stare a capotavola).
«Hai
rapito la mia bambina! La mia meravigliosa,
innocente bambina! Zeus, digli qualcosa!»
Il capo
degli dei, osserva Demetra, poi lancia uno
sguardo a suo fratello, la cui aria non potrebbe essere più
scocciata di così,
quindi a quella che immagina essere Persefone, e porca
merda, capisce perfettamente cosa abbia spinto Ade!
«Dammi
il cinque fratello! Sei grande!» esclama
avvicinandosi con il braccio per aria.
«Zeus!»
Demetra è sull’orlo del collasso.
«Padre!»
rincara la dose Artemide, che è sempre la
prima a difendere le fanciulle il cui onore è stato
macchiato da qualche
maschio senza dignità.
«Sì,
sì. Ade sei stato molto cattivo! Cattivo Ade»
borbotta sedendosi a fianco del fratello e dandogli di gomito.
Ora lo ammazzo
e getto il suo cadavere a concimare le praterie degli
Asfodeli, pensa il dio
dei morti esasperato.
In quel
momento, fortunatamente, interviene
Persefone, meravigliosa nel suo lungo abito verde e arancione.
«Madre,
ora smettila! Ade non mi ha rapito, lo sai
benissimo!»
Il
gruppo di divinità alle spalle di Demetra
esplode in una fiumana di commenti: “Mi
sembrava strano”, “Ade
non è come
quel porco di papà”, e anche “Demetra,
mi hai presa in giro, stronza!” probabilmente di
Artemide stessa.
«Son
scappata di casa perché ero stufa di vivere
segregata tra quattro mura, perché ero stufa di non poter
fare niente, di non conoscere
la mia famiglia e di non poter avere una vita».
«Figlia
ingrata!»
«Piantatela!»
esclama Zeus, e la sua voce risuona
potente come un fulmine per tutta la sala «Prendete posto.
Adesso. O andate a
ubriacarvi da qualche parte, oh! Ciao Ecate!»
«Ciao
questo paio di palle! Mi devi ancora dei soldi dall’ultima
guerra, bastardo!»
risponde la donna con astio, ora dimostra almeno quarantacinque anni e
indossa
un tailleur nero; al suo fianco Thanatos ridacchia sotto i baffi,
lanciando
occhiate d’intesa a Dioniso.
Qualcuno
si siede, qualcuno segue il consiglio di
suo padre e, con un’anfora sottobraccio, si fa strada verso
la terrazza;
Demetra sulla sua sedia sembra affranta, i suoi ricci si sono
afflosciati e il
suo sorriso si è spento, Era li fissa tutti come se fossero
idioti (e
probabilmente ha ragione). Al tavolo oltre a loro si sono seduti
Persefone,
Afrodite e Poseidone, che pare veramente molto impegnato ad accordare
l’ukulele.
«Merda,
dovevo farlo fare ad Apollo! A quest’ora
avrebbe già finito!»
«L’unica
cosa che dovevi fare, fratello, era
lasciarlo a casa quello schifo di coso!» borbotta Ade
innervosito dal rumore,
passandosi le dita lungo le tempie e facendosi versare due dita di
vino,
sapendo che non lo calmerà comunque.
«Schifo
farà il tuo completo da becchino! Lo sai da
quanto tempo giriamo assieme io e questo strumento? Lo sai?»
esclama il dio del
bare con voce tonante «Mi è stato regalato nel
1920 da Ukelele Ike!»
Afrodite
si mette le mani nei capelli, Zeus sbatte
la testa contro il tavolo.
«Fantastico»
borbotta Era aprendo una boccetta di
Valium «Di nuovo la storia di quello strumento del cazzo.
Vuoi cara?»
Demetra
scuote disperatamente la testa all’offerta
della sorella mentre lancia occhiate di sottecchi a sua figlia, che,
seduta a
sinistra di Ade, osserva con interesse i membri di una famiglia a cui
non è
nemmeno stata presentata.
«…e
dopo che lo trassi in salvo dalla tempesta,
Clif per ringraziarmi mi regalò il suo primo Ukulele e mi
insegnò anche a
suonarlo! E poi dicono che i mortali non fanno più niente
per noi!» Poseidone finalmente
conclude la sua storia, che tutti hanno cercato di ignorare visto che
è stata
raccontata almeno ottanta volte negli ultimi novant’anni.
«Parla
per te. Io sono ancora parecchio apprezzata
dai pagani» ridacchia Ecate avvicinandosi al tavolo con un
bicchiere di martini
in mano, si appoggia alla spalla di Zeus e, approfittando bassamente
dello
stato di rincoglionimento di Era, gli sussurra «Peccato che
queste religioni
neopagane diano maggiore spazio alle divinità femminili, non
trovi. Chi è che
prega Zeus al giorno d’oggi? Ah, sì,
nessuno».
Scompare
ridacchiando, evitando per un pelo un
fulmine, mentre il re degli Dei mastica silenziosamente maledizioni tra
i
denti.
«Quando
avete finito di dare sfoggio di tutte le
vostre tare mentali» interviene Ade sarcastico
«C’è qualcuno che vorrei
presentarvi».
Porge
la mano a Persefone per aiutarla ad alzarsi e
le sorride (cosa che ovviamente ai suoi fratelli non sfugge).
«Vi
presento Persefone, che Demetra ha gentilmente
nascosto per tutti questi secoli».
La
ragazza sorride timidamente e azzarda un timido
“Come va?”,
prima di essere
bruscamente interrotta da Zeus che, rovesciata la sedia (ma
mi raccomando, comportiamoci pure come se i mobili fossero IKEA),
le si avvicina e la abbraccia con foga.
«Demetra!
Come hai potuto nascondermi una figlia
così bella!»
Probabilmente
perché sei un porco, è
il pensiero che sfreccia
nelle teste di tutti i presenti al tavolo.
«Sei
bellina davvero» interviene Afrodite
approvando silenziosamente i capelli ramati e il viso delicato.
Persefone,
ancora stretta nell’abbraccio paterno,
arrossisce: «Grazie, ma tu sei molto più
bella».
Sceglie
di seguire i suggerimenti di Ade, consapevole
di quanto gli dei possano essere permalosi a volte.
«Ben
detto, tesoro» ridacchia Afrodite sistemandosi
una ciocca bionda oltre l’orecchio «Ora, se questi
vecchi rompiscatole si
decidono a lasciarti andare, ti porto a conoscere il resto della
famiglia.
Visto che tua madre non sembra intenzionata a farlo».
Demetra
mastica un’imprecazione tra i denti e si
trattiene dal sollevare il dito medio all’insegna della dea
della bellezza, si
alza con un moto di stizza e, lanciando uno sguardo glaciale a tutti,
si avvicina
alla figlia.
«Non
sarò intenzionata a farlo, ma nulla mi vieta di
venire con voi» anche perché a quanto pare
è l’unica occasione che ha per
parlare con Persefone e non vuole sprecarla.
Come
scompaiono dietro la porta Zeus si rimette a
sedere e si scambia uno sguardo d’intesa con Poseidone.
«Dunque»
comincia il re degli dei «Persefone, eh?»
«Persefone
cosa?» domanda di rimando Ade, già
scocciato.
«Tu
e lei, sotto lo stesso tetto… Sì, insomma, mi
stai dicendo che non è successo niente?» passa una
mano sulla spalla del
fratello con fare complice, mentre in sottofondo Poseidone suona due
note col
suo fido strumento, come ad accompagnare l’insinuazione di
Zeus.
Ade
vira dal bianco lenzuolo al fucsia rossetto di
Ecate.
«Devi
ammettere, fratello» interviene il dio del
mare «Che tu non sei mai stato tipo da soccorrere damigelle
in difficoltà o da
prestarsi alle richieste di chiunque, anche quando si trattava di belle
donne».
«Te
la sei fatta?» continua Zeus, realmente
interessato.
«Siete
dei bastardi! E no, non ci sono andato a
letto!» esclama il dio dei morti imbarazzatissimo.
«Ma
se l’è fatta» borbotta Era intervenendo
per la
prima volta nella discussione e attirando su di sé una serie
di sguardi
sorpresi.
«Cosa,
cosa c’è? Solo perché sono donna non
posso
parlare? Guardate che sono la dea del matrimonio, queste cose le noto.
Tra voi
due c’è così tanta tensione sessuale
non risolta che Elena e Paride
impallidiscono al confronto».
«Ecco
la donna che ho sposato!» interviene Zeus
ridendo e prendendole la mano, in uno dei suoi rari slanci
d’affetto.
«Ma
tu non eri strafatta di ansiolitici? Che ne so
Valium, Prozac, Lexotan, Tavor, Oblivon, niente eh?» domanda
Ade, che ora è
dello stesso colore dei capelli di Persefone.
«Io
la trovo carina» esclama Poseidone, mollando
finalmente l’ukulele sul tavolo e facendosi più
vicino «Secondo me sareste una
bella coppia».
«Se
ti senti in colpa perché è mia figlia non
farlo, hai la mia benedizione!»
«Mi
sento in colpa perché è mia nipote,
idiota!»
«Oh,
certo» borbotta nuovamente Era sarcastica
«Perché siamo sempre stati così attenti
a queste cose noi, niente incesto,
assolutamente».
«Senza
contare, che se non te la fai tu me la
faccio io!» esclama Zeus convinto, ricevendo uno scappellotto
dalla moglie.
«Per
Urano! È tua figlia! Non hai un minimo di
decenza?» persino Poseidone è schifato.
«No»
è la placida risposta del dio del cielo.
«Zeus,
io te lo dico. Sei mio fratello, e,
nonostante la tua insopportabile testa di cazzo, ti voglio anche bene.
Ma se ci
provi sei morto» borbotta Ade, incrociando le braccia sul
petto con fare
oltraggiato e strappando una risata ai presenti.
«…il
tizio sdraiato sul parapetto a provarci con le
arpie è Ermes e quello che abbraccia la giara cantando
è Dioniso» conclude
Afrodite, che stringe la mano a un uomo grande e grosso con iridi di
fuoco e
ispidi capelli neri.
«Donne e
giovinetti amanti, viva Bacco e viva Amore! Ciascun suoni, balli e
canti!»
sta gridando a squarciagola il dio del vino, con un braccio stretto
attorno
alla giara di vino e l’altro sulla spalla di Thanatos.
«In
realtà gli viene meglio quando c’è Eros
con
lui» borbotta Ares, riferendosi agli orribili duetti di suo
figlio e Dioniso.
«Solo
perché sono due spostati» rimbrotta Demetra,
ma Persefone sta ridendo.
Apollo
le si avvicina baldanzoso e la invita a unirsi
a loro, seduta in un angolo Artemide sbuffa, ancora offesa per essersi
fatta
raggirare in quel modo da sua zia.
«Benvenuta
in famiglia!» esclama il biondissimo dio
del sole porgendole un bicchiere di vino.
«Grazie»
risponde la ragazza arrossendo.
«Se
avessi saputo che stavi bene me ne sarei
rimasta a casa» mugugna la dea vergine sorseggiando di
malavoglia un bicchiere
di ambrosia.
«Oh,
ma io sono tanto contenta di averti
conosciuta, Artemide! Ho sentito così tanto parlare di te,
ti ammiro tanto!»
Persefone cerca di risollevare il morale sorella-cugina, riuscendo a
strapparle
un sorriso.
«Oh,
gente, dovete sentire Dioniso, sta raccontando
di quella volta che –» Thanatos viene interrotto
dal dio del vino stesso che si
fa avanti ciondolando.
«Stavo
parlando io! Vi ricordate quella volta, al
compleanno di Ade, quando Eros si è presentato con Eos e
Selene e ha cercato di
presentarle a Phobos e Deimos, dicendo che erano troppo soli e gli
mettevano
tristezza?»
Apollo
scoppia a ridere: «E invece di accettare
quei due l’hanno inseguito per tutto il ristorante, dandogli
dello stronzo
perché li aveva definiti tristi. E chi se lo
scorda».
«E
rincorrendosi sono inciampati nella scultura di
ghiaccio, che crollando ha ribaltato il tavolo» aggiunge
Ermes tra i singulti.
«E
Zeus ed Era si sono ritrovati coperti di salsa
rosa e zuppa di miso» finisce Artemide che non riesce a
respirare.
Persefone
li guarda e ride con loro, un calore
sconosciuto le si fa strada nel petto, mentre per la prima volta si
trova circondata
da gente uguale a lei, persone per cui è più di
un’estranea, persone che
cercano di rimediare al tempo perduto raccontandole aneddoti del
passato. E in
parte è ancora tremendamente arrabbiata con sua madre, che
fino a quel momento
l’ha privata della possibilità di avere una
famiglia, ma se dovesse bilanciare
i sentimenti sarebbe più forte la felicità che
prova in quel momento, con il
braccio di Artemide sulle spalle e Apollo che gesticola imitando il
verso di
qualche animale.
È
a casa e ha di nuovo una famiglia ed è tutto
merito di Ade; questa consapevolezza la fa sorridere e Persefone si
rende conto
di volerlo lì, si rende conto che sarebbe tutto ancora
più perfetto se Ade
fosse lì adesso, a ridere con lei.
A
interrompere il momento ci pensa Demetra, che, ripresasi
dallo stato di sconforto iniziale, afferra la figlia per un braccio e
la tira
in piedi per poi prenderle dalle mani il bicchiere di vino.
«Non
posso crederci! Non solo sei scappata di casa,
ma ti sei pure data all’alcool!?»
Persefone
sbatte le ciglia osservando il calice
mentre compie un perfetto arco e si sfracella per terra.
«Lo
sapevo io che l’Averno ti avrebbe rovinata»
continua la dea.
Prende
la figlia per il polso e inizia a
trascinarsela dietro.
«Madre,
cosa stai facendo?»
«Ti
porto a casa, lontana da questa desolazione,
dove arrivano i raggi del sole» esclama Demetra, e la sua
scenata inizia ad
attirare l’attenzione, non solo di coloro che si trovano
sulla terrazza, ma
anche di quegli dei che sono rimasti all’interno.
Persefone
si ferma di colpo e si divincola dalla
presa ferma di sua madre.
«No»
risponde con rabbia.
«Scusa,
come?»
«No»
ripete la ragazza fissando i suoi profondi
occhi verdi in quelli nocciola della madre «Non
tornerò indietro con te. Quella
non è casa mia, è casa tua. E io sono stufa di
seguirti come un cane e di non
poter fare niente. Io resto qui».
Zeus,
Poseidone e Ade osservano la scena dalla
portafinestra che dà sul terrazzo, la bocca di tutti e tre
è spalancata, gli
occhi sono sgranati ed Era, in piedi di fronte a loro, trattiene una
risatina
nel vedere come i suoi fratelli si assomiglino nelle piccole cose pur
essendo
così diversi fisicamente.
«Qui?
Qui nell’Averno? Oh, per piacere! In questo
posto c’è solo morte e buio e nebbia, non fa per
te».
«Sei
tu che vedi solo morte, solo il buio, solo la
nebbia, perché non riesci ad andare oltre la superficie!
C’è molto più calore
qui che in quella che tu chiami casa, con un fuoco acceso e il sole che
entra
dalla finestra!» ora Persefone sta urlando, un leggero
rossore si è diffuso
sulle sue guance e gli occhi brillano di rabbia e passione.
«Quella
è anche casa tua, bambina» risponde Demetra
irata.
«No,
fidati, Madre, quella non è mai stata casa
mia!»
«E
invece questa sì? L’Averno non è casa
tua,
Persefone» ed è così sicura mentre lo
dice che la giovane dea della primavera
sente l’impulso di prenderla a schiaffi ed è una
sensazione del tutto nuova,
perché mai ha sentito così tanta rabbia nei
confronti di sua madre.
Abbassa
gli occhi e infila una mano nella tasca del
vestito, in cui riposa un leggero involto di stoffa rossa.
«Ma
potrebbe esserlo» mormora tra i denti a voce
così bassa che Demetra riesce a malapena a sentirla.
«Come
hai detto? Conosci le mie idee sul borbottio».
«Ho
detto» Persefone solleva il capo e la fissa
nuovamente negli occhi, per poi spostare lo sguardo prima su Thanatos
(e sa che
il cenno di approvazione con cui le risponde non se
l’è immaginato) e poi su
Ade, che la fissa a metà tra l’ammirato e il
preoccupato «Ho detto che potrebbe
esserlo».
«Oh,
smettila di dire scemenze, verrai con me a
costo di trascinarti fuori da qui a forza, Zeus!?»
Nessuno
si aspetta quanto accade dopo, Persefone
estrae dalla tasca del vestito un fagotto di stoffa, così
piccolo che nemmeno
le sporge dalla mano, lo apre e di fronte allo sguardo attonito dei
presenti ne
mostra il contenuto: semi.
Quando
Ade si rende conto di cosa sono è troppo
tardi, non fa in tempo ad urlarle di non farlo che già lei
se li è portati alla
bocca e li ha ingeriti; quando la raggiunge i suoi occhi neri mandano
lampi, la
scuote per le spalle e ringhia: «Persefone, cosa hai
fatto?»
«Cos’è?
Ade, cos’era?» domanda Demetra, preoccupata
nel vedere lo scatto d’ira del fratello, perché il
dio dei morti non si infuria
mai, non si agita mai e non lascia mai che le emozioni prendano il
sopravvento.
«Semi
di melograno» mormora l’uomo a mezza voce
«Presi dal mio giardino».
Non
è solo Demetra a impallidire a quella risposta
e un brusio inquieto di domande concitate e proteste sommesse invade la
terrazza, ognuno sembra impegnato a dire la sua; Ade non sente niente,
i suoi
occhi rimangono fissi in quelli di Persefone, che da parte sua si
rifiuta di
interrompere quel contatto.
«Dove
li hai presi?» e la domanda del dio dei morti
è un sussurro roco, si contiene a fatica e la ragazza lo
nota. Scuote il capo,
rifiutandosi di rispondere.
«Si
può sapere che diamine sta succedendo?» domanda
in quel momento Ecate comparendo dall’interno del palazzo, ha
sedici anni e un
brutto paio di leggins zebrati indosso.
Ade la
ignora, ma non Demetra che le si avventa
contro puntatole un dito dorato a mezzo centimetro dal naso.
«Tu!»
esclama furibonda «Sei stata tu! Mi hai
sempre odiato».
«A
fare cosa? Cioè, non sto negando che mi stai sul
cazzo, ma non ho fatto nulla. A meno che tu non stia chiedendo chi
è stato a
spargere il diserbante sulle tue azalee».
«Ti
avevo detto che non ero stata io!» esclama
Persefone da dietro il dio dei morti.
Demetra
la zittisce con un gesto della mano e i
suoi occhi tornano a posarsi sulla donna di fronte a lei.
«Sei
stata tu a dare a mia figlia i semi di
melograno, non è così!?»
«No»
risponde per lei una voce maschile «Sono stato
io».
Thanatos
si avvicina, gli occhi rossi brillano di
sicurezza e spavalderia, non teme nessuno il dio della morte, e non
risponde a
nessuno, nessuno tranne Ade. Appoggia una mano sulla spalla di Ecate e
fissa lo
sguardo sul Re dell’Averno.
«Sono
entrato nel tuo giardino, ho preso uno dei
frutti del tuo melograno e ho dato a Persefone i semi».
«Quanti?»
ruggisce il dio dei morti.
«Sei».
«Ade,
ti prego. Non prendertela con lui» la giovane
dea della primavera gli afferra la mano con le proprie e lo costringe a
guardarla negli occhi «Gliel’ho chiesto io, sapevo
a cosa andavo incontro, ma è
stata una mia scelta».
L’uomo
si libera debolmente dalla presa e si passa
una mano stanca sul volto; lancia un’occhiata disperata ai
fratelli, che
fortunatamente capiscono al volo, ma ancora prima che possano
intervenire è Era
stessa a prendere l’iniziativa.
«Credo
sia il momento di levarci tutti dalle palle,
anche tu Demetra. Vieni cara, ho del Nirvanil nella tasca della giacca
che
credo potrebbe farti bene».
«Lasciane
un po’ anche a me» si lamenta Ade
disperato.
«Tranquillo,
ti ho lasciato del Nottem sul tavolo».
Persefone
osserva le fiamme crepitare nel camino, sono
verdi e fredde e creano strane sfumature di luce sulle pareti; si trova
nelle
stanze di Ade ed è la prima volta che ci mette piede, ma il
dio era così
furioso prima: l’ha trascinata per tutta la reggia,
l’ha fatta entrare e se ne
è andato sbattendo la porta, dicendo qualcosa a proposito
dello sistemare
Thanatos una volta per tutte. E ora lei aspetta.
Cammina
distrattamente per la stanza, osserva i
dettagli, il mobilio e cerca di incamerare ogni informazione; nota come
sia
tutto ordinato, non ci sono vestiti fuori posto, non ci sono
soprammobili che
stonino, né libri o riviste in giro, il portatile che tante
volte a visto nel
bar è appoggiato su una scrivania, nel centro esatto del
piano. Forse è un po’
ossessivo compulsivo, pensa dentro di sé, mentre si affaccia
alla camera da
letto; vorrebbe entrare, ma si limita a osservare il grande baldacchino
da
lontano.
Quando
Ade ritorna ha la cravatta allentata, la
giacca del completo in mano e l’aria stanca di chi
è appena sopravvissuto a un
litigio con un mentecatto.
«Non
ho ucciso Thanatos» esordisce, mentre
Persefone gli va incontro, pensando che quello sia già un
inizio positivo: niente
vittime accidentali.
«Ade,
io-»
«No,
Ade un corno! Hai idea di cosa hai fatto? E
meno male che sono solo sei semi, pensa se avessi mangiato un intero
frutto!»
lancia la giacca sul divano e si volta verso di lei.
«Mi
hai chiesto tu di restare» mormora Persefone
abbassando lo sguardo e lui si sente un verme, perché,
sì, è vero, è stato lui
a dirle che quella sarebbe potuta essere anche casa sua, ma non
intendeva questo.
«Ma
non pensavo a questo prezzo» risponde
avvicinandosi e accarezzandole il viso.
La dea
della primavera strofina la guancia contro
la mano insolitamente calda dell’uomo e sorride.
«Sono
consapevole di quello che ho fatto. Sei semi,
sei mesi. Ho pensato anche di mangiarne di più, ma sono pur
sempre la dea della
primavera e devo fare la mia parte, anche se – lo sai
– quasi tutto il lavoro
lo fa già Gea, con le stagioni».
«Persefone
sono sei mesi chiusa qui dentro, sei
mesi in cui non potrai allontanarti per più di quarantotto
ore; la tua vita è
legata all’Averno ora, ne fai parte».
La
ragazza lo guarda negli occhi e sorride.
«Anche
tu ne fai parte Ade, e ora ne facciamo parte
insieme: sono sei mesi con te».
Il dio
dei morti vorrebbe trovare la forza di
ribattere, di dirle che è sbagliato e che non è
giusto, ma non riesce a farcela,
perché in quel momento si sente come se il cuore dovesse
saltargli fuori dal
petto per dargli del pollo innamorato, ed è felice,
irrimediabilmente felice:
Persefone ha scelto lui.
La dea
gli appoggia le mani sul torace e lascia che
Ade la stringa contro di sé, poi lo fissa negli occhi e
sorride, sollevandosi
in punta di piedi e baciandolo con delicatezza. Un braccio
dell’uomo risale lungo
la sua schiena accarezzandone la linea sinuosa, fino ad immergersi nei
suoi
capelli, mentre l’altro la stringe in vita sollevandola
appena.
Persefone
socchiude la bocca per dargli libero accesso
e Ade non si fa pregare, le morde il labbro inferiore e continua a
baciarla,
lasciando che sia la sua lingua a scegliere il ritmo.
«Wow»
mormora la ragazza quando il bacio finisce.
I suoi
occhi verdi brillano di desiderio e, quando
gli sorride, Ade si trattiene dal ricominciare a baciarla di nuovo,
magari
questa volta trascinandosela addosso da qualche parte: il divano
dovrebbe
essere comodo.
Come se
gli avesse letto nel pensiero Persefone lo
afferra per la cravatta e, camminando all’indietro, con gli
occhi ancora fissi
nei suoi, inizia a trascinarlo verso la camera da letto.
«Ti
ho già detto» gli sussurra con fare sornione
mentre Ade chiude la porta «Che amo le tue
cravatte?».
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