After the end of the world, you can start over? Daryl&Beth... love story

di Schully
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Addio ***
Capitolo 2: *** A volte i miracoli accadono ***
Capitolo 3: *** Ordini da Carol ***
Capitolo 4: *** Il limbo dei ricordi prima parte ***
Capitolo 5: *** Il limbo dei ricordi... parte seconda ***
Capitolo 6: *** Sorelle ***
Capitolo 7: *** La luce in fondo al tunnel... ***
Capitolo 8: *** Anima tormentata ***
Capitolo 9: *** I never give up... ***
Capitolo 10: *** Riportiamo a casa Noha ***
Capitolo 11: *** La meta non è importante, quello che conta è il viaggio... parte prima. ***
Capitolo 12: *** La meta non è importante quello che conta è il viaggio... parte seconda ***
Capitolo 13: *** The truth is better than any lie ***
Capitolo 14: *** Il necrofilo ***
Capitolo 15: *** Non c'è limite al peggio... Il necrofilo parte seconda ***
Capitolo 16: *** And now? ***
Capitolo 17: *** Finché c'è vita c'è speranza ***
Capitolo 18: *** Finché c'è vita c'è speranza parte seconda ***
Capitolo 19: *** Ti fidi di me? ***
Capitolo 20: *** I want to belive ***
Capitolo 21: *** Siamo arrivati? Siamo arrivati? Siamo arrivati?... ***



Capitolo 1
*** Addio ***


 
 

Addio

 
 
 
 
Sei morta. Ed io non ho potuto fare nulla, non ho potuto proteggerti. Lacrime amare solcano il mio viso, mi sento svuotato. A cosa ti è servito insegnarmi a sperare se ora giaci qui tra le mie braccia, fredda come il marmo?
Vedo il dolore negli occhi di Maggie, ed è solo un pallido riflesso di ciò che provo io. E lei è tua sorella, Cristo! Sono stato uno stolto; avrei dovuto farti capire ciò che sentivo quando eri ancora viva, ma non comprendevo bene ciò che provavo, non era nella mia natura sentire amore, non sono mai stato con una donna, cazzo!
Merle ci ha provato, mi ha portato da una sua “amica”, una volta, ma non ha funzionato; ero molto più a mio agio con le donnine delle riviste, almeno loro non blateravano frasi insulse. Appena la puttana aveva cominciato a parlare, io l’avevo zittita in malo modo premendole una mano alla gola; stringendo e guardandola negli occhi l’avevo minacciata che sarei tornato a finire il lavoro se ne avesse parlato con qualcuno. Avevo una reputazione da difendere, non sia mai che il signor Dixon mostri paura o inadeguatezza.
Mi ero defilato dalla finestra e, quando ero tornato, la puttana mi aveva retto il gioco, decantando le mie arti amatorie. Merle era troppo ubriaco per fare domande.
Quindi, Beth, come vedi, in questo sono uguale a te, ero uguale a te, mi manca l’esperienza e tu ti sei intrufolata così lentamente dentro di me che ora sono devastato e mi manca l’aria. Sei stata come la pioggia leggera di primavera che ha lavato via la merda che c’era prima nella mia vita. Con te mi sono sentito un uomo migliore. Ti guardo, il rossore non ha ancora abbandonato le tue guance e la tua bocca è piegata in un leggero sorriso.
Sembri così serena... Avrei voluto assaggiare le tue labbra una volta, sentire se erano davvero morbide e calde come immaginavo.
È come se la morte volesse mantenerti bella e intatta per lei. L’oscura signora ha posato il suo lurido sguardo su di te e, vedendoti così bella e pura, ti ha voluto con sé. “Maledetta”, ti ha circuita e tu ti sei lasciata prendere.
Perché te ne sei andata? Perché mi hai lasciato solo?
Tu mi hai insegnato ad amare, ora cosa sono senza di te? Non sono nulla. Ti ho adagiato sull’asfalto freddo e mi sono inginocchiato al tuo fianco; sento la mano di Rick sulla spalla, so che vuole confortarmi, ma non esiste conforto senza di te. Vedo la testa di Maggie sussultare sul tuo petto.
Avevi ragione, ragazzina. Cazzo, sì che ce l’avevi.

 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 


Ti osservo: sei diventato uno splendido uomo. Mi dispiace che il destino sia stato così crudele con te da giocare con la tua vita e con i tuoi sentimenti, da farti scoprire l’amore così tardi e portartelo via così in fretta, ma ora lo vedo, vedo quello che ha fatto la piccola Green, vedo l’uomo che ti ha fatto diventare e un po’ ne sono gelosa, ma non in modo malizioso; ne sono gelosa come lo sarebbe una madre che non considera nessuna ragazza degna del proprio figlio maschio.
Ma Beth era degna di te, fin troppo, e questo mi fa male. Avete rischiato tutto per salvarci, io sono viva mentre lei… lei…
Mi domando che senso abbia tutto ciò. In fondo, io ho vissuto, mi sono sposata, ho avuto una figlia e, in un certo senso, la mia vita è stata completa.
Beth aveva appena cominciato a vivere, cazzo! Perché, Dio, hai preso lei e non me? Quale gioco perverso hai in mente per farci patire tutto questo? Ti sei già preso la mia Sophia: non ti bastava? No, hai voluto anche Lizzie e sua sorella. Ed ora ti sei preso anche Beth. Credo che tu non sia il padre amorevole che narrano i Sacri Testi; no, decisamente non lo sei.
Sei un gran bastardo!
Li osservo, vedo tutti loro: Rick e Glenn cercano di essere forti, di sostenerci, ma li vedo provati come non mai e tu, Daryl, sembri un fantasma, dai tuoi occhi chiusi continuano a scendere lacrime silenziose, sei pallido, le tue spalle sono curvate dal peso che porti nel cuore. So come ti senti, lo so bene.
Vorrei poter prendere il tuo dolore, quello di Rick, quello di Maggie e farlo sparire, buttarlo via, in un posto dove non possa più tornare per farci del male. Purtroppo non ho questo potere. Mi accorgo che nessuno si occupa più della piccola Beth; troppo devastati per muoversi, riescono solo a piangere.
È ancora lì dove l'ha depositata Daryl, sembra una bambola di porcellana, il volto pallido chiazzato di rosso e quegli occhi azzurri così grandi e sgranati su di una verità terribile. Devo fare qualcosa, perlomeno ricomporre il suo corpo, ripulirlo dal sangue che continua a uscire in maniera regolare dalla sua ferita. Ma? Un…. un momento, i cadaveri non sanguinano…
 
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

Dawn è venuta a dirci che il nostro gruppo è venuto a negoziare la nostra liberazione; ne sono così felice che riesco a malapena a sentire il rantolo di Carol che sussurra:
«Daryl ce l'ha fatta!!» Fanculo ospedale di merda, finalmente me ne andrò da qui! Poi la mia mente registra veloce il secondo particolare “Daryl… mi ha trovato”.
Quasi, quasi non ci credo, sembra il lieto fine che tanto mi piaceva nelle favole da bambina. Il mio cuore sussulta nel ricordare particolari del suo viso, la barba incolta, quegli occhi così profondi che sapevano leggermi meglio di chiunque altro. Nonostante tutto quello che è successo da quando mi hanno rapita lo rivedrò, finalmente.
Il mio più grande rimpianto è quello di non aver posato le mie labbra sulle sue quando ne ho avuto l’occasione. Oh, al diavolo i perbenismi!
Da quando l’ho visto la prima volta alla fattoria, ho sentito un brivido, poi alla prigione l’ho conosciuto meglio e quando siamo dovuti scappare da soli, mi sono totalmente e perdutamente innamorata di lui. Fanculo le regole del “è più vecchio di me e bla, bla, bla…” Siamo in una fottuta apocalisse zombie, chi può biasimarmi?
Quella notte alla capanna avevo pianificato tutto, l’avevo costretto a giocare a quello stupido gioco del “non ho mai…” per fare la mia mossa. Credevo che con un po’ di alcol in corpo tutto sarebbe stato più facile. Mi ero sbagliata, la situazione mi era sfuggita di mano, ma forse proprio grazie a questo avevo conosciuto un lato del carattere di Daryl che altrimenti mai mi avrebbe mostrato.
Era stato anche un po’ stronzo a dirla tutta, però dovevo ammetterlo con me stessa, era anche questo che mi piaceva di lui, il fatto che fosse consapevole di essere un bastardo ma che cercasse di migliorarsi. E poi Dawn ha parlato di gruppo; forse anche Maggie e Glenn sono ancora vivi, forse li rivedrò tutti, chissà. Carol si è appena svegliata. Non ha avuto modo di parlarmi, non so cosa devo aspettarmi, sicuramente ci saranno state delle perdite; ma non so né chi, né come, né quando. La certezza però di sapere che Daryl è vivo mi rasserena; una frase mi ronza in testa e mi scappa un ghigno:
“Comunque vada sarà un successo.”
 
Eccoci, ci siamo finalmente. Sono un po’ in ansia, mi sudano le mani. Stringo le nocche intorno ai pomelli della sedia a rotelle di Carol, fino a sbiancarle. Alzo gli occhi e vedo Rick e gli altri che conducono la trattativa: Noah è alle spalle di Daryl, si è messo in salvo, ne sono molto felice. Carol raggiunge il gruppo e il primo poliziotto torna da questa parte. Per ora tutto bene, adesso tocca a me.
Confesso che sono ancora più nervosa, sento la forbice che ho nascosto nel gesso pizzicarmi la pelle, ma per farmi coraggio non mi concentro su di lei, ma punto il mio sguardo negli occhi di Daryl.
I suoi occhi non lasciano i miei nemmeno per un minuto e percorro questo breve tratto di corridoio senza neanche accorgermene. La mano di Rick protettiva è la prima che mi accoglie, ma è quella di Daryl che io bramo e mi afferra ancora prima che io finisca il pensiero. Sento che gli scappa un:
«Sei qui!» Nascosto da uno sbuffo. È andato tutto bene, sono a casa, il suo braccio caldo si posa sulle mie spalle e il suo odore invade le mie narici; sa di sporco ma tutti ormai abbiamo questo odore, è la vita a zombieland che ci ha donato questa nuova fragranza. Nonostante questo, però, sotto sotto riesco a sentire l’odore della sua pelle ed è così inebriante che me ne nutro.
Ancora non ci credo, è troppo bello per essere vero. Se c’è una cosa che ho imparato in questo mondo di merda è non fidarsi mai troppo. Dov’è la fregatura? Dawn, come volevasi dimostrare, fa la sua mossa, chiede indietro Noah, ma allora?
Quello che mi ha detto, le confidenze, quello che ho fatto per lei, a cosa è servito? Ho ucciso un uomo per lei… perché credevo che volesse migliorare le cose, che fosse dispiaciuta degli stupri e dei pestaggi, ma non è così, a lei interessa solo il potere, mi sono sbagliata.  
No, le cose non possono tornare come prima. Anzi, forse dopo che me ne sarò andata peggioreranno ulteriormente. Non posso permetterlo, la pelle del polso a contatto con la forbice brucia, come a volermi ricordare la sua presenza.
Ora so cosa devo fare:
«Adesso lo capisco» dico a Dawn, prima di affondare la punta della mia arma improvvisata nella sua carne. Lo confesso, miravo alla gola ma ho mancato notevolmente il bersaglio. Lo sparo mi ha colta alla sprovvista.
 
Dolore.

Intenso.

Fortissimo.

Bruciante.

Il buio più completo mi avvolge.
Mi consuma dentro fin nell’anima. Credo che cederò, e poi laggiù vedo una luce bianca, così invitante e così calda e familiare che… sì, credo proprio che la seguirò. Si sta così in pace qui, il dolore si è attenuato, la luce quasi mi culla… però… c’è qualcosa di fastidioso che mi ronza in testa; non riesco a capire. Sembra una voce e, più mi concentro sul suono, più ne vengo a capo:
«Beth» È il mio nome, qualcuno mi chiama…. cosa?
«Beth» la voce si fa più intensa, la riconosco anche se è carica di un dolore che la distorce: è la voce di Daryl e, se la sento, vuol dire che non sono morta. Continua a parlare, guidami da te.
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

«Daryl, ascoltami, il suo cuore batte, sta sanguinando, i cadaveri non sanguinano» non capisco cosa cerchi di dirmi Carol, finché le sue mani non mi guidano al centro del petto di Beth e lì se pur flebile sento un battito.
 
 
Continua se vi piace l’idea se no rimarrà una one shot
 
 

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Capitolo 2
*** A volte i miracoli accadono ***


A volte i miracoli accadono
 
 
 
Non posso crederci, è viva! La mia Beth è viva: il battito del cuore è lieve, il respiro appena accennato ma c’è. La stringo forte al petto mentre ho un attimo di panico. Il mio cervello non ragiona di fronte a tutto questo; so che devo aiutarla ma sono bloccato. È Maggie che prende in mano la situazione. Alzandosi in piedi si asciuga le lacrime e mi guarda negli occhi, dicendomi risoluta:
«Torniamo lì dentro, loro potranno aiutarla.» È così ovvio... “Come ho fatto a non pensarci? Sveglia Daryl!”, penso scuotendo il capo. Rick e gli altri ci seguono, il loro sguardo è di nuovo pieno di speranza. L’ex vicesceriffo mi fissa e sorridendo mi dice:
«Andrà tutto bene, vedrai, a volte i miracoli accadono.»
Il Dr. Steven Edwards ci accoglie all’ingresso e nei suoi occhi colgo la tristezza e la paura di qualcuno che non ha più niente da perdere, ma ora non ho tempo per i suoi problemi. Lo fisso con astio e quasi urlando gli dico che Beth è viva. Lui sgrana gli occhi incredulo, prima fissa me, poi il suo sguardo si posa sul capo di Beth.
«Sta sanguinando… non posso crederci» dice. Chiama a raccolta i suoi che vengono con una barella, io adagio piano Beth sul lenzuolo immacolato e il Dr Edwards si china su di lei per esaminarla meglio. Lo afferro per un braccio:
«Vedi di non fare cazzate, dottore, o te ne farò pentire» sibilo ad un passo dal suo volto; lui si limita a deglutire e, abbassando lo sguardo, risponde:
«Farò del mio meglio!» Spingendo la barella, sparisce in fondo al corridoio: sento che sta dando ordini ai suoi assistenti. Non posso fare altro, mi accascio contro il muro e vado come in trance.
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 
 
Sono stanca, così stanca e sento male dappertutto... dove mi trovo? Che mi sta succedendo? Non riesco a muovermi, è tutto così dannatamente buio, mi sento soffocare. Il buio è denso che mi inghiotte, sto affogando, ho paura, qualcuno mi aiuti! Qualcuno mi aiuti, vi prego, aiuto. Il mio cervello riesce solo a pensare a queste parole, per un tempo interminabile.
Poi riesco a percepire dei cambiamenti nel mio corpo, il dolore sordo che mi invadeva sta cambiando forma e direzione, è diventato pulsante ed è concentrato nel mio cranio, sembra quasi che mi abbiano sparato. “Dio che male”. È tutto così confuso, non può essere successo per davvero... O sì?
Il buio piano, piano si dissipa intorno a me, sento che ho gli occhi chiusi e la luce che intravedo filtra attraverso le mie palpebre abbassate, però non ho forza a sufficienza per alzarle. Forse se sto un po’ qui e mi riposo le forze mi torneranno. Inoltre così avrò del tempo per riflettere su quello che mi è successo; sicuramente ho avuto un incidente e, dal dolore che sento, deve essere stato grave. Chissà come saranno preoccupati papà e mamma, senza contare Maggie. Se l’hanno fatta tornare a casa dal college per questo, la sua ira sarà devastante.
Non mi resta che cercare di ricordare quello che mi è successo e trovare una spiegazione plausibile al perché io abbia la capacità innata di attirare catastrofi.
La testa mi fa troppo male però, e non riesco a pensare. Sento una puntura nell’incavo del braccio destro, un umore freddo mi percorre le vene risalendo verso l’alto, pochi secondi e mi addormento.
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

La stanza è in penombra, il bip del monitor cardiaco, segnale che il cuore di Beth batte con regolarità, riempie la stanza. Normalmente lo troverei fastidioso ma ora è musica per le mie orecchie stanche. Daryl dorme con il capo appoggiato sul letto di Beth, la sua mano stringe protettiva quella più piccola e minuta della ragazza in coma farmacologico, stesa sul letto davanti a me. Mi appare così fragile in questo momento, ma so che è cambiata molto, so che troverà la forza di lottare per tornare da tutti noi. Soprattutto da lui.
Il Dr. Edwards si avvicina:
«Vice sceriffo…»
Alzo gli occhi e la mia espressione gli dice che può continuare a parlare:
«Come ben sa l’operazione è riuscita perfettamente; è stata molto fortunata, come ho spiegato a suo…»
«Mio fratello!» Taglio corto io guardando Daryl che continua a dormire.
«Bene, come dicevo, è stata molto fortunata. Se per assurdo, si potesse scegliere dove farsi sparare in testa, sarebbe auspicabile farsi sparare in fronte. L’osso frontale è una delle ossa più spesse e dure che abbiamo: questo, unito alla traiettoria fortunata che ha assunto il proiettile una volta entrato in contatto con il suo cranio, ha fatto sì che si salvasse; purtroppo però, sia prima che durante l’operazione, l’emorragia è stata molto estesa. Non posso sapere se abbia dei deficit permanenti. Per avere delle risposte dovremmo svegliarla, però io ritengo che sia ancora prematuro; credo che dovremmo dare al suo cervello ancora un po’ di riposo, il trauma che ha subito è stato notevole. Anche se so che siete tutti provati e che sono passati due giorni dall’operazione e che volete delle risposte, credo che sia meglio per Beth rimanere sotto sedativi per altre settantadue ore.»
«Se questo è ciò che prescrive il medico, credo che non abbiamo alternative» rispondo. «Ma perché l’ha detto a me? Daryl è sempre stato qui: poteva diglielo in qualsiasi momento.»
Mentre prende nota della pressione di Beth mi risponde:
«Perché quando ho provato a spiegarlo è andato su tutte le furie e mi ha cacciato in malo modo dalla stanza. Confido che lei saprà presentagli i fatti in modo migliore. Buongiorno.» Con passo svelto si defila.
«Pensavo che non la smettesse più di blaterare, quel dottore da strapazzo» mi volto e vedo che Daryl è sveglio e mi osserva mentre si stiracchia sulla sedia:
«Cosa ne pensi Rick? Dovremmo fidarci?»
«Non lo so, però che alternative abbiamo?» Rispondo con sincerità; il mio amico fa segno di sì con la testa. Non c’è altro da fare.
Aspettiamo.
 
Continua….
 
Allora vi piace? Critiche suggerimenti? Cosa vorreste vedere… sono aperta a tutto baci baci alla prox J
 

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Capitolo 3
*** Ordini da Carol ***


 
Ordini da Carol
 


La stanza finalmente è silenziosa, a parte, ovviamente, la strumentazione medica che continua a produrre il suo suono indisturbata. Beth dorme ancora sotto l’effetto del coma causato dai farmaci, che permetterà la guarigione del suo cervello. Per un attimo ho pensato che le urla di quei due potessero svegliarla, invece non è accaduto. Non so se ridere o se piangere. Daryl e Maggie sono diventati estremamente competitivi nel prendersi cura di Beth...
Ridacchio nervosamente al pensiero che ho dovuto letteralmente buttarli fuori dalla stanza, per costringerli ad andare a riposare, mangiare qualcosa, insomma darsi una ripulita. Sono abbastanza certa che Maggie mi ubbidirà mentre su Daryl ho i miei dubbi. Delle settantadue ore che ha prescritto il medico, ne sono passate circa sessanta e loro due, a fasi alterne, si saranno allontanati per non più di cinque. Sono esausti; avevano bisogno di riposo e io ho dovuto usare le maniere forti. Rick arriva alle mie spalle, silenzioso come un gatto:

«Sono appena tornato da una ricognizione dei dintorni. Se dobbiamo stare qui per un po’ è meglio rendere questo posto ancora più sicuro. L’agente Lerner era troppo disinvolta con la sicurezza esterna, troppi erranti lasciati liberi di vagare, e quindi abbiamo ripulito il seminterrato e il primo cortile, la recinzione è stata controllata e i cancelli ben chiusi. Tyreese si sta occupando dei corpi e io stavo andando da Carl quando ho incrociato Daryl sulle scale… che è successo? Sembrava piuttosto… ehm… come dire…»
«Di’ pure incazzato nero! L’ho cacciato, li ho cacciati tutti e due, lui e Maggie; sono distrutti, Rick, cercano di non darlo a vedere, ma io so come si sentono…»
«Lo so anch’io, cosa credi? È il senso di colpa dei sopravvissuti e non se ne libereranno tanto facilmente» mi risponde lui con il volto tirato in una smorfia, che è solo il ricordo del sorriso che una volta ci infondeva speranza.
 «Comunque in quelle condizioni non erano utili a nessuno, né a loro, né ha lei. Finiranno con l’ammalarsi, o peggio. Cosa pensi che accadrebbe se al suo risveglio Beth li trovasse in quelle condizioni? Come pensi che si sentirebbe? Stavo solo cercando di limitare i danni» dico facendo spallucce. Rick mi guarda con i suoi profondi occhi azzurri e so che mi ha capito; senza parlare allunga una mano e me la posa su una spalla, all’attaccatura del collo, poi afferra la mia nuca delicatamente ma con decisione.  So che sta cercando di infondermi sicurezza, i miei occhi si inumidiscono e non posso farci niente. Silenziosa annuisco e Rick mi fissa ancora per un paio di secondi prima di andarsene silenziosamente come è venuto.
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

Non posso crederci! Non posso crederci, lei… Carol che da oggi ho deciso che chiamerò, perlomeno nei miei pensieri, “la stronza” mi ha cacciato dalla stanza di Beth, la mia Beth! Non posso crederci. Sono talmente incazzato che prendo a calci tutto quello che mi trovo sotto tiro: vecchi scatoloni vuoti, montagne di spazzatura.
Sono uscito dalla porta d’ingresso, la stessa porta che mi ha visto entrare quattro giorni fa con Beth esanime tra le braccia, mi siedo sui gradini rovistando nelle tasche del mio gilet e trovò quello che cerco; l’ultimo pacchetto di Morley bianche che ho rubato a Noah, il giorno in cui l'ho incontrato, il giorno in cui grazie a quel ragazzo storpio avevo saputo che Beth era viva.

La mia ragazzina, regina delle cause perse... la prova ero io, no? La causa più persa di tutte. Si era sacrificata perché Noah scappasse, due volte; lo storpio me l’aveva raccontato, il loro piano di fuga. Risultato: lui era vivo e vegeto e lei era in un letto d’ospedale in coma, come se la vita non facesse già abbastanza schifo, con gli zombie e tutto il resto.
Perfetto!

La prima boccata di nicotina è salutare per la mia mente agitata e stanca; mi riporta al presente, non riesco a star seduto, sono troppo nervoso, mi alzo e comincio a camminare avanti e indietro come un felino in gabbia. Tyreese è distante da me perché sta bruciando dei cadaveri vicino al lato sud del cortile, Sasha lo sta aiutando e so che mi hanno visto, ma credo che dal mio comportamento trasparisca la voglia di essere lasciato in pace, infatti così fanno. Sarò grato loro in eterno per questo. Ora come ora potrei esplodere, tanta è la rabbia che provo, e la cosa che irrita di più è che non so nemmeno io per cosa essere arrabbiato.
Ci sono così tante cose che mi fanno perdere la ragione… La prima è Beth, piccola coraggiosa Beth, che vuole vedere sempre il buono in noi: cosa cazzo voleva fare con quelle forbici per unghie? Stupida, insensibile piccola ingrata, come si era permessa di buttare via la sua vita così? Se voleva salvare Noah, ne avremmo potuto parlare e avremmo trovato un modo. Era stata stupida ad aver agito senza pensare, insensibile perché non aveva pensato a me, a cosa ne sarebbe stato di me se le fosse capitato qualcosa e ingrata perché, nonostante tutti gli sforzi fatti per salvarla, si era buttata tra le braccia del nemico quasi come una pecora al macello.

Dio, sono così arrabbiato che ti conviene stare in coma ancora per un po’, ragazzina, perché se ti avessi qui tra le mani ora, penso che con le stesse ti strozzerei. Poi “la stronza” mi ha sbattuto fuori, questo è il secondo motivo dell’incazzatura. Dovresti sapere, Carol, quello che provo per lei. Dici sempre che mi conosci alla perfezione, sai che ho fallito due volte, non l’ho protetta, quindi perché mi hai fatto questo, “stronza”? Devo starle accanto, sempre.
Se non lo faccio capitano catastrofi. La sigaretta è arrivata fino al filtro, me ne accorgo perché esalando l’ultima voluta di fumo, mi scotta un po’ le dita. L’afferro tra l’indice e il pollice e la lancio lontano, poi ne accendo un’altra. Nonostante la stanchezza, sia fisica, sia mentale, non riesco a smettere di muovermi; sembro un’anima in pena.
Vorrei restare, vorrei andarmene.

Non c’è soluzione, sono in trappola.

Devo tornare nella tua stanza. “La stronza” potrà sbraitare quanto vorrà, ma fino a che non ti sveglierai, starò al tuo fianco. La mia coscienza, che ultimamente per farsi sentire ha preso a parlarmi con la tua voce, mi dice:

«Sai benissimo perché Carol ti ha cacciato»
«No! Non è vero» tento di ribattere ma è una battaglia persa in partenza, infatti la voce di Beth continua inesorabile:
«Sai benissimo che ha ragione. Guardati, non ti reggi in piedi; io che sono in coma ho un aspetto migliore del tuo. Sai benissimo che Carol ha ragione, quindi smettila di chiamarla “la stronza” perché sai benissimo che non lo è; e che parla solo per il tuo bene.» Non posso di certo litigare con me stesso e con il mio subconscio che ha dei modi molto subdoli per farmi reagire. Usare la voce di Beth... Sono diventato uno smidollato, Merle mi riderebbe in faccia ma lui non è più qui, quindi…
È stato confortante parlare con lei ancora una volta, anche se è stato solo nella mia mente; credo che per una volta le darò ascolto, almeno sul cercare di riposarmi un po’. Sul fatto che smetterò di chiamare Carol “la stronza” non lo so… ci devo pensare; una piccola vendetta potrò almeno prendermela?
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

Judith piange, ha fame ma fortunatamente l’avevo previsto e il biberon con il latte è quasi pronto. Sono diventato proprio un bravo fratello maggiore e riesco quasi sempre a prevedere i suoi bisogni; se la mamma fosse viva credo che sarebbe fiera di me. Controllo la temperatura del latte facendo cadere un paio di gocce sul polso, come mi ha insegnato Carol. Judith sbraita, ha proprio fame:
«Arrivo, piccola, ecco qua! La pappa…» dico enfaticamente.  La mia sorellina si attacca al biberon e comincia a succhiare avidamente. Mi è mancata moltissimo, non mi stancherei mai di guardarla e poi più cresce, più somiglia alla mamma e mi sembra quasi di averla ancora vicino. Papà è appena rientrato da un giro d’ispezione; è stanco, non solo fisicamente. Lo vedo, anche se so che non me ne parlerà perché mi ritiene ancora immaturo e forse ha ragione. È andato a trovare Beth. So che è preoccupato, lo siamo tutti, lo sono anch’io. Mi manca. So che per lei sono solo un ragazzino, qualcuno a cui badare, ma è l’unica amica oltre a Daryl che ho. L’unica che non mi tratta come un “bamboccio”, l’unica che mi rispetta; ricordo ancora come, un giorno, alla prigione, un topo idrofobo era saltato fuori dall’armadio delle scope e Beth con un urlo si era nascosta dietro le mie spalle, affondando il viso nella mia schiena:
«Che schifo!! Odio i topi, Carl, fa' qualcosa ti prego!» Mi ero sentito così forte allora, così “uomo”; lei si era affidata a me perché la proteggessi. Certo, il nemico era un misero ratto rabbioso, ma per me era come se avessi sconfitto Ercole. Solo con uno sguardo era capace di farmi sentire come se fossi un eroe. Il mio primo amore, così l’avrebbe chiamato la mamma, e credo che avrebbe avuto ragione; quel giorno il contatto del suo corpo contro il mio mi aveva fatto arrossire fino alla radice dei capelli. Michonne che se ne era accorta mi aveva preso in giro per una settimana intera. Che vergogna! Come mi ero offeso! Mi sembra tutto così stupido ora e non so che pagherei per riavere la serenità che avevamo alla prigione, comprese le prese in giro; da quando abbiamo perso il nostro rifugio tutto è andato di merda.
Vorrei far resuscitare il Governatore per ucciderlo di nuovo.


Che rabbia! È tutta colpa sua!

Ci siamo dovuti dividere; per settimane io e papà non abbiamo saputo niente di Judith e degli altri. È stato terribile non sapere, crederla morta, e ora capisco come deve essersi sentito Daryl, quando Beth è stata rapita. Papà si è addormentato come un sasso; è proprio sfinito. Un inserviente dell’ospedale passa a salutare. Judith ha conquistato tutti. In fondo al corridoio vedo Daryl arrancare verso l’alloggio che gli hanno assegnato. Sembra invecchiato di dieci anni in un colpo solo, non l’ho mai visto così, ha gli occhi spiritati e il passo stanco.
Vorrei potergli essere d’aiuto ma sono solo un bambino: come posso levare il peso che si porta sul cuore? Daryl si avvicina e mi posa una mano sul capo, in una carezza leggera. Judith allunga le manine paffute verso il suo viso e appena lo tocca comincia a emettere dei gorgoglii soddisfatti con la bocca e a smaniare per andare tra le sue braccia. Le piace proprio Daryl. Hanno instaurato un rapporto speciale. D’altronde l’ha soprannominata “spaccaculi” e un motivo ci sarà, no? Un risolino divertito mi scappa e mi guadagno un’occhiataccia dall’arciere, tsk! Gli adulti... Goditi le piccole cose, dico io. Judith è inarrestabile; vuole proprio andare in braccio a Daryl e non ho modo di calmarla. Faccio un ultimo tentativo:

«Lascialo stare, Judith, fai la brava, non vedi che Daryl è stanco?» La cullo tra le braccia. Dopo mangiato, di solito, tempo una mezzora e si addormenta, ma Daryl fa spallucce e allunga le braccia per prendere mia sorella.
Sembra quasi ne abbia bisogno.

«La piccola spaccaculi non mi disturba mai» dice con un sorriso mesto. Judith appena si trova tra le sue braccia appoggia il capino sulla sua spalla e con una manina si mette ad arrotolare i capelli ormai lunghi di Daryl su un dito. Daryl la lascia fare nonostante, con i suoi ditini, gli stia letteralmente strappando delle ciocche di capelli, che a furia di essere arrotolati si sono annodati. Judith sbadiglia perché è l’ora della nanna. Sto per riprenderla ma l’arciere mi anticipa e si sdraia sul letto, tenendola tra le braccia:
«Tranquillo, sono ancora in grado di farla addormentare» mi dice e, non so perché, ma mi sento di troppo. Credo che ora Daryl abbia bisogno di mia sorella. Nel suo piccolo sa già rendersi utile; mai soprannome fu più azzeccato. Mi allontano silenzioso. Andrò a prendere una boccata d’aria.

È passata poco più di un’ora e dormono tutti della grossa. Il volto di Daryl è finalmente rilassato, Judith tiene ancora la sua manina ancorata ai suoi capelli e sembra quasi lo voglia trattenere… Che pensiero stupido. È troppo piccola per capire… Un sorriso mi si stampa sul viso: 

“Mia sorella la piccola spaccaculi!”
 
Continua….

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Capitolo 4
*** Il limbo dei ricordi prima parte ***


Il limbo dei ricordi... parte prima
 
 
Da quando quell’ago mi ha punto è passato un po’ di tempo, non sono del tutto consapevole di quanto, ma so che le lancette dell’orologio si sono mosse in avanti. Inizialmente rimettere insieme i pezzi è stata dura però credo di aver fatto un buon lavoro, tutto sommato. Mi chiamo Beth Green, ho circa vent’anni, almeno credo… Sono nata il 30 novembre... il mio compleanno è già passato? Non lo so.
Vado nuovamente nel panico.  

Concentrati su quello che sai, mi dico. Ricomincio da capo, mi chiamo Beth Green, ho circa vent’anni, sono nata il 30 novembre, mio padre, mia madre e mio fratello maggiore sono morti, non so ancora bene come e non sono del tutto certa di volerlo sapere, la nebbia non si è dissipata del tutto. So che è successo qualcosa di brutto, qualcosa di così terribile che ha cambiato tutti noi, me compresa, e che ha lasciato una traccia indelebile nel mondo.
Me lo sento nelle ossa! Qualsiasi cosa sia quella che ci ha devastato, io e Maggie le siamo sopravvissute. Sul fatto che mia sorella potesse sopravvivere a qualsiasi cosa non avevo dubbi, ma sul fatto che potessi sopravvivere io? Ah ah, questa sì che è una gran sorpresa.
Ho sentito la voce di Maggie più volte accanto a me, l’ho sentita fare discorsi strani, molto strani, a cui non ho saputo dare un senso e poco fa, almeno credo che sia poco fa, perché la mia percezione del tempo è difettosa, l’ho sentita farmi una carezza, prima che fosse cacciata dall’altra voce. Ci sono varie voci che mi fanno visita, le sento intorno a me e credo che per distinguerle darò a ognuna un soprannome. Per esempio questa voce, quella che ha cacciato mia sorella in malo modo, ho deciso che la chiamerò “il coraggioso”, non chiedetemi perché! M’infonde quel non so che e ogni volta che la sento i battiti del mio cuore aumentano d’intensità, almeno io credo sia così.
I bip che sento intorno a me non confermano mai la mia ipotesi.  Lui, Maggie e quella che ho soprannominato “la mamma”, per il tono materno che assume con tutti, sono quelli che trovo accanto a me più spesso durante i miei brevi periodi di lucidità. Non che io riesca a mostrarlo: nonostante i miei sforzi, il mio corpo resta inerme. Credo sia colpa dei sedativi che continuano a iniettarmi. Spero che alla lunga servano a qualcosa perché, ora come ora, mi fanno sentire come una medusa in balia della corrente.

Gli altri che mi fanno visita sono “il capo”, “il furbetto”, “il tranquillo” e “il ragazzino”, non sempre in quest’ordine. I soprannomi mi sono venuti istintivamente. Bene, Beth, prendi nota, potrebbe tornarti utile. Vorrei poter dar loro un volto e un nome oltre che una voce. Anche se oltre alle loro voci non conosco nulla di loro, so dentro di me che sono brave persone, che mi vogliono bene; lo percepisco dal tono preoccupato che usano quando parlano di me. Devo riuscire a tornare, devo combattere.
La voce del dottore dice a qualcuno accanto a me di iniettarmi nella flebo un’altra dose di un farmaco di cui non afferro il nome e aggiunge che il mio corpo ha bisogno di una dose di sedativi maggiore. L'altro risponde che il farmaco è finito ma c’è l’equivalente che tenevano di scorta e il dottore risponde con:
«Procedi.» Sento nuovamente l’umore freddo che percorre le mie vene, ma questa volta l’annebbiamento non arriva, anzi, sento caldo, dannatamente caldo. Troppo caldo, oddio, il mio corpo brucia… Vado a fuoco, brucio, aiuto. Mi sento scossa da spasmi sempre più intensi, la gola è gonfia, non riesco a respirare… soffoco. Le ultime parole che sento sono:
«Codice blu. Portate un carrello.» E il bip del monitor che si fa continuo…
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

Beth mi guarda con la sua faccia da schiaffi. La coda le si è sciolta e ciocche color dell’oro le incorniciano il viso, ha le guance arrossate dall’alcool, gli occhi lucidi ed è bella come non mai. Siamo in questa capanna a bere liquore clandestino già da un paio d’ore e la mia mente sta cominciando a fare voli strani, su quanto mi piacerebbe assaggiare le sue labbra. Sono così rosse e sembrano così morbide, invitanti. Cristo, Dixon, datti una regolata. È poco più che una ragazzina e tu sei un fottuto pervertito, continuo a ripetermi. Hai vent’anni più di lei, rilassati. Ma i miei occhi non possono fare a meno di dardeggiare sulle sue labbra da quando le stesse hanno pronunciato quella cazzo di frase:
«Facciamo un gioco? Lo conosci il gioco del 'non ho mai'?»
«No!» Rispondo e intanto penso che ce l’avrei io un giochino da fare con te, cara la mia Beth. Sarò inesperto ma sono pur sempre un uomo, e che cazzo! O meglio, ora come ora, mi sento come un fottuto adolescente e ho gli ormoni talmente incazzati che credo che se un errante mi mordesse adesso, non sarebbe lui ad ammazzare me ma io a resuscitare lui. Eccola qui, la cura al morbo del secolo: “Gli ormoni incazzati di Daryl Dixon”. Oddio, sto messo proprio male, penso trangugiando l’ultimo sorso di liquore.  Mi alzo e guardandola le rispondo:
«Beth, adesso non ho proprio voglia di giocare.» Ecco, bravo, scappa, fai marcia indietro. Mi alzo e faccio per allontanarmi ma la piccola e ostinata Green mi segue; io arretro e lei mi barcolla di fronte per via dell’alcool. La capanna è così piccola che le mie possibilità di fuga sono limitate e sembra quasi che stiamo giocando ad acchiapparella al rallentatore. Gli occhi di Beth brillano di una luce maliziosa:
«Dai, Signor Dixon, hai paura di un giochino innocente? Proposto da una ragazzina come me?» Mi guarda con un sorriso strafottente.
Non le rispondo ma mi limito a fissarla fino a che le mie gambe non sbattono contro il divano semidistrutto, e lei, ghignando soddisfatta, mi dice:
«Sei in trappola!» Non mi dà il tempo di fare nulla che mi si butta addosso facendoci cadere entrambi sul divano, io sotto lei sopra, ops. Una molla del divano si pianta nelle mie scapole, ma gli occhi di Beth sprofondano nei miei ammaliandomi, non facendomi sentire più nessun dolore... Così non va bene, no, decisamente, non va bene! Beth continua a ridere e a cercare di farmi il solletico, cazzo, ci sta pure riuscendo, ha trovato il posto segreto; quello con cui mi torturava Merle quando eravamo bambini. Tra una risata e l’altra riesco a bloccarle le mani dietro la schiena ma ora che non ha più sostegno, il suo petto si abbatte sul mio e la sua bocca è sempre più vicina. L’ultima risata le aleggia sulle labbra:
«Daryl...» Istintivamente lascio le sue mani, conscio della situazione piuttosto imbarazzante; sento la morbidezza del suo seno attraverso la stoffa della mia camicia sgualcita, ed è dannatamente eccitante. Contrariamente a quanto avevo sperato e pensato, Beth non si sposta dalla sua posizione, anzi, si limita a posare le sue mani ai lati della mia testa, continuando a guardarmi fisso con quei suoi occhi azzurri che sanno infondermi speranza:
«Daryl...» mi chiama ancora, si avvicina di più…
«Beth...» ancora di più… sento il suo fiato dolce che mi solletica la pelle, così è troppo, mi stai tentando dannatamente e lo sai! “Al diavolo tutto, io ti bacio, ragazzina, magari mi tirerai uno schiaffo, magari sarà sbagliato, ma non m’importa.”
«Daryl…» dice chiudendo gli occhi e li chiudo anch’io…
«Daryl... Daryl… svegliati! Daryl...» qualcuno mi scuote violentemente.
Apro gli occhi di scatto. Cazzo, era solo un sogno, un bel sogno. Non era andata davvero così, magari se fosse successo a quel modo le cose sarebbero diverse ora.
La piccola spaccaculi dorme ancora appoggiata al mio petto; la sposto delicatamente sul letto e mi alzo scoprendo che la testa mi pulsa dolorosamente. Rick e Carol sono di fronte a me e hanno l’aria di chi deve dare una brutta notizia ma non sa come farlo:
«Avanti, sputate il rospo, che è successo questa volta?» Alterno il mio sguardo dall'uno all’altra, e alla fine è Rick a rispondermi:
«Le hanno dato un sedativo diverso dal solito e le ha causato una reazione allergica... Le sue condizioni si sono aggravate.»
 
Continua…
 

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Capitolo 5
*** Il limbo dei ricordi... parte seconda ***


 
Il limbo dei ricordi… parte seconda
 
 

Il dottor Edwards mi parla ma il battito del mio cuore, accelerato dalla paura, mi rimbomba in testa impedendomi di sentire cosa dice con la sua voce cantilenante e fastidiosa. Dio, come lo odio... Più lo conosco, meno lo sopporto. Dottore da strapazzo, Rick mi ha convinto a non ucciderlo ripetendomi fino allo sfinimento che il suo è stato un errore in buona fede. Non aveva intenzione di fare del male a Beth, nessuno poteva prevedere la sua allergia ad uno degli eccipienti del farmaco equivalente. Ma io vorrei torcergli il collo con le mie mani comunque, per ciò che ha causato.
Ora il suo coma non è più farmacologico ma è provocato dallo stress subito dal suo corpo durante l’intervento, combinato con l’arresto cardiaco, causato dallo shock anafilattico. Le settantadue ore erano quasi scadute, ora invece non sappiamo quando si sveglierà, se si sveglierà.

“Non puoi farmi questo per una terza volta, ragazzina! Il mio cuore malconcio non reggerebbe ancora.” Maggie si è sentita male e, viste le sue condizioni, non mi stupisco poi tanto. La gravidanza che lei e Glenn volevano tenere privata, almeno per il momento, è venuta allo scoperto. Siamo in un ospedale, in piena apocalisse con mezzi limitati, tenere dei segreti è praticamente impossibile. Ora è sotto osservazione nella stanza attigua a quella di Beth, Glenn è al suo capezzale.
Riconosco quello sguardo perché è identico al mio in questo momento ed è come se fossimo sospesi su un baratro oscuro e profondo e l’unica ragione che ci trattiene dal cadere è la donna stesa esanime nel letto di fronte a noi. “Ti capisco, fratello” penso amareggiato, mi siedo sulla poltroncina accanto al letto di Beth e afferro la sua mano inerme tra le mie:
«Tua sorella è incinta di due mesi, Beth, pensa che bella notizia. Un compagno di giochi per la piccola spaccaculi. Resisti, ti prego! Non vuoi vedere il tuo nipotino?» Mi sento così impotente, ma giuro che troverò il modo per impedirti di lasciarmi solo nuovamente.
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

Mi sono svegliata in questo letto che, non so perché, ma mi è estremamente familiare. Credo di essere in un ospedale, anche se sembra troppo deserto e un po’ malconcio per essere del tutto in funzione. Una flebo vuota mi penzola dal braccio, tolgo l’ago e mi metto seduta:
«C’è nessuno?» Domando alla stanza vuota; la voce mi esce debole, la gola è secca, non ottengo nessuna risposta, forse non mi hanno sentito. Schiarendomi la voce riprovo con un tono più alto:
«C’è nessuno?» Il suono si propaga in un eco lugubre. Nessuna risposta. Di sicuro non posso stare qui in attesa di non so nemmeno io cosa. Cerco di alzarmi ma ho le gambe molli e appena cerco di sollevarmi un capogiro mi coglie; mi risiedo malferma sul letto. “Coraggio, Beth, ce la puoi fare!”
Riprovo ad alzarmi con calma, saggiando il terreno, posando sul pavimento freddo prima un piede, poi l’altro, le mie gambe tremano un poco ma riesco a mantenere l’equilibrio reggendomi alla spalliera del letto. Mantengo questa posizione quel tanto che basta finché sento le forze che ritornano nei miei arti atrofizzati. Mi avvio lentamente verso la porta della camera e aprendola mi trovo in un corridoio altrettanto deserto. Sì, decisamente è un ospedale; barelle ammaccate sono accatastate alla rinfusa, un paio di supporti per le flebo buttati per terra mi ostruiscono il passaggio; normalmente le scavalcherei con facilità ma ora lo sforzo di sollevare il piede, se pur di poco da terra, mi pesa enormemente. Concentrandomi riesco a superare l’ostacolo e svolto all’angolo che si para alla mia destra.
Porte semi-scardinate cigolano su cardini arrugginiti. La luce è intermittente, si alterna con il buio più completo, mi sembra di essere in uno di quegli horror che piacevano tanto a Maggie e che mi obbligava a guardare con lei. Confesso che ho un po’ paura, l’ignoto mi ha sempre spaventato. Mia sorella era quella che incitava la o il protagonista di turno ad andare avanti, io ero quella che pensava:
“Idiota, dove cazzo vai? Esci da lì o farai una brutta fine”. Quindi non mi sento molto a mio agio in questa situazione, lo confesso. Se fossi a casa e mi guardassi alla tv mi direi di scappare, di non provare minimamente ad andare avanti, ma ora la realtà è ben diversa dalla finzione, quindi che alternative ho? Tornare indietro? Rimettermi a letto ad aspettare in un ospedale deserto? Che cosa, poi? Che qualcuno mi salvi?
Non credo sia la soluzione; che mi piaccia o no, devo proseguire. Improvvisamente un pianto infantile riecheggia intorno a me, ma non riesco a capire da dove provenga e con la coda dell’occhio vedo un’ombra furtiva che si muove velocemente alle mie spalle, così mi volto fulminea ma non colgo nessuno con lo sguardo. Beth, sei nella merda, bella, calda e puzzolente, come quella di cavallo che dovevi spalare per punizione, quando ne combinavi una delle tue alla fattoria, e ora ti sommerge fino al collo. Mi dico: “Perfetto!” Riprovo poco convinta:

«C’è nessuno?» Ancora una volta l’unica risposta che sento proviene dalla mia eco che rimbomba per l’ospedale deserto. L’avevo già detto che sono nella merda? Credo di sì. Il pianto raggiunge ancora le mie orecchie, però ora il suono sembra focalizzato di fronte a me, lievemente spostato sulla sinistra, e non è un bambino solo, ora che lo sento meglio, ma sono due. Ne sono certa. “Cazzo!” Non posso star qui senza far niente. Il mio corpo si muove ancora prima del mio cervello e si butta a capofitto nell’inseguire quel pianto che, seppur flebile, si sente ancora. Avanzo incerta e spaventata per questo corridoio, fino a che non mi trovo di fronte un portone di legno che mi ricorda tantissimo quello del granaio di casa mia. “Non è possibile”. Una luce calda filtra da sotto la porta e sento un’altra volta quel pianto. “Ok, sono ufficialmente terrorizzata!”
Però so che se voglio salvare quei bambini devo proseguire, e al diavolo Maggie e i suoi film horror pieni di regole, regole che comunque ho già trasgredito. Violando la prima è come se le avessi violate tutte. Un’altra legge è stata costante nella mia vita: quella di Murphy. So già che finirà male, ma devo comunque provarci. Devo salvare quei bambini, quindi metto le mani aperte sulle ante e spingendo apro il portone…
 
Continua…
 
 

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Capitolo 6
*** Sorelle ***


 
Sorelle…
 


Sono una sorella di merda: in tutto questo tempo in cui è scoppiato questo gran casino, ho pensato molto di più a me stessa che a Beth. Bella stronza egoista del cazzo… non credevo di essere così, invece…  devo ammetterlo; papà sarebbe molto più fiero di lei che non di me, forse è questo che mi ha dato sempre fastidio, il fatto che loro si capissero solo con uno sguardo, mentre io… io ero quella che per ottenere un po’ d’attenzione doveva fare qualcosa sopra le righe.
Perlomeno dovevo farlo da quando era nata Beth, mi aveva soffiato il mio ruolo preferito, quello della “piccola” di casa, ed io non l’avevo mai accettato.
Come quella volta che avevo rubato uno dei trattori della fattoria, e con i miei amici, del terzo anno, avevamo deciso di fare le corse lungo il fiume. Grande idea! Certo, finché non perdemmo il controllo del mezzo finendo ribaltati in una marea di fango. Fortunatamente a parte un paio di ammaccature, il danno più grosso l’aveva subito il trattore. Noi ne eravamo usciti illesi. Se ci penso ora, devo ammettere che mi scappa ancora da ridere; l’emozione dell’avventura… il fascino del proibito, prima di quella curva maledetta ci stavamo divertendo, una risata risale dal mio stomaco ma è una risata amara, solo l’eco di quello che provai. È come il ricordo di un amico morto, dolce e amaro allo stesso tempo.
La voglia di trasgredire, essere sopra le regole era il mio motore e il mio tallone d’Achille. Ciò che mi rende affascinante a detta di mio marito. Lui dice che sono coraggiosa e impavida, io credo di essere solo una stupida, ho abbandonato la speranza, ho abbandonato Beth.
La rabbia di papà era stata immensa, ora capisco che era preoccupato da quello che sarebbe potuto succedermi. Oltre a trafiggermi con un’occhiataccia di quelle che ti stendono, mi aveva inflitto una bella punizione: confinata] in casa, a spalare merda di cavallo per due mesi interi; non mi aveva rivolto la parola per un tempo infinito.
Quella era stata la punizione più dura da sopportare, all’inizio era stata una benedizione, non avere il suo sguardo perennemente addosso ma poi con il tempo, cogliere la delusione nei suoi occhi, era stato un dolore devastante.  Era stata la piccola Beth, poco più che decenne all’epoca, a intercedere per me. E non era stata né la prima né l’ultima volta. Beth e la sua dolcezza, i suoi modi affabili, i suoi grandi occhi azzurri mi avevano salvato il culo innumerevoli volte.
Una volta poi che ero partita per il college, i rapporti tra me e mio padre si erano raffreddati, io e papà ci stavamo allontanando sempre di più. Forse eravamo troppo simili per andare d’accordo.
Dopo che il mondo era finito però, tutto questo era cambiato: papà mi riteneva all’altezza, si fidava di me, collaboravamo in perfetta sintonia. “Wow” e chi l’avrebbe mai pensato?”
Era una soddisfazione immensa, l’apocalisse zombie in qualche modo mi aveva riavvicinato a lui. Mi aveva dato uno scopo. L’aver relegato Beth in un angolino, non aver più bisogno di lei per farmi capire da mio padre, quale soddisfazione maggiore per me? Hershel finalmente mi comprendeva, mi accettava, con i miei pregi e i miei difetti ed io mi sentivo completa. Ero la sorella maggiore, quella da cui prendere esempio, quella importante. Quella necessaria.
Mio padre si crogiolava nelle sue illusioni ed io gli davo man forte credendo che la cosa si sarebbe comunque risolta in fretta. Credevo che qualcuno avrebbe trovato una cura e che le cose sarebbero tornate alla normalità. Mia madre e mio fratello sarebbero tornati da noi… in fondo erano solo malati.
Non vedevo la disperazione negli occhi di Beth, non vedevo che lei era arrivata alla verità molto prima di me, di tutti noi.  
Poi era arrivato il gruppo di Rick e inconsapevolmente ci aveva svegliato dal nostro torpore, Glenn per me era stato più che una sveglia. Era stato una scossa. Mi ero innamorata di lui al primo sguardo, devo ammetterlo.
Beth aveva cercato di uccidersi ed io l’avevo aggredita e insultata. Andrea l’aveva capita meglio di me, ora lo so. Vorrei poter dire che è stato il bambino che mi cresce dentro ad insegnarmelo ma mentirei, in realtà lo sapevo anche prima. E non volevo rendermene conto.
Rifiutavo la realtà, sono una donna di merda, ho lasciato che le mie paturnie mi condizionassero, non permettendomi di essere obiettiva. Non posso tornare indietro, purtroppo non posso cancellare i miei errori, però posso far sì di non commetterne di nuovi. Sorellina, ti renderò fiera di me.
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 
Il portone si apre di fronte a me e una luce calda mi accoglie, sono nel salone di casa mia, il che è strano, comincio a pensare che tutto questo non sia reale. Come può esserlo, si domanda il mio cervello, visto che fino a poco tempo fa ero in una struttura ospedaliera fatiscente nel centro di Atlanta? Come posso essere qui ora? Tutto questo non ha senso, ma la sensazione di calore è così immensa che non mi rendo nemmeno conto che quest’illusione ai miei occhi sta diventando sempre più reale. La luce calda proviene dal camino che si trova alla mia destra, espande il suo tepore, per tutta la stanza, scaldando il mio cuore spaventato.
Sono a casa.
Non mi sembra vero, sprofondo nel divano di fronte a me e afferro la coperta ai miei piedi, mi ci arrotolo, trovando conforto nell’odore famigliare che mi avvolge. Il camino scoppietta allegramente, sorrido soddisfatta, e mi viene in mente la frase di Dorothy nel Mago di Oz:
“Nessun posto è come casa!”
A poco a poco però, una strana ansia s’impossessa di me. Qualcosa non torna, non so cosa, ma qualcosa non va.
Mi sento frastornata, mi mancano dei pezzi, perché sono qui? Sento che non dovrei esserci, che questo non è reale. In lontananza colgo dei rumori, vengono dalla cucina; angosciata, mi avvio in quella direzione.
Mia madre è di spalle al lavandino, però l’immagine che vedo non è naturale, sembra distorta, tremolante, si gira e mi osserva. Per un istante, mi sembra che a fissarmi sia un cadavere in decomposizione; dura solo un attimo, subito dopo torna quella che era. Allarga le braccia:
«Beth… la mia piccola Beth, sei a casa, sei al sicuro ora! Vieni, vieni da me», ma nel suo sguardo c’è qualcosa che non mi piace… sembra famelico, non capisco.
“No, credo che non lo farò” dice la mia mente, tutto questo è sbagliato. Mia madre è morta, non può essere qui.
Il suo sorriso si allarga sempre più in un ghigno sdentato, la pelle sempre più tirata e bluastra, le scivola dal viso come fosse cera sciolta. L’eco della sua voce che continua a ripetere: «vieni… eni… eni...» mi ghiaccia il sangue nelle vene. Un urlo esce dalla mia bocca, la cosa che una volta era mia madre si avvicina lentamente ed io sono bloccata dalla paura. So che non dovrei sentirmi così, so che il mio corpo in qualche modo è abituato a tutto questo, so che dovrei reagire.
Semplicemente non ci riesco, è più forte di me; poi però qualcosa cambia, sento una rabbia indescrivibile montarmi dentro e una forza che credevo di non possedere m’invade, è come se accanto a me ci fosse qualcuno di così coraggioso da essere in grado di contagiarmi, guardandomi intorno mi accorgo che ho in mano un lungo coltello:
“Dove cazzo l’ho preso?” Il mio corpo agisce prima che la mia mente rifletta e con un colpo fluido e sicuro penetro il cranio della creatura di fronte a me, causandone la morte.
Il pianto che mi ha attirata qui si fa risentire più forte di prima, il mondo intorno a me si fa buio, sempre più buio, solo l’eco di quel pianto rimane a guidarmi. Proseguo a tentoni, finché una luce prepotente mi abbaglia. Mi schermo il viso alzando una mano, per mettere finalmente a fuoco ciò che mi circonda mi ci vogliono un paio di minuti. Mi ritrovo nell’ospedale dal quale sono partita:
 «Ma che diavolo?...”- e della voce di chi mi ha condotto qui non c’è nemmeno l’ombra. Questa situazione è sempre più frustrante. Se è un sogno, voglio svegliarmi, all’istante; mi tiro dei pizzichi sperando che servano a qualcosa ma le mie aspettative vengono disattese. Quello che mi circonda continua a essere la mia realtà.
«Ok, Beth, ragiona, quello che vedi non può essere vero». Perfetto! Ora parlo pure da sola, non c’è limite al peggio. Risento i pianti:
«Mi prendi per il culo??» Urlo alla stanza vuota. Devo calmarmi, prendo un grosso respiro e cerco di concentrarmi sul suono, sulla sua provenienza; viene dalla mia destra. Con passo sicuro procedo, non ho nulla da perdere oramai, mi trovo in una sala d’attesa semi-distrutta, la visibilità è molto ridotta rispetto a prima. Il pianto è cessato, sento solo dei singhiozzi sommessi.
«Non aver paura, non voglio farti del male» dico a chiunque sia presente, piano piano i miei occhi si abituano e nell’angolo in fondo vedo due bambini, o meglio una bambina di circa sei anni e un maschietto di due. Guardinga mi avvicino e guardando la bambina dico:
«Ciao, io mi chiamo Beth, tu, piccola, come ti chiami?»
«Sono Judith, Judith Grimes, e lui è il piccolo Glenn»
 
 
Continua…
 

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Capitolo 7
*** La luce in fondo al tunnel... ***


 
La luce in fondo al tunnel…
 

Ciao a tutti scusate l’immenso ritardo con cui aggiorno ma l’ispirazione proprio non voleva venire, spero che questo capitolo vi piaccia e alla fine c’è una piccola citazione che chi ha letto Harry Potter dovrebbe conoscere, ringrazio coloro che seguono la fan e chi la recensisce grazie, siete meravigliosi. Un bacione alla prox.  
P.s  ho revisionato il pezzo finale del capitolo, già in fase di pubblicazione non mi soddisfaceva del tutto, soprattutto tutta la fase di Hershel, sembrava un po’ sconclusionata, chiedo scusa ma avevo fretta di far svegliare Beth. Leggendo la recensione di Korime ho capito che il dialogo era affrettato, quindi ho cercato di porvi rimedio  baci baci see you…
 

 
 
 

Al mio cuore manca un battito, mentre la sento pronunciare quei nomi, Judith e Glenn… mi suonano terribilmente famigliari. Sento che devo proteggerli. Non mi è ancora molto chiaro come, ma sento che è mio dovere farlo. Li stringo al petto protettiva, cercando di calmarli, soprattutto il maschietto. La bambina ha smesso di piangere già da un po’, in realtà e mi guarda incuriosita e stupita allo stesso tempo. Poi con una vocetta squillante dice queste parole:
«Io ti conosco, tu sei la ragazza della foto…  la foto nel portafoglio dello zio D…»
Un rumore alle nostre spalle interrompe quello che stava per dirmi. Cadaveri che camminano, si avvicinano lentamente dal fondo del corridoio da cui sono giunta.
«Non è sicuro qui, seguimi…» nonostante sia così piccola, Judith ostenta una certa sicurezza, mi fa quasi sorridere l’idea di affidarmi a lei, ma senza indugiare oltre la prendo per mano e la seguo in questo labirinto di corridoi; arriviamo di nuovo di fronte ad un portone e lo spingo. Mi trovo di fronte un’enorme sala comune, la luce del sole entra da dei finestroni protetti da sbarre a maglie molto sottili. Tavoloni di legno sono disposti in file ordinate, guardando meglio mi accorgo che sia i tavoli sia le panche sono inchiodate al pavimento. Distratta dal nuovo ambiente non mi sono accorta che i bambini sono spariti.
Preoccupata, mi metto a cercarli chiamandoli a gran voce. Alla mia sinistra si apre un corridoio con file di celle su ambo i lati, una scala metallica al centro porta al piano superiore, anch’esso diviso in celle lievemente più piccole, almeno da quel che riesco a vedere. Conosco questo posto, è una prigione.
Tocco lieve le sbarre della cella di fronte a me e un’immagine si fa vivida nella mia mente: un ragazzo dai capelli neri e arruffati mi fa una carezza e si allontana, dicendomi:
«Non mi dici addio?»
«No» rispondo sorridendo e baciandolo sulla guancia. Poco dopo qualcuno di cui non riesco a vedere il volto, ma solo le labbra e parte delle guance ricoperte da uno strato di barba e fuliggine, mi dice con un tono di voce duro che il ragazzo di prima è morto; odo la mia voce rispondere che ormai non ho più lacrime da versare e sento che le sue braccia mi stringono, avverto il tono dei suoi muscoli, la barba ispida che mi irrita la pelle e l’odore di sigaretta nel suo alito. Normalmente mi darebbe fastidio, ma ora è come il nettare degli dei, non me ne staccherei per nulla al mondo.
Ma come è arrivata, la visione scompare e mi ritrovo nuovamente aggrappata a queste sbarre, una fortissima emicrania, la testa in procinto di scoppiarmi e una innumerevole quantità di domande che se non troveranno una risposta mi faranno impazzire.
È come se il mio cervello rimettesse insieme i pezzi alla rinfusa, è come se dovessi comporre un puzzle senza la foto di riferimento. Cammino toccando qua e là, sperando che una qualche visione ritorni, ma nulla. Coraggio, Beth, trova una soluzione, si dice la mia mente, ma nessun’illuminazione viene in mio aiuto. Devo uscire da qui e ritrovare i bambini. Mi alzo decisa, i dubbi li lascerò per dopo.
Ho capito che urlare i loro nomi non serve a niente, quindi armata di santa pazienza comincio a perlustrare questo posto, palmo a palmo. Dopo circa mezzora in cui non ho trovato nulla, il mio mal di testa è definitivamente esploso, pagherei oro per un’aspirina. Un rumore improvviso mi coglie alla sprovvista, sembra un’esplosione. Ho come un déjà-vu, ho già sentito questo rumore, le gambe mi portano all’esterno dell’edificio, seguendo percorsi che conoscono a memoria, anche se il mio io cosciente ne è inconsapevole. Arrivata finalmente alla mia meta, vengo abbagliata dalla luce del sole, che per un momento rende tutto bianco e indefinito, poi lentamente i miei occhi si abituano e cominciano a mettere a fuoco delle sagome che corrono urlando.
Tutto intorno un fumo denso e acre mi irrita la gola, è un gusto già sentito. Il mio cuore ha un sussulto e il mio cervello ricorda le ore noiose e interminabili di scienze, quando il professore con la sua voce profondamente fastidiosa decantava le innumerevoli qualità del cervello umano: la capacità per esempio di ricordare attraverso un odore, un gusto. Ed ora ho la certezza che è quello che mi sta accadendo, forse per svegliarmi davvero ho necessità di guardare dentro di me e scoprire i miei limiti e le mie possibilità. Forse devo passare attraverso l’inferno per ascendere al paradiso.
Il mio sguardo si posa su due figure poco distanti, stupita mi accorgo che sto osservando me stessa e Maggie, sono entrambe aggrappate ad un recinto e guardano qualcosa di fronte a loro con espressione agghiacciata. Ho paura ma so che se voglio delle risposte devo guardare anch’io, mi volgo nella direzione dei loro occhi e vedo la cosa più brutta che mai al mondo avrei voluto vedere.
Mio padre è in ginocchio e un essere spregevole gli punta una Katana alla gola. Accade in un attimo, non ho il tempo di metabolizzare quello che vedo, che in un colpo solo il tizio decapita mio padre, il cui corpo si accascia in un lago di sangue. Vedo l’altra me urlare e disperarsi e mi accorgo che sto urlando con lei; vorrei poter fare qualcosa ma è come se i miei piedi fossero inchiodati al terreno, non riesco a muovermi. Intorno a me è il fuggi, fuggi generale, tutti urlano, le pistole sparano, nessuno si accorge che sono qui. Ho perso di vista per un attimo l’altra me, ma ora la rivedo che corre via insieme ad un uomo, Maggie è sparita. Finalmente le mie gambe decidono di ubbidirmi e riesco a muovere qualche passo nella direzione in cui sono scappata, mi pare assurdo solo pensarlo. Però tant’è, quindi… correndo riesco quasi a raggiungerli, l’uomo è di spalle, indossa un gilet di pelle con disegnato qualcosa che non riesco a vedere bene, sembrano ali di angelo, sulle spalle porta una balestra e vedo che ha le mani sulla schiena dell’altra me per spingerla ad andare avanti, sento che le dice di camminare, di non voltarsi. Li seguo velocemente con il cuore che mi martella in gola, credo di averli raggiunti ma mi sono sbagliata, un buio innaturale si materializza, confondendo un’altra volta i miei sensi.
Quando la luce finalmente torna mi ritrovo in una radura, sette cumuli di terra con croci improvvisate sono ordinati uno di fianco all’altro e due figure sono in piedi di fronte ad esse. Osservandoli meglio mi accorgo che sono due adolescenti, la ragazza deve avere circa sedici anni e il ragazzo poco meno di lei. Poco distante un’altra figura attira la mia attenzione, è eterea, quasi trasparente, ma non potrei confonderla con nessun altro: quello che mi sta osservando da lontano è il fantasma di mio padre, mi sorride ed io incerta gli sorrido in risposta avvicinandomi.
I due ragazzi sembra che non possano vedermi, li vedo bere da un paio di bicchieri, come in un macabro brindisi. Hershel mi aspetta ai piedi della prima tomba a sinistra, con la coda dell’occhio noto che sulla croce c’è inciso un nome, ma ora non è importante, mio padre è qui, lui saprà cosa fare, lui avrà tutte le risposte.
«Ti stavo aspettando» dice continuando a guardare diritto di fronte a sé. Io avrei un’infinità di domande ma l’unica parola che riesco ad articolare è:
«Papà!!» Mi butto tra le sue braccia e mi stupisco del fatto che anche se sembrano incorporee riescono a sostenere il mio peso. Mi è mancato moltissimo il suo abbraccio, il suo tocco gentile sul capo. Singhiozzando mi stringo forte a lui, abbandonandomi ad un pianto liberatorio. Mio padre mi lascia sfogare, poi mettendo due dita sotto il mio mento fa in modo che il mio viso si alzi e che io possa guardarlo negli occhi. Nel suo sguardo vedo tutto l’amore che prova per me, la sua calma, che con gesti lenti e pacati sta trasmettendo anche a me.
«Papà…» ci sono così tante cose che vorrei chiedergli, che non so nemmeno io da dove cominciare.
La prima domanda che inaspettatamente esce dalle mie labbra è:
«Di chi sono queste tombe?»
Hershel guardandomi negli occhi mi risponde:
«Tu conosci già la risposta»
«No» dico io «non può essere…»
Hershel continua a guardarmi fisso e un’altra domanda sorge sulle mie labbra:
«Sono morta?»
«No, direi di no… non ancora, puoi scegliere.»
«In che modo? Non ci sto capendo più niente. Sei qui per me?»
«No, sono qui per loro!» esclama puntando un dito verso i due ragazzi poco distanti. Osservandoli bene mi accorgo che i loro visi mi ricordano qualcuno, soprattutto la ragazza, e poi improvvisamente la risposta arriva al mio cervello, con una mitragliata di immagini colorate e incredibilmente dettagliate su tutto quello che è stata la mia vita fino ad ora. La fattoria, la fine del mondo e il mio amore infinito per Daryl.
Ora ricordo, ricordo tutto, so di chi sono quelle tombe. Spaventata, guardo nuovamente i ragazzi e mi accorgo che il contenuto dei loro bicchieri non è acqua ma candeggina, ne riconosco l’odore. Si stanno suicidando, condannandosi a diventare degli erranti.
Mi giro agghiacciata e finalmente metto a fuoco il primo nome sulla tomba:
Daryl Dixon, amato fratello, rispettato compagno.
«No, no, no, non può essere» urlo a squarciagola guardando verso mio padre, «dimmi che non è vero? Ti prego!» Lui si limita a farmi un cenno con il capo, guidandomi tra le altre tombe; ci sono i nomi di tutti, Rick, Carol, Maggie… il mio cuore sprofonda in un baratro di tristezza.
«Sono qui per loro» ripete mio padre, Judith e il piccolo Glenn.
«No! Non puoi portare via loro, perché? Perché mi fai vedere tutto questo, se non posso fare niente per cambiarlo?»
«Questo è il loro destino» dice con voce severa «non mi credi?»
E con un gesto della mano ci rende visibili. Judith è appoggiata con la schiena alla croce di legno della tomba di suo padre e Glenn le tiene il capo in grembo, mentre la ragazza gli accarezza dolcemente i capelli. Lei alza lo sguardo su di me:
«Eccoti, finalmente sei venuta a prendermi, peccato che tu non ti sia scomodata per lo zio Daryl, lo avrebbe sicuramente apprezzato.»
Il sarcasmo evidentemente l’ha imparato da lui, mi scappa un sorriso.
«No, non sono venuta a prenderti, voglio che tu viva, vorrei solo capire come è possibile che sia avvenuto tutto questo. E magari… poter fare qualcosa.»
«Arrivi tardi. Ma se vuoi capire che è successo… beh, è molto semplice in realtà: la colpa è tua! Tu sei morta, e il gruppo ha perso la speranza! Sono caduti come mosche, uno a uno, ed ora tocca a noi» dice con voce arrabbiata. Il mio cuore perde un colpo, la colpa è mia, non è possibile, io non volevo tutto questo, io volevo solo fermare Dawn. Mi volto e vedo Hershel che mi sorride bonario. Non capisco il suo cambio repentino di umore, ma poi ci arrivo:
«Io non sono morta, l’hai detto tu prima, posso scegliere, e se davvero tutto questo è colpa mia, non posso permettere che accada. Farò in modo che non accada mai!»
«Ci hai messo un po’ ma alla fine ci sei arrivata, questo è il fantasma del Natale futuro, ti è sempre piaciuta quella storia, quando eri bambina» risponde, ridendomi bellamente in faccia. Lo guardo stranita, mio padre ha davvero un senso del umorismo bislacco.
«Hai finito il tuo percorso, ricordati che ti voglio bene, è ora di svegliarsi. Un giorno tornerai qui, e quel giorno io sarò qui per te, per condurti in un luogo migliore, ma quel giorno non è oggi.»
«Grazie papà, per tutto, ma ho un’ultima domanda: è vero o è successo tutto nella mia testa?»
«Certo che è successo tutto nella tua testa, ma perché diavolo dovrebbe significare che non è vero? E, a proposito, vedi di non tornare qui troppo presto. Mi aspetto che tu abbia una lunga vita, figlia mia! Anche tu devi darmi dei nipotini, probabilmente sarà dura convincere Daryl a diventare padre ma sono certo che ci riuscirai.»
Facendomi l’occhiolino si dilegua senza darmi nemmeno il tempo di rispondere. All’improvviso la radura comincia a vorticarmi intorno, vengo travolta da un vento caldo e impetuoso che sembra quasi sollevarmi in aria. Perdo l’orientamento e chiudo gli occhi in preda alla nausea, concentrando il mio pensiero su Daryl e sui miei cari. Quando il mondo smette di girare, sollevo le palpebre e quello che vedo mi riempie il cuore di gioia. La luce del sole entra prepotente dalle finestre che danno sul centro semi-distrutto di Atlanta. Guardando in basso mi imbatto negli occhi azzurri più belli che abbia mai visto, mi fissano con una tale intensità che il mio cuore potrebbe esplodere:
«Ti sei svegliata, finalmente»
Daryl Dixon è qui per me e io non ho intenzione di abbandonarlo mai più.
 
 
Continua…
 
 

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Capitolo 8
*** Anima tormentata ***


Anima tormentata…
 
 

Sono passati circa dieci giorni da quando Beth si è risvegliata dal coma, ed io mi sento di merda. La paura di perderla ha risvegliato in me un lato del mio carattere che credevo di aver definitivamente cancellato. Sono a pezzi! Mi manca, ma non riesco a guardarla né a parlarci, sono così arrabbiato con lei e con me stesso, perché le ho permesso di entrarmi nel sangue come la più forte delle droghe. Ed ora disintossicarmi è dura.
Finché dormiva non mi sono staccato da lei, l’ho vegliata mentre si agitava in preda a quelli che credo fossero incubi causati dal trauma al cervello o forse dai ricordi dolorosi del suo passato. Le ho parlato. Per farla svegliare, quando in giro non c’era nessuno che potesse sentirmi, ho persino cantato le sue canzoni con la mia voce stonata da fumatore, vergognandomi come un ladro.
In un momento in cui il suo sonno era particolarmente agitato, le ho messo in mano il suo lungo coltello, sperando che la memoria tattile della sua arma preferita la facesse sentire al sicuro. In passato avevo letto su di una rivista che con gli stimoli giusti si poteva uscire dal coma.
Ho pregato, sperato, e ora che il mio miracolo personale è avvenuto, non so cosa fare. L’unica emozione che riesco a sentire è la rabbia. Sono arrabbiato con lei e con me stesso per averla fatta avvicinare così pericolosamente, ho visto cosa potrei diventare senza di lei, e non mi piace. Non mi piace nemmeno l’idea di dipendere, per la mia sanità mentale, da qualcuno. Cristo! Nemmeno Merle era così importante per me, non quanto Beth.
Cazzo, che mi sta succedendo? Non sono preparato a tutto questo. 

Non sono degno di lei, questo è poco ma sicuro, è così dolce, pura. Credo che farei rivoltare Hershel nella tomba se sapesse ciò che provo per la sua bambina, se ancora non sono del tutto dannato credo che lui ci metterebbe una buona parola.
In un certo senso anch’io sono puro… in fondo non ho mai… ancora quello stupido gioco? Daryl, piantala! Non hai concluso un cazzo allora, non concluderai nulla adesso, è inutile che ci pensi.  Ma non è questo il punto. Il punto è Beth e il fatto che mi è entrata dentro in un modo che non credevo possibile.
È cresciuta tra mucche e pony, circondata dall’amore della sua famiglia, tra regali di Natale e favole della buona notte. Cazzo, quando l’ho conosciuta, il suo primo pensiero era raccogliere gli zombie in un fienile per curarli! Gli portava persino le galline da mangiare! Il mio primo pensiero all’inizio dell’apocalisse è stato: “uccidi, uccidi”.
Cosa potrei darle io che sono cresciuto tra le botte e la miseria? Cosa potrei darle per farla vivere meglio? La corromperei con quello che c’è dentro di me, ecco la risposta: alla fine sarei io a cambiare lei, non lei a cambiare me.
Lentamente, ne sono certo, spegnerei il suo fuoco. Non posso permetterlo, lei è la mia unica ragione di vita e per questo devo tenerla lontana da me. Non deve sapere ciò che provo per lei; il desiderio bruciante che ho di fondermi con la sua anima, di sentire per una volta l’amore con l’A maiuscola.
L’unico oblio degno di essere vissuto, a quasi quarant’anni mi tocca ammetterlo! Già, signor Dixon, questo è un bel viaggio nella tua coscienza. In passato l’ho ricercato nelle droghe, nell’alcool, paradossalmente devo ammettere che essere fatto non mi manca. Anzi, non quanto la paura di perdere Beth o di avere Beth.
Sono un po’ contorto, lo ammetto, ed è per questo che devo proteggerla sempre, anche da me stesso. Le starò alla larga qualunque cosa lei provi per me, perché, anche se non ho molta esperienza, ho visto come mi guarda. Ho riconosciuto quello sguardo, è uguale al mio.
So che le passerà! È giovane, incontrerà qualcuno di più adatto di me. Con meno peccati sulla coscienza ed io sarò il suo angelo custode dalle ali nere. La proteggerò a costo della vita, sarò il suo “guerriero”*.
Eccola, parli del diavolo e spuntano le corna! Beth è arrivata diritta da me, credevo che starmene in terrazza a fumare una Morley dietro l’altra avrebbe limitato i contatti, almeno per stamattina, in attesa che Rick mi desse qualcosa da fare per poterle sfuggire. Mi sono sbagliato, alla fine mi ha trovato.
Fortunatamente le sigarette qui non mancano, prima di andarmene sarà meglio che imboschi un paio di stecche. Faccio finta di non averla vista, ma lei si ferma a pochi passi da me e tira con due dita il mio gilet di pelle. Per un attimo, a quel lieve contatto il mio cuore esulta e, se lo ascoltassi fino in fondo, mi girerei e l’abbraccerei stretta, stretta. Invece mi limito a voltare un po’ il capo facendole un cenno. 
«Carol mi ha detto che hai il mio coltello, ne avrei bisogno, potresti ridarmelo, per favore?»
Il suo sguardo è cupo e determinato, quasi non vi è traccia della ragazza di cui mi sono innamorato, ormai mi tocca ammetterlo. La mia influenza è già stata così determinante? Ho già rovinato ciò che mi sono prefisso di proteggere? Non può essere, la mia determinazione crolla in un secondo:
«Che succede, ragazzina?» Chiedo preoccupato.
«Ah! Finalmente ti degni di parlare con me! È da quando sono uscita dal coma che non mi guardi e mi rispondi a grugniti. Cosa succede lo chiedo io a te! Ti ho forse fatto qualcosa? Sei arrabbiato, lo vedo, ma non ne capisco il motivo. Cosa succede Daryl?»
La ragazzina mi conosce, con una domanda ben piazzata ha fatto cadere il mio bel castello di carte. Guardandola negli occhi le rispondo con il tono di voce più atono che ho:
«Ho avuto da fare, vorremmo lasciare questo posto il più in fretta possibile e per farlo ci serve carburante, cibo, acqua. Dovresti saperlo, sei una sopravvissuta ormai.» Sull’ultimo pezzo di frase il tono mi è uscito più acido di quanto credessi, ma forse non se n’è accorta. Per rincarare la dose continuo la mia sparata, mi sento un po’ come quella notte alla capanna, la notte in cui le avevo permesso di conoscermi e di avvicinarsi. Ricordo tutto di quella notte, e quella sua dannata frase mi ronza in testa come non mai:
“So che ti mancherò, quando non ci sarò più Daryl Dixon!”

Stavolta non ho la scusa dell’alcool, è lo sguardo di Beth a mettermi a nudo. La miglior difesa è l’attacco, me l’ha insegnato Merle.
«Non ho proprio niente! Cosa credi? Che la mia vita ruoti intorno a te, ragazzina? Ho altre cose per la testa!» Dico quasi urlando. Voglio ferirla, non voglio ferirla… non capisco più niente, sento solo il fuoco dell’ira.
«Non chiamarmi ragazzina! Non lo sono più.»
Mi risponde con una voce talmente fredda e dura da lasciarmi spiazzato; non abbastanza, però, dal desistere dal mio proposito di allontanarla da me.
«Comunque, se proprio vuoi saperlo, la tua bravata ci è costata parecchio, sono dieci giorni che siamo bloccati in questo ospedale di merda! Cazzo volevi fare con quelle forbicette? Hai un cervello, no? Usalo di tanto in tanto!» La guardo negli occhi, convinto di averla definitivamente distrutta. Ma quella che ho di fronte a me non è più Beth, è la fenice risorta e mi guarda risoluta, senza scuse.
«Non avevo altra scelta» risponde.
«Puttanate, Beth, c’è sempre una scelta» mi verrebbe d’aggiungere “me lo hai insegnato tu”, ma desisto.
Lei mi guarda con i suoi occhi profondamente sinceri e ora velati di tristezza, credo a causa mia, le ho ricordato cose spiacevoli.
«Tu non eri lì, tu non c’eri!» Urla quasi, «non hai visto cosa succedeva. Gli stupri, i pestaggi, le persone ridotte in schiavitù per un po’ di cibo e un falso senso di protezione. Il pensiero che andandomene le cose sarebbero potute peggiorare mi era intollerabile. Anche tu lo avresti fatto! Ho agito come te.»
Mi urla contro, è fuori dai gangheri, ciocche bionde le sono scappate dalla coda, le guance sono in fiamme, ma sono i suoi occhi a lasciarmi senza fiato, brillano di tutto quello che vorrei ma che non posso avere. Così colpisco con l’affondo finale:
«Io non avrei sbagliato! Se l’avessi voluta morta, lo sarebbe stata.» Detto questo le do il suo coltello, il passaggio dell’arma mi dà la scusa perfetta per sfiorarle le dita. È l’unico contatto che mi permetto, dovrà bastarmi per un tempo indefinito, la lascio lì da sola. Ho bisogno di un’altra ricognizione dei dintorni.
Ogni volta che incrocio i suoi meravigliosi occhi, i miei buoni propositi vanno a farsi fottere, devo uscire da qui.
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 
 
La luce di mezzogiorno entra prepotente dalle finestre del Grady, se non fossimo in piena apocalisse direi che questa è una delle giornate d’estate che preferisco. Sole alto, cielo terso e zero afa. Anzi, devo ammettere che il venticello fresco che arriva da nord-ovest è quasi fastidioso, mi fa accapponare la pelle. Avessi una birra fresca e un po’ di Jazz in sottofondo credo mi sentirei meglio. Ma non posso averli… quindi mi accontento di questo attimo di pace.
Se penso che tra un paio di mesi verrà il freddo, mi sento male.
Ancora non ho un piano, non so dove condurre il gruppo, dove tenere al sicuro i miei figli. La cura di Eugene si è rilevata un fiasco, e ora senza la meta della capitale mi sento perso. Non posso darlo a vedere, devo essere forte.
Per un po’ avevo carezzato l’idea di stabilirci qui in pianta stabile, è un ospedale, ci sono medici e poliziotti, recinzioni solide, elettricità, ma dai racconti di Beth intuisco che l’agente Lerner non fosse l’unico problema, anzi.
Credo che siamo seduti su una polveriera pronta a saltare. Le risorse stanno finendo, troppo cemento; non si può seminare nulla qui, il cibo prima o poi scarseggerà e non voglio esserci quando questo accadrà. Ma rimane il punto, dove andiamo? Ributtarmi in strada senza una meta ben precisa è qualcosa che non posso accettare, però il tempo stringe, di solito l’ospite è come il pesce, dopo tre giorni puzza e noi siamo qui da dieci. Beth si è completamente ripresa, le è rimasto qualche vuoto di memoria ma nulla di preoccupante.
Sono molto felice, non so cosa avrei fatto se fosse morta anche lei. Non posso perdere più nessuno della mia famiglia, perché è questo che siamo ora, non siamo più un gruppo. Daryl è mio fratello, e Beth è mia figlia, anche se non abbiamo lo stesso sangue nelle vene.
È tempo di partire. Devo metterli al sicuro. La voce di Carol giunge alle mie spalle, facendomi volgere le spalle alla finestra.
«Rick, sono preoccupata per Daryl, da quando Beth si è risvegliata, non ha parlato quasi con nessuno, se ne va via sempre più spesso in missione, si isola, è diventato più acido e scorbutico del solito. È come se si incolpasse di qualcosa. Non va bene, non va bene per niente. Sono preoccupata.»
Questa giuro mi mancava, in tutto questo fottuto casino non credevo che avrei anche dovuto risolvere le beghe sentimentali del mio fratello acquisito. Mi scappa una risata e mi becco un’occhiataccia da Carol:
«Io sono seria, Rick la faccenda è più grave di quello che sembra, non possiamo permettergli di tornare quello di prima.»
Mi risponde con in viso un’espressione tesa, non so perché ma a me continua a scappare da ridere, forse sto avendo una crisi isterica. Non trattenendomi più, sbotto in una sonora risata:
«Sì, ma… non cogli l’ironia? Poco prima che tu entrassi stavo riflettendo sul fatto che siamo una famiglia, sul fatto che Daryl è mio fratello…» Continuo a ridere e lei mi guarda stranita, non cogliendo ciò che vorrei dire. «L’ho appena retrocesso a figlio adolescente alle prese con gli ormoni, e gli ormoni incazzati di Daryl sono mooolto pericolosi. Ahah.»
Finalmente Carol capisce e anche lei si lascia andare, dal troppo ridere ci teniamo la pancia, ad un certo punto con le lacrime agli occhi mi domanda:
«E in questa tua strana famiglia, Eugene che ruolo ha?»
«Oh! Be’ questa è facile, è lo zio strambo, che crede nelle cospirazioni aliene e porta i nipoti alle convention di Star Trek.»
Ancora risate. Erano anni che non ridevo così, non succedeva da prima che succedesse tutto sto casino, mi serviva, è stato liberatorio e credo che sia servito anche a Carol; questa donna è impressionante, nella mia strana famiglia, come l’ha definita lei, ancora non so che ruolo abbia. Ora non ho di certo il tempo per risolvere anche questo. Carol sembra leggermi nel pensiero e mi domanda:
«Cosa faremo, Rick? Come li terremo al sicuro?»
Non faccio in tempo a risponderle che Daryl piomba nella stanza.
«Io esco con Tyreese, Shasha e un paio di agenti, Glenn si è ricordato che poco fuori il quartiere cinese c’è uno di quei magazzini di stoccaggio,**  potrebbe esserci ancora qualcosa di utile, a quanto ricorda è stata invaso abbastanza in fretta; i saccheggi dovrebbero essere stati contenuti, vale la pena controllare. Cercheremo di tornare prima che faccia buio, altrimenti troveremo un posto sicuro dove passare la notte e ci vedremo poco dopo l’alba. Ciao.»
«Che ti dicevo? Un fottuto adolescente, ecco cos’è! Troppo grande per metterlo in punizione, mi sfogherò con Carl appena mi dirà le stesse cose!»
«Ed io non ti permetterò di farlo» mi risponde Carol, strizzandomi l’occhio se ne va.
Torno a fissare Atlanta distrutta attraverso la finestra spalancata, ancora cercando una soluzione. Sicuramente dobbiamo uscire dalla città, ma per andare dove? Nord? Sud? Est? Ovest? Dirigerci sulle montagne o sulla costa? Potremmo trovare una barca abbastanza grande da viverci, stare a distanza di sicurezza dalla riva e toccare terra solo per fare provviste, però nessuno di noi è un esperto marinaio, potremmo incagliarci o ritrovarci in una tempesta, che sarebbe ancora peggio.
Magari potremmo cercare di raggiungere una qualche isola. Rick, stai viaggiando troppo con la fantasia. Forse è meglio la montagna, poderosi boschi ricchi di cacciagione, il terreno impervio dovrebbe essere ostico da superare per gli erranti, potremmo costruirci un rifugio, ma saremmo alla mercé di altri umani. Magari non subito, però: la montagna è difficile da vivere, non tutti credo che l’abbiano scelta come prima opzione e magari avremmo il tempo per crearci delle difese. Ad ogni modo ormai, non è più una decisione che posso prendere da solo, ne parlerò con gli altri e decideremo insieme. Entro la fine di questa settimana dobbiamo andarcene da qui.
 
Continua…   
 
 
Note autore: *ascoltatevi guerriero di Mengoni e poi ditemi se non vi sembra Daryl…
**strizzo l’occhio alla terza web serie, qualcuno l’ha vista?

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Capitolo 9
*** I never give up... ***


  
I never give up…
 
 


Sono sola su questa terrazza già da un po’, il sole caldo che mi scotta la fronte e mi acceca lo sguardo ha passato lo zenit da un pezzo, mi sento incredibilmente triste e anche arrabbiata. Il rapporto che avevo faticosamente creato con Daryl si sta sgretolando sempre più ogni giorno che passa, come le rocce colpite lungamente dall’acqua. Mi sento un tantino impotente, vorrei spaccare tutto; tiro un calcio alla ringhiera arrugginita e l’unico risultato che ottengo è che adesso mi fa anche male l’alluce del piede destro. Perfetto, mi dico, saltellando su quello buono. Un flash mi coglie alla sprovvista e un altro pezzo del puzzle va al suo posto. Ricordo di essermi fatta male alla caviglia, ricordo Daryl che cavallerescamente mi portava in braccio a fare colazione, ricordo come batteva forte il mio cuore nel sentire le sue braccia intorno a me.  Prima che l’agente Gorman mi rapisse, credevo di aver scalfito la superfice della sua armatura, di aver fatto finalmente breccia nella sua anima. Ora cosa mi è rimasto? Nulla, niente.
Non mi parla, non mi guarda neanche. Quella di poco fa è la conversazione più lunga che abbiamo fatto negli ultimi dieci giorni. Ammetto di essere spiazzata, tutti gli altri sono entusiasti del mio risveglio ma Daryl… sembra… boh? Non lo so nemmeno io cosa sembra, però non è felice; qualcosa lo logora dentro ed io mi dannerei l’anima per sapere cos’è.
Non so perché, avevo dato per scontato che al mio risveglio avremmo avuto il nostro lieto fine, forse mi sono fatta davvero troppi film mentali su di noi, imbranata come sono, forse ho frainteso i segnali. Ho scambiato la sua rettitudine, il suo costante sforzo di proteggermi per qualcosa di più.
Qualcosa che volevo vedere a tutti i costi. Cosa mi rimane del mio sogno? Solo l’amaro in bocca.

È tornato a essere scostante, distaccato, come lo era i primi giorni alla fattoria; quando cercava strenuamente Sophia, la figlia di Carol.  Otis l’aveva già trovata in realtà, ma noi non potevamo saperlo, erano lui, mio fratello maggiore e mio padre che si occupavano di mettere i “malati” nel fienile. Io, Patricia e Maggie dovevamo solo occuparci a turni di nutrirli: Patricia azzoppava un paio di galline ed io o Maggie le buttavamo in mezzo ai vaganti dall’alto. Non avevamo nemmeno bisogno di vederli bene. Era tutto così semplice. Ne arrivavano pochi nelle vicinanze della fattoria, credevamo di essere al sicuro, credevamo che una parte del governo fosse sopravvissuta e fosse già all’opera per trovare una cura, credevamo in un sacco di cose. Che illusi!
Mi ricordo Daryl a quei tempi, aveva ancora i capelli corti e si aggirava con quell’aria da finto duro. Mi aveva colpito fin da subito, come una piccola stalker lo spiavo in silenzio.  Sapevo di non essere alla sua altezza, ero una ragazzina di diciassette anni, conoscevo i miei limiti. Mi facevo i miei film in silenzio su chi potesse essere stato in passato… sognavo. Non l’avevo detto a nessuno, nemmeno a Maggie, cui ero solita raccontare tutto, ma dopo che mi ero ripresa dal mio tentativo di suicidio, Daryl era diventato il mio “interesse” principale, la mia via di fuga dalla realtà, quasi fosse una rock star. Era sempre imperscrutabile, e questo se possibile m’incendiava di più. Quando Sophia uscì da quel fienile, per la prima volta vidi nel suo sguardo un barlume dell’anima che cercava di nascondere, e questo mi affascinò totalmente.
Il dolore nei suoi occhi mi aveva fatto capire quale anima gentile e tormentata si nascondeva dietro ai suoi sguardi cupi e alla sua durezza. Daryl Dixon possedeva più sfaccettature di quanto credessi. Un diamante grezzo, ma non per questo meno prezioso ai miei occhi. Ora però ho perduto tutto questo, Daryl si sta allontanando sempre di più. Non solo da me, però. Ed è questo che mi preoccupa ulteriormente. Si è isolato da tutti, scambia giusto due parole in più con Rick, perché deve aggiornarlo sulle provviste che trova, ma questo è tutto.
So da quello che mi ha raccontato Carol che quando Dawn mi ha sparato, lui l’ha uccisa senza nessuna esitazione, e so bene che non gli piace uccidere altri esseri umani, poi si è chinato sul mio corpo disperato e mi ha sollevato delicatamente per portarmi fuori da questo ospedale maledetto. So che mentre dormivo mi è stato sempre accanto, ma mi domando se sia stato mosso solo dal senso di colpa per non aver fatto abbastanza contro il governatore, per non aver salvato mio padre e tutti gli altri. Per una sorta di risarcimento nei miei confronti.
Mentre vagabondavamo insieme alla ricerca degli altri, mi ero quasi convinta di piacergli un pochettino, vedevo che ogni tanto mi guardava con una strana luce negli occhi. Ed ero così felice, mi beavo di quei momenti che fomentavano la mia illusione. Anche prima, mentre mi parlava con tono duro, mi è sembrato di cogliere quella stessa luce, però a questo punto la cosa mi confonde maggiormente, non so cosa aspettarmi. Perché si comporta così? Non so darmi una risposta, l’unica certezza che ho è che io non mi arrendo, sono diventata forte, qualsiasi cosa sia accaduta a Daryl, io lo riporterò indietro, lo riporterò da me, a costo di impiegarci una vita intera.
Papà nel mio coma mi ha detto che io e Daryl siamo destinati a stare insieme, io ci credo, credo veramente che l’animo di mio padre abbia valicato i confini del tempo e dello spazio per venire in mio aiuto e credo anche l’abbia fatto per farmi sapere che approva. Non posso sicuramente deluderlo, io non mi arrenderò mai.
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

Le botte che mi ha dato Abraham ancora si fanno sentire, nonostante i lividi si siano notevolmente attenuati, dal nero cupo sono passati a un viola chiaro misto al verde marcio. Sfido io che Judith piange quando mi vede, faccio spavento, mi rendo conto mentre mi guardo allo specchio nella mia stanza. Non biasimo Abraham per avermi pestato come l’uva, me lo sono meritato punto e basta. Abbasso lo sguardo sul mio corpo, sono uno spettacolo pietoso, grasso e flaccido con un taglio di capelli ridicolo e ricoperto di lividi, sbuffo al riflesso di me e mi butto sul letto.
Sono una pessima persona. Ho inventato una balla enorme per pararmi il culo e sopravvivere, però la cosa sorprendente è in quanti ci abbiano creduto. Prima di tutto questo casino, le persone non credevano particolarmente in me, anzi è per questo che sono finito a fare il professore di scienze in uno squallido liceo, nessuno era disposto a darmi fiducia. Per la “Cintura di Orione”, sono un laureato dell’M.I. T!  
Non un laureato con lode, però mi aspettavo che conclusa l’università avrei trovato un lavoro strepitoso, invece ogni volta che proponevo un progetto mi sentivo rispondere che era troppo teorico, troppo difficile da realizzare, nessuno era disposto ad investire. A che serve, dico io, prendere una laurea in fisica teorica e vari dottorati, se poi non ti fanno teorizzare? Le più grosse scoperte scientifiche del passato, spesso, sono scaturite da un’idea folle. Maledetti dirigenti, con le loro belle scrivanie laccate e i loro quadri costosi alle pareti, mi hanno segato il futuro con la loro mediocrità, ma io avrei potuto fare grandi cose.
Invece mi sono ritrovato a fare l’insegnante, uno stipendio di trentamila dollari l’anno, un muto non ancora estinto per una catapecchia che cade a pezzi… a proposito, chissà se è ancora in piedi? Un’assicurazione sanitaria scadente e neanche una fidanzata che mi allietasse le giornate tediose tra casa e lavoro. Poi, buumm, la fine del mondo, i morti che non muoiono, anzi tornano per cibarsi di te. Ed io lo confesso, sono andato nel panico, in tutti i miei film mentali mi sono sempre visto come l’eroe, come quello che fa la cosa giusta, ma una volta messo di fronte all’evidenza mi sono dimostrato il più vile tra i codardi, altro che eroe!
Ho fallito.
“Luke skywalker” dei miei stivali, la “Forza” mi ha abbandonato, sono solo il più sfigato dei nerd. Ora devo fare i conti con questo, la frittata è fatta. Ho confessato il mio peccato. Ed ora è il momento di voltar pagina, di tirare fuori le palle Eugene, mi dico. Il momento di diventare quello che avrei sempre voluto essere, dopotutto sono un uomo intelligente, e che cribbio! So tante cose, i miei studenti erano fortunati ad avermi, tutto sommato sono stato un buon insegnante, è il momento di mettere a frutto il mio cervello. Mi alzo dal letto, sono depresso e quando sono depresso mi viene fame, non posso stare qui sdraiato senza far nulla, devo agire.

Comincio a girovagare per i corridoi in cerca d’ispirazione, una domanda si risveglia nel mio cervello: cosa ha permesso a quest’ospedale di resistere finora? Analizzo oggettivamente la situazione. Mi serve per mettere le cose in prospettiva. Passo dopo passo procedo con la mia analisi di cosa ha permesso al Grady di prosperare in questi quasi tre anni, mentre altre strutture simili sono crollate su loro stesse. Be’, come prima cosa ho notato la posizione, non troppo dentro alla città con viali larghi e dritti, situato in quella che si definirebbe una periferia tranquilla, esposto quasi totalmente a sud per cogliere più sole possibile, ampio e ben strutturato con due cortili interni protetti da recinzioni abbastanza solide. L’altezza da una buona visuale sui dintorni. Altro punto a suo favore: la corrente elettrica qui funziona ancora, in tutti gli ospedali sono presenti generatori d’emergenza, però necessitano di grandi quantità di carburante.
L’elettricità al Grady è ancora presente perché chi lo ha progettato è stato lungimirante, dotandolo di un impianto fotovoltaico e delle pale eoliche. Tutto sommato, con i materiali giusti e un po’ di attrezzatura, credo che riuscirei a costruirli, ci vorrebbe del tempo, certo, però ne sarei in grado e forse potrei insegnare anche a chi vorrà imparare ciò che so, la conoscenza è importante. Ovviamente prima avremmo bisogno di un posto sicuro, questa decisione comunque non spetta a me.
Il Grady sopravvive grazie alle medicine, io ho un dottorato in chimica e bio-chimica, vale lo stesso di prima, con le attrezzature giuste potrei fare molto. Al momento non possiedo tutto questo, il mio tentativo di rendermi utile si sta rendendo infruttuoso e comincio un pochino a scoraggiarmi, “per Orione!” Non devo cedere, dai Eugene, pensa. Due agenti passano parlando alla loro ricetrasmittente. Le comunicazioni… come ho fatto a non pensarci subito? Questa è una cosa che posso sistemare! Appena arrivati, ho notato un ripetitore sul tetto del Grady: probabilmente, se è uno di quelli piccoli, ha una portata di circa duecentocinquanta miglia; è sicuramente grazie a quello che gli agenti riescono a comunicare tra loro per tutta Atlanta, amplifica il segnale dei loro walkie talkie che altrimenti sarebbe udibile solo per pochi isolati. Basterebbe trovare i ripetitori standard, che di solito sono montati su torri in cemento e sono facili da individuare, infatti a tre isolati da qui ce n’è già uno, l’ho notato mentre venivamo, è stata la prima cosa che ho visto dopo aver ripreso i sensi sull’autobus dopo le botte di Abraham. Hanno una portata maggiore rispetto a quelli piccoli che venivano montati sui tetti delle strutture cittadine, di solito si aggira sulle cinquecento miglia. Ripristinarne uno alla stessa distanza, miglia più o meno, lungo il nostro percorso vorrebbe dire mantenere i contatti con questo posto, vorrebbe dire persino captare altre comunicazioni; in un certo senso sarebbe come ripristinare un pezzo di civiltà. Dovrebbe tornare utile a lungo andare, anche in vista del parto di Maggie, avere un dottore alla radio che ci guida non sarebbe male.
Dovrebbe essere facile rimetterli in funzione, di solito funzionano con un piccolo accumulatore alimentato da un pannello solare. Praticamente inesauribile. Il vero problema è l’usura, senza manutenzione qualche collegamento si sarà ossidato e forse dovrò sostituire qualche filo. Magari dovrò fare qualche modifica, visto che sono nati per i cellulari, ma supportano bene anche le onde radio. Niente che non possa gestire, posso far conto su quello che ho trovato ieri nel locale manutenzione. Ci sono un sacco di attrezzi e pezzi di cavo elettrico dei relè… per “Orione”, Eugene!  Potrebbe funzionare! Potresti fare qualcosa di utile per il gruppo e non solo, alla fine sarebbe utile per tutti!
Devo parlarne con gli altri, devo riconquistare la loro fiducia e il loro perdono. Delle persone sono morte per colpa mia, non sarà facile, ma io non mi arrendo.
 
Continua…
 

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Capitolo 10
*** Riportiamo a casa Noha ***


Ciao a tutti come state? Spero tutto ok e che stiate passando una buona domenica e una buona festa delle donne.  Eccoci qua con un altro capitolo spero vi piaccia. In questo capitolo c’è una piccola scena lime e devo fare un paio di premesse. Io di solito scrivo in terza persona, dal punto di vista del narratore esterno, questa fan narrata dal io soggettivo e da più punti di vista si sta rivelando più ostica di quanto pensassi.
Mi sto impegnando molto per migliorare, anche con la punteggiatura che è il mio tallone d’Achille, spero si veda e spero che il risultato vi soddisfi. Non ho mai scritto scene di sesso in prima persona spero di non aver fatto un papocchio, se voleste lasciarmi il vostro parere ve ne sarei grata. Un bacione <3 alla prox. Come al solito ringrazio tutti quelli che recensiscono e chi mette la storia nelle preferite, seguite e ricordate e chi la legge in silenzio, anche se mi piacerebbe sapere pure il loro parere né XD ;) baci, baci vi lovvo tutti <3
Giada.

 
 
 
Riportiamo a casa Noah...
 
 


Sono tutti indaffarati, stanno preparando i bagagli; dopo domani all’alba si parte. La decisione è stata presa in fretta e furia, ieri sera tardi, da mio padre, Carol e Tyreese. Daryl non era disponibile, è rientrato solo questa mattina all’alba. Riportiamo a casa Noah.
Beth è passata in serata a parlare con mio padre e poco dopo Noah li ha raggiunti, ha spiegato dove si trovava casa sua; è in un quartiere residenziale poco fuori Richmond, in Virginia, a circa quattrocento sessantotto miglia da qui. Io ero fuori nel corridoio a giocare con Judith ma ho sentito tutto ugualmente. Fino a sei mesi fa, quando Noah e suo padre partirono alla ricerca di suo zio e vennero “salvati” dagli agenti del Grady, era un posto sicuro e confortevole. Hanno un impianto di riciclo dell’acqua e una recinzione abbastanza solida, in più la sede del consiglio di quartiere è totalmente autosufficiente, impianti fotovoltaici e una caldaia ibrida che brucia tutto. È stata costruita dopo l’approvazione delle leggi sul risparmio energetico, può contenere circa sessanta persone, infatti Noha ha spiegato che all’inizio dell’epidemia quasi tutto il quartiere si era rifugiato lì e avevano prosperato per più di due mesi.
«Se è ancora in piedi, in tempi come questi potrebbe essere positivo. Potremmo ricominciare» ha detto Beth. Io non ero e non sono molto convinto dalle sue parole, la mia paura è che si rilevi l’ennesima fregatura. Dopo aver conosciuto il Governatore e Terminus chi potrebbe biasimarmi?
Mio padre l’ha scrutata profondamente, poi dopo aver parlato con Carol e Tyreese, ha preso una decisione. Non so cosa quei tre abbiano visto nei suoi occhi, però hanno deciso di ascoltarla e dopodomani si parte. Non ne sono del tutto felice. Certo, questo posto non mi piace fino in fondo e il dottor Edwards mi dà i brividi, però tre pasti al giorno sicuri e un tetto sopra la testa sono qualcosa a cui è difficile rinunciare.
Grazie alle ricognizioni di Daryl abbiamo trovato parecchio cibo in scatola, di acqua invece ben poca. Oltretutto papà ha detto che quasi la metà di ciò che abbiamo trovato dovremmo lasciarlo qui per saldare il debito che abbiamo nei confronti di questo ospedale, hanno salvato Beth e ci hanno accolti. Bastardi! Ci hanno messo loro nelle condizioni di essergli debitori. Oltretutto conviene conservare il cibo in scatola per l’inverno.
Da qui a casa di Noah come faremo?
Carol è passata questa mattina mentre stavo lavando Judith, con un sorriso mi ha detto:
«Carl, ho un lavoretto per te!»
Io l’ho guardata speranzoso ma lei, piazzandomi in mano uno scatolone vuoto, mi ha promosso a magazziniere capo e poi si è defilata. Devo controllare e numerare le scorte, in base alla data di scadenza… uff che palle! Tsk! Ne farei volentieri a meno, preferirei di gran lunga occuparmi di qualche errante, come fanno Tyreese e Shasha. Ne sono in grado, perché non mi danno una opportunità? Oppure potrei andare a cercare provviste con Daryl, ho dimostrato in più di un’occasione di sapermela cavare, invece no! Mi tengono come al solito all’oscuro di tutto come se fossi un “bamboccio”, che rabbia!
Con uno scatto d’ira lancio lontano da me lo scatolone vuoto che mi ha consegnato Carol, spaventando Judith che si mette a piangere. Perfetto, ci mancava solo questo! Ci metto un po’ ma riesco comunque a calmare la mia sorellina e la rimetto nel suo box, lei afferra una paperella di gomma e con un sorriso comincia a giocarci. Io mi butto sul letto sbuffando e guardo mestamente lo scatolone che è finito malamente in un angolo. So che, se non voglio ricevere una lavata di capo, devo fare ciò che mi è stato chiesto, così con un sospiro mi alzo e mi metto all’opera. 
 
È da un paio d’ore che impilo barattoli stilando una lista e devo dire che questo lavoro è meno inutile del previsto, ora grazie ad esso sono a conoscenza delle nostre possibilità, una volta usciti da qui, e non sono buonissime. È inutile che mi infarciscono di cazzate, non sono più un bambino. Continuano a ripetermi che andrà tutto bene, ma io so che non è vero.
Le scorte mi raccontano un’altra verità, abbiamo troppa poca acqua, sono mesi che non piove, i letti dei fiumi saranno secchi, dove la troveremo? Per il momento possiamo accontentarci di quella che abbiamo, magari razionandola, e sopravvivere di caccia, però anche quella è un’incognita: anche gli animali avranno risentito della siccità, in più tra qualche mese comincerà il freddo. Se la casa di Noah si rivelerà un altro fiasco come la cura di Eugene, cosa ne sarà di noi? Dove andremo?
L’inverno sta arrivando* e non sarà un inverno piacevole. Devo fare qualcosa! Ma cosa?
 
     
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

 

Abbiamo una nuova destinazione: Richmond, Virginia. Rick è venuto a dirmelo questa mattina all’alba, non è una gran meta, riportiamo a casa il ragazzo storpio, ma è già qualcosa per uno come me, uno che fino alla settimana scorsa credeva di contribuire a salvare il mondo, portando l’unico “scienziato” in grado di creare un vaccino nella capitale.
Che botta, la verità, sono ancora frastornato. Non esiste nessuna cura, il ciccione si è inventato un’enorme cazzata per sopravvivere e io gli ho creduto.
Io gli ho creduto! Ho sacrificato persone, abbandonato luoghi sicuri, tutto per lui. Dannazione, io ci credevo! Abraham, sei un emerito coglione, ammettilo.
Mezzogiorno è venuto e passato ma io non mi sono mai alzato da questa poltrona, dove ho appreso la notizia della nostra partenza.

Questi dieci giorni per me sono stati devastanti, ovviamente non per la preoccupazione per le sorti della ragazzina, la sorella è una tipa tosta, la biondina… si deve svegliare se vuole sopravvivere e non è un mio problema. Non è stata la mia preoccupazione per lei ad uccidermi mentalmente, ma la consapevolezza definitiva che non c’è via d’uscita: mi ha annientato. Non trovo la forza per fare nulla, nemmeno scopare con Rosita; sono apatico, inutile. Mangio, cago e dormo, che vita del cazzo.  
Rosita entra senza dire una parola e si posiziona alle mie spalle massaggiandomi il collo con le sue dita affusolate, subito dopo di lei vedo spuntare Eugene. La sua vista scatena in me una miriade di emozioni a cui non so dare un nome, che in un certo qual modo mi riportano a me stesso. Finalmente ha avuto le palle di venire a parlarmi, quasi non ci credo, ma io sono troppo… arrabbiato?
No, non è questa la parola giusta, sono oltre la rabbia.

Deluso, questa è la parola giusta. Sono deluso da lui perché sapevo che in fondo era un vigliacco ma non credevo che fosse anche un bugiardo, se Tara e Rosita non me l’avessero tolto dalle mani, lo avrei ucciso e poi avrei danzato sulla sua tomba, ridendo per giunta.
Sono deluso anche da me stesso perché credevo di capire le persone al volo, credevo di averlo inquadrato alla perfezione, invece mi ha fregato bene, bene. Lui blatera con la sua voce noiosa che a me pare solo un ronzio di mosca; se continui così, Eugene credo che ti darò ancora un paio di minuti… sì, un paio di minuti e poi ti sgozzerò, aspetterò che ti trasformi e poi ti ucciderò di nuovo. Cristo, Abraham! Datti una calmata, cosa penserebbero gli altri se sapessero quali pensieri agitano la tua mente? Cosa penserebbe Rosita? Scapperebbe come la tua ex moglie, se sapesse quale animo oscuro nascondi dentro di te. Fai il bravo, calmati, respira.
Lui continua a parlarmi ma io non riesco a sentire nulla, sento solo il solito ronzio fastidioso che va al più presto eliminato. L’unica cosa che mi rasserena quel tanto che basta da non farmi alzare da questa poltrona e balzare alla sua gola, sono le mani piccole e delicate di Rosita che mi accarezzano la nuca. Eugene tiene gli occhi bassi, forse ha capito che gli conviene, e con un’ultima frase se ne va:
«So che ora come ora ti è difficile fidarti di me, ti ho deluso, ho deluso anche me stesso. Sto cercando di cambiare per voi, siete importanti per me. Ma è una buona idea, Abraham, tu… pensaci, ok?»
Alzandomi di scatto chiudo la porta violentemente dietro di lui, faccio scattare la serratura come se quel gesto bastasse a chiudere fuori tutta la merda e mi ributto sulla poltrona, dalla quale mi sono appena alzato con un grugnito.
Rosita fa il giro della poltrona in cui sono sprofondato e si siede cavalcioni su di me, continuando ad accarezzarmi i capelli, non dice una parola. So che è il suo modo di rilassarmi e per questo le sarò eternamente grato.
Guardandomi fisso posa le labbra morbide sulle mie, solleticandomi con la lingua, mi invita a lasciarla entrare. Il suo tocco leggero lenisce le mie pene e sento che, finalmente, qualcosa si muove nei miei pantaloni. L’afferro per i fianchi approfondendo il bacio, il suo fiato è dolce e la sua bocca è calda. Non te la meriti una ragazza così, Abraham.

Lei ti ama ma tu ormai non sei capace di amare più nessuno. Sei morto dentro. Sei tu il morto che cammina, probabilmente lo siete tutti, solo non volete accettarlo.
Con più rabbia di quanto volessi, infilo una mano sotto la canotta e le afferro un seno, le strappo un gemito, so che le piace quando sono irruento e infatti mi sorride maliziosa, prima di affondare i suoi dentini bianchi nella mia spalla, mordendo e leccando.                               
«Mi fai morire, piccola…!» Dico, strusciando la mia erezione in mezzo alle sue cosce, con l’indice e il pollice della mano destra le pizzico i capezzoli ormai duri, il loro contatto fa pulsare dolorosamente quello che ho in mezzo alle gambe. Mi spingo prepotente addosso a lei, mentre con la mano sinistra le sbottono i pantaloncini, Rosita mi morde il lobo dell’orecchio. Alzandomi in piedi, sempre stringendomela addosso, percorro i pochi passi che ci dividono dal letto. L’urgenza della mia penetrazione la fa sussultare per qualche secondo, poi ci perdiamo l’uno nei sospiri dell’altra.
 
Sono passate un paio d’ore, in cui la mia mente e le mie mani sono state occupate solo a seguire le curve morbide del corpo di Rosita e mi sento rinato, la tengo stretta tra le braccia, la testa appoggiata al mio petto e il suo fiato che solletica la peluria che mi circonda l’ombelico credo che si sia addormentata, la sposto delicatamente per non svegliarla.
«Dove credi di andare tu?» mi apostrofa lei, per poi continuare: «Ora che sei più calmo dobbiamo parlare.»
«Di cosa, Rosita?!» le rispondo un po’ scocciato, la serenità post sesso “puff” svanita.
«Dell’idea di Eugene… non è male» la guardo stranito e per lei sta diventando lampante che non ho ascoltato una parola di quello che mi ha detto quel bugiardo vigliacco.
«Abraham!» Infatti esclama scocciata, «non posso credere che tu non l’abbia nemmeno ascoltato… era davvero una buona idea.»
«A quanto pare tu l’hai fatto, ragguagliami!» Le rispondo scettico. Lei mi guarda con un cipiglio che mi fa sorridere, mentre si alza come una furia dal letto e comincia a raccattare i suoi vestiti sparpagliati nella stanza.
«Non ti facevo così meschino» continua, «me lo hai detto tu che ognuno di noi per sopravvivere deve usare quello che ha!»
«Cosa vorresti dire con questo?» Le domando urlando, non m’importa se gli altri ci sentono, che ascoltino pure.
«Tu sei un uomo forte e coraggioso, a volte usi fin troppo i muscoli… Eugene non è come te, però è un uomo intelligente e ce l’ha dimostrato, non puoi negarlo, ha usato il suo cervello e un po’ di fantasia per scampare a tutto questo. Non dovresti biasimarlo, dovresti congratularti con lui.» Urla anche lei.
«Cazzo, Rosita, delle persone sono morte a causa sua, Nick, Sharon. Ricordi i loro nomi? Gli altri, te li ricordi? Io me li ricordo tutti, uno per uno. Non posso perdonarlo.»
«Cosa credi, che io li abbia dimenticati? I loro volti mi perseguitano, vengono nei miei sogni tutte le notti, erano miei amici, Abraham, cazzo! Anch’io volevo bene a quelle persone, ma non sono morti per colpa di Eugene. È vero, lui ci ha mentito, ma ci ha dato anche una missione, uno scopo. Ammettilo, Abraham, senza la sua bugia ti saresti arreso molto tempo fa.» Le sue parole sono un pugno nello stomaco, è vero, probabilmente senza le balle del ciccione io…
«Non è questo il punto, Rosita…» non mi escono altre parole, vorrei dirle che ha ragione ma il mio orgoglio me lo impedisce, lei sembra capirlo e mi guarda dura:
«Ti ricordi quando nel tragitto da Houston ci siamo persi nel deserto?» Faccio di sì con la testa e lei prosegue. «Bene, abbiamo vagato per una settimana prima di ritrovare la strada, stavamo morendo di sete, chi ci ha salvato il culo, costruendo dei condensatori per l’acqua?»
«Eugene» rispondo mio malgrado.
«E chi ha fatto ripartire la batteria del camion costruendone una con due pezzi di rame e un paio di mele marcie?»
Stavolta non le rispondo, mi limito a guardarla incrociando le braccia al petto. Lei fa spallucce, ormai si è completamente rivestita, con passo elegante si avvicina alla porta e fa scattare la serratura, aprendola si volta verso di me e dice:
«Mettiamola così, lui ha usato noi? Noi d’ora in poi useremo lui, il suo cervello, le sue conoscenze. Ha avuto una buona idea, Abraham, vuole creare un ponte radio con questo posto e cercare anche altre comunicazioni. Pensaci, ok? Non lasciare che la tua rabbia offuschi il tuo giudizio. Non ti chiedo di perdonarlo, ma dagli una possibilità» chiudendo la porta alle sue spalle mi lascia solo.
Rosita ha ragione, quel cazzone è un genio, mi alzo dal letto e comincio a vestirmi in fretta e furia, al diavolo l’orgoglio, vado a parlare con Rick.
 
Continua…
 
Note autore: *non vedevo l’ora di usare questa frase ^^!

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Capitolo 11
*** La meta non è importante, quello che conta è il viaggio... parte prima. ***


La meta non è importante, quello che conta è il viaggio… parte prima
 
 
 

La luce dell’alba filtra lieve tra le persiane prendendomi in pieno viso; in passato avrei continuato a dormire, ma ora i delicati raggi del sole che mi colpiscono equivalgono alla più gelida delle secchiate, mi desto immediatamente. Oggi è il giorno della partenza, ci muoveremo non appena Maggie avrà visto il dottor Edwards per un ultimo controllo: sta entrando nel secondo trimestre, la gravidanza procede bene ma il dottore vuole essere sicuro, in fondo è un brav’uomo.
In questi mesi di permanenza obbligata, ho avuto modo di conoscerlo.
Carl lo trova inquietante, effettivamente ha quei modi un po’ strani, però non è cattivo… Aveva paura di Dawn, non che questo lo giustifichi, però ai miei occhi lo rende umano. Confesso di essere molto nervoso, in questi mesi di schiavitù l’idea di tornare a casa era l’unica cosa che mi sosteneva, ma ora ho una paura fottuta di quello che troverò.
Beth continua a ripetermi che andrà tutto bene, di stare tranquillo, però io mi sento come sui carboni ardenti: sospeso tra l’andare avanti o il tornare indietro. Se mia madre e i miei fratelli fossero morti che ne sarebbe di me? Ho già perso mio padre e non ho trovato mio zio, che cosa farò? Sono uno zoppo, è inutile che mi racconti delle balle, non sono utile a nessuno, anzi, se mai sono un peso per chiunque si voglia occupare di me.
Noah, mi dico, smettila di fasciarti la testa prima del tempo, non serve a niente. Beth ha ragione, quando sarò là lo scoprirò e agirò di conseguenza.

Abraham ha parlato a Rick dell’idea di Eugene, a me non sembra una gran cosa, anzi, la reputo un tantino pericolosa. Ora quelli dell’ospedale sono tutti animati da buoni propositi; ripetono fino allo sfinimento che ciò che è avvenuto non si ripeterà mai più: hanno instaurato un consiglio, non sarà più solo uno a decidere. Io però non mi fido. Non voglio che sappiano dov’è casa mia. Ho fatto presente a Rick tutto questo e lui mi ha rassicurato, dicendomi che non ha nessunissima intenzione di fornirgli informazioni riguardanti la nostra meta. Semplicemente, si limiterà a prendere da loro informazioni su eventuali mandrie di vaganti che potrebbero passare da qui ed essere una minaccia per noi e fornirgli informazioni vaghe su cibo e su provviste che potremmo trovare lungo il cammino.
Le sue rassicurazioni, tuttavia, non sono del tutto soddisfacenti. Un dolore allo stomaco persistente e bruciante è la manifestazione fisica dell’inquietudine che agita il mio animo. Dovrei essere loro grato per il fatto che vogliono portarmi a casa, che si occupano di me.
Esistono ancora le brave persone, dopotutto. Nonostante ciò, ho una gran paura che vada tutto a puttane. Beth è incredibile: non si ferma un minuto, la vedo schizzare di qua e di là come una pallina del flipper, portando le scatole di viveri che Carl ha preparato sui nostri mezzi. Quando anche l’ultima scatola è al suo posto, si volta e mi dice:
«Appena Maggie è pronta si parte!» Vedo una strana luce nei suoi occhi, non capisco se è speranza o follia.
Io ho solo una gran fifa.
 


∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 


Confesso che, per la prima volta dopo molto tempo, sono in ansia: cosa ne sarà di noi? Ho sempre confidato nella nostra capacità di sopravvivere, ma ora la mia fiducia sta scemando. Confesso di avere paura, credo ancora in Rick e nel gruppo, solo che ho paura che le difficoltà siano superiori alle nostre forze. Soprattutto ora che Maggie è incinta: non ce l’abbiamo fatta con Lori, e allora alla prigione eravamo al sicuro, cosa ci fa credere che per Maggie sia diverso?
Gioca a nostro favore il fatto che ora abbiamo alle spalle un ospedale: il Dottor Edwards ha insistito perché portassi via di nascosto un ecografo portatile; certo, la batteria è limitata, ma se lo usiamo con parsimonia, dovrebbe reggere fino al momento del parto.  Inoltre, se l’idea di Eugene funziona, potremmo mantenerci in contatto con questo posto.
Devo farmi forza, devo credere che questo sia sufficiente, nessuno di noi vuole avere un’altra Judith. Coraggio Carol, mi dico, abbi un po’ di fiducia, Beth continua a ripeterlo e in fondo devo ammettere che ha ragione, siamo vivi e ancora tutti insieme.
Chi l’avrebbe detto?!

Prima di partire però, devo fare pace con Dio. Ho rimandato per troppi giorni. Quando Beth è stata ferita l’ho insultato, incolpandolo della morte dei miei amici; ma se è vero che si è portato via le persone più importanti della mia vita, è anche vero che me ne ha date di altrettanto care. E in questa nostra nuova missione abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile, un po’ di FEDE o speranza, che dir si voglia, non guasta.
La cappella dell’ospedale si trova tre piani più sotto. La bonifica dei locali è appena cominciata, infatti cinque erranti sono ancora intrappolati nella chiesetta. Niente che non possa gestire, a volte mi stupisco del mio sangue freddo. Una volta ero terrorizzata dalla mia stessa ombra, credevo di essere una donna inutile: solo capace a prender botte e a stare zitta. Invece ora… ora non è più così. Mi sono indurita, è questa la verità. Quando sono arrivata a Terminus e ho liberato la mia famiglia, ho fatto cose che per la vecchia Carol sarebbero state impensabili.
Ho lasciato che gli zombie mangiassero delle persone davanti ai miei occhi, ne ho uccise io stessa. Senza nessuna pietà, senza nessun rimorso. La vecchia me avrebbe tremato e si sarebbe nascosta, la nuova me invece, ha agito.
C’è qualcosa di oscuro in me, l’ho dimostrato in più di un’occasione, e devo fare i conti con questo. Tyreese mi ha perdonato per quello che ho fatto, io saprò fare altrettanto?
La mia espiazione comincia adesso.

Apro il portone della cappella attirando immediatamente l’attenzione dell’errante alla mia sinistra: una volta doveva essere un bell’uomo, uno di quelli dal sorriso sincero e le mani grandi, qualcuno su cui contare, ora è solo un ammasso di carne purulenta, i suoi vestiti sono sporchi e laceri, penzolano sul suo corpo che una volta doveva essere possente. Non ho nessuna esitazione mentre affondo il mio coltello nel suo cranio. Pulita ed efficiente, mi volto per affrontare il secondo errante che giunge dalla mia destra: è una vecchia, probabilmente era una paziente dell’ospedale; porta una di quelle vestagliette legate sulla schiena che all’inizio di tutto questo doveva essere candida come la neve e che invece ora è lercia come la merda; gli aghi delle flebo le penzolano dalle braccia, come se fossero i fili di una ragnatela, e la bava le scende dalla bocca. Con un calcio la faccio cadere e poi conficco il tacco della mia scarpa nel suo cranio molle. In un attimo ho ripulito questo posto, gli ultimi tre erranti li ho finiti in un baleno, sono molto fiera di me stessa.

Mi siedo su di una panca di legno e volgo il mio sguardo al crocefisso. Sono nervosa, è molto che non prego, ma sono qui per questo… quindi:
«Padre nostro, che sei nei cieli…» comincio titubante. «Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra…» non riesco a proseguire, mi mancano il fiato e le parole. Sento il mio cuore che batte a mille, la testa mi gira e credo di essere sull’orlo di un attacco di panico. Tutto quello che ho superato fino ad ora mi crolla addosso come un macigno: la morte di Sophia, non mi ricordo nemmeno il suo viso; Karen… il Governatore, il coma di Beth; senza dimenticare Lizzie e la piccola Mika… cosa sono diventata? È troppo… Non sono in grado di gestirlo. La gola mi si serra in una morsa che mi toglie il fiato, lacrime brucianti escono dai miei occhi. “Devi calmarti, devi calmarti…” continuo a ripetermi come un mantra. Improvvisamente sento la porta della cappella cigolare, segno che qualcuno sta entrando. Il mio primo istinto mi dice di nascondermi e così faccio; “ho paura”, acquattandomi tra due panche cerco di trattenere il respiro e non far sentire i miei rantoli spaventati. Il nuovo venuto non si accorge di me, per fortuna.

È Daryl.

Tiro un sospiro di sollievo ma, nello stesso tempo, penso che forse avrei preferito gli erranti, almeno loro so come gestirli. Sto per farmi vedere, ma capisco dal suo comportamento che forse non è il caso; cammina avanti e in dietro nervosamente, e dopo la nostra ultima conversazione a tu per tu che è avvenuta quando Beth era ancora in coma, non credo sarebbe molto amichevole nei miei confronti. Ultimamente mi parla a grugniti, il che non è molto confortante, quindi per il mio e il suo bene credo che me ne starò nascosta finché non se ne sarà andato. Lui comincia inaspettatamente a parlare:
«Io non credo in te.» Guarda dritto verso il crocefisso, ha gli occhi spiritati: «Non ci ho mai creduto, nemmeno quando mia madre era ancora in vita e mi obbligava ad andare a catechismo, se sai tutto, sai anche che molto spesso ho bigiato.» Fa una pausa e si accende una sigaretta, io mi appiattisco sempre di più sul pavimento. Lui fa qualche passo avanti, avvicinandosi al mio nascondiglio. Trattengo ancora di più il fiato, spaventata dall’idea che possa vedermi, ma inaspettatamente non mi nota; si siede su di una panca, due file più indietro, alla mia destra e riprende a parlare:
«Non ho creduto in te nemmeno quando è morta bruciata. Anzi, se vuoi saperlo, ti ho odiato. Ho pensato che se mai fossi esistito, ti avrei ucciso con queste mani. Me l’hai portata via… l’unica cosa bella… mi leggeva le favole…» si alza nervoso, è incazzato nero, si muove avanti e indietro aprendo e chiudendo le mani. Sta lottando contro i propri demoni, che a quanto pare sono belli grossi e difficili da battere. Si avvicina all’altare e con rabbia butta a terra tutto quello che c’è sopra:
«Il Chupacabra è più vero di te… io l’ho visto! Nessuno mi ha creduto, nemmeno Merle, ma io sono sicuro di quello che ho visto!» Urla indemoniato afferrando i bordi dell’altare. Vedo le lacrime che escono dai suoi occhi, vorrei aiutarlo ma so che non posso farlo, deve uscirne da solo, deve accettare… l’amore.
Improvvisamente si accascia e il mio cuore perde un battito perché sento fin dentro l’anima ciò che prova Daryl: “Ti capisco… fin troppo” penso amareggiata. Lui con un filo di voce continua:
«Però… lei crede in te… lei è importante… rappresenta tutto il buono che è rimasto in noi... io le starò lontano. Okay? So che è quello che vuoi, non la sporcherò, ma ti… fa’ che sopravviva!» Sembra voglia alzarsi e non ci riesca; così invece s’inginocchia e con una voce sicura comincia a decantare:
«Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen.» Alzandosi, apre il suo gilet, prende qualcosa da una tasca interna e la posa sull’altare. Soltanto quando si scosta di lato, riesco a vedere di cosa si tratta: una rosa cherokee.
«Visto che ci sei, Signore, butta un occhio su Sophia… non se lo meritava. Beth direbbe che è con te e, per l’appunto, tu non vuoi deluderla, vero?» Detto questo, buttando la sigaretta contro il crocefisso, lascia la stanza.
Il mozzicone colpisce il legno senza produrre alcun suono e ruzzola ai miei piedi, ancora fumante. Io non so che pensare… Sophia… la mia bambina, Daryl ci pensa ancora; dovrei farlo anch’io, ma ho relegato il suo ricordo in un compartimento buio e freddo, è sepolto così in profondità che stento a ricordare il suo viso. Sono una madre di merda? Sì, sì, si… sì, dice il mio subconscio, però sei sopravvissuta… A quale prezzo?
Non esisto più.
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 


Sono passati quattro giorni da quando abbiamo lasciato il “Grady” e in totale abbiamo percorso duecento miglia. Abbiamo di poco passato il confine, sono troppo poche e siamo già stremati. L’autostrada si è dimostrata impercorribile per via di tutte le carcasse disseminate lungo la carreggiata. Abbiamo cercato dei percorsi alternativi, ma purtroppo si sono rilevati altrettanto ostici da superare.
Alcuni erano invasi dagli erranti, in altri mancava la segnaletica, altri invece erano ostruiti e questo ha fatto sì che ci perdessimo più di una volta, riducendo di molto le nostre scorte di carburante. Per questo motivo, abbiamo dovuto abbandonare lo scuolabus, era un valido rifugio durante la notte, però consumava troppa benzina; abbiamo tenuto un vecchio pick-up bianco dalla vernice scrostata, una Ford Focus station wagon nuova di pacca, che abbiamo trovato in un concessionario appena fuori Atlanta, e un paio di mini van color ruggine della Nissan, che probabilmente prima di tutto questo erano stati usati per le consegne, visto il contakilometri truccato e le gomme usurate. Glenn è stato il primo che se n’è accorto e il primo che se n’è occupato.
«Se abbiamo la benzina per farli camminare, questi gioiellini non ci lasceranno mai a piedi, il loro motore va che è una bellezza!» Ha detto con gioia. Sul momento la prospettiva era stata rassicurante… solo sul momento, però. Adesso che la benzina e l’acqua cominciano a scarseggiare... un po’ meno.
Richmond è ancora lontana, ci siamo fermati in un’area di sosta ancora in buono stato. Girovagando con circospezione nel piccolo drugstore abbiamo trovato tre barrette di cioccolato, quattro bottigliette d’acqua e, spremendo fino all’ultima goccia le pompe, abbiamo racimolato due litri di benzina. Che magro bottino, penso. Leggo negli occhi di tutti paura e incertezza; so che si stanno chiedendo come arriveremo a Richmond e soprattutto se ci arriveremo.
Guardo verso Daryl, conscia del fatto che non troverò né pace né conforto nei suoi occhi, ma non posso farne a meno, sono la mia droga.
Credo di aver scoperto di essere masochista, perché anche se scorgere l’indifferenza nel suo sguardo mi annienta come la più brutale delle pugnalate in mezzo al petto, allo stesso tempo guardare il suo viso mi è necessario, è ciò che mi fa muovere, senza sarei perduta. Lui non disattende le mie pretese e mi ghiaccia sul posto; dal suo volto non traspare nulla, nessun’emozione, forse giusto una nota di disgusto, ma non riesco a capire se sia rivolta a me o a sé stesso. Un sospiro sfugge dalle mie labbra screpolate, ma non lo sente nessuno, viene coperto dal rumore del vento freddo che comincia a soffiare da nord-est. Se i conti che ho fatto con Noah e Carl sono giusti, dovremmo essere intorno al dieci settembre. L’anno non voglio nemmeno ricordarlo, mi sembra di essere tornata indietro nel tempo, in un’epoca in cui ci si uccideva per un tozzo di pane.

L’autunno è alle porte, dobbiamo sbrigarci. Il tramonto ormai ci ha raggiunto, l’ultimo raggio di sole mi colpisce in volto, mentre mi faccio scudo con le mani. È giunta l’ora di accamparci per la notte, non è sicuro viaggiare con il buio. Rick ci chiama tutti a raccolta e sappiamo cosa fare, ognuno ha il suo compito: il mio per esempio è quello di sistemare “l’antifurto”. Ormai ho trovato il mio metodo, Daryl mi ha insegnato le basi, ma io ho perfezionato la tecnica, che varia da luogo a luogo. Se siamo in mezzo al bosco, ad esempio, uso gli alberi e scavo delle buche. Invece in posti come il parcheggio in cui ci stiamo accampando, ho trovato un sistema migliore. Innanzitutto cerchiamo sempre un luogo riparato, magari tra altre carcasse di auto, in modo da passare inosservati non tanto dagli erranti, che comunque ti fiutano, quanto dagli umani, che sono molto più pericolosi. Poi tiro due fila di corde robuste tra le macchine che fungono da barriera a due altezze diverse, una a un metro e mezzo, l’altra a cinquanta centimetri da terra, e ci attacco tutto quello che trovo in giro che possa far rumore, in modo che “l’antifurto” scatti e ci permetta di scappare.
Oggi sono stata fortunata, poco distante dal nostro accampamento ho trovato anche delle barre di ferro lunghe circa un metro e settanta, sono un po’ arrugginite, ma per quello che devo farci vanno più che bene.
Ne trasporto poco più di una dozzina nei pressi del primo perimetro, quello costituito dalle carcasse delle auto dietro cui ci siamo riparati. Carol mi vede e insieme a Carl viene ad aiutarmi, hanno capito benissimo ciò che voglio fare. Incastro le barre di ferro nei copertoni delle auto, Carl ne mette una nel paraurti di un furgone, Carol fa altrettanto.
In breve tempo abbiamo esaurito le barre di ferro, ostruendo ancora di più il passaggio tra le carcasse.
Inoltre, per come sono poste le barre, gli erranti ci si conficcheranno, rimanendo probabilmente bloccati. Ci sorridiamo l’un l’altro, fieri del lavoro fatto, nel frattempo ci avviciniamo al centro dell’accampamento, dove nel frattempo fervono i preparativi per la notte.
Tara e Rosita stanno accendendo il fuoco, mentre finché c’è ancora luce Glenn controlla i serbatoi delle auto abbandonate, nella speranza vana di trovare altra benzina.
Mia sorella è sul tetto di un camper a cui mancano le ruote davanti, con in braccio il suo fucile, e scruta davanti a sé preoccupata. Come se sapesse di essere osservata, si volta e mi guarda, cerca di sorridere e di infondermi sicurezza. “Tipico”, ormai non ne ho più bisogno e in più il suo volto è tirato, troppa tensione… non fa bene al bambino.
«Ehi, sorellona, non guardare me… lo so, sono bella. Ahahah! Guarda invece se arrivano gli zombie, non vorrei ci mordessero il culo!» Le dico ridendo, lei mi guarda stranita e poi ridendo a sua volta mi risponde:
«Sei stata troppo tempo con Daryl, ha avuto una cattiva influenza su di te.» Mi volto e colgo lo sguardo carico d’ira che Daryl le lancia, prima di allontanarsi scocciato. Maggie rimane stupita e guardandomi chiede:
«Ma che cavolo gli è preso, ora? Scherzavo!» Io non so che dire, guardo mestamente la schiena di Daryl che si allontana verso il tramonto, la sua ombra si allunga verso di me.
Istintivamente sporgo una mano in avanti come per toccarla, ma anche quella sfugge via dalle mie dita.
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

Rick è venuto a svegliarmi per il mio turno di guardia, mi passa il fucile e prima di coricarsi accanto a Carl e Judith dentro la station wagon, mi dice di stare attenta.  Salgo sul tetto del camper con il fucile e la mia fedele katana al fianco. Sono da poco passate le due e la luna splende alta nel cielo, non ho neanche bisogno della torcia.
Che splendida serata! Il vento è profumato, sa di terra e sale, forse di erba appena tagliata, anche se ammetto di non sapere come sia possibile. Nella mia vita di prima, in una serata di fine estate come questa, probabilmente sarei stata su di un elegante terrazza a sorseggiare vino rosso, con addosso un completo all’ultima moda, mentre in sottofondo si sentiva della musica. Riemergo dal mio sogno ad occhi aperti e mi guardo attorno.
Dai, Michonne, ripigliati, non è proprio il caso. Le voci della mia vecchia famiglia si fanno sentire. Per quanto tempo me li sono portati dietro in catene, parlando con loro come se li avessi accanto, prima che il gruppo mi trovasse? Che mi salvasse? Anche allora sognavo… ci sto ricadendo? Non posso permettermelo. Mi do un pizzico sul braccio, mettendo finalmente a fuoco ciò che mi circonda: siamo ancora qui… nel parcheggio di una stazione di servizio; ho una visuale piuttosto buona del parcheggio e della statale, e la luminosità della luna rende tutto più facile. 
Per ora tutto tranquillo, né erranti né umani in vista, però mi sento lo stesso osservata. Mi alzo di scatto e prendo il binocolo per la visione notturna che mi ha dato Abraham. Devo ammettere che la roba che “il soldato” ci ha prestato è utile! Scrutando attraverso le lenti, mi accerto che non ci sia nessuno nei paraggi. Questo posto mi rende nervosa, fa riemergere strane inquietudini, è tutto troppo tranquillo, non vedo l’ora di ripartire.

Non m’importa se la casa dello storpio sarà un altro buco nell’acqua, sono sicura che lungo il cammino troveremo il posto adatto a noi, il posto dove poter ricominciare a vivere. Dobbiamo farlo per Judith, per Carl, sono il nostro futuro, e dobbiamo farlo anche per noi stessi, ci stiamo perdendo. Stiamo diventando noi, i mostri, abbiamo bisogno di una cura. Rick ha bisogno di essere curato, non lo dà a vedere, però sta crollando, e se crolla lui, crolliamo tutti. La nostra sopportazione è giunta al termine, abbiamo bisogno di una casa.
Mentre faccio i miei ragionamenti, arriva l’alba senza che nulla sia mutato. Scendo dal camper per svegliare gli altri, ma provo ancora la sensazione di essere osservata. Mi guardo intorno guardinga, giro intorno all’accampamento… niente, non c’è niente… eppure… mi era sembrato... cosa? Forse è solo paranoia, dobbiamo sbaraccare. In fretta, anche. La nostra casa ci attende.
 
Continua…
 

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Capitolo 12
*** La meta non è importante quello che conta è il viaggio... parte seconda ***


 
La meta non è importante, quello che conta è il viaggio… parte seconda.
 

 
 

Ci siamo lasciati la stazione di servizio alle spalle già da mezza giornata. Stranamente ora il viaggio sta filando liscio come l’olio; le strade che abbiamo imboccato sono molto più libere dalle carcasse, rispetto a quelle che abbiamo fatto finora. Mi permetto di essere ottimista, sia per la mia famiglia, sia per il destino di Noah.
Forse avremo fortuna e troveremo sua madre e i suoi fratelli ancora vivi. Magari casa sua è ancora operativa, magari potremmo stabilirci lì. Sono così stanco! Le scorte che ci siamo portati dall’ospedale stanno finendo, soprattutto la benzina e l’acqua. Finora non abbiamo trovato molto, quando non troveremo più niente che faremo?

Mancano poco più di cento miglia a Richmond, e se tutto va bene, in un paio d’ore dovremmo esserci, saremo lì per il tramonto e di conseguenza dovremo posticipare di un altro giorno la nostra visita. Spero che il ragazzo lo capisca, non vorrei usare le maniere forti. Non voglio trovarmi in territorio ostile con il buio e non voglio neanche rischiare più vite di quanto ne servano per riportarlo dai suoi cari. È meglio che la maggior parte del gruppo rimanga in disparte, soprattutto Carl e Judith, è imperativo che loro rimangano al sicuro. Dobbiamo trovare un posto a metà strada dove rintanarci in caso di pericolo.
A cinquanta miglia dalla nostra meta ho fatto fermare la nostra carovana. Il gruppo si è messo subito in posizione di difesa, Daryl senza bisogno che parlassi è scattato in perlustrazione. Dopo neanche mezz’ora è tornato facendomi un cenno:
«C’è un fienile poco più avanti, è un po’ malridotto ma il portone è bello solido e pare libero dai vaganti, per passarci una sola notte direi che è l’ideale.» Mi volto e faccio un cenno agli altri, invitandoli a proseguire verso la strada indicatami da Daryl.
Il fienile è spazioso e stranamente ordinato, ognuno di noi si ritaglia il suo angolino preparandosi al riposo notturno, poi, come di consuetudine, tiriamo fuori le nostre esigue scorte di cibo per consumarle in silenzio. Che ci sta succedendo?
So che devo tenere il gruppo unito, ma ormai ho esaurito le energie, Judith piange, ha fame, e io sinceramente non so più cosa darle da mangiare; abbiamo cercato di svezzarla il più rapidamente possibile, ma non ha ancora messo tutti i denti e darle i cibi che di solito troviamo diventa sempre più complicato.
Fortunatamente Maggie ha un’idea: prende un pentolino e lo mette a scaldare sul piccolo focolare, lo riempie con un po’ d’acqua, ci sbriciola dentro dei cracker e ci aggiunge mezza barretta del cioccolato che abbiamo trovato alla stazione di servizio. Ne ricava così una poltiglia dal colore non troppo invitante, che però tutto sommato Judith sembra apprezzare. Maggie guardandomi mesta dice:
«Non è una dieta molto equilibrata, ma almeno il cioccolato le darà energia!» Io sorrido mio malgrado e mi accorgo di cercare lo sguardo di Carol. ma lei non c’è… forse allontanandola dalla prigione l’ho persa per sempre. Posso biasimarla? Non credo… che stupido che sono stato! Mi son fatto delle regole e le ho imposte agli altri, ma sono stato il primo a trasgredirle, il primo a scoppiare. Quando anche Carol lo ha fatto, invece di supportarla e capirla, l’ho allontanata senza quasi darle una spiegazione. Sono un uomo di merda! Lei comunque non si è arresa, ci ha tenuti d’occhio da vicino e quando abbiamo avuto bisogno di aiuto, si è fatta avanti rischiando tutto solo per salvarci. È un capo migliore di me.
Eugene si avvicina e io non ho proprio voglia di ascoltarlo, non l’ho ancora perdonato del tutto per la balla che ci ha raccontato. Ovvio, non sono arrabbiato come Abraham, però devo ammettere che non mi è ancora passata. È venuto a fare rapporto sulle “comunicazioni”: da quando abbiamo lasciato il “Grady”, ha ripristinato due torri radio ed ora vorrebbe provare a mettersi in contatto con il Dottor Edwards, anche per aggiornarlo sulla gravidanza di Maggie. Gli dico di procedere e continuo ad imboccare Judith…  
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

Sono stanca dei musi lunghi di Daryl e delle occhiate preoccupate di Carol, quei due mi nascondono qualcosa e io sono determinata a scoprire di cosa si tratta, costi quel che costi. Anche a rischio, alla fine, di avere la certezza che quello che sospetto da tempo sia una realtà.
Sono una coppia, è inutile che mi illuda.
Anche se sarebbe una batosta, giuro che me ne farei una ragione. In fondo ho sempre saputo di non avere speranze, chi sono io? La ragazzina che credeva che con un gioco sarebbe riuscita a strappare un bacio all’arciere? Marion dei miei stivali, magari è proprio questo quello che pensano di me. “Ah ah” la povera, piccola, patetica Beth. Sono stanca di non sapere e magari di essere derisa.
So di non avere speranze con Daryl. Anzi, credo che se solo cercassi d’intavolare il discorso con lui, mi ucciderebbe, quindi la mia unica strada rimane quella di parlare con Carol. Devo sapere! Perlomeno potrò andare avanti, prendere ciò che c’è stato, la poca intimità che si era creata tra noi, e serbarla come un ricordo prezioso.

La cerco e finalmente la trovo intenta a raccogliere more selvatiche nelle vicinanze del fienile. Lei si volta e mi guarda, una strana luce le attraversa lo sguardo ed io non so interpretarla. È arrabbiata con me? Che ho fatto? Ah già! Daryl… probabilmente pensa che voglio rubarle l’uomo.
Devo ammettere che dopotutto fino a qualche tempo fa avrebbe avuto ragione, ero gelosa marcia del suo rapporto con lui, avrei fatto di tutto per attirare la sua attenzione e quando il destino ci ha fatti scappare insieme, credevo che sarebbe finita così, io e lui verso il tramonto.
Nonostante tutto avrei avuto la mia fetta di felicità. “Che cretina che sono stata! Povera illusa!”
Devo rassicurare Carol che non sarà così, non è giusto e non ne sono in grado. Faccio per parlare, ma lei mi blocca prima che riesca a proferir parola:
«Non qui…» dice dura e mi fa cenno di seguirla, mentre s’inoltra nella boscaglia.  Io le arranco dietro sempre più curiosa, ormai non so più cosa aspettarmi. Abbiamo camminato per venti minuti buoni, stando entrambe all’erta, il sole non è ancora calato e credo che avremo ancora una buona mezz’ora di luce, forse tre quarti d’ora, il tempo necessario per tornare al campo. Improvvisamente, raggiunta una radura, lei si volta e guardandomi fisso dice:
«Andrea era convinta che io e lui saremmo finiti insieme!» Lo dice con un certo compiacimento nella voce ed io non posso che pensare che Andrea sapeva vedere lontano… dopotutto con me ne aveva dato ampiamente prova, no? Sono spiazzata da tanta sincerità, noncurante del mio sguardo continua: «Stavolta il suo intuito ha fallito, siamo troppo simili, io posso capirlo… ma… non posso completarlo… quella sei tu!» Mi scappa una risata isterica, mi aspettavo tutto fuorché questo:
«Come fai a dirlo? Non vuole neanche parlare con me, si è chiuso a riccio e io non so…»
«Solo tu puoi farlo rinascere» risponde risoluta. «Forse non dovrei dirtelo… non avrei nemmeno dovuto assistere…» continua, camminando avanti e indietro: è nervosa e lo sono anch’io, anzi, ormai sono sull’orlo di una crisi di nervi. “Cazzo! Carol, parla, mi stai facendo diventare pazza!” Penso indispettita. Lei sembra aver letto nel mio sguardo perché inaspettatamente risponde:
«Ha pregato! Per te… si è incazzato, ha urlato… ha detto che non ti avrebbe sporcata, non l’avevo mai visto così… non sapeva che ero lì, altrimenti non si sarebbe lasciato andare. Tu l’hai cambiato… non so come, non so perché, ma hai fatto un buon lavoro, devi continuare, non lasciarti scoraggiare da lui… sii forte.» Detto questo, mi assesta una pacca sulla spalla e mi lascia sola a riflettere. Daryl ha pregato per me?
“Wow”, e ora che faccio?
Come lo scuoto dal suo intento malato di proteggermi?
Trovo una roccia comoda su cui sedermi, ho bisogno di riflettere, il crepuscolo sta lasciando il posto alla notte, ma ho una torcia, un coltello e una pistola, e il fienile non è lontano, ho ancora tempo. Poco lontano da me scorgo dei funghi commestibili, mentre rifletto inizio a raccoglierli; dovrebbero abbinarsi proprio bene con gli avanzi del coniglio che Daryl ha catturato ieri, dopo mesi di scatolette sarebbe quasi come una vera cena. “Wow, coniglio ai funghi!” Ridacchio pensando a quello che mi direbbe Carl citando “Zombieland”:
“Regola numero trentadue, goditi le piccole cose”. Sono così stranamente rilassata che mentre li raccolgo mi metto a cantare…
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

Guardando l’ultimo orologio funzionante in possesso di Rick, noto che sono quasi le otto e trenta. Carol è tornata da circa mezz’ora ma Beth ancora no. Sono tutti tranquilli, Carol ci ha rassicurati che non è lontana e che è ben armata. La luna è già sorta, illumina tutto come un pallido sole. Beth non dovrebbe avere nessun problema a tornare, Maggie è serena, ma io non sono tranquillo. “Cazzo, ragazzina, dove sei?”
Non voglio che gli altri sappiano ciò che sento. Soprattutto Carol, ultimamente mi lancia certe occhiate… è come se mi leggesse dentro e in un certo senso mi biasimasse per non stare cogliendo l’occasione, ma quale cazzo d’occasione dovrei cogliere, mi chiedo? Sporcare un’anima pura? Renderla uguale a me? No, cazzo, non posso essere così meschino. Credevo di aver perso quella parte di me quando è morto Merle. Volevo bene a mio fratello, era la mia famiglia, se non fosse stato per lui non sarei mai uscito vivo da Atlanta, forse non sarei nemmeno sopravvissuto all’infanzia, però finché sono stato sotto la sua ala, non ho mai potuto essere me stesso. Dovevo essere sempre e comunque un Dixon, un duro.
Il vero problema è che non lo so neanche ora chi cazzo sono… Sono un bifolco coglione o una brava persona? Beth mi destabilizza… sono fottuto.  Cerco di non farmi notare, i sentimenti rendono deboli, e io non sono un debole, cazzo! Facendo finta di nulla mi allontano, ho bisogno di restare solo.
Devo levarmela dalla testa, è solo una stupida ragazzina. Si fotta! Non le devo niente… anzi, è lei che dovrebbe sentirsi in debito con me, le ho salvato la vita, più di una volta. La mia coscienza si fa di nuovo sentire, stavolta ha assunto le sembianze di una voce che non sentivo da lungo tempo.
Quasi non la riconosco, era talmente nascosta nella mia memoria che faccio fatica a ripescarla.  Se devo essere sincero con me stesso, però, so benissimo di che voce si tratta. In fondo è sempre stata presente, non mi ha mai abbandonato, sono io che non ho voluto ascoltarla nel corso degli anni… era più comodo così.
«Anche lei ha salvato te… lasciala entrare…» la sua voce è melodiosa, esattamente come nei miei ricordi d’infanzia. Sono doppiamente fottuto, penso, cercando le sigarette, ho bisogno di fumare. Mi accorgo che il pacchetto è quasi vuoto, sono rimaste solo tre sigarette e una è rotta. “Merda!” Penso contrariato. Convulsamente mi porto alle labbra una di quelle sane, l’accendo con mani tremanti e do la prima boccata… ahhhh ci voleva! Mi siedo sul primo gradino del portico e osservo la luna. È passato altro tempo e lei non è ancora tornata. Non è un problema mio, non è un problema mio, continuo a ripetermi, poi eccola di nuovo, la mia coscienza, e stavolta usa nuovamente la SUA voce, urlando dentro di me:
«Se non t’importasse di me, non avresti pregato… è inutile che ti racconti balle, Signor Dixon!» “Merda, merda, merda!” Sono fottuto, anzi doppiamente fottuto, in tutti i sensi. Vado a cercarla, non ne posso più.
 
Non ho percorso più di mezzo miglio, che già la vedo che sta tornando indietro, sta usando la mia bandana per trasportare qualcosa, anche se non vedo subito cos’è, la sento persino canticchiare. Cristo, ragazzina, non ti ho insegnato niente sull’avere le mani libere? Una rabbia incontrollata mi coglie, erano anni che non mi sentivo così… incazzato?
Vivo?
Non so cos’è che mi fa scattare veramente, se la voglia di proteggerla o quella di distruggerla totalmente per allontanarla da me, ma so che devo darle una lezione. Non può andarsene in giro così, non dopo tutto quello che mi ha fatto passare.
Guardingo mi avvicino di lato, voglio prenderla alle spalle, e così faccio: la afferro per la vita, una mano sale velocemente a tapparle la bocca. Deve capire che da sola nel bosco diventa vulnerabile, e se questo vuol dire fare il lupo cattivo… ebbene io sono perfetto per questo ruolo. Stranamente lei rimane calma e con un unico gesto fluido sguscia via dalla mia presa, lascia cadere ciò che ha in mano, e mi punta contro la sua pistola. “Chi cazzo sei tu?” Penso stranito. Vuoi fare la dura? Va bene, giochiamo! Con una manata ben piazzata, le faccio cadere la pistola dalle mani, lei mi guarda incredula:
«Daryl, cosa diavolo…?» Con uno spintone la blocco contro un albero, rapido le sfilo il coltello e puntandoglielo alla gola, le sibilo all’orecchio:
«Se vuoi fare la dura, sii pronta a farlo fino in fondo!» Lei sgrana gli occhi, guardandomi fisso. Ed io per un attimo mi perdo.
Una voce fuori campo giunge inaspettata:
«La lezione è terminata per oggi!» La riconoscerei tra mille, è Carol. Mi sposto immediatamente mentre Beth raccoglie la sua pistola e si allontana da me. Non vedo se mi guarda o no, c’è troppo buio. Carol accende una torcia e mentre contemplo la schiena di Beth che si allontana dice:
«Lei è cresciuta, dovresti farlo anche tu!» Si volta e la segue. Sono proprio un bifolco coglione, forse ho esagerato, mi dico, ma che cazzo avrei potuto fare di diverso? È vero, è cresciuta… ma non abbastanza, si fida ancora troppo degli altri. “O forse vuoi punirla perché si è fidata troppo di te?” Dice ancora la mia coscienza, questa volta con la voce di Carol.
Stringo ancora il suo coltello tra le mani… forse ho esagerato davvero. Voltandomi scorgo quello che Beth ha lasciato cadere una dozzina di funghi, grossi e profumati; sorrido mio malgrado, li raccolgo e mi incammino verso il fienile.
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

L’alba finalmente è arrivata e dopo la notte insonne appena trascorsa è stata una benedizione. Tra quello che mi ha detto Carol e il comportamento di Daryl, mi sento spezzata a metà, non so più cosa pensare. Lui è così… scostante e cattivo, prima non è mai stato così, neanche alla fattoria quando lo conoscevo appena.
A volte credo che sia colpa mia, anche se non ne capisco del tutto la ragione. Vorrei tanto che mio padre fosse qui, così potrei chiedergli consiglio, avere da lui tutte le risposte, però so anche che se voglio veramente crescere, devo essere forte, devo imparare a compartimentare le mie emozioni, imparare a riconoscere le priorità; e ora quella primaria è sopravvivere. Concentrati, mi dico. Siamo pronti per riportare Noah a casa. Conta solo questo adesso, tutto il resto passa in secondo piano.
Confesso di essere molto nervosa per lui.
Ho cercato di infondergli sicurezza, di spronarlo ad andare avanti; ero certa della buona riuscita della nostra missione, credevo addirittura che avremmo potuto integrarci nella sua comunità. Ma ora, di fronte ai cancelli malmessi e al silenzio malsano che ci ha accolti al nostro arrivo, non sono più poi tanto sicura. La casa di Noah sembra urlare morte e desolazione da ogni angolo. “Cazzo” e se li avessi condotti in una trappola per un mio falso senso di speranza? Noah si butta sul cancello, ma Rick riesce a fermarlo prima che faccia qualcosa di irreparabile:
«Fate il giro, cercate un’altra entrata» dice con autorità. Michonne, Daryl e Tyreese vanno subito in avanscoperta del perimetro, io mi avvicino a Noah, mentre Glenn e Rick tengono la situazione sotto controllo osservando meglio il cancello.
«Sembra sia stato bloccato dall’interno» dice mio cognato, guardando fisso Rick, che a sua volta annuisce. Noah ha lo sguardo spiritato e l’unica cosa che mi viene in mente di fare è quella di inginocchiarmi accanto a lui e prendergli il viso tra le mani:
«Guardami!» Noah fissa il suo sguardo nel mio, non sono certa che capisca davvero le mie parole, ma contino comunque: «In un modo o nell’altro ne usciremo vivi… hai capito? La verità è meglio di qualsiasi falsa speranza, lo sai, vero?» Prendendolo per le spalle lo scuoto violentemente e ripeto: «Lo sai, vero?» Noah sembra finalmente mettermi a fuoco e mi accorgo che gli altri sono tornati. Daryl mi rivolge uno sguardo truce, ma non me ne preoccupo poi tanto perché ci sono abituata. Invece Michonne con sguardo speranzoso dice:
«Rick, c’è un passaggio poco più avanti, erranti non se ne vedono… potremmo tentare».
Con un accenno d’assenso condiviso, ci incamminiamo verso l’altra entrata, Rick in testa con Daryl e gli altri disposti a ventaglio davanti a me e Noah. La zona è tranquilla per il momento, ma non si sa mai cosa potrebbe celarsi dietro l’angolo. Nonostante questo, noto che il mio amico sta scalpitando, vuole sapere cosa è successo ai suoi cari.
Lo capisco benissimo, anch’io quando mi ero persa insieme a Daryl, avevo sentito il bisogno di ritrovare gli altri… il resto di me.
Lo desideravo quasi con insistenza maniacale e Daryl in un certo senso mi aveva assecondata. Quindi non posso biasimare Noah per avere lo stesso desiderio. Guardo verso Rick con l’intento di dirgli di lasciarlo andare, ma lui, senza neanche guardarlo, pronuncia un’unica parola:
«Vai.» Il ragazzo si fionda in avanti zoppicando e io lo seguo pronta a proteggerlo.
Non ci siamo allontanati più di tre metri, che il vicesceriffo continua rivolto a tutti:
«Mi raccomando, siate cauti, ci ritroviamo qui tra mezzora, se siete nei guai, urlate. Vi troveremo!» Mi allontano insieme a Noah in direzione di casa sua. Mi sembra di percepire lo sguardo di Daryl che mi perfora la schiena, quando mi volto, però, mi rendo conto che  lui in realtà sta parlando con Michonne e che non mi sta guardando affatto. Che illusa che sono! Chissà che cazzo ha visto Carol? Tutto questo non è di sicuro quello che pensa lei… Mi volto e pianto i miei occhi nella schiena di Noah: “Ti terrò al sicuro, lo giuro!”
 
Continua…
 
 

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Capitolo 13
*** The truth is better than any lie ***


Ciao a tutti, come va? Spero tutto ok…. Ecco qua un altro capitolo, il tredicesimo, speriamo che mi porti bene!! XD. Ho notato con dispiacere che questa fan non è più seguita come l’inizio, la colpa è anche mia che sono discontinua nell’aggiornare e per questo vi chiedo scusa. ^^ o forse sto semplicemente scrivendo una boiata dietro l’altra e non avete il coraggio di dirmelo?? Non siate timidi ho le spalle grosse, posso sopportarlo e usare le critiche per migliorare, se non dite niente, mi arrovello il cervello e vado in paranoia O_o! Anyway… tornando alla storia, ho iniziato a scriverla subito dopo la morte di Beth, all’inizio l’avevo pensata in un modo ma ora si sta evolvendo in una maniera inaspettata, ancora non so cosa succederà ma se avrete la pazienza di seguirmi, ne verrà fuori del bene. Fidatevi XD… e come al solito un ringraziamento a tutti quelli che hanno messo la fan tra le seguite, ricordate ecc... un beso a tutti al prossimo capitolo.     
 
 
 
The truth is better than any lie…
 
 

Noah e Beth sono partiti alla volta di quella che doveva essere la casa del ragazzo. Mi piace Noah, non so perché ma mi ricorda me stesso da giovane, è così lungo e secco... goffo. Anch’io ero così, prima di sottopormi a un duro allenamento per entrare nella squadra di football del liceo e conquistare così la cheerleader del mio cuore. Ridendo tra me e me, decido di seguirli:
«Hei, voi, aspettatemi…» dico chiamandoli. I ragazzi si voltano e colgo un sospiro di sollievo da parte loro. Lieto di essere utile, penso grattandomi la testa. Beth mi sorride e dice:
«Grazie Tyreese, sei molto gentile ad unirti a noi.»
«Dovere…» rispondo facendole l’occhiolino e ci incamminiamo in questo quartiere all’apparenza totalmente deserto. Non sono nervoso, non sono spaventato, dopo Terminus credo che nulla possa più farlo. So ormai qual è il nostro destino e la cosa non mi disturba, in fondo è il destino di tutti: cessare di esistere, morire. In questo il mondo non è cambiato, sono cambiati i mezzi ma il fine è rimasto lo stesso. Si vive e si muore, tutto sta nell’accettarlo, ed io ormai credo di averlo fatto tanto tempo fa. La differenza sta nel mezzo, ed io per quel poco o tanto che mi resta voglio vivere bene, senza curarmi delle conseguenze negative, tanto la merda arriva comunque, che tu la cerchi o no.
Ho perso troppe persone, farò il possibile per non perderne ancora, ma per farlo non voglio perdere me stesso, non più. Karen sarebbe fiera di me, forse mi farebbe persino uno dei suoi speciali sorrisi… l’unico rimpianto che ho è quello di non averla abbracciata abbastanza, ma se esiste un aldilà, forse ci rincontreremo, e allora lo farò ogni secondo.

Guardandomi attorno noto che il quartiere di Noah doveva essere una bellezza, quando ancora funzionava ogni cosa, con tutto questo verde, le piste ciclabili e le fontane. Adesso invece è in rovina. La cosa che mi turba maggiormente è che non sembra che la desolazione sia colpa dei vaganti, o del tempo trascorso, sembra più che sia da imputare ai miei simili. Nonostante tutto esistono ancora gli stronzi, che beffa del cazzo! Ormai avremmo dovuto imparare a essere solidali tra noi, ad aiutarci, invece ci facciamo ancora la guerra, penso con tristezza. Devo ammettere che il peggiore virus siamo noi, gli esseri umani.
Stringo le nocche intorno al mio fedele martello guardandomi attorno. Non so da dove mi scaturisca questa certezza, è come un brivido che mi percorre la spina dorsale, forse è colpa dei graffiti, disegnati ovunque.

Alcuni sono sbiaditi, forse una volta erano neri, ora invece sono grigiastri e rappresentano un’unica parola: “Wolves”. Quelli che mi disturbano maggiormente, invece, sembrano più nuovi e sono fatti con la vernice rossa che sporca tutti i muri e mi ricorda tanto il sangue.
Non sono frasi, solo disegni, ma nella loro semplicità sono altamente inquietanti. Uno rappresenta un clown che ride beffardamente mentre ai suoi piedi giacciono dei cadaveri, un altro rappresenta una forca con l’impiccato, un altro ancora, forse il più agghiacciante di tutti, è quello di una specie di cane, o forse un maiale, squartato, con gli organi numerati; sembra quasi un compito a casa, una scheda di biologia da compilare, disegnata da un bambino talentuoso con la mente disturbata. Anche i ragazzi sono nervosi, soprattutto Noah. Come biasimarlo dopotutto?
Dal suo sguardo agghiacciato credo che la casa dalle finestre rotte che sta guardando sia la sua, ed è quella con più graffiti. Anche Beth ci è arrivata e gli afferra un braccio come a trattenerlo. Non servirà a un cazzo, penso io. Infatti lui, spingendola malamente, la fa cadere a terra e, nonostante lei cerchi di fermarlo, si lancia verso il portico zoppicando. Non mi resta che aiutare Beth a rialzarsi e seguire Noah; lo raggiungiamo quando ha già aperto la zanzariera che lo divide dalla porta d’ingresso. Beth gli urla:
«Noah aspetta…» ma il ragazzo non sente ragioni e dando una spallata alla porta, entra senza curarsi minimamente di cosa potrebbe trovare all’interno. Io e Beth lo seguiamo a ruota pronti per ogni evenienza. Il salotto di casa sua è pressoché intatto, se non fosse per l’odore, non si direbbe mai che questa sia una casa post apocalittica. L’ordine è quasi maniacale, e se non fosse per il cadavere in decomposizione sul divano, sarebbe il perfetto soggiorno “della mamma”. Anzi, se devo essere sincero, è fin troppo pulito. Non mi piace, mi si rizzano i peli sulla nuca, in tutto questo c’è qualcosa di sbagliato… come fa a essere tutto pulito, se non c’è più nessuno di vivo che può farlo?
Da come il ragazzo s’inginocchia di fronte a quel corpo, deduco che deve essere davvero sua madre, lo vedo scuotere le spalle in singhiozzi silenziosi. Beth gli si avvicina e gli posa lieve una mano sul capo, carezzandolo delicatamente. Noah, abbandonandosi totalmente, piange tutte le sue lacrime, mentre io mi guardo intorno preoccupato. La giovane donna mi fissa e nel suo sguardo noto una strana consapevolezza, come se avesse vissuto qualcosa di simile. Alza una mano come a voler stoppare qualsiasi mia domanda.
Mi sento di troppo, credo sia meglio che perlustri il resto della casa, giusto per essere certi che non riservi pericoli inaspettati. La cucina è pulita, come lo sgabuzzino nel sottoscala, per ora nessun errante in vista. Salgo al piano superiore, i singhiozzi di Noah si fanno più lontani e in un certo senso mi sento sollevato. Ci vorrà del tempo, ma se vuole sopravvivere deve imparare a convivere con il proprio dolore. È triste a dirsi ma è un percorso che deve compiere da solo, l’abbiamo fatto tutti. Nessuno di noi potrà essergli d’aiuto. Neanche io, non riesco a essere d’aiuto nemmeno a mia sorella. Anzi, se devo essere sincero, non la capisco più. È diventata quasi un’estranea.
Da quando è morto Bob non è più la stessa, si è persa, ed io non so più cosa fare per riportarla indietro. L’unica alternativa che ormai mi è rimasta è quella di prenderla a schiaffi, ma non credo di essere disposto ad usarla, non ancora perlomeno. Probabilmente, se agissi così, la perderei per sempre ed è un rischio che non voglio correre.
La prima cosa che ho notato, arrivato in cima alle scale, è che la pulizia maniacale si è fermata al pianterreno, qui lo scorrere del tempo si nota eccome. Uno strato di polvere spesso un centimetro circa ricopre ogni cosa e le porte sono chiuse. Silenziosamente apro la prima porta alla mia destra: è il bagno e a parte la polvere è tutto in ordine, richiudo la porta e proseguo. Quella subito dopo è chiusa a chiave e, per quanto mi riguarda, per il momento può rimanere così. La terza invece si apre cigolando e subito mi appare chiaro che qui è successo qualcosa di brutto.

Le finestre sono sfondate, i sassi giacciono ancora lì tra i cocci di vetro. Dei rampini rudimentali sono attaccati all’intelaiatura delle finestre, probabilmente li hanno usati per arrampicarsi. Il letto è completamente sfatto e imbrattato di sangue ormai rappreso e nonostante il vento entri dalle finestre rotte gonfiando le tende, l’odore di marcio è insopportabile. Coprendomi la bocca con la mano per attutire la puzza che sta per farmi rivoltare lo stomaco, mi guardo attorno alla ricerca della fonte di quell’odore malsano. Poco distante dal letto finalmente ne trovo l’origine e rimango agghiacciato: dalle dimensioni direi che quello che ho davanti è il corpo di un ragazzino, non credo che abbia più di dieci anni, è completamente smembrato. Gli arti sono stati disposti a formare una “W”, mentre il tronco e la testa sono stati usati come un punto esclamativo. La cosa ancora più spaventosa è che la testa è ancora viva, nonostante sia scollegata dal corpo; apre e chiude la bocca e mi guarda con occhi vacui. Come si può fare questo a una creatura innocente? Mi domando inorridito.
Quale mente perversa può concepire tutto questo?
Mi chino, brandendo il mio martello per porre fine alle sue sofferenze e mi accorgo che è stato privato di tutti i denti. Improvvisamente un rumore giunge alle mie spalle e voltandomi vedo un altro orrore di cui avrei fatto volentieri a meno. Il gemello del bambino squartato è alle mie spalle e il suo destino non è stato dissimile da quello del fratello: è stato colpito da un machete, o forse da una scure, all’altezza del collo, in diagonale fino allo sterno, con il risultato di averlo decapitato a metà; la testa gli penzola dal lato sinistro in maniera grottesca. Non posso permettere che i ragazzi lo vedano, devo occuparmene io.  Con un unico colpo di martello, gli sfondo il cranio e pongo fine a tutto questo. Anche lui è stato privato dei denti. Per quale motivo? Mi domando inorridito.
Mi accascio accanto ai due sfortunati ragazzi. Ora credo di aver visto di tutto e devo ammettere che non c’è limite al peggio. Sono stremato, ma devo tornare di sotto e informare Noah che i suoi fratelli sono morti, e devo anche impedirgli di salire quassù.
 
 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 
 

Tyreese manca da un po’, è andato a controllare il piano di sopra. Noah sembra essersi calmato, ora non piange più, e si limita a fissare il corpo di sua madre con occhi vacui. Io non posso che esaminare l’ambiente circostante: è tutto troppo pulito, mi ricorda la casa del becchino che avevamo trovato io e Daryl. All’epoca avevo pensato che fosse bellissimo che ci fosse ancora qualcuno che si occupasse dei morti e che desse loro una degna sepoltura, ora devo confessare che una strana inquietudine mi attraversa. Mi guardo intorno preoccupata, qualcosa non mi torna, forse è colpa dei graffiti, nella mia vita di prima mi piacevano… ma questi? Che sto guardando in questo salotto di provincia? Questi non sono graffiti, questi sono un insulto.

Ora che li osservo bene, sono ancora più inquietanti e sembrano persino più freschi rispetto a quelli fuori. Non so perché, ma mi ricordano delle rappresentazioni sacre, sembrano quasi gli idoli di un pazzo. Scuoto la testa, dicendomi: “Stai diventando paranoica, smettila!” L’altra cosa che mi ha disturbato fin da subito è la postura del cadavere della mamma Noah, non è distesa come si converrebbe, ma è in posizione semi seduta, con le braccia e le gambe semi aperte, ed è vestita e truccata come se fosse in attesa di qualcosa, o forse di qualcuno. Tutto questo non mi piace, Noah a quanto pare non se n’è accorto, probabilmente è troppo sopraffatto dal dolore. Devo stare all’erta per entrambi.
«Tyreese è via da troppo tempo, vado a controllare, okay?» Non ottengo risposta, riprovo scuotendolo per una spalla, finalmente mi guarda e annuisce dicendo:
«Tengo d’occhio io l’entrata, non preoccuparti» cerca di farmi un sorriso rassicurante, alzando la sua pistola e la sventola verso la porta, ma gli scappa solo una smorfia. Faccio finta di non essermene accorta e facendogli il gesto del pollice alzato, do un occhio ancora al portico e uno alla cucina, prima di salire al piano di sopra a cercare Tyreese.
Appena giunta in cima alle scale, vengo sopraffatta da un tanfo nauseabondo e capisco subito che proviene dalla terza porta alla mia sinistra, la stessa porta da cui sento arrivare dei rumori di trascinamento. Non faccio in tempo ad affacciarmi alla soglia che la voce profonda di Tyreese dice:
«È meglio se resti fuori, fidati, è per il tuo bene» sono stanca della gente che mi dice cosa fare, sono grande ormai. Scostandolo in malo modo mi affaccio sull’uscio, mi rendo subito conto, però, che forse avrei fatto meglio a non farlo. È evidente che Tyreese ha cercato di ricomporre i loro corpi, ma l’orrore che è avvenuto in questa stanza rimane palese ai miei occhi, mi sembra di sentire ancora le loro urla. Questa mattanza è stata opera di uomini malvagi come il governatore. Anzi, forse peggio di lui. Ancora non mi spiego il perché esistano persone così. Prima di perdere totalmente me stessa dico:
«Dobbiamo tornare da Noah, si starà preoccupando, e dovremmo trovare il modo di spiegargli tutto questo!» Allargo le braccia, sconfitta, indicandogli lo scempio di fronte a me, mentre una lacrima traditrice mi scappa. La mia speranza a che è servita? Tyreese fa finta di non accorgersene e mi fa strada verso le scale.
«I miei fratelli sono morti, vero?» Esclama Noah, non appena raggiungiamo l’ultimo gradino.
«Si!» Rispondo mio malgrado, non credo ci sia bisogno d’aggiungere altro. Lui sembra rimpicciolire, ma poi rialza le spalle e asciugandosi le lacrime, dice:
«Va bene, almeno adesso lo so, devo badare a me stesso, sono rimasto da solo.» C’è una tale consapevolezza, una tale rassegnazione, nella sua voce, che io non posso fare a meno di consolarlo e condividere con lui quel fardello. Mi inginocchio accanto a lui e lo abbraccio, cercando di fargli capire che non è solo. Nei mesi che sono dovuta stare al Grady, lui è stato il mio sostegno, ora io devo essere il suo.
 
Tyreese è andato a chiamare gli altri. Io e Noah ormai siamo seduti sul portico, lui poggia la testa sulla mia spalla ed io gli accarezzo lievemente la mano. Daryl è il primo ad arrivare e sembra lievemente scocciato dalla mia vicinanza al ragazzo, ma ormai credo di essere assuefatta ai suoi comportamenti, quindi continuo noncurante a fare quello che sto facendo. Michonne è la prima a parlare:
«Credo che dovremmo fare un funerale» dice guardando Rick, che annuisce.
«Li vuoi seppellire o bruciare? Sono la tua famiglia, a te la scelta» chiede guardando fisso Noah. Forse Michonne è stata troppo diretta, penso, ma invece il ragazzo sembra apprezzare e guardandola le risponde:
«Bruciamoli, così potrò portare un po’ di loro con me, una piccola ampolla sarà più che sufficiente.» Si alza risoluto, avviandosi all’interno della casa. Tyreese ha già avvolto i fratellini di Noah in un lenzuolo e, aiutato da Glenn, li ha portati al piano di sotto. Noah si occupa di sua madre, mentre Rick, Daryl e Michonne hanno già accatastato abbastanza legna sul retro della casa da fare una pira con i fiocchi. A me invece… scappa la pipì! Mi sento così sciocca, ma quando sono nervosa, mi scappa ancora di più. che ci posso fare? Al piano di sopra c’è un bagno, che male c’è nell’usarlo? La casa è stata perlustrata, più di una volta, non c’è nessuno, siamo al sicuro al momento. Per una volta non dovrò acquattarmi tra i cespugli, che soddisfazione! Quasi, quasi non mi sembra vero. Senza farmi notare, salgo al piano di sopra.

Il rumore dello sciacquone è qualcosa d’inaspettato, lo avevo quasi dimenticato. Neanche al Grady funzionava, usavamo dei secchi, e non potevamo farlo nemmeno al primo utilizzo, bisognava razionare l’acqua, quindi si poteva scaricare solo dopo dieci utilizzi. Ricordo ancora la puzza di quei bagni, che schifo! Mi si rivolta lo stomaco al solo pensiero.
È strano come siano le piccole cose, a volte, a colpirti maggiormente: prima le davi per scontate, quasi non te ne curavi, ora invece ti strappano un sorriso, perché per un attimo ti riportano alla normalità. Mi avvicino al lavandino per lavarmi le mani, l’acqua è fredda ma non m’importa, sembra quasi lavare via lo sporco che ormai alberga dentro di me.
Dopo il coma sono stata confusa per un po’, certi pezzi mi mancavano, credevo di averli persi per sempre, non è stato così. Mio malgrado sono tornati a perseguitarmi. La verità è meglio di qualsiasi bugia, però confesso che avrei preferito non conoscere certi dettagli. È stato Daryl a svegliarmi, come al solito: quando mi ha inchiodato a quell’albero, ha innestato una reazione nel mio corpo che mi ha costretto a ricordare.
Ho ucciso due uomini e non lo sa nessuno. Nemmeno Maggie. Ho ucciso l’agente Gorman; è inutile che continui a raccontarmi balle sul fatto che è stata la vittima delle sue angherie trasformata in zombie ad ucciderlo: io sapevo che era lì, ce l’ho portato apposta. E poi ho spinto quell’altro agente nel cunicolo dell’ascensore per difendere Dawn… Carol ha detto che Daryl non vuole sporcarmi. Mi guardo allo specchio, sciacquandomi il viso con l’acqua fredda. Arrivi tardi, penso.
Sono già sporca.

L’odore del falò giunge alle mie narici, il funerale è cominciato, forse è meglio che scenda.
Mi volto per uscire, quando mi trovo davanti un perfetto sconosciuto. Non faccio in tempo a chiedermi da dove cavolo è entrato, che mi viene in mente la stanza chiusa a chiave. Nei pochi secondi che passano, registro veloce altri particolari: è un ragazzo albino, ha i capelli lunghi e sembra più giovane di me, ha uno sguardo allucinato, i suoi arti sono deformi, soprattutto le dita, sembrano più lunghe del normale. Veloce porto le mani alla cintura dove di solito tengo il mio coltello… cazzo, ce l’ha Daryl, realizzo in un attimo. Cerco la pistola ma il ragazzo è più veloce, mi è subito addosso e con le sue dita ossute mi tappa la bocca:      
«Avete rotto i miei giocattoli! Perché? Con quale diritto? Voi piccoli esseri sudici… imparerete… ohh sì… vi insegneranno il rispetto» mi guarda con occhi spiritati mentre mi trascina lungo il corridoio.
 
Continua…
 
 
 

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Capitolo 14
*** Il necrofilo ***


 Ciao, come va?? Scusate per l’immenso ritardo con il quale aggiorno, avete ragione nel essere arrabbiate e magari anche deluse per cui mi punite non commentandomi… però dovete capire che questo per me è solo un hobby, e che non ho sempre tempo, voglia, ispirazione, per scrivere e che comunque i vostri commenti aiutano un autore a crescere, magari anche bastonandolo, confesso che mi sento un po’ abbandonata e quindi sono qui a chiedervi cosa non vi piace?? Siate brutalmente sincere, ho le spalle grosse… un bacio… see you.
P.s ringrazio sempre e cmq i lettori silenziosi e chi aggiunge tra le seguite, preferite ecc.. un bacione e buona vita!
Giada <3  
 
 

Il necrofilo
 
 

 

Ricontrollando i cassetti in cucina, ho trovato dei passe-partout, forse uno di loro aprirà la porta chiusa al secondo piano, potrebbe esserci qualcosa di utile, vale la pena controllare. Il funerale dei parenti di Noah non è ancora cominciato: i cadaveri dei suoi fratellini giacciono accanto alla pira funebre, mentre lui sta ricomponendo il corpo di sua madre. Ho ancora tempo. Mi dispiace per Noah, probabilmente è di cattivo gusto che io saccheggi ulteriormente la sua casa, però è anche vero che le nostre scorte sono ridotte all’osso, se vogliamo sopravvivere non dobbiamo andare troppo per il sottile. E poi, forse, è ora che io faccia i conti con la mia coscienza, ero un ladruncolo anche prima di tutto questo, la differenza sta solo nel fatto che prima me ne vergognavo. Ora so che è indispensabile per sopravvivere.
Negli stipetti, della cucina ho trovato solo un paio di bottiglie di coca cola, una decina di scatolette di tonno scadute da tre mesi, un pacco di cracker e un chilo di zucchero. È un magro bottino, ma ci dobbiamo accontentare. Sto per diventare padre e ancora non mi sembra vero.
Maggie è entrata come un uragano nella mia vita, sconvolgendomi totalmente. Prima di conoscerla ero solo un ragazzo, forse più intelligente e furbo della media, ma pur sempre un ragazzo, neanche l’apocalisse in un certo senso mi aveva fatto reagire come lei era stata in grado di fare.

Farei di tutto per tenerla al sicuro. Di tutto, persino uccidere. Finora non ho dovuto farlo, ringrazio Rick e la buona sorte per questo, ma so che prima o poi anch’io dovrò pagare il conto. Prendere una direzione, destra o sinistra? Uccidere o essere ucciso? Sono spaventato? Non più, ormai. 
Sono pronto a tutto.

Il crepitio del fuoco si fa prepotente, siamo pronti. Infilo velocemente le misere provviste che ho trovato nello zaino. Voltandomi, vedo Daryl che preoccupato mi viene incontro:
«Dove cazzo è Beth? Non la trovo da nessuna parte…» 
 
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 


L’alba finalmente è arrivata, non ne potevo più. Almeno ora ho una scusa per alzarmi, finora non ne ho avuto il coraggio, perché non volevo disturbare il sonno degli altri. Questa notte è stata infinita, non passava mai, almeno per me. Ma non solo: anche Daryl e Beth hanno passato la notte insonne, li ho visti.
Sono stanchi entrambi ma non vogliono darlo a vedere. “Stupidi” penso contrariata, forse è ora che mi faccia da parte e lasci che risolvano i loro problemi da soli. Forse così cresceranno, finalmente. Siamo pronti per riportare Noah a casa. L’importante è questo, ora. Rick fa l’appello e forma le squadre, con lui ci sono Daryl, Tyreese, Michonne, Beth, e Glenn. Mi aspettavo che mi portasse con sé ma mi basta una sua occhiata per farmi capire che gli servo qui!

Carl scalpita, sarebbe voluto andare con suo padre, ma Rick non ha voluto sentire ragioni ed io mi sono trovata d’accordo. Il ragazzo sta cullando Judith, camminando avanti e indietro e riservando occhiatacce a tutti, me compresa. Finché sei vivo, guardami male finché vuoi, non m’importa, penso. Magari potessi avere ancora gli occhi di Sophia addosso, seppur arrabbiati… mi volto e con voce dura gli dico:
«Visto che vuoi darti tanto da fare, molla Judith e controlla il perimetro, guarda se le trappole che ha messo Daryl ieri sera hanno prodotto qualcosa di commestibile.»  Si blocca e mi osserva inclinando il capo come se non credesse alle mie parole.
«Ti vuoi muovere?» esclamo sorridendo. Carl, finalmente sicuro delle mie parole, mi mette Judith in braccio e si fionda a eseguire gli ordini.
«Aspetta» gli urlo dietro. Lui si volta guardandomi con espressione interrogativa:
«Prendi questi» gli passo un involto. Mi guarda sorridendo e dopo avermi ringraziato si allontana.
«Un giorno tuo fratello sarà un capo fantastico» dico, guardando la bambina che ho in braccio. Lei stranamente mi guarda con occhi penetranti, sembra quasi che colga il significato nascosto dalle mie parole. Poi mi sorride, un sorriso sdentato… mi scappa una lacrima, e per un attimo mi perdo. Judith allunga una mano e me l’asciuga, lascia la sua piccola mano sulla mia guancia come a invitarmi a voltarmi. Finalmente lo faccio e contemplo la potenza dell’alba intorno a me. Rimango rapita da tutto questo per qualche secondo. Alzando gli occhi al cielo esclamo:
«Ok, ok… ho capito il messaggio…»  sorridendo, appoggio Judith sopra ad una coperta, «la sai lunga tu!! Vero, piccola?» Mi appresto a preparare la colazione per tutti, carne secca e fagioli. Maggie è la prima a raggiungermi:
«Sono già partiti, vero?»
«Sì» rispondo, mescolando i fagioli che si stanno scaldando. Non ho bisogno di aggiungere altro. Lei si mette a giocare con Judith, mentre l’odore della colazione si spande, risvegliando i vivi intorno a noi.
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 


Carol mi ha mandato a controllare il perimetro. “Cazzo” finalmente qualcuno si fida di me, penso euforico saltellando sul posto. Sperando che nessuno mi abbia visto, mi rimetto in testa il cappello, che è scivolato a terra durante il mio momento di euforia, e comincio la mia ricognizione. Il recinto di fortuna che abbiamo sistemato ieri sera è ancora a posto nessuna violazione. Vado avanti con passo sempre più deciso, la pistola spianata di fronte a me come mi ha insegnato papà. Le trappole disseminate da Daryl distano circa duecento metri dal lato esterno del perimetro. Lui e gli altri saranno al sicuro?  Devo convincermi che sia così, qualsiasi cosa accada sarò abbastanza forte da superarlo. In fondo sono io che ho… che ho… Mi fermo in mezzo al bosco, il fiato è sempre più corto, faccio fatica a respirare… sono io… Io che ho ucciso la mamma.
È ora che lo dica ad alta voce. Sarebbe morta comunque, si sarebbe trasformata, come Shane… Ora che ci penso ho dovuto uccidere anche lui per difendere papà, per difendere il gruppo. Nonostante questo mi considerano ancora un bambino, non si rendono conto…

Il sole si sta sempre più alzando, il bosco prende vita, è ora che mi muova, faccio pochi passi e vedo una delle trappole di Daryl. Con soddisfazione mi accorgo che ha funzionato e un paio di conigli penzolano dai piccoli cappi. Con il mio coltello taglio la corda che li ha soffocati e li infilo nello zaino. Proseguo sul mio cammino, nessun errante in vista, menomale. Che ore saranno? Le batterie del mio orologio hanno smesso di funzionare molto tempo fa e non sono ancora bravo a capire l’ora dalla luce del sole come Daryl… uffa, forse le nove, le dieci? Diciamo le nove e mezzo e tagliamo la testa al toro. Il mio stomaco brontola, apro l’involto che mi ha dato Carol: contiene carne secca e un paio di gallette.
Mi siedo sopra una roccia all’ombra, sorridendo do un morso a entrambe; non sono il massimo, mi impastano la lingua, però mi fanno tornare in mente le merende che mi preparava la mamma… sorseggio un po’ d’acqua per non soffocare e insieme alle gallette ingoio anche le lacrime.

Un rumore poco distante mi risveglia, mi alzo di scatto e mi nascondo dietro ad una grossa quercia. Da qui non riesco a vedere niente, “cazzo” devo spostarmi e non devo fare rumore. Rimanendo acquattato tra gli alberi, proseguo lentamente per circa una decina di metri, finché non sento delle voci; sono due uomini, a quanto pare hanno trovato una delle trappole di Daryl; sono arrabbiati per il fatto che sia vuota ma anche eccitati di aver trovato un gruppo da saccheggiare e distruggere. I loro discorsi mi mettono i brividi, devo avvertire gli altri subito, ma non posso neanche permettere che questi due tornino indietro a riferire di averci trovato. Che cosa faccio? Sono nervoso, ancora non mi hanno visto, è questione di attimi.
Prendo la mira e - bang - il primo cade, non faccio in tempo a sparare di nuovo che un secondo – bang - arriva da dietro le mie spalle e colpisce il secondo uomo, che a sua volta crolla a terra. Mi volto spaventato e mi trovo davanti Maggie e Carol: la prima ha ancora un’arma fumante tra le mani, mentre la seconda esclama:
«Ci stavi mettendo troppo! Eravamo… ero preoccupata per te!»  La guardo e non so cosa dire. Forse è vero, sono solo un ragazzino. L’unica parola giusta ora è:
«Grazie» lei mi dà un buffetto sulla testa e con un sorriso mi risponde: «Prego» Maggie intanto sta controllando i cadaveri, li rivolta come un calzino da capo a piedi in cerca di qualcosa di utile. La prima cosa che balza agli occhi di tutti noi è la W scritta con il sangue sulle loro fronti. Cosa diavolo significa?
«Non possiamo più rimanere qui, probabilmente abbiamo attirato erranti nel raggio di dieci miglia con quegli spari. Dobbiamo contattare Rick via radio per informarlo, ma dobbiamo anche lasciare il fienile il prima possibile. Non sappiamo se ce ne sono altri in giro, non sappiamo se siamo nel loro territorio. Dobbiamo andarcene, è meglio» dice Maggie.
«Intanto torniamo al campo, lì vedremo come organizzarci. Carl, nascondi i corpi come meglio riesci, dobbiamo essere pronti!» Risponde Carol.
Faccio come mi ha chiesto, aiutato da Maggie, dopodiché ci incamminiamo in silenzio verso il nostro accampamento.
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 


Il bosco filtra la luce prepotente del sole, ma da quello che riesco a vedere, non sono ancora passate le undici di mattina. In lontananza riecheggia un’eco… come di uno sparo, forse due, non è molto chiaro. Uno stormo di uccelli si solleva spaventato, oscurando ancora di più la luce. È da una mezzora buona che questo ragazzo albino mi sta trascinando per i boschi, blaterando frasi senza senso. Ogni tanto si ferma ad annusare l’aria manco fosse un cane, se non mi tremassero le gambe dalla paura mi scapperebbe da ridere per l’assurdità della situazione. Sembra che io attiri i guai come una calamita, e se con Dawn devo ammettere di essermela cercata, stavolta “Cristo di un Dio” volevo solo andare in bagno. Cosa ho fatto di male? Questo, a casa mia, si chiama accanimento terapeutico, penso contrariata alzando gli occhi al cielo. Me la vuoi far pagare, Signore? Ho ucciso due persone; la terza... avrei voluto, ma non ci son riuscita. Ho violato uno dei tuoi comandamenti! Quindi devo essere punita per pentirmi, vero? Mi dispiace, perdi tempo.

Non sono pentita, per nulla. Lo rifarei altre dieci, cento, mille volte, se questo significasse proteggere chi amo e me stessa. 
Mi consolo pensando che gli altri mi staranno già cercando. Se riesco a rallentarlo ancora, probabilmente mi troveranno prima che questo pazzo ottenga ciò che vuole… anche se devo ammettere che ancora non ho capito cos’è, e questo mi spaventa. Fingo di inciampare e mi butto a terra, devo guadagnare tempo. Lui mi è subito addosso e mi guarda con sguardo folle:
«Credi che così facendo darai loro il tempo di trovarti? Povera illusa! Ho capito il tuo gioco, non ti servirà a niente, NIENTE» urla con gli occhi spiritati. Strattona le corde con le quali mi ha legata mi afferra anche per i capelli, e mio malgrado mi scappa un urlo di dolore. Al Grady avevo capito come sopravvivere. Anche in questo folle mondo, grazie a Daryl, ho trovato il modo di cavarmela. Questo ragazzo invece mi spiazza: di fronte ho una persona malata, è evidente sia dal suo aspetto, che dal suo comportamento; senza contare il bracciale dell’ospedale dove era ricoverato che svetta sul suo polso. Anche se volessi, non potrei ignorarlo, al Grady ne ho portato uno simile per settimane e se avessi potuto me lo sarei strappato a morsi.

Le lettere sbiadite indicano un numero di matricola, anziché un nome, se non ricordo male questo vuol dire che non era un paziente bensì un detenuto, Probabilmente di un carcere psichiatrico. È ovvio che sia riuscito a fuggire e sia sopravvissuto in qualche modo, ma non mi spiego i cadaveri dei fratellini e della mamma di Noah. A cosa gli servivano? Non mi spiego i graffiti. O meglio... un’idea in testa l’avrei anche, ma è troppo assurda perché sia vera, troppo… Macabra? Forse ho visto troppe puntate di Criminal minds. All’epoca mi era venuta una mezza idea di fare la profiler e così mi ero documentata, avevo cominciato a fare ricerche. Nella biblioteca della scuola avevo trovato un libro interessante… era un libro strano… non finii di leggerlo, perché Maggie lo trovò, fece la spia e… i miei sogni di profiling andarono in frantumi. Di certo quello non sarebbe stato il mio destino, troppo assurdo.

D’altronde anche gli erranti erano assurdi, eppure sono arrivati. La prima cosa che avevo pensato, osservando quei macabri disegni, era che assomigliavano ai graffiti degli uomini primitivi, i quali disegnavano ciò che vedevano molto spesso senza capirlo. Poi però, osservandoli meglio, soprattutto quelli all’interno della casa, ero giunta alla conclusione che avessero una logica, sembrava quasi che raccontassero una storia. Da quel poco che ho capito da quelle immagini contorte, probabilmente non è stato il mio rapitore a uccidere la famiglia di Noah, ma qualcosa di ben più terrificante. Però è come se lui in qualche modo lo avesse celebrato, come se ne fosse fiero, come a specificare: tutto questo è merito mio. “Bah, forse sono io che sto dando semplicemente i numeri e vedo negli scarabocchi di un pazzo più di quel che c’è? Forse ho visto davvero troppe puntate di criminal minds.”

Il mio aguzzino strattona la corda, strappandomi dai miei pensieri, e mi intima di stare buona, mentre si guarda attorno nervoso. Potrei approfittarne, è distratto e di corporatura minuta, potrei colpirlo e fuggire. “Sì, con cosa?” mi domanda la mia coscienza con la voce di Daryl. “Ok, sono ufficialmente fottuta”, l’arciere è anche nella mia testa. “Perfetto!” Però mi dà modo di mettere le cose in prospettiva: non ho armi, se non le mie mani e… il mio cervello, è ora che li usi entrambi.
«I disegni li hai fatti tu, vero? Sono molto belli» dico fingendo un interesse che non provo. Anche se psicopatico è pur sempre un ragazzino e ormai ho imparato a fare colpo. Sfodero tutto il mio sex-appeal e gli sorrido sorniona, sperando che basti a fargli abbassare la guardia. Lui si blocca; sembra confuso dalla mia affermazione, quasi stranito dal complimento velato che gli ho rivolto, si tormenta con le dita sudice la crosta che ha intorno al polso, dove il braccialetto di plastica, sfregando in continuazione contro la carne tenera, ha lasciato un solco.
«Perché non te lo togli?» chiedo affabile «sta facendo infezione, potrebbe essere pericoloso» continuo fintamente preoccupata. Lui mi guarda, senza vedermi in realtà, e con voce incolore mi risponde:
«Loro non vogliono!»
«Loro chi?» Chiedo mio malgrado incuriosita e preoccupata. Il ragazzo si volta e mi guarda inclinando la testa di lato. Un sorriso sghembo mette in mostra alcuni denti mancanti.
«Non vuoi veramente saperlo» risponde. Mi intima di continuare a camminare, minacciandomi con la mia stessa pistola. Passano altri interminabili minuti, raggiungiamo una radura, dove al centro c’è accatastata della legna. Lui si ferma e mi guarda intensamente:
«Volevi sapere chi sono io, giusto? Volevi conoscere LORO, vero? Sarai presto accontentata» dicendo questo, tira fuori da chissà dove una tanica e cosparge la legna di benzina. Infine, con un rapido movimento del polso, scaraventa uno zippo acceso sul cumolo, causando un’intensa fiammata. Il crepitio delle fiamme è molto forte, ma il rumore non nasconde la sua voce, che giunge chiara alle mie orecchie:
«Quando avevo tre anni, mia madre mi regalò un gattino. Era carino, mi piaceva, mi leccava la faccia mentre dormivo, è cresciuto con me… ebbi la mia prima erezione mentre lo strozzavo. Dopo mi sentii in colpa e piansi, ma fu un attimo, avevo circa otto anni… Qualche anno dopo, mi divertii con il cane dei vicini, era una femmina di pastore tedesco. Credo di aver avuto undici, dodici anni, non ricordo molto bene. Presi una spugna da bagno, la buttai nell’olio bollente, la insaporii con del sale, gliela servii e la osservai mentre la mangiava. Ascoltai i suoi guaiti, mentre moriva per via della spugna che le si era gonfiata nello stomaco spaccandoglielo. I suoi rantoli di dolore mi eccitarono a tal punto che venni nelle mutande senza neanche toccarmi. In quell’occasione però fui più furbo, almeno con il vicinato… finsi talmente bene che nessuno sospettò. L’unica che aveva dei dubbi, perché in fondo sapeva, era mia madre. Era a conoscenza della mia natura, ma non voleva accettarla, così si risposò e rimase incinta, credendo che forse avere un padre mi avrebbe aiutato a guarire. Quando nacque la mia sorellina, credetti che mi avessero finalmente concesso il giocattolo che mi spettava. Purtroppo il mio patrigno mi sorprese mentre… sai… volevo introdurla nel mio mondo, era MIA! Il mio sollazzo personale. Credo che ci fosse anche portata. Ma il mio patrigno mi sgridò… mi parlò fin tropo comprensivo. Oh, sì, com’erano fintamente comprensivi! Mi disgustavano. Decisero di farmi entrare in terapia. Credevano di farmi guarire, illusi! Per un po’ tutto andò per il verso giusto, poi però una mattina mia sorella ed io sparimmo. Mia madre e il mio patrigno erano immensamente preoccupati, e avevano ragione di esserlo. Quando ci trovarono, lei era già morta ed io stavo usando la sua bocca da cadavere per farmi fare un pompino… Ti disgusto, vero, piccola Beth? E ti domandi come conosca il tuo nome?! Oh, povera, piccola, illusa Beth» dice, portandosi una mano alla bocca con fare malizioso. I suoi lunghi capelli bianchi ondeggiano alle sue spalle. 
«Prima di agire vi ho osservati. Appena avete messo piede in casa mia, tu mi sei piaciuta subito. Bionda con le trecce… Sai come si chiamava mia sorella?» Dalla mia bocca non esce alcun suono, sono ancora troppo concentrata sul suo racconto. Lui, incurante del mio silenzio, continua imperterrito:
«Si chiamava Elisabhet, anche lei era bionda, e aveva le trecce. Non credi che sia catartico?» Un ghigno sadico gli attraversa le labbra. «Non abbiamo tempo ora di crogiolarci… e se vuoi sapere il resto, devi prestare orecchio… vuoi essere pronta, vero? Per quando arriveranno?» 

Se prima volevo perder tempo, ora l’urgenza di finirla in fretta si fa prepotente. È stato molto più furbo di quanto prevedessi, credevo fosse solo un povero pazzo, ora mi rendo conto che c’è lucidità nella sua follia, e che questa è una dannata trappola. Mi guardo attorno alla ricerca di un’arma qualsiasi, ma l’unica nei paraggi è la mia pistola che il bastardo tiene saldamente tra le dita. Devo rientrarne in possesso:
«Ok… mi hai detto che devo prestare attenzione e lo sto facendo, volevi spaventarmi? Ci sei riuscito, contento? Comunque non ti sembra di essere un po’ maleducato?» Lui mi fissa stranito e io ne approfitto per avvicinarmi ad un ciocco di legno che ho visto poco distante.
«In che senso maleducato? Non ti seguo, piccola Beth, vuoi fregarmi?  Loro non saranno magnanimi se sarai stata cattiva e io non voglio che rovinino il mio nuovo giocattolo.» Sembra essere nervoso. Faccio un altro passo verso il ciocco, lui sembra non essersene accorto.
«Non mi hai ancora detto come ti chiami, tu sai quasi tutto di me ed io non conosco nemmeno il tuo nome, non mi sembra equo, e nemmeno educato, ecco!» Rispondo fintamente offesa, mentre afferro il ciocco di legno prima che lui se ne accorga; lo nascondo dietro la schiena, mi fingo stanca e mi siedo a pochi passi da lui.
«Ho capito che il falò è un segnale per i tuoi amici e che quando saranno arrivati per me non ci saranno speranze, quindi cosa ti costa essere gentile per un po’. In ogni caso devi dirmi ancora chi sono loro, mi avevi promesso la verità, giusto?»
«Immagino tu abbia ragione, e per la cronaca io mi chiamo Daryl» il mio cuore perde un battito nel sentir pronunciare quel nome. Non può essere, Cristo! Questo è accanimento terapeutico. 
«È un bel nome» rispondo mio malgrado, abbozzando un sorriso. Sono sempre più confusa, una volta credevo nei segnali divini… ora in cosa credo? Non ho il tempo però per soffermarmi su certe domande, ora devo solo agire; sono consapevole di avere un tempo minimo, a breve arriveranno i suoi alleati e sia io che il gruppo siamo vulnerabili. Non posso permetterlo. Anche perché per l’ennesima volta è colpa mia.
«Loro chi sono?» Chiedo stringendo le nocche contro la mia arma improvvisata.
«I miei Dei» risponde con sguardo folle. «Ho rivolto loro innumerevoli preghiere nel profondo della notte, li ho supplicati infinite volte nella mia cella, in quel manicomio dove mi avevano rinchiuso, e loro infine sono giunti. Ci sono voluti anni e molti sacrifici, non hai idea del impegno… della fatica!» Mi guarda adirato ed io mi rannicchio ancora di più su me stessa in un’apparente posa di prostrazione, mentre in realtà mi sto concentrando per colpirlo nel modo più duro e rientrare così in possesso della mia pistola. Lui non si è accorto di nulla e continua imperterrito il suo monologo:
«Prima hanno dato mostra della loro potenza, risvegliando i morti come avevo chiesto loro; poi, una notte, mentre me ne stavo nascosto ad osservare i patetici tentativi di sopravvivenza della gente del posto in cui mi avete trovato, quando ormai stavo perdendo la fede in loro, sono arrivati con il fuoco e la lussuria, hanno devastato, stuprato e ucciso come un unico corpo e un'unica mente. La “W” sopra le loro fronti luccicava alla luce della luna, era più che un segno, era “IL SEGNO”. Sono venuto più volte quella notte, è stato molto gratificante. La mattina dopo, ho portato loro i miei doni: tutto il cibo che avevo, le mie armi e me stesso. Mi sono presentato al loro cospetto nudo come un verme, com’era giusto che fosse, loro erano divinità, io non ero nulla. Mi hanno chiesto cosa volessi in cambio dell’eterna fedeltà, io gliel’ho detto. Volevo dei cadaveri da fottere, in cambio avrei fatto tutto quello che mi avessero chiesto. Mi hanno accontentato, in tutto e per tutto, in cambio dovevo essere sempre fedele, tenere solo il minimo indispensabile per sopravvivere e fargli da guardia; sono il loro cane.»
Si volta e mi guarda con occhi incavati e spenti.
Un brivido mi percorre la schiena, sono gli occhi di un morto.
SONO GLI OCCHI DI UN MORTO.

Per un attimo avevo pensato, sperato, di poterlo salvare, ora la verità mi balza agli occhi. Non m’importa più di sapere perché è diventato così, in questo mondo devastato non c’è posto per altro male, deve morire per mano mia. Non so ancora in che modo portare a termine la mia missione, al Grady è finita male, però ci devo provare comunque. Daryl... cazzo, mi suona così male questo nome! Il destino è proprio bastardo, a volte. Daryl si volta a osservare le fiamme, i capelli lunghi e bianchi ondeggiano alle sue spalle; alza le braccia come un direttore d’orchestra, le dita ossute sembra che vogliano dirigere le fiamme. Afferro meglio il ciocco e alzandomi mi sposto leggermente di lato. Lui è talmente perso nelle sue visioni che non si accorge di nulla, questo mi permette di avere una visione migliore del suo viso.
Credo di essermi sbagliata, non è un ragazzino, il suo pallore e le deformità mi hanno ingannato, probabilmente è più vecchio di me. Non m’importa, è tempo di agire. Lui mi dà ancora le spalle e io carico tutto il mio peso sulle braccia, come se dovessi battere un home run.
Corro verso di lui e sbang!  Lo colpisco con tutta la forza che ho. Lui si volta barcollando, mi guarda incredulo. Ricarico e lo colpisco, ancora e ancora, fin quando finalmente cade a terra privo di sensi. Mollo il ciocco e mi fiondo a cercare la mia pistola. Non appena la trovo, controllo che ci sia il colpo in canna e la punto alla sua testa, pronta a fare fuoco.
Lui si risveglia e mi guarda con occhi vacui:
«Beth, perché? Eravamo amici!» Non gli do il tempo di aggiungere altro, il colpo di pistola parte… e questo Daryl non esiste più. Poi succede tutto in un attimo: un’altra voce, a me ben più cara, giunge alle mie orecchie; dice solo una parola:
«Beth» alzo gli occhi e vedo il mio Daryl, l’uomo per il quale andrei all’inferno e, giuro su Dio, tornei indietro. Mentre mi guarda, molte emozioni attraversano il suo viso. Dei rumori poco rassicuranti giungono alle mie spalle, mi volto giusto in tempo per notare che, oltre il falò di segnalazione, stanno arrivando erranti e uomini armati. Non ho il tempo di analizzare nulla, dobbiamo solo correre:
«Scappa» urlo disperata, correndo verso di lui. Riesco ad afferragli la mano e lo costringo a correre con me nella direzione dalla quale è giunto.
 
Continua…
 
 

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Capitolo 15
*** Non c'è limite al peggio... Il necrofilo parte seconda ***


Non c’è limite al peggio… Il necrofilo parte seconda…
 


Quando Glenn non ha saputo rispondermi, immediatamente mi sono precipitato fuori, pensando e sperando di trovarla accanto al falò, magari era uscita da casa senza che la vedessi. Ultimamente la stavo trattando veramente male, e forse finalmente avevo ottenuto quello che volevo, cioè allontanarla del tutto. Non per questo avevo smesso di preoccuparmi.  Mi sembrava di essere finito in un circolo vizioso, in un modo o nell’altro Beth era SEMPRE al centro dei miei pensieri, soprattutto da quando l’avevo sbattuta contro quell’albero.
Ancora non sapevo dare una risposta a cosa mi era preso in quel momento. Sapevo solo che ero infuriato e il lato peggiore di me era uscito allo scoperto. Tuttavia avere il suo giovane corpo a così stretto contatto con il mio mi aveva fatto provare un brivido che era risalito lungo la spina dorsale, facendomi venire un’erezione. Mi detestavo, ero solo uno schifoso pervertito. Cristo, Beth era una ragazzina, non potevo permettermi… non potevo permetterle di farmi vacillare così.

La desideravo e la odiavo con tutto me stesso contemporaneamente.

La notte precedente l’avevo passata insonne, ogni tanto la guardavo, anche lei non aveva dormito molto. La vedevo mentre si agitava nel suo sacco a pelo, e… avrei voluto… Cosa? Cosa avresti voluto, Daryl? Si domanda la mia mente usando nuovamente la sua voce. “Fanculo! Non lo so! Va bene?” Rispondo tra me e me più frustrato che mai. “Fottuta ragazzina, mi hai mandato in pappa i pochi neuroni che mi restano, sei la mia maledizione, vero?” La voce di Merle ride di me, la sento risuonare come se mi fosse accanto. Cristo, se fosse qui me ne direbbe di ogni. 

Una volta uscito, era evidente che lei non fosse nei paraggi, il mio nervosismo non era passato totalmente inosservato: Tyreese mi aveva visto e prima che potessi fare qualsiasi cosa, era salito nuovamente al piano superiore; affacciandosi alla balaustra aveva detto solo queste parole:
«La porta è aperta!»
“Cazzo, ragazzina! Sei capace di metterti nei guai anche nel nulla” penso indispettito. Abbiamo perlustrato questa fottuta casa più volte e anche i dintorni erano puliti, cosa diavolo sta succedendo? Salgo i gradini a due a due senza parlare, entro nella stanza chiusa a chiave, che ora non lo è più, e subito mi rendo conto che chi viveva qui non era a posto mentalmente. I graffiti ricoprono ogni spazio, persino il pavimento. L’unica parola leggibile è Wolves, le altre sono solo scarabocchi. I disegni però sono qualcosa di… di osceno, nemmeno gli amici peggiori di Merle, strafatti di anfetamine, avrebbero concepito un tale orrore. Mi volto guardandomi attorno, la puzza è insopportabile, cadaveri in decomposizione giacciono ovunque, qualcuno è ridotto ad uno scheletro ormai.
La cosa che mi impressiona di più è la quantità di teschi, tutti senza denti, sono inchiodati alle pareti. “Cristo, Beth, in cosa diamine ti sei cacciata?” Penso spaventato. Rick e gli altri mi raggiungono, non gli do il tempo di parlare che entro nel bagno: per un occhio inesperto non ci sarebbe nulla da vedere, ma io vedo come Beth è stata trascinata contro la sua volontà, mi fa male al cuore. Seguo le tracce, Tyreese è alle mie spalle, mi osserva e vedo una domanda muta nei suoi occhi:
«È uno solo, l’ha portata nei boschi, le tracce sono fresche, possiamo raggiungerlo!» Rispondo, lui va a informare gli altri che sono rimasti ad osservare l’orrore, mentre io mi butto all’inseguimento. Noto subito con piacere che la ragazzina ha lottato, ci sono segni che mi fanno capire che ha cercato di rallentarlo. Nello stesso tempo però ho paura, e se la sua ribellione le fosse stata fatale? Cazzo, Daryl, cerca di essere un po’ottimista. Beth è intelligente, avrà trovato sicuramente il modo per cavarsela.
Sento l’eco di alcuni spari, sono lontani e non sembrano arrivare da dov’è Beth, anzi, sembrano giungere dalla direzione opposta, ma ciò non toglie nulla all’urgenza di trovarla.
Ho bisogno di sapere che sta bene.

All’improvviso, mentre sto seguendo le sue tracce, vedo del fumo levarsi di fronte a me, qualcuno ha acceso un fuoco bello grosso. Mi metto a correre più preoccupato che mai, mi sembra di essere tornato a quella dannata notte, quando quella fottuta macchina me l’ha portata via.
Finalmente vedo che gli alberi si fanno meno fitti aprendosi in una radura, dove intravedo la luce tremolante delle fiamme. Mentre mi avvicino, sento degli ansiti e dei colpi sordi, ne conto almeno quattro. Non so cosa aspettarmi, ma continuo a muovermi, fin quando non la vedo.

Beth è in piedi di fronte al suo rapitore svenuto, nella mano destra stringe un lungo ciocco di legno insanguinato, mentre con la sinistra sorregge la pistola. Butta il bastone, impugna l’arma con entrambe le mani e la punta alla testa del suo rapitore. Lui si risveglia e pronuncia qualcosa, ma da dove sono il rumore delle fiamme copre la sua voce; credo che stia chiedendo pietà, ma Beth risoluta e fredda non gliela concede, invece prende la mira e fa fuoco. Non so cosa pensare, il mio primo pensiero è:
“Cazzo, sono fiero di lei” mentre il secondo è:
“Dov’è finita la ragazza che trovava del buono in tutti? Che rideva per un cane randagio? Che cantava… per me… Dove sei finita, Beth?” Il suo nome sale alle mie labbra, credevo di averlo solo pensato, invece lei si volta nella mia direzione quasi come se la mia voce fosse una fucilata.
Mi mette a fuoco spaventata e mi corre incontro urlandomi di scappare, quando finalmente afferra la mia mano, vedo anch’io le ombre minacciose che ci stanno assediando. Corro con lei, non mollo la sua mano nemmeno per un secondo, quando sono quasi certo di essere al sicuro, la fermo, tirandomela addosso:
«Si può sapere cosa cazzo sta succedendo?»
«Non abbiamo tempo per queste stronzate, Daryl. Ti spiego dopo, ora dobbiamo trovare gli altri e scappare, era una fottuta trappola!» Risponde agitata continuando a tirare la mia mano, sento l’urgenza nella sua stretta. Alzando gli occhi vedo Rick e gli altri che ci stanno venendo incontro.
«Ci hanno già trovato!» Le rispondo cercando di rassicurarla, lei si volta verso l’ex vicesceriffo e vedo che il suo sguardo passa dal sereno all’agghiacciato in un secondo. Seguo la linea delle sue ciglia e li vedo: erranti, troppi erranti, ci hanno circondato. Impugno saldamente la mia balestra. Pronto a fare fuoco. “Cristo, sono troppi!”
 


∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 


Dobbiamo scappare, dobbiamo muoverci, penso mentre impugno il mio fedele martello. Colpisco il primo zombie che mi si para davanti, quello stramazza al suolo ed io mi metto a correre verso gli altri. La spada di Michonne sciabola più volte, mentre Rick usa il suo machete. Dobbiamo essere silenziosi, gli spari che ho sentito poco fa probabilmente hanno contribuito a tutto questo, hanno attirato gli erranti.  Mentre corro, mi rendo conto con orrore che non ci sono solo zombie al nostro inseguimento, ma anche degli esseri umani: ne conto una dozzina, li ho notati per come si muovono. Faccio segno a Daryl, mentre rientriamo nel quartiere di Noah, lui mi fa cenno di averli visti a sua volta. Beth, che è poco distante da entrambi, dice:
«Sono loro… i Wolves. Correte!»  I non morti continuano ad avanzare, mentre noi cerchiamo di raggiungere le auto con le quali siamo arrivati.  Dobbiamo scappare da qui…
Dobbiamo metterci in salvo.

Rick è in testa alla fila insieme a Michonne, mentre Glenn sta aiutando Noah ad andare un po’ più veloce. Fortunatamente gli zombie non sono un ostacolo solo per noi, hanno rallentato anche i nostri inseguitori; probabilmente il loro piano gli si è ritorto contro, forse pensavano di trovarci spaesati. Mio malgrado mi trovo a sorridere, non avevano fatto i conti con il nostro gruppo. Soprattutto con Beth, lei è stata la vera sorpresa.
Li sento urlare e sparare alle nostre spalle, forse ce la facciamo, il cancello dal quale siamo entrati dista da noi meno di un miglio.

Siamo quasi arrivati.

Poi rapidamente succedono tre cose: gli spari cessano, mentre noi stiamo correndo lungo le mura dell’edificio che una volta era la sede del consiglio di quartiere; il portone si rompe facendo fuoriuscire un paio di dozzine di erranti; Noah inciampa coinvolgendo anche Glenn in una rovinosa caduta. Beth è la prima ad urlare, è anche la prima a raggiungerli per aiutarli, riesce ad uccidere tre erranti prima di essere quasi sopraffatta. Daryl, urlando il suo nome, si butta a capofitto per salvarla, e io… non so, è come se vedessi la scena al rallentatore.
Rick e Michonne stanno cercando di tornare indietro senza riuscirci; Daryl e Beth sono riusciti a liberare Noah e Glenn ed ora tutti e quattro cercano di respingere l’orda con scarsi risultati.
Impugno il mio martello più saldamente e mi butto nella mischia.
 


∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 


Quando ho visto Noah inciampare trascinando Glenn con sé, mi è caduto il mondo addosso. Gli zombie che sono usciti dal portone, poi, sono stati la ciliegina sulla torta. Non ho neanche pensato, mi sono solo buttata in avanti nel tentativo di fare qualcosa, accecata dalla rabbia credo di essere riuscita a far fuori un paio di non morti, forse tre. Il quarto piomba alle mie spalle, facendomi cadere il coltello. “Merda” penso arrabbiata.
Estraggo la pistola e faccio fuoco, il vagante cade e io mi chino a cercare la mia arma. Non appena la trovo, continuo a muovermi verso mio cognato, che nel frattempo è riuscito a mettere spazio tra lui, Noah e gli erranti. Sento che Daryl urla il mio nome e, poco dopo, un dardo colpisce un errante che non avevo visto, salvandomi per la milionesima volta la vita. Noah e Glenn si sono posizionati alle spalle del portone e usano le ante come scudo, ma non so per quanto resisteranno. Vedo Rick e Michonne che cercano di raggiungerci, senza riuscirci.
Forse questa è davvero la fine, penso disperata.

Daryl arriva al mio fianco, spalla contro spalla cerchiamo di contenere l’orda, l’essere silenziosi ormai non conta più. Comincio a sparare e vedo che mio cognato e Noah si sono liberati e ora sono alle nostre spalle, impegnati nel tentativo di contenere la massa di non morti. Tyreese si unisce alla mischia, lo vedo brandire il suo martello e colpire gli erranti come un forsennato. Io intanto continuo a sparare fino a che non esaurisco le munizioni, anche Daryl ha finito i dardi, ma recuperarli ora sarebbe un suicidio. Arretriamo un poco e continuiamo a combattere con tutte le armi che abbiamo: le nostre mani e le nostre gambe, unite alle nostre fedeli lame.
Tyreese ci ha praticamente raggiunti e il suo inseparabile martello è davvero provvidenziale, basta un solo colpo per sfondare il cranio marcio dei non morti. Purtroppo, però, anche lui comincia ad essere stanco. Non so per quanto tempo potremmo resistere ancora. Guardo Daryl disperata ma anche serena, perché penso che morirò accanto a lui, e questo mi basta.
Sono una stupida, lo so.
Non importa, finché io e Daryl stiamo assieme, andrà tutto bene.
 


∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 


La situazione è più disperata di quanto credessi, la mia balestra ormai è inutile e la posso usare solo come una mazza, ed è quello che faccio per tenere lontani gli erranti. Beth mi sorride fiduciosa, ed io non so che fare, il mio unico pensiero è che lei deve vivere. Non importa a che prezzo, lei deve vivere. Con la coda dell’occhio vedo che Glenn e Noah sono riusciti ad uscire dalla mischia; anche Tyreese è potenzialmente in salvo, solo io e Beth siamo ancora nella merda.
La vedo combattere come un’indemoniata è ricoperta da capo a piedi di sangue, non è da lei…. Non è così che la voglio ricordare, lei è pura.
Un angelo.

Non può sporcarsi così, non per salvare uno stronzo come me. Con uno sforzo disumano la tiro indietro e la spingo oltre le mie spalle, in uno spiazzo che si è aperto tra noi e Tyreese; sono pronto ad affrontare la morte.
“Prendi me, scegli me… lei lasciala vivere” sono stanco, tanto stanco. Credevo di avere tutte le risposte, non è così.
E io... 
Credo ormai di essere arrivato al capolinea, quando con la coda dell’occhio vedo Beth tornare indietro, urlando il mio nome:
«DARYL!!» vedo le lacrime che le velano gli occhi, mentre si butta nuovamente verso di me e la morte. No, Beth, non puoi farmi questo! Penso disperato. Lei è inesorabile e si para tra me e uno zombie che praticamente è come se mi avesse già morso.
La prendo tra le braccia e la volto per proteggerla.
Aspetto il morso ma quello non arriva, perché il braccio di Tyreese si frappone tra me e la bocca dell’errante. Alzo gli occhi e lo guardo confuso non so cosa pensare, figurarsi dire qualcosa.  
Ricominciamo a combattere arretrando, Tyreese perde sangue e si tiene il braccio ferito stretto al petto. Mentre indietreggiamo sempre di più, Rick e Michonne ci coprono le spalle sparando a quanti più erranti possibile. La via di fuga ormai è libera, dobbiamo solo correre, spingo Beth di fronte a me, mentre sostengo l’uomo che mi ha salvato la vita. Si è preso un morso al posto mio e mi domando perché…
Lui sembra leggermi dentro e guardandomi, mentre si sostiene a me, dice:
«Tu la ami… non fare il mio stesso sbaglio… con Karen mi sono imposto di andare piano…. A cosa è servito? Lei è morta ed io… io…» non finisce la frase che sviene. Ha perso molto sangue. Riesco a malapena a trascinarlo oltre il cancello, poi Noah e Glenn chiudono e sprangano le ante. Io adagio il corpo di Tyreese a terra ed esclamo guardando gli altri:
«Mi ha salvato la vita! Ma è stato morso»
«Forse possiamo salvarlo, con Hershel ci siamo riusciti.» Risponde Rick ottimista, guardando verso Michonne e la sua katana.
Lei capisce e senza proferire parola taglia il braccio di Tyreese.
 
Continua…
 

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Capitolo 16
*** And now? ***


And Now?
 
 
Sono passati due giorni da funerale di Tyreese e da allora non abbiamo più parlato tra di noi a livello personale. Non riesco a parlare nemmeno più con Maggie, tra di noi si è aperta una voragine e non so più come colmarla. Io so che lei sa di avermi abbandonata, non è venuta a cercarmi, e questa verità è come se in un qualche modo ci avesse rotte, siamo distanti. È come se avessimo paura che, parlando di cose personali, la voragine che si è creata faccia uscire tutto: la rabbia, la delusione, la paura. Quindi niente, le sorelle Green vanno avanti e fanno finta di nulla. Con gli altri, poi, la situazione è forse peggiore. Parliamo solo di cose essenziali, quante scorte, quanta benzina, sembra che non abbiamo altro da dirci, siamo come spenti.
Se continuiamo così, non so cosa ne sarà della nostra famiglia. Io ho cercato mio malgrado di tenere insieme i pezzi, ma questi mi scivolano fra le dita come fossero sabbia. Non abbiamo più una meta e Tyreese è morto, la nostra roccia, il nostro gigante buono. In un certo qual modo è morto per colpa mia: si è preso un morso per salvare Daryl, ma Daryl stava salvando me perché ero tornata indietro per salvare lui.
Uffa, che gran casino. Io volevo solo che tutti stessimo bene.
Mio padre mi ha insegnato a credere in un futuro sempre roseo, mi ha insegnato la speranza, ma devo ammettere che ora come ora non ne vedo nemmeno l’ombra intorno a me. E sì che ci abbiamo provato a salvare Tyreese, con tutte le nostre forze, purtroppo però tutto il nostro impegno non è valso a nulla. Lui ci ha comunque lasciato. Dopo che Michonne gli ha amputato il braccio, abbiamo corso come dei forsennati per raggiungere gli altri; io ho cercato di contenere l’emorragia, sfortunatamente non ci sono riuscita e Tyreese è spirato tra le mie braccia. Ho cantato per lui nel tentativo di donargli un po’ di serenità, spero di esserci riuscita.
Anche se la serenità al momento non mi appartiene per niente, lui almeno in punto di morte se la meritava. Prima di chiudere gli occhi per sempre, ha sorriso e ha detto:
«Sei venuta? Staremo insieme ora… per sempre» non so a chi si riferisse, ma sono contenta di sapere che, chiunque sia, sia andato a prenderlo.
Sasha gli ha dato il colpo di grazia prima che si trasformasse e credo che questo sia stato troppo da sopportare per lei; soprattutto dopo Bob. Io mi sento di capirla e ammirarla, anch’io ho perso un fratello e non so se avrei avuto il suo stesso coraggio. Al misero funerale che abbiamo organizzato Padre Gabriel si è dimostrato impeccabile, ha cercato di essere di conforto con le sue parole sulla vita eterna e sul paradiso dei giusti. Nessuno di noi ormai ci crede più e devo ammettere che comincio a dubitarne persino io. Io, la piccola innocente Beth, che trovava conforto in una canzone e nell’abbraccio di un amico… loro non sanno che non sono più così. Loro non sanno che anch’io ho ucciso a sangue freddo. Solo Daryl ne è a conoscenza, ha assistito al mio ultimo omicidio e da allora non mi guarda più, nemmeno di sottecchi, nemmeno per sbaglio. Sono diventata sporca persino ai suoi occhi? Confesso che io non mi sento così, non più ormai. Insomma, è vero, ho ucciso degli uomini a sangue freddo, ma in fondo non ho avuto altra scelta, o loro o me, era una mera questione di sopravvivenza. In fondo non capisco tutto l’astio che Daryl prova nei miei confronti. Lui ha fatto altrettanto, se non di peggio, quindi mi sorge una domanda: cosa cazzo si aspetta da me?
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

Se Merle fosse qui mi direbbe che la morte del “negro” non dovrebbe farmi né caldo né freddo, un fottuto mangia banane in meno, ma per me non è così. Tyreese era un amico, una persona su cui contare e da rispettare, e poi le parole che mi ha detto prima di morire pesano ancora sulla mia coscienza: “Tu la ami… non commettere il mio stesso sbaglio” sbaglio, quale sbaglio? Lasciarla libera? Non corromperla?
È tornata indietro… l’avevo allontanata, messa al sicuro, ma è tornata indietro… perché? Stupida, stupida ragazzina, perché devi vedere del buono in me? Io non ho futuro, sono solo uno stupido cazzone. Ho paura di averti già corrotto, nel poco tempo che abbiamo passato assieme la mia influenza negativa si è insinuata dentro di te.
Hai ucciso un uomo a sangue freddo, come ti senti ora? Vorrei venire da te per sapere come stai, però ho paura di fare altro male; sono bloccato. Posso ammettere una cosa sola per ora, sono innamorato di te, ma posso ammetterlo solo con me stesso; credo che non te lo dirò mai, non è da me, i miei muri sono troppo alti, e poi che te ne faresti del mio amore? Non ti servirebbe a nulla, non ti servirebbe per sopravvivere, anzi.
Il mio amore sa essere solo distruttivo, Carol mi ha detto di crescere, ma io non so farlo, non so abbandonare la mia paura di essere lasciato solo. In questo sono come un bambino, mi sono trincerato dietro muri troppo alti ed ora scalarli è dura. Cristo, sono ancora vergine, a quarant’anni sono vergine, mi sembra di essere il cazzone di quel film, probabilmente rideresti di me. Beth, confesso di avere paura, ho paura di te, ho paura di noi. Non te lo dirò mai, piuttosto ingoierei la mia stessa lingua, ma la realtà è questa. Sto guidando il pick-up, seguendo la station wagon di Rick, senza in realtà vedere la strada; Sasha è accanto a me con Eugene, sono entrambi silenziosi. L’aria è tesa, ma non sarò di certo io a spezzare il silenzio.
Cosa potrei dire in fondo? Che Tyreese è morto per colpa mia? Credo lo sappiano già, e che me ne diano la colpa o meno, questo non cambia quello che è successo.
Una spia nefasta si accende sul quadro, non me ne accorgo finché Eugene con un colpo di tosse richiama la mia attenzione e mi fa cenno di guardare il cruscotto. Stiamo finendo la benzina. “Porca puttana, non ci voleva”. Siamo in mezzo al nulla, la vedo dura trovare un distributore, soprattutto funzionante. Richiamo l’attenzione di Rick accendendo e spegnendo i fari e accosto; con una carezza al cruscotto do l’addio al pick-up bianco che ci ha accompagnato fin qui. Glenn risucchia la benzina di riserva dal serbatoio e la mette in una tanica di scorta. Ora abbiamo solo la station wagon e i mini van ad accompagnarci e, se non troveremo nulla lungo il nostro cammino, a breve dovremmo dire addio anche a loro.
Salgo sulla station wagon e tu sei accanto a me con Judith in braccio che dorme. Già questa vicinanza forzata mina il mio auto controllo, ho fatto di tutto per starti lontano, per non guardarti neanche, e ora eccoti qua a neanche due centimetri da me: sei ancora sporca del sangue dei nostri nemici, ma nonostante questo ai miei occhi sei più bella che mai. Sbuffo contrariato e guardo gli occhi di Rick che mi fissano divertiti dallo specchietto retrovisore: “Cazzo ti ridi, bro?” Penso indispettito. Cerco di sistemarmi in modo da porre la maggior distanza tra di noi, ma è tutto inutile, ’sta macchina comincia a starmi stretta; non posso fare a meno di guardarti.
Judith appoggia il capo sul tuo seno e con una mano è ancorata alla tua coda mezza sciolta. Conosco bene il modo di dormire della piccola spaccaculi, ho rischiato di rimanere pelato più volte per il suo maledetto vizio di arrotolare capelli, mio malgrado mi scappa uno sbuffo divertito, che cerco di nascondere con un colpo di tosse; invidio profondamente la bambina che dorme sul tuo seno. Gli altri forse se la bevono, ma tu no, ti volti e punti i tuoi occhi sinceri su di me. Cominci a fissarmi, senza una reale espressione in viso, il tuo volto è duro e arrabbiato, aggiungerei frustrato, perché cerchi di capirmi e non arrivi a nulla. Ti ostini a guardarmi in silenzio e a me comincia a mancare l’aria, sotto il tuo sguardo così netto mi sento nudo e indifeso. Non va bene, non va bene per niente.
Rick continua a guidare, Michonne sonnecchia insieme a Carl, Carol controlla la strada, nessuno fiata e il tuo sguardo comincia ad essere troppo da sopportare, vorrei distogliere gli occhi, ma sono come incatenato ai tuoi e non ci riesco. Il tuo respiro si fa affannoso come il mio, sento che mi stai scrutando nel profondo e questa consapevolezza mi spaventa e affascina. Cosa cazzo mi stai facendo, ragazzina? La mano di Judith molla la tua ciocca, segno evidente che la bambina è definitivamente crollata e a me viene automatico allungare la mia per rimettere i capelli a posto dietro il tuo orecchio. Un sospiro sfugge dalle tue labbra e la mia mano indugia sulla tua pelle: nell’esatto momento in cui l’ho toccata, ho sentito un richiamo a cui non ho saputo resistere. Le mie dita si attardano sulla tua nuca, il tuo sguardo si fa languido, le tue gote diventano rosse…
Eccoti qua! Finalmente! Credevo di averti persa. Alla fine basta poco per riportarti da me. Le tue labbra si schiudono, forse vorrebbero… dovrebbero essere baciate, ed io vorrei farlo, vorrei davvero farlo.
Il mio corpo agisce di sua spontanea volontà, la mia mano affonda nei tuoi capelli, non sto pensando, è solo l’istinto a guidarmi; inesorabile sento il mio braccio che ti tira verso di me. Sempre più vicino, il tuo calore mi sta inondando, non so se riuscirò a resistere, mi sento come una falena attirata dalla luce di una candela: so che brucia, ma l’attrazione è più forte. Una brusca frenata e un’imprecazione mi riportano alla realtà.
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 

Il pick-up è rimasto a secco e abbiamo dovuto accostare, ora dobbiamo dividerci in sedici su tre macchine. La cosa non mi disturba, staremo un po’ stretti, tutto qua. Mi riaccomodo sulla station wagon tenendo Judith in braccio e aspetto di ripartire. Improvvisamente un calore conosciuto inonda l’abitacolo, alzo gli occhi e ti vedo accanto a me. Sei incredibilmente a disagio, me ne accorgo subito, ti dà così fastidio stare accanto a me, signor Dixon? Una rabbia incontrollata mi assale, non sembrava ti desse fastidio prima se non ricordo male, a giudicare dai tuoi sguardi compiaciuti, ti piaceva che ti ronzassi intorno. Dalla casa del becchino è cambiato tutto: io ti ho fatto quella maledetta domanda e tu non hai risposto, poi mi hanno rapito e tutto è degenerato.
Sono così arrabbiata e frustrata che punto i miei occhi su di te, incurante per una volta che così facendo potrei scoprirmi al diavolo tutto, so che sai cosa provo per te… è innegabile come il giorno che segue la notte, come le stelle nel cielo, come la terra che gira. Io ti amo, ti amo con tutta me stessa, con il cuore e con la pelle, con le ossa e con il sangue, non sono completa se non ci sei tu, mi sento una drogata e la mia droga si chiama Daryl Dixon. Judith afferra i miei capelli e comincia ad arrotolarli, segno che vuole dormire, e tu continui a fissarmi. Sembra che stiamo facendo quel gioco… quello in cui bisogna fissarsi senza ridere o abbassare lo sguardo. Non ho intenzione di perdere, per una volta voglio essere forte e voglio batterti.
Non ho paura di te, non ho paura di noi, so che saremmo meravigliosi insieme.
Ti vedo, sei a disagio… non credevo fosse così facile, signor Dixon, metterti in imbarazzo; ti muovi nervoso sul sedile, cerchi una distanza tra noi che non è possibile. Un sospiro scappa dalle mie labbra, è carico di un desiderio statico: ti voglio, ti voglio, ti voglio, ti voglio talmente tanto che mi fa male; mi fanno male le ossa, mi fa male tutto. Judith molla i miei capelli, segno che è definitivamente andata nel mondo dei sogni; la sua mano crolla, ma la tua la sostituisce immediatamente, afferra i miei capelli e li rimette al loro posto. Il tuo sguardo è qualcosa d’indescrivibile. Ho rivisto il lampo, quella luce con cui mi guardavi, forse Carol ha ragione, non ti sono così indifferente, Signor Dixon. Tutti i miei pensieri vanno a farsi benedire, quando capisco che la tua pelle sta toccando la mia. Oddio, improvvisamente sento caldo e la mia lingua saetta ad umettare le labbra; sono indifesa di fronte al tuo sguardo. Non capisco più niente, cosa vuoi da me, Daryl?
Sento che la tua presa si fa più serrata, sento che mi stai avvicinando a te, alle tue labbra invitanti. Oddio, mi vuoi baciare? Sarò ingenua e avrò poca esperienza, ma su questo non credo di sbagliarmi, anzi non mi sbaglio proprio per niente. Il mio cuore è un tamburo velocissimo, mi rimbomba nelle orecchie, da un momento all’altro potrebbe uscirmi dal petto e piombare tra le tue braccia; sento di essere arrossita fino alla radice dei capelli. Il tempo si dilata, mentre aspetto che le tue labbra sfiorino le mie.
Poi Rick frena di colpo, imprecando, e l’incantesimo si rompe.
Davanti a noi, lo scempio. Macchine su macchine, camion, la maggior parte ribaltati, altri solo fermi in mezzo alla strada, ostruiscono il passaggio. È impossibile rimuoverle tutte; o torniamo indietro e cerchiamo altre strade, oppure proseguiamo a piedi, non abbiamo altre scelte davanti a noi. Il tramonto è vicino, non è sicuro viaggiare con il buio. Rick scende dalla macchina e noi lo seguiamo a ruota. Il vicesceriffo è sfinito, ma ha ancora quel lampo di vitalità negli occhi che lo fa essere il nostro leader. Risoluto dice:
«Per questa notte ci accampiamo qui. Domani mattina metteremo ai voti se proseguire a piedi o tornare indietro. Dormiteci su e pensateci. Faccio io il primo turno di guardia!»
 
 
 
 

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Capitolo 17
*** Finché c'è vita c'è speranza ***


Finché c’è vita c’è speranza
 


Ho deciso che è meglio fermarsi per la notte, mancano ancora un paio d’ore prima che il sole lasci il posto alle stelle, ma per non correre rischi è meglio fermarsi ora. Mi guardo intorno per studiare la situazione, quando Eugene mi si avvicina e, con gli occhi bassi e voce timorosa, dice:
«Siamo troppo esposti qui, nel caso ci avessero seguito, ci vedrebbero immediatamente, suggerisco di addentrarci tra le carcasse, in modo da nasconderci un po’, tra l’altro potremmo trovare cose utili rovistando in giro.» Quasi mi viene da ridere notando da chi viene il suggerimento. Allora non è così inutile come pensavo! Comincio a comprendere Abraham per avergli creduto. Gli do una pacca sulla spalla e mi rivolgo agli altri:
«Credo sia meglio nasconderci, facciamoci largo tra queste macchine e usiamole come scudo, nel frattempo cercate cose utili» dico indicando le prime file di mezzi abbandonati. Ho notato poco più avanti un’autobotte ribaltato che fa al caso nostro.
 
Ci abbiamo messo un’ora buona a sgomberare il passaggio e sistemare i nostri mezzi tra le altre auto, compreso l’antifurto di Beth. Porca vacca non la facevo così in gamba! Dal poco che ho capito, si è sbarazzata da sola del suo rapitore, questo ci ha permesso di scappare, però sia lei che Daryl non parlano dell’accaduto, si sono trincerati dietro un silenzio ostinato sia verso loro stessi che verso di noi. È palese che il loro rapporto sia cresciuto e che da semplice tolleranza sia diventato qualcosa di più. Prima, mentre eravamo in macchina, ho sorriso divertito di fronte all’imbarazzo di Daryl, sembrava davvero un fottuto adolescente alle prime armi, forse neanche io ero così impacciato le prime volte. Dopo, però, quando ho visto l’intensità nel suo sguardo, ho capito quanto questa cosa tra loro sia seria. Che farebbe Hershel? Darebbe il suo consenso? Cosa devo fare io? Anche perché credo che mio fratello abbia bisogno d’aiuto. Intravedo con la coda dell’occhio Carol che mi guarda e non riesco a capire il perché, ma so che lei conosce l’esatta forma dei miei pensieri. Senza parlare guarda prima Beth e poi Daryl, dopodiché scuote la testa in un gesto rassegnato, infine si rivolta e mi sorride maliziosa; “già, la natura farà il suo corso” è quello che leggo nei suoi occhi. Poco più in là, Michonne gioca con Carl e Judith. Guardando fiero verso le due donne, penso:
“Che farei senza di voi, ragazze? Nulla! Sarei perduto!”    
 
Come ho promesso, faccio il primo turno di guardia sono salito sulla carcassa dell’autobotte per avere una visuale migliore, ma l’autostrada è troppo ampia perché da qui riesca a vedere tutte le eventuali minacce. Forse è meglio coprire il perimetro in due, uno dal lato sud e uno dal lato nord dell’accampamento. Non faccio in tempo a finire il pensiero che Carol mi chiama:
«Rick, da quella parte tieni d’occhio se arrivano i Wolwes, ok! Ma se da quell’altra arrivano gli erranti che facciamo?» Mi domanda con un ghigno dipinto sul volto. Questa donna è sempre un passo avanti a me, penso compiaciuto.
«Hai ragione, dobbiamo formare delle coppie per i turni di guardia, aspetta che scendo» le rispondo. Quando arrivo al centro dell’accampamento Carol è già pronta, ha scritto i nomi di tutti su dei foglietti e sento la sua voce chiara che spiega:
«I turni saranno di due ore per ciascuna coppia, a partire da adesso! Che ore sono Rick?»
«Le dieci» rispondo controllando l’ora sul orologio di mio nonno. Carol riprende la parola:
«Grazie. I turni finiranno quando sbaraccheremo domani. Io e Rick siamo esonerati in quanto copriremo il primo turno di guardia, mentre Judith e Carl sono esonerati in quanto troppo giovani…» Carl protesta interrompendo Carol:
«Ok, Judith, è troppo piccola, ma io?» Non ho bisogno nemmeno di intervenire che la protesta di mio figlio è sedata da Michonne e Carol: la prima gli posa una mano sulla spalla, mentre la seconda gli lancia un’occhiata degna di Lori:
«Tu dovrai proteggere tua sorella; è già un impegno molto importante, mi pare. Comunque, come stavo dicendo, gli altri peschino pure, prima le signore» e così facendo porge il barattolo alle donne del gruppo. Non so cosa voglia dimostrare ma questa volta voglio darle fiducia, se pensa che questo gioco possa alleviare la tensione, perché no? La prima ad infilare la mano nel barattolo è Sasha, la ritira con il suo foglietto stretto tra le dita e dopo poco esclama:
«Abraham, tu sei con me! Secondo turno.» Fa un cenno verso tutti noi e si defila, sono contento che sia in coppia con Abe, è fin troppo arrabbiata, lui saprà contenerla. Tara è la seconda che pesca e finisce in coppia con Michonne. Maggie becca il foglietto col suo nome, lo butta via ridendo e ci riprova: al secondo tentativo le capita in sorte Eugene; gli batte il cinque e si ritira per riposare. Rosita scaccia in malo modo la mano di Beth per pescare prima di lei e finisce con Daryl per l’ultimo turno della notte; Beth e Glenn dovranno dare loro il cambio.
«Credo sia tutto!» Continua gioviale Carol guardando padre Gabriel, il cui nome è rimasto solitario. Prima che tutti partano a fare il loro dovere, li richiamo ancora una volta all’ordine:
«Vi ricordo che domattina voteremo se andare avanti o tornare indietro per cercare un percorso migliore. Di fronte abbiamo l’ignoto, è vero, ma io sono propenso ad andare avanti, sappiamo cosa ci attende alle nostre spalle. Guardatevi dentro e scegliete, da domani non si torna indietro» do un bacio a Judith e un buffetto a Carl. Sono pronto, qualsiasi cosa accada.
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 
Rosita sta pulendo il suo fucile, quando io mi avvicino. Mi siedo accanto a lei e dico tutto d’un fiato:
«Rosita, ho bisogno di un favore» lei si volta e mi guarda con espressione interrogativa,
«so che tu ed io non abbiamo socializzato molto e che non siamo grandi amiche, ma, vedi, io…»
«Vedi di venire al punto, non ho tutto il giorno» mi risponde stando sulle sue.
«Ecco, io… io ho bisogno che tu mi svegli… sì, che tu mi svegli quando inizia il tuo turno di guardia, devo… Ho bisogno di parlare con una persona, e… come dire… ho bisogno di privacy.»
«Ok, ok, non c’è bisogno di farla tanto lunga, ti sveglio all’inizio del mio turno, va bene!» Risponde alzandosi. Mentre si ripulisce dalle foglie secche e dal terriccio, continua:
«Comunque, se vuoi il mio consiglio, dovresti parlare meno e agire di più: sei giovane e bella, saltagli addosso e falla finita, no?»
«Scusa? A chi è che dovrei saltare addosso?» Rispondo rossa come un peperone.
«A Daryl, no? Se ne sono accorti anche i sassi!» Risponde ridacchiando mentre se ne va.
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 
Quando Carol si è presentata con carta, penna e barattolo, ho già capito dove voleva andare a parare, ha cercato di incastrarmi in un qualche turno notturno con Beth. “Gne gne strega, ti è andata male, sono finito con Rosita, contenta?” Penso. Mentre la guardo con aria di sfida, lei mi si avvina con finta nonchalance:
«Che c’è, Daryl? Devi dirmi qualcosa?»
«Non abbocco, Carol, sono vecchio per questi giochetti!» Rispondo indispettito. Lei continua a fissarmi come se cadesse dalle nuvole:
«Giochetti? Quali giochetti, Daryl? Reputi la nostra sicurezza uno stupido giochetto?» Si porta una mano alla bocca fingendosi scandalizzata, «ne sono dispiaciuta» continua con la sua recita.
«Hai deciso di farmi incazzare?» Le sputo in faccia a pochi centimetri dal viso. I suoi occhi azzurri mi scrutano e un ghigno le solca le labbra:
«Sì, se questo serve a farti ammettere la verità!» Risponde fissandomi.
«Che cazzo ne sai tu, stronza? Eh? Cosa cazzo ne sai? Vai a fare da mammina a qualcun altro, invece che rompere i coglioni a me! Io non ne ho bisogno!» Eccolo qua, il vero me, alla fine è uscito allo scoperto, penso mentre mi allontano arrabbiato.
«Ti conosco meglio di tutti, è inutile che neghi l’evidenza.» Mi urla dietro, mentre mi allontano sempre più. «Lei ti ha cambiato!»
Cosa vogliono da me? Cosa cazzo vogliono? Che ammetta di essere umano? Di avere dei sentimenti? Cristo, non ne sono capace… mi accascio su me stesso e piango, sto piangendo…Non mi ricordavo più che sapore avessero le lacrime, forse l’ultima volta che ho pianto per davvero è stato quando credevo di aver perso Beth ma, ora sono di nuovo tangibili, reali. Le sento che mi bagnano le guance, arrivano alle mie labbra sono salate e amare, “Cristo” dopotutto sono un essere umano anch’io. Le sento che mi bagnano le guance, arrivano alle mie labbra, sono salate e amare. “Cristo” dopotutto sono un essere umano anch’io.
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 
Rick mi ha dato ascolto, ho suggerito che fossimo troppo esposti e lui mi ha dato retta, incredibile! Forse dovrei renderlo partecipe delle mie paure, delle mie scoperte. Ho sentito dei fruscii nelle onde radio, degli strani eco, ritorni di segnale; non è nulla di chiaro, non ho nessuna prova, però… sento che qualcuno ci ascolta. Cosa diamine faccio? Ho paura che se ne parlassi ora, la prenderebbero per l’ennesima cazzata di Eugene e che non le darebbero il giusto peso. Magari sto davvero prendendo un granchio, magari sono normali ritorni di segnale dovuti al fatto che le frequenze ora sono libere, ma se non fosse così? Se succedesse qualcosa che io avrei potuto prevenire, come mi sentirei? Pensa, Eugene, pensa, ci sarà pur qualcosa che… “Eureka!” C’è qualcosa che posso tentare per ottenere le prove che qualcuno ci ascolta, il problema è che non so quanto ci metterò.
 
∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞
 
Rosita è venuta a svegliarmi come promesso, aspetto qualche minuto e poi mi alzo per seguirla a distanza e capire dove si sarebbero posizionati lei e Daryl. Cerco di muovermi il più silenziosamente possibile, ma Maggie mi vede e curiosa mi domanda:
«Dove stai andando, Betty?» Erano anni che non usava quel nomignolo. Vedo il suo sguardo preoccupato e colpevole, forse teme che io stia per riversarle tutta la mia rabbia contro, ma non ho né tempo, né voglia. Lei ha fatto una scelta seguendo Abraham, e io posso scegliere di non rispondere, di far finta di non averla nemmeno udita. Quindi continuo imperterrita nel mio cammino, quando lei mi afferra per il braccio e mi costringe a voltarmi:
«So che sei arrabbiata con me, hai tutte le ragioni per esserlo… non ti ho tenuto al sicuro, ero la più grande, ci si aspettava da me che fossi pronta… ma… non lo sono stata. Perdonami, Beth. Vorrei poter tornare indietro e impedire tutto quanto».  Il mio sguardo si carica di un cipiglio infastidito, perché cancellare tutto quanto significherebbe cancellare anche quello che c’è stato tra me e Daryl, e io non voglio assolutamente. Lei se ne accorge e con sguardo dolce continua:
«Bhe, magari non proprio tutto. Gli ho sentito dire che avrebbe controllato il lato nord, fossi in te la mia passeggiata la farei da quelle parti. Non ti dirò buona fortuna… Ti dico stai attenta!» La guardo e sento che le mie labbra si stanno aprendo in un sorriso. Ormai è tutto perdonato, tra di noi è sempre stato così; bastava il nulla per farci litigare, ma anche meno per far pace. Mi inoltro nella direzione indicatami, quando la voce di mia sorella mi richiama:
«Hey, Betty… buona fortuna!» Ride maliziosa mentre mi allontano.
 
Daryl sta al bosco come un topo sta al formaggio, non posso fare a meno di notare, mentre osservo l’oggetto della mia ossessione fare la guardia appollaiato sul ramo basso di una quercia nei pressi del nostro accampamento. La luna che filtra tra i rami lo illumina donando riflessi argentei alla sua figura e formando quasi un’aurea angelica intorno a lui; il mio angelo dannato.
Probabilmente si è già accorto della mia presenza e sta fingendo di non notarmi. Se quello che vuole è giocare sporco, ok, chi sono io per contraddirlo? Continuo a camminare il più silenziosa possibile fino ad arrivare ai piedi dell’albero dove se ne sta appollaiato a non più di un metro da terra, fisso il mio sguardo sul suo viso e mi accorgo che ha gli occhi chiusi e che sembra perso in riflessioni senza fine. La sua fronte è corrucciata e la linea delle labbra è tirata in una smorfia ansiosa. Mi lascio scappare un sorriso, forse non mi ha visto davvero. Quale migliore occasione per vendicarmi un po’? Lentamente poggio un piede su uno snodo dell’albero, attenta ad ogni scricchiolio, mi isso piano afferrando un ramo sopra la mia testa e finalmente mi ritrovo col viso alla stessa altezza di quello dell’arciere; sono talmente vicino che posso vedere ogni ruga, ogni increspatura della sua pelle ruvida. Confesso che il mio intento era quello di arrivargli vicino per potergli dire: “BUUU!!” E per una volta prenderlo alla sprovvista, magari farlo anche spaventare. “Tsk” che illusa! Mi ritrovo a fissare il suo volto con la gola secca, consapevole che prima o poi aprirà gli occhi e io sarò in trappola.
«Se continui a fissarmi così mi consumo» esclama con ancora gli occhi chiusi. Io mi perdo nelle tonalità della sua voce e nella carezza del suo fiato sulla mia pelle, consapevole però del fatto che non ha ancora aperto gli occhi, come se la mia vicinanza lo spaventasse.
«Non è mai morto nessuno per i troppi sguardi» rispondo senza accorciare le distanze. Anzi, poso una mano sul tronco accanto al suo capo.
«Beth» mi ammonisce cercando di allontanarmi; di fronte alla mia risolutezza spalanca gli occhi e li fissa nei miei. Io ne rimango totalmente soggiogata, ogni pensiero razionale va a farsi friggere di fronte a quello sguardo: è così… così indifeso, doloroso. Con una mano prova ancora a scostarmi da lui facendo pressione sulla mia spalla.
«Beth» ripete ancora, cercando di allontanarmi. Io metto anche l’altra mano sul tronco nel tentativo di intrappolarlo. Sono in equilibrio precario, infatti il mio piede scivola e sto quasi per cadere, quando due braccia forti mi stringono sostenendomi. Affondo il viso nel suo petto, respirando il suo odore e mentre cerco nuovamente con il piede lo snodo dell’albero, mi stringo con più forza a lui.
«Vedi?! Non puoi fare a meno di proteggermi!» Esclamo risoluta, scostandomi dal suo petto per poterlo guardare negli occhi. Lui cerca di nascondersi:
«Stavi cadendo, è stato istintivo»
«Puttanate, Daryl.»
«Modera il tono, ragazzina!» Sgrano gli occhi offesa.
«Non sono una ragazzina, Carl è un ragazzino, io… io… sono una donna, fattene una ragione!» Gli rispondo cercando di tenergli testa. «Una donna per cui provi attrazione, è inutile che lo neghi, non sono così ingenua, sai? In macchina tu volevi baciarmi» gli urlo in faccia «e poi anche prima… ho visto, sai, il lampo con cui mi guardavi, insomma…» non mi dà il tempo di finire che s’intromette nel discorso:
«Tu vaneggi! Stupida puttanella, non hai capito un cazzo! Sii grata che non ti consideri una donna ma solo una stupida ragazzina, non hai idea…»
«Idea di cosa, Daryl? Dell’amore? Dell’attrazione? Quello che non ne ha nessun’idea sei tu.» Dico triste mentre scendo dall’albero. Il calore del suo corpo non mi ha ancora abbandonato, quando sento Daryl che afferra il mio braccio e lo strattona violentemente per tirarmi verso di lui.
«Hai il potere di farmi andare fuori di testa» sussurra, probabilmente senza volerlo. Infatti, subito dopo, la maschera di freddezza è sul suo viso e simultaneamente lascia il mio braccio come se il solo contatto lo avesse bruciato.
«Ah! Io, eh?» Dico quasi balbettando.
«Cosa?» Risponde confuso.
«Sono io che mando fuori di testa te e non il contrario, vero? Tu e i tuoi stupidi cambi d’umore! Tu e il tuo stupido orgoglio! E poi la ragazzina sarei io? Questa sì che è bella.» Per una volta è rimasto senza parole, uno a zero per me. Un grugnito contrariato gli scappa dalle labbra, è quasi buffo con la sua aria da burbero. Mi scappa da ridere, non riesco a trattenermi e mi lascio sfuggire un sorrisino divertito. Daryl mi guarda intensamente, all’improvviso sono nervosa, mi sento nuda sotto i suoi occhi, istintivamente arrossisco. Lui continua a fissarmi e fa un passo verso di me, la vicinanza dei nostri corpi ora è davvero minima. Sono consapevole di essere rossa come un peperone e che probabilmente il battito del mio cuore sia udibile per miglia, “che richiami un’orda intera” penso, non m’importa. Siamo uno di fronte all’altra, lui prende la mia mano e sento che intreccia le sue dita con le mie. Il suo sguardo è sempre fisso su di me e mi toglie l’aria.
«Sei tornata indietro» la sua non è una domanda, è una affermazione.
«Sì, tornerò sempre indietro per te» rispondo. Stringo la sua mano più forte che posso per trasmettergli tutto il mio amore.
«Perché?» Chiede malizioso, guardandomi negli occhi a un centimetro dalle mie labbra.
«Umm, umm» rispondo citandolo e sfidandolo allo stesso tempo, anche perché confesso di essere a corto di parole. Lui sembra apprezzare, perché si apre in un sorriso spontaneo:
«Hai imparato bene, Signorina Green» dice prima di fiondarsi sulle mie labbra.
 
Continua…

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Capitolo 18
*** Finché c'è vita c'è speranza parte seconda ***


Finché c’è vita c’è speranza parte seconda 

 
Sono stato a caccia nel bosco fino a che non è stata l’ora del mio turno di guardia, avevo bisogno di restare solo per riflettere. Non che abbia fatto altro da che Beth si è svegliata, ma finalmente credo di essere arrivato ad una conclusione. Lei è mia ed io sono suo, qualsiasi cosa accada, qualsiasi destino ci attenda, non c’è scampo da tutto questo. Beth mi è entrata dentro, sotto la pelle. Forse io ho cambiato lei, ma è innegabile che lei ha cambiato me. E ormai non posso farci nulla, posso solo accettarlo.
Incontro Rosita al centro del campo e ci mettiamo d’accordo sul pezzo di perimetro da controllare: io scelgo il lato che dà sul bosco, tra gli alberi mi sembra di rinascere. Prima di prendere possesso del mio posto, consegno a Carol che è ancora sveglia il bottino della mia caccia: quattro scoiattoli ed una lepre.
«Non è molto, nei dintorni non è rimasto quasi nulla, mi spiace» non volevo trattarla male prima, non volevo sfogare la mia irritazione su di lei, però così è stato, e questo è il mio modo di chiederle scusa. Carol sembra capire perché risponde:
«Non preoccuparti, Daryl, ce lo faremo bastare.» Mi posa una mano sulla guancia con un sorriso mesto, prima di andare a coricarsi e cercare di dormire un po’.
Ho trovato un albero con dei rami bassi davvero comodi, mi siedo su uno di essi e appoggio la mia schiena contro il tronco. Chiudo gli occhi e il bosco mi rigenera. Potrei sentire cadere uno spillo, tanto sono in sintonia con la natura che mi circonda, vorrei fermare il mondo a questo attimo di pace, nessun errante, nessuna ragazzina petulante a infastidirmi, solo io e le cicale.
La conclusione alla quale sono giunto prima mi spaventa incredibilmente, e io non sono mai spaventato! Ma Beth, quello scricciolo di donna, è riuscito a infrangere tutte le barriere che avevo messo intorno al mio cuore; femmine ben più toste di lei ci hanno già provato in passato, senza riuscirci. Ho sempre pensato che l’amore fosse inutile e troppo complicato, e il sesso fine a sé stesso non mi è mai interessato. Non mi piace essere toccato, lei però con i suoi cinquanta chili bagnati è stata in grado di sgretolare i muri intorno a me.
Ora sono vulnerabile. Non mi sento a mio agio, è più forte di me, non riesco a cedere totalmente a tutto questo. Cosa cazzo posso fare? Un fruscio coglie la mia attenzione, quel passo lo riconoscerei fra mille. Continuo a tenere gli occhi chiusi nella speranza che lei mi lasci stare da solo in santa pace. Ovviamente la ragazzina è ostinata e sento che cerca di muoversi il più silenziosamente possibile verso di me. Forse cerca di prendermi alla sprovvista.
Tsk “ingenua”! Se non mi fossi imposto un autocontrollo ferreo, mi scapperebbe un sorriso, ma resisto. Lei avanza lentamente verso di me, percepisco ogni suo passo, ogni battito del suo cuore. È incredibile come ogni suo gesto io lo senta amplificato.
Sono fottuto.
Sono incredibilmente e doppiamente fottuto.
Beth è salita sull’albero, il suo viso è a pochi centimetri dal mio e io sento il suo fiato dolce sulla pelle, il suo profumo arriva alle mie narici… “Cristo”! l’ho già detto che sono fottuto?
Non credo di essere l’unico che è rimasto scottato da questo contatto, ho sentito come si è irrigidita vicino a me. Scommetto che se aprissi gli occhi, adesso sarebbe rossa come un peperone. Ho paura di farlo però, perché potrei perdermi nel suo sguardo.
«Se continui a fissarmi così mi consumo» le dico cercando di coglierla alla sprovvista. Tengo ancora gli occhi chiusi nella speranza che lei definitivamente imbarazzata lasci perdere. Invece posa una mano sulla corteccia a pochi centimetri dalla mia testa, sento il calore della sua pelle che si propaga.
«Non è mai morto nessuno per i troppi sguardi»
«Beth» esclamo mio malgrado cercando di scostarla. Lei invece non si sposta ed io commetto l’errore di aprire gli occhi. Dio mio, è vicinissima! Tutto questo è come un déjà-vu, vedo ogni lentiggine che ha sul naso, le increspature delle sue labbra rosee. “Cristo”, quanto vorrei assaggiarle! Sembrano fragole mature e scommetto che sono altrettanto dolci. Provo ancora a spingerla via:
«Beth» lei posa anche l’altra mano sul tronco ed ora sono in trappola tra i suoi occhi ed il suo corpo. Sì, questo è un dannato déjà-vu, sembra il mio maledetto sogno.
Sono fottuto!
Lei scivola e le mie braccia scattano a sorreggerla, forse un po’ troppo bramose; sono letteralmente sprofondato su di lei, il suo capo è appoggiato al mio petto e il suo profumo è entrato in me. Dio, è meglio di qualsiasi droga che abbia mai provato finora.  Ragazzina, sei pericolosa, non lo sai ma lo sei, e forse questa tua dannata innocenza è l’arma migliore del tuo arsenale.
«Vedi?! Non puoi fare a meno di proteggermi!» Dici continuando a sorridermi e io ho il cervello in pappa. Sono arrabbiato con te e con me stesso, ti ho lasciata avvicinare. Piano, piano stai sgretolando i muri che ho costruito, sei come l’acqua limpida e cheta, tranquilla ma anche il fiume più calmo con il tempo sgretola la roccia.
Sono fottuto!
«Stavi cadendo, è stato istintivo
-” rispondo, sperando che ti basti e che finalmente tu la smetta di tormentarmi.  Invece non demordi, anzi, vedo un lampo di rabbia nei tuoi occhi. Questa è la resa dei conti vero, Beth? Infatti mi tieni testa e con tono duro ribatti:
«Puttanate, Daryl» rimango spiazzato e provo a scappare ancora da te, da noi.
«Modera il tono, ragazzina!» Sgrani gli occhi offesa, forse stavolta ho fatto centro.
«Non sono una ragazzina, Carl è un ragazzino, io… io… sono una donna, fattene una ragione”- porca troia, mi hai fregato. «Una donna per cui provi attrazione, è inutile che lo neghi, non sono così ingenua, sai? In macchina tu volevi baciarmi, e poi anche prima… ho visto, sai, il lampo con cui mi guardavi, insomma…» confesso di essere imbarazzato, non credevo che mi avesse capito così profondamente. Devo difendermi, devo spaventarti, così ti urlo contro:
«Tu vaneggi! Stupida puttanella, non hai capito un cazzo! Sii grata che non ti consideri una donna ma solo una stupida ragazzina, non hai idea…»
«Idea di cosa, Daryl? Dell’amore? Dell’attrazione? Quello che non ne ha nessun’idea sei tu» con una frase ben piazzata hai sgretolato definitivamente le mie difese. Scendi dall’albero e io senza il calore del tuo corpo mi sento improvvisamente perso. l’istinto prende il sopravvento sulla ragione, salto giù e afferro il tuo braccio tirandoti verso di me.
«Hai il potere di farmi andare fuori di testa» dico in un sussurro, ma tu lo senti benissimo. Cosa cazzo pensavo di fare? Volevo zittirti ma il contatto con la tua pelle è una scossa a cui confesso non ero preparato. Lascio immediatamente il tuo braccio e mi allontano di un paio di passi, ma tu ostinata come un mastino non molli l’osso per niente.
«Ah! Io, eh?» Rispondi balbettando.
«Cosa?»
«Sono io che mando fuori di testa te e non il contrario, vero? Tu e i tuoi stupidi cambi d’umore! Tu e il tuo stupido orgoglio! E poi la ragazzina sarei io? Questa sì che è bella.» Mi hai lasciato un’altra volta senza parole e leggo nei tuoi occhi che sei compiaciuta di questo. Dio, sei così bella in questo momento che non so che pagherei per farti mia. Non sono più in me, tu mi spiazzi,  signorina Green, sei davvero la mia droga preferita. Senza pensare afferro la tua mano e intreccio le tue dita con le mie, tu ricambi convulsamente la stretta. Al diavolo… l’inferno è arrivato sulla terra e anche prima la mia vita non era un letto di piume.
Ti amo e so che anche tu ami me, basta nascondersi, basta scappare, un Dixon non scappa mai. Sei rossa come un peperone e sento il tuo cuore che batte all’impazzata, non che il mio sia da meno…ti tiro ancora più vicina a me.
«Sei tornata indietro» la mia non è una domanda, è una affermazione.
«Sì, tornerò sempre indietro per te» rispondi, stringendo la mia mano più forte.
«Perché?» Chiedo malizioso a un centimetro dalle tue labbra.
«Umm, umm» rispondi citandomi e sfidandomi allo stesso tempo.
«Hai imparato bene, Signorina Green» dico prima di fiondarmi sulle tue labbra. La tua bocca è qualcosa di indescrivibile, ora che l’ho assaggiata non credo che riuscirò più a farne a meno. Insinuo la mia lingua tra le tue labbra, forse un po’ troppo rudemente, e ti spingo contro l’albero sul quale ero appollaiato. Le mie mani sono bramose e si insinuano sotto la tua maglietta, sento che ti scappa un gemito e questo m’incendia ancora di più.
Vorrei possederti qui e ora, ma mi costringo ad essere delicato, non voglio spaventarti con la mia irruenza. Accarezzo il tuo ventre piatto, il mio dito gioca con il tuo ombelico, mentre continuo a baciarti. Sono in debito d’ossigeno ma non m’importa, se morissi ora morirei felice. Risalgo lentamente con la mano fino ad afferrare il tuo seno. Dio, è così sodo e voluttuoso! Sei così bella, così donna, così mia! I tuoi capezzoli sono duri e io li sfioro con i polpastrelli. Mi sento un fottuto pervertito e tu sei una ragazzina, la mia ragazzina. L’erezione in mezzo alle mie gambe è prepotente, la spingo contro il tuo bacino. Lo senti quello che mi fai? Devo fermarmi, dovrei fermarmi ma non ci riesco”.
Un rumore alle mie spalle mi mette in allerta, mi stacco da te e voltandomi mi trovo di fronte un perfetto sconosciuto stranamente pulito e ordinato. Mi guarda sorridendo con le mani alzate e io punto immediatamente la mia balestra alla sua testa.
«Tu chi sei, che vuoi?» Dico in tono minaccioso
«Scusate, non volevo interrompervi, ma ho urgenza di parlare con il vostro capo… Rick, giusto? Porto buone notizie per tutti voi»
 
Continua….
 

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Capitolo 19
*** Ti fidi di me? ***


Ti fidi di me?

 

Abbiamo lasciato Alexandra circa due mesi fa su richiesta di Deanna, la nostra leader, per cercare altri sopravvissuti. Ero fiero che finalmente si fidassero di me e mi permettessero di portare avanti il mio progetto, anche se all’inizio non ci avrebbero scommesso un soldo bucato. Credevamo di essere gli ultimi, di vivere in una specie di eden, ma ultimamente abbiamo cominciato a percepire vita intorno a noi, spari qua e là, rombi di motori. Sicuramente la gente sopravvissuta là fuori è diversa da noi. Molti di loro saranno diventati quasi delle bestie, e se ci attaccassero? Se diventassero una minaccia per noi?
Alexandria ha bisogno di gente per crescere, di qualcuno che ci insegni come si sopravvive là fuori; siamo stati fortunati a non trovarci nella zona calda dell’epidemia, soprattutto all’inizio. Tutta la nostra zona era stata evacuata piuttosto in fretta. Per miglia e miglia intorno a noi non c’era nessuno…. di vivo. Almeno lo credevamo fino a qualche tempo fa. Questo, unito alla tecnologia eco-sostenibile del nostro rifugio e alla risolutezza della nostra leader, ci ha permesso per i primi tempi di continuare a vivere come se nulla fosse.

Ora però le cose stanno mutando, mandrie di non morti cominciano a comparire, e anche qualche gruppo di male intenzionati si avvicina. Finora siamo riusciti a tenerli a bada, finché siamo dietro le nostre mura siamo forti, ma per quanto tempo durerà? I nostri depositi cominciano a svuotarsi, e noi non siamo pronti, sono mesi che continuo a ripeterlo. Abbiamo bisogno di altre persone, brave persone che ci insegnino come sopravvivere fuori dalle nostre mura, a reiventarci e trovare altri modi. Finalmente, in una mattinata uggiosa, Deanna si è decisa e da allora io e Eric ci siamo assunti il ruolo di reclutatori: usciamo dai nostri confini, cerchiamo provviste e altri che come noi condividano la voglia di ricominciare.
Non è stato semplice, anzi, fidarsi degli altri diventa sempre più difficile; abbiamo dovuto esiliare alcuni membri della nostra città, dopo che li avevamo accolti calorosamente, quando abbiamo capito di che pasta fossero fatti, e non è stata una decisione facile. Fortunatamente nella nostra ricerca siamo aiutati dalla tecnologia, Alexandria in questo eccelle: eravamo un quartiere “sperimentale”, d’élite, e quando l’esercito è passato ci ha lasciato un paio di regalini.
Forse dovrei specificare che li abbiamo sottratti al loro controllo, ma perché recriminare sul tempo passato? Quindi possediamo dei microfoni ambientali e altri gadget, e li usiamo per ascoltare gli sconosciuti.
Non possiamo permetterci leggerezze, Alexandria DEVE rimanere un posto sicuro, per cui non può entrare chiunque. Eric mi fa sorridere quando dice che Alexandria è un po’ come quei locali esclusivi dove c’è la selezione alla porta e io e lui siamo i buttafuori. In effetti non ha tutti i torti, anche se io non mi sarei mai e poi mai pensato così… insomma…? Io? Un buttafuori? Ah ah, questa sì che è bella! Di certo la fine del mondo mi ha fatto più di una sorpresa.
In questi mesi di uscite, ne abbiamo viste di tutti i tipi, e spesso stare in disparte è stato veramente arduo, soprattutto per il mio compagno, ha un cuore così grande! Se fosse per lui aiuterebbe tutti, purtroppo in tempi come questi non è possibile.
I lupi sono troppo spesso travestiti da agnelli. Al nostro attivo abbiamo solo un paio di reclute e svariate forniture di tonno in scatola; poca roba a confronto di quello che avremmo potuto fare, ma meglio pochi e buoni, che tanti e coglioni, mi ripeto io. Dopo un paio di giorni di meritato riposo, io ed Eric siamo di nuovo fuori le mura in cerca di superstiti; sono settimane che non troviamo nessuno, però sono stranamente ottimista. La colpa è anche del suo sorriso, perché quando mi sorride così, io mi sento invincibile.
Mentre stiamo perlustrando i boschi accanto alla superstrada, vedo Eric armeggiare con l’antenna:
«Credo di aver captato qualcosa… laggiù, oltre quegli alberi» mi indica con il dito la direzione. Parcheggio il furgone al bel è meglio e ci inoltriamo silenziosamente nel bosco.  
 
 
Sono tre giorni che seguiamo questo nuovo gruppo e sono cautamente ottimista, rispondono alle nostre aspettative in maniera egregia, e forse anche qualcosa di più. Eric è eccitatissimo dal loro incontro: di ‘sti tempi, non è facile incontrare sedici “brave” persone; hanno anche una bambina con loro e confesso che pure io comincio ad essere impaziente. Vedo Eric entusiasta nei pressi della radio, mentre ascolta le conversazioni dei nostri obbiettivi. Si è stranamente appassionato alla storia di due membri del gruppo che stiamo seguendo, tali Daryl e Beth, secondo quanto dice il mio ragazzo, stiamo assistendo ad un amore tormentato, ed Eric con tutto questo ci va a nozze. Intendiamoci, non è che sia sadico o cose così, solo che gli piace fare il tifo, si appassiona alle storie d’amore, è un romanticone. Non mi sento di biasimarlo dopotutto, restano così poche cose per cui essere felici, che se lui è contento così, va bene. Mi avvicino con lo spazzolino tra i denti:
«Llora, gno...bita?»
«Potresti non parlare con la bocca piena? Così non capisco niente!» Dopo essermi sciacquato rispondo:
«Dicevo… Novità?»
«Si sono quasi baciati… erano in macchina…» fermo Eric prima che possa partire con i suoi resoconti dettagliati.
«Non intendevo questo, non mi interessa di coso e cosa» Eric mi guarda offeso, con gli occhioni da cucciolo.
«Ma no, non intendevo… Oh, dai, Eric, cerca di fare il serio per una volta!» Mentre lo dico, però, mi scappa un sorriso, lui mi accarezza una guancia e facendomi l’occhiolino dice:
«È troppo facile!»
Gli do un bacio a fior di labbra e attendo che lui mi dia la vera risposta.
«No, nessuna novità, stanno ancora sgombrando le carcasse sulla superstrada e si apprestano a passare la notte.» Afferro il binocolo e mi metto ad osservare ciò che Eric mi ha appena descritto a parole. Quando quella che se non ricordo male si chiama Tara accende il fuoco, do il cambio ad Eric con la radio. A quanto pare hanno fatto una specie di gioco e si sono divisi in turni di guardia. Continuo ad ascoltarli mentre Eric, insonne, afferra il binocolo e si mette ad osservare silenziosamente.
«Dovresti cercare di dormire.» Dico guardandolo. Il mio ragazzo fa spallucce e risponde:
«Tsk! Tu non puoi capire… Questa è la sera!» Lo guardo ancora più confuso e lui continua nella sua spiegazione:
«Credo che stanotte sia la resa dei conti, lui la bacerà!»
«Ancora con questa fissa?» Ribatto un po’ scocciato, a dire il vero, ma anche divertito. Eric mi lancia un’occhiataccia che vale più di mille parole, si rintana sul tetto del furgone armato di binocolo e arrivato in cima mi fa la linguaccia. Ok, starete pensando questo uomo è assurdo. No, non lo è! È tutto quello che mi tiene ancorato alla realtà, senza di lui io… io sarei perduto.
«Scusami, hai ragione, ‘sta notte sarà sicuramente la notte.» Eric si limita ad alzare le spalle ed accomodarsi meglio sul tetto del furgone, pronto per la sua osservazione notturna. Mi fermo qualche minuto ad osservarlo, poi entro nella nostra casa mobile ed afferro un secondo binocolo.

È poco meno di un’ora che li osservo e ascolto silenziosamente, e alla fine il lieve russare di Eric è la mia unica colonna sonora. Sono felice che si sia finalmente addormentato, tra un paio d’ore volente o nolente dovrà darmi il cambio, sempre che nel frattempo non ci siano novità. Da quando la maggior parte del gruppo è andata a dormire, i discorsi si sono dimezzati, però io mi ritrovo qui ad ascoltare questa radio, in attesa di non so nemmeno io cosa. Ma qualcosa non torna.
Poi un’illuminazione mi coglie, non so da dove mi arrivi, però lo so, forse è un ronzio, forse è un brivido, però io lo so. Si sono accorti che li stiamo ascoltando, o perlomeno questo è il primo pensiero che mi passa per la testa. Ci potrebbero essere altre mille ragioni nell’eco che sento, ma il mio istinto mi dice che non mi sbaglio. C’è uno strano ticchettio nel ritorno di segnale: “Lo sanno” o se non lo sanno si stanno prodigando per saperlo, mi puntualizza il mio subconscio. “Che dovrei fare?” Sono un gruppo numeroso, pieno di risorse, avremmo di che guadagnare inglobandoli nella nostra società, ma… se li perdessi ancor prima di averli conosciuti? Se prima che io faccia la mia mossa si accorgessero di essere seguiti e, come è giusto che sia, male interpretassero i segnali? Se andassero via facendo perdere le loro tracce? Troppe domande e poche risposte abbondano nella mia mente, non mi resta che svegliare Eric e procedere con il piano B. Il piano A consisteva nel lasciargli dei regali utili lungo il cammino per conquistare lentamente la loro fiducia, il primo per esempio sarebbe stato una scorta d’acqua, visto che le loro riserve stanno per esaurirsi ma oramai è andato a farsi benedire.
Metto la pistola nella fondina sotto l’ascella, anche se so che non mi servirà a molto, e sveglio Eric che mi guarda confuso.
«Piano B» lui sembra rinsavire tutto d’un tratto «sei sicuro?» Mi domanda.
«Sì, non c’è più tempo» Eric mi fa una carezza, solca il mio viso dallo zigomo fino al mento con il dorso della mano e con l’indice sfiora le mie labbra «chi avvicinerai per primo?»  Sento l’ansia nella sua voce, credo che i più indicati siano Daryl e Beth, lo so io, lo sa lui. Sono gli unici che ancora nel gruppo “sperano”. Eric velocemente afferra il binocolo a infrarossi e si mette ad osservare, sbuffa sonoramente e io non posso fare a meno di domandargli il perché:
«Lo sapevo io… mai una gioia… non è che potresti aspettare ancora cinque minuti?» Il mio cipiglio è ancora più interrogativo. Eric si scoccia, mi mette in mano il binocolo per la visione notturna e mi indica la direzione da guardare: Daryl e Beth si stanno baciando. Deglutisco e mi volto verso Eric. Credo che dal mio sguardo trasparisca la mortificazione, perché Eric mi accarezza la guancia nuovamente:
«So che lo devi fare, che lo dobbiamo fare, sii solo… dai loro ancora un paio di minuti, ok? E sii prudente, mi raccomando, per favore. La mia vita è vuota senza di te» mi sfiora le labbra e resta a fissarmi. Lo bacio a mia volta e con risolutezza dico:
«Ci vediamo al punto di rande-vu tra tre giorni, se non dovessi arrivare…»
«non dirlo neanche» gli occhi di Eric sono lucidi e forse anche i miei «ti amo»
«lo so» risponde. L’ultimo bacio, poi sale sul furgone e si allontana.
Ora mi tocca ballare.
 
∞∞∞∞∞∞∞∞
 

Daryl è dappertutto, tra le mie mani, sulla mia bocca, sento a malapena la corteccia dell’albero che sfrega sulla mia schiena. Domani probabilmente avrò dei lividi a ricordarmi questo momento, ne sono felice. Ora però l’unica cosa che riesco a percepire è la mia fame di lui, non mi ero mai sentita così prima d’ora. Zack e Jimmy sono solo pallidi ricordi, deboli infatuazioni che non avrebbero in alcun modo potuto prepararmi alla tempesta che si sta scatenando dentro di me. Sento lo stomaco che si aggroviglia mentre le dita di Daryl si infilano sotto la mia maglietta, il suo tocco è ruvido e mi dona brividi sconosciuti. La pelle pizzica dopo il suo passaggio ma non m’importa, non mi importa più di niente. 

Voglio solo perdermi dentro di lui.

Daryl risale lentamente con la mano fino ad afferrare il mio seno, un gemito scappa dalle mie labbra. I miei capezzoli si inturgidiscono sotto il suo tocco, mentre la lingua di Daryl si fa più esigente, rubandomi definitivamente il respiro. Spingo istintivamente il bacino contro di lui mentre affondo le mani nei suoi capelli lunghi. Non avrei mai pensato di essere così… insomma… solitamente io sono piuttosto timida, ma quest’uomo scatena in me tali ondate di passione, che ora che ho assaggiato il sapore delle sue labbra non ne sono mai sazia. Voglio di più!
Anche per Daryl è così. La sua erezione spinge contro la mia parte più sensibile, anche con l’impedimento dei vestiti sento il suo desiderio, e il mio stomaco fa una doppia capriola. Si stacca da me e io troppo presa dalla situazione scambio il suo gesto per mancanza d’ossigeno, finché con la coda dell’occhio vedo un’ombra davanti a noi. Vaganti… è il mio primo pensiero, poi però Daryl parla in tono minaccioso brandendo la balestra:  
«Tu chi sei, che vuoi?»
«Scusate, non volevo interrompervi, ma ho urgenza di parlare con il vostro capo… Rick, giusto? Porto buone notizie per tutti voi.» Istintivamente mi sporgo oltre Daryl per osservare meglio lo sconosciuto che ci ha preso alla sprovvista. Apparentemente non ha armi, porta uno zainetto in spalla, una giacca marrone, logora ma pulita, ed ha le mani alzate; un sorriso onesto e sincero gli solca le labbra e gli occhi azzurro chiaro sembrano gentili. L’insieme mi rende curiosa, così faccio un passo verso di lui per osservalo meglio, quando Daryl mi blocca e mi spinge di nuovo alle sue spalle; non ho bisogno che parli, con un gesto mi ha detto cosa vuole: “Stai lì”.
Continua a tenerlo sotto tiro spostandosi di lato, avvicinandosi all’accampamento, e con un cenno della mano fa in modo che io lo segua, stando sempre alle sue spalle.
«Non ho cattive intenzioni, se le avessi avute avrei agito prima» dice lo sconosciuto guardando verso Daryl.
«È vero!» Dico senz’accorgermene e mi becco un’occhiataccia del arciere. Traduzione:
“Statti zitta, Beth, fatti i cazzi tuoi!” Ok, ho recepito il messaggio. Sempre tenendolo sotto tiro, Daryl finalmente parla:
«Allora cosa vuoi?»
«Diciamo che ho… una proposta da farvi: voi avete qualcosa di cui noi abbiamo bisogno e noi in cambio potremmo darvi quello che cercate» la sua risposta è ambigua, ma non necessariamente negativa, e in più continua a sorridere fiducioso: confesso che sta cominciando a contagiarmi. Dopotutto esistono ancora le brave persone, no? Daryl non sembra del mio stesso avviso, visto che lo guarda ancora più male di come aveva fatto fino adesso.
«Quindi... cosa avreste da offrire e soprattutto qual è il prezzo?» Sputa fuori con il suo tono duro. Lo sconosciuto gli tiene testa, senza scomporsi, sempre sorridendo, sempre con le mani alzate:
«Preferirei parlarne con Rick, se non ti dispiace.» Entrambi rimaniamo spiazzati, lo sconosciuto continua a guardarci come uno sicuro di sé, abituato a questo genere di cose. Insomma, ha sangue freddo, il tipo; io mi sarei già andata a nascondere se Daryl mi avesse guardata in quel modo, come un nemico da abbattere. Invece lui continua a sorridere e a sorprendermi, perché ancora apre bocca:
«Credo che siamo partititi con il piede sbagliato, vi ho interrotto in un momento poco opportuno e di questo vi chiedo scusa. In più da vero cafone non mi sono presentato: io mi chiamo Aaron e voi dovreste essere Daryl e Beth, giusto?» Leggo lo sconcerto negli occhi di Daryl, prende più saldamente la mira e Aaron fa un passo indietro.
«Non era mia intenzione spaventarvi, se Beth potesse gentilmente perquisirmi… a proposito, ho una pistola sotto l’ascella» Daryl preme più saldamente sulla balestra, ad Aron e a me scappa una risatina nello stesso momento.
Capisco Daryl, sul serio, ma anch’io comincio a capire, e come mi sono fidata di Noah so che devo fidarmi di quest’uomo, Aaron. Metto una mano sulla spalla di Daryl, lui mi fa un cenno e io comincio la mia perquisizione. Sono molto minuziosa e mi ritrovo spesso ad arrossire per dove le mie mani devono andare, avere lo sguardo di Daryl puntato addosso di certo non aiuta, cerco di non pensarci e finisco il mio lavoro.
Il biondo ha detto la verità, un'unica pistola, sotto l’ascella destra come aveva detto, nello zaino ci sono medicine e provviste, sufficienti per pochi giorni. Porgo il risultato della mia perquisizione a Daryl e lui sembra essere rimasto senza parole, non ha più nessun motivo apparente per non fidarsi di Aaron, però continua a farlo. Mi ritrovo in mezzo a due uomini, entrambi dagli occhi chiari, entrambi sinceri nei loro intenti, che dovrei fare? Istintivamente mi frappongo fra Daryl e Aaron avvicinandomi cautamente, gli metto una mano sul braccio che regge la balestra cercando un contatto visivo. La lotta che leggo nei suoi occhi è estenuante, finalmente lascia lo sguardo di Aaron e lo pianta nel mio. 

Ci sono moltissime sfumature e passano talmente veloci che non so se riuscirò a comprenderle tutte: nei suoi occhi vi è il dubbio e l’incertezza, ma anche la sicurezza che qualsiasi cosa ci accada sapremo superarla; è un mix strano e affascinante, mi ci perderei dentro se i tempi fossero diversi. Ora non ho il tempo di ragionarci troppo, se ho capito Daryl solo un poco, lui adesso ha bisogno di un’ancora, di una scusa per credere, e io potrei essere quella scusa, quell’ancora a cui aggrapparsi.
«Ti fidi di me?» Gli domando a fior di labbra. Daryl deglutisce e appoggia la sua fronte alla mia:
«Sempre!»
«Portiamolo da Rick!»
 
Continua…
 

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Capitolo 20
*** I want to belive ***


I want to belive

 

 

Beth mi ha preso alla sprovvista con quella domanda, e così quel sempre mi è uscito di getto senza ragionarci troppo su, anche il bacio non era ragionato, però è successo ed ora dovrò farci i conti. “Cristo”, se mi è piaciuto baciarla, stringerla a me, sentire il suo corpo risvegliarsi sotto le mie dita. È stato come il miglior trip che mi sia mai fatto, sparato diritto al cervello, senza le conseguenze nefaste del down. “Cazzo” e chi se l’aspettava che Beth fosse così… L’osservo di sottecchi mentre tiene sottotiro Aaron, le sue guance sono ancora arrossate e le sue labbra recano ancora le tracce del mio passaggio. Lei si volta per un nano secondo e mi sorride, poi ritorna con lo sguardo fisso sul nostro prigioniero. Ok, sono fottuto, lei mi ha incredibilmente fottuto e la cosa buffa è che ne sono contento, tutti dovrebbero fottersi così. Ora però non è il momento, devo rimanere concentrato prima che la situazione ci sfugga di mano. Mi sento come un fottuto adolescente in preda agli ormoni, “frena i bollori Dixon”. Beth mi guarda aspettando un mio ordine, le dico di mettersi dietro di me e ordino ad Aaron di precederci mentre lo tengo sempre sotto tiro, fidarsi è bene ma…

Ci mettiamo circa dieci minuti ad arrivare all’accampamento, verso est comincia ad albeggiare, Rick è già sveglio insieme a Carol e Michonne, gli altri dormono ancora, non fa nessun commento sul fatto che io sia in compagnia della ragazzina, e fissa immediatamente il suo sguardo sullo sconosciuto. Mi sa che mi tocca fare le presentazioni, guardo Rick e dico:

-“Lui è Aaron ed ha una proposta per noi!”- Nel frattempo anche Glenn e Maggie si sono svegliati, insieme a Carl. Rosita arriva poco dopo con un paio di opossum legati alla cintura, mi guarda sorridente ed esclama:

-“Bhe già che c’ero…”- poi il suo sguardo cade sullo sconosciuto e ammutolisce, guarda verso Rick e parte di gran carriera a svegliare Abraham, più siamo a decidere meglio è penso. Ne va del nostro futuro dopotutto. Il gruppo arriva, 15 adulti e una bambina stretti intorno ad un uomo che potrebbe rappresentare molte cose. C’è un momento di stallo dove tutti ci guardiamo silenziosamente senza sapere bene cosa fare. Prima che Aaron spiccichi parola Rick si avventa su di lui con un destro, che lo manda diretto al tappeto, l’uomo reggendosi la mascella esclama:

-“Devo ammettere che ho ricevuto accoglienze migliori, dovete fidarvi di me non ho cattive intenzioni, te lo giuro Rick ho una proposta che sarà…”- mossa sbagliata, infatti Rick infierisce con un calcio negli stinchi che lo fa sussultare nuovamente.

-“Come cazzo sai il mio nome? Chi sei? Cosa vuoi?”- l’uomo ora sembra spaventato e guarda Rick negli occhi, che devo ammettere sembrano quelli di un pazzo, da quanto sono spiritati. Credo che dovrei intervenire, non vorrei che facesse qualcosa di cui poi potrebbe pentirsi, infatti sfodera la pistola e la punta su Aaron.

-“Rick, ti prego lascialo parlare”- non è uscita da me questa voce però, è uscita da Beth che con mosse lente e decise si è avvicinata allo sceriffo, è come se si avvicinasse ad un animale ferito, non smette mai di fissarlo negli occhi e di guardarlo in modo… “amorevole”, non so nemmeno io spiegare cosa provo nel vedere quegli sguardi silenziosi tra lei e la follia di Rick. So solo che sono terrorizzato, sembra che mio fratello sia teso come una corda in procinto di spezzarsi, e quando lo farà l’onda d’urto sarà devastante. Ma sembra anche che Beth riesca a tenerlo sotto controllo in qualche modo che non capisco. Anche Maggie è tesa, guarda alternativamente Beth e poi Rick mentre Glen cerca di confortarla, la ragazzina si e messa tra loro due, o meglio tra la pistola di Rick e la testa di Aaron –“Beth spostati”- le intima Rick con voce spezzata – “non posso”- risponde semplicemente Beth, il loro dialogo silenzioso continua per svariati secondi che mi sembrano talmente dilatati nel tempo da durare ore.

-“Portala via di qui, anzi intanto che ci siete controllate che questo stronzo non abbia amici nei paraggi”- non ho bisogno di sentire il mio nome per capire che si sta rivolgendo a me, mi avvicino a Beth e lei si volta guardandomi male:

-“Non provarci… come...? Hai detto che ti fidavi di me”- i suoi occhi mandano lampi e saette e io non posso che pensare che è magnifica, mentre risplende di rabbia ma che ancora deve capire come funziona il mondo.

-“Io e Aaron dobbiamo fare quattro chiacchere, non gli farò troppo male te lo prometto Beth ma in un modo o nell’altro mi dirà la verità”- continua Rick, prendo Beth di peso e la trascino via, lei scalcia e urla ma riesco a contenerla agevolmente.

-“ Rick è impazzito, lo ucciderà”- dice in un singhiozzo accasciandosi.

-“No, non credo”- rispondo accendendomi una sigaretta “tu l’hai calmato” –“Maggie e Glenn non lo permetteranno, e comunque Rick non ha tutti i torti”- la ragazzina fa per ribattere ma io la zittisco alzando una mano  –“forse hai ragione tu, “e io voglio crederci” ed Aaron è una brava persona, in qual caso ci perdonerà, ma forse non è così, e ne abbiamo viste troppe per farci fregare come pivelli, dovresti averlo capito ormai, non tutti sono buoni come te Beth. Perlustriamo i dintorni e sinceriamoci che il tuo amico dica la verità.”- La ragazzina fissa i suoi occhi lucidi nei miei, rilascia un ultimo sospiro e poi si alza, avvicinandosi si appoggia al mio braccio e intreccia le sue dita con le mie, sfiora le mie labbra e poi passa delicata come un alito di vento, fa un paio di passi e si volta a guardarmi. Non c’è più esitazione nei suoi occhi, siamo pronti alla missione, perlustriamo i dintorni.

 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞

 

Rick l’ha pestato per bene non c’è che dire, prima che Carol e Michonne insieme a Maggie lo fermassero, quasi quanto Abraham ha pestato me. Aaron a differenza mia non ha mai ceduto, ha ripetuto fino allo stremo delle sue forze che è qui per condurci in un posto sicuro, che loro sono brave persone, e che reclutano non obbligano nessuno a stare con loro, e che per questo devono proteggersi e quindi ascoltano per capire chi avvicinare e chi no, dal mio punto di vista ha totalmente senso ma non so se gli altri apprezzino il mio punto di vista. In fin dei conti, sono il fottuto bastardo, e aggiungiamo pure vigliacco che li ha ingannati, facendogli credere che esiste una cura, solo per salvarsi la pelle. L’unica cosa positiva è che alla fine ci avevo visto giusto, qualcuno ci stava davvero ascoltando e avevo anche trovato il modo di farlo capire in modo semplice agli altri, senza entrare troppo nei dettagli delle onde radio, campi di sublimazione e cose che comunque non avrebbero inteso, se Aaron fosse arrivato all’ultimo cambio di guardia, avrei avuto il tempo, infatti avevo deciso di rendere Rick partecipe della mia scoperta, magari sarei riuscito ad evitargli le botte. Sono troppo vigliacco comunque per andare a porgergli le mie scuse e parlare agli altri delle mie scoperte adesso, è del tutto inutile, inutile come me, e menomale che avevo deciso di riscattarmi. Eugene fai schifo, mi ripeto sconsolato mentre osservo le ultime braci spegnersi  -“ti vedo pensieroso, che succede? Stai cercando di imbrigliare la forza del fuoco?”- Rosita si è seduta accanto a me e mi ha dato una pacca sulla spalla, strappandomi un mezzo sorriso.

Prima di tutto questo casino, io cercavo davvero un carburante inesauribile potente come il FUOCO ma pulito ed efficiente, senza ottenere nessun risultato oserei dire se non qualche dato statistico degno di poco interesse. Era il mio tentativo di emergere, se avesse funzionato non sarei più stato il nerd di periferia, il professore di scienze sfigato, ma sarei stato il salvatore del mondo, ok, lo so fa tanto Harry Potter, ora ho pure la cicatrice che mi ha fatto Abraham, lo so sono patetico, grasso, patetico e inutile. Mi volto e monocorde le rispondo:

-“Magari ne fossi capace, avremmo risolto tutti i nostri problemi, almeno quelli più imminenti, come il bisogno di carburante e un armamento potente in grado di raggiungere un posto sicuro dove poter ricominciare.”-

-“È quello che ci sta offrendo Aaron, un posto dove ricominciare”-

-“già!”- Tante cose mi passano per la mente mentre continuo ad osservare le braci che guizzano tentando di rimanere vive, rubando le ultime molecole di ossigeno fino a consumarsi inesorabilmente. Credo che passino anche per la mente di Rosita, anche il suo sguardo, solitamente così sicuro, è perso nelle braci morenti come il mio. Senza una speranza per un futuro migliore cosa siamo? Le abbiamo viste tutti le foto, le foto di Alexandria l’ultimo baluardo della civiltà, in quei pochi scatti ci sono così tante “potenzialità” che… Dobbiamo solo avere il coraggio di buttarci, ma la domanda sta proprio qui, abbiamo quel coraggio? Io ho quel coraggio? Voglio credere di si.

-“E quindi che hai intenzione di fare?”- Mi domanda a bruciapelo guardandomi negli occhi, ve l’ho detto che ho una cotta per lei da quando l’ho vista la prima volta? No? Bhè ho una cotta per lei e so di non avere speranze però, “mamma mia quant’è bella”.

-“Io che ho intenzione di fare? Che domande… cosa vuoi che… non ho intenzione di fare niente”-

-“perché?”- Domanda ancora guardandomi negli occhi, sembra quasi che stia flirtando con me anche se so che non è un opzione plausibile, non sono così stupido da illudermi.

-“Bhè, per delle ovvie ragioni, chi sono io per dire cosa è meglio per il gruppo? Non ho particolari abilità se non quella di mentire e di essere un vigliacco, sono solo una zavorra.”-

-“Tu avevi capito che ci stavano ascoltando”- la sua non è una domanda.

-“Si”- ammetto arrossendo un poco, dopotutto il tono della sua voce mi è sembrato un complimento, e io non sono abituato ai complimenti, soprattutto quelli delle belle donne.

-“ Ti ho visto armeggiare con quella radio. Soprattutto questa notte, tu hai cervello Eugene, non è una dote da sottovalutare, è vero sei un vigliacco e sei troppo grasso”- dice ridacchiando facendo un gesto con la mano che sembra voglia dire che si può sempre rimediare, o sono io che lo spero?

 -“Però, fai parte del gruppo, ci hai salvato la pelle con quei condensatori per l’acqua, il tuo posto tra i sopravvissuti te lo sei guadagnato, non sminuirti più di quanto serva, è vero hai sbagliato. Ma chi di noi non l’ha fatto! Dì la tua se serve.”- Rosita ha ragione stanno tutti parlando con Rick, perché io non dovrei? Poi il mio sguardo cade su Aaron che nel frattempo, Beth che è tornata dal suo giro perlustrativo con Daryl sta medicando con apprensione insieme a Maggie e Carol. Mi avvicino all’uomo semidisteso e mezzo incosciente, se devo parlare con Rick ho bisogno di più dati oggettivi su Alexandria, voglio presentargli i fatti in modo migliore.

 

Daryl sta facendo il suo resoconto a Rick sui dintorni perlustrati e dalla faccia che fa il vicesceriffo deduco che Aaron ha detto la verità, il suo unico compagno per la precisione Eric, lo aspetta a circa 30 miglia da qui, in un luogo che entrambi hanno precedentemente sgombrato proprio per accogliere i nuovi cittadini di Alexandria, nei dintorni non ci sono ne pericoli ne minacce se non quelle causate dagli erranti. A parer mio è già un passo avanti, mi scappa uno sbuffo di sollievo che Beth, impegnata a lavare via il sangue rappreso dalla faccia di Aaron coglie immediatamente.

-“È bello fidarsi di qualcuno che non faccia parte del gruppo vero? Insomma ti da speranza, è come se il mondo girasse ancora per il verso giusto vero? Insomma fidarsi del prossimo cose così… se mio padre…”-  d’improvviso la ragazzina si blocca e io non so cosa dire, non avevo mai conosciuto suo padre, da quello che avevo colto nei discorsi degli altri era un uomo buono, un uomo rispettabile.

-“Scusami non avrei dovuto, non è stato opportuno da parte mia”-  dice Beth alzandosi portando con se il catino d’acqua ormai sporca del sangue di Aaron. Finalmente sono solo con lui è ancora provato dal trattamento duro che gli ha riservato Rick ma è abbastanza lucido per rispondere alle mie domande e ne ho molte da fargli.

 

Dopo molti quesiti e altrettante risposte devo accettare il fatto che Aaron abbia una mente davvero brillante, ovviamente non è alla mia altezza ma per essere un semplice laureato d’ingegneria il suo processo deduttivo non è niente male, ho bene inteso le potenzialità di Alexandria e credo proprio che facciano al caso nostro, il solo ostacolo è convincere Rick che a quanto pare ancora, nonostante le parole di speranza di tutti, non è convinto. Probabilmente quello che non hanno capito è che Rick non ha più bisogno di speranza, quella ce l’ha già di suo, lui ha speranza, lui crede in un futuro migliore quello che non sa è quanto oggettivamente questo sia possibile in breve tempo.

-“Rick”- mi permetto di chiamarlo, lui si volta appena e confuso mi fa cenno di avvicinarmi:

-“Che c’è Eugene, spero per te che sia importante altrimenti…”-

-“so che ti risulterà difficile credermi dopo, beh, dopo tutto quello che c’è stato, ma ho studiato a lungo le carte topografiche della zona e analizzato ogni fotogramma delle foto prodotte da Aaron, l’ho interrogato minuziosamente, e quel posto ha potenzialità enormi, potremmo davvero ricominciare, nei dintorni ci sono fabbriche che con un po’ d’aiuto potrei rimettere in funzione, insomma sarebbe…”- Rick alza una mano per stoppare il mio fiume interrotto di parole:

-“Credi che non lo sappia… solo che…”- forse ho capito il tormento di Rick, lui è un uomo buono, un eroe e quindi non accetta del tutto quello che potremmo essere costretti a fare, ma io non sono un uomo buono, non sono un eroe. Io sono un pragmatico scientifico, figlio di puttana che non si è minimamente preoccupato di mentire pur di salvarsi la pelle.

-“La proposta di Aaron è allettante, una collaborazione potrebbe essere proficua, e comunque se non dovesse funzionare al meglio. Noi siamo più forti, Alexandria ci serve e in un modo o nell’altro sarà nostra, serve solo avere una buona conoscenza del posto, e questa la otterremo facilmente una volta entrati, basterà nascondere qualche arma, dubito che ce le facciano tenere fin da subito, e il gioco sarà fatto”-

-“stai suggerendo di conquistarli?”-

-“Solo se sarà strettamente necessario.”-

 

Continua…

 

 

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Capitolo 21
*** Siamo arrivati? Siamo arrivati? Siamo arrivati?... ***


Siamo arrivati? Siamo arrivati? Siamo arrivati?....

 

Un altro giorno di cammino, un’altra alba sopra le nostre teste, l’aria fredda che mi penetra nelle ossa. L’incertezza dell’ignoto però non mi spaventa, non più, non come prima, mi sento euforica. Sono finalmente libera dalle catene invisibili che io stessa avevo forgiato, dopo aver perso il mio angelo, il mio piccolo André. Mio figlio. Quale madre sopravvive ad un figlio? Nessuna…  Non è accettabile, non è giusto. Ci annienta, e se riusciamo a sopravvivere, diventiamo qualcosa che…

Io avevo forgiato catene. Catene indissolubili, così simili a quelle con cui avevo incatenato i miei cari, così pesanti… così necessarie. Li avevo usati come scudo non solo per gli erranti ma anche per gli esseri umani, tenendomi sempre ai margini non riuscendo, non volendo mai del tutto cedere quella parte di me inviolabile e oscura, anche con Andrea nonostante avessimo condiviso moltissimo non mi ero aperta, mai del tutto. Con Rick e gli altri invece a poco a poco sono tornata ad essere quella che ero, non quella che ero dovuta diventare. Non c’era voluto molto tutto sommato, un vagito di Judith, una gara di equilibrio con Carl spartendosi una barretta di cioccolato; Glen che accarezza la pancia di Maggie… L’ottimismo di Beth che è riuscita a contagiare persino DarylMichonne è tornata, IO sono tornata, è stato un risveglio repentino, così di punto in bianco, una mattina guardando fuori dalla finestra del Grady, mi sono resa conto che ero io lo zombie in fin dei conti, ero io che arrancavo in una non vita, credendo che fosse l’unica via percorribile. Non mi ero mai più sbagliata di così, e ne sono incredibilmente felice, a rendermi ancora più su di giri in questa mia rinascita, è che finalmente Rick si è deciso, e stiamo seguendo Aaron verso quella che potrebbe diventare la nostra prossima casa. Non sono così ingenua da credere che sarà tutto rose e fiori, infatti Rick non ha voluto nemmeno seguire il percorso tracciato da Aaron, non fidandosi totalmente delle sue parole, e abbiamo preso una strada alternativa. Come volevasi dimostrare… siamo nei guai.

La strada scelta da Rick si è dimostrata fin da subito molto accidentata, piena di buche e irta di erbacce, tronchi d’albero sparsi che ci hanno rallentato e di parecchio, quello sarebbe stato il meno da sopportare se non che, ad un certo punto, appena superato un ponte traballante che già ci aveva causato molte difficoltà, il manto stradale era completamente sconquassato e i tramezzi che l’avrebbero dovuto tenere insieme erano arrugginiti e in alcuni punti piegati. Abbiamo dovuto procedere a passo d’uomo, e confesso che ad ogni scricchiolio il mio cuore perdeva un battito, a pochi metri dal ponte abbiamo trovato una vera e propria voragine al centro dell’asfalto, la crosta si è staccata lasciando un buco di circa 3 metri di larghezza per 4 di lunghezza e un bel mezzo metro di profondità, pieno di fango e detriti, non ci giurerei ma mi è sembrato di vedere anche un paio di corpi in quel putridume. Ai nostri lati c’è solo il bosco, arrancare a piedi tra gli alberi non era di certo nei nostri piani.

-“Cazzo!”- esclama Daryl di botto, frenando di colpo.

-“Siamo nella merda”- rispondo guardando verso Rick, mi verrebbe quasi da urlargli:

“Perché l’hai fatta più complicata di quella che era? Bastava fidarsi, Cristo! Non era così difficile” poi mi rendo conto dell’enormità della parola “fidarsi” e credo che sarò indulgente. Carol mi guarda in modo complice, entrambe abbiamo avuto lo stesso pensiero ma non è il caso di farlo sapere a Rick. Lui infatti continua a guardarci con occhi colpevoli e io sogghignando penso: “Ok, vicesceriffo sei nostro” faccio l’occhiolino a Carol per sottolineare la nostra intesa e punto i miei occhi in quelli di Rick:

-“E adesso?”-

-“Suggerirei di trovare qualcosa come delle assi di legno per superare l’ostacolo”-  a parlare è stato Eugene –“Buona idea”- risponde Daryl e tutti si mettono in cerca, mentre Rick, Abraham e io montiamo la guardia.

 

Sono passate un paio d’ore, Beth e Carol hanno trovato erbe e bacche commestibili, Maggie si sta riposando su insistenza di suo marito, mentre padre Gabriel si sta occupando di Judith. Glenn e gli altri sono riusciti a trovare abbastanza supporti per permetterci di superare la voragine senza abbandonare i nostri veicoli, che adesso rappresentano per noi la differenza tra vivere o morire, ma siamo talmente sfiniti che per il momento dobbiamo fermarci. Il sole impietoso batte sulle nostre fronti sudate, la scarsità d’acqua comincia a farsi sentire, non siamo ancora in emergenza ma poco ci manca. L’odore dell’opossum alla griglia che Daryl ha cacciato penetra nelle mie narici, non credevo potesse essere un profumo così allettante per il mio stomaco, ma evidentemente mi sbagliavo, in questo momento mi sembra il piatto più succulento su cui abbia messo i denti; ci sediamo tutti intorno al fuoco a mangiare. Per un po’ il silenzio vige sovrano fino a che Beth su insistenza di Maggie non intona una canzone, è Will survive di Gloria Gaynor, per un momento rimango in silenzio, ascoltando la voce delicata di Beth ma poco a poco l’entusiasmo di essere ancora viva ed insieme alla mia famiglia mi fa venire voglia di cantare e così faccio, Eugene insieme a Tara cominciano a battere il ritmo su delle lattine, Carol lancia un acuto e tutti ridiamo, gli unici che rimangono sulle loro sono Rick, Sasha, Carl e Daryl. Carl per il semplice motivo che è troppo giovane e non può conoscere questa hit dance anni 80, e secondo me ci reputa anche un po’ svitati, infatti ci guarda storto mentre culla Judith, Sasha è giustificata dal lutto. Sono Daryl, e Rick che non hanno scuse, sono musoni perché vogliono esserlo, con questa consapevolezza rido ancora più forte di prima, facendomi andare di traverso un pezzo di opossum, una pacca vigorosa di Abraham tra le scapole mi rimette in sesto. Ho gli occhi che mi lacrimano e la vista leggermente sfocata per questo non noto subito l’orda che sta arrivando alle nostre spalle, si muovono lentamente ma saranno presto qui. Beth smette di cantare e vede anche lei ciò che ho visto io, non esce un fiato dalla sua bocca, si limita ad alzarsi di scatto e a brandire la pistola.

-“Dobbiamo muoverci a spostare le macchine”-  dice Daryl con urgenza, mentre si mette a spingere il primo minivan sulle assi di fortuna che abbiamo trovato per superare la voragine , Glenn e padre Gabriel gli danno una mano mentre io, Carol e Maggie siamo pronte a fare fuoco per contenerli.

-“Rick ho un idea”- esclama Beth guardando il vicesceriffo sia io che Rick la guardiamo interrogativi –“non sono ancora arrivati al ponte, potremmo dividerli e buttarli giù dal dirupo mentre gli altri spostano le macchine”-

-“buona idea Beth”- le dico guardandola negli occhi, e so che anche Rick l’ha trovata una buona idea perché sta già correndo verso l’inizio del ponte insieme a Sasha e Abraham, Carol e Rosita, io, Tara e Daryl li raggiungiamo subito dopo, mentre tutti gli altri fanno avanzare i nostri mezzi oltre l’ostacolo che abbiamo trovato. Per il momento il piano sembra funzionare, ci stiamo liberando degli erranti senza sparare un colpo, tutto fila liscio finché Sasha non si fa sopraffare dalla rabbia o da non so che altro, si stacca dal gruppo e comincia a falciare erranti senza criterio, lasciando un’enorme falla nella nostra difesa. Rick cerca di contenerla senza riuscirci, a mia volta cerco di raggiungerla falciando non morti a destra e a manca, l’ho quasi raggiunta quando succedono due cose contemporaneamente, Maggie urla che siamo pronti a scappare, i tramezzi cedono e la parte di ponte dove stava Sasha crolla miseramente nel vuoto, trascinando lei e mezza dozzina di erranti nel dirupo che si è aperto a meno di mezzo metro da me. Per un attimo rimango agghiacciata fino a che la mano di Rick prende il mio braccio e mi trascina indietro un attimo prima che il terreno frani anche sotto ai miei piedi:

-“Non possiamo fare più niente, dobbiamo andarcene”- mi appoggio a lui e continuo a correre mentre l’urlo di Sasha continua a riecheggiare nelle mie orecchie.

 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞

 

Aaron è nervoso, il suo compagno l’avrebbe aspettato tre giorni dopodiché se ne sarebbe andato tornando ad Alexandria. Eravamo quasi allo scadere del tempo, all’alba Eric sarebbe ripartito. L’uomo non dubitava di poter arrivare alla città ma si vedeva lontano un miglio che non voleva che il suo compagno lo credesse morto, almeno è quello che continuo a ripetermi, per placare la mia ansia e il mio… senso di colpa? Sasha è morta, forse per colpa sua, forse per colpa della mia idea, forse per colpa di Rick che non ha voluto fidarsi fino in fondo. A questo punto non credo che abbia importanza, è un altro fantasma con cui dovrò fare i conti, e non sarà ne il primo ne l’ultimo.

Il sole sta tramontando, fortunatamente non dobbiamo fare ancora molta strada, il paese che Eric e Aaron usano come avamposto per accogliere i nuovi cittadini dista solo 5 miglia però Rick, ha proposto comunque di fermarci e stranamente Aaron non ha battuto ciglio. Credo che sia stanco anche lui dopotutto, e nonostante voglia arrivare dal suo compagno velocemente è consapevole che da stanchi, i nostri riflessi sono compromessi e che quindi è meglio riposare.  Io non ho assolutamente sonno, anzi mi sento più sveglia che mai insomma…  Nel giro di 24 ore sono cambiate moltissime cose, abbiamo perso un altro membro del gruppo, e non eravamo pronti ad un altro lutto in così breve tempo. Sono triste per Sasha, però non posso fare a meno di sentirmi euforica per il bacio con Daryl. Sono una persona orribile? Può essere, ormai non ha più importanza, io sono una sopravvissuta e questo mi basta.  Il posto dove ci siamo fermati non offre molti ripari, ci barrichiamo alla bel e meglio e aspettiamo che passi la notte.

 

Credevo che non avrei chiuso occhio e invece sono crollata come una pera cotta, dopo pochi minuti che mi sono sdraiata sul sedile posteriore della station cullando Judith, a svegliarmi è il tocco delicato di Carl –“stiamo per partire, vuoi darla a me?”- Chiede mentre allunga le braccia verso la bambina, gliela cedo volentieri. Ho bisogno di vedere Daryl, sincerarmi che quello che è successo ieri non sia un sogno. Non ho fortuna, le macchine sono tutte cariche, e non riesco a vederlo fino che alla guida di uno dei mini van, non ci supera facendo segno a Rick di seguirlo.

 

 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞

 

Il cielo stava piano, piano rischiarendo a est, lasciando spazio ad un nuovo giorno e Aaron non era ancora tornato, effettivamente mancavano ancora un paio d’ora al rande-vu, però l’ansia cominciava ad attanagliarmi le viscere, e se gli fosse capitato qualcosa? Se il gruppo non l’avesse accolto ma invece l’avesse… ucciso, no. Non pensarlo nemmeno. Sono brave persone, non potrebbero mai fare una cosa del genere, ma… se avessero incontrato una mandria di non morti?  Non è possibile, il percorso è pulito ci sono voluti mesi per renderlo tale, ma alla fine ci siamo riusciti, mi ripeto continuando a guardare l’alba che prepotente si mostra davanti a me. E se gli argini avessero ceduto? Se si fosse ferito? Eric piantala, Aaron è un uomo in gamba e ti ha dimostrato più di una volta di essere pieno di risorse. Perché però continuo ad avere paura? C’è qualcosa che non va, mi sento accapponare la pelle. Per tenere a freno l’ansia comunque mi metto a fare ordine tra le nostre attrezzature, ripetendomi che tra poco sarà qui.

Avere le mani occupate mi permette di gestire meglio le mie emozioni, è sempre stato così anche prima di tutto questo. Il lavoro manuale mi ha sempre rilassato, da bambino passavo ore con i lego a costruire, smontare, e rimontare. A 16 anni iniziai a lavorare il legno, mio nonno era un abile costruttore di mobili e mi aveva lasciato questa sua passione, che poi trasformai nella mia professione, ero diventato molto ricercato nel mio campo, ero stato addirittura contattato da una casa di produzione per andare a collaborare con quel reality show di ristrutturazioni, poi però il mondo era finito e la mia vita anche. Fino a che Aaron non mi aveva trovato nello scantinato in cui mi nascondevo nella periferia di Washington, e insieme avevamo raggiunto Alexandria. Scruto il cielo che sta diventando sempre più chiaro, “Aaron dove sei?”  Il furgone è caricato, le armi le ho smontate e pulite ed ora sono allineate perfettamente davanti a me, prendo il fucile di precisione e salgo sul tetto del furgone, armato di binocolo scruto l’orizzonte, di coloro che sto aspettando non c’è nessuna traccia, un sospiro frustrato mi scappa, il tempo sta stringendo. Tra un po’ me ne dovrò andare e abbandonare Aaron… No, no, no, guardo l’ora sul mio orologio sgualcito, le sei e mezza, cazzo è in ritardo doveva essere qui alle sei, l’ansia mi risale peggio di prima, ora come ora, neanche costruire una casa intera mi calmerebbe. “Aaron dove cazzo sei?” Potrei andargli incontro penso in un baleno, mentre scendo dal tetto e mi metto alla guida del furgone, controllo la mappa, l’interstatale è la seconda svolta a destra, -“vengo a prenderti amore mio!”- Pieno di fiducia metto in moto.

 

 

∞∞∞∞∞∞∞∞∞∞

 

A due miglia dal villaggio la station-vagon di Rick ha bucato, me ne sono accorto perché continuavo a fissare lo specchietto retrovisore ogni 5 minuti, non avere la ragazzina accanto a me mi rendeva nervoso, ma l’averla vicina mi ci avrebbe reso ancora di più dopo il bacio di ieri, così ero sceso ad un compromesso con me stesso. Però continuavo a guardare dietro per controllare che andasse tutto bene. Accosto ancora prima che Rick mi faccia i fari, e scendo velocemente per dare una mano.

-“Voi proseguite, cominciate a fare le presentazioni, noi cambiamo la ruota e arriviamo”- risponde Rick guardandomi  con un sorriso. La ragazzina mi fissa mentre tiene in braccio la piccola spaccaculi, i suoi occhi sembrano stelle che brillano, e ora so che lo fanno per me e questo mi rende orgoglioso e spaventato allo stesso tempo. Vorrei chiederle di venire con me, scaricare Eugene o Tara e osservare i suoi capelli biondi che ondeggiano al vento, ma mi impongo di essere duro.

-“Ok”- rispondo velocemente e risalgo in macchina, Aaron è impaziente, continua a fissare l’orologio del cruscotto con aria truce mentre Tara cerca di rassicurarlo, mi limito a sbuffare mentre giro la chiave nel quadro, il minivan riprende vita con un rumore sordo, il motore ormai è al limite, speriamo che regga.

 

Siamo giunti all’avamposto di cui ci parlava Aaron, il vecchio ufficio vendite del quartiere residenziale di Alexandria, due container che fungevano da uffici, un paio di bagni chimici e una casetta in legno che doveva essere l’infermeria, fortunatamente sono tutti in buono stato. Però mi ricordo che Aaron aveva parlato di villaggio, questo mi sembra una presa per il culo, guardo verso l’uomo in modo truce e lui alza le spalle, come a chiedere scusa. Tutto intorno ci sono cartelli che indicano la safezone e i requisiti per farne parte, un po’ mi ricordano Terminus e un brivido mi risale lungo la schiena, ma so che queste persone, anche se non le conosco, sono ciò che c’è di più lontano a quei cannibali figli di puttana. Beth ha ragione, esistono ancora le brave persone e Aaron è una di queste, non credo che possa convivere con una tribù di cannibali senza battere ciglio. Quindi ho deciso di dargli il beneficio del dubbio, mi fiderò… Finché sarà opportuno farlo. Comincia a chiamare a gran voce un nome, quello di Eric, il suo compagno, ma nessuna voce giunge in risposta. Entriamo nei container-ufficio, un divano comodo appare alla mia destra, sulla scrivania ci sono delle bottigliette d’acqua, ne afferro una e do una sorsata. Tara e Glen cominciano ad aprire i cassetti in cerca di qualcosa di utile, a parte dei progetti architettonici non trovano nulla, li gettano a terra frustrati mentre Eugene li raccoglie, e comincia ad osservarli con interesse. Continuo a guardarmi intorno cercando cose utili. Il rumore della portiera che sbatte della macchina guidata da Abraham mi fa sussultare per un attimo, l’ex marine mi guarda mentre Aaron continua a chiamare il nome di Eric, anche se ormai è chiaro a tutti che l’uomo non è qui. Improvvisamente un razzo di segnalazione solca il cielo di fronte a noi:

-“Eric!”- urla Aaron e si mette a correre verso quella luce verde.

 

continua....

 

 

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