Lyn's choise

di Black Deer
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ricordavo vagamente l'uomo che avevo come compagno di stanza quel giorno all'ospedale, anche perché avevo cose ben più importanti a cui pensare.
Quando entrai nella camera bianca che odorava d'alcool, il mio vicino di letto stava dormendo silenziosamente. Il dottor Gordon mi fece accomodare e mi aiutò a sistemate la valigia, poi mi lasciò sola. Facendo il minor rumore possibile, mi avvicinai alla finestra: dava su un parco. Non era molto grande, però c'era un bel viale alberato in cui passeggiare. Mi girai per guardare nel meglio il mio compagno di stanza: aveva i capelli corti e bianchi; aveva un’espressione serena mentre riposava, forse perché ciò alleviava le sue sofferenze.
Mi avvicinati al fondo del suo letto e curiosai nella sia cartella: si chiama John e aveva il cancro.
Era passata più o meno mezz'ora, quando John si svegliò. Inizialmente guardò fuori dalla finestra, poi su girò verso di me. "Buongiorno" gli dissi con un sorriso. Con fatica cercò di mettersi a sedere, istintivamente andai ad aiutarlo. Notai immediatamente i suoi occhi: erano azzurro ghiaccio; in principio sembravano essere freddi e distaccati, ma se li si osservava meglio si notava una profonda amarezza. Con la mano tremante mi indicò la mascherina sul comodino. Gliela porsi: fece un paio di respiri profondi. "Buongiorno anche a lei, io mi chiamo John e lei ?" disse quasi sottovoce  "Io sono Lyn"

 

Svegliarsi in un posto sconosciuto, senza sapere come ci si è arrivati è la sensazione più brutta al mondo.
Non riuscivo a vedere nulla: una fascia mi copriva gli occhi. La testa mi pulsava, cercai di avvicinare la mano alla testa, sentii che erano entrambe legate sullo schienale della sedia su cui mi trovavo. Anche le caviglie erano legate. Cercai di urlare per chiedere aiuto ma avevo un’altra fascia stretta sulla bocca che mi impediva di parlare. Poi alle mie spalle sentii una porta sbattere e dei lenti passi. Sobbalzai sulla sedia: poi una mano mi sfiorò il collo e strinse: “Se farai silenzio, ti toglierò la benda…” disse qualcuno sottovoce. Era una voce maschile, calma e sicura. Feci un piccolo cenno di si con la testa. Lentamente mi slegò la fascia: ci misi un po’ a capire dove mi trovavo, le forti luci al neon mi fecero bruciare gli occhi. Era una stanza anonima: le mura avevano delle macchie di umidità sparse ovunque ed erano ingrigite dal tempo. L’aria era pesante, come se da tempo nessuno facesse circolare l’aria. Sulle pareti non c’era nulla che mi potesse aiutare a capire dove mi trovavo. Poi dei rumori metallici mi ridestarono dai miei pensieri: l’uomo che prima mi aveva parlato era proprio dietro di me. Stava in silenzio e stava armeggiando con qualcosa di metallico. Poi i suoi passi cominciarono ad avvicinarsi. Quando fu davanti a me si inginocchiò all’altezza del mio viso. Era un uomo avanti con l’età, aveva i capelli corti e bianchi, indossava una felpa nera con la fodera rossa e aveva dei profondi ed intensi occhi azzurri. Credo di aver già visto i suoi occhi prima d’ora… Ma non riuscivo a ricordare quando. “Chi fei ?” dissi agitandomi sulla sedia e sforzandomi di parlare con la fascia in bocca. Lui non rispose. Continuava a fissarmi. Silenziosamente e con sguardo incuriosito. “Ciao Lyn…” disse con tono pacato “…tu non mi conosci, ma io conosco te. Finora hai passato la tua vita in modo miserabile. Fingevi di essere la figlia perfetta, senza pensare a ciò che veramente era giusto. Soprattutto nei tuoi confronti. Hai sempre fatto tutto ciò che ti veniva detto, senza mai discutere. Senza mai ribattere. Ma dimmi, lo facevi solo perché eri senza spina dorsale o perché ti piaceva essere soggiogata ?” fece una pausa e sorrise “Ti ricordi di Eric…vero ?”.  Mi si inumidirono gli occhi, abbassai lo sguardo senza rispondere. “Ma non importa adesso perché ti darò la possibilità di riscattarti” si avvicinò e mi slacciò i primi bottoni della camicia, poi si alzò, prese un grande specchio con le rotelle e me lo posizionò davanti. Avevo un aspetto tutt'altro che sano: il volto era pallido, sudato e chiaramente sconvolto. Ma ciò che mi fece veramente spaventare fu la cicatrice che avevo sul petto, all'altezza del cuore. Era una linea sottile, rossa e lunga almeno 15cm. Attorno c'era parecchio sangue coagulato ed era finemente chiusa con 5 punti. Mi scappò un urlo: solo ora che l'avevo vista sentii che cominciava a farmi male. L’uomo sembrava quasi divertito dalla mia reazione. “Che cofa fuoi ?!?” urlai. Prese una sedia e si mise dietro di me: riuscivo a vederlo riflesso nello specchio.
"Che cosa voglio ? Contro il tuo cuore c'è un congegno esplosivo.
Se decidi di andartene posso chiamarti un'ambulanza che arriverà in 10 min, ma una volta raggiunta la distanza di 20 metri da questo posto la carica salterà, distruggendo tutto ciò che è presente nella tua cassa toracica.
Oppure, puoi decidere di vivere, rimanendo qui ed aiutandomi nella mia opera...
Fa la tua scelta"

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Chiusi gli occhi e pensai alla sua proposta: volevo davvero aiutarlo? Una cosa era certa: io non volevo morire.
L'uomo era ancora dietro di me, riuscivo a sentire il suo respiro. Lentamente aprii gli occhi ed incrociai subito il suo sguardo, riflesso nello specchio. "Tglimi l fascia" mugugnai. Con delicatezza la slacciò. "Chi sei e come fai a sapere chi sono ?" dissi adirata. "Mi chiamo John. Allora, hai preso una decisione ?" continuavo a fissarlo "Non hai risposto alla mia domanda" sorrise "Ogni cosa a suo tempo... Sai, credo che dovrò limitare i tempi della tua decisione". Dalla tasca estrasse un telecomando con un unico bottone: "Hai un minuto per decidere, poi farò saltare la carica". Cominciai a respirare a fatica ed iniziai a sudare freddo "Che cosa vuoi che faccia ??" urlai "Devi prendere una decisione !" "Che cosa significa 'aiutarti nella tua opera' ? Che cosa vuoi da me ??" Intanto continuavo a dimenarmi sulla sedia, cercando di rompere i lacci: fu tutto inutile, erano di cuoio e avevano delle spesse cinghie. "Prima decidi, poi avrai delle risposte". Girai la testa quanto potevo per guardarlo dritto negli occhi: "Per favore..." lo supplicai. Come risposta John mise un dito sul pulsante e chinò la testa per non guardarmi. Cominciai a piangere.
Io non voglio morire !! Ma non posso accettare di aiutarlo senza sapere di cosa si tratta...
Intanto il tempo continuava a scorrere, lento ed inesorabile. Vidi che John stava per far pressione sul bottone "Va bene !" urlai con tutto il fiato che avevo nei polmoni. Lui sollevò la testa, quasi sorpreso "Ti aiuterò !!". John sorrise impercettibilmente, si alzò dalla sedia, poggiò il telecomando su di essa e si pose davanti a me. "Hai fatto la scelta giusta, Lyn". Ero fortemente convinta che mi avrebbe liberato, ma con forza mi piantò una siringa dritta nella giugulare. Inizialmente sentii un forte bruciore che si sviluppò velocemente, poi mi si annebbiò e svenni.

Quando mi svegliai non avevo idea di quanto tempo fosse passato. Ero sdraiata su qualcosa di morbido, doveva essere un materasso. Faceva freddo ed era buio. Mi sfregai gli occhi con una mano, niente fascia, quindi non c’era luce. Rimasi seduta aspettando che la vista si abituasse al buio. La stanza in cui mi trovavo sembrava più ampia della precedente, guadai in alto: c’era una lieve luce che entrava da una finestra. Mi avvicinai. Purtroppo la finestra era quasi vicino al soffitto e non riuscivo ad arrivarci. Cominciai a muovermi per la stanza sperando di trovare qualcosa, ebbi fortuna e trovai una scala. La misi di fronte al muro e ci salii: c’era uno spesso strato di polvere sui vetri, lo pulii via. In lontananza si intravedevano dei gradini malconci di una scala esterna ed un cortile cementificato. Dovevo essere nella cantina di una vecchia casa abbandonata. Provai a forzare la maniglia della finestra, ma era bloccata. Scesi dalla scala e cercai di trovare un’altra via d’uscita. Doveva per forza esserci una porta. Poggiai le mani sul muro e cominciai a camminare lungo la parete. Arrivata sulla terza parete trovai la porta. Cercai la maniglia, ma non c’era: dove essere una di quelle porte apribili unicamente dall'esterno. Stavo cominciando a cercare un modo per forzarla quando la serratura scattò con un colpo secco. Feci un salto indietro per lo spavento. Mi preparai, convinta che avrei trovato John ad aspettarmi.
Aprii la porta, ma non c’era nessuno. Uscii dalla stanza e mi trovai in un corridoio. Dovevo decidere se andare a destra o a sinistra. Notai subito che il corridoio a sinistra era illuminato a differenza di quello a destra, quindi andai verso quello illuminato. Lentamente cominciai a camminare. Non sentivo nulla. Non un urlo, uno scricchiolio. Niente. L’unica cosa che rompeva il silenzio presente in quel corridoio era lo scricchiolio delle mie scarpe ed il mio respiro affannoso. Arrivai ad un altro bivio: dritto o a destra. Ancora uno solo dei due corridoi era illuminato: andai a destra. Mentre camminavo mi accorsi che c’erano diverse porte. Una profonda curiosità mi pervase.
Mi avvicinai ad una di esse: poggiai la mano sul pomello. Feci scattare la serratura. Stavo per aprire la porta quando un forte brivido mi percorse.
Potrebbe esserci qualcosa di terribile dietro quella porta… O anche nulla…
Comunque era meglio non rischiare. Richiusi la porta a chiave e andai avanti. Arrivata in fondo al labirinto di corridoi, mi trovai davanti ad un vicolo cieco con una porta.
Davanti ad essa c’era appesa una chiave legata con un filo di spago al soffitto. Cercai di slacciare il nodo ma era troppo stretto.
Sapevo che se l’avessi staccata tirandola per la corda sarebbe successo quacosa…
Tirai con forza la corda, sperando solo che non fosse un’altra prova. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Tirai con forza la corda.
Mi avvicinai alla porta che avevo di fronte, inserii la chiave e feci scattare la serratura. Quando la aprii non vidi nulla, la stanza era tutta buia. Ero convinta che avrei trovato John seduto ad aspettarmi. Entrai nella stanza con le gambe che mi reggevano a stento per l'ansia, al terzo passo la luce del corridoio alle mie spalle si spense di colpo, avevo appena girato la testa quando la porta dietro di me si chiuse con un tonfo secco. Mi lanciai su di essa per cercare di aprirla, ma fu tutto inutile. Sentii scattare la serratura. Nella foga la chiave mi scivolò di mano. Cominciai a battere i pugni sulla porta "Fammi uscire !!" urlai. Cercai di trovare la chiave tastando il pavimento nell'oscurità, ma non la trovai. Mi accasciai davanti alla porta, cominciai piangere e a pregare che qualcuno venisse a portarmi via, svegliandomi da questo incubo. Poi una luce bianca ed un rumore gracchiante attirarono la mia attenzione. Un paio di metri di fronte a me c'era una televisione accesa: per qualche secondo lo schermo rimase grigio, poi partì una registrazione. Apparve John seduto di fronte alla telecamera.
"Salve Lyn" fece una lunga pausa "Voglio fare un gioco" disse con la sua solita voce pacata. "Sai mi fa piacere che tu abbia scelto di accettare la mia proposta ma, prima di iniziare, devo accertarmi che tu mi sarai fedele" altra pausa. Dietro alla televisione si accesero dei faretti: in piedi c'era una graticola con una persona di schiena legata ed incappucciata. Sul retro, la griglia aveva diversi ingranaggi che le permettevano di inclinarsi in avanti. Sul pavimento di fronte ad essa c'era una griglia cosparsa di aghi collegati ad una tanica piena di liquido giallo, era acido.
John riprese: "Oggi Lyn dovrai prendere una decisione importante: la persona che hai di fronte è una faccia a te molto nota" mentre continuava a parlare mi avvicinai alla persona legata. Lentamente sfilai il cappuccio, lo feci cadere a terra e girai dietro per vedere in faccia chi fosse: era Eric. "Lo riconosci vero Lyn ? Se non mi sbaglio è stato proprio Eric a dare inizio alla catena di tutte le tue scelte sbagliate. So che era un tuo caro amico e che eravate andati a vivere insieme. Ma dopo poco tempo è iniziato il suo regno del terrore. So che ti ha imprigionata, sfruttata ed abusata"
Più parlava, più mi chiedevo come facesse a sapere tutte queste cose sul mio passato. "Come mai non hai cercato di scappare o chiedere aiuto ? Hai semplicemente aspettato che tutto finisse, per poi dimenticare tutto. Come un brutto sogno. Ma ora hai la possibilità di vendicarti: la griglia su cui è legato Eric scenderà finchè non verrà infilzato da tutti gli aghi, ferendolo, ma lasciandolo in vita. Puoi decidere di fermare qui la tua vendetta, oppure puoi decidere di ucciderlo, iniettando tutto l'acido che vedi, nel suo corpo. A te la scelta" la tv si spense.
Eric era ancora privo di sensi quando la griglia cominciò con movimenti a scatti a scendere. Mi avvicinai a lui: pochi centimetri e gli aghi avrebbero iniziato a trafiggerlo. Dovevo decidere cosa fare. I primi aghi cominciarono a trafiggergli le caviglie ed i polpacci. Eric si svegliò di colpo e cominciò ad urlare. Andai davanti alla gabbia, così da poterlo vedere in faccia. "Lyn ?! Che cazzo stai facendo ?? Liberami subito stronza !!" "Non posso fare nulla" dissi con calma.
Non gli avrei mai più dato la possibilità di controllarmi. Gli aghi ora avevano raggiunto la zona lombare, ed Eric continuava ad urlare ed insultarmi. "Sei una maledetta stronza ! Liberami ! Liberami !! Ma chi cazzo ti credi di essere ?!" "Non sono io che ti ho legato e non voglio nulla da te. Una persona mi sta solamente dando la possibilità di vendicarmi" "Vendicarti di cosa, stronza ??".
Sbottai, cominciando ad urlare "Di che cosa Eric ?! Di tutto ciò che mi hai fatto in passato !!". La griglia ora era quasi scesa del tutto, ed Eric continuava ad urlare sempre più forte ed in modo pietoso, come un maiale che veniva sgozzato. "Si prova un bella sensazione vero ? Quando si ha sotto controllo la vita di qualcun'altro... Perché lo facevi ?" Ora la griglia era totalmente abbassata. Tutti gli aghi ora lo trafiggevano ed entravano nella carne per almeno tre centimetri, la testa era esclusa.
Vicino al pavimento notai un telecomando lo presi, sopra c'erano due pulsanti ed un piccolo timer. Un bottone era rosso e l'altro verde, il timer partì: avevo 2 minuti per decidere. "Che cazzo è quello ?". Girai il telecomando verso di lui per permettergli di vederlo: "Questo, mio caro, è la mia scelta !!" "Di cosa stai parlando ?" "Devo decidere se lasciarti in vita o ucciderti"
"Stai scherzando ?! Liberami subito stronza!!".
1:37... 1:36... 1:35...
Poggiai un dito sul pulsante rosso. "No, no, no !!! Non ci provare neanche brutta stronza schifosa !!" Eric cercò di liberarsi dimenandosi, ma tutto ciò che ottenne fu ferirsi ancora più di prima "E come pensi di fermarmi ?! Sei imprigionato ed impotente !! È così che mi hai fatto sentire !! Per tutti quei mesi ! Mi hai rinchiusa, sfruttata ed usata !!!".
Gli lanciai addosso tutto il rancore e la rabbia che avevo represso per tutto quel tempo. "Senti a-aspetta e ragiona un attimo ! Ragiona, cosa credi che ti succederà quando la polizia scoprirà ciò che hai fatto ??" mi sfuggì una lieve risata "Di te non rimarrà più nulla ! Tutti gli aghi che ti trafiggono sono collegati ad una cisterna di acido !! Troveranno solo poltiglia..."
45... 44... 43...
Presi il telecomando con entrambe le mani: dovevo decidere e in fretta, non volevo scoprire cosa mi avrebbe fatto John se non avessi scelto in tempo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Ero sempre stata una persona che odiava fare le cose di fretta, ho sempre fatto tutto con estrema calma, soprattutto quando dovevo prendere decisioni. Quindi questo tipo di situazione avrebbe messo in difficoltà chiunque, figuriamoci io.
20... 19... 18...
Avevo sempre pensato che se avessi avuto la possibilità di vendicarmi di Eric per tutto ciò che mi aveva fatto, non avrei mai indugiato. L’esitazione che avevo in quel momento mi spaventava. Stavo davvero considerando la possibilità di risparmiargli la vita ? A mente fredda la mia risposta sarebbe stata veloce, diretta e sicura: no, non l'avrei mai salvato e gli avrei augurato di morire tra atroci dolori. Premendo il bottone rosso sarei stata accontentata. Però così mi sarei abbassata al suo livello, o forse anche peggio: sarei diventata un'assassina.
10... 9... 8...
Sono un'assassina ? Sarei riuscita poi a convivere col senso di colpa per aver strappato via una vita ? Sapevo che John mi stava osservando e che tutto ciò faceva parte di un suo piano, ma cosa voleva che facessi ?
6... 5... 4...
Il tempo era ormai quasi scaduto e avevo deciso: sarebbe morto. Inclinai il telecomando in modo che anche Eric potesse vederlo. Misi entrambe i pollici sul bottone rosso. "Muori brutto bastardo !!" gli urlai, la voce carica di odio e rancore. Eric non ebbe neanche la forza per rispondere. Incrociò i miei occhi ed attese. Lo osservai meglio: pensavo che l'ultimo suo sguardo sarebbe stato carico d'odio e risentimento. Invece vidi solo una triste, silenziosa e patetica supplica. Sembrava addirittura quasi pentito per ciò che aveva fatto. Quasi...
3... 2...
"Mi dispiace..." sussurrò infine umilmente Eric, poi chiuse gli occhi.
In quel momento capii: premetti subito il pulsante verde.
 
Abbandonai Eric al suo destino, ferito, ma vivo. Proseguii, arrivando in quello che sembrava il laboratorio di John. C'erano parecchi attrezzi da lavoro, sia meccanici che chirurgici. Erano presenti anche molti schizzi di macchinari con vicino dei prototipi: uno di quelli somigliava ad una tagliola per orsi. Su un tavolo vidi un bisturi, lo misi in tasca e continuai. Da dietro una porta semi aperta vidi una tremante luce blu. Mi avvicinai facendo il minor rumore possibile: riuscivo ad intravedere John seduto di fronte ad una scrivania con sopra diversi schermi di computer, mostravano la stanza in cui si trovava Eric. Feci un passo avanti per vedere meglio, ma colpii qualcosa, che sbattendo contro la porta produsse un forte rumore metallico.
"Vieni avanti" disse calmo. Feci un respiro profondo, poggiai una mano sulla tasca per controllare che il bisturi fosse ancora lì, ed entrai: in un angolo si trovava un letto con vicino diversi macchinari medici e una teca con parecchi medicinali, c'era anche una porta aperta in cui si intravedeva quella che doveva essere una cucina. La stanza era più calda rispetto al resto del luogo. Lui si alzò lentamente e si avvicinò. Indietreggiai di qualche passo finché non mi trovai contro il muro. John allungò una mano sfiorando il mio collo nel punto in cui aveva infilato la siringa "Ti fa ancora male ?" "Non tanto" dissi piano, la voce tremante, chiaramente terrorizzata. Lui si girò ritornando alla sua postazione: mi avvicinai piano, presi il bisturi e rimasi ferma. Guardai a vuoto gli schermi. "Che intenzioni hai ?" disse senza girarsi. Subito nascosi il bisturi nella manica, ma ormai l'aveva già notato. "È inutile che provi ad uccidermi, tanto è solo una questione di tempo" lui tossì un paio di volte. Avrei voluto chiedergli spiegazioni, ma non era il momento adatto. Strinsi troppo la mano per l’ansia e mi tagliai col bisturi. Mi scappò un lieve lamento e cadde per terra.
John si girò e vide la mia mano destra sanguinante. Andò verso l’armadio dei medicinali: prese delle garze, un filo ed un ago per suturare la mia ferita. Rimasi in silenzio mentre delicatamente e con estrema abilità mi ricuciva la ferita con piccoli e regolari punti, poi mi fasciò delicatamente la mano. Andò a lavarsi via il mio sangue dalle mani e restando girato di spalle mi disse:
" Credo...di doverti delle spiegazioni, Lyn. Siediti" 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Mi sedetti di fronte a John e cominciò a spiegarmi in cosa consistevano le sue opere.
Mi spiegò perché metteva le persone di fronte alla morte, sopponendole ai suoi giochi con le macchine che costruiva. “Ho deciso di spendere il resto dei miei giorni a sperimentare i meccanismi della natura umana” “Non credo che uccidere delle persone innocenti sia la soluzione migliore per studiare i comportamenti dell'animo umano” “Io non ho mai ucciso nessuno in vita mia, le scelte le ha hanno fatte loro” “Forzare una persona a farsi del male rischiando di uccidersi non è differente dall'omicidio...”. John mi guardò serio “Chi non apprezza il dono della vita non merita di vivere…” “Si ma non spetta a te deciderlo!” dissi indignata. Il suo pensiero poteva essere giusto, ma sicuramente applicato nel modo sbagliato. “Ci sono persone che nonostante abbiano tutto sprecano il dono della vita. Molti si rovinano cadendo preda di vizi, altri cercano di suicidarsi oppure passano quel poco che resta della loro misera vita…” “Nonostante tutto” dissi interrompendolo bruscamente “Non riesco ancora a capire perché sono qui” sorrise “Ogni cosa a tempo debito Lyn...”. “Sono stanca di sentirmi ripetere questa frase! Perché mi hai fatto rivedere Eric?” “Ti ho voluto dare la possibilità di vendicarti di ciò che ti aveva fatto” “Si ma...” “Shh” disse piano “Tu fai troppe domande Lyn. Dimmi come ti sei sentita quando sapevi che da un momento all'altro saresti potuta morire?” rimasi colpita dalla sua domanda. Perché descrivere ciò che si prova quando si guarda in faccia alla morte non è semplice. Si provano emozioni forti e contrastanti: paura, angoscia, la voglia che finisca tutto subito e senza dolore. Ma anche l’eccitazione, sentire l’adrenalina che scorre veloce nelle vene e sentirsi vivi per davvero. “Avevo paura” dissi cercando di nascondere ciò che provavo “Si è normale” disse sorridendo, sicuramente lui sapeva cosa si prova “La consapevolezza della morte cambia tutto, se io ti dicessi qual’è esattamente il giorno e l'ora della tua morte, la tua visione del mondo cambierebbe completamente. Io lo so e scommetto che non ti sei mai sentita così viva come in quel momento...”. Abbassai la testa annuendo. Nonostante tutto aveva ragione, cominciai a ricredermi. Forse ciò che faceva non era del tutto sbagliato...

Nei giorni successivi aiutai John a curarsi, senza chiedergli quale fosse la sua malattia. Quando cominciò a sentirsi meglio iniziò a lavorare su un nuovo gioco.
Una mattina mi svegliai e non lo trovai. Sarebbe stata un'occasione d'oro per scappare, se non fosse per la carica che avevo nel petto. Mi avvicinai al suo tavolo da lavoro: c'erano delle foto della prossima vittima: si chiama Mark e in serbo per lui ci sarà un gel altamente infiammabile.
Vicino c'era una marionetta dalla faccia bianca con gli occhi rossi. Cominciai a girovagare per la stanza in cerca di una via d’uscita, trovai tutte le porte chiuse a chiave. Che sciocca… Come potevo pensare che una persona meticolosa come John si dimenticasse di chiudere una porta? Non sarei riuscita a scappare da lì, per ora, ma potevo trovare un modo per liberarmi dal suo vincolo.
Dietro a delle grosse frange di plastica trasparente, si trovava quella che aveva l'aria di essere una sala operatoria. Era ben fornita di attrezzi e macchinari chirurgici. Su un ampio bancone si trovavano bisturi e seghe di ogni forma e dimensione. Presi un piccolo bisturi dalla punta a uncino e del disinfettante; mi lavai le mani e sterilizzai la lama. Su un lato della sala c'era un grande specchio, presi una sedia e mi sedetti di fronte ad esso. Slacciai i primi bottoni della camicia: delicatamente passai le dita sulla ferita, era ancora rossa e non del tutto cicatrizzata. Poggiai la punta del bisturi all'inizio del taglio. Passò qualche minuto prima che riuscissi a convincermi che quello era l'unico modo per poter scappare di lì, misi una pezza tra i denti e infilai di scatto la lama nel petto. Il primo punto saltò ed una copiosa quantità di sangue cominciò a scorrere. Urlai e feci scorrere velocemente la lama facendo saltare atri due punti. C'era molto sangue, ormai non riuscivo più a distinguere la ferita dal resto. Il dolore poi, era lancinante: c'era un costante bruciore alternato a delle fitte pungenti. Quando finalmente riuscii a riaprire tutta la ferita ero stremata.
Feci cadere il bisturi, levai la pezza dalla bocca e pulii velocemente la ferita. Ora dovevo cercare di tirare fuori il dispositivo. Aprii la ferita e lentamente inserii due dita: sfiorai qualcosa di duro ma era troppo sottile, probabilmente era una costola. Spinsi le dita in profondità, ma non sentii nulla. Il sangue continuava a scorrere sempre più velocemente, ormai la mia candida camicia era impregnata di sangue. Ero senza forze e se non trovavo subito un modo per fermare l'emorragia sarei morta dissanguata. Mentre stavo togliendo la mano dalla ferita sentii qualcosa. Cercai di afferrare l’oggetto, ma il sangue rendeva tutto scivoloso. Mi alzai barcollando ed aprii l'armadietto con le garze. Con le mami tremanti le presi e le premetti sulla ferita. In poco tempo anche quelle erano inzuppate di sangue. Non sapevo cos'altro fare. Mi accasciai a terra, senza forze, in cuor mio sapevo che ormai sarebbe finita così, ma mi rifiutavo di accettarlo... Cercai nuovamente di afferrare la cosa presente nel mio petto: questa volta ci riuscii. Strinsi il piccolo oggetto in mano.
Afferrai il bordo del tavolo, il mio sangue ormai era spalmato su molte superfici della stanza. Nel tentativo di alzarmi caddi e rimasi a terra. Ero immersa nella pozza rosso scuro del mio sangue, che continuava ad allargarsi, lenta ed inesorabile. Aprii la mano per vedere cos’avevo trovato: era una chiave. Improvvisamente il dolore sembrò attenuarsi, la vista cominciò a offuscarsi e sentii il mio cuore rallentare ad ogni battito. Era finita, stavo morendo. Malgrado tutto ciò che mi aveva fatto Eric, io l’avevo risparmiato. E nonostante tutto lui continuerà vivere, io invece morirò sola e nessuno si accorgerà della mia mancanza. Che modo patetico per andarsene… Chiusi gli occhi e mi lasciai andare. 
Non ero sicura se stessi già sognando o se fossi ancora sveglia, ma vidi qualcuno avvicinarsi lentamente e prendermi in braccio.
Poi tutto si oscurò.

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