Invisible

di feilin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Invisibile ***
Capitolo 2: *** Conforto ***
Capitolo 3: *** Regali ***
Capitolo 4: *** Fortuna ***
Capitolo 5: *** Buonanotte ***
Capitolo 6: *** Questione di tempo ***
Capitolo 7: *** Amarsi ***



Capitolo 1
*** Invisibile ***


10 Novembre 2013
 
Erano ormai anni che vagavo per le strade di New York. Avevo deciso di uscire dall’Italia per visitare altri posti, e gli Stati Uniti mi erano particolarmente piaciuti, tanto da aver deciso di restare e di imparare la lingua. Ero andata alle elementari con i bambini più piccoli per iniziare dalle basi, e con il passare del tempo, avevo appreso appieno la lingua. Non era un problema entrare nelle aule dei bambini e sedermi in un angolo ad ascoltare la lezione. Nessuno riusciva a vedermi.
In quel momento mi trovavo davanti ad un liceo, aspettando che le lezioni finissero e gli studenti uscissero. Mi piaceva osservare ragazzi e ragazze. Spesso ascoltavo le conversazioni, soprattutto quelle che sembravano più interessanti. Era un modo come un altro per sconfiggere la noia. Non potevo parlare con nessuno, perché nessuno poteva sentirmi, e la cosa molto spesso mi faceva impazzire, ma con il tempo ci avevo fatto l’abitudine. In quel momento sentii il suono della campanella, segno che le lezioni erano finite e che gli studenti potevano tornare a casa. Guardai uscire tutti quanti, dalle ragazze che si sistemavano la gonna e si aggiustavano la giacca, ai ragazzi che saettavano verso l’uscita, divertendosi e scherzando fra di loro. Era divertente guardare alunni e professori sbrigarsi a tornare a casa, evitando di guardare negli occhi gli sconosciuti o i professori stessi. Io avrei dato qualunque cosa per poter essere guardata da qualcuno, per poter scambiare due parole o per poter almeno essere sfiorata da qualcuno. Non ricordavo più com’era essere toccati da qualcuno.
Seguii alcuni alunni che avevano preso la strada a sinistra, e camminai con loro. Spesso entravo nelle case altrui e prendevo del cibo, oppure lo facevo nei bar e nei ristoranti. Sapevo che era una cosa che non dovevo fare, ma non avevo scelta, non volevo ancora morire di fame o di freddo benché la mia vita fosse diventata insignificante. Altre volte invece ricopiavo la pronuncia delle persone che parlavano, memorizzando le parole che non sapevo. Inoltre prendevo in “affitto” delle case già abitate, ed ogni mese la cambiavo. Era un modo per vedere il modo di vivere e soprattutto per passare il tempo.
Soprattutto quello.
Il tempo era la cosa che mi straziava di più. Non passava mai, e spesso non sapevo che ore fossero o in che mese mi trovassi, ma le feste me lo ricordavano spesso.
Passarono i giorni, ed anche quel pomeriggio aspettai che dalla scuola uscissero gli studenti. Ero in piedi proprio davanti al cancello, cosa che sarebbe sembrata strana quanto inquietante se solo la gente avesse potuto vedermi, ma non avevo quel tipo di problema.
Osservai la gente uscire, come ormai facevo da qualche mese, e mi soffermai su un ragazzo, che sembrava guardarmi dritto negli occhi. Lo trovai curioso, nessuno era mai riuscito a guardarmi negli occhi inconsapevolmente, e il modo in cui sembrava squadrarmi dalla testa ai piedi lo rendeva ancora più strano. Era ovvio che si fosse trattata di una pura casualità, probabilmente c’era qualcun altro dietro di me, ma decisi comunque di seguirlo. Casa sua non era troppo lontana dalla scuola, ed in poco tempo lo vidi fermarsi davanti ad un cancello. Ancora una volta sembrò voltare testa ed occhi nella mia direzione.
- Hai bisogno di qualcosa? - lo sentii dire. Mi voltai a guardare dietro di me, ma non vidi nessuno. Corrucciai la fronte e tornai a guardarlo.
Ma sta parlando proprio con me?
- Dico a te. Perché mi hai seguito a casa? Sei una stalker? - chiese lui prendendo le chiavi di casa per aprire il cancello.
- Tu… tu puoi vedermi? - chiesi insicura, ma con una speranza che sembrava finalmente illuminarmi.
- Certo che posso vederti. Sei la ragazza che sta sempre davanti al cancello. Di un po’, ma tu non ci vai a scuola? O sei davvero una stalker? - chiese lui squadrandomi nuovamente dalla testa ai piedi.
- Tu riesci davvero a vedermi?! - chiesi nuovamente incredula avvicinandomi appena a lui.
- Oddio, questa è matta - lo sentii sussurrare mentre entrava in casa.
- No! Aspetta! - urlai in preda al panico. Era la prima volta che urlavo da diversi anni, ed era la prima volta che potevo parlare con qualcuno. Quando vidi il cancello sbattermi in faccia decisi di rimanere lì fuori. Prima o poi anche il resto della famiglia sarebbe tornata, ed io sarei potuta entrare con tranquillità.
Passarono le ore, ed io rimasi nella stessa posizione , ovvero seduta a terra davanti al cancello.
- Ehi, vattene da casa mia prima che io chiami la polizia - sentii nuovamente la sua voce, proveniente dal citofono. Non mi preoccupava la polizia, per quanto ne sapessi, quel ragazzo era l’unico in grado di vedermi.
- Fammi entrare, ti prego, ho bisogno di parlare con te - dissi ancora incredula del fatto che qualcuno potesse sentirmi.
- Perché dovrei farti entrare? Neanche ti conosco -
- Perché sei l’unico che riesce a vedermi. Sono rimasta sola per troppi anni, senza poter parlare o avere un rapporto umano con qualcuno -
- Sei evasa dal carcere per caso? O magari da una clinica d’igiene mentale! Vattene da qui! - disse prima di attaccare il citofono. Sbuffai e continuai ad aspettare ininterrottamente. Avrebbe capito solo quando si fosse accorto di essere l’unico a vedermi.
Due ore più tardi vidi una macchina fermarsi e una donna scendere e aprire il cancello. Entrai con lei, indisturbatamente, notando come avesse lasciato il cancello aperto, e osservai la casa dall’interno. Era semplice e molto carina, confortevole rispetto ad alcune in cui ero vissuta.
- Ciao mamma – disse il ragazzo per poi spostare lo sguardo su di me – Che cosa ci fa lei qui!? - chiese indicandomi.
- Ah, grazie per l’accoglienza, fratellino! - rispose una ragazza che mi oltrepassò senza problemi come se fossi un fantasma. Lo vidi sbiancare e abbassare il braccio che mi indicava. Mi portai un dito alla bocca, intimandolo di fare silenzio.
- Ma… ma voi non vedete nessun’altro qui dentro? - chiese quasi preso dal panico continuando a guardarmi ad occhi sgranati.
- Chi dovremmo vedere? - chiese la madre posando le buste della spesa sul tavolo in cucina.
- E’ inutile, te l’ho detto, nessuno mi può vedere - dissi avanzando, notando come indietreggiasse ad ogni mio passo. Lo vidi scappare al piano di sopra e lo seguii in fretta, lottando con la porta, io per entrare, e lui per tenermi fuori.
- Per favore ho solo bisogno di parlarti! Non ti farò del male! - dissi cercando di mantenere la porta aperta.
- Cosa sei!? Un fantasma!? Vattene via! - disse lui dall’altra parte cercando di spingere la porta per chiuderla.
- Non sono un fantasma, altrimenti sarei già entrata da tempo! - mormorai non avendo più forze. Sentii la porta diventare più leggera, e lasciai andare la presa sulla maniglia, guardando quell’unico spiraglio aperto da cui spuntarono gli occhi scuri e preoccupati di quel ragazzo.
- Se non sei un fantasma… allora cosa sei? - chiese incerto.
- Non lo so… - dissi sospirando pesantemente. Vidi la porta aprirsi e potei entrare. Mi guardai intorno, notando un pianoforte a muro e una chitarra in un angolo della stanza. C’era un letto da una piazza e mezza con delle lenzuola blu seguito da un armadio di legno e una scrivania con sopra un computer. Una volta finito di guardare la sua stanza, mi voltai per guardare lui. Sembrava a disagio, e un po’ spaventato. Gli sorrisi.
- Mi chiamo Federica e ho diciotto anni - dissi presentandomi per la prima volta da oltre otto anni.
- Alexander… e ho diciotto anni anche io - mormorò sedendosi sul letto – Si può sapere perché sei invisibile a tutti?- chiese prendendo coraggio.
- Non lo so. Ero una ragazza normale un tempo. Abitavo in Italia, andavo a scuola, avevo una famiglia… poi da un giorno all’altro, nessuno è riuscito più a vedermi - dissi ripensando alla mia vita precedente.
- Ma come? Ci sarà stato un evento particolare, no? -
- Non mi ricordo nulla. Sono passati otto anni ormai - commentai sedendomi a un metro di distanza da lui. Non ero certa che volesse avermi vicina.
- Otto anni? Mi stai dicendo che all’età di dieci anni ti sei ritrovata da sola perché nessuno poteva vederti? - chiese incredulo. Sorrisi amaramente.
- O sentirmi, o toccarmi. Sì, è proprio così. Sono rimasta nella mia casa, guardando la disperazione dei miei familiari che non mi trovavano, senza poter far nulla per alleviare le loro sofferenze. Ho continuato a fare quello che facevo prima, come andare a scuola, mangiare e dormire, con la differenza che a nessuno importava se lo facessi o meno. Nessuno sapeva che ero lì -
- Aspetta… hai detto che vieni dall’Italia, come mai ti trovi qui? -
- A quindici anni ho deciso di viaggiare. Sono rimasta un anno in Canada, e poi sono voluta venire qui, dove New York mi ha conquistata. Sono qui da quattro anni, e ho potuto imparare la lingua. Sai, essere invisibile ha vantaggi e svantaggi. Il vantaggio è che posso viaggiare senza pagare nulla, o partecipare alle lezioni delle scuole elementari pur essendo molto più grande di età. Però se il prezzo da pagare per tutto questo è restare da sola tutta la vita senza essere presa in considerazione da nessuno come se non esistessi, preferirei mille volte essere presa in giro perché frequento una scuola elementare o pagare l’aeroporto che continuare a vivere in questo modo. - commentai abbassando lo sguardo. Tante volte avevo pensato al suicidio, ma poi mi rincuoravo, pensando che prima o poi qualcosa sarebbe cambiato.
Ed è finalmente successo.
- Capisco… ma non capisco perché solo io riesco a vederti - disse grattandosi la testa.
- Non lo so neanche io. Non sapevo neanche che ci fosse gente che potesse vedermi. Sono così contenta che tu riesca a sentirmi e a guardarmi - dissi con quasi le lacrime agli occhi con una voglia irrefrenabile di abbracciarlo, se non fosse stato per il fatto che gli sarei passata attraverso.
- Ma sei proprio sicura di non essere un fantasma? - chiese ancora, squadrandomi. Dissentii con la testa.
- Anche se le persone non riescono a toccarmi, io non posso sparire o riapparire, e non posso nemmeno passare attraverso i muri o le porte. - dissi alzandomi e toccando la sua porta.  Lui annuì, capendo.
- Posso restare qui? - chiesi senza troppi pensieri.
- Come? -
- Posso restare qui? - ripetei sedendomi nuovamente accanto a lui.
- Che vuol dire? Vuoi abitare qui? E dove vorresti dormire? Perché qui? Come facciamo!?-
- Stai calmo. Perché ti agiti tanto? Vorrei restare qui visto che con te posso avere una conversazione e sentirmi finalmente normale. Non darò fastidio, i tuoi familiari non possono vedermi. Sarà un segreto fra te e me - commentai sorridendo.
- Ma io sono un ragazzo e tu sei una ragazza -
- E allora? -
- Che vuol dire “ e allora “ ? non ce l’hai il pudore? O un briciolo di vergogna? -
- Non ti sto chiedendo di venire a letto con me, ti sto chiedendo se posso restare qui  e prendere casa tua in “ affitto” - dissi mimando con le dita le virgolette.
- No, non puoi restare qui - disse scuotendo la testa.
- Non dirmi che ti vergogni - dissi puntando sul suo orgoglio da giovane maschio.
- No che non mi vergogno, ma sarebbe troppo strano per me. - disse distogliendo lo sguardo. Gli puntai un dito contro ghignando.
- Ah! Lo sapevo! Ti imbarazza avere una ragazza in camera tua! - lo accusai.
- Non è vero! -
- Sì invece! Guardati! Immagino che io sia la prima ragazza che porti qui dentro -
- EHI – disse afferrando il mio braccio per spostarlo – Sei la prima ragazza che entra qui dentro solo perché la mia camera è sacrosanta, e non ci faccio mai entrare nessuno. Ma sono fidanzato - disse seriamente, come se fosse offeso dal fatto che credessi che fosse un povero ragazzo single. Dal canto mio ero troppo concentrata sulla sua mano poggiata al mio braccio.
Lui riesce anche a toccarmi.
Lui rimase in silenzio, come me, sciogliendo poco dopo il nostro contatto. Afferrai nuovamente la sua mano, incredula del fatto che potessi sentirne il peso e il calore.
- Che stai facendo? - chiese guardandomi mentre stringevo la sua mano nelle mie.
- Avevo dimenticato come fosse toccare qualcuno… - mormorai guardando solo in quel momento, veramente, il volto del ragazzo che avevo davanti. Gli occhi erano di un castano tendente al verde molto intenso.  I capelli biondo cenere che incorniciavano molto bene il suo viso dai lineamenti definiti, davano quell’effetto ragazzo popolare che mi faceva rimangiare tutto sull’accusa del non aver avuto mai una ragazza.
- Hai intenzione di lasciarmi la mano? - chiese dopo un po’, pensieroso.
- Se vuoi davvero saperlo, no, in questo momento ho un innato bisogno di aggrapparmi a te come un koala e di non lasciarti mai più finché non colmo il vuoto che ho avuto in tutto questo tempo - dissi continuando a guardare la sua mano che invece di oltrepassare la mia, la toccava come un tempo facevano tutti gli altri.
- Ecco, è proprio per questo che non voglio che resti qui. Cominceresti a farti strane idee, ed io non ho tempo di occuparmi dei problemi esistenziali di un “quasi- fantasma” - disse spostando la sua mano dalla mia, lasciandomi a mani vuote.
- Oh, ma io non mi farò strane idee, sarò buona. Prometto di non infastidirti quando non vorrai. Però ho bisogno di restare qui e di avere un contatto verbale e fisico con te - dissi guardandolo disperatamente.
- Un contatto verbale e fisico… ma in che guaio mi sono andato a cacciare? - mormorò lui alzandosi.
- Senti, facciamo che ti dò due giorni di prova, se la cosa è fattibile magari potrebbe prolungarsi a qualche settimana. Ma tu sai che non potrai stare con me, sempre. Devo portare avanti anche una vita privata io… -
- Certo, ne sono consapevole. È solo… per un po’. Solo per passare un breve periodo della mia vita in compagnia e non da sola. Quando sarà il momento, sparirò - dissi alzandomi a mia volta.
- Hai bisogno anche di mangiare vero? Ti porterò io qualcosa dopo il pranzo o la cena. La casa di giorno è quasi sempre vuota, quindi puoi usufruire del bagno o di tutto il resto quando non c’è nessuno. Ti è proibito frugare fra le nostre cose o fare altro che non ne valga della tua vita - disse in tono serio. Annuii.
- Certo. Non preoccuparti, non vi accorgerete neanche della mia presenza. Eccetto te ovviamente. -
- Bene, allora abbiamo un accordo - disse porgendomi una mano che strinsi prontamente.
- Abbiamo un accordo - sorrisi.
 
Alexander dopo aver svolto alcuni compiti era andato a cena, e mi aveva riportato una ciotola con dell'insalata di riso in modo furtivo. Con la notte arrivò anche il problema del mio posto a dormire. Non potevo dormire sul divano, perché spesso la notte il padre o la sorella si fermavano a guardare la televisione, addormentandosi lì molto spesso. Non avevano una stanza degli ospiti, quindi l’unica alternativa, per quanto mi riguardava, sarebbe stato dormire in camera sua.
- Ti do un cuscino e una coperta, dormirai per terra, più di questo non posso fare - disse lui prendendo da un mobile una coperta e un cuscino.
- Potrei dormire con te. Il letto è grande abbastanza -
- Il tuo modo schietto di chiedere cose del genere mi stupisce sempre. Davvero non ti imbarazzerebbe dormire con un ragazzo? - chiese lui scioccato dalla mia proposta.
- Perché dovrebbe? - chiesi continuando a non capire perché fosse così inappropriato per una ragazza stare nella stessa stanza con un ragazzo.
- Ma fai sul serio? Tua madre non ti ha detto niente sul sesso opposto? -
- Alex, ho acquistato questa mia capacità all’età di dieci anni. Mia madre non ha avuto tempo di farmi capire che a quanto pare è sbagliato stare con un ragazzo. Non avevo neanche il ciclo quando è successo, come pensi che… -
- Non voglio sapere niente sulle tue cose. Continuo a non capire come faccia una ragazza di diciotto anni a non capire quanto possa essere strano tutto questo. - Commentò lui guardandomi.
- Strano… questo? Sono una ragazza invisibile che da otto anni vaga sulla terra e tu pensi che sia strano il fatto che voglia dormire in un letto? – chiesi stupita – a me non importa se ci dormi tu, tua madre, tuo padre o tua sorella in questo letto. Io voglio solo dormire. -
- Sì, lo capisco, ma io avrei dei seri problemi a dormire sapendo di avere una ragazza nel letto -
- Ok ho capito, dormirò per terra. Voi newyorkesi vi fate davvero troppi problemi - borbottai afferrando le coperte ed il cuscino che aveva ancora in mano. Mi stesi a terra e mi coprii fino alla testa, felice di avere una coperta. Di solito ero costretta a dormire sui divani o peggio ancora, a terra, senza nulla con cui coprirmi perché non potevo spostare nulla. Qualche volta ero fortunata e trovavo case con delle stanze per gli ospiti, quindi potevo poggiarmi su un letto, ma sempre senza una coperta.
- Tzè, che ingrata, ti lascio persino dormire in camera mia, e non ho sentito un grazie da quando sei qui -  commentò lui sedendosi sul letto – ma non ti metti un pigiama? -
- Credi davvero che io mi sia portata una valigia dietro? - domandai scettica.
- Mi stai dicendo che hai addosso quei vestiti da una vita? - chiese quasi schifato.
- Di certo non ho un pigiama. È già tanto se trovo un posto per dormire, figurarsi per cambiarmi i vestiti - borbottai mentre lui si alzava dal letto, sbuffando e aprendo un cassetto dell’armadio. Mi lanciò una maglia e un pantalone in cui, benchè fossero grossi per me, sarei stata molto più comoda. Afferrai i lembi della mia maglia e la tirai su per sfilarmela.
- EHI!! - mi spaventai a quell’urlo, e lo guardai mentre lui si girava dall’altra parte velocemente.
- Che c’è? Mi hai spaventato! - mi lamentai sfilando la maglia e mettendo la sua 
- Che c’è ?! Ti sembra normale spogliarti davanti a me!? - chiese lui continuando a non guardarmi. Sbuffai sonoramente, alzandomi per sfilare i jeans ed infilare la sua tuta.
- Qual è il tuo problema? Non hai mai visto una ragazza in costume? - chiesi sarcastica.
- E questo cosa c’entra? Tu sei in intimo! -
- Quante storie. Puoi anche girarti, sono vestita - dissi alzandomi e afferrandolo per una spalla per voltarlo verso di me. Lui mi osservò qualche secondo, e poi sospirò.
- Sai qual è la cosa divertente? Che ci sono parecchie ragazze che per sedurmi si spogliano davanti a me, ma il tuo modo ingenuo di farlo mi fa sentire un depravato! - disse spostandomi per spegnere la luce e buttarsi sul letto.
- Sei un depravato? - chiesi stendendomi sul letto che mi aveva preparato affianco al suo.
- No, di solito sono le altre che mi saltano addosso - borbottò con la testa sepolta sotto il cuscino.
- Ah, sei il classico tipo a cui cadono mille ragazze ai piedi e che spesso e volentieri le raccoglie - dissi annuendo, e osservandolo mentre riemergeva dal cuscino.
- Non è vero, io sono fedele con la mia donna. Quando però sono libero penso di avere il diritto di divertirmi no? -
- Sei libero di fare quello che vuoi. A me non importa di certo. – dissi sorridendo – Alex- lo chiamai.
- Che c’è? -
- Puoi darmi la mano? - chiesi speranzosa. Lui mi osservò in silenzio per qualche secondo che sembrò infinito.
- Senti ragazzina, io non ho tempo per queste cose. Non sei una bambina di due anni, perché dovrei darti la mano? - chiese scocciato.
- Mi è mancato tanto il contatto con le persone. E tu sei l’unica che riesco a toccare. Per favore - lo pregai sperando che accettasse.
- Sei una scocciatura, mi stai facendo passare la voglia di tenerti qui -  sbuffò lui lasciando uscire un braccio dal materasso mentre si girava con la testa dall’altra parte. Afferrai con le mani la sua, soddisfatta, e cominciai ad assaporarne l’ampiezza e soprattutto il calore. Alexander, rispetto a me, era davvero molto caldo, e mi piaceva da matti sentire il suo calore sulla mia pelle. Non sentivo il calore di un altro corpo da anni. Giocai con il palmo della sua mano, tracciando delle linee e dei cerchi con le dita, divertendomi a disegnarci sopra con la fantasia, accarezzando ogni singolo strato di pelle.
- Ti stai divertendo? - sentii mentre la sua mano si chiudeva a pugno.
- Lo sai che sei davvero caldo? – chiesi mettendomi in una posizione più comoda, senza staccare la mano dalla sua – davvero tanto caldo -
- E tu sei davvero strana. Davvero tanto strana - disse lui ritraendo la mano. Sbuffai. Non ero del tutto convinta di stare simpatica ad Alexander, ma in tutti i casi non lo avrei allontanato da me, neanche se mi avesse gridato contro. Alla fine l’unico che ci avrebbe rimesso sarebbe stato lui, che lo avrebbero preso per un pazzo e sbattuto in un manicomio, dove l’unica sua amica sarei stata io. Girava sempre tutto a mio vantaggio alla fine. Anche se gli avevo detto che poi me ne sarei andata, non avevo nessuna intenzione di farlo. Non sarei più rimasta da sola con me stessa. Mai più.


Angolo di Feilin.
Buonasera :3 che dire, è un aborto che è uscito così XD a caso. Non durerà molto, dovrei finirlo in fretta, quindi godetevelo e lasciatemi un commentino *^* un bacio a tutti!

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Capitolo 2
*** Conforto ***


11 Novembre 2013
 
Mi svegliai con la sveglia che Alexander aveva sul comodino. Erano le sette di mattina, e probabilmente erano otto anni che non mi svegliavo più a quell’orario. Ero decisa ad ignorare la sveglia, aspettando che Alex la spegnesse per andarsene a scuola, ma vedendo che non accadeva nulla, e che la sveglia continuava a strillare impazzita, decisi di alzarmi.
-Alex… svegliati… - mormorai ancora insonnolita. Lo guardai girarsi dall’altra parte, infastidito.
-Ehi! Almeno spegni la sveglia no? - dissi colpendolo su una spalla.
-Non scocciarmi - borbottò lui. Sbuffai e gli tirai via le coperte di dosso nella speranza che si alzasse – Ehi, ti ho detto di non scocciarmi! -
-Alexander con chi stai parlando? - chiese la sorella entrando nella stanza e guardando il fratello, ignorando che proprio davanti a lei ci fossi io. Alexander rimase in silenzio, come paralizzato dal fatto che fosse entrata. Come se pensasse che ci avesse scoperti.
-Non può vedermi, stai tranquillo - dissi sorridendo.
-Ce l’avevo con la sveglia - rispose alla sorella dopo avermi lanciato un breve sguardo. Lei alzò un sopracciglio perplessa, dando una botta alla sveglia per spegnerla.
-Vestiti, che dobbiamo andare a scuola. - commentò richiudendo la porta. Lo sentii sospirare, buttando di nuovo la testa sul cuscino.
-Credo che impazzirò… - lo sentii mormorare, per poi puntare gli occhi su di me – Tu, evita di parlarmi quando c’è altra gente o di farmi gridare - mormorò  alzandosi e sfregandosi gli occhi, ancora insonnolito.
-Non sarebbe successo se ti fossi degnato di alzarti. - borbottai mettendomi nuovamente a terra per tornare a dormire.
-Rimetti a posto quando ti svegli, e non creare danni, capito? Tornerò per l’ora di pranzo- mormorò sbadigliando e aprendo l’armadio per i vestiti. Annuii distrattamente sprofondando nuovamente nel sonno.
Quando mi risvegliai la casa era nel silenzio più totale. Erano le nove, e una luce fastidiosa entrava dalla finestra. Decisi di alzarmi, piegando la coperta e rimettendola nell’armadio con il cuscino, per poi rifare il letto ad Alexander che lo aveva lasciato disfatto. Mi lavai con calma e andai a fare colazione, bevendo poco latte e mangiando qualche biscotto. Non potevo mangiare molto poiché il cibo non doveva sparire senza motivo.
Vagai per la casa, guardando le altre stanze e osservando le fotografie appese qui e lì per le pareti delle stanze. Sembrava una famiglia felice, in ogni foto tutti erano sorridenti e spensierati. Era un po’ come la mia, anche io avevo un fratello piccolo e una famiglia felice. Il mio voler andare via di casa non è stato dovuto al fatto che volevo viaggiare, ma per stare lontano dai miei familiare. Ogni giorno avevo visto lo sguardo triste di mia madre, che non si era mai ripresa completamente, e lo sguardo vuoto di papà, che cercava di non mostrare le sue emozioni davanti a tutti. Quegli sguardi mi intristivano, e il fatto che non potessi toccarli o parlargli mi uccideva. Così ero scappata, scappata dalla mia famiglia, dal mio paese, da tutto. Avevo imparato a cavarmela da sola, a procurarmi del cibo e un tetto sulla testa per sopravvivere, nella speranza che un giorno sarebbe finito tutto.
Verso l’ora di pranzo ero seduta su un gradino della scala che si trovava davanti alla porta d’ingresso, in attesa che il mio nuovo amico tornasse.
Quando arrivò, gettò lo zaino a terra e si diresse verso la cucina, pronto a divorare qualcosa. Lo seguii e mi sedetti su una sedia a tavola.
-Com’è andata a scuola? - chiesi, non perché m’importasse, ma perché volevo parlare.
-Uno schifo, matematica ha annunciato un imminente verifica ed io penso che morirò- brontolò lui prendendo della pasta e mettendo a bollire dell’acqua calda.
-Non sei bravo in matematica? - chiesi stupita.
-Già, non capisco perché ti stupisci tanto - disse mettendosi a braccia conserte mentre aspettava che l’acqua finisse di bollire.
- Di solito i ragazzi sono sempre bravi nelle materie in cui le ragazze scarseggiano. Specialmente gli americani - commentai.
-Non siamo degli alieni, ci impegniamo solo in quello che vogliamo fare, ma non siamo bravi in tutto. Io per esempio suono il pianoforte e la chitarra, eppure faccio schifo  in matematica. -
Annuii, capendo. Infondo eravamo tutti umani, l’unica cosa che ci differiva era l’aspetto e la lingua. Neanche più di tanto alla fine perché tutti potevano imparare lingue nuove.
Restai in silenzio, guardando Alexander mangiare, aspettando che facesse qualsiasi cosa. Non volevo stressarlo, infondo ero ancora in fase di prova, quindi avrei aperto bocca solo se mi avesse interpellato lui, o se ne avessi avuto bisogno.
 
5 Dicembre 2013

-Feffe, vieni un attimo qui - mi chiamò Alexander dalla sua stanza. Era ormai quasi un mese che abitavo in casa sua, e le cose erano andate bene, nessuno si era accorto del fatto che Alexander parlasse con me perché aveva avuto la brillante idea di mettere un auricolare all’orecchio, facendo quindi finta di parlare al telefono. Ma comunque tendeva a parlare ad alta voce con me solo quando non c’era nessuno, altrimenti mormorava a bassa voce. Continuavo a dormire per terra accanto al suo letto, e a mangiare solo cose che mi portava lui quando la famiglia era riunita a casa, ma per il resto spesso ci divertivamo a giocare alla play station insieme, premurandoci di chiudere la porta a chiave. La neve ormai aveva cominciato a scendere, imbiancando ogni cosa.
-Che c’è? - chiesi entrando in camera sua. Era seduto sullo sgabello davanti al pianoforte e sembrava stesse scrivendo qualcosa su un foglio.
-Senti se ti piace quello che ho composto - disse con un sorriso, cominciando a pigiare i tasti neri e bianchi del piano, creando un suono dolce che volteggiava per tutta la stanza. Era una musica allegra e tanto dolce che m’infondeva felicità.
-Bello - commentai sorridendo quando smise.
-E’ solo un pezzetto, ci sto lavorando -
-Mi piace molto, bravo Alex - dissi sincera. Avevo scoperto che Alexander era molto bravo con gli strumenti musicali, in special modo con la chitarra ed il pianoforte, e spesso e volentieri componeva delle musiche dal nulla. Mi piaceva ascoltarlo suonare, mi metteva di buon umore e m’infondeva pace e tranquillità.
-Oggi devo incontrarmi con la mia ragazza. - commentò lui alzandosi per aprire l’armadio e prendere un maglione nero. Lui e la sua ragazza non erano in un periodo molto felice. A detta di lei, lui era cambiato, e pensava la stesse tradendo con qualcuno. Lui cercava in tutti i modi di farle capire che non era vero. Alexander ci teneva molto a lei.
-Mh, cercate di non litigare anche questa volta. Torni sempre di cattivo umore - mormorai guardandolo cambiarsi.
-Dovrei essere contento? -
-Lo vedi? Già ti stai innervosendo - borbottai imbronciandomi. Lo sentii sospirare, restando qualche secondo sovrappensiero.
-Tornerò per cena. Mia sorella è in casa, quindi cerca di non creare danni. - concluse lui. Annuii guardandolo mentre si specchiava e si dava una sistemata ai capelli.
-Come sto? - chiese voltandosi verso di me.
-Sei bellissimo - commentai sorridendo.
-Grazie - esclamò sorpreso ma divertito. Il rapporto che avevamo non era molto chiaro. In un certo senso eravamo come due migliori amici, parlavamo quasi di tutto, e Alexander aveva imparato a fidarsi un minimo di me e spesso mi raccontava cose anche nel privato, sapendo che non avrei avuto la possibilità di dirlo a nessun altro. Ero contenta che la sua fiducia nei miei confronti fosse cresciuta, e per quanto mi riguardava mi ero molto affezionata a lui. Era divertente, e molto dolce e sensibile quando voleva. Spesso suonava per me e si premurava di chiedermi cosa volessi mangiare, e mi aveva persino comprato dei vestiti nuovi.
-Io vado - disse prendendo il cellulare.
-Divertiti - Lui rimase in silenzio qualche secondo, guardandomi.
- Mh... mi sento in colpa a lasciarti sempre a casa. - mormorò accarezzandosi il collo.
-Oh… non preoccuparti per me, io sto bene qui - lo rassicurai sorridendo.
-Non ti va di uscire? Farti una passeggiata? Puoi uscire se vuoi, non sei di certo una prigioniera -
-Se uscissi ci sarebbero problemi per rientrare, perché dovrei aspettare che qualcuno mi apra la porta. Preferisco non rischiare. -
-Mia madre torna alle sei, se per quell’ora sei davanti casa puoi entrare. Al massimo aspetti che torno io. Dai, non posso vederti sempre rinchiusa in casa - disse avvicinandosi e cominciando a spingermi fuori dalla sua camera. Sospirai scendendo le scale e uscendo con lui di casa.
-Vuoi un passaggio? - chiese lui.
-Non saprei nemmeno dove andare a dire il vero - mormorai pensandoci su.
-Vicino casa di Krystal c’è un centro commerciale, vuoi che ti porti lì? - chiese lui chiudendosi la giacca. Annuii e lui mi passò un casco. Non usava spesso la moto, la usava solo per andare in posti più distanti, o quando era in ritardo. Montai dietro di lui, non sapendo bene cosa fare non essendo mai salita su una moto.
-Aggrappati a me, e se hai paura chiudi gli occhi - sorrise lui prendendomi le mani e circondandosi la vita.
-Per chi mi hai preso, ricorda che ho preso un aereo da sola  - commentai mettendomi più comoda.
-Bene allora partiamo - disse mettendo in moto e partendo senza troppi problemi, facendomi aggrappare a lui, presa dallo spavento.
Maledizione, è pericoloso! Se casco mi faccio male!
-Vai piano Alex - dissi sentendo le orecchie tappate dal rumore del vento.
-Non ti piace il brivido della velocità? - commentò divertito.
-E’ il brivido della morte che non mi piace! - urlai, e lo sentii ridere mentre accelerava.
Arrivammo sani e salvi poco dopo davanti alla villa della ragazza di Alexander, che avevo visto solo sulla foto che aveva nel portafoglio.
-Bene, io ti lascio qui. Mi raccomando non perderti e non fare tardi -
-Si, mamma - dissi divertita. Lui sorrise e mi fece un cenno con la mano mentre citofonava. Mi allontanai dalla casa ed entrai nel centro commerciale che si trovava poco lontano da lì.
 
Verso le sei tornai davanti casa ed aspettai il rientro della mamma di Alexander, che non tardò ad arrivare. Una volta dentro mi andai a sedere sulle scale davanti la porta ed aspettai il suo ritorno, come facevo sempre.
Passarono le ore, e con il rientro del padre, cominciai a chiedermi che fine avesse fatto.
-Angie – disse la mamma riferendosi alla sorella di Alex – tuo fratello per che ora ha detto che rientrava? - chiese guardando l’orologio, mentre preparava la cena.
-Aveva detto che per cena sarebbe tornato -
-Puoi chiamarlo un attimo? - disse lei. Mi alzai andando vicino alla sorella per ascoltare la conversazione.
-Non risponde - annunciò lei provando a richiamare.
-Che fine ha fatto quel ragazzo, la cena tra un po’ sarà pronta - Mormorò la mamma asciugandosi le mani sul grembiule.
-Non preoccupati, quando ha fame tornerà - commentò il padre. M’innervosii, poteva essergli capitato qualsiasi cosa, eppure a nessuno sembrava importare. Aprii la porta e uscii di casa, facendo spaventare per un momento tutti, sorpresi che la porta si fosse aperta e richiusa da sola.
Andai fino alla casa di Krystal, nella speranza che fosse lì.
-Alexander, vattene! - sentii delle urla da parte della ragazza. Erano proprio fuori al cancello, così mi nascosi dietro un angolo per ascoltare silenziosamente.
-Va bene me ne vado! Ma non ti azzardare a venire a piangere da me dopo! - ringhiò Alexander girando i tacchi e camminando lontano da lei.
-Cerca tu piuttosto di non venire a piangere da me! - strillò lei facendo un ghigno malefico che mi fece arrabbiare.
Non ho capito cosa sia successo, ma forse è meglio se si sono lasciati. Non mi sembra per  niente una brava persona.
Devo seguire Alex…
Lanciai un ultimo sguardo a Krystal che si richiudeva la porta alle spalle. Alexander prese la moto e sfrecciò via. Sospirai, sapendo che non sarebbe di certo tornato a casa.
Dove starà andando? Non conosco nemmeno i luoghi che frequenta…
Sbuffai, tornando a casa. Era inutile che mi perdessi non sapendo nemmeno dove cercarlo. Lo avrei aspettato a casa.
Ma prima…
Scavalcai il muro ed andai a bussare alla porta per farmi entrare. Krystal aprì la porta pensando probabilmente che fosse Alexander, e in quella frazione di secondo le passai attraverso per entrare liberamente in casa sua. Aveva dei capelli biondi e così lisci da sembrare quasi finti, al contrario dei miei che erano scuri e ricci. Era abbastanza alta, con un fisico davvero invidiabile. Aspettai che rientrasse in casa con una faccia perplessa per cominciare. Accesi il televisore, guardandola bloccarsi di colpo.
-Ma che diavolo… - mormorò andando vicino al telecomando per spegnere la televisione, che riaccesi prontamente. Si avventò sul televisore per spegnerlo con il pulsante apposito.
-Dovrò dire a papà che il televisore è impazzito. - commentò lei andando in cucina. La seguii e la guardai aprire il frigo per prendere qualcosa da bere, e in quel momento accesi il fuoco dei fornelli, cosa che la fece quasi strozzare. Spense i fornelli cominciando a guardarsi intorno circospetta. Riaccesi i fornelli, aumentando la fiamma del fuoco, e buttando tutte le padelle per aria, sentendola urlare per lo spavento. Corsi a chiudere di scatto le tende e la seguii fino in camera sua, dove si barricò nel panico. Cominciai ad accendere e spegnere la luce, notando poco dopo una lavagnetta. Lasciai la luce accesa, ascoltandola piangere, e mi avvicinai alla lavagna, cancellando quello che c’era scritto sopra e cominciando a scrivere.
-Che cosa sei!? Che cosa vuoi da me?! - strillò lei osservando la lavagna.
-Stronza - dissi proprio quando lo finii di scrivere. Soddisfatta di quello che avevo fatto, aprii di scatto la porta, spaventandola, ed uscii pronta a tornare a casa.
 
In casa White regnava il panico più totale. Tutti cercavano disperatamente Alexander che si ostinava a non rispondere al telefono o a tornare a casa. Erano tutti usciti per cercarlo ed ero rimasta a casa da sola, nella speranza che tornasse da solo. Ogni tanto tornava a casa la sorella per vedere se fosse tornato, ma ovviamente non c’era nessuno a parte me, così usciva nuovamente per cercarlo.
Verso le undici di sera sentii il rumore della porta che si apriva, così scesi lentamente i primi gradini e mi accucciai vicino alla ringhiera, in cima alle scale, osservandolo mentre si toglieva la giacca e rimetteva apposto le chiavi della moto, passandosi una mano fra i capelli per rimetterli in ordine. Era tornato.
Strisciai di nuovo al piano di sopra, prendendo il telefono e facendo uno squillo alla sorella, riattaccando subito. Almeno non si sarebbero più preoccupati. Tornai all’appostamento di prima, osservando la sua espressione neutra. Aveva gli occhi gonfi e leggermente rossi, segno che probabilmente aveva pianto da solo da qualche parte. Mi rattristai guardandolo.
-Alex… - mormorai, e lo vidi girarsi verso di me. Tirò indietro le labbra, cercando di sorridere.
-Non ti avevo visto… - biascicò lui sospirando. Poco dopo vidi la porta spalancarsi e tutta la famiglia rientrare.
- ALEXANDER WHITE, NON PROVARE MAI PIU’ A FARE UNA COSA DEL GENERE! - urlò la mamma furente.
-Scusa mamma. - mormorò lui.
-Ci hai fatto girare tutta New York per trovarti! - disse la sorella puntandogli il dito contro.
-Ritieniti in castigo, almeno finché non capisci come si utilizza un cellulare - disse il padre con un tono severo.
-Mi spiace avervi fatto preoccupare. Mi assumerò le mie responsabilità. Adesso vorrei andare a dormire, buonanotte - mormorò lui salendo le scale sotto il silenzio dei familiari che lo guardavano straniti. Guardai Alexander, che mi fece un lieve cenno con la testa, dandomi il permesso di entrare con lui in camera. Una volta in camera sua, mi andai a sedere sul suo letto, mentre lui si toglieva il maglione, pronto a mettersi il pigiama. Alexander era ben piazzato in fatto di muscoli. Era il primo corpo maschile che vedevo, togliendo i bambini al mare e mio fratello, che però era molto più piccolo di me. Lo vedevo spesso cambiarsi, e lui dopo un imbarazzo iniziale, aveva capito che non mi causava problemi vederlo in mutande, quindi non si sprecava più di andarsi a cambiare in bagno.
Osservai la sua schiena bronzea che si contraeva mentre infilava il pezzo di sopra del pigiama, e poi spostai lo sguardo, sentendomi forse troppo invadente.
-Non hai mangiato vero? Mi spiace aver fatto così tardi. Tu ti sei divertita in giro? - chiese guardandomi. Lo guardai negli occhi, non proferendo parola. Sembrava non volesse parlare di quello che era successo, sembrava volesse far finta di niente, come se avesse solo fatto ritardo. Però si vedeva lontano un miglio che non stava bene, probabilmente in quel momento avrebbe voluto restarsene da solo nella sua camera ad ascoltare musica a palla o a fare qualsiasi altra cosa che non implicasse il contatto verbale con un'altra persona. Invece doveva fare la bella faccia perché c’ero io.
-Alex – - mormorai – dove sei stato? -
-Ho portato Krystal un po’ in giro, e abbiamo fatto tardi perché ci siamo fermati a mangiare in locale -
Bugiardo.
-Lo so, non ho risposto al telefono, è che avevo messo il silenzioso e non ci ho davvero pensato ad avvertite - continuò lui.
Non mentire.
-Prometto di non farlo più ok? Possiamo dimenticare questa storia? -
Puoi davvero dimenticare questa storia?
Lo vidi voltarsi dall’altra parte per andare a chiudere la finestra, e non resistetti all’impulso irrefrenabile di abbracciarlo. Mi sentivo così male, non potevo far finta di nulla come cercava di fare lui.
Lo sentii irrigidirsi per un secondo, ma non mi staccò, bensì rimase immobile, appoggiando poco dopo la sua mano sulle mie che erano intrecciate sulla sua pancia. Appoggiai la fronte sulla sua schiena, sentendo il suo respiro farsi irregolare, e immaginai delle lacrime silenziose scendere sulle sue guance. Non volevo per forza consolarlo a parole, volevo solo che non si tenesse tutto dentro a causa della mia presenza.
 
Angolo di Feilin
Buondì :D Che dite? piaciuto il capitolo? come pensate che proseguirà la storia? u.u dai dai fatemi sentire cosa ne pensate eh! che magari potrei anche prendere spunto ( oppure no ahaha). Grazie a tutti quelli che stanno leggendo ^^ e ringrazio ancora di più chi recensisce, mi fa sempre piacere vedere le recensioni o commentini vari. Or Bene, per ora vi lascio, e al prossimo capitolo u.u bacii!

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Capitolo 3
*** Regali ***


24 Dicembre 2013

- Alexander!!! Scendi che fra poco scartiamo i regali!! -  urlò la mamma di Alex dal piano di sotto. Erano passati esattamente diciannove giorni da quando Krystal lo aveva lasciato, e ormai si poteva dire che Alexander aveva passato il momento critico della separazione. Non aveva fatto domande sul come sapessi della loro lite, aveva solo deciso di usarmi come rifugio sicuro dove potersi rintanarsi nel caso in cui si fosse sentito triste. Qualche volta diceva che era felice che ci fossi, che la mia presenza lo confortava, altre volte invece voleva che uscissi e che lo lasciassi in pace.
- Vieni – disse guardandomi e sorridendo – non vorrai passare il Natale chiusa in camera mia vero? -
- Non festeggio il Natale da un bel po’ di tempo Alex. Lascia perdere, vai a festeggiarlo tranquillamente con i tuoi, io starò qui - dissi sorridendo di rimando.
- Appunto perché non lo festeggi da un po’, vieni con me, giusto per sentirti nello spirito natalizio – insistette lui, ma io dissentii con la testa – Dai! - esclamò lui prendendomi per mano e trascinandomi fino alle scale, dove mi mise davanti a lui, evitandomi il passaggio per tornare indietro. Sospirai, e scesi le scale guardando nuovamente tutti gli addobbi natalizi che c’erano in tutta casa. La ringhiera era piena di addobbi, proprio come il camino e il tavolino in salotto. L’alberò si trovava in un angolo della stanza con sotto alcuni regali.
- Dai, manca poco a mezzanotte, mettiamoci tutti seduti! - disse Angie catapultandosi sul divano. Sorrisi, guardando Alexander che mi incitò a continuare a scendere le scale. Mi andai a sedere in un angolino e Alex venne a sedersi proprio accanto a me, aspettando che arrivasse anche il padre e la madre. Una volta che fu arrivata la mezzanotte, ci fu lo scambio dei regali. Angie e Alexander avevano messo i soldi da parte per regalare ai loro genitori un viaggio per due ad una sorgente termale per tre giorni, e ne furono davvero entusiasti.
- Vedete di usarli! Non ho lavorato sodo per niente - commentò lei puntandogli il dito contro. Li sentii ridere e ringraziarono, dando il loro regalo di Natale, ovvero il nuovo cellulare a cui agognava tanto Angie e una chitarra nuova per Alexander.
- Ma siete matti? Costa troppo - esclamò lui imbracciando la sua nuova chitarra.
- Esatto, proprio perché costa troppo vedi di trattarla con cura e di fartela durare per i prossimi trent’anni - commentò il padre facendo ridere tutti, compresa me.
- Dai, fratellino, facci sentire qualcosa! - disse Angie precipitandosi nell’unico posto vuoto accanto a Alex, ovvero dove ero seduta io. Mi venne letteralmente addosso, ma ovviamente non se ne accorse.
- Attenta! - esclamò Alexander rimproverandola, lanciandomi uno sguardo mentre mi alzavo, staccandomi da lei.
- Tranquillo Alex, sto bene, non mi ha fatto niente. L’unico che può toccarmi sei tu - dissi facendogli vedere che stessi una favola.
- Attenta a cosa? Non ti ho nemmeno sfiorato. Alex è da un po’ che volevo chiedertelo, ma ti senti bene? - chiese lei guardandolo confusa.
- Che vorresti dire? Certo che sto bene -
- Ti sento spesso parlare da solo, e porti sempre del cibo  e dell’acqua in camera tua anche se hai appena finito di pranzare o cenare - lo accusò lei – ora, io non voglio intromettermi nella tua vita, ma non posso fare a meno di pensare che tu sia impazzito -
Ci fu un momento di silenzio, nella quale i miei occhi incontrarono i suoi in uno scambio di pensieri silenziosi.
- Nella mia camera c’è una ragazza di diciotto anni che solo io riesco a vedere. Per sopravvivere ha bisogno di cibo e acqua, quindi io gliene procuro quel quanto basta tutti i giorni, e spesso passo le giornate a chiacchierare con lei o a giocare alla playstation - confessò Alex.
- Stai scherzando spero -
- Certo che sto scherzando! Ma ti pare possibile una cosa del genere? Ora smettiamola con queste assurdità e fatemi andare a prendere il tuo regalo - concluse lui alzandosi e andando fuori.
- Angie, ma sei impazzita? Ha ragione tuo fratello, perché dici assurdità? - chiese la mamma rimproverandola.
- Ma è vero! -
- Finiamola qui, è natale, non voglio liti in famiglia a natale - concluse il padre giusto in tempo per guardare Alexander rientrare in casa con panno in mano.
- Beh? Mi hai regalato uno straccio? - chiese lei guardandolo schifata. Lui sbuffò, mettendo quell’involucro di lana a terra. Sembrava muoversi, e in poco tempo ne uscì un cucciolo di cane, piccolo piccolo.
- Oh santo cielo - mormorò la mamma di Alex portandosi una mano sul cuore.
- Un cane? Ma Alex, qui non c’è mai nessuno, morirà di solitudine - disse Angie.
- Non preoccuparti, non morirà di solitudine - sorrise lui lanciandomi uno sguardo – l’ho preso perchè così se qualcuno di noi sta a casa non si sentirà solo -
Forse… l’hai comprato per me?
- E quanto l’avresti pagato? - chiese il padre non scomponendosi più di tanto.
- Non l’ho pagato. Una signora ha trovato dei cuccioli abbandonati in un cassonetto, e cercava disperatamente qualcuno a cui darli. E’ una femmina, e da quello che ha detto il veterinario è un barboncino, non crescerà molto, non creerà problemi. - disse lui sorridendo e prendendo il cucciolo che entrava nella sua mano.
- Va bene, vediamo se è fattibile come cosa, ma ti avverto, se me ne dovrò occupare solo io, lo diamo via prima di subito - disse la mamma dando una carezza alla piccola testina nera del cucciolo. Aveva un musino molto carino e il corpo completamente nero.
- Serve un nome però - commentò il padre guardando la cucciola.
- Meggie, chiamiamola Meggie - disse la sorella di Alex.
Dopo gli auguri di natale, decisero di andare tutti a dormire, così seguii Alex in camera, che portava con se la piccola Meggie. A quanto pare avrebbe dormito in camera con noi per quella notte.
- Ti piace? - chiese Alex facendomi vedere il cucciolo.
- Sì molto. È davvero carina -
- L’ho presa per te - sorrise lui – Mi spiace lasciarti a casa perennemente da sola quando sto a scuola o quando devo uscire. Almeno vi terrete compagnia a vicenda -
- Ma Alex, non sono sicura che sia la scelta giusta questa… lo apprezzo davvero tanto, ma hai mai pensato che forse il cucciolo potrebbe non vedermi nè sentirmi come tutti gli altri? -
- Dicono che gli animali vedano cose che noi umani non possiamo vedere, quindi ho pensato che forse Meggie sarebbe riuscita a vederti - commentò porgendomi il cane. Non ero convinta della sua teoria, ma infondo non avevo mai provato ad avvicinarmi ad un animale. Provai a far schioccare la lingua, osservando i movimenti del cucciolo, per vedere se si girasse o meno, ma senza successo.
- Adesso è tardi, sta letteralmente dormendo. Riproviamo domani, ora andiamo a dormire - disse lui prendendomi le coperte e il cuscino, aggiungendo a terra anche l’involucro di lana di Meggie.
- Ah, Feffe – mi chiamò lui – buon Natale - disse sorridendo.
- Buon Natale Alex - ricambiai il sorriso.
 
8 Febbraio 2014

- Meggie! Vieni qui! Dove ti sei cacciata? - la chiamai cercandola per tutta casa. Erano passati due mesi da quando Meggie faceva parte della famiglia, ed era cresciuta un po’ da quel giorno. Alla fine Alex ci aveva visto giusto, la piccola Meggie poteva vedermi e sentirmi, e ce ne accorgemmo proprio il giorno dopo il suo arrivo quando la ritrovai raggomitolata vicino a me per ripararsi dal freddo. Era incredibile come potesse vedermi e sentirmi, proprio come Alexander. Mi ero davvero affezionata a lei, e anche lei sembrava apprezzare molto la mia compagnia, dopotutto passavamo spesso il tempo insieme. Le avevo insegnato a mettersi seduta e a dare la zampa, e mi seguiva praticamente ovunque. Ero davvero felice che Alexander me l’avesse regalata.
- Eccoti qui, che stai facendo? Quelle sono le pantofole di Alex? – commentai vedendole rosicchiare le ciabatte del suo padrone – lo sai che non la passerai liscia? - sorrisi prendendola in braccio, staccandola dalle pantofole e portandola in salotto dove agguantò la pallina per giocare.
- Sono tornato! - annunciò Alexander rientrando in casa. Meggie cominciò a correre per la stanza scodinzolando, felice del suo ritorno.
- Ciao!! – urlò lui mollando tutto per terra e buttandosi a giocare con lei – si si mi sei mancata tantissimo anche tu - dissi lui accarezzandola con foga mentre lei lo leccava. Sorrisi divertita, aspettando il momento in cui Alex avrebbe visto le pantofole, che non tardò ad arrivare.
- Chi ha fatto questi buchi?? Meggie!! – esclamò Alexander guardando la piccola che si andava a nascondere sotto al divano con la coda tra le gambe – vieni qui! Subito! -
- Dai Alex, non l’ha fatto a posta, stava solo giocando - la scusai avvicinandomi a lui con un sorriso divertito.
- Di quattro paia di ciabatte perché sempre le mie deve rosicchiare? Non so quante ne ho buttate per colpa sua! -
- Hai preso tu Meggie, ora assumiti le tue responsabilità - commentai.
- Io l’ho presa per te! -
- Ma io sono quella invisibile, ricordi? -
- Certo, usiamo sempre la stessa scusa - borbottò lui andando vicino al divano, chinandosi e infilandoci un bracco sotto per poi tirare fuori Meggie per la collottola. La portò fino a me lasciandomela in braccio.
- Più tardi penso che andrò a provare con gli altri - commentò lui aprendo il frigo per guardarci dentro. Da un mese a quella parte Alexander aveva formato con qualche suo amico una band con cui suonava. Spesso si esibivano la sera nei locali per racimolare qualche soldo, quindi creava spesso musiche nuove da poter suonare ogni volta. Non era un genere ben definito, passavano dal pop alle ballad, agli assoli di piano. O almeno era quello che mi raccontava lui, non li avevo mai visti o sentiti suonare, però potevo assistere alla creazione di alcune canzoni che faceva Alexander al pianoforte o alla chitarra.
- Vuoi venire? Ti sgranchisci un po’ le gambe, e poi volevo sapere cosa ne pensi. Ti presento anche i miei amici così - commentò lui sorridendo, prendendo della frutta.
- Presentarmeli? - chiesi non convinta.
- Nei limiti della nostra situazione ovviamente. Ti va? -
- Certo, mi farebbe molto piacere -
 
Verso il pomeriggio camminai con Alex fino alla casa di un suo amico chiamato Kurt, dicendo che non essendoci i genitori a casa, sarebbero stati liberi di suonare quanto volevano. La casa sembrava più grande di quella di Alexander, con un piccolo giardino che ospitava quello che sembrava uno Yorkshire piccolino.
- Ciao Coco - salutò Alexander quello scricciolo di cane che abbaiava annunciando il nostro arrivo al padrone. Kurt era più alto di Alexander, con dei tratti più soffici ma felini. Aveva un fisico asciutto, al contrario dell’altro, e sembrava prendersi molta cura del suo corpo. Era davvero bello.
- Ciao Alex, vieni, sei arrivato in orario oggi - scherzò l’altro aprendo il cancello e facendolo entrare. Una volta entrati in casa la osservai. Era molto carina, arredata con un certo gusto. Arrivammo in garage, dove c’erano gli altri tre amici di Alexander. Avevano tutti i capelli dalle tonalità diverse, tendenti però allo scuro. Kurt aveva i capelli neri come la pece, che faceva molto contrasto con la sua pelle bianca come il latte, e lo stesso era per un altro componente del gruppo, che poco dopo capii si trattasse di Tyler. Da quanto avevo capito da Alexander, Tyler era il più bravo a ballare, e nel gruppo era quello che suonava il pianoforte. Anche lui aveva lineamenti molto morbidi, con delle guance piene e un aria molto simpatica e da bambino, con capelli castano scuro e un fisico asciutto, ma tendente ai muscoli che esistevano grazie alla danza che praticava, rispetto a Kurt. Un altro componente, quello che sembrava più alto, era probabilmente Michael, il rapper insieme a Kurt, che aveva la voce più bassa del gruppo. I suoi occhi erano i più grandi fra i cinque e i capelli più corti e scuri, anche lui dotato di muscoli come Alex.
L’ultimo era Jeremy. Lui era uno dei cantanti principali insieme a Alexander. Aveva i capelli un po’ più chiari degli altri, e a differenza di Michael, aveva gli occhi più piccoli. Nell’insieme erano tutti molto belli e affascinanti.
- Bene, cominciamo? - chiese Jeremy guardando gli altri  e prendendo il microfono.
- Che cantiamo? - domandò Tyler posizionandosi alla tastiera con un sorriso stampato in faccia.
- Possiamo fare la mia ultima creazione? – chiese Alexander sorridendo mentre si sedeva con la chitarra in mano – sapete ragazzi, questa canzone è dedicata ad una persona che mi ha aiutato molto quando mi sono lasciato con Krystal -
- Ah si? E chi sarebbe la fortunata? - chiese scherzando Jeremy.
- E’ una persona che è piombata nella mia vita dal nulla, è la mia confidente, la mia migliore amica -
- Wow è una cosa seria allora - commentò Michael guardandolo.
Guardai Alexander, sentendomi stranamente in imbarazzo. Senza la consapevolezza che nessuno poteva vedermi, probabilmente sarei voluta sparire.
Ma lui può vedermi, lo sa che ci sono.
L’hai davvero scritta  per me Alex?
- Aaah Alex sei il solito romanticone tenerone - lo canzonò Kurt scompigliandogli i capelli.
- Ehi! – urlò Alex risistemandoseli – Non sono romantico, né tenero, ho solo voluto farle un regalo per la sua pazienza - borbottò lui abbassando la testa.
Stai arrossendo??
- Si ma dovresti cantarla davanti a lei se davvero vuoi farle questo regalo - disse Tyler.
- Prima o poi la sentirà, quindi intanto alleniamoci -
Mi andai a sedere a terra, proprio davanti a loro, curiosa di sentire la canzone. Era molto allegra, e ognuno di loro cantava, mettendo una frase per uno, creando una bellissima canzone che mi scaldò il cuore
Non riesco a smettere di sorridere come un idiota.
- “ I think you are magical, i think you are wonderful. Because of you, my heart is colorful “ - cantò Kurt cominciando insieme a Michael il rap della canzone. Più continuava, più mi piaceva, era così piena di vita che mi sembrava impossibile che fosse dedicata a me. Una volta arrivati alla fine applaudii, sapendo però che solo Alex poteva sentirmi.
 
- Davvero l’hai dedicata a me? - chiesi mentre camminavamo verso casa. Avevano continuato a provare svariate canzoni , una più bella dell’altra, finché con il calare del buio, Alexander aveva salutato tutti per tornare a casa.
Lo vidi voltarsi verso di me e sorridere appena mentre infilava una mano in tasca per prendere l’auricolare e infilarselo nell’orecchio.
- Diciamo che me l’hai ispirata. Mi sei sempre vicina quando sono giù di morale, e colori le mie giornate -
- Grazie- commentai sorridendo lusingata – sai, mi hai fatto passare un bel compleanno- lo vidi fermarsi e guardarmi sorpreso.
- E’ il tuo compleanno?! – chiese sconvolto. Annuii – e quando pensavi di dirmelo?? -
- Non lo festeggio da anni, non lo trovo neanche più importante -
- Stupida. Il giorno in cui si è nati è sempre importante -  commentò lui lanciandomi un breve sorriso. La strada per tornare a casa era insolitamente trafficata e Alexander non poteva permettersi di parlarmi come se fossi lì con lui.
- Grazie comunque - commentai dopo svariati minuti di silenzio. Quando arrivammo a casa sua fu Meggie la prima a venirci incontro tutta contenta.
- Com’è andata? - chiese la mamma di Alex a quest’ultimo.
- Bene. -
- Quando pensi di farmi ascoltare qualche pezzo? - chiese lei offesa dal fatto che il figlio non le avesse ancora fatto neanche ascoltare da lontano le sue creazioni.
- Quando ci sentiremo pronti mamma. E poi lo sai che c’è gente timida nel mio gruppo, non vogliono ancora farsi ascoltare da qualcuno - commentò distrattamente lui mentendo spudoratamente. Alexander non aveva ancora detto ai suoi delle serate nei locali, perché non voleva che cominciassero a stressarlo troppo.
- Si certo, la verità è che sono sicuramente scarsi e sapendolo si vergognano a farsi sentire dagli altri. - commentò Angie scompigliano i capelli ad Alex mentre gli passava accanto per entrare in cucina.
- Yah! Non siamo scarsi! – urlò lui offeso, aggiustandosi i capelli – dici così perché non ci hai mai ascoltati -
- E’ vero Angie, e poi solo considerando che Alexander sappia suonare e cantare già benissimo di suo dovrebbe essere un buon segno, non ti pare?- disse la mamma difendendo suo figlio.
- Se non mi dà mai l’occasione di sentirli nel complesso, come pensa di potermi convincere del fatto che non siano uno scempio? - rispose lei prendendo del succo di frutta dal frigo.
Sorrisi divertita nel sentirli bisticciare, quando mi accorsi che Meggie aveva una pallina in bocca e mi guardava implorandomi di giocare con lei. Le dissi di no, ma lei cominciò ad abbagliarmi contro e fare dei piccoli saltelli nella mia direzione, suscitando l’interesse del resto della famiglia. Sgranai gli occhi, guardando Alexander che non sapeva cosa fare.
- Ma che ha Meggie? Con chi ce là? - chiese Angie guardando la piccola che continuava ad abbagliare a me, o meglio, al vuoto.
- Avrà visto una mosca - commentò Alexander cercando di apparire rilassato e intimandomi con gli occhi di andare altrove. Annuii e scappai su per le scale con Meggie che mi rincorreva credendo stessi giocando.
Dopo cena, Alexander salì in camera, portandomi furtivamente una ciotola di riso al curry con un po’ di pane. Fortunatamente nessuno aveva badato più di tanto a Meggie, e avevano continuato con le loro chiacchiere per tutta la serata.
- Ho qualcosa per te - disse lui improvvisamente non appena ebbi finito di mangiare. Lo guardai perplessa, vedendo poi un muffin con una candelina sulle sue mani. Accese la candelina e cominciò a cantarmi “tanti auguri”. Dal canto mio non sapevo se essere più imbarazzata o felice.
- Alex, non dovevi, davvero -
- Buon compleanno Feffe - disse lui stampandomi un bacio sulla guancia a tradimento, lasciandomi spiazzata.
- G-Grazie… -
Uno dei più bei compleanni di sempre.


Angolo di Feilin
Buonasera :DD allooora, piaciuto il capitolo? spero di si XD .-. non vorrei che questi due diventassero troppo mielosi e diabetici, ditemelo se volete che accenda un pò la situation u_u XD per il resto ho una brutta notizia .-. visto che ho un pò da fare in questo periodo non potrò pubblicare velocemente il prossimo capitolo che sto finendo ( perchè ovviamente è già iniziato u.u spoiler: valentine's day <3) però abbiate fede che appena posso carico tutto eh u.u non abbandonatemi ç_ç per il resto un grazieeee a chi legge e un Super grazie a chi recensisce *^* vi voglio bene. un bacio!!!

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Capitolo 4
*** Fortuna ***


14 Febbraio 2014
 
- No, aspetta, non ho capito. Qui a San Valentino solo le donne danno la cioccolata all’uomo? - chiesi sconcertata dopo aver visto Alexander tornare a casa con una vagonata di cioccolata che comunque non avrebbe mangiato.
- Beh, no. Però diciamo che le ragazze d’oggi sono meno vergognose nell’esprimere i propri sentimenti, e con la consapevolezza del mio essere single, non si sono fatte molti scrupoli a darmi la loro cioccolata. - spiegò lui appoggiando delle scatole molto carine, contenenti chissà quali varietà di dolci. Annuii perplessa. Per quanto mi riguardava, erano i maschi a doversi confessare a san Valentino, non il contrario.
Le donne devono essere corteggiate e non gli uomini. Ma forse sono troppo antica per il ventunesimo secolo.
- Vedo che hai fatto una strage di cuori. Ma penso che non dovresti accettare la cioccolata delle ragazze che non ti interessano - commentai sedendomi a tavola con lui.
- Non me la sento di rifiutare questi piccoli pensieri. D'altronde non ho risposto alla loro muta richiesta, e non lo farò,  questo già lo sanno. Però a loro fa piacere il fatto che accetti i loro regali - disse aprendo un pacchetto e tirando fuori uno degli innumerevoli biscotti a forma di cuore.
- La cosa più divertente è che io non sono un tipo che mangia cioccolata. Mi rovinerebbe la linea e poi preferisco mangiare cose più salutari - continuò lui rimettendo il biscotto dentro la scatola.
- Non mangeresti neppure quello della tua ragazza? - chiesi perplessa.
- Ma io non ce l’ho, quindi non c’è il problema. - rispose alzandosi e stiracchiandosi per bene, per poi andare a coccolare Meggie in salone.
Era incredibile il fatto che Alex non mangiasse mai dolci. Preferiva davvero cose più salutari.
- Tu non hai mai fatto un dolce per un ragazzo vero? - mi chiese improvvisamente, tornando in cucina con la cagnolina in braccio.
- Ehm… no. In realtà non so cucinare praticamente niente, anche perché non ho potuto imparare a farlo. - risposi guardandolo. Lui annuii, pensando a qualcosa.
- Ti va di imparare a farlo? Non ho nulla da fare oggi, ed è sempre utile imparare cose nuove. Ti va? - chiese sorridente.
- Sì, certo - sorrisi entusiasta di poter fare qualcosa di nuovo – dobbiamo andare a fare la spesa però -
- E perché? Abbiamo già tutto. Di cioccolata ne abbiamo in grandi quantità - disse lui indicando le scatole.
- … Ma Alex, non mi sembra carino da fare. Quelle ragazze si sono impegnate tanto per farti quei dolci. Il minimo che dovresti fare è lasciare che li mangi qualcuno, non usarli per fare altri dolci - commentai non convinta.
- Tu pensi troppo cara mia. Ma se proprio ti fa schifo usare quella cioccolata allora ne andremo a comprare altra. Dai, infilati le scarpe e usciamo -
 
Era la prima volta che io e Alexander andavamo a fare la spesa insieme. La città era sempre molto affollata e quel giorno sembrava che tutta New York fosse andata a far compere.
- Dì un po’, com’è sentirsi passare la gente attraverso? - chiese Alex mettendosi l’auricolare all’orecchio, dopo avermi vista investita per la centesima volta da tutte le persone che camminavano.
- Diciamo che è un po’ strano. Cioè, mi fa sempre strano vedere la gente passarmi attraverso, infatti cerco di mantenere un contatto minimo con chi non riesco a toccare. Ma fisicamente non sento nessun tipo di dolore - dissi guardandolo.
- Capisco. – commentò lui mettendo nel carrello del latte – sai, sarei davvero curioso di sapere come mai solo io riesco a vederti. Ormai è passato tanto tempo, ma questa domanda sta cominciando a perseguitarmi -
- Io ho talmente tante domande che mi perseguitano che ormai non ci faccio più caso. Ma immagino che tu sia una persona speciale. - commentai guardandolo con un sorriso.
- Che fai? Ci stai provando con me? - rispose lui con un sorriso malizioso.
- Sei un malpensante. - sbuffai indicandogli il reparto cioccolata.
- Ehi, sono un ragazzo, è il mio dovere pensare male. - sorrise lui, agguantando la cioccolata e mettendola nel carrello.
 
- Allora, qual è il nostro piano d’attacco? - chiese lui guardando tutti gli ingredienti che avevamo in cucina.
- Non lo so, sei tu il cuoco qui - commentai perplessa.
- Va bene, lavati le mani e legati quei ricci mia cara, stiamo per fare un dolce con i controfiocchi - sorrise lui sollevandosi le maniche.
Guardare Alexander in cucina era più interessante di quanto potessi immaginare. Sembrava completamente a suo agio, come se fosse una cosa che faceva da sempre. Si muoveva agilmente, mescolando il cioccolato ormai sciolto.
- Ehi, ti sei imbambolata? Vieni qui e dammi una mano. – disse facendomi imbracciare la scodella con dentro la cioccolata – mescola questo, io vado a cercare uno stampino decente - commentò cominciando a cercare nei cassetti di casa. Era la prima volta che cucinavo, o almeno ci provavo.
Sarebbe bello poter cucinare per le persone a cui si vuole bene. Magari un giorno potrei farlo, se trovassi il modo di tornare normale.
Con il passare del tempo, notammo come non fossi per niente pratica nel destreggiarmi in cucina, e le tre uova spiaccicate a terra, e il pavimento cosparso di zucchero furono una buona testimonianza. Mi stupii del fatto che Alex non si fosse mai arrabbiato, anzi, non aveva fatto altro che scoppiare a ridere per tutto il tempo.
- Bene, abbiamo finito. Ora questo resta in frigo per un po’ - disse infilando il dolce nel frigo. Sorrisi contenta, per poi osservare il campo di guerra che era diventata la cucina.
- Oh. Mio. Dio - sentimmo  proveniente dalla porta d’ingresso. La mamma di Alex era diventata bianca come un lenzuolo.
- Ciao mamma -
- Ciao mamma!? Mi distruggi la cucina e hai anche il coraggio di dire “ ciao mamma”!?- strillò lei posando a terra le buste della spesa.
- Tranquilla la stavo per pulire - sorrise lui divertito.
- Come fa una persona sola a fare tutto questo macello? E poi mi meraviglio di te! In tutte le volte che hai lavorato in cucina non hai mai versato neanche una briciola e adesso guarda! -
Sorrisi sotto i baffi, come se la mamma di Alex potesse sentirmi, e mi scusai con lui per averlo messo nei guai, ma da quello che vedevo, a lui non importava molto.
Lo aiutai a ripulire tutto, e misi anche a posto la spessa, continuando ad ascoltare la mamma che continuava a borbottare dal piano di sopra.
- Mia madre deve essere nel suo periodo, o davvero non si spiega il perché oggi sia così lagnosa - mormorò lui con un sorriso divertito.
 Dopo aver reso la cucina decente, salimmo nella sua camera in attesa che il dolce si freddasse, e ci catapultammo sulla play station per giocare insieme senza che nessuno ci disturbasse.
- No! No, ma dai non è possibile! - si lagnò Alex alla terza sconfitta che gli avevo assestato.
- Ho vinto! Ho vinto, vinto, vinto! - canticchiai contenta e fiera di me stessa.
- Si vabbè,  è stata solo fortuna -
- Tre volte di seguito? La fortuna deve amarmi allora - commentai ridendo.
- Fai poco la simpatica - borbottò lui guardandomi di sottecchi. Continuai a sorridere e a guardarlo solo per il gusto di infastidirlo.
- Ti ho insegnato a giocare troppo bene. Mesi fa non sapevi nemmeno tenere il joystick in mano. Porta rispetto per il tuo maestro - continuò lui mettendomi una mano in testa e scompigliandomi tutti i capelli.
- Ehi! – esclamai fermandolo – non è vero, io ho sempre saputo giocare, solo che dovevo prenderci di più la mano. Non è colpa mia se tu sei scarso - commentai con fare superiore.
- Scarso a me? Ma come osi? Adesso ti faccio vedere io quanto sono scarso - commentò lui cominciando a toccarmi i fianchi per farmi il solletico. In meno di un secondo mi ritrovai a terra senza fiato per le risate.
- Basta! Smettila Alex! – urlai cercando di fermarlo tra una risata e l’altra – ti prego -
- Beh, prima fai la spaccona e adesso mi preghi? - disse lui sorridendo malignamente. Riuscii a contrattaccare, scoprendo che anche lui soffriva il solletico. In poco tempo le cose si ribaltarono, e fu lui quello in difficoltà.
- Ok, basta, chiedo pietà anche io - mormorò sorridendo. Lo guardai sorridendo a mia volta, notando solo in quel momento la nostra vicinanza. Osservai il colore dei suoi occhi, che brillava con la luce del sole che filtrava dalla finestra.
Che cos’è questa strana sensazione?
Il cuore aveva cominciato misteriosamente ad accelerare, ed ero più che certa che non si trattasse dell’adrenalina di qualche minuto prima. Qualcosa nello stomaco si muoveva, lasciandomi strane sensazioni, mentre osservavo il ragazzo con cui ormai passavo la maggior parte del tempo. Alexander sembrava fosse diventato più bello del solito.
Perché il cuore ha accelerato?
Perché la tua vicinanza mi fa sentire così adesso?
Perché hai smesso di sorridere? E perché mi stai guardando in questo modo?
Lo sentii schiarirsi la voce, ed alzarsi.
- Credo… Credo che dovremmo andare a vedere com’è venuto il dolce… Vieni? - chiese lui con un tono più distaccato, e forse… imbarazzato?
Annuii, alzandomi a mia volta e seguendolo.
Probabilmente sono impazzita, oppure mi sto ammalando.
Scesi le scale con lui e ci avvicinammo al frigo, da cui ne estrasse il dolce a forma di cuore che avevamo fatto.
- Beh, direi che è venuto bene. Assaggiamolo adesso - commentò sorridendo, prendendo un coltello per dividere il cuore a metà.
- Ma che fai, la mangi? - chiesi guardandolo.
- Certo. Hai distrutto la cucina per farla, quindi il minimo che possa fare è mangiarla, no? - disse lui addentandola, cosa che feci anche io subito dopo con una certa compiacenza.
Sta mangiando la mia cioccolata.
Cioè, l’ha fatta lui per la maggior parte. Però…
Sorrisi fra me e me, constatando che la cioccolata fosse venuta veramente buona.
- E’ venuta meglio di quanto credessi - commentai.
- Perché tu non hai fiducia nelle tue e soprattutto mie capacità, donna -
- Beh, a questo punto, direi che posso augurarti un buon San Valentino, no? - dissi senza pensarci molto, osservandolo poco dopo, perplesso.
- Suppongo di sì. – mormorò a testa bassa – Buon San Valentino anche a te. -
 
1 Marzo 2014
 
- Cosa significa che ve ne andate? - chiese Angie con troppa enfasi ai suoi genitori.
- Ma che domande. Ci avete regalato voi il viaggio che stiamo per fare no?  - domandò la mamma, guardando sia Angie che Alex, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo.
- Ah, quindi partite per la sorgente termale. Quando? -
- Domani. Staremo via questi tre giorni, e mi auguro di ritrovare la casa tutta intera - si raccomandò la mamma.
- Niente feste, festini o serate devasto. Se volete invitare due, massimo tre, amici potete farlo, ma quando torniamo la casa e la vostra salute mentale e fisica devono restare invariate - continuò il padre per poi guardare Alex – se vuoi invitare qualche fidanzata puoi farlo, ma restatevene nella tua stanza, chiaro? -
- Papà - esclamò sconvolto Alex per poi lanciarmi un occhiata di sfuggita. Probabilmente si stava vergognando come un ladro.
- Per i pasti immagino non ci siano problemi, siete grandi e vaccinati, sopravvivrete -
- Mamma, non siamo bambini di tre anni. Tre giorni senza voi due non ci cambiano nulla. - commentò Angie.
Dopo altre regole rigorosamente da seguire, la famiglia si sparpagliò in giro per casa, tra cui io ed Alex, nella sua camera.
- Fantastico, tre giorni senza quei due rompi scatole - sorrise lui buttandosi sul letto, e incrociando le braccia dietro la testa. Mi andai a sedere anche io sul letto e lo osservai. Non capivo il perché, ma il fatto di restare tre giorni senza i suoi genitori mi inquietava. E non per la mancanza dei genitori in se, ma per l’idea di rimanere interamente sola con lui. Strano no? Considerando che ero invisibile al mondo e che già passavo tutto il tempo sola con lui. Qual era il problema poi? Forse il fatto che avrebbe invitato davvero qualche amico, e che io me ne sarei dovuta restare in disparte per lasciargli i sui spazi. O peggio, avrebbe invitato qualche ragazza e avrei davvero dovuto restarmene in disparte per concedergli i suoi spazi. Da quant’era che non vedevo Alexander con una donna? Non lo sentivo neanche più parlare di loro. Nel mio piccolo mondo, c’eravamo solo io e lui, in cui chiacchieravamo e giocavamo tutto il tempo, mi confortava e mi stringeva la mano di notte, perché era diventata un abitudine ormai. Però non potevo sapere cosa accadeva al di fuori della mia bolla personale, cosa faceva a scuola, con chi parlava e se si sentisse con qualcuna.
Alexander ha una vita al di fuori di casa sua. Io sono il suo orsetto di peluche che lo aspetta in camera, pronto ad ascoltarlo. Suppongo che debba farmi da parte in questi tre giorni per lasciarlo respirare e comportarsi come un diciottenne normale.
- A cosa pensi? - chiese lui risvegliandomi dai miei pensieri.
- Un po’ a tutto. Suppongo che tu voglia i tuoi spazi in questi tre giorni, per invitare amici o amiche. Se vuoi posso andarmene altrove per un po’ e… -
- Frena frena. Cosa? E dove vorresti andartene? Perché? Per me? Amiche? Ma quali amiche, io me ne starò qui tranquillo a godermi la mia pace dei sensi, ed anzi, spero vivamente che mia sorella se ne vada altrove -
- Alex, non devi per forza rinunciare ai piccoli piaceri della vita perché ci sono io. Tu stesso mi hai detto che prima o poi me ne sarei dovuta andare perché avevi una vita privata da portare avanti - commentai sospirando.
- Sinceramente, preferisco restare tre giorni qui con te che avere una vita privata con gente che mi stressa tutti i giorni a scuola. E se te lo stai chiedendo, non mi sono più sentito con nessuno dopo Krystal. Nessun altra ragazza ha conquistato il mio interesse - commentò strizzando l’occhio e facendomi avvampare senza un motivo preciso.
Da quel pomeriggio di san valentino mi sentivo sempre strana in sua presenza. Sembrava fosse nata una tensione fra di noi, una tensione strana, che ci stava vietando dei contatti che eravamo soliti avere, fosse un abbraccio o meno. Alexander avvertiva in modo minore questa tensione, o almeno così sembrava, quindi era un problema che partiva principalmente dalla sottoscritta.
- Va bene… allora come vuoi - mormorai guardando altrove. Non capivo il motivo, ma la consapevolezza che non si stesse sentendo con nessuno mi rendeva felice.
Immagino che non sarà così male stare completamente soli in casa. Avrò l’opportunità di parlare normalmente con lui senza che debba rispondermi a mozzichi e bocconi. Poi magari avrò l’occasione di cucinare qualcosa di commestibile. Sì, sarebbe una buona idea. Potrei imparare cose nuove, e lui potrebbe insegnarmele.
Sorrisi pensando a miliardi di cose.
- Perché stai ridendo? - chiese lui sospettoso.
- Pensavo -
- Addirittura due pensate in un giorno. Come mai usi così tanto il tuo cervello oggi? -
- Ah ah ah, molto divertente - risposi sarcasticamente, non nascondendo il sorriso.
Delle urla ci fecero girare la testa. Sembrava che Angie fosse arrabbiata, e che i suoi genitori non fossero da meno. Uscimmo dalla camera per capire cosa stesse succedendo.
- Perché no!? - strillò lei.
- Perché no Angie! Non puoi stare a casa di uno sconosciuto per tre giorni! - rispose la madre ferma nelle sue decisioni.
- Non è uno sconosciuto! È il ragazzo con cui mi sto sentendo! -
- Appunto! Ti stai sentendo con lui da poco, non ti sembra presto per andare a casa sua!? - continuò la mamma.
- Ma ho ventitré anni mamma! Posso essere libera di fare quello che voglio!? -
- Certo! A patto che tu ci metta un briciolo di cervello, cosa che non stai usando in questo momento! -
- Però ad Alex l’ok per fare quello che vuole con le ragazze glielo date sempre! -
- Tuo fratello è un ragazzo! Un bravo ragazzo coscienzioso che sa cosa deve fare! Tu sei una donna che va a casa di un uomo che neanche conosce bene! È proprio grazie a queste cose che sentiamo perennemente di violenze sulle donne. -
- Ma io…-
- Angie, basta – tuonò il padre zittendola – Abbiamo detto no. E questo è quanto - concluse lui severamente. Guardai Angie su l’orlo delle lacrime scappare via in camera sua. Dall’altra parte invece c’era sua madre che sospirava pesantemente.
- Ma dimmi se quella ragazza è normale. I ragazzi di quell’età sono tutti dei lupi affamati, e lei vorrebbe starci tre giorni! Non ho davvero parole, in cosa ho sbagliato nella sua educazione!? - borbottò lei portandosi una mano sulla fronte.
- E’ l’età - commentò solamente il padre. Guardai Alex che sembrava piuttosto indifferente all’accaduto. Ritornammo in  camera, ed ero più pensierosa di prima.
Davvero è così sbagliato stare a casa di un ragazzo che neanche si conosce bene? Eppure io l’ho fatto e non è successo nulla.
Guardai nuovamente Alexander che aveva impugnato la chitarra, strimpellando qualche nota.
Forse sono stata solo fortunata. Alex è un bravo ragazzo, magari non tutti sono così.
- Non preoccuparti troppo per mia sorella. Starà bene, anzi, per quanto ne so io ci andrà comunque a casa di quel tizio - mormorò lui continuando a guardare la chitarra.
- Come? E perché? I tuoi hanno detto…-
- Sai quanto gliele importi di ciò che le hanno detto. Si sente in pace con se stessa perché li ha resi partecipe di quello che vorrebbe fare, per il resto non le importa se la risposta sia stata un sì o un no -
- Mmh… e tu non sei preoccupato? -
- Certo, ma che dovrei fare? Se non dà retta ai miei genitori perché dovrebbe ascoltare me? - Restai in silenzio a meditare ancora un po’.
- Come mai è così inaccettabile il fatto che una ragazza voglia stare a casa di un ragazzo? - chiesi sedendomi vicino a lui.
- Oh, ma non è inaccettabile, solo che potrebbe rivelarsi pericoloso. Ti ricordi il primo giorno che venisti qui? Anche io ero restio, perché… beh… è strano. Finché si è fidanzati o almeno molto amici va bene. Ma quando si è estranei o solo conoscenti non è bene. Oltre tutto una ragazza che si comporta così non è considerata un granché dopo un po’. -
- Quindi non eri d’accordo perché avevi paura che ti sarei saltata addosso? -
- O magari che ti sarei saltato addosso io – mormorò lui guardandomi, facendomi arrossire – sono un ragazzo, che si è ritrovato una ragazza a casa che gli chiedeva perennemente di essere toccata e tutto il resto. Avrei anche potuto approfittarne - continuò lui avvicinando il suo viso al mio.
- Ma non lo hai fatto -
- Ehi – sorrise lui allontanandosi – sono un bravo ragazzo io -
-  Già, sono stata fortunata allora - commentai ritornando a respirare.
- Molto fortunata - ammiccò lui.
Già… molto fortunata.


Angolo di Feilin
Ebbene salve :D lo so sono in un ritardo mostruoso, ma abbiate pazienza, ho la maturità e ho dovuto fare salvataggi estremi XD Non è un granchè questo capitolo, è più di transizione per quello che accadrà nel prossimo - B) - ma spero comunque che vi sia piaciuto. Che dite? vi sta piacendo? u.u cosa pensate che succederà nel prossimo? tre giorni sono tanti u.u lasciatemi un commentino se volete *^* e ci sentiamo al prossimo capitolo. Un bacio!

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Capitolo 5
*** Buonanotte ***


2 Marzo 2014
 
Ero sola in casa, dopo che i genitori avevano tolto le tende e i figli se n’erano andati a scuola. Meggie era l’unica che mi teneva compagnia in quel momento.
Decisi di accendere la televisione per guardare qualcosa, per passare il tempo, con la cagnetta in braccio. Ogni giorno che passava diventava sempre più grande, anche se nei limiti della sua razza. Ripensai alla mia vita precedente. Avevo anche io un cane a casa. Un cagnolino grigiastro e pieno di pelo. Era un vecchiaccio perché non voleva mai giocare con gli altri cani, però lo amavo follemente.
Chissà come sta. Chissà come stanno i miei genitori, e come sarà cresciuto mio fratello in tutti questi anni. Prima o poi tornerò a trovarli.
L’affetto e il calore della famiglia mi era sempre mancata da quel giorno. Non poter parlare o essere guardata e toccata da tutti mi aveva fatto impazzire nei primi periodi. Era frustrante all’inverosimile non poter più avere contatti umani, e lo avevo capito con il passare del tempo, soprattutto quando nei momenti di follia cominciavo ad urlare in mezzo alla strada nella speranza che qualcuno mi guardasse male o cominciasse a rispondermi. Non era mai successo, neanche una volta.
- Sono tornato -
Fortunatamente qualcosa è cambiato.
- Bentornato – sorrisi contenta di rivederlo, seguendolo in cucina – com’è andata a scuola? -
- Bene, noiosa come sempre, ma bene. Che cosa ci mangiamo oggi? - chiese osservandomi – Sei ancora in pigiama? Che razza di fannullona sei, vai a cambiarti che più tardi ti porto in giro per New York -
- Posso uscire benissimo in pigiama, chi vuoi che mi veda? - commentai.
- Io ti vedo, renditi presentabile almeno per me, donna - borbottò lui aprendo il frigo e prendendo della roba surgelata.
- Non sono presentabile anche così? - chiesi guardandomi.
- Ti ho comprato dei vestiti, e per quanto tu sia carina anche con le mie tute vorrei che usufruissi dei miei soldi spesi - commentò mettendo nel microonde la scatoletta che aveva in mano.
Arrossii.
Ha detto che sono carina.
- C-che c’è? Perché mi guardi così? - chiese dopo qualche secondo rimasto a fissarmi.
- Davvero mi trovi carina? - chiesi sorridendo.
- Ehm… si. Ma non montarti la testa eh, ti ho solo fatto un complimento normalissimo. - mormorò voltandosi a prendere dei piatti da mettere in tavola. Gongolai per qualche secondo in silenzio, per poi aiutarlo a preparare  la tavola.
 
Dopo pranzo ci ritrovammo a camminare per il Central Park, chiacchierando del più e del meno, sempre con l’auricolare a portata di mano.
- Non mi hai mai detto il tuo cognome - commentò lui guardandomi per un secondo.
- Ah… è vero. Bianchi. Federica Bianchi - risposi.
- Bianchi? Ha un significato preciso? - chiese lui, non sapendo cosa volesse dire effettivamente in inglese la parola bianchi.
Ora che ci penso, abbiamo lo stesso cognome. Bianchi e White. Sono sconvolta.
- Perché stai ridendo? - continuò lui con una faccia stranita.
- Perché mi sono resa conto che abbiamo lo stesso cognome, ma in lingue diverse -
- Ah. Davvero? Fico - sorrise lui continuando a ripetere il mio cognome con l’accento newyorkese, facendomi ridere.
Camminammo a lungo, e girammo per diversi posti, facendomi i luoghi più visitati e famosi del posto.
- Ehi Alex! - sentimmo dietro di noi, così ci voltammo a guardare chi fosse.
Se non sbaglio questi sono gli amici che suonano nella band.
- Alex!!! - sentii poi un urlo tipicamente femminile, prima di vedere Alex travolto dalla padrona della voce.
- Piano piano! - sorrise Alex attutendo il colpo.
E questa chi è?
- Saranno settimane che non ti vedo! Mi sei mancato tantissimo! - cinguettò la ragazza dai capelli corti fino alle spalle e scuri.
- Sorella, potresti avere un po’ di decenza per favore? - commentò Tyler.
La osservai. Alex non mi aveva mai parlato di lei, anche se in genere da quando si era lasciato con quella biondona non parlava proprio di donne, che non fossero sua madre o la sorella. Eppure sembrava parecchio in confidenza con lei.
- Come stai? - chiese lui staccandola dolcemente.
- Non c’è male, sempre le solite cose. Mi sono lasciata con quel bastardo di Simon - vidi Alex sgranare gli occhi.
- Davvero? Era ora, te l’avevo detto che non era un buon partito per te. Non mi dai mai retta -
- Non dà retta mai a nessuno - borbottò Tyler
- Lo so, lo so. Ma se non sbaglio anche tu ti sei lasciato no? - chiese lei guardandolo.
- Già, ma stiamo parlando dell’anno scorso. -
- Sono passati solo quattro mesi. Come stai? Ti sei ripreso vero? - chiese preoccupata.
- Certo che mi sono ripreso.  Tu piuttosto. Com’è successo? -
- Ragazzi potremmo perlomeno camminare? Non mi va di ascoltare di nuovo tutta la storia mentre metto le radici - disse Kurt cominciando a camminare con tutti gli altri. Li seguii in silenzio, infondo a tutti. Più passava il tempo, più mi chiedevo se Alex non si fosse dimenticato della mia presenza.
Con il tempo capii che la ragazza si chiamava Lara.
Continuarono a chiacchierare di tutto ciò che era successo l’uno all’altro, ma per lo più fu lei a parlare, con la completa attenzione di lui, che sorrideva contento, e rideva a ciò che lei diceva.
Non mi piace per niente tutto ciò. Alex, potresti gentilmente ricordarti della mia presenza!? O vuoi ignorarmi!?
Argh… di nuovo invisibile per tutti…
Continuammo a camminare per un tempo infinito, in cui continuavo a sentire una morsa allo stomaco fastidiosa. Guardai Alex, che continuava a parlare con lei, mentre gli altri scherzavano fra di loro.
- Me ne vado a casa - dissi infastidita del tutto. Nessuna reazione. Cominciai a camminare con più enfasi verso la sua amica, con tutta l’intenzione di spingerla via, ma ovviamente con solo il risultato di passarle attraverso. La vidi rabbrividire.
- Ma che dia… Tutto bene Lara? - chiese lui per poi lanciarmi uno sguardo.
- Sì, non so perché ma ho avuto un brivido per tutta la schiena -
- Che vogliamo fare? - chiesi guardando Alex che non mi rispose, e che spostò persino lo sguardo verso Lara.
- Ma sì, bravo, ignorami anche tu. Io me ne vado - commentai voltandomi per andare via. Dentro di me speravo che lui mi seguisse, che mi richiamasse, che corresse verso di me per dirmi che non era stato carino da parte sua. Ma probabilmente vedevo troppi film romantici perché ovviamente non lo fece. Non si mosse da dov’era, e continuò la sua passeggiata con i suoi amici.
 
Era diventata sera ormai, e vagavo ancora per New York. Non perché mi fossi persa, ma perché non volevo tornare a casa. Aveva detto che voleva farmi fare un giro turistico, e alla fine lo avevo fatto. Da sola.
Quell’idiota. Ha 365 giorni l’anno per uscire con i suoi amici, e cosa fa? Mi chiede di uscire e poi mi pianta in asso. Al diavolo lui e questa cavolo di invisibilità. Sono veramente stufa di tutto questo. Posso dipendere solo ed esclusivamente di un unico essere umano? NO. E non voglio neanche. Io avevo dei sogni una volta, volevo sposarmi, lavorare, avere dei figli e dei cani. Di tutte le persone cattive che meritano questo strazio, perché io? Cosa ho fatto di male??
Erano passati ormai nove anni e ancora mi facevo quelle domande. Non c’erano risposte, e se c’erano io non le sapevo.
Continuai a camminare fino a ritrovarmi a casa. Ero stanca e volevo solo mettermi a dormire. Arrivai al cancello, pensando al fatto che se qualcuno non mi apriva non potevo entrare, ma fortunatamente trovai il cancello aperto. Entrai in casa. Angie non c’era, come aveva già detto Alex, probabilmente era andata da quel ragazzo. La prima che corse a salutarmi fu Maggie, felice come sempre di rivedermi. Dopo averla salutata alzai lo sguardo, ritrovandomi davanti Alex che mi guardava serio.
- Dove sei stata? - chiese lui. Sospirai andando in cucina per un bicchiere d’acqua. Il silenzio era davvero troppo pesante per noi due, ma decisi di rimanere in silenzio. Ero arrabbiata con lui no? Non avevo voglia di parlargli.
- Federica - mi richiamò lui con più fermezza.
- In giro -
- E non potevi dirmelo? Dirmi dove andavi, quando tornavi? -
- Non sei mia madre, penso di poter fare quello che voglio - risposi a tono. Che diritto aveva di farmi il terzo grado?
- Sei contenta adesso che mi hai fatto preoccupare? -
- Non era mia intenzione. Non pensavo ti preoccupassi per me -
- … ma sei seria? Non ti ho mai dato modo di capire che mi preoccupavo per te? Mi assicuro che tu possa mangiare ad ogni pasto, che tu dorma bene, ti ho comprato dei vestiti e un cane. Questo non significa niente per te? -
- Senso del dovere? Gentilezza? Noia? -
- No cazzo! Io mi preoccupo per te! Cerco di farti stare bene! - sbottò lui.
- Cerchi di farmi stare bene e poi mi ignori bellamente quando arrivano i tuoi amici! - sbottai anche io.
- Cosa dovrei fare? Renderti partecipe nelle nostre conversazioni? Lo sai che non possiamo, che razza di affermazioni fai! -
- Avevi detto che avremmo passato la giornata insieme, e invece te ne sei andato con loro, senza calcolarmi! Tutto allegro e contento con la tua amichetta! - continuai io.
- Cosa centra Lara? Non posso più parlare con le mie amiche adesso? Ho capito che ci sei rimasta male per oggi, ma è andata così, usciremo un’altra volta -
- No, perché succederebbe lo stesso di oggi. Sai quanto è straziante non essere notato da nessuno? Nessuno che ti parla, nessuno che risponde. Non lo sai! Ecco perché non capisci! - strillai stringendo i pugni.
- Tu dovresti esserci abituata ormai no? Perché te la prendi così tanto? -
- Perché gli altri hanno un motivo, non mi vedono e non mi sentono. Tu no! Tu non ce l’hai questa scusa, quindi mi ferisce ancora di più! -
Lo vidi sospirare per poi scompigliarsi nervosamente i capelli.
- Sì può sapere che cos’altro vuoi da me? Oltre a tenerti qui e a fare tutte quelle stupidate che mi chiedi, cos’altro dovrei fare? Non posso parlarti in pubblico, mi prenderebbero per pazzo. Ti mantengo qui a casa mia fin troppo bene, e più di questo non posso fare. Oggi hai fatto quell’uscita teatrale che mi ha davvero mandato in bestia. Lara adesso è in difficoltà, perché ha dovuto lasciare il suo ragazzo che la picchiava, e tu invece insceni crisi e te ne vai, facendomi solo arrabbiare e preoccupare! -
- Va bene! Vorrà dire che finirà questo strazio! Me ne vado altrove, in una casa dove nessuno mi vede e nessuno si deve preoccupare per me, e dove tu potrai passare il resto della tua vita a consolare Lara! - tuonai superandolo per aprire la porta di casa.
- Ed dove vorresti andare a quest’ora? Non troverai neanche le porte dei locali aperte -
- Mi adeguerò, come ho sempre fatto. Ho campato per nove anni da sola, posso anche viverci per sempre in mezzo ad una strada - risposi uscendo di casa per avvicinarmi al cancello.
- Ehi, torna qui, lascia perdere – disse afferrandomi per un braccio – torna dentro che fa freddo. -
- Lasciami! - strillai con la consapevolezza che tanto nessuno avrebbe sentito.
- Smettila di fare la cretina ed entra in casa, dannazione! - sussurrò con forza trascinandomi di nuovo dentro.
- No! Vai a consolare Lara e ritorna a vivere la tua vita, così sarai più contento e senza preoccupazioni! - dissi divincolandomi da lui.
- Federica, mi stai facendo incazzare - ringhiò chiudendo di prepotenza la porta.
- Incazzati quanto ti pare, ma questo è quanto! -
- Siediti! – tuonò lui indicandomi il divano, per poi portarmici di peso, vedendo che non mi muovevo – adesso ci mettiamo qui, in silenzio per dieci minuti, e raffreddiamo i bollenti spiriti, così dopo ne parliamo -
- Non c’è niente di cui dobbiamo parlare - ringhiai.
- Cosa ho appena detto!? -
Restammo in silenzio, tra uno sbuffo e l’altro, e aspettammo che i dieci minuti passassero. Più passava il tempo, più mi sentivo una stupida.
Che diavolo è successo? Perché ho cominciato ad attaccarlo così?
Alex, che non mi aveva staccato gli occhi di dosso, non appena vide il mio sguardo abbassarsi, imbarazzato, fece un respiro e ricominciò a parlare.
- Che cos’era? Un attacco di gelosia? - commentò lui incrociando le braccia al petto,  appoggiando la schiena sullo schienale del divano.
A quelle parole mi sentii più in imbarazzo di prima. Dovevo sembrargli una povera ragazzina stupida, presa dalle sue crisi adolescenziali che inevitabilmente scaricava sulla persona più vicina.
Mi alzai, ignorandolo completamente, e salii in camera sua, pronta a sprofondare nel mio letto e dimenticare quella giornata. Lo sentii sospirare e mormorare qualcosa, poi più nulla. Presi le mie coperte e mi ci raggomitolai dentro come un lombrico.
Una cretina. Perché mi sentivo così arrabbiata? Non se lo merita…
Non so per quanto tempo rimasi nascosta tra le coperte, ma decisi di uscire solo quando sentii un profumo invitante provenire dal piano di sotto. Avevo fame.
Con che coraggio scendo a chiedergli da mangiare? Dopo la scenata che ho fatto… accidenti a me.
Mi nascosi ancora più in profondità tra le coperte, per poi riemergerne del tutto.
Suvvia Federica, hai avuto il coraggio di intrufolarti in casa sua, di chiedergli di accoglierti, di sfamarti, e ti sei persino quasi spogliata davanti a lui la prima volta. Quando sei diventata così pudica e orgogliosa?
Aprii la porta, facendomi avvolgere da quel profumino delizioso che proveniva dalla cucina. Scesi lentamente le scale, evitando che lui mi sentisse e lo guardai in silenzio mentre stava ai fornelli. Mi faceva sempre strano vedere un ragazzo ai fornelli, soprattutto perché io non riuscivo a preparare neanche un panino decente. Era quasi vergognosa come cosa.
Ho una fame da lupi…
E il mio stomaco non tardò a ricordarmelo, e a ricordarlo anche a chi era nella stanza con me. Vidi Alex girarsi a guardarmi stranito dal rumore, per poi capire che era solo il mio stomaco. Sorrise e mi fece segno di sedermi a tavola. Il fatto che lui avesse ripreso a sorridermi come prima e non mi tenesse il broncio per la rabbia precedente mi confondeva. Non sapevo come comportarmi, mi sentivo un’idiota che obbediva e basta. Come avrei dovuto comportarmi adesso? Come se non fosse successo nulla? Non credevo di esserne capace.
Lo guardai preparare la tavola, finché non portò i piatti e si venne a sedere davanti a me.
- Buon appetito. Spero ti piacciano i miei hamburger - disse lui cominciando a mangiare. Mangiammo in silenzio.
Che situazione imbarazzante.
- Ehi, dì qualcosa, mi metti ansia se stai così in silenzio - mormorò lui guardandomi.
- Scusami per prima – cominciai a dire in italiano, sotto il suo sguardo confuso –probabilmente ero davvero gelosa… mi sono affezionata a te, e in un certo senso ti vorrei solo per me. Mi dava fastidio vederti parlare con un’altra ragazza e ho reagito male. Tu sei sempre buono con me, mentre io continuo a sfruttarti stando qui e a crearti problemi. È che sei l’unico amico che abbia avuto dopo otto anni di solitudine, e non voglio perderti, quindi mi comporto da egoista. Perdonami - finii asciugandomi le lacrime
- Ok, non so cosa tu stia farneticando ma smettila di piangere. Non ho capito niente – disse venendomi vicino e guardandomi – ma suppongo che tu non voglia farmi ben capire cosa ti passa per la testa. Non fa niente, va bene così. - commentò sorridendo e asciugandomi il viso.
- Suvvia, fammi un sorriso, non mi piace il tuo broncio - continuò lui tirandomi una guancia.
Sorrisi, e lui con me, felici di aver risolto quello stupido litigio.
 
- Non riesco a capire perché la fanno tanto lunga nelle sitcom. Insomma, a lui piace lei, a lei piace lui. Perché diamine non si mettono insieme e basta? - chiese lui bevendo un sorso di birra mentre continuava a guardare la televisione con me accanto.
- Perché nessuno dei due sa dell’altro. Lui non sa che lei è cotta di lui, e viceversa - commentai mangiando qualche patatina.
- Ma dai, si vede lontano un miglio. Nessun ragazzo sano di mente si comporterebbe così con una donna se non fosse cotto di lei. - continuò lui.
- Perché? Non sembra abbia un comportamento strano - dissi confusa. Non sembrava che il protagonista avesse atteggiamenti palesemente sospetti.
- Questo mi fa capire che tu di ragazzi non capisci proprio niente. Nelle ultime puntate non si è fatto altro che vedere come lui fosse gentile e disponibile per qualsiasi cosa, come la prendesse in giro e come facesse di tutto per attirare la sua attenzione - restai in silenzio meditando su quelle parole.
- Ma scusa. Anche tu sei sempre gentile e disponibile con me e fai le stesse cose che fa lui. Non mi pare che sei cotto di me però. - dissi guardandolo. Lui sorrise, e mi guardò per qualche secondo.
- E se invece lo fossi? - domandò lui ghignando. Gli diedi una gomitata.
- Smettila di fare lo stupido – scoppiò a ridere – è proprio per questa vostra arroganza che le ragazze faticano a dichiararsi nei film -
- Ehi, nessun ragazzo potrebbe mai dichiararsi apertamente senza una certezza. E voi donne le certezze non ce le date mai. -
- Certo, dovete restare con il dubbio fino alla fine. Anche perché i nostri segnali sono a dir poco evidenti -
- Oh sì, sicuramente. - commentò lui guardandomi in modo scettico. Le cose fortunatamente si erano ristabilizzate fra me e lui, l’imbarazzo precedente era sparito, e non riuscendo a dormire ci eravamo messi a guardare la televisione.
- Guarda! Guarda che roba! – esclamò lui puntando il dito verso il televisore – lui le sta mettendo un braccio intorno alle spalle e lei nemmeno se ne accorge, fa la vaga come se nulla fosse. Sai quant’è difficile per un ragazzo fare una cosa del genere? Che non sai mai se possa arrivarti una scarpata in bocca. - sbottai a ridere.
- Addirittura una scarpata in bocca? Il massimo che potrebbe succedere è che lei si scansi - dissi guardandolo divertita.
- Appunto, e quello vale come dieci scarpate in bocca. Sarebbe una scena troppo penosa. - borbottò lui – per un ragazzo cotto è difficile farlo. Non come potrebbe esserlo per me in questo momento, vedi? - disse lui mentre mi metteva un braccio intorno alle spalle.
Ma che…
Osservai prima lui che continuava a guardare la televisione, sorseggiando di tanto in tanto la birra, per poi spostare lo sguardo sulla mano che sembrava tremare leggermente.
tornai a guardare la televisione un po’ stranita, non capendo cosa stesse facendo.
- Lei se n’è accorta - mormorai non prestando davvero attenzione al televisore.
- A quanto pare - rispose lui.
- Non l’ ha respinto però, questo è un buon segno no? -
- Suppongo di sì - sorrise lui in modo furbo, posando la bottiglia vuota a terra.
Che cos’è questa tensione che sento?
- Dici che lei ci sta? Lui sembra abbastanza preso - continuò lui guardandomi.
- Se non ci prova non lo sapremo mai - risposi guardandolo a mia volta. Non sembrava che Alex stesse ancora parlando della sitcom.
Ho il cuore che sta per esplodere. Non ci sto capendo niente!
Gli vidi fare un sorriso sghembo che mi fece perdere tre battiti, per poi tornare a guardare la tv. Ripresi a respirare e mi portai una mano sul petto sperando di calmarmi.
Ci fu un silenzio imbarazzante, almeno per me, per circa tutta la durata del telefilm, nel quale cercai di non pensare alla figura accanto alla mia. Quando spense la tv mi alzai per rimettere a posto le patatine e per buttare le birre.
- Bene, suppongo che sia il momento di andare a letto - commentò lui davanti alle scale. Lo guardai annuendo appena. I suoi occhi continuavano a scrutarmi e a perforarmi l’anima come mai avevano fatto prima. Restai imbambolata a fissarlo, non capendo perché non stesse salendo le scale.
Di nuovo questa strana tensione. Come se dovesse succedere qualcosa… mi sta mettendo angoscia.
Lo guardai, per poi fissare le sue labbra, notando poco dopo come mi stesse analizzando. Presi un respiro.
- Beh… allora buonanot…- azzardai a dire, ma una sua mano andò ad avvolgere un mio fianco che poi mi fece avvicinare a lui di scatto. In un solo secondo mi ritrovai le sue labbra attaccate. E non so cosa o come accadde, gli risposi senza la minima incertezza, come se lo stessi aspettando da una vita.
Forse lo stavo aspettando da una vita.
Sentii il muro alle mie spalle, mentre continuava a massaggiarmi le labbra con le sue. Non riuscivo a pensare ad altro che alle sue labbra sulle mie, e uno strano tepore s’irradiò dalla punta del naso, scendendo giù per il collo, attraverso il petto, fino alle cosce. Era un semplice bacio, che mi stava devastando.
Si staccò permettendomi di riprendere il fiato che avevo perso. Ci guardammo a lungo e in poco tempo eravamo di nuovo avvinghiati l’uno all’ altra. Mi sentii trasportare fino al piano di sopra, sul letto, dove prese a baciarmi con più insistenza ma sempre con delicatezza. La mia goffaggine nel baciarlo era quasi imbarazzante rispetto al suo fare esperto e sicuro. Ma il ringhio basso che sentii quasi mi rassicurò su quello che stavo facendo. Forse gli piaceva? Un brivido mi attraversò tutto il corpo, annebbiandomi completamente. Mi baciò con più passione, spronando le mie labbra a schiudersi sotto le sue e i miei sensi si intensificarono quando la sua lingua incontrò la mia. Mi abbandonai al bacio, stringendo le dita e arcuando il collo. Lentamente si staccò da me. Stavamo ansimando entrambi. Mi permise di mettermi a sedere, facendomi rendere conto che stavo boccheggiando.
- … mi… mi hai baciata - dissi come un idiota cercando di riattivare il cervello. Lui sorrise.
- Non era un bacio questo. Era la buonanotte - rispose lui alzandosi e sparendo dalla porta per andare altrove. Rimasi lì cercando di capire cosa fosse appena successo.
…buonanotte? Non dormirò più adesso…
 
 Angolo di Feilin
Salve a tutti bella gente! :D come va? state trascorrendo bene le vacanze? io da quando ho finito gli esami sono contentissima, soprattutto perchè  fra poco entro in accademia, yeee! comunque u.u piaciuto il capitolo? si ? no? potevo fare di più ma non mi sono imegnata? ditemi voi u.u cosa pensate che accadrà adesso O_O mistero. lasciatemi un commentino eh u.u non fatevi pregare *^* un bacione a tutti e ci sentiamo al prrrrrossimo capitolo!!

 

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Capitolo 6
*** Questione di tempo ***


3 Marzo 2014
 
Passai la notte a ripensare a cosa era successo, rotolandomi nel piumone, aspettando che Alex tornasse a dormire nel suo letto. Si era fatto una doccia nel cuore della notte, cosa alquanto insolita per lui, ed era tornato nel letto verso le tre, facendo attenzione a non svegliarmi, anche se non stavo dormendo. Non sapevo cosa fare, non sapevo come avrei dovuto comportarmi non appena fosse sorto il sole. Lo ascoltavo respirare in silenzio, senza il coraggio di muovere un solo muscolo per non fare rumori. Ero ancora confusa e frastornata da quel bacio, non riuscivo a capire cosa potesse significare per lui o a cosa avrebbe portato.
In genere… quando due persone si baciano è perché si piacciono…
Avvampai da sola e mi rannicchiai sotto le coperte nel tentativo di prendere sonno.
Verso le 7 sentii la sveglia di Alex suonare ma venne prontamente fermata da lui che tornò a dormire. Era sabato, quindi niente scuola. Chiusi gli occhi anche io e mi addormentai.
Quando riaprii gli occhi erano le nove passate ed ero sola nella stanza. Mi alzai rimettendo in ordine la mia roba per poi scendere in soggiorno, dove mi venne a salutare Maggie.
Ma non c’è nessuno?... è scappato via? Mi sta evitando?
Mi guardai intorno ancora un po’ per poi abbandonarmi sul divano con la cagnetta in braccio. Probabilmente si era pentito e aveva deciso di passare i prossimi giorni il più lontano possibile dalla sottoscritta. Sospirai, sentendo una fitta al cuore pensandoci.
Sono solo una povera illusa.
Mi voltai sentendo la porta aprirsi, vedendo poi la figura di Alexander entrare con delle buste in mano. Mi alzai per raggiungerlo.
- Ah bene, sei sveglia. Sono andato a fare un po’ di spesa e ti ho comprato dei cornetti per colazione. - sorrise lui sventolando una bustina bianca. Sorrisi. Immensamente.
- Sei contenta? - chiese appoggiando le buste sul tavolo.
Come se il mio sorriso da un orecchio all’altro non fosse abbastanza evidente.
Mentre lui metteva a posto la spesa, io mi gustavo il cornetto e lo osservavo in silenzio. Non riuscivo a togliermi dalla testa le immagini di noi la sera precedente, e se non fosse stato che avevo un contegno e un orgoglio probabilmente mi sarei messa a saltellare e a fare urletti poco normali per tutta la stanza. Tirai un lungo sospiro per calmare quell’emozione, cercando di reprimere il sorriso da beota che avevo.
 
- Hai chiamato tua sorella? - chiesi voltando pagina al libro che stavo leggendo mentre lui cercava di risolvere delle equazioni in matematica.
- Mh… sì, dice che sta bene e che tornerà un ora prima dell’arrivo dei miei genitori, domani -
- Angie è proprio una ribelle - sorrisi rileggendo la frase che avevo letto. Era inutile, mi stavo perdendo.
- Già, finirà col mettersi nei guai prima o poi - sospirò staccandosi dal libro per poi chiuderlo – che leggi? -
- Jane Eyre - dissi guardandolo.
- Mh? E ti piace? Ha detto mia sorella che è pesante -
- No, a me piace. È una bella storia. Quando ero visibile avevo visto il film in televisione e mi era piaciuto tanto -
- Meglio così - sorrise lui giocherellando con la penna. Lo guardai. Avevo tante e troppe domande, e avevo bisogno di risposte.
- Alex -
- Mh? -
- Perché mi hai baciato? - chiesi schietta, prendendolo in contro mano poiché sembrò bloccarsi di colpo.
- Troppo diretta? - dissi sorridendo dopo qualche secondo.
- Decisamente – sorrise imbarazzato lui – perché me lo chiedi? -
- Perché era il mio primo bacio. Voglio una scusa valida - commentai chiudendo il libro per ascoltarlo.
- Era la buonanotte. Te l’ho detto - rispose lui guardandomi negli occhi. Lo fulminai.
Aspetta. Cosa?
- Tu avresti rubato il mio primo bacio solo per darmi la buonanotte? - chiesi irritata incrociando le braccia. Lo vidi leggermente in difficoltà.
- Ehm… -
- Ti prego, dimmi che c’è un vero motivo, altrimenti potrei arrabbiarmi sul serio - commentai.
- Non c’è un motivo. Avevo semplicemente voglia di farlo - si scusò lui.
- Risposta sbagliata - ringhiai alzandomi.
- Ehi, perché sei arrabbiata? Non capisco -
- Alex, per una ragazza come me, che non ha mai avuto rapporti con persone per otto anni e che quindi non ha esperienze di nessun tipo, è veramente disturbante tutto ciò che comporta baci, abbracci e carezze, soprattutto da parte di un ragazzo. A te forse non te ne potrà fregare nulla, ma era il mio primo bacio quello, e tu me l’ hai portato via perché “ avevi voglia di farlo” - gli strillai mimando con le mani le virgolette avvicinandomi a lui.
- Pensavo ti facesse piacere, tutte le ragazze non vedono l’ora di provare il primo bacio. Ti ho fatto un favore -
- Sarebbe stato un favore se te lo avessi chiesto. Sei stato tu a baciarmi, ed io di certo non te l’ho mai chiesto! Era una cosa che volevo tenermi per un occasione speciale! -
- Ma tu hai risposto al bacio! Perché te la prendi tanto, non ti ho violentata, tu eri consenziente! - si difese lui aggrottando la fronte.
- Perché pensavo fosse un’occasione speciale! – strillai serrando i pugni. Mi stava venendo da piangere – e invece era solo un tuo capriccio. Grazie mille! - dissi dandogli uno spintone. Mi voltai per andarmene ma venni afferrata per un braccio.
- Aspetta, parliamone -
- Di cosa vuoi parlare!? COSA!? Sei un idiota come il resto della generazione maschile! Cavolo, pensavo fossi una persona per bene! - dissi voltandomi ed incenerendolo nuovamente. Maggie aveva cominciato ad abbagliare sentendo la lite che aumentava.
- La colpa è tua! Ieri sera hai cominciato a sprigionare feromoni da tutte le parti! Mi hai dato tutti i segnali di una che implorava di essere baciata! E non mi hai neanche fermato! -
- Ah! Adesso sarebbe colpa mia!? Avrei sprigionato i feromoni che ti hanno costretto a baciarmi!? Guarda cosa sprigiono adesso! - strillai prima di assestargli un ceffone in piena guancia. Il rumore rimbombò per tutta la casa e Maggie smise di abbaiare. Alex si portò una mano sulla guancia che piano piano stava prendendo colore.
- Sei proprio un idiota - commentai prima di uscire di casa.
 
Per tutto il giorno rimasi al parco, seduta su una panchina a pensare. Avevo fatto una di quelle solite uscite teatrali che fanno sempre nei film invece di continuare a parlare, e di questo me ne stavo pentendo, perché cominciavano ad arrivare frasi di senso compiuto che avrei potuto dirgli. Probabilmente non aveva ben capito il perché del mio malumore. Ma cosa potevo dirgli? Che c’ero rimasta male perché invece di dichiararsi aveva buttato un “avevo voglia di farlo” ? Che per me quel bacio aveva un significato molto più profondo di quello che aveva lui?. Non avrebbe comunque capito, o forse si sarebbe allontanato mettendo le mani avanti e dicendomi che ero una povera illusa e che non aveva nessuna intenzione di cominciare una relazione con me. Perché avrebbe dovuto poi? Ero una ragazza invisibile. Non esistevo per nessuno, e di certo non sarebbe stato normale per lui da spiegare.
Stupida io che ci ho anche sperato. Ma dove ho la testa? È un ragazzo nel pieno dell’adolescenza, dovrebbe essere strano che non mi sia saltato addosso.
Sospirai. Non mi piaceva litigare con lui, e stava accadendo troppo spesso. Tutto per colpa mia, mi stavo facendo coinvolgere troppo da delle stupide emozioni.
Dovrei smetterla di farmi stupidi film. Sono destinata a rimanere sola. Alex prima o poi si sposerà e giustamente mi caccerà di casa, ed io ricomincerò a vagare come la povera anima persa che sono.
Forse sono morta e questa è la mia pena? Sono finita in questo limbo dal quale non uscirò mai più?
Impossibile. Se fossi morta dovrei ancora avere dieci anni. E non ricordo di aver commesso crimini così gravi da meritarmi questo strazio.
Alzai lo sguardo, guardando i bambini che giocavano e passeggiavano con i propri genitori. Forse era la buona occasione per tornare in Italia. Dopo lo schiaffo che gli avevo tirato di certo non mi avrebbe fatto rientrare in casa. Sbuffai, pensando che sarebbe stato meglio se non avessi mai insistito per abitare con lui. Ci aveva solo portato problemi.
Mi alzai, pronta a tornare a casa per dirgli addio, ma quando mi voltai lo vidi davanti a me mentre mi guardava.
Da quanto tempo sei qui?
Non sembrava arrabbiato, ma era serio. Lo guardai, notando le cinque dita ancora visibili sulla sua guancia. Non ci ero andata leggera.
Vidi una sua mano infilarsi in tasca, estraendo l’auricolare per infilarlo all’orecchio.
- Posso parlarti o sei impegnata? - chiese lui guardandomi.
- Dimmi -
- Non starò qui a chiederti il perché tu mi abbia picchiato in questo modo violento – commentò sarcastico e accennai ad un sorriso – e non ti chiederò nemmeno il perché tu abbia reagito in questo modo. Capisco di essermi comportato da perfetto idiota, e ti chiedo scusa a nome di tutti gli istinti perversi dei ragazzi. So che non sei contenta della risposta che ti ho dato. Lo so. Devi capire però che non tutti sono diretti come te, ed io sono un essere abbastanza timido che in questo momento ha la gola secca solo perché ti sta davanti. – continuò deglutendo ed io mi accigliai – Quello che sto cercando di dire… è che sei la prima ragazza che invece di credersi già fidanzata con me, mi chiede perché l’abbia baciata. Non riuscivo a capire a cosa pensassi, non sapevo come risponderti e ho detto la prima cosa che mi è venuta in mente. Sto cominciando a provare un profondo affetto per te, e ciò mi spaventa perché la tua situazione, la nostra situazione, è troppo strana e non so come potrebbe andare a finire. E comunque è vero che avevo voglia di baciarti… ma non c’è scritto da nessuna parte che ti debba dare dei validi motivi per cui l’abbia fatto. - concluse lui. Restai in silenzio, come avevo fatto negli ultimi secondi, per guardarlo meglio. Sembrava sincero. Forse lo era davvero.
- Dì qualcosa - mi incalzò lui vedendo che non rispondevo. Sogghignai.
- Sei diventato tutto rosso - commentai solamente.
- Grazie davvero… - borbottò abbassando lo sguardo. Si stava vergognando come un ladro. Sorrisi, andandogli incontro per abbracciarlo. Non c’era un motivo preciso, avevo solo voglia di farlo. Non rispose all’abbraccio, ma capii che semplicemente non poteva perché eravamo in un luogo pubblico. Mi beai del suo calore corporeo che era sempre a livelli di un termosifone.
- Andiamo a casa - disse poi cominciando a camminare. Sorrisi venendogli dietro.
Possibile che non riesca mai ad arrabbiarmi davvero con lui?
Lo seguii in silenzio fino a casa, riflettendo sulle sue parole. Anche lui cominciava a provare lo stesso affetto che provavo io per lui?
Fa tanto il pallone gonfiato quando mi racconta delle sue vecchie fiamme e adesso non riesce a dirmi se prova qualcosa per me o no.
Sospirai, incurante del fatto che potesse sentirmi. Avrei dovuto fare la prima mossa? Scossi la testa, andava contro ogni mio principio. Ma forse avrei potuto aiutarlo. O forse no.
Accidenti, che devo fare?
Una volta arrivati in casa lo vidi sgattaiolare via nella sua camera. Sospirai nuovamente.
Uomini, tutte donne.
Andai a sedermi sul divano e ripresi in mano il libro che stavo leggendo. Avrei aspettato che il suo cervello lento si fosse deciso.
 
- Sono a casa! – tuonò Angie inaspettatamente chiudendo la porta – Alex, ci sei? -
- Angie, che ci fai qui? Avevi detto che saresti tornata domani - disse Alexander scendendo le scale.
- Lo so, ma ho deciso di cenare a casa con il mio bel fratellino stasera - disse lei con allegria.
- Ti ha lasciata? - chiese lui non facendosi abbindolare dalle parole di lei.
- Ma no Alex, cosa farnetichi, volevo davvero passare la serata con te - commentò lei con disapprovo.
- L’hai lasciato tu? - continuò imperterrito incrociando le braccia.
- Nooo, che stress che sei, era meglio se non tornavo -
- Aaah ho capito, l’hai beccato con un’altra - disse come se gli si fosse accesa una lampadina. Angie scattò all’istante.
- Mi tradisce capisci!? Non fa altro che dirmi quanto mi ama e quanto lo rendo felice e poi manda messaggi sessuali ad una sgualdrina! Glieli ho trovati sul telefono! E lui sai cosa ha risposto? – chiese lei fuori di se – “ mi sto solo divertendo”. Capisci!? -
- Te lo avevamo detto che non era adatto a te. Ma tu non ci dai mai retta, come se volessimo solo il tuo male - borbottò lui ammonendola.
- Ma infatti io credo che siete voi che mi lanciate le fatture! Come dico di avere un ragazzo, appena voi dite “ no, non fa per te” o lui mi lascia o mi tradisce! - piagnucolò lei. Sentii Alex sospirare.
- Lo devo andare a picchiare? - chiese lui sorridendo.
- No, no. Non preoccuparti. - sospirò lei. Si erano spostati dov’ero io.
Continuarono a chiacchierare per un po’, mentre io girovagavo per casa cercando di non impicciarmi troppo delle loro conversazioni. Dopo una mezz’ora la conversazione si era spostata completamente su altro.
- Tu credi ai fantasmi Angie? - chiese improvvisamente Alexander guardando la sorella.
- I fantasmi? Perché me lo chiedi? -
- Così, per sapere -
- Non so, ci sono tante testimonianze che dicono che esistono, ma se esistessero i fantasmi dovrebbe esistere anche tutto il resto, no? Alieni, fate, folletti - pensò lei.
- Che cosa faresti se ce ne fosse uno in casa? - chiese lui con un ghigno.
Ehi, io non sono un fantasma!
- Cambierei casa probabilmente - sorrise lei.
- E se fosse un fantasma buono? -
- Lo stesso. Buono o meno è invisibile agli occhi di tutti, potrebbe guardarmi mentre faccio la doccia o fare altre cose poco raccomandabili -
Un fantasma pervertito.
- Addirittura? – scoppiò a ridere lui. – e se ti dicessi che ne abbiamo uno in casa? -
- Alex, io non sono un fantasma - borbottai incenerendolo, ma fui ovviamente ignorata.
- Tanto lo so che mi stai prendendo in giro. – sorrise lei per poi incupirsi – ma perché, tu ne vedi uno? Hai ricominciato ad avere le allucinazioni Alex? - chiese preoccupata lei facendomi incuriosire.
Ricominciato? Vuol dire che un tempo aveva allucinazioni?
- No no, non preoccuparti. Era giusto per parlare - commentò lui alzandosi.
- Capisco… mangiamo? Più tardi esco con le mie amiche. Serata tra donne - concluse lei andando in cucina.
 
Quando Angie se ne fu andata, Alex fece mangiare anche me. Lo guardavo silenziosa, non sapendo se potessi chiedere o meno.
Alla fine la curiosità mi vinse.
- Che intendeva prima Angie? - chiesi.
- Mh? Riguardo a cosa? -
- Alle allucinazioni - dissi vedendolo un po’ restio a parlare della cosa. Sbuffò.
- E’ successo tanto tempo fa. Nulla di preoccupante. - commentò.
- Se non vuoi parlarne non ti costringo - mormorai guardandolo.
- Diciamo che non è una cosa di cui mi vanto. - disse lui senza guardarmi. Rimasi in silenzio senza aggiungere altro. Sembrava ci stesse pensando, forse era indeciso se parlarmene o meno. Io e Alex non parlavamo spesso dei rispettivi passati, a parte quando gli raccontavo della mia vita di quando non ero invisibile. Per il resto conoscevo solo il suo presente.
- Qualche anno fa ho avuto un incidente con la moto perché ero ubriaco. Sono rimasto in coma per qualche settimana, e quando mi sono svegliato avevo delle allucinazioni. - confessò lui a testa bassa. Restai in silenzio. Non mi aveva mai raccontato una cosa simile. In realtà non conoscevo quasi nulla di lui, ma scoprire da un momento all’altro che aveva rischiato la vita in questo modo mi faceva venire l’ansia.
- Che tipo di allucinazioni erano? - chiesi interessandomi.
- Alcune erano stupide, tipo pinguini che camminavano in mezzo alla strada o mia sorella che ogni tanto mi appariva davanti anche se non c’era – disse lui facendomi sorridere – altre invece erano più violente. Vedevo serial killer che volevano uccidermi, o macchine venirmi addosso anche se ero in casa. Anche nel cuore della notte -
- Capisco. Beh, adesso sei in ottima forma no? Niente di cui preoccuparsi - dissi sorridendo e dandogli delle pacche sulle spalle.
- Da piccolo ero uno scapestrato, non so quanti ossi mi sono rotto - sorrise lui dopo un po’ ricordando.
- Io no, ero spericolata ma prudente. Non sono mai finita in ospedale - commentai sorridendo.
- Non dirlo troppo forte - sogghignò lui.
- Se mi rompessi una gamba in queste condizioni me la terrei rotta. Nessun medico potrebbe curarmi -
- Io sono ottimista, spero che un giorno tu possa tornare visibile -
Lo spero tanto anche io.
- Se fossi visibile le cose sarebbero diverse - commentai pensandoci su.
- Già, a quest’ora saresti la mia ragazza -
- No, a quest’ora non sarei qui e vivrei in Italia - risposi per poi rielaborare quello che aveva detto lui.
Ho capito male io o ha proprio detto “ la mia ragazza?” sono impazzita? O è impazzito lui?
Santo cielo, l’ha proprio detto!?
- Allora posso dire egoisticamente che sono contento che sei invisibile - commentò lui per poi notare probabilmente la mia faccia sconvolta.
- Non guardarmi così, dovresti averlo capito ormai che mi piaci. - borbottò lui.
Mayday mayday abbiamo un problema, il cuore si sta fermando. Ripeto. Il cuore si sta fermando!
- …tu… - deglutii non riuscendo a mettere insieme due parole. Lo vidi sorridere divertito. – tu… -
- Sì, proprio io. – sorrise lui facendomi arrossire – pensavo di avertelo fatto capire al parco. Sei più tarda di quanto pensassi -
- Ma io…. Tu… EHI! Tu prima fai il timidone dei miei stivali e poi me lo dici così! Come se mi stessi offrendo delle patatine!? - chiesi riprendendomi.
- Ho bisogno dei miei tempi ok? - rispose divertito.
- Come osi sorridere in questo modo dopo avermi fatto penare questa mattina!? Non potevi dirlo subito invece di farmi ar… - non riuscii a finire la frase perché mi tappò la bocca. Con la sua.
- Io mi stavo lamentando - mormorai a pochi centimetri dalla sua bocca.
- Ah si? - soffiò lui continuando a guardare le mie labbra.
- Già. -
- Continua allora - sorrise lui spostandosi di poco all’indietro.
- Mi hai fatto perdere la voglia -
- E cosa hai voglia di fare adesso? - mi provocò lui con un sorrisetto malizioso.
- Niente di sconcio con te - risposi sulla difensiva.
- Come sei perversa, io stavo pensando di andare a dormire. – sorrise innocente lui alzandosi e stampandomi un bacio sui capelli – buonanotte - disse sparendo tra le scale. Mi morsi un labbro cercando di non sorridere.
Che razza di stronzo.

Angolo di Feilin
Buonasera :D lo so, è passato un'altro mese ( se non due) dall'ultimo capitolo, ma ero un pò confusa sul da farsi. Piano piano ci stiamo avvicinando alla fine, e sono indecisa tra due finali, uno diverso dall'altro. Che dite? li metto tutti e due? XD metto un finale e poi un " come sarebbe potuto finire" ? ditemi voi u.u e ditemi anche cosa ne pensate di questo capitolo. ç_ç è un pò cortino ma è stato un parto per me, quindi accettatelo così com'è XD lasciatemi un commentino u.u
Ringrazio come sempre chi legge la mia storia *^* e ringrazio ancora di più chi recensisce ( vi amo <3). Un bacione e al prossimo capitolo! :D
Ah! se volete passate anche Qui!. E' una storia scritta da una mia amica u.u ditemi se vi piace anche questa :D 

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Capitolo 7
*** Amarsi ***


10 settembre 2014
 
- Feffe -
- Dimmi -
- Lo sai che ti amo? -
- Addirittura -
- Possibile che tu mi debba sempre rispondere così? - borbottò lui guardandomi.
- Te l’ho già spiegato, questa storia del ti amo arriverà quando saprò con certezza di essere innamorata di te. Non voglio sprecarlo per una cotta -
- E tu mi vedi solo come una cotta? - chiese lui ferito.
- Non guardarmi così, lo sai che non ho esperienze di nessun tipo, non so neanche che significhi essere innamorata di qualcuno. Suppongo che quando sentirò il bisogno di dirtelo te lo dirò - conclusi.
- Sono passati sei mesi ormai, cosa devo fare per farti innamorare di me? -
- Non lo so, dimmelo tu. Sei tu quello con più esperienze. Non dirmi che tutte le tue fidanzate ti hanno “ amato” dal primo istante? - chiesi mettendomi meglio sopra il letto.
- Beh… si. Insomma dopo una o due settimane erano tutte miele e cuoricini. Volavano ti amo da tutte le parti. -
- Ah. Beh con me dovrai impegnarti di più - mormorai guardandolo avvicinarsi di nuovo a me. Ci eravamo appisolati sul letto insieme dopo aver dato una sistemata a tutta la casa visto che i suoi genitori non c’erano. Erano passati sei mesi da quando Alex mi aveva detto di piacergli e da lì era stato metà in salita e metà in discesa. In salita perché io ero troppo inesperta per un ragazzo della sua età con esigenze troppo specifiche per me. In discesa perché adesso eravamo molto più vicini e uniti per qualsiasi cosa.
Dopo i primi imbarazzi iniziali eravamo diventati quasi ufficialmente una buona coppia. Se non fosse stato per il fatto della mia invisibilità ovviamente. Mi pesava non poter essere vista al suo fianco, mi pesava il fatto che lui non potesse dire al mondo di essere diventato una mia proprietà privata, e soprattutto odiavo il fatto che non ci potessimo tenere per mano o abbracciarci quando uscivamo insieme. Però ci provavamo, e non ci fermava dal volerci bene. Dopo il primo mese mi aveva spiazzata dicendomi “ti amo” ed io ero rimasta senza parole. Nel vero senso della parola, non aprii bocca. Era una parola davvero troppo grande per me, e non ero ancora sicura di volergliela dire. C’era rimasto male ma non si era dato per vinto, dicendo che sarebbe stato paziente e che me lo avrebbe ripetuto tutti i giorni finché non gli avessi risposto a dovere. E lo aveva fatto davvero. Per ben cinque mesi.
Era quasi diventato un gioco per noi, anche se spesso mi dispiaceva demoralizzarlo.
- Tanto lo so che tu mi ami ma non vuoi dirmelo - ghignò lui avvicinando il suo viso al mio.
- Convinto tu - sorrisi di rimando.
Oltre al ti amo mancato doveva combattere anche con la mia timidezza, o vergogna, negli approcci fisici. Non lo facevo apposta, davvero, ma a volte, soprattutto i primi tempi, mi pietrificavo del tutto. Lo ammiravo davvero per la pazienza che dimostrava e con il passare del tempo capivo che forse doveva amarmi davvero per poter accettare tutto questo.
Sua sorella, nel mentre, continuava a tenerlo d’occhio perché lo vedeva strano. Era l’unica in casa ad essersi accorta del fatto che spesso parlava con me, o si rinchiudeva intere giornate a casa per stare con me. Ovviamente per lei io non esistevo, quindi di conseguenza erano stranezze per lei tutto ciò che Alex faceva con me.
Mi metteva a disagio il fatto che Angie potesse sospettare di lui, soprattutto da quando avevo scoperto i precedenti di Alex in quanto ad allucinazioni. Non volevo far preoccupare la famiglia inutilmente.
- Ti va di uscire oggi? - mi chiese facendomi ritornare alla realtà.
- E dove mi porti? -
- Ovunque tu voglia - sorrise lui.
- Come sei romantico - commentai divertita.
- E sono anche divertente, sensibile, premuroso, rispettoso, paziente e bellissimo - si vantò lui.
- E modesto - conclusi io guardandolo.
- Soprattutto quello - mormorò lui prendendomi il viso e stampandomi velocemente un bacio a tradimento.
- Ehi - dissi contrariata.
- Cosa? Non posso baciare la mia ragazza? Mi neghi anche il diritto di baciarti? È tirannia questa - si lamentò in modo teatrale. Sbottai a ridere.
- Smettila di fare lo stupido. A che ora vogliamo uscire? -
- Quando vuoi tu, tesoro mio - mi ammiccò lui. Scossi la testa guardandolo. Mi metteva di buon umore vederlo sempre contento. Mi rallegrava ogni giornata.
 
- Non ho capito che film stiamo andando a vedere - dissi mentre entravamo nella sala del cinema. Era tutta buia, intenta a trasmettere la pubblicità in attesa dell’inizio del film. Molte persone erano già sedute, intente a mangiare popcorn.
- Adesso lo vedi. - bisbigliò lui sedendosi. Mi sedetti accanto a lui, sperando che non arrivasse prima o poi qualcuno a sedersi sopra di me.
- Non dirmi che è un horror - mormorai già intenta ad andarmene. Non che non mi piacessero gli horror, ma non li avevo mai visti al cinema e avevo paura che mi sarei traumatizzata per sempre.
- Stai calma e aspetta l’inizio del film - mormorò lui prendendomi per mano e sorridendo per tranquillizzarmi.
Con quel bel sorriso che hai c’è poco da fare.
Attesi in silenzio l’inizio del film che non tardò ad arrivare.
Ma non ci credo.
- Frozen!? Mi hai davvero portato a vedere Frozen!? - sorrisi contentissima.
- Prego - rispose lui cercando di non sbottare a ridere.
- Come facevi a sapere che amo la Disney? - chiesi perplessa e meravigliata allo stesso tempo. Non ricordavo di averglielo mai detto nella mia vita.
- Canticchi sempre canzoni dei cartoni quando non hai niente da fare. Soprattutto sotto la doccia. -
Santo cielo, quindi mi ha sentito stonare sotto la doccia?
Arrossii vergognandomi a morte.
- Riesco a vedere le tue guance rosse anche se è buio pesto - rise lui pizzicandomene una.
 
- E’ stato bellissimo! Mi è piaciuto tantissimo! -
- Secondo me cantano troppo -
- A me è piaciuto lo stesso! E finalmente un film della Disney in cui il vero amore non è quello che incontri e sposi nello stesso giorno! - commentai saltellando felice come una pasqua mentre camminavamo per il Central Park.
- Sono contento che ti sia piaciuto - sorrise lui sempre armato del suo auricolare. Lo guardai. Aveva le mani in tasca e camminava in modo più tranquillo rispetto al mio andamento da psicopatica.
Come fai ad essere così bello? Non mi sento quasi degna di starti vicino.
Sono davvero troppo fortunata. E devo ringraziare la mia invisibilità per questo. Anche se, probabilmente se era destino che ci incontrassimo, ci saremmo conosciuti anche in diverse circostanze.
- Grazie -
- Per cosa? - chiese lui confuso.
- Per tutto - sorrisi io andandogli incontro per abbracciarlo. Sprofondai la testa nel suo petto.
- Lo sai che ti detesto profondamente? - borbottò lui irrigidendosi.
- Perché? - chiesi alzando la testa per guardarlo.
- Perché ti fai venire questi attacchi diabetici quando io non posso risponderti. Tu vuoi uccidermi donna. A casa mi fai dannare per un bacio e fuori mi strapazzi come un peluche -
- Non è colpa mia se mi viene voglia di spupazzarti solo in luoghi in cui non puoi saltarmi addosso - dissi in modo innocente.
Lo sentii sospirare esasperato mentre io strofinavo la mia esta sul suo petto stringendolo più forte, ascoltando il suo respiro lento e il suo cuore più veloce in contrasto.
- Se me lo dicessi adesso sarebbe davvero l’ideale - mormorò lui.
- Cosa? -
- Che mi ami -
- E’ così importante per te che te lo dica a parole? - chiesi continuando a restare ancorata a lui.
- Sì. Nessuno può vedere tutto questo. Nessuno può sapere ciò che proviamo. Solo noi possiamo, ed io ne ho bisogno - commentò lui staccandomi e mettendomi le mani sul viso, perforandomi con lo sguardo.
- Alex…- mormorai imbarazzata, ma lui mi costrinse a tenere lo sguardo su di lui.
- Dillo -
- Io… -
- Forza - sorrise dolcemente. Sentii il panico crescere dentro di me senza un reale motivo.
- Io… ho bisogno di più tempo - mormorai sentendomi il cuore esplodere. Non smise di sorridere, ma vidi perfettamente la luce di speranza nei suoi occhi spegnersi. Appoggiò la fronte sulla mia inspirando lentamente.
- Al…-
- Andiamo a casa - mormorò lui voltandosi e cominciando a camminare.
Restai qualche secondo immobile, per poi venirgli dietro. Era arrabbiato. O peggio, era deluso, triste, rassegnato.
Ferito.
Mi sento così in colpa. Mi sento male. Ho un nodo stretto nello stomaco che si muove e mi fa venire voglia di piangere.
Potrei mettere fine a questa agonia. Potrei dirlo adesso, urlarlo al mondo e a lui.
Eppure davvero non ci riesco.
- Alex… aspetta –mormorai andandogli dietro come un cane – sei… sei arrabbiato con me? Io… io non volevo ferirti… è che… io non… - non sapevo cosa dire, ero agitata, presa dal panico della situazione. Non mi rispondeva, non mi guardava e la cosa mi innervosiva.
Lui continuò a camminare verso casa senza voltarsi mai. Senza dire una parola. Lo seguii richiamandolo qualche volta senza ricevere risposta.
Mi lascia. Lo so, è finita ormai. Sapevo che non sarebbe durata troppo.
Entrammo in casa, ancora vuota se non per Maggie che sonnecchiava nella sua cuccia. Lui salì in camera per poi infilarsi in bagno, da cui sentii provenire il suono della doccia. Sospirai, sedendomi sul letto.
Restai immobile a guardare il pavimento per svariati minuti, finché non decisi di andare davanti alla porta del bagno.
- Alex – dissi bussando, non sentendo più l’acqua della doccia accesa – per favore rispondimi -
La sua risposta fu l’accensione del fono. Sospirai, accucciandomi a terra davanti alla porta.
Avrei aspettato che uscisse.
Ho bisogno di parlargli. Dobbiamo parlare, subito, non mi piace per niente il suo silenzio. Mi mette ansia.
Dopo altri minuti che sembrarono infiniti, sentii il chiavistello della porta girare, così mi alzai aspettando che uscisse. La porta si aprii, rivelando Alexander a petto nudo, coperto solo dall’asciugamano. Aprii la bocca nel tentativo di dire qualcosa ma non uscì nulla.
Non distrarti maledizione.
- Alex – pronunciai dopo aver deglutito – possiamo parlare? - chiesi mentre lui mi passava affianco per andare in camera. Lo seguii imperterrita.
- Alexander! - lo chiamai con più forza, afferrandolo per un braccio.
- Cosa? -  mi rispose lui.
- Possiamo parlare? Per favore -
- Di cosa? Di cosa vuoi parlare? Eh? - chiese lui in modo irritato, guardandomi – Sono due semplici parole, Dio santo. Che problemi hai? -
- Ti avevo detto che non sarebbe stato facile… -
- Ho capito Federì, ma sono passati sei mesi. Non due settimane. Sei mesi. Cosa dovrei fare? Più che esprimerti il mio affetto e metterti a tuo agio cosa vuoi che faccia!? Mi chiedi più tempo, ma di quanto tempo hai bisogno? Tra due mesi è Novembre, il che significa un anno da quando sei apparsa nella mia vita. Un anno! - sbottò lui innervosito.
- Non prendertela così… -
- Cosa!? Hai una vaga idea di come io mi senta ogni volta che ti espongo i miei sentimenti e tu non li ricambi!? Come ti sentiresti tu al mio posto? Non ti sentiresti presa in giro? Tutti gli esseri umani hanno bisogno di certezze e di essere rassicurati qualche volta. E fino a prova contraria io sono un umano! E ho bisogno come te di sapere che sono corrisposto! -
- Non lo faccio apposta, davvero! È che davvero mi si blocca tutto quando ci penso. Mi dispiace così tanto di farti sentire così. Ma tu sai cosa provo per te, è solo che non riesco a dirtelo – commentai vendendolo dissentire con la testa – Alex ti prego, tu devi credermi -
- E allora dillo. - soffiò lui in modo freddo.
Restai in silenzio, deglutendo, tirando indietro le lacrime che volevano uscire per il terrore che stava crescendo in me.
Guardai i suoi occhi che aspettavano impazienti e che mi scrutavano l’anima. Cercavano di leggermi dentro, e forse ci stava riuscendo, o forse no. Abbassai la testa sentendomi pesare quello sguardo e mi voltai pronta ad uscire dalla stanza.
- Oh no, non te ne vai -  ringhiò lui afferrandomi per un braccio e avvicinandomi a lui. Venni aggredita dalle sue labbra che mi baciarono con prepotenza. Sobbalzai impreparata e quasi istintivamente cercai di allontanarlo, ma non me lo permise. Afferrò il mio viso con le mani e mi fece indietreggiare fino all’armadio. Irruppe con la sua lingua nella bocca, togliendomi tutto il fiato che avevo, e cercai di spingerlo via con le mani, ma le afferrò prontamente e me le bloccò sulla testa. Capii che tutte le volte che lo avevo respinto o fermato in questi momenti, mi erano stati possibili solo perché lui acconsentiva a farlo, non perché ci riuscissi davvero. Adesso lui non era intenzionato a staccarsi.
Mugugnai contrariata, benché una parte del mio corpo sembrava gli stesse perfino rispondendo.
Si staccò dalle mie labbra, permettendomi di respirare, facendomi sospirare subito dopo per il brivido che mi aveva attraversato tutta la schiena nello stesso momento in cui mi aveva sfiorato il collo.
Il cuore stava battendo all’impazzata, e pensavo seriamente che da un momento all’altro sarebbe uscito dal petto.
Staccò una delle mani per percorrere il mio fianco in una carezza leggera e poi più audace, mentre lentamente cominciavo a lasciarmi andare al suo volere. Sentivo le gambe tremare ed ero più che convinta che a breve avrebbero ceduto. Staccando anche l’altra mano, tornò alla mia bocca mentre entrambe le mani si avvicinavano alle mie natiche, afferrandole e facendo pressione. Affondai le mie mani tremanti fra i suoi capelli, seguendo i suoi movimenti con le labbra e stringendomi a lui. I baci cominciarono a farsi più spinti e in poco tempo mi ritrovai sdraiata sul letto con lui sopra. Si staccò per riprendere fiato e mi guardò, facendomi arrossire. Sorrise, appoggiando la fronte sulla mia.
- Stai tremando come una foglia - mormorò lui – da cosa sei così spaventata? -
Non risposi, perché non sapevo la risposta.
- Mi dispiace, forse ti ho spaventata io. Sono stato troppo rude? Ma sembra che solo così riesci a scioglierti più facilmente. – commentò alzando il viso e guardandomi nuovamente. Dalla mia ero troppo concentrata a cercare di non notare il fatto che fosse mezzo nudo sopra di me – Io ti amo, piccolo fantasmino spaventato. Puoi amarmi anche tu? - chiese dolcemente.
Annuii debolmente, puntando gli occhi nei suoi.
- Non guardarmi con questi occhioni indifesi, mi fai quasi sentire in colpa - sorrise lui tirandomi una guancia.
- Posso baciarti senza che ti venga un infarto? - chiese avvicinandosi.
- Non ti prometto nulla - risposi.
- Beh, già che parli è un buon segno - commentò prima di posare nuovamente le labbra sulle mie però in modo più dolce e delicato di prima.
Come fa? Come può essere così? Un ragazzo del genere non esiste.
Mi feci cogliere da un moto di tenerezza strana, che mi fece ancorare le braccia alla sua schiena per stringerlo a me, cosa che gli fece perdere l’equilibrio e lo fece sdraiare completamente su di me.
- Ma che fai? - chiese lui perplesso.
- Niente. Avevo solo voglia di sentirti più vicino - commentai affondando la testa nell’incavo del suo collo.
- E quanto vicino vuoi sentirmi? - chiese lui con un velo di malizia, celata dalla serietà della domanda.
Quanto vicino voglio sentirlo?
Non sono sicura di volerlo dire.
Ci guardammo per svariati secondi negli occhi, e lessi nei suoi la silenziosa domanda che mi stava ponendo, sebbene pochi minuti prima avesse cominciato senza chiedere.
Chiusi gli occhi, inspirai, riaprii gli occhi e mi aprii in un sorriso timido.
Tornammo a baciarci molto lentamente, in modo quasi snervante. Le sue mani cominciarono a vagare delicatamente sul mio corpo, ed ad ogni carezza fremevo.
I baci cominciarono a farsi spinti, la sua lingua cominciò a danzare con la mia, mentre le carezze cominciavano a farsi più audaci. Lentamente cominciò a sbottonarmi la camicia, e sentii piano piano un calore salirmi alle guance. Non che  mi vergognassi di farmi vedere in reggiseno, infondo spesso non ci facevo caso se mi spogliavo o meno di fronte a lui. Ma in quel momento mi sentivo vulnerabile. Sapevo che mi stava per guardare con occhi forse critici, mettendomi in comparazione con le sue ex. Mi sfilò lentamente la camicia e chiusi gli occhi, imbarazzata. Lo sentii ridacchiare per la mia reazione, e poco dopo un leggero dolore colpirmi alla pancia.
Ma…. Mi ha morso!
- Ahia! - mi lamentai dandogli un colpetto in testa. Lui cominciò a ridere mettendo le mani sui miei fianchi.
- Ti preferisco arrabbiata che imbarazzata per cose inutili. -
- Non sono cose inutili… - borbottai sentendomi offesa.
- Non dovresti vergognarti del tuo corpo. Io lo trovo… perfetto - commentò in modo malizioso. Mi vergognai nuovamente e lui cominciò a farmi il solletico.
- Metti via quello sguardo subito, signorina! - disse mentre io mi piegavo in due cercando di evitare le sue mani.
Ricominciò a baciarmi, ed io lo seguii a ruota sentendomi più leggera. Tornò ad accarezzarmi ed io inarcai la schiena, permettendogli di slacciarmi il reggiseno velocemente. Sentii il reggiseno scivolare via velocemente, per finire chissà dove, e cercai di non far caso a come mi guardava. Era la prima volta che mi vedeva mezza nuda. E sapevo che non sarebbe finita lì.
Tutto divenne più veloce. In poco tempo mi sfilò i pantaloni e gli slip. Continuò a baciarmi e a distrarmi dal fatto di essere completamente nudi l’uno sopra l’altra e in poco tempo degli ansiti riempirono la stanza. Pelle contro pelle, cominciai a sentire un incendio nello stomaco che si propagandava su tutto il corpo, e sapevo che di lì a poco sarei scoppiata. Ansimavo e tremavo sotto i suoi tocchi e sotto i suoi baci. Non ci volle molto prima che si decidesse ad unire i nostri corpi in modo più profondo. Mi sentii strana, ma non spaventata. O almeno non troppo.
Le nostre anime si toccarono, e unendoci entrambi ci perdemmo nell’oblio.
 
Aprii gli occhi sentendo bussare alla porta. Mi voltai, guardando il viso addormentato di Alex accanto al mio. L’osservai, coperto solo dal lenzuolo che lo copriva solo dal bacino in giù, mettendo in mostra gli addominali e tutto il ben di Dio che aveva.
Un momento. Ma io sono nuda!
Mi affrettai ad afferrare la coperta e a tirarmela addosso per coprire ogni parte del mio corpo.
- Alex! Ci sei? Stai dormendo? - disse la voce di sua sorella da dietro la porta. Diedi delle leggere spinte ad Alexander per destarlo dal suo sonno profondo.
- Mh? Eh? - bofonchiò lui. Due secondi dopo Angie entrò nella stanza e guardò perplessa suo fratello.
- … Perché sei nudo? -
- Eh? – mormorò nuovamente lui ancora stordito. Guardò me, poi sua sorella, ed infine se stesso – avevo caldo - mormorò grattandosi la testa.
- Caldo. Va bene, senti vedi di metterti qualcosa addosso e di scendere per pranzo oggi. Ieri sera non hai cenato, sei andato a dormire presto - continuò lei, guardandolo in modo indagatore.
- Sì,sì - mormorò sbadigliando. Angie uscì dalla stanza, ed io tirai un sospiro di sollievo.
- Buongiorno - mi salutò lui sorridendo.
- Buongiorno - risposi coprendomi fino al naso con il lenzuolo.
- Come ti senti? -
- Intorpidita -
- Normale. Non sei allenata - commentò lui con un velo di malizia mentre si alzava indisturbato per andare all’armadio.
- Ma copriti!!! - urlai coprendomi gli occhi. Lo sentii ridere.
- Di cosa ti vergogni? Tu mi hai visto ieri sera. Ed io ho visto te. Non dovresti vergognarti più ormai - commento infilandosi un paio di boxer e avvicinandosi a me come una tigre pronta ad aggredirmi.
- Non ti azzardare a fare il maniaco! - commentai stringendo prepotentemente la coperta. Lui scoppiò nuovamente a ridere, lanciandomi l’intimo e una maglia. Mi misi sotto il lenzuolo e cominciai a vestirmi lì sotto.
- Sei stata molto brava. Dovremmo rifarlo ogni tanto - scherzò lui lanciandomi una frecciatina.
- Non ti ci abituare troppo - dissi uscendo dal letto e mettendomi in piedi.
- Oh, ma sono sicuro che ti piacerà. È un ottimo sport sai? Ti mantiene in forma - mi ammiccò prendendomi per i fianchi e avvicinandomi a lui.
- Vedremo - commentai ironica. Lui sorrise, stampandomi un bacio sulla fronte e abbracciandomi, avvolgendomi tra le sue calde e forti braccia.
Mi sento così protetta. Potrei restare qui per sempre. 


Angolo di Feilin
salve! sono viva eh! non mi sono scordata della ff! anche se ci metto mille anni a pubblicare, una riga al giorno la scrivo. L'accademia mi distrugge, e non ho il tempo nemmeno per piangere. Ma sono qui per voi *^* ebbene? finalmente no? ce l 'hanno fatta quiesti giuovani. Il prossimo sarà l'ultimo capitolo ( ebbene sì) e poi ci saranno i due attesissimi finali. sperò di pubblicare tutto ciò entro pasqua XD abbiate fede!! ma intanto ditemi, miei piccoli lettori <3 vi è piaciuto il capitolo? a me non tanto, lo vedo troppo frettoloso, ma sono una frana a scrivere queste scene, abbiate pietà della mia povera anima. ditemi voi. lasciatemi un commentino *^* e ringrazio chi mi legge e ancora di più chi mi sostiene con le recensioni. Ve se ama <3 ebbene, un bacione e al prossimo capitolo cari!

ps: leggete anche questo se non avete niente da fare. è caruccio *^*  Cliccami!!!

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