Niente sembra bastare di Aura (/viewuser.php?uid=1032)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il signor Testa di... Corno ***
Capitolo 2: *** Una serata da dimenticare ***
Capitolo 3: *** Un malinteso ***
Capitolo 4: *** Difese (immunitarie) abbassate ***
Capitolo 5: *** Paragoni (pt 1) ***
Capitolo 6: *** Paragoni (pt 2) ***
Capitolo 7: *** A casa di William ***
Capitolo 8: *** Nuovi approcci ***
Capitolo 9: *** L'appuntamento ***
Capitolo 10: *** Fango sulla città ***
Capitolo 1 *** Il signor Testa di... Corno ***
sconvolta
Promettimi che non mangerai l'uovo", stridette aprendo gli
occhi, "Ti prometto che non mangerò l'uovo” ripeté il gatto
Zorba.
"Promettimi che ne avrai cura finché non sarà nato il
piccolo". "Prometto che avrò cura dell'uovo finché non
sarà nato il piccolo".
"Promettimi che gli insegnerai a
volare" stridette guardando fisso negli occhi il gatto.
Allora
Zorba, il gatto, si rese conto che quella sfortunata gabbiana non
solo delirava ma era completamente pazza.
"Prometto che gli
insegnerò a volare.
(Luis Sepùlveda)
Io
davvero non riesco a credere che questo individuo si sia permesso di
scrivere una nota simile ad Allie.
Mi tremano letteralmente le
mani, mentre la leggo, lei se ne accorge perché si affretta ad
aggiungere:
- Scusa zia, ti prometto che mi comporterò
meglio.
Sospiro, tutto può pensare tranne che sono arrabbiata con
lei.
- Cucciola, è quella testa di... corno del tuo nuovo
insegnante, è con lui che ce l'ho. Anzi, sai che ti dico? È un bene
che mi abbia chiesto di andare a parlargli, sono certa che quando la
tua super zia avrà finito con lui sarà molto meno arrogante.
Le
stropiccio i capelli e appallottolo la nota che va a finire dritta
dritta nel posto dove le spetta: il cestino.
Allie ridacchia per
l'allusione alla super zia e perché, dopo aver gettato la nota, mi
sposto i capelli dietro alla schiena con un cipiglio degno di wonder
woman. - E ora la merenda. - dico, mettendo sul tavolo la mela
coperta di zucchero che ho scaldato al microonde.
So benissimo
perché Allie non ha fatto il compito che le era stato assegnato,
sono inorridita al pensiero che quel demente l'abbia messa in
punizione. Diamine, eppure a scuola sanno la sua situazione, sanno
che Becca era una ricercatrice marina, e lui cosa fa? Le assegna un
compito sui delfini. Sui delfini, mi meraviglio che, già che c'era,
non le abbia chiesto un tema sulla madre morta.
E adesso arriva la
parte in cui mi sento in colpa: se Allie si fosse fidata di me, me ne
avrebbe parlato e le avrei scritto una giustificazione per il
compito. Un bip ripetuto del telefono mi segnala un promemoria, e
meno male: mi ero già dimenticata che oggi aveva la lezione di
danza. Controllo la sua sacca, domandandomi se tra un'ora avrà
digerito la mela o sarò responsabile di una congestione; poi prima
di andare a farmi una doccia scrivo un biglietto distaccato e secco
alla testa di cazzo (nella mia testa lo posso dire) del signor
Parker, invitandolo a comunicarmi giorno e ora del colloquio.
-
Sei carica? - chiede Pam, tenendomi la borsa mentre mi infilo la
giacca.
- Altroché! - Mi metto in posa da pugile e sferro qualche
colpo al mio invisibile bersaglio. - Questo incontro avrà un solo
vincitore, e stai pur certa che sarò io.
Mi sfila i capelli che
sono rimasti impigliati nel colletto,
- Lo spero bene, in fondo
come minimo me lo devi.
Prendo la borsa e corro
verso l'uscita del negozio, camminando all'indietro.
- Ti ho già
detto che sei un angelo per esserti offerta di sostituirmi?
Pam
sorride,
- È un piacere, specialmente perché nessuno può
permettersi di trattare così la nostra Allie. Lexie! - mi chiama,
quando sono già per strada e la porta si sta richiudendo alle mie
spalle. Mi corre dietro, appesantita dalla pancia ormai visibile, e
mi tira la giacca lungo la schiena, che evidentemente si era
impigliata nella tracolla. - Per l'amor del cielo, imparerai mai a
vestirti? - mi rimprovera, materna. - Fallo nero! - grida poi, quando
io già sto trotterellando giù per i gradini della metropolitana.
-
Porca... - non mi trattengo dall'esclamare, notando solo ora che
l'indice destro ha lo smalto scheggiato. Ignorando le occhiatacce che
ho attirato frugo nella borsa, sperando di avere la boccetta giusta:
ho pianificato ogni singolo dettaglio del mio incontro con il signor
Testa di Corno Parker (correvo il rischio di usare l'altro epiteto
davanti ad Allie, devo imparare a censurarmi anche i pensieri) e
avere lo smalto scheggiato intacca l'immagine seria e responsabile
che avevo previsto. Svito con attenzione il tappo e scarico un po' di
prodotto prima di avvicinarmi con circospezione al mio dito...
frenata della metropolitana. La pennellata è andata ben oltre l'unghia, avendo sbavato
non solo la pelle ma anche la borsa su cui mi ero appoggiata;
grugnisco e cerco di sistemare i danni con una salviettina
umidificata prima di accorgermi che era la mia fermata.
Non sono
in ritardo, per fortuna avevo calcolato un margine di imprevisti e
quindi arrivo davanti all'aula del signor Testa di Corno proprio
quando la porta si apre, lasciando uscire una di quelle mammine iper
perfette che mi rivolge un'occhiata quasi schifata.
Dall'aula
arriva una voce maschile,
- Un attimo solo, Miss Spencer, e sono
da lei.
Ma senti come parla questo... Sfido con lo sguardo la
mamma dell'anno a guardare altrove e mi controllo un'ultima volta.
Poteva andare peggio: le scarpe col tacco sono in ordine nonostante
la camminata di tre isolati, la borsa l'ho girata in modo che non si
veda la macchia color smalto antracite a edizione limitata e i
capelli, vedo dal riflesso del telefono, sono a posto. E per quanto
riguarda il dito smaltato mi sono allenata, camminando fin qui, a
tenere la mano chiusa a pugno.
La porta si apre ulteriormente,
-
Prego, Miss Spencer, entri pure.
Perfetto, mi ha beccata che mi
sistemavo la frangia. Faccio finta di niente e lo sorpasso con
nonchalance, entrando spavalda nell'aula.
- Signor Parker, lei non
ha il diritto...
Lui si accomoda alla cattedra, incurante che ho
iniziato il mio discorso e mi interrompe, facendomi segno di
sedermi.
- Miss Spencer, lei è la zia di Alanis, giusto? - dice
con un insopportabile tono pacato, che non fa altro che farmi
innervosire ancora di più.
Mi siedo, sfilandomi borsa e giacca, e
riprendo il mio monologo.
- Vedo che è stato informato, e a
maggior ragione mi chiedo come si sia permesso di mettere in
punizione mia nipote, dopo tutto quello che...
- Alanis non ha
fatto i compiti, Miss Specer. Non è la prima volta in base al
registro che mi ha lasciato Mrs Moore, quindi era prevedibile che ci
sarebbero state delle conseguenze.
Già lo considero una Testa di
Corno, se poi continua a interrompermi è sulla strada per diventare
un mio nemico giurato. Soprattutto dal momento che sta usando il tono
da insegnate con me, un'adulta.
- Gli ha dato un compito sui
delfini! Sua madre era una ricercatrice marina e Allie ha
praticamente vissuto al Bio Parco, per l'amor del cielo, possibile
che sia così cinico da non poter chiudere un occhio in questo
caso?
Lui sfoglia il registro, con la sua insopportabile calma.
-
Miss Spencer, le ho chiesto un colloquio perché ritengo che nei
confronti di sua nipote sia stata usata un indulgenza non
propedeutica, volevo parlarne con lei. Ora però credo di capire che
lei fa parte del problema.
Ora scatto, lo giuro, sono venuta qui
con il piede di guerra e questo insegnante represso e con manie di
grandezza non ha fatto che provocarmi.
Mi alzo in piedi,
-
Come si permette...
- Si sieda, la prego.
Sono sbalordita. Sono
così tanto agitata che il mio corpo ha reagito inconsciamente alla
sua richiesta, e se non fosse che farei la figura della stupida mi
alzerei di nuovo per dispetto.
- La smetta di interrompermi, gran
maleducato! - sbotto.
Lui fa un cenno di assenso.
- Ha ragione,
mi perdoni, continui pure. Ma le chiedo di darsi un contegno, Miss
Spencer: i suoi toni sono oltre la soglia della cortesia sin da
quando ha messo piede in questa aula.
Una volta ottenuto silenzio
mi sistemo la camicetta e riprendo, talmente sommessa che il mio è
quasi un sibilo:
- Come si permette, sapendo quello che è
successo a mia nipote, di giudicare il modo in cui la stiamo aiutando
a superarlo? Sa, la pedagogia moderna avrebbe grandi novità per lei,
non si tratta di indulgenza ma solo di non farle pesare il fatto che
sua madre è morta! Come si permette di dirmi che io sono un
problema? Lei non ne ha alcun diritto.
Mi guarda, aspettando che
io continui.
- Posso parlare, senza correre il rischio di
interromperla di nuovo, Miss Spencer? La madre di Alanis è morta
l'anno scorso, è corretto? - chiede, e continua senza aspettare una
mia risposta. - Mi sembra evidente che, se dopo un anno una bambina
di sette anni non è ancora riuscita a elaborare il lutto, non è da
ritenersi un buon risultato. Cosa dovrei fare, secondo lei: eliminare
le materie che in qualche modo possono ricordargliela dal programma?
E cosa mi dice del compito di matematica di settimana scorsa, forse
sua madre era un'esperta di addizioni?
Questo è troppo, balzo in
piedi nuovamente, per niente intenzionata a rimanere un minuto di
più:
- Lei è uno stronzo senza cuore!
Seguo lo sguardo del
signor Testa di Corno all'indice macchiato che sto puntando verso di
lui e richiudo veloce la mano a pugno.
- Sapevo che era giovane,
Miss Spencer, ma pensavo che fosse in grado di capire che qui non si
tratta di avere o meno un cuore, ma di come sta crescendo sua
nipote.
Il fumo mi esce letteralmente dalle orecchie mentre mi
infilo la giacca e la borsa,
- Non ne sa niente.
- Non le
interessa sapere che Alanis crescerà debole, se continuerà a
lasciarle passare qualsiasi cosa? Qui non si tratta di pedagogia
moderna o meno. - Mi insegue e blocca la porta, impedendomi di
precipitarmi fuori. - Le ripeto, sono convinto che l'indulgenza
esagerata che è stata usata con quella bambina non la sta aiutando
affatto. Ha bisogno di sapere che deve rispettare alcune regole,
anche se sua madre è morta, ha bisogno di poter affrontare alcuni
argomenti che se no rimarranno sempre un tabù.
- Ha finito? Bene,
questa è la sua convinzione; la mia è che lei sbaglia.
Tiro la
maniglia e faccio la mia uscita di scena sbattendo la porta alle mie
spalle.
Cretino di un pallone gonfiato.
Certo che ha torto,
non può venirmi a dire che sono troppo indulgente: io do delle
regole a Allie, e lei le segue. Solo non ne faccio una tragedia se
lei non vuole fare un compito che le spezza il cuore, e lui è un
mostro a non capirlo.
Mi precipito alla libreria per liberare Pam
il prima possibile e non appena la vedo aspettarmi speranzosa, in
attesa di un gran racconto, mi sento più che mai un fallimento.
-
Ehi, che succede? - Oltrepassa il banco della cassa e mi viene
incontro, io non riesco a fare altro che nascondermi la faccia con le
mani per non farle vedere il mio labbro che trema incontrollabile. -
Lexie, cos'è successo? - mi chiede sinceramente preoccupata, e non
riesco a più a trattenere le lacrime: sono uno schifo, ecco cosa
succede.
- È stato terribile, pensavo di metterlo a tappeto e
invece non sono riuscita a tenergli testa. - singhiozzo. - Io
continuavo ad agitarmi e lui sempre più calmo. E non sono... -
Premo la base del naso con due dita. - Non sono stata in grado di
difendere Allie.
Pam mi circonda con un abbraccio e io nascondo il
viso contro la sua spalla.
- Tu sei bravissima, è lui che è un
coglione. - dice, solidale, - E certi coglioni sembrano avere
sempre la meglio, ma sono certa che sei riuscita a dirgliene
quattro.
- No, Pam. - Mi tiro su e frugo nelle tasche cercando un
fazzoletto. - Tu non c'eri, è stato orribile: blaterava sul fatto
che sono troppo indulgente, che la sto crescendo male e le rovinerò
la vita!
Lei mi porge un pacchetto di kleenex,
- Non devi
permettere a nessuno di metterti in testa determinate cose, hai
capito? Sei una grande, Lexie, io non mi sarei mai aspettata che una
ragazza di soli ventun anni lasciasse l'università per prendersi
cura della nipote e se la cavasse così bene! Guardati: ce la stai
facendo!
Tiro un sospiro, che Pam abbia ragione o no, non posso
permettermi di abbattermi: mamma e papà è già tanto se riescono a
tenerla qualche fine settimana, dato che entrano ed escono
dall'ospedale per le dialisi e i vari controlli; il padre non è mai
esistito e così l'unica speranza per Allie sono sempre stata solo
io. E non ho il lusso di lasciarmi andare ed essere terrorizzata,
devo tenere duro.
Tiro su con il naso, asciugandomi gli occhi.
-
Scusa se ti ho tirato addosso la mia merda, Pam. - dico, controllando
di non avere sbavature di trucco.
- Ma stai scherzando? Se non ci
tiriamo addosso la nostra merda tra di noi con chi possiamo farlo? È
a questo che servono le amiche.
- Lexie adora Pammie. - dico, con
la vocetta stupida che ogni tanto uso con lei. - Ora fila via, prima
che decida di sfruttare la tua presenza per andare dal
parrucchiere.
- Non esageriamo, adesso. - Va nel retro a prendere
le sue cose. - Ci vediamo sabato sera da me, te lo ricordi, vero?
La
mia mascella tocca praticamente il bancone della cassa: l'avevo
completamente rimosso, mi stavo già preparando una serata a base di
gelato, birra e Sons of Anarchy.
- Ehm... - non so se sono pronta
a rinunciare all'unica serata in cui ho il controllo del
telecomando.
- Allie non va dai tuoi genitori questo week end?
Andiamo, Lexie, l'abbiamo programmata settimana scorsa: ci saranno il
collega di Paul e la sua adorabile ragazza,
e tu lo sai che gli ormoni della gravidanza mi rendono molto meno
paziente! E poi lui porta anche suo fratello, Paul ci rimarrebbe
malissimo se tu non venissi...
Inizio a fare uno più uno.
-
Aspetta un attimo, Paul mi ha organizzato un appuntamento al buio con
il fratello di Scott?
Pam sembra avere un'improvvisa fretta di
andarsene ora.
- So come la pensi e gli ho detto che è una
cazzata, te la vedrai con lui. Comunque ti è vietato darmi buca,
dopo oggi me lo devi.
- Ehi, le amiche non si rinfacciano i
favori! - dico, alla porta che si chiude alla sue spalle. Ottimo, ho
solo ventidue anni e già i miei amici mi trattano come una zitella
incallita solo perché ho ereditato una figlia; mi immagino i miei
coetanei cosa penseranno di me. Sollevo uno scatolone con i nuovi
arrivi, mesta: sono destinata a rimanere sola a vita.
Mi
sistemo la frangia nello specchio dell'ascensore: devo proprio andare
a farmi tagliare i capelli, sta diventando troppo lunga. Eppure
quello che dicono non è uno scherzo, quando ti occupi di un bambino
il tempo non è mai abbastanza: oggi, per esempio, Allie aveva una
festa di compleanno di una sua compagna, così stamattina siamo
uscite presto per andare a prendere un regalo, abbiamo praticamente
setacciato tutta la città in cerca di qualcosa che la principessina
Michelle avesse messo nella sua lista e quando l'abbiamo trovato
siamo dovute correre a casa a cambiarci per non arrivare in ritardo.
Prima di scoprire che metà classe non era ancora arrivata, così la
festa è durata più del previsto e io quasi non credevo di essere
stata tanto previdente per aver avuto l'intuizione di preparare il
bagaglio di Allie in anticipo: siamo salite in macchina e mi sono
scapicollata verso casa di mamma e papà, così addio
all'appuntamento dal parrucchiere che avevo programmato. Ho avuto
giusto il tempo di farmi una doccia prima di venire da Pam, senza
neanche una bottiglia di vino: per fortuna che non è il tipo da fare
caso a certe cose. Né farà caso al fatto che non sono esattamente
vestita per un appuntamento al buio: ovviamente non sono riuscita a
lavare in tempo il vestito che avevo scelto, che è rimasto nella
cesta dei panni sporchi troppo tempo per riuscire a utilizzarlo
comunque, e presa dalla fretta mi sono infilata un paio di jeans e la
prima maglietta che ho trovato, che per fortuna è di quelle
passabili.
- Non sono in ritardo, vero?
Il volto di Pam si
illumina quando mi vede.
- Hai trenta secondi netti di anticipo,
come tuo solito. - mi prende in giro, facendomi cenno di entrare
prima di scappare in cucina. - Chiudi la porta, stavo lavando
l'insalata.
- Wow, mangiare salutare! Ti serve una mano?
- Vai
in salotto e fatti servire da bere da Paul, io qui ho fatto.
Appendo
il cappotto nell'armadio a muro dell'ingresso, perfettamente a mio
agio, e mi stiracchio andando a cercare Paul.
- Lexie odia Paul. -
cantileno, entrando in soggiorno.
- Ehi, eccoti qui. - mi dice, -
Birra per te, giusto?
Mi blocco sulla porta: perché ho pensato di essere la prima arrivata? Scott mi fa un cenno di saluto con la
mano, dall'altra parte della stanza, e sul divano che divide il
soggiorno, rivolto verso la tv, c'è come-si-chiama che come al
solito ha un bastone su per il culo e di fianco a lei un paio di
spalle maschili, presumibilmente il fratello di Scott nonché il mio
appuntamento al buio.
Mi schiarisco la voce, con le guance roventi
per l'imbarazzo.
- Sì, grazie.
- Ah, - mi arriva la voce
annoiata di come-si-chiama. - è lei,
allora. Ma ha l'età per bere?
- Gaby, - la rimprovera Scott
mentre io prendo una generosa sorsata facendo finta di non aver
sentito, - certo che ha l'età per bere. Lexie, ti ricordi di
Gabrielle? E lui invece è mio fratello Will...
Ha qualcosa di
famigliare.
Nda Benvenuti nella mia nuova storia.
Un paio di preamboli necessari:
sì, è un'altra commedia, niente di pretenzioso. Scriverla
mi ha rilassata, e usare un protagonista che si discosta così
tanto dal mio solito è stato nuovo e stimolante quanto
difficile, a volte: ormai mi è facile e automatico far parlare e
agire un "buzzurretto" passatemi il termine, giocare con un maestro
elementare che ha come nota distintiva un'essenza molto british
(nell'accezione quasi altezzosa) è un altro paio di
maniche.
Secondo: ho un chitarrista che sprizza
sesso da tutti i pori nella memoria del pc, o almeno è l'effetto
che fa a me, e la sua storia è parzialmente finita (Sweet child
o' mine); ho chiesto consiglio a un'amica che mi ha detto di seguire
l'istinto e provare con questa invece, perché attualmente mi
coinvolge di più. Perché? Ve l'ho detto, per me è
qualcosa di nuovo.
Quindi posto, vediamo come va. Non ho pretese se non quella di arrivare alla fine, in maniera dignitosa possibilmente.
So che è difficile giudicare
dal primo capitolo ma il secondo arriverà domani, a darvi
un'idea più completa.
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Capitolo 2 *** Una serata da dimenticare ***
sconvolta
Nessun uomo è un'isola, completo in sé
stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto.
(John Donne)
- Miss
Spencer?
O cielo. È lui. Il
signor Testa di Corno Parker.
- Ehm, ciao a tutti. Pam ha bisogno
di una mano. - borbotto, battendo in ritirata.
Chiudo la porta
della cucina e mi ci appoggio, prendendo un lungo sorso dalla bottiglia di birra che mi sono
portata dietro.
- Che hai? - mi chiede Pam, ingenuamente.
- È
qui. - mormoro, allucinata, - il signor Testa di Corno. È lui.
Cazzo, il fratello di Scott è il signor TDC e io ho fatto una figura
di merda incredibile!
Lei saggiamente mi prende la bottiglia di
mano e l'appoggia al bancone della cucina, per evitare che mi
ubriachi rendendomi ulteriormente più ridicola.
- Ora stai qui
con me e mi aiuti, poi torneremo di là come se non fosse successo
niente.
La adoro quando ha una soluzione a tutto, mi sento già
più tranquilla e mi lavo le mani, pronta a eseguire i suoi ordini.
-
Comunque non puoi non dire che ho una sfiga addosso allucinante. -
borbotto, adagiando le verdure grigliate nel piatto da portata e
cospargendole di olio e prezzemolo. - È il fratello di Scott, ti
rendi conto?
Lei scuote la testa, incredula.
- Già, con tutte
le persone che ci sono a New York è tragicomico che sia proprio lui.
Comunque mi era parso di capire che il signor TDC fosse
vecchio.
Scrollo le spalle,
- Non so dargli un'età.
Perché, scusa, quanti anni ha? E a proposito, perché Paul e Scott
hanno pensato di accoppiarmi a un vecchio?
Pam ride,
- Perché
non è vecchio, ha solo ventisette anni!
- Oh, dall'alto dei
vostri ventinove e trent'anni può sembrare giovane, ma per me è un
tantinello grande.
Mi toglie di mano il sale prima che faccia
qualche danno. - Ma piantala, Lexie, non sarebbe stato per niente
troppo grande per te. Ma giustamente ora non se ne parla nemmeno.
-
Non c'è neanche da chiederlo, ti pare?
Controlla la cottura del
pollo e decreta che possiamo iniziare con l'antipasto, così prendo
più vassoi possibile e lascio che mi faccia strada.
Vado quasi a
sbattere contro il signor TDC, che pare diventare improvvisamente
gentile.
- Lasci che l'aiuti, Miss Spencer. - dice, prendendomi uno
dei vassoi.
Scott ride,
- Ti prego, Will: chiamala Lexie, non
siete a scuola.
Paul viene in mio soccorso, prendendo anche
l'altro.
- Ci ha appena detto che la ranocchietta è una sua
alunna.
- Già. - dico secca, sperando che non abbia aggiunto
anche quale pessima tutrice sia secondo lui. - Scott ha ragione,
possiamo darci del tu, adesso.
Il signor TDC sembra soppesare la
cosa, appoggia il vassoio sul tavolo e mi tende la mano.
- Giusto.
William. - si presenta, con il suo solito tono che sembra venire da
un altro secolo.
Gliela stringo, riluttante: tipico, niente
diminutivi per lui.
- Lexie, e mi dispiace di non avere un nome
più lungo. - dico, prima di girare intorno al tavolo e andare a
sedermi al mio solito posto. Paul ride, probabilmente pensa che io
abbia fatto una battuta, ma sono certa che il signor Parker avrà
colto che ho preso nota del suo ridicolo mantenere le distanze: ok,
ho capito chiaramente che cosa pensa di me, e se ci tiene tanto a
fare lo stronzo che si accomodi, sono qui apposta.
- Pamela, -
dice come-si-chiama, anzi, Gaby, - è un vero peccato che tu non
possa assaggiare il vino che abbiamo portato, l'ha scelto Will: ha
davvero un gusto formidabile.
Io, pur di andare controcorrente,
faccio cenno a Paul di non riempirmi il bicchiere.
- Niente vino,
grazie: preferisco continuare con la birra.
Ovviamente TDC e Gaby
sembrano scandalizzati dal sacrilegio che è appena uscito dalle mie
labbra.
- È un vino bianco del sud della Francia, - Will improvvisa
una lezione per me, - ha un gusto molto delicato.
Io scrollo le
spalle, contrariata di essere seduta proprio davanti a lui.
- Ma a
me il vino non piace. - Faccio un sorriso tirato e ringrazio Paul per
la birra che mi mette davanti.
Se Gaby già aveva delle
perplessità su di me ora gliele ho confermate, perché inizia a
sciorinare a Will una lista di sue amiche che sarebbero perfette per
lui.
Colgo l'occasione per starmene un po' zitta a pensare ai
fatti miei, e mi decido a osservare il mio commensale per capire se
Pam ha ragione sulla sua età.
Effettivamente con quel maglione al
posto della giacca e camicia con cui l'ho visto a scuola potrebbe
anche passare per un ventisettenne, ma i sono i suoi modi a far
pensare che in realtà sia più grande, forse anche più grande di
Paul che non perde un'occasione per fare il cretino. Lui invece se ne sta
lì, tutto impettito ad annuire a Gaby. E poi deve essere un gran
sbruffone se mi ha trattata in quel modo a scuola e alla fine non ha
nemmeno trent'anni, scommetto che le altre mamme hanno capito che è
giovane e io sono stata la sua valvola di sfogo, oppure peggio ancora
crede davvero di avere la scienza infusa in lui.
- Lexie, - mi chiama
Paul, per tirarmi dentro alla conversazione, - ho preso quel libro
che mi hai consigliato, non sembra niente male.
Gli sto facendo un
sorriso soddisfatto mentre mando giù il mio involtino quando Gaby si
intromette.
- Di che libro stiamo parlando?
Ah, già, lei è la
massima esperta in qualsiasi cosa. Davvero, come un pezzo di pane
come Scott riesca a sopportarla per me è ancora un mistero.
-
Odissea d'argento. - dichiaro, pronta a sentire il suo parere che
raramente è sulla stessa linea del mio. E infatti la vedo portarsi
il tovagliolo alla bocca, come a voler coprire un sorriso che sarebbe
ineducato tanto quanto il suo gesto.
- Oh, lo conosco molto bene,
può essere godibile se non conosci Tolstoj. Se come me hai passato
il college a marcire su Guerra e Pace, sia benedetto il mio
professore che ce lo ha fatto amare, il libro di Stevenson ti sembra
solo una brutta copia. Leggilo, Paul: mi interessa la tua opinione.
Mi
inumidisco le labbra, per nulla intenzionata a dargliela vinta.
-
Sai, Gaby, anche io ho letto Guerra e Pace e non mi sembra che
Odissea d'Argento sia la sua brutta copia.
- Beh, certo cara che
ognuno ha il suo parere, - mi dice, odiosamente conciliante, - ma ti
posso assicurare che non puoi paragonare la semplice lettura di un
libro del genere, alla lettura guidata e approfondita da un esperto in
materia, non credi? - Ed ecco che mi rimette al mio posto, la stupida
Lexie che non si è presa la briga di finire il college. Stronza,
come se avessi avuto scelta. - Ma sentiamo l'esperto a questa tavola:
tu, professore, cosa dici?
Il signor TDC mi guarda come stesse
aggiungendo la mia inettitudine culturale alla lista delle mie
malefatte.
- Non ho sentito parlare di quel libro. - dice,
vagamente annoiato.
Gaby scoppia in una risatina vittoriosa,
-
E questo dice tutto.
Paul mi guarda alzando le spalle, solidale, e
io metto una mano sulla gamba di Pam, chiedendole silenziosamente di
non reagire: contribuirebbe solo a rendermi più ridicola,
dimostrando che ho bisogno di una difesa personale.
- E Paul,
comunque il mio preferito è Harry Potter. De gustibus non
disputandum est. - concludo, alzandomi. - Stai qui, Pam: ci penso io
al pollo.
Pam sgrana gli occhi e Paul si precipita a darmi una
mano.
-
Lexie, ti ricordi il quattro luglio? Forse è meglio che ti aiuti. -
mi prende in giro, e ripensando alle ali di pollo fritte che ho fatto
volare ovunque quando sono inciampata, perfino nella scollatura di
Gaby, non riesco a trattenere un ghigno.
- Suvvia, la pizza non fa
così schifo! - mi difendo.
- Se vuoi la pizza non devi
distruggere quello che mia moglie ha cucinato, basta dirlo. - dice
strizzandomi l'occhio, e con il suo aiuto portiamo il pollo in
tavola.
Ormai mi sono allenata ad escludere la voce di Gaby dal
mio cervello, quindi per la maggior parte del tempo mi diverto, ma
ogni volta che invece il signor TDC apre bocca rischio un suicidio
del mio sistema nervoso.
Come può un essere umano diventare così
spocchioso? Tutto quel sussiego che si da, la finta cortesia: è
insopportabile.
Per fortuna ci pensa la sua adorabile cognatina ad
intrattenerlo, quei due sembrano proprio fatti l'uno per l'altra e
quasi quasi spero che finiscano insieme. Sicuramente, in tema di
relazioni, per me sarebbe più adatto persino Scott rispetto al
fratello.
Ridacchio per l'assurdità del mio pensiero, Scott è
simpatico ma preferirei rimanere zitella piuttosto che con lui, e la
sua passione smodata per i videogiochi non è che la prima di una
lunga lista di incompatibilità.
- Cosa c'è di divertente, Lexie?
Guardo Gaby disorientata, il mio udito selettivo non mi aveva
avvertito che stava parlando e ora penserà che ho riso per qualcosa
che ha detto.
- Scusami, stavo pensando a una cosa. - Sembra una
patetica scusa perfino alle mie orecchie.
Lei si impettisce,
offesa,
- Scusami tanto se certe mie amiche sono ancora single
alla loro età. – Gaby ha trent'anni ed evidentemente le ragazze in
questione devono essere sue coetanee se non più grandi, a giudicare
da come se l'è presa. - Non è più un tabù uscire con donne più
grandi e per Will credo sia più stimolante uscire con una donna
che ha saputo tenere le gambe chiuse
e ha qualcosa di interessante da raccontare della sua vita.
Non
ci vedo più. O meglio, vedo rosso.
- Stronza. - La mia sedia
striscia sul pavimento. - Quante volte te lo devo dire che è mia
nipote? Mi occupo di lei perché mia sorella è morta, cazzo.
Sto
già prendendo il mio cappotto, quando capisco che non voglio essere
io ad andarmene con la coda tra le gambe, così mi chiudo in cucina e
per aver qualcosa da fare mi metto a lavare i piatti.
Sento delle
voci venire dal soggiorno, la stanno rimproverando di sicuro ora che
non ci sono più io a non voler essere difesa. Però a sto giro se lo
merita, eh: non vedo perché abbia insinuato che non è vero che sono
la zia di Allie, come se fosse solo una scusa per coprire una
gravidanza da ragazza; ma chi è che si inventerebbe una sorella
morta?
Non avevo nessuno quando mi sono trasferita dal Nevada
all'appartamento di Becca a New York per occuparmi di Allie, e so
quanto sono stata fortunata ad aver incontrato due persone come Pam e
Paul che sono diventate parte della mia famiglia, pronte a difendermi
a spada tratta contro il mondo, ma a volte non riesco a credere che
esistano persone così meschine per cui debba rivelarsi
necessario.
Becca, se mi senti, lassù, fai sì che a Scott non
venga in mente di sposarsela: è vero che è un appassionato di
videogiochi e di Star Wars, ma in fondo è un bravo ragazzo e si
merita di meglio.
Mi immobilizzo, sentendo le voci spostarsi nel
corridoio e cerco di afferrare qualche pezzo del discorso ma le
dannate porte in noce massiccio assorbono qualsiasi rumore. Poi il
silenzio, e come se niente fosse mi rimetto a lavare i piatti.
-
Lexie, che ci fai qua?
Scrollo le spalle facendo la finta tonta.
-
Carico la lavastoviglie immaginaria, no?
Pam fa un cenno a Paul,
indicandogli che sono nella loro cucina con il detersivo fino ai
gomiti.
- Non te ne eri andata?
- Sul serio, Pam, sborsa questo
testone e pigliati una lavastoviglie: come farai con il pupo? Lo so
che i piatti vengono meglio se li lavi a mano, ma ti aiuterebbe a
risparmiare un po' di tempo.
Lei mi fa un buffetto sulla
guancia.
- Non devi, lo sai. E quella non rimetterà più piede in
questa casa finché ci sarò io, questa volta ha passato tutti i
limiti.
Paul si infila il grembiule.
- Credo che questa volta
abbia esagerato anche secondo Scott. Donne, andate di là a
spettegolare che qui ci penso io. - Mi passa uno strofinaccio per
asciugarmi le mani e ci spinge via, ma Pam si arrampica sullo
sgabello e io la imito.
- Spettegoliamo benissimo anche con te, ma
se vuoi fare tu i piatti accomodati pure. - dico, cedendogli i guanti
di gomma. - Sì, è una stronza, ma io spero di non avervi messo a
disagio con la mia sfuriata.
- Non dirlo neanche per scherzo, la
tua amica qua presente stava per versarle la sua aranciata addosso. -
mi svela Paul, che aveva una visuale migliore della scena rispetto a
me.
- E ancora me ne pento di non essere riuscita a farlo! Ma tu le avevi
già dato della stronza, sarei stata fuori tempo. Se avessi
avuto la prontezza di farlo mentre parlavi sarebbe stato perfetto, e
invece ero preoccupata per te: ti ho seguita, pensavo che te ne fossi
andata.
- Quella non mi farà scappare mai. - annuncio,
vittoriosa. - Comunque, Paul, io sono nel fiore dell'età e anziché
cercare di organizzarmi l'appuntamento al buio più disastroso della
storia dovresti concentrarti sul trovare una nuova ragazza a Scott,
Gaby non si regge più.
- Sante parole! - Pam fa tintinnare la sua
tisana di finocchio alla mia birra che nel frattempo ho recuperato, e
Paul si unisce al nostro brindisi con un bicchiere insaponato.
-
Comunque, signore mie, il povero Will non è così malaccio: un po'
timido, forse, ma nel suo caso non dovreste essere così cattive con
lui.
- Scusa, amore, ti sei già scordato cosa ha detto a Lexie al
colloquio?
Lui alza le spalle, non del tutto sicuro della nostra
posizione.
- Lex, eri agitata e forse hai equivocato: Will non mi
sembra proprio uno tanto meschino e stupido da dirti che rovinerai la
vita alla ranocchietta.
- Eppure l'ha fatto. - Mi gelo al solo
ricordo.
- Se l'ha detto ha sbagliato. Se intendeva dirlo davvero.
- ripete, non molto convinto.
Pam improvvisamente si ricorda
qualcosa, perché scivola giù dallo sgabello con la grazia di un
elefante.
- Il tuo cappotto! Sarà in giro a cercarti, l'abbiamo
visto lì e abbiamo pensato che fossi andata via senza prenderlo, e
Will si è offerto di portartelo.
- Ho il suo numero, panzerotta
prendimi il cellulare e digli che è qua.
Lo guardo sconcertata,
mentre Pam cerca il numero:
- Panzerotta? Sei serio? Diamine, non
ci tieni proprio alla tua vita, eh? - Pam sta chiamando, e mi
affretto a darle istruzioni. - Digli di lasciarmelo a scuola: posso
prendere una tua giacca in prestito per stasera.
Lei va in
corridoio in cerca di campo, e quando chiude la conversazione mi
annuncia:
- Hai lasciato il telefono in tasca: sta tornando
qua.
Neanche il tempo di finire la birra e il citofono suona, Pam
lo invita a salire e il signor TDC è alla porta dopo qualche
attimo.
Paul va ad aprirgli, e io e Pam sedute in cucina
ascoltiamo i ringraziamenti di Paul e i tentativi garbati del signor
Parker di non dare peso alla faccenda.
Mi faccio coraggio e sporgo
la testa oltre la porta della cucina.
- Non era necessario
portarmi la giacca, grazie. Se non avessi lasciato il cellulare
in tasca non saresti stato costretto, ti prego di scusarmi. -
aggiungo poi, quasi intimidita dalla sua figura calma e
stabile.
Chiunque altro scrollerebbe le spalle, ma lui fa un cenno
della testa.
- Nessun problema.
- William. - Pam compare al
mio fianco. - Sarebbe troppo chiederti di portare a casa Lexie? È
tardi e le strade sono ghiacciate, non mi fido che prenda un taxi
tutta sola.
- Perché, se sono scortata azzero le possibilità di
un incidente? - chiedo, sarcastica, ma so che è preoccupata anche
per il paio di birre che ho bevuto, e per il fatto che debba tornare
in una casa vuota. Rinuncio a oppormi, anche se è chiaro che non
muoio dalla voglia di essere accompagnata dal signor Parker, e mi
infilo il cappotto. - Grazie della serata. - Do un bacio sulla
guancia a entrambi, - Grazie davvero, siete unici. - Mi avvio verso
l'ascensore, e il signor Parker si schiarisce la voce.
- Miss
Spencer? - dice, titubante. Pam mi corre dietro e prende lo
strofinaccio, che avevo lasciato appeso alla tasca posteriore dei
jeans.
Le porte dell'ascensore si chiudono, e il mio sorriso si
trasforma velocemente in un espressione seria.
- Dovrebbe
decidersi come chiamarmi, e che pronome usare: ci diamo del tu, del
lei, basta che me lo dica: non voglio essere scortese. - lo
rimprovero, fissando ostinatamente dritto davanti a me.
- Scusa, è
stato istintivo. - Gli scocco un'occhiataccia: questa non è una
risposta. - Credo che il tu vada bene fuori dalla scuola. Mi è solo
difficile usare il tuo nome, è... molto colloquiale.
Le porte
dell'ascensore si aprono e io esco fuori a passo di marcia.
- Oh,
certo, il mio nome è troppo plebeo, mi dispiace William.
Lui
mi rincorre, sorpassandomi e tenendo aperto il portone per farmi
passare.
- Non è quello che intendevo, ti prego di scusarmi, di
nuovo.
Stiamo in silenzio per qualche istante, io faccio del mio
meglio per ignorarlo e cercare un taxi.
- Davvero, non è
necessario che mi accompagni, dirò comunque a Paul che l'hai fatto.
- dico, senza smettere di guardare la strada.
- Abiti lontano?
Possiamo andare a piedi, se per te non è un problema, io cammino
volentieri.
Sbuffo, il suo ostinato voler essere cortese supera
addirittura ogni soglia immaginabile.
- Va bene, andiamo. - prima
ci incamminiamo, meno tempo dovrò sopportare la sua compagnia.
Mi
segue in silenzio, e mi abituo così velocemente all'idea che sarà così
fino a casa, che quando lo sento parlare per poco non sussulto dalla
sorpresa.
- Non intendevo quello, riguardo al tuo nome. - Sembrerebbe quasi dispiaciuto. - È un bel nome, ma di quelli che si
usano quando c'è una certa conoscenza reciproca che noi non abbiamo.
Mi piacerebbe usarlo quando tale conoscenza sarà effettiva.
Perché
ora mi devo sentire in colpa?
- E quindi, come vorresti chiamarmi?
- dico sarcastica. Lo guardo con la coda dell'occhio e lo vedo
realmente in difficoltà, così decido di venirgli incontro. - Miss
Spencer può andare, ma per parità io non posso chiamarti con il
nome di battesimo, sei d'accordo?
- Mi sembra ragionevole. -
Ancora una volta mi chiedo da dove sia uscito. - Mi trovi divertente?
- mi chiede più rilassato, notando che sto ridendo sotto ai baffi.
-
Un po'. - gli concedo.
Poi mi ricordo del colloquio disastroso, e
in un attimo la mia espressione si indurisce.
- Vorrei dirti che
mi dispiace per quanto ti ho detto a proposito di tua nipote, non
intendevo essere duro. La mia etica mi impedisce di ignorare quanto
credo sia vero, ma ci tengo ad aggiungere che so che quello che hai
fatto e stai facendo è in buona fede. - sospira, - Il massimo
sarebbe che tu possa riflettere sulla mia opinione, e magari
prenderla in considerazione anche solo parzialmente.
Cielo, perché
non si è limitato alle scuse e basta? Doveva proprio insistere ad
avere l'ultima parola?
Gli va bene che davvero, stasera ne ho
piene le scatole di litigare.
- Il massimo? - lo prendo invece in
giro. - Cos'è questo slang, signor Parker?
L'ho messo in
imbarazzo, eppure vedo anche un certo divertimento nei suoi occhi. Mi
fermo,
- Eccomi a casa. Aspetto con te un taxi? - gli chiedo.
Lui
scuote la testa,
- Vado a piedi, grazie e buonanotte Miss Spencer.
- Con mio grande stupore mi porge la mano. - È stato un piacere
averti conosciuto.
Ma certo, cortese fino al midollo.
Nda Con questo capitolo dovreste avere
un quadro più chiaro della storia, quindi ci possiamo sentire a
settimana prossima, con l'aggiornamento. As usual, ogni vostro
parere sarà molto gradito!
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Capitolo 3 *** Un malinteso ***
sconvolta
“È verissimo”, replicò Elizabeth,
“e potrei facilmente perdonare il suo orgoglio, se non avesse
mortificato il mio.”
“L’orgoglio”, osservò Mary che
teneva a dimostrare la profondità dei suoi pensieri, “è un
difetto assai comune. Da tutto quello che ho letto, sono convinta che
è assai frequente; che la natura umana vi è facilmente incline e
che sono pochi quelli che tra noi non provano un certo compiacimento
a proposito di qualche qualità – reale o immaginaria – che
suppongono di possedere. Vanità e orgoglio sono ben diversi tra
loro, anche se queste due parole vengono spesso usate nello stesso
senso. Una persona può essere orgogliosa senza essere vana.
L’orgoglio si riferisce soprattutto a quello che pensiamo di noi
stessi; la vanità a ciò che vorremmo che gli altri pensassero di
noi.”
(Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen)
Allie
mi sta nascondendo qualcosa, lo capisco dal sorriso furbo che mi
fa.
- Avanti, sputa il rospo. - le dico quando entriamo in casa,
appoggiando il suo zaino in un angolo dell'ingresso.
Lei saltella
e batte le mani.
- Guarda, zia, guarda!
Fruga nello zaino e
tira fuori il suo quaderno, che appoggia per terra aprendolo a
metà.
Mi accovaccio di fianco a lei e leggo, prima l'esercizio di
matematica che ha svolto e poi la nota positiva del signor Parker.
-
Ma sei un piccolo genio! - mi complimento, abbracciandola. Lei ride,
fiera, e prima di firmare il voto faccio una foto con il telefono al
quaderno. Che sia il segno che finalmente il signor TDC abbia capito
di aver sbagliato? Le super zie vincono sempre contro i cattivi. Già
che ci sono controllo sul calendario del telefono, per assicurarmi
che non mi sono dimenticata nessun impegno per oggi. - Adesso vai a
scegliere un dvd mentre io preparo la merenda: dobbiamo
festeggiare!
Come se ci fosse qualche possibilità di scelta:
Allie ha visto Come d'Incanto più o meno tante volte quante io ho
visto Dirty Dancing. È pur sempre mia nipote, ce lo
abbiamo nel sangue il fissarci con le cose. Prepariamo la nostra tana
sul divano: i pouf davanti a noi per appoggiare i piedi, la coperta e
sul tavolino biscotti e latte. Mi siedo e allargo le braccia, perché
si possa tuffare su di me, e anche io finisco per godermi il
film.
Quando finisce, anziché sentirci piacevolmente intorpidite,
abbiamo tutte e due un sacco di energie da sfogare per via della
merenda d'eccezione, così sposto il tavolino per fare posto davanti
alla tv e giochiamo a Just Dance fino a tardi.
- Allie
svegliati: ci siamo addormentate sul divano, andiamo a letto. - la
scuoto.
La piccola si stiracchia, sbadigliando.
- Il signor
Parker si arrabbierà se non faccio i compiti. - mormora,
assonnata.
Una carriolata di mattoni mi cade in testa, compiti?
Non ci avevo minimamente pensato.
- Dimmi che sono pochi, ti
prego... - piagnucolo.
Allie controlla nello zaino e apre il
quaderno di inglese: deve imparare lo spelling di quattro parole, mi
è andata meglio del previsto.
Inizio a interrogarla,
facendogliene dire una alla volta ripetutamente e poi le alterno:
tazza, casa, libro e gatto; ci addormentiamo quando ancora sta
sillabando l'ultima parola e, quando la sveglia suona, riprendiamo da
dove ci siamo interrotte. Per tutta mattina, mentre ci laviamo e
facciamo colazione, è il nostro unico modo di comunicare, quelle
quattro parole sillabate, e quando la lascio a scuola tiro un sospiro
di sollievo: poteva andarci molto peggio e invece per una volta
siamo state fortunate. Farla andare a scuola senza compiti il giorno
dopo che ha ricevuto una nota positiva sarebbe stato tirare un po'
troppo la corda con il signor Parker.
Corro alla libreria e apro
la serranda con già il ragazzo delle consegne alle calcagna.
-
Fammi almeno disattivare l'allarme. - lo rimprovero, facendogli cenno
di stare indietro.
Lui sbuffa ma mi lascia fare, iniziando a
tirare giù dal furgone gli scatoloni.
Lo so che ha una tabella di
marcia molto rigorosa da rispettare, ma io apro sempre il negozio in
perfetto orario e non posso certo anticipare il mio arrivo solo
perché i suoi capi gliela programmano male. Ho già chiesto alla
signora Fitzpatrick, la proprietaria della libreria, di segnalare la
cosa alla ditta delle consegne, ma per il momento le cose non sembrano
cambiare e due volte alla settimana io e lui mettiamo in scena questo
teatrino.
- Se tu fossi più puntuale io non dovrei passare il
resto della mattina a correre di qua e di là per rimediare al tuo
ritardo. - si lamenta lui, portando gli scatoloni nel magazzino.
-
Io sono puntualissima, sei tu che sei sempre in anticipo. - commento
distratta, mentre controllo la bolla. Una firma e se ne va, e
finalmente la giornata inizia.
Dopo le prime settimane rimasta a
casa ad occuparmi esclusivamente di Allie ho capito che, se volevo
che avesse qualche opportunità di andare al college e conquistarsi
una vita migliore della mia, avrei dovuto limitarmi nell'attingere al
premio dell'assicurazione per le spese giornaliere, e trovarmi un
lavoro che mi avrebbe permesso di mantenerci senza dover assentarmi
tutto il giorno da casa. Insomma, un'utopia per una ragazza che si
era ritirata dal college.
Ho iniziato a fare la cassiera al
market ingoiando ogni ambizione, quando Melanie, una vecchia collega
di Becca, mi avvisò che alla libreria dove lavorava la sorella
cercavano personale.
Conobbi Pam che mi prese immediatamente in
simpatia e spese una buona parola per me con Helen Fitzpatrick, e
ancora oggi ringrazio Becca per avermi trovato non solo quel lavoro,
ma anche la mia famiglia.
In tutta onestà amo lavorare alla
libreria: passare la giornata tra i libri, consigliare i clienti e
intrattenermi con loro in lunghe discussioni a proposito di qualche
titolo mi fa dimenticare che un tempo il mio sogno era laurearmi in
giornalismo. La Fitzpatrick si fa vedere solo una volta alla
settimana, fidandosi ciecamente di me e Pam, e così è come se
questo posto fosse un poco mio.
- Lexie! - Beth, che lavora allo
Starbucks dall'altra parte della strada, entra con una folata di
vento, reggendo un bicchierone Tall in ogni mano.
- Grazie al
cielo. - Mi fiondo sulla mia fonte di carica quotidiana, - Pensavo
non arrivassi più!
Lei alza le sopracciglia, maliziosa.
- E ho
la roba. - dice, sventolando il sacchettino che ha appeso al
polso.
Un senso di colpa si mischia al desiderio impellente.
-
Fanculo, Beth, sai che voglio smettere finché sono in tempo.
Lei
mi fa cenno di non protestare, e mette sul banco della cassa un
tovagliolo su cui appoggia la più perfetta ciambella grondante di
burro che io abbia mai visto. Mi tremano quasi le gambe.
- Faremo
a metà, non preoccuparti. - mi dice, e io non riesco a resistere.
-
Oh mammina... - mugugno, tirando fuori dal cassetto un coltello di
plastica con cui Beth taglia il donut con riverenza. - Questa è
l'ultima, giuramelo. - dico, cedendo e gustandomi un morso di quella
squisitezza.
- Te lo giuro, ma oggi ne avevo proprio bisogno: ho
buttato fuori Alex di casa.
Vorrei dire “di nuovo”, ma mi
trattengo.
- Cos'è successo?
Lei alza le spalle,
- Il
solito, è tornato a casa ubriaco, senza nemmeno la decenza di
avvisarmi che sarebbe rimasto in giro a bere. L'ho chiamato centinaia
di volte, secondo me era troppo preso a sbattersi qualche troietta
per rispondermi. - dice, cinica.
Odio Alex forse ancora più di
Gaby, e purtroppo Beth continua a riprenderselo con sé tutte le
volte che è abbastanza forte da chiudere con lui.
- Ti prego,
dimmi che questa volta non ci ricaschi.
Lei scuote la testa:
-
Me ne voglio andare, Lexie: New York era il mio sogno, ma sta
diventando la mia trappola per colpa di quel cretino, e purtroppo so
che se si ripresenterà nella serata sbagliata, a farmi tutte quelle
promesse che lui è capace di inventarsi, ci ricadrò ancora.
Le
stringo la mano, comprensiva.
- Se sento qualcosa in giro ti
faccio sapere, ok? - Tra noi poveri disadattati della società ci si
aiuta sempre.
Controlla l'orologio, la sua pausa è finita e mi
lascia anche il suo caffè bevuto solo per metà, ben sapendo che con
me non andrà buttato via.
Questo week end Allie rimane con
me, e com'è tradizione, domenica mattina ci prepariamo e andiamo a
fare colazione da Pam.
Quando arriviamo sotto al palazzo noto
subito un furgone da traslochi che sta parcheggiando, e Paul sul
marciapiede che aiuta l'autista a fare manovra; Allie si libera dalla
mia mano e corre a salutarlo.
- Cos'è successo, - lo stuzzico, -
l'hai chiamata di nuovo panzerotta e lei ti ha buttato fuori di
casa?
Paul mette a terra Allie che aveva preso in braccio per
farsi stringere le braccia al collo.
- Ma com'è spiritosa tua
zia, ranocchietta. - dice, fingendo una risata tirata. - Scott ha
lasciato Gaby.
Mi fingo scandalizzata.
- Ehi, pensavo che io e
Allie avremmo avuto la precedenza a venire a vivere con voi!
-
Sciocca, cos'hai mangiato, pane e stupidità? - Mi dà un colpetto alla
visiera del cappellino, calandomela sul naso. - Era libero
l'appartamento al secondo piano, e l'ha affittato.
Scott, dopo
aver parcheggiato, salta giù dal furgone a noleggio.
- Ehi, Lex,
sentito la novità? In quanto vicino di casa ora non ci sarà più
storia, sarò io il loro migliore amico. - È un giochetto che va
avanti da un po' di tempo.
- Scordatelo, la vedi questa? - Indico
Allie, - Se la vorranno tenere buona come babysitter per quando loro
figlio sarà grande, preferiranno sempre me.
Lui mi strizza
l'occhio, e io mi sento in colpa per non trovare niente di
consolatorio da dirgli sulla rottura tra lui e Gaby.
Loro hanno
già fatto colazione e non sono tentati da un altro giro di caffè,
così io e Allie saliamo da Pam perché possa rifocillarci, con la
promessa di scendere ad aiutarli più tardi.
Amo letteralmente il
loro caffè, una miscela che Paul prepara personalmente aggiungendo
un po' di cannella e qualche altro aroma che non copre ma esalta solo
il gusto della sacra bevanda. Pam ha apparecchiato sulla penisola, in
cucina, e ci sta aspettando con una vagonata di cibo da consumare:
french toast, uova strapazzate, cereali e frutta fresca; e come al
solito io e Allie cerchiamo di rifilarci a vicenda gli avanzi.
-
Tieni, tu devi crescere e io dimagrire. - le dico, sazia.
- Ma
zia, - dice la piccola peste, - tu hai lo stomaco più grande del
mio!
Pam non ci perde di vista, per assicurarsi che non rimanga
nemmeno una briciola, e alla fine ci dividiamo quello che è rimasto
e riusciamo a finire tutto.
- Sei una schiavista. - mi lamento, -
Non puoi sfogare su di noi tutte le tue turbe gravidiche: non
possiamo scoppiare solo perché tu sei apprensiva.
Pam scrolla le
spalle:
- Mangerete meno a pranzo. - dice, imperturbabile.
Ingollo
un'altra tazza di caffè e mi stiracchio, rischiando di cadere dallo
sgabello.
- E così Scott e Gaby hanno rotto: lui come l'ha presa?
Spero che non sia stata colpa di quella tragica cena. - le dico,
scansandola dal lavandino per lavare le nostre tazze.
Pam pulisce
uno sbaffo di cacao sulla guancia di Allie.
- Credo che sia uno
dei motivi che l'hanno aiutato ad aprire gli occhi, ma in due
settimane non maturi una decisione così importante se prima non ci
avevi mai pensato.
Peccato che Beth abbia deciso di andarsene, o
avrei potuto farli conoscere.
- È brutto se dico: buon per lui?
Cielo, mi sento orribile.
- L'abbiamo pensato tutti, tranquilla.
Anzi, io ho detto di peggio. - dice, facendo una smorfia
divertita.
Scendiamo tutte e tre, per dare una mano nel nostro
piccolo, e non avrei dovuto essere tanto sorpresa nel sentire Allie
salutare il nuovo arrivato.
- Signor William! - O forse sono
stupita di sentire la voce genuinamente contenta con la quale si
rivolge al suo insegnante. Lui la saluta, più sereno di come l'ho
visto comportarsi ultimamente e poi si rivolge a me e a Pam che
siamo rimaste indietro e ci saluta con un cenno della mano.
Sono
ancora grata a lui per il voto di settimana scorsa, convinta di aver
trovato un nuovo alleato, non gli nego un sorriso che sembra
coglierlo impreparato.
Ci dividiamo i compiti: Pam, seduta su un
panettone di cemento, dirige i lavori e fa la guardia al camion
aperto; gli uomini portano le cose più pesanti e Allie i sacchetti
più leggeri, mentre io mi occupo di quello che rimane.
Non perdo d'occhio mia nipote, sembra aver dimenticato persino per il suo debole per
Paul perché non si allontana mai a meno di un passo da Parker, come
lo chiamo nei miei pensieri ora che siamo in tregua, e questo mi dà
l'opportunità di osservare il suo modo di rapportarsi con lei.
È
in linea con la sua personalità, direi: non fa il piacione ma le
parla con tono calmo e sereno, trattandola con rispetto, conversando
con lei come se fosse una sua coetanea. Anzi, mi correggo perché ho
avuto modo di constatare che quando parla con gli adulti è sempre
spocchioso.
- Zia! - Si girano entrambi verso di me, beccandomi a
spiarli. La guardo, cercando di fare finta di niente. - Il signor William ha un gatto, possiamo averne uno anche
noi?
Ottimo, l'avevo appena convinta a lasciare perdere l'idea del
cane.
Mi schiarisco la voce:
- Vedi, Allie, in famiglia non
andiamo troppo d'accordo con i felini, scommetto perfino che sei
allergica. - butto lì.
A dire la verità io sono molto più da
cani, se non fosse per l'impegno che richiedono.
- Non volevo
metterti in difficoltà. - aggiunge Parker, ancora fermo sul
pianerottolo. Io gli indico la mia scatola, che sta iniziando a
pesare, e gli faccio cenno di proseguire.
- Nessun
problema.
Continuiamo a scaricare e a mettere a posto, Allie si
sarebbe stufata già da un pezzo se non fosse che vuole fare bella
figura con il suo insegnante e non riesco a non essere fiera di lei.
Nonostante Parker dia l'idea di essere sempre colto alla
sprovvista dal mio cambio di comportamento, ora che giochiamo nella
stessa squadra mi sorprendo ad ammettere che pur essendo fatto a modo
suo, è quasi simpatico.
Sembra terribilmente anacronistico in
maglietta e jeans, ma è anche a suo agio con i lavori manuali, cosa
che da lui non mi sarei mai aspettata.
Verso mezzogiorno, quando
il camion è vuoto, Pam dichiara che è arrivato il momento di
prendersi una pausa, e mentre Paul segue Scott in macchina e vanno a
restituire il furgone, io salgo con lei ad aiutarla a preparare da
mangiare e Allie insiste a rimanere di sotto con Parker a fargli da
assistente mentre monta alcune mensole.
- Ti vedo ben disposta
verso William: avete deposto l'ascia di guerra? - mi chiede Pam,
mentre lei butta la pasta e io faccio la spola tra la cucina e il
soggiorno per apparecchiare.
- Non pensavo, e invece è stato lui
a cambiare atteggiamento: credo che non ammetterà mai di aver
sbagliato, ma a me basta vedere che ha capito.
Pam solleva un
sopracciglio:
- Ti prego però: non finire con lui, non
sopporterei mai che Paul l'abbia vinta, alla fine.
Sbarrò gli
occhi, scandalizzata dall'ipotesi.
- Ma sei fuori? Non delirare, ti
prego: avrà ventisette anni ma quello è vecchio dentro! E poi sai
che io ho un debole per i bad boy. - dico, strizzandole l'occhio.
-
Io tutto questo debole non l'ho mai visto, se non con la tua serie
tv.
Mi porto una mano al cuore, teatrale:
- Ti prego, Jax, esci
dallo schermo e vieni con la tua motocicletta a sbattermi!
Pam
ride,
- Quanto sei cretina.
- Ehi, bella, ti devo ricordare che
mi hai confessato di avere una cotta per Damon? - la provoco, ben
sapendo di aver toccato il suo punto debole. Che poi, Vampire Diares
sarà anche diventato una cagata colossale, ma anche io se si
presentasse qui il bel Damon Salvatore non ci penserei molto prima di gettarmi
ai suoi piedi.
- Ok, ok, ma intanto io ho un marito in carne e
ossa. Vai a chiamare Allie e William, i ragazzi saranno qui tra poco
ed è quasi pronto.
Scendo a piedi e noto la porta d'ingresso aperta, mi avvicino silenziosamente e assisto alla lezione
che Parker sta dando a Allie sul funzionamento della bolla: stanno
facendo vari esperimenti appoggiandola su inclinazioni diverse e le
mensole sono ancora tutte a terra.
Dopo che il mio cuore di zia si gonfia d'affetto e di orgoglio per la mia bambina mi trovo a spiare il suo insegnante, hanno entrambi la stessa espressione concentrata mentre osservano l'esito della loro prova.
Ok, ammetto che Parker ha il
suo perché, anche se sembra incapace di relazionarsi altrettanto
bene agli adulti.
Fin da quando l'ho incontrato la prima volta per me è sempre
stato semplicemente il signor Testa di Corno, quindi non mi sono mai
presa la briga di osservarlo, ma come ho già detto nonostante i
suoi tratti siano regolari e al tempo stesso anonimi, ha un che di
anacronistico. Sarebbe un attore perfetto per un film in costume, non
solo per i suoi modi ma anche per il suo aspetto: pur essendo asciutto
non ha nè l'esile magrezza nervosa degli uomini un po' rock o
bohemien, nè i muscoli allungati tipici dell'atleta. I suoi
lineamenti sono camaleontici, tanto riesce a sembrare superbo e
spocchioso quando ha la sua tipica espressione crucciata, tanto ora
sembra perfino innoquo, quasi fosse addirittura un'altra persona.
Vedo il bicipite non molto definito gonfiarsi
però a dovere mentre solleva la cassetta degli attrezzi, e
decisamente ha il suo perché, anche se non lo ammetterò mai neanche
sotto tortura.
- Pensavo che dovevate montare le mensole. - dico,
palesando la mia presenza.
- Era interessata alla bolla, ho
ritenuto che meritasse una spiegazione dettagliata.
Sbatto gli
occhi, santo cielo: quando parla passa da cento a zero in dieci
secondi. Sembra a disagio che io li abbia trovati nel bel mezzo della
lezione, se non contrariato, e non fa molto per nasconderlo.
-
Forza, Allie: a lavarti le mani, è quasi pronto. - le dico,
lasciandola correre di sopra mentre io sono indecisa se aspettare o
meno Parker: vorrei ringraziarlo per come ultimamente si sta
comportando con lei, ma non vorrei farlo quando è così palesemente
di cattivo umore, rischiando di rovinare tutto.
Quando opto per
andarmene lui è pronto, e così usciamo dall'appartamento insieme,
in silenzio.
- Grazie per quel voto al compito di Allie.
Parker
si ferma, si appoggia al corrimano e mi guarda.
- Ha fatto un buon
compito è si è meritata quella nota positiva, non avrai pensato che l'ho
fatto perché ho cambiato idea, vero?
Questa non me la
aspettavo.
- No, è che... cioè, da un lato sì. - ammetto, per un attimo disorientata.
- Dimmi una
cosa, se la premi a prescindere come farà a distinguere quando ha
fatto qualcosa di veramente buono e quando non ha fatto altro che il
suo dovere?
- Ancora con questo vizio a volermi insegnare come
crescere mia nipote? - ribatto allora, più sicura di me.
- È una
mia alunna, non voglio insegnarti un bel niente ma mi è forse
vietato dire la mia opinione?
Sarà anche vestito con jeans e
maglietta, ma a me adesso sembra identico a quando era nell'aula,
impettito nella sua giacca da professore.
- Tu non hai opinioni,
tu pretendi di avere ragione! - gli faccio notare.
- No, tu
pretendi di avere ragione.
E ci mancherebbe altro, direi:
-
Sono sua zia, la conosco da quando è nata e sono la sua tutrice:
forse so quello che è giusto per lei.
Lui fa una faccia
scandalizzata.
- Andiamo, sei una ragazzina incapace di ascoltare
i consigli di chi potrebbe aiutarti.
È fortunato che non credo
nella violenza, o gli avrei tirato un sonoro schiaffone, qui su
queste scale.
- Non ti permettere, io sto facendo di tutto! -
sibilo, dandogli le spalle e considerando chiusa la conversazione.
-
Volevo dire che non c'è niente di male a chiedere aiuto. - cerca di
rimediare, ma ormai l'ho seminato.
L'atmosfera è totalmente
cambiata a pranzo, io mangio in silenzio e Parker fa lo stesso, se
non per rispondere alle domande di Allie. Poi, quando a fine pasto
lei gli chiede se le darà una mano lui con i compiti, io decido che è
arrivato il momento di alzare le tende.
- Non disturbare il signor
Parker, Allie: dobbiamo andare a casa adesso e loro devono darsi una
mossa, se Scott vuole dormire nel suo letto stasera.
Il signor
TDC, nuovamente promosso a quel nome, cerca di fare il gentile:
-
Non sarebbe nessun disturbo. - si affretta a dire, ma ormai alle mie
orecchie nessuna parola potrà redimerlo:
- La ragazzina ha finito
di frequentare le elementari da poco: credo di ricordarmi ancora qualcosa,
sarò più che capace di aiutarla io. Alanis, non scordarti il
cappello.
So che gli altri rimangono basiti dal nostro battibecco,
non sapendo i precedenti, ma per fortuna avrò modo di giustificarmi
in un altro momento.
- È stato inopportuno, - mi dà ragione
Pam quando la chiamo, una volta a casa, - te ne do atto, ma imparando
a conoscerlo credo che lui non voglia tanto giudicarti quanto darti
una mano. Non mi sembra il tipo borioso che vuole farti sentire in
difetto.
Mi asciugo la lacrima solitaria che mi bagna le ciglia.
-
Però l'effetto è quello.
Nda Ora che "Imagine me & you"
è finita setto l'aggiornamento di questa storia i primi giorni
della settimana, dato che il martedì sono di riposo e riesco a
garantire di avere il tempo per farlo. Vi stra-ringrazio per le
recensioni e per le letture, ma soprattutto oggi colgo l'occasione per
ringraziare un paio di lettrici che, ho notato, seguono ogni mia storia
fin dai tempi delle fanfiction di Harry Potter. Non le nomino
perché non vorrei che il mio ringraziamento possa passare come
una forma di arruffianamento, così come non vi contatto
personalmente, però vi ho notate: vi vedo aggiungervi sempre
nelle liste delle mie storie e il fatto che mi seguiate così
è per me un piacere immenso. Grazie!
Ps capitolo modificato 9/11: grandezza font modificati, in prova
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Capitolo 4 *** Difese (immunitarie) abbassate ***
sconvolta
Comunicare. È la prima cosa
che impariamo davvero nella vita. La cosa buffa è che più
noi cresciamo, impariamo le parole e cominciamo a parlare e più
diventa difficile sapere cosa dire, o peggio ottenere quello che
davvero vogliamo. [...] E alla fine della giornata ci sono delle cose
delle quali non si può fare a meno di parlare. Certe cose
semplicemente non vogliamo sentirle, e altre le diciamo perché
non possiamo più tenerle dentro. Per certe cose non servono
parole, certe cose si fanno e basta. Alcune cose si dicono
perché non si ha altra scelta. E alcune cose le lasciamo dentro
noi stessi. E non accade molto spesso ma di tanto in tanto alcune cose
semplicemente parlano da sole.
(Grey's Anatomy, stagione 2 episodio 7)
Mi capita di vederlo sempre più spesso, quando vado a
prendere Allie a scuola: nel cortile, alla finestra della sua aula,
nell'atrio mentre sta uscendo. E tutte le volte devo trattenermi dal
chiedergli che cos'ha da guardare o mandarlo a quel paese. È
come se mi stesse tenendo d'occhio, e io questa cosa non riesco a
sopportarla: sarò anche giovane, ma di sicuro sono in grado di
badare a mia nipote, non ho nessun bisogno del controllino da parte
dell'esperto.
Le mamme della classe sembrano tutte entusiaste di lui, ma questo è perché sicuramente lui sa quale culo leccare.
È stata una settimana terribile e sono contenta che
sia già arrivato il venerdì: il culmine è stato
svegliarmi stamattina con la febbre e sapere di non potermi concedere
il lusso di fare la malata. Pam e Paul passano il week end fuori per un
matrimonio, Beth usa ogni momento libero per cercare di organizzarsi
con il trasloco e mamma oggi ha la dialisi e papà non può
lasciarla sola; così devo trascinarmi fuori dal letto,
accompagnare Allie a scuola e vegetare in libreria cercando di stare in
piedi fino al momento di andarla a prendere; poi potremo andare a casa
e chiuderci dentro per due giorni, sperando di guarire nel frattempo.
- Zia, hai la faccia verde. - mi dice, preoccupata.
- Zia ha solo un po' di raffreddore. - la tranquillizzo con voce
nasale, bevendo un po' di sciroppo, - Questa mattina vanno bene i
cereali per colazione, vero? Svegliami quando finisci di mangiare. - Le
metto davanti la scatola e collasso sul tavolo della cucina, godendomi
la sensazione di fresco sulla faccia. Pensavo di voler riposare solo
gli occhi e invece quando Allie mi chiama mi rendo conto di essermi
addormentata davvero, ma per quel poco è stato bello. Arranco
verso l'ingresso, senza scordare di dirle di mettersi il cappello: se
si ammala anche lei siamo fritte.
Per fortuna sapevo che non potevo lasciare Allie a nessuno e ho detto
alla Fitzpatrick che non avrei potuto coprire il turno pomeridiano di
Pam, perché quando lei arriva con un'ora di anticipo per darmi il
cambio non ce la faccio più a rimanere.
- Potevi chiamarmi, ti avrei detto di stare a casa in queste condizioni. - mi rimprovera.
- Tanto dovevo portare Allie a scuola. - provo a giustificarmi.
Lei fruga nella sua borsa da nonna e tira fuori un blister di paracetamolo che accetto riconoscente,
- Grazie, per farmi andare via prima.
- Non ti preoccupare, Lexie: sono vecchia ma la libreria è mia e
un turno ogni tanto sono in grado di farlo. Mettiti sotto alle coperte,
mi raccomando!
Dopo che avrò recuperato Allie a scuola, di sicuro.
Arrivo in anticipo ed entro, puntando
alle sedie del corridoio e nonostante la pastiglia di paracetamolo che
ho preso sento che la febbre non accenna a scendere: sono coperta come
un'eschimese eppure non riesco a smettere di tremare. Mi lascio cadere
su una sedia fuori dall'aula di Allie, con tutta l'intenzione di farmi
un sonnellino prima del suono della campanella.
- Miss Spencer?
Socchiudo gli occhi, il signor TDC mi guarda incredulo, probabilmente schifato dal mio aspetto da film horror.
- Non darò fastidio: manca solo un'ora alla fine della scuola,
non posso andare a casa e tornare qui. - tossisco, sperando che rientri
in classe e mi lasci dormire.
C'è silenzio e deduco che abbia seguito il mio consiglio
implicito, e invece rabbrividisco al contatto di una mano gelida che mi
sfiora la fronte.
- Scotti.
- Ma va? - borbotto, vince decisamente il premio di insegnante più intuitivo dell'anno.
- Perché non vai a casa?
E perché lui deve essere così ottuso?
- Perché devo portare a casa Allie: Pam e Paul sono via, i miei
in ospedale e Beth non può. - rantolo, infischiandomene del
fatto che non sa chi è Beth. - Non hai una lezione da tenere?
Vai, su. - lo congedo.
Eppure ancora una volta il signor TDC non sembra intenzionato a
lasciarmi in pace, si presenta di nuovo davanti a me con la sua giacca
in mano.
- La classe è a ginnastica, stavo solo correggendo dei compiti. Vieni, ti porto a casa e poi torno a prendere Alanis.
- Non devi. - protesto, mentre dentro di me il pensiero di andare a
casa adesso e per giunta in macchina è pari al sentire le
campane del paradiso.
Lui mi aiuta ad alzarmi.
- Muoviti, Miss Spencer: oggi non sei in condizione di fare di testa tua.
Mi tiene per il braccio mentre camminiamo lungo il corridoio, adattandosi
al mio passo strascicato, mi guida verso la sua macchina e aspetta che
io mi sistemi dentro prima di chiudere il mio sportello e fare il giro
per salire.
- Signor TDC... non sono sicura di potertelo lasciar fare, Allie si preoccuperà se non mi vede a prenderla.
- Allie era preoccupata per te, stamattina: sono sicura che capirà.
- Povera cucciola, cosa avrà fatto di male per meritarsi una zia
così. - mormoro, nei deliri della febbre. - Tu sei d'accordo con
me, vero? - sbadiglio, prima di lasciarmi cullare dal movimento della
macchina e piombare in un sonno pieno di incubi.
Mi sveglio nel mio letto, la pelle mi brucia per la sconfortevole pressione dei jeans e ho la gola secca.
Allie!
Sento dei rumori ovattati venire dalla sala e cerco di chiamarla, ma la
voce è troppo debole e capisco che non mi sentirà mai.
Non so che altro fare se non allungarmi e prendere il cellulare sul
comodino e fare il numero di casa. Sento il telefono squillare ma non
risponde nessuno, invece Scott entra in camera.
- Ti sei svegliata, finalmente. - dice, con la voce paziente che si usa con i malati.
Per fortuna Allie non è da sola.
- Che ci fai tu qui? - tossisco.
Mi porge un bicchiere di spremuta, in cui presumo avrà sciolto qualche medicina.
- Sono venuto a dare il cambio a Will: lui ti odia e non poteva rimanere.
Faccio due sorsi con fatica e gli restituisco il bicchiere.
- Perfetto, quando è così lo odio anche io. - Scott mi
guarda stranito ma non ho la forza di chiedermi il perché, non
vedo l'ora di tornare a dormire. - Grazie per badare tu a Allie. - gli
dico, mentre sta uscendo.
Apro ancora gli occhi, prima di
riaddormentarmi avevo avuto la buona idea di sfilarmi i jeans, quindi
ora almeno non sento più quella fastidiosa sensazione, ma ho
decisamente freddo. Chiamare Scott per farmi aiutare è fuori
discussione, quindi mi faccio forza e mi metto a sedere, prendo un bel
respiro e mi alzo, andando verso il cassettone. Frugo e trovo un paio
di pantaloni della tuta, alzo una gamba e me li infilo lentamente...
pessima idea.
La porta di spalanca e se già ero a disagio all'idea che mi
trovasse Scott, collassata a terra con i pantaloni mezzi su e mezzi
giù con il sedere di fuori, la visione del signor TDC mi fa
rimpiangere di non essere del tutto svenuta.
- Oh cielo, non tu, ti prego. - rantolo mentre tento di alzarmi senza
risultato, e lui sebbene sia ancora più in imbarazzo di me non
fa una piega e mi solleva.
La prima cosa che faccio, una volta appoggiata al letto, è
rimediare al disastro e tiro su i pantaloni quasi fino alle ascelle.
- Ti ho sentito cadere. - si giustifica, ma non fa cenno di volersene
andare e rimane in piedi a guardarmi. - Devi essere molto debole, vuoi
mangiare qualcosa?
Annuisco, ma dovrà passare sul mio cadavere se pensa che lo lascerò imboccarmi.
- Vorrei mangiare a tavola però. - Cerco di rimettermi in piedi
e a mio malgrado devo appoggiarmi a lui per non cadere. - Allie? -
chiedo.
Parker mi aiuta a sedermi su una sedia in cucina e poi cerca qualcosa in un sacchetto appoggiato al bancone.
- Dorme, sono le nove.
Mia nipote che dorme alle nove? Sto davvero delirando. E forse anche Parker è il frutto della mia immaginazione.
- Scott?
Lo guardo muoversi nella mia cucina, incapace di provare risentimento contro quella allucinazione.
- È a casa, domani mattina vanno delle persone a vedere il
vecchio appartamento e lui sta dando una mano a Gabrielle a sistemarlo.
Scalda al microonde quella che deve essere una zuppa di pollo e poi la
travasa in un piatto fondo, me la mette davanti e si mette a spremere
delle arance.
- E tu perché sei qui, se mi odi? - non sono riuscita a fare a
meno di chiederglielo, ma se è un'allucinazione forse non me ne
devo preoccupare. Anche se il profumo di questa zuppa di pollo è
reale, e anche il brontolio allo stomaco. Lui si è fermato e mi
sta guardando, perplesso.
- Cosa?
Accidenti, l'ho proprio lasciato senza parole: ora è certo che è un'allucinazione.
- Me l'ha detto Scott prima: tu mi odi e non potevi rimanere.
La sua espressione si fa ancora più confusa, rinuncia alle arance e si siede di fianco a me.
- Dubito che Scott ti abbia detto così: il venerdì
pomeriggio tengo un corso alla NYU, è per quello che gli ho
chiesto di sostituirmi. E per inciso: non ti odio affatto. - Ha un modo
di dirlo, così serio e determinato, che mi fa sentire in colpa.
- Non mi va più. - dico per cambiare argomento, spingendo
leggermente il piatto in avanti: è troppo calda, e inoltre mi
sento già più lucida per quelle due cucchiaiate che ho
preso: immagino che la febbre si sia abbassata, e stare seduta mi fa
bene.
- Mangia, miss Spencer. - mi intima, alzandosi e tornando allo spremiagrumi.
- Hai visto il mio sedere, non ti sembra che puoi passare a chiamarmi Lexie? - gli chiedo, sperando che neghi di averlo visto.
- No.
Ottimo, non so a che cosa si riferisca. Sospiro e prendo un altro po'
di zuppa, e quando decide che ne ho preso a sufficienza mi porge due
pastiglie e il bicchiere di spremuta.
- Ora vai a casa, vero? - gli chiedo, non vedendo l'ora che se ne vada
e allo stesso tempo preoccupata per come supererò la notte da
sola. Faccio per alzarmi e tutte le forze che ho racimolato mi
abbandonano, facendomi cadere come un sacco di patate tra le sue
braccia.
- Non mi sembra il caso, cosa dici?
Mi sento inutile, mentre lui mi solleva agilmente e mi porta in camera da letto. Odio aver bisogno di lui.
Lascio che mi appoggi a letto, spegne la luce e socchiude la porta dicendo che se ho bisogno di lui sarà sul divano.
Aspetto un po', nonostante la debolezza ho dormito tutto il giorno e il
sonno non si decide ad arrivare, così cercando di non ripetere
gli stessi errori mi alzo molto lentamente per mettere su un dvd. Ho un
altro capogiro ma riesco ad afferrare il comò ed evitare di
cadere, ma il rumore della custodia del dvd a terra deve averlo messo
in allerta perché in una frazione di secondo è di nuovo
in camera.
- È un vizio, ragazzina? - dice contrariato, vedendomi piegata e aggrappata al comò.
- Volevo vedere un film. - mi giustifico, abbassando la testa.
- E non potevi chiedermi di prendertelo? - chissà dov'è
finito il suo tono cortese, oggi sembra sempre arrabbiato quando mi
parla.
- Non volevo disturbare.
Lui sospira e mi solleva di nuovo, ma anziché portarmi a letto si gira e andiamo in sala.
- Mi costringi a tenerti sott'occhio, se ti ostini a fare così.
- mi rimprovera. Mi allunga la coperta e rimane in attesa di
istruzioni. - Avanti, che film volevi vedere?
Guardare Dirty Dancing con un ragazzo? Cielo, no.
Un attimo, ragazzo? Cosa mi viene in mente di chiamarlo così, lui è un vecchio Testa di Corno.
Mi schiarisco la voce, cercando di pensare a un'alternativa, ma non me
ne viene in mente nessuna, e poi ho proprio bisogno di Patrick Swayze
in questo momento.
Lui, vedendomi incerta, torna in camera, raccoglie il dvd a terra e
torna in sala. Lo mette su e si siede vicino a me, rannicchiata
all'angolo del divano.
- Mi sento a disagio, con te qui. - o glielo dicevo, o sarei scoppiata.
Lui mette in pausa e mi guarda, aspettandosi che io continui, ma quello che dovevo dire l'ho detto.
- Posso capire, miss Spencer: non ci conosciamo abbastanza per avermi nel tuo salotto tutta notte.
Cielo, mi fa passare per una puritana: quando ero al college ho fatto
cose molto peggiori con ragazzi che conoscevo da molto meno,
però è diverso.
- Non si tratta di quello. Ti stai... prendendo cura di me, e io non voglio.
Lui annuisce,
- Non hai smesso un attimo di ricordarmelo, ma cosa dovrei fare? Lasciarti a te stessa? E Alanis?
Lo sapevo, si sente in dovere di rimanere per un suo codice d'onore personale.
- Non sei obbligato.
- Non mi obbliga nessuno, miss Spencer. E adesso guarda il tuo film, se
ti da fastidio la mia presenza vado in cucina a correggere i compiti,
dove potrò comunque tenerti d'occhio.
Ed ecco che mi fa sentire ancora in colpa, porca miseria.
Cerco di non pensarci e mi tuffo nel mio film preferito, ma questa
volta sono completamente consapevole di un'altra presenza in casa, e
non riesco a perdermi del tutto.
Qualcuno mi sta chiamando, e dal nome che usa è ovvio che si tratta di Parker.
- Miss Spencer? Ti è salita la febbre, ora ti porto a letto ma prima devi prendere un'altra pastiglia.
Sono troppo stanca e intontita per ribellarmi e faccio quello che lui
mi dice, poi quando lui appoggia sul tavolino il bicchiere d'acqua che
gli restituisco, gli tendo le braccia perché possa sollevarmi.
- È una piacevole novità vederti così arrendevole.
- borbotta, oserei dire divertito ma la febbre come al solito distorce
tutto quello che vedo e che sento.
- Non ti ci abituare. - trovo però la forza di dirgli.
Non so se l'ho sognato oppure è
successo davvero, ma ho l'impressione che Parker sia venuto a
svegliarmi un paio di volte stanotte, per farmi bere e per darmi le
medicine, e effettivamente quando mi sveglio a mattina inoltrata sento
che la febbre è passata.
Mi alzo, e sebbene mi senta ancora debole non mi prende nessun capogiro così, più tranquilla, esco dalla stanza.
- Ti spezzi ma non ti pieghi, eh? - Sento il suo rimprovero e
immediatamente dopo l'odore acre che emana. Mi giro, o meglio emana la
sua maglietta. Cerco di non fissare il suo petto nudo, trovando
inappropriata più che mai questa situazione. - Immagino che tu
non abbia magliette da uomo da prestarmi, vero?
Ok, qualche sbirciata la do.
- Che cosa è successo?
È magro e asciutto, eppure pur non avendo i muscoli sviluppati
il suo torace risulta ben sagomato, niente tavola da surf con due etichette circolari come capezzoli, è
decisamente il torace di un uomo. E se evitavo di prenderne nota era
meglio.
- Allie: sta male anche lei. Adesso dorme, ma mi ha vomitato la colazione addosso.
Non posso fare a meno di ridacchiare, lui così dignitoso con in mano la maglietta piena di vomito.
- Mettila a bagno: vedo se posso trovarti qualcosa.
Torno in camera e trovo una maglietta con il logo del college che penso
gli possa andare bene, poi prima di tornare da lui prendo anche un
asciugamano. Non ho pantaloni e biancheria da uomo, si dovrà
accontentare. - Immagino che ti vada una doccia. - dico, tornando in
bagno. Sta arrossendo o mi è tornata la febbre con le sue allucinazioni? - E poi credo
che tu possa andare, mi sento meglio.
Lui prende la maglietta e l'asciugamano.
- Smettila. - dice, prima di chiudersi in bagno.
Ha passato la notte in casa mia, ha
vegliato su di me e su mia nipote che gli ha vomitato addosso e ancora
sono a disagio con lui. C'è da dire che in tutto questo lui si
ostina a non volermi chiamare Lexie. Quest'uomo è ridicolo.
Faccio capolino nella camera di Allie e vedo che dorme tranquilla,
è calda ma non bollente quindi spero che, anche se gli ha preso
lo stomaco, la sua influenza sia meno aggressiva della mia.
Raggiungo la cucina e metto su il caffè, mentre aspetto che
scenda mi siedo, già stanca di quel giro della casa, e sento il
suo rimprovero.
- Non hai il The. - dice, come se fosse un'eresia.
Devo sforzarmi di non sorridere: con la maglietta del college e i
capelli umidi che si arricciano sulle tempie la sua età è decisamente ridimensionata.
- The? Sarebbe? - dico, fingendo di non conoscere quella parola. Lui scuote la testa e prende due tazze.
Dovevo aspettarmelo, io adoro il caffè e lui il The: non potrei trovare una persona con cui sono meno affine.
- Come ti senti? - mi chiede, mettendomi davanti oltre alla tazza di caffè anche una spremuta e una pastiglia.
- Meglio, sono certa che sto guarendo.
- Hai ancora la febbre. - mi informa, - Ma forse dopo aver passato la
notte con la temperatura a quaranta gradi adesso ti sembra di volare.
Metto il termometro sotto l'ascella e quando lo sento suonare scopro
che ha ragione, segna trentotto gradi. Sospiro, maledicendo la mia
debolezza che lo rende così necessario.
Lui beve solo un paio di sorsi e poi si arrende, lasciando lì il caffè che sono tentata di rubargli.
- Cosa hai dato ad Allie? Ha un po' di febbre.
- Solo trentasette e mezzo, finché non sale Pamela mi ha detto di non darle niente.
- Pam? - chiedo, stupita.
Lui annuisce,
- Quando ti ho portata a casa, ieri, non sapevo in che appartamento
entrare e l'ho chiamata, siamo rimasti in contatto. E per Alanis ho
preferito chiedere consiglio a lei.
La mia Pam, chissà cosa farei se non ci fosse.
Mi stiracchio, sentendo che tornare a letto non mi dispiacerebbe per
niente, ma anziché andare nella mia stanza viro verso quella di
Allie e mi raggomitolo accanto a lei.
Ho passato l'intero pomeriggio senza febbre e anche Allie sembra sulla
via della ripresa, e Parker finalmente ha acconsentito a lasciarci sole.
Averlo in casa oggi, più lucida, è stato ancora
più strano di ieri perché per quanto credessi di esserlo
ero decisamente intontita dalla febbre e con le difese abbassate: posso
solo sperare di non aver detto niente di strano, che il filtro
pensiero-bocca non sia stato totalmente fuori uso.
E stranamente anche lui, capendo che stavo meglio, non mi è
stato tanto tra i piedi. Alle sei l'ho accompagnato alla porta,
ringraziandolo, e quando l'ho visto prendere l'ascensore ho tirato un
sospiro di sollievo: i due giorni più imbarazzanti della mia
vita.
Nda Ed ecco che William Parker aka TDC
prende più forma, in questo capitolo finalmente si capisce un
altro pezzettino di questo uomo. A scanso di equivoci: Scott non
dice veramente a Lexie che William la odia, ma i deliri da febbre alta
le hanno fatto capire così. A proposito sì, pur senza
esagerare ho cercato di rendere la narrazione in linea con il suo
temporaneo stato mentale, se noterete la differenza eccovi la
giustificazione.
Sto provando una nuova dimensione del testo, perché c'era chi
aveva difficoltà a leggere con la vecchia formattazione: fatemi
sapere com'è questa, eventualmente posso cambiarla ancora.
E per il banner lassù in alto, semplicemente capita che per
ispirarmi mi metto a giochicchiare con le immagini (e JJ Feild è
stata una notevole fonte d'ispirazione ♥) e se mi escono decenti
le allego alla storia, quindi all'alba del quarto capitolo abbiamo una copertina.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, vi saluto e vi auguro una buona settimana!
|
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Capitolo 5 *** Paragoni (pt 1) ***
sconvolta
È come per le torte, alla fine
di ogni serata, del cheesecake e della torta di mele non rimane
assolutamente nulla, della mousse di pesche e della torta di cioccolato
ne rimangono delle fette, mentre la meravigliosa torta di mirtilli
rimane intatta.
(My Blueberry Nights)
- Mi ha visto il sedere. - dico a Pam e Beth a bassa voce, per
evitare che i clienti in negozio mi sentano. - Non vorrei parlarci mai
più, ma ovviamente è l'insegnate di Allie e mi è
impossibile.
Beth ridacchia,
- Fortunato lui!
- Ero uno straccio, penso che nessun uomo abbia potuto trovarmi attraente in quelle condizioni.
- Però è stato molto carino. Sembrava preoccupato quando
l'ho sentito per telefono, e non ho dovuto nemmeno consigliargli io di
rimanere per la notte: lo dava per scontato.
Pam ha la sua lista di priorità e non voglio stare a discutere
sul fatto che la sua presenza mi ha messo a disagio. E sì, vista
la situazione dall'esterno posso ritenere adorabile la preoccupazione
della mia amica per me malata e ovvio come Parker sia salito di qualche
gradino sulla sua scala che va da uno a dieci, dove uno è
“Vecchio Testa di Corno spara-sentenze” e il dieci
ovviamente non può che essere “Noah di Le Pagine della
Nostra Vita che legge tutti i giorni alla moglie malata di Alzheimer il
racconto della loro storia”.
Però, vista da me, la situazione è un tantino diversa:
non solo perché mi sono resa ridicola in tutti i modi possibili
di fronte alla controparte di tutte le mie più recenti
discussioni, ma si dà il caso che sia anche l'ultima persona al
mondo che voglio che mi ritenga ridicola e bisognosa di aiuto.
L'uomo che mi giudica, quello che mi ha chiamato ragazzina: le sue
parole mi hanno umiliato, nonostante io sappia che sto facendo di tutto
per fare le cose bene, ha il potere di farmi sentire in difetto. Come
posso non voler cancellare dalla mia mente questo catastrofico week end?
Beth si solleva dal bancone della cassa, dove si è appoggiata.
- Beh, ragazze, è arrivato il momento dei saluti. Pam: quando il
pupo nascerà voglio sapere tutto, ricordati di mandarmi un
messaggio, ok? - La stringe, facendo attenzione a non schiacciarle la
pancia. - E Lexie... - Passa a me, stritolandomi. - Non ti preoccupare,
ho dato istruzioni al mio sostituto perché si prenda cura di te:
non sentirai affatto la mia mancanza, fidati. - dice, strizzandomi
l'occhio.
Sono contenta per lei, ma chiunque sia il suo sostituto ha torto: mi mancherà un sacco.
- Ed eccolo, in perfetto orario: bravo Drew, complimenti. - dice,
rivolgendosi al ragazzo che è appena entrato in negozio con in
mano una tazza di caffè.
Ok, non sentirò affatto la mancanza di Beth. Do una leggera
gomitata a Pam, che rischia di sbavare, e sorrido radiosa al nuovo
arrivato, sperando che non noti che ho il naso ancora arrossato per via del
raffreddore.
- Questo è per Lexie, - dice porgendomelo, sicuro come se Beth
gli avesse fornito una mia foto con sotto la didascalia
“dipendente da caffeina”. - Non sapevo che ci sareste state
anche voi, vado a prendervi qualcosa?
Beth tira Pam per il gomito.
- Io me ne stavo andando, e anche lei: fa il turno del pomeriggio.
Ricordati: per la mammina niente caffeina, ma solo spremute d'arancia e
tisane. - gli impartisce le ultime lezioni mentre spinge Pam fuori
dalla porta. - Ciao Lexie, chiamami! - dice poi, lanciandomi un ultimo
bacio.
Rimasti soli guardo Drew e capisco che è sciocco presentarmi,
dal momento in cui già conosciamo i rispettivi nomi.
- Ho un conto aperto, pago una volta alla settimana. - lo informo,
pensando che sia ancora qui perché aspetta di essere pagato, ma
lui sfodera un sorriso che mi fa tremare le ginocchia.
- Lo so, ma Beth mi ha detto che questo è un posto tranquillo
dove passare la pausa senza essere disturbati, spero non ti dispiaccia.
- No. - squittisco, nascondendomi dietro al caffè.
Lui si guarda intorno, e io guardo lui: è come se qualcuno
avesse preso nota delle mie preferenze e lo avesse confezionato per me.
Alto come Parker ma sicuramente più muscoloso. I capelli sparano
in tutte le direzioni, ingellati, e ha un piercing sul labbro che mi fa
battere il cuore solo a guardarlo.
Molto bene, Drew, benvenuto.
Sono contrariata per aver pensato un attimo a Parker paragonando le
loro altezze, ma forse sono ancora i residui della febbre o la
gentilezza che, nonostante tutto, ha dimostrato mentre si prendeva cura
di me; e forse perché è stato il primo uomo che vedevo a
petto nudo dopo un bel po' di tempo. Mi consolo però,
sicura che Drew spazzerà questi malsani rimasugli di pensieri
via dalla mia mente. Si gira, sorprendendomi a guardarlo, e mi fa
l'occhiolino.
- Quanti anni hai?
- Ventidue. - dico sicura.
So già dove vuole andare a parare e quindi non mostro un minimo
di esitazione quando, dopo avermi restituito lo sguardo lusinghiero
mentre mi studia per benino, mi chiede: - Ottimo, volevo invitarti a
bere qualcosa.
Andiamo a fare l'aperitivo il giorno dopo, e scopro che nonostante
l'aspetto più giovanile ha ventotto anni, uno in più di
Parker.
Non è male uscire di nuovo con un ragazzo, Allie è con la
famiglia P, Pam e Paul, e non ho nessuna fretta di andare a casa; ma
chiacchierando sento chiaramente che, al di là dell'esperienza
in sé per sé, questa serata non è per niente come
me l'ero immaginata: è come se mancasse qualcosa.
Una certa continuità nelle chiacchiere non certo carente per il desiderio di fare colpo, anzi; brivido inesistente.
Non che Drew non sia un bel vedere, a rischio di ripetermi è
esattamente il mio ideale di ragazzo; ma forse proprio per questo ero
un po' troppo carica di aspettative e invece mi ritrovo a captare ogni
movimento che fa verso di me, come se rispettasse un copione che ho
già letto, con un effetto finale decisamente tiepido.
Drew almeno non è come la maggior parte dei ragazzi del college
con cui ero uscita, impazienti di concludere la giocata: non mi fa
pressioni e tutto sommato lo posso definire galante, prende le cose per
la lunga ma non eccessivamente, mi dà il bacio della buonanotte
e ci salutiamo dicendoci che dovremmo rivederci al più presto.
Quando suono al citofono e non mi risponde nessuno mi faccio prendere
dal panico, ma prendendo il telefono pronta a chiamarli e a scoprire
chissà qualche disgrazia, leggo il messaggio di Pam che mi
avvisa che sono tutti da Scott.
Scommetto che invitarli è stata una sua mossa per tirarli dalla
sua parte, penso già pianificando un modo per poter stuzzicarlo,
e suono il citofono. Mi risponde lui, invitandomi a correre su: mi
aspettano con una birra ghiacciata e vogliono sentire tutti i dettagli;
salendo rido tra me e me paragonandolo, nella nostra strana famiglia
allargata, a un fratello maggiore. Beh, non di quelli gelosi, è
ovvio.
Hanno lasciato la porta socchiusa e non appena la apro Pam, che mi
aspettava in corridoio curiosa come una scimmia, mi investe:
- Allie si è addormentata, non può sentire quindi non ti
risparmiare: come è stato baciare uno con il piercing?
- E chi ti dice che l'ho baciato? - ridacchio, ma dal suo sguardo
capisco che non è prudente tenere sulla corda una sotto effetto
degli ormoni della gravidanza. - Ok, l'ho baciato. - dico a voce
abbastanza alta perché mi sentano anche Paul e Scott, in sala. -
Ma giusto per essere chiari: poteva andare meglio, anche se è un
figo spaziale.
Mi prende sottobraccio, soddisfatta, e li raggiungiamo,
- È decisamente un bel esemplare. - dice, e suo marito si ribella.
- Ehi! - dice, tirandosela coraggiosamente sulle ginocchia nonostante ora non sia più un peso piuma.
- Amore mio, anche tu sei bello: non temere. - mentre lei lo tranquillizza io per
l'ennesima volta mi rendo conto che prima di urlare devo informarmi su
chi sia presente: Parker è lì, e ha sentito tutto.
Sono a disagio perché non abbiamo abbastanza confidenza per
certi discorsi, e lui deve pensarla allo stesso modo perché non
mi rivolge nemmeno uno sguardo.
- Quindi lo rivedrai? - chiede Scott, curioso, mettendomi una birra in mano.
- Non lo so. - la mia esuberanza si è sgonfiata come un palloncino e spero che si parli presto di altro.
- Venerdì tu e la ranocchietta venite a cena da noi? - mi chiede Paul, traendomi d'impaccio.
- Non ci siamo: la porto da mamma e papà nel pomeriggio,
venerdì danno l'anteprima dell'ultimo cartone della Pixar e loro
ci tenevano a portarla.
- Week end libero: quindi lo rivedrai, eh? - ripete allora Scott, con
un tono malizioso che questa volta mio malgrado mi fa scoppiare a
ridere.
- Cretino...
La Fitzpatrick mi ha chiesto di fare il turno di sabato mattina e dal
momento che non ho Allie non ho motivi di rifiutarmi: mi sento in colpa
perché non posso darle più disponibilità di quanto
faccia, tra un po' Pam starà a casa per la maternità e
sarà costretta ad assumere qualcun altro; così quando
posso mi fa piacere aiutarla.
Dopo una prima ondata di clienti che mi fa quasi sudare freddo, la
calca diminuisce e riesco ad occuparmi meglio dei pochi clienti che
entrano.
Ormai riesco ad inquadrarli abbastanza bene, quelli che vogliono un
consiglio, quelli che vogliono chiacchierare e quelli che vogliono
prendere nota della mia esistenza solo al momento del pagamento: i
presenti fanno quasi tutti parte della terza categoria, tranne forse il
ragazzo che sta guardando la sezione dei romanzi stranieri.
Decido di provare a vedere se ho ragione, esco dalla cassa e mi avvicino a lui.
- Ha bisogno? - gli chiedo.
Lui si volta,
- Pensavo avessimo deciso di darci del tu.
Parker.
Spalanco la bocca, sorpresa nel trovarmelo davanti e in qualche modo sentendomi in difetto per non averlo riconosciuto.
- Scusami, non mi sono accorta che eri tu. Hai visto qualcosa che ti interessa?
Lui soppesa la mia cordialità ma è logico: in questo
momento è un cliente e lo devo trattare come tale. Ammetto che
per qualche strano motivo sono più imbarazzata del solito e
anche lui non è da meno, infatti mi risponde, impacciato:
- Leggevo qualche trama. Mi consigli qualcosa?
In effetti abbiamo tutti i motivi di sentirci imbarazzati: prima passa
il week end a occupasi di me e di mia nipote, senza contare tutti i
vari incidenti primo tra tutti quello dei pantaloni; poi quando lo
rivedo io esordisco raccontando a tutti che ho limonato con uno e non
ci rivolgiamo la parola tutta sera.
- Non conosco i tuoi gusti. - ammetto, candidamente.
- A te cos'è piaciuto?
La domanda mi prende alla sprovvista, non voglio nominare Odissea
D'argento per non rievocare quella disastrosa prima serata, così
dopo un'occhiata veloce allo scaffale pesco uno dei miei libri
preferiti, sentendomi stupida perché di sicuro lo
conoscerà a menadito.
- Sicuramente l'hai già letto, ma se ti è piaciuto posso consigliarti qualcosa del genere...
Lui prende il libro, girandolo con attenzione.
- Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare?
- chiede, dubbioso. E lo capisco al volo, dal suo tono e da come guarda
la copertina, non l'ha letto: e potrò capire molto di lui quando
mi dirà se gli piace o meno.
- Se non lo conosci, prendilo. - dico, senza esitazione.
Lui annuisce, attento, e quando lo vedo leggere la trama mi allontano,
andando in cassa a far pagare un cliente che girava da stamattina e
finalmente si è deciso.
Non appena lo saluto compare Parker, dietro di lui, che appoggia sul
banco della cassa il libro. Noto che è il tipo che ne prende uno
alla volta: loro soppesano la scelta che assume sempre un significato,
ho imparato a rispettarli. Per fortuna non è il classico negozio
che fa ai dipendenti pressioni sullo scontrino medio, per niente al
mondo cercherei di cambiarli: quelli che escono con le pigne di libri
inevitabilmente ne avranno uno nel mucchio che finirà
dimenticato.
- Fammi sapere cosa ne pensi. - dico per riempire il silenzio, mentre batto lo scontrino.
- A che ora stacchi?
- Cosa? - il rumore della cassa ha coperto la sua domanda, non sono
sicura di aver capito bene, o forse non so perché me lo abbia
chiesto.
- È quasi ora di pranzo, credo che mangerò fuori e se stai per finire ti aspetto.
Oh, la solita cortesia. Cielo, ma quest'uomo fa mai qualcosa che gli
vada di fare o si attiene sempre al suo rigido codice di comportamento?
- Manca un'ora e mezza. - gli rispondo, sperando di scoraggiarlo, ma
lui sventola il libro, facendomi intendere che ha il modo di occupare
il tempo.
- Ci vediamo da Starbucks?
Non sapendo che altra scusa inventarmi annuisco, sperando che non si riveli un pranzo d'inferno.
Quando esce tiene la porta aperta per fare entrare qualcuno, e quel qualcuno è Drew che mi dedica uno dei suoi sorrisi.
Deve aver finito il turno perché non ha la divisa, ma non è venuto a mani vuote.
- Ecco a te, piccola, scusa il ritardo: è stata una mattinata splatter, un bagno di sangue in caffetteria.
Stappo il coperchio e annuso l'aroma celestiale.
- Non dirlo a me, se fossi venuto un'ora fa non me ne sarei nemmeno accorta.
- Riposati oggi pomeriggio: non vorrei che stasera usi la scusa che sei stanca e mi dai buca.
Mi strizza l'occhio e in tutta risposta gli faccio la linguaccia:
- Ci sarò.
Forse al primo appuntamento non abbiamo fatto scintille, ma non era un
buon motivo per smettere di flirtare con lui, e il suo bel faccino
è di sicuro un bel motivo per dargli una seconda
possibilità.
Nda Nella vita di un'autrice che rende
pubblico il suo lavoro ci sono innumerevoli motivi di paranoie: nella
mia, per come sono fatta, ce ne sono sicuramente una valanga. Non sto a
spiegarvele perché non interessa a nessuno, ma ho rivisto la
suddivisione dei capitoli che avevo fatto per le parti non ancora
pubblicate, volevo provare a creare delle divisioni più
ristrette ovvero capitoli più brevi; potete farmi sapere cosa ne
pensate dell'attuale lunghezza, as usual qui si procede per tentativi
ed errori ;-) a presto, non prometto niente ma se riesco a revisionarlo
potrei pubblicare un capitolo infrasettimanale! (Il termine è
corretto perché la mia settimana va dal mercoledì al lunedì u_u)
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Capitolo 6 *** Paragoni (pt 2) ***
sconvolta
Molta gente non sa che l'occhio umano
ha un angolo cieco nel suo campo visivo. C'è una parte di mondo
che noi non possiamo letteralmente vedere. Il problema è che
certe volte gli angoli ciechi ci impediscono di vedere cose che non
dovremmo assolutamente ignorare. A volte invece sono proprio gli angoli
ciechi a dare felicità e contentezza alla nostra vita.
(Grey's Anatomy, S03E08)
Con disappunto posso staccare il turno in perfetto orario,
così mi faccio coraggio e raggiungo Parker da Starbucks. Non so
che cosa aspettarmi da questo pranzo, il solo fatto che abbia avuto
l'insana idea di propormelo mi lascia allibita: non siamo amici e tra
alti e bassi i nostri rapporti sono comunque stati sempre abbastanza
freddi, un passo avanti e due indietro. E ora poi siamo nella fase dei
“due indietro”, come gli è venuto in mente?
Lui, non appena mi vede entrare, chiude il libro e viene verso di me.
- Immagino che tu conosca un posto nelle vicinanze? - mi chiede.
A dire la verità no e inoltre non voglio correre il rischio di
portarlo in un bistrot quando lui in realtà intendeva un chiosco
degli hot dog, anche se potrei scommettere che Mr Precisino non abbia
mai mangiato un volgare hot dog in tutta la sua vita; così
preferisco delegare a lui la scelta.
- Non mangio mai in questa zona, quindi scegli tu. - gli dico, facendogli cenno di precedermi.
Camminiamo per un isolato ed entriamo in un piccolo ristorante
italiano, di quelli con la tovaglia a scacchi bianchi e rossi che hanno
come piatto forte la pasta alla bolognese, e mentre mi siedo
domandandomi ancora il motivo dell'invito lui se ne esce, secco:
- Mi dirai mai cosa vuol dire signor TDC?
La mia faccia deve essere diventata ancora più rossa dei riquadri della tovaglia, - Scusami? - deglutisco.
Il suo volto invece non tradisce un'emozione.
- Mi hai chiamato così, quando avevi la febbre. - spiega.
Mi copro la faccia con le mani, desiderando ardentemente scomparire.
- Non vuoi saperlo. - dico con un filo di voce, - Fidati.
Non reagisce granché, ne prende atto e apre il menù.
- Come immaginavo. - dice, semplicemente.
Ora penserà al peggio, e mi trovo costretta a svelargli il
simpatico nomignolo che si è beccato prima ancora che lo
conoscessi di persona:
- Testa di Corno, - gli rivelo mortificata, - vuol dire Testa di Corno.
Non pensare male, indica che... sei molto testardo. - tergiverso. - E
comunque non ti chiamo mai così in presenza di Allie. - aggiungo
in fretta. Senza contare quella prima volta in cui ho coniato il
soprannome, ma non c'è motivo di specificarlo.
Lui solleva impercettibilmente un sopracciglio.
- Curioso, detto da una delle persone più testarde che io abbia mai conosciuto.
Spalanco gli occhi,
- Io, testarda?
- Continuavi a rischiare di svenire pur di non chiedermi aiuto.
Mi nascondo nel menù, colta in fallo, e mi chiedo cosa sia
cambiato in quest'ora: prima eravamo imbarazzati ma tutto sommato era
gentile, adesso invece è molto freddo, distante.
Credo che usi il suo tono cortese come un'arma, che regola a seconda
del suo interesse nell'interlocutore; adesso come adesso, nonostante
sia stato lui a invitarmi a pranzo, a giudicare da quello non occupo
una postazione molto alta nella sua scala.
Vengono a prendere le nostre ordinazioni e ci portano prima da bere e
poi da mangiare senza che uno di noi abbia spiccicato mezza parola,
cosa che mi rende ancora più a disagio: mi sto accorgendo che
per qualche strano motivo ho bisogno dell'approvazione di quest'uomo,
prima lo accetto con me stessa e prima, forse, la smetterò di
contrariarlo per il solo gusto di farlo. Non che non sia divertente
farlo, e spesso ho ragione, ma devo ammettere che è una persona
diversa da me, con delle idee e dei gusti diversi dai miei, e
comportarmi di conseguenza: dobbiamo imparare a convivere, fintanto che
Allie sarà sua alunna, senza volerci imporre a vicenda.
- Alanis è fortunata ad avere una zia come te. Io ti stimo
molto, non insinuare il contrario. - dice, rompendo il silenzio tutto
d'un tratto.
La polpetta che stavo per addentare cade giù dalla
forchetta, rotola nel piatto e mi finisce addosso macchiandomi la
maglietta.
- Perché mi dici questo? - balbetto, fingendo una tranquillità che non ho mentre cerco di pulirmi.
- Un'altra cosa che mi hai detto quando avevi la febbre, volevo metterlo in chiaro. Così come non ti odio.
- No? - mi trovo a dirgli con un filo di voce, titubante. Non so se mi
disorientano di più le confessioni che non ricordo di avergli
fatto, o invece le sue risposte adesso.
- No. - continua lui, i suoi occhi che non riesco a reggere fissi su di
me. - Se lo vuoi sapere, ogni tanto mi rendi nervoso, non so mai come
comportarmi con te.
Non riesco definitivamente più a guardarlo, non riesco a
sollevare lo sguardo dal piatto né a spiccicare una mezza
parola: io lo rendo nervoso? Lui non sa mai come comportarsi con me? E cosa dovrei dire, io?
Mi sento le guance in fiamme e il cuore che mi rimbomba nella cassa toracica.
Il pranzo va a rotoli, ancora più di prima: almeno era un
silenzio dignitoso, invece adesso continuiamo a cercare di fare
conversazione con scarso risultato, e io faccio cadere qualsiasi cosa
tocco. A un certo punto tutti e due capiamo che è meglio tornare
al fidato silenzio, e in tutto questo non ho ancora avuto il coraggio
di guardarlo in faccia.
Questo William Parker è l'unione delle versioni che ho
conosciuto prima: l'inquietante maestro che non si sbilancia mai a
mostrare emozioni e il fratello un po' strano di Scott, che spiavo
mentre spiegava a mia nipote la logica del sistema di gravità e
dell'equilibrio applicati a degli strumenti di lavoro, con una calma e
una serietà che mi hanno trasmesso una piacevole sensazione che
non sono riuscita a dimenticare, nonostante i nostri trascorsi. O
quello di cui ho vaghi ricordi, mentre si prendeva cura di me con una
premura dignitosa.
È stato facile interpretarlo male quando l'ho conosciuto, ma
è anche vero che lui non facilita certo il desiderio di provare
a vedere al di là di quello che mostra di sé; e in mia
discolpa posso anche dire che a ogni opinione positiva che mi provocava
nel giro di poco ne seguiva una altrettanto negativa. Qualche volta
sono riuscita a intravvederlo veramente sereno, come prima in libreria,
anche se imbarazzato dava la sensazione di una versione più
aderente a sé stesso, ma sommato a tutti i pregiudizi
contrastanti che mi sono fatta su di lui, il risultato è che non
sono riuscita a cavarne un ragno da un buco. Questo pranzo stesso,
impacciato e catastrofico, è l'esatto riassunto della teoria su
quanto siamo incompatibili: anche in territorio neutrale non possiamo
fare a meno di scontrarci con le nostre diversità ed entrambi ci
riduciamo al silenzio, un'amicizia tra di noi è letteralmente
impossibile.
E come se non bastasse, le sue ultime criptiche parole rimbombano nella mia testa.
Finiamo di mangiare con lo stesso livello di comunicazione, verbale e
non, di due persone sedute l'una di fronte all'altra in metropolitana,
totalmente a disagio cerco addirittura di fare il più silenzio
possibile appoggiando il bicchiere accanto al piatto vuoto. Non credevo
potesse andare peggio di così, ma decreto il dong del mio
imbarazzo massimo quando, mentre cerchiamo di alzarci insieme dal
minuscolo tavolino e di girargli intorno per andare alla cassa, gli
finisco addosso. Sono bloccata tra lui e il tavolo, non so come uscirne
e adesso, davvero, vorrei sprofondare.
- Non sei un gatto a cui è stato affidato il compito di crescere un pulcino.
La sua voce mi arriva piano, quasi un soffio, e quando sollevo la testa
per una frazione di secondo penso quasi che stia per baciarmi. No, la
mia è sicuramente un'idea sciocca, eppure siamo qui, uno addosso
all'altro, e lui non da segno di volersi spostare. Quando gli ho dato
il libro ho pensato che la sua reazione mi avrebbe aiutato a capire
qualcosa di lui: la cosa che mi ha appena detto rivela decisamente
molto.
Annuisco, intimidita dal suo sguardo, sperando di non mettermi a
piangere proprio adesso: ogni volta che penso di aver toccato il fondo
va sempre peggio.
- Tutto sommato non sei male come insegnante, sai? Leggi bene le
persone. - gli concedo, divisa dalla forza di quella scoperta, che lui
mi abbia davvero letto come un libro aperto, e la sensazione dovuta
dalla posizione in cui ancora siamo, che stia per baciarmi da un
momento all'altro. Persino il mio corpo è confuso e non sa come
reagire: il cuore mi batte, il respiro è poco più di un
accenno e gli occhi mi pungono. Finalmente fa un passo indietro e mi
lascia libera,
- Non sempre. - dice, lasciandomi sola a infilarmi il cappotto mente lui va a chiedere il conto.
- Quando vai a prendere Alanis? - mi chiede, e io mi domando se non mi
stia invitando fuori stasera. Mi ero messa d'accordo con Drew, sarebbe
un bel problema.
- Domani a mezzogiorno. - dico, titubante: ora mi chiederà di
uscire, e io non so come rispondergli. Non so neanche come gli avrei
risposto se effettivamente non avessi avuto impegni.
- Mi piacerebbe invitarvi a cena, domani. Alanis è molto brava
nello spelling ma in classe si intimidisce spesso: vorrei capire se
è in grado di partecipare al concorso cittadino.
La mia prima reazione è di orgoglio per mia nipote, poi mi rendo
conto che mi aspettavo un appuntamento e non è altro che un
interesse puramente professionale.
- Va bene, a che ora? Mi dai l'indirizzo?
Mi scrive la via sul retro dello scontrino del ristorante,
- Venite per le sette.
Arrivo a casa intontita, mi chiudo la porta dietro alle spalle e lascio scivolare giacca e borsa a terra.
Non so cosa mi stia prendendo: perché ho così
difficoltà a interpretare William e perché ho continuato
a pensare che stesse succedendo qualcosa.
Sentendo il bisogno del rilassamento estremo preparo la vasca da bagno
e accendo un paio di candele profumate. Ho bisogno di parlarne con Pam,
ma questa volta, prima di chiamarla, devo assolutamente mettere in
ordine le idee: per quanto possa darmi della cretina c'è stato
un momento un po' equivoco al ristorante, ed è normale che ho
pensato stesse per baciarmi. Non implica che lo volesse fare né
tanto meno che lo volessi io.
E quando ci siamo seduti, al contrario, era così distante;
proprio prima invece di dirmi tutt'altro. Mi stima. Scivolo nella
schiuma e metto la testa dentro l'acqua, perché il mio pensiero
rimanga intrappolato lì: cosa vuol dire che lo rendo nervoso?
Non sono pronta a chiamare Pam, telefono invece alla mamma per sentire
la voce di Allie, e poi mi preparo per uscire con Drew, mio malgrado
continuando a chiedermi cosa avrei fatto se Parker mi avesse chiesto di
uscire, con la mia insistenza in quei pensieri come ovvia risposta
implicita.
Drew è perfetto: ogni parola che ha detto stasera, ogni sorriso
che mi ha fatto, ogni sguardo che mi ha lanciato, è perfetto.
Dannatamente perfetto, così tanto che vorrei urlare dalla
frustrazione, perché non sono capace di godermelo e continuo a
sentire la mancanza di altri modi, di altri accenti nella sua voce.
Continuo a fare finta di niente, sperando di sbloccarmi nel corso della
serata, ma va sempre peggio perché ad un certo punto arrivo
quasi alle lacrime al pensiero che non è lui. Drew mi accarezza la mano,
- Sei nervosa?
Inizialmente annuisco, e poi scuoto la testa.
- No, Drew. Scusami ma... non sono nervosa. Tu sei perfetto e io non
sai quanto invece non lo sono. Ho una figlia, cioè non è
mia, l'ho ereditata ma a questo punto è come se fosse mia:
l'impegno è lo stesso. Tu non sai quanto vorrei proporti di
prendere quello che possiamo, vederci quando lei non c'è o posso
lasciarla a qualcuno, non sai quanto mi servirebbe tornare ad avere
ventidue anni ogni tanto.
Drew mette insieme i puntini.
- Ma non sei nervosa. - dice. E forse, dopo la mia confessione su Allie, è sollevato che sia così.
Sbuffo, frustrata:
- E tu sei così perfetto...
Ridacchia,
- Piccola, anche tu sei uno schianto. Lasciamo le cose come stanno, io
ti porto il caffè tu fai finta di essere felice di vedere me e
non per il caffè, ok?
Annuisco, grata che abbia capito.
Prendo la mia borsa e usciamo dal locale; Drew, dopo che passo cinque
minuti a cercare di abbottonarmi, è costretto a farmi notare che
ho il cappotto a rovescio, ma a parte quello finisce tutto bene. Mi
riaccompagna a casa e non cerca di baciarmi, si limita al suo
irresistibile occhiolino.
- E se qualche volta vorrai sentirti di nuovo ventidue anni... dimmelo, ok?
Lo saluto ed entro in casa. È tardi per chiamare Pam e le scrivo
un messaggio criptico, riassumendole quando io sia pazza, lei non
resiste e mi chiama. Le dico di Drew, e alla fine ammetto di essere
confusa riguardo a Parker. La notizia la prende alla sprovvista, ma non
come mi aspettavo.
- Due motivi. - mi dice, quando le chiedo spiegazioni, - Il primo
è che nessuno rifiuterebbe una notte di sesso bollente con Drew
se non avesse in mente qualcun altro. E il secondo... non dirlo a Paul
o gongolerà come un pazzo perché se ti ricordi vi aveva
organizzato un appuntamento al buio, ma insieme avete qualcosa, non so
se vi porterà da qualche parte o no, ma è ben visibile.
Evito di specificarle che non ho propriamente in mente qualcun altro,
perché ho capito che cosa intende: mi do ancora della stupida
per non essere sotto alle lenzuola con lui, adesso, ma proprio non ce
la facevo.
Nda William Parker è incomprensibile, lo so.
Anzi, nella prima stesura di queste scene era ancora più
intelleggibile, ho voluto parlare di questo momento filtrando tutto con
la confusione e le emozioni contrastanti di Lexie, lei per prima non lo
capisce e non capisce come, diciamoci la verità, abbia un po'
desiderato che la baciasse, come ci è arrivata, e ho voluto che
fosse così anche per chi legge.
E William... renderlo ancora più comprensibile di quanto mi sono
concessa sarebbe stato snaturare il suo personaggio, perché ad
oggi lui è stato abbastanza insondabile e Lexie lo capiva ancora
meno.
Sono curiosa di sapere quindi cosa ne pensate, se il mio tentativo
è fallito miseramente o se avete capito qualcosa... A
martedì!
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Capitolo 7 *** A casa di William ***
sconvolta
Perché
per una donna le parole hanno un peso, non sono leggere come per un
uomo. Una donna ci crede alle parole, soprattutto quando è un uomo a
pronunciarle, solo a lei.
(Alessandro
D'avenia, Cose che nessuno sa )
Allie
accoglie bene la notizia che andremo a cena dal suo maestro, e per
tutto il tragitto non fa che sprizzare gioia da tutti i pori. Quando
siamo a casa la devo rallentare, vorrebbe già prepararsi, la
distraggo con la proposta di andare a cercare una pasticceria aperta
per prendere qualcosa da portare stasera. Lei è indecisa tra la Red
Velvet e una torta di frutta e panna, io invece non riesco a
togliermi l'idea che una torta di mele sarebbe più apprezzata. La
prendo alla lontana e riesco a convincerla, così usciamo dalla
pasticceria con il nostro dolce, entrambe soddisfatte.
Ripenso al
pranzo di ieri, alle sue parole, a quel momento così innocuo e
insignificante, lo so, che io ho trasformato nella mia mente in un
quasi bacio. E il pensiero mi confonde: è da stamattina che ho in
mente un'idea e solo al pensarci mi sento stupida.
Cerco di
cancellarla, ma come un piccolo tarlo non se ne va e continua a
tornare: non devo farmi beccare da Allie perché mi farà domande,
magari davanti a Parker, e morirei di vergogna: non so cosa potrebbe
pensare di me.
La spedisco in bagno e almeno dieci volte mi alzo,
per tornare seduta a tamburellare le dita sul tavolo della cucina,
nervosa. Ma che mi prende?
- Zia! - mi chiama e sussulto. - Posso
mettermi il maglione giallo?
- Ok! - le do il permesso, e dopo
aver controllato l'orologio capisco che è arrivato il momento che mi
prepari anche io.
Sono una sciocca, dicevo tanto a Drew che volevo
sentirmi ventiduenne ma la realtà è che lo sono, sono una ragazzina
come Parker mi ha detto più di una volta, che cosa vado a
pensare?
Mi alzo, ma prima di andare a fare la doccia prendo il
dvd di Come d'Incanto e lo nascondo ben in fondo alla mia
borsa.
Quando esco dalla camera vorrei tanto chiedere ad Allie
come sto, ma ho paura che potrebbe capire qualcosa con l'intuito iper
sviluppato tipico della sua età e mettersi a fare castelli in aria,
quindi mi accontento di guardarmi nello specchio dell'ingresso.
-
Come sei bella, zia!
Mi giro e la trovo accanto a me, che guarda
il mio riflesso.
Mi sono cambiata dieci volte, adattando la
filosofia di Chanel e togliendo ogni cosa che mi sembrava troppo
elegante o vistosa; e alla fine ho scelto un paio di jeans e un
maglione in cachermire aperto sul davanti che ho allacciato con una
cintura.
Prendo la borsa e mi infilo la giacca, Allie è già
pronta ad andare ed è lei a ricordarsi della torta.
Mi tremano le
gambe. Per tutto il tragitto non faccio che inciampare nei miei
stessi piedi, il dvd nella mia borsa pesa come fosse un macigno e la
presenza di Allie mi innervosisce ancora di più. Lei mi guarda, ogni
tanto, ma deve essersi abituata all'impiastro che ha per zia perché
non fa commenti.
Arriviamo con il mio tipico tempismo, lascio ad
Allie il compito di aprire il portone del palazzo e farmi strada
mentre io mi aggrappo con metodica attenzione alla torta: se non mi
do una calmata la più presto cadrà, me lo sento. Cielo, perché c'è
Allie qui con me? Non che non la vorrei, ma se ci fosse Pam potrei
sfogarmi e lei saprebbe cosa dirmi per calmarmi; ora mentre
l'ascensore sale sono tesa nello sforzo di mantenere un contegno
impeccabile quando dentro sto esplodendo.
Parker
apre la porta e succede qualcosa: il mio battito rallenta, riesco a
sorridere e ad affidargli la torta senza fare danni.
- Siete
puntuali. - dice, probabilmente per fare conversazione mentre prende
le nostre giacche.
- Chissà perché lo dicono tutti con tono
stupito, eh, Allie?
- Lo dicono a te, zia.
Ottimo, perfino lei
mi tratta come una ragazzina: siamo a posto.
Mi guardo intorno, la
casa è piccola ma progettata bene, si entra direttamente nel
soggiorno che si snoda ad elle intorno alla cucina, al lato opposto
due porte che condurranno sicuramente alla zona notte e al bagno.
Alla mia sinistra c'è una scala a chiocciola, e notando che la sto
guardando Parker mi spiega:
- C'è un sottotetto.
Annuisco e
li seguo in cucina, più tranquilla ma non meno impacciata. Al mio
posto ha messo una bottiglia di birra, non posso fare a meno di
ringraziarlo con lo sguardo per la piccola premura: gesti che
sembrano ovvi quando siamo circondati dalla famiglia, Paul ne ha
sempre una per me anche quando stappa un ottimo vino, ma che assumono
un altro significato quando li notiamo da parte di qualcuno che in
teoria non ci conosce così bene.
Ci sediamo e scelgo di passare
la serata a fare l'ospite silenziosa: sono molto più spigliati tra
di loro, quando non devono cercare di coinvolgere me; e lo stesso non
si può dire invece di me e lui, per cui è la soluzione migliore per
tutti. A parte quando Allie non decide che è arrivata l'ora di
mettermi in ridicolo e svelare tutti i nostri segreti.
- Così
la zia guardava il signore della banca facendo finta di non avere la
maglietta sporca di succo, e lui alla fine ha fatto finta anche lui.
- racconta, e se non fosse la mia adorata nipotina a quest'ora
avrebbe già ricevuto un calcio sugli stinchi.
- Basta, Allie. -
intervengo, - Il signor Parker ha già avuto modo di vedere che tendo
ad essere un po' maldestra.
- lo vedo cercare di trattenere una risata, miracolo, e lui e Allie
si scambiano uno sguardo d'intesa, decidendo silenziosamente di
cambiare argomento.
- Mi fai vedere il gatto? - chiede, e sono
quasi tentata dal dirle di continuare a raccontargli le cazzate che
faccio.
- È allergica? - si informa Parker, per
sicurezza.
Scrollo la testa,
- Niente allergia, sono io che non
ci vado d'accordo.
E infatti, non appena va ad aprire la porta
delle camere dove l'aveva confinato, il gatto punta dritto in cucina
e poi su di me, captando che è l'ultima cosa che voglio: sono bestie
proprio stronze.
- Su, vai da Allie, gattino. - gli dico, cercando
di sfilare le sue unghie dal maglione con cui se la sta prendendo. -
Forza, gattino!
Parker
interviene.
- Se le parli così, non la farai mai calmare. Vieni,
Elisa.
Me la prende di dosso e la bestia diventa immediatamente
mansueta: si mette addirittura a fare le fusa e giurerei che mi ha
scoccato uno sguardo di sfida. Va a finire in braccio ad Allie,
mentre Parker prepara il secondo e io decido di rompere il mio stato
di ospite soprammobile, offrendomi di dargli una mano.
È stato
rilassato fino ad ora, ma percepisco chiaramente che non vorrebbe
avermi intorno mentre cucina, solo che è un po' dura tirarmi
indietro adesso, così inizio a sparecchiare i piatti del primo
cercando di non stargli tra i piedi.
- Posso andare a giocare di
là con Elisa? Qui non c'è abbastanza spazio.
- Non abbiamo
finito di mangiare, Allie: dopo. - mi viene istintivo dirle,
indaffarata.
Lei sembra voler iniziare la cantilena del “ti
prego”, e mi fa gli occhioni a cui non riesco a dire di no, ma
essendo che siamo in presenza di Parker mi costringo a non guardarla
finché è lui a capitolare.
- Hai mangiato abbastanza?
I suoi
occhi brillano ora, passando in modalità “ce l'ho fatta”.
-
Sì! E avevo mangiato tanto già dalla nonna!
Adesso è lui a
guardarmi e io so che la facoltà di accordarle il permesso spetta a
me, avendoglielo negato prima, ma lui è d'accordo.
Cielo,
saremmo una coppia di genitori incredibile.
- Vai. - dico,
arrossendo per il pensiero fuori luogo.
Lui mette l'insalata in
tavola, sorpreso.
- Pensavo realmente che tu fossi troppo
indulgente, e invece a modo tuo le regole le fai rispettare.
-
Vedi? - assumo un'espressione soddisfatta.
- Alcune, - aggiunge in
fretta lui. - per esempio non quella di mandarla a letto quando
sarebbe ora. - Stringo le spalle, mi ha beccata. - E... siamo ancora
in disaccordo su un paio di punti, giusto?
- Possiamo evitare di
parlarne, stasera? - gli chiedo, e gli prendo un piatto di mano,
mettendolo sul tavolo. Mi giro, per andare a prendere anche l'altro e
permettergli di pensare al vassoio con il tacchino, ma
sfortunatamente lui era già verso il tavolo e gli vado addosso,
facendo volare per aria vassoio, tacchino e tutto quando. E noi
siamo ancora nella stessa posizione di ieri, io tra lui e il tavolo
senza che nessuno dei due faccia niente per raccogliere il disastro
che c'è a terra. - Scusa. - dico sommessamente, impedendomi di
deglutire: sapendo perfettamente cosa potrebbe leggere da quel gesto
istintivo.
- Non è niente.
Mi sta guardando, questo non me lo
sto sognando: non sono così patetica almeno. Mi sta fissando e...
- Avete fatto
cadere qualcosa?
Non appena sento la voce di Allie lo spingo
via.
- Indovinato: niente secondo, mi sa. - dico, cercano di
mantenere un tono pratico per nascondere invece il mio
turbamento.
Lei guarda il macello che Parker sta già
sistemando.
- Per fortuna vi è rimasta l'insalata. - commenta,
prima di tornare a giocare con la sua nuova amica.
Tiro un
sospiro di sollievo e lo aiuto a raccogliere quello che è rimasto,
prendendo nota del fatto che siamo ripiombati nel silenzio. Non so
più cosa è vero e cosa è frutto della mia immaginazione, questa
volta mi stava per baciare o no?
Lo guardo, mi dà le spalle
mentre mi prende una seconda bottiglia di birra e si versa un
bicchiere di vino: ti prego, Parker, baciami se vuoi perché non ce
la faccio più. Sono pronta ad ammettere che lo voglio, ma fallo per
favore.
Ci sediamo a
tavola, uno di fianco all'altro, e mi porge la birra.
- Tutto
bene? - mi chiede, notando che sono incerta nel prenderla.
Beh,
sì, mi va, ma mi andrebbe anche di assaggiare il vino che sta
bevendo, anche se non è una cosa che sono disposta ad ammettere
ricordando quella cena a casa di Pam.
Lui segue il mio sguardo.
-
Vuoi assaggiarlo? - mi chiede, e io scuoto caparbiamente la testa. Mi
porge il calice, - Andiamo. - insiste e questa volta, mentre faccio
ancora cenno di no, sorrido. L'ha capito. - Vado a prendere il pane.
Lascerò il bicchiere qui e non mi girerò a vedere se cedi alla
tentazione, va bene?
Sono indecisa, non voglio dargli questa
soddisfazione anche se non potrà mai saperlo. Però ormai è nato un
mito intorno a questo vino, ne bevo un sorso e sì, dannazione, è
maledettamente buono.
Lo metto velocemente al suo posto e
controllo che sul bicchiere non siano rimaste eventuali tracce,
quando Parker si gira mi trova con in volto l'espressione più
innocente di cui sono capace.
- Quindi? - mi chiede.
- Non l'ho
mica bevuto. - dico, cercando di trattenermi dal ridere.
Lui
stringe gli occhi, appoggia il cestino del pane sul tavolo e si
siede. Penso che la questione sia finita ma lo vedo che osserva
pensoso il bicchiere e so che non riesce a capire se l'ho bevuto o
no.
- La pianti? - ridacchio, sentendomi la vittoria in tasca.
Mi
guarda, e come se niente fosse mi afferra il mento e mi assaggia.
Letteralmente, non c'è altro modo di spiegarlo: le sue labbra si
impossessano delle mie, la sua lingua prima segue il contorno della
mia bocca e poi la schiude senza trovare resistenza e accarezza la
mia. Mi assapora in ogni modo possibile e io sono così stordita che
rimango incapace di muovermi, l'unico segnale che sono viva è il
cuore che sembra voler schizzare via dalla cassa toracica. Bacia da
dio.
Si intreccia ancora alla mia lingua, e poi si allontana senza
preavviso, così come si era avvicinato, lasciandomi imbambolata con
gli occhi ancora socchiusi.
- L'hai assaggiato. - dice.
Registro
che sta iniziando a mangiare l'insalata ma io non riesco ancora a
muovere un muscolo: chi è William Parker? Esiste un manuale di
istruzioni? Esiste la funzione “repeat”?
A me, attualmente,
andrebbe benissimo quella “loop”.
Lo vedo guardarmi con la
coda dell'occhio e infilzo qualche foglia di insalata, non troppo
impaziente di togliermi la sensazione del suo bacio, poi quando Allie
torna in cucina dichiarandosi pronta per il dolce sono costretta a
riprendere il controllo di me.
- Elisa vuole dormire ora, e io mi
annoio.
- Stiamo ancora mangiando noi, cerca di avere un attimo di
pazienza.
William segue con interesse il nostro scambio di
battute, e alla fine mi toglie letteralmente la forchetta di mano.
-
Mangiamo la torta: neanche a tua zia andava molto l'insalata, ci sta
giocando da cinque minuti.
Le strizzo l'occhio, mentre lui è
girato, e mi allungo invitandola a stritolarmi in un abbraccio.
Allie, pur inconsapevole del mio scombussolamento emotivo, non se lo
fa ripetere due volte e per un attimo mi sento meglio.
Al
contrario dell'insalata mi getto a capofitto nella torta, frustrata,
e finisco la mia fetta così velocemente che Allie e William mi
guardano stupiti. Io scrollo le spalle e la mando giù rubandogli un
sorso di vino, poi lo guardo innocentemente:
- La birra non si
abbina bene alla torta di mele. - mi giustifico. Mi sembra di
scorgere un lampo di sfida nei suoi occhi e ci vuole tutta la mia
determinazione per non rabbrividire.
Sì, mi ha baciato e
vorrebbe farlo di nuovo, non mi sono inventata niente.
- Allie, -
dico, fissando lui per spiare la sua reazione e aspettare che mi
guardi. - ti va di vedere Come d'Incanto?
- Ce l'hai, signor
William?
Lui mi guarda perplesso e io non riesco più a sostenere
il suo sguardo, abbasso gli occhi.
- È nella mia borsa. Chiedi al
signor William se te lo può far partire, non penso che tu sia capace
di usare il suo dvd.
Allie è già andata a frugare nella mia
borsa e William la segue, perplesso.
Sento i rumori dalla sala, le
sta accendendo la tv e io, pur di non rimanere con le mani in mano ad
aspettare di affrontarlo, mi metto a sparecchiare.
Non lo sento
tornare in cucina, le sue braccia mi afferrano e mi girano contro il
lavandino e lui finalmente mi bacia.
È più impetuoso di prima,
mi toglie letteralmente il respiro ma mi riprendo subito, e questa
volta mi aggrappo a lui e gli rispondo.
Mi solleva appoggiandomi
sul piano della cucina, portandomi alla sua altezza, e mentre io lo
inseguo lui si tira leggermente indietro, per guardarmi.
- Hai
portato un film. - mi dice, sottolineando l'ovvio.
- Non mi sembra
che abbiate parlato di spelling. - ribatto, e adesso che siamo pari
si spinge ancora sulle mie labbra.
Non avrei mai
creduto di volerlo, eppure eccomi qua, totalmente persa in lui: non è
solo fisica, per quella probabilmente Drew sarebbe andato benissimo
lo stesso, ma nonostante siamo così diversi è lui che voglio, c'è
qualcosa in William che mi attrae e ci unisce. E ora, sotto l'effetto
del suo bacio, non mi ricordo nemmeno più com'era vivere senza aver
bisogno di lui.
La sua mano, posta
al centro della mia schiena, mi tira contro il suo torace ed è la
cosa più sensuale che io abbia mai provato. Lo ripeto, non ero una
puritana, ma tutto quello che fa mi provoca un giramento di testa.
-
Ho bisogno d'aria. - sospiro, staccando le labbra da lui e
appoggiando la fronte al suo mento, respirando a fondo. Ho
decisamente bisogno d'aria, o potrebbe farmi dimenticare che Allie è
di là a guardare un film. Potrebbe farmi dimenticare che è
l'insegnate di Allie e non voglio farlo con lui sul piano della
cucina, per quanto sto avendo un anticipo di quanto potrebbe essere
piacevole, non ora.
Le sue dita corrono sulla mia schiena mentre
riprendo fiato, leggere e confortanti, facendomi sentire al sicuro. E
considerando quante volte mi sono invece sentita a disagio con lui, è
una strana novità.
Fa un passo indietro, ma ho bisogno di
trattenere questa sensazione. Stringo il tessuto della sua camicia,
guardandolo, finché ancora non siamo divisi che dall'incastro dei
nostri corpi, e sollevando appena la testa ritrovo le sue labbra.
Un
primo bacio che mi ha fatto tremare le ginocchia, un secondo che me
le ha private di ogni forza, e con questo terzo sento che non solo le
ginocchia sono state coinvolte, ma anche qualcosa che è da qualche
parte nella mia cassa toracica.
Non c'è fame in questo nuovo
bacio, o almeno non è così travolgente come poco fa. Le nostre
bocche si sfiorano e si approfondiscono, tornano a lambirsi
dolcemente e affondano di nuovo l'una dentro l'altra. Le lingue si
incontrano e si rincorrono, piano, le nostre dita si trovano e si
intrecciano, coinvolgendosi nella scoperta.
Lo sto sentendo molto
più nel profondo di quanto avrei creduto.
Mi lascia andare, ma
non slega le nostre mani che continuano a cercarsi mentre ci
osserviamo. Afferra la mia e mi fa scivolare giù dal tavolo.
-
Sarebbe stato molto più sexy se mi avessi sollevato tu. - gli dico
con ancora un filo di imbarazzo, per sciogliere il silenzio. Non c'è
niente che non vada nel silenzio ma noi ce ne siamo confinati dentro
troppe volte, e ho bisogno anche delle nostre parole.
Lui mi
guarda, imperturbabile,
- Prenderò nota. - mi dice, e anche se la
sua voce è più rilassata del solito è confortante sentire che è
la stessa di sempre, calma e vagamente fuori moda con la sua
perfezione.
Non so cosa dire del suo tempismo, in realtà mi ha
spostato perché ero sopra alla lavastoviglie e la sua intenzione è
quella di caricarla. Finisce di sparecchiare e appoggia la pigna di
piatti nel lavello.
- Lo so fare abbastanza bene anche io, sai? -
gli dico.
Mi arrampico ancora sul piano ma dall'altra parte
rispetto al lavello, passo ogni piatto sotto al getto dell'acqua
pulendo gli avanzi e glielo passo, perché lui possa metterlo nella
lavastoviglie. E anche se il suo tempismo non è stato dei migliori
devo ammettere che non è male: ci guardiamo, ci sfioriamo,
sorridiamo.
- Posso farti una domanda sciocca? - azzardo.
-
Dubito che tu abbia domande sciocche.
Detta da un'altra persona
suonerebbe come un'adulazione, ma da lui no.
- Parlami di te.
Lui
mi guarda, aggrotta appena le sopracciglia osservandomi meglio.
-
Domani mattina ho scuola, non credo di avere tanto tempo.
- Sai
quello che intendo.
Chiude la lavastoviglie e la fa partire, poi
si mette di fronte a me e incastriamo le nostre gambe mentre le mani
si trovano ancora.
- Ho sempre pensato che avrei insegnato a dei
ragazzi più grandi. Forse letteratura, al college o alle superiori.
Non credevo sarei finito alle elementari, non so se ti sei accorta ma
il mio approccio non è il classico da maestro.
Trattengo un
sorriso, ha assolutamente ragione. E, quasi non credo alle mie
orecchie, sta facendo auto-ironia.
- Va avanti. - lo incalzo,
allungando la mano verso la birra che ha appoggiato di fianco a me
quando ha sparecchiato la tavola.
- Poi un giorno mi è stata
proposta una supplenza, l'anno scorso, e ho capito che in questo
momento è la cosa che voglio. C'è qualcosa, nei bambini... fiducia,
rispetto, che al college in un aula di cinquanta persone trovi solo
in cinque, e alle superiori se sei fortunato hai uno studente
all'anno così. Non credo di avere la pazienza necessaria a fare il
babysitter a degli adolescenti scalmanati.
Smetto immediatamente
di bere per non rischiare di sputare la birra. L'idea, con lui sempre
così impeccabile, è abbastanza comica.
Arriccio le labbra.
-
E allora che cosa ci trovi in me?
Basta il suo sguardo per farmi
stingere lo stomaco.
- Non sei il gatto a cui è stato affidato il
compito di crescere un pulcino: tu sei la gabbiana che ha imparato a
volare, tu sei Fortunata.
Vorrei stringermi il maglione addosso,
perché mi ha guardato come se stesse guardando direttamente il mio
cuore.
Non so cosa dire, e di sicuro lui non ha bisogno di
aggiungere nient'altro, così mi aggancio al suo collo andando
incontro alle sue labbra.
Sento la sigla di coda del film, e
capisco che è arrivato il momento di tornare con i piedi per terra
in tutti i sensi.
- Andiamo a casa? - dico, affacciandomi verso la
sala, in quello strano stato in cui si è in pace con il
mondo.
William ci accompagna alla porta, mi restituisce il dvd e
aiuta entrambe a metterci le giacche.
- Hai salutato Elisa? -
chiede ad Allie, e lei corre a cercarla.
Nascosti dal muro della
cucina ne approfitta per spingermi dolcemente contro lo stipite della
porta e darmi il bacio della buonanotte.
- Mi sono divertita
un sacco. Voi non vi siete annoiati mentre guardavo Come d'Incanto? -
sbadiglia Allie, nel taxi.
Mi copro con la sciarpa per non
arrossire.
- Ce la siamo cavata.
Allie si addormenta in
taxi e la porto in casa in braccio, la metto a letto e torno in
soggiorno. Prendo il telefono e faccio scorrere le foto, sempre più
indietro, fino a che ne trovo quelle che ho copiato dal vecchio
cellulare, in un mondo in cui è l'unico modo per non perdere i
ricordi.
Siamo io e Becca, alla mia festa del diploma con le
bocche spalancate, catturate mentre cantiamo il ritornello di
Ironic.
- E scommetto che tu eri il gatto, vero?
Accarezzo il
suo viso con il dito e spengo lo schermo, chiedendomi come sarebbe
raccontarle di William.
Nda Ben ritrovate! Non aggiungo molto
a questo capitolo, se non i ringraziamenti a chi mi segue e mi
recensisce. È sempre un piacere ricevere le vostre impressioni,
quindi ancora grazie.
Questo capitolo proprio non potevo dividerlo in due, già inizio
a rompere i miei buoni propositi (un po' come Bridget all'inizio: buoni
propositi per l'anno nuovo smettere di fumare e bere di meno, poi si
accorge di avere in una mano un bellini e nell'altra una sigaretta
accesa. "E rispettare i buoni propositi" XD )
A dire la verità penso che farò così, se
dividerò i capitoli in pezzi più brevi farò un
secondo aggiornamento settimanale, in alternativa uno con un capitolo
un po' più lungo.
Alla prossima!
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Capitolo 8 *** Nuovi approcci ***
sconvolta
L'amore è sempre nuovo. Non
importa che amiamo una, due, dieci volte nella vita: ci troviamo sempre
davanti a una situazione che non conosciamo.
L'amore può condurci all'inferno o in paradiso, comunque ci porta sempre in qualche luogo.
È necessario accettarlo,
perché esso è ciò che alimenta la nostra
esistenza. Se non lo accettiamo, moriremo di fame pur vedendo i rami
dell'albero della vita carichi di frutti: non avremo il coraggio di
tendere la mano e di coglierli.
È necessario ricercare
l'amore là dove si trova, anche se ciò potrebbe
significare ore, giorni, settimane di delusione e di tristezza.
Perché, nel momento in cui partiamo in cerca dell'amore, anche
l'amore muove per venirci incontro, e ci salva...
(Paulo Coelho, Sulla Sponda del Fiume Piedra)
Io e William ci
osserviamo da lontano, a scuola e quando ci vediamo da Pam, ci
guardiamo negli occhi sapendo che non è il momento giusto, e
aspettiamo. Che il momento giusto arrivi, che ci sia l'occasione per
rimanere da soli e riprendere da dove domenica sera ci siamo
interrotti; e nel frattempo passiamo ore al telefono: la sera, quando
Allie si addormenta, mi infilo sotto alle coperte e lo aspetto, in
qualche modo sa sempre quando farlo. Il telefono suona e parliamo a
volte di tutto e a volte di niente, della nostra giornata o di un
film che stanno dando alla tv.
La sua voce mi culla e qualche
mattina mi sveglio con il cordless ancora in mano, è la cosa più
sciocca del mondo ma sono le mattine in cui sono più felice. È
passata una settimana dalla cena a casa sua e mentre la sera, per
telefono, è praticamente la mia metà mancante, quando ci vediamo
sono ancora incredibilmente nervosa.
Questa è la
seconda sera che ci incontriamo a casa di Pam e la tensione si
taglia con un coltello: a lei ho raccontato quello che è
successo e
delle nostre chiacchierate; mentre Paul, Scott e ovviamente
Allie sono all'oscuro di tutto. Non so come ci siamo cristallizzati in
questa situazione, ogni cosa è amplificata, perfino
quando le nostre dita si sfiorano quando mi passa l'insalata è
un
gesto che mi risuona dentro.
Scaccio dalla mente la voce di Scott
che ci sta raccontando qualcosa a riguardo del nuovo gioco che uscirà
settimana prossima, l'evento dell'anno, che mi sembra una cosa ben
insignificante paragonata al modo in cui suo fratello mi ha appena guardato.
Metto un paio di forchettate di insalata nel mio piatto e in quello
di Allie, appoggio l'insalatiera davanti a me e cerco di nuovo il suo
sguardo. William annuisce a qualcosa che gli ha detto Paul, e quando
lui inizia a prendere in giro Scott per la sua fissazione, finalmente
mi guarda. Lexie, non arrossire: è la stessa persona con cui parli
al telefono tutte le sere, per la miseria.
È inutile, dopo
qualche attimo di contatto visivo mi arrendo e torno a concentrarmi
sul mio piatto.
Pam osserva i nostri teatrini e si astiene da
qualsiasi commento, ormai mi conosce talmente tanto bene che deve
aver capito la fragilità di questo momento.
In fondo ci siamo
baciati per una sera, e poi la cosa è scivolata subito su un altro
piano fatto solo di sguardi e telefonate che di certo non avevano
come argomento le nostra labbra.
Mi riscuoto dai miei pensieri per
rispondere a Allie, e mentre Paul va a prendere lo spumante dalla
cantinetta vicino alla tv io vado in cucina a prendere la macedonia che
Pam ha
preparato questo pomeriggio.
Quando sento qualcuno seguirmi, dato
che ormai è una legge universale il fatto che io non sia in grado di
trasportare una portata da una stanza all'altra senza combinare
danni, spero per un istante che sia William e lo stomaco mi si
contorce nervosamente. Apro il frigorifero lanciando un'occhiata
casuale alle mie spalle e ho un piccolo tonfo di delusione scoprendo
che non è che Scott.
- Cosa succede a mio fratello?
La domanda mi
prende alla sprovvista e prima che trovi qualcosa di sensato da dire
passa qualche secondo.
- Perché lo chiedi a me?
Scott mi
guarda di sottecchi.
- Niente, pensavo che foste come al solito in convalescenza dopo
uno dei vostri litigi. - commenta, con tono ovvio. - Comunque ci ho
iscritto a un corso di Fit Boxe.
-
“Ci” sta per te e William? - gli chiedo.
- No, io e
te.
Appoggio la macedonia sul banco.
- Cosa? - Ma come diavolo
gli è venuto in mente? Scott ha davvero perso qualche rotella.
-
Dai, Lexie: dobbiamo rimorchiare e un corso in palestra è
l'occasione ideale.
- Rimorchiare non è nella lista delle mie
preoccupazioni attuali, e non ho tempo per un corso. - taglio corto,
cercando un mestolo nel cassetto e affidandogli la ciotola grande, mentre io
mi occupo delle coppettine.
- Si tratta di un'ora a settimana, che
sarà mai? La ranocchietta può stare con Paul e Pam, o perfino con
Will, che problema c'è? Dai, venerdì prossimo c'è la lezione di
prova, vieni a fare un salto.
Sollevo un sopracciglio, spingendolo via senza degnarmi di rispondere.
Se sapevo che sarei finita a fare la spalla a Scott, col cavolo che
incrociavo le dita perché lasciasse quella stronza della sua ex.
Beh, più o meno.
- Comunque questa storia che deve sempre esserci qualcuno ad aiutarmi
quando porto qualcosa sta iniziando a diventare ridicola. - dichiaro,
tornando in soggiorno. Neanche l'avessi detto, inciampo nel tappeto e
rovino addosso a William a cui finisce il vassoio in testa, ci
guardiamo brevemente e subito torno in piedi, imbarazzata.
Paul mi spettina i capelli,
- Ed ecco che il servizio da dolce in plexiglass si è rivelato un ottimo acquisto.
- Lexie odia Paul. - borbotto, guardandolo storto.
Pam viene in mio aiuto,
- Non prenderla in giro, è stato un caso. - dice, cercando con tutte le forze di trattenere un ghigno.
- A questo punto, Paul, - dico, lasciandomi cadere sulla sedia, - vai
tu in cucina a lavarle: io potrei farle cadere di nuovo, tornando qui.
Sono offesa, sì, perché ho fatto un'altra figuraccia
davanti a William. Come se già non gli avessi dimostrato
ampiamente che disastro ambulante sono.
Paul, per nulla scocciato, va a sciacquare le scodelle cadute, Allie
parla alla pancia di Pam e Scott è andato a prendere la panna
montata, che sopra alla macedonia non può mancare. Mi rendo
conto che tutti sono distratti solo quando la mano di Will attraversa
il tavolo e sfiora la mia. Dopo essermi velocemente guardata intorno,
mi azzardo a guardarlo e per un attimo mi sento un po' meno stupida.
Poi Allie si gira per dirmi qualcosa, e a bolla di sapone scoppia
mentre le nostre mani si allontanano.
Come da copione la serata si è
conclusa con un saluto imbarazzato tra me e William, poi una volta a
casa, messa a letto Allie, prendo coraggio e lo chiamo, e per
telefono la tensione svanisce.
- Tuo fratello deve essere
impazzito. - dico spaparanzata sul letto a pancia in su. - Ti rendi
conto che mi ha iscritto a un corso di fit box?
Lo sento
sorridere,
- Ha un modo tutto suo di prendersi cura delle persone.
- ammette. - E poi è uno sport che ti si addice. Ti vedo, a tirare
pugni a un sacco.
Trattengo il respiro, sapendo che c'è un'altra
cosa che gli devo dire.
- Sì, beh... il fatto è che è stata una
cosa inaspettata e non credo di avere tempo. E poi... ci ha iscritti
per farci da spalla a vicenda e... - deglutisco, - non sono
interessata a rimorchiare degli sconosciuti.
Il breve silenzio che
segue mi fa rimbombare il battito del cuore nelle orecchie, avrà
capito cosa intendo?
- Domani mattina porti Alanis a casa dei tuoi
genitori? - l'ha capito. Mi tiro su a sedere,
- Sì. - trattengo
il fiato.
- Quando torni vuoi...
- Sì! - dico,
precipitosa.
Sorride ancora.
- A che ora vuoi che ti passo a
prendere?
Faccio un veloce calcolo, - Pranzo da loro, per le
tre va bene?
- Va bene. - Hey baby suona all'improvviso a tutto
volume, facendomi sobbalzare. - Stai guardando ancora quel
film?
Mordicchio il labbro inferiore mentre recupero il cellulare
dal comodino, indecisa se dirgli o no la verità, sapendo che nel
caso dovrei salutarlo.
- È la suoneria della mia compagna di
stanza. - ammetto, - Della mia vecchia compagna di stanza. -
mi correggo subito.
- A domani, allora.
Cerco di trattenere il
più possibile il suono della sua voce, - A domani. - lo saluto, dopo
un istante.
Taylor, insieme a Luke e Rachel, è un po' l'arto
che mi hanno amputato quando Becca è morta e io ho dovuto mollare
tutto.
Ci siamo conosciute al primo anno e non appena abbiamo
svuotato gli scatoloni, trovandoci nello stesso momento con in mano
le rispettive copie del dvd di Dirty Dancing, non ci siamo più
lasciate. Rachel ha iniziato a rifugiarsi nella nostra stanza qualche
sera dopo, per scappare alla sua compagna sociopatica e ai ragazzi
che si portava al dormitorio, e Luke si è aggiunto quando lui e
Taylor hanno studiato insieme per l'esame di economia, diventando il
nostro D'artagnan.
Avevamo il nostro micro clima perfetto e
inattaccabile, fino a quando la giostra si è improvvisamente fermata
e l'altoparlante ha annunciato il mio nome chiedendomi di scendere.
Io mi sono trasferita a New York e loro sono ripartiti senza di me, e
per quanto un tempo eravamo inseparabili adesso non è più lo
stesso: è stato subito chiaro che vivessimo su
due mondi paralleli destinati a non incrociarsi più, loro avevano le lezioni e la vita del campus, io
Allie e i problemi di un altro tipo di vita quotidiana. Sono venuti a
trovarmi a New York, una volta durante le vacanze
primaverili lo scorso anno e un'altra prima di ricominciare il
semestre autunnale; continuiamo a sentirci di tanto in tanto ma
l'arto che è stato staccato non si riattaccherà mai al
corpo.
Quando Taylor mi parla della vita che fa ho quasi le
vertigini, come il senso di deja-vu di qualcosa che non si è mai
vissuto, e non posso fare altro che consolarmi pensando che forse
quando finirà il college sarà diverso, saremo più
simili.
Mi racconta le ultime novità: la nuova ragazza di Luke
che né lei né Rachel sopportano, la festa che hanno dato al
dormitorio ieri sera e Rachel che si è svegliata in una stanza di
uno tizio di cui non ricordava nemmeno il nome. Abbiamo una teoria,
io e Taylor: Rachel è pazza di Luke ma non lo vuole ammettere, e lui
è troppo rispettoso del patto che ci siamo fatti al primo anno di
non andare a letto con nessuna di noi per accorgersene.
Io vorrei
raccontarle di William, ma non so come fare: Taylor è come me, con
la tessera onoraria al fan club dei bad boys; apprezzerebbe molto di
più Drew e non riuscirebbe a capire William, a meno di conoscerlo.
Nemmeno io so spiegare perché, cosa mi fa e com'è successo.
Prima
di chiudere a telefonata mi chiede, come al solito, se ho deciso
qualcosa per la lapide; e come al solito dico di no.
Nda Eccomi qua, dolorante dopo una
seduta abbastanza invasiva dal dentista non sono riuscita a revisionare
più di questo pezzo, ma mi impegno come al solito a postare
qualcosa prima di settimana prossima. Ormai l'avrete capito, ce la
metto tutta per rispettare i tempi che vi dico, ma questa è la
settimana prima delle ferie e ho un sacco di lavoro in arretrato, se
non dovessi farcela so che mi capirete.
Veniamo all'introduzione di un nuovo personaggio: Taylor non
sarà una regular, ma non l'ho inserita a caso. Rappresenta il
passato di Lexie, la sua vita sarà il paragone più ovvio
rispetto a come vive lei; soprattutto avendo conosciuto la Lexie
"prima", è anche a conoscenza di certe cose che lei cerca di
procrastinare e che per ovvi motivi di istinto di sopravvivenza non ha
confessato a Pam.
Quindi, ecco, il suo personaggio ha senso, non l'ho presentata solo per occupare righe u.u
Grazie mille per le vostre recensioni, a presto!
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Capitolo 9 *** L'appuntamento ***
sconvolta
L'enciclopedia galattica nel capitolo
dedicato all'amore afferma che è troppo complicato da definire. La
guida galattica per autostoppisti invece, sull'argomento amore, dice
evitatelo se possibile.
(Guida galattica per autostoppisti)
Mi sento un po' in
colpa perché praticamente bevo il caffè con il cappotto addosso,
tanto ho fretta di tornare in città.
Ho avuto la pessima idea di
dire ai miei che nel pomeriggio ho un turno in libreria e mi sono
sentita decisamente in colpa, perché mia madre ha cercato di
servire il pranzo il più in fretta possibile. No, mamma, tua figlia
è una bugiarda: non deve andare al lavoro, è sulle spine solo
perché deve uscire con l'insegnate di tua nipote.
Una volta a
casa mi precipito in bagno, e mentre l'acqua della doccia si scalda
vado in camera e rovescio quasi tutto il contenuto dell'armadio sul
letto.
Quando suona il citofono i capelli sono asciutti e sono più
o meno truccata, il giusto indispensabile, ma ho una gamba in un paio
di jeans e l'altra nei leggins. Incespico a rispondere, avvisandolo
che scenderò subito mentre nel frattempo saltello togliendomi i
leggins. Li appallottolo e li lancio in camera, chiudendo la porta e
confinando lì l'esplosione di vestiti, finisco di infilarmi i jeans
e vado in cerca della giacca. Giusto, mancano le scarpe, ancora
qualche esitazione e finalmente riesco a uscire di casa.
- Eccomi! - lo
saluto, chiudendo il portone del palazzo.
William aspetta che lo
raggiunga con una strana espressione in faccia, poi una volta di
fronte a lui seguo il suo sguardo e mi rendo conto che ho la sciarpa
in lana rosa con i pon pon a cuoricino azzurri di Allie. - Mi sono
sbagliata. - ammetto, frugando in borsa per cercare le chiavi. Lui,
piano, mi raddrizza il colletto del cappotto.
- Non ti sta male,
in effetti stai bene. - la sua voce non ha un briciolo di malizia o
di adulazione, nonostante quell'inflessione un po' demodè che gli è
peculiare, è cristallina.
E non ho più il coraggio di andare a
cambiarla, considerando che l'ho già fatto aspettare abbastanza.
-
Ok. - dico, cercando di nasconderla sotto al cappotto. - Dove si va?
- Ti piace pattinare?
Annuisco, mordendomi l'interno guancia
per non sorridere come una stupida: niente fa più classico
appuntamento Newyorkese che andare a pattinare sul ghiaccio a Central
Park. Le nostre mani si trovano, e ci incamminiamo.
Chiacchieriamo
del più e del meno, lasciando gli argomenti a metà per introdurne
nuovi cercando di recuperare la naturalezza che abbiamo per
telefono
- Sì, ieri hanno portato la nuova edizione di quel
libro...
- Il consiglio di classe vuole organizzare una vendita di
dolci natalizia...
- Adoro Homeland, ma non riesco a capire come
cazzo faccia Carrie a continuare a stare dietro a Brody. -
quest'ultima, con parolaccia annessa, è ovviamente mia.
Forse
non siamo sciolti come quando ci parliamo al telefono, il fatto di
averlo accanto mi destabilizza un po', ma in senso positivo: non
siamo imbarazzati. Sono consapevole di lui, della sua mano che
stringe la mia, dei suoi occhi che mi guardano mentre camminiamo,
della sua presenza accanto a me.
Noleggiamo i pattini e, quando
salgo incerta sul ghiaccio, mi chiedo quanto tempo ci metterò prima
di trovarmi a terra. William invece, al contrario delle aspettative
che non me lo fanno immaginare come il perfetto sportivo, è sicuro e
stabile sui pattini. Viene accanto a me e mi prende per mano,
aiutandomi a staccarmi dal bordo. Adegua la sua andatura alla mia e
mi sostiene, finché non trovo il ritmo.
- Cosa mi dici
invece, di te? - domanda, tutto d'un tratto.
Lo guardo velocemente
con la coda dell'occhio, prima di concentrarmi nuovamente sulla
pista.
- Cosa vuoi sapere?
- Cosa studiavi al college?
-
Quello che studiano tutti, - lo prendo in giro: - un po' di questo,
un po' di quello. Volevo laurearmi in giornalismo, amavo le lezioni
di letteratura.
- Sembra che comunque tu abbia trovato il tuo
posto nel mondo. Hai mai pensato di ricominciare alla NYU?
Scrollo
la testa,
- Non fare finta di non sapere quanto sia impegnativo
lavorare e occuparsi di una bambina: non avrei il tempo né per
frequentare né tanto meno per studiare.
- E quando Allie sarà
più grande? - il modo in cui me lo chiede non mi mette a disagio:
una volta avevo pensato che mi biasimasse per non aver finito gli
studi (come se fosse dipeso da me), invece percepisco interesse nella
sua voce, come se a prescindere da quello che faccio o da quello che
ho studiato volesse spingermi a non rinunciare, se lo voglio.
-
No, William: non credo che riuscirò, e onestamente non voglio
aspettarmi niente: non voglio sperare di poter ricominciare e
trovarmi a una certa età e capire che non è possibile. Sarebbe come
inseguire la vita che avrei potuto avere se Becca non fosse morta,
senza Allie: ma la mia vita è questa, non quella.
Rallentiamo
automaticamente, o forse è lui che frena e di conseguenza lo faccio
anch'io dal momento che il mio passo è poco più di un contributo
alla sua andatura.
Ci fermiamo, sollevo prima un piede e poi
l'altro per girarmi, imitandolo. Lui mi guarda, come se stesse
cercando le parole giuste.
- Vorrei rimangiarmi quella volta che
ti ho dato della ragazzina, ma non lo farò, perché non sei
invincibile e non puoi pensare di non avere bisogno di aiuto. Ma sei
forte, straordinariamente forte, senza perdere la tua dolcezza e la
tua vulnerabilità. E devo ammettere che questo contrasto mi lascia
sempre stupito.
Trattengo quasi il respiro mentre lo guardo, senza
riuscire a dire niente.
Dentro di me risuonano semplicemente i
suoi occhi e le sue parole, solo da un piccolo angolo ho la lucidità
necessaria per chiedermi quante volte potrà ancora lasciarmi a bocca
aperta, da dove diavolo gli escono queste frasi. È la cosa più
simile a una dichiarazione romantica di quelle che si leggono nei
libri che io abbia mai sentito. Deglutisco,
- Io... - vorrei
dirgli qualcosa, per fargli capire quanto mi ha colpita, ma niente mi
sembra adatto.
Si avvicina e posa le labbra sulla mia fronte, per
un istante, poi torna a prendermi la mano e ripartiamo.
William
Parker è un po' un ossimoro: mi ha dato un signor bacio con tutti i
connotati per capire se avevo bevuto o no il suo vino, poi mi fa la
dichiarazione perfetta e mi bacia la fronte.
Arrossisco, pensando
che dopo tutto l'episodio del vino era più un pretesto, ma la
seconda parte rimane.
- Hai freddo? - mi chiede, interpretando il
mio rossore.
- No, grazie. - Lo guardo con la coda dell'occhio, è
presuntuoso dire grazie a uno che ti ha detto che sei forte e
dolce?
Cerco di fermarmi ma con scarso risultato, se non quello di
rischiare di cadere. Gli tiro la manica, sperando non siano
necessarie ulteriori spiegazioni, e William ci rallenta, fermandosi
di fronte a me.
- Quando hai detto quelle cose, come sono... -
cerco di trovare le parole giuste. - Non so come risponderti, non so
nemmeno se grazie sia giusto, ma grazie.
Mi chiedo se sia fuori
luogo spingermi verso di lui e baciarlo, ma rinuncio primo perché
non sono abbastanza stabile sui pattini, e poi perché è vero,
domenica ci siamo baciati ed è stato bellissimo e ci parliamo al
telefono tutte le sere, ma adesso sembra passata un'eternità. Se al
suo posto ci fosse stato Drew probabilmente lo avrei fatto senza
tanti pensieri, ma con William è tutto così intenso, persino
sfiorarci mentre ci passiamo l'insalatiera, che non riesco a buttarmi
semplicemente. Inoltre lui mi ha detto quelle cose, e io non saprei
fare altrettanto: provo qualcosa per lui, ma non so ancora dargli un
nome.
- Dovrei ricominciare a chiamarti Miss Spencer, non ti ho
mai lasciato senza una precisa opinione su qualcosa.
Non è vero,
ma non lo sa.
- Hai smesso di chiamarmi Miss Spencer? - gli
chiedo. Io lo chiamo William, e lui non mi ha più chiamato per
cognome ma neanche ha mai usato il mio nome. Ci ho fatto decisamente
caso, evita con cura di chiamarmi, punto.
- Sì, Lexie.
E ora
capisco perché.
Diceva che il mio nome era troppo personale da
usarlo se non mi conosceva, e ora che glielo sento pronunciare arrivo
al punto di essere contenta che abbia aspettato fino ad adesso. Le
lettere scivolano, come se il mio nome fosse qualcosa di privato che
ci unisce. Come se fosse un sentimento.
Il ginocchio mi cede un
istante ma lui è lì ad afferrarmi, e mentre mi sostiene finalmente
mi bacia.
Mi aggrappo al bavero del suo cappotto nonostante le sue
braccia mi tengano stabilmente al sicuro, e inspiro questo bacio
gelato. Se pensavo che baciare così bene fosse una prerogativa dei
ragazzi un po' tenebrosi, William mi fa assolutamente ricredere. E in
qualche modo questa cosa aggiunge una sorpresa che non mi lascia per
niente indifferente.
- Ci ho pensato, comunque. - dico,
quando, dopo aver pattinato a sufficienza, risaliamo a piedi Central
Park. - Non ero certo una secchiona, ma il college, le lezioni: mi
piacevano. E ci ho pensato, in passato, se trovare un modo per
riprendere o no; non solo per dire un giorno “l'ho finito” e fare
qualcosa con il mio pezzo di carta. Era bello.
Camminiamo un po'
in silenzio, ma posso quasi sentire il rumore dei suoi pensieri.
-
Ti piacerebbe ascoltare una lezione di letteratura? - dice poi, tutto
d'un tratto.
Aggrotto le sopracciglia, senza capire: - Cosa
intendi?
- Il venerdì pomeriggio tengo una lezione al NYU, non
sarebbe un problema farti entrare una volta. Potresti venire con me,
venerdì, ti piacerebbe?
All'improvviso sono più incuriosita
dall'idea di ascoltare una sua lezione piuttosto che qualsiasi
altra.
- Altroché, davvero possiamo? - non vedo già l'ora.
William mi tranquillizza: - Basta che non cerchi di sostenere
nessun esame, nessun problema.
- Sei carino quando cerchi di fare
le battute. - mi esce fuori, istintivamente.
- Io non cerco
di fare le battute. - si ribella, incupendosi. - E soprattutto non
sono carino.
Rido sotto ai baffi, è carino eccome, ma
evito di insistere.
Le giornate sono corte e più si avvicina il
momento del tramonto più il freddo aumenta, così mi decido a
proporgli di andare a casa a bere qualcosa di caldo.
- Però mi
dispiace deluderti, ancora niente The: se vuoi posso provare a fare
la cioccolata calda. O, meglio ancora, puoi provare a stupirmi con le
tue innumerevoli doti nascoste e puoi farmela tu.
- Sbaglio o c'è
una nota ironica? - chiede, sospettoso.
Mi stringo al suo braccio
mentre lui chiama un taxi che si sta avvicinando,
- Niente
affatto. Sono una fan delle tue doti nascoste.
Solleva un
sopracciglio guardandomi, sì, a modo suo sa essere malizioso,
maledizione.
Quando entriamo in casa mi vengono immediatamente
in mente tutti i sottintesi che il mio invito potrebbe avere, e
nonostante da un lato sono sicura che William non è il tipo da
aspettarsi qualcosa solo perché è in casa mia, d'altra parte non so
cosa potrebbe pensare della naturalezza con cui l'ho invitato. Mi
tolgo cappello, sciarpa e cappotto, lanciandoli sull'appendiabiti più
alto dell'armadio a muro, quello che di solito è il mio, e poi
prendo la sua giacca, appendendola dove è di solito quella di
Allie.
- Sei già stato qui, - dico, alzando le spalle, - quindi è
inutile che ti faccia vedere la casa.
Mi appunto mentalmente di
andare a controllare di non aver lasciato niente di compromettente in
bagno, tipo uno dei miei reggiseni appesi sopra alla vasca oppure il
rasoio con cui mi sono depilata prima, e lo spingo verso la cucina. -
Credo che tutto sommato la farò io la cioccolata. - dico, aprendo il
frigo in cerca del latte. - Insomma, se stiamo a vedere tu hai
cucinato per me quando sono stata male e poi a casa tua, potresti
pensare che sono un'inetta in cucina.
Lui non si siede e si mette
vicino a me mentre metto il fornello sul gas.
- Non lo penso
affatto. - mi tranquillizza.
O almeno quello dovrebbe essere il
suo intento, ma mi trovo a sorridergli nervosa mentre verso il
preparato nel pentolino insieme al latte, totalmente consapevole
della sua presenza.
Il sibilo del gas, il rumore del cucchiaio che
gira, rimbombano nella stanza.
- Alanis ha una vostra foto nel
suo diario.
Il rumore del cucchiaio che cade per terra. Il tempo
di raccoglierlo e i miei sensi sono di nuovi tutti all'erta, pronti a
individuare e bloccare ogni possibile invasione.
Con una vostra
foto non intende con me e Alanis, ma io e Becca. William osserva
i miei movimenti nervosi mentre butto il cucchiaio nel lavello e ne
prendo un altro.
- L'ho vista, ha molte foto di sua madre. - dico,
più rigida che controllata.
- A volte credo che abbia superato il
suo lutto meglio di quanto tu pensi.
È vero, e mi chiedo che
parte ho avuto io in tutto questo: si presumerebbe che io le sia
stata più di aiuto di quanto non sia in realtà. Ho cercato di
parlargliene all'inizio, ma dopo un po' lei ha iniziato a evitare con
cura l'argomento, pensavo che avesse bisogno di tempo e gliel'ho
dato, senza essere stata in grado di riprenderlo.
Quando ho
scoperto quella foto, così naturalmente inserita tra le pagine del
suo diario come una bella cartolina, non sono riuscita a dirle niente
per paura di rovinare tutto.
- A volte. - sottolineo,
appellandomi al mio ruolo di tutrice. Ed è vero, a volte, troppe
volte è ancora una bambina che ha perso sua mamma.
- Mi sono
chiesto se invece non sia tu, quella che ancora non ci è
riuscita.
Quel tono, il suo tono da maestro. Fino a cinque minuti
fa era perfetto, ora invece devo lottare contro l'impulso di
chiedergli di andarsene: la cantilena che io non sono riuscita ad
accettare la morte di mia sorella l'ho sentita già da tanti,
l'ultima cosa che voglio è che lui la ripeta, specialmente con quel
modo di fare, ricordandomi quanto era facile odiarlo quando l'ho
conosciuto.
- So che ti chiedo uno sforzo eccessivo. - dico,
leggermente più acida di quanto vorrei. - Ma preferirei non parlare
di questo. Non sono fatti tuoi, William, e non intendo fare in modo
che lo diventino.
Sbatto sonoramente
il cucchiaio sul bordo del pentolino, talmente impegnata a coprirmi
con lo scudo che mi permette di andare avanti che non mi importa
particolarmente dell'occhiata carica di biasimo che mi rivolge. Sono
fatti miei, come sono fatti miei, dal momento che è stato deciso che
sia io a occuparmene, cosa farò scrivere sulla lapide della madre di
Allie che andrà a sostituire quella provvisoria che ha da un anno.
E sono fatti miei
quando deciderò di farlo. Sono fatti miei che mia madre sta morendo
e io sono fisicamente incapace di essere la figlia che si merita,
limitandomi ad aspettare il momento in cui rimpiangerò anche lei.
Almeno in questo sono riuscita a salvare Allie dalla mia spirale di
negazione, lei sì che è la nipote che si merita.
- Sei arrabbiata. -
Genio. William sospira, - Non potrai scappare sempre dai tuoi
problemi.
In un lampo mi sembra di riuscire a riconoscere la
persona con cui ho passato il pomeriggio, prima che tutto questo
venisse fuori. Lo guardo, incerta se potermi fidare o meno della sua
effettiva resa.
- Solo non vorrei occuparmene adesso. Non voglio
rovinare questa giornata.
Aggrotta per un attimo le sopracciglia,
senza perdermi di vista, ma non aggiunge altro: forse posso fidarmi.
E forse lo conosco più di quanto pensassi, perché, ora che mi
sento un poco più al sicuro noto anche lui e capisco che è
combattuto nel decidere di accettare la mia richiesta. Comporta uno
sforzo, per William, cedere e tirarsi metaforicamente indietro quando
ha intravvisto il mio punto debole, quando come al solito è convinto
di aver ragione. La sua espressione è abbastanza eloquente, non ci
vuole passare sopra, ma in qualche modo tenta di farlo. Forse per lui
è un “per il momento”, ma io onestamente non ho il tempo di
venire a patti con quello che è successo, non posso crollare quando
ho una bambina di cui occuparmi: non è forse quello che fanno i
genitori?
Verso la cioccolata che innalza due colonne di fumo
denso dalle tazze, il silenzio di adesso è ben diverso da quello di
prima, assomiglia di più ai silenzi di cui ci siamo sempre
deliziati. Lui osserva me e io osservo lui, incapaci di andare
oltre nonostante ci stiamo provando, incapaci di ammettere di essere
nel torto.
E poi, nella maniera più ridicola possibile, il mio
telefono inizia a suonare Time of my life.
Mi affretto a
rispondere a Allie, già sapendo che sarà sicuramente lei dalla casa
dei miei che vuole farmi un saluto prima di cena, e sono
incredibilmente sollevata di poter pensare ad altro.
- Ciao
nipotina. - la saluto.
Allie mi racconta della sciarpa a maglia
che sta aiutando la nonna a fare e dell'ultima zucca dell'orto che
mangeranno stasera. In sottofondo mi arriva la voce di mio padre, che
mi chiede se me ne deve preparare un po' in un tapperwhare e io spio
con la coda dell'occhio William, sperando di trovarlo più
rilassato.
Imperturbabile.
Metto di proposito un dito nella
cioccolata per capire se è ancora troppo calda, e per cercare di
smuoverlo un po' mi pulisco contro la sua guancia. Aggrotta le
sopracciglia e le distende, bene: una reazione.
- Dì al nonno di
mettermi via tutta la zucca che avanza: non voglio mangiare altro per
i prossimi tre giorni, visto che è l'ultima.
La saluto e metto
giù, William ha preso un tovagliolo di carta per pulirsi e io riesco
a fermarlo in tempo posandogli un piccolo bacio dove l'ho sporcato,
sufficiente a eliminare le tracce.
- Sei una contraddizione. -
dice, ancora troppo serio per i miei gusti. Io alzo le spalle, è una
cosa di poco conto e non mi tocca. Ma non mi sposto da davanti a lui,
limitandomi a guardarlo. - No, mia cara, non ti darò nessun bacio
adesso.
Mia cara. Nascondo un sorriso, me lo hanno detto
mille volte con tono sarcastico, da mia madre ai miei amici, ma mai
così. Non che l'abbia usato con tenerezza, non è ancora del tutto
rilassato, ma non c'era una traccia di ironia nella sua voce. Lo
lascio schivarmi e ci sediamo a bere la nostra cioccolata.
- Non
puoi fare così, Lexie. - insiste.
E va bene, mollare il colpo non
è da lui ma è da me: non ho nessuna intenzione di continuare a
litigare né di farmi psicoanalizzare da lui. Posso accendermi come
un fiammifero e continuare a bruciare per ore, ma quando dico basta,
è basta.
- E invece sì: tu hai tirato in ballo l'argomento, e io
non ne voglio parlare oggi. - gli dico, aggiungendo l'ultima parola
con una bugia per ammorbidirlo.
- Quindi è così che funziona?
Hai una lista di temi che non vuoi affrontare e dobbiamo attenerci ad
essa? Di cosa dovremmo discutere, delle previsioni
meteorologiche?
Provo a bere un sorso di cioccolata per nascondere
un sospiro ma è ancora troppo calda. E chi l'ha detto che un bravo
ragazzo è innocuo? Con Drew, sicuramente, non mi sarei mai trovata
in queste sabbie mobili. Però nonostante tutto non riesco a
rimpiangerlo, nonostante tutto, in questo momento non cambierei
William per nessuno al mondo.
- Avanti, maestro, non ho detto che
voglio parlare del tempo, solo che non ho intenzione di affrontare il
discorso su come ho superato la morte di mia sorella. - mi arrendo, -
Fai la tua domanda, so che ne hai una.
- Il padre di Alanis?
Perché non ti dà una mano?
Tiro un sospiro di sollievo, grazie
al cielo non è un argomento scottante.
- Facile: non esiste un
padre. - William aggrotta le sopracciglia e prima che intervenga,
spiegandomi che i bambini non nascono sotto i cavoli, mi affretto a
spiegare: - Ovvio che biologicamente condivide la metà del
patrimonio genetico con qualcuno, e sì: è una persona in carne ed
ossa, Becca non ha fatto nessuna inseminazione artificiale.
- E
lui, non si è mai fatto vivo? Nemmeno dopo la morte di tua
sorella?
Scuoto la testa,
- Un padre non è chi dà il suo
contributo per fecondare l'ovulo, ma qualcuno che tiene la mano di
tua madre mentre sta partorendo. Chi si sveglia nel cuore della notte
per controllare che tu sia coperto bene o semplicemente che stai
ancora respirando, ti tiene in braccio quando hai le coliche e con il
suo cipiglio severo riesce a farti sentire in colpa, quando più
grande farai una sciocchezza, senza dover nemmeno dire niente.
Quindi, no, il padre di Allie non è mai esistito.
L'argomento scema,
e mentre il livello della cioccolata nelle nostre tazze diminuisce
riusciamo a tornare su argomenti più tranquilli, e a poco a poco
riesco a sentirmi totalmente tranquilla, come se quell'intermezzo
disastroso non fosse mai successo. Sono diventata abbastanza brava a
nascondere la polvere sotto al tappeto, modestamente parlando.
Sono
rientrata nella mia bolla di serenità, come quando stavamo
passeggiando per Central Park e ho capito che dovevo intentarmi
qualcosa al più presto se volevo prolungare il nostro appuntamento,
ecco perché mentre metto le tazze nel lavello cado letteralmente
dalle nuvole.
- Sì è fatto tardi, - lo sento dire dietro di me,
- è ora che vada.
Mi giro, pensando freneticamente a qualcosa per
trattenerlo. La realtà è che voglio stare con lui, punto: non mi
importa quello che facciamo o dove siamo, come quando siamo al
telefono e mi addormento con la cornetta in mano pur di non
salutarlo, adesso vorrei che il nostro pomeriggio insieme non
finisse.
Mi limito a sospirare,
- Devi?
Mi sistema una
ciocca di capelli dietro all'orecchio,
- Questo appuntamento ci è
già sfuggito di mano, le consuetudini avrebbero voluto che ti
riportassi a casa quando avevamo finito di pattinare.
Mi
mordicchio un labbro per nascondere un sorriso, non sembra nemmeno
lui del tutto convinto a seguire le consuetudini.
- Non è andata
male, no? Discussione a parte. - cerco di strappargli.
È
difficile però essere più convincente, con lui così vicino a me
tanto che devo sollevare la testa per guardarlo.
- No.
Mi
spingo appena verso di lui quando lo vedo muoversi verso di me e le
nostre labbra si incontrano. I miei pensieri si azzerano all'istante,
ho già detto come mi bacia? È impossibile rimanere lucida.
Le
sue mani affondano nei miei capelli, tenendomi contro di lui, la sua
bocca mi cerca, accarezzandomi con dolcezza e fermezza. Intenso.
Mi
sfugge un sospiro mentre ho ancora gli occhi chiusi, quando si
allontana, e quando li riapro lo vedo lì, a osservarmi. Prima che
possa dire o pensare qualsiasi cosa si spinge ancora su di me, mentre
mi afferra sollevandomi e appoggiandomi sul bancone della cucina.
Sono in bilico con mezzo sedere tra il piano e la vasca del lavello,
ma è l'ultimo dei miei pensieri: io, lui e le cucine: andiamo
decisamente d'accordo.
Reclino appena la testa, invitando le sue
labbra a scivolare dalla mia bocca alla pelle del mio collo, in preda
a una necessità che che se avessi più lucidità non vorrei
soddisfare.
Perché, a discapito dei nostri precedenti, del fatto
che effettivamente oggi è stato il nostro primo appuntamento e che
spaventata dall'idea che mi costringesse ad affrontare la mia torre
traballante di problemi, gli ho detto che non avevo intenzione di
diventar affare suo; e per quanto in quel contesto non mi rimangio
niente, in qualche modo siamo già oltre tutto questo. William, mi
rendo conto nonostante sia consapevole di non essere in pieno
possesso delle mie facoltà mentali al momento, è la persona che
potrei amare. Con lui il discorso va già oltre una notte di sesso
bollente, nonostante in questo momento forse lo desideri più di
quanto abbia mai desiderato avere il perfetto Drew nel mio
letto.
Ogni centimetro del mio corpo è attraversato da un
formicolio impaziente che mi porta più vicina che mai a rimangiarmi
la decisione di andarci piano. Catturo le sue labbra con le mie, per
un istante, e basta che appoggi la mano sul suo petto senza neanche
imprimere un po' di spinta che un filo d'aria scorre nuovamente tra
noi. Inspiro e butto fuori l'ossigeno, prima di accorgermi che per
metterlo a fuoco dovrei aprire gli occhi. Lo faccio e non appena
incrocio il suo sguardo intenso la fame che mi annebbia la mente
viene mitigata un po' da un'altra sensazione, dolce, che mi aiuta a
riprendere il controllo di me.
La mano intreccia le mie dita e se
le porta alle labbra, baciando delicatamente le nocche.
- Ciao,
Lexie. - sussurra.
- Ciao, William.
Non so se lo fa perché si
ricorda il mio commento di settimana scorsa a casa sua o per il senso
di galanteria che fa parte di lui, ma mi aiuta a scendere dal piano
della cucina e devo fare fatica per non farmi abbandonare ancora
dalle mie sinapsi.
Tiene la mia mano mentre mi precede alla porta
di casa e mi appoggio all'attaccapanni guardandolo vestirsi, in un
silenzio confortevole. Quando finisce di abbottonarsi il cappotto le
sue labbra sfiorano per un istante ancora le mie, e se ne va,
lasciandomi sospirare sognante.
Nda Chiedo perdono! Non sono
assolutamente riuscita a postare martedì, spero che questo
aggiornamento più corposo possa compensare! E già che ci
sono, giuro solennemente che posterò entro la fine di settimana
prossima, ma essendo il prossimo capitolo ancora in fase di scrittura
non garantisco che sia per martedì. Buon fine settimana a tutti,
al prossimo capitolo!
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Capitolo 10 *** Fango sulla città ***
sconvolta
La fiducia è un bene fragile.
Se la si guadagna, si gode di una libertà illimitata, ma una
volta persa può risultare quasi impossibile riconquistarla. La
verità è che non sappiamo mai di chi poterci fidare.
Anche chi ci vive accanto potrebbe tradirci, mentre gli estranei a
volte ci vengono in aiuto. Alla fine, la maggior parte di noi, decide
di fidarsi solo di sé stessi; è il modo migliore per
evitare cocenti delusioni.
(Desperate Housewife, stagione 1 episodio 10)
Quando mi sveglio,
la mattina dopo, rimango sotto alle coperte a godermi la sensazione
di pace e caldo, sentendomi una moderna Biancaneve alle prese
con uccellini immaginari. Sbadiglio e mi stiracchio, ritrovandomi ad
apprezzare anche una cosa stupida come il profumo delle lenzuola
pulite.
Sono saltata così velocemente tra le fasi ragazzo del
liceo, ragazzi del college e piattume della vita sentimentale a New
York, che non mi ricordavo cosa significasse tutto questo, la
sensazione dolce e un po' straziante di desiderare di vederlo
ancora.
Il cordless suona e io mi rotolo sotto al piumone per
raggiungerlo sul comodino, con l'innegabile piccola speranza che sia
lui.
- Paul sta facendo il brasato come piace a te. Credo che sia
un segnale abbastanza chiaro. - mi raggiunge la voce di Pam.
Il
mio stomaco gorgoglia impaziente,
- Lexie adora Paul. - cantileno
allegra, sapendo di essere in vivavoce. - Abbonda con il sughetto, a
mezzogiorno sono lì.
Apro le imposte scoprendo la bellezza di una
New York innevata, e la percezione meravigliosa che nella mia vita ci
sia ancora qualcosa per me.
- Buongiorno a tutti! - esordisco,
entrando dalla porta che hanno lasciato socchiusa quando ho suonato
al citofono.
Nell'ingresso compare Paul, in perfetta tenuta da
casa con uno strofinaccio sulla spalla e in mano un mestolo.
-
Panzerotta! Lexie è schifosamente allegra. - osserva, con un
ghigno.
Faccio finta di niente e appendo il cappotto, prima di
rubargli il mestolo per pulirlo dal sugo rimasto.
- Tanto con
questo hai finito, vero? - gli chiedo, assaggiandolo.
Paul sbuffa
e ritorna in cucina.
- Se non vuoi dirmi niente, significa che c'è
qualcosa dire. - grida, mentre io raggiungo Pam in soggiorno. Ci
scambiamo uno sguardo d'intesa e mi siedo sul divano accanto a lei,
rannicchiandomi contro il bracciolo e coprendomi le ginocchia con un
lembo della coperta in pile. Pam spegne la tv e tamburella impaziente
contro il telecomando.
- Paul ha ragione: - osserva, complice, -
hai un sorriso accecante. Vuol forse dire che l'appuntamento di ieri
è andato bene?
Mi sento arrossire e cerco inutilmente di tenere a
bada il sorriso, che non sembra più rispondere al mio controllo.
-
Diciamo di sì. Pam, non è tanto quello che è successo ieri, è lui
che è... - mi zittisco un attimo, vedendo Paul che viene a portarmi
una birra e una ciotola di patatine. - Grazie Paul! - cinguetto.
-
Voi due mi state nascondendo qualcosa. - osserva, guardandoci
entrambe. Pam fa la faccia indifferente e io mi nascondo dietro a una
sorsata per non scoppiare a ridere mentre lui torna in cucina.
-
Mi sa proprio che dovrò dirlo anche a lui. - giocherello con
l'etichetta della bottiglia, - Comunque è... così diverso da
come pensavo. Non so come spiegartelo, Pam, ma mi piace davvero. -
concludo, con un sospiro.
Lei mi accarezza il ginocchio.
- Si
vede. - dice, sorridendo con gli occhi illuminati dalla luce materna.
- Giusto per essere sicuri... stiamo parlando di William, vero? -
dice Paul con aria indifferente, appoggiato allo stipite.
- Che
ne sai tu? - ribatto stupita, mentre Pam gli lancia un cuscino.
-
Non è educato spiare i discorsi altrui.
- Signore mie, sapete
benissimo che non riuscite a tenere un segreto con me. Comunque,
Lexie, per rispondere alla tua domanda: - mi lancia uno sguardo
vittorioso. - Ho le mie fonti.
Sprofondo nel divano, nascondendomi
dietro alla coperta.
- Che imbarazzo... te lo ha detto lui? - cosa
che avevo ritenuto semplicemente impossibile, tanto da non
considerarla proprio.
- Assolutamente no, andiamo: stiamo parlando
di William. - mi fa notare, sedendosi sullo schienale del divano. Mi
scopre la faccia. - A dire la verità io e Scott avevamo qualche
dubbio, così ci siamo scambiati le informazioni, confrontandole, e
guarda un po': coincidevano. Tu eri impegnata e lui aveva da fare,
che caso, eh?
Gli faccio una smorfia,
- Pettegoli!
Paul mi
spettina poco gentilmente,
- Così imparerai a tenermi all'oscuro.
L'ispettore Paul scopre sempre tutto! - finge una risata sguaiata e
si alza. Prima di tornare in cucina posa un bacio sulla testa di Pam.
- Comunque, mogliettina mia, avevo ragione io.
La mia vita non
è mai stata perfetta, e sicuramente dopo la perdita di Becca lo è
stata ancor meno. Non tanto per come la vivevo, ma per quella
costante consapevolezza che lei non c'era più: avevamo undici anni
di differenza, ma a discapito di quello, il legame che c'era tra noi
non avrebbe potuto essere più saldo nemmeno se fossimo state
gemelle. Certo, ci sono stati periodi in cui ci guardavamo come due
estranee, per esempio la fase in cui io avevo smesso di essere una
poppante ridente e lei non aveva più voglia di far finta che io
fossi la sua bambola; oppure quando io avevo quattordici anni e mi
sentivo tutto il mondo contro e lei aveva la presunzione di sapere
che quello che volevo dire con le mie occhiate e i miei grugniti, ma
le abbiamo superate ritrovandoci poi più unite di prima, sempre.
Becca era la mia complice e la mia guida, l'esempio migliore che io
abbia mai potuto avere, e quando è nata Alanis, che essendo figlia
di Becca non avrebbe mai potuto chiamarsi con un altro nome, pensavo
che probabilmente tra me e lei sarebbe nato un rapporto simile e che
noi tre avremmo creato un cerchio perfetto. Anche Becca me lo diceva,
quando andavo a trovarla a New York appena Allie era nata; mi sembra
ancora di vederci, qui in salotto, lei in poltrona ad allattare e io
a bocconi sul tappeto: andremo, faremo, vedremo... tanti modi che
significavano una sola cosa, vivremo.
Poi la grossa
imperfezione della mia vita. Per lo meno, la seconda in ordine di
tempo, perché un anno prima la mamma aveva scoperto di avere il
cancro, ma dopo varie radioterapie erano riusciti a operarla e giusto
in quei giorni avevamo avuto la notizia che erano riusciti ad
asportarlo. La chemio le aveva distrutto i reni ma a quei tempi
ancora non lo sapevamo, io ero tornata al college tranquilla che il
peggio fosse passato, ed ero davvero serena.
Quando risposi al
telefono e sentii la voce di mio padre, pensai immediatamente che
alla mamma fosse venuta una complicazione post operatoria, di quelle
che ci avevano illustrato i medici; lui dovette ripetermelo due volte
perché all'inizio io non capii: no, Lexie, Becca è morta.
Quando
chiusi la chiamata con lui feci il numero di mia sorella, una volta
capito che non mi avrebbe risposto impacchettai la mia vita per
andare a prendere Allie.
Il dover
preoccuparmi per lei mi ha impedito fin da subito di crollare in
mille pezzi: piansi disperatamente durante il volo fino a New York,
ma non appena atterrai, realizzai che mia nipote sarebbe stata mille
volte più devastata di me; così come mia madre, ancora debole dopo
l'operazione, doveva affrontare il pensiero di aver perso una figlia.
E mio padre che cercava di giostrarsi tra noi tre.
Inghiotti le
lacrime, facendomi forza per sollevare almeno me e Allie, di cui mi
sarei occupata io, dalle sue preoccupazioni.
Il funerale fu fatto
in fretta e furia, con mia madre ancora ricoverata e una lapide
provvisoria al cimitero vicino a casa dei miei: non mi ricordo molto
di quel giorno, solo che Allie piangeva aggrappata a me. A un certo
punto pensai che fosse pura crudeltà costringere una bambina a dover
stare a guardare mentre seppellivano sua madre, così la presi in
braccio e ce ne andammo.
Pochi giorni dopo ci trasferimmo nel loro
appartamento a New York, e se penso a come era quei primi tempi,
posso dire che abbiamo fatto grandi progressi in questo anno: la
parte che impersonavo, impacciata, ha finito per diventare la mia
vita; ho smesso i panni del mio ruolo come pezzo del cerchio che
eravamo io, Becca e Allie, e sono diventata la sua tutrice. Può
suonare un termine freddo, ma per me vuol dire tutto ciò che voglio
essere e che sarò: più di sua zia, ma mai sua madre. Lo riterrei
quasi morboso, pensare di sostituirmi a lei. Essere sua tutrice
significa invece che sorpasseremo questa cosa insieme, che ci sarò
io per lei.
Questo sistema ha ingranato abbastanza bene, abbiamo
trovato la nostra quotidianità e le nostre dinamiche, ero realmente
serena: avevamo Pam e Paul, io avevo un lavoro che amavo e nonostante
non fosse mai una passeggiata, riuscivo a tenere la barca a galla
senza particolari scossoni; mi definivo davvero soddisfatta.
Adesso,
invece, mi sembra che qualcuno mi abbia tolto il paio di occhiali
scuri con cui guardavo tutto. O forse, invece, mi hanno messo davanti
agli occhi le famose lenti rosa. Per la prima volta, da quando ho
perso mia sorella, ricomincio a cantare sotto alla doccia e mentre
preparo la colazione accendo la radio come accompagnamento, senza
sentire un insormontabile senso di colpa per continuare a farlo ora
che Becca non c'è più.
- Allie, hai finito i compiti? - le grido
dalla cucina, mentre spengo la fiamma sotto alla pentola di chili.
-
Finitissimi. - dice, il suo nuovo vizio di aggiungere un grado
superlativo a tutto quello che dice, - Sai, zia: stiamo leggendo un
nuovo libro in classe, il signor William non fa le voci come il
nonno, ma è bravissimo a leggere! Lui inizia il capitolo e poi a
turno va avanti qualcuno di noi, oggi è toccato a me e Mary Perkins
ha detto che sono stata brava! - dice, tirando fuori i piatti puliti
dalla lavastoviglie e iniziando ad apparecchiare senza che io debba
chiederglielo.
- Sono molto contenta, in questo potresti aver
preso un po' da me: quando avevo la tua età passavo ore e ore a
leggere ad alta voce ai miei pupazzi, volevo diventare un'attrice. -
dico, sorridendo al ricordo.
- A me piacerebbe diventare una
maestra. O lavorare in una libreria, come te e Pam, però leggerei ai
bambini, come in quella libreria in centro.
È il periodo in cui
le sue aspirazioni cambiano quotidianamente, però in qualche modo mi
colpisce che i suoi modelli attuali siamo io e William. Ovviamente
Allie non sa che ci stiamo frequentando, l'unica occasione in cui ci
siamo visti con lei presente, al di fuori di quando ci incontriamo da
Pam, è stata quella volta in cui ci aveva invitate a cena; però se
le cose dovessero proseguire, ammetto che l'idea di noi tre non è
così brutta. Nonostante certe sue idee e la sua testardaggine,
William sarebbe per lei un'ottima figura di riferimento. Mi metto a
mescolare energicamente il chili, in modo da poter dare la colpa al
vapore per le mie guance improvvisamente rosse.
- Ripassiamo il
programma di domani: Pam viene a prenderti a scuola e andate insieme
a scegliere il regalo per Paul, io vi raggiungo a casa sua e mangiamo
lì, va bene?
Io invece andrò con William ad assistere alla sua
lezione al NYU, come mi aveva promesso.
Tolgo dal forno le
tortillas e le metto nei piatti, poi aggiungo sopra ad ognuna una
generosa mestolata di chili, ovviamente non piccante, e ceniamo.
La
pioggia ha sciolto la neve, trasformandola in un pantano fangoso che
invade i marciapiedi: avevo sperato così tanto che nevicasse per
Natale, ma se continua così, anche se dovesse ricominciare, non farà
mai in tempo a ricoprire tutto come prima. Appena esco dal lavoro
leggo un messaggio di William che è stato trattenuto a scuola per un
colloquio improvviso e mi propone di incontrarci direttamente al NYU,
scusandosi di un eventuale ritardo; ma visto che ho finito con un
leggero anticipo decido di andare a prenderlo a scuola. Quando esco
dalla fermata della metropolitana mi rendo conto di aver dimenticato
l'ombrello in libreria e corro sotto al portone, per non bagnarmi,
posso solo sperare che quello di William sia abbastanza grande per
entrambi.
- C'è nessuno? - dico, bussando allo stipite della sua
aula. - Ho finito prima al lavoro, così ho pensato di venire qui e
andare insieme.
William mi guarda, stupito, e si alza dalla
cattedra, venendomi incontro.
- Hai fatto bene, scusami del
contrattempo. - dice, con voce leggermente distratta.
- La porta
era aperta, - mi sento in dovere di giustificarmi, mentre lui mi
spinge dentro all'aula, - hai già finito? Se no posso aspettarti
fuori...
Lui scuote la testa e mi fa cenno di sedermi.
- Hanno
dimenticato qui l'ombrello, - si rende improvvisamente conto,
setacciando l'aula con lo sguardo e trovando un grosso ombrello nero
appoggiato sul primo banco, - vado a portarglielo, poi prendo le mie
cose e andiamo.
Non è distratto, non è infastidito: è a
disagio. Vorrei chiedergli perché, ma il fatto che insegni nella
classe di mia nipote implica da parte sua una discrezione maggiore su
quello che gli succede al lavoro.
- Tutto bene? - non riesco a
evitare di chiedergli, però.
Si precipita fuori dall'aula, come
se avesse qualcuno alle calcagna, andando a sbattere contro un uomo
che invece stava entrando.
- Ho dimenticato il mio ombrello. -
sento dire da una voce che non ricordo appartenere a nessuno dei
genitori che conosco.
- Glielo stavo riportando. - dice William,
rigido, porgendoglielo.
- Grazie, Parker, e scusa per il disturbo
che ti ho causato. - La voce dell'uomo sfuma, io seduta nella sedia
accanto alla cattedra non ho una grande visuale di quello che sta
succedendo, se non William che sposta il peso da un piede all'altro,
seguendo lo sguardo curioso dell'uomo.
- Non sono solo adesso,
deve andare. - dice, duro.
- È lei?
Succede tutto al
rallentatore: io mi alzo istintivamente, sconcertata da quella
domanda, le spalle di William che si curvano in un sospiro, il viso
di quell'uomo che mi guarda. - È lei, vero? La sorella di Becca.
L'hai trovata, era nella tua classe.
L'equivalente di un pugno
nello stomaco, mentre il volto sorpreso che mi guarda, da
sconosciuto, lentamente affiora nella mia memoria: gli occhi,
azzurri, circondati da occhiaie perenni che danno un'aria più
vissuta. Così l'aveva descritto Becca, così lo ricordo dalle foto,
così lo vedo ora.
Lo sguardo colpevole di William riassume tutto
quello che mi sta bombardando la testa in questo momento, il tempo
riprende a scorrere, all'impazzata, seguendo il ritmo del mio cuore.
Mi ha tradito. E lui è venuto per portarmi via Allie.
- Come hai
potuto? - bisbiglio, pregando di riuscire a trattenere le lacrime
fino a quando sarò fuori di qua. Prendo la mia borsa in fretta,
senza più guardare né l'uno né l'altro, senza ascoltare le parole
che entrambi mi stanno dicendo. Scuse, da parte di Parker,
spiegazioni quelle del signor Stevenson, giovane professore di Becca
ai tempi del college con cui aveva avuto una breve relazione ma che
mai avrei pensato potesse essere il padre di Allie. E invece...
Mi
manca il respiro, ma devo assolutamente lasciarmeli alle spalle,
anche con una crisi di panico in arrivo.
Le loro voci mi arrivano
ovattate da un sibilo costante, gli occhi sono ormai pieni di lacrime
che trattengo caparbiamente e mi impediscono di vedere bene quello
che sto facendo, dove sto andando. Come se potessi guardarci davvero,
con le immagini del mio futuro prossimo in agguato: battaglie legali
per un diritto che giuridicamente è suo ma moralmente mio e solo
mio, in un contesto dove alla fine conterà solo il fatto che lui è
un genitore e io no. E Allie, nel frattempo? Davvero la costringerei
a un iter così? Ma d'altra parte non potrei nemmeno lasciarla andare
con uno sconosciuto senza combattere...
- Stia zitto, professor
Stevenson: ha già fatto abbastanza.
- Parker, non essere sciocco:
non ti ascolterà mai.
Entrambi mi bloccano la via per la porta,
così mi ritrovo costretta a decidere chi affrontare:
- Non gliela
lascerò. Non senza combattere, non può strappare Alanis dall'unica
famiglia che ha mai conosciuto. - la scelta ricade sul professor
Stevenson, lo minaccio perché sia chiaro che non gliela darò vinta.
William Parker non posso nemmeno guardarlo negli occhi, sapendolo
complice, sapendo che sono stata io a farlo avvicinare così tanto...
- Mi dica una cosa, però: l'ha sempre saputo? Di essere suo padre.
Oppure l'ha scoperto ultimamente?
Perché mi ricordo la domanda
che mi ha fatto sabato, a casa mia: e il padre?
Forse è stata
proprio la mia ingenuità nel fidarmi di lui a dare vita a tutto
questo, non me lo potrei mai perdonare. Quanto a lui, anche il solo
pensiero del perdono stride pesantemente con quello che
sento.
Stevenson mi mette una mano sulla spalla.
- Calmati,
Lexie.
Scanso il suo tocco, senza smettere di guardarlo. Come ha
potuto non farsi vivo fino ad ora? E perché adesso?
- Miss
Spencer, grazie. - lo correggo, tra i denti.
Le lacrime e la
disperazione hanno lasciato il passo al puro istinto di
sopravvivenza: come ho chiarito ampiamente a Parker, il fatto di aver
fatto la sua al momento del concepimento non fa di lui un padre. Lui
è solo quello a cui si è rotto il preservativo, fine della storia,
e il fatto che non sia stato con Becca dopo la dice veramente lunga
sul genere di persona che è. Dovranno passare sul mio cadavere se
pensano che gli lascerò prendere Allie.
- Miss Spencer, -
accorda, - non sono qui per prenderle Alanis.
Stringo le labbra
per sembrare impassibile, quando il solo sentire il nome di mia
nipote detto da lui è un aberrazione e mi provoca un conato di
vomito.
- Che c'è, vuole tenermi buona? Non è ancora il momento
di fare entrare in scena i legali, forse? Non ha ancora raccolto
abbastanza materiale su come potrebbe presentarmi come una pessima
tutrice?
Le lacrime ricominciano a pungermi gli occhi, pensare che
William sia coinvolto in tutto questo mi spezza ancora di più il
cuore.
- Alanis non è mia figlia, nessuno gliela porterà via. -
scuoto ossessivamente la testa e lui mi afferra le spalle, gentile ma
fermo. - Non è mia figlia, non vi ho cercate per questo. Io e
Rebecca siamo stati molto legati. La vita e alcune circostanze ci
hanno diviso, ma quando ho saputo della sua morte... mi sento in
dovere di accertarmi che voi stiate bene, per lei. E se mai avrete
bisogno di qualcosa... - lancia un'occhiata a Parker. - È per questo
che gli ho chiesto di trovarvi.
Ci ha trovate per conto di
lui. Ecco quello che è successo.
- Non ci serve il suo aiuto. -
ribatto, dura, per niente convinta a fidarmi. Poi raccolgo l'ultimo
coraggio che mi rimane e sollevo lo sguardo verso Parker. - Non mi
hai detto niente. Mi hai cercata per lui.
E se fosse stato suo
padre? E se fosse stato un disgraziato da cui mia sorella era
scappata?
Mi faccio largo in mezzo a loro con una spallata, sentendo
che sto perdendo il controllo che in quest'ultimo minuto ho tenuto
faticosamente. Corro per il corridoio cercando di vedere al di là
della patina acquosa che ha ricominciato ad annebbiarmi la vista, due
lacrime scivolano lungo le guance, lasciando due strisce
bollenti.
Dietro di me Parker non smette di parlare, inseguendomi,
ma la sua voce non riesce a raggiungermi, un po' come quando isolavo
quella di Gaby dai miei pensieri. Mi sento tradita da lui, nel
peggiore dei modi: mi ha nascosto tutto, si è approfittato della mia
fiducia.
Esco dal portone e corro verso il cancello.
-
Lexie!
Il mio nome pronunciato da lui, quel nome che si è
rifiutato così testardamente di dire e che ora pronuncia senza
esitazione. Riesco a sentirlo e mi fa male come l'ennesima bugia.
Sto
per raggiungere la strada quando scivolo su una mattonella,
trovandomi per terra e quindi raggiunta in un attimo dall'ultima
persona al mondo da cui volevo essere raggiunta.
- Ti sei fatta
male?
Scanso in malo modo il suo tentativo di aiutarmi ad
alzarmi.
- Lasciami stare. - sibilo, facendo di tutto per evitare
di incrociare il suo sguardo.
- Lexie...
Ora che è qui davanti
a me non posso lasciarlo continuare chiamarmi così, come se non
fosse successo niente.
- Smettila, smettila di chiamarmi così. -
non appena inizio a parlargli inizia una discesa e io sono su una
bici senza freni: acquisto velocità, terreno, e non c'è niente che
io possa fare per fermarmi. - Non mi hai detto niente. Tu lo sapevi,
Parker, che non era suo padre? Ne eri certo al cento per cento? - non
mi serve guardarlo per capire che, tra tutte le domande che potevo
fargli, ho scelto quella a cui non mi può dare una risposta. Mi basta
la domanda che lui ha fatto a me, settimana scorsa: aveva il dubbio
che potesse esserlo, nonostante quello che il professor Stevenson gli
aveva detto. - Hai agito alle mie spalle, tutto quello che è
successo tra noi era un modo per portarmi a lui? Per conquistare la
mia fiducia e calpestarla?
- No, non sono andate così le cose,
devi ascoltarmi. - mi dice, con l'urgenza che rivela la
consapevolezza che non lo ascolterò a lungo. - Non ti ho trovata per
lui, il professore mi aveva parlato della sorella della sua amica, ma
inizialmente non ero convinto che si trattasse di te e Alanis, a quei
tempi non ti conoscevo. Non mi sono tenuto in contatto con lui, oggi
l'ho visto per la prima volta dopo mesi e chiediglielo, se non mi
credi: non gli ho detto niente di te, di voi.
Per quanto possa
credergli, questo non basta, nulla potrà più bastare.
- Non è quello
il punto, non solo: non hai mai ritenuto che fosse il caso di
dirmelo? Con una cosa così importante in ballo? - faccio un passo
indietro, allontanandomi da lui. - Ho sbagliato a fidarmi di te, e
non potrò mai più farlo. Non appena sarà possibile chiederò che
Alanis venga trasferita in un'altra classe. Non ti posso obbligare a
non vedere tuo fratello, immagino che prima o poi ci vedremo ancora
da Pam, ma non rivolgermi più la parola. E per tutto il resto stammi
lontano.
Prima la neve aveva ricoperto la città, ammantandola
di un candore da favola, ora si è sciolta ed è solo fango
grigiastro e sporco, che non tornerà più al suo stato originario.
Nda So che non ve lo aspettavate... ho
molte cose in mente per questa storia, questo capitolo era in ballo da
un po' e per me è stato tutto tranne che una sorpresa: sapevo
esattamente dove stavo andando, al contrario di altre volte dove invece
scopro la trama mentre scrivo. Questo è una tappa
fondamentale, come se si fosse chiuso un primo ciclo. E conosco anche
le altre tappe, anche se da qui in poi scriverò più in
conteomporanea rispetto a quando pubblico, fino ad ora avevo la mia
bella rete di salvataggio pronta che mi ha permesso di non preoccuparmi
più di tanto.
William? Sono una contraddizione vivente, perché gioisco come
una mamma quando dimostrate finalmente di apprezzarlo e poi gli faccio
fare certe cose... però nessuno è perfetto, tutti fanno
degli errori, più o meno gravi. Non lo voglio martoriare, ma ho
dovuto metterlo in questa situazione.
FYI: settimana prossima è Natale, e se non lavorerò
sarò in giro a cercare gli ultimi regali o starò
preparando pranzi e cene di quei giorni, quindi farò di
tutto per postare il capitolo entro quella settimana ma è
abbastanza improbabile che lo farò esattamente di martedì
(forse avevo fatto una premessa simile settimana scorsa ma a sto giro
ci sono riuscita :-P)
Vi saluto, sperando che colpi di scena a parte il capitolo sia stato di
vostro gradimento, un ringraziamento a chi mi recensisce e a tutti che
leggete. Vi auguro di passare buone feste!
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