Week end con Martin

di Notteinfinita
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Venerdì ***
Capitolo 2: *** Sabato ***
Capitolo 3: *** Domenica ***



Capitolo 1
*** Venerdì ***


Week end con Martin


La campanella risuonò per i corridoi della Torrington annunciando agli studenti l'inizio dell'ultima lezione del venerdì.

Una fiumana umana iniziò a muoversi per i corridoi per raggiungere la classe giusta.

«Su, Martin, dobbiamo andare a storia!» protestò Diana, trascinandosi dietro un biondo recalcitrante ed immusonito.

Fingendo di non vedere la faccia da cucciolo maltrattato che esibiva, la ragazza lo portò fino a destinazione scaricandolo al suo posto sbuffando per la fatica.

Mollato l'amico Diana si sistemò al suo posto concedendosi, non vista, una risatina. Martin la faceva arrabbiare, la esasperava ma adorava quando le faceva la faccetta da cucciolo, anche se non l'avrebbe ammesso neanche sotto tortura (chi avrebbe più potuto frenare l'espansione dell'ego di quel matto se fosse venuto a saperlo?).

Il biondino fissò ancora una volta il giardino fuori dalla finestra con occhi speranzosi ma l'arrivo del professore pose fine ad ogni suo piano di fuga.

«Buongiorno ragazzi, su prendiamo i libri, oggi dobbiamo parlare della Guerra dei sette anni.» annunciò il docente, poggiando la sua valigetta sulla cattedra.

Tra uno stridio di sedie i ragazzi presero i libri rassegnandosi ad uscire da quell'aula con un forte mal di testa. Il professor Geller era famoso per le lunghe e tormentate spiegazioni in cui momenti soporiferi si alternavano ad altri in cui i poveri studenti saltavano dalle sedie a causa dei repentini innalzamenti di voce dell'uomo lasciatosi trascinare dal racconto degli avvenimenti storici.

Come previsto, a cinque minuti dalla fine della lezione, gli studenti avevano le facce stravolte e pregavano per il suono della campanella o, in alternativa, anche per una martellata in testa che mettesse fine a quel supplizio.

«Spero che vi sia tutto chiaro.» affermò l'uomo, finendo di disegnare uno dei suoi intricati schemi esplicativi. «Prima che me ne dimentichi, la riunione d'istituto che avremmo dovuto avere mercoledì prossimo è stata anticipata a domani, quindi le lezioni del sabato sono sospese.»

La testa di Martin, che fino a quel momento aveva ciondolato, nascosta dietro al libro, scattò in alto appena udite quelle parole. Niente lezioni, niente compito di matematica, due giorni di vacanza. Solo la paura di una punizione lo trattenne dal saltare in piedi sul banco mentre un largo sorriso si faceva strada sul suo volto e miriadi di progetti prendevano corpo nella sua mente.

«Allora, come sfrutterai questa insperata vacanza?» chiese, fiondandosi sul banco di Diana appena il professore ebbe lasciato l'aula.

«Non so, mia madre è ad un simposio, tornerà a casa solo lunedì.» rispose lei, meditabonda.

«Non avrai intenzione di sprecare tutto il tuo tempo studiando, vero?» la minacciò. «Io vado a trovare mio padre, vieni con me. Ci divertiremo!»

«Non saprei.» rispose, dubbiosa.

«Dai, dai, dai!» la pregò.

Il broncio da cucciolo bisognoso di affetto ebbe la meglio; un cenno del capo da parte della ragazza designò la sua resa incondizionata allo tzunami Mystere.

«Perfetto! Partenza domani mattina alle otto.» annunciò il ragazzo prima di dileguarsi per andare a preparare i bagagli.

«Ma cosa gli è preso?» chiese Jenni, avvicinandosi alla sua amica. «Sembra più pazzo del solito.»

«Niente, è solo in fibrillazione a causa dei due giorni di vacanza.» rispose Diana, pacatamente.

Ridendo le due ragazze uscirono dall'aula per raggiungere il dormitorio.

Diana era appena entrata nella sua stanza quando il suo cellulare iniziò a squillare.

Vedendo sul display il nome di Martin si affrettò a rispondere, forse il Centro aveva bisogno di loro.

«Diana ricordati di prendere i pattini, potrebbero servirci.» urlò il ragazzo, concitatamente.

Senza che la ragazza avesse il tempo di rispondere Martin chiuse la comunicazione.

Perplessa, Diana rimase qualche secondo a fissare il telefonino quindi alzò le spalle e si arrese al fatto che non sarebbe mai riuscita a capire ciò che passava per la testa di quel benedetto ragazzo.

Poggiati i libri uscì per andare alla mensa.

Dopo aver pagato il pranzo, diede un'occhiata in giro e si diresse verso il tavolo a cui era seduta Jenni.

«Posso?» chiese

«Certo!» affermò Jenni, sorridendo. «Come mai sola?»

«Martin sarà ancora alle prese con i bagagli. Va a trovare il padre nel week end.» spiegò Diana.

«E tu?»

«Andrò con lui.»

«Oh oh, viaggetto romantico?» insinuò.

«Romantico, con Martin?» ribatté Diana, ridacchiando.

«Hai ragione.» ammise Jenni, ripensando mentalmente alle cose assurde che gli aveva visto fare da quando lo conosceva. «Io vado in un centro benessere con mia madre e mia sorella, ti va di unirti a noi?»

«Un centro benessere? Bellissimo!» commentò Diana, estasiata. «Ti ringrazio ma ormai ho accettato l'invito di Martin, suo padre è quasi un secondo padre per me, mi dispiacerebbe deluderlo.»

«Peccato. Vuol dire che alla prossima occasione organizzeremo un week end di relax tra ragazze. Promesso?»

«Promesso!»


Finito il pranzo Diana tornò in camera e si dedicò ai compiti per lunedì, dubitava fortemente che in compagnia di Martin avrebbe avuto tempo per studiare.

Aperti i libri cercò di concentrarsi sullo studio anche se ogni tanto un sorriso faceva capolino sul suo viso al pensiero di passare il week end in compagnia di Martin.

Messo da parte anche il tema per letteratura, la ragazza stiracchiò le braccia e gettò uno sguardo all'orologio.

Senza che se ne fosse accorta si era già fatta ora di cena.

Presa la borsa e il giubbotto si diresse verso il fast food da poco aperto nei pressi del Campus.

Acquistato un hambuger si avviò verso il parco della scuola. Faceva freddo ma aveva proprio voglia di stare un po' all'aria aperta dopo le ore trascorse a studiare.

«Fatti i bagagli?» chiese Martin apparendo improvvisamente alle sue spalle e facendola sussultare sulla panchina su cui era seduta.

«Si.» mentì lei, sperando così di metterlo a tacere.

«Bene, allora appena finisci di mangiare passiamo in camera tua a prenderle così le carichiamo stasera e non perdiamo tempo domani.» propose, sedendolesi di fianco, in attesa.

«Impossibile, ci sono cose che mi serviranno domani mattina.» ribatté Diana, cercando di apparire naturale.

«Va bene.» capitolò Martin, mangiucchiando alcune patatine che aveva rubato alla ragazza.

«Allora a domani. Alle otto, puntuale.» la salutò il ragazzo balzando in piedi ed allontanandosi velocemente.

Accartocciato il pacchetto dell'hamburger, Diana lo lanciò dentro un cestino lì vicino quindi si alzò e si diresse a sua volta verso i dormitori, aveva dei bagagli da preparare.


Lavorare per il Centro aveva un indubbio vantaggio, t'insegnava a prendere decisioni velocemente. Così, mezz'ora dopo il suo rientro la valigia giaceva chiusa e pronta in un angolo della stanza.

Lavati i denti e indossato il pigiama Diana si mise a letto e prese il suo diario per il suo resoconto giornaliero.

Quel giorno non aveva molto da raccontare ma trovava che scrivere aiutasse a chiarire le idee.

Stava appuntando quello che aveva preso per pranzo quando le parole di Jenni le ritornarono in mente “Oh oh, viaggetto romantico!”.

Immediatamente un forte rossore le si diffuse sul volto e la portò a nascondersi sotto le coperte, quasi temendo che qualcuno potesse vederla.

Un viaggio romantico? Si, le sarebbe piaciuto ma con Martin...no, impossibile, lui era l'amico d'infanzia, il collega di lavoro...il compagno di divertimenti ma nient'altro.

Il suo pazzo, pazzo Martin a cui lei voleva un bene dell'anima.

Scrollando il capo, Diana tornò a mettersi seduta; quei pensieri non le appartenevano, erano dettati solo dalle parole dette da Jenni, non doveva pensare così.

Finito in fretta di scrivere, richiuse il suo diario, spense la luce e si raggomitolò tra le coperte. Il sonno avrebbe portato via quegli strani pensieri.

Intanto, qualche camera più in là, un elettrizzato Martin finiva di ricontrollare i suoi bagagli ballando al ritmo della musica che risuonava dal suo lettore mp3 quindi, spento tutto, si metteva a letto.

Mentre s'infilava sotto le coperte la sua mente fu attraversata dal dubbio che forse avrebbe dovuto chiamare suo padre prima di decidere di andarlo a trovare ma, sorridendo, si disse che una sorpresa era decisamente più divertente. Quindi si sistemò meglio e scivolò in un sonno popolato di tutte le attività che avrebbe voluto fare nei due giorni seguenti.



NDA:Ecco a voi il primo capitolo di quella che avrebbe dovuto essere una one-shot.

Spero di non avervi deluse, finora.

A settimana prossima per il secondo capitolo.

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Capitolo 2
*** Sabato ***


Saluti dell'autrice:Piccolo regalo di Natale, pubblico subito dopo mezzanotte anziché domani pomeriggio, spero che il secondo capitolo vi piaccia.




La sveglia trovò Martin già alzato e davanti lo specchio del bagno intento a (dis)ordinare i suoi capelli ribelli con abbondanti dosi di gel.

Raggiunto l'effetto desiderato, scosse un po' il capo per assicurarsi che la chioma non crollasse al primo movimento.

Finalmente soddisfatto del risultato, uscì dal bagno, afferrò chiavi, cellulare e bagaglio quindi, dopo aver dato un'ultima occhiata in giro lasciò la stanza dirigendosi verso la camera della sua amica.


Ferma davanti l'armadio, Diana si diede un'ultima occhiata critica. Per il viaggio aveva scelto un paio di leggings neri ed un maglione lilla con scollo a barca che esaltavano la sua figura minuta ma tonica. Ai piedi degli stivaletti dal tacco alto. I capelli legati a coda e un trucco leggero completavano il suo look.

Normalmente puntava sulla praticità ma non le andava l'idea che chi l'avesse incontrata durante il viaggio avrebbe potuto considerarla sciatta...e poi per una volta che lei e Martin andavano da qualche parte ma senza una missione affidata dal Centro da svolgere (e quindi con una relativa certezza di non ritrovarsi coperta di liquidi schifosi) aveva voglia di sentirsi un po' carina.

Un frenetico bussare la distrasse dai suoi pensieri.

«Martin, entra, è aperto!» urlò, non aveva necessità di chiedere chi fosse, quel bussare era inconfondibile.

«Pronta?» chiese il ragazzo, su di giri, aprendo la porta.

Appena entrato rimase un attimo fermo a fissarla, non era abituato a vederla vestita così.

«Allora, andiamo?» chiese Diana, sentendosi a disagio nel vedersi squadrata da capo a piedi.

Indicato il suo bagaglio, indossò il giubbotto e attese che il suo amico lo prendesse per poi uscire dalla camera e chiudere a chiave la porta.

«Non ci fermiamo a fare colazione?» chiese, vedendolo dirigersi verso il parcheggio del campus.

Martin era solito non saltare i pasti neanche in caso di catastrofe mondiale.

«Tranquilla, ci fermeremo strada facendo, devo anche fare rifornimento.» la rassicurò.

Sistemati i bagagli i due partirono. Una musica spacca-timpani si diffondeva nell'abitacolo, Martin, al volante, ballava a tempo mentre Diana gli lanciava occhiate omicida.

Dopo mezz'ora (e qualche minaccia di morte se non si fosse deciso ad abbassare il volume), i ragazzi si fermarono ad un distributore di benzina.

Mentre Martin faceva rifornimento Diana andò ad ordinare la colazione al bar.

Parcheggiata la macchina, il ragazzo andò a raggiungere la sua compagna di viaggio. Appena entrato nel locale la individuò intenta a trasportare il vassoio con la colazione ad un tavolo e, contemporaneamente, intercettò lo sguardo del barista saldamente piazzato sul di dietro della sua amica.

Scoccatagli un'occhiata raggelante, si avvicinò a Diana.

«Proprio oggi dovevi scegliere per fare la fashion victim.» mormorò, infastidito.

«Cosa?» chiese Diana, non avendo compreso il suo borbottio.

«Niente.» sorvolò lui, afferrando i suoi pancake per tapparsi la bocca e porre fine a quello strano discorso.

Finita la colazione ripresero il viaggio in silenzio.

Mentre Diana era intenta a cercare una stazione radio che incontrasse i suoi gusti, i pensieri di Martin erano fissi su quanto successo poco prima. Aveva sempre sentito il bisogno di proteggere Diana ma stavolta era stato diverso, il fastidio che aveva provato era diverso, qualcosa che gli nasceva dalle viscere, che gli aveva fatto venire voglia di pararsi davanti al barista e ringhiargli di stare alla larga da Diana.

Gettato un veloce sguardo alla ragazza, represse a stento un sospiro, possibile che fosse geloso di lei, si chiese.

Mezz'ora dopo, finalmente, qualcosa lo distrasse.

«Eccola finalmente!» esclamò, Martin, animandosi.

«Cosa?» chiese Diana, perplessa.

«La più grande fiera del fumetto di tutto il Canada!» annunciò, galvanizzato e dimentico dei dubbi di prima. «Allora perché credi che sia voluto partire così presto?»

«Mi sembrava strano, avrei dovuto immaginare che c'era qualcosa sotto.» osservò Diana scrollando il capo.

Con fare sicuro Martin guidò la jeep fino al parcheggio della manifestazione e spense il motore.

«Andiamo!» disse scendendo.

«Hai intenzione di trascinarmi li dentro?» chiese Diana, pur conoscendo bene la risposta.

Uno sguardo supplice da parte del suo amico fu tutto ciò che ottenne.

Appena attraversato l'ingresso della fiera Martin iniziò a saltare da uno stand all'altro con lo sguardo acceso di un bambino in un negozio di caramelle.

Ad un tratto si bloccò davanti ad una teca con gli occhi sbarrati e la bocca leggermente aperta.

«È lui.» sussurrò, estasiato. «Allora esiste davvero.»

«Cos'è?» domandò Diana, osservando con scarso interesse il fumetto conservato sotto vetro.

«Il tredicesimo numero di Dark Angel. C'è la prima apparizione del suo acerrimo nemico così come lo aveva originariamente immaginato il disegnatore. Poi lo hanno modificato ed hanno ristampato il volume.» spiegò Martin con sguardo fisso e imbambolato.

Diana scosse la testa divertita, era proprio un bambino.

«Ma tanto non posso comprarlo, i soldi mi servono per un nuovo skateboard, l'altro si è rotto.» disse mogio.

«Se non avessi provato a lanciarti dalle scale del dormitorio magari non si sarebbe rotto.» lo riprese Diana.

Martin non rispose, dopo un ultimo sospiro, con aria afflitta, si allontanò dalla teca per continuare il giro della fiera.

«Martin, devo allontanarmi un attimo.» disse ad un tratto Diana.

«Perché?» chiese il ragazzo, non comprendendo.

«Secondo te?» ribatté Diana, indicando con cenno le toilette. «Ci vediamo tra poco allo stand gastronomico, non so se te ne sei accorto ma è ora di pranzo.»

«Ecco perché mi sentivo debole!» esclamò Martin per poi salutare la sua amica con un cenno del capo e dirigersi verso la zona ristoro.

Quando pochi minuti dopo Diana lo raggiunse lo trovò intento a divorare un sandiwich con molto trasporto.

«Allora, ordiniamo il pranzo?» le chiese appena l'ebbe vista.

«E quello cos'è?» chiese la ragazza, indicando ciò che stava mangiando.

«Oh, questo? Solo uno spuntino.» spiegò, ridacchiando della faccia perplessa dell'amica.

«Buon Natale Martin.» disse Diana, tirando fuori un pacchetto da dietro la schiena. «...e buon compleanno, visto quanto è costato dubito che potrò farti un altro regalo.»

Martin osservò incredulo prima il sacchetto dalla forma rettangolare e sottile e dopo il viso sorridente di Diana, aveva un sospetto su cosa potesse essere ma gli sembrava incredibile.

Fremendo per l'emozione staccò uno ad uno gli adesivi che tenevano chiuso il pacchetto per godersi più a lungo il momento quindi, trattenendo il respiro, tirò fuori il contenuto.

«Dark Angel volume tredici!» disse Martin, al colmo dello stupore.

«Diana, grazie!» esclamò, stringendola tra le braccia ed iniziando a saltellare trascinandola con se.

«Ma perché lo hai fatto, è troppo costoso!» protestò il ragazzo, lasciandola andare e sorridendole grato.

Già, perché lo aveva fatto?

Solo perché era suo amico?

Perché adorava vederlo sorridere in quel modo?

Sapeva solo che quando lo aveva visto allontanarsi dalla teca con quell'aria sconsolata non aveva resistito al desiderio di renderlo felice.

«Ho visto che ci tenevi tanto.» si limitò a rispondere, cercando nel contempo di scacciare la sensazione di benessere avvertita mentre si trovava tra le sue braccia. «Ora pensiamo al pranzo.»

Per tutto il tempo Martin alternò momenti in cui fissava estasiato il fumetto ad altri in cui sorrideva a Diana, immensamente felice.

«Che facciamo, riprendiamo la strada verso casa?» chiese la ragazza, finito di mangiare.

«Non possiamo, adesso c'è il concorso di Cosplay!» la informò Martin.

«Ma tuo padre non si preoccuperà non vedendoci arrivare?» domandò la ragazza, dubbiosa.

«No, tranquilla, non sa neanche che stiamo andando da lui.» disse il ragazzo, tranquillamente.

«Non l'hai avvisato? E se avesse degli altri impegni?» sbraitò Diana su tutte le furie.

«Dai vedrai che sarà felice della sorpresa!» ribatté lui, sereno.

Sconsolata, Diana sospirò, Martin era il solito sconsiderato ma ormai non c'era nulla che potesse fare tranne sperare che la loro improvvisata non creasse problemi a Gérard.

Quando anche la premiazione del costume più bello si fu conclusa, Martin, finalmente soddisfatto annunciò che era giunto il momento di andare quindi si diresse verso il parcheggio.

«Arriveremo per ora di cena.» osservò Diana, dando uno sguardo all'orologio.

«Hai dimenticato chi c'è al volante.» affermò Martin, avviando il motore.


Due ore dopo, finalmente, i due si fermarono davanti la villetta di Gérard Mystere.

Scesa dalla jeep Diana si stiracchiò. In altre occasioni avrebbe fatto notare al suo amico che a causa della fermata alla fiera erano rimasti imbottigliati nel traffico ma stavolta decise di lasciare perdere, non le andava di litigare proprio durante quella breve vacanza.

Scaricati i bagagli, si avviarono verso la porta d'ingresso facendosi strada nella neve.

Dall'esterno non era visibile nessuna luce ed anche quelle del portico erano spente.

Un po' preoccupato, Martin infilò la chiave nella toppa ed aprì. Era chiuso a doppia mandata e l'allarme era inserito.

Entrati in casa poterono constatare che davvero non c'era nessuno.

«Possibile che mio padre sia a cena fuori?» chiese Martin, più a se stesso che a Diana.

«L'avevo detto che avresti dovuto avvisarlo del nostro arrivo!» sbottò la ragazza.

«No problem, adesso gli telefono.» rispose il ragazzo, prendendo il cellulare ed allontanandosi in direzione della cucina.


«Mio padre ha un ciclo di conferenze all'università di Yale, tornerà domani.» disse Martin tornando in salotto.

Diana non rispose nulla ma la sua scrollata di spalle equivaleva senz'ombra di dubbio ad un “te lo avevo detto”.

«Vediamo cosa possiamo prepararci per cena. Tu accendi il riscaldamento.» propose la ragazza, andando in cucina per evitare di dirgli quello che le passava per la testa.

«Allora che mi cucini di buono?» le chiese, raggiungendola poco dopo.

«Cosa cuciniamo.» lo corresse. «Spaghetti al tonno. Tagliami questa cipolla.» disse allacciandogli un grembiule in vita e mettendogli davanti un tagliere.

«Ok.» acconsentì il ragazzo, sospirando.

«E non usare l'I-cutter, taglieresti il tavolo!» intimò, prevenendo le sue intenzioni.

«Cattiva!» piagnucolò Martin a cui la cipolla aveva fatto venire le lacrime agli occhi.


«È pronto!» annunciò Diana, poco dopo, richiamando l'amico che era andato a portare le valigie nelle camere.

«Finalmente!» esclamò Martin, fiondandosi a tavola.


La cena procedette pacificamente e, una volta messi i piatti in lavastoviglie, i due si spostarono in salotto.

«Vorrei farmi una doccia.» disse Diana.

«La camera degli ospiti è a tua disposizione.» rispose il ragazzo.

«Pigiama, cioccolata e mashmallow?» propose subito dopo, mentre la ragazza saliva le scale.

«Va bene!» accettò Diana, sorridendo. Quante volte lo avevano fatto quando da piccoli uno dei due rimaneva a dormire dall'altro.


Lo scoppiettio del fuoco accolse Diana quando, poco dopo, in pigiama, raggiunse Martin in salotto.

«Preparo la cioccolata a e arrivo.» annunciò Martin, anche lui in tenuta da notte. «Sai che è una mia specialità.»

Accoccolatasi davanti al fuoco, Diana si preparò a pregustare la serata di relax.

«Arrivo!» avvisò Martin, trasportando il vassoio con tazze e dolcetti.

La visuale ingombra gli impedì di vedere il bordo del tappeto rialzato.

Come in una scena al rallentatore di un film Diana vide Martin inciampare e le tazze tremare pericolosamente.

Reagendo d'istinto, si slanciò verso il ragazzo con il risultato che il tappeto rimase intonso ma lo stesso non si poté dire del suo pigiama.

«Scotta!» urlò la ragazza mentre tentava di allontanare la stoffa dal corpo.

«Toglilo o ti ustionerai!» le urlò Martin, correndo nel frattempo in camera sua.«Torno subito.»

Seguendo il suo consiglio Diana si tolse il pigiama e si avvolse nel plaid posto sulla spalliera del divano.

«Tieni.» disse Martin, appena tornato, porgendole quello che sembrava un pigiama da uomo. «Me lo ha regalato mia zia Nora, la sorella di mio padre, non l'ho mai messo.»

Facendo attenzione a non scoprirsi, Diana prese il pigiama e andò nella camera degli ospiti.

Entrata, lo poggiò sul letto. Era bianco ghiaccio con righine verticali tono su tono. Guardandolo a Diana venne da ridere, non immaginava proprio Martin con quello addosso. La sua idea di pigiama comprendeva al massimo maglietta e pantaloncini, come testimoniava l'abbigliamento che sfoggiava quando lo aveva raggiunto al piano di sotto.

Tolto il plaid, indossò il di sopra che, essendo larghissimo, le scendeva fino a metà coscia. Rimboccate le maniche per liberare le mani, indossò anche i pantaloni ma appena li ebbe lasciati andare ricaddero alle caviglie, erano troppo grandi.

Dopo aver riflettuto un po', Diana si arrese, avrebbe messo solo il di sopra come fosse una camicia da notte. In quel momento rimpiangette di non aver portato una vestaglia.

Aveva passato tante volte la notte a casa Mystere, a volte, per missioni del Centro, avevano dormito anche nella stessa stanza ma di solito c'era stato anche Java con loro; stavolta invece avrebbero passato la notte soli in quella casa.

Piegato il plaid si decise a scendere.

Arrivata in salotto vide che Martin non era lì.

Rimesso il plaid sul divano e raccolto il suo pigiama sporco lo portò in lavanderia. Dopo averlo smacchiato, lo mise in lavatrice.

Era intenta a cercare il detersivo quando il mondo si oscurò.

«Maledizione la luce!» strepitò.

«Diana arrivo!» urlò Martin dalla cucina.

Un attimo dopo un fascio di luce la colpiva agli occhi costringendola a chiuderli.

Martin indossava gli occhiali-alpha.

«La luce è troppo forte.» protestò la ragazza.

Lui, però, non le rispose. Il fascio di luce, colpendo Diana aveva reso parzialmente trasparente il pigiama, rivelando l'intimò e confondendo non poco le idee del ragazzo.

Si poteva tranquillamente dire che non l'aveva mai vista “sotto quella luce”.

«Scusami.» disse Martin, dopo essersi riscosso. «Ti accompagno in salotto, dammi la mano.»

Giratosi di spalle diede a Diana la possibilità di aprire gli occhi e porgergli la mano.

«Vado a cercare delle candele.» annunciò, una volta giunti in salotto.

Diana si accoccolò sul divano e si coprì col plaid.

«Ho trovato solo queste due. Meglio di niente.» annunciò, sistemando il frutto della sua ricerca in un candelabro sulla mensola del camino. «Avevo preparato dell'altra cioccolata, vado a prenderla.»

«Si, però sta attento.» raccomandò Diana.

«Anche perché non avrei altri pigiami da prestarti.» ribatté Martin uscendo dal salotto.

Entrato in cucina, si diede mentalmente dello stupido. Già lui si sentiva confuso dopo averla vista in quel modo, ci mancava solo la battuta col doppio senso.

Ripreso il controllo di se, afferrò le due tazze e le portò in salotto.

«Metto i mashmallow sul fuoco?» propose, porgendo la cioccolata a Diana e spegnendo gli occhiali-alpha. «Mi dispiace per il pigiama.»

«Tranquillo, tua zia però non ha molto il senso della misura!» esclamò Diana, dondolando le maniche del pigiama rimboccate più volte.

«Non ha per niente il senso della misura. Però ti sta bene.» rispose, ridendo.

«Solo che non ho potuto mettere i pantaloni, mi cadevano.» affermò la ragazza, per poi avvicinarsi al fuoco nella speranza potesse nascondere il fatto di essere arrossita.

A quelle parole Martin gettò uno sguardo di sfuggita alle gambe di lei per poi concentrarsi nuovamente sui dolci in cottura.

«Mi sembra di essere tornati a quando eravamo piccoli e giocavamo al campeggio.» disse Diana, sistemandosi meglio sul tappeto e sorseggiando la bevanda calda.

«Se non torna in fretta la luce rimpiangeremo di non essere a quei tempi, almeno avremmo avuto i sacchi a pelo.» commentò Martin, preoccupato.

«In effetti senza elettricità il riscaldamento non funziona, questa rimarrà l'unica camera riscaldata della casa.»

«Ora che ci penso, questo è un divano letto.» disse, indicando il divano a cui avevano appoggiato le spalle. «Se non torna la luce potremmo dormire qui, almeno ci sarebbe il camino a tenerci caldi.»

«Sii positivo, magari la corrente elettrica verrà ripristinata a breve.» lo incoraggiò Diana che si sentiva piuttosto a disagio all'idea di condividere il letto con lui.


Finiti i mashmallow e le cioccolate calde, i due rimasero un po' seduti sul tappeto davanti al camino ma dell'elettricità neanche l'ombra.

«Dai, sistemiamo il letto.» propose Martin, vedendo che Diana aveva gli occhi che le si chiudevano per il sonno.

Accesi gli occhiali-alpha, Martin salì in camera del padre e, prese delle lenzuola ed un piumone, ridiscese in salotto quindi preparò il letto, aiutato da Diana.

«Preferenze sul lato?» chiese il ragazzo.

«No, è uguale.» rispose Diana, confusa e agitata.

«Allora da bravo cavaliere starò io dal lato della porta.» propose Martin, prendendo posto nel lato sinistro del letto. «Su a nanna!» esortò, vedendo Diana ancora in piedi.

«Attizzo un attimo il fuoco.» rispose la ragazza, cercando di prendere tempo.

Quando le fiamme tornarono a guizzare allegre nel camino, Diana non ebbe più scuse e si mise a letto raggomitolandosi nell'angolo esterno, il più lontano possibile da Martin.

Le lenzuola, però, erano gelate e lei non poté reprimere un brivido che non sfuggì allo sguardo del ragazzo.

«Su, vieni qui!» disse, attirandola a se per un braccio.

Ritrovatasi tra le braccia di Martin, Diana arrossì violentemente.

Stare a letto abbracciati in quel modo era qualcosa di troppo intimo, non proprio da amici.

Quando però sentì i vigorosi massaggi alle braccia e alla schiena che il ragazzo le stava facendo si rilassò.

Non c'era nulla di sensuale in quel gesto, niente di cui imbarazzarsi.

«Meglio?» chiese Martin, dopo un po'.

«Si.» rispose la ragazza, semplicemente.

Riscaldata e più rilassata, Diana si riaccoccolò sotto le coperte.

«Buonanotte Martin.»

«Buonanotte Diana.» rispose il ragazza.

Datisi le spalle i due cercarono di addormentarsi ignari che pensieri simili tormentavano le loro menti.

A causa delle missioni Diana si era spesso trovata tra le braccia di Martin per essere salvata ma stavolta era stato diverso, forse era la situazione, il letto matrimoniale ed il fuoco scoppiettante del camino a rendere diversa l'atmosfera, si era sentita turbata tra le sue braccia e, anche se il suo massaggio un po' rude l'aveva tranquillizzata, stentava ad addormentarsi.

Martin, dal canto suo, cercava di dimenticare la sensazione provata tenendo la ragazza tra le braccia. Quando l'aveva avvicinata a sé, per un attimo, aveva sentito il battito cardiaco accelerare così l'aveva massaggiata vigorosamente per cancellare quella strana emozione e ora, immobile, cercava di rilassarsi e di non pensare.

Finalmente il sonno ebbe la meglio e i due, stanchi, crollarono.



Note dell'autrice:Piaciuto? Spero di si!

E così i nostri beniamini sono soli a casa Mystere...

Appuntamento a domenica prossima (domenica 4 gennaio, per intederci) con l'ultimo capitolo dal titolo “Domenica”, appunto.

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Capitolo 3
*** Domenica ***


Angolo dell'autrice:Eccoci giunti all'atteso capitolo finale, spero vi piacerà.



Martin sentiva il braccio formicolargli fastidiosamente ma non voleva svegliarsi, il sogno che stava facendo era troppo piacevole ed eccitante. Stava baciando una ragazza, non la vedeva in volto ma sentiva la morbidezza delle sue curve sotto le mani.

Quando il formicolio si tramutò in crampo fu costretto ad abbandonare i sogni.

Gemendo frustrato aprì gli occhi e si accorse che il braccio che gli faceva male era incastrato sotto le spalle di Diana; a giudicare dalla posizione in cui si trovava avevano dormito abbracciati a cucchiaio. Per un attimo ebbe l'idea di svegliarla con una cuscinata ed iniziare il nuovo giorno con una bella battaglia, come erano soliti fare da bambini. Si stava già preparando a tirare via il braccio con uno strattone e ad afferrare il cuscino quando si bloccò. Ancora intontito dal brusco risveglio non si era accorto dell'evidente erezione che il sogno gli aveva lasciato in regalo.

Come in un film vide nella sua testa la scena di Diana che svegliandosi lo trovava in quelle condizioni e dell'imbarazzo che ne sarebbe seguito.

Con molta attenzione sfilò il braccio dalle spalle di Diana e fece dei respiri profondi per calmarsi mentre un nuovo dubbio lo assaliva; nel sogno la sensazione della pelle della ragazza era molto vivida e si chiese, con orrore se non avesse palpeggiato Diana mentre dormiva. Se lo avesse fatto lei non avrebbe potuto non accorgersene ma, in tal caso, si disse Martin, lui sarebbe stato già bello che morto. Parzialmente sollevato da questo pensiero, ma non del tutto tranquillo, sospirò e si disse che era meglio mettere un po' di distanza tra se e la ragazza, magari facendo una bella doccia fredda.

Non si era ancora alzato che con un mugolio Diana si girò verso di lui e si svegliò.

«Buongiorno.» disse con voce assonnata.

«Buongiorno a te. Dormito bene?» chiese Martin, un po' teso.

«Magnificamente!» esclamò Diana, sorridendogli ma omettendo che a metterla di buon umore era stato un sogno in cui era tra le braccia calde e forti di un ragazzo, anche se non era riuscita a capire chi fosse.

Stiracchiandosi la ragazza buttò via le coperte e si alzò mentre Martin distoglieva lo sguardo, un bottone del pigiama si era slacciato e lasciava intravvedere il reggiseno bianco di pizzo.

«Risistemiamo il divano?» chiese la ragazza.

«Ci penso io, tu vatti a preparare così usciamo.» rispose il ragazzo, nel tentativo di allontanarla.

«Ok.» rispose lei, semplicemente, stupita da tanta galanteria.

«Ma la luce?» chiese, avvicinandosi all'interruttore ed accendendo la luce del salotto. «Perfetto, corro a cambiarmi.»

Quando la ragazza fu sparita dietro la porta della stanza, Martin si alzò e iniziò a disfare il letto. Aveva appena finito di ripiegare il piumone quando lo sguardo gli cadde sul fumetto che Diana gli aveva comprato il giorno prima.

Lei era stata davvero dolce ma lui non aveva fatto nulla per ripagarla, doveva rimediare.

In cerca di un'idea andò nello studio del padre, accese il computer e iniziò a navigare su internet.

Pochi minuti dopo, sorridente, ritornava in salotto per riprendere il suo lavoro ma il rumore della chiave nella toppa attirò la sua attenzione. Aperta la porta, Gérard Mystere faceva il suo ingresso in casa.

«Papà!» esclamò Martin, andandogli incontro.

«Figliolo!» rispose l'uomo, sorridendo.

«Gérard!» urlò Diana, scendendo le scale velocemente ed abbracciandolo.

«Sempre più carina.» commentò il padre di Martin, con cenni d'approvazione, facendola arrossire.

«Che ne dite di fare colazione?» aggiunse poi, affacciandosi dal portone e portando dentro un sacchetto, un vassoio da asporto con tre bicchieri e la propria valigia.

«Ma come facevi a sapere che eravamo qui?» chiese Martin, perplesso.

«La tua chiamata mi è sembrata strana così ho controllato l'allarme di casa tramite il cellulare ed ho visto che era stato disattivato, a quel punto ho capito che eravate qui.» spiegò l'uomo, con semplicità.

«Diana ti dispiace portare la colazione in cucina mentre io porto la valigia in camera?»

«Certo.»

«Martin aiuta il tuo stanco padre e porta la valigia.» disse ancora, dandogli uno scappellotto scherzoso.

Con un sorriso la ragazza andò in cucina mentre i due Mystere salivano al piano superiore.

«C'è qualcosa che dovrei sapere?» chiese il padre appena furono entrati nella camera padronale.

«Che intendi?»

«Voi due soli qui, di notte ed in un letto matrimoniale. Non siete più bambini.» spiegò l'uomo, serio.

A quelle insinuazioni e ricordando l'accaduto al risveglio, Martin si sentì arrossire.

Se doveva essere sincero una parte di lui aveva sicuramente intenzioni poco caste ma era certamente solo colpa del sogno, si disse.

«Papà, ma cosa vai a pensare!» esclamò, imbarazzato. «Abbiamo dormito in salotto solo perché c'è stato un black-out quindi i riscaldamenti non funzionavano.» spiegò, scocciato.

«Va bene. Ti credo.» affermò. «Sai com'è, volevo evitare che Viviane mi piombasse in casa per chiedere spiegazioni!» aggiunse, ridendo e cercando di sdrammatizzare.

Martin si limitò a scrollare le spalle e avviarsi verso le scale.

Entrati in cucina videro la tavola apparecchiata e, in perfetta sincronia, si fiondarono sulla colazione sotto lo sguardo divertito di Diana, quei due erano molto più simili di quanto credessero.

«Allora ragazzi, che progetti avete per oggi?»

«Volevamo andare al lago a pattinare e poi dovevo andare a ritirare il mio skate.» rispose Martin.

«Ma, visto che sei a casa, potremmo passare la giornata insieme.» propose Diana, lanciando all'amico un'occhiata di rimprovero.

«Purtroppo ho alcune relazioni da completare per domani, mi porteranno via tutta la giornata. Ma potrei portarvi a pranzo da Matthew, che ne dite?» disse l'uomo.

«Sarebbe fantastico!» rispose la ragazza, sorridendo.

«Se avessi saputo del vostro arrivo mi sarei portato dietro il materiale così da lavorare in albergo tra una conferenza e l'altra. Mi dispiace!»

A queste parole Diana trucidò Martin con lo sguardo.

«Scusami, papà, avrei dovuto avvisarti, solo che volevo farti una sorpresa.» disse il ragazzo, grattandosi la testa.

«Dai, mi fa piacere vedervi, anche se per poco.» rispose il padre, dandogli una pacca affettuosa sulla spalla. «Restate anche per cena?»

«Purtroppo è impossibile, lunedì riprendono le lezioni.» spiegò Diana, rammaricata.

Finita la colazione, il signor Mystere salutò i ragazzi e si chiuse nello studio a lavorare mentre Martin e Diana disfacevano il letto e richiudevano il divano.

«Ok, vado a vestirmi così usciamo.» disse il ragazzo.

L'amica fece un cenno di assenso col capo e, nell'attesa, andò ad avviare la lavatrice così da poter finalmente lavare il suo pigiama sporco di cioccolata.

Qualche minuto dopo Martin scivolava sul corrimano della scala chiamando la ragazza a gran voce.

«Tranquillo, sono pronta, arrivo!» urlò Diana, dal piano di sopra dove era salita ad ultimare i preparativi per uscire.

Saliti in macchina, partirono in direzione dei negozio di skate.

«Farò in fretta.» disse Martin prima di scendere.

Entrato in negozio e ritirato lo skateboard, tornò in macchina con un sorriso enorme e stringendolo a sé quasi fosse un figlio.

«È bellissimo, non credi?» chiese, mostrandolo a Diana che, vedendo il disegno raffigurante vari mostri, si limitò a sorridere, condiscendete.

Ultimato l'acquisto, ripartirono in direzione del lago.

Arrivati a destinazione, Diana lanciò un urletto estatico osservando ciò che aveva davanti. Il lago era completamente ghiacciato e splendente, gli alberi che lo circondavano brillavano grazie alla neve che si era depositata sui rami spogli mentre poco più di una decina di persone, in coppia o in gruppi, era intenta a pattinare.

Sembrava un paesaggio da depliant turistico e la ragazza era davvero felice di aver deciso di accettare l'invito del suo amico.

Scesi dalla jeep, si avvicinarono alla riva e sostituirono le scarpe con i pattini. Dopo un barcollamento iniziale, i due iniziarono a pattinare affiancati con Martin che la distanziava di alcuni metri per poi tornare da lei.

Voltandosi indietro per tornare dalla sua amica, il ragazzo si fermò un attimo a fissarla. Doveva ammettere che era davvero carina con il vestito bianco in maglia e i leggings scuri, il cappellino candido in testa e le guance accese dal movimento e dal freddo.

Riscossosi dai suoi pensieri si diede una spinta per raggiungerla. Era a meno di un metro quando un bambino tagliò la strada a Diana facendola inciampare e cadere. Trattenendo una risata nel vedere la faccia buffa della ragazza, Martin la raggiunse e le porse la mano per aiutarla a rialzarsi. Purtroppo la sua presa sul ghiaccio non era così salda come pensava e così, appena Diana fece leva sul suo braccio, si sentì attirare al suolo. Per evitare di finirle addosso si slanciò di lato colpendo duramente il ghiaccio.

Preoccupata, Diana gli si avvicinò camminando sulle ginocchia.

«Tutto bene?»

«Non basta così poco per spezzarmi!» rispose Martin, facendole l'occhiolino.

«Che carini! Vorrei che anch'io e Mark formassimo una coppia così affiatata.» cinguettò una ragazzina mentre stava passando di fianco a loro insieme a due amiche che non mancarono di lanciare un'occhiata sognante in direzione della presunta scena romantica.

Sentendola, i due si guardarono in faccia arrossendo per poi distogliere lo sguardo.

Cercando di non dare peso alle parole udite, i due ripresero a pattinare, a giocare ad inseguirsi finché, stremati, non si lasciarono andare su una delle panchine che fiancheggiavano le rive del lago.

«Cioccolata calda?» chiese Martin, riprendendo fiato.

«Non rischiamo di arrivare tardi per il pranzo?»

«No, tranquilla.» la rassicurò il ragazzo.

Reindossate le scarpe, decisero di raggiungere a piedi il bar che distava poco lontano.

Ordinate le cioccolate presero posto in uno dei tavoli liberi all'esterno; nonostante fosse inverno, il sole era caldo e faceva piacere godere dei suoi raggi.

Mentre sorseggiava la sua bevanda, Diana diede un'occhiata al suo amico chiedendosi se davvero dall'esterno potevano sembrare una coppia poi il ragazzo abbassò la tazza rivelando un bel paio di baffi color cioccolato e, con una risata, scacciò quei pensieri bizzarri.

«Direi che è meglio andare.» affermò la ragazza, poco dopo.

«Ma non è ancora tardi.»

«Si, ma prima di andare al ristorante devo cambiarmi.»

«Perché? Stai bene vestita così.» chiese Martin, perplesso.

Quell'inaspettato complimenti fece arrossire Diana che abbassò lo sguardo, a disagio.

«Cadendo sul ghiaccio mi sono bagnata.» spiegò, appena recuperata la parola.

«In effetti anch'io.» affermò, portando una mano al dietro dei suoi jeans.

Ridacchiando, Diana si alzò dal tavolo ed insieme si diressero verso la macchina.

Arrivati a casa, i due si fiondarono nelle rispettive stanze.

I preparativi di Martin consistettero nell'infilare un altro paio di pantaloni e nel appallottolare e mettere in valigia quelli bagnati. Una volta pronto, decise di raggiungere il padre nello studio.

«Hey papà, pronto per il pranzo?» chiese, entrando.

«Un attimo e arrivo.» rispose l'uomo, continuando a battere sul computer. «Ho già prenotato il tavolo.»

Lasciato il padre a finire il suo lavoro, Martin tornò in salotto e si mise comodo sul divano. Si era quasi appisolato quando un rumore di tacchi sulle scale attirò la sua attenzione.

Diana stava scendendo le scale. I capelli, imbizzarriti dalla mattinata passata all'aperto erano stati disciplinati in una treccia laterale. Una gonnellina di jeans con sotto delle calze spesse metteva in evidenza le sue gambe snelle mentre il maglione con scollo asimmetrico lasciava scoperta la spalla sinistra. Il look era completato da dei tronchetti col tacco, una borsetta di maglia ed un giubbino sportivo che portava piegato su un braccio.

Il ragazzo rimase a fissarla finché non arrivò alla base delle scale quindi distolse lo sguardo, confuso. Aveva sempre pensato che fosse una bella ragazza, anche se la prendeva spesso in giro per farla arrabbiare, ma ultimamente la sua vicinanza aveva la capacità di mandarlo nel pallone.

Diana aveva notato che Martin aveva abbassato lo sguardo e si chiese perché apparisse così stranito.

«Pronti per il pranzo?» chiese in quel momento il signor Mystere, uscendo dallo studio e ponendo fine alle loro elucubrazioni.

Durante il tragitto verso il ristorante fu sopratutto Gérard a tenere desta la conversazione. Diana aveva ricevuto una chiamata dalla madre e Martin aveva troppi pensieri in testa per chiacchierare.

Arrivati al locale, visto che Diana era ancora al telefono, i due decisero di iniziare ad entrare.

Varcata la soglia, Matthew, il proprietario, venne loro incontro, sorridente come sempre.

Era un uomo sulla settantina, coi capelli brizzolati e la classica pancetta di chi è una buona forchetta.

Aveva aperto il ristorante trent'anni addietro e sia i Mystere che i Lombard erano dei clienti abituali.

«Benvenuto!» li salutò allegramente. «Martin, quanto ti sei fatto grande!»

«Salve Matthew.» risposero i due Mystere.

«Gérard, ti sentirai vecchio ad avere un figlio che è ormai un uomo.» affermò, battendo una pacca sulla spalla di Martin.

«Non esagerare, ha solo sedici anni.» precisò l'uomo.

«Intanto il sedicenne si è fatto la fidanzata.» ribatté l'uomo accennando col capo alla ragazza che stava entrando in quel momento. «A proposito, complimenti, davvero una bella ragazza!» esclamò, rafforzando il pensiero con una nuova pacca sulla spalla e guadagnandosi un'occhiataccia da parte del ragazzo.

«Matthew, ciao!» salutò Diana, entrando.

«Diana, ragazza mia!» disse l'uomo, avvicinandosi a lei e abbracciandola. «Anche tu sei cresciuta parecchio. Pensa che non ti avevo riconosciuta, ho pensato fossi la ragazza di Martin.» confessò l'uomo, ridendo.

Diana e Martin si scambiarono un'occhiata, a disagio.

«Voi però siete qui per il pranzo, non per le farneticazioni di un pazzo.» affermò ancora l'uomo. «Oliver accompagna i signori al tavolo.» disse, affidandoli ad uno dei camerieri.

Arrivati al tavolo e presa l'ordinazione i tre si ritrovarono finalmente da soli.

«Allora, come vanno le cose al Centro?» chiese Gérard.

«Bene!» rispose Martin, entusiasta.

«Oh,si se non contiamo i mostri sempre più spaventosi e repellenti.» ribatté Diana, facendo una smorfia schifata.

«Tranquilla, ci sono io a proteggerti.» la rassicurò Martin.

«Lo so.» rispose semplicemente Diana, con tono dolce e affettuoso, sorridendogli e guardandolo negli occhi.

Il resto del pranzo trascorse tra risate, chiacchiere e aggiornamenti reciproci sulle novità.

Salutato Matthew, dopo avergli assicurato di tornare a trovarlo durante le prossime vacanze, i tre uscirono dal ristorante.

Mentre si dirigevano alla macchina Gérard rallentò il passo e trattenne Martin.

«Ho visto come ti ha guardato prima. Hai detto che siete solo amici e che non è successo nulla; io ti credo ma ho l'impressione che Diana ti consideri più di un amico. Se tieni a lei stai attento a come ti comporti, rischi di ferirla, anche se involontariamente.» gli sussurrò il padre.

Martin avrebbe voluto ribattere qualcosa ma avevano ormai raggiunto Diana e dovette tenere per se i suoi pensieri.

Seduto in macchina non poté fare a meno di ripensare alle parole del padre. Si sentiva fortemente legato a lei, aveva sempre pensato che si trattasse di sentimenti amichevoli ma se da parte sua non fosse stato così cosa avrebbe fatto? Come si sarebbe sentito?

La verità è che non lo sapeva. Si sentiva confuso. Le voleva bene, voleva proteggerla e lo infastidiva quando un ragazzo faceva il cascamorto con lei ma questo era un comportamento da amico o no?

Più ci pensava più non riusciva a darsi una risposta.

Con fare stizzito, si scompigliò i capelli imprecando mentalmente contro suo padre, i suoi discorsi e i dubbi che era riuscito ad istillargli.

Il gesto, però, non passò inosservato e lui si guadagnò un'occhiata perplessa da parte dei suoi due compagni di viaggio.

«Martin, tutto bene?» chiese Diana.

«Si, si.» rispose lui sulle spine.

Anche se non convinta, si limitò ad un'alzata di spalle. Ci sarebbe stato tutto il viaggio di ritorno per parlare e magari non gli andava di farlo davanti a suo padre.


«Diana tu cosa devi ancora fare prima di partire?» chiese Martin, fiondandosi fuori dalla macchina appena arrivati a casa, tenere la mente occupata era il modo migliore per non indulgere in pensieri pericolosi.

«Tutto pronto. Devo solo prendere la valigia.» affermò Diana, seguendolo. «Oh, no! Ho dimenticato il pigiama in lavatrice!» esclamò subito dopo, in panico.

«Tranquilla, ci ho pensato io a metterlo in asciugatrice mentre voi eravate a pattinare.» la rassicurò il signor Mystere, sorpassandoli e andando ad aprire la porta di casa.

Entrati, i due andarono a recuperare i bagagli e si riunirono all'ingresso.

«Allora è già arrivato il momento di salutarsi.» affermò Gérard.

«E si.» rispose Diana, un po' triste.

«Ma a breve ci saranno le vacanze di Natale e allora ci avrai tra i piedi per un bel po'.» disse Martin.

«Povero me!» esclamò il padre, ridendo.

Dopo i saluti e le raccomandazioni di rito sulla guida prudente i due montarono in macchina e ripartirono.

«Martin, davanti a tuo padre non ho voluto dire nulla ma potresti dirmi perché sei voluto andare via così presto?»

«Prima di tornare alla Torrington devo passare in un posto.» rispose lui, succintamente.

Con un sospiro Diana si mise più comoda sul sedile, la sola idea di passare altre ore insieme a pazzi invasati fissati con i fumetti la deprimeva. Era buona e tollerante ma a tutto c'era un limite!

Quando Martin, ad un certo punto, mise la freccia ed abbandonò la superstrada Diana si sporse verso il finestrino nel tentativo d'individuare la loro meta ma in vista non c'era nulla che ricordasse una fiera del fumetto o un luna park con simulazioni 3D.

Dei vessilli che garrivano allegri in lontananza attirarono la sua attenzione; sospirò, chiedendosi cosa fossero e se magari segnalassero qualcosa di più divertente di quello a cui erano diretti.

Pian piano li vide avvicinarsi e la sua curiosità crebbe di pari passo. Quando poi si fermarono in un parcheggio proprio lì vicino Diana volse lo sguardo su Martin, perplessa.

«Sorpresa!» esclamò lui, sorridente. «È una fiera rinascimentale, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere visitarla.»

Incredula, spostò lo sguardo dal ragazzo ai padiglioni colorati che si intravvedevano oltre l'ingresso dello stabilimento.

«Grazie Martin!» disse, felice, buttandogli le braccia al collo e schioccandogli un bacio sulla guancia per poi staccarsi repentinamente da lui, imbarazzata da ciò che aveva fatto.

«Forse sarebbe meglio andare.» propose lui, improvvisamente accaldato.

Senza farselo ripetere due volte, Diana scese dall'auto correndo in direzione della fiera.

Per le successive due ore non fece altro che girare da un padiglione all'altro gettando gridolini estatici ed indicando tutto ciò che di curioso o interessante le capitava sotto gli occhi mentre Martin la seguiva, divertito.

«Dobbiamo farci una foto in costume!» annunciò poco dopo, vedendo un piccolo banco di posa.

Afferratolo per un braccio lo trascinò dentro.

Pochi minuti dopo i due si ritrovarono l'uno di fronte all'altra in costumi rinascimentali.

Vedendolo armeggiare con la calzamaglia, Diana non poté trattenere una risata divertita.

«Sistematevi davanti a quello sfondo.» disse il fotografo indicando un pannello raffigurante un bosco.

I ragazzi fecero come gli veniva detto sistemandosi affiancati.

«Su assumete una posa più rinascimentale, falle il baciamano.» consigliò l'uomo.

Martin fece come gli veniva detto, inginocchiandosi e portandosi la mano di Diana alle labbra mentre lei lo guardava con una luce divertita negli occhi.

Quando però il ragazzo la sfiorò davvero con un bacio lei non riuscì a reprimere un brivido.

Il suo sguardo non era scherzoso ma serio e pensieroso, questo la turbò.

«Fatto!» annunciò il fotografo, facendoli sussultare e distaccarsi di botto. «Potete cambiarvi negli spogliatoi, lasciate pure lì i costumi. Troverete la foto alla cassa.»

Dopo averli salutati l'uomo andò ad accogliere una nuova coppia di clienti mentre i ragazzi andavano a cambiarsi.

Ritornati in abiti moderni, i due andarono alla casa.

«Siete una splendida coppia!» esclamò la brunetta alla cassa, osservando compiaciuta la foto dei due.

«No, cioè noi...» cercò di spiegare Diana, impappinandosi.

«Quanto le dobbiamo?» tagliò corto Martin, cercando di nascondere il suo imbarazzo.

Pagata la foto, ripresero a girare la fiera.

«Che ne dici di un bicchiere di sidro?» propose Martin, indicando lo stand poco lontano dalla panchina su cui si erano appena seduti.

«Perché no!» rispose Diana.

«Aspettami qui.»

Guardandolo allontanarsi, Diana gettò un'occhiata alla foto e sorrise. Si sentiva felice, sapeva che Martin non amava quel genere di manifestazioni ed il fatto che stesse passando il pomeriggio lì con lei, che addirittura l'avesse cercata per farle una sorpresa le scaldava il cuore.

«È il tuo ragazzo?» chiese qualcuno alle sue spalle facendola sussultare.

Girato il capo, vide un ragazzo vestito da cavaliere dai capelli castani ondulati e con seducenti occhi azzurri che la fissava appoggiato alla spalliera della panchina.

«Ti prego, dimmi di no, mi spezzeresti il cuore.» continuò, sorridendole.

Diana arrossì ed abbassò lo sguardo, a disagio.

«No, noi siamo solo amici.» bisbigliò, mentre in lei si dibatteva il piacere per l'attenzione ricevuta e la tristezza per aver dovuto rispondere no.

Prese le bibite Martin fece ritorno alla panchina. Vedendo quel ragazzo sorridente vicino a Diana sentì la rabbia montare, involontariamente serrò le mani attorno ai bicchieri e accelerò il passo.

«Problemi?» chiese, quasi ringhiando.

Diana volse lo sguardo dall'uno all'altro non riuscendo a pronunciare altro che un fievole balbettio imbarazzato.

«Tranquillo, stavo andando via.» rispose il ragazzo, ghignando. «Un po' troppo geloso per essere solo un amico.» sussurrò all'orecchio di Diana per poi salutare con un cenno del capo e andare via.

«Ti stava importunando?» le chiese, porgendole uno dei bicchieri.

«No. Andiamo.» rispose Diana, nervosamente, alzandosi in piedi.

«Vuoi continuare a girare per la fiera?»

«No, voglio andare via.» spiegò, dirigendosi verso l'uscita.

«Diana, che succede?» le chiese, andandole dietro.

Non ricevendo risposta non gli rimase altro da fare che seguirla.

Arrivata in macchina Diana volse lo sguardo fuori dal finestrino decisa a ignorare il suo compagno di viaggio.

Era arrabbiata, innanzitutto con se stessa per essersi lasciata prendere dall'ira e poi con Martin che era la causa di tutto. Saltava su appena qualcuno entrava nel suo territorio, ringhiava contro chi le si avvicinava ma non faceva nulla di più, non dimostrava di tenere a lei più di un amico. Non vedeva in lei più di un'amica.

Sentendo gli occhi farlesi lucidi si morse il labbra, non voleva che lui la vedesse.

Seduto alla guida Martin le lanciava occhiate furtive chiedendosi perché avesse reagito in quel modo.

Si chiese se non si fosse arrabbiata perché aveva interrotto il suo colloquio con il “cavaliere”; istintivamente serrò le mani intorno al volante, non tollerava quell'idea.

Subito dopo, però, il senso di colpa prese il sopravvento. L'aveva portata a quella fiera per farle una bella sorpresa ed invece aveva rovinato tutto, anche se involontariamente.

L'intero tragitto fino alla scuola avvenne nel più totale silenzio. Appena Martin ebbe parcheggiato l'auto Diana si catapultò letteralmente fuori e aprì il cofano per recuperare la sua valigia.

«Lascia, è pesante, la porto io.» disse Martin, sottraendole il bagaglio.

Per evitare discussioni, Diana lasciò la presa e si diresse a passo di marcia verso il suo dormitorio.

Arrivati in camera, Martin poggiò la valigia e la osservò a disagio, lei, dopo aver poggiato la borsa sulla scrivania continuò a dargli le spalle.

«Diana, mi dispiace, non volevo rovinarti il pomeriggio.» disse avvicinandosi a lei. «Però vorrei almeno capire perché ti sei arrabbiata così tanto.»

«Perché, perché?» attaccò Diana, incapace di tenere ancora a freno i nervi. «Perché fai sempre così, ringhi a chiunque mi si avvicini ma di me in realtà non ti importa nulla!»

«Non è vero!»

«Bugiardo!»

Martin conosceva bene quello sguardo, Diana stava per partire in quarta e sapeva che se lo avesse fatto non gli avrebbe più dato ascolto. Doveva impedirglielo, a qualunque costo.

Afferratala per le spalle l'attirò a se per poi tapparle la bocca con le proprie labbra.

Fu un bacio a stampo, veloce ma bastò a scioccarla al punto da farla tacere.

«Di te m'importa e molto.» confessò Martin, serio.

«Tu, tu mi hai baciato.» disse Diana, confusa.

«Si, e se sapevo che bastava questo per farti stare zitta lo avrei fatto prima.» affermò Martin, sornione.

«Brutto imbroglione approfittatore!» urlò Diana, cercando di fargli il solletico.

Nel tentativo di bloccarla, Martin la strinse tra le braccia ma, nonostante questo, lei continuava a muoversi come un'indemoniata.

Impossibilitata ad usare le mani, Diana decise di ricorrere ai piedi, avvolta una gamba a quella di lui riuscì a fargli lo sgambetto. Ciò che non aveva calcolato era che lui non avrebbe mollato la presa con il risultato di trovarsi sdraiata sul letto con Martin spalmato addosso.

Ridendo, Martin si alzò rimanendo a cavalcioni su di lei.

«Dai, lasciami andare.» pregò

«Scherzi? Devo ancora vendicarmi del solletico.»

Proprio in quel momento la porta si aprì e Jenni fece irruzione nella stanza.

Vista la scena che le si parava davanti gli occhi arrossì e fece dietrofront.

«Scusate, non volevo disturbarvi!» urlò, dopo essersi richiusa la porta alle spalle.

«Oh, no!» esclamò Diana, portandosi le mani al volto in fiamme per l'imbarazzo.

«Dai, che importa, tanto prima o poi sarebbe venuta a saperlo.» ribatté Martin, afferrandole entrambe le mani e bloccandogliele sulla testa.

«Che cosa?» chiese Diana, con aria falsamente ingenua.

«Che ormai sono uscito da mercato.» rispose Martin, sorridendole per poi sdraiarsi su di lei e riprendere a baciarla con passione.

Ben presto le mani del ragazzo abbandonarono quelle di lei per sfiorare le sue braccia, i fianchi, le gambe in una carezza che si faceva via via più passionale.

«Martin.» gemette, mentre le labbra di lui si spostavano sul suo collo provocandole mille brividi lungo la schiena.

«Martin!» urlò poco dopo, sentendo le sue mani che cercavano d'intrufolarsi sotto la sua gonna, e allontanandolo da se.

«Cosa?» chiese lui, ancora stordito dalla sua vicinanza.

«Non pensi sia il caso di fermarci?»

«Perché?»

«Bé, insomma, c'è tempo.» spiegò Diana, arrossendo.

«Hai ragione.» rispose Martin, con un sospiro, sdraiandosi di fianco a lei. «Allora però forse è meglio che vada a fare una bella doccia fredda.» affermò, facendole andare il volto in fiamme.

«A dopo.» le disse, dandole un bacio a fior di labbra e lasciandola sdraiata ed ancora in preda al batticuore.

Uscendo dalla stanza Martin sospirò, fermarsi gli era costato molto, il profumo della pelle di Diana lo faceva impazzire. Dopo un attimo, però, sorrise ora stavano insieme e le occasioni per stare vicini non sarebbero mancate.



NDA:Questa mini-long è giunta alla fine ma ho una piccola sorpresa per voi. Tenete d'occhio la mia pagina perché nel corso della prossima settimana pubblicherò Friendzone la mia prima OS a rating rosso sui nostri piccioncini.



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