Together we can win Space, Time and Death

di Bored94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Nota/Spiegazione/Nozioni fondamentali (scusate ma è necessario):

Questa... cosa, è nata più che altro perché sono tendenzialmente una persona che si annoia con poco e diciamo che potrebbe essere nata una minuscola guerra tra me e alcune brutte persone che non nomino (nah, scherzo).

Il vero problema è l'universo esteso di Doctor Who. Un persona malvagia ha introdotto me e altre disagiate in questo universo e, nonostante la nostra conoscenza estremamente limitata, abbiamo iniziato a sfornare headcanon.

Questa è una della conseguenze.

Alcune precisazioni prima di cominciare: ho fatto iniziare la storia dal primo incontro tra il Dottore e il Maestro (pezzo preso liberamente in prestito da un'amica con il suo permesso che ora mi sta ricoprendo di insulti perché ha già letto la storia per intero) e arriverà fino a... beh, lo vedrete.

Tutti i personaggi che verranno nominati sono presenti in libri, audio e episodi, leggendo avrete modo di conoscerli tutti quanti.

Prima di iniziare:

- Lungbarrow è la casa di appartenenza del Dottore, Oakdown è la casa di appartenenza del Maestro. I Lungbarrow sono Oldblood e gli Oakdown Newblood, la differenza consiste essenzialmente nel fatto che i Newblood, oltre a essere stati creati dopo (sì, creati), possono controllare le rigenerazioni, mentre gli Oldblood no, inoltre gli Oldblood hanno inizialmente un cuore solo, differenza che scompare con la prima rigenerazione.

- Il Dottore era granché con la telepatia da bambino.
- I Gallifreyani: secondo i libri (e no, non ho intenzione di prendere in considerazione il film del '96 dove dicono diversamente), i gallifreyani possiedono un corpo antropomorfo perché esso è stato creato sinteticamente (immaginatevi delle menti fluttuanti senza corpo), a causa di una maledizione o a un difetto di progettazione, le spiegazioni divergono, (non sono solo i cuori a essere doppi, molti degli organi interni lo sono) sono diventati sterili e quindi la loro riproduzione avviene tramite dei telai genetici che creano nuovi corpi nei quali vengono inserite parti di mente di Gallifreyani morti e mescolate per creare una nuova personalità (le menti di tutti i morti finiscono nella Matrice, una specie di database).

- La loro specie è caratterizzata da una mente alveare, riguardo questo punto non ci sono spiegazioni chiare, credo si intenda che questa rete telepatica permetta loro di essere sempre in contatto, permette loro di riconoscersi senza dover fare affidamento sull'aspetto esteriore e sono in grado di percepire la emozioni molto forti (tipo un forte shock, odio, …). Inoltre sono “touch telepath”: attraverso il contatto fisico sono in grado di comunicare telepaticamente nel vero senso della parola (per questo mi disturba il fatto che il Dottore non abbia riconosciuto Missy... ha detto di essere il Maestro, era il tuo migliore amico, come fai a non riconoscerlo se ti ficca la lingua in gola quando la prima volta che vi siete rivisti nel NewWho, appena è tornato a essere un Signore del Tempo, lo hai riconosciuto prima ancora che aprisse bocca? Ma non apriamo un dibattito).

- I Tamburi: nel classic il Maestro non li sente, in End of Time scopriamo che Rassilon glieli ha messi in testa durante la guerra del Tempo: è tornato indietro a quando lui era bambino e glieli ha regalati, un piccolo omaggio (morisse male). In questo modo dovrebbe essersi creata una Timeline alternativa in cui li ha sempre sentiti in teoria... beh, capite quale sia il problema, no?

...credo che per ora le spiegazioni siano sufficienti, buona lettura (tutte le informazioni sono reperibili su Tardiswikia e a questo link https://docs.google.com/document/d/1wSQFPFXwETuD9iC10H60VwuWNE2jUo_lbaZ2Imf7cvU/edit?pli=1 un croce: canon, due croci: speculazioni. Per coloro che dovessero avere già conoscenze dell'UE: in alcuni punti mi sono discostata per esigenze di trama).







 

TOGETHER WE CAN WIN SPACE, TIME AND DEATH

 

Thinking of the times
How we laughed and cried
I wouldn't change a thing
I couldn't even if I tried
Through the wind and rain
The spirit of our song remains the same

 

Non gli piaceva la casa dei Lungbarrow. Non gli piacevano i cugini e la mentalità. Odiava doversi comportare sempre come una bravo soldatino, ligio al dovere, zelante e obbediente.

Lui non voleva andare all'Accademia, né arruolarsi. Lui voleva esplorare l'universo, vedere mondi nuovi, viaggiare. Non credeva nella supremazia dei Signori del Tempo.

Per questo spesso scappava a correre nei prati vicini alla Casa, per stare da solo, lontano dai cugini, che oltretutto non perdevano occasione per prenderlo in giro perché meno dotato di loro nella telepatia e perché, di notte, piangeva perché aveva paura del buio.

Si sedette sull'erba, godendo della visione del panorama.
Fu allora che notò qualcuno all'orizzonte. Sembrava un bambino come lui e correva, sembrava venire dalla Casa degli Oakdown poco distante. Lo osservò per un po', curioso, e quando lo vide buttarsi a sedere poco lontano da lui, il fiato corto per la corsa, lo guardò meglio: aveva i capelli neri corti con la frangetta, ora tutti spettinati, e grandi occhi blu.

- Tutto bene? - la domanda gli uscì spontanea e l'altro alzò di scatto la testa, guardandolo. Era stupito, chiaramente non l'aveva visto e non si aspettava di trovare nessuno lì.
- Sì. Grazie. - fece una pausa, senza smettere di guardarlo con stupore. - Tu chi sei?
- Mi chiamo Dottore, sono della Casa Lungbarrow. - gli porse la mano per stringergliela, ma l'altro la osservò con apprensione.
- Dottore? - chiese l'altro perplesso senza però avvicinarsi.
L'altro fece un sorriso imbarazzato. - È il nome che mi sono scelto... i miei cugini mi chiamano Lumaca. - spiegò facendo una smorfia.
- Oh. Io sono Koschei, Casa Oakdown. - spiegò, evitando di stringergli la mano, e il Dottore aggrottò le sopracciglia.
- D'accordo, Koschei... - fece una pausa, poi decise di rischiare e sorrise. - Non ti mangio, sai?
Koschei accennò un sorriso, per poi scuotere la testa. - No, lo so. Non è per te, è che... è meglio che non mi tocchi. - si allontanò di qualche passo come per sottolineare quelle parole e il Dottore sgranò gli occhi.
- Perché? Sei malato?
- No, io... non lo so, - ammise, abbassando lo sguardo - ma se mi toccassi sentiresti qualcosa. Nella mia testa. E non voglio. Non sono pazzo. - aggiunse subito, una punta di disperazione nella voce, lo sguardo supplichevole. - Davvero, è solo che, da quando ho guardato nello Scisma, sento delle cose. Come dei tamburi. Sempre.
Il Dottore alzò le sopracciglia, stupito. Non si aspettava certo una risposta del genere, ma non era né spaventato né disgustato, anzi. - Davvero? Interessante! Comunque non preoccuparti, - aggiunse - io con la telepatia non me la cavo bene. Non sentirei niente, probabilmente. Però... posso provare? - domandò, lo sguardo speranzoso, e Koschei lo fissò, preso in contropiede. Era la prima volta che qualcuno gli rispondeva così quando parlava dei tamburi, la prima volta che non veniva allontanato né rimproverato o preso in giro. Guardò il biondino con un nuovo rispetto.
- Beh... se proprio vuoi. - rispose, cauto, e l'altro annuì, entusiasta. Gli si avvicinò e, con delicatezza, gli appoggiò le mani sul viso e la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi. Quando si allontanò, qualche istante dopo, sorrideva.
- Io non sento niente... - disse - però questo non vuol dire che non ti creda.
Koschei sorrise di rimando, sentendosi stranamente sollevato. Quel bambino era riuscito a tranquillizzarlo in pochi minuti. - Grazie. Se vuoi posso insegnarti la telepatia, dicono che sono molto bravo. Solo se vuoi. - specificò immediatamente. Non voleva sembrare troppo invadente, ma l'altro si esibì in un sorrisone.
- Mi piacerebbe molto! Quando?
- Domani?
- Perfetto. Domani, qui. Ci sarò. - si voltò a guardare verso la sua Casa. - Ora però è meglio che vada, Koschei. Mi ha fatto piacere conoscerti. - gli porse la mano e questa volta l'altro la strinse, sorridendo. - Ci vediamo domani. - lo salutò e corse via.
Mentre correva verso Casa non riusciva a smettere di sorridere. Aveva trovato un amico. Non sapeva perché ma, nonostante lo conoscesse da pochi minuti, sentiva che Koschei sarebbe stato molto importante.

 

Koschei si nascose in camera, dietro al letto, le lacrime che gli rigavano le guance.

Aveva mal di testa. Un mal di testa atroce che non accennava ad andarsene, tutto per colpa dei tamburi che gli rimbombavano nel cervello da quando aveva guardato nello Scisma, pochi giorni prima.

E nessuno gli credeva. I suoi cugini lo prendevano in giro, gli dicevano che era pazzo, che non era possibile. E lui non sapeva mai cosa replicare. Aveva provato con la telepatia, ma non ci credevano o lo ignoravano.

Singhiozzò, stringendosi le ginocchia al petto. Si sentiva solo. Non c'era nessuno che lo consolasse, nessuno che lo capisse. Vedeva alcuni degli altri bambini della sua età venire consigliati da quelli più grandi, aiutati, e li invidiava. A volte si chiedeva cosa si provava ad essere abbracciati. L'aveva visto fare da una sua cugina molto più grande ad un'altra sua coetanea, un giorno in cui quest'ultima piangeva perché si era fatta male. Le aveva guardate, stupito, e anche lui aveva desiderato un abbraccio da qualcuno. Qualcuno che gli dicesse che sarebbe andato tutto bene, che quei tamburi sarebbero spariti.

Si alzò in piedi, non ne poteva più di stare lì. Corse fuori, sul prato, lontano dalla Casa.

Si era appena seduto quando sentì una voce. - Tutto bene? - alzò la testa, stupito, e poco distante da sé vide un bambino a occhio e croce della sua età, i capelli biondi e gli occhioni scuri.
- Sì. Grazie. Tu chi sei?
- Mi chiamo Dottore, sono della Casa Lungbarrow. - gli porse la mano e Koschei trattenne il respiro, fissandola. Non poteva stringerla, assolutamente.
- Dottore? - che nome bizzarro...
L'altro fece un sorriso imbarazzato. - È il nome che mi sono scelto... i miei cugini mi chiamano Lumaca. - spiegò facendo una smorfia e lui si ritrovò a chiedersi il perché ma non osò domandarlo direttamente.
- Oh. Io sono Koschei, Casa Oakdown. - spiegò, evitando di stringergli la mano, e l'altro aggrottò le sopracciglia.
- D'accordo, Koschei... - fece una pausa e sorrise - non ti mangio, sai?
Era chiaro che stava accennando alla stretta di mano e il bambino cercò di sorridere, scuotendo la testa. - No, lo so. Non è per te, è che... è meglio che non mi tocchi. - si allontanò di qualche passo per essere sicuro di rendere l'idea e l'altro sgranò gli occhi.
- Perché? Sei malato? - domandò ingenuamente e Koschei sperò quasi che fosse così.
- No, io... non lo so, - ammise, abbassando lo sguardo - ma se mi toccassi sentiresti qualcosa. Nella mia testa. E non voglio. Non sono pazzo. - aggiunse subito, una punta di disperazione nella voce, lo sguardo supplichevole. - Davvero, è solo che, da quando ho guardato nello Scisma, sento delle cose. Come dei tamburi. Sempre. - tacque, rendendosi conto di aver parlato a raffica. Si pentì subito di quelle parole, convinto che quello strano bambino, dopo averle ascoltate, se ne sarebbe andato a gambe levate dopo avergli rivolto un'occhiata di disprezzo, ma non fu così.
- Davvero? Interessante! Comunque non preoccuparti, - aggiunse - io con la telepatia non me la cavo bene. Non sentirei niente, probabilmente. Però... posso provare?
Koschei lo fissò come se gli fossero spuntate tre teste, per poi sorridere. Non era scappato. Non l'aveva insultato. Era ancora lì, sorridente, ben intenzionato a sentire i tamburi che gli martellavano in testa. Decise di accontentarlo.
- Beh... se proprio vuoi. - rispose con cautela e l'altro annuì con entusiasmo. Si avvicinò subito a lui e gli appoggiò le mani sul visto, la fronte contro la sua. Koschei chiuse gli occhi, concentrandosi sulla comunicazione telepatica. I tamburi erano forti, doveva sentirli. Per forza. E a quel punto sarebbe scappato? Forse prima non ci credeva davvero e ora che aveva la prova se ne sarebbe andato. E se invece non li avesse sentiti? Lo avrebbe creduto pazzo come tutti gli altri. Sentiva i cuori battere all'impazzata per l'ansia. Non voleva che il Dottore se ne andasse. Si sentiva stranamente a suo agio con lui, nonostante lo conoscesse da pochissimo.
Il Dottore si allontanò poco dopo, sorridendo. - Io non sento niente... - disse - però questo non vuol dire che non ti creda.
Koschei lo fissò, sbalordito. A quanto pareva non se la cavava davvero molto bene con la telepatia, eppure gli credeva. Sorrideva. Era il primo sorriso sincero che vedeva da mesi e sorrise di rimando, tranquillizzato.
- Grazie. Se vuoi posso insegnarti la telepatia, dicono che sono molto bravo. Solo se vuoi. - aggiunse, non voleva sembrare troppo invadente, ma il Dottore sorrise, felice.
- Mi piacerebbe molto! Quando?
- Domani?
- Perfetto. Domani, qui. Ci sarò. - si girò verso la sua Casa. - ora però è meglio che vada, Koschei. Mi ha fatto piacere conoscerti, - gli porse la mano e questa volta l'altro la strinse, sorridendo - ci vediamo domani. - lo salutò e corse via.
Koschei lo guardò correre via sorridendo.

Forse ho trovato un amico.

 

- Non entrerà mai all'Accademia.
- Te l'ho già detto, non ci vuole andare.
Le voci e i passi si allontanarono, il bambino rimase nascosto sotto le coperte, incapace di trattenere le lacrime.
Non sarebbe tornato dentro.
Non sarebbe tornato in mezzo ai suoi cugini, lo avrebbero deriso perché piangeva, dandogli del fifone.
Non voleva andare all'Accademia e non voleva che lo guardassero piangere.
Un scricchiolio interruppe i suoi pensieri. Una voce chiamò nel buio.
Si tirò la coperta ancora più su per nascondere la testa, chi era entrato?
Le assi continuavano a scricchiolare sotto i passi dell'intruso, i bisbigli emessi da quest'ultimo non aiutavano di certo il bambino a calmarsi.
I rumori cessarono all'improvviso.
Che fosse Torvic? Impossibile. Torvic era morto. Lo aveva... un singhiozzo uscì dalle sue labbra. Torvic era morto, per colpa sua. Lui lo aveva ucciso.
Ma se non l'avessi fatto avrebbe ucciso Kos. Si aggrappò disperatamente a questo pensiero ma non fu sufficiente a farlo smettere di tremare.
E se fosse stato il suo fantasma? Il fantasma di Torvic? Si diede automaticamente dello stupido, i fantasmi non esistevano... però aveva sentito alcune storie, raccontategli da uno degli altri della casa... storie dei terrestri, sembravano molto convincenti.
Piano piano tirò fuori la testa da sotto le coperte e si guardò attorno, niente.
Si mise seduto con le gambe penzoloni, non c'era nulla nel granaio a parte lui... che si fosse solo immaginato quei rumori?
Si alzò in piedi e fu in quel momento che accadde. Qualcosa, da sotto il suo letto, gli afferrò un piede e gli sussurrò di sdraiarsi di nuovo, gli disse che era tutto un sogno e che se fosse tornato a dormire tutto si sarebbe risolto.
Avrebbe voluto urlare ma la voce gli restò bloccata in gola. Sentiva il cuore martellare contro il petto. Chi c'era sotto il suo letto? Quella voce... quella era una voce di donna.
Decise di fare come gli era stato detto e si nascose di nuovo sotto le coperte, sperando che qualsiasi cosa ci fosse sotto il suo letto non gli avesse mentito e si limitasse davvero ad andarsene.
I rumori ricominciarono: sentì la creatura uscire da sotto il suo letto e iniziare ad allontanarsi... non riuscì a trattenere il pianto, cosa stava succedendo? Era un incubo? Quella creatura era lì sotto a causa di qualcosa che aveva fatto? Era per la morte di Torvic?
Sentì di nuovo i passi avvicinarsi e cercò di farsi più piccolo che poté. L'essere che era stato sotto al suo letto si sedette accanto a lui e gli posò una mano sulla testa.
Quindi è una persona... c'era una persona lì sotto.
La voce di donna iniziò a parlargli, gli parlò della paura e di imparare a conviverci, di prendere la propria forza da essa, mentre gli accarezzava i capelli per cercare di calmarlo.

Finalmente il piccolo Dottore si tranquillizzò e riuscì ad addormentarsi cullato dalla voce di quella ragazza misteriosa.

 

Il bambino si guardò attorno spaesato. Si era aspettato di veder comparire il suo amico alla cerimonia di benvenuto che l'Accademia aveva indetto per i nuovi arrivati, ma non era stato in grado di trovarlo in mezzo alla folla.

Non aveva prestato molta attenzione alla presentazione, si era limitato ad osservare gli altri bambini.

Finalmente l'uomo che aveva capito essere un professore smise di parlare e loro vennero divisi in gruppi in modo che fosse più facile controllarli durante la visita dell'Accademia.

Quel luogo sembrava essere immenso e lui aveva provveduto a eliminare sistematicamente dalla sua memoria ogni informazione riguardante le aule e il modo per raggiungerle. Che scusa avrebbe avuto per arrivare in ritardo altrimenti? Come avrebbe giustificato le corse per quei corridoi interminabili?

Dopo un tempo che parve infinito, i bambini vennero accompagnati nella zona riservata al dormitorio. Il gruppo iniziò a sfoltirsi a mano a mano che venivano assegnate le stanze fino a che rimase solo lui con l'uomo che gli stava facendo da cicerone. Come si chiamava? Borusa? Non gli piaceva molto...

- Eccoci qua.
La voce di Borusa lo riportò alla realtà.

- Beh? Che cosa stai aspettando? - chiese impaziente, era evidente che avrebbe preferito far parte dei Giochi piuttosto che fare da balia a un marmocchio.

Il bambino si guardò attorno, come se si aspettasse di vedere spuntare qualcuno da un momento all'altro.

Chissà dove era andato a cacciarsi il Dottore.

Che se ne fosse dimenticato?

Che fosse scappato?

Eppure gli aveva promesso che si sarebbero trovati lì...

Sospirò e si diresse con lentezza esasperante verso la porta della stanza, si aprì e lui entrò con la stessa calma irritante.

Sentì distintamente il suo accompagnatore sbuffare e allontanarsi in fretta mentre la porta si richiudeva alle sue spalle... non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso di scherno. Quanto potevano essere stupidi gli adulti?

Accantonò quei pensieri e sollevò lo sguardo verso l'interno della stanza.

- Eccoti finalmente! Dove eri finito? - gli chiese il bambino biondo poco distante che si era accorto di lui a causa del rumore provocato dalla porta.

- Dove ero finito io? Ma sei stato tu a non esserti presentato, ti ho cercato!

L'altro lo guardò un attimo perplesso per poi aprirsi in un sorriso.

- Devono averci messo in due gruppi diversi. Almeno ci siamo ritrovati.

Koschei annuì e rivolse la sua attenzione verso l'altro occupante della stanza: un bambino dai capelli rossi e l'aria da attaccabrighe. - E lui chi è?

- Oh, giusto! Lui è Magnus, un nostro compagno di stanza. Magnus, questo è Koschei, è il mio migliore amico.

Magnus fece qualche passo nella sua direzione, la mano tesa per imitare il saluto degli adulti.

Il bambino moro si ritrasse d'istinto, le braccia conserte, un'espressione diffidente sul volto.

L'altro rimase sorpreso e abbassò la mano. - Ho fatto qualcosa di sbagliato?
- No. - intervenne il Dottore prima che l'amico potesse rispondere. - Lui... - si pentì subito di aver preso la parola, non sapeva come completare la frase senza mettere in imbarazzo Koschei o offendere Magnus.

Quest'ultimo li osservò confuso, facendo passare lo sguardo da uno all'altro. - Certo che siete strani. - si limitò a commentare e si buttò sul letto.

Koschei fece finta di non averlo sentito e iniziò a studiare la sua nuova camera.

- Perché non vuoi che la gente ti tocchi? - chiese Magnus a bruciapelo dopo un momento di assoluto silenzio.

Il Dottore si trovò a pensare che il loro nuovo amico non era particolarmente dotato di tatto.

Koschei si irrigidì. - Non ti riguarda. - rispose secco, sdraiandosi sul proprio letto.

- Kos! - lo riprese l'amico. - Ti ha solo fatto una domanda. Lui non lo sa.
- Appunto. Non lo sa perché non sono affari suoi. - sbottò con astio, non aggiungendo altro e girandosi verso la parete, dando le spalle agli altri due bambini.

Il Dottore rimase un momento a fissare la sua schiena, non riusciva a capire il motivo del suo malumore: Magnus aveva teso la mano per stringere la sua, ma Koschei avrebbe potuto tranquillamente trovare una giustificazione accettabile al suo comportamento... invece era diventato ostile e si era messo sulla difensiva. Decise di lasciar perdere per il momento.

Ne avrebbero parlato più tardi.

 

La situazione non accennava a migliorare: Koschei restava chiuso nel suo mutismo, il Dottore aveva provato in diversi modi a parlargli per capire cosa andasse, voleva capire cosa avesse turbato l'amico, ma quest'ultimo non sembrava intenzionato a scendere a più miti consigli.

Con il passare del tempo, il Dottore iniziò a sentirsi a disagio: aveva davvero sperato che non sarebbe successo, aveva sperato che, avendo conosciuto Koschei, non sarebbe stato solo e forse l'Accademia non si sarebbe rivelata così terribile.

Poi era arrivato Magnus e aveva iniziato a formarsi in lui l'idea che si sarebbe riuscito a fare anche altri amici.

Invece ciò che più lo spaventava era diventato reale: era solo.

Koschei non gli rivolgeva la parola.

Magnus, da qualche giorno a quella parte, era diventato intrattabile.

Dove aveva sbagliato?

Fino a qualche giorno prima sembrava stesse andando tutto per il meglio.

 

Avrebbe iniziato da Magnus.

Aveva finalmente deciso di sbloccare la situazione, avesse dovuto litigare davvero con i suoi compagni di stanza, e aveva deciso di parlare prima con Magnus, per parlare con Koschei avrebbe dovuto trovare un momento per prenderlo in disparte in modo che nessuno si intromettesse o sentisse la loro discussione. Sarebbe stato un po' più complicato.

E poi per quanto insofferente e irritabile almeno Magnus gli rivolgeva ancora la parola... ogni tanto.

Lo cercò per tutta l'Accademia ma non riuscì a trovarlo, quando stava per darsi per vinto lo vide: era in un cortiletto interno dove nessuno andava mai e stava tirando calci a un albero.

Il Dottore rimase a guardarlo finché non ebbe terminato e finalmente parlò.

- Magnus. Finalmente ti ho trovato. Volevo parlarti.

L'altro gli lanciò un'occhiata furtiva ma non rispose.
- Perché stavi prendendo a calci quell'albero?
Il bambino dai capelli rossi brontolò qualcosa a denti stretti, non abbastanza forte, però, da farsi sentire.

Si allontanò di qualche passo e si sedette su una pietra, le gambe divaricate e lo sguardo rivolto a terra come se tra l'erba ci fosse un qualche segreto di vitale importanza da essere decodificato.

Il Dottore si avvicinò cauto e si sedette per terra davanti a lui, le gambe incrociate, un sorriso conciliante stampato sul volto.

Rinunciò presto a quella facciata, sospirò e si decise ad affrontare la questione.

- Ascolta, volevo parlarti degli ultimi giorni. Io non sono abituato ad avere molti amici ma mi sembrava che fosse tutto a posto. Ho fatto qualcosa di sbagliato?
L'amico lo guardò sorpreso. - No. Tu non c'entri. - fece per alzarsi e andarsene ma il Dottore lo afferrò per una manica.

- E allora perché non ci parli più?
- Beh, non è che il tuo amico mi parlasse molto anche prima. - rispose con un sorriso di scherno.
- A lui penserò dopo. Non hai risposto alla mia domanda.
Magnus si guardò attorno, come se avesse avuto paura che qualcuno avesse potuto sentire. - Tu sei un Lungbarrow, giusto? E il tuo amico è Oakdown.
Il Dottore lo guardò perplesso. - Sì, perché?
- Diciamo che... ci sono delle voci che girano su di voi. - disse storcendo il naso.
- Voci?
- Sì, beh... dicono che non siete degni delle case a cui appartenete e che siete... come posso dire... - Magnus sembrò davvero sforzarsi di trovare il modo migliore per dirlo, ma alla fine dovette cedere - difettosi.

Il Dottore rimase a fissarlo sconcertato. - Difettosi?

L'altro annuì. - È quello che dicono alcune persone. La mia famiglia mi ha scritto, vogliono che cambi stanza. Frequentarvi non fa bene al nome della mia famiglia.
- Capisco.
L'amico continuò a parlare, probabilmente non capendo cosa stava succedendo nella mente dell'altro o in estremo tentativo di giustificarsi. - Dicono che tu sia un debole, che sei scappato alla vista dello Scisma e che saresti scappato anche il primo giorno d'Accademia se non ti avessero costretto a venire. Dicono che Koschei sia impazzito guardando nello Scisma, che senta cose che non ci sono...
- Beh, non si può dire che non abbiano un qualche fondamento... chi vorrebbe essere amico di un pazzo? - Il bambino strinse i denti e si alzò in piedi. - È per questo che ci stai evitando? - fece per allontanarsi e lasciare solo Magnus.
- Io non sono difettoso. - aggiunse prima di rientrare all'Accademia, la voce incrinata. - E Koschei non è pazzo. C'è davvero qualcosa nella sua testa. Libero di non crederci e di considerarci difettosi. - disse pronunciando questa parola con disprezzo. - Spero ti divertirai con i tuoi nuovi compagni di stanza.

- Ehi, aspetta! - il Dottore se n'era già andato. Corse lungo i corridoi, si andò a rintanare in un posto che riteneva abbastanza isolato e iniziò a piangere, le gambe strette tra le braccia e la testa sulle ginocchia.

Alla fine non era cambiato niente. Anche lì pensavano che fosse strano e debole... come avrebbe fatto a farsi nuovi amici ora che tutti la pensavano così?

E neanche Koschei voleva parlargli.

Quando finalmente si fu calmato, si rese conto che probabilmente era tardi e sarebbe dovuto essere in camera da un bel po'... aveva perso la concezione del tempo.

 

L'Accademia era completamente deserta. Accelerò il passo: se si fosse fatto trovare fuori dal dormitorio a quell'ora tarda sarebbero stati guai.

Arrivò finalmente alla porta della sua stanza, si avvicinò e aspettò finché non si aprì. Si rese conto che stava ansimando, aveva accelerato il passo fino quasi a correre.

Entrò in silenzio, preoccupato di non svegliare gli altri nel caso fossero già andati a dormire, ma rimase sorpreso quando vide solo Koschei, per di più ancora sveglio.

Magnus aveva già cambiato stanza?

Non ebbe molto tempo per rifletterci, un movimento attirò la sua attenzione che fu riportata alla realtà: Koschei gli aveva dato le spalle e stava per andare a dormire.

- Kos? - chiamò con voce incerta.

L'altro si bloccò. - Cosa vuoi? Ho sonno.
Il Dottore deglutì a vuoto e si decise a parlare. - Vorrei sapere cos'ho fatto.
Koschei si girò verso di lui, un sopracciglio inarcato.

- Sei arrabbiato con me per qualche motivo, ma non riesco a capire. Ho detto o fatto qualcosa di sbagliato?

- Che ti importa? Tanto mica devi essere amico di un pazzo. - sbottò storcendo il naso e ignorando lo sguardo ferito dell'amico.

Il Dottore sgranò gli occhi e lo guardò come gli avesse appena tirato uno schiaffo.

- Ma di cosa stai parlando?

- Di cosa sto parlando? Perché non lo chiedi al tuo amico visto che ora andate così d'accordo? - Koschei gli diede di nuovo le spalle, ma la voce del Dottore lo trattenne.

- Ma che... - l'illuminazione lo colpì all'improvviso. - Oh. Ci hai sentiti parlare nel cortile, vero?
L'amico rimase in silenzio per qualche secondo poi finalmente esplose. - Tu avevi detto di avermi creduto! Avevi detto che non avevi sentito niente ma che mi credevi!
- Ma infatti ti credo...
- Bugiardo! Ti ho sentito. - disse, la voce che tremava. - Magnus ha detto che dicono che sono pazzo e che sento cose che non ci sono. E tu gli ha risposto che era vero e che nessuno vorrebbe essere amico di un pazzo.

Il Dottore sospirò, attraversò la stanza e si mise davanti a lui, le mani sulle sue spalle e gli occhi fissi nei suoi. - Amico mio, tu sei proprio un idiota. - disse continuando a guardarlo con sguardo serio e deciso. - Il peggior idiota che abbia mai conosciuto.

Koschei sgranò gli occhi, troppo sconvolto per liberarsi dalla presa e sfuggire all'abbraccio improvviso dell'amico.

- Ma che stai...
- La prossima volta che hai intenzione di origliare una conversazione, vedi di ascoltare tutto. - gli brontolò all'orecchio per poi lasciarlo andare e scoppiare a ridere.

L'espressione confusa di Koschei non ebbe altro effetto che farlo ridere ancora più forte.

- È vero, - riprese alla fine - stavamo parlando di quello che dicono di noi due e del fatto che dovrà cambiare stanza... ma io non ho mai detto che fosse vero che tu sei pazzo, Kos. Stavo solo rispondendo alle sue assurdità. Se tu fossi rimasto un attimo di più o ti fossi avvicinato avresti sentito anche che gli ho detto che non c'è niente che non va nella tua testa e che non sei pazzo, che i tamburi ci sono davvero.

- Davvero?
Il Dottore annuì sorridendo. - Però non è solo questo, vero? È da un po' che ti comporti in modo strano. Si può sapere che ti è preso? Praticamente non mi rivolgi la parola da giorni.

Koschei sembrò profondamente imbarazzato da quella domanda e borbottò qualcosa che l'altro non riuscì a capire.
- Come dici?
Prese un respiro profondo e riprovò. - Tu fai davvero presto a conoscere le persone. Già il primo giorno ti eri fatto un nuovo amico, probabilmente nei prossimi giorni te ne farai altri e io passerò in secondo piano.
- Perché dici questo?
- Oh, andiamo! Hai sentito cos'ha detto Magnus. E ha ragione, almeno in parte. Sono difettoso, chi mai vorrebbe stare con me?
L'amico lo guardò come se gli fossero spuntate tre teste. - Io. - rispose candidamente.

- Tu conoscerai altre persone e ti farai nuovi amici, loro non vorranno anche me tra i piedi. - mormorò con un filo di voce, gli occhi lucidi. - E sarò di nuovo da solo.

Il bambino biondo davanti a lui sentì un groppo in gola. Koschei sembrava sinceramente convinto che lo avrebbe abbandonato, come avrebbe potuto fare a convincerlo del contrario?

Sospirò e iniziò a parlare. - Era quello a cui stavo pensando anche io oggi. Sai, tu sei stato il mio primo vero amico. A parte Badger, ma è un avatroide, non è proprio come avere un amico della mia età, eh? - abbozzò un sorriso. - Avevo davvero paura di iniziare l'Accademia, avevo paura che mi prendessero tutti in giro come a casa e che sarei rimasto solo... poi ho conosciuto te. Arrivato qui ho incontrato Magnus e ho pensato che magari sarei riuscito a conoscere altre persone, ma poi abbiamo litigato e tu non mi rivolgevi la parola. Pensavo che sarebbe successo davvero ciò che avevo immaginato prima che diventassimo amici.

L'amico alzò lo sguardo, gli occhi ancora arrossati, doveva aver pianto poco prima che lui arrivasse. Solo in quel momento si accorse che anche il Dottore aveva gli occhi rossi. Che stupido era stato.

- Sei il mio migliore amico, Kos. - proseguì il bambino. - Quindi non pensare neanche per un attimo che ti abbandonerei solo perché certe persone non sono abbastanza intelligenti per capire. Non ti conoscono quindi la loro opinione per me non vale nulla e se non accetteranno te, allora non potranno essere neanche miei amici.

Il piccolo terminò il suo discorso con decisione e appoggiò lo sguardo risoluto sull'amico, Koschei sorrise sollevato. Avrei dovuto dirglielo subito, pensò, era stata sciocco preoccuparsi, ora si sentiva molto meglio ed era sicuro che il Dottore avrebbe mantenuto la parola. Lo faceva sempre.

Il Dottore sembrava aspettare solo quello perché si esibì in uno dei suoi tipici sorrisi.

 

La crisi era passata, lui e Koschei si erano finalmente chiariti e la prospettiva di una giornata di lezioni il giorno seguente non era così tragica ora che non erano più soli.

Stavano ridendo e chiacchierando da un po' quando Magnus entrò nella stanza. Un silenzio di tomba calò sulla stanza e i due amici si limitarono a osservare il bambino dai capelli rossi davanti a loro.

Magnus fece scorrere lo sguardo da uno all'altro e sospirò quando capì che si erano riappacificati ma il Dottore aveva raccontato a Koschei ogni cosa.

- Perché sei qui? Non ti eri spostato in un'altra stanza? - chiese il Dottore con durezza.
Magnus alzò lo sguardo per incontrare il suo, l'amico si sentì stranamente in colpa: l'altro sembrava esserci rimasto male... ma era stato lui a cominciare.

- Non mi sono spostato. Mi hanno spostato. È stata la mia famiglia a chiedere che non rimanessi in camera con voi perché dicono che “lo stupido e il pazzo nuocciono al nome della famiglia”.
Il Dottore deglutì, Koschei non aveva ancora aperto bocca. - E quindi perché sei qui?
Magnus distolse lo sguardo fingendosi imbarazzato ma non riuscì a nascondere un lampo di malizia. - Ho detto al professore incaricato del mio trasferimento che la mia famiglia aveva cambiato idea.
I due bambini sgranarono gli occhi e si guardarono stupefatti.
- E ti ha creduto? - finalmente Koschei si era deciso a parlare con il compagno di stanza.
L'altro sorrise. - Beh, non può certo mettere in dubbio la parola della mia famiglia, giusto? - rispose porgendo un foglio scritto a mano ai due amici.

Il Dottore e Koschei studiarono ciò che era scritto su quel pezzo di carta come se fosse una verità rivelata.
- Quindi resti? - chiese il bambino moro perplesso.
L'altro annuì deciso per poi aggiungere un timido: - Se per voi va bene...

- Perché lo hai fatto? Mi hai detto che noi...
Magnus lo interruppe esasperato. - Lo so cos'ho detto. Ho riportato delle voci. Cose che ho sentito dire, non ho mai detto che le penso. E comunque, visto che loro pretendono da me un comportamento degno del mio nome e del mio addestramento, che vogliono che segua il percorso deciso da loro e che la mia opinione in merito non conta nulla, almeno starò in camera e parlerò con chi vorrò io, che gli piaccia o no.

Koschei era sbalordito: quel bambino li conosceva da poco, aveva sentito tutto ciò che dicevano di loro e sapeva che ciò che dicevano su di lui era vero, lo aveva ignorato e gli aveva risposto male sin dal primo giorno... eppure era lì e aveva intenzione di restarci. Forse lo aveva giudicato in modo troppo affrettato.

Avrebbe dovuto imparare a non agire così d'impulso quando conosceva qualcuno e a non dare per scontato che lo avrebbero evitato se avessero saputo dei tamburi... avrebbe dovuto, ma aveva provato ed era rimasto deluso così tante volta prima di conoscere il Dottore che ora non riusciva a sbloccarsi, la paura era troppa.

Il Dottore stava già sorridendo a Magnus: si era scusato e si era spiegato, per lui era più che sufficiente.

- Quindi posso restare? - la voce del bambino lo riportò alla realtà.
Entrambi annuirono e l'atmosfera si fece molto più rilassata.

Magnus lanciò uno sguardo al Dottore, tutto era risolto e potevano tornare a parlarsi in tutta tranquillità. Si voltò verso Koschei e storse il naso.
- Credo abbiamo iniziato con il piede sbagliato... ricominciamo?
Koschei sorrise e annuì. - Koschei Oakdown. - fece finta di presentarsi. - Ti stringerei la mano ma sentiresti dei tamburi nella mia testa. - disse imbarazzato e a disagio.
- Io sono Magnus. - sorrise lui di rimando. - E non è un problema: ho i capelli rossi, coloro che hanno i capelli rossi si possono isolare dalla mente alveare quando vogliono. Non sentirò nulla. - disse tendendo la mano.
Koschei lo osservò non particolarmente convinto, ma alla fine cedette e i due si scambiarono una stretta di mano, Magnus fece un occhiolino. - Il silenzio, nessun problema.
L'altro riuscì finalmente a rilassarsi del tutto e i tre amici rimasero a chiacchierare fino ad ora tarda. Finalmente a letto, dopo qualche momento di silenzio, il Dottore parlò. - Magnus? - sussurrò, consapevole che Koschei si era già addormentato.
- Sì?
- Sei riuscito davvero ad isolarti dalla mente alveare?
Magnus rimase un attimo in silenzio. - No. Non sono ancora capace di farlo, sto ancora imparando. Per ora riesco solo a schermare i miei pensieri.
- Quindi in realtà li hai sentiti.
- ...sì, ma sono riuscito a non fargli sentire che mi sono accorto dei tamburi.
Entrambi rimasero in silenzio per qualche minuto.
- Perché lo hai fatto?
- Lui non voleva che li sentissi, no? Era questo il problema, giusto? Ho mentito, ma che male può fare una bugia così piccola... lui non è in imbarazzo e non se ne preoccupa più e per me non fa molta differenza, sapevo già che non era matto, me lo hai detto tu.
- Capisco. Buonanotte, Magnus.
- Buonanotte.
Nello stesso momento, nel buio, Koschei si ritrovò a sorridere suo malgrado. Gli aveva mentito, questo era vero, ma l'aveva fatto perché potessero essere amici e non poteva di certo lamentarsi: era la seconda persona nella sua vita che si comportava in modo gentile con lui... chiuse gli occhi e lasciò che il sonno prendesse il sopravvento.
 

Era ormai passato un mesetto dal loro arrivo all'Accademia e tutto sembrava procedere per il verso giusto.

Un nuovo “compagno di stanza” era ora presente: una cugina del Dottore aveva mandato Badger, un avatroide, all'Accademia. Il Dottore fece salti di gioia al solo vederlo e supplicò perché potesse restare in camera con loro.

Ce la fece per sfinimento: ottenne il permesso di farlo dormire con loro a patto che non riempisse di pelo tutta la stanza.

 

Magnus e Koschei scoprirono di essere particolarmente portati per certe materie e il Dottore particolarmente pigro.

Questo comportava che il loro tipico pomeriggio consistesse nello studiare e giocare all'aperto... tranne per il Dottore. Lui lo occupava tutto guardando fuori dalla finestra, perso dietro a chissà quali pensieri, mentre gli altri due studiavano, e correndo da una parte all'altra meravigliandosi di qualsiasi cosa quando erano fuori nel tempo libero... per poi ritrovarsi a supplicare i due amici di lasciargli copiare i compiti cosa che, dopo diverse lamentele e minacce da parte loro di non aiutarlo più, accadeva puntualmente ogni giorno.

Quel giorno però si sarebbe rivelato differente.

- Ehi! - sbraitò Koschei per l'ennesima volta mollandogli un calcio in uno stinco. - Si può sapere perché fissi sempre fuori dalla finestra? Impegnati per una volta, altrimenti quando ci saranno gli esami sarai nei guai.
Il Dottore si girò verso di lui, lo sguardo assente. - Come? - chiese cascando dalle nuvole.

- Compiti. - scandì l'amico come se stesse parlando con un ritardato.
L'amico scosse la testa. - Giusto. - afferrò il libro e iniziò a leggere e a fare schemi ed esercizi. Gli altri due si guardarono confusi: stava davvero studiando?

Non poterono fare a meno di comunicare telepaticamente chiedendosi che cosa stesse succedendo. Accantonarono la situazione e decisero che semplicemente aveva deciso di dar loro retta per una volta.

Il comportamento del Dottore fu strano per tutto il pomeriggio, come se fosse stato assente, e i due amici cominciarono a preoccuparsi: che non avesse voglia di studiare era normale, ma che non avesse nemmeno voglia di giocare? Da quando erano usciti, se ne stava seduto su un muretto a fissare il vuoto.

Avevano provato a parlargli e a chiedergli che cosa fosse successo, ma l'unica risposta che avevano ricevuto era stata una scrollata di spalle e un sorriso smorto.

Continuò a essere particolarmente silenzioso tutta sera e se ne andò a dormire senza raccontare uno dei soliti aneddoti che era solito narrare su pianeti lontani, alcuni erano viaggi di fantasia, altre informazioni reali dategli da quei pochi cugini che lo avevano in simpatia.

Che fosse realtà o pura finzione però non importava: i tre bambini restavano a parlare entusiasti di questi mondi incredibili e a fantasticare di viaggi nello spazio.

Quella sera nulla.

 

Furono svegliati nel cuore della notte da un rumore soffocato, come un lamento sommesso: il Dottore stava piangendo al buio, le mani e il viso affondati nel pelo di Badger.

Magnus e Koschei si avvicinarono spaventati. Non riuscivano a capire a cosa fosse dovuto quel pianto improvviso.

Si resero conto che si era mosso nel sonno e che stava ancora dormendo.

Magnus andò ad accendere la luce, quella della luna non era sufficiente a illuminare completamente la stanza, mentre Koschei cercava di svegliare l'amico.

Finalmente il Dottore aprì gli occhi e si guardò attorno terrorizzato. Cercò di divincolarsi, non ancora completamente consapevole di ciò che stava succedendo.

- Fermo! Fermo! Calmati. È stato solo un incubo. Non è successo niente.
Il bambino mise a fuoco la stanza e i suoi amici solo in quel momento, si sfregò gli occhi per asciugarsi le lacrime e li guardò imbarazzato.

- Cos'è successo? Cos'hai sognato? - chiede Magnus preoccupato.

L'altro scosse la testa, gli occhi lucidi. - Non importa. Mi dispiace avervi spaventati, è solo che ho paura del buio.
I due si guardarono: se si fosse trattato solo di quello sarebbe già successo... perché solo ora? Non insistettero oltre, evidentemente, di qualsiasi cosa si trattasse, non aveva nessuna voglia di parlarne e cercare di convincerlo sarebbe stato inutile.

Tornarono a dormire, decisi a chiarire il mistero il giorno seguente, ma anche la mattina dopo non ottennero nulla se non una debole giustificazione che insisteva sulla paura del buio e il fatto di non averne parlato prima per paura che lo prendessero in giro come facevano i suoi cugini.

Anche quella notte ebbe degli incubi e così la notte seguente e quella dopo ancora.

Koschei e Magnus iniziarono davvero a preoccuparsi e le risposte evasive dell'amico non erano d'aiuto.

La terza notte in cui i Dottore si svegliò urlando e piangendo, i due bambini decisero di fare qualcosa: unirono i loro letti al suo, in modo che lui fosse al centro.

L'amico li guardò perplesso.

- Hai detto di avere paura del buio, no? - chiese Magnus. - E che a casa tua c'era qualcosa sotto al tuo letto che ti ha afferrato.
Il Dottore annuì ma sembrava ancora non capire.

- Ora sei in mezzo a noi, niente arriverà da te senza che noi ce ne accorgiamo. E non devi avere paura del buio perché siamo tutti insieme. - intervenne Koschei.

- Inoltre, sarà più facile svegliarti se avrai altri incubi. - concluse Magnus con decisione.

L'amico rimase un attimo a guardarli: non stavano ridendo di lui e sembravano determinati ad aiutarlo... si sentì tremendamente in colpa per avergli mentito.

 

 

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


2.


- Ti dico che non è così!
- Sì, invece! Ma cosa passo il mio tempo a discutere con te! È del tutto inutile. Sei solo una scienziata pazza che si diverte con esperimenti genetici, cosa ne vuoi capire di meccanica, matrice, circuiti di occultamento...
- Decisamente più di te visto che hai invertito lo stabilizzatore e sostituito il dispositivo di alterazione gravitazionale con un congegno di rilevamento delle onde emanate dalla materia oscura all'interno dell'Occhio dell'Armonia! Come se fosse mai possibile replicare un buco nero su piccola scala semplicemente studiando le particelle emesse da quello che presumibilmente è un buco nero!

- Vuoi abbassare la voce?! Se ci scoprono verremo espulsi e... - nessuno seppe mai cos'altro sarebbe potuto succedere perché il sibilare rabbioso del bambino venne interrotto da un colpo di tosse che fece sussultare entrambi i presenti.

- Scusate l'interruzione, ma è qui che si terrà la lezione di tecnologia, vero? - chiese un bambino dai capelli rossi, accompagnato da altri due, uno biondo e uno moro.

- Sì, sarà qui, inizierà tra una quindicina di minuti. - rispose uno dei due. I tre amici lo osservarono: il bambino era sporco di una qualche sostanza non ben definita, forse proveniente da uno dei macchinari o forse dalla boccetta nella mano della bambina vicina a lui. Teneva in mano diversi cavi e un oggetto rettangolare di cui non riuscirono a capire la funzione.
La bambina accanto a lui si limitò ad osservarli, la fronte aggrottata.

Magnus annuì e entrò con gli altri due. - Io sono Magnus, - si presentò - e loro sono il Dottore e Koschei.

- Il Dottore? - chiese la bambina, parlando con loro per la prima volta.

Il Dottore annuì imbarazzato. - Sì, è il nome che mi sono scelto, quelli datimi dai miei cugini erano imbarazzanti e li usavano per prendermi in giro.
La sua interlocutrice non sembrò dare particolare peso alla cosa e torno a fissare le formule sul suo quaderno.
- Io sono Drax, - si presentò il bambino castano dopo un attimo di esitazione in cui i tre poterono vedere chiaramente nel suo sguardo che aveva già capito chi erano le tre persone davanti a lui - e Miss Simpatia qui con me è Ushas.

La bambina non fece in tempo a ribattere che il professore si presentò in classe, lo sguardo arcigno rivolto ai bambini ancora in piedi.

I cinque si sedettero velocemente e rimasero in silenzio mentre il resto dei compagni di classe prendeva posto.

La lezione iniziò e stranamente il silenzio si protrasse lungo tutta l'ora: il Dottore, la testa appoggiata su una mano e lo sguardo perso, era già lontano anni luce da quell'aula; Koschei cercava di capire la spiegazione contorta del professore, spiegazione che, se una persona si fosse limitata ad osservare le espressioni di Ushas e Drax, sarebbe parsa incredibilmente noiosa e banale.

Magnus invece era in un mondo a parte, troppo occupato a lanciare occhiate furtive a Ushas, la quale sembrava essersi totalmente dimenticata della sua esistenza.

I cinque decisero di restare insieme quel pomeriggio e lasciare lo studio per un altro giorno, il Dottore e Koschei erano incuriositi dal discorso sentito poco prima tra i due; Drax aveva sentito delle voci sul loro conto, non poteva fare a meno di chiedersi se fossero vere o meno e il suo piccolo cervello da scienziato lo spingeva a pretendere una risposta inconfutabile; Ushas non aveva nulla di meglio da fare per occupare il proprio tempo libero e Magnus... beh, Magnus sembrava aver perso la capacità di articolare un discorso sensato e rivolgeva tutta la sua attenzione alla bambina castana come se fosse stata una rivelazione divina.

Furono presto raggiunti nel cortile da altri due bambini, impegnati a parlare fitto fitto e a ridacchiare.

La bambina aveva i capelli tagliati corti, a caschetto, e il bambino aveva la pelle scura.

Sembrarono accorgersi della presenza degli altri solo quando se li trovarono davanti perché si esibirono in uno sguardo confuso e incuriosito.

- Ciao, Ushas! Ciao, Drax! - trillò la bambina, stampandosi in viso un gran sorriso vedendo due facce conosciute.

Drax le sorrise ma Ushas si limitò a un cenno del capo.

Non sembra molto incline a conoscere o condividere il suo tempo con altre persone. si limitò a pensare Koschei per poi decidere che la questione non lo riguardava... certo Magnus avrebbe avuto un brusco risveglio, sghignazzò.

La nuova arrivata si voltò verso di loro e si presentò continuando a sorridere. - Io sono Millennia, la compagna di stanza di Ushas, e lui è Rallon, il compagno di stanza di Jelpax, Mortimus e Vansell - disse indicando il bambino accanto a lei e arrossendo leggermente.

Il piccolo sollevò una mano e salutò tutti quanti.

- A proposito... dove sono? - chiese lui, parlando per la prima volta da quando erano comparsi.

Drax alzò le spalle. - Jelpax avrà trascinato Mortimus e Vansell in qualche anfratto nascosto della biblioteca, speriamo non si facciano scoprire questa volta.

- Perché? Cosa hanno fatto la scorsa volta? - chiese il Dottore, improvvisamente interessato.

- Niente, in realtà. Li hanno presi prima. - rispose. - Sono stati scoperti mentre cercavano di entrare in un'ala protetta della biblioteca.

- C'è un'ala protetta?
- Non ci provare. - lo rimbeccò Koschei.
- Comunque, - esordì Magnus, uscendo dallo stato di muta contemplazione nel cui era caduto - io sono Magnus e loro sono il Dottore e Koschei.
- Piacere di conoscervi. - risposero i due nuovi arrivati.

- Aspettate... siete voi quindi quelli di cui parlano? - chiese Rallon. - I due di casa Oakdown e Lungbarrow?
Tutti si voltarono nella sua direzione: il Dottore e Koschei non sembravano arrabbiati, solo rassegnati a ripetere la stessa discussione fatta altre innumerevoli volte in quel periodo con un numero spropositato di persone che puntualmente avevano iniziato a evitarli.

Magnus non sembrava affatto contento di quell'allusione e Ushas alzò un sopracciglio, sembrava interessata alla questione.

- Rallon! - lo richiamò Drax ma fu preceduto da Millennia che gli assestò uno schiaffo sulla nuca.

- Ti pare il modo? - sbottò rompendo la tensione che si era venuta a creare. - Scusatelo, non sa quando tenere a freno la lingua... è solo che se ne dicono tante su di voi che non sappiamo più cosa sia vero e cosa no. - spiegò alzando le spalle. - Spero non ve la siate presa, era solo curiosità, non voleva essere sgarbato.

Il bambino non la contraddisse, si limitò a guardarla stupito, massaggiandosi la nuca, per poi spostare lo sguardo confuso su loro due. - Cos... no. Assolutamente, non intendevo quello, io...

- Non importa. - rispose Koschei prendendo alla sprovvista il Dottore e Magnus. - È inevitabile che le voci corrano, no? - aggiunse sorridendo.

Rallon sorrise sollevato. - Che ne dite di... uhm... andare a pranzo? Magari riusciamo a unire due tavoli in modo da starci tutti, se arriviamo prima degli altri.

Dopo qualche minuto erano già seduti a chiacchierare e scherzare senza troppe difficoltà, a loro si erano uniti anche Mortimus, Jelpax e Vansell, riemersi dalla biblioteca, il primo un po' più basso del secondo che portava gli occhiali.

Si stupirono tutti quanti di quanto fosse semplice parlare e capirsi, realizzarono inconsciamente di aver trovato dei nuovi grandi amici, certo, ma non sapevano ancora l'importanza che essi avrebbero avuto nello loro vite.

Non sapevano che era appena nato il Deca.

 

Magnus non riuscì a trattenere un verso strozzato rientrando nella camera seguito dal Dottore e Koschei, non si aspettava di trovarselo lì davanti e per poco non aveva cacciato un urlo.

- Che ci fai tu qui?
Drax gli rivolse un'occhiata confusa. - Non ve l'hanno detto?

Gli altri due scossero la testa. - Detto cosa? - chiese Kos.
- Mi hanno trasferito qui. La mia famiglia ha ritardato il mio trasferimento nel dormitorio perché volevano controllare non so che cosa. - fece una smorfia per indicare che non gliene poteva importare di meno.

- Quindi sarai nostro compagno di stanza? - chiese il Dottore entusiasta. L'altro annuì e stava per aggiungere qualcosa quando finalmente vide Badger. - Perché hai un avatroide nella camera dell'Accademia?

- Lui è Badger. Dormiva con me quando ero dai Lungbarrow perché ho paura del buio. - rispose lui senza esitare.

- Ah... ok... - si limitò a dire Drax appuntandosi mentalmente di non lasciare vestiti o altri oggetti delicati in giro per la stanza in modo da evitare che Badger glieli riempisse di pelo o li rompesse.

Inutile dire che nel giro di qualche giorno il proposito era andato felicemente a farsi benedire e nella stanza regnava il caos incontrastato.

- E i letti? - aggiunse. Perché in quella camera era tutto sottosopra?

- Di nuovo colpa mia. - rispose di nuovo il Dottore, questa volta un po' a disagio.
Drax alzò un sopracciglio ma lasciò perdere vedendo Koschei fare cenno di no con la testa.
- Beh, chi dorme dove? - chiese invece.
 

Quella fu un'altra notte popolata dagli incubi.

Drax si era alzato per andare in bagno e quando era tornato aveva trovato il Dottore raggomitolato sul letto che piangeva, Magnus e Koschei intenti a cercare di svegliarlo.

- Cosa succede?
Koschei storse il naso. - Un incubo. Li fa spesso ultimamente.

- Avete scoperto perché?
Magnus scosse il capo. - Non ce lo vuole dire.
- Aspettate. - li fermò Drax dopo l'ennesimo tentativo di svegliarlo. Gli mise le mani sul viso e appoggio la fronte alla sua tentando di non svegliarlo.

- Che stai facendo? - chiese Magnus.
- Secondo te?
- Ma non possiamo... - cercò di opporsi Kos.
- O così o continuiamo con gli incubi fino a quando non si deciderà a parlare.
Questo li zittì definitivamente e Drax riuscì finalmente a entrare nella sua testa e a vedere il suo sogno.

 

- Dai, Koschei, muoviti! - urlò continuando a correre e ridere. Era riuscito ad uscire di casa senza essere notare, non aveva intenzione di farsi scoprire proprio ora.

L'amico accelerò il passo e dopo un po' si buttò per terra a pancia all'aria. - Basta, mi arrendo. - disse ridendo e il Dottore tornò indietro.

Rimasero per un po' sdraiati in mezzo all'erba rossa a parlare delle rispettive famiglie, dell'Accademia, dei loro progetti, della voglia scappare via dalle loro case e non doversi più giustificare con nessuno.

Una volta che si furono sfogati iniziarono a ridere e scherzare, non volevano pensare che di lì a poco sarebbe davvero iniziata l'Accademia e avrebbero rischiato di vedersi meno.

Passata qualche ora, si alzarono di nuovo e iniziarono a camminare verso il fiume.

Intenti com'erano a chiacchierare, non si accorsero della persona che li stava seguendo.

O meglio, se ne accorsero quando era troppo tardi per correre.

- Guarda, guarda... lo scemo e il matto. Solo voi due potevate essere così disperati da diventare amici l'uno dell'altro. - sghignazzò.
- Torvic. - ringhiò Koschei a denti stretti, ma il Dottore gli fece cenno di trattenersi, lo afferrò per un braccio e iniziò ad allontanarsi.

Torvic sembrò non gradire affatto quel gesto e gli si parò davanti. - Mi dai le spalle, scemo?

- Torvic, lasciaci andare, per favore. - chiese il Dottore tenendo lo sguardo basso.
- Scemo e pure codardo. Un'accoppiata vincente. - rise l'altro.
Il Dottore strinse i denti ma non disse nulla e Torvic lo alzò da terra, afferrandolo per i vestiti.

Sospirò e lo guardò scuotendo la testa. - Vedi, - disse con tono falsamente dispiaciuto - questo è quello che succede a frequentare gli scarti.

- Torvic, non respiro. - mormorò il Dottore cercando di aprirgli la mano con cui teneva il colletto della sua maglia.
- Oh! Scusa tanto. - disse mollando la presa e lasciandolo cadere al suolo. - Lascia che ti aiuti. - continuò tirandolo su in malo modo e spingendolo fino quasi a farlo cadere.

Koschei cercò di trattenersi il più possibile, sapevano come andavano queste cose ormai, se si opponevano era solo peggio... dovevano aspettare che Torvic finisse con l'altro... quando, però, Torvic fece per gettare il Dottore nel fiume perché “un po' d'acqua fresca lo avrebbe sicuramente aiutato a riprendersi”, non ce la fece più e gli si avventò contro con tutto il suo peso, gettandolo a terra.

Il Dottore si ritrovò finalmente libero, passò lo sguardo da Torvic a Koschei e sbiancò quando si rese conto di cosa era appena successo. - Kos... - si limitò a sibilare.
L'amico fece qualche passo nella sua direzione e lo aiutò a rimettersi in piedi. - Tutto ok?
- Sì... ma che cavolo ti è saltato in mente?

Lui deglutì. - Bella domanda.
Torvic si alzò in piedi, azzerò la distanza tra loro e gli assestò un pugno in faccia.
- Tu, piccolo stupido scarto, pazzo difettoso. Come osi? Senti i tamburi, eh? Ora ti farò sentire io qualcosa di decisamente più reale! - continuò a insultarlo senza smettere di colpirlo fino a quando lo afferrò per la nuca e gli infilò la testa nel fiume.

Il Dottore rimase bloccato qualche secondo. Cosa doveva fare? Normalmente non... no.

Koschei aveva ragione. Adesso basta.

Cercò di attirare l'attenzione di Torvic ma era tutto inutile, la presa su Koschei non accennava a diminuire e la sua testa non era ancora riemersa dall'acqua.

La sua resistenza si stava facendo sempre meno decisa con il diminuire dell'ossigeno.

In quel momento il Dottore reagì d'istinto. Se gli avessero chiesto in seguito come fosse successo tutto quanto non sarebbe riuscito a spiegarlo.

Prese una pietra e la scagliò con tutta la sua forza contro la testa di Torvic, che non la vide arrivare e venne colpito in pieno.

Cadde a terra a peso morto.

Il Dottore corse verso Koschei che era riuscito a tirarsi finalmente fuori dall'acqua e stava tossendo carponi, cercando di riprendere fiato.

Si inginocchiò vicino all'amico. - Stai bene?
L'altro si sedette e annuì, continuando a prendere lunghi respiri, il Dottore lo studiò per qualche istante e lui finalmente cedette: scosse la testa e si mise a piangere, tremando.

Il Dottore si avvicinò e lo abbracciò per cercare di calmarlo, solo dopo qualche istante si accorse che non stava accadendo nulla: Torvic avrebbe già dovuto essersi alzato e avrebbe già dovuto ricominciare a dar loro il tormento... alzò lo sguardo e lo vide ancora riverso al suolo. Si allontanò da Koschei e si avvicinò a Torvic... era morto. Lo aveva ucciso.

I due bambini si scambiarono un'occhiata e, senza nemmeno parlare, spostarono il cadavere e gli diedero fuoco.

 

Drax interruppe la connessione mentale e sbatté le palpebre, incredulo. Koschei e Magnus si erano collegati a lui e avevano visto tutto.

Il bambino deglutì, si inumidì le labbra e finalmente parlò. - È... è successo davvero?
Koschei annuì, mentre Magnus brontolava un “merda” a denti stretti e si passava una mano tra i capelli.

- È morto. Quel tipo è morto. - continuarono a ripetere i due come se fosse un mantra. - Il Dottore lo ha ucciso.
Koschei li osservò sospettoso per qualche istante. - Non c'era alternativa. Avete visto anche voi.
- Noi... lo sa qualcuno? Lo avete detto a qualcuno? - chiese Drax.
- Ovviamente no. E voi non dovete...
- Fammi indovinare: dirlo in giro? Ci prendi per idioti? - rispose Magnus, la voce strozzata, mentre Drax si lasciava sfuggire un sospiro di sollievo e lasciava un “non lo sa nessuno, bene... bene”, come se stesse cercando di fare ordine nella propria mente.

Sembrò riacquistare velocemente lucidità. - Ma perché lo sta sognando ora? Voglio dire... è successo prima dell'Accademia, sono passati almeno un paio di mesi... perché proprio ora?
- Non lo so. - Koschei si strinse nelle spalle. - Forse è successo qualcosa.

- Possiamo sempre chiederlo a lui. - disse Magnus indicando il Dottore che aveva iniziato a muoversi nel sonno e ad aprire gli occhi.

Il bambino si guardò attorno e sentendosi osservato chiese che cosa fosse successo. Il suo viso si fece serio mentre loro gli raccontavano tutto quanto.

- Siete entrati nella mia testa? - chiese contrariato.
- Erano preoccupati perché facevi incubi e non volevi parlare. - li giustificò Drax. - Pensavamo fosse successo qualcosa... è così?
Il Dottore si morse il labbro e abbassò lo sguardo, finalmente si decise a parlare. - Ho paura di farlo di nuovo. - mormorò.
- Farlo di nuovo? E perché? - chiese Magnus.
- C'è qualcuno che ti sta dando fastidio? - chiese il suo migliore amico.
Il piccolo annuì senza alzare lo sguardo. - Si chiama Anzor. Da qualche tempo a questa parte mi viene a cercare a lezione quando non ci siete voi... sapete... quando dovete ancora arrivare o sono lezioni in cui non ci siamo tutti e non arriviamo tutti insieme... e mi costringe a fare le cose per lui perché è più forte di me.
- Tipo cosa?
- Passargli i compiti, soprattutto. Se non lo faccio usa su di me uno strano macchinario, non lascia segni ma fa male...
Drax sembrò particolarmente interessato. - Un “macchinario”, dici? È forse un piccolo oggetto fatto più o meno così? - chiese scarabocchiando velocemente su un pezzo di carta e mostrando la bozza al Dottore.

- Sì, - rispose il bambino - sì, è quello.

- Interessante... - disse l'altro sorridendo, suscitando gli sguardi interrogativi degli altri presenti. - Molto interessante.
- Cosa è interessante? - chiese Magnus irritato.
- Lo vedrete presto, se ho ragione... quel tipo si divertirà ancora per poco. - si limitò ad osservare con un sorrisetto stampato in volto.

 

Qualche giorno dopo qualcuno bussò alla porta ripetutamente e il Dottore si alzò per andare a controllare di chi si trattasse.

Una piccola orda di barbari si catapultò nella stanza, sette bambini fecero il loro rumoroso ingresso parlando nello stesso momento e spingendosi.

Il Dottore si tolse precipitosamente dalla loro traiettoria per non farsi travolgere.

- Oh, eccovi! - esclamò Magnus. - Li avete portati?
- Ovvio che li abbiamo portati. - rispose Drax, mentre Jelpax estraeva dei fogli da sotto la divisa.

- Cosa sono? - chiese il Dottore incuriosito. - Come mai siete tutti qui?
Tutti si limitarono a sorridere in modo enigmatico.

- Per quanto mi riguarda, io qui ci dormo. - rispose Drax. - Per fare ciò che avevo in mente avevo bisogno di un piccolo aiuto, quindi ho spiegato loro cosa sta succedendo, spero non ti dia fastidio.
Il Dottore non fece in tempo a rispondere che erano già seduti tutti in cerchio per terra, i fogli in mezzo a loro.

Sbirciò da dietro una spalla e loro gli fecero spazio.

- Allora, - iniziò Vansell - Anzor non è particolarmente difficile da seguire, la sua giornata tipo consiste nell'andare a lezione, fissare il vuoto, dare il tormento a qualche altro studente per ottenere compiti e suggerimenti, mangiare e dormire. Il macchinario che tu hai chiamato galvanizzatore è effettivamente uno dei prototipi scomparsi dal laboratorio, ma è abbastanza furbo da non usarlo in pubblico, quindi ho cambiato obiettivo. Stavo per demordere quando finalmente ho visto qualcosa di interessante. - fece una pausa per essere sicuro che l'attenzione di tutti fosse rivolta a lui. - Avete presente i danni che sono stati fatti in alcune aule di recente?
Tutti annuirono.

- Opera sua.

- Ne sei certo? - chiese il Dottore non molto convinto e non capendo il perché di quelle informazioni.

- L'ho visto io stesso. Inoltre si è introdotto nel laboratorio di tecnologia per alterare i registri. È tutto riportato qui. - disse indicando i fogli. - Orari, comportamenti, azioni... tutto quello che sono riuscito a raccogliere in questi giorni.
Tutti i presenti lo guardarono allibiti, sorpresi da tanta precisione.

- Le prove? - chiese Koschei dopo un momento di silenzio.
- Tutto qui. - fu la risposta pronta di Rallon che stava sventolando una specie di dischetto. - Io, Millennia e Mortimus siamo andati con Vansell e abbiamo posto cimici e microcamere messe a punto da Drax un po' ovunque. Ovviamente le abbiamo recuperate tutte. - si affrettò a precisare.

- E mentre loro erano occupati con questa piccola impresa di spionaggio, Jelpax, Ushas ed io ci siamo occupati di recuperare i codici della Matrice e di trovare un modo per aggirare la sicurezza in modo da poter immettere tutti i dati. - concluse Drax. - Magnus, Koschei, ci servirà un diversivo, non possiamo essere disturbati mentre ci avviciniamo alla Matrice e la hackeriamo.
- Lascia fare a noi. - rispose il bambino con i capelli rossi, mentre l'amico annuiva convinto.

- E io cosa dovrei fare? - chiese il Dottore confuso, avendo finalmente capito che quello che i suoi amici avevano messo in piedi era una vendetta ai danni di Anzor.
- Tu... tu dovrai limitarti a fare ciò che fai sempre. - gli rispose Mortimus con un sorriso inquietante sul volto normalmente pacifico. - E stare a guardare.

 

Passavano i giorni ma sembrava non accadesse nulla di anomalo.

Finalmente, un giorno, quando ormai il Dottore credeva che i suoi amici avessero dimenticato i loro piani, su tutti gli schermi della città si videro le stesse identiche immagini.

La faccia di Anzor era ovunque. Chiunque fosse davanti a un computer o a qualsiasi oggetto dotato di schermo aveva appena visto quelle immagini: il comportamento con gli altri studenti, i compiti copiati, gli esami compromessi...

Per qualche settimana il Deca non sentì nulla in proposito, solo quando fu passato qualche tempo vennero a sapere che Anzor era stato espulso dall'Accademia per condotta inappropriata.

Nello stesso periodo, per qualche ragione sconosciuta, si iniziò a mormorare che quel gruppo di dieci fosse coinvolto nella questione. Era una specie di leggenda diffusa tra gli studenti della scuola che sosteneva che era stato proprio il Deca a organizzare il tutto.

I più scettici scacciarono l'idea dicendo che un gruppo di bambini non poteva di certo aver realizzato una cosa simile... ma il dubbio rimase sempre e i bambini, diventando ragazzi e poi uomini, rimasero sempre avvolti da questa fama, accresciuta da molte altre avventure e storie.

Ma di questo loro erano ancora del tutto inconsapevoli, sapevano che si stava spargendo la voce e che i compagni li guardavano con rinnovato rispetto e a loro tanto bastava.

- Sai, c'è una cosa che non ho capito... - iniziò a un certo punto Drax. - Poteva copiare da chiunque: da Magnus, da Koschei, da me, da Jelpax... da chiunque. Perché proprio da te? Voglio dire... in media i tuoi voto sono Θ e Σ! Credo che d'ora in poi ti chiamerò Theta Sigma. - rise, seguito dagli altri.

Il Dottore non parve proprio divertito dal suo nuovo soprannome. - È che è tutto talmente noioso. Io voglio vedere l'universo, non starmene qui ad ammuffire sui libri dell'Accademia.

- Beh, credo proprio che se prima non esci da qui non potrai andare molto lontano, Theta. - gli disse Mortimus molto candidamente.

- Lo so bene, cosa credi? - il suo improvviso cambiamento d'umore li lasciò tutti allibiti. - E non chiamatemi Theta Sigma. - concluse tenendo il broncio. - Mi sembra di sentire i miei cugini quando mi prendono in giro perché dicono che sono lento e stupido.

Magnus alzò un sopracciglio, possibile che ai loro due amici non ne andasse dritta una?

- Sì, beh. - prese la parola Drax in quanto inventore del soprannome. - C'è solo una minuscola differenza, Theta.

Il bambino strinse i denti e lo osservò, in attesa. Sembrava stesse cercando appositamente di provocarlo, così lui rimase fermo immobile, deciso a sostenere lo sguardo. Non aveva intenzione di continuare a farsi prendere in giro.

- Loro sono degli idioti, noi siamo tuoi amici e in quanto tali scherziamo. - si spiegò. - E poi Dottore è un po' troppo altisonante come nome.
Il Dottore osservò per un attimo l'amico per poi far scorrere lo sguardo su ognuno dei membri del Deca. I loro sguardi non erano canzonatori, solo divertiti. - Sì, forse è vero. Ma ciò non toglie che che io sia il Dottore, non di certo Theta Sigma. - disse dandosi un tono e salendo su un masso per mettersi in una posa di superiorità.

- Sì, come no. - lo canzonò Koschei spingendolo leggermente. Il Dottore agitò forsennatamente le braccia per cercare di mantenere l'equilibrio ma fu inutile e si ritrovò con il sedere per terra. - Ripeticelo quando sarai in grado di stare almeno in equilibrio su un sasso.
Tutti scoppiarono a ridere, lui cercò di trattenersi e di fare il finto offeso ma alla fine cedette e si unì al gruppo.

 

Con il passare del tempo il gruppo di fece sempre più unito e diventò l'incubo di molti insegnanti.

Theta ottenne anche un nuovo soprannome, Wormhole, dovuto al fatto di aver rinchiuso un insegnante in un loop temporale per un giorno.

Un'altra volta, a causa di un esperimento di Ushas, Koschei era stato trasformato in un gatto. Avevano dovuto intrufolarsi nel laboratorio dell'Accademia in piena notte, armeggiare con un macchinario danneggiato e pregare che fosse sufficiente per riportare l'amico a una forma antropomorfa.

Cose che era successa.

Anche se ogni tanto scoprivano ancora Koschei a fare le fusa mentre dormiva e si divertivano a farlo arrabbiare lanciandogli gomitoli o passandogli cibo per gatti al posto degli spuntini che rubavano dalla mensa.

Un giorno, mentre si trovavano in biblioteca nel vano tentativo di studiare insieme, Millennia andò alle spalle di Koschei, fingendo di cercare un libro su uno degli scaffali, e gli infilò a tradimento le mani tra i capelli.

Iniziò a fargli una specie di grattino e tutti poterono vedere Koschei sgranare gli occhi, sconvolto dal gesto, per poi inclinare leggermente la testa, abbassare le palpebre e iniziare a fare le fusa.

Quando si rese completamente conto di ciò che stava accadendo, schizzò in piedi e rivolse a Millennia uno sguardo tradito, come se lei avesse cercato di ucciderlo.

Tutti scoppiarono a ridere davanti all'espressione attonita del loro amico che da quel giorno iniziò a fare molta attenzione a chi gli si avvicinava.

Questa precauzione si rivelò però inutile, perché con il passare dei giorni gli effetti collaterali della mutazione svanirono.

 

Un'altra volta, a causa di una discussione ormai dimenticata, avevano fatto scattare l'allarme del laboratorio e due robot riprogrammati da Ushas li avevano inseguiti fin nelle loro stanze cercando di ucciderli.

Per fortuna erano riusciti a bloccarli.

Facendoli saltare in aria.

Solo quando ormai erano riusciti a neutralizzarli, Jelpax se n'era uscito con una soluzione semplice e meno... drastica, beccandosi una valanga di cuscinate in testa.

La ragazza però decise di prenderla sul personale e si chiuse in camera, ci volle tutta la pazienza di Magnus, che in realtà era davvero minima, per farla uscire di lì... ma Magnus aveva i suoi motivi per voler mantenere la pace tra loro e l'amica... come erano soliti ricordargli i suoi compagni di stanza cercando di soffocare le risate davanti al suo visibile imbarazzo ogni volta che si parlava della piccola scienziata.

 

- Dottore.
Il bambino si mosse nel sonno.

- Dottore. - continuò la voce, solleticandogli l'orecchio.

Lui aprì finalmente gli occhi. Le assi non avevano scricchiolato, per questo non si era svegliato mentre arrivava.

Fisso la persona davanti a sé.

- Chi sei?
Il suo interlocutore sorrise. - Non mi riconosci?

Lui scosse la testa. - No. Non ti ho mai vista. Chi sei?
L'altra persona rise. - Io, piccolo amico mio, sono Morte.
Il Dottore sbiancò. - Cosa vuoi da me?
- Sto cercando il mio nuovo campione. Colui che dovrà combattere per me. Ho saputo cos'è successo al fiume...

Il bambino deglutì. - Non è stata opera mia. È stato Koschei.
- Koschei? Il tuo amico?
Lui annuì.
- Quindi devo prendere lui?
Il bambino annuì nuovamente.

- Molto bene... - furono le ultime parole della Morte prima di svanire così come era apparsa.

Theta si svegliò di soprassalto. Era all'Accademia. Non era nel fienile. Non era dai Lungbarrow. Era all'Accademia. Girò la testa e vide Koschei dormire poco distante, il respiro regolare e l'espressione tranquilla.

Era stato un sogno, solo un sogno. Era successo solo nella sua testa.

Certo che stava succedendo nella tua testa, piccolo. Ma perché mai dovrebbe voler dire che non era reale?

Quella voce nella sua mente lo fece rabbrividire, ma si accorse poco dopo di non ricordare cosa fosse appena successo: non ricordava il motivo per cui si era svegliato nel cuore della notte, terrorizzato da ciò che aveva visto; non ricordava perché era stato così felice di vedere Koschei lì con lui, sereno e al sicuro; non riusciva nemmeno a ricordare il perché di quel brivido improvviso.

Accantonò quelle sensazioni come una semplice sensazione dovuta a un sogno e si riaddormentò.

 

- Ragazzi! - Magnus, Theta e Drax si voltarono sentendo la voce di Jelpax che li chiamava. Accanto a lui c'era Mortimus, in piedi, che si sbracciava in modo che riuscissero a vederli.

I tre amici si avvicinarono al tavolo con i vassoi delle colazioni in mano e si sedettero con gli altri. Nessuno aveva una faccia particolarmente sveglia, ma Rallon era proprio in quella che loro ormai definivano “la posa della disperazione” e che era adottata almeno una volta da ognuno di loro durante la giornata; Millennia si reggeva il viso con le mani, ma aveva l'espressione di chi avrebbe preferito partecipare ai Giochi piuttosto che trovarsi lì; Ushas era silenziosa e imbronciata, probabilmente uno dei suoi esperimenti era andato a finire male; Jelpax aveva già un libro tra le mani, mentre Mortimus lo stava osservando come se fosse uno strano alieno a tre teste, senza riuscire a capire come potesse leggere quel libro a quell'ora del mattino; Vansell si limitava ad osservare la colazione come se stesse nascondendo il segreto della vita stessa.

- Dov'è Koschei? - chiese Rallon con voce d'oltretomba. - Ha deciso di non venire oggi?
Theta scosse la testa. - Non lo so, abbiamo provato a svegliarlo ma non si è mosso... e quando siamo usciti era ancora sotto le coperte. Crediamo di aver sentito un “vi raggiungo dopo”... immagino che lo vedremo spuntare da un momento all'altro.

Koschei non si presentò a colazione e nemmeno alla prima lezione.

- Possibile che sia rimasto a dormire? - chiese Millennia perplessa. - Non è da lui saltare una lezione... o meglio, saltarla senza di noi. - si corresse ricordando le volte in cui era sgattaiolati fuori dall'Accademia anche solo per prendere una boccata d'aria.

- C'è... c'è qualcosa che non ci avete detto? È successo qualcosa? - chiese Jelpax dubbioso.
Mortimus fraintese. - Avete litigato?

- No, non abbiamo litigato. Ne sappiamo quanto voi... credevamo ci avrebbe raggiunti... - rispose Magnus.
- Se andassimo a dare un'occhiata? Magari si è riaddormentato e si è dimenticato di venire a lezione. - propose Drax non molto convinto.

Gli altri annuirono. - Beh, noi andiamo a lezione... fatevi vivi quando avrete scoperto qualcosa. - disse Ushas, il suo umore era decisamente migliorato ma non era mai stata particolarmente affabile... questo non aveva fatto demordere Magnus, che ancora qualche volta veniva sorpreso a guardarla con occhi da pesce lesso.

Il gruppo si divise e i tre amici si diressero velocemente verso la loro stanza.

- Koschei? - chiamò Theta non sentendo nessun rumore all'interno della stanza. - Koschei, sei qui?

Nessun suono provenne dall'interno.

Entrarono e si diedero un'occhiata attorno, finalmente lo videro: l'amico era ancora a letto, rannicchiato sotto le coperte.

- Kos? Che stai facendo? È tardi, la prima lezione è già terminata. Alzati. - lo incalzò Magnus senza riuscire a capire cosa gli fosse preso.

L'unica risposta che ricevette fu un mormorio a malapena udibile.

Si avvicinarono al letto e videro più chiaramente ciò che stava succedendo: l'amico era raggomitolato in posizione fetale sotto le coperte, la testa fra le mani, gli occhi chiusi.

- Kos, cosa ti prende? Cos'è successo? - chiese Drax cercando di attirare la sua attenzione. Si avvicinò ulteriormente per sollevare un lembo della coperta.

- Andate via. - fu l'unica risposta che ottennero... e riuscirono a sentire solo perché ormai si trovavano molto vicini all'amico. - Andate via. Per favore.

- No che non ce ne andiamo. Che cosa ti sta succedendo?
Il ragazzino nascose ancora di più la testa tra le braccia e cominciò a singhiozzare, lasciando i tre presenti attoniti.

- Vogliono spingermi a fare cose brutte, se non ve ne andate potrei farvi del male. - sussurrò.
Drax, Magnus e Theta si scambiarono uno sguardo confuso. Di cosa stava parlando?

- Non lo farai. Dicci che cosa sta succedendo. - ripeté per l'ennesima volta Magnus. Theta non aveva ancora detto nulla: credeva di sapere cosa stesse succedendo ma sperava davvero di sbagliarsi.

- I tamburi. - fu l'unica cosa che riuscì a mormorare l'amico tra le lacrime.

Drax lo guardò sorpreso. - I tamburi?
- Nella mia testa. - continuò lui. - Non se ne vanno. Non vogliono smettere. Fa male.

- Tamburi? - ripeté Drax a mezza voce. - Quindi è vero? In questi anni, quello che dicono... - il resto della frase gli morì in gola, gli altri due avevano già capito cosa voleva sapere. Era perfettamente a conoscenza di ciò che si diceva in giro e aveva sostenuto a più riprese che non avesse importanza... solo ora si rendeva conto che probabilmente e inconsciamente non ci aveva mai creduto del tutto.

- Dipende a quale parte della storia di riferisci. - rispose Theta a voce sommessa. - Sì, i tamburi ci sono davvero. No, non è pazzo.

- Mai pensato che lo fosse. - si affrettò a precisare l'amico, non era quello che intendeva, in realtà non sapeva nemmeno perché aveva chiesto... li aveva sentiti altre volte parlare dei tamburi, era solo che gli era sembrato sempre qualcosa di così irreale...

Accantonarono la faccenda e si concentrarono su Koschei.

Theta iniziò a sfiorare la sua schiena con una mano, cercando di tranquillizzarlo. - Sta tremando. - osservò.

Gli altri due si sedettero accanto a lui sul letto, cercando di pensare a un modo per uscire da quella situazione.

- Li sento tutti. Sono troppi. C'è troppo rumore. - continuò. - Theta, perché sono così? Che cosa c'è di sbagliato in me?

Per la prima volta da quando erano entrati si era rivolto direttamente a qualcuno. I tre amici si guardarono sconvolti dopo quella domanda, sentendo un brivido correre lungo la schiena.
Come poteva anche solo pensare...

Theta aprì la bocca come per rispondere ma sembrò non riuscire a trovare le parole, cosa avrebbe potuto dire?

Per lui era perfettamente ovvio che non fosse colpa sua e che non fosse lui ad essere “sbagliato”, e dallo sguardo che si erano scambiati Magnus e Drax era pronto a giurare che avevano appena pensato la stessa cosa, ma come avrebbe potuto convincerlo del contrario?

Sentì un sospiro provenire dalla loro direzione, da quando si erano conosciuti non si erano mai sentiti così impotenti.

Avevano affrontato bulli, professori, si erano cacciati in ogni sorta di guai, anche con il Presidente... ma ne erano sempre usciti illesi, o quasi.

Questo era del tutto nuovo e non era nulla di tangibile o modificabile, non con le loro conoscenze, almeno.

- Fatelo smettere. Fa male. - erano le uniche cose che ormai Koschei riusciva a ripetere, continuando a piangere e tremare.

Theta si sdraiò accanto a lui e lo abbracciò, non sapendo in quale altro modo reagire. L'amico si accucciò istintivamente contro di lui, lasciandolo fare.

Passavano i minuti ma la situazione non sembrava migliorare.

- Forse... - mormorò Drax, attirando l'attenzione di Theta e Magnus. Si schiarì la voce. - Magnus, riesci già a isolarti dalla mente alveare?

L'altro annuì, non capendo dove volesse andare a parare.

- E riusciresti, tramite la telepatia, a isolare qualcun altro? A creare come una specie di estensione del tuo campo telepatico?
Magnus aggrottò le sopracciglia. - Stai proponendo di isolarlo dalla mente alveare?
- Una cosa simile. Ha detto che “c'è troppo rumore. Sono troppi”, non stava parlando dei tamburi, quando parla dei tamburi dice che “sono troppo forti”. Se riuscissimo a isolarlo dalla mente alveare forse riusciremmo a ridurre almeno in parte il rumore.

L'amico sembrò pensarci un attimo ma alla fine annuì. - Non credo ci perderemo qualcosa a provare. Theta, spostati.

Il diretto interessato si alzò lentamente, cercando di non fare movimenti bruschi per non peggiorare la situazione già critica.

Magnus si inginocchiò in modo che il suo viso fosse alla stessa altezza di quello di Koschei, cercò di spostare le sue braccia il più possibile, lo prese tra le mani e appoggiò la fronte alla sua, iniziando il collegamento telepatico.

Ebbe bisogno di qualche momento per riuscire a concentrarsi, non appena iniziò la comunicazione, infatti, la sua mente venne investita da un rumore insopportabile. Fu quasi sul punto di mollare la presa e allontanarsi per non dover più sentire, ma doveva resistere.

Se Koschei aveva davvero quel rumore in testa tutto il tempo, lui poteva sopportare per qualche minuto.

Theta e Drax si accorsero della smorfia di Magnus e sperarono che fosse davvero in grado di fare qualcosa.

I minuti passarono senza che nessuno muovesse un muscolo, l'unico rumore percepibile erano i singhiozzi trattenuti di Koschei, segno che ciò che stavano cercando di fare non stava funzionando.

Magnus parlò dopo un tempo che sembrò infinito. - Sto... forse ci sto riuscendo, non so quanto durerà, non ho mai fatto una cosa del genere. Riesco a sentire quello che sente lui. Forse ci sono. Il rumore sta diminuendo. I tamburi restano. - disse storcendo il naso.
- Quelli sono nella sua testa, Magnus, non puoi chiuderli fuori. - si limitò ad osservare Theta.

- No. - rispose l'altro. - Ma forse riesco a... - non terminò la frase, troppo concentrato su ciò che stava cercando di fare.

I due amici continuarono ad osservare la scena, carichi di aspettativa. Cosa stava cercando di fare?
Dopo un po' lo sentirono ridere sommessamente e lo videro staccarsi lentamente da Koschei che aveva smesso di piangere.

Lo videro alzare la testa e guardare Magnus confuso. - Come...
- Ci sono ancora? - chiese l'amico senza lasciarlo finire di parlare.

Lui annuì. - Ma non come prima, sono un rumore di sottofondo, come sempre. Erano... erano molto più forti prima. Come hai fatto?
- Come solito? Se quello è un rumore di sottofondo, io sono una donna. - sbottò l'altro insoddisfatto. Koschei si limitò a sorridere debolmente, esausto dalla notte passata quasi insonne e dal dolore causato dall'incessante martellare nella sua testa. - Va bene così, davvero. Sto molto meglio ora, grazie.

I tre amici si lasciarono andare a un sospiro di sollievo.

- Seriamente, Magnus. - riprese Drax. - Cosa hai fatto?
- Beh, ho cercato di zittire le voci come avevi detto. Poi ho pensato che forse avrebbe funzionato anche con i tamburi se fossi riuscito a proiettare la mia percezione all'interno della sua testa, dopo averlo scollegato dalla mente alveare il tempo sufficiente per riportare una specie di equilibrio, ho cercato di trasmettere il silenzio che sento io con lo stesso procedimento. Volevo zittire anche i tamburi, ma probabilmente essendo nella sua testa non posso annullarli del tutto. Non so però cosa succederà ora che abbiamo interrotto il contatto.

Drax annuì e tutti e tre rimasero a osservare Koschei, come se volessero vedere se avrebbe ricominciato a stare male o meno.

- Ora non fa più male, davvero. Non c'è bisogno che vi preoccupiate. - cercò di convincerli.

- Non c'è bisogno che... - sbottò Theta. - Ci hai spaventati a morte, ti saresti dovuto vedere dall'esterno. Non sapevamo come fare.
L'amico abbassò lo sguardo e deglutì a disagio. - Mi dispiace, non pensavo sareste tornati indietro a cercarmi.
- ...non ti sei presentato a colazione e nemmeno a lezione, era ovvio che ti saremmo venuti a cercare. - rispose Magnus perplesso. Che diavolo di ragionamento era? - Ora cosa facciamo?

I quattro amici rimasero un attimo a pensare.
- Usciamo? - chiese Theta. - Andiamo fuori dall'Accademia e restiamo in giro tutto il giorno, chiederemo agli altri di dirci cosa ci siamo persi. Tanto non possiamo andarli a recuperare ora.

Magnus annuì, più che entusiasta di saltare delle ore di lezione, entrare nella testa di Koschei e lo sforzo telepatico lo avevano sfinito. Non aveva voglia di sentire spiegazioni noiose. - Se andassi in classe in questo momento mi addormenterei sul banco, probabilmente.
- E fuga sia. Anche perché tanto ormai la seconda lezione della mattina è terminate ed è iniziata la terza. - aggiunse Drax.
Koschei aprì la bocca, dalla sua espressione sembrava sul punto di scusarsi per aver fatto perdere loro del tempo.
- Osa. - lo bloccò Theta. Koschei richiuse la bocca all'istante e tutti e quattro scoppiarono a ridere.

Il peggio era passato.
 

- Via libera. - I quattro ragazzini sgattaiolarono fuori dalla stanza del transmat, fuori dalla casa e, appena fuori dalla porta, iniziarono a correre. Si fermarono solo quando furono abbastanza lontani e si lasciarono cadere sull'erba rossa.

- Sei sicuro che la tua famiglia non si sia accorta di nulla? - chiese per l'ennesima volta Theta a Drax.
L'amico sbuffò esasperato. - Ti ho detto di sì. E comunque non mi risulta che avessimo alternative: dai Lungbarrow e dagli Oakdown voi non volete metterci piede, da Magnus sono tutti soldati e non saremmo riusciti a fargliela sotto il naso neanche pagandoli. Qui sono tutti troppo impegnati con i loro esperimenti per far caso a chi entra e chi esce. Sono troppo impegnati per far caso a qualsiasi cosa che non sia il loro lavoro, in realtà.

Rimasero così per un po', sdraiati sull'erba in silenzio.

Fu Theta a parlare. - Come va la testa?
- È passato. I tamburi restano, ovviamente, ma non sono più forti come prima...

- È sempre così? - si intromise Magnus alzandosi sui gomiti. - Nel senso... c'è sempre quel martellare nella tua testa? Sempre?
L'amico annuì senza incrociare il suo sguardo.

- Strano. - mormorò l'altro sovrappensiero.
- Cosa è strano? - Drax si ritrovò a chiedersi a cosa stesse alludendo Magnus, sembrava particolarmente pensieroso.
- È stata un'esperienza strana... non so come spiegarlo... ho percepito qualcosa di anormale in quel rumore stamattina. Intendo innaturale. - si affrettò ad aggiungere. - Quello che sto cercando di dire è che sembravano artificiali.

- Artificiali? - chiesero gli amici senza riuscire a capire.

Magnus sbuffò esasperato. - Non so come spiegarvelo... è stata una sensazione.

- Posso sentire? - chiese Drax curioso. Koschei storse il naso, gli sembrava strano che avessero sentito i tamburi così forti e fossero ancora lì, meglio non tirare la corda.

L'amico alzò gli occhi al cielo come se si fosse immaginato il suo ragionamento e chiese a Magnus di ricordare il rumore meglio che poteva per farglielo sentire, ma non fu sufficiente.

Insistette per un po', finalmente Koschei cedette e gli permise di ascoltare i tamburi.

- Magnus ha ragione... è strano. Mi è capitato di entrare nella mente di persone che sono impazzite a causa dello Scisma, ma non ho mai sentito nulla di simile. Probabilmente sto per dire un'assurdità, ma sembra quasi che qualcuno ce li abbia messi di proposito.
- Di proposito? Chi si prenderebbe il disturbo di mettermi dei tamburi in testa... e perché?

- Questo non lo so... e tieni presente che ho detto “sembra”. - fece una pausa. - È stata la prima volta? Che si facevano sentire così forte, intendo.

L'altro lanciò un'occhiata furtiva a Theta che annuì sorridendo.

- No, è già successo altre volte... una di queste anche il giorno in cui ho conosciuto Theta.
- E all'Accademia?
- Un paio di volte ma mai così... riuscivo a ignorarli. Stanotte invece sembrava che la testa mi si dovesse aprire in due e ha continuato anche al mattino. - perché gli stavano facendo tutte quelle domande?

- Quindi potrebbe succedere di nuovo. - osservò Magnus.
I ragazzini sembrarono riflette un momento. - Se dovesse succedere di nuovo, vedi di dircelo subito la prossima volta.

- Dirvelo? A che pro?
I tre amici lo guardarono come se avesse appena detto Gallifrey aveva un unico sole.

- Beh, Magnus è riuscito a farli andare via, no? Almeno un po'... - intervenne Theta. - Se ci avverti forse possiamo evitare che vadano avanti tutta la notte o il giorno.

Koschei scosse la testa. - Non posso dipendere da voi tutte le volte che succede. E di certo non posso svegliarvi nel cuore della notte.

Magnus sbuffò esasperato. - Pensavo che fosse Theta quello tonto, - esclamò causando le proteste del diretto interessato - ma anche tu non scherzi. Ti stiamo dicendo che se succede di nuovo ce lo devi dire. Può essere colazione, pranzo, cena, lezione o notte fonda. Diccelo.
- Ma...

- Niente ma. Abbiamo trovato un modo per farli tacere, anche se non del tutto, quindi non dircelo sarebbe stupido, non credi? Non c'è più bisogno che lo affronti da solo. - continuò Theta cercando di contribuire al tentativo di persuasione.

- Non è necessario, non voglio darvi fastidio. - la situazione si stava facendo davvero imbarazzante, non era abituato a essere così al centro dell'attenzione.

Drax scoppiò a ridere. - Te. Lo. Stiamo. Dicendo. Noi. - scandì come se stesse parlando con un bambino ritardato. - Non ci dai fastidio, almeno sappiamo che possiamo fare qualcosa.

Non ne era per nulla convinto ma annuì per accontentarli, perché avrebbero dovuto essere così interessati? Dopotutto era lui a essere difettoso, questo non andava a intaccare loro in nessun modo...

- Non ci credi, vero? - chiese all'improvviso Magnus. - Pensi che diciamo tanto per dire.
L'altro abbassò lo sguardo imbarazzato. - Non capisco perché vi dovrebbe interessare. - ammise con filo di voce. - Lo sanno tutti che sono difettoso. I miei cugini lo dicevano sempre.

- Anche i miei lo dicono. Che sono difettoso. E che sono stupido e codardo. - il sussurro di Theta fu a malapena udibile.

Drax sbuffò. - Capito, Magnus? Chissà per quale motivo continuiamo a frequentare questi due. Dobbiamo essere davvero masochisti visto che usciamo con due scarti da qualcosa come quattro anni!- esclamò, la voce che trasudava sarcasmo. Tornò serio. - Dovreste smetterla di dare ascolto a tutto quello che i vostri cugini dicono. Vi conosciamo da un po' ormai e decisamente non siete né difettosi, né stupidi o codardi.

Magnus annuì convinto. - E dovreste smetterla di autocommiserarvi. Gli altri lo vedono. Non dico che dovete fingere, ma solo di far vedere loro che si sbagliano. Theta, ti ricordi quando pensavi che vi stessi evitando per via di quello che si diceva su di voi? Sei venuto ad affrontarmi, giusto? E hai preso le difese di entrambi, non mi risulta che sia stata una mossa da codardo.

E Kos, che diavolo vorrebbe dire che non capisci perché ci dovrebbe interessare? Siamo amici, no?
Drax lo guardò con occhi sgranati. - Amici? Io pensavo di star dormendo nella stessa stanza con voi da quattro anni a questa perché in realtà vi detesto. Scherzi a parte, Magnus ha ragione. Non potete permettere che un branco di idioti vi definisca. O almeno, i due che abbiamo conosciuto non lo permetterebbero.

Continuarono a discutere per un po'.

Theta fu il più semplice da convincere, era estremamente fiducioso per natura e non faceva fatica a credere che quello che i due amici stavano dicendo fosse vero. Voleva credere che fosse vero. Alla fine si permise di aprirsi in un sorriso e di aiutare gli altri due a convincere Koschei.

L'altro bambino si rivelò molto più riluttante: gli era già capitato di fidarsi in passato, prima di conoscere Theta... di un cugino, di un amico... ma alla fine tutti lo avevano abbandonato o si erano presi gioco di lui. Non era sicuro che questa volta sarebbe stato diverso.

Alla fine anche lui cedette: accettò di dire loro quando i tamburi si facevano insopportabili così che loro sarebbero stati in grado di aiutarlo in qualche modo, anche solo restando svegli tutta la notte. Tanto, pensò, si stancheranno presto e mi lasceranno solo anche loro.

Non sapeva ancora quanto si stesse sbagliando. O quanto i suoi amici potessero essere testardi.

 

- Quindi cosa facciamo? - chiese Magnus sottovoce. Erano finalmente riusciti a convincere Koschei, o almeno così sembrava, e avevano passato le ultime ore a scherzare e pianificare una serie di dispetti a Borusa, al presidente e ad alcuni compagni dell'Accademia.

In quel momento l'amico stava dormendo sull'erba, poco distante da loro. Era crollato circa un'ora prima, esausto per la notte passata insonne, e loro non avevano nessuna intenzione di svegliarlo.

- In merito a cosa? - chiese Theta con lo stesso tono di voce.
- Per... quella cosa. Dovremmo annullare o rimandare secondo voi? - rispose il ragazzino con i capelli rossi.
Tutti e tre si voltarono verso l'amico addormentato. - Forse dovremmo spostare tutto a un giorno più adatto... potrebbe non averne voglia. Specialmente dopo la notte scorsa e questa mattina, mi stupisce che sia rimasto sveglio fino ad ora. - osservò Drax.

Theta annuì. - Capisco cosa volete dire, ma questo significherebbe avvertire gli altri e spiegare loro tutto quanto e far togliere tutto. Se uno di noi sparisse ora per andarlo a dire agli altri si insospettirebbe e sarebbe difficile inventare qualcosa per giustificare l'assenza. Al massimo potremmo... accorciare.
Gli altri due annuirono, non sarebbero mai stati abbastanza veloci da andare e tornare senza che lui si svegliasse. Decisero di lasciar perdere e di appellarsi alla buona sorte.

Come se avesse voluto dimostrare loro che non avrebbero fatto in tempo ad annullare tutto senza che lui se ne accorgesse, Koschei si svegliò in quel preciso istante, rivolgendo loro uno sguardo assonnato. Per un attimo sembrò che volesse alzarsi per raggiungerli ma lo videro stropicciarsi gli occhi, sbadigliare e sdraiarsi per tornare a dormire.

 

- Kos. Kos! Svegliati. - Theta continuò a chiamare l'amico e a scuoterlo fino a quando lui non aprì gli occhi. - È tardi, dobbiamo tornare all'Accademia.

L'altro grugnì qualcosa di non ben definito e finalmente si decise a mettersi almeno seduto. - È buio. - fu la prima cosa sensata che riuscì a dire.

- Certo che è buio. Hai dormito per sei ore. Dall'ora di pranzo ad adesso.

- Sei ore?! - urlò scattando in piedi. - Perché non avete detto niente?!
- Ci abbiamo provato. Ti giravi dall'altra parte e continuavi a dormire. Alla fine ci siamo arresi.

I tre ragazzini risero dell'espressione attonita dell'amico e tutti insieme si incamminarono per tornare all'Accademia. Riuscire ad arrivare al transmat fu semplice come uscire all'andata.

- Dove siamo? Questa non è la nostra stanza...
- È quella di Jelpax, Rallon, Vansell e Mortimus.
- Perché siamo nella loro stanza?
- Taci, Kos. Lo scoprirai presto. - lo spinsero fuori dalla stanza e corsero nel corridoio poco illuminato, mentre lui brontolava dicendo di aver fame perché non mangiava nulla dal giorno prima.

Si fermarono di botto davanti alla porta della loro stanza e si frapposero tra lui e l'entrata.

Koschei li guardò senza capire. - Ragazzi, non so cosa stiate combinando ma so che lì dentro c'è ancora il cibo che abbiamo rubato ieri dalle cucine. Vi consiglio vivamente di spostarvi o mangerò voi.

- Ora entriamo ma... volevamo avvertirti. Avevamo organizzato una cosa. - cercò di spiegare Magnus. - Sai, una delle idee balorde di Theta riguardante gli umani...
- Ehi! Eravate d'accordo con me. E pure entusiasti, quindi non dissociatevi così velocemente. - protestò l'amico.

L'altro continuava a guardarli come se stessero parlando una strana lingua aliena.
- Direi che è meglio entrare e fargli vedere. Sarà più facile fargli capire. - propose Drax.

Non fecero in tempo a entrare del tutto nella stanza che vennero afferrati e trascinati all'interno. - Finalmente! Si può sapere dove vi eravate cacciati?

- In giro. - si limitò a rispondere Magnus ammiccando alle ragazze.
- Ma piantala di fare il misterioso. Ammettete che avete fatto fuga senza dirci nulla, traditori. - lo sgonfiò Rallon guardandolo storto e fingendosi offeso.

- Oh, scusa, Rallon. La prossima volta faremo irruzione nella classe per venirti a rapire. Magari durante l'ora di Borusa. - sghignazzò l'altro.

- Ottimo modo per ucciderci tutti.

Ricominciarono a parlare, o meglio a urlare: il sovrapporsi delle voci non faceva altro che spingerli ad alzare la voce ancora di più... e la musica non aiutava.

Theta si guardò attorno e spense la musica, frastornato, mentre Koschei si guardava attorno come se si fosse trovato su un altro pianeta.

- Cosa significa?
Ushas si voltò verso di loro sentendo la domanda. - Non glielo avete spiegato? Che cosa avete fatto tutto il giorno?

- Girato. Dormito. Tramato per la conquista dell'universo. Le solite cose che facciamo quando ci siete anche voi. Ci è passato di mente. E poi pensavamo ci arrivasse vedendo tutto quanto. - rispose Magnus pronto ad approfittare di qualsiasi interazione con Ushas, indicando la musica, il cibo e tutti loro. - Credevo che Theta avesse spiegato quelle cose terrestri anche a lui.

- Infatti l'ho fatto.
Koschei parlò di nuovo, esasperato. - Di che diavolo state parlando?

Theta si girò verso di lui. - Ogni tanto dovresti ascoltarmi quando parlo, sai? Ricordi quell'usanza umana di cui ti ho parlato e che mi aveva nominato uno dei miei cugini? Il compleanno? - l'altro annuì in silenzio e lui continuò. - Noi non nasciamo, veniamo tessuti, ma volevo provare questa festa terrestre, così abbiamo fatto un paio di calcoli per trovare quella che sarebbe stata la nostra data di nascita, o meglio di tessitura, e la tua era quella più vicina così ci siamo organizzati.
L'amico si guardò attorno confuso. - Quindi tutto questo è per me? Ma perché? Voglio dire... nessuno ha mai fatto una cosa simile.
- Nemmeno a noi. - alzò le spalle Mortimus. - Non è esattamente una nostra tradizione, no?
- Sì, ma anche se...
- Ok, basta ma! - lo interruppe Theta, porgendogli un pacco incartato. - Aprilo.
Koschei gli rivolse uno sguardo perplesso.
- Regalo. - spiegò Magnus.
Millennia, scomparsa poco prima senza dare nell'occhio, rispuntò in quel preciso istante con altri pacchetti tra le mani. - Diciamo che usare il plurale sarebbe più appropriato.

Koschei li scartò un dopo l'altro fino a ritrovarsi circondato da carta strappata, fotografie, libri e oggetti dalle forme più disparate. Riconobbe uno dei cacciaviti sonici di Theta e una foto di gruppo scattata poco tempo prima e incorniciata, alcuni libri che aveva sempre voluto leggere e cose che aveva a lungo desiderato. - Come...?
- Come facevamo a sapere che li volevi? - lo prevenne Drax. - Diciamo che non ne fai esattamente mistero e poi basta fare un minimo di attenzione. Dopotutto tu sai cosa piace a noi, no?
L'amico annuì e tornò ad osservare i regali ricevuti. - Non era necessario, io non... come faccio a ricambiare?
Il gruppetto rise della sua confusione, fu Ushas a rispondere con grande sorpresa di tutti. - Non devi farlo. Stiamo festeggiando te, i regali fanno parte della festa. A quanto ho capito da quello che ci ha spiegato Theta è ciò che fanno gli amici il giorno del compleanno per dimostrare al festeggiato la loro amicizia. È un giorno o una serata dedicata completamente a quella persona.
- E il festeggiato riceve in dono ciò che desidera. - concluse Koschei e vide gli altri annuire. Fece un sorriso e continuò: - Grazie, non credevo che mi sarebbe successa un cosa simile un giorno... sapete una cosa?
Tutti tacquero aspettando che continuasse.
- Avete presente ciò di cui abbiamo parlato stamattina? Sì, insomma... il fatto che ciò che dicono non sia vero?
Theta, Magnus e Drax annuirono seri, come mai tirava fuori quel discorso in quel momento?
Gli altri presenti si scambiarono un'occhiata complice: avevano indovinato, era successo qualcosa quella mattina e dall'aria stanca di Kos dovevano c'entrare i tamburi.

- Credo che mi piacerà farmi convincere... - scherzò e i tre scoppiarono a ridere.
- Signori e signore, - esclamò Magnus - Koschei Oakdown è tornato tra noi!

Il resto della serata trascorse senza intoppi, mangiando schifezze, scherzando e fantasticando sul futuro.

- Dobbiamo rubare un Tardis! - propose qualcuno a un certo punto. - Per scappare da Gallifrey e girare l'universo!
Il consenso fu generale e iniziarono a elencare i luoghi che avrebbero voluto visitare una volta usciti dall'Accademia, a fantasticare sul modo in cui avrebbero rubato il Tardis e sarebbero riusciti a oltrepassare la barriera di trasduzione senza l'imprimatur e il codice presidenziale.

Dopo aver discusso per ore dei luoghi che avrebbero voluto visitare, iniziarono a pensare al tempo. Alle epoche che avrebbero voluto vivere e scoprire, c'era così tanto da vedere...

- Sarà una bella impresa... qualsiasi Signore del Tempo che abbia provato a lasciare Gallifrey ha rischiato il completo fallimento... e in ogni caso quelli che ce l'hanno fatta non superano la decina.

- Oh andiamo, Vansell! - esclamò Millennia eccitata, l'idea di lasciare il pianeta e partire all'avventura sembrava entusiasmarla incredibilmente. - Noi non siamo “qualsiasi Signore del Tempo”! Noi siamo il Deca, possiamo fare qualsiasi cosa! Insieme possiamo conquistare lo spazio e sconfiggere Tempo e Morte. - concluse ridendo.

Ushas le diede una leggere spinta e sorrise. - Non portare sfortuna, Millennia.

Continuarono a immaginare ancora a lungo, dopotutto sognare non costava nulla e chissà che non ce l'avrebbero davvero fatta.




Nota:
Badger, così come l'episodio di Torvic, quello di Anzor, quello del Giocattolaio (Toymaker), che scoprirete più avanti, e ciò che Theta ha fatto con Morte, sono tutti presenti in libri e audio.

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Capitolo 3
*** 3 ***


 

3.


Drax bussò alla porta, spazientito. - Theta, apri!
- Sono impegnato!
- Impegnato?! Si può sapere cosa stai facendo lì dentro?!

- Sto costruendo un cacciavite sonico.
- Un... - non terminò nemmeno la frase ma proruppe in un sospiro di esasperazione. - Esci da lì, vuole solo conoscerti.

Un suono indistinto arrivò dall'interno della stanza chiusa.

Magnus brontolò qualcosa sull'aver paura di una ragazza e quando Koschei gli fece notare che anche lui aveva paura di Ushas anche se gli piaceva, il ragazzino dai capelli rossi rispose: - Ok, ma non credo che lei, - disse indicando la ragazzina accanto a Koschei che lanciava occhiate furtive verso la porta della loro stanza, visibilmente imbarazzata - passi il suo tempo libero a modificare ratti in laboratorio o fare altri esperimenti di dubbia sicurezza per tutto il pianeta.
- Ratti che hanno morso il presidente. - aggiunse Drax e Magnus sottolineò la frase indicando l'amico con un gesto della mano.

Koschei si tastò involontariamente una natica, si diceva che uno di quei ratti ne avesse preso un pezzo al presidente.

- Già. - disse tornando alla realtà. - Scusa, è molto imbranato e stupido quando vuole. - spiegò alla ragazza sempre più a disagio. Lei annuì in silenzio e tenne lo sguardo fissò a terra.

- Guarda che ti ho sentito! - rispose l'amico dall'interno della stanza.
- Fo... forse è meglio che vada. - balbettò lei pentendosi di aver fatto trasparire il suo interesse per quel bizzarro ragazzino. Era sicura che ora i suoi amici l'avrebbero presa in giro perché si era fatta avanti facendo una figuraccia. Girò i tacchi e scappò via.

Fu solo a quel punto che Theta finalmente uscì.

I tre amici lo guardarono come se si stessero trovando davanti a un completo idiota. - Sei un deficiente, lo sai? - fu l'osservazione di Koschei.
Theta si limitò a tirare fuori dalla tasca il suo cacciavite sonico, a far partire la lucina e il suono e a tornare in camera.

Gli altri si scambiarono un'occhiata esasperata e lo seguirono all'interno.

 

Theta ebbe presto modo di abituarsi a questo genere di attenzioni. Lui e Koschei entrarono negli Hot 5, Theta suonava il perigosto e Koschei, paradossalmente, i tamburi.

Si venne a creare un gruppetto di ammiratrici che non mancavano mai di andare ai concerti, di salutarli in modo ammiccante nei corridoi e esibirsi in strani “versi da femmine”, come li aveva definiti Vansell, ogni volta che li vedevano.

Non che la faccenda non avesse degli aspetti positivi... per gli altri: il fatto di essere loro amici era diventata un'ottima scusa per rimorchiare, Magnus e Koschei avevano iniziato una vera e propria gara per vedere chi riusciva conquistarne di più, gara che portava a situazioni imbarazzanti e asciugamani sulla maniglia della porta della camera da letto, o anche solo per divertirsi un po' alle spalle di certe esagitate.

Una sera, trovandosi praticamente a pochi metri dal palco, avevano avuto modo di osservare alcune ragazze dimenarsi e cercare di attirare l'attenzione dei loro amici.

Magnus aveva dato di gomito a Drax che aveva poi attirato l'attenzione del resto del gruppo.
- Quando avranno finito, Theta e Kos dovranno decisamente offrirci da bere, che non credano di cavarsela solo perché sono “famosi”. - disse il ragazzino dai capelli rossi enfatizzando in modo ironico l'ultima parola.

Le ragazze si accorsero della battuta. - Li conoscete? - chiese una di loro.
- Certo che li conosciamo. - rispose Vansell mentre il resto del gruppo annuiva.
Degli strani suoni vennero emessi dal gruppetto e i ragazzi si scambiarono un'occhiata incredula mentre Ushas e Millennia alzavano gli occhi al cielo e cercavano di non scoppiare a ridere.

- Come? - si fece avanti un'altra.
- Sono nostri amici. - chiarì Mortimus.
- E i nostri compagni di stanza. - aggiunse Drax indicando Magnus e se stesso.

Le ragazze sgranarono gli occhi incredule. - Ma quindi voi... voi siete il Deca.
Ushas alzò gli occhi al cielo: a quanto pareva questa storia del Deca si era diffusa in tutta l'Accademia.

I ragazzi sorrisero con un'espressione ammiccante e Rallon si beccò una gomitata da parte di Millennia.

L'effetto di quella rivelazione fu inaspettato: le ragazze fecero capannello attorno a loro e iniziarono a parlare e squittire simultaneamente, commentando su chi fosse il più carino.

Quando il concerto fu terminato e Theta e Koschei riuscirono a raggiungere nuovamente i loro amici, li trovarono circondati.

- Ma che diavolo... - Theta non fece in tempo a terminare la frase che le ragazze si accorsero della loro presenza e iniziarono a produrre versi che non avevano mai sentito provenire da una ragazza.

Gli urletti entusiasti erano accompagnati dalle espressioni compiaciute dei ragazzi che si atteggiavano e approfittavano del momento di gloria.

Dopo l'ennesima battutina squallida, Ushas e Millennia presero in mano la situazione: colpirono velocemente i ragazzi sulla nuca, li afferrarono per le maniche e li portarono via, vero le loro stanze.

La situazione a lungo andare si dimostrò però impossibile da sostenere perché venivano seguiti ovunque: a lezione, in dormitorio, in mensa, in cortile... e per questo presto cercarono di eclissarsi e tornare nell'anonimato.

Troppo tardi: una volta passata la loro fama di musicisti, ci pensò la loro fama da combinaguai a tenerli, loro e il Deca, al centro dell'attenzione.

 

- Theta, ti ho detto che ci sto provando. Se continui a saltellarmi attorno come una rana impazzita non riesco a concentrarmi.

Theta si bloccò di colpo e rimase a fissarlo, mentre l'amico cercava di riparare Badger: l'avatroide aveva iniziato ad avere problemi e lui si era offerto di dare un'occhiata.

Si era offerto... aveva accettato di dare un'occhiata dopo che Theta aveva passato l'ultima ora sospirando, lamentandosi e con la faccia da cane bastonato.

L'aveva preso per sfinimento.

Drax continuò a brontolare per un po', stava andando per tentativi ma ancora non era riuscito a individuare il problema. All'improvviso ebbe un'illuminazione e si batté una mano sulla fronte. - Ma certo! Il mio cervello è stupido!

Non diede tempo agli altri di chiedere a cosa si stesse riferendo perché si rimise subito al lavoro, concentratissimo.

- È stato il mio primo e unico amico reale fino a quando non ho conosciuto Koschei. - aveva mormorato zittendo Magnus quando quest'ultimo gli aveva chiesto per quale motivo non si fosse ancora liberato di quel robot, era quel “reale” a turbare gli amici: sapevano che prima di conoscere Koschei e loro non aveva amici, ma non riuscivano a fare a meno di provare un moto di compassione quando sentivano nominare Binker e Mandrake, quelli che erano stati gli amici immaginari di Theta da bambino.

Quando finalmente Badger dimostrò qualche tipo di risposta agli stimoli, Theta iniziò girargli attorno, troppo eccitato per rimanere fermo.

- Theta! - si limitò a brontolare Drax, esasperato. L'amico cercò di rimanere fermo ma il suo stato di nervosismo era visibile dal modo in cui spostava il peso da un piede all'altro e si torceva le mani.

Dopo una decina di minuti, Badger riprese a muoversi e a guardasi attorno.

- Ci sei riuscito! - esclamò Theta lanciandosi sull'avatroide peloso e abbracciandolo.

- Sì, alla fine non era nulla di che... - abbozzò un sorrisetto soddisfatto. Non aveva mai messo le mani su un avatroide, era andata bene.

 

- Ma dove va tutte le volte? - chiese Mortimus perplesso.

- Non lo sappiamo, non ce lo ha mai detto. - rispose Koschei alzando le spalle. - Tutti i giorni a quest'ora da qualche tempo a questa parte sparisce e torna qualche ora dopo senza dirci dove è stato e perché.

Il gruppetto guardò il punto in cui Theta era sparito poco prima. Un unico pensiero frullava nella mente di tutti e nove i ragazzini.

- Quindi andiamo? - fu di nuovo Mortimus a parlare e tutti annuirono.

Si incamminarono nella direzione verso la quale avevano visto sparire l'amico e iniziarono a seguirne le tracce.

Dopo un po' di tempo passato a camminare, giunsero alle pendici del monte che si trovava poco lontano dall'Accademia, dietro alla casa del loro amico. Sul fianco della montagna scorsero una grotta e decisero di andare a dare un'occhiata... scoprirono che il loro istinto non aveva sbagliato: Theta era lì in compagnia di un vecchio Signore del Tempo che gli stava raccontando qualcosa che gli altri non riuscirono a sentire.

I due si accorsero della presenza degli intrusi e Theta scattò in piedi. - Ragazzi! Che ci fate qui?

Rallon alzò le spalle. - Eravamo curiosi di vedere dove sparivi tutte le volte. - ammise candidamente.

Tutti annuirono e cominciarono a squadrare l'uomo davanti a loro. - Chi è? - chiese Ushas incuriosita dal bizzarro stile di vita della persona che aveva davanti.

- Lui è l'Eremita. Mi racconta un sacco di storie...

- K'anpo Rimpoche. - bisbigliò Jelpax attirando l'attenzione dei suoi amici.

- Come dici?
- K'anpo Rimpoche. - ripeté ad alta voce. - Era un membro dell'ordine religioso... è caduto in rovina.

L'Eremita sorrise e annuì. - Qualcuno è molto informato... ora mi limito a raccontare storie ai giovani Gallifreyani che hanno tempo e voglia di ascoltarle. Stavo giusto per iniziare a raccontare delle legioni di Sphinx, volete unirvi a noi? - chiese indicando lo spazio davanti a sé.

I ragazzi si scambiarono un'occhiata e si sedettero per terra incuriositi dalla storia che stava per essere narrata.

Avevano trovato un nuovo passatempo.
 

Drax entrò e iniziò a camminare nervosamente su e giù per la stanza. Sembrava fosse divorato da non si sa quale dubbio. Alla fine si bloccò e si decise a parlare. - Kos... è... è successa una cosa.
Stavo correggendo i parametri della Matrice in modo che non ricevesse più quei segnali dalla Terra, sai... e ho visto delle cose strane. Credo la Matrice si sia connessa ai satelliti di quel pianeta e ha registrato qualcosa che non appartiene al nostro presente ma al nostro futuro.
Theta si fa chiamare il Dottore e tu... tu stai sterminando la razza umana. Hai questi esseri... questi Toclafane. E hai fatto invecchiare il Dottore in modo che non potesse contrastarti.
Sei... sei completamente pazzo.
Non so cosa tu sia diventato... ma quello non era di certo il mio amico.

- Cosa? - sgranò gli occhi. - Ti devi essere sbagliato, probabilmente hai collegato male qualcosa o capito male, non potevo essere io. Non farei mai una cosa del genere, lo sai. Mai. Ci dev'essere un errore. - rispose nello stesso esatto momento in cui Magnus commentava il racconto con tono estremamente scettico. - Drax è impossibile che fosse Kos, dai. Impossibile.

- È quello che ho pensato anche io in un primo momento. - rispose l'altro. - Ho controllato e ricontrollato una decina di volte per essere sicuro di non aver sbagliato con gli allacciamenti e la programmazione... insomma, vuoi mettere farsi beccare perché sono stato così asino da non ricalibrare i parametri nel modo corretto? Sarebbe da novellini al primo anno di accademia! Ma ti giuro, Kos. L'uomo più vecchio veniva chiamato da tutti Dottore. Loro ti chiamavano Maestro ed eri molto diverso da ora ma... diavolo Kos, riconoscerei ognuno di voi tra mille. E faceva anche quella cosa del tamburellare le dita sul tavolo come fai tu quando i tamburi si fanno sentire di più. Avrei voluto scoprire di più, magari... magari... non lo so!
Magari nel frattempo è successo qualcosa o qualcun altro nell'universo si ritrovato con dei tamburi in testa ma il Dottore parlava con quel tipo come se lo conoscesse bene. Purtroppo non sono riuscito ad approfondire le mie ricerche perché per poco non venivo scoperto dal presidente. - annuì al commento di Magnus. - Lo so, vi sto solo dicendo ciò che ho visto... magari ha ragione Koschei e mi sono sbagliato.

Il ragazzo dai capelli scuri trattenne il respiro e deglutì. - Ok. D'accordo. E se volessi vederlo anche io? C'è un modo? Voglio vederei coi miei occhi di cosa parli. Non perché non mi fidi, è ovvio, ma... voglio vederlo. Per favore.

Theta annuì. - Anche io voglio vedere, Drax. Non ci credo. Kos non mi farebbe mai una cosa simile. Non importa cosa può succedere in futuro, è il mio migliore amico, lo conosco bene, non sterminerebbe mai un'intera razza. E se quello è un futuro anche solo lontanamente possibile farò tutto quello che posso per impedire che accada, siamo Signori del Tempo, piegheremo le leggi del tempo se questo sarà necessario.

Drax iniziò a non essere molto sicuro della sua decisione. Certo che poteva mostrare loro ciò che aveva visto, bastava instaurare un contatto telepatico, ma non credeva sarebbe stata una buona idea... non era stato affatto piacevole. - Ma magari sbaglio... non sarebbe male come esperienza, potrebbe essere divertente. - cercò di scherzare, nervoso.

Gli altri capirono il senso delle sue parole ma ormai erano decisi a scoprire la verità.

- Fallo, Drax. Non importa se non è piacevole, voglio riuscire a capire. Per favore. - terminò in un sussurro con tono quasi di supplica, vedendo l'indecisione dell'altro.

I tre amici si avvicinarono a lui e tesero le mani per toccarlo e avviare il collegamento telepatico ma lui si ritrasse con una smorfia. - Non...

Il gesto venne mal interpretato.

- Cosa? Che succede? - chiese Koschei, per poi rendersi conto di quale potesse essere il problema e passarsi una mano tra i capelli, ridendo nervosamente. - Non riesci per via dei tamburi?

L'amico cercò di ribattere ma venne preceduto da Theta che propose di fare da tramite: avrebbe dovuto mostrare ciò che aveva visto a lui e Magnus, Koschei si sarebbe collegato a lui in modo da poter vedere, sfruttando così la propria telepatica debole come una specie di connettore.

Tutti si trovarono d'accordo e lui sbuffò contrariato. - Ma cosa avete capito? Come se fosse la prima volta che capita di sentire i tamburi di Koschei...

- E allora qual è il problema? Parla, per Rassilon! - sbottò il diretto interessato, sospirò. - Scusa.

L'altro alzò un sopracciglio e scosse la testa, per nulla impressionato. - È solo che non credo proprio che sia il caso... - si diede per vinto e tese le mani. - Ok, iniziate il contatto.

I tre amici si collegarono e attesero che le immagini invadessero le loro menti.

Theta restò ad occhi spalancati, lo sguardo fisso nel vuoto, mentre guardava il suo migliore amico catturarlo, farlo invecchiare e distruggere l'unico pianeta che amava quasi quanto la sua casa.

L'altro nel frattempo osservava tutto ad occhi chiusi, i denti conficcati nel labbro inferiore mentre realizzava ciò che sta vedendo: era tutto vero, Drax aveva detto la verità, quello che stava guardando era un se stesso futuro. Riusciva a capirlo dal modo in cui parlava dei tamburi, chi altro avrebbe potuto conoscerli così bene? E quello che stava facendo era orribile.

Fu Drax stesso a interrompere la comunicazione. - Basta così, direi che è più che sufficiente. - ora più di prima si pentiva di aver anche solo accennato a ciò che aveva visto.

Koschei si stava tenendo la testa tra le mani e piangeva silenziosamente. - Perché? Perché? Cosa sono diventato? - continuava a ripetere.

Theta era troppo sotto shock per riuscire a dire qualcosa, lo sguardo incollato al pavimento, cercava di non piangere e di non pensare che tutto fino a quel momento fosse stato solo uno scherzo del fato.

Drax cercò di guardare i due amici negli occhi senza successo, mentre sentiva Magnus balbettare sconvolto: - Possiamo fare qualcosa. Dobbiamo fare qualcosa. Il futuro non è scritto.

- Ovviamente. - si limitò a rispondere. - Non possiamo lasciare che...

Venne interrotto da Koschei che li guardò, gli occhi arrossati. - Lo sapete benissimo che non è così. L'abbiamo visto, quindi succederà. Non sappiamo cosa ha scatenato tutto ciò, ergo non possiamo sapere come fermarlo. - rise senza allegria. - Ma sarà sicuramente colpa mia. Ovviamente. Mi avete visto. Come può non esserlo! - urlò sbattendo un pugno contro lo stipite della porta.

- Non dire idiozie. - si intromise Drax nuovamente. - Questa volta sono stato io a combinarla grossa. Non avrei dovuto parlarvene. Se me lo fossi tenuto per me a questo punto non ci staremmo nemmeno ponendo il problema.

- Deve esserci un modo. - si impuntò Magnus. - Il tempo non è inciso su pietra.

- Kos, io mi fido di te. - disse finalmente Theta. - So che non succederà. Lo so e basta. - stava mentendo e lo sapeva benissimo, ma non riusciva ad accettare ciò che aveva visto e capiva che non poteva lasciare solo il suo amico. Nonostante ciò che avevano visto lui era lì ora e la sola idea che accadesse ciò che avevano visto lo stava facendo stare male... come poteva trattarsi della stessa persona? Non sapendo cosa fare, si limitò ad abbracciarlo e a ripetere ciò che aveva detto. L'altro rimase immobile e lasciò che Theta lo stringesse a sé, continuando a piangere. - Theta mi dispiace. Mi dispiace così tanto. Lo sai che non... - non riuscì a terminare la frase e ricambiò l'abbraccio dell'amico.

- Lo so, Kos, lo so. - rispose senza mollare la presa. - Hanno ragione i nostri amici, troveremo sicuramente un modo per cambiare le cose. Non importa nulla quello che abbiamo visto, io so chi sei e so che non mi faresti mai del male di proposito.

- Certo che lo troveremo. Per una volta Magnus parla in modo sensato. E Theta ha ragione. Non esiste in questo universo e in nessuna delle realtà parallele che noi ci arrenderemo così. E non dovrai affrontare questa storia da solo. Troveremo una soluzione. Hai capito? - si spostò per essere sicuro che Koschei lo guardasse in faccia.

L'amico lo guardò, prendendo un respiro profondo e cercando di calmarsi. - D'accordo. Va bene. Ma credo che dovrei provarci da solo

I tre amici lo guardarono come se avesse appena detto che voleva provare a far ricrescere la chiappa del presidente.

- Certo. Da solo. Come no. - lo canzonò Drax mentre Magnus commentava: - Sicuro. Ti lasciamo andare da solo. Con chi credi di parlare?

Koschei si allontanò da Theta. - I tamburi sono un problema mio e devo risolverlo da solo. Voi avete già fatto troppo.

Theta scosse la testa. - Non importa, siamo amici quindi lo affronteremo insieme, serviamo anche a questo, no?

- Abbiamo fatto anche tr... Kos, ma ti senti quando parli? - l'esasperazione di Magnus sarebbe stata esilarante se non fosse stato un momento così tragico. - Siamo tuoi amici. E gli amici si aiutano a vicenda. Quindi poche storie. Veniamo con te e vediamo di trovare una soluzione.

Il diretto interessato scosse la testa e cercò di abbozzare un sorriso. - È solo che... non voglio deludervi. Insomma... lo sapete, è praticamente impossibile che... - deglutì a vuoto - che funzioni.

- Chi se ne importa delle probabilità, Kos. Troveremo un modo.

- Non lo sapremo mai se non ci proviamo, giusto? - sorrise Drax. - E poi nel caso vedessimo che qualcosa sta andando storto riusciremmo a fermarti prima che la situazione degeneri. E no. Non intendo nel senso drastico del termine. Specifico prima che a qualcuno vengano strane idee.

Theta cercò di suonare rassicurante, nonostante il forte turbamento. - Non dirlo neanche per scherzo. Hanno sempre detto che io non avrei mai frequentato l'Accademia e che ero solo uno scarto, che non avrei mai avuto degli amici. E dicevano lo stesso di te. Guarda dove siamo ora. Nulla è impossibile per noi.

- D'accordo. - si arrese. - Va bene, accetto il vostro aiuto, anche perché non mi lasciate possibilità di rifiuto. Però dovete promettermi una cosa.

Il preambolo non prometteva niente di buono, tutti e tre iniziarono a protestare.

Koschei ignorò le loro lamentele e continuò imperterrito. - Dovete promettermi che, se non riesce, si farà a modo mio. Risolverò io la situazione e coi miei metodi. Metodi che non vi devono interessare. Chiaro?

- Non posso prometterti una cosa simile, lo sai. - rispose Theta, nessuno dei metodi che gli venivano in mente gli piaceva.

- Metodi che non ci devono interessare?! - sbottò Drax. - Ma che diavolo stai dicendo?! Abbiamo appena visto una cosa che ci ha sconvolti tutti. Qualcosa che dobbiamo cercare di cambiare a tutti i costi. Tu sembri uno che è sul punto di avere un attacco di panico e ci vieni a dire che non deve interessarci?!

Koschei rivolse loro uno sguardo di supplica. - Lo so che vi preoccupate e che volete aiutare, ma dovete fidarvi di me, per favore.

Le lamentele proseguirono, ma riuscì a strappare loro una promessa a patto che non facesse mosse da martire, mentre Drax continuava a brontolare qualcosa sul fatto di dover imparare a tacere.

- Almeno ora che lo sappiamo possiamo provare a porre rimedio, no? E prometto che non farò mosse da martire. Andiamo, amo troppo la mia vita per uccidermi, no? - tentò di scherzare.

- Sì, perché non ti conosciamo, vero? Mi stai dicendo che quello che ho avvertito poco prima che tu rompessi il contatto non era disgusto, giusto? E che quindi ora non ti stai odiando. - sibilò Drax e abbassò la voce. - Non avremo lo stesso legame stretto che c'è tra te e Theta, non sono il tuo migliore amico, ma ti conosco da quanto? Da quando avevamo otto anni? L'odio è una sensazione molto forte, Koschei. Lo posso sentire ugualmente, specialmente se il collegamento mentale appena concluso è stato con me.

L'altro si irrigidì e lanciò un'occhiata a Theta prima di avvicinarsi a Drax. Parlò abbassando a sua volta la voce. - Lo so che l'hai sentito, e hai percepito benissimo. Tu non proveresti le stesse cose, al mio posto? Ho visto il me del futuro torturare il mio migliore amico, mentre lo implora di smettere, e sterminare un'intera razza aliena in nome dei tamburi. Mi sono visto completamente pazzo, ho visto praticamente il mio peggiore incubo avverarsi. E so che avverrà. E sento la paura di Theta, anche se non vuole. E ha ragione ad avere paura, lo so che si fida di me, ma quello che abbiamo visto? - deglutì e sospirò. - Drax, io mi fido di voi e seguirò i vostri consigli, ma se non funziona... ci penserò io. È il mio futuro, è un mio problema. Specie se comporta il far soffrire il mio migliore amico. - lo guardò, serio. - Capisci quello che voglio dire?

Drax annuì in silenzio sotto lo sguardo scrutatore di Theta. Non poteva sentire ciò di cui stavano parlando, ma non faticava ad immaginarlo e lo sguardo di Koschei non lo rassicurava affatto. - Mi dispiace. Ho i nervi a fior di pelle, non volevo perdere la calma, solo... ricordati che se avrai bisogno di noi, anche se avrai fatto cose che ti sembreranno irreparabili seguendo i "tuoi piani", - glie fece il verso - potrai comunque contare su di noi. Non sarà troppo tardi. Chiaro?

Koschei scosse la testa. - Siamo tutti nervosi. E grazie, spero solo che vada tutto e bene di non dover... arrivare all'estremo. Cioè... - si bloccò rendendosi conto di come potevano suonare le sue parole - di non dover utilizzare i miei piani. Ma non ce ne sarò bisogno. - sorrise.

- All'estremo, - scosse la testa l'altro - vediamo di non arrivarci proprio a quel punto.

Theta si avvicinò, interrompendo il discorso, lo sguardo basso, visibilmente turbato e a disagio da tutto ciò che era successo quella sera. - Lo so che non è il momento di chiedere, è già stata una serata... difficile per tutti, ma non posso fare a meno di domandarmi una cosa. Abbiamo visto tutti ciò che stava facendo Koschei nel futuro... ma voi dove eravate? Perché tu e Magnus non eravate lì ad aiutarci? Hai visto anche questo? Perché se è così devi dircelo...

Le parole dell'amico non volevano essere un'accusa, ma Drax non poté fare a meno di sentirsi a disagio: aveva ragione? Dove erano finiti loro due mentre succedeva il finimondo?

Scosse la testa. - Non lo so. Questo non l'ho visto... e sinceramente non ho nessuna voglia di tornare là per scoprirlo. Magari non avendolo visto non determineremo quella parte di futuro e in qualche modo riusciremo ad essere presenti.

Magnus storse il naso. - Oh gioia... non sono sicuro di voler sapere che fine abbiamo fatto.

Koschei cercò di essere positivo, proponendo che magari erano in missione per conto del presidente o qualcosa di simile, ma nessuno ne era davvero convinto, sapevano bene che non se ne sarebbero rimasti con le mani in mano se avessero saputo cosa stava succedendo.

Provarono però a convincersene, l'alternativa non era affatto confortante e non avevano bisogno di altre preoccupazioni quella sera. Inoltre, oltre alle proprie, erano in grado di sentire quelle degli altri presenti, a causa della mente alveare, e questo accresceva il senso di impotenza.

Theta espresse il desiderio di non aver mai scoperto tutto questo, non saper cosa fare e non essere in grado di condividere completamente ciò che provavano i suoi amici a causa della sua debole telepatia lo faceva sentire incredibilmente inutile.

Gli altri, percependo questo stato d'animo, cercarono di tirarlo su di morale con battute poco convinte sul fatto che, quando avrebbe recuperato il divario tra loro, avrebbe rimpianto i momenti di silenzio e isolamento dalla mente alveare.

- E a quel punto inizierai a invidiare i miei capelli rossi, li vorrai anche tu per essere in grado di isolarti. - cercò di scherzare Magnus poco convinto.

- Anche io lo vorrei. - aggiunse Koschei. - Non sai quanto. Non riesco nemmeno a pensare, a riflettere, come... - si bloccò, cercando di riprendere fiato e di trattenere le lacrime di nervosismo. Cercò di sorridere, non riusciva più a mantenere la facciata di tranquillità e decisione sbandierata poco prima, mentre difendeva la propria libertà di scelta. - Andrà tutto bene. Deve. Non posso permettere che accada... quello. Non voglio diventare così. - si scoprì a tremare, era terrorizzato ma cercò di darsi un contegno, si allontanò dal gruppetto di un paio di passi e prese un respiro profondo. - Va tutto bene.

- Kos, te lo abbiamo detto. Troveremo una soluzione, non ti preoccupare. - rispose Magnus. L'amico gli rivolse uno sguardo implorante. - Non puoi garantirlo. E lo sai. - trattenne un gemito di dolore, i tamburi cominciavano a farsi sentire. Si inginocchiò, prendendosi la testa tra le mani. - Non fate promesse che non potete mantenere.

- Oppure, - continuò il ragazzo dai capelli rossi - vedila così. Dovesse davvero succedere qualcosa e tu dovessi davvero impazzire fino a quel punto, io e Drax verremo a prenderti a sberle finché non ti sarai ripreso. Ti piace questo piano?

Koschei alzò lo sguardo su Magnus e cercò di sorridere, ma i tamburi aumentarono e lui chinò la testa, lasciandosi sfuggire un gemito di dolore.

Drax si inginocchiò accanto a lui, mettendogli un braccio attorno alle spalle, subito seguito da Magnus che gli sfiorò un braccio con una mano. - È tutto a posto, - disse l'amico - siamo qui. Vedrai che ne usciremo.

Theta, intanto, non staccava gli occhi di dosso dal suo migliore amico, non gli piaceva affatto vederlo in quello stato, avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarlo, per portare via il dolore... ma non poteva. Si limitò a rivolgergli parole di incoraggiamento e a cercare di calmarlo.

- Fanno male, - continuò l'altro - peggiorano sempre di più. Non voglio che mi facciano diventare un mostro. Non voglio fare del male a Theta, non voglio. - disse dondolando e continuando a piangere, cercando di ignorare i tamburi.

- Magnus. - si limitò a dire Drax rivolgendo uno sguardo d'intesa all'amico che si avvicinò ulteriormente a Koschei e gli prese il viso tra le mani, appoggiando la propria fronte contro la propria. - Ora li mandiamo via, ok? - disse più per abitudine che per vera informazione. Lo avevano fatte volte ormai, aveva imparato come isolarlo dalla mente alveare e attenuare i tamburi... la prima volta che aveva dovuto farlo avevano dodici anni, ormai non era più un procedimento così strano per loro, era capitato altre volte: durante le pause, durante la notte...

Theta fissava Magnus, speranzoso che anche questa volta avrebbe funzionato. Magari una volta che si fosse sentito meglio, l'amico si sarebbe tolto dalla testa certi propositi autodistruttivi...

Ci volle qualche minuto perché Magnus avesse la meglio, raramente li aveva sentiti così forti, non si stupiva che l'amico stesse male. Finalmente ebbe la meglio e lo lasciò andare. - Meglio?

Theta e Drax osservavano in silenzio, in attesa. Koschei riuscì a fare un sorriso sbiadito e si alzò in piedi, barcollando un po'. - Molto meglio, grazie. - chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, beandosi di quello che avrebbe potuto quasi definire silenzio. Li riaprì e guardò gli altri, sentendosi osservato. - Scusatemi, non volevo che assisteste a questo. Ora va meglio.

Theta sorrise e scosse la testa. - Come se fosse stata la prima volta. È da un po' che lo facciamo, no? - rispose felice, abbracciando l'amico all'improvviso che, spossato da ciò che era appena successo, non si mosse nemmeno e lo lasciò fare.

Anche Magnus si rialzò lentamente, affaticato dal procedimento. - Figurati. - rispose - Ormai ci abbiamo preso la mano. - ridacchiò. - E comunque non c'è bisogno di scusarsi, sappiamo che può succedere. Sono anni che usiamo questo trucchetto, no?
L'amico annuì, avevano ragione, da quando lo avevano trovato rannicchiato a letto anni prima e avevano scoperto il modo per attenuare i tamburi, lo avevano fatto tutte le volte che era stato necessario. Questo però gli permetteva comunque di avvertire un certo disagio, anche se era loro grato.

Drax rise sollevato per la prima volta dall'inizio di quella serata. - Ora proporrei di andarcene a dormire. Anche perché voi due, - disse indicando Magnus e Koschei - sembrata due stracci.

La proposta venne accolta senza obiezioni e con qualche battuta da parte dei ragazzi che, in parte sollevati e determinati a fingere almeno per pochi istanti che tutto fosse sotto controllo, si lasciarono cadere sui rispettivi letti. Collassarono tutti quanti pochi istanti dopo essersi scambiati la buonanotte.

 

I giorni seguenti sembrarono passare in tutta tranquillità, solo chi li avesse conosciuti davvero bene si sarebbe accorto che qualcosa non andava... e fu per questo che gli altri membri del Deca iniziarono a preoccuparsi.

Incuranti dei sospetti che stavano destando, i quattro amici continuarono apparentemente con la loro vita di tutti i giorni, ma le immagini di ciò che avevano visto non li abbandonavano mai... passavano intere giornate ad arrovellarsi per trovare una soluzione.

Un giorno Magnus e Drax si trovarono prima dell'arrivo di Theta e Koschei e iniziarono a discutere senza di loro.

- Ti è venuto in mente qualcosa? - chiese lo scienziato. L'amico scosse la testa scoraggiato. - Nulla, mi sembra di andare sempre a cacciarmi in un vicolo cieco... Jelpax ha detto di aver assistito a tutta la nostra conversazione dalla sua postazione in biblioteca, ha cancellato tutte le registrazioni in modo che non finissimo nei guai... e mi ha detto altro.

Magnus si guardò attorno sperando che non arrivasse nessuno. - Ricordi i dati di quel Tardis qualche giorno fa? Quello che si è collegato a quel paradosso nel futuro mentre ci stavamo lavorando?

L'altro annuì.

- Beh, riportava la data e il luogo di quel momento, no? Anche se Koschei non riesce a ricordare. Probabilmente il suo sé futuro gli ha cancellato la memoria per qualche motivo...

Drax annuì nuovamente, non capendo dove volesse andare a parare l'amico.

- Jelpax mi ha detto che ha visto dei filmati che ha già provveduto a cancellare... riprendevano Theta che parlava con un uomo uscito da un Tardis, aveva la forma di una strana cabina blu...

- Stai dicendo che ha incontrato il suo sé futuro? Anche Theta?
L'altro annuì con un cenno del capo. - Sì, dallo stesso periodo in cui è finito Koschei, a quanto pare. Lo stesso che abbiamo visto noi. Nemmeno lui ricorda.

- Stesso periodo? - Drax imprecò a mezza voce, passandosi una mano fra i capelli. - È assurdo. Troppe coincidenze. Ci deve essere qualcosa che non va...

- Il problema più immediato - lo interruppe l'amico prima che lui iniziasse a pontificare su cause improbabili di paradossi ancora più improbabili - è che ora, oltre ad averlo visto, loro hanno incontrato anche i loro corrispettivi e...

- E si è creato un punto fisso. Lo so. - concluse Drax mordendosi un labbro.

- Quindi è stato tutto inutile. - brontolò Magnus. - Siamo destinati a fallire.

L'altro alzò un sopracciglio e scrollò le spalle. - Vuoi darti per vinto?
- Cos... no! Certo che no!
L'amico sembrò meditarci un attimo su. - A questo punto, visto che evitarlo è quasi impossibile dal momento che hanno incontrato le loro versioni future, è inutile che continuino ad arrovellarsi e a passare notti insonni per cercare un'alternativa... sarebbe una perdita di tempo, nonché deleterio per tutti quanti.

Magnus annuì. - Potrebbero peggiorare la situazione. Cosa proponi di fare?

Drax deglutì, ciò che gli era venuto in mente non gli piaceva affatto, ma non vedeva altro modo per mettere fine alle preoccupazioni degli amici: se quello era davvero il destino, allora non era giusto che rovinassero la parte felice della loro vita pensando a cosa sarebbe potuto succedere. Dallo sguardo di Magnus capì che anche lui pensava lo stesso. - Ci sei arrivato anche tu, vero?

L'altro annuì. - Dobbiamo farlo.

 

Si misero all'opera quella notte stessa. Il lavoro fu semplificato dal fatto che i loro due amici, quella notte come altre notti precedenti dopo quella visione, si ritrovarono a fare incubi che li fecero agitare e gemere nel sonno. Doveva davvero finire.

Magnus e Drax si avvicinarono a loro due, cercando di non fare movimenti bruschi per non svegliarli, si collegarono alle loro menti e, con un colpo netto e preciso, cancellarono ogni ricordo di ciò che Drax aveva mostrato loro qualche giorno prima.

I due amici si scambiarono uno sguardo carico di senso di colpa, ma ormai lo avevano fatto e vedere i volti di Theta e Koschei finalmente tranquilli dopo giorni e giorni fu un incentivo sufficiente a mettere da parte gli scrupoli residui.

 

- E ora? - chiese Drax.

- Ce ne torniamo a dormire. - rispose l'altro. - Mettiamo a tacere la nostra coscienza, nascondiamo i ricordi nell'angolo più remoto della nostra mente e li teniamo d'occhio.

- E cerchiamo di non morire. - concluse l'amico.

- E cerchiamo di non morire. - confermò lui. - Anche perché non saremmo molto utili da morti.

Il giorno dopo ebbero la conferma che il loro intervento aveva funzionato. L'unico commento semiserio che ci fu in tutta la giornata fu qualcosa riguardo al voler soffocare un professore con un cuscino.





Nota.
- Gli Hot 5 erano effettivamente un gruppo di cui il Dottore e il Maestro hanno fatto parte: il racconto di altre avventure del Deca potete trovarlo qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2944717&i=1
- Il Perigosto è una specie di bastone con una pallina su una sommità... non chiedetemi come sia possibile suonarlo.
- K'anpo Rimpoche è presente anche in alcuni episodi classici.

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Capitolo 4
*** 4 ***


4.


- Tardis! Tardis! Tardis! - gli strilli acuti di Millennia perforarono i timpani di mezzo Deca, l'altra metà si era salvata solo grazie al fatto che, avendo già fatto la lezione di guida, si erano sdraiati poco lontano.

L'istruttore si lasciò sfuggire un sorrisetto divertito, l'entusiasmo di alcuni studenti era sempre uno spettacolo.

Millennia, Ushas, Theta, Koschei e Magnus salirono a bordo del Tardis, era il loro turno. Il resto del gruppo sarebbe rimasto ad aspettarli.

La domanda di Theta sul perché il loro compagno di stanza non avesse fatto la lezione con loro invece che fare cambio con Millennia ricevette un'alzata di spalle come unica risposta.

Pilotare si dimostrò più semplice del previsto e tutti, a turni, ebbero modo di gestire i comandi principali.

Il vero dramma fu quando toccò a Theta. In quel momento capirono perché Drax aveva insistito per fare cambio con Millennia, avevano realizzato solo in quel momento che, dovendo fare a turni, anche Theta avrebbe dovuto guidare.

Iniziarono a recitare scongiuri e si poterono distintamente sentire Koschei e Magnus dire qualcosa come “Non voglio morire” e “Dove sono le cinture di sicurezza?”.

Millennia e Ushas erano già pronte a compatire l'amico ma Theta non si dimostrò il disastro che tutti temevano, era stato abbastanza abile, diversamente dalle altre materie dell'Accademia, questo sembrava interessargli particolarmente e quindi non fece danni.

Questo non impedì ai suoi amici di ringraziare ogni divinità conosciuta nell'universo e di provare il desiderio di baciare la terra su cui camminavano una volta che furono atterrati e ebbero messo piede fuori dal Tardis.

 

Gli anni passarono e Theta si dimostrò un pericolo pubblico alla guida del Tardis... non tanto perché non fosse in grado di guidare, ma perché si divertiva a lasciar alla nave l'iniziativa, permettendogli di portarlo dove preferiva.

Data la loro fama di combinaguai, il Deca non si preoccupava eccessivamente di cosa avrebbero potuto fare loro se li avessero scoperti in certi frangenti... che fossero essi raccogliere noci allucinogene, giocare a Eighth Man Bound, Sepulchasm o al Gioco del perigosto, scalare il Monte Cadon o provocare il presidente.

 

Doveva essere solo una favola come molte altre. Nelle banche dati dei Signori del Tempo veniva descritto come una leggenda vaga e lontana... quando Jelpax aveva rivelato loro quelle informazioni sugli Antichi, erano sicuri che, anche se si fossero avventurati alla ricerca di uno di loro, non li avrebbero di certo trovati.

E allora perché partire?

Per il piacere di farlo, ovvio. Non aspettavano altro che il pretesto per rubare un Tardis e partire all'avventura, vera o fittizia che fosse.

Non tutto il Deca partì, sarebbe stato incredibilmente sospetto.

Decisero di andare a cercare il Giocattolaio, uno degli Antichi, e la sua Stanza dei Giochi.

Gli unici a lasciare il pianeta furono Theta, Rallon e Millennia. Gli altri si misero all'opera per fornire loro le coordinate, il Tardis e tutto ciò di cui avrebbero avuto bisogno... compreso l'imprimatur.

Partirono Theta, Rallon e Millennia.

Tornò solo Theta.

Come il gruppo scoprì in seguito, i loro tre amici avevano trovato il Giocattolaio in stato dormiente, privo di corpo fisico, ma, non appena erano arrivati, aveva preso possesso del corpo di Rallon e reso Millennia uno dei suoi giocattoli viventi. Il Dottore riuscì a sconfiggerlo al suo gioco e il Giocattolaio gli permise di andarsene incolume, sapendo che, con il tempo, sarebbe diventato un avversario ancora più stimolante.

Ma questo non potevano saperlo.

La prima cosa detta loro fu che erano stati scoperti e che il viaggio dei loro amici non era andato a buon fine.

I sette amici passarono la giornata con il cuore in gola, preoccupati per ciò che poteva essere successo. Più ci pensavano, più le opzioni si facevano inquietanti, così smisero di pensare.

I professori non dicevano loro nulla di più di ciò che avevano già detto, probabilmente ritenevano che la loro ansia fosse parte della loro punizione.

E ora erano lì. Tutti e sette immobili e in attesa davanti al punto in cui sarebbe dovuto apparire il Tardis.

Non si chiesero come avessero fatto a scoprirli.

Non si chiesero come fosse stato possibile che qualcosa che sapevano solo loro e che avevano orchestrato nei minimi dettagli fosse trapelato.

Non era mai successo prima quindi non dubitarono, erano troppo sconvolti per farlo, non erano abituati a farlo.

Rimasero a guardare, lo stomaco stretto in una morsa, mentre il Tardis ricompariva davanti a loro e le sue porte si aprivano, facendo uscire Theta... e nessun altro.

Attesero qualche istante, dov'erano Rallon e Millennia?

Spostarono lo sguardo su Theta con espressioni interrogative ma l'amico non li stava guardando.

Aveva sperato di trovare solo loro ad attenderlo, solo lui sapeva quanto avesse bisogno di poter raccontare loro tutto quanto era successo, spiegare ciò che aveva visto e cercare di farsi capire.

Sapeva che si sarebbero arrabbiati, che sarebbero stati furiosi, ma sperava che avrebbero capito e fossero riusciti a perdonarlo... o almeno a portargli un minimo di conforto.

Quando però si era reso conto che il Tardis non stava più seguendo la rotta da lui stabilita ma una imposta dall'esterno, aveva capito che erano stati scoperti... la situazione che gli si sarebbe presentata davanti sarebbe stata molto diversa da quella immaginata. Che cosa aveva raccontato ai suoi amici?

Uscendo dal Tardis non era riuscito ad alzare lo sguardo su di loro anche se sapeva bene che lo stavano osservando in cerca di risposte.

Gli vennero fatte molte domande e fu solo in quel modo che il Deca scoprì ciò che era successo. Un paio di loro restarono impietriti, altri lasciarono la stanza, non disposti ad ascoltare una parola di più.

 

I giorni seguenti non migliorarono la situazione. Theta si trovò isolato dal resto del gruppo che, dal canto suo, non passava insieme più del tempo necessario dovuto alle lezioni in comune o alla condivisione della camera.

Erano consapevoli che in parte la colpa era anche loro, anzi, non solo in parte: la colpa era da distribuirsi equamente tra loro dal momento che, ognuno in modo diverso, aveva contribuito alla riuscita di quel viaggio, ma non riuscivano a riavvicinarsi come avrebbero dovuto.

Forse era proprio questa consapevolezza a dividerli ancora di più.

Ushas divenne ancora più chiusa e scontrosa del solito, aveva perso la sua compagna di stanza e la cosa più simile a una migliore amica che avesse mai avuto. Si rifugiava nei suoi esperimenti come se contenessero il segreto della vita stessa... o semplicemente riuscissero ad alienarla dalla realtà.

Jelpax aveva costantemente il naso immerso nei libri e lasciava la biblioteca solo per l'ora dei pasti. Era stato lui a fornire le coordinate per raggiungere il Giocattolaio, avrebbe dato qualsiasi cosa per non averlo mai nemmeno nominato.

Magnus si allenava. Sempre. Sembrava stesse cercando di prepararsi a una guerra imminente.

Drax si era chiuso in laboratorio. Ne usciva sporco dalla testa ai piedi a notte fonda, senza far rumore e senza parlare.

Mortimus si era isolato completamente dal gruppo, come tutti ormai, e Koschei si era chiuso nel mutismo più assoluto.

E Theta... Theta si dava la colpa di ciò che era successo.

Se non avesse convinto Rallon e Millennia a partire sarebbero stati ancora vivi, ancora con loro.

Se fosse stato più abile, più preparato, più... più, non sarebbero caduti nella mani del Giocattolaio. Avrebbe tanto voluto poter parlare con gli altri ma vedeva la loro rabbia, la loro disperazione, il loro dolore e non poteva fare a meno di pensare che parte di esse fosse colpa sua.

Aveva provato a parlare con Koschei ma non aveva ottenuto nessun tipo di reazione, l'amico era troppo furioso: gli aveva detto di non andare, che sarebbe stato pericoloso, ma non l'aveva voluto ascoltare, quindi perché avrebbe dovuto parlare ora?

Il tempo passò, il Deca venne messo sotto interrogatorio. Volevano un nome.

Volevano sapere di chi era stata l'iniziativa, chi avesse avuto l'idea.

Se avessero parlato, gli altri sarebbero stati risparmiati, solo il diretto responsabile avrebbe pagato.

Nessuno di loro aprì bocca.

Erano arrabbiati, certo. Si sentivano responsabili di ciò che era accaduto e sapevano che la colpa era in parte loro, quindi non avrebbero parlato.

Se doveva esserci una condanna, allora tutti loro la meritavano.

Non erano più bambini, erano giovani uomini ormai, vicino al raggiungimento del titolo di Signori del Tempo, non potevano scappare dalle loro responsabilità per rintanarsi in un angolo a piangere.

Era questo il bello del Deca: nonostante le loro differenze, in fondo erano tutti amici. Buoni amici. Leali fino alla fine.

Per questi motivi, tutti si stupirono quando fu detto loro che Theta sarebbe stato l'unico a essere sottoposto a processo.

- Cosa?! Perché? - esclamò Koschei, non riuscendo più a restare impassibile, non li aveva ascoltati, certo, ma era innegabile che la colpa fosse di tutti loro.

- È stato fatto il suo nome.
- Balle! - sbraitò Mortimus con una veemenza che stupì tutti quanti, seguito a ruota da Jelpax. - Nessuno di noi ha mai detto nulla.

- Ne siete sicuri? - chiese uno dei consiglieri lì presenti, instillando per la prima volta il dubbio.

Che domanda era? Certo che ne erano sicuri. Avevano promesso di essere sempre dalla parte gli uni degli altri, non importava cosa fosse successo. Nessuno di loro avrebbe mai tradito la parola data...

Fu in quel momento che capirono.

Qualcuno aveva davvero vuotato il sacco, come avrebbero fatto, altrimenti, a sapere quando Theta sarebbe tornato su Gallifrey.

Solo loro ne erano a conoscenza.

Tutti quanti si girarono nella direzione di Vansell, gli occhi sgranati.

Koschei, Magnus e Drax non avrebbero mai parlato, mai. Avevano passato talmente tanto tempo insieme che la sola idea di denunciare uno di loro quattro era inconcepibile.

Jelpax e Mortimus... non era nella loro indole, erano tranquilli, certo, ma anche loro avevano sempre preso parte alle loro avventure, portando i loro talenti unici e le loro informazioni preziose. Informazioni che più di una volta erano state fondamentali nelle riuscite dei loro piani.

Ushas non era tipo da fare la spia, non era particolarmente espansiva o affabile, ma era leale, su questo non c'era dubbio.

L'unica opzione rimasta era...

- Tu. - la parola fu pronunciata quasi come un insulto da Magnus mentre il diretto interessato inarcava un sopracciglio. - Sei stato tu. Vansell, come hai potuto?

L'altro scrollò le spalle. - La decisione di partire è stata sua.

Tutti sbiancarono alla conferma dei loro sospetti.

- Tutti abbiamo partecipato in ugual misura. Siamo tutti responsabili, Vansell. - sibilò Drax. - Avevamo giurato.

- Giurato? Giurato cosa? Di provocare la morte di due dei nostri amici? Di finire in prigione a causa di Theta? - scosse la testa. - Sono promesse da bambini, fatta da dei bambini.

- Traditore. - sibilò una voce femminile, mentre Vansell lasciava la stanza senza battere ciglio.

- Ognuno di voi tornerà alla propria casa fino a nuovo ordine. Non potrete avvicinarvi all'Accademia senza che vi venga espressamente richiesto e dovrete restare lontani dall'aula del processo.

Le guardie afferrarono Theta tra le proteste degli altri membri del Deca, impossibilitati però a intervenire dalla presenza dei soldati.

L'amico non ebbe nessun tipo di reazione, si fece portare via senza dimostrare nessun tipo di emozione.

 

- Vansell! - il ragazzo si voltò, sentendo urlare il suo nome.

Non fece in tempo a realizzare ciò che stava accadendo che Koschei lo colpì con un pugno in pieno volto, seguito da un altro e un altro ancora.

Subito dopo di lui arrivarono Mortimus, Jelpax, Drax, Ushas e Magnus, restarono lì, immobili, a guardare l'amico sfogare la sua rabbia su quello che era stato uno di loro. Nessuno di loro mosse un dito per fermarlo.

Anche se avessero voluto non avrebbero potuto.

E non volevano.

A causa dell'orario e del luogo appartato, nessuno si accorse di cosa stava succedendo e anche se così fosse stato, tutti erano venuti a sapere cos'era successo, non avrebbero mai cercato di mettersi in mezzo alle questioni del Deca, non in quel frangente.

 

Dopo questo episodio, ognuno tornò alle proprie occupazioni. L'idea di non poter fare nulla per porre rimedio e il senso di colpa per la morte dei loro amici non permetteva loro di spendere tempo insieme come avrebbero voluto.

Le poche volte che ci avevano provato si erano limitati a discutere, riuscirono però a mettere a punto un piano, frustrati dall'impossibilità di non poter prendere parte al processo.

Non volevano lasciare da solo Theta, ma non potevano entrare tutti e sei. Almeno due di loro, però, ce l'avrebbero fatta.

Gli unici presenti al processo di Theta furono Vansell, chiamato come testimone e lì per conto della CIA, Jelpax, che era riuscito a intrufolarsi con la scusa di dover stendere il verbale, e Magnus, nascosto tra la folla che cercava di passare inosservato dopo essersi fatto notare da Theta.

Il verdetto fu chiaro: espulso dall'Accademia. Ci furono altri momenti per il Deca, altre avventure, ma non erano più al completo: Vansell li aveva traditi, Rallon e Millennia erano morti, Mortimus e Drax avevano lasciato il pianeta uno dopo l'altro prima ancora che l'espulsione di Theta venisse ufficializzata.

Con l'andare del tempo il Deca si sciolse e ognuno andò per la propria strada.

Nemmeno il rapporto tra Theta e Koschei fu più lo stesso: avevano ricominciato a parlarsi, certo, ma erano distanti. Sembrava che fra loro fosse sorto un muro invalicabile, impossibile da scavalcare o abbattere.

La consapevolezza giunse, almeno da parte di Koschei, una notte in cui si svegliò per il dolore, la testa che pulsava, i tamburi che martellavano come se volessero liberarsi e uscire dalla sua testa.

Il dolore era insopportabile, ma sapeva che presto sarebbe finito e attese.

Attese, ma non lo sentì diminuire.

Quando il dolore lo ebbe svegliato del tutto capì: non lo avrebbero aiutato, non questa volta.

Non si trovava nella sua stanza, all'Accademia, con i suoi amici addormentati poco distanti da lui, pronti ad aiutarlo nel caso i tamburi fossero diventati troppo forti.

Era a casa Oakdown. Lì nessuno sarebbe arrivato nessuno per dargli conforto.

Lì non c'era Magnus in grado di attenuarli, Theta pronto ad abbracciarlo e a ripetere che si sarebbe tutto sistemato o Drax che cercava di allentare la tensione con battute stupide.

Era solo.

Solamente in quel momento si rese davvero conto di quanto avesse fatto affidamento sui suoi tre amici in passato.

Sono rimasto solo. Alla fine non è cambiato nulla. Anche loro non ci sono più. Fu l'unica cosa che riuscì a pensare prima che i tamburi prendessero il sopravvento sui suoi pensieri e non gli permettessero altro che raggomitolarsi tra le coperte, la testa fra le mani, e iniziare a piangere.

 

La consapevolezza per Theta giunse più lentamente e gradatamente. Iniziò quando Koschei, che non aveva visto per lungo tempo, gli disse che ormai “Koschei” non esisteva più, era morto, e che ora esisteva solo il Maestro. Un'altra prova giunse dai molteplici incontri che ebbero, anche dopo aver lasciato Gallifrey, nei quali si incontrarono da nemici.

Incontrò anche Magnus e Ushas, il primo si faceva ormai chiamare il Signore della Guerra e il Dottore, così ormai Theta si faceva chiamare, alla fine lo aveva visto morire, una morte causata in parte da lui stesso; la seconda, che aveva cambiato il proprio nome in Rani, era diventata una Signora del Tempo rinnegata per i suoi folli esperimenti e la rivide anche in compagnia e come alleata del Maestro.

Gli capitò di incontrare anche Mortimus, il Monaco, e quasi non si stupì di scoprire che anche lui aveva iniziato affari non propriamente leciti, e Drax. Drax, dopo un periodo passato in prigione sulla Terra per aver rubato ciò di cui aveva bisogno per riparare il proprio Tardis, era stato catturato dall'Ombra, agente del Guardiano Nero, che lo aveva portato su Zeos affinché creasse e si occupasse di Mentalis, un computer che ingaggiò una guerra con Atrios e che lo devastò. Il Dottore riuscì a portare il vecchio amico dalla propria parte per sconfiggere l'Ombra e Drax decise di restare su Atrios per aiutare a ricostruire il pianeta.

Non lo rivide più.

 

Ebbe modo di incontrare il Maestro ancora e ancora sulla Terra, sembrava che, nonostante la loro amicizia fosse andata perduta, restasse un qualche tipo di legame contorto che li portava a scontrarsi ogni volta. Divennero nemici.

Il Dottore vide il suo migliore amico trasformarsi nel suo peggior nemico e si vide fare un patto con Morte affinché lo privasse della sua identità, facendolo diventare umano per dieci anni, quando Morte presentò il conto però, il Dottore iniziò a nutrire dei dubbi: aveva avuto modo di parlare con questo “umano”, gli ricordava ciò che era stato... e fu in quel frangente che entrambi scoprirono la verità, un evento che era ormai sepolto nella loro memoria, tornò in superficie nella sua vera forma: era stato il Dottore a uccidere Torvic, non il Maestro, come entrambi invece ricordavano, e il Dottore aveva fatto un patto con Morte in modo che il suo campione diventasse il Maestro, Koschei.

La rivelazione lo lasciò senza fiato, non poteva essere... come aveva potuto fare una cosa simile? Come aveva potuto dimenticare come erano andati realmente i fatti? Come aveva potuto vendere il suo migliore amico a quel modo?

Inaspettatamente il Maestro, o meglio John Smith, questo era il nome dell'uomo che era diventato, lo perdonò.

Non gli faceva una colpa di ciò che era accaduto. Era un bambino, era normale che si fosse lasciato prendere dal panico, questa era la sua risposta. E poi, aveva continuato, anche lui non era esente da colpe.

Al Dottore sembrò di aver ritrovato il suo migliore amico, supplicò Morte di fare un altro patto, di non renderlo di nuovo suo schiavo, ma fu tutto inutile: quando incontrò di nuovo il Maestro, molti secoli dopo, incontrò di nuovo un nemico.

 

Il tempo continuò a scorrere.

Il Dottore continuò a cercare di salvare vite, pianeti, lo stesso universo. Continuò a viaggiare nel tempo e nello spazio, portando con sé di volta in volta sempre nuovi compagni, vedendoli però inevitabilmente lasciarlo o fare una fine tragica.

Alcuni di loro giunsero persino a odiarlo.

Poi arrivò la guerra.

L'Ultima Grande Guerra del Tempo. E tutti i Signori del Tempo, rinnegati e non, vennero richiamati a Gallifrey per combattere. I Dalek avevano attaccato il pianeta, tutti dovevano accorrere per portare il loro contributo.

Il Dottore rispose alla chiamata, cambiò se stesso, la sua stessa natura, smise di farsi chiamare Dottore e divenne un soldato.

Un soldato come tanti che combatteva nel disperato tentativo di salvare il proprio pianeta.

Molti Signori del Tempo vennero tessuti già adulti durante quella guerra, milioni morirono. Le perdite furono enormi e le conseguenze di ripercossero su tutta la popolazione: il dolore e la disperazione erano troppi anche per la loro razza, la guerra sembrava non avere fine e anche i morti erano stati richiamati dalle tombe e ritessuti prima del tempo per combattere.

Il Dottore li vide, i suoi vecchi amici. Anche loro erano stati richiamati al fronte e avevano risposto alla chiamata.

I loro volti erano cambiati ma li riconosceva senza nessuno sforzo, li avrebbe sempre riconosciuti. Combattere al loro fianco gli ricordò le mille avventure che avevano affrontato da ragazzi, all'Accademia, quando la loro vita era molto più semplice e felice.

Combatterono insieme e fu terribilmente semplice, ogni singola mossa, ogni attacco, ogni difesa erano orchestrati con perfetta sincronia, come se non fossero passate centinaia di anni da quando si erano rivolti la parola per l'ultima volta, da quando li aveva visti morire, o come se non si fossero mai trasformati in nemici.

Sapeva che anche loro sentivano le stesse sensazioni, la stessa euforia e la stessa paura. Per un momento il Dottore credette di averli ritrovati: Koschei, Magnus, Drax, Jelpax, Mortimus, Ushas... non il Maestro, non il Signore della Guerra, non il Monaco, non la Rani... semplicemente i suoi amici.

E poi li vide morire.

Morirono. Uno dopo l'altro caddero in battaglia, come soldati, come ciò che non erano mai stati. Li perse di nuovo, uno dopo l'altro, in alcuni casi senza neppure essere in grado di star loro accanto, nella foga della battaglia, senza la possibilità di poter dire loro addio o di chiedere il loro perdono per averli delusi al punto da portarli a odiarlo e a combatterlo.

In altri casi riuscì a restare con loro fino alla fine, le lacrime che scorrevano copiose sul suo viso mentre supplicava di tenere duro e chiedeva scusa, ancora e ancora, non sapendo bene nemmeno lui per che cosa e ricevendo solo un sorriso smorto e esangue come risposta.

Li perse di nuovo tutti... non seppe mai dire se il peggio fosse stato il poterli rivedere e perderli di nuovo, la ritrovata complicità nuovamente dissolta o la scoperta, agghiacciante, che di Rallon e Millennia fosse rimasto così poco nella Matrice da poterli sfruttare solamente per i sistemi di controllo delle navi da guerra.

Lo shock per quella devastazione fu immenso per una razza abituata a ritenersi la migliore dell'universo.

Lo shock portò alla follia alcuni di loro ed essa prese velocemente piede a causa della mente alveare. L'intero pianeta stava affrontando una guerra senza fine contro un nemico che sembrava invincibile e ora doveva anche lottare contro se stessa, contro il proprio shock, le urla, il dolore, la disperazione, la morte, la follia incalzanti... quel popolo glorioso e magnifico, che aveva detenuto il controllo delle leggi del tempo stesso, era piegato in due e reso l'ombra di se stesso.

Così il Dottore prese una decisione: la guerra avrebbe portato alla distruzione dell'universo stesso se fosse continuata. Doveva porvi termine a qualsiasi costo e l'unico modo per distruggere i Dalek, l'unico modo che riusciva a concepire per eliminare quelle macchine di morte e i mostri che i suoi stessi simili stavano diventando, fu quello di distruggere Gallifrey con essi.

E lo avrebbe fatto. Avrebbe usato il Momento se non si fosse creato un paradosso che avesse permesso di incontrare due versioni future di se stesso e insieme non avessero trovato una soluzione, chiudendo il pianeta in un loop spazio-temporale in modo che non potesse più fare danni all'universo.

Ma questo non era destinato a ricordarlo. Ciò che era destinato a ricordare era di aver fatto esplodere il proprio pianeta, di aver sterminato la sua gente e di essere l'ultimo della sua specie.

Lui solo avrebbe portato questo fardello per il resto della sua esistenza.

Nessun altro gli sarebbe potuto essere di conforto.

Non avrebbe più potuto tornare a casa, rivedere i prati rossi di Gallifrey, il Monte Cadon, il Monte Perdizione, l'Accademia... i suoi amici.

Qualunque possibilità ci fosse stata, qualsiasi possibilità fosse anche solo remotamente esistita di potere riavere i suoi amici era scomparsa per sempre. Di certo non poteva sapere che uno di loro era già stato ritessuto e fatto lasciare il pianeta prima del disastro.

L'universo sembrava così silenzioso ora.

Crescendo aveva davvero colmato le sue lacune telepatiche, sorrise tristemente ricordando le discussioni con i suoi amici, diverse volte ne avevano parlato, ma ora gli sembrava di essere sordo e cieco. Non c'era nulla.

Il Tardis era senziente ovviamente.

Le altre creature nell'universo erano una buona compagnia e i compagni di viaggio che si sceglieva erano sempre un buon intrattenimento... ma non era la stessa cosa.

Si sentiva costantemente solo: gli amici che si era creato sulla Terra dopo la guerra lo avevano lasciato e comunque erano umani, non avrebbero mai compreso appieno che cosa significava essere un Signore del Tempo. Alcuni di loro sembravano più comprensivi di altri, ma loro non avevano perso tutto. Non era responsabili della distruzione della loro intera razza... per questo quando lo vide fu terrorizzato ma anche entusiasta.

Non si aspettava che fosse sopravvissuto... e di certo non si aspettava di rivederlo, eppure era lì. Era

tornato.

Il Maestro era vivo ed era tornato sulla Terra. Per conquistarla e spazzare via la sua popolazione.

Combatterono e il Dottore riuscì a riportare tutto alla normalità: con la distruzione della macchina paradosso, andarono distrutti anche tutti i ricordi legati a quell'anno di chiunque non si fosse trovato nell'occhio del ciclone quando tutto era successo.

Il Dottore, poi, fece qualcosa che nessuno dei suoi amici terrestri si era aspettato: perdonò il Maestro, gli risparmiò la vita.

Viaggiare insieme però e ritrovare il suo amico non era nei piani di Tempo e Morte, Lucy, la “moglie” del Maestro, risvegliatasi dalla trance indottale da lui, gli sparò, e il Dottore lo vide morire tra le sue braccia.

Lo supplicò di rigenerarsi, lo pregò ripetutamente, non voleva restare di nuovo solo... troppo tardi, i tamburi avevano portato il vecchio amico alla pazzia, il suo odio era tale che si lasciò morire per non permettere al Dottore questa vittoria.

 

- Cosa sta succedendo? - tutto attorno a loro era completamente immobile.

Il Dottore e il Maestro si erano incontrati nuovamente, il Maestro aveva ingannato la morte ed era tornato.

In un diverso frangete il Dottore ne sarebbe stato quasi felice, aveva cercato di riportarlo alla ragione quando lo aveva rivisto lì sulla Terra ma era stato inutile: il Maestro lo aveva attaccato e si era avvicinato solo per fargli sentire i tamburi. Gesto che il Dottore non capì completamente: perché cercare di farglieli sentire? Quale era il motivo se lo vedeva come il nemico?

- Li sento. Li sento. - aveva risposto lui. Quindi quelli erano i tamburi? Li sentiva per la prima volta nella sua vita, non era mai stato in grado di sentirli in gioventù.

La reazione del Maestro lo sorprese: si staccò da lui e scappò via.

Per quale motivo stava scappando? Gli aveva detto che era in grado di sentirli... che non gli avesse creduto? Probabilmente aveva pensato che il Dottore stesse mentendo, sapeva che Theta non era mai stato in grado di sentire nulla e doveva essere giunto alla conclusione che nemmeno il Dottore ne fosse in grado, doveva aver pensato che lo stesse dicendo solo per assecondarlo, per avere qualche possibilità in più di fermarlo...

La situazione era peggiorata sempre di più, il Maestro aveva preso il controllo della popolazione del pianeta trasformando tutti gli abitanti in copie di se stesso.

In questo modo riuscì ad amplificare i tamburi e a creare un segnale che guidò Gallifrey e i Signori del Tempo fuori dalla bolla temporale in cui erano stati rinchiusi, causando per poco la distruzione della Terra.

Era stato proprio in quel momento, con il Dottore che brandiva una pistola puntata alla testa del suo vecchio amico, che tutto si fermò.

Lo spazio venne in qualche modo modificato perché Wilfred era accanto a lui, in quel momento, non più nella cella di contenimento delle radiazioni.

- Cosa è successo? - chiese una voce di bambino. - Dove ci troviamo?
I tre uomini si girarono verso la fonte di quella voce, il Dottore e il Maestro rimasero impietriti. Non potevano essere lì.

Davanti a loro c'erano due bambini, uno biondo e uno moro, con gli occhi sgranati e pieni di paura.

Si guardarono attorno spaesati, non capendo dove e quando si trovassero.

Ci misero un attimo, però, per capire chi avevano davanti.

Theta abbassò lo sguardo sulle mani del suo sé adulto. - Perché abbiamo una pistola? Pensavo non ci piacessero le armi. - disse candidamente, scatenando un'ondata di vergogna nella sua versione adulta.

Koschei continuava a spostare lo sguardo dalla sua versione adulta a quella di Theta, cercando di capire le dinamiche di ciò che stava accadendo.

- Che cosa ho fatto? - chiese il bambino moro con sguardo rassegnato.

L'amico cercò di contestare ma lui non lo fece finire. - Andiamo, Theta. Stai tenendo in mano una pistola. E sei girato verso di me. Entrambi sappiamo che odi le armi, quindi devo aver fatto qualcosa di male per spingerti a puntarmene una contro.

Il Dottore non disse nulla, non voleva che le loro versioni bambini sapessero. Non era giusto.

Con sua grande sorpresa il Maestro parlò e raccontò ai due bambini tutto ciò che era accaduto, facendoli iniziare a piangere.

- Cosa ti è saltato in mente?! - sbottò il Dottore. - Che motivo c'era di dire loro la verità?

L'altro lo guardò scettico. - A che pro nasconderglielo?

- Non saprei. - rispose il Dottore su tutte le furie. - Forse per evitare questo?!
Sottolineò le ultime parole indicando i due bambini seduti a terra.

Wilfred si avvicinò in silenzio e si sedette vicino a loro due sotto lo sguardo attento dei due Signori del Tempo che non riuscivano a capire cosa avesse intenzione di fare.

Si limitò a stare seduto lì, le braccia intorno alle spalle dei due piccoli Gallifreyani, in attesa.

- Non voglio. - disse Koschei all'improvviso, singhiozzando. - Voglio che vadano via, non voglio che i tamburi mi facciano diventare così. Theta è mio amico, non voglio fargli del male.

Wilfred sospirò e lo attirò di più a sé, facendolo sedere su una delle sue gambe.

- Non deve succedere per forza.
- Come è successo? - chiese Theta come se non avesse sentito nulla. - Io non cercherei mai di uccidere Koschei. Ho fatto una promessa. Ho promesso che resteremo insieme e che i tamburi non lo faranno diventare pazzo. Perché non l'ho mantenuta? - chiese tra le lacrime.

Wilfred lo fece sedere sull'altra gamba. - Ascoltate. Crescendo si cambia... - iniziò.

- Ma io non voglio fare del male a Theta! - lo interruppe Koschei. - Theta, credimi. Non lo farei mai. Sei il mio unico amico.

L'altro annuì, deciso. - Lo so. Come non te ne farei io. Non so cosa sia successo ma non si ripeterà, cambieremo il futuro, vero? - chiese il bambino guardando Wilfred con i suoi grandi occhi castani.

Wilfred si morse un labbro prima di rispondere.

- Certo che sì, piccolo. Certo che cambierete il futuro. Purtroppo le persone con il tempo cambiano e fanno cose che non avrebbero mai fatto prima. Questo non significa che che per voi sarà lo stesso. Magari questa è stata un'occasione. Un modo per avvertirvi su cosa succederà in futuro in modo che voi possiate fare qualcosa per evitarlo e restare amici.

I piccoli non sembravano affatto convinti.

Koschei scosse la testa. - Non si può. Ora che lo abbiamo visto il tempo non può essere riscritto. - mormorò abbattuto facendo una smorfia di dolore: i tamburi si stavano facendo sentire, doveva essere per il paradosso. Si portò una mano alla testa. - Fa male. - piagnucolò.

Wilfred lo strinse a sé, cercando di tranquillizzarlo. Il bambino nascose il viso contro la sua maglia, mentre l'uomo lo abbracciava. Theta mise una manina sul braccio dell'amico, come per comunicare la sua presenza, gli occhi lucidi, sull'orlo del pianto: quello che avevano scoperto era troppo difficile da accettare.

Wilfred si trovò così ad abbracciare i due piccoli Gallifreyani in lacrime, aspettando che riuscissero a smettere. Il modo in cui si aggrappavano a lui gli spezzava il cuore, era come se nessuno si fosse mai preoccupato di loro e ora stessero sfogando tutta la loro frustrazione su quello strano umano sconosciuto.

- Andrà tutto bene. Non dovete aver paura del futuro, non è inciso su pietra, riuscirete a cambiarlo. - disse. - Gli adulti spesso dimenticano cosa vuol dire essere stati bambini e per questo sbagliano, andando a infilarsi in situazioni che per loro sono senza via d'uscita quando in realtà il problema è solo il loro orgoglio. Ma voi ora avete visto, no? Riuscirete a evitarlo.

Theta e Koschei annuirono, volevano davvero crederci e così fecero, si raccontarono una bugia per non aggiungere quella paura a tutte le altre: dal loro punto di vista presto sarebbe iniziata l'Accademia, qualcosa a cui guardavano con grande timore.

Come erano comparsi, i due bambini scomparvero, qualunque fenomeno si fosse verificato, che fosse stato un paradosso o qualche strano evento architettato da qualcuno con un perverso senso dell'umorismo, finì così come era iniziato.

- Non ricorderanno nulla di tutto questo. - disse il Dottore rivolto a Wilfred.

L'uomo annuì sollevato. - Sarà meglio.

- Non cambieranno il futuro, ciò che hai fatto è stato inutile. - sbottò il Maestro, non capiva per quale motivo quell'uomo si fosse preso il disturbo di consolare entrambi, aveva capito che uno dei due era lui, no?

- Inutile? Erano soltanto due bambini, santo cielo! - esclamò rispondendo inconsapevolmente alla sua domanda silenziosa. - Quale sarebbe stato il beneficio di spaventarli visto che non ricorderanno nulla?

Non ottenne risposta: il fenomeno si sfaldò del tutto e lui si ritrovò di nuovo nella cella di contenimento.

Il Dottore sollevò nuovamente la pistola, Rassilon alle sue spalle che attendava con un ghigno sul volto.

Ho fatto una promessa! Le parole della sua versione bambina gli riecheggiarono nella mente. Non poteva farlo. Non poteva ucciderlo, lo aveva promesso.

- Spostati. - riuscì a dire finalmente. Il Maestro lo guardò un attimo perplesso poi sembrò capire, si lanciò di lato e il Dottore sparò alla macchina che aveva permesso di portare lì Gallifrey.

Gli eventi che seguirono accaddero a una velocità tale che solo una volta che tutto fu finito il Dottore si rese conto di essere ancora vivo.

Rassilon aveva minacciato di ucciderli entrambi e il Maestro lo aveva attaccato, accusandolo di avergli rovinato la vita e averlo fatto impazzire, avevano scoperto che era stato Rassilon a mettere i tamburi nella sua testa quando era solo un bambino, in seguito erano tutti scomparsi inghiottiti dal portale.

Era rimasto solo il Dottore.

E Wilfred.

Proprio quando stava iniziando a pensare che si sarebbe salvato (bussare quattro volte... a cos'altro poteva fare riferimento se non ai tamburi? Ma ora il Maestro era scomparso quindi non sarebbe dovuto morire, giusto?) sentì bussare quattro volte contro la parete della cella di contenimento.

Wilfred era ancora lì dentro e le radiazioni stavano per invadere la cabina.

Era così che sarebbe morto, allora.

 

Riuscì a rivedere tutti prima di rigenerarsi, ma questo non migliorò le cose. Non voleva morire, era troppo presto, c'erano ancora tante cose che avrebbe potuto fare...

- Non voglio andarmene. - mormorò mentre la rigenerazione prendeva il sopravvento.

 

Ne aveva viste tante. Si era rigenerato molte volte dopo quella volta.

Aveva addirittura ricevuto un nuovo ciclo di rigenerazioni da Gallifrey... Gallifrey, l'aveva cercata per così tanto tempo.

Ora il tempo però era scaduto.

Il suo tempo era scaduto.

Era alla sua ultima rigenerazione e questa volta nessun intervento dell'ultimo secondo gli avrebbe salvato la vita.

Forse era meglio così, tutte le storie dovevano finire prima o poi, la sua non faceva eccezione.

L'unico rimpianto era quello di non essere riuscito a ritrovare il suo pianeta nonostante le estenuanti e continue ricerche.

Questa volta era rimasto davvero l'ultimo.

Seduto nella sala della console del Tardis, fece vagare lo sguardo su ogni minimo dettaglio come per dargli un addio definitivo.

- E quindi è così che finisce, eh Sexy? - disse rivolto al Tardis, la voce roca. - Solo tu e io nello spazio più profondo... dovevamo immaginarlo...

Il Tardis reagì a quelle parole e proiettò tutte le versioni del suo interfaccia, come a voler rimediare a quella situazione. Come se avesse voluto dire: “No, guarda. Non sei solo”.

Il Dottore si esibì un un sorriso stanco mentre il suo sguardo si posava su ogni ologramma... c'erano tutti: tutte le persone che aveva conosciuto nel corso dei millenni e che erano state al suo fianco durante le sue avventure... e poi li vide.

Il Tardis li aveva tenuti per ultimi, sapendo che erano coloro di cui il Dottore sentiva maggiormente la mancanza.

Il Deca venne riprodotto davanti ai suoi occhi nella sua versione originaria, c'erano tutti. Nove bambini erano in piedi davanti a lui, i visi sorridenti e privi di preoccupazioni.

Il Dottore sentì le lacrime farsi strada senza che avesse nessun modo per impedirlo.

- Mi dispiace. - sussurrò. - Mi dispiace tanto, non sono riuscito a salvarvi.

Gli ologrammi tremolarono e quasi svanirono. Il Tardis aveva pensato di fargli un piacere mostrandoglieli, non voleva risvegliare i sensi di colpa del suo vecchio amico.

- No! - esclamò il Dottore. - No, va bene. Non ti preoccupare. - disse per rassicurare il Tardis. - Hai fatto bene. Almeno posso rivederli un'ultima volta prima di andarmene e ricordarli così com'erano. È un ricordo felice dopo tutto.

Dedicò tutta la sua attenzione al gruppetto davanti a sé, la vista offuscata dalle lacrime che non volevano saperne di smettere di scorrere.

- Se esiste un aldilà, forse ora ci rivedremo. Mi mancate così tanto... - fu l'ultima cosa che riuscì a dire prima di spegnersi per sempre.

Il Dottore era morto, un sorriso sulle labbra e l'espressione serena... non sentì mai i lamenti del Tardis.

Le leggende dicevano che un Tardis potesse essere sconvolto dalla morte del proprio Signore del Tempo a tal punto da ricorrere al suicidio.

Nessuno aveva mai assistito alla morte di un Tardis e nessuno vi avrebbe assistito nemmeno questa volta tanto il Tardis del Dottore si era spinto nelle profondità dello spazio.

I suoi lamenti furono però udibili in tutto il tempo e lo spazio e tutto le creature senzienti seppero che l'ora del Dottore era giunta.

Mentre lei liberava nel proprio sistema il virus profano creato da Rassilon, un virus in grado di distruggere qualsiasi tecnologia Gallifreyana ne venisse in contatto, e si dava la morte, in tutto l'universo interi popoli celebravano la morte di colui che innumerevoli volte aveva salvati tutti loro.

Si narra che in tutto lo spazio e il tempo un unico canto si diffuse, un canto che si diceva avrebbe accompagnato il Dottore nel suo viaggio verso il mondo dei morti.

 

- Theta! Theta! - il Dottore si guardò attorno spaesato. Dove si trovava? Cosa era successo?

L'ultima cosa che ricordava era di essere morto nel proprio Tardis... mise a fuoco il mondo che lo circondava e vide alcuni bambini che correvano nella sua direzione, li riconobbe senza sforzo: era il Deca... com'era possibile?

Guardò il suo riflesso nel fiume accanto a lui e si toccò il viso, esterrefatto: era un bambino.

Era tornato su Gallifrey, all'inizio di tutto.

Che fosse una possibilità? Una seconda possibilità per salvare i suoi amici?

- Ehi! Ma ci sei? - gli chiese Koschei guardandolo come se fosse stato qualcuno di particolarmente stupito.

- Eh? Sì, scusa. - disse, un sorriso enorme stampato sul volto.

- Si può sapere che ti prende? - chiese Rallon confuso. - Sembri su un altro pianeta.

- Scusate, stavo pensando... - già... ma a cosa stava pensando? Non riusciva a ricordare nulla di ciò che era passato nella sua mente fino a pochi secondi prima. Perché si era distratto?

- E a cosa stavi pensando?
- Non lo so... - disse scuotendo la testa confuso. - Credo fosse qualcosa di importante ma non riesco a ricordare. - si arrese e alzò le spalle. - Mi tornerà in mente. Volevate chiedermi qualcosa?

Millennia annuì e Jelpax gli porse un foglio sul quale era disegnato un serpente che si mordeva la coda.

- Sei tu l'esperto sulle questioni terrestri, giusto? Che cosa significa questo disegno? Lo abbiamo trovato in un libro.

Theta si sentì sbiancare, un brivido gli corse lungo la schiena senza che lui riuscisse a capire il perché di quell'improvvisa ondata di paura.

- È un Uroboro. Simbolizza l'eterno ritorno e la ciclicità del tempo: tutto è destinato a ripetersi in eterno in un ciclo senza via d'uscita.




Nota.
Chiedo scusa per aver pubblicato tutto subito, ma essendo ben consapevole che non riuscirò a pubblicare nel futuro prossimo ho preferito mettere tutto qui. Una volta pubblicato non fugge.

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