We were everything.

di _paleface_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Mostro ***
Capitolo 2: *** Are You Ok? ***
Capitolo 3: *** What? ***
Capitolo 4: *** Shit. ***
Capitolo 5: *** This is weird. ***
Capitolo 6: *** Avevamo poco, ma io e lui ci bastavamo. ***
Capitolo 7: *** She's not okay. ***
Capitolo 8: *** Let's go eat some pizza. ***
Capitolo 9: *** Eh va beh. ***
Capitolo 10: *** Hard Lemon ***
Capitolo 11: *** I'm stupid ***
Capitolo 12: *** I suoi abbracci sapevano di casa ***
Capitolo 13: *** 13. Secrets ***
Capitolo 14: *** 14. Punto e a capo ***
Capitolo 15: *** 15. My little warrior ***
Capitolo 16: *** Ogni lacrima è una perdita d'acqua. ***
Capitolo 17: *** Vivere, non sopravvivere. ***
Capitolo 18: *** The Big Brother. ***
Capitolo 19: *** Tutto come prima. ***



Capitolo 1
*** Il Mostro ***


1.

Londra: elegante, caotica, piovosa e così bella. Vivo in questa stupenda città da dieci anni e non mi stanco mai di visitarla, scoprire ogni suo piccolo angolo. Non mi potrò mai stancare di cercare i suoi difetti perché, una volta ne trovavo talmente tanti da odiare questo posto. Ora invece, sento finalmente di essere a casa mia, ma cominciamo dall'inizio. Torniamo ai miei diciassette anni.
Mi chiamo Ania, sono nata il 20 agosto 1992 in Italia, a Milano per essere precisi. Ho i capelli castano scuro e occhi praticamente neri. Aimè, non arrivo neanche al metro e sessanta. Avete capito bene, sono alta ben 1,59 cm. Se aveste chiesto a qualcuno di descrivere la me di diciassette anni, vi avrebbero tutti risposto "Una ragazza che sta molto sulle sue. Di bell'aspetto, ma con quel qualcosa che ti impedisce di avvicinarti a lei. Minuta e apparentemente fragile, ma con un carattere molto forte." Vi spiego in poche parole il perché.
Molti di voi avranno la fortuna di dire "Io ho perso la verginità a diciassette anni con il mio primo vero amore." Beh, io no. Avevo un padre diciamo... molto affettuoso. Così tanto che decise di mostarmi l'aspetto dei rapporti sessuali a soli due anni. Sì, mio padre - che decisi di soprannominare "Il Mostro"- abusò di me sessualmente per anni e questo mi segnò per tutta la vita. Mia madre era stata altrettanto premurosa, abbandonando me e mio fratello ad un'uomo alcolizzato e violento.
Che amore.
L'unico al quale volevo bene, era mio fratello Dean. Era nove anni più grande di me e alla fine era stato lui a farmi da padre e da madre allo stesso tempo.
"Mamma non tornerà più, briciola" mi rispose quando gli chiesi per quanto tempo mammina sarebbe stata lontana dai suoi figli di quattro e tredici anni. Lui era un bambino, come me, ma era sempre stato il mio uomo, la mia ancora di salvezza, il mio esempio. Dean era l'unica ragione per cui mio padre smise di toccarmi.
"Lasciala stare, maiale!" aveva urlato Dean al mostro che cercava di abusare di me per l'ennesima volta. Lo aveva mandato all'ospedale con una mazza da baseball dritta in faccia. Avevo sei anni.
Vagavo per strada con il mio orsetto Teddy tra le braccia. Faceva freddo, era buio ed io odiavo il buio. Sentivo il freddo entrarmi nelle ossa e paralizzarmi. Non riuscivo più a muovermi così cominciai a strillare, ma nulla usciva dalla mia bocca. Vidi qualcuno vicino al marciapiede illuminato dal lampione a pochi passi da me. All'improvviso me lo ritrovai davanti agli occhi. "Sei stata una bambina cattiva" disse mia madre. "Meriti tutto quello che ti sta capitando" rise. Un sorriso perfido che una bambina di nove anni non avrebbe mai dovuto vedere sul viso della propria madre. Mi sentivo impotente, ma sapevo che quello era solo un sogno. Solo un brutto sogno. Costrettami nel sonno a svegliarmi, mi ritrovai nel letto di camera mia e come facevo sempre, mi diressi nella stanza di Dean. Lui mi accoglieva sempre nelle sue braccia quando facevo qualche incubo e mi lasciava dormire nel letto con lui.
La stanza era vuota, cercai in bagno, nel salotto ed entrai persino nella camera del mostro per accertarmi che Dean non fosse lì. Non c'era. Corsi nuovamente nella sua stanza e aprii l'armadio per vedere se le camicie che amava tanto indossare, erano ancora presenti, ma non c'erano neanche quelle. Dean mi aveva abbandonata. Era come se tutti volessero sbarazzarsi di me. Mi odiavano tutti così tanto da lasciarmi sola con quel mostro che aveva il mio stesso sangue.
"Sei solo una puttanella." mi urlò contro il mostro quando gli impedii di toccarmi. Da quando Dean era scappato di casa, quella bestia aveva ripreso le sue abitudini. Se per me la fuga di mio fratello era stata la cosa peggiore che potesse capitarmi, per il mostro era stata una manna dal cielo.
"Sei proprio come tua madre. Una lurida puttana che fa la preziosa" ghignò perfido. Si avvicinò ancora fino a ritrovarmelo a pochi centimetri di distanza. Presi la bottiglia di Vodka alla pesca che aveva lasciato sul lavandino e con tutta la forza che avevo in corpo, gliela ruppi in testa.
"Bastardo" sibilai. Non mi sentivo affatto in colpa. Non mi sentivo neanche meglio però. Presi in fretta e furia le mie cose e prima di uscire dalla porta e dire addio al mio passato, diedi per l'ultima volta un'occhiata a quella che era stata casa mia. Avevo diciassette anni, vagavo per strada alle undici di sera con uno zaino sulle spalle e pioveva a dirotto.
Vidi un bar dall'altro lato della strada e pur non avendo soldi, decisi di entrare.




Allora, premetto che questa è la prima storia che scrivo e che pubblico. Spero vi piaccia e se così fosse, fatemi sapere cosa vi è piaciuto e se la storia vi intriga in qualche modo e nel caso non vi fosse piaciuta, mi piacerebbe capire cosa di preciso per poter migliorare. Grazie mille :)

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Capitolo 2
*** Are You Ok? ***


 

2.


Sentii il calore del riscaldamento del bar alleviare un po' il mio dolore. Il locale era abbastanza vuoto: un paio di ragazzi sulla trentina giocavano a biliardo, un'uomo sulla sessantina ci provava con la cameriera e a quattro sgabelli di distanza da lui, un ragazzo dai capelli biondi  beveva una birra. Quest'ultimo, mi notò e mi fissò per qualche secondo, ma feci finta di nulla.

"Hei, ragazzina?" alzai lo sguardo e vidi la cameriera fissarmi da dietro al bancone. "Hai intenzione di restare sull'uscio della porta tutta la notte o vuoi qualcosa da bere?" mi chiese acida.

"Prende una birra" si intromise il biondo senza neanche voltarsi. Mi avvicinai al bancone con la velocità di una tartaruga. La ragazza mi passò la birra con fare scocciato e riprese a flirtare col sessantenne.

"Quanti anni hai?" mi chiese il biondo strofinandosi il naso con la mano.

"Io..18. Ho 18 anni." mentii.

"Sei una bambina. Hai mai bevuto alcool?" mi chiese aggressivo.

"No" risposi riluttante al solo pensiero di intraprendere la stessa strada del mio vecchio.

"Sarai una di quelle santarelline da monastero." Si strofinò nuovamente il naso con la mano e alzandosi di scatto avvicinò il viso al mio. "Però sei molto carina" disse sghignazzando. L'odore di alcool che emanava, mi faceva girare la testa. Mi ricordava il mostro ed era disgustoso. Mi voltai velocemente e mi diressi verso l'uscita del bar quando qualcosa mi colpì dritta in faccia e caddi a terra come un sacco di patate.

"Oh cazzo! Stai bene? Merda! Perdonami, non l'ho fatto apposta!" disse una voce agitata. Non capivo se stessi sognando o se fosse tutto vero. Cercai di aprire gli occhi, ma un mal di testa che non avevo mai provato prima, me lo impedii e l’operazione fallì miseramente. Qualcosa di ghiacciato si posò all'improvviso sulla mia fronte facendomi sobbalzare.

"Scusa." Mi costrinsi ad aprire nuovamente gli occhi per scoprire di chi fosse quella voce tanto preoccupata. Tre "pel di carota" mi fissavano mortificati. Scossi la testa e scoprii che in realtà era solo uno il ragazzo. "St-stai bene?" mi chiese dopo un'istante.

"Sai, ci mancava solo un'idiota irlandese che mi tirasse un porta in faccia per completare al meglio la giornata" dissi acida.

"Ti ho chiesto scusa. Mi dispiace, davvero" disse un po' stupito.

"No, scusa se ho fatto la stronza. Sto bene, tranquillo" lo rassicurai. Mi alzai in piedi, ma diventò all'istante tutto nero e sentii due braccia prendermi al volo prima di cadere nuovamente a terra.

* * * *
"Tutto bene?" mi chiese offrendomi una tazza di thé caldo.

"Sì, grazie" gli sorrisi. Ero avvolta in una coperta di lana su un divano che non avevo mai visto. Mi soffermai ad osservare il ragazzo che aveva tentato di uccidermi con la porta del bar. Notai le sue mani poco curate si mangiucchia le unghie pensai. Mi guardai poi intorno: le pareti erano dipinte con un semplice bianco che le illuminava, il pavimento era fatto di un legno un po' vecchiotto e ormai pieno di graffi e non potei fare a meno di notare la chitarra devastata poggiata al muro.

"Quel taglio non mi piace." affermò indicando la mia fronte e sparì dietro ad una porta che pensai fosse il bagno. Lo sentii aprire e chiudere un cassetto e dopo qualche secondo, ritornò nel salotto con in mano del cotone e del disinfettante. Cominciò esitante a disinfettarmi il taglio. Forse aveva paura che fossi una ragazza talmente instabile da alzarmi di scatto e tiragli un pugno in faccia.

"Scusa non volevo farti male" si scusò mortificato quando arretrai.

"No, stai tranquillo" lo rassicurai. In realtà, non avevo arretrato perché mi aveva fatto male, ma solo per il semplice fatto che essere toccata da un uomo, anche solo sulla fronte e mentre mi curava una ferita, non mi faceva sentire a mio agio. Mi sentivo violata, ma cercai di non darlo a vedere. Alzai lo sguardo verso di lui e vidi i suoi occhi blu che mi scrutavano attentamente. Presi la tazza di thé caldo che mi aveva portato il rosso e mi scottai la lingua. Cazzo che sfigata che sono pensai.

Grazie mille a chi sta leggendo questa storia! Spero vi piaccia. In questo capitolo entra in scena anche Ed, ditemi cosa pensate di lui, di come sta andando avanti la storia e quelle che vi pare insomma! Se vi piace, c'è il pollice in su di Facebook in fondo alla pagina a sinistra :)

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Capitolo 3
*** What? ***


3.

"Allora, dove abiti?" mi chiese una volta toltosi le vesti da infermiere.

"Abito.." stavo per dargli l'indirizzo dove avevo appena lasciato il mostro incosciente sul pavimento della cucina e tutto d'un tratto mi accorsi che non avevo più una casa, non sapevo dove sarei andata a dormire o dove avrei abitato. Non avevo soldi, non avevo un lavoro, avevo solo uno zainetto con due stracci e la mia polaroid. "Io non lo so" dissi infine.

"Come non lo sai?" mi chiese ridendo pensando scherzassi, ma il suo sorriso si sformò subito. "Non hai una casa?" mi chiese serio questa volta.

"No" risposi spaesata. "No, non ho una casa" ripeteii più a me stessa che a lui. Restammo in silenzio per qualche secondo. Lui un po' guardava me e un po' le sue mani per poi passare a fissare una porta dietro le sue spalle. Non mi chiesi più di tanto a cosa stesse pensando, ero troppo impegnata a farmi prendere dal panico. Avevo agito in modo impulsivo e non avevo pensato al fatto che, una volta uscita dalla porta di casa, non avrei più avuto un tetto sulla testa.

"Come ti chiami?" mi chiese infine.

"Ania, tu?"

"Il mio nome è Ed, piacere." Mi porse la mano e io la strinsi sforzando un sorriso palesemente falso.

"Senti, Ania.." mi distolte dal mio autocommiseramento. "Io ho una stanza in più e sto cercando un coinquilino. In più il riscaldamento funziona e bene o male, in frigo c'è sempre qualcosa. E poi, che io sappia, non c'è una fila di persone là fuori che muore dalla voglia di venire a vivere con me" mi sorrise incerto. Mi stava offrendo di restare da lui. Come poteva chiedere ad una persona che non conosceva e che aveva appena colpito in faccia con una porta di un bar, di trasferisrsi a vivere con lui? E io, come avrei mai potuto accettare? Lo conoscevo da appena un paio d'ore! Eppure, che scelta avevo? Potevo decidere di rifiutare la sua offerta e passare la notte e, tante altre, fuori, al freddo e preda di mille cacciatori - sì perché, non sarei mai e poi mai tornata dal mostro - oppure, restare lì con lui, al caldo, al sicuro dai cacciatori e con un letto morbido dove fare tanti bei sogni.
Scelsi la seconda opzione.

"Sì" dissi solo.

"Sì?" chiese stupito. "Oh, bene. C-ci sono le... le lenzuola da qualche parte. L-le vado a cercare"disse
agitato.

"Sì, ma stai calmo. Voglio dire, io mi accontento di poco" lo rassicurai. Pensai non mi avesse sentito perché cominciò a correre per casa come un imbecille. Passava da una stanza all'altra una volta con in mano delle coperte, un'altra con dei cuscini e così via. Io rimasi a guardarlo agitarsi e mi scappò una risata. Era buffo. Era buffo anche il fatto che io stessi ridendo.

"Ecco" disse avvicinandosi. "La tua camera è pronta" mi disse sorridendo. Mi fece strada verso la stanza da dove era entrato e uscito un centinaio di volte nell'ultimo quarto d'ora, aprì la porta e mi fece segno di entrare. Il letto era grande ed era stato ricoperto alla veloce con delle lenzuola, c'era una finestra che affacciava sulla strada e un comodino con una lampada e una foto sopra. Presi la foto in mano e vidi una bambino sorridente coi capelli rossicci e gli occhiali.

"Oh, quello sono io. Il comodino mi sembrava troppo vuoto così ho pensato di metterci qualcosa e ho trovato quella foto, ma se vuoi puoi toglierla" mi disse tutto d’un fiato arrossendo un poco.

"No, è perfetta" sussurrai. Ero commossa, nessuno si era interessato così tanto a me dopo Dean, ma ricacciai indietro le lacrime.

"Benvenuta a casa del rosso" mi disse felice mentre usciva dalla stanza e feci in tempo e in grado di dire solo un semplice "Grazie." e mi addormentai nel letto che era diventato ormai il mio.

Ciao! Allora, come sempre, se vi è piaciuto, fatemelo sapere tramite recensioni o anche solo facendo un semplice clic sul pollice in su di Facebook che si trova in basso a sinistra, vi prego ahah e se così non fosse, fatemi sapere cosa in particolare non vi è piaciuto in modo da migliorare! Un bacio a tutti :)

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Capitolo 4
*** Shit. ***


4.

Quella notte dormii meglio di quanto non avessi mai fatto negli ultimi diciassette anni. Guardavo il soffitto della mia nuova stanza mentre ripensavo a quel buffo ragazzo che in una serata aveva fatto per me quello che i miei "genitori", non avevano neanche mai pensato.
Sentii il suono di una chitarra provenire dal salotto, così mi avvolsi nelle coperte e aprii la porta. Vidi Ed impegnato a strimpellare una chitarra mal ridotta, mentre canticchiava "You didn't know me..Ah no!" esclamò frustrato.

"A me piace." Si girò sorpreso verso di me e gli scattai una foto con la mia polaroid. Mi guardò come se non si aspettasse di trovarmi lì.

"Mi ero dimenticato che c'eri anche tu. Non volevo svegliarti" si scusò.

"No, scusa tu" gli risposi imbarazzata. Andai in bagno a darmi una ripulita e una volta uscita dalla doccia,
mi accorsi di non aver preso i vestiti di ricambio. Non riuscivo più a trovare il pigiama che mi ero tolta prima di entrare in doccia quando poi, mi accorsi che era caduto dal lavandino nel water.

Merda! Merda, merda, merda! E ora?

Cercai un’asciugamano dove potermi avvolgere, ma non trovai né quello né un’accappatoio.

“Come può essere che non ci sia neanche un fottuto asciugamanino in questo dannato bagno?”
Avevo due opzioni:
  • Non uscire dal bagno e aspettare che la grazia divina mi buttasse dei vestiti dal cielo
  • Chiedere al rosso di passarmi dei vestiti dalla porta e fare la mia prima figura di merda col nuovo coinquilino.
A malincuore, optai per la seconda opzione, come sempre d’altronde.  
Aprii leggermente la porta del bagno e lo chiamai timida. Non rispose.

“ED?” urlai. La chitarra smise di suonare e il rosso si avvicinò alla porta del bagno.

“Sì?” chiese imbarazzato. Cacciai la testa fuori dal bagno coprendo il resto del corpo con la porta.

“Ehm.. ho dimenticato di prendere i vestiti di ricambio e non ci sono asiugamani per coprirmi.” Dio, che figura di merda. Quel poveretto sgranò gli occhi e cercò di guardarmi il meno possibile.

“T-te li va-vado a prendere” disse tramutanto il colore del suo viso in quello dei suoi capelli.

“Grazie” sussurrai altrettanto imbarazzata. Sentii i suoi passi allontanarsi in direzione della mia camera e ne approfittai per darmi un’occhiata allo specchio. Vidi un chiazza viola sulla fronte che circondava un taglio rosso sopra al sopracciglio sinistro. Lo sentii avvicinarsi nuovamente, così mi precipitai ad aprire la porta quanto bastasse per fare passare i vestiti, ma lo stesso fece lui ed esattamente come la sera prima, mi colpì dritta in faccia e non aiutata dal pavimento bagnato, caddi a terra. Nuda.

“Cristo santo!” esclamò disperato coprendosi gli occhi. “Scusa! Stai bene?”

“Sì, sto bene” risposi. “Passami i vestiti per piacere” dissi rassegnata di fronte ad una sfiga e goffaggine pazzesca. Mi passò i vestiti e uscì di fretta dal bagno chiudendo la porta.

Come potevo essere così sfigata? Mi sentivo come una deficiente con la nuvoletta nera costantemente sopra la sua testa. Dovevo fare amicizia con quel ragazzo, tanto ormai mi aveva già vista nuda.

Uscii dal bagno e lo vidi ancora con la chitarra in mano.

"Comunque, buongiorno" iniziai sperando che lui mi avrebbe dato una mano con la conversazione.

"Buongiorno anche a te" mi sorrise con un'aria divertita. "Se vuoi fare colazione ci sono latte e cereali in cucina."

"Oh, grazie" dissi. Andai in cucina, presi una ciotola e misi dentro cereali e latte per poi dirigermi sul divano vicino a Ed.

“La smetti di prendermi per il culo?!” gli tirai un pugno sulla spalla quando scoppiò a ridere ripensando alla scena di poco prima.

“Scusa, ma sei proprio sfigata!” disse tra una risata e l’altra.

“Sì, lo so” dissi disperata.

“Oh e dai! Guarda che scherzavo” mi sorrise.

“Suona un po’ questa chitarra va, prima che ti prenda a pugni” scoppiò a ridere e poi prese la chitarra.

"Cavolo, ma sei proprio bravo!" dissi stupita.

"Grazie!" mi sorrise a trentadue denti.

"Mi potresti insegnare a suonare la chitarra?" gli chiesi senza neanche pensarci."Ho sempre voluto imparare a suonare uno strumento, ma non ne ho mai avuto l'occasione o i soldi necessari per pagarmi le lezioni" gli confessai.

"Certo" disse un po' incerto. Mi passò la chitarra e cominciò a spiegarmi le componenti dello strumento.

"Hai talento sai?"

“Ma smettila!”

“No. Dico sul serio.” Presi la polaroid che aveva lasciato sul tavolino vicino al divano e gli scattai un'altra foto.

“Ti piace fare foto?” mi chiese incuriosito.

“Sì, è una vera e propria passione tra le tante.”

“Tra le tante? E quali sarebbero le altre?” Sembrava davvero interessato.

“Un giorno te le svelerò” gli feci l’occhiolino.

“Beh, un giorno mi dovrai spiegare taaante cose” mi incalzò.

“Tipo?” gli chiesi stupita.

“Tipo perché da un giorno all’altro ti sei ritrovata senza casa, perché una brava ragazza come te era in un
bar alle undici di sera e molte cose che ora non sto ad elencarti, ma che mi sto appuntando di chiederti tra qualche settimana.” Lo guardai a bocca aperta. Non sapevo come rispondergli.

“Ok” dissi poi.

Mi rubò la polaroid dalle mani e mi scattò una foto alla traditora.

Che strano che è questo ragazzo, mi piace. Beh, senti da che pulpito.

Ed eccovi il quarto capitolo! Spero che piaccia e che questa storia sia seguita almeno da qualcuno. Se avete voglia, lasciate una recensione per farmi sapere cosa ne pensate o cliccate semplicemente sul "Mi piace" di Facebook in fondo a sinistra. Ciao ciao :)

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Capitolo 5
*** This is weird. ***


5.

*Ed’s POV*

Era strana quella ragazza. Aveva dei capelli scurissimi e degli occhi….mamma mia che occhi; neri come la pece per nascondere tanti segreti oscuri. Avevo paura che con un solo abbraccio, avrei potuto farle del male da quanto era minuta. Guardandola si capiva quanto avesse sofferto e di quanto la vita fosse stata ingiusta con lei e poi era così sfigata! Mai conosciuto una ragazza così sfigata! Secondo me avrebbe dovuto preoccuparsi di qualche bambola voodoo sparsa nel mondo con i suoi capelli incollati sopra. Eppure, chi avrebbe mai potuto voler male ad una come lei? Sembrava così… indifesa e fragile.

“Cucino io!” si precipitò in cucina tirandomi via di mano la padella.

“Ok” risposi divertito.

“Senti, posso farti una domanda?” mi chiese timida senza staccare gli occhi dai pomodori che stava tagliando.

“Certo, dimmi pure.”

“Tu non sei italiano vero? Cioè, non hai un’aspetto da tipico italiano”

“No infatti” risi. Mi guardò come per dire “Beh? Dimmi di dove sei allora, coglione!” così proseguii. “Sono nato in Inghiterra e mi sono trasferito qui con mio padre circa 8 anni fa.”

“Ah ecco! Si sentiva un leggero accento inglese” disse allegra. “Però hai anche origini irlandesi vero?” mi chiese esitante.

“Da cosa l’hai capito?” chiesi fingendomi stupito dalla domanda.

“Bah.. Dai capelli rossi… Dai stupendi occhioni blu che..” si interruppe e si mise all’istante la mano sopra la bocca.

*Ania’s POV*

Lo vidi sorridere sotto i baffi mentre io maledii me stessa per aver fatto un'altra immancabile figura di merda.

“Grazie” disse dopo qualche minuto.

“Per cosa?” chiesi confusa.

“Per avermi detto che ho degli occhi stupendi” disse ammiccando un po’.

Hai capito l’irlandese! Sembrava tanto cucciolo e timido e poi se ne esce da flirtatore esperto.

“Prego, Christopher” gli risi strizzando l’occhio destro.

“Come fai a conoscere il mio secondo nome?” chiese sgranando gli occhi.

“Non lo saprai mai.” In realtà l’avevo scoperto quando, facendo la lavatrice, avevo trovato il suo portafoglio nella tasca dei suoi pantaloni. Sono una curiosona, lo so. Mi guardò un po’ stranito per poi scoppiare a ridere insieme a me.

“Ma allora è vero che tutte le ragazze italiane sanno cucinare” disse infilzando sei cocci di pasta con la forchetta.

“Ma stai cercando di capire quanta pasta riesce ad entrare nella tua bocca prima che affoghi?” gli chiesi quasi piangendo dal ridere quando le guance gli si riempirono come quelle di un criceto. Gli feci una foto con la polaroid pensando a quanto ci avremmo riso su tra qualche anno, sempre sperando che uno dei due avrebbe almeno ricordato il nome dell’altro.

“No. Non con la pasta almeno” disse una volta aver spazzolato per bene il suo piatto. “Lo faccio con i marshmallows più che altro.” Lo guardai a bocca aperta. Io stavo scherzando.

“Ah! E so mettermi una mela intera in bocca!” esclamò fiero di sé. Scoppiai a ridere e non smisi fino a quando l’aria non cominciò a mancare e dovetti riprendere fiato.


Ciaooo! Grazie mille a tutti quelli che seguono la mia storia. Ringrazio anche i lettori silenziosi e grazie davvero perché il primo capitolo è quasi a 150 visualizzazioni! Spero continuiate a seguirmi e se così non fosse, amen. Io sono egoista da questo punto di vista e sinceramente scrivo perché mi fa sentire bene non per gli altri ahah Al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Avevamo poco, ma io e lui ci bastavamo. ***


6.

5 mesi dopo

Passammo i nostri pomeriggi a  suonare la chitarra e a cercare entrambi un lavoro, ma alla fine decisi che ero io a dovere trovare un lavoro mentre lui doveva concentrarsi al 100% sulla sua musica. Sapevo che avrebbe fatto strada e volevo sostenerlo in tutto e per tutto. Avrei fatto qualsiasi cosa per aiutarlo a realizzare il suo sogno. Chiamatemi pure pazza, ma io credevo davvero in lui. Trovai un lavoro come cameriera in un bar non poco lontano da casa nostra e anche se lo stipendio era scarso, riuscivo a pagare l'affitto e a fare la spesa. Ovviamente Ed faceva dei piccoli show in qualche bar e bene o male riusciva a raccimolare qualcosa anche lui. Ce la cavavamo.

****
"Questo bianco ha rotto." sbottai a cena. Ed alzò lo sguardo stupito.

"Cos'hai?" mi chiese divertito.

"Nulla, è che potremmo cambiare colore delle pareti. Ne avevo già uno in mente" gli feci l’occhiolino.

"E quale sarebbe questo colore?" mi chiese ridendo.

"Arancione!" urlai entusiasta.

"Ma non ci pensare proprio!" scoppiò a ridere.

"Perché? L'arancione sarebbe perfetto! Lo sai che adoro i tuoi capelli e potrebbe essere il tuo simbolo nella vita. Sarà più facile per le fan riconoscerti nei video e si innamoreranno tutti di questa tua particolarità. E sai perché?" non gli diedi tempo di rispondere che aggiunsi
“Perché è raro. TU sei raro, Edward Christopher Sheeran. Ficcatelo in quella testolina bacata che ti ritrovi” dissi fiera del mio discorsetto da amica sostenitrice.

Ed si alzò e avvicinadosi a me, mi fece alzare dalla mia sedia.

"Ti voglio bene." disse solo e mi abbracciò.

Mi sentivo al sicuro tra le sue braccia. Come se niente e nessuno avrebbe mai potuto ferirmi finché ero lì con lui.  Avevamo poco, ma io e lui ci bastavamo.

****
Qualcosa di ruvido mi bagnò il viso e aprendo gli occhi, mi trovai un gattino dagli occhi azzurri - proprio come quelli di Ed - ad un centimetro dal viso.

"E tu da dove sbuchi?" gli chiesi come se potesse rispondermi.

"L'ho trovato dieci minuti fa nel vicolo del bar mentre ti andavo a prendere la colazione" disse prendendo in braccio il cucciolo.

"Ma è bellissimo! Aspetta, sei andato a prendermi la colazione?" gli chiesi stupita.

"Beh, sì.." disse imbarazzato. "Ti volevo ringraziare in qualche modo per tutto il supporto che mi dai" borbottò porgendomi un cornetto e un caffè.

"Ma è al cioccolato bianco! Come sapevi che era il mio preferito?" ero sbalordita.

"Beh.. mi è andata di culo direi." Scoppiammo entrambi a ridere.

"Questo pomeriggio hai da fare?" gli chiesi allegra.

"No perché?"

"Ho comprato la vernice arancione."


Heila! Prima di tutto, grazie perché il primo capitolo è arrivato a quasi 200 visite e sono felicissima anche perché molte persone leggono la storia (pur non scrivendo recensioni). Quindi...GRAZIE! Il capitolo non è un granché lo so, ma spero vi piaccia lo stesso :) 

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Capitolo 7
*** She's not okay. ***


7.

*Ed’s POV*

“Devo ammettere che questo colore si addice mille volte di più a questa casa” dissi soddisfatto.

“Te l’avevo detto io” canzonò Ania la saputella e scoppiammo entrambi a ridere.
Eravamo sdraiati sul tappeto della sala mentre osservavamo, fieri di noi, la parete arancione vivo.

Mi voltai per guardarla in viso. Aveva gli occhi chiusi e un’aria così serena… Era cambiata tantissimo negli ultimi mesi. Giorno dopo giorno, riuscivo a notare che in quegli occhi nero pece, cominciava a brillare qualcosa. Ripensai alla sera che la colpii con la porta del bar e mi invase per un attimo il terrore che il suo viso avrebbe potuto ritrovare la tristezza e l’afflizione di quella sera. Scossi la testa per scacciare via quei pensieri. Era così bella. Avrei voluto tanto baciarla o forse anche qualcosa di più. Ah, smettila!

*Ania’s POV*

Sentii i suoi occhi puntati su di me e mi scoprii essere finalmente felice. Non avevo più sognato mia madre, non avevo più pensato al mostro o a Dean e mi sentivo… LIBERA.
La mano di Ed si avvicinò alla mia e senza neanche esitare, la strinsi forte. Sentivo ancora i suoi occhi che mi fissavano, ma io non aprii i miei.

Lo sentii avvicinarsi ancora di più. Il suo respiro mi solleticava il collo, ma non mossi neanche  un muscolo. Sentii le sue labbra posarsi sulla mia fronte, poi sulla mia guangia. Fin qui ok. Con una mano mi accarezzò i capelli, con l’altra mi strinse il fianco mentre continuava a baciarmi il viso, poi il collo. Christopher, vacci piano. Ti prego. Cominciò a sbottonare la camicetta blu che avevo addosso. Ecco, fu la goccia che fece traboccare il vaso.

“No. No basta!” mi scansai all’improvviso.

Sentivo il viso bagnarsi di lacrime incontrollabili. Ma chi volevo prendere in giro? Il mostro non mi aveva mai lasciata, riuscivo ancora a sentire le sue mani su di me, il suo respiro sulla mia pelle e le sue labbra ovunque. Io non stavo per niente bene.

*Ed’s POV*

Era raggomitolata su se stessa nell’angolo del tappeto e piangeva. Piangeva disperatamente. Se fino a due minuti prima ero terrorizzato dall’idea di vederle in viso la tristezza di quella sera, ora ero sconvolto nel vederla mentalmente a pezzi, a terra, chiusa nel suo guscio. Mi avvicinai piano e le posai la mano sulla spalla, ma urlò un “Lasciami stare, mostro!” e si scansò  nuovamente. Cosa potevo fare? Ero nel panico. Di impulso, mi avvicinai a lei e la strinsi forte a me ignorando tutti i suoi sforzi di staccarsi dal mio petto e dopo qualche secondo, si rillasò e la sentii abbandonarsi in singhiozzi silenziosi tra le mie braccia.

“Scusa” La sentii sussurrare. Non dissi nulla, la strinsi ancora di più a me mentre una domanda mi ronzava nella testa.

Cos’è successo veramente a questa ragazza?


Mi rendo conto che gli ultimi due capitoli (questo e il sesto), sono cortissimi e mi dispiace, ma tra il lavoro e lo studio, non ho una mente così aperta da fare capitoli lunghi chilometri. Fatemi sapere cose ne pensate su questo capitolo, per me è importante questo pezzo. Grazie ancora a chi mi segue silenziosamente e soprattutto, GRAZIE DI CUORE a chi ha messo la mia storia tra le seguite e le ricordate. Adios ;)

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Capitolo 8
*** Let's go eat some pizza. ***


8.

“So che ora mi prenderai per una pazza e forse lo sono davvero” gli dissi dopo che mi aveva portata in braccio fino sul divano. Continuana a fissarmi le mani senza dire nulla.

“Faccio le valige” mi alzai, ma lui mi prese con cautela dal polso come se avesse paura di un'altra crisi isterica e mi fece sedere nuovamente sul divano. Non disse ancora nulla.

In 5 mesi non l’avevo mai visto così.. non saprei neanche come descriverlo. Forse serio, sconvolto, confuso, arrabbiato, agitato e  distante possono rendervi un po’ l’idea.

“Almeno dimmi qualcosa” lo implorai.

“Cosa vuoi che ti dica?” disse voltandosi di scatto verso di me. I suoi occhi blu erano fissi nei miei neri. “Vuoi che ti dica cosa penso? Ok, lo farò. Io penso che tu quella sera sia scappata da casa tua, non so perché, non so da chi, non so niente. Avei voluto sapere. Avrei voluto poter evitare quello che è appena successo. Vuoi sapere sempre tutto di me, ma parlare di te no! Mai!” la rabbia cominciava a farsi largo nella sua bocca. “Sei tu che devi parlare con me, non io! Sei tu quella che dovrebbe spiegare e cercare di farmi sentire meno una testa di cazzo che fa così schifo da provocare una crisi isterica alla ragazza per la quale quasi impazzisce. Anzi, togli il quasi. Tu mi piaci, ma non mi dai il modo di conoscerti! AH, CAZZO!” urlò disperato mettendosi le mani tra i capelli. Avvicinai le mie labbra alle sue e lo baciai di sfuggita sulle labbra per poi sprofondare il viso nel suo petto. Mi prese dalle spalle e dolcemente mi scansò. Non voleva che lo abbracciassi?

“Ania, io ho bisogno che tu mi parli.” Si alzò e si diresse in camera sua chiudendosi la porta dietro le spalle.

Sono io la testa di cazzo, non tu! Avrei voluto urlare, ma come sempre, non ne ebbi il coraggio.

Ero riuscita ad incasinare anche lui ora e mi sentivo tremendamente in colpa. Avrei voluto piangere, urlare e prendere a pugni qualcuno, ma pensai che, per il momento, avevo già fatto abbastanza.

È tutta colpa tua. Se mi riferissi al mostro o a me stessa, non ve lo so dire.

Non sentivo il suono della chitarra provenire da camera di Ed, il che era strano. Ogni volta che era triste o confuso, predeva in mano la sua amata Nijel e componeva qualche canzone destinata a vendere milioni.
Mi avvicinai a passo felpato alla sua porta, ma non rilevai nessun movimento. Forse sta dormendo.

“Ania, ti sento.” Avevo lo stesso passo felpato di un rinoceronte a quanto pare. Non aveva più alcun senso stare lì fuori, così entrai e lo trovai sdraiato sul suo letto a fissare il soffitto. Era inquietante, fidatevi. Forse però, lo ero stata più io rannicchiata sul tappeto del salotto mentre piangevo e urlavo disperata.

“Cosa vuoi?” chiese così brusco da sorprendermi. Lo avevo veramente fatto arrabbiare. No, non era semplicemente arrabbiato. Era deluso credo.

“Io…” Cosa potevo dire? Mi dispiace, ma sono una psicopatica per colpa di un padre che ha abusato sessualmente di me per 15 anni? “Chris, è complicato da spiegare. Devo trovare le parole giuste.” Si girò per una frazione di secondo verso di me stupito che stessi pian piano lasciando cadere le mura che mi ero costruita intorno negli ultimi anni.

“Sai, non sono così stupido come sembra e sono anche abbastanza bravo ad ascoltare i problemi degli altri” disse evidentemente offeso.

“Non fare così, ti prego.” Stavo per scoppiare nuovamente a piangere, ma ricacciai le lacrime indietro mentre Ed rimase lì a fissare il soffitto in attesa che io parlassi. Anche se faceva finta che non gli importasse nulla di ciò che ero andata a dirgli, sapevamo entrambi che, al momento, era l’unica cosa che gli interessasse sentire.

“Mio padre ha abusato sessualmente di me da quando avevo due anni. Mia madre ha abbandonato me e mio fretello quando ne avevo quattro. Mio fratello seguì le orme di mia madre quando ne avevo sei . La sera che mi hai quasi uccisa con quella fottua porta di quel fottuto bar, avevo appena colpito mio padre in testa con una bottiglia di Vodka quando aveva cercato di toccarmi ancora e sono scappata.” Alzai lo sguardo dal pavimento e trovai i suoi occhi che mi fissavano con quell’espressione piena di tristezza, rabbia e stupore. “Non ti azzardare!” urlai puntandogli il dito contro. Sgranò gli occhi.“Non guardarmi in quel modo! Non voglio che mi guardi come fossi una persona da aiutare. Non voglio sentirmi quello sguardo di pietà adosso.” Sputai l’ultima frase con disgusto. Davvero non lo volevo. Lo odiavo.

“D’accordo” disse poi alzandosi dal letto. “Andiamo a mangiarci una pizza.” Una pizza? Sul serio? 

Grazie a tutti quelli che seguono la storia, a chi l'ha messa tra le sue preferite e le seguite, ma grazie anche ai lettori silenziosi. Spero vi piaccia :) 



 

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Capitolo 9
*** Eh va beh. ***


9.


“Cosa vi porto ragazzi?” ci chiese la cameriera senza staccare gli occhi da Ed. Era evidente che la domanda fosse riferita più a lui che a me, in quel momento sarei anche potuta sparire che la bionda non se ne sarebbe neanche accorta.

“Una pizza con peperoni e salsiccia per me e per lei…” si girò verso di me come per chiedermi cosa volessi.

“Io non prendo nulla” dissi senza staccare gli occhi dal parcheggio fuori la finestra.

“Prende una pizza con wurstel e patatine” concluse Ed. Lo fulminai con lo sguardo, ma lui neanche se ne accorse o fece finta di non accorgersene.

Avevo il vizio di mangiucchiarmi le pellicine delle dita quando ero nervosa e in quel momento, me le stavo letteralmente divorando. Si riuscivano quasi a vedere le ossa sotto alla pelle da quanto in profondità stavo piantando i denti. Non alzai lo sguardo su Ed neanche per mezzo secondo, ma riuscivo a percepire il suo sguardo su di me ogni tanto.
Un quarto d’ora dopo circa la biondona che aveva preso le ordinazioni, ci portò le pizze. Sono abbastanza sicura che fece l’occhiolino a Ed prima di andare via, ma al momento non me ne fregava nulla.

“Allora?” chiese Ed.

“Allora cosa?”

“Non so. Vuoi parlare o no?”

“Edward, io ti ho raccontato già tutto e mi hai proposto di venire a mangiare una pizza” sbottai.

“Se ti guardo con pietà non va bene, se ti invito a mangiare una pizza non va bene! Cosa vuoi che faccia?” chiese alzando leggermente la voce.

“Niente. Non voglio che tu faccia niente” gli risposi fredda.

“Perfetto. Mangiamo questa fottuta pizza allora.”

Sentivo qualcosa di caldo rigarmi il viso mentre addentavo un pezzo della mia pizza con la stessa forza di un pulcino. Ed mi asciugò la lacrima col palmo della mano e presa la mia stringendola forte.

“Io voglio sapere come stai, non altro” disse sorridendomi.

“Io sto bene. Cioè, stavo bene fino a quando non hai cominciato a…” mi venne un groppo in gola che mi impedì di proseguire la frase.

“Quando ho cominciato a… a sbottonare la camicia?” mi chiese. Non capivo se si sentisse in colpa o se fosse solo in imbarazzo. Mi limitai ad annuire. “Mi dispiace” aggiuse. Ok, si sentiva in colpa.

“Ed, è solo colpa mia. Non avrei dovuto permetterti di arrivare fino a quel punto. È solo che, credevo di stare bene. Pensavo che il mostro mi avesse finalmente lasciata, ma sento ancora le sue sporche mani addosso e tu me lo hai ricordato per un’istante. È a me che dispiace. Sono io che devo chiederti perdono. Mi perdoni?” gli chiesi.
Mi accarezzò il viso  e mimò un “Certo.”
****
Il gattino che avevamo deciso di adottare e di chiamare Gordon, era ormai cresciuto e diventato un’obeso coccolone. Passava la maggior parte delle sue giornate a mangiare, a dormire e a farsi accarezzare. Amavo quel gatto.

“Merda sono in ritardo! Il capo mi ucciderà! Ci vediamo stasera!” urlai a Ed prima di sbattere la porta di casa. Avevo il turno di mattina al bar e ovviamente, mi ero svegliata con ben mezzora di ritardo.

“Proprio sul filo del rasoio” rise Lisa.

“Non è ancora arrivato?” chiesi col fiatone.

“No. Sei stata fortunata anche questa volta.”

“Menomale, non posso permettermi di perdere questo lavoro. Ne ho bisogno.”

“Lo so” mi sorrise amorevolmente.

Avevo conosciuto Lisa quattro mesi prima. Era una ragazza stupenda. Capelli lunghi e ricci biondo platino e occhi verdi che farebbero impazzire chiunque. Sembravamo un hobbit e un elfo: lei 1,80 cm e io 1,59 cm. Aveva una bellezza invidiabile. Sì, la invidiavo. Tanto bella quanto gentile ed intelligente. Una ragazza proprio rara.

“Certo che potrebbe anche cercarselo un lavoro comunque eh” disse un po’ irritata. L’unico problema, era che a Lisa non piaceva Ed e viceversa. Lei pensava che Ed fosse solo un sognatore e che avrebbe dovuto darsi una svegliata. “Tu lavori e porti soldi a casa, mentre lui suona la chitarra e va in giro tutto il giorno a fare nulla” aggiunse con disprezzo.

“Non capisci, Lisa. Lui è davvero bravo e può farcela! E poi, non è vero che non fa nulla. Si dà da fare per fare show in giro” dissi un po’ brusca. Mi guardò con uno sguardo tipo se lo dici tu e si diresse al tavolo a prendere l’ordinazione dove si erano appena seduti due ragazzi.


Sono terribilmente in ritardo, lo so. Scusate, scusate, scusate e ancora scusate! Mi dispiace D: E so anche che il capitolo è corto, ma mi farò perdonare! Un grazie enorme a chi segue questa storia, a chi la aggiunta alle sue preferite, seguite e a chi l'ha recensita. Al prossimo capitolo ;)
 

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Capitolo 10
*** Hard Lemon ***


 

10.

“Stasera esco con Lisa” avvertii Ed mentre mi infilavo i scomodissimi tacchi che ero obbligata a mettere quando uscivo con Lisa per sembrare più bassa di quanto non fossi già.

“Contenta tu.”disse sprezzante.

“Sul serio, dovete smetterla voi due. Non capisco quale sia il vostro problema.”

“Io non ho nessun problema, è lei che ne ha. Parecchi anche.”

Toc toc. Merda è già arrivata.

“Ed, vai tu?” diedi un ultima passata di mascara alle già lunghe ciglia. “Ti prego.” Aggiunsi quando non ricevetti risposta.

“Certo..” disse soprirando. Sentii i suoi passi avvicinarsi alla porta di ingresso e quest’ultima aprirsi.

“Ciao, Edward.” Ecco Lisa ed ecco me stessa nuovamente in ritardo.

“Ciao, Lisa.” sentii gracchiare Ed.

Certo che quei due si odiavano proprio.

“Eccomi! Sono pronta!” mi precipitai in salotto prima che cominciassero a scannarsi. Cosa che succedeva ogni fottuta volta che restavano soli in una stanza anche solo per meno di cinque minuti. Ed si voltò verso di me e la sua mascella toccò quasi terra.

*ED’s POV*

Era bellissima. Indossava un vestito rosso che le arrivava leggermente sopra le ginocchia. I capelli lunghissimi le contornavano il viso truccato. Perché era così bella? Era forse la mia mela proibita?

“Sei bellissima.” Sussurrai stupendo me stesso.

“Grazie, Ed” rispose spalancando gli occhi.

“Sì sì, è stupenda e vorresti sposarla. Ora ce ne possiamo andare?” Fulminai Lisa con lo sguardo e ritornai sul divano dove Gordon si stava leccando il pelo. Non la sopportavo proprio quella Lisa, era così fastidiosa. Ma cosa le avrò mai fatto? Bah.

*ANIA'S POV*

"E quindi?" mi chiese Lisa una volta fuori dal condominio come se sapessi esattamente di cosa stesse parlando.

"Cosa?"

"Non fare la finta tonta, Ania."

"Ma mi vuoi dire di che cavolo stai parlando?" sbuffai maledicendo me stessa di avere indossato i tacchi ed eravamo solo ad inizio serata.

"Cosa succede tra te e Edward?" disse il suo nome quasi con disgusto. Ok, togliete il 'quasi'.

"Niente." Cominciai a pregare silenziosamente che il bar cambiasse improvvisamente posizione geografica così da non dover rispondere alla mia bellissima, ma fin troppo curiosa amica.

"Ania?" mi guardò male."Racconta." Sos

"Non succede nulla ed è proprio questo il problema, ma il problema non è lui. Sono io." Spiegai scocciata. Il marciapiede aveva assunto un aspetto molto interessante in quel momento.

"Vai avanti." mi incitò.

"Beh, dopo quel giorno abbiamo... anzi, lui ha deciso che non ero pronta e aveva ragione. Io lo voglio, ma ho paura e lui questo lo capisce. Lo vorrei baciare tutto il tempo, ma sappiamo entrambi che non potrebbe reggere una situazione del genere. Ha preferito essere sincero e gliene sono grata, ma cazzo se vorrei essere più di un'amica per lui." Ero terribilmente in conflitto con me stessa perché vivevamo insieme e avremmo potuto passare le nostre giornate a fare qualcosa di più che solo parlare, ma ero... vulnerabile sotto quell'aspetto e lo odiavo. Lo volevo tremendamente. Così tanto da sentirmi male, ma lui? Lui provava lo stesso o era stato più fortunato e si era già dimenticato tutto? Non avevamo più parlato dell'accaduto ed era rimasta una questione irrisolta.

"E tu stai bene?" mi chiese Lisa.

"Sì, tutto bene." le sorrisi facendole capire che era meglio se la conversazione finisse lì. 

Entrammo nel nostro solito bar ‘Hard Lemon’ e lo trovammo pieno di gente che ballava sui tavoli con un bicchiere di alcool in mano. Mi faceva pena gente del genere. Pensavano che per divertirsi era necessario ubriacarsi e fumare...disgustoso.
Bene, dieci minuti dopo mi ritrovai a reggermi con difficoltà in piedi contro ad un muro mentre un ragazzo che non avevo mai visto prima, mi si strusciava addosso. La coerenza, eh?
Ma che cazzo sto facendo? E dove cazzo è Lisa?
Mi scansai senza troppo difficoltà dal ragazzo pieno di birra e vodka e mi diressi verso l'uscita del locale. Cercai il telefono nella borsa, ma mi ricordai all'improvviso di averlo lasciato a Lisa. Vidi una cabina telefonica dall'altro lato della strada e traballante, mi ci avvicinai e inserii qualche moneta.

"Pronto?" mi rispose una voce ancora impastata dal sonno. Riuscii ad immaginarmelo mentre si sfregava
gli occhi con i pugni.

"Hey, rosso!" dissi a voce forse..no, decisamente un po' troppo alta.

"Ania? Ania ma hai bevuto?" sentii la disapprovazione nella sua voce mischiata allo stupore.

"Ovviamente no. Sono perfettamente sobria." risposi ridendo.

"Ma ti rendi conto di che ore sono? Credevo fossi già nel tuo letto a dormire." mi rimproverò.

"E invece no. Sono qui con un sacco di gente ubriaca perché il ragazzo che amo non mi vuole."

"Ania, ma di che cazzo stai parlando?"

"Parlo del fatto che ti amo." dissi con una risatina isterica.

"Sei ubriaca."

"Ti ho detto che sono sobria!" risposi infastidita pur sapendo che avesse perfettamente ragione.

"Sì, infatti si sente. Ma dov'è la tua amica Lisa?" chiese nervoso.

"Ah boh." risposi sinceramente.

"Stai lì. Vengo a prenderti." riattaccò nel momento esatto in cui urlai "Ma se non sai neanche dove sono!"

Ciaooooo è da veramente tantissimo che non posto un capitolo. Chiedo umilmente venia ahah Spero davvero vi piaccia anche perchè a me piace un bel po' xD Fatemi sapere che ne pensate e ve ne darò eternamente grata :) A presto :*

 

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Capitolo 11
*** I'm stupid ***


11.
 
*ED’s POV*
Aveva pronunciato quelle due fatidiche parole. Aveva detto di amarmi anche se probabilmente era una conseguenza dell’alcool in eccesso nel suo corpo. Non mi amava. Oltre a questo, ero terribilmente preoccupato e cominciai a pensare alle mille cose che sarebbero potute accadere a quella dolce e gracile ragazza che aveva un posto speciale nell mio cuore da mesi ormai. Mi infilai velocemente una maglia a maniche corte, un pantolone della tuta e delle scarpe da ginnastica. Uscii di casa sbattendo con forza la porta in un vano tentativo di placare i nervi. Merda! Non le ho neanche chiesto dove cazzo si trova! Riportai alla luce la nostra conversazione di qualche ora prima cercando un qualche indizio su dove fossero andate. “Ma certo!” esclamai. “Probabilmente andremo all’‘Hard Lemon’ questa sera” aveva detto. Cominciai a correre per le strade di Milano il più veloce possibile.
Mi fiondai dentro al bar senza preoccuparmi dei ragazzi che mi urlarono contro un “Guarda dove vai, coglione!” e mi misi alla ricerca di Ania. Era come una specie di corsa ad ostacoli: schiva l’ubriaco, oltrepassa la ragazza che cerca di ficcarti la lingua dritta in bocca e spintona chiunque ti si para davanti.
Riconobbi la chioma ribelle di Lisa al bancone del bar con in mano un drink mentre parlava e ridacchiava con un biondino indubbiamente tinto.
“Lisa?” le toccai la spalla bruscamente.
“Che cazzo ci fai tu qui?” mi chiese con disprezzo.
“Hai presente Ania? Sai, quella ragazza che in teoria stasera è uscita con te?” la guardai annuire infastidita e alzò un sopracciglio dandomi segno di continuare. “Ecco, mi ha chiamato ubriaca e mi ha detto di non avere idea di dove tu fossi e ora non riesco a trovarla.” la informai con fare accusatorio.
“Come ha fatto a chiamarti? Ho io il suo telefono.” Rispose aggrottando le sopracciglia.
“Che cazzo vuoi che ne sappia io?” chiesi sul punto di scoppiare.
“Chi mi dice che tu non sia venuto qui solo per controllarla?” mi accusò.
“Tu sei fottutamente pazza.” Sibilai a denti stretti puntandole il dito contro. “Ora, dammi il suo telefono e io continuerò a cercarla mentre tu potrai continuare a filrtare con questo povero ragazzo che si pentirà di averti conosciuta appena l’effetto dell’acool svanirà.” Sputai con rabbia indicando il ragazzo che non ci aveva staccato un attimo gli occhi di dosso.
“Tieni e vaffanuculo.” Disse passandomi il telefono di Ania. “Sta bene comunque. Ne sono sicura.” Aggiunse addolcendosi prima di girarsi di nuovo a ridacchiare con la sua nuova conquista. La fissai stranito per qualche secondo quando mi ricordai di Ania e tornai a cercarla senza trovarla da nessuna parte. Uscii dal bar disposto a cercarla in capo al mondo se necessario. L’ansia che provavo, la paura e il groppo che avevo in gola, aumentarono improvvisamente quando intravidi un un puntino rosso dall’altra parte della strada rannicchiato sotto ad una cabina telefonica. Ti prego, dimmi che sta bene. Ti prego, ti prego, ti prego. Mi avvicinai di una lentezza impressionante per la paura di cosa avrei potuto trovare una volta vicino.
*ANIA’s POV*
Ero scomodissima. Eppure il letto me lo ricordavo più comodo...e morbido. Ora invece era freddo e ruvido.
"ANIA?!" sentii qualcuno chiamarmi. Cercai di aprire gli occhi, ma l’alcool che avevo in corpo me lo rese impossibile. Due braccia possenti mi presero in braccio senza troppo sforzo e riconobbi il suo profumo. Profumava di buono, così buono che è impossibile da descrivere. Prendete i profumi più buoni che vi vengono in mente, metteteli insieme e ancora non riuscirete ad ottenere il suo.
“Ed?” chiesi così piano che io stessi faticai a sentirmi.
“Sì. Sono io, briciola.” Mi rassicurò posando delicatamente le sue labbra sulla mia fronte.
“Avevi ragione.”
“Riguardo a cosa?”
“Ho bevuto. Sono ubriaca.” Aprii gli occhi catturando il suo sopracciglio sinistro alzato.
“Non mi dire?” disse freddo. Guardava dritto davanti a sé e riconobbi il portone di ingresso del nostro condominio.
Il letto mi accolse tra le sue coperte e caddi in un sonno profondo.
*ED'S POV*
Era da tanto che non provavo tanta rabbia verso una ragazza. Disprezzava tanto l'alcool e il fumo ed ora eccola lì nel suo letto ubriaca. Che incosciente. Aveva detto che mi amava. Mi stava facendo andare fuori di testa. Non era pronta per una relazione eppure diceva di amarmi.
La osservai mentre dormiva tranquilla nel suo letto e l'unica cosa che riuscivo a pensare era al suo ti amo.
Quella notte quasi non avevo dormito e alle 7.00 decisi di alzarmi ed andare in cucina a farmi una caffè. Mi affacciai nella stanza di Ania per assicurarmi che stesse bene e la ritrovai esattamente come l'avevo lasciata la sera prima. Mi diressi in camera mia, poggiai la tazza di caffè sul comodino e presi Nigel cominciando a strimpellare qualcosa. Non mi preoccupai minimamente di disturbare il dolce sonno della disgraziata che dormiva beatamente nella stanza accanto.
*ANIA'S POV*
Mi sveglia con un mal di testa tremendo. Un mal di testa diverso da tutte le altre volte... era il male della sbornia del giorno dopo. Assurdo. Non ricordavo nulla della sera prima. Non ricordavo di come ero arrivata a casa, non avevo idea di che fine avesse fatto Lisa. Ma che cazzo è successo ieri sera? Uscii dalla mia stanza per andare in bagno, ma prima entrai nella stanza dove proveniva il suono che mi aveva svegliata.
"Mi hai svegliata." Dissi con voce roca e ancora assonnata.
"Sì, lo so." Rispose roboticamente.
"Senti, ma a che ora sono tornata a casa?" chiesi intimidita dal suo atteggiamento.
"Ovviamente non ricordi nulla di ieri sera." Affermò con un sorriso amaro.
"Ehm...no" arrossii.
"Beh, mi hai chiamato da una cabina telefonica...ubriaca. Così sono venuto a prenderti." 
"Oh."
"Già. Oh." Sospirò posando sul letto la chitarra che fino a due secondi prima stava suonando.
"Mi dispiace. Era la prima volta che bevevo." mi scusai.
"Dovresti farlo più spesso se ti porta a dirmi ti amo." Rispose cercando di nascondere il sorriso che minacciava di formarsi sul suo stupendo viso.
"COSA?" urlai spalancando gli occhi improvvisamente sveglia.
"Eh già." sorrise sotto i baffi. Non sapevo se sentirmi confusa per il suo improvviso cambiamento d’umore, grata perché non fosse arabbiato con me o terribilmente incazzata con la me stessa ubriaca che aveva confessato i propri sentimenti al suo conquilino attraverso la cornetta di un dannato telefono.
"Mi dispiace." ripeteii imbarazzata.
"A me no, Ania." disse piantando i suoi occhi nei miei. Restai a bocca aperta e non sapendo cosa fare, uscii dalla stanza e mi chiusi a chiave nel bagno.
Decisi di farmi una doccia per scacciare quella conversazione dalla mia mente, ma più mi rilassavo, più mi ritornava in mente cos'era successo la sera prima. Una volta uscita dalla doccia, riuscii a ricordare ogni cosa: io contro un muro insieme ad uno sconosciuto, la conversazione al telefono con Ed, il "Ti Amo" che gli avevo buttato lì senza un senso logico e infine, lui che mi aveva riportata a casa. Sei un'idiota continuavo a ripetere a me stessa.

Lo so, è da un po' che non aggiorno, ma non sono morta ahah grazie mille a chi legge la storia, chi l'ha messa tra le preefeirte, seguite e ricordate e un grazie di cuore a chi la recensisce. Spero, come sempre, che il capitolo vi sia piaciuto e... basta ahah al prossimo aggiornamento :)

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Capitolo 12
*** I suoi abbracci sapevano di casa ***


12.
 

“Tutto bene?” sussultai dallo spavento. Ed era appoggiato alla porta della cucina e mi osservava con le braccia incrociate sul petto. Il suo viso non lasciava trapelare nessuna emozione

“Ehm… S-sì, certo. Perché me lo chiedi?” mi voltai nuovamente verso il piano di cottura e chiusi gli occhi prendendo un profondo respiro. Volevo sembrare il più tranquilla possibile, ma lui sapeva che non lo ero.

“Mmh vediamo…” disse sarcastico facendo finta di pensare. Sentii i suoi passi avvicinarsi. “Perché forse è da una settimana che non mi rivolgi la parola?” domandò retorico. Sapevo che era arrabbiato ed era tutta colpa mia. Negli ultimi giorni avevo fatto di tutto per evitarlo ed era stato difficile dato il fatto che viviamo sotto lo stesso tetto. Non mangiavamo mai insieme e non passavamo il nostro tempo a guardare film stupidi alla TV. Mi stavo comportando da stupida , come se la colpa fosse di Ed, ma sapevo perfettamente che non era affatto così.

“Non-”

“Ania, ti avverto, o ne parliamo, mi dici cosa cavolo ti sta succedendo e risolviamo la cosa, o io così non posso più andare avanti.” Mi interruppe. Mi girai per guardarlo in viso e riuscii a percepire un velo di tristezza in quell’oceano di occhi. Era anche stanco e… rassegnato?

“Io… Non… Mi dispiace…” balbettai. Non trovavo le parole. Non riuscivo a mettere insieme una frase di senso compiuto per spiegargli cosa avevo nella  testa e questo solo perché non riuscivo a spiegarlo neanche a me stessa.
Ci guardammo per qualche secondo poi, lui girò i tacchi e uscì sbuffando rumorosamente dalla cucina. Rimasi lì ad insultarmi da sola per un po’ e poi decisi di seguirlo. Arrivata davanti l’entrata di camera sua, sbiancai alla scena che mi ritrovai davanti: Ed stava rovistando nel suo armadio prendendo  qualche vestito per poi buttarlo nel borsone che era posato sul letto. Alzò lo sguardo su di me per una frazione di secondo e i suoi occhi di ghiaccio mi procurarono un tale freddo da stringermi nella mia felpa e spostò di nuovo la sua attenzione sui vestiti.

“Che stai facendo?” chiesi con un sussurro. Non volevo sentire la risposta.

“Un mio amico si è offerto di ospitarmi a casa sua. Non sono affari tuoi comunque.” Disse freddo. Mi ferii, ma sapevo che era solo colpa mia.

“Perché?” mi lasciai prendere dal panico. Non volevo se ne andasse. E se poi non fosse più tornato? Cosa avrei fatto io senza di lui?

“Negli ultimi giorni mi è sembrato di vivere da solo. Tanto vale andare via e passare del tempo con chi mi considera.” Abbaiò.
È tutta colpa mia. È tutta colpa mia. È tutta colpa mia.

“Ti prego… Non…” mi bloccai per evitare di scoppiare in lacrime.

“Cazzo, Ania!” esclamò frustato buttando a terra gli abiti che aveva in mano. “Non puoi dirmi cose come ti amo per poi fare come se non esistessi!” urlò. Fissò i suoi occhi nei miei e capii che avrei dovuto aprirmi con lui, parlargli o lo avrei perso.

“Io mi vergognavo. Mi vergogno.” Dissi osservando i miei piedi.

“Come scusa?” chiese confuso.

“Ero ubriaca ed è disgustoso perché mio padre lo era tutti i giorni e mi faccio schifo per questo. Ti sto rovinando la vita, ti sto trascinando nel mio abisso e questa cosa mi distrugge! Mi vergogno per quello che ho fatto e che ho detto perché ho coinvolto anche te. Soprattutto te. Mi dispiace perché sto rendendo quella che dovrebbe essere una convivenza tra amici, un incubo per te. Un incubo dove tu devi prenderti cura della pazza che hai trovato in un bar!” sbottai. Ero furiosa con me stessa. Aspettavo che mi dicesse che avevo ragione, che gli stavo rovinando la vita. Credevo che mi avrebbe urlato contro e poi sarebbe uscito da questa casa senza più fare ritorno, ma l’unica cosa che fece, fu abbracciarmi. Nell’ultima settimana mi erano mancati i suoi abbracci e ne capivo il motivo, ma nel momento esatto in cui Ed ha avvolto le sue braccia attorno al mio corpo, ho capito. Emanava calore, sicurezza… i suoi abbracci sapevano di casa.

“Era così difficile?” chiese pizzicandomi dolcemente la guancia una volta sciolto l’abbraccio. In risposta gli tirai un pugno scherzoso sulla spalla e scoppiammo a ridere. Quanto mi era mancata quella risata.

“Harry Potter?” chiesi, raggiungendo il salotto.

“Che Harry Potter sia.” Mi sorride e il peso che avevo sul cuore, evaporò.

*Ed’s POV*

Non aveva menzionato il ti amo di quella sera, ma andava bene così. Aveva cominciato ad aprirsi con me e a parlarmi  di quello che aveva dentro e sapevo che per lei non era facile. Il suo viso era sulla mia spalla con gli occhi chiusi e la bocca leggermente socchiusa. La sua mano stringeva la mia maglietta in un pugno mentre le mie dita, passavano tra i suoi capelli. Si era addormentata mezzora dopo l’inizio del film e non avevo avuto la forza di svegliarla. Mi piaceva osservarla quando dormiva, sembrava così dolce, così innocente… Eppure, questa ragazza, è una forza della natura. Dopo tutto quello che ha passato, era ancora qui a combattere contro il mondo intero ed io capii si volerla aiutare. Volevo aiutarla ad andare avanti, a dimenticare quei momenti orribili, anche se sapevo che non sarebbe stato facile. Forse anche impossibile, ma provare non avrebbe fatto male né a me e né a lei.

Ci avrei provato e ci sarei riuscito.  

Lo so che è corto, ma volevo aggiornare quindi.. eccolo qua ahaha come sempre, vi ringrazio di cuore e spero che il capitolo vi piaccia! Al prossimo aggiornamento, un bacio**

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Capitolo 13
*** 13. Secrets ***


"Me lo devi." Sentii il tono arrabbiato di Ed. 

"Non mi interessa se non ti piaccio." Quasi urlò, ma abbassò subito la voce. Mi alzai dal mio letto e mi diressi dove avevo sentito la voce di Ed. Arrivai in cucina, cercando di non fare rumore e mi nascosi dietro la porta senza neanche sapere perché lo stessi facendo. 

"Oh grazie!" Buttò teatralmente il braccio libero all'aria. 

"Ricorda di tenere la bocca chiusa con Ania." Spalancai gli occhi dalla sorpresa. Con chi era Ed al telefono? Cosa aveva a che fare con me quella telefonata? 

"Non deve sapere nulla." Continuò, quasi minacciando la persona dall'altra parte del cellulare. Cosa non dovevo sapere? 

"Sì, ciao." Chiuse la conversazione sbuffando e buttò il telefono sul tavolo. 

"Ed?" Lo chiamai, uscendo dal mio nascondiglio provvisorio. 

"Hey! Buongiorno." Sembrò preso alla sprovvista e portò una mano dietro al collo, grattandolo. 

"Tutto bene?" Chiesi, avvicinandomi a lui. 

"Sì, certo." Disse, con un sorriso palesemente falso. Mi sorpassò e uscì dalla stanza, evitando il mio sguardo. Lo seguii, non avevo intenzione di lasciare perdere. 

"No, Ed. Non va tutto bene." Fece finta di non sentirmi e continuò a giocare con l'Xbox che aveva appena acceso. "Cos'è che non dovrei sapere?" Mi spostai davanti alla TV, impedendogli la visuale. Sospirò e lanciò il joystick sul divano. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e si strofinò il viso con le mani. 

"Non puoi lasciare correre? Solo per questa volta?" MI supplicò, sia con le parole, che con quegli occhi azzurro cielo. 

"Come puoi chiedermi di essere sincera con te, se poi tu non lo sei con me?" Sussurrai. MI avvicinai al divano e mi sedetti accanto a lui. 

"Lo so, hai ragione." Disse, mettendo una mano sulla mia coscia. "Ma.." Sapevo ci sarebbe stato un ma "Non è nulla di grave, nulla di cui tu ti debba preoccupare. Devi fidarti di me e basta." Come potevo dire di no a quegli occhi?

"Okay." Acconsentii e feci un smorfia di fastidio sentendo il sospiro di sollievo del ragazzo dai capelli rossi vicino a me. Glielo dovevo. Per mesi non ha fatto altro che accogliermi in casa sua, prendersi cura di me e preoccuparsi della mia sanità mentale. Sapevo che qualunque cose mi stesse nascondendo, non era niente che mi avrebbe danneggiata in qualche modo, soprattutto quando c'era di mezzo lui. Mi fidavo e non avrei insistito, andava bene così. 

****

Per la prima volta in vita mia, arrivai in orario a lavoro, probabilmente perché non riuscivo più a stare in casa con Ed trattenendo tutte le domande che avrei voluto fargli, ma mi ero ripromessa che non avrei fatto domande e che avrei aspettato che fosse lui a raccontarmi tutto, senza spingerlo a fare nulla. Alzai una mano in saluto a Lisa e andai negli spogliatoi a mettermi la divisa. Avevo il turno dalle dieci di mattina alle quattro di pomeriggio, almeno avrei occupato la maggior parte della giornata e avrei smesso di pensare ad Ed. 

"Così mi spaventi, Ania. Sei puntuale." Lisa finge un'espressione scioccata portandosi una mano al petto. 

"Ma come sei simpatica." Alzai gli occhi al cielo e nel frattempo prendevo già il bloc-notes per prendere le ordinazioni. "Solo non riuscivo a stare in casa con Ed." Mi morsi la lingua subito dopo, sapevo quanto Lisa odiasse Ed, e in quel modo le stavo solo dando ragioni in più  per continuare questa specie di campagna Anti-Ed. 

"Come mai?" Mi stupii della sua calma e quando la guardai negli occhi, non vidi nessun segno di rimprovero, così continuai.

"Questa mattina ho sentito che era al telefono con qualcuno e diceva che io non avrei dovuto sapere nulla e cose del genere. Non ho idea di con chi stesse parlando o di cosa, ma gli ho promesso che non avrei fatto domande perché mi ha detto che non mi devo preoccupare, ma sono curiosa e infastidita. Ecco tutto." Lisa mi fissò un attimo prima di annuire meccanicamente e rivolgermi un piccolo sorriso tirato. 

"Oh, vedrai che è tutto okay. Non sarà nulla di che. Si sa che Ed tiene molto a te, non farebbe mai nulla per farti del male." Sorrise nervosa. 

"Okay?" Allungai la 'o' aggrottando le sopracciglia, confusa. "Sei strana." Affermai, alzando il sopracciglio sinistro. 

"Sì, ora vai a prendere le ordinazioni di quei ragazzi, sfaticata!" Disse, spingendomi leggermente verso il tavolo dove si erano appena seduti due ragazzi. 

Una volta prese le ordinazioni, tornai al bancone e le passai in cucina. 

"Comunque, stai ancora pensando all'opzione Londra?" Le chiesi. Lisa da qualche giorno stava pensando di trasferirsi in Inghilterra, a Londra 'Per cambiare aria' aveva detto. 

"Sì, e ti ricordo che Londra è il tuo sogno e ti sto supplicando da giorni di venire con me." Posò le mani sui suoi fianchi, infastidita. 

"Sai che vorrei farlo, Lisa.. Ma qui ho un lavoro, una casa, ho-"

"Ed." Concluse lei.

"Come scusa?"

"Almeno ammettilo che Ed è la ragione principale del perché non vuoi trasferirti con me."

"Beh.." Esitai.

"Andiamo, Ania." Alzò gli occhi al cielo esasperata. 

"Non è  così facile." Sussurrai. 

"Ma non è neanche così complicato." Mi incalzò. Mi lanciò un'ultima occhiata prima di voltarsi e portare le ordinazioni di prima, dai ragazzi che le avevano chieste. 

Forse aveva ragione. Aria nuova, gente nuova, cultura nuova, città nuova. Forse, non era così difficile come lo stavo facendo sembrare io. Forse.

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Capitolo 14
*** 14. Punto e a capo ***


Perché mi sento come se stesse per accadere qualcosa di terribile? Qualcosa che potrebbe distruggermi, e allo stesso tempo, aprirmi la strada per una nuova vita? 

Continuavo ad avere quella brutta sensazione che ti cresce nello stomaco e ti attraversa tutto il corpo, esternandoti dal mondo che ti circonda. 

Appena tornata a casa dal lavoro, Ed non era in casa e aveva lasciato un piccolo biglietto sul tavolo:

Sono fuori, non aspettarmi sveglia. 

Ed.

Perché avrei dovuto aspettarlo sveglio? Voglio dire, non stiamo insieme, può fare quello che vuole, eppure, mi sentivo come se avessi voglia di vomitare, e continuarlo a fare fino a  quando il mio stomaco non avesse più nulla al suo interno. Vuoto. Come quell'enorme spazio nel mio petto. Ma la verità, era che avevo scelto io tutta quella situazione. Avevo allontanato Ed, avevo fatto in modo che non pensasse a me in quel senso e che credesse di non essere quello giusto per me. Lui però, era perfetto per me: mi faceva ridere quando ne avevo bisogno, mi faceva dimenticare cose che non avevo né la forza, né la voglia di ricordare, trasformava i miei momenti di noia, in serata demenziali passate a tirarci addosso dolciumi provoca carie e cuscinate senza senso, per poi trasformare l'appartamento in un porcile fatto di piume. Lui mi faceva sentire così bene che, forse, non riuscivo ad accettare che fosse tutto vero, che un uomo, fosse realmente in grado di rendermi felice. Perché sì, Edward Christopher Sheeran, mi rendeva felice. E allora, qual era il problema? Non riuscivo a dare una figura concreta a quell'ostacolo mentale talmente alto e spinoso, che mi impediva di rendere Ed partecipe della gioia che provavo a stare insieme a lui. 

Non doveva specificare che non avrei dovuto aspettarlo sveglia, non ce n'era bisogno, non l'avrei fatto comunque. Già, non l'avrei fatto, ma erano le una di notte, e io ero seduta sul divano con una tazza di tè in mano, ad aspettare il suo ritorno. 

Sentii la serratura della porta d'ingresso scattare, e così feci io, alzandomi velocemente dal divano come una molla. Ed entrò nel salotto, ma non si accorse della mia presenza. Aveva i capelli più scompigliati del solito, il colletto della camicia era sbottonato fino a rivelare la pelle del suo petto, gli orli erano fuori dai pantaloni e in una mano teneva un paio di scarpe e la felpa. Quando alzò lo sguardo, finalmente notò la mia presenza. Spalancò gli occhi dalla sorpresa e si schiarì nervoso la gola. 

"Ti avevo detto di non aspettarmi sveglia." Disse, la voce senza nessuna emozione. 

"Non lo stavo facendo, infatti." Mentì. "Stavo bevendo una tazza di tè." Indicai la bevanda ormai fredda, poggiata sul tavolino. 

"Ok, beh... Buonanotte." Borbottò, voltandosi. 

"Aspetta."

"Mmh?" Si fermò sulla soglia del salotto, senza girarsi a guardarmi. 

"Dove sei stato?" Chiesi, cercando di mantenere un tono di voce indifferente. 

"Non sono affari tuoi." Rimasi a bocca aperta da tanta freddezza nei miei confronti. 

"Come scusa?" Boccheggiai.

"Hai sentito bene: non sono affari tuoi." Ripetè, più duramente. Cosa avrei potuto rispondere ad un'affermazione del genere? Non avevo mai avuto a che fare con un Edward scontroso, almeno, non così. Lui è il dolce irlandese dai capelli rossi che ama i gatti e canta come un angelo, lui non ferisce le persone. E allora, perché mi sentivo come se avesse appena ferito i miei sentimenti?

Perché lo ha appena fatto, tesoro.

"Finché viviamo sotto lo stesso tetto, lo sono." Cercai di arrampicarmi sugli specchi, non sapevo perché ero così bisognosa di capire dove fosse stato fino a quell'ora, ma non riuscii a chiudere la bocca e a tornare in camera. Sapevo che non erano affari miei, sapevo che continuare quella conversazione, non avrebbe portato a nulla di buono, ma io ero testarda, raramente lasciavo perdere."Sembri appena uscito da una scopata da una notte." Indicai il suo aspetto, tenendo una smorfia di disgusto sul volto. 

"Chi ti dice che sia solo una scopata da una notte? Cosa ti fa pensare che non me la scopi tutti i giorni quando non ti ho tra i piedi, eh?" Ghignò. Il mento cominciò a tremarmi, ma non ne avevo ragione. Lui poteva fare tutto quello che voleva, giusto? Giusto?

"Mi fai schifo." Sputai, cercando di trattenere le lacrime. 

"Oh, sì, è vero. Io ti faccio così schifo da non meritarmi neanche un'occasione per diventare più di un amico per te, non è così? Ma sì, sono sicuro che ti scopi tanti altri ragazzi e fai la finta santarellina del cazzo con me, solo perché non mi trovi alla tua altezza. Ci ho preso?" Un sorriso privo di divertimento, gli copriva il viso angelico. Questo ragazzo però, non era il mio angelo. Sentii come se qualcuno mi avesse trafitto il cuore con la lama affilata di un coltello. Tutte le convinzioni che pensavo di avere sul ragazzo che mi trovavo davanti, vennero spazzate via con una folata di vento. Mi ero fidata lui, gli stavo, pian piano, aprendo il mio cuore, ma a quanto pare, avrebbe preferito che gli aprissi le mie gambe. 

"Come puoi dirmi questo?" Singhiozzai. Un lampo di consapevolezza gli attraversò gli occhi e sembrò aver capito cosa aveva realmente appena detto. 

"Ania io..."

"Vaffanculo!" Gli urlai contro mentre scappavo da quell'appartamento, da quelle quattro mura che, per qualche mese, erano diventate la mia sicurezza. Uscii di corsa dall'edificio e corsi, corsi, corsi. Corsi senza avere una meta, senza soldi, senza una certezza. 

Punto e a capo, Ania: punto e a capo. 

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Capitolo 15
*** 15. My little warrior ***


ED'S POV 

Sentii i suoi passi veloci farsi sempre più lontani. Si stava allontanando da me, io l'avevo fatta allontanare da me. Le avevo appena detto cose che non mi erano neanche mai passate nell'anticamera del cervello, eppure, gliele avevo dette. Ero riuscito a vedere la fiducia che provava per me, sgretolarsi davanti ai miei occhi, avevo distrutto in pochi minuti, quello che avevo impiegato mesi a costruire. Quella ragazza minuta che mi aveva rubato il cuore già dalla prima sera, mi era appena scivolata via dalle mani, senza mai essere stata davvero mia. Avevo provato a fare il distaccato per cercare di dimenticarla, credevo che trattandola con indifferenza, lei avrebbe capito e se ne sarebbe andata, ma non capiva. Ho dovuto dirle quelle cose, ho dovuto ferirla, ferirla davvero, perché se ne andasse. Io non potevo salvarla, non ero quello giusto. Doveva andare via da questa città per andare davvero avanti, avevo provato ad aiutarla, ma non ci ero riuscito. Mi ero accollato un problema più grande di me, non ero abbastanza per riuscire a farglielo superare, non ero quello di cui lei aveva bisogno. 

Tirai un forte calcio al tavolino del salotto, facendo cadere a terra la tazza di tè che, poco prima, era tra quelle fragili mani che non toccherò più. I vetri si sparsero su tutto il pavimento, in mille pezzi: proprio come il mio cuore. Avevo ridotto il mio stesso cuore, in tanti piccoli pezzi che, sola lei sarebbe stata in grado di rimettere insieme. Era Ania l'unica a possedere la colla che avrebbe ricomposto quel muscolo che avevo distrutto. 

Bravo, Ed, sei un genio. Sei un cazzo di genio. 

Era l'unico modo per aiutarla sul serio. Dovevo buttarla definitivamente a terra perché si rialzasse davvero. Sempre contro tutto e tutti. 

La mia piccola guerriera.

Mi misi velocemente scarpe ai piedi e la felpa sulle spalle, per poi uscire di casa. Dovevo parlare con qualcuno. Avevo bisogno di sfogarmi, qualunque modo sarebbe andato bene.

ANIA'S POV 

Non seppi dove fossi diretta, fino a quando i miei piedi si fermarono davanti al bar dove Ed mi aveva tirato la porta in faccia. Esitai qualche secondo e entrai, mentre i ricordi riaffiorarono uno ad uno nella mia mente.

Mi voltai velocemente e mi diressi verso l'uscita del bar quando qualcosa mi colpì dritta in faccia e caddi a terra come un sacco di patate.

"Oh cazzo! Stai bene? Merda! Perdonami, non l'ho fatto apposta!" disse una voce agitata. Non capivo se stessi sognando o se fosse tutto vero.

Presi posto al bancone dove ritrovai la stessa donna di quella sera. Sorseggiai lentamente la Coca-Cola che avevo ordinato e risi al ricordo della prima mattina nel suo appartamento, e lasciai le lacrime rigarmi il viso. 

"ED?"


"Sì?" 


"Ehm.. ho dimenticato di prendere i vestiti di ricambio e non ci sono asiugamani per coprirmi."


"T-te li va-vado a prendere"


"Grazie"


Lo sentii avvicinarsi nuovamente, così mi precipitai ad aprire la porta quanto bastasse per fare passare i vestiti, ma lo stesso fece lui ed esattamente come la sera prima, mi colpì dritta in faccia e non aiutata dal pavimento bagnato, caddi a terra. Nuda.

"Cristo santo!" esclamò disperato coprendosi gli occhi. "Scusa! Stai bene?"

"Sì, sto bene" risposi. "Passami i vestiti per piacere" dissi rassegnata di fronte ad una sfiga e goffaggine pazzesca. Mi passò i vestiti e uscì di fretta dal bagno chiudendo la porta.

Ero sempre stata maldestra, ma quei due giorni, il fato ce l'aveva proprio con me. Avevamo passato momento stupendi insieme, come poteva essere tutto finito? Avevo solo una persona con la quale avrei potuto parlare di tutto, anche se sapevo che i suoi "Te l'avevo detto di non fidarti" mi avrebbero tormentato per tutta la vita. Avevo bisogno di Lisa. Mi alzai dallo sgabello del bar e feci per lasciare i soldi sul bancone, quando un voce mi bloccò. 

"Ragazzina, pagherò io per quello." Disse indicando il mio bicchiere di Coca ormai vuoto. Io quell'uomo lo avevo già visto, ne ero certa. Il biondino! Il biondino che mi aveva offerto la birra quella sera che incontrai Ed, ma certo. 

"Non ce n'è bisogno, grazie lo stesso." Risposi, facendo uscire la mia voce tanto dura e sicura che volevo.

"Woah, hai affilato gli artigli, eh?" Ghignò, portandosi la bottiglia di birra alle labbra. "Non devi preoccuparti, sono pulito ora. Niente droga, solo una birra la sera." Mi fece l'occhiolino. 

"Oh, buon per te, ma ora devo andare."

"Sai, si dice che la felicità la si trovi vicino a chi si ama, ma a volte, non sempre amiamo chi se lo merita." Detto questo, pagò la mia Coca-Cola e tornò ad occuparsi della sua birra, lasciandomi lì in piedi, a riflettere su quell'unica frase così sballata, ma così vera. 

Uscii velocemente dal bar dirigendomi verso casa di Lisa, decisi di non suonare i campanello per non svegliarla così bruscamente, tanto sapevo che teneva le chiavi si scorta sotto lo zerbino, che originalità. Aprii la porta d'ingresso cercando di fare il più piano possibile, avrei dormito sul divano e le avrei spiegato tutti il giorno dopo. 

Stavo per coricarmi in salotto, quando dei gemiti mi arrivarono alle orecchie. Cercai di non scoppiare a ridere per la situazione, mi ero appena intrufolata nell'appartamento di Lisa mentre lei, si stava divertendo con qualcuno. Ero troppo curiosa per stare lì ferma, così mi avvicinai a passo felpato alla sua stanza da letto, la porta era aperta e quello che vidi, mi congelò all'istante. 

Lisa era sopra di Ed mentre entrambi lasciavano ansimi di piacere uscire dalle loro labbra. Mi coprii la bocca con la mano, mentre lacrime salate, mi inondavano il viso. Tutto avrei pensato sarebbe potuto accadere, ma questo no. Ripresi il controllo delle mie gambe e scappai il più lontano possibile che le mie gambe mi consentirono. Quando l'adrenalina lasciò il mio corpo, lascia le mie ginocchia cedere fino a toccare il freddo asfalto. 

Era questo quello che si provava a piangere davvero? 

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Capitolo 16
*** Ogni lacrima è una perdita d'acqua. ***


Mi ero fidata di entrambi. Avevo aperto il mio cuore a due persone che l'avevano preso, strappato e dato in pasto ai leoni. Le uniche due persone delle quali mi ero fidata dopo mio fratello. Non mi sentivo semplicemente ferita, c'era quel qualcosa in più che mi impediva di respirare regolarmente, di pensare lucidamente, di alzarmi da in mezzo alla strada e prendere in mano la situazione. Ero ancora lì in ginocchio, ma le lacrime ormai non scendevano più, sentivo solo il viso tirare per via di quelle ormai secche, sparse ovunque. Eppure sapevo che ogni lacrima era una perdita d'acqua. 
Gli occhi mi bruciavano e non riuscivo a tenerli aperti, ma più li tenevo chiusi, e più quell'immagine di Ed e Lisa a letto insieme, mi ritornava alla mente, accompagnata da tutti gli indizi che non avevo colto. 

"Ania non ne deve sapere nulla." Aveva detto Ed qualche mattina prima. E Lisa, non gli dava più contro, anzi, proprio l'apposto. Sono stata così stupida. Tremendamente ingenua a credere che tutti quei momenti belli, sarebbero stati solo l'inizio di un qualcosa di ancora migliore. 
Odiavo essere me. Odiavo dover essere sempre io quella che prendeva pugni nello stomaco, e doveva rimettersi su da sola. Ero stanca di tutto. Avevo anche messo in dubbio Londra per i senimenti che provavo nei confronti di Ed. Londra.

Londra. 

"Ora Ed non c'è più." Dissi tra me e me. Ed non c'è più. Non c'era più nulla che mi avrebbe impedito di vivere il mio sogno: uscire dall'Italia ed iniziare una nuova vita. A Londra. 

ED'S POV 

Ero corso da Lisa, non le avevo neanche dato il tempo di parlare, e l'avevo portata in camera da letto. Avevo bisogno di distrarmi, di non pensare ad Ania, ma ogni spinta dentro il corpo di Lisa, era una fitta al mio cuore. 
Strinsi forte gli occhi, immaginando un paio di occhi neri socchiusi che ansimavano il mio nome, ma quella sopra di me, era solo la sua migliore amica. 
Sono un bastardo, lo so. Un fottuto bastardo. 
All'improvviso, sentii un tumore simile ad una chiave che gira nella serratura e fermai di colpo i miei movimenti. 

"Hai sentito anche tu?" Chiesi a Lisa, tendendo l'orecchio verso la porta. 

"No, cosa?" Rispose lei, dopo qualche secondo. 

"Niente." Ero arrivato anche ad immaginarmi rumori strani. 

"Continua... C'ero quasi." Gemette, ruotando i fianchi sopra i miei.
Ripresi il ritmo, fino a quando la porta d'ingresso dell'appartamento di Lisa, non si chiuse di scatto. 

"Questo l'hai sentito?" Mi alzai velocemente, togliendomela di dosso. Mi infilai i pantaloni e corsi alla finestra che dava sulla strada e lì la vidi. I capelli lunghi le svolazzavano sulle spalle, mentre correva nel buio.

Aveva visto tutto. 

"Cazzo!" Urlai. 

"Ed? Cosa succede?" Lisa arrivò subito al mio fianco e poggiò una mano sulla mia spalla. 

"Non mi toccare!" Spinsi sgarbatemente la sua mano, dalla mia pelle e della sua espressione ferita, non me ne sarebbe fregare di meno. Avevo ferito Ania: ecco cosa mi importava. 

"Cosa ti prende?" 

"Era Ania, cazzo! Ci ha visti!" Mi passai nervosamente le mani sul viso, come per cancellare gli avvenimenti delle ultime ore. 

"Vedrai che le passerà. Aveva bisogno di un valido motivo per allontanarsi defimitivamente." Disse, calma. Troppo calma. 

"Tu lo sapevi, vero?" Dissi a denti stretti, trattenevo a stento la rabbia.

"Io..." Esitò.

"Non ci posso credere. Sei una stronza!" Le abbaiai contro.

"Così si dimenticherà di te. Era quello che volevi anche tu!" Gridò, avvicinandosi a me. 

"Cosa vuoi dire con 'anche tu'?" Chiesi, facendo un passo indietro. 

"Ed... Il fatto è che... Che..." Balbettò. 

"Santo Dio, parla!" Sbraitai. 

"Io ti amo!" Urlò, lasciandomi a bocca aperta. 

"Ma se tu mi odi." Sussurrai. 

"No, non ti odio. Lo dicevo solo perché Ania provava qualcosa per te ed era palese che tu provassi qualcosa per lei, ma poi tra voi non succedeva mai nulla e quando avevate litigato e sei venuto da me, io ho pensato che... Che stessi cominciando a sentire dei sentimenti per me." Stava piangendo a dirotto, gli occhi arrossati e le mani tra i capelli. La fissai, senza parole. 

"Tu sei pazza." Fu l'unica cosa che riuscii a dire. Tornai in camera, presi le mie cose e stetti quasi per uscire, quando mi richiamò.

"Dove stai andando?" Chiese, con tono disperato. 

"Da lei." Misi una mano alla maniglia. 

"Non andare, ti prego." A metà frase le si ruppe la voce e mi sentii un mostro. Nella stessa sera, avevo distrutto tre cuori. "Resta con me." Aggiunse.

"Mi dispiace, non posso." Uscii dal suo appartamento e cominciai a scendere le scale del palazzo. 

"Lasciala andare. Non merita altre sofferenze." Il tono più duro di Lisa, mi sorprese e mi girai per guararla un'ultima volta, ma aveva già chiuso la porta.

ANIA'S POV

Chiusi la valigia e diedi un'ultima occhiata alla casa prima di uscire, e chiudere un altro capitolo della mia vita. 
Avevo deciso di trascorrere la notte in un Bed&Breackfast e il giorno dopo sarei partita per Londra, avevo prenotato un volo appena arrivata a casa. O meglio, quella che era stata casa mia. 

"Vorreo una camera singola per stasera, se è disponibile, grazie." Sforzai un sorriso. 

"Certo, cara. Ecco a te la chiave." Disse la signora dai capelli afro e mi congedò con un sorriso professionale, ma allo stesso tempo, amichevole. 
Arrivai alla mia stanza, posai la valigia e mi buttai direttamente sul letto, cercando di prendere sonno. 

"Domani incomincia la mia vera vita." 

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Capitolo 17
*** Vivere, non sopravvivere. ***


Mi stavo cagando addosso. Mi stavo letteralmente, fisicamente e indiscutibilmente, cagando addosso. Non avevo mai preso un aereo prima di quel momento.
Mi trovavo in fila per l'imbarco del volo Milano-Londra, mancava poco, talmente poco... Una parte di me, sperava di vedere spuntare una testa rossa tra la folla, chiamare il mio nome per dirmi quanto in realtà mi amava e che senza di me non avrebbe potuto vivere, ma la parte più ragionevole, voleva solo salire su quell'aereo e dimenticare tutto. 

"Signorina?" Una voce sforzata alla gentilezza, mi richiamò dai miei pensieri e solo allora mi accorsi che era il mio turno. Mi guardai alle spalle ancora una volta, ma nessuno stava correndo a dichiarmi il suo amore, nessuno. La ragazza di poco prima mi controllò il biglietto e mi indicò la strada. 
Una volta trovato il sedile, mi accomodai vicino al finestrino e chiusi gli occhi, non avevo la forza necessaria per tenerli aperti ancora per molto. 
Immaginai Ed entrare di corsa nell'aereo, affannato, mentre mi cercava tra la gente e mi ripromisi, che quella sarwbbe stata l'ultima volta che lo sognavo. 

ED'S POV 

Mi sveglia sul pavimento della camera di Ania, circondato da varie bottiglie di birra vuote sparse in giro sul parquet. Avevo dormito sì e no una ventina di minuti quella notte, pensavo solo a lei, al male che le avevo fatto. Raccolsi da terra un laccio per capelli che aveva dimenticato, era l'unica prova che lei fosse stata lì in quella stanza. Quando ero arrivato a casa la sera prima, avevo subito capito che c'era qualcosa che non andava. Sembrava tutto troppo vuoto. Sono amdato subito in camera di Ania, e ho trovato l'armadio che aveva comprato, aperto, senza nessun vestito all'interno. Era andta via. Via davvero. 
Era quello che volevo, no? Volevo che si allontanasse perché non ero quello giusto per lei, non potevo aiutarla, ma perché mi sentivo così distrutto allora? L'unica cosa che mi venne in mente poi, fu ubriacarmi e scrivere canzoni su quell'elastico che era rimasto sul pavimento. 
A quanto pare, avevamo chiuso, ma solo lei sapeva che non era vero. Non esisteva più un "noi", ma d'altronde, quando mak era esistito? Mai.

Mai. 

Avrei voluto rincorrerla quella sera, ma Lisa aveva ragione: dovevo lasciarla andare. E così feci. Mi chiusi in casa e repressi ogni istinto che avevo di andare a cercarla. 
Mi spostai nel salotto, dopo aver faticato non poco per alzarmi, e osservai con malinconia le pareti arancioni. Ripensai a quel pimeriggio, alla paura che avevo visto nei suoi occhi quando avevo fatto l'errore di sbottonarle la camicetta, a quando mi raccontò della sua famiglia. Sentii gli occhi inumidirsi, ma niente usciva fuori. 
L'avevo fatta soffrore così tante volte, ma mai intenzionalmente. 
"Mi dispiace." Sussurrai, con la speranza che lei avesse potuto sentire la mia sofferenza anche a chilometri di distanza. 

Sapevo che non l'avrei più vista, non avevo idea di dove si trovasse in quel momento ed ero consapevole che non avrei mai più sfiorato quel corpicino e quel viso pallido. 

ANIA'S POV 

L'aereo atterrò dopo quasi un paio d'ore di viaggio. Dormii per quasi tutto il tragitto, quindi non ebbi poi così tanto paura come avevo immaginato. 

Era il 12 dicembre del 2009, la data che avrei ricordato per tutta la vita, la data dove dicisi di vivere e smettere di sopravvivere.

L'aeroporto era immenso e quasi non mi perdevo, ma riuscii ad uscirne e a trovare un taxi. 

"Dovrei andare qui." Mostrai l'indirizzo della pensione dove avevo prenotato che avevo scritto su un foglietto, all'autista e dopo un suo cenno affermativo della testa, mi rilassai sui sedili posteriori dell'auto. 

Ci vollero più o meno venti minuti per arrivare sul posto che avevo indicato al tassista. Da fuori aveva un'aspetto antico e abbastanza rovinato. 
C'eranp delle crepe evidenti sulle mura e avevo paura che, da un momento all'altro, sarebbe potuto crollarmi tutto addoso, ma infondo, mi era già crollato tutto addosso. 

"Basta Ania! Smettila di pensarci!" Rimproverai me stessa, ma ssapevo benissimo che avrei continuatl a rimuginarci sopra ancora per molto tempo. Sapevo però che, una volta fattami nuovi amici, conosciutp il posto e ricominciato a fidarmi davvero di qualcuno, sarebbe tutto passato. 
Anche solo pensare di potermi di nuovo fidare di un'altra persona, mi urtava il sistema nervoso e mi veniva voglia di prendere tutto a pugni perché, ogni volta che lo avevo fatto, era sempre finita male. Finiva con me distrutta, a terra, ferita come un lupo senza zanne. 

Ero un lupo senza zanne.

Presi le mie valige e, una volta pagato l'uomo, mi diressi all'interno dell'edificio. Se l'esterno sembrava messo male, l'interno era anche peggio: le pareti avevo la vernice quasi del tutto scrostata e la polvere sui mobili era visibile ad occhio nudo anche a due metri di distanza. 
Mi avvicinai alla reception, dove una donna sui sessant'anni, stava masticando rumorosamente una cicca. La osservai qualche secondo, storce do il naso notando il rossetto rosso sbavato persino sui denti. 
Mi schiarii la voce per renderle nota la mia presenza, riuscendoci egregiamente. Sollevò leggermente lo sguardo, guardandomi attraverso gli occhialini posizionati sulla punta del naso. Inarcò un sopracciglio, e lo presi come un invito a parlare. 

"Ehm..Salve." Sforzai un sorriso, senza riceverne uno in risposta. La signora continuò semplicemente ad osservarmi, senza dire una parola. "Ho prenotato una st-" Le parole mi morirono in gola quando, alzando lo sguardo, incontrai due occhi che mi erano mancati tremendamente. 

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Capitolo 18
*** The Big Brother. ***


Iridi nere come le mie, capelli corti color bronzo, tirati all'indietro dal gel. 
Dean aveva gli occhi spalancati mentre mi fissava, scioccato. 
Grazie alla divisa nera con bordi verdi che indossava, riuscii ad intuire che lavorare in quel posto. 

Il mio fratellone.

Mi era mancato così tanto, avevo passato tante notti insonni aspettando il suo ritorno, avevo pianto così tante lacrime. 
Senza rendermene conto, ero davanti a lui, con lacrime che mi inondavano il viso, mentre prendevo a pugni il suo petto. 

"Mi hai abbandonata! Come hai potuto lasciarmi sola con-con....con quel mostro?! Io mi fidavo di te! Ti odio!" Gli urlai contro, continuando il mio assalto. 
Le mie gambe tremavano, sapevo che nel giro di pochi secondi, sarei caduta a terra e proprio quando le mie ginocchia cominciarono a piegarsi, due braccia forti mi avvolsero, riscaldomi l'anima, riempiendo quello spazio che era rimasto vuoto per anni ormai. 
P

rovai a ribellarmi al suo abbraccio, ma questo non fece altro che fargli aumentare la stretta così, dopo qualche secondo, mi rilassai e mi lasciai cullare da lui. 

"Stai bene. Ania, sei viva." La sua voce si spezzò verso la fine della frase. Sembrava così stupito che fossi viva e vegeta, e non in qualche ospedale, piena di lividi. 

"Di sicuro non grazie a te." Risposi, acida. Tolsi le sue braccia da intorno al mio corpo e mi allontanai di quanche passo. 

"Lo so. Mi dispiace." Mi guardò con due occhi feriti, ma lui aveva ferito me in una maniera più profonda. 

"Me ne vado. Mi troverò un altro posto dove dormire." Continuai. 

"No. Verrai a casa mia." Disse, deciso.

"Cosa? No! Me la sono cavata benissimo anche senza di te negli ultimi anni." Incrociai le braccia al petto, assumendo uno sguardo di sfida. 

"Ma ora sono qui. Sono il tuo fratello maggiore perciò fai quello che dico io." Ci guardammo in cagnesco per un minuto intero, poi gli girai le spalle e camminando verso l'uscita, aggiunsi: "Non puoi scegliere di essere il fratello maggiore solo quando fa comodo a te."

L'aria era talmente fredda, da entrarti nelle ossa e ghiacciarti all'istante sul posto. Guardai a destra e a sinistra, non avevo idea di dove andare. Ma chi volevo prendere in giro? Avevo bisogno di Dean, ma mai sarei ritornato dietro a dirgli che aveva ragione e per di più, non aveva nessun diritto di dirmi che avrei dovuto fare quello che diceva lui, non più almeno. Ero magiorenne, avevo diciotto anni, e vivevo fuori casa da quasi un anno. Me la stavo cavando. 

Sentii dei passi incerti avvicinarsi, ma non mi voltai. 

"Hai ragione. Sono un fratello di merda. Non merito neanche più essere chiamato così, ma non posso lasciarti andare via ora che ti ho ritrovata. Ti prego." Mi supplicò. La vista mi si annebbiò e il labbro cominciò a tremare. Corpo traditore.
"Non conosci la città e non hai un posto dove andare. Non posso farti vagare per Londra da sola." Concluse. 
Anuii soltanto e lasciai che prendesse la mia valigia indicandomi di seguirlo. 
Arrivammo ad una Mini nera, Dean la aprì e dopo che mise il bagaglio nel cofano, mi invitò ad entrare. 

Il viaggio fino al suo appertamento, fu molto silenzioso, le uniche cose che emettevano suoni, erano l'auto e il mio cellulare che non smetteva neanche un secondo di suonare. Alle prime chiamate, quasi mi uscì il cuore fuori dal petto, poi decisi semplicemente di ignorarlo, ma fu quando mi arrivò un messaggio e lessi:

GingerbrEaD 3.24 pm
Voglio solo sapere se stai bene. 

Che mi costrinsi ad eliminare il numero di Ed dalla mia rubrica e spegnere il telefono.

"Sei molto ricercata." Disse Dean, in un patetico tentativo di aprire una conversazione. 

"A quanto pare." Risposi, con un tono di voce ironico.

"Come mai non rispondi?" Azzardò.

"Perché sono già in macchina con uno stronzo, aggiungerne uno al telefono, non mi potrebbe provocare altro che una crisi isterica." Sbottai. 
Gli scappò una piccola risata che cercò di camuffare con qualche colpo di tosse. Lo fulminai con lo sguardo, provocandogli un'alzata di occhi al cielo. Non potei evitare ad un leggero sorriso, di affiorarmi in viso, ma lp repressi subito, unendo le labbra in una linea sottile. Dean se ne accorse e notai un po' di speranza passargli negli occhi.

ED'S POV 

Avevo provato a chiamarla infinite volte, ma non aveva mai risposto. 
Mi stavo preoccupando e lei non rispondeva al suo cazzo di telefono! Era così fragile e piccola che immaginarla da sola in giro per i vicoli, mi mandava fuori di testa. Provai a mandarle un messaggio, magari non voleva sentire la mia voce, e non potevo biasimarla per niente, ma al messaggio avrebbe risposto. Passarono secondi, minuti, ore e nessuna risposta arrivò. 
Poteva già mancarmi così tanto, quando erano passate solo poche ore? 

Sì.

Mi mancava. Mi mancava il suo profumo, il suo sorriso, passare le dita tra i suoi morbidi capelli, accarezzare il suo viso di porcellana mentre dormiva, mi mancava semplicemente vedere i suoi occhi assonnati guardarmi la mattina da appena sveglia mentre cercava di farsi una tazza di caffé. 
Non mi ero mai sentito in quel modo. 
La volevo solo tra le mie braccia.
Lisa aveva provato a chiamarmi e alla quinta chiamata, quando le dissi di cancellare il mio numero e dimenticarmi, ci fu solo silenzio. Troppo silenzio. 

"Se solo mi rispondessi." Mormorai, guardando Gordon leccarsi il pelo davanti alla porta di ingresso. 
Erano le otto di sera ormai, Ania tornava a casa da lavoro a quell'ora e Gordon la aspettava sempre lì. 
Una singola lacrima mi rigò il viso e nom feci nulla per impedirlo, non sarebbe cambiato nulla, in ogni caso. 

"Torna da me, piccola." 

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Capitolo 19
*** Tutto come prima. ***


Quella notte quasi non dormii, le palpebre erano stanche e volevano solo cedere e permettere al buio di avvolgermi, ma il mio cuore, stava ancora pensando allo stupido messaggio che avevo ricevuto da Ed. Voleva sapere se stavo bene. Ma chi voleva prendere in giro? Quando scopava con Lisa, pensava per caso al mio benessere? Non credo proprio. 
Un'improvvisa luce mi accecò gli occhi anche se ancora chiusi e mi girai dall'altro lato del letto, senza trovare alcuna differenza. 
"Hey, briciola." Una mano ruvida mi accarezzò gentilmente il viso e all'improvviso, ero di nuovo quella bambina di quattro anni che veniva svegliata dal fratellone la mattina, ma tutto svanì nell'istante in cui aprii gli occhi e Dean aveva ventisette anni, non più tredici. Mi allontanai dalla sua mano, evitando di guardare i suoi occhi feriti. 

"Mi dispiace davvero, lo sai?" Sussurrò. Rimasi in silenzio, osservando il muro alle sue spalle. 

"Non potevo più restare in quella casa non-"

"E io sì? Io potevo restare lì, invece?" Ringhiai, puntando i miei occhi furiosi, nei suoi mortificati.

"Sai cos'è successo una volta che te ne sei andato?" Chiesi, senza aspettarmi davvero una risposta. "Ha ricominciato a... A violentarmi, ma era peggio delle altre volte. Era sempre più rude e..." Non riuscii a finire la frase che mille singhiozzi uscirono dalle mie labbra. Dean mi strinse al suo petto, accarezzandomi lentamente la schiena. 

"Sono andato via, solo perché pensavo che sarei ritornato a riprenderti, una volta trovato un lavoro stabile ed un casa in cui farti crescere in serenità. Proprio come ti meritavi, ma nulla è andato come previsto." Si scusò. 

"Dovevi portarmi con te." Mormorai nel suo petto.

"Avrei dovuto, sì, ma cosa avrei potuto darti? Non avrei potuto prendermi cura di te." 

"Tutto sarebbe stato meglio che vivere con nostro padre." Sputai l'ultima parola con disgusto. "Come pensi che si sia preso cura di me, eh? Tu avresti fatto di sicuro un lavoro migliore." Lo sentii sospirare ed annuire deciso col capo. Mi staccai dalla sua presa, strofinandomi il naso sulla sua maglietta grigia. 

"Oh, sì. Wow. Grazie mille, davvero." Sbuffò, fingendo una faccia disgustata. Ridacchiai con un'alzata di spalle e tutto era tornato come prima. Eravamo di nuovo lui ed io, contro chiunque altro. Non c'era bisogno di una parola in più da parte sua o mia, tutto era come doveva essere: noi due, in un appartamento a Londra, lontani dal passato. 

"Come hai dormito stanotte?" Chiese, cambiando discorso. 

"Bene." Mentii. Mi stiracchiai, alzando le braccio al cielo. 

"Non ho perso i miei super poteri per capire quando dici cazzate." Inarcò un sopracciglio. 

"È che... Ho pensato." 

"A quel coglione che non la smetteva di chiamarti ieri?" Domandò, alzandosi dal materasso. Abbassai lo sguardo, guardando le mie dita giocherellare con le lenzuola. 

"È per colpa sua che sei scappata fino a qui?" Sentii una nota di fastidio nel suo tono. 

"Non sono scappata." Protestai, a voce bassa, incrociando le braccia al petto. 

"Ho perso i tuoi anni da teenager e non ho potuto darti i consigli da bravo fratello maggiore quale sono, permettimi di farlo ora." Accennò un sorriso sincero. "Intanto facciamo colazione." Propose e non potei fare altro che annuire e seguirlo in cucina. 

Gli raccontai tutto quello che era successo: dalla sera che atterrai a terra il mostro con la bottiglia di vodka alla pesca, ottengo un "dammi il cinque" da parte sua, all'incontro con Ed, alla nostra "convivenza", tutti i problemi e le insicurezze, fino a Lisa che faceva sesso con Ed. Tutto. 

"Che bastardo!" Esclamò, sbattendo il pugno sul tavolino. Il latte staripò leggermente dalla tazza a causa del colpo. "Deve pregare di non incontrarmi, o il pene glielo taglio." Affermò, deciso. Scoppiai a ridere, agitandomi sulla sedia, cercando di non cadere. Una volta ripreso fiato, mi alzai per poi posare le tazze vuote nel lavandino. 

"Devo cercare un lavoro." Pensai, ad alta voce. 

"Giusto. Non ho intenzione di tenerti in casa mentre fai la mantenuta." Scherzò, arruffandomi i capelli con la mano destra. Lo scacciai in malo modo, mentre un dolce sorriso gli nacque sul viso. "Ora che mi fai pensare, un mio amico che lavora in un albergo nel centro di Londra, mi ha accennato che stanno cercando uma cameriera per le camere. Non è il massimo, ma sempre meglio di nulla, no?" Mi guardò, scrollando le spalle. 
Aveva ragione, non era di sicuro il mio sogno di sempre, lavorare come cameriera dei piani in un albergo, ma avevo bisogno di soldi, non avevo intenzione di stare a casa di Dean senza contribuire con la spesa o con l'affitto. 

"Come inizio, è perfetto." Lo rassicurai. Presi un cereale che era rimasto sulla tovaglia e glielo tirai sul viso. Mi guardò scioccato per un attimo, ma si riprese in fretta e nel giro di qualche secondo, stavamo già rincorrendoci per tutto l'appartamento, lanciandoci residui di cibo addosso. Eravamo cresciuti, ma eravamo rimasti gli stessi idioti.

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