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di _juliet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 – Capitolo 1 –


Fíli correva sotto la pioggia, zoppicando sulla gamba ferita e ignorando i richiami dei guaritori. Thorin, dal letto in cui lo stavano curando, gli aveva intimato di calmarsi e lasciare che medicassero le sue ferite, prima che queste si infettassero; anche gli altri compagni e persino alcuni Elfi avevano cercato di convincerlo a preoccuparsi di se stesso, ma lui non aveva dato ascolto a nessuno. Sapeva che in quel modo avrebbe allungato di molto i tempi della sua guarigione, ma non gli importava.
Kíli era scomparso. L'ultima volta che l'aveva visto, Azog lo stava trascinando lontano da lui. Poi, aveva perso le sue tracce. Fíli imprecò ad alta voce, sputando maledizioni in Khuzdul. I suoi stivali iniziarono ad affondare nel terreno, flaccido d'acqua e di sangue; l'incedere diventò più faticoso, anche a causa della spossatezza. La sua mente capiva che avrebbe dovuto preoccuparsi della propria salute, ma il corpo si muoveva da solo ed era concentrato su un altro obiettivo: ritrovare Kíli, in fretta. Il profondo malessere che lo inebetiva non era dovuto alla stanchezza o alle ferite; era legato alla sparizione di suo fratello. Doveva trovarlo e non poteva ignorare quel bisogno: era un imperativo categorico, era il suo stesso sangue che ribolliva e gli imponeva di tornare in quell'inferno di corpi, per cercare l'unico che contava veramente. Non aveva alcuna importanza cosa pensassero gli altri, loro non capivano, loro non sapevano. Ovunque Fíli guardasse, vedeva lui. Il cielo, qualunque nuvola, l'aria densa di umidità, persino i lineamenti martoriati delle persone che incrociava lo torturavano con l'immagine di lui. Lui era il mondo intero e, al contempo, il centro esatto del mondo.
Fíli si fermò, tremando, stravolto da ciò che sentiva. Fra i due, lui era sempre stato il fratello più razionale, che ragionava e rifletteva attentamente sulle situazioni, che non si faceva trascinare dall'audacia e dall'emotività. Ma tutto ciò che credeva di essere stava crollando, di fronte ai sentimenti violenti che stavano implodendo in lui. Il torrente delle sue emozioni scorreva velocissimo; ovattava i suoi pensieri e si raccoglieva nel suo petto, annodando strettamente le sue viscere, impedendogli di respirare. Tentò di inspirare, per raccogliere aria, ma i suoi polmoni non ressero. Attese con impazienza che i conati e i colpi di tosse cessassero di scuotere il suo corpo e, senza concedersi di riprendere fiato, riprese ad avanzare fra i cadaveri ammassati gli uni sugli altri, bagnati di pioggia e fluidi corporei.
Il terreno non riusciva ad assorbire tutto il sangue che era stato versato, ed esso si raccoglieva in putride pozze maleodoranti. La confusione regnava sovrana; Dís aveva ragione quando, prima che partissero, aveva cercato di dissuaderli: era vero, per tutta la vita erano stati allenati per prepararsi a questo, ma non erano realmente pronti. Non avevano idea di che cosa implicasse una guerra reale. La sua vista, ormai, si era abituata allo spettacolo macabro, ma il puzzo era impossibile da sopportare. E Fíli sapeva che, nelle profondità della sua mente, avrebbe ascoltato per molti anni il clamore, i canti di guerra e le urla strazianti dei moribondi. Improvvisamente, inciampò in un corpo a cadde, affondando le mani nel fango. Si voltò e si trovò di fronte il cranio sfondato di un nano. Mentre si rialzava in piedi, reggendosi alla spada conficcata nel terreno, osservò il cervello viscido di sangue e di pioggia, chiedendosi se anche il suo avesse lo stesso colore. Barcollò, tentando di contenere l'ennesimo conato, ma dovette trascinarsi a terra per vomitare.
Quando gli spasmi cessarono, Fíli si guardò intorno, scrutando tutti quei corpi spezzati, in cerca di suo fratello. Per tutto l'arco della battaglia non si erano persi di vista, ma poi era arrivato Azog; quella bestia era troppo vigliacca per affrontarli insieme e aveva cercato di separarli. Ma non gli era servito: lui e Thorin avevano posto fine alla sua miserabile esistenza; avevano dimostrato una volta per tutte che la stirpe di Durin non sarebbe stata sopraffatta. Dopo la morte del comandante, le truppe avevano iniziato a disperdersi e non avevano impiegato molto a capitolare. Tutto andava per il meglio: la guerra era stata vinta, erano riusciti a riconquistare Erebor e Thorin veniva già chiamato "re".
Nonostante questo, Fíli non poteva riposarsi. Senza Kíli, quel trionfo non era altro che una sconfitta; senza di lui, nulla aveva importanza.
Si morse il labbro inferiore fino a sentire il sapore metallico del sangue. «Dove sei?» gridò, calciando un elmo. Accolse con sollievo la fitta che attraversò la sua gamba; il dolore era ciò che si meritava per aver perso suo fratello. Dís gli aveva fatto una richiesta, il giorno prima di partire, e lui non l'aveva dimenticata; avrebbe protetto Kíli, avrebbe vegliato su di lui. Avrebbe fatto in modo che non fosse sconsiderato nell'affrontare gli inevitabili pericoli e l'avrebbe riportato a casa, ad ogni costo. E invece l'aveva perso.
Fíli continuò a urlare, sfogando la sua frustrazione verso se stesso e il mondo, calciando tutti gli oggetti che riusciva a trovare, torturando il suo corpo ferito e affaticato, finché non scivolò e cadde nel miscuglio di fango e sangue che ricopriva il terreno. Si girò sul dorso, sopraffatto dagli eventi. I Nani venivano addestrati fin da piccoli a non mostrare mai il dolore o le loro debolezze, a essere duri e risoluti, a prescindere da quanto si sentissero perduti e infelici. Sapeva che si stava rendendo ridicolo di fronte agli Elfi e agli Uomini, sapeva che stava sforzando inutilmente le sue membra, martoriate dal combattimento. Cercò di calmarsi, concentrandosi sul respiro. La cassa toracica gli faceva male e aveva la sensazione che non fosse solo a causa di qualche costola rotta; sentiva ancora quel peso nel suo petto, come se un enorme blocco di pietra gli comprimesse i polmoni. Non riusciva a gonfiarli, l'aria gli sfuggiva.
«Fíli» una voce affaticata lo chiamò.
Thorin l'aveva seguito. Si trascinava verso di lui, zoppicando, cercando di mantenere un'espressione neutra. Nonostante fossero appena state medicate, le sue lesioni avevano già ripreso a sanguinare copiosamente; Fíli era sicuro che stesse soffrendo e fosse esausto, ma sarebbe morto, piuttosto che mostrarsi debole. Specialmente ora che gli occhi di tutte le razze erano posati su di lui. Balin e Dwalin, pur essendo feriti, l'avevano accompagnato e gli stavano vicini, pronti a sorreggerlo o ad aiutarlo nei movimenti, se fosse stato necessario.
Il giovane Nano si alzò, facendo leva sulla sua spada e, senza degnarli di un secondo sguardo, ricominciò a cercare più lentamente, con calma.
«Fíli, ti prego» sospirò Thorin, senza fiato.
Lui si irrigidì, consapevole che non gli stava parlando come re, ma come zio. Gli stava dando una possibilità, gli stava chiedendo un favore. Se non l'avesse ascoltato, gli avrebbe dato un ordine, e allora Fíli avrebbe dovuto scegliere da che parte stare, proprio come quando suo fratello era stato abbandonato, ferito e solo, a Pontelagolungo. Il giovane soffocò un moto di rabbia, imprecando. Anche Thorin aveva perso suo fratello e Kíli era suo nipote; lui, più di chiunque altro, avrebbe dovuto capire. Ma forse, in quel momento, il suo unico interesse era assicurarsi che il suo erede, quello certamente ancora in vita, fosse al sicuro.
Fíli si concesse qualche attimo per assimilare quel pensiero. Ora che Thorin era re, lui era diventato il primo nella linea di successione al trono di Erebor; avrebbe dovuto esserne contento ed orgoglioso. Ma non lo era, perché anche questo non aveva alcuna importanza: lui apparteneva a suo fratello. Era sempre stato così e lo sarebbe stato anche in futuro. Scosse la testa, soffocando una risata amara, e continuò ad avanzare.
«Fíli!» questa volta il tono, anche se stanco, era più rigido. «Vai a farti medicare, lo stanno cercando, qualcuno lo trove-»
«No!» gridò il giovane. Il suo braccio fu più veloce del suo buon senso e lanciò la spada, che sibilò vicino all'orecchio di Thorin e si conficcò nel fango, dietro di lui. Fíli non voleva fargli del male né minacciarlo, voleva semplicemente essere lasciato solo con la sua autocommiserazione, trovare Kíli. «Non qualcuno» ringhiò. Sentì il suo viso contrarsi al solo pensiero di quello che suo zio stava implicando e lottò per trattenere le lacrime, senza successo. Per la prima volta da quando quella maledetta giornata era iniziata, fu grato della pioggia battente. «Io lo troverò. Io lo riporterò a casa.»
Thorin alzò le braccia, mostrandogli i palmi delle mani, e si avvicinò. «Fíli, tu hai bisogno di riposo» disse, in tono pratico, abbassando lo sguardo. «Vai a farti medicare. Non perderò entrambi i miei eredi. Uno è più che sufficiente.»
«Tu non hai perso Kíli!» esclamò il giovane, inorridito dall'uso della parola "eredi". Era solo questo che importava, al nuovo re. Fece qualche passo indietro, aumentando la distanza fra lui e Scudodiquercia. «Perché non hai un briciolo di speranza?»
«Perché non ce n'è!» ruggì Thorin.
Fíli non riuscì a dire nulla; era raccapricciato, scioccato dalla breve conversazione. Thorin era cambiato, da quando erano partiti per la missione. Ed era cambiato in peggio. Il torrente di emozioni che lo opprimeva vorticò tanto da fargli male e si tramutò in rabbia, che attraversò il suo corpo, lanciando tracce di fuoco, e si ammassò al centro del suo petto. Prima di capire cosa stava per fare, sputò urla incoerenti e si gettò contro Scudodiquercia; voleva colpirlo, fargli del male, ucciderlo.
Dwalin fu più veloce e gli si parò davanti, difendendo il re. Avvolse Fíli con le sue braccia muscolose e lo strinse, immobilizzandolo. «Basta così, ragazzo!» esclamò, trascinandolo lontano.
«Come osi?» gridò il giovane, lanciando a Thorin uno sguardo di fuoco. «Come osi
Si agitò, spinse, morse, ma la stretta di Dwalin era troppo salda. Consapevole di non potersi liberare, Fíli si limitò a sfogarsi urlando, con tutto il disprezzo che riusciva a infondere nelle parole. «Zio! Come osi rinunciare a lui?» il fatto che Scudodiquercia non rispondesse e si limitasse a fissarlo lo fece infuriare ancora di più. «Io non rinuncerò mai a lui! Mi rifiuto di arrendermi!»
«Fíli, ragazzo, sei sconvolto» Balin intervenne, in tono conciliante. «Non fare così. Vai a riposarti.»
«Ti sei arreso!» Fíli continuò a gridare, alzando la voce. Voleva che il mondo intero potesse sentirlo, potesse vedere in cosa si era trasformato suo zio. «Non sai niente e ti sei arreso! Lo lasceresti a morire, pur di sederti su quel trono!»
Thorin barcollò, le sue spalle si ingobbirono, come se fosse schiacciato da un peso. I suoi occhi chiari cercarono quelli del nipote, mentre Balin accorreva al suo fianco, sorreggendolo.
Senza preavviso, Dwalin sciolse la sua morsa intorno a Fíli solo per schiaffeggiarlo. «Basta così» la sua voce era molto seria, il tono non ammetteva repliche. «Thorin è il Re sotto la Montagna. Non gli parlerai in questo modo in mia presenza. Gli mostrerai il rispetto che gli devi.»
«Gli mostrerò rispetto se lo meriterà» lo corresse Fíli, infondendo in ogni parola quanto più veleno possibile. «Troverò mio fratello da solo.»
A quelle parole, Balin abbassò il viso, coprendosi gli occhi con una mano, lasciandosi sfuggire un rauco singhiozzo. Dwalin gli si avvicinò, mormorando qualche parola in tono burbero. Thorin, ora, sembrava provato dalle ferite fisiche e psicologiche; aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi rinunciò e si limitò a guardarlo negli occhi.
Fíli si concesse qualche attimo per riprendersi, per soffocare il vortice di emozioni che opprimeva il suo petto. Tra le molte, riconobbe il senso di colpa e si sentì sprofondare. «Perdonatemi. So cosa state pensando» disse, quando ritenne di essere sufficientemente calmo. «Ma anche se lui fosse morto, io-»
«Ragazzo» cominciò Dwalin, in tono pacato, insolito per lui.
«Io devo riportarlo-» Fíli gli parlò sopra, ma la voce gli morì in gola. Qualcosa, qualche metro più in là, aveva attirato la sua attenzione: una macchia di blu, che spiccava nel grigiore del campo di battaglia.


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NdA:
Bene. Ho scritto pochissimo slash e non ho mai, mai, pensato di scrivere incest. Però un giorno, improvvisamente, scrivere una Durincest mi è sembrata un'ottima idea dotata di molto senso. Quindi, eccola qui. Questo è il primo capitolo di una storia quasi AU perché, come avete notato, sono tutti vivi (per ora). Mi scuso in anticipo per la lentezza con cui la aggiornerò. E, visto che sono inesperta in questo campo, chiedo cortesemente pareri (e aiuto, tanto).

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 – Capitolo 2 –


I tre Nani continuarono a insistere perché rientrasse e si lasciasse aiutare, cercando di convicerlo che si stava facendo del male inutilmente; ma Fíli non li ascoltava più. Avanzava in direzione di quella macchia colorata, incapace di fermarsi, ipnotizzato. Era come se una forza invisibile lo stesse attirando verso quel punto, come succedeva alle falene di fronte alla luce del focolare. Non avrebbe saputo spiegare come potesse essere certo di averlo trovato; lo sapeva e basta.
«Kíli!» gridò, gettandosi verso il tessuto blu, sepolto sotto un ammasso di cadaveri. Trascinò e spinse in malo modo i corpi viscidi e rigidi, liberando l'arciere dal suo guscio di morte. Abbassò lo sguardo sul desolato aspetto del fratello e avvertì una lama di ghiaccio trafiggergli il cuore: i vestiti laceri rivelavano molte ferite ed escoriazioni; grumi di sangue e fanghiglia sporcavano il viso tumefatto, gonfio di lividi; sotto il guanto, un palmo era aperto da un taglio tanto profondo da mostrare i tendini, come se, tentando di difendersi, Kíli avesse afferrato una lama con una mano; l'altra era chiusa a pugno intorno alla pietra runica. Fíli si sporse su di lui, per ripararlo dalla pioggia battente, e si dedicò ad un'attenta osservazione della freccia spezzata conficcata nell'addome di suo fratello. Cercando di ignorare l'impulso ad estrarla immediatamente, toccò la ferita con mani tremanti, per cercare di capire quale fosse l'entità dei danni interni. I suoi occhi si spostarono sul viso di Kíli, e si riscoprì ad ammirarne i lineamenti, spigolosi e bellissimi, di un pallore spettrale.
Il primo singhiozzo gli tolse il respiro. I suoi sensi percepivano solo la paura; poteva sentirne l'odore, il sapore, poteva toccarla. Un terrore gelido e inesorabile velò la sua vista e trasformò l'aria in un liquido denso che gli impediva di respirare. La sua mente era annebbiata e si rifiutava di capire, ma poi, bruscamente, da ogni parte, dalle profondità della terra, il dolore lo colpì e lo sommerse. Non riconosceva più nulla, esisteva solo il dolore. Non riusciva a capire che dolore fosse, gli risultava allo stesso tempo familiare ed estraneo; non sapeva se fosse nuovo o se si stesse rinnovando il dolore che aveva provato quando aveva perduto il padre. Ma, per suo padre, non aveva provato il desiderio di uccidersi che sentiva in quel momento.
«Avanti, Kíli» mormorò, premendo con le mani sul suo corpo, scuotendolo delicatamente. «Non farmi questo. Non lasciarmi in un mondo dove non riesco a trovarti.»


Thorin, poco lontano, osservava la scena con espressione neutra. Balin lo guardava, attraverso il velo di lacrime che annebbiava i suoi occhi, e si domandava come facesse a rimanere impassibile di fronte a quello spettacolo. Era vero, la morte era qualcosa che avevano messo in conto da molto tempo; quando erano partiti, tutti loro erano consapevoli dei rischi e della possibilità che l'impresa si trasformasse in un suicidio; morire sarebbe stato un prezzo irrisorio da pagare, per il riscatto del loro popolo. Ma era il ragazzo a giacere là, spezzato, abbandonato dalla furia della sua prima battaglia. Balin non riusciva a sopportarlo. Avrebbe preferito che Aulë reclamasse la sua vita.
«Kíli» un sussurro al suo fianco attirò la sua attenzione. Si asciugò gli occhi e si voltò verso Dwalin, credendo di trovare in lui la stessa disperazione che lo stava affliggendo, ma il fratello teneva lo sguardo puntato verso qualcun altro.
«Kíli» ripeté Thorin, in tono piatto. I suoi lineamenti severi e impassibili tremarono, deformandosi in un'espressione che ricordava la meraviglia. Le sue ginocchia cedettero prima che Balin e Dwalin potessero sorreggerlo, e cadde nel fango. Si guardò le mani, con orrore. «Mio nipote. Il mio ragazzo.»


Fíli tremava, il corpo scosso da dolorosi singhiozzi. Era inginocchiato accanto al corpo di suo fratello, incapace di alzarsi, incapace di distogliere lo sguardo da quel viso martoriato. Si allungò su di lui e gli prese la mano, liberando la pietra runica dalla morsa delle dita; sfilò con attenzione il guanto e si portò il palmo alle labbra, baciò le vene scure del polso. Kíli era livido, immobile. Non l'avrebbe ritrovato, non poteva più; l'aveva perso per sempre. Una nuova ondata di dolore lo travolse; la disperazione era tanto intensa che annullava tutti i suoi sensi. Mormorando parole inutili, accarezzò il volto tumefatto, cercando di ripulirlo dai grumi di sangue; scostò le ciocche scure, teneramente, con cura, come se non volesse svegliarlo da un sonno pacifico. Si chinò, fino a toccare la fronte di Kíli con le labbra, e pianse contro la sua pelle.
Stava per costringere se stesso ad alzarsi e raggiungere gli altri Nani, quando un'informazione che, in un primo momento, aveva classificato come insignificante si fece strada in lui dalle profondità della sua mente: la fronte di Kíli scottava. Fíli esitò, temendo che il suo corpo stesse cominciando a risentire seriamente della spossatezza e delle ferite; ma il vortice di emozioni si era risvegliato in lui e pesava sul suo cuore. Infine, deglutì sonoramente e baciò nuovamente la pelle del fratello, cercando di concentrare tutte le sue facoltà sensoriali nelle labbra; si ritrasse immediatamente dal contatto, allontanandosi di scatto. Kíli era stato a lungo all'aperto, sotto una pioggia gelida e impietosa, ma la sua fronte era calda.
Con mani tremanti, freneticamente, Fíli lacerò ciò che restava del cappuccio del fratello e premette due dita sulla sua gola, in trepidante attesa. Impiegò alcuni minuti per isolarsi dallo scroscio dell'acquazzone, dalle urla di chi cercava feriti e da tutti i rumori che lo circondavano ma, improvvisamente, la percepì: una leggera pressione contro i suoi polpastrelli. Tuffò il viso nel petto di Kíli, faticando a contenere il vortice dentro di sé. Il battito era fievole e lento, ma c'era; concentrandosi, riuscì addirittura ad avvertire la cassa toracica gonfiarsi lievemente.
«Respira» mormorò. Il torrente di emozioni contrastanti si annodò più strettamente intorno ai suoi polmoni, togliendogli il fiato e gonfiando la sua gola di lacrime. Un moto di sollievo gli fece girare la testa, dandogli la nausea. «Respira!» urlò, con voce roca.
I tre Nani più anziani rimasero immobili per alcuni lunghi istanti, poi Balin sussultò e si lanciò, zoppicando, verso la tenda dei guaritori, gridando che c'era bisogno di aiuto, avevano trovato un ferito. Bofur gli corse incontro, gli domandò qualcosa e, al cenno affermativo del figlio di Fundin, cadde in ginocchio e rivolse il viso al cielo. Dwalin attese, girato di spalle, che Scudodiquercia si ricomponesse, poi lo issò senza sforzo e lo aiutò ad allontanarsi, mormorando qualche parola di conforto.
Fíli scalciò qualche altro cadavere, creando spazio per i soccorsi che sarebbero arrivati a momenti; raccolse la pietra runica e la ripulì contro i suoi calzoni, prima di riporla in tasca. Si chinò sul ferito, baciò la sua fronte, il suo mento, i suoi capelli. Accarezzò il viso livido, tenendolo fra le mani come se fosse qualcosa di prezioso, di fragile. Suo fratello, il suo bambino, il suo amore. «Respira» pianse, sottovoce, contro la sua pelle. Non sapeva più a chi lo stesse dicendo; a se stesso, al mondo, a Kíli.
Quando Balin, Bofur e i guaritori li raggiunsero, i due erano avvinghiati in un abbraccio così disperato che non riuscirono in alcun modo a separarli.

 

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NdA:
Bene, bene, bene. Con sorpresa di tutti (?), scopriamo che Kíli è vivo C: ma in che condizioni sarà? Come al solito, pareri, consigli, insulti sono i benvenuti, ma mi riservo di rispondervi male, se esagerate ;)

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 – Capitolo 3 –


Fíli si svegliò con un sussulto, madido di sudore e tremante. Come aveva previsto, la battaglia, il dolore, le perdite tormentavano il suo sonno, riproponendogli in incubi vividi le scene più raccapriccianti cui aveva assistito; culminavano sempre con il ritrovamento del corpo di Kíli, freddo e senza vita. Il giovane Nano inspirò a fondo, cercando di calmare il battito del suo cuore; non era la prima volta che sognava la morte del fratello e non sarebbe stata neanche l'ultima. Dopo tutto, era sempre stata una delle sue paure più grandi.
Fuori dalla tenda, i primi raggi di sole illuminvano il cielo blu scuro; tanto valeva alzarsi ed iniziare una nuova giornata. Con un profondo sospiro, si stiracchiò, sgranchendo i muscoli indolenziti. Era evidente che le sedie non fossero state pensate perché qualcuno vi si addormentasse sopra, ma nella piccola tenda non c'era spazio per un altro letto; avrebbe solo intralciato i guaritori nell'eventualità che Kíli avesse avuto un collasso. Fíli si lamentò, quando le sue articolazioni scricchiolarono in modo sinistro, provocandogli fitte di dolore in tutto il corpo, ma tacque immediatamente, temendo di aver disturbato il fratello.
Aveva vegliato su di lui per cinque giorni, allontandosi dal suo capezzale solo quando era stato strettamente necessario, per lasciare che fosse lavato e che le sue ferite venissero medicate. Thorin l'aveva più volte pregato di distendersi e riposare, di lasciare che i guaritori curassero anche lui, ma Fíli non aveva voluto sentire ragioni: non aveva intenzione separarsi da Kíli, non più. Le ferite erano molto gravi e le complicazioni, anche se non inaspettate, erano state pesanti, per tutti. Voleva esserci, nel momento in cui suo fratello avesse aperto gli occhi. E voleva esserci, nel caso in cui non li avesse aperti più.
Dopo cinque giorni d'inferno, a cui continuava a chiedersi come facesse a sopravvivere, finalmente i rimedi sembravano iniziare ad avere effetto: la febbre era scesa, l'infenzione stava guarendo. Kíli non gemeva e non si agitava più. Era immerso in un sonno profondo; il suo respiro era ancora debole e rauco, ma era regolare. Fíli osservò il suo viso; accarezzò con lo sguardo i lineamenti sottili, da ragazzo, il naso piccolo, l'insulso accenno di barba. Sorrise, ripensando a come gli altri Nani della compagnia si divertissero a farsi beffe di quella creatura testarda, senza curarsi minimamente delle sue reazioni rabbiose. Non era un Nano che potesse incutere timore alla vista, non riusciva ad essere spaventoso come Thorin o Dwalin; ma ciò che gli mancava nel fisico era più che compensato dalle sue abilità.
Il sorriso di Fíli si spense, ricordando le parole di Óin: le lesioni avrebbero avuto delle conseguenze, quando sarebbe guarito; anche in casi meno gravi del suo, le ferite da freccia erano molto insidiose e difficili da curare. Tutto sommato, Kíli era stato fortunato: il dardo aveva perforato un polmone, ma questo non era collassato. Per estrarre la punta conficcata nella carne, Óin aveva dovuto praticare un'incisione per allargare la ferita e poi si era aiutato con le dita. Neanche l'incoscienza e un decotto elfico avevano potuto evitare a Kíli il dolore lancinante. In seguito, un sottile tubo metallico era stato inserito nel suo petto, per permettergli di inspirare ed espirare senza sforzare i polmoni. Grazie agli Dei, l'avevano potuto togliere dopo pochi giorni.
La lesione al palmo era stata pulita e ricucita; veniva medicata più volte al giorno con erbe elfiche e balsami perché si cicatrizzasse e doveva essere avvolta in uno stretto bendaggio, per evitare che eventuali movimenti della mano la riaprissero. Anche in quel caso, sia Óin che gli Elfi erano stati molto chiari: la ferita era seria e non era dato sapere se e in quanto tempo Kíli avrebbe riacquistato l'uso dell'arto. Il destro; la mano con cui reggeva la spada e scoccava le sue frecce.
Quando si sveglierà, non sarà facile dirglielo. Fíli sapeva che il compito di comunicare la brutta notizia sarebbe stato affidato a lui. Fin da quando erano bambini, era sempre l'unico in grado di arginare la rabbia di Kíli, quando la rivolgeva contro se stesso. E sapeva anche che suo fratello si sarebbe sentito inservibile e si sarebbe odiato, per questo. Inoltre, negli ultimi giorni, Thorin si era fatto vedere raramente, e solo per cercare di convincerlo ad unirsi a lui nelle riunioni con le delegazioni delle altre razze. Aveva creduto che il re non riuscisse a sopportare la vista di suo nipote pallido e inerme, e che preferisse il distacco; ma non riusciva a dimenticare che, se non fosse stato per la sua insistenza e avesse scelto di dare retta a Thorin, Kíli sarebbe rimasto sepolto sotto una montagna di cadaveri e fango. Cercando di scacciare quei pensieri, Fíli osservò il suo corpo, in cerca di cambiamenti; le bende intorno al suo addome si stavano macchiando, dovevano essere cambiate. Sfiorò il tessuto, delicatamente, domandandosi per quanti giorni ancora le ferite avrebbero sanguinato.
In quel momento, Kíli si agitò nel sonno, facendolo sobbalzare e indietreggiare di scatto. Pieno di emozioni contrastanti, osservò il viso pallido, in cerca di segnali di risveglio o di un collasso, ma non vide alcun cambiamento nella sua espressione. Espirò, rendendosi conto che stava trattenendo il fiato, e decise che sarebbe uscito. Avrebbe preso una boccata d'aria, fatto una colazione veloce e avrebbe mandato un guaritore a sorvegliare il fratello.
Un mugolio soffocato lo pietrificò sulla soglia della tenda. Smise di respirare, tentando di contenere il torrente di emozioni che si era risvegliato in lui e si stava accumulando nei suoi occhi, minacciando di strabordare. In silenzio, tornò verso la sedia di legno che era stata il suo giaciglio in quei giorni e si accomodò, chiedendosi quale posa avrebbe dovuto adottare. Avrebbe dovuto sedere compostamente? Oppure svogliatamente, con l'aria spavalda di qualcuno che si trovava lì per caso? Il suo flusso di pensieri fu bruscamente interrotto dal leggero fremere delle palpebre di Kíli.
Inizialmente, i suoi occhi castani si colmarono di terrore. Era comprensibile, dopo tutto era stato incosciente per cinque giorni e, nel migliore dei casi, non ricordava affatto cosa gli fosse accaduto. Sembrava non riconoscere l'ambiente che lo circondava; aggrottò la fronte e si morse le labbra, una reazione che aveva fin da bambino di fronte a qualcosa che non capiva. Ad un tratto, si rese conto di essere disteso e tentò di sollevarsi, facendo leva sulle braccia, ma il dolore lo bloccò e ricadde sul materasso con un gemito.
Fíli osservava la scena, sapendo che avrebbe dovuto intervenire, spiegare, rassicurare; ma non poteva farlo. Kíli si era svegliato, e il mondo si era completamente fermato per assistere alla scena. Non poteva intromettersi fra lui e il suo ritorno alla vita; fare in modo che si accorgesse della sua presenza sarebbe stato un crimine. Non riuscì a fare a meno di sorridere e rimase immobile a guardare lui, che non lo guardava. Anche quando il ferito voltò il viso verso di lui, non disse nulla e si limitò a restituire lo sguardo.
Kíli lo fissò a lungo, poi alzò il capo per osservare nuovamente il suo corpo, le sue mani fasciate, la pietra runica appoggiata accanto al letto. Il terrore scurì i suoi occhi, mentre cercava di gonfiare la cassa toracica per respirare più profondamente, e gli sfuggì un lamento. Quando ritentò e ottenne lo stesso risultato, il suo sguardo tornò a posarsi su Fíli, allarmato.
«Respira piano» lo avvertì il maggiore.
Il fratello annuì, tentando di accontentarsi di brevi respiri spezzati. Una volta che il suo corpo fu soddisfatto del quantitativo d'aria che gli era stato dato, il terrore nel suo sguardo si sciolse e la sua bocca martoriata si piegò in una smorfia simile a un sorriso. Dopo qualche istante, si permise di parlare. «Abbiamo entrambi un aspetto orribile» commentò, con voce roca.
Fíli avvicinò lentamente la sedia al letto, chinandosi e appoggiando i gomiti sulle cosce. «Come ti senti?»
«Per quanto tempo ho dormito?» chiese Kíli, ignorando la domanda, respirando piano.
«È la mattina del sesto giorno.»
I suoi occhi si riempirono nuovamente di terrore. «Da quanto tempo non dormi?»
Fíli sospirò, lasciandosi sfuggire un lamento esasperato. Preoccuparsi per gli altri era tipico di lui. Non importava quanto stesse male, avrebbe sempre trovato il modo di interessarsi a chi aveva intorno.
«Da un po'» confessò. Si avvicinò e si sedette con attenzione sul letto, cercando di non muoversi troppo. Mise una mano dietro la schiena del fratello, con l'intento di aiutarlo a sedersi, ma lui gli lanciò un'occhiataccia. «Ce la faccio da solo!» esclamò.
Non riusciva a suonare minaccioso neanche in condizioni normali; figurarsi quanta paura poteva incutere sdraiato in un letto, coperto di bende e con la bocca impastata. Tuttavia, Fíli ritrasse le mani e lo lasciò fare, consapevole di quanto fosse orgoglioso; non avrebbe accettato alcun aiuto finché non si fosse reso conto di averne realmente bisogno.
Kíli appoggiò il peso sulle braccia e cercò nuovamente di issarsi, respirando lentamente; ma, anche questa volta, il dolore fu troppo forte, e ricadde sul materasso, tossendo. L'attacco si protrasse per qualche attimo, scuotendo il corpo ferito in spasmi dolorosi. Kíli guardò il fratello, in cerca d'aiuto, e il maggiore si chinò su di lui, prendendo le mani bendate e appoggiandole sulla sua cassa toracica. «Piano» disse. «Devi respirare piano. Senti come faccio io?»
Kíli annuì, con le lacrime agli occhi, cercando di calmarsi e concentrarsi su inspirazione ed espirazione, nascondendo con le mani il rossore che gli colorava il viso. Lui più di tutti non tollerava di dipendere dagli altri. La sua riabilitazione sarebbe stata lunga e complicata soprattutto a causa della sua testardaggine e del suo inutile orgoglio. Continuò a fissarlo con aria di sfida, ma non protestò, quando il maggiore lo aiutò a sollevarsi e posizionò i cuscini dietro la sua schiena, in modo da farlo stare seduto senza troppi sforzi.
«Devi fare molto piano» si raccomandò Fíli. «Hai un polmone bucato, fratellino.»
Gli rimase accanto a lungo, accarezzandogli i capelli, mormorando parole d'incoraggiamento e vecchie canzoni, fino a quando fu sicuro che avesse imparato come respirare senza strozzarsi. Kíli era sprofondato nei cuscini e si era appisolato; se la sua posizione non fosse stata diversa da quella che aveva avuto nei cinque giorni precedenti, Fíli avrebbe potuto giurare che non si fosse mai risvegliato. Cercando di non fare rumore, si alzò e si diresse verso l'ingresso della tenda. Stava per uscire, quando si sentì richiamare.
«Dove vai?» sussurrò Kíli, allarmato. «Non lasciarmi da solo.»
«Devo andare a chiamare Óin, per dirgli che ti sei svegliato. E bisogna cambiare le tue bende. Non preoccuparti, starò via pochissimo.»
«Ti prego, non lasciarmi» ripeté Kíli, alzando la voce. «Ti prego.»
Fíli tergiversò per qualche momento sulla soglia della tenda, diviso fra la necessità di avvertire gli altri e il desiderio irrazionale di avere suo fratello unicamente per sé. L'amore rende egoisti, pensò, sorridendo fra sé e sé. Infine, sospirò e tornò a lasciarsi cadere sulla sedia, alzando le braccia e mostrandogli i palmi delle mani. «Resto» gli concesse, simulando un'espressione rassegnata.
«Vieni più vicino» disse il più giovane, indicando con un cenno della testa lo spazio sul letto, accanto a lui.
Fíli scivolò accanto al fratello e gli circondò le spalle con un braccio; un gesto silenzioso, che li avrebbe confortati entrambi senza compromettere la loro dignità né destare attenzione in eventuali visitatori. Con sua grande sorpresa, Kíli si girò e affondò il viso nel suo petto. Fíli rimase immobile per qualche attimo, scioccato dal gesto; era spesso accaduto che si abbracciassero in quel modo, da bambini. Ma mai in anni recenti. Quando sentì il fratello tremare, ogni sua indecisione crollò, e lo strinse fra le sue braccia.
«Kíli» sussurrò, affondando le dita fra i capelli scuri. «Ho avuto paura, Kíli. Ho avuto paura.»
Nonostante i suoi migliori sforzi, la voce gli si ruppe nel mezzo della frase, mentre la consapevolezza di quanto era accaduto gli precipitava addosso. Si rese conto che erano vivi per casualità, e sentì il suo petto gonfiarsi di lacrime; ma le ricacciò indietro, rifiutandosi di piangere. Agguantò la coperta con una mano e la distese sopra entrambi, sperando di riuscire a scaldarlo. Per quanto le sue ferite gli permettessero, Kíli si rannicchiò contro il suo fianco e, presto, il suo respirò rallentò fino a raggiungere un ritmo regolare.
Fíli appoggiò la guancia sulla testa del fratello e, per la prima volta da quando l'aveva perso di vista durante la battaglia, riuscì a respirare. Il groppo che gli annodava le viscere si era sciolto, il profondo malessere che l'aveva tormentato e aveva guidato le sue azioni si era dissolto; il turbamento si era quietato, concentrandosi in un'unica emozione. Un'emozione che si accese, rassicurante e terribile, quando, dietro al puzzo di sudore e al fetore della ferita, Fíli riconobbe l'odore di Kíli. Un'emozione familiare che, si rese conto, provava da sempre, nei confronti di suo fratello.
Era consapevole delle leggi e delle tradizioni del loro popolo e, per questo motivo, non aveva mai osato dare un nome a ciò che provava; ma gli ultimi giorni gli avevano fatto cambiare idea su molte cose.
Il Profanatore che incombeva su Kíli; Kíli immobile, disteso nel fango e nel suo stesso sangue; Kíli scosso da convulsioni, l'infezione che non guariva, le sue urla spezzate; Kíli che non respirava più e Óin che cercava di rianimarlo, mentre delle braccia forti trattenevano Fíli lontano... il peso degli eventi lo schiacciò, minacciando di riannodare le sue viscere in una stretta mortale. Per calmarsi, aspirò forte l'odore di Kíli, necessario per lui quanto l'aria che respirava. E disse la verità. Disse «Io non posso esistere, senza di te.»
 

***


Quando gli parve di essersi goduto abbastanza il segreto del risveglio del fratello, Fíli si alzò dal letto con attenzione e andò a cercare Óin e i guaritori elfici. Spostò il lembo di tessuto ed uscì, senza vedere gli occhi di Kíli spalancarsi di scatto e seguirlo fuori dalla tenda.

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 – Capitolo 4 –


«Sta' attento, ragazzo!» esclamò Balin, allontanando il volume da lui e stringendolo fra le braccia, come fosse un neonato. «Questo libro è molto più vecchio di me!»
Fíli costrinse se stesso a sorridere e a mormorare qualche scusa, prima di chinarsi a raccogliere le pagine di sottile carta giallastra che si erano sparse sul pavimento. Non c'era bisogno che Balin glielo ricordasse; sapeva che quei volumi erano molto fragili e avevano un valore inestimabile e, in molte altre occasioni, li aveva maneggiati con la delicatezza che meritavano. Ma ritrovarsi sempre al punto di partenza, dopo mesi e mesi di ricerche, lo faceva infuriare e non era riuscito a fare a meno di sfogare la sua frustrazione sul povero codice di diritto nanico. Chiedendosi se il vecchio Nano avrebbe mai smesso di rimproverarlo, si lasciò sfuggire una risata amara; non solo la sua giornata era iniziata male, ma il peggio doveva ancora venire.
A confermare i suoi timori, Dís bussò e fece capolino nella stanza, appoggiando una mano allo stipite della porta. «Se avete finito, il Re vuole pranzare e poi visitare i campi di addestramento.»
Balin alzò gli occhi dal libro, senza smettere di accarezzarlo, e lanciò uno sguardo a Fíli. Non ottenendo alcuna reazione, borbottò qualche parola incomprensibile e posò il volume sul tavolo, con delicatezza. «Sì, direi che abbiamo finito, per oggi. Il ragazzo è stanco.»
Cacciandosi la barba bianca sulla spalla, si congedò e si affrettò ad uscire dall'archivio, chiamando a gran voce suo fratello.
Fíli sospirò profondamente e attese, in silenzio. Era consapevole di quanto stava per accadere: ormai era diventato quasi un rituale.
Dís gli si avvicinò, senza fretta. Con le dita, sciolse delicatamente una delle sue trecce bionde e la sistemò. Guardò il suo viso e, con un sorriso orgoglioso, disse: «Perfetto, ora sei pronto per uscire.»
I mesi passavano, ma sua madre non perdeva mai occasione di tentare di convincerlo ad andare ai campi di addestramento. Fino a quel momento, era sempre riuscito ad evitarlo, ma sapeva che lei non si sarebbe arresa e che non sarebbe stato facile continuare ad eludere le sue domande; prima o poi, l'avrebbe costretto a vuotare il sacco. E allora cosa avrebbe potuto fare?
Frugò svogliatamente tra le pagine che aveva raccolto da terra e le altre carte che ingombravano il tavolo, lasciandosi sfuggire un sibilo dispiaciuto. «Mi piacerebbe molto, madre. Ma ho ancora molto lavoro da fare.»
A questa obiezione, Dís ribatteva sempre. «È da molto tempo che non fai altro che lavorare» disse, in tono conciliante. «Vieni con noi.»
Ma Fíli aveva già pronta la controargomentazione. «Sono l'erede al trono. Se non riesco a portare a termine il mio lavoro ora, quale credibilità potrò avere quando sarò re?»
Era consapevole di essere ingiusto: la madre non avrebbe mai osato mettere in discussione i suoi doveri e, in quel modo, riusciva sempre ad averla in pugno. Aveva già vinto, per l'ennesima volta; ma conosceva il vero motivo per cui Dís continuava a sottoporsi a quel rituale, e sapeva che non avrebbe tardato a esternarlo.
Il suo sorriso era triste, ma c'era ancora, quando mormorò: «Tuo fratello sarebbe felice di vederti, figlio mio.»
Nel corso dei mesi, Fíli aveva imparato a impedire che il senso di colpa che lo divorava si palesasse sul suo volto. Grazie alla pratica e all'esercizio, era in grado di costringere i muscoli ad assumere l'espressione che desiderava; il segreto era dire la verità, ma senza sbilanciarsi. Fu rivolgendole il migliore dei suoi sorrisi, che le rispose «Anch'io vorrei vederlo. Ma non posso.»
Dís sospirò, accarezzandogli i capelli con eccessiva energia. «Da quanto tempo mi dai la stessa risposta? Non ti pare ora di finirla?»
«Non preoccuparti, sorella» Thorin apparve nella stanza, troncando sul nascere un interrogatorio che, senza alcun dubbio, avrebbe costretto Fíli a confessare la verità. Si avvicinò al nipote, gli ornamenti dei capelli che tintinnavano ad ogni passo, e gli diede una pacca sulla spalla. «È il mio erede ed è giusto che impari a comportarsi come un re.»
«Mi dispiace, madre. Davvero» intervenne il giovane. «Ho molto lavoro da fare. Ti prego, digli che lo vedrò tra qualche giorno.»
Dopo qualche attimo di silenzio, Dís lo baciò sulla guancia e si diresse verso la porta. Sulla si voltò e parlò. «È una mia iniziativa. Lui non chiede di te.»
Fíli riuscì ad annuire, costringendo i muscoli del suo viso ad adottare un'espressione che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto essere noncurante; ma era quasi sicuro che la sua maschera perfetta si stesse scheggiando. Non sapendo per quanto sarebbe riuscito a mantenere il controllo, abbassò lo sguardo, fingendo interesse per le pergamene che ricoprivano il tavolo.
Thorin lanciò un'occhiata agli scaffali ricolmi di libri e carte, attendendo che l'eco dei passi di Dís si allontanasse, poi si rivolse a Fíli. «Ritengo che tu possa concederti almeno un pomeriggio di svago. Ti ho sfruttato anche troppo, in questi mesi.»
Il giovane scosse la testa, intingendo una penna nel calamaio e scarabocchiando qualche parola a caso. «Credo che rimarrò. Ho del lavoro da fare, preferisco portarlo a termine.»
Il Re annuì, appoggiandogli una mano sulla spalla. «Se avessi voglia di raggiungerci, sai dove trovarci.» disse, prima di lasciarlo solo.
Fíli si abbandonò sulla sedia, stropicciandosi il viso con le mani; sembrava che i suoi muscoli fossero indolenziti, a forza di costringersi a sorridere. In un secondo, il senso di colpa e il disgusto che provava per se stesso riemersero dalle profondità della sua mente, annodando le sue viscere e impedendogli di pensare. Respirando profondamente, tentò di calmarsi e di respingere i sentimenti negativi, con il solo risultato di accentuare la sua rabbia e la sua frustrazione; prima di riuscire a fermarsi, colpì il tavolo con il pugno chiuso, scaraventando a terra un altro libro.
«Maledizione!» imprecò, affrettandosi a raccoglierlo. Fortunatamente, la caduta non sembrava aver provocato danni. Balin l'avrebbe ucciso, se avesse rovinato uno dei preziosi volumi dell'archivio.
Dopo qualche attimo, Fíli si alzò e si addentrò nella penombra, annusando l'aria satura di carta, polvere e tempo. Le scaffalature di legno erano enormi e ricolme di volumi dalle pesanti rilegature in cuoio e di antiche pergamene giallastre, arrotolate. Seguendo l'ordine alfabetico, trovò il posto giusto e ripose il libro, scegliendone un altro da consultare. Iniziò a sfogliare le pagine del codice, cercando le leggi che gli interessavano, ma la voglia lo abbandonò ancora prima che arrivasse all'argomento Delitti contro la famiglia. Sapeva perfettamente quello che avrebbe trovato; che senso aveva continuare a farsi del male?
Nonostante tutto, si costrinse ad appoggiare il libro sul tavolo e lesse, per l'ennesima volta, parole che ormai conosceva a memoria. Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commetta incesto con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, sarà punito con la tortura e la morte[*].
Fíli sbuffò e chiuse il volume di scatto, allontanandolo come se fosse sterco di mannaro. Non importava quanti codici contenesse l'archivio e quanti sarebbe riuscito a consultarne, quelle erano le loro leggi. E il fatto che lui, un individuo insignificante in confronto alla storia del loro popolo, si fosse innamorato del proprio fratello, non le avrebbe mai cambiate. Era una filastrocca che gli era stata insegnata fin dall'infanzia: l'incesto era un peccato mostruoso, la peggiore maledizione che potesse colpire una famiglia rispettabile.
Anche prima di quel momento, gli era spesso capitato di domandarsi il perché. In quei mesi, forte dell'accesso all'archivio del Regno sotto la Montagna, aveva ripetutamente elencato e confutato con valide argomentazioni ogni motivo per cui a due fratelli non dovesse essere concesso di amarsi.
Probabilmente, la ragione era da ricercare molto indietro nel tempo, quando i ripetuti rapporti fra consanguinei erano stati un problema serio e reale per la comunità. Fíli si era detto che una legge come quella non poteva avere senso in una società in cui gli individui si innamoravano di una sola persona per tutta la vita; ma, forse, la norma era nata anche per questo: le donne, fra i Nani, erano poche; se queste sceglievano come propri compagni i loro fratelli, a lungo andare il sangue si sarebbe corrotto e sarebbero sorti problemi. La logica in questo ragionamento era innegabile, ma il giovane l'aveva brillantemente confutata: non poteva essere applicata al loro caso particolare, perché erano entrambi maschi; una loro eventuale relazione non avrebbe potuto dare origine a una discendenza; per loro, il problema non esisteva.
Ma era proprio qui che si sbagliava: avere figli, precisamente figli maschi, era una loro responsabilità di fronte al Re, alla loro famiglia e all'intera comunità. In quanto eredi al trono, non avevano il diritto di scegliere; non l'avevano mai avuto.
Inoltre, l'incesto era realmente mal visto dalla società. Anche senza il problema della progenie, un rapporto fra consanguinei non avrebbe mai potuto essere accettato. Eredi al trono o no, sarebbero stati imprigionati, torturati e uccisi, come molti altri prima di loro. Certo, una relazione poteva essere tenuta nascosta ma, in quel caso, avrebbero davvero potuto essere felici? Senza contare che non avrebbero potuto motivare un loro eventuale rifiuto di prendere moglie e avrebbero disonorato Thorin, che aveva speso la sua vita cercando di riconquistare un regno sottratto con la violenza, con un tributo di vite, oro e fatica non ignorabile.
Fíli scoppiò a ridere, rendendosi conto che, per l'ennesima volta, si era lasciato risucchiare da quei pensieri cupi dimenticando, però, la cosa più importante: il suo amore non era corrisposto. Ricordò le parole di sua madre e sentì riaffiorare il senso di colpa e la tristezza. Così, Kíli non chiedeva di lui. E come poteva dargli torto?
Nei primi mesi di vita a Erebor, erano stati inseparabili. Kíli, durante la riabilitazione, aveva avuto bisogno di ogni appoggio possibile: la mano era stata danneggiata e, per molto tempo, avevano temuto che lo fosse in modo permanente; all'inizio, non era neanche in grado di reggere le posate o di mangiare da solo. Ovviamente, l'unico in grado di calmare i suoi capricci e di impedirgli di lanciare oggetti in giro per la stanza era stato proprio Fíli. Spesso, Kíli scoppiava in lacrime per il nervoso e quando questo accadeva, cercava rifugio fra le braccia di Fíli, che non riusciva a fare altro che dare attenzione e conforto, ingoiando ciò che provava.
Nel frattempo Thorin, nuovo Re sotto la Montagna, pur concedendogli di continuare a prendersi cura del suo prezioso fratello minore, aveva inziato ad avvicinarlo gradualmente alla ricostruzione e all'amministrazione del regno, consentendogli di presenziare ai colloqui con i loro cugini dei Colli Ferrosi e con le delegazioni di Pontelagolungo e Bosco Atro; aveva anche chiesto il suo parere riguardo il compenso in oro, argento e tesori che doveva spettare a ciascun alleato, e aveva permesso che partecipasse alla stesura dei nuovi trattati di pace.
Fíli aveva svolto per mesi le due attività, cercando di essere impeccabile in entrambe. In quei primi momenti, leggere l'affetto negli occhi di Kíli e l'orgoglio in quelli di Thorin gli sembrava una ricompensa adeguata a tutti i suoi sforzi. Ma la situazione non aveva tardato a prosciugare ogni sua energia; la nuova consapevolezza riguardo i sentimenti che provava nei confronti di suo fratello gli impediva di vivere con serenità il tempo che trascorrevano insieme. Era costantemente preoccupato che i suoi comportamenti o i suoi gesti rivelassero ciò che sentiva. Temeva che i loro compagni e, soprattutto, Thorin, che li conosceva fin dalla nascita, potesse capire. Temeva che la loro madre, finalmente giunta ad Erebor, lo smascherasse al primo sguardo. Temeva che Kíli lo scoprisse e lo odiasse.
Al timore, si aggiungeva il senso di colpa. Non poteva coinvolgere suo fratello in quell'orrore. Kíli, il suo fratellino, la persona più preziosa al mondo. Lui, ormai, era marcio, era perduto. Ma non Kíli; lui si poteva ancora salvare, poteva ancora dare un senso e un valore alla sua vita. Fíli doveva semplicemente svolgere il compito che gli era stato assegnato dagli dei ed essere un bravo fratello maggiore. Perché era questo che erano: fratelli. Non sarebbero mai stati più di questo.
Fortunatamente per lui, le sue nuove mansioni gli permettevano di rinchiudersi tutti i giorni fra carte e archivi vecchi di secoli, da cui riemergeva solo per consumare i pasti. Tornava nei suoi alloggi solo a notte inoltrata, per sprofondare in un sonno privo di sogni e, ogni mattina, al sorgere del sole, ne usciva, ricominciando daccapo.
Non vedeva Kíli da quando l'aveva incrociato per caso nel lungo corridoio su cui davano le loro camere, quasi due mesi prima. Non avrebbe dovuto trovarsi lì, sapeva bene che quella fascia oraria comportava un alto rischio di incontrarlo, ma aveva dovuto recuperare dei documenti essenziali per il suo lavoro.
Non appena l'aveva visto, il fratello gli si era gettato contro e l'aveva abbracciato. Era sudato e impolverato; probabilmente era appena rientrato per farsi un bagno. L'addestramento doveva essersi tenuto fuori dalla montagna, perché i suoi capelli scuri, annodati in una coda disordinata, avevano ancora il profumo del vento e della pioggia primaverile; il suo odore, miscelato a quello della terra e degli alberi, era tanto buono che l'aveva completamente inebriato, e Fíli aveva permesso a se stesso di restituire l'abbraccio. Ma poi si era reso conto di cosa stesse facendo e l'aveva allontanato, rinchiudendosi in camera. Si era seduto sul letto e, lottando con se stesso per non tornare da lui, aveva atteso a lungo che l'ombra di Kíli, ben visibile dalla fessura sotto la porta, sparisse. Infine, suo fratello si era arreso e si era allontanato.
Fíli si chiese se tutti coloro che, per disgrazia, si erano innamorati di un loro consanguineo fossero stati tormentati e infelici come lo era lui. In quel caso, capiva perché molti di loro avessero scelto la morte. Sapeva di non poter continuare quella farsa in eterno ma, per il momento, era l'unica soluzione che aveva trovato: la distanza.
Per molto tempo, Kíli aveva cercato di incontrarlo, servendosi dell'aiuto di Dís, di Bofur e degli stratagemmi più fantasiosi. Ma ora, forse, la freddezza del fratello maggiore lo aveva convinto a lasciar perdere.
Fíli sospirò. Abbandonò l'archivio e corse nei corridoi bui, fino ad arrivare a una porta che si apriva su una stretta scala a chiocciola. La salita era lunga e, una volta in cima, il giovane aveva il fiatone, ma non si fermò; attraversò una seconda apertura nella parete di roccia viva e salì altri scalini, più ripidi dei precedenti. Dopo un tempo che parve lunghissimo, si ritrovò all'esterno e accolse con gioia il vento fresco sul suo viso.
Nell'archivio, aveva trovato un vecchio volume nel quale erano elencati alcuni dei passaggi segreti scavati nelle profondità della montagna. Da quel momento, aveva dedicato ogni suo momento libero all'esplorazione; molti erano stati danneggiati dall'attacco del Drago o sembravano pericolosi, ma questo era ancora perfettamente agibile.
Fíli avanzò con attenzione sulla pietra scura fino a raggiungere una sporgenza da cui era possibile guardare in basso senza essere visti. Era arrivato appena in tempo: riusciva a intravedere Thorin, sua madre, Balin e Dwalin, appena arrivati, farsi strada attraverso il campo di addestramento. I giovani Nani erano schierati in file ordinate e, davanti a loro, i due principali maestri d'armi attendevano l'arrivo del Re. Bofur era perfettamente riconoscibile dalla forma del suo bizzarro cappello, ma Fíli non aveva occhi che per il suo compagno.
I suoi capelli scuri erano cresciuti molto in quei mesi e aveva preso l'abitudine di legarli, perlomeno mentre lavorava. Ma, in quel momento, sfilò di scatto il laccio che li imprigionava, lasciandoli liberi di volare nel vento.
Fíli rise, intenerito da quel gesto, ma il suo sorriso si spense presto. La distanza era la sua soluzione, il dogma che aveva imposto a se stesso e al fratello, la regola su cui aveva modellato la sua vita negli ultimi mesi; ma quanto poteva essere efficace una regola che non veniva seguita?

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NdA:
[*] citazione ripresa pari pari dal nostro Codice Penale (ovviamente, senza il riferimento alla tortura e alla morte).
Grazie per tutte le visite e le recensioni e grazie a tutti coloro che leggeranno.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 – Capitolo 5 –


Thorin annuì, compiaciuto, quando anche l'ultimo allievo centrò il bersaglio con la sua freccia. «Sei diventato un buon insegnante» commentò, ma Kíli non percepì alcun orgoglio in quella frase; casomai, una leggera sfumatura di incredulità.
«Ottimo lavoro, tutti voi» esclamò, rivolto ai suoi ragazzi. Indicò l'interno della fortezza con un cenno della testa e continuò: «Andate a darvi una ripulita e preparatevi per la cena!»
Quando tutti si furono allontanati, Dís gli si avvicinò e lo abbracciò. «Bravo, figlio mio! Sei cresciuto.»
Sfoderò un fazzoletto da chissà dove e tentò di ripulire il suo viso dalla polvere e dal sudore, mentre Bofur sghignazzava senza ritegno. Il primo istinto di Kíli fu quello di ritrarsi, ma il modo in cui suo zio continuava a dargli le spalle gli fece desiderare quel gesto d'affetto.
«Ti ringrazio, madre» disse, cercando di nascondere la tristezza dietro un sorriso. Ormai, vedeva Thorin solo quando veniva ad ispezionare i campi di allenamento, una volta alla settimana. Il sospetto di Kíli era che lo facesse solo perché era suo dovere in quanto sovrano, non certo per incontrare lui.
Da quando aveva riaperto gli occhi, dopo essere quasi morto durante la Battaglia dei Cinque Eserciti, il comportamento di Thorin nei suoi confronti non era più stato lo stesso. In realtà, non si poteva dire che fosse mai stato affettuoso ma, negli ultimi tempi, era diventato ancora più cupo e silenzioso.
Trascorreva tutte le sue giornate nella sala del trono; a volte, non ne usciva neanche per mangiare. Si stava occupando, e con enorme impegno, della ricostruzione e dell'amministrazione del Regno sotto la Montagna, ma sembrava che la sua vita si stesse riducendo a quello. A quello e alla formazione di Fíli, in quanto suo erede al trono.
Kíli non era geloso di suo fratello, non avrebbe mai potuto esserlo. Inoltre, la prospettiva di poter sedere su un trono non gli era mai interessata; lui preferiva il sudore e la polvere del campo di addestramento, preferiva farsi un bagno in compagnia degli amici e bere una birra con loro.
Nonostante questo, era innegabile che il trattamento che Thorin riservava ai due nipoti era cambiato: a Kíli sembrava che suo zio non facesse altro che evitarlo. Non lo chiamava mai nelle sue stanze per ricevere un rapporto sull'addestramento delle reclute: quel compito spettava a Bofur; non si era mai interessato ai suoi progressi durante la riabilitazione; il giovane Nano non avrebbe neanche saputo dire quando fosse l'ultima volta che suo zio era andato a trovarlo, mentre era ferito; in effetti, non era neanche sicuro che fosse mai accaduto. La sua mente era ancora offuscata, i ricordi confusi dal dolore lancinante delle lesioni, dalla disperazione profonda e dal timore di aver perso l'uso della mano destra... la mano della spada.
L'unica cosa di cui era certo, era che Fíli era sempre stato al suo fianco. Era lui a cambiare il suo bendaggio, era lui a calmare i suoi attacchi di panico e le sue crisi.
Era sempre lui che, ora, faceva di tutto per evitare di vederlo. Kíli sapeva che gli erano state assegnate delle nuove mansioni che occupavano tutta la sua giornata, sapeva che, in quanto erede al trono, aveva molto da imparare, ma...
«Come va la mano?» la voce di Thorin lo strappò ai suoi pensieri cupi.
«Guarisce, maestà» disse Kíli e ne diede prova estraendo la spada dal fodero e fendendo l'aria.
I suoi movimenti erano fluidi ed esperti, i colpi misurati e precisi. Mentre mulinava la lama, una fitta di dolore acutissimo colpì il suo palmo, facendogli perdere la presa. L'arma cadde a terra, il clangore attutito dal terreno smosso.
Kíli fece per raccoglierla, ma Thorin lo fermò. «Basta così, è sufficiente.»
Il giovane Nano chinò la testa, mordendosi le labbra fino a farle sanguinare. Se c'era qualcosa di cui non aveva bisogno, era un nuovo motivo per cui il re dovesse vergognarsi di lui. Perché era così; per quale altro motivo altrimenti evitare di incontrarlo? Anche Fíli, sicuramente, si era stancato di fargli da balia e provava disagio all'idea di farsi vedere in sua compagnia.
«Perdonami» mormorò, a denti stretti.
«Non devi preoccuparti» disse il re, senza guardare nella sua direzione. «Un erede di Durin non ha bisogno di scusarsi.» concluse, prima di incamminarsi verso la fortezza, il mantello che svolazzava nel vento.
Kíli raccolse la spada e la gettò lontano, ma se ne pentì immediatamente: quella spada gli era stata regalata da Thorin. O, perlomeno, dal Nano che era stato. Con un profondo sospiro, la prese e iniziò a ripulirla.
Bofur gli diede una pacca sulla spalla e cominciò a raccogliere le sue armi. «Tranquillo, Kíli. Hai fatto progressi, rispetto all'inizio.»
Balin e sua madre gli fecero eco, pacatamente, spiegando che queste cose richiedevano tempo e lui era migliorato molto. Kíli annuì, per nulla rincuorato, domandandosi quando era stata l'ultima volta che Thorin aveva pronunciato il suo nome.

 

***


L'impatto della freccia contro il suo corpo svuotò i polmoni di tutta l'aria, e Kíli si sentì sbilanciare all'indietro. Senza capire cosa gli fosse successo, abbassò lo sguardo verso la fonte del dolore improvviso; il legno nero che sporgeva dal suo petto stava ancora oscillando. Intorno all'estremità conficcata nella carne, una macchia scura si stava allargando sulla stoffa. Kíli si guardò intorno, alla ricerca di spiegazioni, senza riuscire a parlare; individuò un Orco, poco lontano da lui. Stava tendendo la corda del suo arco, prendeva la mira una seconda volta. Il Nano sentì il suo respiro affannoso farsi sempre più veloce, mentre capiva.
Spinto dalla disperazione, afferrò una freccia e la scoccò nella direzione del nemico. Il dolore martoriava la sua cassa toracica; ma lui quasi non se ne accorse. L'Orco che l'aveva colpito stava stramazzando al suolo, la gola trafitta.
Mentre tentava di riprendere fiato, avvertì la presenza di qualcuno dietro di sé. Non ebbe neanche il tempo di voltarsi, quando l'Orco Bianco piombò su di lui, mulinando la spada; Kíli reagì d'istinto e lasciò cadere l'arco, tentando di parare il fendente.
La sua mano esplose. Kíli non riuscì a non urlare. Cercò freneticamente di allontanarla dalla fonte del dolore, mentre sentiva il sangue pulsare. Il dolore era viva e l'avrebbe ucciso dall'interno; era bruciante, insopportabile, poteva sentirlo muoversi nel suo corpo attraverso le vene, come fosse un veleno.
Il giovane Nano si svegliò di soprassalto, madido di sudore. Impiegò qualche secondo a rendersi conto che si trovava nella sua stanza, nel suo letto, con la compagnia del fuoco che scoppiettava nel caminetto. Il suo corpo si ripiegò su se stesso, nel tentativo di contenere l’angoscia. Seguì con lo sguardo la profonda cicatrice che solcava il suo palmo destro, dicendosi che era tutto finito, si trattava solo del solito incubo.
«Fíli» sussurrò, affondando il viso nelle coperte.

 

***


Fíli si svegliò con un sussulto, senza essersi reso conto di aver dormito. Ultimamente, riposava male; anzi, non riposava affatto. Oltre a tutti gli impegni che aveva – sia quelli che gli erano imposti dal re, sia quelli che si imponeva da solo –, quel pomeriggio Balin l'aveva informato che, entro la prossima luna, avrebbero ricevuto la visita di una delegazione da Bosco Atro. Questo significava, con tutta probabilità, la presenza di quell'insopportabile principe biondo, una grande agitazione nelle cucine e molte, noiose ore di discorsi e trattati.
Con un sibilo seccato, si passò una mano sul viso e si sollevò, raccogliendo i capelli inumiditi di sudore. L'idea non gli piaceva, ma era pur sempre il suo lavoro, e lui non aveva intenzione di deludere le aspettative che Thorin aveva su di lui. Il letto cigolò sotto il suo peso, mentre si sedeva per infilare i pantaloni di pelle; probabilmente era molto presto, ma la voglia di dormire gli era passata.
Un sospiro, e tutta la sua attenzione si concentrò sul lato sinistro del letto. Kíli dormiva su un fianco, rivolto verso di lui; si era mosso, e ora la coperta lasciava scoperto il suo busto. Affondava la testa nel guanciale, e i capelli lunghi cadevano sul suo viso, nascondendolo in parte. Un braccio era disteso sul materasso; l'altro piegato, la mano vicino al volto.
Fíli era talmente stupito che si immobilizzò in una posizione scomoda e ricadde sul ciaciglio. Dall'altro lato del letto, si alzò un grugnito di protesta. Kíli distese il braccio sul materasso e cercò di toccarlo. Quando le dita incontrarono il suo polpaccio, iniziarono ad accarezzarlo, pigramente. «Fíli?» mormorò, con voce impastata.
Il maggiore tacque, preso alla sprovvista, senza sapere cosa dire né cosa fare. In passato, era spesso accaduto che il fratello si infilasse nel suo letto a notte fonda, ma non si sarebbe mai aspettato che l'avrebbe fatto ancora; non dopo il comportamento che gli aveva riservato negli ultimi mesi. Era consapevole che si trovava in una situazione molto pericolosa, ma non riusciva a fare altro che guardare; ammirò la luce del fuoco giocare con il corpo spigoloso di Kíli, accarezzare la linea netta della sua spalla e del suo busto, attraversare la peluria che lo ricopriva.
«Ho sognato Azog. Non potevo dormire» continuò il fratello, senza aprire gli occhi. Si mosse e voltò le spalle a lui e al fuoco. «Perdonami, so che non mi vuoi intorno.»
Fíli si sentì ferito da quelle parole, anche se era consapevole di non averne diritto. Rifletté sulla possibilità di avvicinarsi, abbracciarlo, dirgli che sarebbe andato tutto bene. Si trovavano in camera sua e, sicuramente, era ancora notte; nessuno li avrebbe cercati, non ancora, nessuno avrebbe saputo. Tutto ciò che doveva fare era stendersi sul letto e stringerlo a sé e sarebbe stato tanto semplice da risultare ridicolo.
«Credevo avessi detto di non poter esistere, senza di me» disse Kíli.
Fíli riuscì a udire il battito del suo cuore rimbombare nel silenzio, mentre quelle parole si facevano strada nella sua mente, acquistando significato. Kíli aveva sentito. Kíli sapeva. Doveva andarsene, e farlo in fretta; non poteva rimanere in quella stanza un momento di più.
«Non dovresti essere qui» dichiarò, tentando di mantenere un tono di voce neutro. «Vado a prendere una boccata d'aria. Al mio ritorno, non voglio trovarti.»
Senza osare guardare verso il letto, spalancò la porta e uscì nei corridoi bui.


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NdA:
Salve a tutti, eccovi un altro capitolo. Spero sia di vostro gradimento e vi ringrazio. A presto! :)

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 – Capitolo 6 –


Quando l'allievo che stava esaminando sbagliò mira per l'ennesima volta, Kíli sbottò, vomitando su di lui tutta la frustrazione e la rabbia che gli ribollivano dentro. Non gli sembrava di pretendere troppo: quel bersaglio era dannatamente grande, maledizione, e distante solo venti piedi; era troppo chiedere che riuscissero a colpirlo? Com'era possibile mancarlo di altri venti piedi? Non c'era neanche un filo di vento!
Solo dopo essere rimasto senza fiato si rese conto che il campo d'addestramento era ammutolito, che Bofur e i ragazzi lo fissavano come se gli fossero spuntate le orecchie a punta e che il povero allievo, colpevole solo di aver commesso un errore, era scoppiato in lacrime.
Kíli imprecò sottovoce e si precipitò al suo fianco, mormorando scuse e spiegando che aveva avuto una brutta nottata, era nervoso, impaziente. «E mi preoccupa questa mano, che si ostina a non funzionare» disse, mostrandogli la cicatrice.
Era tutto vero, ma c'era molto altro. Era trascorso diverso tempo da quella notte, la notte in cui Kíli aveva definitivamente distrutto ogni possibilità di recuperare il rapporto con suo fratello. Aveva creduto che, confessandogli di aver udito le sue parole, di conoscere il motivo per cui si ostinava a evitarlo, sarebbe riusciuto a convincere Fíli a tornare ad aprirsi. E, in effetti, Fíli gli aveva parlato; ma solo per allontanarsi di più.
Dopo che se n'era andato, Kíli aveva trascorso molto tempo nella sua stanza, fra gli oggetti che gli appartenevano, per sentirsi più vicino a lui. Si era dato dello stupido per quanto aveva fatto, perché si era reso conto di avere peggiorato una situazione già pessima. Aveva lasciato un biglietto al fratello, dandogli appuntamento in uno dei numerosi passaggi segreti nella Montagna, perché potessero chiarirsi.
Da quel giorno, si era presentato nel luogo stabilito ogni sera, sperando che Fíli, prima o poi, decidesse di presentarsi; ma era trascorsa quasi una luna, e Kíli stava cominciando a perdere la speranza. Si sentiva sempre più stupido per come le persone più importanti della sua vita lo stavano trattando, per aver pensato che uno stupido foglio di carta potesse sistemare le cose, per aver riversato la sua collera su un ragazzino.
«Mi dispiace di averti sgridato» disse al suo allievo. «Sono un maestro inutile.»
Il ragazzo si asciugò gli occhi e rispose, con espressione solenne: «Tu sei bravissimo, maestro Kíli.»
Bofur li raggiunse, stabilendo un momento di pausa per tutti, e propose di cantare una vecchia canzone sgangherata; agguantò il flauto, che portava con sé ovunque, e iniziò a suonare.
Kíli si allontanò, sghignazzando, e lasciò che gli allievi si raccogliessero intorno al Nano più anziano. Era vero, Fíli lo evitava e Thorin sembrava averlo escluso dalla successione al trono, ma gli rimanevano il suo campo d'addestramento e i suoi ragazzi.
Stava ridendo per una battuta particolarmente sconcia, quando il guizzo di una chioma rossa attirò la sua attenzione.
 

***


Fíli era esausto.
La delegazione da Bosco Atro era arrivata in tarda mattinata ed era stata accolta da un folto gruppo di Nani, composto dalle personalità più importanti del Regno sotto la Montagna. Fíli aveva temuto che anche suo fratello sarebbe stato presente, ma non c'era; probabilmente era stato troppo impegnato con l'addestramento.
Dopo l'accoglienza, a re Thranduil e al suo seguito erano stati mostrati gli appartamenti in cui avrebbero alloggiato – ovviamente, erano i più sfarzosi che la reggia possedesse, dotati di finestre che davano sull'esterno perché gli Elfi non si sentissero soffocati dagli spazi chiusi – e, nel primo pomeriggio, era stato servito il pranzo.
Quando tutti furono sazi, entrambi i re e vari membri dei loro entourage tennero dei discorsi sull'importanza della loro alleanza, sui vantaggi che essa avrebbe comportato per i loro regni, sulla soddisfazione dovuta ai commerci. Thorin aveva poi accompagnato Thranduil nella sala del tesoro, e Fíli, finalmente, era stato congedato. Il suo unico desiderio era rinchiudersi nei suoi appartamenti e stravaccarsi sul letto.
Dopo un lungo bagno caldo e ristoratore, Fíli si sedette alla scrivania, per compilare i documenti che gli sarebbero serviti l'indomani. Come ogni sera, indugiò a lungo, prima di aprire uno dei codici ed estrarne un foglio accuratamente ripiegato. Facendo attenzione a non rovinarlo, lo distese sul tavolo e lesse le rune, scritte di fretta, con un tratto impreciso.
Fíli sospirò, ridendo sottovoce di se stesso. Non aveva il coraggio di affrontare suo fratello ma, nonostante questo, continuava a conservare quel biglietto e lo leggeva ogni sera. Quanto in là poteva spingersi ancora la sua stupidità?
Stava per mettersi a letto, quando uno scoppio di risa, proveniente dalla stanza accanto, attirò la sua attenzione. Era molto tardi, possibile che Kíli fosse ancora sveglio? Ma non era questo il problema, pensò Fíli, precipitandosi fuori dalla camera; il problema era che aveva compagnia.
Quando si avvicinò alla porta, riuscì a udire le voci più distintamente, nonostante il battito del cuore rimbombasse nella sua testa.
«Da quando mi sono ferito la mano, la mia abilità è diminuita, ti avverto» stava dicendo Kíli. La sua voce era tranquilla e rilassata, e dal suo tono si riusciva a capire che sorrideva. «E non sono mai stato uno dei migliori, neanche prima.»
«Oggi, con i bambini, sei stato bravissimo» replicò una voce melodiosa, simile al suono della foglie mosse dal vento.
Fíli dovette mordersi la lingua per non imprecare. Tauriel. Cosa facevano loro due, nel cuore della notte, insieme? A Thranduil e alla sua delegazione erano state offerte le stanze più lussuose dell'intero Regno sotto la Montagna; inoltre lei, in quanto unica femmina, aveva addirittura una camera riservata a lei sola. Perché non era lì? Perché, invece, era con Kíli?
Un nuovo scoppio di risa lo distrasse dai suoi pensieri cupi, e si accorse che stava stringendo la maniglia con tanta forza che le nocche erano sbiancate.
«Quindi, ti fidi?» chiese Kíli, in tono scherzoso.
Lei tacque per qualche attimo, poi rispose, con voce limpida. «Sì, io mi fido di te.»
Ancora una volta, Fíli dovette trattenersi per non fare un commento sarcastico. Maledetti Elfi. Con il loro tono serio e formale, riuscivano a trasformare qualunque cosa dicessero in un giuramento solenne.
Che cosa stavano facendo? Perché era richiesta una prova di fiducia? E chissà cosa avevano da ridere tanto, quei due, nel pieno della notte. Il giorno dopo, tutti avrebbero avuto i loro doveri ad attenderli, eppure loro non sembravano curarsene; erano troppo occupati a godere della reciproca compagnia. Probabilmente, avevano intenzione di continuare a sghignazzare per tutta la notte, e di presentarsi in ritardo al lavoro.
Ma questo non era il caso di Fíli: lui era l'erede al trono e aveva dei doveri cui non poteva mancare. Era appena rientrato da una giornata estremamente stressante, e aveva il diritto di godere un meritato riposo.
Se avevano intenzione di continuare a stare insieme, che lo facessero pure, pensò, abbassando la maniglia della porta. Ma che lo facessero in silenzio.
 

***


Tauriel sedeva a terra, con la schiena appoggiata al letto. Era raggomitolata scompostamente ma, nonostante questo, Kíli pensava che fosse più elegante di quanto lui avrebbe mai potuto essere. Accovacciato sul materasso, alle sue spalle, stava acconciando la lunga chioma rossa in una treccia.
«Da quando mi sono ferito la mano, la mia abilità è diminuita, ti avverto» disse, sperando di riuscire a fare un buon lavoro senza annodarle e tirarle i capelli. «E non sono mai stato uno dei migliori, neanche prima» aggiunse. Fra loro, era sempre stato Fíli il più bravo.
L'Elfa rise piano. «Oggi, con i bambini, sei stato bravissimo» disse. Quando si era presentata al campo di addestramento gli allievi, inizialmente a disagio, erano rimasti affascinati dai suoi capelli e avevano chiesto che la lezione di tiro con l'arco fosse sostituita da una sessione di acconciatura.
Kíli aveva intrecciato così tante chiome da avere i crampi alle mani, ma la treccia di Tauriel si era sciolta quasi subito, e gli aveva chiesto di rifarla.
All'improvviso, la porta si spalancò e Kíli non credette ai suoi occhi, quando vide Fíli sulla soglia.
«Non volevo interrompervi» esordì. Quando rivolse loro un'occhiata, il suo sguardo si fece più affilato. «Ma domani devo alzarmi presto e gradirei un po' di riposo.»
Tauriel gli sorrise. «Ti chiedo scusa, nobile principe» disse. «Non pensavamo di disturbarti.»
Fíli si immobilizzò. Kíli fu quasi certo di sentirgli ripetere la parola pensavamo, ma non ebbe tempo di riflettere sulla questione, perché il fratello avanzò verso di loro, pieno d'ira.
«Non mi stupisce affatto che voi non pensiate» sbottò. «Non credo di aver visto nessuno di voi né alla cerimonia né al banchetto. È così che assolvete i vostri doveri? Sei un misero Capitano della Guardia, Elfo.»
Kíli caracollò giù dal letto e si alzò. «Basta così. Non ascolterò altro» dichiarò, con voce ferma. «Hai esagerato, fratello. Scusati con lei.»
A Fíli sfuggì una risata stonata. «Scusarmi?» chiese, come se gli avesse chiesto di mangiare sterco di Orco. Il suo sorriso era più simile ad un ghigno; era inclinato verso il basso, pareva tutto fuorché allegro o sincero. Non gli apparteneva. «Un erede di Durin non ha bisogno di scusarsi.»
Quella frase, pronunciata da lui, era fuori posto, sbagliata.
Tauriel si alzò a sua volta e si rivolse a Kíli. «Non è necessario, infatti. Sono stanca-»
«Allora perché non sparisci immediatamente, Elfo?» la interruppe Fíli.
Kíli non poteva credere alle sue orecchie. «È questo che fa Thorin, tutti i giorni?» chiese, con rabbia. «Ti trasforma in un replicante di se stesso?»
«Mi prepara a prendere il suo posto!» ringhiò Fíli. «È opportuno che almeno uno dei suoi eredi sia in grado di farlo.»
Kíli incassò il colpo. Gli piaceva pensare di essere diventato insensibile al comportamento che gli veniva riservato, ma ciò che desiderava in quel momento era sparire, perdersi in modo che nessuno potesse trovarlo. Con mani tremanti, fece un passo verso il fratello, senza riuscire a trattenersi. «Mettere da parte i suoi familiari, rinchiudersi per ore nella sala del tesoro... scusami, fratello, ma in questo caso sono contento di non poter diventare come lui-»
Non fece in tempo a terminare il pensiero, perché Fíli gli si gettò contro, afferrandolo per la casacca e sbattendolo con forza contro la parete. Tauriel spostò velocemente lo sguardo fra i due Nani, stupita dalla piega che la situazione stava prendendo. Cercò di dire qualcosa, ma venne ignorata da entrambi.
«Cosa credi di fare?» sibilò Fíli.
Kíli imprecò sottovoce. «Ho esagerato, lo so» afferrò il polso del fratello e lo strinse, sperando di convincerlo a mollare la presa, ma la mano si spostò sulla sua gola e lo inchiodò al muro.
«Esagerato?!» gli occhi di Fíli erano accesi di furia. La sua stretta si fece più salda. «Lui è il nostro re! È nostro zio ed è un padre per noi! Tu gli devi-»
«Il rispetto non è dovuto, neanche al mio re!» sputò Kíli. La presa della sua mano sul polso del fratello maggiore si fece più rigida, ed ebbe la soddisfazione di sapere che era abbastanza forte da rendergli la cosa difficile.
«Voglio bene a Thorin. Ma è cambiato, e tu lo sai!»

Fíli allentò la stretta solo per sbatterlo più violentemente contro la parete. I suoi occhi lampeggiavano di furia, una collera fredda che non era diversa da quella che riempiva gli occhi del re.
«Forse tu credi di essere essenziale e di avere un posto qui, ma ti sbagli. Noi non abbiamo bisogno-»
Tauriel li separò, afferrando la spalla di Fíli e stringendola in una salda morsa. «Basta così» intervenne, in tono calmo. «Credo vi siate detti abbastanza.»
I due fratelli la ignorarono, continuando a guardarsi in cagnesco. L'Elfa aumentò la pressione sulla spalla di Fíli, fino a farlo tremare. «Lascialo andare» scandì. «Non vuoi fargli del male.»
Ma non era la sua mano, a fare male. Le sue parole si stavano facendo strada dentro Kíli, bruciando, calpestando i suoi sentimenti e la sua dignità. Erano fratelli, erano cresciuti insieme, si erano salvati la vita a vicenda. Come erano arrivati a questo?
Gli occhi di Fíli tornarono limpidi, mentre la collera svaniva, e parve risvegliarsi da un sogno; lasciò la sua gola e si allontanò di scatto. Kíli cercò il sostegno della parete, ma non permise a se stesso di ansimare né di toccare i lividi che, sicuramente, si stavano scurendo sul suo collo.
L'espressione di orrore sul viso del fratello era solo una conferma. Come fosse tutta colpa sua, tornò a rivolgersi a Tauriel. «Perché sei ancora qui? Credevo di averti detto di sparire.»
Ma l'Elfa non rispose, limitandosi a fare scudo a Kíli con il suo corpo. Aveva un'aria calma e composta, ma i suoi muscoli erano tesi e la sua mano pericolosamente vicina al fodero di un pugnale.
«Tauriel» la chiamò Kíli e, dopo aver lanciato a Fíli un ultimo sguardo tagliente, lei lo raggiunse.
«Benissimo» sputò Fíli. «Me ne vado io.»
Kíli aspettò che il fratello si chiudesse la porta alle spalle, prima di permettersi di crollare. Pianse senza ritegno, nascondendo il viso fra le mani; per qualche strano motivo, forse per la gentilezza che continuava a dimostrargli, forse per l'intimità che si era creata fra loro, non gli importava che Tauriel lo vedesse. Dopotutto, l'aveva già visto in pieno delirio da veleno Morgul.
L'Elfa sospirò e si inginocchiò accanto a lui, per cingerlo in un abbraccio. La sentiva inspirare piano, con il viso affondato nei suoi capelli.
«Perché mio fratello non mi ama più?» chiese.
«Non dire così.»
«Rifiuta di vedermi. Siamo cresciuti insieme, ma ora a malapena mi parla.» singhiozzò Kíli. «Si vergognano di me, tutti! Sono inservibile, sono inutile. Perché mi hanno salvato? Avrebbero dovuto lasciarmi morire nel fango!»
Tauriel attese finché il Nano non smise di tremare, accarezzandogli piano i capelli, mormorando parole in elfico.
 

***


Fíli si trascinava nei corridoi bui, camminando senza troppa convinzione. Si aspettava che, come sempre era accaduto in passato, Kíli si sarebbe precipitato al suo inseguimento, per fare pace.
Ma, questa volta, non sarebbe accaduto. Kíli poteva sopportare qualunque angheria, purché fosse rivolta a lui; ciò che non tollerava era che fosse fatto del male a qualcuno a cui voleva bene.
Non sarebbe mai venuto a cercarlo, perché Fíli aveva avuto torto e aveva esagerato. La vista di loro due insieme l'aveva fatto imbestialire, aveva detto tutte quelle cose, cose che non pensava. Kíli teneva a entrambi ma, questa volta, non avrebbe scelto lui.
Fíli sorrise amaramente, appoggiandosi alla parete. Avrebbe dovuto capirlo, lui era solo un fratello, mentre lei... lei era più importante. Fíli lo sapeva. Lo capiva. Si lasciò scivolare contro il muro, fino ad accasciarsi sul pavimento. «Cosa aspetti a corrermi dietro?» sussurrò al corridoio vuoto. «Seguimi...»

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


 – Capitolo 7 –


«Sei un grande amico, Bofur. Sei un grande amico» Fíli strascicò le parole, sbilanciandosi pericolosamente all'indietro.
Non senza fatica, Bofur lo afferrò e lo aiutò ad abbassarsi fino a farlo sedere sul pavimento.
Erano dei gran bevitori ma, quella sera, avevano decisamente esagerato; avevano bisogno di fermarsi un momento, prima di proseguire verso i rispettivi appartamenti.
«Certo che lo sono» rispose il Nano più anziano, sorridendo. «Come ti senti?»
Qualche ora prima, quando aveva trovato Fíli da solo e in lacrime, non aveva saputo cosa dire: non l'aveva mai visto in quello stato. Era sconvolto, tremava visibilmente, la sua fronte era imperlata di sudore...
Bofur si lasciò sfuggire un sospiro, scuotendo lievemente la testa. Entrambi i ragazzi erano cambiati molto da qualche tempo a quella parte, ma il maggiore lo era in peggio, specialmente da quando Thorin ne aveva fatto la sua ombra. Probabilmente, era schiacciato dal peso di essere l'erede al trono; inoltre, dover presenziare alle riunioni del consiglio gli impediva di vedere suo Kíli. Erano cresciuti insieme ed erano sempre stati inseparabili, doveva essere difficile non riuscire nemmeno a incrociarsi per mesi interi.
Il Nano più anziano aveva deciso di offrire a Fíli una bevuta, perché si rilassasse un po'. L'idea non l'aveva preoccupato: fin dalla giovinezza, il ragazzo non aveva avuto problemi a scolarsi molte birre, una dietro l'altra. Tuttavia, quella sera sembrava intenzionato a distruggersi; Bofur aveva dovuto portarlo via di peso, per impedirgli di mettere in imbarazzo se stesso più di quanto avesse già fatto. Ora il principe era talmente ubriaco che sembrava aver bisogno del suo aiuto per camminare, per sedersi, per fare qualsiasi movimento.
Fíli ridacchiò e lo osservò a lungo, con occhi velati, come se cercasse di mettere a fuoco il suo viso. Infine crollò contro la sua spalla e gli sorrise. «Hai una gran bella barba.»
Bofur si raddrizzò goffamente. Si sentiva a disagio per il contatto, ma sapeva che, se si fosse spostato, il principe sarebbe caduto e, con tutta probabilità, si sarebbe addormentato per terra.
«Sei un grande amico» ripeté Fíli, con una risata soffocata. «Sei gentile con tutti, anche con me.»
«Perché? Non te lo meriti, forse?»
Fíli rise, scuotendo la testa. Volse il viso verso Bofur e lo fissò intensamente; gli occhi chiari erano lucidi e velati dall'ubriachezza, riflettevano la luce traballante delle torce. Per lunghi minuti, rimase in silenzio, come se si fosse perso nei suoi pensieri. Infine, senza distogliere lo sguardo, mormorò sottovoce «Io sono marcio.»
Bofur tacque. Sapeva che Fíli era ubriaco, più di quanto l'avesse mai visto, e aveva una grande esperienza nel trattare con gli effetti dell'acool sulle persone. Però, la voce del principe non era più impastata e i suoi occhi lo fissavano ostinatamente, in attesa di una risposta.
Il Nano più anziano si era reso conto che doveva esserci qualcosa che non andava; anche se a Fíli era sempre piaciuto festeggiare, quella sera non aveva bevuto per divertirsi. Non era da lui ridursi in quello stato.
«Cosa vuoi dire?» chiese, cercando di mantenere un'espressione neutra.
«Quello che ho detto» rispose il principe.
Tacque a lungo, tanto che Bofur pensò che si fosse addormentato. Invece, dopo qualche minuto di silenzio, appoggiò il capo al muro dietro di sé e continuò.
«Come potrei non esserlo? Ogni volta che sono con lui, ogni volta che lo vedo... Io vorrei solo trascinarlo in un angolo buio e strappargli i vestiti» gli sfuggì una risata amara. «Vorrei vederlo tremare sotto di me, vorrei sentirlo implorare. Lo sogno la notte. Lo voglio, lo desidero così tanto che mi sembra di impazzire. Non c'è del marcio in me, per questo?»
Bofur si schiarì lo gola, imbarazzato dalla piega che il discorso stava prendendo. L'uso del maschile l'aveva scioccato, e non poco. Fíli era cresciuto, ormai aveva raggiunto l'età giusta per interessarsi ai rapporti di coppia; presto Thorin avrebbe cominciato a parlargli di matrimonio ed eredi. Se quello che gli stava confessando era vero, e il principe aveva scelto come suo compagno di vita un maschio, i problemi sarebbero stati enormi; il re non avrebbe gradito, questo era certo.
«E, questo... questa persona, sai» cominciò, sperando che dalla sua voce non trasparissero la preoccupazione e l'imbarazzo. «Questa persona ti ricambia?»
Fíli scoppiò a ridere, scuotendo la testa. «Non è amore fraterno. È molto più di questo. Lo amo e non riesco a stare senza di lui, non posso. Voglio lui, lui solo. È solo lui la persona con cui voglio trascorrere il resto della mia vita» gli sfuggì un lamento. «Per gli Dei, quanto suona sbagliato
Bofur tacque a lungo, cercando di calmare il battito del suo cuore agitato. Affondò il viso fra le mani e si massaggiò gli occhi, sospirando profondamente. Avrebbe voluto aiutare il principe a sollevarsi e accompagnarlo fino ai suoi appartamenti, andare a dormire e dimenticare che quella conversazione fosse mai avvenuta.
Sapeva di essere venuto a conoscenza di un segreto che, se rivelato, avrebbe portato a una situazione spiacevole ed estremamente complicata. Fíli era stato chiaro e lui aveva capito tutto quello che c'era da capire. Avrebbe dovuto alzarsi e andarsene in quel momento, invece lo chiese ugualmente. Chiese «Chi è la persona di cui stai parlando?»
Fíli lo guardò, in silenzio. Sembrava riflettere sulla domanda, come se non fosse sicuro della risposta. Inclinò la testa all'indietro, guardando il soffitto, e sorrise. Infine, riportò gli occhi sul suo interlocutore e, mentre scrollava le spalle, come se fosse la cosa più ovvia al mondo, sussurrò «Kíli.»


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NdA:
Mi scuso enormemente per il lungo periodo di pausa. Spero che questo capitolo vi aiuti un po' a perdonarmi.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 – Capitolo 8 –


Non appena Fíli aprì gli occhi, desiderò di non essersi mai svegliato. Aveva la bocca impastata e sembrava che migliaia di sottili spilli gli si conficcassero nel cervello ogni volta che muoveva la testa.
Impiegò qualche secondo a mettere a fuoco la sua camera e a capire che non riusciva ad alzarsi perché il suo corpo era sudato e avvolto strettamente nelle coperte. Cercando di dare un ordine alle immagini che gli affollavano la mente, gridò: «Che c'è?»
La persona che l'aveva svegliato smise bussare, dicendo: «Perdonami, altezza, ma sei in ritardo. Sei atteso alla riunione del concilio.»
Fíli non si diede pena di abbassare la voce mentre imprecava. Aprì la porta, ignorando lo sguardo sconvolto che la guardia gli rivolse, e chiese che gli fosse portata dell'acqua.
Qualche minuto più tardi, mentre il liquido freddo lo aiutava a ragionare, si interrogò su quanto era accaduto la sera prima. Ricordava fin troppo bene la sua scenata e la discussione con Kíli, ricordava di essersene andato e di aver incontrato Bofur... ma da quel momento in poi c'erano solo immagini sfocate e frammenti di frasi.
Fíli scrollò le spalle, sperando di non aver fatto scempio della sua dignità, e uscì per recarsi nella sala del trono.
 

***


Kíli stava affilando il taglio di un'ascia, osservando distrattamente gli allievi che si esercitavano nel combattimento corpo a corpo.
Dopo che Tauriel se n'era andata, aveva abbracciato il suo cuscino e aveva pianto fino ad addormentarsi, come una stupida ragazzina. Aveva dormito pochissimo e, nonostante questo, era arrivato in ritardo all'addestramento mattutino.
Come se non bastasse, l'acqua fredda non aveva dato alcun sollievo ai suoi occhi, e aveva deciso di portare i capelli sciolti perché il gonfiore non fosse troppo evidente; cercava anche di non guardare nessuno troppo a lungo, ma non era sicuro che la strategia avesse funzionato: ogni volta che si voltava nella sua direzione, scopriva che Bofur lo stava fissando.
Rassegnato all'idea di dover dare delle spiegazioni, decise di farlo il più in fretta possibile; così, durante il pranzo, gli si sedette accanto.
Immediatamente, il Nano più anziano allontanò il piatto quasi intatto e si alzò, bofonchiando di avere qualcosa da fare.
Kíli scoprì che il “qualcosa da fare” consisteva nel sedersi dalla parte opposta della sala, senza smettere, però, di fissare ostinatamente.
Seccato, il giovane Nano si alzò a sua volta e lo raggiunse ma, quando gli mancavano pochi passi, Bofur iniziò a rimproverare a voce alta una tavolata di allievi che non stavano facendo proprio nulla. Dopo aver finito di sgridarli, ignorò il richiamo di Kíli e sgusciò fuori.
Oh no, non provarci nemmeno. Ci pensano già mio fratello e mio zio ad evitarmi.
Kíli raggiunse il campo di addestramento prima che il pranzo fosse terminato, e scorse Bofur intento a pulire un'arma.
Si avvicinò a passo di marcia, ma il Nano più anziano sapeva di non potersi nascondere e non sembrava averne l'intenzione. Alzò lo sguardo su di lui e lo abbassò immediatamente, tossicchiando. «Che vuoi?» domandò, in tono burbero.
«Se devi dirmi qualcosa, ti ascolto.»
L'altro cominciò ad affilare la spada, ma ci mise tanta forza che la cote gli sfuggì di mano. «Perché pensi che abbia qualcosa da dirti?» bofonchiò.
Kíli sbuffò, spazientito. «Senti, mi spiace di essere arrivato in ritardo, va bene?» esclamò. «È che ieri sera ho... ho litigato con Fíli.»
Bofur sussultò, mentre sulla sua fronte si formava una profonda ruga. Continuò a passare la cote sulla lama, lanciandogli uno sguardo preoccupato. «Avete discusso?» chiese, cautamente.
Il giovane Nano allargò le braccia e si lasciò cadere di fianco a lui. «È entrato nella mia camera e ha insultato Tauriel» disse. Decise di omettere i dettagli più cruenti e si passò una mano sulla gola, per controllare che il collo della camicia la coprisse.
Bofur ridacchiò, divertito. Era evidente che si era aspettato qualcosa di peggio e che si sentiva sollevato. «Un Nano che insulta un Elfo, che novità» commentò. «Scommetto che ha avuto una crisi di nervi. Si sentirà sotto pressione.»
Kíli era d'accordo, ma non poteva evitare di essere triste: per tutta la vita, lui e Fíli si erano sempre confidati tutto ed erano stati sostegno l'uno per l'altro... ora, invece, suo fratello preferiva stare da solo.
«Forse dovrei metterlo con le spalle al muro e parlargli» mormorò.
«Oh, non credo che sarebbe una buona idea» commentò Bofur, in tono incerto. «Non faresti altro che peggiorare la situazione.»
Kíli scoppiò a ridere, ma senza allegria. «Pensi davvero che possa andare peggio di così?» chiese.
Il Nano più anziano si morse le labbra. «Mi dispiace» disse, e la sua voce tremava. «Mi dispiace, ragazzo.»
Senza aggiungere un'altra parola, raccolse le sue armi e si allontanò.
 

***


Fíli non era mai stato così felice di terminare una riunione in anticipo. Non vedeva l'ora di chiudersi in camera, immergersi in una vasca d'acqua bollente e addormentarsi.
Il tragitto dall'archivio ai suoi appartamenti sembrava lunghissimo e, anche se il suo corpo non era più indolenzito, il mal di testa non accennava a diminuire.
Imboccato il corridoio, stava già pregustando la solitudine e la tranquillità che gli avrebbero permesso di riflettere sui suoi comportamenti – e di disgustarsi di se stesso –, quando si accorse di essere atteso.
Sospirò stancamente. Sapeva di non poter rimandare ancora quel momento. Aprì la porta della sua stanza e, con un cenno della testa, indicò l'interno a Kíli.


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NdA: Per farmi perdonare per il lunghissimo periodo di pausa, ecco un nuovo capitolo. E che dire adesso? Forse nel prossimo avremo un tanto sospirato chiarimento? O una nuova discussione? La verità è che non ho ancora deciso xD

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 – Capitolo 9 –



Bofur cercava di tenersi impegnato fischiettando motivi sempre più complicati. Aveva riordinato l'equipaggiamento, lucidato tutte le lame, unto tutti gli archi e si era sentito in dovere di controllare che le cotte di maglia fossero perfettamente a norma.
Alla fine si era dovuto arrendere all'evidenza che non era rimasto altro da fare se non farsi un bagno e mangiare qualcosa, innaffiandolo generosamente di birra. Il tutto, ovviamente, senza concedersi di riflettere troppo.
Aveva agito nel modo giusto? Dicendogli di voler parlare con il fratello, Kíli l'aveva colto di sorpresa; non era stato in grado né di dissuaderlo in modo efficace, né di rivelargli quanto aveva scoperto. La sua espressione triste l'aveva lasciato senza parole; voleva bene ai ragazzi e gli dispiaceva vederli soffrire.
La verità era che non gli importava un fico secco della legge: erano un popolo quantomai complicato e quelle norme erano vecchie, insensate.
Il suo proposito di non rimuginare troppo sulla faccenda era andato a farsi benedire e fu per puro caso che si rese conto che l'assenza dei due principi stava creando un certo scompiglio nella sala dei banchetti. All'inizio non se n'era curato perché lui sapeva che, con tutta probabilità, non si sarebbero fatti vedere; ma erano gli eredi e, in quanto tali, erano attesi.
Mentre deglutiva l'ultimo sorso di birra, vide Thorin rivolgere un sorriso tirato a re Thranduil, prima di richiamare una guardia con un gesto stizzito. Il Nano si avvicinò ed iniziò ad annuire, rigido.
Prima di comprendere pienamente le implicazioni del suo gesto, Bofur si alzò e raggiunse il lungo tavolo delle autorità.
«Mio signore» esordì, attirando l'attenzione di Scudodiquercia. «Kíli mi ha pregato di dirti che si è ferito durante l'addestramento e non sarà presente al banchetto.»
Thorin congedò la guardia con un gesto della mano. «Qualcosa di grave?» chiese.
«Nulla che una buona dormita non possa curare.»
«Manderò qualcuno a portargli del cibo.»
«Posso farlo io!» esclamò Bofur, con foga. Troppa, stai calmo. «E proverò a bussare alla porta di Fíli» continuò, cercando di adottare un'espressione neutra. «Dopo tutto, i loro appartamenti sono vicini.»
Il re gli rivolse un sorriso. «Lo sono» confermò.
Un quarto d'ora più tardi, Bofur camminava lentamente, cercando di non far traballare troppo il vassoio che stava trasportando. Quando imboccò il corridoio, gli parve di vedere qualcosa muoversi nella penombra.
«Kíli?» chiamò. «Fíli?»
Nessuno rispose. Il Nano attese ancora qualche secondo, ma alla fine si convinse che si era trattato solo del riflesso delle torce sulle pareti di pietra.
Con cura, si accostò alla porta del fratello minore, ma non udì alcun rumore. Si avvicinò allora agli appartamenti del maggiore e rimase in ascolto. Certo, era fievole, ma riuscì a riconoscere la voce di Kíli. Non stava urlando, ma parlando con calma. Era un buon segno?
Dovrei interromperli?, si chiese, appoggiando lentamente il vassoio sul pavimento. Ripensò alle lacrime silenziose di Fíli la notte prima. No, non era il caso.
Rivolse un'ultima occhiata al fondo del corridoio, sentendosi complice in qualcosa di illecito e paranoico. Tutti quei segreti non facevano proprio per lui. Sperando che, almeno, i ragazzi potessero riappacificarsi, tornò sui suoi passi, cercando di inventarsi una bugia convincente da rifilare a Thorin.

 

***


Kíli si lasciò sfuggire una risata nervosa, guardandosi intorno. Fino a qualche attimo prima affrontare suo fratello gli era sembrata una buona idea ma, improvvisamente, si sentiva a disagio, come se si trovasse di fronte a un estraneo. «Sembra che siano passati secoli dall'ultima volta che siamo stati da soli in una stanza» osservò, cercando di riordinare le idee.
Il maggiore non replicò. Si limitò a ravvivare il fuoco in silenzio. Quando le fiamme furono sufficientemente alte per i suoi gusti, si lasciò cadere sul letto e disse: «Ti ascolto.»
Era evidente che si fosse preparato a una sfuriata: teneva le spalle curve, come un bambino in attesa di essere sgridato, ed evitava ostinatamente di incrociare il suo sguardo.
L'immagine gli riportò alla mente le molte volte in cui si era preso la colpa al suo posto ed era stato punito per questo. Nonostante tutto, si ritrovò a sorridere, mentre un moto d'affetto gli scaldava il cuore: non era un estraneo, ma suo fratello. E, dopo tutto quel tempo, si trovava di fronte a lui ed era disposto ad ascoltarlo.
«Le tue spalle sono sempre state grandi, Fíli» esordì.
Il maggiore alzò lo sguardo, sgranando gli occhi. Aveva l'aria di chi si sarebbe aspettato di ascoltare tutto fuorché quella frase.
Kíli rise, divertito dalla sua reazione. «Le mie risse terminavano sempre con te che accorrevi in mio aiuto e mettevi in fuga i miei avversari. Stavi davanti a me e gli urlavi contro» spiegò. «Poi ti voltavi e ridevi.»
Per un attimo, il viso di Fíli fu illuminato da un lieve sorriso, mentre i suoi occhi si coloravano di una sfumatura più calda.
«Quella risata non è mai cambiata, da quando eravamo bambini. Era il suono che-» continuò Kíli, passandosi una mano fra i capelli, cercando di ignorare l'imbarazzo. «È il suono che preferisco. Ho sempre pensato che, finché avessi continuato a sentirla, avrei potuto fare qualunque cosa.»
Alzò un braccio e scosse la testa, quando Fíli aprì la bocca per parlare.
«In questi mesi ho fatto del mio meglio per distrarmi, ho sopportato, ho sorriso fino ad avere la mascella indolenzita» disse Kíli, avvicinandosi lentamente al letto. «Ogni volta che mi è stato chiesto se stavo bene, ho detto di sì. Ma non è così.»
Attento a non compiere movimenti bruschi, come se si trovasse di fronte a un animale spaventato, si inginocchiò di fronte al fratello. «Sapevo che avevi già abbastanza problemi senza preoccuparti anche di me» continuò. «E volevo disperatamente che tu ricominciassi a ridere.»
Fíli scosse la testa, nascondendo il viso fra le mani. Iniziò a mugolare qualcosa, ma Kíli alzò la voce: «Non ha funzionato. Tu sei sempre così infelice» disse. «Quello che mi fa impazzire è che, se non me lo permetti, io non posso aiutarti.»
Finalmente, il maggiore decise di alzare lo sguardo. «Vattene, Kíli» scandì, con voce roca.

 

***


«Cosa?»
La delusione sul volto di Kíli, dopo il discorso pieno di sentimento che aveva appena pronunciato, era evidente. Ma doveva andarsene, subito. Fíli si era commosso per le sue parole ed era felice che, nonostante tutto, suo fratello tenesse ancora a lui, ma non poteva permettersi di alimentare le sue speranze. Speranze sterili, sbagliate, si ricordò. Impure.
Aveva deciso che la sua soluzione era la distanza, aveva giurato a se stesso che avrebbe vissuto per sempre nascondendo i suoi sentimenti, cercando di essere tutto ciò che gli altri si aspettavano che lui fosse.
«Ti prego, Kíli» mormorò stancamente, mentre le spalle gli si ingobbivano sotto il peso dei suoi segreti. Distolse lo sguardo. «Lasciami solo.»
«No.»
«Fuori. Di. Qui.»
«Sei libero di buttarmi fuori, se ci riesci» esclamò Kíli, lanciandogli uno sguardo di sfida. «Ma ti avverto che io non sono diventato un gracile topo di biblioteca come te.»
Si era avvicinato ancora di più e Fíli avvertiva distintamente il suo odore di muschio, vento e sudore. «Perché cazzo non mi lasci in pace?» sbottò, allontanandosi di scatto.
«Perché tu non lo vuoi veramente» disse Kíli, mentre le sue guance si coloravano di rosso. «E neanche io» continuò, mentre qualcosa nel castano dei suoi occhi si scioglieva. «Mi manchi.»
Il silenzio più totale calò su di loro. Persino il crepitio del fuoco e delle torce sembrava non fare rumore. I loro sguardi si incrociarono, l'azzurro del cielo che si specchiava nel marrone scuro delle profondità della terra.
Era da molto tempo che non si trovavano così vicini ed erano passati mesi dall'ultima volta che Fíli si era permesso di guardarlo attentamente. Notò che le ossa del suo volto sembravano più pronunciate, come se avesse perso peso. Gli occhi erano cerchiati da ombre scure e, nonostante gli stesse sorridendo, sul suo viso l'angoscia era evidente.
«Ciao, fratellone. Finalmente mi stai guardando» commentò Kíli, scostandosi i capelli troppo lunghi dalla fronte.
Con orrore, Fíli vide che portava una camicia a collo alto. Quasi inconsapevolmente, allungò il braccio fino a scostare il tessuto e toccò i lividi scuri sulla sua gola. «Che cosa ti ho fatto?» chiese.
Al minore sfuggì una risata. «Cosa ho fatto io a te, piuttosto» commentò, in tono ironico.
Fíli sentì il suo cuore tremare. «Anche tu mi manchi» disse, cautamente. «Non pensare mai di essere un peso per me.»
«Non lo sono?»
«No.»
Kíli inarcò un sopracciglio, ma non replicò. Prese fra le dita una ciocca dei capelli del fratello e iniziò ad intrecciarla svogliatamente.
«Sei sempre stato bravo a blandirmi con queste cose» commentò Fíli. Si sentiva crollare in pezzi e la sensazione era piacevole in modo terrificante.
«Scommetto che una bella ragazza saprebbe “blandirti” meglio.»
Fíli non riuscì a impedirsi di scoppiare a ridere. «Oh, no, fratellino» mormorò, afferrando le sue mani e appoggiandosele sul volto. «Se non sei tu, nulla ha senso.»
La risata di Kíli continuò per qualche secondo, prima di affievolirsi fino a spegnersi completamente. «Cosa dici?» chiese, incerto.
Il maggiore sorrise, disperato, innamorato in modo abominevole. Strinse i suoi polsi, impedendogli di allontanarsi. «Se non sono le tue mani» iniziò, portandosi il palmo destro alle labbra, baciando la profonda cicatrice che lo squarciava.
Senza staccare gli occhi da quelli del fratello, allungò un braccio e sfiorò il suo viso, percorrendo il contorno della bocca con la punta delle dita. «Se non sono le tue labbra» sapeva cosa stava vedendo nello sguardo di Kíli ma, ormai, non poteva fermarsi; era completamente impazzito e avrebbe perseverato nella sua pazzia fino alla fine. «Se non sei tu sotto di me» la sua mano scese, con lentezza studiata, sul corpo che aveva di fronte; attorcigliò una ciocca di capelli, accarezzò la gola, sfiorò il capezzolo che si intravedeva sotto la stoffa della camicia; non andò oltre, ma i suoi occhi si abbassarono ancora, facendo arrossire Kíli violentemente. «Nulla ha senso.»
Quando fu abbastanza sicuro che avesse assimilato il concetto, Fíli lasciò i suoi polsi. Respirò forte il suo odore, gonfiando i polmoni più che poteva, cercando di imprimerlo ancora di più nella sua memoria. Infine, si ritrasse. Improvvisamente, la tensione che aveva accumulato in tutti quei mesi sembrò crollargli addosso.
«Capisci ora?» chiese, lieto che la voce gli si spezzasse. Meritava il dolore che stava provando, meritava che suo fratello lo odiasse. Era la giusta ricompensa per il trattamento che gli aveva riservato. «Ti voglio in quel modo.»
Kíli si alzò in piedi e raccolse le braccia al petto, come a voler creare una barriera fra di loro. Non che Fíli potesse biasimarlo; poteva solo immaginare l'orrore che doveva provare in quel momento.
Decidendo di farsi del male, alzò lo sguardo sul fratello. La sua espressione era seria e controllata, ma una lacrima solitaria stava percorrendo la sua guancia. Aprì la bocca e inspirò profondamente, prima di parlare.

 

***


«Perché?» riuscì a chiedere, cercando di ignorare il battito del suo cuore, che gli rimbombava insistentemente nelle orecchie.
La reazione di Fíli fu istantanea: tornò ad abbassare lo sguardo e si rabbuiò. «Mi dispiace. Se si potesse scegliere di chi innamorarsi, io...»
Kíli scosse la testa, sconvolto. Non riusciva a capire quale fosse l'emozione predominante in lui. Era sorpreso, sconcertato dalla confessione, ma una rabbia feroce e indignata gli ribolliva nelle viscere. «Perché hai deciso di non dirmelo?» chiese.
Fíli scoppiò in una risata sguaiata, senza allegria. «Perché?» ripeté, mentre gli occhi gli si accendevano di un sinistro lucore. Indicò bruscamente la sua scrivania, ricoperta di libri e rotoli di pergamena.
Kíli si avvicinò e sfogliò uno dei volumi: si trattava di un codice di diritto nanico. Confuso, ne aprì un altro e un altro ancora; sembrava che tutti avessero un segnalibro nella sezione Delitti contro la famiglia. Una frase, sempre la stessa, era stata cerchiata e sottolineata più volte: Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commetta incesto con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, sarà punito con la tortura e la morte.
«È questo che hai fatto, per tutto questo tempo? Ti sei torturato?» chiese Kíli, mentre la sua ira non faceva che aumentare. Chiuse l'ultimo libro di scatto. «Di cosa avevi paura? Che ti avrei odiato?»
Fíli non si mosse e non replicò. Sembrava intenzionato a rimanere seduto e tremante sul letto, fissandosi ostinatamente i piedi.
Kíli sbuffò. Guardò per terra e si rese conto che uno dei fogli volanti era caduto, probabilmente mentre stava spostando i libri. Lo raccolse rabbiosamente, lanciandogli un'occhiata, e riconobbe la propria scrittura.
Era il biglietto che gli aveva lasciato tempo prima, chiedendogli un incontro in uno dei passaggi segreti. Si era presentato all'ora stabilita per molti giorni, ma Fíli non si era mai fatto vedere.
«Perché non sei venuto?» chiese.
«Mi dispiace.»
«E la tua scenata con Tauriel?» Kíli era consapevole che il volume della sua voce si stava alzando esponenzialmente, ma il torrente di sentimenti e parole era impossibile da arginare.
«Mi dispiace.»
«Sei mio fratello. Per Aulë! Siamo fratelli!» ringhiò Kíli, avvicinandosi al letto. «Perché non mi hai parlato?»
Se possibile, il viso di Fíli s'incupì ancora di più. «Mi dispiace. Io... non avrei mai voluto farti soffrire. Non m'importa di me stesso, ma non avrei mai permesso che tu... io ho fatto quello che ritenevo giusto.»
Kíli scosse la testa. Lasciò che le lacrime strabordassero definitivamente e si lanciò contro il fratello, circondandolo in un abbraccio. «Giusto per chi?»
Cercando di non pensare al viso di Fíli premuto contro il suo petto, chiuse gli occhi e percorse la sua schiena con le mani. Gli era mancato quel contatto, quel calore.
«Perché conservi quel biglietto?» chiese.
«Per rileggerlo e detestarmi.»
Suo malgrado, Kíli scoppiò a ridere. «Stai optando per la sincerità?» domandò, distaccandosi da lui per guardarlo.
Il fratello spalancò gli occhi in un'espressione meravigliata, come se si fosse appena ricordato di qualcosa. «Sì» rispose.
Prima che Kíli se ne rendesse pienamente conto, Fíli aveva tuffato la mano destra fra i suoi capelli e l'aveva attirato a sé, facendo aderire i loro corpi.
«Cosa stai facendo?»
«Perdonami.»
«Perdonarti? Per-»
«Per questo» grugnì Fíli, scontrando la bocca contro la sua.
Kíli era talmente sconvolto che provò l'impulso di difendersi e spingerlo via. La sua mano corse istintivamente al fodero del pugnale che teneva sulla schiena, ma il fratello dimostrò che, anche se si era dedicato più ai libri che all'allenamento, la sua forza non era affatto diminuita: afferrò il suo polso e lo trattenne con fermezza, ma senza fargli male. Schiuse le sue labbra con la lingua e inclinò la testa di lato, cambiando angolazione, baciandolo più profondamente. Dopo qualche istante, si staccò da lui per raccogliere aria e sorrise contro la sua bocca, mentre la prepotenza spariva, lasciando il posto a qualcosa che lo fece rabbrividire. Quel primo bacio sapeva di sangue e polvere, ed era fuoco che si riversava nelle loro vene.

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NdA: Salve. È passato un po' dall'ultimo aggiornamento, ma spero che questo capitolo sia valso l'attesa :)
Sono reduce dalla visione de “La Battaglia delle Cinque Armate”. Sono un po' amareggiata, perché mi aspettavo di meglio. Voi che ne dite?

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