The darkest time of Magic Itself di AsfodeloSpirito17662 (/viewuser.php?uid=643)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il fuoco che purifica ***
Capitolo 2: *** Frequenze radio ***
Capitolo 3: *** La nuova era ***
Capitolo 4: *** Re Arthur ***
Capitolo 5: *** Il male di Albion ***
Capitolo 6: *** L'incontro ***
Capitolo 7: *** Un Destino ciascuno ***
Capitolo 8: *** Adesso siamo pari ***
Capitolo 9: *** Excalibur ***
Capitolo 10: *** Incertezze ***
Capitolo 11: *** A carte scoperte ***
Capitolo 12: *** Chance ***
Capitolo 13: *** Ultimatum ***
Capitolo 14: *** Punto di rottura ***
Capitolo 15: *** Un penny per i tuoi pensieri ***
Capitolo 16: *** Piano B ***
Capitolo 17: *** In volo verso Glastonbury ***
Capitolo 18: *** Merlin il Mago deve morire - I ***
Capitolo 19: *** Merlin il Mago deve morire - II ***
Capitolo 20: *** L'era mortale ***
Capitolo 1 *** Il fuoco che purifica ***
PRIMO
CAPITOLO
1.
Il fuoco che purifica
Londra,
Gunnersbury, 17 luglio 2020
Notte
Charles
aprì gli occhi all'improvviso, nello stesso modo dal quale ci
si risveglia da un brutto sogno, da una caduta vertiginosa. Quando
focalizzò il soffitto bianco sopra di lui, si rese conto che
non era stato un brutto sogno ad averlo svegliato, ma le mani nervose
di Hester che l'avevano scosso con violenza e che ancora continuavano
a toccarlo.
"Si
alzi, Charles!" gli ordinò la donna, non appena vide i
suoi occhi azzurri aperti sul mondo.
Ciò
che indusse il ragazzo a fare quello che gli era stato appena detto,
fu l'evidente nota di urgenza che aveva fatto vibrare la voce
profonda e roca della sua governante. Lei l'aveva lasciato andare ed
aveva raccolto qualcosa da terra: una coperta marrone, di quelle che
era solita tirare fuori soltanto durante le giornate più
fredde; gli sembrava quasi di sentirne la consistenza ruvida e
fastidiosa sulla pelle solo a guardarla.
Passando
una mano sulla faccia Charles cercò di capire cosa diavolo
stesse succedendo, ma non appena si alzò in piedi una
fortissima esplosione fece tremare il pavimento della sua stanza,
mandando in frantumi i vetri della finestra vicina. Entrambi persero
l'equilibrio e caddero a terra: Charles si coprì
istintivamente la testa con le braccia, mentre una pioggia di
brillante cristallo gli cadeva addosso, sui vestiti e tra i capelli.
Si
sentì decisamente più sveglio.
L'istinto
di sopravvivenza gli suggerì di non alzarsi immediatamente e
solo quando il tremore del pavimento fu passato, si azzardò a
sbirciare la sua stanza oltre la fessura delle braccia: Hester era
poco lontana da lui e già si stava rialzando in piedi, senza
perdere tempo.
"Sta
bene? Charles?" lo chiamò, avvicinandosi a lui con
evidente apprensione. "Charles!"
"Sto
bene, sto bene!" la rassicurò, provando la sconvolgente
sensazione di star vivendo dentro una sorta di videogioco.
Quando
guardò la sua governante, notò dei strani riflessi
rossastri sui suoi capelli biondi, già striati da molte
ciocche grigie. Si girò verso la finestra, perché la
fonte di quella luminescenza non poteva provenire che da lì:
attraverso le ante senza vetri, poté godere della vista di un
enorme e furioso incendio, vivo ed ardente, ad un paio di isolati di
distanza. Sgranò gli occhi e fu lì lì per dire
qualcosa, ma Hester lo afferrò per un polso, trascinandoselo
dietro con una certa prepotenza. Incespicò nei suoi stessi
piedi, prima di opporre resistenza.
"Hester,
aspetta, che stai facendo?" sbottò, senza capire le
ragioni del suo comportamento. "Dove pensi di andare? È
pericoloso uscire lì fuori, dobbiamo chiamare i vigili del
fuoco!"
La
donna scosse impetuosamente la testa, stringendo la coperta marrone
sotto il gomito. Ricominciò a tirarlo verso le scale, quando
quello che sembrò essere il ruggito di qualcosa di infernale
fece sobbalzare entrambi sul posto. Il ragazzo svincolò dalla
sua presa e si avvicinò di nuovo ad una finestra, nello stesso
istante in cui un'ombra dalle dimensioni bibliche gettò il
vicinato in un'oscurità più profonda della notte. Udì
Hester inspirare bruscamente alle sue spalle.
"La
prego, mi ascolti" tornò a parlare la donna, che sembrava
avere fretta di andarsene. "Non siamo al sicuro qui, dobbiamo
uscire!”
"Si
può sapere di cosa parli?"
Si
girò verso di lei e la guardò come se all'improvviso
fosse diventata completamente pazza. "Esigo una spiegazione!
Cosa succede?!"
"Attento!"
Hester
corse verso di lui e se lo tirò addosso con forza: l'impeto fu
talmente intenso che entrambi caddero a terra e per Charles fu
inevitabile schiacciarla con il suo peso. Ritrovarsi distesi a terra
fu però una fortuna, poiché l'enorme lingua di fuoco
che irruppe dalla finestra spaccandone i vetri non poté così
bruciarli, ma solo terrorizzarli a morte. Quando il getto diminuì
di intensità, restando a lambire esclusivamente le tende e le
intelaiature di legno, Charles rotolò da un lato e guardò
con occhi vitrei il punto in cui si era trovato giusto qualche
secondo prima. Con la mano afferrò la maglia bianca
all'altezza del cuore che, furioso, batteva come avesse voluto
uscirgli dal petto. Non riuscì a proferire nemmeno mezza
parola. Se Hester non l'avesse afferrato bruscamente per buttare a
terra entrambi, a quel punto sarebbe già morto carbonizzato.
O
forse starei ancora soffrendo le pene dell'inferno nell'attesa di
morire.
Tra
i due doveva probabilmente essere Hester quella dal sangue freddo,
poiché non aspettò che un secondo prima di rialzarsi in
piedi, dando l'impressione di non essere rimasta poi molto
traumatizzata dallo scampato incidente; approfittando del suo
silenzio sconvolto, lo scrollò bruscamente e lo costrinse ad
alzarsi in piedi.
La
loro fuga da quella casa fu accompagnata da costanti gorgoglii e
ruggiti bestiali: forse l'inferno aveva aperto le sue porte,
vomitando diavoli e demoni sulla terra.
Charles
non poté che confermare le sue paure, quando riuscirono a
lasciarsi l'uscio dietro le spalle: non solo la sua casa, ma quelle
dell'intero vicinato erano cadute sotto l'attacco di quelle fiamme
misteriose, affamate ed implacabili; ne divoravano le fondamenta,
tutto ciò che avevano contenuto e Dio solo sapeva se non anche
gli occupanti. Avvertì le ginocchia diventare improvvisamente
molli e l'odore di bruciato - le esalazioni, che come una cappa
avevano abbracciato l'intero quartiere -, lo fecero tossire sin quasi
a vomitare.
Hester
aveva appoggiato la coperta sul naso e sulla bocca, ma il fumo le
fece tuttavia lacrimare gli occhi verdi, contornati da alcune rughe;
guardò il ragazzo con un velo d'apprensione, sovrastato da una
sorta di determinazione che le accese lo sguardo. Tenendo ben salda
la sua presa attorno al polso di Charles, con passo svelto - alla sua
età mettersi a correre non le era davvero possibile -, lo
costrinse a seguirla attraverso il vialetto carbonizzato.
Mentre
Charles inghiottiva ciò che era stata la sua cena di nuovo giù
per la gola, vide quello che restava dell'ulivo di sua madre,
nell'angolo del giardino: i rami spogli e neri come l'inchiostro si
innalzavano verso il cielo grigio e fumoso come in una muta richiesta
di pietà. Sentì lo stomaco contrarsi ed una rabbia
talmente intensa da accecargli la vista per qualche secondo: quella
pianta era stata uno dei pochi ricordi che ancora aveva di lei ed ora
era andata perduta per sempre.
La
notte, resa luminosa e brillante dai numerosi incendi che avevano
invaso il quartiere, sembrò per brevi secondi tornare alla sua
oscurità più profonda ed originaria: una forte folata
di vento scompigliò i suoi capelli biondi e quando alzò
istintivamente gli occhi verso il cielo, non poté credere a
ciò che vide.
Un
drago dalle dimensioni di un immenso dirigibile volò sopra di
lui, sputando fuori dalle fauci una fiammata talmente potente e calda
che, nonostante si fosse abbattuta ad un paio di isolati di distanza,
riuscì ad infastidirlo comunque a causa della sua elevata
temperatura.
È
ufficiale. Sto ancora sognando e questo è un videogioco.
Si
girò verso Hester, che aveva allentato la presa sulla coperta:
riuscì a vederle le labbra che tremavano. Nel giro di qualche
secondo un altro drago solcò i cieli sopra le loro teste,
diretto verso il centro di Londra. A quel punto, come risvegliatasi
improvvisamente da una trance, Hester ricominciò
a tirarlo come fosse stato un fantoccio privo di volontà e ad
essere onesti, si sentiva proprio così.
Attorno
lo scenario sarebbe potuto passare per un set post apocalittico:
Charles guardò, come nei panni di uno spettatore, le macchine
carbonizzate; si riempì le orecchie dei più disparati
allarmi e delle grida della gente; respirò l'odore del fumo
misto a quello della morte, delle vittime che erano già state
colpite. Osservò una bambina che camminava in mezzo alla
strada e che piangeva a pieni polmoni, invocando il nome della madre;
il suo primo istinto fu quello di andare verso di lei, ma Hester lo
trattenne con una forza inimmaginabile e scosse la testa più
volte.
"Non
c'è tempo, non c'è tempo!" esclamò,
persistendo a camminare velocemente.
"Ma
non possiamo lasciarla lì!" ribatté Charles,
atterrito dal disinteresse della sua governante.
Il
problema fu risolto da un uomo che, correndo fuori dall'interno di
una casa, issò la ragazzina su una spalla e la caricò
nella propria macchina. Ma nel momento in cui accese il motore, una
bolla di fiamme e fumo abbracciò l'automobile nella sua
interezza, carbonizzandola nel giro di pochi attimi. La fuga era
stata stroncata dalla creatura alata.
Charles
avvertì di nuovo l'intenso bisogno di vomitare, paralizzato
dall'orrore.
Hester,
al contrario, sembrava esattamente cosa fare e come muoversi: aveva
evitato la vicinanza delle macchine come la peste, cercava riparo
sotto gli alberi e sotto le tettoie e sfruttava le zone d'ombra più
cupe. Quelli ed altri imbrogli, pur di celarsi all'acuta vista della
mefistofelica creatura. Charles non parlava e non impediva più
alla donna di trascinarlo Dio solo sapeva dove. Camminarono a lungo,
facendo slalom tra i più disparati scenari di devastazione ed
entrambi poterono così appurare come la furia di quelle
mistiche creature si fosse abbattuta su tutta la città di
Londra, senza lasciarne intatto un solo angolo. Quando raggiunsero
miracolosamente indenni il parco di Richmond e furono al riparo
dentro una delle grotte, Charles crollò sulle ginocchia, lo
sguardo atterrito e rivolto verso i rivoli di fumo che si alzavano
ancora dalle zone residenziali.
Hester
soppesò pensierosamente se fosse il caso di lasciarlo lì
da solo, poi sparì nelle profondità scure della
caverna. Il ragazzo nemmeno se ne accorse.
Quando
tornò indietro, lo trovò ancora immobile nella stessa
posizione; poggiò a terra ciò che aveva recuperato dal
fondo della grotta e si avvicinò, toccando con gentilezza la
sua spalla.
"Suo
padre non è in città" commentò lentamente,
gli occhi pieni del bagliore delle fiamme lontane; "Non si
preoccupi, Charles".
Ma
Charles non stava pensando a suo padre: pensava all'ulivo morto nel
giardino, quello che sua madre aveva accudito con tanta cura.
Intimamente gli era sempre piaciuto pensare che la sua anima si fosse
insidiata all'interno del tronco e nelle foglie, dopo la sua morte.
Era come averla persa una seconda volta.
Hester
gli poggiò la coperta sulle spalle e restò in silenzio:
il vibrante ruggito dei draghi, che sembrava provenire direttamente
dalle viscere della terra, riempì di echi oscuri tutta la
caverna, minacciando i loro cuori.
È
un sogno,
pensò distrattamente Charles, stringendosi addosso la coperta,
e
voglio svegliarmi adesso.
NOTE
DELL'AUTORE:
Eccoci qui con il primo capitolo di questa nuova storicciuola.
Sudata, anelata, rincorsa e bestemmiata per parecchi mesi, finalmente
giunge su questi schermi. Ma io ve l'avevo promesso e lo sapete che
le mie promesse vengono sempre mantenute. La storia si compone di 20
capitoli compreso l'epilogo, è già terminata ed aspetta
solo di essere pubblicata. Avrete un nuovo capitolo ogni lunedì,
a meno che cause di forze maggiori non mi impediscano di aggiornare
(ma sono sempre stata estremamente puntuale con le pubblicazioni,
quando ho avuto sul pc storie già concluse). Dedico questo
primo capitolo a tutti i
fan di Merlin
ed a quelli che, nonostante dopo tutto questo tempo, ancora ci
credono. Grazie di cuore a Mimiwitch
che s'è presa la bella rogna di betare questa storia: sei un
elemento davvero indispensabile e sei stata preziosa fonte di
consigli quando le crisi mistiche minacciavano il mio estro di
fanwriter. Grazie davvero.
Ultimo
ma non meno importante: popolo
fangirliano di Feis buk:
IO. TI. ADORO.
Senza
i vostri scleri le mie giornate sarebbe estremamente buie, grigie e
tempestose.
P.S.
Purtroppo per voi questa storia non avrà nulla di comico.
P.P.S.
Però una risatina ogni tanto può darsi che riusciate a
farla.
P.P.P.S.
Un parere fa sempre piacere, purché sia spontaneo e non
elemosinato.
Con
tanto love,
Asfo
|
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Capitolo 2 *** Frequenze radio ***
SECONDO
CAPITOLO
2.
Frequenze radio
Londra,
Richmond Park, 17 luglio 2020
Mattina
Il
ronzio della radio che Charles stava cercando di far funzionare da
circa un'ora, aveva costretto Hester ad alzarsi e fare la spola tra
il fondo della caverna ed il punto in cui si erano accampati per la
notte. Nessuno dei due era riuscito a chiudere occhio e non avevano
spiccicato parola sino a quando, prendendo anche la sua coperta,
Hester non aveva fatto rotolare fuori dalle pieghe una piccola
radiolina; era già arrivata l'aurora quando Charles
l'aveva
raccolta e si era appoggiato contro la parete rocciosa, scorrendo
febbrilmente i canali per bere ogni notizia mal trasmessa che
riusciva a carpire.
Quando
le era stato proposto di creare una sorta di falò, Hester
aveva stroncato la scarsa geniale idea sul nascere, poiché
l'acuta vista delle bestie alate avrebbe potuto individuarli da una
considerevole distanza; tuttavia, per cucinare la sbobba contenuta
nei barattoli che la governante aveva recuperato dal fondo della
grotta, erano giunti ad un compromesso: il fuoco sarebbe stato
utilizzato soltanto nella piena luce del giorno.
Hester,
seduta davanti qualche ciocco di legno reso scuro dalle fiammelle,
stava lasciando ribollire alcuni fagioli all'interno di un piccolo
tegame; lanciò di soppiatto un'occhiatina verso Charles,
chiedendosi con apprensione quando sarebbe cominciato l'inevitabile
interrogatorio.
L'odore
del muschio attaccato alle pareti della caverna, riusciva a
mascherare un po' quello di bruciato che, ad ondate irregolari ed a
seconda di come tirava il vento, giungeva dalla città. Alla
luce di quella giornata cupa, il cui grigiume era anche alimentato
dalla cappa di fumo che per giorni ancora avrebbe dominato i cieli di
Londra, il devasto pareva ancora più terribile: i draghi erano
scomparsi ore prima, diretti forse verso ovest, ed i loro ruggiti
erano stati sostituiti dall'assordante fragore di interi edifici che,
carbonizzati fino alle fondamenta, avevano finito per crollare come
castelli di sabbia.
"Informiamo
i fzzfzz non lasciate le strad-fzzfzz ripeto, non lasciate le
fzzfzz".
Charles
scrollò la radio, avvertendo il forte impulso di gettarla
contro la parete e se non l'aveva già fatto, era perché
quell'apparecchio rappresentava l'unico mezzo di informazione di cui
disponessero.
Inspirando
profondamente nel tentativo di calmarsi, inumidì le labbra
secche e riprovò a far girare la rotella dei canali.
"Ogni
passaggio è bloccato, l'attacco di ieri ha distr-fzzfzz la
statale non è più agibi-fzzfzz imposs-fzzfzz -sciare
Londra fzzfzz".
Chiuse
gli occhi ed appoggiò la testa contro la parete, dandola vinta
per qualche minuto alle frequenze instabili ed alla stanchezza. Le
sue dita continuarono a far saltare la radio da un canale all'altro,
ma chiuse totalmente le orecchie a quel ronzio insopportabile: per un
po' avrebbe lasciato riposare la sua scarsa pazienza. Hester si era
alzata in piedi e scrollata la lunga gonna marrone dalla polvere, con
un'andatura un po' dondolante, gli si era avvicinata; durante la fuga
della sera prima, nella fretta di mettere le vite di entrambi al
sicuro, aveva preso una brutta storta e dopo che l'adrenalina era
calata aveva iniziato ad accusare un considerevole dolore. La donna
si fermò in prossimità dell'ingresso della grotta ed
esaminò i numerosi rivoli di fumo che dalla città
salivano ad alimentare le nubi scure nel cielo.
"A
che cosa pensi?" le chiese Charles, che aveva socchiuso gli
occhi udendo i suoi goffi movimenti.
Lei
voltò la testa e lo guardò in silenzio, ma non rispose.
La radio si ammutolì del tutto qualche breve istante, prima di
ripartire dal ronzio. Charles attese ancora un po', continuando a
cercare la frequenza giusta e poi tornò alla carica.
"Hester,
posso sapere adesso che cosa sta succedendo?"
Neanche
a dirlo, l'interpellata titubò ancora un poco sull'ingresso
della grotta e poi se ne tornò vicina al falò, a
mescolare quel pugno di fagioli che avrebbero mangiato per tappare un
poco lo stomaco. Charles la seguì con gli occhi e l'ostinato
silenzio della sua governante lo portò a serrare i denti con
stizza. Restò seduto contro la parete della caverna, credendo
che alzarsi in piedi non sarebbe stata una mossa saggia; si sentiva
scombussolato da emozioni molto forti, ma simili tra loro: le più
riconoscibili erano rabbia e paura.
"Hester"
provò di nuovo, sorprendendosi per come il suo tono di voce
risultò controllato. "Ti ho fatto una domanda. Perché
sembri saperne qualcosa?"
Hester
tolse il tegame dal fuocherello e dal sacco che aveva recuperato la
sera prima dal fondo della caverna, tirò fuori due scodelle di
plastica; con l'odore di cibo che stuzzicava il suo naso ed il suo
palato, Charles si rese improvvisamente conto di essere molto
affamato. Il suo stomaco borbottò indecentemente, come
risvegliato da un sonno molto profondo. Inghiottì tutto
l'eccesso di saliva che aveva nella bocca e si impose di non mollare
ancora la presa.
"Come
facevi a sapere che c'erano queste cose, qui nella grotta?"
mosse il mento verso i fagioli che Hester stava versando nelle
ciotole. "Ce le hai messe tu?"
Francamente
iniziava a pensare che alzarsi in piedi potesse essere un'idea non
così malvagia; l'altra non lo calcolava nemmeno per sbaglio e
pretendeva di non udire nemmeno la sua voce. Determinata come un
mulo, girava i fagioli dentro le scodelle per freddarli almeno un
po', come aveva fatto abitualmente per
Charles
quando
lui
era
ancora un bambino troppo pigro e viziato per freddare le cose
semplicemente soffiandoci sopra.
"Perché
siamo qui? Perché hai nascosto queste cose in questa caverna?"
Hester
si tese versò di lui e gli porse la sua razione fumante di
cibo. Lui non si mosse, cercando con i suoi gli occhi della donna.
"Perché
non vuoi dirmi che succede?"
A
quel punto Hester, esasperata da tutte quelle domande che comunque si
era già aspettata, sbatté la ciotola di cibo ai suoi
pedi e si ritirò infastidita.
"Che
razza di domande sono?" esordì, burbera come era nella
sua natura essere. "Non li ha visti i draghi? Ecco che succede!"
Ignorando
del tutto l'odore allettante che saliva fino al suo naso, Charles si
staccò dalla parete e si tese verso di lei: "E tu che ne
sai?" domandò, nell'esatto istante in cui le sue dita
trovarono miracolosamente una frequenza funzionante.
Entrambi
si zittirono di colpo e l'attenzione fu tutta per lo speaker:
"A
chiunque sia in grado di ascoltarci in questo momento fzzfzz
-bandonate le case! Ripeto, abbandonate le vostre case! Non cercate
di fug-fzzfzz-re se non a piedi, non usate le vostre macchine, non
dirig-fzzfzz-vi verso gli aeroporti, tutti i voli sono stati
cancellati! Ripeto, né treni né aerei sono più
disp-fzzfzz-bili! Le forze dell'ordine invitano a mantenere la
cal-fzzfzz e ci informano che in zona Wimbled-fzzfzz dei centri di
accoglienza e di primo soccorso sono stati allest-fzzfzz per tutti
coloro che fzzfzz-itano di cure. Ripeto, ci sono cent-fzzfzz zona
Wimbledon. Mantenete le distanze da tutti gli edifici, per questioni
di sicure-fzzfzz i pochi rimasti in piedi potrebbero crollare da un
fzzfzz-mento all'altro. Che Dio ci assis-fzzfzz".
*
Inghilterra,
17 luglio 2020
Pomeriggio
Erano
anni che nessuno si avvicinava a quella casa. La gente del posto
aveva iniziato ad evitarla quando, di punto in bianco, un vecchio
burbero e maleducato vi si era trasferito. All'inizio in molti
avevano tentato di farlo sentire il benvenuto, di coinvolgerlo nella
comunità, ma ogni sforzo che era stato compiuto per lui era
finito inesorabilmente per andare sprecato. Il vecchio Fitz -così
era stato soprannominato, poiché nessuno conosceva davvero il
suo nome-, non voleva essere avvicinato, era chiaro. Verso i bambini
agitava il suo bastone, verso gli adulti imprecava con sentimento.
Dopo un considerevole periodo di insistenza quindi, un bel giorno, il
vecchio Fitz era stato lasciato definitivamente in pace.
La
sua casa si trovava nella periferia ovest della cittadina e da circa
una settimana, sembrava essere tornata disabitata.
Becky,
la dodicenne figlia del sindaco, giurava che così non era:
passando per di lì la mattina, diretta alla fermata
dell'autobus che l'avrebbe condotta al campo estivo, aveva visto un
paio di volte un bambino all'interno di una delle stanze al pian
terreno, nascosto dietro i vetri della finestra. Derek il pescatore,
invece, tornando una sera tardi dalle acque del lago vicino, aveva
detto di aver visto una luce accesa ai piani superiori.
"È
normale" aveva esordito una sera al pub. "Il vecchio Fitz
non riesce a reggere in piedi nemmeno se stesso, figurarsi tenere a
bada le erbacce! Ve lo dico io, un giorno di questi gli crollerà
addosso la baracca e non se ne accorgerà nemmeno".
Non
era che alcuni di loro non provassero apprensione per quel povero
signore tutto solo, ignaro del pericolo che stava correndo; ogni
volta che a qualcuno veniva lo sghiribizzo di andarlo a disturbare
per controllare che tutto fosse a posto però, immancabilmente
il ricordo del brutto e rinomato caratteraccio del vecchio Fitz
invogliava a far tornare qualunque anima pia sui propri passi ed a
mantenere quindi le distanze.
Era
davvero bizzarro il modo in cui la vegetazione del cortile aveva
preso possesso della casa. Una cosa del genere Derek non l'aveva mai
vista, neanche quando, per vent'anni, non vi aveva abitato nessuno. I
cespugli e l'erba dovevano aver raggiunto almeno l'altezza di un
metro, tanto che sfioravano oramai i davanzali delle finestre. Lungo
le mura di pietra si arrampicavano rami e radici, disegnando una
ragnatela così fitta ed intricata da rassomigliare ad una
mappatura delle vene del corpo umano. Nonostante fosse luglio ed il
tempo più che buono, gli alberi erano spogli e rinsecchiti,
come se qualcosa avesse succhiato loro tutta la linfa, la vitalità
e l'energia; incastrate tra i fili d'erba ed i rami dei cespugli
c'erano foglie grandi ed ingiallite, morte da nemmeno una settimana.
Altri rami, lunghi come liane, avvolgevano il ferro della cancellata
che spuntava sopra le mura di cinta, sbarrando il passaggio a
qualsiasi curioso: sembrava che la casa volesse tenere lontani gli
scocciatori, rispecchiando perfettamente il terribile caratteraccio
del vecchio Fitz.
Anche
quel pomeriggio Becky, tornando dal campo estivo, rallentò il
passo e si issò sulle punte dei piedi; allungò il collo
con il nasino puntato per aria e sbirciò oltre la barriera di
rami e foglioline che cercavano di impedirle di ficcanasare. Per un
po' non vide niente, il che la deluse: avere delle novità sul
vecchio Fitz era sempre stato un buon modo per attirare l'attenzione.
Fu quasi sul punto di rinunciare quando, in una delle finestre del
piano inferiore, intravide un baluginio dorato; Becky si fermò
di colpo e tentò di alzarsi ancora di più sulle punte
delle scarpe. Afferrò con le mani le sbarre della cancellata e
spinse quasi la faccia tra i rami spessi che le stavano di fronte;
restò lì immobile ad attendere istanti che le parvero
infiniti, quando eccolo di nuovo! Becky socchiuse le palpebre e si
concentrò, ma ciò che vide la spaventò a morte.
Con un grido acuto lasciò all'improvviso le sbarre di ferro,
come l'avessero ustionata ed incespicando sui piedi iniziò a
correre, allontanandosi il più in fretta possibile da quella
casa.
Aveva
visto di nuovo lo stesso bambino, ma sulla faccia della terra non
esisteva nessuno, nessuno,
che avesse gli occhi dorati.
Il
vecchio Fitz aveva forse un alieno in casa?
*
Londra,
Richmond Park, 17 luglio 2020
Sera
Dopo
quell'incredibile colpo di fortuna, Charles aveva passato l'intero
pomeriggio a percorrere il perimetro della grotta con la radio tra le
mani, nel tentativo di trovare un punto che gli permettesse di
captare le frequenze nel miglior modo possibile. Tutto quello che
aveva sentito, nel mentre, l'aveva totalmente allontanato dalla
discussione intrapresa con Hester poche ore prima e la donna ne aveva
approfittato per riposare un po'.
"Non
si allontani Charles, se non vuole finire nei guai" aveva detto,
prima di coricarsi sulla sua coperta e chiudere gli occhi stanchi ed
arrossati. Charles aveva annuito distrattamente e si era avvicinato
all'entrata della grotta, alzando le braccia per aria -il cervello
gli diceva che forse, puntando la radio verso l'alto, il segnale
sarebbe miracolosamente giunto a lui per vie divine-. Trascorse delle
ore composte da frasi inframmezzate e singhiozzi incomprensibili, il
ragazzo aveva ben pensato di spegnere almeno per un po' la radio, per
evitare di sprecarne le batterie: sarebbe stato imbarazzato dal
descrivere tutte le posizioni assurde che aveva assunto nel tentativo
di fungere da canale per le frequenze, ma comunque era stato tutto
inutile. Tornò verso l'interno della caverna e ripose la radio
vicino al sacco del cibo in scatola; come se il solo vederlo gli
avesse causato uno squarcio nelle viscere, il suo stomaco iniziò
di nuovo a brontolare, reclamando la sua seconda razione giornaliera.
Con
un sospiro appena percettibile si voltò verso Hester che,
sdraiata a terra, gli dava le spalle; cercando di fare meno rumore
possibile le si avvicinò per dare un'occhiata: il suo volto
era disteso e privo di linee, il respiro profondo e regolare. Preferì
non disturbarla, considerate le ultime tumultuose ore che avevano
vissuto e tirò su le maniche della maglia con tutte le buone
intenzioni del mondo: avrebbe pensato lui alla cena!
Rovistò
all'interno del sacco marrone per un po', constatando la maggiore
quantità di legumi che avesse mai visto in vita sua. Non
avendo quindi molta scelta, prese un barattolo di lenticchie e lo
svuotò all'interno del tegame che Hester aveva usato per
scaldare i fagioli; Charles storse il naso un po' schifato, ma se era
vero che la necessità faceva la virtù...
Quando
trovò i fiammiferi tra le pieghe della sua coperta, per poco
non gli venne un colpo: la mano di Hester si era chiusa attorno al
suo polso con una morsa davvero ferrea e gli aveva impedito di
muoversi ancora. Il ragazzo si voltò verso di lei, gli occhi
azzurri spalancati come due fanali nel buio della caverna:
non l'aveva sentita muoversi così velocemente e si stupì
del fatto che apparisse perfettamente sveglia.
"Cosa
sta facendo?" lo interrogò duramente.
"Volevo
scaldare la cena".
"È
forse impazzito?!"
Hester
gli strappò dalle mani i fiammiferi, tenendoli stretti ed al
sicuro tra le sue.
"Non
si ricorda già più di cosa abbiamo parlato stamattina?
Niente fuochi, la sera!"
"Ma
i draghi non ci sono più! È dall'alba che non li
vediamo!" replicò a quel punto Charles, decisamente
indispettito dall'atteggiamento della sua governante. Lo stava
trattando come un bambino.
"E
se dovessero tornare all'improvviso?" tornò ad attaccare
la donna.
"Che
cosa faremmo se ci vedessero? Questa grotta è sicura, ma può
diventare la nostra rovina! Saremmo intrappolati qui dentro e quella
creatura la farebbe diventare un grande, grandissimo forno
crematorio!"
Il
ragazzo aprì la bocca per rispondere, ma nessun suono ne uscì
fuori. Hester aveva ragione, ma dalla sera precedente era capitato un
po' troppo spesso che ne avesse. Inspirando bruscamente, Charles si
protese verso di lei e piantò gli occhi nei suoi con una luce
autoritaria.
"Ho
sentito dire alla radio che le armi militari si disintegrano
nell'aria ancora prima di riuscire a sfiorare quelle bestie"
sibilò, rincorrendo sul suo volto qualsiasi ombra, qualsiasi
piega che potesse fargli intuire quanto in realtà ne sapesse
la sua governante; "Ma tu questo già lo sai, non è
vero?"
Hester
strinse le labbra come una linea sottile e lasciò il suo
polso.
"Mi
sembra ovvio che sia così" replicò piuttosto
seccamente, "Solo un Signore dei Draghi può uccidere un
drago".
NOTE
DELL'AUTORE: è già lunedì
D: che ansia tremenda. Vabbè, comunque (come promesso), ecco
qui il secondo capitolo. Ci tengo a specificare che i capitoli non
hanno una lunghezza specifica, ma solo quella giusta (cioè
quando io ritengo sia necessario interrompermi per motivi di suspance
lol). Ringrazio coloro che hanno recensito il primo capitolo, quelli
che hanno solo letto in silenzio e quelli che hanno aggiunto la
storia alle seguite. Vi dico già da ora che qui, ogni cosa
accade a suo tempo: forse l'inizio potrà sembrarvi un po'
lento, ma a parte qualche rara eccezione, quasi tutte le mie storie
iniziano così. Vi auguro di trovare il coraggio per arrivare
fino alla fine!
Mimiwitch
è la mia beta, la sponsorizzo un sacco e la amo tantissimo!
Ci
vediamo lunedì!
Asfo
|
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Capitolo 3 *** La nuova era ***
TERZO
CAPITOLO
3.
La nuova era
Inghilterra,
18 luglio 2020
Notte
Alecto
era già stata in quel posto, ne era certa. Le pareti nebulose
e grigiastre tentavano di confonderla, ma l'odore... l'odore era
uguale a quello della sua vecchia stanza; sentiva quella punta
dolciastra dovuta alla crema da notte di Claire, l'odore forte del
deodorante di Stacy e quel lieve alone perenne di marijuana che
impregnava a morte i vestiti di Kendra.
Come
fosse stato improvvisamente smascherato, il luogo prese
definitivamente forma attorno a lei, confermando i suoi sospetti: si
trovava al collegio, al sicuro sotto le coperte e con indosso il
pigiama che odiava tanto - quello color panna, pieno di pecore
gialle. Anche se aveva gli occhi aperti, sentiva di stare ancora
dormendo; tentò di voltare la testa verso i letti delle sue
compagne, ma qualsiasi movimento tentasse di fare risultava
impossibile.
Sto
dormendo, è per questo che non posso muovermi, pensò
distrattamente. All'accertata familiarità che il luogo le
aveva suscitato, si aggiunse qualche istante dopo un destabilizzante
senso di déjà vu. Ho
già vissuto questo momento,
si disse, non appena sentì la testa essere invasa dalla voce
di un bambino. L'Alecto che stava sognando sapeva chi era quel
bambino, ma l'Alecto che stava stesa nel letto cadde in totale
confusione. Chi
sei? Che cosa vuoi? furono
le scontate domande che la giovane pose a quella voce. Il bambino la
ignorò, continuando a ripetere il suo nome con maggiore
convinzione: stava tentando di dirle qualcosa. La ragazza si mosse
irrequieta nel letto, scalciando le coperte fino a ridurle ad un
groviglio informe ed umido di sudore - eppure faceva freddo, sapeva
che era così. Con la fronte corrugata per la concentrazione,
si sforzò di capire che cosa lui le stesse dicendo.
Alecto,
vieni. Vieni da me.
Venire
dove? Dove sei?
Da
me... vieni da me.
Non
capisco. Come faccio a venire se non so dove sei?
Cercami...
seguimi... trovami...
Seguirti?
Che cosa intendi dire?
Alecto...
Aspetta!
Come
se stesse appena riemergendo dalle profondità di un abisso,
Alecto scattò a sedere e respirò malamente, con enormi
boccate di aria. Sentì il suo cuore battere alla velocità
della luce, ma c'era qualcosa che non andava; capì che stava
ancora sognando solo dopo aver esaminato con gli occhi, di un celeste
acquoso e slavato, l'intera scena che le si parò di fronte.
Sapeva di essere lì fisicamente, ma in un altro momento eppure
nello stesso.
Quando
quel sogno sarebbe finito, era certa che avrebbe aperto gli occhi
all'interno di quella casa.
Nel sogno invece, si trovava giusto di fronte all'ingresso, seduta
sull'erba. Lasciò correre lo sguardo sulla ragnatela d'edera
che decorava le mura dell'edificio e sulle chiazze di muschio che ne
scurivano la superficie; era esattamente uguale a come era nella
realtà, eppure Alecto sapeva di star rivivendo ancora qualcosa
di già vissuto.
Spinta
da una forza invisibile, fu costretta ad alzarsi in piedi per
spazzolare i vestiti e ripulirli dalla terra e dall'erba secca del
giardino incolto, lasciato in un pietoso stato brado.
Nel
momento in cui sollevò gli occhi dai jeans sobbalzò:
non era più in giardino, ma nel salotto della casa, al pian
terreno. Voltò la testa verso la finestra ed oltre le tende
pesanti ed il vetro ricoperto dalla polvere, intravide una
meravigliosa luna piena, che da sola avrebbe potuto illuminare anche
le strade più buie. L'odore di vecchio e di umido le pizzicò
le narici, ma non la infastidì: aveva avuto tempo per
abituarsi a quel miscuglio stordente.
Come
aveva sempre fatto da che era diventata inquilina abituale di quella
malandata dimora, diresse lo sguardo verso il fondo del salotto,
incontrando stranamente una fitta nebbia. Questa
non c'è mai stata... si
ritrovò a pensare con stupore, nel momento stesso in cui una
piccola manina sbucò oltre quella coltre grigiastra,
tendendosi verso di lei come a volerla risucchiare e inghiottirla tra
le ombre.
La
scena cambiò ancora ed il bagliore del camino lenì il
tremore delle sue ossa; Alecto si tese inconsciamente verso quella
fonte di calore, senza abbandonare la poltrona sulla quale si era
ritrovata seduta. La luce del fuoco illuminava una piccola porzione
del salotto, dalla carta da parati consunta ed ingiallita al tappeto
mangiucchiato dalle termiti. L'elegante cornice che correva intorno
alla bocca del camino in alcuni punti cadeva a pezzi, lasciando
intravedere un po' di intonaco. I rami e l'edera che dall'esterno
della casa davano l'impressione di averla inghiottita, si erano
inoltrati implacabilmente anche al suo interno: i pavimenti erano
spaccati in più punti da grosse radici e la carta da parati
era strappata da numerosi ramoscelli, che crescevano direttamente dal
cemento di quelle mura; dagli steli che si inerpicavano fin al
soffitto del salotto, penzolavano pigramente alcune foglie secche.
Accanto a lei sedeva lui,
lo stesso bambino che l'aveva attirata in quella casa. Le gambette
troppo corte a malapena sbucavano oltre il bordo della grande
poltrona di pelle marrone e le manine erano poggiate morbidamente sul
grembo; sarebbe apparso come un qualsiasi altro bambino della sua età
- ma qual era la sua età? -, forse dall'aria un po' gracile,
se non fosse stato per quei magnetici ed intensi - ma
sono vivi!, aveva
pensato -, occhi dorati. No, non gialli. Dorati.
All'inizio
Alecto aveva creduto che il riverbero delle fiamme del camino
giocasse strani scherzi su quelle iridi mobili e liquide, ma poi si
era dovuta ricredere: c'era qualcosa di vivo che strisciava sinuoso
in quegli occhi e per qualcosa di vivo,
intendeva dire una presenza, un'entità, un parassita, un... un
qualcosa! Quegli occhi ospitavano qualcosa,
non poteva essere altrimenti.
"Capisci
perché ho bisogno di te?" le stava dicendo lui,
guardandola come si guarda la soluzione di un enigma.
"Non
ho abbastanza forze per farlo da solo, ma insieme potremo riportare
la magia in questo mondo e trovare altri Signori dei Draghi come me e
come te, Alecto".
La
sua voce la infastidiva; aveva la tonalità cristallina tipica
dei bambini, ma le parole che uscivano da quella bocca ed il modo in
cui venivano pronunciate, appartenevano ad un individuo senza tempo,
senza età. Osservò il ramo che fuoriusciva direttamente
dalla sua schiena e che strisciava lungo la poltrona, immergendosi in
quella porzione di salotto rimasta avvolta dalla nebbia; ebbe un
fremito di inquietudine e sentì i suoi occhi dorati scivolarle
addosso come lava. In quel momento il calore del fuoco non bastò
a farla sentire meglio.
"Noi
siamo uguali" riprese il bambino. "Abbiamo la magia. Se non
permetteremo a quelli come noi di venire alla luce, allora resteremo
da soli per sempre e non potremo farne qualcosa di buono".
Qualcosa
di buono. Alecto aveva una paura folle della solitudine; aveva una
paura folle delle persone come sua madre. Lui le parlava di usare la
magia per un bene superiore, quel tipo di bene che le avrebbe
finalmente permesso di sentirsi parte di un gruppo, di essere
accettata e non additata come mostro. Qualcosa di buono. Quando lui
le parlava così, riusciva a sentirlo più vicino e più
umano; vedeva le sue piccole mani paffute quasi prive di linee, i
capelli neri e spettinati tra i quali sbucavano un paio di grandi
orecchie buffe.
Qualcosa
di buono aveva morso e stava già masticando la sua volontà.
*
Alecto
aprì gli occhi per davvero quella volta, mettendo a fuoco il
soffitto bianco della sua stanza, sul quale si allungavano ombre
dall'ambigua natura. Restò immobile e distesa sul letto per un
tempo che le parve infinito, durante il quale si concentrò
nell'ascoltare il battito rassicurante e ritmico del suo cuore. Si
sentiva fresca ed asciutta, ma poco riposata; voltò la testa
verso il comodino: la sveglia elettrica segnava le tre e zero sette
del mattino.
Dopo
un sospiro silenzioso scostò le coperte di dosso e si mise
seduta; dovette come sempre aspettare quasi un minuto prima di
potersi alzare in piedi, o la testa avrebbe iniziato a girarle -
qualche problema con la pressione piuttosto comune -. Mosse la lingua
impastata contro il palato, accorgendosi di avere la bocca e la gola
asciutte. Desiderò dell'acqua. Senza tergiversare oltre, uscì
dalla sua spoglia stanza, percorrendo il buio e familiare corridoio e
poi scese le scale. Come nel sogno, il riverbero proveniente dal
fuoco che sicuramente era acceso nel camino, illuminava l'ingresso
del salotto; Alecto giunse in fondo alle scale, ma invece di
assecondare il richiamo di quel bagliore rossastro alla sua sinistra,
si diresse dalla parte opposta, dov'era la cucina.
Il
resto della casa era immerso nel buio e nonostante il suo aspetto
fatiscente, non un asse del pavimento si era mossa sotto il peso dei
piedi scalzi di Alecto, che risultò essere perfettamente
silenziosa come un'ombra. Non aveva bisogno di accendere la luce e
come avesse gli occhi chiusi, raggiunse in breve la cucina; i suoi
occhi cercarono di abituarsi all'oscurità che la circondava,
ma risultò essere stranamente impenetrabile. Scrollò le
spalle e perfettamente consapevole di dove stesse mettendo i piedi,
si diresse verso il lavandino; alzò le braccia, trovando a
tastoni lo sportello della credenza sopra la tua testa.
Prese
un bicchiere e lo riempì di acqua, ascoltando ancora il
battito calmo del suo cuore: sembrava l'unico a produrre qualche
rumore.
"Va
tutto bene?"
Alecto
strinse le dita attorno al bicchiere, che quasi le cadde a terra; si
girò di scatto verso l'oscurità alle sue spalle e la
prima cosa che intercettò, fu il bagliore dorato dei suoi
occhi. Improvvisamente il buio non parve più così
impenetrabile e come se le sue pupille si fossero finalmente adattate
alle tenebre, iniziò a scorgere con più facilità
il profilo del tavolo con le sedie, dei mobili e del bambino che
l'aveva raggiunta in cucina. Lui la guardava in silenzio con
un'espressione imperscrutabile: Alecto non era mai stata in grado di
capire quali pensieri affollassero la sua mente e non era molto
sicura di volerne venire a conoscenza. Lui non aveva fatto mai niente
per spaventarla, ma le ispirava lo stesso un disagio primordiale,
senza spiegazione logica.
"Sì"
rispose in modo flebile. "Avevo solo sete".
Schiarì
la gola per rendere la voce meno roca.
"Hai
fatto un brutto sogno?" le domandò lui, rischiando quasi
di farle arricciare la punta del naso: odiava quando dava
l'impressione di sapere sempre tutto. C'erano cose che Alecto avrebbe
voluto tenere per sé, ma aveva la sensazione che non sarebbe
mai accaduto.
"Una
specie..." commentò.
"Di
nuovo il collegio?"
La
ragazza lasciò passare qualche secondo, prima di rispondere.
Decise che per raccontare una bugia efficace, una mezza verità
poteva fare al caso suo.
"Sì"
si ritrovò così a confermare, ma non aggiunse altro:
avevano già parlato abbondantemente del periodo che era stata
costretta a passare in quel posto.
"Pensavo
non ne facessi più".
"Lo
pensavo anche io".
Alecto
posò il bicchiere vuoto dentro il lavandino e vi rimase
appoggiata contro, indirizzando lo sguardo verso la finestra che le
stava di fronte: da quel lato della casa la luna non era visibile.
"A
volte mi chiedo se tu ti renda pienamente conto della tua importanza"
esclamò ad un certo punto l'altro, spezzando il silenzio con
forza. Lei non si voltò, ma irrigidì visibilmente la
schiena.
"Sei
parte integrante della nuova era che giungerà. La creeremo
noi, insieme. Credi ancora che sia la cosa giusta da fare, non è
vero?"
Prima
di girarsi, Alecto inumidì le labbra asciutte. "Perché,
se sono così importante, ti rifiuti di condividere alcune cose
con me?" trovò il coraggio di chiedere. "Hai detto
che sono una signora dei draghi, allora insegnami come posso
comandarli".
Lui
la trapassò con lo sguardo: oro incandescente come una fiamma
che la faceva, contro ogni aspettativa, rabbrividire di freddo.
"Non
è ancora giunta l'ora" rispose dopo un po', calibrando le
parole - o forse il tono della voce?; "Devi avere pazienza,
Alecto. La magia non è cosa che si possa imparare in un
giorno, o un mese, o un anno".
"Quindi
dovrò aspettare un anno per sapere come fare?"
"Dovrai
aspettare il tempo necessario" la sferzò, lasciandosi
sfuggire una punta di irritazione, che venne cancellata
immediatamente dopo da un sorriso. "Mi piace la tua
determinazione, Alecto. Cancella tutti i miei dubbi quando mi domando
se hai davvero compreso che è questa,
la cosa giusta da fare. Per tutti noi. Sia per quelli che hanno la
magia, che per quelli che non ce l'hanno".
"Mia
madre..."
"Tua
madre starà bene" la interruppe, con l'aria di chi non
voleva essere contraddetto. "Così come tutti gli altri.
Ti ho mai mentito sino ad ora, Alecto? Pensi che la tua diffidenza mi
faccia piacere?"
La
ragazza strinse le labbra ed abbassò lo sguardo: ci provava
sempre a sfidare la mobilità sinuosa dei suoi occhi, ma finiva
inevitabilmente per perdere.
"Preferiresti
tornare alla tua vita di prima? Al collegio?"
"No!"
rispose d'istinto, compiendo un passo verso di lui. Il bambino la
guardò dolcemente; Alecto era troppo agitata per accorgersi
che l'altro aveva sulla faccia l'espressione di chi aveva ottenuto
esattamente ciò che voleva. Sospirò, annuendo
lentamente: "Neanche io voglio che tu te ne vada. Sono stato
solo per tanto, tanto tempo. Siamo amici, no?"
Lei
si limitò ad annuire e si avvolse la pancia con le braccia.
Soddisfatto della conversazione avvenuta, il bambino le voltò
le spalle e si diresse verso il salotto, trascinando con sé
quel ramo solido e pieno di linfa che fuoriusciva dalla sua schiena e
che mai lo abbandonava.
"Emrys,
aspetta!" lo fermò Alecto, avvicinandoglisi ancora di
qualche passo. Aveva come la sensazione di aver lasciato qualcosa in
sospeso e non voleva che il bambino pensasse male delle sue
convinzioni; lui si fermò, senza voltarsi: la stava così
invitando a parlare.
"Lo
so che quello che stiamo facendo è giusto. Verrà presto
il tempo in cui la magia non sarà un problema e ti credo,
quando dici che anche gli altri staranno bene. So che tutta questa
violenza è necessaria per il cambiamento. Tu stesso hai detto
che..."
"Che
tutte le rivoluzioni efficaci sono mosse dalla violenza. Spero tu non
abbia dimenticato che
noi possiamo
porre rimedio a qualsiasi tipo di male, grazie alla magia. Non
sentirti in colpa".
"Non
lo farò più. Si tratta pur sempre di un bene superiore,
no?" tentò di abbozzare un sorriso, anelando
l'approvazione di Emrys. Quello si girò appena verso di lei,
lasciando intravedere un fugace sorriso sul suo volto.
"È
per questo che ti ho scelta, Alecto. Sapevo che tu, fra tutti,
avresti capito".
*
Qualche
minuto più tardi, Alecto si chiuse la porta della sua stanza
alle spalle. Vi appoggiò contro la schiena e sospirò
rumorosamente; ci mise giusto un po', prima di accorgersi che c'era
qualcosa di strano. Quando era uscita non aveva acceso la luce,
eppure l'ambiente era schiarito da un tenue bagliore. Il suo cervello
fece immediatamente il collegamento.
"Può
essere che...?" sussurrò, allontanandosi dalla porta. Con
passi decisi si avvicinò al suo zaino ed iniziò a
rovistarvi dentro: il bagliore divenne via via sempre più
intenso e nel momento in cui ebbe tra le mani l'oggetto delle sue
ricerche, fu costretta a socchiudere gli occhi: il pulsare costante
di quella luce, a tratti più tenue ed a tratti più
intensa, era troppo da sopportare per lei, dopo il costante buio nel
quale si era mossa.
Il
Triskelion(1) composto di tutte e tre le sue parti brillava di una
luce propria, celestina, e quello poteva voler dire soltanto una
cosa.
"Un
altro uovo è vicino".
*
Londra,
Richmond Park, 18 luglio 2020
Mattina
Hester
si spaventò a morte, quando Charles si mise seduto di scatto
con gli occhi spalancati ed i capelli appiccicati alla fronte per
colpa del sudore. Lasciò perdere ciò che stava facendo
e si avvicinò al suo protetto, inchiodandolo con uno sguardo
apprensivo.
"Che
succede?" domandò, raschiando la voce contro la gola.
Spostò dietro le spalle i lunghi capelli biondi striati
abbondantemente di grigio e si accovacciò al suo fianco.
Charles fissò i suoi occhi azzurri in quelli verdi della donna
e sospirò bruscamente.
"Non
lo so" rispose titubante, "Un... un sogno. Credo".
"Come
sarebbe a dire credo?"
Hester corrugò la fronte e lo osservò attentamente.
L'altro scrollò le spalle e si stropicciò la faccia con
una mano, tirando i capelli indietro dalla fronte.
"Cioè,
sì. Un sogno. Era sicuramente un sogno..." mormorò,
fissando la parete rocciosa della grotta senza vederla realmente. Ad
Hester quell'aria assorta non piacque affatto, per una lunga serie di
motivi, perciò decise di insistere.
"Di
che genere? Senza dubbio tremendo".
Quando
Charles la guardò interrogativamente, Hester abbozzò un
sorriso. "Dovrebbe vedere la sua faccia. Pare abbia appena visto
un mostro".
"Oh,
no" rispose subito lui. "Nessun mostro, anzi. Tutto sommato
credo si possa considerare... un bel sogno. Cioè, normale,
ecco. E poi..." si bloccò improvvisamente e investì
la sua governante con uno sguardo del tutto diverso.
"Un
momento. Perché diavolo dovrei raccontarti i fatti miei quando
tu non mi degni nemmeno di rispondere alle mie domande? È da
ieri che fai finta di non sentirmi, ma ti assicuro, Hester, che la
mia pazienza ha un limite!"
La
donna roteò gli occhi verso l'alto e scosse la testa. "Non
si arrende mai, vero, Charles? Testardo come suo padre, questa
qualità avrebbe anche potuto lasciarla a lui. Se avessi fatto
finta di non sentirla, per la cronaca, non le avrei nemmeno detto che
l'unica cosa importante adesso è restare insieme. È
fondamentale che lei stia con me, Charles. Il perché glie lo
spiegherò, ma non è né il momento né il
luogo adatto".
"E
quando sarà il momento adatto? In quanto al luogo, credo che
nessun posto sia più sicuro, quindi uno vale l'altro".
"No!"
si impuntò la donna ed approfittò per rimproverarlo.
"Lei dice così perché
non sa.
Non ancora almeno, ma tra breve non sarà più così.
La pazienza, ecco! Quella avrebbe proprio dovuto prenderla, da sua
madre".
Charles
restò interdetto. "Tu sei arrivata poco prima della sua
morte. Che ne sai di com'era?"
"Sono
arrivata prima di quanto non pensi. Aveva solo cinque anni, non può
pretendere di ricordarselo" rispose immediatamente Hester,
distogliendo per brevi attimi gli occhi dai suoi.
"Comunque
dobbiamo tornare in città" riprese il ragazzo, alzandosi
in piedi. "Voglio verificare in che stato si trova la casa e
sono preoccupato per mio padre".
"Ma
non ha sentito le comunicazioni radio? Le strade sono tutte bloccate
e Londra è stata evacuata! Tornare indietro è fuori
discussione! Mi creda, Charles, se c'è qualcuno che si trova
al sicuro, quello è sicuramente suo padre! L'America sta
dall'altra parte dell'oceano, sa?"
"Perché
tutto ciò che dici sembra volermi impedire di tornare a casa
mia?" socchiuse le palpebre sugli occhi, guardandola con
un'ombra di diffidenza.
Hester
schiuse le labbra, ferita più di quanto avesse mai immaginato
da quello sguardo; comprendeva perfettamente i dubbi che affollavano
la mente di Charles e non poteva biasimare quell'atteggiamento nei
suoi confronti, ma questo non lo rendeva meno doloroso. Aveva
cresciuto quel ragazzo al meglio delle sue possibilità, era
praticamente il figlio che non aveva mai avuto.
"Il
giorno in cui ho iniziato a lavorare per la sua famiglia, ho promesso
una cosa a sua madre e cioè che avrei sempre cercato di
proteggerla, in qualsiasi circostanza. Tornare indietro è
pericoloso e può stare certo che per farlo, dovrà
passare sul mio cadavere" rispose, con un tono di voce così
fermo e perentorio da fugare ogni dubbio: Charles sarebbe dovuto
davvero
passare sul suo corpo, prima di poter essere libero di fare ciò
che voleva.
"Non
ho più cinque anni, so badare a me stesso" ribatté
per contro, come punto sul vivo. Ebbe la sensazione di essere appena
stato trattato come qualcuno non in grado di intendere né di
volere; secondo il punto di vista di Hester infatti, era proprio
così: Charles non era in grado di fare nessuna delle sue cose
perché non sapeva niente.
"Per
quanto mi riguarda" riprese la donna, "potrebbe avere anche
sessant'anni, ma non cambierebbe niente. Onorerò la mia
promessa fin quando avrò vita in questo corpo e questo è
quanto. Adesso, direi che è il caso di focalizzarci su
qualcos'altro".
Charles
non era molto d'accordo, avrebbe voluto dirle molte altre cose -
tendeva a volerla sempre vinta lui -, ma in quel caso la curiosità
ebbe la meglio sul suo orgoglio.
"Del
tipo?" domandò monocorde, arcuando entrambe le
sopracciglia.
"Del
tipo che è arrivato il momento di spostarci. Dobbiamo
approfittare di questa calma per andare in un posto".
"Che
posto?" chiese immediatamente il ragazzo, con la netta
impressione che non avrebbe ricevuto una risposta soddisfacente.
Infatti andò proprio così.
"Lo
vedrà da sé" replicò Hester, raccattando le
poche cose che avevano portato: coperte, la sacca con all'interno il
cibo in scatola e la radio.
"Piuttosto"
continuò, invogliandolo a seguirla verso l'esterno della
grotta, "Perché non mi parla del suo sogno?"
*
Inghilterra,
18 luglio 2020
Mattina
"L'hai
sentito?"
Emrys
stava seduto sulla poltrona come al solito e fissava le pietre del
camino scurite dalle fiamme, in quel momento spente. Quando Alecto
era entrata in salotto nemmeno si era voltato e non lo fece neppure a
quella domanda.
"È
ora che tu vada" disse quietamente, facendo dondolare le
gambette oltre il bordo della seduta.
"Ho
già tutto pronto" rispose la ragazza, che in effetti
aveva lo zaino in spalla, i capelli biondi già legati ed un
berretto blu notte calato sugli occhi. Emrys annuì seccamente
e piegò la schiena in avanti, per poterla osservare. I suoi
occhi non avevano mai smesso di essere dorati; una sera le aveva
detto che era nato così.
"Stai
attenta, d'accordo?" mormorò ed Alecto poté
chiaramente percepire la sua apprensione. O forse era solo
un'impressione. Non avrebbe saputo dirlo con certezza, tuttavia annuì
e senza aggiungere altro se ne andò. Quando ebbe varcato il
cancello che nascondeva alla vista dei curiosi l'incolto e tremendo
giardino, estrasse dallo zaino il Triskelion e lo tenne stretto tra
le mani.
"Taispeáin(2)"
sussurrò come un comando e per una frazione di secondo, il
celeste slavato dei suoi occhi fu sostituito da un baluginio dorato,
neanche lontanamente paragonabile all'intenso oro che navigava negli
occhi di Emrys. Il Triskelion continuò a pulsare nello stesso
modo in cui, da quella notte, aveva iniziato a fare, ma Alecto sembrò
comunque soddisfatta. Non le restò che avviarsi ed iniziare
così la sua ricerca.
*
Londra,
Marble Hill Park , 18 luglio 2020
Pomeriggio
presto
Non
era da considerarsi una grande vittoria, l'aver raggiunto Marble Hill
Park in così tanto tempo; distava veramente poco dal Richmond
Park, ma la devastazione in cui erano incappati lungo il cammino
aveva rallentato notevolmente la loro marcia. Alla radio non avevano
scherzato, quando avevano detto che le implacabili fiamme dei draghi
avevano distrutto qualsiasi cosa; era vero: sembrava non avessero
risparmiato neanche l'angolo più misero e dimenticato da Dio
di Londra.
Sia
Charles che Hester avevano compiuto tutto il tragitto in religioso
silenzio, quasi di comune accordo; la desolazione che li circondava
era un pianto per gli occhi e dopo i primi due corpi carbonizzati in
cui erano incappati, Charles non era stato semplicemente in grado di
articolare suoni intellegibili; i suoi occhi azzurri si erano
piantati per terra ed aveva continuato a camminare rigidamente, ben
deciso e volersi risparmiare quante più scene pietose
possibile.
Hester
teneva le labbra unite in una linea austera e guadava fisso davanti a
sé, come avesse i paraocchi; nonostante il disturbo ed il
dolore che quello scenario catastrofico le causavano, non si era
mostrata titubante nemmeno per un secondo ed aveva avuto coraggio per
entrambi: quello di andare avanti senza rallentare. Era capitato
lungo il tragitto di aver incontrato due persone, entrambe rintanate
dentro la loro casa; quando quelli - un uomo ed una donna piuttosto
anziani -, li avevano fermati in cerca di informazioni, ad Hester si
era stretto il cuore: con il caos che c'era in giro per le strade e
tutte le comunicazioni interrotte, quei due non ce l'avrebbero mai
fatta da soli a raggiungere il centro accoglienza allestito a
Wimbledon, che era piuttosto distante da lì.
"Dobbiamo
aiutarli" aveva detto Charles, mostrando ancora una volta quella
indole altruista che poco si confaceva con l'aria da ragazzino
viziato che andava ostentando in giro. Hester avrebbe voluto
tagliarsi la lingua pur di non segare le gambe ai suoi propositi, ma
dovette fare la parte dell'essere umano poco umano e limitarsi a
fornire alla coppia di anziani le indicazioni necessarie per
raggiungere il centro di accoglienza.
"Non
possiamo fermarci" aveva spiegato poco dopo ad un Charles livido
di indignazione. "È troppo pericoloso e non abbiamo
tempo".
Il
ragazzo non le aveva più rivolto la parola per tutto il
giorno.
Dopo
aver trovato una nicchia abbastanza riparata, la donna lasciò
cadere a terra tutte le loro cianfrusaglie e si prodigò
nell'aprire dei ceci in scatola. Charles si lasciò andare
sull'erba e puntò gli occhi altrove, verso l'orizzonte
lontano; sembrava non riuscire a non guardare la città
distrutta, dalla quale si innalzava un silenzio innaturale. Hester
gli porse una ciotola ed un cucchiaio e lui li prese senza aprire
bocca.
"Non
mi ha ancora raccontato del suo sogno" iniziò la donna,
mescolando distrattamente la sua razione. Il ragazzo ingollò
una cucchiaiata di ceci e finse di non aver sentito.
"Charles..."
lo richiamò Hester, con accondiscendenza, "...per favore.
Mi interessa saperlo".
"D'accordo"
sentenziò allora lui, ben sapendo che continuare ad ignorarla
l'avrebbe soltanto portato all'esasperazione. "Mi trovavo in una
stanza. Una stanza grande, come quella di un castello, però
non c'era luce, era tutto grigio e pieno di ragnatele. Stavo seduto
ad un tavolo ed intorno a me c'erano un sacco di persone. E poi ho
visto una vecchia..."
"Continui".
"C'era
questa vecchia sdraiata sul pavimento, davanti a me e mi guardava con
un tale odio che mi sono sentito in colpa senza neanche sapere
perché. Ad un certo punto è successa una cosa strana...
questa donna ha lanciato un coltello e sapevo che era diretto verso
di me. Non solo l'avevo visto, ma sentivo
che sarei morto, morto per davvero. E poi, tutto d'un tratto, mi sono
ritrovato a terra e vicino a me c'era questo ragazzo con i capelli
scuri. Mi sono girato verso di lui, l'ho guardato e... e niente. Nel
sogno mi ha salvato la vita, capisci? Non ho mai visto quel ragazzo,
né le altre persone presenti in quella stanza, eppure le ho
sognate(3)".
"Perché
questo sogno l'ha turbata così tanto, Charles?"
Hester
teneva il cucchiaio a mezz'aria e lo guardava con un cipiglio così
interessato che l'altro non poté che continuare.
"Non
lo so..." mormorò, rigirando distrattamente i ceci dentro
la ciotola. "Era tutto così... così vero. Non ho
mai fatto un sogno così realistico! Quando quel ragazzo mi ha
afferrato e poi gettato a terra, ho sentito dolore, capisci? E quando
mi sono svegliato, la spalla mi doleva ancora, come se fossi davvero
caduto per terra! Anche lui mi ha guardato, come non credesse a
quello che aveva appena fatto e ho sentito odore di..." si
interruppe ed alzò la testa, cercando di afferrare il termine
che gli sfuggiva.
"Tipo
di erboristeria" sentenziò alla fine, anche se
erboristeria
non era proprio il termine adatto e lui, stranamente, lo sapeva.
Hester inspirò lentamente e mise giù il suo cucchiaio;
il ragazzo poté chiaramente vedere quanto intensamente la sua
governante stesse pensando e, come al solito, il suo primo istinto fu
quello di porre domande.
"A
cosa pensi?"
Lei
alzò gli occhi e lo guardò attentamente, come lo stesse
in qualche modo valutando. Charles si sentì quasi messo alla
prova dall'intensità di quello sguardo.
"Come
le ho detto stamattina..." iniziò dopo un po' la donna,
calibrando con attenzione il tono della voce, "Ci sono molte
cose che non sa. Ed ho tutta l'intenzione di rivelargliele, a tempo
debito, perché è suo diritto
sapere. Vede, Charles, il fatto che i draghi si siano risvegliati non
è un caso".
Il
ragazzo continuò a fissarla insistentemente, ma non aprì
bocca per non interrompere l'idillio: finalmente sentiva che la donna
stava per rivelargli qualcosa di concreto. Quando Hester ebbe
accumulato abbastanza coraggio, continuò: "C'è
solo un motivo per il quale i draghi possano essersi risvegliati e
quel motivo è lei. Charles, lei è..." le parole si
incrinarono e fu costretta a schiarire la gola.
"Lei
è-"
Un
lamento baritonale rimbombò nei pressi della nicchia, facendo
loro vibrare la cassa toracica. Entrambi sgranarono gli occhi ed
Hester schizzò in piedi come una molla, lasciando cadere a
terra la ciotola con il pranzo. Si guardarono intorno con frenesia ed
apprensione, fino a quando quel lamento tornò a farsi sentire,
quella volta più vicino. Senza perdere tempo la governante
afferrò il polso del suo protetto e lo trascinò dietro
alla vegetazione, che sperò essere abbastanza fitta;
facendogli cenno di restare in silenzio, entrambi si accucciarono tra
la boscaglia e restarono in attesa. L'odore del cibo che si erano
lasciati alle spalle, ben presto attirò una tra le creature
più immonde che Hester avrebbe mai avuto la fortuna di poter
vedere e dopo poterlo raccontare: la leggendaria bestia errante si
stava nutrendo dei loro ceci. La sua mostruosità era
indescrivibile e la sua ombra, da sola, bastava a nascondere alla
luce buona parte della vegetazione. Si girò verso Charles e lo
vide che aveva spalancato la bocca in un muto grido di terrore, ma lo
shock era talmente grande che solo dei versi strozzati riuscivano ad
uscirne. Hester rafforzò la presa intorno al suo polso e tornò
a guardare la bestia con l'angoscia nel cuore; il battito era così
schizzato alle stelle che lo sentiva ruggire pure nelle orecchie. La
fortuna volle che l'allarme antifurto di una delle case circostanti
il parco attirò l'attenzione della mortale creatura; dopo aver
ingollato anche le ciotole come fossero state fatte di cartapesta,
quella si girò ed i suoi passi pesanti coprirono il rumore
acuto dell'antifurto.
Dopo
circa cinque minuti di silenzioso terrore, Hester uscì dalla
boscaglia, trascinando con sé un pallidissimo Charles.
"In
qualsiasi caso" esordì la donna, senza riuscire a
controllare il tremore della sua voce, "Non gli permetta di
morderla, Charles. Se mai dovessimo sciaguratamente vedere ancora
quella cosa,
bisogna scappare. Alla velocità della luce. Mai, mai
lasciare che ci morda, sono stata chiara?"
Il
ragazzo annuì meccanicamente, l'aria decisamente sconvolta.
Hester decise che per quel giorno avevano fatto abbastanza e trasferì
tutte le loro cose nella fitta vegetazione, stabilendo che per quella
notte avrebbero dormito riparati nel sottobosco. Sapeva bene tuttavia
che non sarebbe riuscita a chiudere occhio: se c'era una cosa che era
ancora più famosa del mortale morso della bestia errante, era
il presagio di sfortuna che lasciava su chiunque avesse la disgrazia
di vederla. Le era sempre stato detto, sin da bambina, che la
comparsa della bestia errante(4) era segno di sciagura.
NOTE
DELL'AUTORE:
eccoci qui con il terzo capitolo. Spero che la storia si stia facendo
più interessante e che l'aggiunta di nuovi personaggi non vi
scoraggi troppo. Grazie a tutti coloro che stanno leggendo, seguendo
e commentando. Il fatto che stiate dando una possibilità a
questa storia mi rende una mocciosa molto contenta! Sono praticamente
certa di aver voluto dire qualcos'altro ma ho dimenticato che cosa...
e_e°... va bé!
(1)
Triskelion: Il Triskelion è realmente esistente nella serie
originale e quando le tre parti di cui è composto sono unite
insieme, si illumina nel momento in cui un uovo di drago è
nelle vicinanze. http://merlin.wikia.com/wiki/Triskelion
(2)
Taispeáin: dal
gaelico, vuol dire 'mostrare'.
(3)
Il sogno che Charles racconta è una scena realmente avvenuta
nel telefilm. Dal minuto 0.50 circa potete guardarla qui:
https://www.youtube.com/watch?v=tL8eh8J2gkg
(4)
Tutto ciò che è stato scritto sulla bestia errante
(dalla descrizione a ciò che si dice su di lei), non è
di mia invenzione, ma è stato tratto dal telefilm.
Vi bacio, vi abbraccio e vi
spupazzo.
Asfo
|
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Capitolo 4 *** Re Arthur ***
QUARTO
CAPITOLO
4.
Re Arthur
Londra,
19 luglio 2020
Mattina
Alecto
non avrebbe saputo stabilire se il cupo grigiore del cielo fosse
dovuto al caratteristico tempaccio di Londra od ai fumi che il fuoco
dei draghi aveva fatto salire sin lassù. I suoi occhi celesti
assorbirono la forte luce di quella mattina e li sentì
palpitare dal fastidio, così fu costretta a socchiudere le
palpebre; con la pupilla così piccola, le iridi di colore
scialbo sembrarono ancor più prive di qualsiasi attrattiva.
Abbassò
la visiera del cappello sul viso e si sporse a guardare l'interno
della voragine: le fiamme magiche avevano letteralmente creato un
buco enorme in mezzo alla strada ed era talmente profondo e buio che
non riuscì neanche a vederne il fondo. La cappa di umidità
estrema che appesantiva l'aria le fece colare un rivolo di sudore
lungo il lato del viso, ma si tenne stretto addosso il suo k-way
grigio, sotto il quale il Triskelion pulsava come fosse stato una
cosa viva.
Inspirò profondamente, lasciando che quell'abisso oscuro
soggiogasse la sua mente.
"È
qui, è qui, ho capito" bisbigliò, con una punta di
rassegnazione.
Voltò
prima la testa verso destra e poi verso sinistra, ma quel quartiere
della città sembrava essere stato totalmente abbandonato.
Probabilmente se l'erano data tutti a gambe durante la notte
dell'attacco; lo sguardo le cadde su una macchina occupata da quattro
corpi, morti carbonizzati. Sono
scappati tutti tranne loro,
pensò, dando mostra di uno scadente humor nero. Stavolta il
suo sguardo catturò il cielo grigio e storse le labbra con
insofferenza.
Stanno
arrivando. Devo sbrigarmi.
Senza
lasciare il tempo alla sua mente di formulare qualsivoglia altro
pensiero, senza nemmeno la minima traccia di esitazione o di paura,
si lasciò cadere nel vuoto, le braccia spalancate verso
l'esterno come fossero state delle ali; non un suono abbandonò
le sue labbra durante la caduta - sembrò come se non fosse mai
stata lì -.
Tornata
alla precedente quiete silenziosa, la strada parve ancora più
deserta; soltanto la porta dischiusa di una delle case lì
vicine cigolava appena, di tanto in tanto, mossa dal vento. Dopo la
sparizione di Alecto giù per la voragine buia, un gatto era
schizzato fuori da sotto una macchina e saltellando agilmente tra i
detriti che ricoprivano il terreno, si era fiondato dentro un'aiuola
bruciacchiata. Nascosti dai rami intricati e fragili come cenere, i
suoi occhi felini fissarono il punto in cui la ragazza era svanita;
miagolò debolmente, leccandosi i baffi con la lingua e dopo
quasi cinque minuti voltò la testa di scatto, come avesse
sentito un rumore provenire alle sue spalle. Zampettò
brevemente verso la casa semidistrutta presente nella proprietà
in cui v'era l'aiuola nella quale aveva trovato riparo, quando un
verso strozzato attirò di nuovo la sua attenzione verso la
voragine.
All'improvviso
una mano sbucò fuori oltre il ciglio e si aggrappò
all'asfalto con energia; ad una mano ne seguì anche un'altra e
poi una testa coperta da un berretto blu notte fece la sua comparsa:
Alecto aveva il volto lievemente arrossato dalla fatica, sporco di
terriccio proprio come i vestiti che indossava ed il sudore che le si
appiccicava sulla pelle non aiutò a farla sentire meglio.
Cadde a carponi sul terreno ed inspirò profondamente, beandosi
per qualche meraviglioso minuto della lieve brezza che a tratti dava
sollievo al suo viso accaldato; ebbe l'impulso di liberarsi del
cappello, ma sarebbe stato troppo rischioso: non si poteva mai sapere
chi stava a guardare.
Tolse
lo zaino dalle spalle, che era diventato molto più voluminoso
di prima e lo poggiò davanti a sé; mettendosi sulle
ginocchia, Alecto lo aprì e subito spuntò fuori il
profilo morbido e curvo di un uovo dalla sfumatura giallina. La
ragazza lo afferrò con entrambe le mani e lo sollevò,
fino a portarselo davanti gli occhi; anche se ne aveva già
visti in precedenza, la visione delle uova di drago la lasciava
sempre stupefatta ed affascinata. Il Triskelion aveva smesso di
pulsare nell'esatto istante in cui, giù nella voragine, aveva
stretto la presa sull'oggetto della sua ricerca. Con un sorriso
soddisfatto rimise l'uovo nello zaino e dopo aver chiuso la lampo lo
issò sulle spalle; si alzò in piedi e dalla tasca
posteriore dei jeans estrasse un cellulare del tutto anonimo.
Ce
l'ho,
digitò velocemente, prima di premere invio.
Ebbe
appena il tempo di farlo, perché improvvisamente qualcosa la
colpì forte dietro la nuca ed il mondo divenne completamente
buio.
*
Londra,
Horsell Common Park, 19 luglio 2020
Pomeriggio
Verso
le dieci del mattino, Hester e Charles erano stati bruscamente
risvegliati da un ruggito selvaggio. Erano bastati pochi minuti per
capire che i draghi erano tornati all'attacco ed avevano iniziato a
bruciare con le loro fiamme magiche tutto ciò che di integro -
o quasi -, era rimasto. La donna aveva intimato a Charles di
sbrigarsi: dovevano assolutamente allontanarsi da Londra, non c'era
alternativa. Radunati tutti i loro pochi averi e dimentichi di tutte
le faccende in sospeso che avevano lasciato, entrambi avevano
abbandonato la protezione della boscaglia con circospezione; non solo
i draghi, ma anche la bestia errante era un pericolo. Dovendo
scegliere tra il male minore, Hester non ebbe altra scelta che
rischiare e, nonostante l'età, cercò di mantenere il
più a lungo possibile un passo sostenuto.
"Ma
è giorno!" aveva esclamato Charles, non appena aveva
compreso a chi era dovuto il suo brutto risveglio.
"Evidentemente
non glie ne importa un accidente!" aveva replicato Hester con
voce roca, da fumatrice incallita - eppure non aveva mai provato una
sigaretta in vita sua -.
Allontanarsi
da Londra risultò più difficile del previsto: anche se
si erano lasciati il centro alle spalle, il segno del passaggio di
quelle creature enormi li circondava totalmente. Oltre alla capitale
inglese, sembravano non essersi salvate nemmeno le zone periferiche.
L'unico modo in cui riuscirono a spostarsi fu a piedi; il loro
travagliato e difficoltoso tragitto fu accompagnato senza sosta dai
gorgoglii a volte lontani - altre più vicini -, dei draghi
tornati all'attacco. Charles si domandò distrattamente perché
diavolo quelle creature fossero tornate a Londra dopo tutto quello
che avevano combinato: non c'era più niente da distruggere,
cosa volevano ancora? Come avesse intercettato i suoi pensieri,
Hester indirizzò verso di lui uno sguardo apprensivo ed il
ragazzo sembrò capire: possibile che fosse tutto a causa sua?
No,
pensò di primo acchito, non
intendo considerarmi il Percy Jackson di turno.
Eppure il giorno prima, Hester gli aveva detto una cosa che l'aveva
mandato in confusione: "Vede,
Charles, il fatto che i draghi si siano risvegliati non è un
caso. C'è solo un motivo per cui possano averlo fatto... quel
motivo è lei".
Che cosa voleva dire risvegliati,
tra l'altro? Doveva forse davvero credere che i draghi fossero sempre
esistiti, assopiti da qualche parte? Che per millenni avevano atteso
il suo arrivo? Se non fosse incappato in un numero già
indefinito di cadaveri e non avesse saputo che sarebbe stata una
spesa troppo alta per il governo inglese da sostenere, avrebbe
pensato di essere il protagonista di un lungo, disturbante scherzo di
cattivo gusto.
"Basta!"
esalò Hester, poggiandosi stancamente contro il tronco di un
albero. "Basta così, Charles. Fermiamoci, devo riposare"
aggiunse, non riuscendo a nascondere una smorfia di dolore non appena
mosse la gamba - la storta presa qualche giorno prima le dava ancora
dei problemi -.
Il
ragazzo inspirò profondamente e si guardò attorno,
senza stupirsi: si trovavano nell'ennesimo parco inglese, di quelli
lasciati allo stato brado, poco somigliante ai Kensigton Gardens
perfettamente curati e quasi geometrici grazie al volere di Sua
Maestà, la Regina Elisabetta - conosciuta dai più come
Highlander,
l'immortale -.
Lasciò cadere le poche cose che avevano sull'erba e si
allontanò senza dire una parola.
"Dove
sta andando?" lo interrogò immediatamente Hester, senza
riuscire a celare il sospetto che l'altro avesse deciso di
abbandonarla.
"A
lavarmi" rispose seccamente lui, senza neanche voltarsi. "Puzzo
da fare schifo."
In
una situazione normale sarebbero dovuti passare sul suo cadavere,
prima di convincerlo ad immergersi nelle acque poco limpide di un
laghetto artificiale quale era quello dell'Horsell Common Park, ma...
quella non era una situazione normale, per cui fu proprio quello che
fece: dopo essersi tolto tutti i vestiti, sfregò ripetutamente
la pelle con quell'acqua, preferendo l'odore di natura selvaggia a
quello di sudore. La stessa sorte toccò ai suoi vestiti e
nell'attesa che si asciugassero, si avvolse nella coperta con cui era
solito dormire. Quando tornò nel punto in cui Hester aveva
deciso di fermarsi per la notte, la trovò a cuocere un
coniglio spellato.
"E
quello da dove spunta?" domandò, inarcando le
sopracciglia bionde.
"Si
aggirava nei dintorni" fu la risposta laconica; "Si è
avvicinato troppo, ma non se ne è reso conto. Per fortuna..."
aggiunse, quando percepì gli occhi azzurri di Charles
soffermarsi sulla sua gamba dolorante. Si stava ovviamente chiedendo
come diavolo avesse fatto ad acchiapparlo.
Tuttavia,
l'odore di qualcosa che non fosse legumi in scatola lo mise
decisamente di buon umore e non fece ulteriori domande; dopo aver
appoggiato alla meno peggio i suoi indumenti bagnati sull'erba, si
sedette accanto ad Hester, vicino al fuoco. Il sole morente, semi
nascosto dalle nubi che coprivano il cielo da quella mattina,
immergeva il silenzioso parco in una cupa luce aranciata.
"Presto
farà buio" commentò Charles, tirando su con il
naso. I suoi occhi furono attratti dal guizzo delle fiamme.
"Prima
di allora il coniglio sarà cotto" replicò la
governante, distendendo la gamba davanti a sé per massaggiare
il ginocchio. Lui si voltò per guardarla e studiò con
aria assorta le rughe che caratterizzavano il suo volto, decisamente
più numerose dai tempi di quando era bambino. Nonostante quel
dettaglio, in uno strano modo Hester gli sembrava sempre la stessa.
Si chiese da quanto tempo gli nascondesse delle cose e se quella
persona che lui aveva conosciuto ed aveva imparato ad amare, non
fosse altro che una menzogna vivente.
"Non
ti seguirò più" si ritrovò a dire, ancora
prima di rendersi conto d'aver davvero aperto la bocca. Si mostrarono
sorpresi entrambi, da quell'osservazione.
"Charles,
le ho già detto..."
"No"
la interruppe lui con decisione. "Non mi hai detto niente".
Già
che c'era, tanto valeva continuare: "Non mi piace dare
ultimatum, specialmente a te, ma è quello che mi costringi a
fare. Ieri stavi per dirmi qualcosa, prima che quella bestia..."
un brivido di incomprensione misto a paura scosse visibilmente le sue
spalle, "...sbucasse da non so dove. Ora, hai due opzioni: vuota
il sacco, oppure me ne tornerò a casa e per impedirmelo non
sarò io a dover passare sul tuo cadavere, sarai tu a dover
passare sul mio".
Hester
unì le labbra in una linea sottile e lo osservò con
severità, ma Charles non si lasciò intimorire dai suoi
occhi verdi: non era più un bambino. Si guardarono in silenzio
per attimi lunghissimi, la tensione resa più morbida dal
crepitio delle fiamme - era un suono così dolce. Alla fine, la
donna dovette capitolare.
"Che
cosa vuole sapere?" domandò debolmente, girando il
coniglio sul fuoco affinché non si bruciasse.
"Posso
fare qualsiasi domanda e tu risponderai?"
"Dipende..."
"Allora
cominciamo da questo: perché non puoi rispondere a tutte le
mie domande?"
"Perché
ho giurato che le avrei detto tutto, a tempo debito. Si tratta di un
tipo di giuramento che non posso infrangere senza subire delle
conseguenze".
"Che
genere di conseguenze?"
"Non
lo so. Non l'ho mai infranto".
"A
chi hai fatto questo giuramento? E perché?"
"Non
posso dirlo".
"È
un caso che tu abbia iniziato a lavorare per la mia famiglia?"
"No".
"È
stato a causa mia?"
"Sì".
"Chi
ti ha mandata?"
"Non
posso dirlo".
Charles
inspirò bruscamente, distogliendo lo sguardo per brevi attimi.
Si stava innervosendo.
"Allora
dimmi questo: perché ciò che sta succedendo sarebbe
colpa mia? Cosa c'entro con i draghi?"
"Non
è colpa sua!" replicò immediatamente Hester,
accalorandosi. "È
a causa
sua!"
"C'è
differenza?" risultò eccessivamente sarcastico.
"C'è
tutta la differenza del mondo!"
"Cosa
stavi per dirmi ieri?"
Hester
tolse il coniglio dal fuoco che il sole era tramontato da appena due
minuti. Fissò intensamente le basse fiamme crepitanti del
piccolo falò, ma nelle orecchie di Charles c'era anche il
suono del suo cuore, che aveva iniziato a battere più
velocemente. Si sentiva stranamente inquieto. Quando la donna alzò
gli occhi su di lui, il suo disagio aumentò esponenzialmente:
il bagliore del fuoco gettava ombre grottesche sul viso di Hester.
"Charles...
dopo aver visto dei draghi in carne ossa, dovrebbero essere ancora
poche le cose in grado di sorprenderla".
"Mettimi
alla prova" sussurrò di rimando, stringendosi addosso la
coperta senza rendersene conto.
La
donna si alzò in piedi, senza mai distogliere lo sguardo da
lui. Poi, improvvisamente, fletté un po' la schiena in avanti,
nell'accenno di un bizzarro e maldestro inchino. Charles sbatté
più volte le palpebre, cercando di fuoriuscire dalla nebbia di
confusione nella quale stava vagando il suo cervello.
"Hester..."
tentennò, arretrando con la schiena. "Che stai facendo?"
"Porgo
i miei omaggi a Re Arthur" fu la sua semplice risposta,
caratterizzata da un tono che dire devoto, sarebbe stato riduttivo.
Il ragazzo restò a guardarla con gli occhi sbarrati, mentre
lei alzava la gonna e calpestava il falò, facendo calare
entrambi nel buio della sera.
*
Londra,
19 luglio 2020
Pomeriggio
tardi
Alecto
gemette di dolore nel momento in cui riprese conoscenza. Non solo la
testa le faceva un male cane, ma si sentiva estremamente intorpidita;
provò a compiere qualche piccolo e cauto movimento,
strusciando involontariamente la faccia contro l'asfalto ruvido.
Contrasse il volto in una smorfia insofferente e socchiuse gli occhi:
si trovava ancora vicino la voragine, ma la botta che aveva preso le
aveva fatto perdere conoscenza per molto tempo. Quando osservò
il cielo già imbrunito, si rese effettivamente conto di quante
ore fossero passate. Un'improvvisa scarica di paura le fece battere
più forte il cuore e come se avesse ripreso conoscenza tutto
d'un botto, scattò a sedere velocemente; fu presa da un
giramento di testa veramente tremendo, ma l'agitazione che provava in
quel momento le impedì di cedere all'ondata di nausea che ne
era conseguita. Con movimenti frenetici girò la testa a destra
e sinistra, in cerca del suo zaino, ma già dal momento in cui
aveva riaperto gli occhi aveva intuito che qualcosa non andava.
Mentre si alzava in piedi, barcollando un po' sulle gambe, cominciò
a sudare di nuovo. No,
ti prego, no, ti prego, no...
Nonostante
l'intensità dei suoi pensieri, scoprì che le sue
peggiore paure si erano avverate: lo zaino era sparito e con lui,
anche l'uovo ed il Triskelion.
*
Gorech
non poteva francamente credere alla fortuna sfacciata che aveva
avuto. Rubare l'uovo ed il Triskelion a quella ragazzina era stato
sin troppo semplice - e pensare che si era trovato lì per puro
caso, alla ricerca di qualcosa da rubare tra le macerie delle
abitazioni crollate -. Ne era sicuro: ci avrebbe come minimo
guadagnato un intero baule pieno di monete d'oro. Si leccò le
labbra fini, al solo pensiero di tutto quel ben degli Dèi e di
quello che avrebbe potuto farne; immaginò se stesso immergersi
tra le monete come fossero state invitanti e calde acque profumate.
Che
colpa ne aveva, lui, se era nato Goblin(1)?
I
Goblin erano una razza praticamente perfetta, con un solo piccolo,
irrisorio difettuccio: avevano una discreta quanto non trascurabile
ossessione per le cose preziose.
E
lui ne aveva appena rubata una che l'avrebbe fatto diventare ricco da
fare schifo.
NOTE
DELL'AUTORE: Allora. Innanzitutto ci tengo a dire che la mia
beta, Mimiwitch, con i suoi occhi da falco cacciatore, mi ha
salvata da una gaffe, ma una gaffe che più gaffosa non si può.
La mia e la vostra incondizionata adorazione tutta a lei, per
piacere. Passando oltre, come sempre i miei ringraziamenti a chi mi
segue, anche se in silenzio: il fatto che letture siano davvero
numerose mi fa molto piacere! Di seguito vi riporto l'unica nota
presente nel capitolo:
(1)
Le caratteristiche dei goblin non sono di mia invenzione, ma sono
state prese direttamente dalla serie originale.
A
lunedì!
Asfo
|
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Capitolo 5 *** Il male di Albion ***
QUINTO
CAPITOLO
5.
Il male di Albion
Inghilterra,
qualche mese prima, 2020
Merlin
irruppe nel bagno. Non fece in tempo a raggiungere il water e
sollevare la tavoletta, che il suo corpo iniziò a rigettare
tutto ciò che aveva ingerito da quella mattina - una quantità
veramente scarsa di cibo -. Strizzò le palpebre e per lo
sforzo dovuto ai rumorosi conati, i suoi occhi iniziarono a
lacrimare; cadde pesantemente sulle ginocchia ossute e le spalle
furono scosse da alcuni tremiti. Qualcuno
mi uccida,
pensò intensamente, sentendo che non aveva più
nient'altro da rimettere a parte i suoi stessi organi. Quando
l'ondata di nausea fu passata e si sentì in grado di aprire
nuovamente gli occhi, notò che l'acqua all'interno del water
era diventata rossa. Aveva vomitato sangue.
Il
suo vecchio corpo si risvegliò ansante ed in un bagno di
sudore. Piantò lo sguardo verso il soffitto, sentendo la magia
palpitare attraverso le vene come un cane rabbioso. Quando aveva
iniziato a disintegrare ogni piccola parte di ciò che più
di mille anni prima aveva aiutato a far nascere, non aveva avuto idea
che sarebbe stato così:
i suoi poteri, da qualche tempo, si comportavano in maniera strana e
questo lo spaventava; spesso aveva la sensazione che la sua magia
volesse prendere il sopravvento su di lui, per comandarlo e spingerlo
sempre di più al limite. Merlin si mise a sedere con una certa
fatica e guardò le mani che gli tremavano: quando avvicinò
i palmi tra di loro, delle piccole scariche elettriche percorsero le
sue dita, fin quando sulle lenzuola bianche non iniziarono ad
apparire delle piccole macchie scure, sempre più numerose. Il
mago corrugò la fronte, toccando con incertezza la coperta; a
quel punto un'altra macchia comparve, stavolta sulla sua mano. Mosso
da un'intuizione oscura, portò le dita al viso e lo sentì
bagnato di qualcosa di denso: le nuove scariche elettriche che fecero
piegare le falangi fragili, illuminarono del sangue.
Guardò
con un distacco del tutto nuovo ed estraneo il casino che aveva
fatto. Il fumo che dalle macerie saliva in rivoli lenti verso il
cielo, gli fece inumidire gli occhi. Scostò con un piede un
grande tocco di quello che doveva essere stato il muro di una qualche
stanza dalla carta da parati fiorita ed attraversò zoppicando
la strada principale. Si complimentò con se stesso ad un certo
punto, non poté proprio evitarlo: più esaminava il
risultato della sua opera, più aveva la certezza che non
avrebbe potuto trovare modo migliore per scatenare un terremoto.
Guardò con indifferenza tutte le anime che avevano avuto la
prontezza di uscire dalla propria casa prima che quella crollasse
loro addosso e grugnì, poiché era impossibile non
notare come la maggior parte degli abitanti di quella piccola
cittadina fosse riuscita a sopravvivere. Merlin si arrestò
accanto ad un palo della luce che non funzionava più e vi si
appoggiò stancamente. Le persone che si erano riversate nella
strada, si agitavano in un panico del tutto comprensibile. I soccorsi
erano già stati chiamati.
Non
provò assolutamente niente quando un gruppo di volontari
riuscì ad estrarre dalle macerie di un garage i corpi di una
donna ed una bambina, entrambi senza un alito di vita; l'urlo di
profondo dolore di quello che ne era stato probabilmente marito e
padre, riuscì soltanto ad infastidirlo. C'era davvero bisogno
di gridare a quel modo?
Un
ragazzino, dall'altro della strada, lo stava fissando.
Merlin
ricambiò gelidamente il suo sguardo, ignorando qualcosa di
copioso che gli colava dal naso e dalle orecchie. Con il maglione, la
faccia e la barba imbrattati del suo stesso sangue, il vecchio
schiuse le labbra...
L'incantesimo
che aveva avuto intenzione di pronunciare per far comprendere a quel
moccioso che mai,
in nessun modo alcuno, sarebbe esistito qualcuno che avrebbe avuto il
permesso di guardarlo a quel modo, gli morì nella bocca.
Avvertì un forte dolore al petto, una fitta talmente acuta che
il mago cominciò a strattonarsi il maglione all'altezza del
cuore, come volesse scavarsi nella pelle per estrarre il muscolo
stesso e gettarlo via. Si sorresse al palo della luce e piegò
la schiena in avanti, gli occhi strizzati forte per il dolore ed i
denti digrignanti. Era
insopportabile.
Con la vista sfocata dalle lacrime a stento trattenute, vide che il
bambino ancora lo guardava immobile, fisso come una statua; Merlin
sputò a terra saliva mista a sangue e lottò
intensamente contro se stesso. Era come se una parte di lui volesse a
tutti i costi punire la curiosità di quel ragazzino, mentre la
restante metà cercasse in ogni modo di fargli annodare la
lingua per farlo morire soffocato.
Con
il dolore che proprio non accennava a diminuire, il vecchio decise di
aver fatto abbastanza per quel giorno e con evidente fatica, voltò
le spalle alla miseria che aveva scatenato con le sue mani, ignorando
le due belve che, dentro di lui, ancora stavano cercando di mangiarsi
l'un l'altra.
Aveva
degli spaventosi vuoti di memoria, non avrebbe potuto ignorare quel
fatto un minuto di più. Non quando il continuare a negarlo era
diventato praticamente impossibile. Si guardò attorno,
tossendo più volte a causa della gola infiammata e della bocca
asciutta. L'odore forte di bruciato lo costrinse a portare la manica
del cappotto davanti la faccia, con la nausea che era prepotentemente
salita poco dopo aver ripreso conoscenza - o forse non l'aveva mai
persa e semplicemente non se lo ricordava? - Un gemito di profonda
angoscia traboccò dalle sue labbra, mentre gli occhi bevevano
ciò che era accaduto e si lasciò cadere pesantemente
sulle ginocchia malandate: una riserva, un'intera riserva naturale
inglese completamente incenerita dalle fiamme. Morta. Andata.
Cancellata dalla faccia di Albion. Merlin abbassò lo sguardo
sulle sue mani, che pulsavano di dolore: numerose piaghe dovute ad
ustioni ne deturpavano i dorsi ed i palmi.
Lo
sapeva. Sapeva che era stato lui. Ma perché non lo ricordava?
Voltò di scatto la testa e mormorò qualcosa a fior di
labbra, in una lingua sconosciuta, poi iniziò a negare con
veemenza, come stesse parlando con qualcuno. La distruzione di Albion
doveva funzionare,
era l'unica chance che aveva, l'unica carta che gli era rimasta da
giocare. Aveva deciso molto tempo prima di attaccarla, di indebolirla
e danneggiarla, eppure alle volte l'angoscia ed i sensi di colpa lo
atterrivano con una potenza così devastante da mandarlo
totalmente in confusione. Ma perché non ricordava niente?
Aveva deciso lui di sputare su tutto quello che, con fatica, aveva
costruito insieme ad Arthur. L'aveva fatto con consapevolezza,
l'aveva voluto con tutta l'anima.
Odiava
Albion. La odiava.
Da secoli non significava più niente per lui, eppure aveva
atteso, aveva lasciato che il destino facesse il suo corso, che il
tempo continuasse a scorrere. Aveva pazientato. Fin quando, un bel
giorno, la sua pazienza era andata a farsi allegramente benedire ed
aveva quindi deciso di rimboccarsi le maniche.
Afferrò
della terra scura come il carbone e ne saggiò la consistenza
con le dita. Non sentì niente a causa delle ustioni che gli
coprivano le mani, soltanto un intenso bruciore di realtà. Era
lì, lo era per davvero. Non stava sognando, aveva distrutto
lui quel lembo di terra e tutte le piccole e medie città che
si era lasciato alle spalle. Ma
come sono arrivato qui? si
domandò, lasciando cadere tra le dita la poca terra che aveva
raccolto.
Si
lasciò cadere stancamente sulla vecchia poltrona marrone, che
aveva posizionato davanti al caminetto acceso. I suoi occhi blu,
incredibilmente vividi nonostante l'età, si fissarono sul
gioco di ombre che le fiamme creavano lungo il tappeto consunto. Gli
inglesi credevano che la loro amata patria fosse caduta vittima di
qualche strana maledizione, poiché da qualche mese a quella
parte, con dell'insistenza che aveva dello spaventoso, una miriade di
calamità naturali si stavano abbattendo - senza nessuna
apparente logica -, su disparate parti del paese.
Merlin
grugnì con disappunto, schioccando la lingua contro il palato;
miserabili
imbecilli,
non poté fare a meno di pensare. Eppure sapeva che per loro
era praticamente impossibile imputare a lui la causa di tutte quelle
devastazioni. Non
esiste la magia. Certo,
continuò la mente del mago, lo
vedremo se non esiste.
Nessuno si era accorto che quei disastri imprevedibili una logica
l'avevano eccome. E
come potrebbero notarlo? ponderò
in silenzio, Merlin. In effetti, nessuno avrebbe mai potuto farci
caso, perché già da secoli fin al 2020, nessuno
conosceva più per davvero la reale locazione ed estensione del
regno di Albion, anzi! La sua terra era diventata addirittura materia
di improbabili fiabe. Eppure... eppure era così facile da
capire. Non stava abbattendo la sua ira a caso. La stava abbattendo
esclusivamente su Albion.
Nonostante
tutta la devozione estrema che aveva messo nel disintegrare quello
che da sogno si era tramutato nel suo incubo più ricorrente, i
suoi sforzi non avevano nemmeno vagamente accennato a voler dare i
loro frutti. Non aveva avvertito nulla, non aveva sentito nulla, non
aveva sognato nulla. Eppure Kilgarrah aveva parlato chiaro: il Re
sorgerà di nuovo quando Albion ne avrà più
bisogno. Con ironia sprezzante, Merlin piegò le labbra secche
e pallide nell'ombra di un sorriso: se Albion non aveva davvero
bisogno di lui in quel
momento, allora non ne avrebbe mai avuto. Quindi il destino aveva
voluto prenderlo in giro sin dall'inizio?
In
tutti quei mesi, Merlin era diventato il riflesso opaco di se stesso:
la sua pelle aveva un pallore anormale, simile a quello di una
persona malata, profonde occhiaie gli segnavano la porzione di pelle
sotto gli occhi, le labbra erano spaccate in più punti, la
barba era sporca di sangue secco, così come il contorno delle
orecchie ed una lieve patina di sudore imperlava perennemente il suo
volto. Quel vecchio stanco ed emaciato, abbandonato su quella
poltrona, sembrava essere già con un piede dentro la fossa. Ma
quegli occhi... gli occhi erano ardenti, vivi, mutevoli. Bastava
guardarlo fisso lì, per capire che non aveva nessuna
intenzione di morire. Come se avesse potuto farlo, poi. Il destino
aveva deciso di deriderlo anche su quello.
No,
disse Merlin al demone che lo tormentava, c'è
un'ultima cosa che devo provare.
Una mano raggrinzita sparì all'interno della tasca dei
pantaloni e ne estrasse qualcosa; il mago portò quella che era
la riproduzione in miniatura del Big Ben di Londra davanti al viso,
per fissarla intensamente.
Finora abbiamo giocato con i pesci piccoli. Vediamo se quelli più
grossi riescono ad attirare la tua attenzione, Sire.
Si
era addormentato. Il Big Ben gli era scivolato dalle dita ed ora
giaceva riverso sul tappeto, illuminato debolmente dal fuoco morente
nel camino. Il suo respiro era pesante, ma regolare, e l'unica cosa
che lasciava intendere una profonda agitazione interiore, era il
continuo muoversi degli occhi sotto le palpebre chiuse. Ad un certo
punto, dalle labbra semi aperte fuoriuscì un lungo, ma flebile
sospiro e poi all'improvviso il suo petto smise di muoversi.
Un'immobilità innaturale calò sul quel vecchio corpo
stanco, lo avvolse come una coperta nera e l'aria lì attorno
parve cristallizzarsi all'istante. Se non fosse stato impossibile,
per uno come lui, chiunque l'avrebbe dato per morto, chiunque avrebbe
attribuito a quell'ultimo, lungo e flebile sospiro, il termine di
tutte le sue fatiche che abbandonavano il piano materiale. Tutto
sommato, quello sarebbe stato un buon modo per morire: uno con la
coscienza sporca come la sua, non se lo sarebbe proprio meritato,
perciò sarebbe stata una vera fortuna per lui. Eppure c'era
l'immortalità, con cui dover fare i conti: non l'avrebbe mai
avuta vinta così.
Ci
fu il rumore di un lento strappo e poco dopo, dei sottili fili scuri
fuoriuscirono oltre lo schienale della poltrona dove il mago stava
abbandonato. La luce del fuoco era appena sufficiente per
comprendere, ad un'analisi più attenta, che non si trattava di
semplici fili, bensì di fragili ramoscelli; mano a mano che i
ramoscelli si facevano strada lungo la pelle della poltrona,
diventavano via via più robusti, più spessi. Scivolando
sinuosamente come serpenti in una lenta ed ipnotica danza, alcuni di
loro arrivarono ad accarezzare il volto del vecchio mago. Si
strinsero intorno al suo collo, lo abbracciarono amorevolmente come
una madre, si allacciarono ai suoi polsi ed alle sue caviglie. Uno di
loro, forse il più meschino o il più astuto, strisciò
silenziosamente fin sul suo petto, risalendo lungo una delle gambe;
quando raggiunse l'altezza del cuore si arrestò, quasi
indugiando. La morbidezza dei suoi movimenti fu brutalmente
cancellata nel momento in cui, con un colpo secco, penetrò
spaventosamente nelle carni dell'inerme Merlin, facendosi strada tra
strati di muscoli e pelle fino a raggiungere il cuore, sul quale si
avvolse gelosamente.
Di
colpo, un'intensa esplosione spense immediatamente le poche fiamme
rimaste ad alimentare le braci nel camino: i vetri delle finestre
erano saltati in aria e la brezza invernale si era immediatamente
insinuata nella casa, abbracciando l'intera stanza con le sue gelide
spira. I vetri che erano andati a cospargere il pavimento del
salotto, vennero poco dopo smossi da quello che sembrava essere un
piccolo terremoto; le mattonelle si spaccarono in diversi punti e,
direttamente dal terreno sottostante la casa, delle enormi radici si
fecero strada sin dentro la stanza occupata dal mago. Attraverso le
finestre vuote, la natura divenuta improvvisamente incolta e
selvaggia del giardino pretese la sua strada: invase in breve tempo
il salotto, ricoprendone le mura ed il soffitto, marcando il
territorio anche sulle facciate esterne della malandata abitazione.
Era
il caos.
La magia di Merlin, alimentata direttamente dalle forze della natura,
era stata sopraffatta dalla natura stessa; quella si era ribellata,
probabilmente non approvando più il modo in cui il mago le
sottraeva energia per utilizzarla con scopi ben lungi dall'essere
degni di onore.
Dal
ramo che si era infiltrato sin nel cuore di Merlin, nacque un
bocciolo. Il gambo che alimentava il bocciolo, lo accompagnò
sino a farlo poggiare con delicatezza sul pavimento dissestato; il
suo colore scuro non era dovuto al gioco di ombre nel quale era
calata la gelida stanza, per niente: era davvero
nero come la pece, non si trattava solo di un'impressione. Il
bocciolo aumentò notevolmente le sue dimensioni e non ci volle
molto tempo, prima che iniziasse a schiudersi.
A
quel punto, accadde una cosa strana: più quello si ammorbidiva
e si apriva, più il Merlin imprigionato contro la poltrona
perdeva le sue rughe. La barba gli cadde a ciuffi dal volto, i
capelli tornarono ad essere più folti oltre che neri e
lucenti, la pelle diventò nuovamente liscia ed elastica. Nel
giro di qualche minuto, del vecchio Merlin non c'era più
alcuna traccia. Quello ad essere tenuto stretto tra spire di rami,
più come un figlio che un ostaggio, divenne un mago nel pieno
della sua giovinezza, più ragazzo che uomo.
Dal
bocciolo oramai completamente dischiuso, si erse su due gambe
insicure un bambino completamente nudo. Il gambo che aveva
gentilmente guidato ciò che l'aveva racchiuso sin sul
pavimento, si era inerpicato morbidamente lungo la sua piccola
schiena, sparendone all'interno proprio in mezzo alle scapole. Quello
stesso gambo, era ancora connesso con l'altro che era penetrato nel
petto di Merlin.
Il
bambino dischiuse lentamente le palpebre ed i suoi occhi dorati
baluginarono malignamente nel buio spesso della stanza, come quelli
di un gatto.
E se
di un gatto non si trattava, allora doveva per forza essere il
diavolo.
NOTE
DELL'AUTORE: Eccoci qui con il quinto capitolo. Buon inizio
settimana a tutti! Sinceramente questo è uno dei capitoli che
temo di più, perché ho come la sensazione di non essere
riuscita ad esprimere bene ciò che realmente intendo
trasmettere. Spero però che non sia andata così male
come penso. Finalmente la storia comincia a delinearsi un po' e credo
che, dopo oggi, alcune domande che sicuramente vi state facendo
inizieranno a chiarificarsi. Ringrazio come sempre Mimiwitch per il
suo betaggio e tutti coloro che leggono/recensiscono/seguono. Il capitolo è stato VOLUTAMENTE scritto in 'colonne' di destra e sinistra, vi avviso quindi che dal cellulare potrebbe essere visualizzato male :D Mi
farebbe piacere cosa ne pensate di questo Merlin completamente perso
in se stesso :)
Un
bacetto,
Asfo
|
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Capitolo 6 *** L'incontro ***
SESTO
CAPITOLO
6.
L'incontro
Londra,
19 luglio 2020
Sera
Alecto
strofinò la fronte sudata con il palmo della mano altrettanto
umido e fissò lo schermo del telefonino. Il cuore le batteva
all'impazzata ed una sorta di ansia profonda le aveva fatto annodare
lo stomaco come una treccia. Doveva chiamarlo, non aveva alternative.
Non avrebbe potuto fingere per sempre di star ancora cercando l'uovo,
prima o poi l'avrebbe capito da solo che qualcosa non andava - e se
qualcosa non andava, era meglio che Emrys venisse a saperlo
direttamente da lei -.
Cercò
di inumidire le labbra secche passandoci la lingua sopra e si accorse
di avere la bocca completamente asciutta. Pensò di
tergiversare bevendo un po' d'acqua - giusto per rimandare di qualche
altro secondo ancora l'inevitabile brutta notizia -, ma prima di
mettere in atto quell'inutile escamotage, premette il pulsante verde
della chiamata. Rimandare avrebbe allungato semplicemente l'agonia.
Portò il cellulare vicino l'orecchio e dovette attendere sino
a quattro squilli, prima di ottenere una risposta.
"Sì".
"Sono
io" esordì lei, con voce arrochita; schiarì la
gola, cercando di suonare abbastanza tranquilla.
"Lo
so. Ce l'hai?"
"No"
sputò fuori velocemente, non lasciando così il tempo
alla sua lingua di annodarsi per il panico. "C'è stato un
problema".
"Che
genere di problema?"
"Sono
stata sorpresa alle spalle. Non ho più niente, mi è
stato rubato tutto."
Breve
silenzio dall'altro capo del telefono. Alecto poté immaginare,
con chiarezza disarmante, la profonda disapprovazione del suo
interlocutore: anche se separati da un cellulare, poteva sentirla
scivolare malevola sulla pelle, tanto che quella finì per
incresparsi.
"L'hai
visto?"
"No.
Come ho detto, mi ha presa alle spalle".
"Perché
non sei stata attenta!"
Il
sibilo che le ferì le orecchie, per una frazione di secondo
tradì tutta l'ira che quella notizia aveva suscitato
nell'altro. Alecto fece per ribattere qualcosa in sua difesa, ma
Emrys la interruppe: "Devi
ritrovarli. È una priorità.
Ti ricordi cos'è successo l'ultima volta che hai fallito in
qualcosa, non è vero? Io non voglio arrabbiarmi. E non lo vuoi
nemmeno tu”.
La
gola della ragazza si mosse come per inghiottire qualcosa, gli occhi
celesti puntati da nessuna parte in particolare.
"No"
ammise, perdendo per un attimo il controllo sulla sua voce, che tremò
appena. "Lo ritroverò, lo sai che lo farò. Non
accadrà mai più".
"Certo"
rispose la vocetta da bambino dall'altro capo del telefono; "Certo
che non accadrà più. Ma come pensi di ritrovare l'uno
se hai perduto anche l'altro?"
Alecto
avrebbe voluto ribattere che non aveva perso
niente, che qualcuno l'aveva aggredita,
invece, e che era stata derubata,
ma che comunque grazie
tante, sto bene, non preoccuparti.
Non lo fece soltanto per non sentirsi dire un lo
so, l'hai già detto. Il
silenzio che fece seguire alla domanda postale da Emrys, non riuscì
a metterla a disagio semplicemente perché la sua mente fu
troppo impegnata nel roteare forsennatamente, alla ricerca di qualche
soluzione intelligente da proporre. Non capì che quella
domanda le era stata fatta di proposito.
"Dammi
una creatura"
si lasciò sfuggire, ancora prima di rendersi conto
dell'assurdità della sua affermazione. Non appena l'ebbe
detto, sgranò gli occhi e si appoggiò la mano sulla
bocca, come a voler intimare a se stessa di tacere. Dall'altro capo
del telefono giunse un verso infastidito.
"No"
fu l'ovvia risposta. "Anche
se tu perlustrassi il territorio dall'alto, non potresti concludere
niente perché non hai visto il tuo aggressore. Inoltre, sai
bene quanto me che una creatura
è appariscente. È
vero che potrebbe percepire la vicinanza di un suo simile, seppure
ancora chiuso in un uovo, ma non sarebbe sicuro. Saresti sicuramente
vista ed attireresti l'attenzione di gente che non vogliamo tra i
piedi. Non sai nemmeno comandarla, una creatura... come spereresti di
fare?"
"Potresti
finalmente spiegarmi come si fa".
"Non
credo proprio. Ti ho già detto che te lo insegnerò, ma
a tempo debito. E non è certo qualcosa che si possa fare per
telefono. Sono stufo di dover sempre tornare sull'argomento, Al. È
fastidiosa la tua insistenza".
La
ragazza si morse la lingua ed abbassò gli occhi, mandando giù
il senso di frustrazione che le saliva alla gola ogni qualvolta si
toccava quell'argomento. Era una Signora dei Draghi, ma non lo era
forse abbastanza per meritare di sapere come poterlo essere sul
serio?
"La
Diamar(1)"
esordì all'improvviso il bambino, atono. Alecto corrugò
la fronte... la
chi? Emrys
sembrò intuire, dal suo persistente silenzio, in quale stato
di confusione vorticasse la ragazza e sospirò pesantemente.
"Devi
andare dalla Diamar e costringerla con ogni mezzo a darti le risposte
che cerchi. Tenterà di impietosirti, ma non lasciarti
ingannare: per difesa appare agli occhi di chi incontra come una
creatura gracile ed eterea, ma la sua reale natura è quella di
una bestia. Devi essere furba, Al. E stare attenta per davvero
stavolta. Pensi di poterlo fare?"
La
Diamar. Cosa diavolo era una Diamar? Era pericolosa? Avrebbe
rischiato la vita, andando a cercarla? Come l'avrebbe riconosciuta?
In che modo avrebbe dovuto avvicinarsi? E come si convinceva una
Diamar a fare quello che le si diceva di fare? Era abbastanza sicura
che Emrys le avesse appena chiesto qualcosa. Non seppe perché,
ma l'istinto le fece sussurrare un sì
di cui non era convinta neppure lei. La Diamar. Perché il
bambino non le aveva mai parlato della Diamar? Come poteva pretendere
che affrontasse una cosa - una bestia
-
del genere senza neppure sapere come diavolo fosse fatta? Dovette
smettere di preoccuparsi della Diamar per concentrarsi sulle parole
di Emrys, che aveva iniziato a spiegarle dove poterla trovare -
secondo una leggenda, si aggirava per una miniera abbandonata -.
La
stava mandando al macello o sapeva per davvero quello che faceva?
*
Woking,
Brookwood Lye, 20 luglio 2020
Pomeriggio
Cadendo
malamente a terra e con il fianco sinistro dolorante, Charles cercò
di ricordare come diavolo fossero arrivati a quel punto. Dopo la
sconvolgente rivelazione che Hester gli aveva fatto il giorno prima,
invece di continuare a sotterrare la donna di domande, aveva
avvertito il bisogno di alzarsi ed andare a fare una camminata. Era
stato come se il suo cervello si fosse improvvisamente intoppato e
l'unico modo che aveva avuto di farlo funzionare nuovamente, fosse
stato quello di schiarirsi le idee.
Dopo
aver passeggiato intorno al lago nel quale si era dato una lavata,
era tornato nel punto in cui si erano accampati ed aveva trovato
Hester addormentata. Aveva dovuto quindi aspettare sin al mattino
dopo, per dirle cosa pensasse davvero di tutta quella faccenda. Le
aveva ovviamente detto che era pazza da legare e non aveva usato
mezzi termini nell'esprimere il concetto. Charles non aveva creduto
ad una sola parola delle fandonie che Hester gli aveva rifilato ed
ignorava totalmente il motivo per il quale la donna lo stesse
trattando così. Più cercava di sforzarsi ad immaginare
quali potessero essere i suoi scopi, più si ritrovava a
brancolare nel buio.
L'esistenza
dei draghi purtroppo era innegabile, li aveva visti con i suoi occhi
ed aveva visto anche la scia di morte e distruzione che si erano
lasciati alle spalle. Ma Re
Arthur?
Lui?
Ah! Re Arthur era una leggenda che si raccontava ai bambini per farli
addormentare. Era una favola che, tra le altre cose, non finiva
nemmeno bene. Non poteva essere davvero morto guidando il suo
esercito in battaglia; le sole parole
esercito e
battaglia
gli erano del tutto estranee, tranne che per i videogiochi
spara-tutto con i quali era solito perdere i pomeriggi.
Guardò
il grifone(2) alzarsi sulle zampe posteriori e leonine: seguendo
soltanto il suo istinto, Charles scattò, rotolando di lato
prima che quelle anteriori della bestia - fornite di grossi artigli
da rapace -, gli piombassero sul petto per affondare nella pelle.
C'era
qualcosa che non andava: erano stati attaccati da quella creatura
mentre stavano attraversando il parco di Brookwood Lye, nel distretto
di Woking e nonostante le fortunate – miracolose - volte in cui
Charles era riuscito a colpirla, quella bestia sembrava risultare
immune a qualsiasi tipo di attacco. Erano oramai un paio di ore, - o
così gli sembrò, data la stanchezza oscena che
avvertiva in tutto il corpo e che lo minacciava di un torpore davvero
inopportuno, per una situazione delicata come quella -, che cercava
di proteggere lui ed Hester dalle beccate ed artigliate del grifone,
ma in quel momento cominciava ad accusare seriamente tutto lo sforzo
a cui il suo corpo non era abituato.
La
creatura sembrava averli presi particolarmente in simpatia, perché
nonostante tutte le pietre lanciate e le bastonate e le percosse
ricevute, pareva fermamente decisa a cibarsi delle loro interiora.
Ad
un certo punto, Charles aveva potuto addirittura disporre di una
spada di legno, grazie ad Hester che era accorsa in suo aiuto. Una
parte di lui, quella più umana ed attaccata alle logiche di
una società dettata da leggi naturali - e non soprannaturali
-, avrebbe voluto con tutta la semplicità del mondo - ed un
pizzico di isteria cronica, ammettiamolo -, fare ssshhh!
alla bestia imbizzarrita, per zittirla un attimo.
Perché
lui doveva sapere.
Doveva
capire come diavolo avesse fatto Hester a tramutare un tocco di legno
in una spada e, che cazzo, per pranzo non li avevano più
mangiati quei funghetti trovati nel sottobosco, quindi non poteva
aver avuto un mini viaggio allucinatorio-mentale.
L'aveva
visto per davvero.
"Hester!"
abbaiò il ragazzo a quel punto, schivando per un pelo una
zampata che l'avrebbe mandato sicuramente al creatore. La donna, ai
margini della radura, guardava la scena con un assodato principio di
infarto, tanto le rughe sul suo volto s'erano approfondite a causa
della preoccupazione.
"Voglio
sapere-" si gettò a terra e l'ala del grifone,
sfiorandogli la testa, scompigliò tutti i suoi capelli biondi.
"Come
diavolo hai fatto-" non fece in tempo a rotolare abbastanza in
là, così il becco acuminato della bestia lo afferrò
per la maglietta. Charles provò a tirarsi via da quella presa,
ma alla fine l'unico modo in cui riuscì ad allontanarsi dalle
sue fauci, fu quello di sgusciare all'infuori dell'indumento,
abbandonando la maglietta nel becco del grifone. Per metà nudo
come un verme, zampettò a carponi sul terreno e si rifugiò
sotto le sue gambe.
"A
fare quello che hai fatto!" concluse, mentre la bestia torceva
il collo come posseduta, nel tentativo di capire dove diamine fosse
finito quel misero umano con lo stuzzicadenti.
La
governante, invece di rispondere, si coprì le mani con la
bocca e gemette di puro terrore quando il becco del grifone si chiuse
attorno alla caviglia della sua preda; lo sollevò come Charles
fosse stato un fuscello e quello si ritrovò a penzolare con la
testa in giù. Prima che la bestia riuscisse ad ingoiarlo in un
sol boccone, però, emise un profondo verso strozzato e si
piegò pesantemente sulle ginocchia anteriori. Charles cadde
rovinosamente a terra ancora prima di capire che il grifone l'aveva
lasciato andare e nonostante la botta piuttosto dolorosa, trovò
la forza di trascinarsi il più lontano possibile da lei, ai
margini della radura; Hester lo raggiunse di corsa e si inginocchiò
accanto a lui, afferrandolo per le spalle.
"Sta
bene?" domandò ansiosamente, passando le sue mani morbide
sul volto del ragazzo, che annuì senza aver neanche distolto
lo sguardo da quello che stava accadendo: il grifone sembrava essere
incapace di respirare normalmente, come ci fosse qualcosa che lo
stava soffocando dall'interno.
Dopo
attimi di lunga agonia, durante i quali i lamenti della bestia fecero
attorcigliare lo stomaco di Hester come fosse stato fatto di gomma,
gli occhi del grifone si rovesciarono all'indietro e poi cadde
pesantemente al suolo, alzando intorno a sé un considerevole
polverone. Con il respiro ancora pesante dalla paura e dalla lotta
sostenuta, Charles rimase immobile tra le braccia di Hester che
ancora lo stringeva, gli occhi sgranati all'inverosimile ed il volto
pallido come quello di un morto.
Nessuno
dei due sembrava avere intenzione di muovere un muscolo.
"Che...
che è successo?" soffiò lui, con voce roca. "Sei
stata tu?" aggiunse, inghiottendo con difficoltà. La
donna scosse la testa, ma non riuscì a spiccicare parola: il
cuore le batteva ancora troppo forte e lo spavento che si era presa,
l'aveva mandata in stallo mentale.
"Sono
stata io" esclamò una voce da qualche parte, proveniente
dalla boscaglia.
Hester
si irrigidì visibilmente e Charles scattò a sedere,
cercando di individuare chi avesse parlato. Avvertì un fruscio
alla sua destra e quando voltò la testa in quella direzione,
vide fuoriuscire da dietro il tronco di un albero una ragazza; era
addirittura più pallida di lui, aveva lunghi capelli biondi -
talmente biondi da sembrare bianchi - legati in una coda alta e gli
occhi di un celeste chiarissimo, ma spento ed acquoso. Camminò
verso di loro e si fermò all'incirca ad un paio di metri di
distanza.
"Chi
sei?" domandò immediatamente Hester e Charles non poté
fare a meno di cogliere la piega dura che aveva assunto la sua voce.
La
ragazza piegò la testa di lato ed osservò l'altra
intensamente.
"Cos'è,
il grifone ti ha mangiato la lingua, ragazzina?" la governante
tornò di nuovo alla carica, quando l'interpellata non ebbe
dato cenno di voler aprire bocca. Quella volta lo fece.
"Ho
appena salvato la vita di entrambi" disse, arcuando le
sopracciglia; "Potresti almeno ringraziarmi".
Hester
fece per risponderle per le rime, ma Charles intervenne prima di lei.
"Grazie"
esclamò con semplicità, evidentemente sincero nelle sue
intenzioni. La ragazza spostò lo sguardo su di lui ed accennò
un piccolo sorriso.
"Mi
chiamo Alecto" disse lei, evidentemente rivolta a Charles,
l'unico che pareva avere uno straccio d'educazione in più
rispetto a quella vecchia bisbetica.
Anche
lui sorrise e si alzò in piedi per tenderle la mano. Ebbe
qualche difficoltà a mantenere l'equilibrio: i suoi muscoli
urlavano pietà e la caviglia che il grifone aveva morso gli
faceva male. Alecto osservò qualche istante la sua mano, prima
di stringerla con poca convinzione. Al contrario, la stretta di
Charles risultò forte e decisa.
"Io
sono Charles" esclamò il ragazzo, zoppicando un po'; "E
quella è Hester. Non fare caso a lei, dà l'impressione
di una che morde, ma non è davvero così".
La
suddetta Hester grugnì poco amichevolmente, scambiando uno
sguardo veloce con l'ultima arrivata. Come si fosse improvvisamente
ricordato di qualcosa, Charles si girò verso la sua governante
ed assottigliò le palpebre.
"A
proposito..." esordì infatti, "...c'è
qualcos'altro di cui vorresti mettermi al corrente, Hester, a parte i
draghi, le cose di cui non puoi parlarmi e
quella?"
alzò la mano destra ed indicò la spada di legno che,
poco più in là, giaceva a terra, abbandonata.
Lo
sferzante tono sarcastico che aveva usato non scalfì la donna
di una virgola, che rispose: "Non al momento, Charles. Se mi
verrà in mente qualcos'altro, glie lo dirò
sicuramente".
"Sempre
che tu possa farlo".
"Sempre
che io possa farlo, certo".
Alecto
altalenò lo sguardo dall'una all'altro ed inarcò le
sopracciglia, esprimendo così la sua perplessità. Aveva
uno strano senso di dejà-vù... niente niente, poteva
essere che quell'Hester ed il piccolo Emrys fossero amici? Guardò
Charles con un moto di fraterna comprensione.
"Tu
hai la magia" esordì ad un certo punto la governante,
inchiodando Alecto con uno sguardo che sembrava dardeggiare. "Non
provare neanche a negare, la magia è proprio l'unica cosa che
avrebbe potuto uccidere il grifone".
La
ragazza sorrise. "Se anche tu non fossi padrona della magia,
probabilmente avrei negato" esordì con tranquillità,
stringendosi nelle spalle.
Fu
il turno di Charles, quello di mostrare una buona dose di
perplessità. Zoppicò un paio di passi indietro, per
avere entrambe nel suo campo visivo.
"M-magia?"
balbettò, le sopracciglia che quasi toccavano l'attaccatura
dei capelli; "Hester... sei... sei una
strega?"
A
quell'epiteto, la donna arricciò la punta del naso e negò
immediatamente. "Non del genere che immagina lei" rispose,
la voce roca. "Sono una serva della natura, il che non ha niente
a che vedere con la definizione di strega che abbiamo in quest'era".
Charles
sbatté più volte le palpebre, se possibile anche più
scioccato di prima. "Perché... perché non hai
ucciso tu il grifone, allora? E perché soltanto la magia
poteva fare una cosa del genere?"
"Perché
la sua magia non è abbastanza forte" rispose allora
Alecto, soffermando gli slavati occhi celesti sulla donna. "Non
è così?"
Hester
sollevò appena il mento, come a volerla sfidare a provare le
sue capacità, ma non rispose. Percepiva che la magia di Alecto
era più forte della sua. Hester era una donna orgogliosa, ma
anche saggia e non era il caso di finire a litigare con un individuo
come Alecto. Quando tornò a parlare, fu per rispondere
all'ultima domanda di Charles: "Il grifone poteva essere ucciso
solo dalla magia perché è una creatura nata dalla
magia. Le creature magiche possono essere eliminate soltanto dalla
magia stessa".
"Quindi
la spada che mi hai dato era completamente inutile!" ribatté
il ragazzo, con una nota di risentimento.
"Che
cosa avrei dovuto fare? Anche se avessimo cercato di scappare, il
grifone non ce lo avrebbe permesso. Non a me, per lo meno. Non ho più
l'età per queste cose, Charles. Se le avessi detto di
lasciarmi indietro, lei non l'avrebbe mai fatto, nonostante questo
dovrà cambiare in futuro. Dovevo pur tentare qualcosa".
Charles
rimase in silenzio, la testa talmente affollata di domande da non
sapere nemmeno con quale cominciare. Più i giorni passavo, più
gli interrogativi che aveva, invece di chiarirsi, si accumulavano.
Sospirò pesantemente ed osservò Alecto, intenta a
guardarsi intorno, come incuriosita da qualcosa.
"Dove
state andando?" domandò ad un certo punto la ragazza,
riportando gli occhi su di loro.
Si
sentiva... eccitata. Era la prima volta che incontrava una persona
con della magia, oltre Emrys, e nonostante fosse meno potente della
sua, la curiosità la stava già divorando. Quella donna
sembrava sapere molte cose che forse, a lei, sarebbero potute tornare
utili. Anche se Alecto sapeva di avere la magia, sapeva molto poco su
come usarla, proprio perché Emrys le insegnava ciò che
doveva sapere con il conta gocce; ad esser completamente sinceri, da
un bel po' aveva iniziato a sentirsi stretta nei ritmi
d'apprendimento in cui il bambino la costringeva e se c'era qualcosa
che avrebbe potuto imparare da Hester, era intenzionata a farlo,
anche se non ci voleva un genio per capire che la donna non provasse
chissà quale gran simpatia per lei. Alecto sperò di
poter fare un po' di strada in loro compagnia.
"Perché
ti interessa?" la aggredì immediatamente Hester, già
accusandola di chissà che cosa con lo sguardo.
Alecto
corrugò la fronte, domandandosi cosa avesse fatto per
meritarsi tutta quella diffidenza e maleducazione. Dal modo in cui la
governante era avanzata per mettersi più o meno davanti
Charles, però, la ragazza capì che era spaventata.
Spaventata per lui. Spaventata da lei.
"Non
ho intenzione di farvi alcun male" esclamò allora,
guardando la donna negli occhi. "Non sono in cerca di guai. Mi
sto dirigendo dalla Diamar, suppongo tu sappia già di chi si
tratta".
Prima
che Hester potesse dire qualunque cosa, sul volto di Charles si
allargò un sorriso: "Che coincidenza! Anche noi stiamo
andando da questa Diamar!"
La
donna si voltò verso di lui con uno scatto repentino e lo
incenerì con lo sguardo. Maledetta lei e quando, quella stessa
mattina, si era fatta estorcere dall'insopportabile insistenza di
Charles dove fossero diretti. Il ragazzo corrugò la fronte e
ritirò la testa all'indietro. Ho
detto qualcosa di sbagliato? non
poté fare a meno di pensare.
"Ma
che coincidenza..." ripeté lentamente Alecto, arricciando
gli angoli delle labbra all'insù. "Potremmo fare la
strada insieme. Vi va?"
Hester
si irrigidì immediatamente e dopo aver masticato con fatica
uno 'scusaci
un momento',
marciò dritta verso Charles e lo afferrò per il gomito,
trascinandolo qualche metro più in là, per ottenere un
po' di privacy. Ignorò crudelmente le sue lamentele riguardo
la caviglia dolorante. Meritava di soffrire per la sua immensa,
immane stupidità! Alecto li seguì per un po' con lo
sguardo, poi voltò loro le spalle ed iniziò ad
aggirarsi pigramente per la radura, fingendo di guardarsi intorno con
aria interessata. Quando Hester si voltò come una furia verso
di lui, Charles arretrò per istinto, spalancando gli occhi. Se
non lo avesse ucciso in quel momento, pensò, non l'avrebbe
fatto mai più.
"Che
cosa le salta in testa?!" sibilò, avvicinando il suo
volto a quello dell'altro; "Le persone che hanno la magia sono
pericolose, Charles! Non la conosciamo nemmeno, non possiamo fidarci
di lei!"
"Anche
tu hai la magia" replicò quello, guardingo; "Vuol
dire che non devo fidarmi di te? Il che, scusa se te lo dico, avrebbe
anche un certo senso, considerando tutte le cose che mi hai tenute
nascoste e le cose che continui a tenermi nascoste".
Hester
strinse le labbra in una linea sottile, incassando il colpo in
silenzio. Aveva ragione, ma quello non cambiava niente.
"Se
io sono qui, accanto a lei, è per proteggerla. Se non le ho
mai detto niente, se tuttora continuo a non dirle tutto è per
lo stesso, identico motivo. Per proteggerla! Perché,
dannazione, perché non vuole capirlo?!"
"E
chi me lo assicura, a me, che sia questa la verità?"
Charles
seppe di aver detto qualcosa di profondamente sbagliato nel momento
stesso in cui gli occhi verdi di Hester furono inondati da uno
sguardo più che ferito. La donna lo guardò in silenzio
per dei lunghi istanti, non volendo credere a quello che aveva appena
sentito. Aveva cresciuto quel ragazzo come fosse stato suo figlio...
come poteva dubitare di lei? Capiva la sua rabbia, la sua
frustrazione, la sua confusione... ma la mancanza di fiducia? Il solo
pensiero che Charles potesse aver pensato male di lei... Hester
abbassò lo sguardo, inspirando profondamente.
"Hester,
non... non intendevo dire sul serio, mi dispiace, io-"
"No"
lo interruppe lei, con fin troppa calma. "Ha ragione. Le ho
nascosto molte cose, perché mai dovrebbe fidarsi di me?"
Charles
boccheggiò, alla ricerca di qualcosa da dire per rimediare
alla situazione. "Senti" esordì, mantenendo un tono
di voce basso e tentando di non diventare isterico; "Siamo
fuggiti da casa in piena notte, sono giorni che ci aggiriamo come
selvaggi per i parchi dell'Inghilterra, non mangio un pasto decente
da non so nemmeno quando, per poco dei draghi non ci friggono vivi
come kebab, una bestia orrida ed impronunciabile, che porta anche
sfiga, si è mangiata la mia cena, ho scoperto di aver
comandato un regno in una qualche mia vita passata, ho appena finito
di lottare un grifone e vengo a sapere che sei una strega. E che non
sei nemmeno l'unica. Visto che quando tutto questo sarà
finito, avrò sicuramente bisogno di andare in psicoanalisi...
Me la fai passare liscia, per una volta? Almeno questa?"
Hester
lo adocchiò ed il ragazzo unì le mani sotto il mento,
come in preghiera. Quando lui la vide indugiare, sporse anche il
labbro inferiore.
"Non
aveva detto che mai, mai avrebbe creduto di essere la reincarnazione
di Re Arthur?" azzardò la donna, mantenendo un
atteggiamento scostante.
"Sì,
l'ho detto. Poi però tu mi hai promesso che, se ti avessi
seguita, mi avresti dimostrato che è vero. Vuoi rimangiarti la
parola data proprio adesso?"
Hester
allungò una mano e tirò con determinazione l'orecchio
di Charles, come aveva spesso fatto quando lui era soltanto un
bambino. Il ragazzo mugolò di dolore e la guardò con
tanto d'occhi. "Perché l'hai fatto?!" esclamò
con indignazione, massaggiando il lobo arrossato.
Hester
lo guardò severamente. "Perché la deve smettere di
rigirarsi la frittata come e quando pare a lei!"
"Questo
vuol dire che me la sono cavata?"
"Questo
vuol dire che se proprio è intenzionato a lasciarsi
accompagnare da quella signorina, oltre che da me, prima di dire
qualsiasi cosa le passi per la testa, ha il dovere imperativo di
consultarmi! E non si azzardi ad uscirsene con la storia di Re
Arthur, o non mi limiterò a tirarle le orecchie! Sono stata
chiara?"
Charles
incassò la testa nelle spalle ed annuì. Hester sapeva
essere veramente tremenda, quando decideva di sgridarlo. Dal canto
suo, la donna si mostrò piuttosto soddisfatta dal seme di
terrore appena piantato nella testa del suo ingenuo protetto e disse
seccamente: "Adesso lasci parlare me".
Quando
Alecto si voltò verso di loro, le sembrò che quei due
fossero finalmente giunti ad un comune accordo. Restò in
silenzio ed attese che le si avvicinassero.
"Come
fai a sapere dove si trova la Diamar, ragazzina?" la interrogò
Hester, fermandosi a poca distanza da lei.
L'interpellata
si strinse nelle spalle e ciondolò da un piede all'altro.
"Pensavi
di essere l'ultima rimasta, ad avere la magia?" domandò
per contro, arcuando le sopracciglia con scetticismo. In
effetti sì,
dovette ammettere Hester: anche se l'aveva creduto, non aveva mai
potuto verificare con certezza le sue supposizioni. Alecto era una
prova lampante del fatto che avesse pensato male.
"Ne
ho conosciuti altri come me - come noi" aggiunse la ragazza,
quasi leggendole nella mente; "Soltanto due" mentì,
"E, come me, preferiscono evitare di andare ad urlare ai quattro
venti di cosa siamo capaci. Non vorrei ritrovarmi costretta contro un
tavolo da laboratorio, non so se mi spiego".
Charles
seguiva il loro scambio di battute in silenzio, proprio come lui ed
Hester avevano pattuito.
"Tu
invece, come lo sai?" domandò Alecto, senza la minima
traccia di diffidenza nel tono di voce; tuttavia, il suo modo di
porsi - così tranquillo e poco pretenzioso -, non parve essere
abbastanza da farle guadagnare se non la simpatia, per lo meno il
rispetto di Hester.
"Questo
non ti riguarda, le domande le faccio io" rispose quella
infatti, mantenendo una rigida linea di ferro. Non si sentiva
minimamente in colpa, nel riservare alla ragazza tutta quella
sfiducia gratuita, perché quell'Alecto aveva ancora tutto da
dimostrare, a partire dal fatto che fosse realmente chi diceva di
essere; per Hester, l'incolumità di Charles era l'unica
priorità che potesse valere qualcosa.
"Cosa
vai a fare dalla Diamar?" tornò alla carica allora la
governante, non intenzionata a darle tregua sin quando non si fosse
sentita un po' soddisfatta. Alecto la guardò come per dire
'non
è ovvio?'
"Voglio
sapere che cosa sta succedendo" si ritrovò a dire alla
fine. "Un conto è sapere di avere la magia. Un conto è
quando di punto in bianco spuntano fuori dei draghi. È
un po' troppo da accettare e basta, persino per me" concluse con
una scrollata di spalle.
Abbassò
gli occhi sul terreno, ma niente nel suo tono di voce aveva lasciato
intendere la reale natura della menzogna che aveva appena raccontato.
Non poteva certo dire di aver perso un uovo di drago ed il Triskelion
e che andava dalla Diamar per farsi aiutare a ritrovare entrambi. A
parte la segretezza della missione, Emrys l'avrebbe definitivamente
uccisa - ed una parte di sé le suggerì di non pensarlo
come tanto
per dire -.
Hester strinse le labbra e soppesò la ragazza in un pesante
silenzio.
"Noi
ci andiamo per lo stesso motivo" decise di intervenire Charles
ad un certo punto, infrangendo la regola del non
parlare e stai buono.
Hester
si accigliò e si girò verso di lui, ma quello continuò
a parlare rivolto ad Alecto: "I draghi hanno raso al suolo quasi
tutta Londra, compresa la mia casa. Il giorno dopo l'incendio, Hester
ha detto che avrebbe scoperto che cosa stava accadendo e così
l'ho seguita. Anche se non..." titubò solo per un
secondo, lasciando scivolare brevemente gli occhi sulla sua
governante; "Anche se non sapevo come avrebbe fatto, né
chi fosse veramente. Ho pensato soltanto che se davvero c'era un modo
per scoprire qualcosa su tutta questa faccenda, beh... avrei voluto
saperne anche io. Voglio dire, ho pur sempre perso la mia casa, che
era anche casa sua" concluse, con un cenno della mano verso
Hester.
Voleva
dimostrare a quella che praticamente gli aveva fatto da madre, che
anche lui poteva venirle in aiuto senza necessariamente lasciarsi
sfuggire qualcosa di stupido. Credeva di aver trovato una spiegazione
più che buona e comunque, l'evadere l'ennesima domanda di
Alecto non sarebbe stato saggio, ma l'avrebbe fatta soltanto
insospettire di più. La ragazza lo guardò e gli sorrise
ed Hester rilassò impercettibilmente la sua postura rigida.
Poteva funzionare.
"Allora,
direi che possiamo anche incamminarci a questo punto, no?"
NOTE
DELL'AUTORE:
Buon inizio settimana ;) finalmente siamo giunti al momento in cui i
nostri eroi incrociano le loro strade, con Hester antipatica come al
solito. Che cosa mai succederà? :-0 restate sintonizzati su
questi schermi e lo saprete! Grazie a Mimiwitch che ha betato il
capitolo, a chi ha letto e recensito il precedente ed a chi segue
questa storia! Avete il mio quore!
(1)
La Diamar è realmente esistente nel telefilm ed occupa
realmente una miniera. Ecco una sua immagine, per chi non se la
ricordasse: http://i.imgur.com/nT7PC.jpg
(2)
Il grifone è una bestia realmente esistente nel telefilm. La
sua descrizione è ripresa fedelmente.
La
discussione telefonica tra Alecto ed Emrys è stata scritta in
modo volutamente criptico, poiché i due cercano di stare
attenti alle intercettazioni telefoniche.
Arcobaleni
ed unicorni,
Asfo
|
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Capitolo 7 *** Un Destino ciascuno ***
SETTIMO
CAPITOLO
7.
Un Destino ciascuno
Bath
Stone (Corsham-Combe Down), distretto di Bath, 23 luglio 2020
Pomeriggio
Quando
Charles si ritrovò davanti all'ingresso della miniera, dovette
esercitare tutto il suo autocontrollo per non intonare un inno alla
gioia. Erano già tre giorni che camminavano senza sosta,
fermandosi soltanto per ingurgitare qualcosa o per dormire; al
sopraggiungere della mattina, si erano sempre alzati all'alba per
approfittare di tutto il tempo di cui avrebbero potuto disporre per
proseguire. La sua caviglia ferita era stata più o meno
guarita da Alecto che, non avendo una perfetta padronanza delle
proprie capacità, aveva fatto quel che aveva potuto. In
condizioni normali ed in possesso di una macchina, sarebbero servite
soltanto un paio di ore per raggiungere il distretto di Bath ma, mano
a mano che si erano allontanati da Londra, Charles aveva potuto
miseramente constatare che la furia cieca dei draghi non aveva
devastato solo la capitale, ma anche tante altre zone al di fuori ed
il disastro che avevano visto per le strade aveva creato loro qualche
difficoltà di percorso.
Il
sospetto che l'intera Gran Bretagna fosse stata bersagliata dagli
attacchi delle bestie aveva attraversato velocemente la mente del
giovane, che quella stessa mattina si era ripromesso di provare a far
funzionare nuovamente la radio e vedere di cavarne qualcosa. Nel
corso di quei tre giorni, Charles aveva notato un traffico sempre
maggiore di elicotteri ed aerei appartenenti all'esercito della
corona e si era chiesto se la milizia avesse finalmente trovato il
modo di gestire quelle creature che fino ad una settimana prima aveva
creduto frutto di sole favole e leggende.
Fermo
davanti all'ingresso della miniera, Hester devastata dalla stanchezza
alla sua destra ed Alecto trincerata nel suo caratteristico silenzio
alla sua sinistra, piegò con una punta di amarezza gli angoli
delle labbra verso l'alto.
Una
settimana.
Era
bastata una settimana per sconvolgere tutta la sua vita, chi aveva
creduto di essere e cosa ne aveva pensato del mondo.
"Direi
di dividerci" esordì Alecto, lo zaino in spalla ed il
cappello blu di nuovo ben piantato sulla testa. "Questa miniera
è stata abbandonata secoli fa ed è piena di gallerie.
Se prendiamo strade diverse, avremo più possibilità di
trovare la Diamar".
Hester
la guardò, ma non disse niente; si era seduta su un masso nei
pressi dell'ingresso e sembrava non avesse la forza di fare altro
tranne che respirare. Charles distolse con stizza lo sguardo da lei,
non potendo minimamente sopportare il modo in cui la donna gli
sembrasse più invecchiata, affaticata com'era. Non poteva
accettare una cosa del genere.
"Come
le sai queste cose?" preferì domandare invece, attirando
gli spenti occhi di Alecto su di sé; la ragazza gli indirizzò
un sorrisetto derisorio, prima di indicare un cartello posto poco
distante dall'ingresso. Perso com'era nei suoi pensieri, Charles non
l'aveva nemmeno notato. Si avvicinò per leggere: proprietà
e patrimonio dello stato d'Inghilterra. Per informazioni sugli orari
ed i giorni delle visite guidate, contattare il seguente numero...
A
quel messaggio, seguiva una breve descrizione di quanto si supponesse
fosse realmente vecchia la miniera e di come i suoi cunicoli fossero
abilmente intersecati tra loro. Alecto si era avvicinata all'entrata
della miniera e ne stava sbirciando l'interno con uno strano sguardo
apprensivo.
"Che
cosa c'è?" le chiese Charles, studiando il buio nel quale
il cunicolo affondava, lì dove la luce del giorno non riusciva
ad arrivare; "Hai visto qualcosa?" aggiunse, in un
sussurro.
La
ragazza compì un paio di lenti passi indietro e lo guardò,
come a volerlo soppesare attentamente. Charles arcuò le
sopracciglia, confuso dal suo improvviso cambio di atteggiamento e
vagamente a disagio, sotto l'esame di quegli occhi così spenti
e pallidi.
"Ho
sentito delle brutte storie, sulla Diamar" mormorò la
ragazza, senza distogliere lo sguardo da lui, con aria greve.
"Del
tipo?" le chiese allora Charles, corrugando la fronte.
"Del
tipo che non ci si può fidare di lei. Che è una
creatura che appare eterea, ma che nasconde sembianze demoniache. Ho
sentito dire che cerca di ingannare chi la ascolta e che è
molto pericolosa..."
La
fragorosa risata di Hester si intromise tra di loro, spezzando quel
principio di tensione che aveva iniziato a serpeggiare nell'aria. Il
suo modo di fare le permise di guadagnarsi un paio di facce equamente
stupite. Con ancora il sorriso a piegarle le labbra, Hester scosse
lentamente la testa, come si fa quando si ripensa a qualcosa di
divertente che non si crede possa essere successa per davvero.
"Mi
stupisce che tu sia stata in grado di arrivare sino a qui solo per
sentito
dire"
esclamò la donna, un luccichio di divertimento ad animare gli
occhi verdi; "Considerata la quantità incredibile di
sciocchezze che hai appreso nello stesso identico modo".
Alecto
non fu minimamente turbata dal tono divertito appena riservatole e si
limitò a corrugare la fronte. "Che cosa intendi dire?"
chiese, non senza una certa diffidenza. Quella donna stava insinuando
che Emrys le avesse mentito?
Hester
sospirò e si alzò in piedi, ritenendo di essersi
riposata abbastanza; in realtà era ben lungi dal sentirsi
pronta per mettersi di nuovo in cammino, ma non c'era tempo per
bighellonare: erano finalmente arrivati alla miniera e non poteva più
aspettare, perché anche lei aveva bisogno di risposte,
esattamente come Charles.
"Quello
che intendo dire" iniziò lentamente, avvicinandosi
all'ingresso dove già sostavano gli altri due, "È
che nessuno sa davvero quale aspetto abbia la Diamar. Si dice che
solo un paio di persone siano riuscite ad incontrarla e la mia paura
è che noi, oggi, non rientreremo in questa ristretta cerchia
di fortunati, anche se spero non sia così. Che abbia l'aspetto
etereo o di una bestia è probabile, entrambi i casi hanno le
stesse possibilità di essere veri, perché molte
informazioni su di lei sono andate perdute durante il corso dei
secoli. Ma la Diamar è un essere sacro, anche se non ha niente
a che fare con l'antica religione. È
una creatura neutrale, al di sopra delle cose. È
osservatrice e conoscente di tutti i destini possibili, conosce
quelli di tutte le persone venute al mondo, dal più
irrilevante al più decisivo. Non è nei suoi interessi
raggirare ed ingannare, ha più il ruolo di una guida che di
un'incantatrice..."
Alecto
era confusa ed arrabbiata. Confusa perché non capiva come mai
la versione che Emrys le aveva dato fosse così differente da
quella di Hester; arrabbiata perché non aveva possibilità
di chiedere spiegazioni, non senza essere costretta a raccontare del
bambino e di quello che le aveva detto. Se avesse nominato Emrys,
naturalmente un'altra serie di inevitabili domande sarebbero sorte in
conseguenza e la situazione sarebbe degenerata in qualcosa che Alecto
non voleva far accadere. D'altro canto, se avesse chiamato il suo
mentore per chiedere a lui, delle spiegazioni, avrebbe anche dovuto
dirgli che non era sola, che si stava facendo accompagnare da un
ragazzo ed un'altra persona con la magia. Non sapeva perché,
ma l'istinto le suggeriva che non era necessario far sapere ad Emrys
con chi stesse viaggiando.
In
aggiunta, intendeva mantenere il silenzio anche per un pizzico di
ripicca: il bambino aveva un sacco di segreti, perché lei non
poteva averne di suoi? Al momento però, la domanda più
importante era: di chi doveva fidarsi? Suppose che l'avrebbe presto
scoperto da sola, una volta trovata la Diamar - perché,
sì,
trovarla era imperativo, come le aveva detto Emrys! Non poteva
neanche contemplare l'opzione di un buco nell'acqua, non era nemmeno
un'eventualità -.
Alecto
continuò a restare in silenzio, limitandosi ad osservare
Hester con un cipiglio meditabondo.
"La
tua idea è buona, comunque" riprese quest'ultima, dopo
qualche istante di silenzio "Dividiamoci. Io e Charles andremo
verso sinistra, tu verso destra. Non ti spiace andare per conto tuo,
vero?" Abbozzò un sorriso di circostanza. "Del
resto, la tua magia è più forte della mia. Saprai
difenderti da sola, in caso di necessità".
Alecto
si limitò a fare un breve cenno d'assenso... d'altro canto,
cosa avrebbe potuto dire? Indugiarono solo qualche altro secondo e
poi entrarono nella miniera; anche se lei non lo notò, Charles
le rivolse una lunga occhiata penetrante, prima di immettersi nel
cunicolo con Hester.
*
"Perché
la tratti così?" domandò Charles dopo cinque
minuti buoni da che avevano iniziato ad esplorare la miniera. Hester
teneva davanti a sé una torcia che riusciva ad illuminare ben
poco oltre i loro piedi, a causa della fitta oscurità del
cunicolo. Charles si sentiva irrequieto, il buio non gli era mai
piaciuto e quando il rumore dei loro passi non era assordante,
percepiva chiaramente una quantità di animaletti strisciare
lungo le pareti rocciose della miniera. Con una punta di nera ironia,
pensò che lì dentro erano
loro
gli intrusi, gli ospiti indesiderati. Il fascio di luce della torcia
illuminò brevemente una serie di lampade rettangolari, con i
bordi smussati, che avevano l'aspetto di luci d'emergenza; erano
montante lungo le pareti dei cunicoli ed una robusta striscia di
ferro le teneva ancorate in alto.
"Non
puoi... che so, accendere quelle?" domandò Charles,
sperando che almeno a quello Hester avesse voglia di rispondere.
"Hai... hai la magia, no?"
"Neanche
io posso fare miracoli, Charles. Siamo in pieno blackout elettrico.
Non posso creare l'elettricità con la magia. Avrei potuto
farla arrivare alle lampade, se ce ne fosse rimasta un po', ma così
non è".
Hester
svoltò a destra, sembrando totalmente a suo agio sul terreno
dissestato della miniera. "E per quanto riguarda la sua nuova
amica" continuò, la voce priva di qualsiasi inflessione,
"La domanda che mi ha fatto è troppo generica. Com'è
che la tratterei, di preciso? Se si riferisce alla diffidenza che
giustamente le riservo, sappia che lo faccio anche a causa della sua
ingenuità".
Charles
sbatté le palpebre con perplessità, pensando di aver
sentito male. "La mia ingenuità?" ripeté,
realizzando che Hester l'aveva detto davvero. La governante fece un
mezzo sorriso, senza mai distogliere gli occhi dal percorso.
"In
buona fede, Charles, lei darebbe il beneficio del dubbio anche ad un
terrorista. Non dico che la sua generosità e la sua fede nel
prossimo siano sbagliate, ma bisogna saper essere preparati ad ogni
eventualità. Dare fiducia a qualcuno non deve voler
necessariamente dire fidarsi di quella persona, ma si può
anche intendere come un lasciarle la possibilità di dimostrare
qualcosa. Le persone vanno messe alla prova, non si può fare
affidamento su chiunque".
"Perché
mai dovrei mettere le persone alla prova? Che motivo avrebbero per
tentare di imbrogliarmi?"
Hester
sospirò con leggerezza, piena di pazienza. "Lo capisco,
sa. Voglio dire, neanche a me verrebbe naturale pensare a me stessa
come la Regina di un regno perduto, dopo aver vissuto venticinque
anni convinta di essere qualcun altro. Ma se le posso dare un
consiglio, dovrebbe cercare di abituarsi in fretta a ciò che è
in realtà, Charles, perché tenteranno di imbrogliarla
proprio a causa di questo. Lei è un pericolo".
"Frena,
frena, frena" rispose il ragazzo, alzando le mani per aria come
a volerla rallentare anche fisicamente. "Io non ho vissuto
ventiquattro - sono ventiquattro, Hester! - anni convinto di essere
qualcun altro. Io sono
quel qualcun altro. Sono Charles, prima di essere... quello che dici
tu. E non riuscirai a farmi cambiare idea neanche tra mille anni, non
su questo! Potrò anche essere stato un Re nella mia vita
precedente, ma non lo sono in questa vita! Non ho niente da spartire
con il passato, se non qualche sporadico sogno strambo! E perché
diavolo sarei un pericolo, adesso? Perché sono tra i primi
dieci della nazione a detenere il record di Call of Duty?"
concluse con una sferzante nota di sarcasmo.
Hester
roteò gli occhi verso l'alto e scosse piano la testa.
"Lei
è un pericolo, Charles, perché se la sua coscienza si è
risvegliata, è solo per mettere i bastoni tra le ruote a
coloro che intendono distruggere il regno di Albion. È
destinato a salvarci tutti, non l'ha ancora capito?"
Charles
pensò, con una dolorosa fitta di nostalgia, ai tempi in cui
essere tra i primi dieci di tutta la nazione a COD lo faceva sentire
un maledetto eroe. Avrebbe pagato oro per essere destinato a restare
sui livelli di quel tipo di eroismo e basta. Fece per dire qualcosa,
poi un bagliore in fondo al cunicolo distrasse entrambi.
"Cos'è?"
domandò immediatamente il ragazzo, strizzando le palpebre per
vederci meglio. "È bianca..."
"Resti
dietro di me" sussurrò Hester, fermandosi poco dopo. La
luce si stava muovendo verso di loro.
*
Alecto
strinse ancora di più le ginocchia contro il petto e vi
affondò la faccia. Buio, era tutto troppo buio e quella volta
non c'era nessuno a distrarla, ad allontanarla dai suoi pensieri.
Tutto si ripeteva, ancora una volta. La inseguiva come un'ombra, era
una sorte inevitabile, ma stupidamente aveva sempre continuato a
correre. A cosa le era servito?
Era
di nuovo sola. Sapeva che sarebbe andata a finire così, non
importava quante volte venisse salvata da se stessa o quante persone
le promettessero che non sarebbe più stata allontanata o
lasciata da parte... era di nuovo sola e quello, Emrys avrebbe dovuto
prevederlo. Le aveva promesso che si sarebbe preso cura di lei, ma
dov'era in quel momento? Dov'era quando il sudore le appiccicava la
maglietta alla schiena, quando le vertigini le impedivano di stare in
piedi e quando il groppo alla gola non le permetteva di respirare
bene? Alla fine dei conti, le promesse erano esattamente quel che
erano: parole, parole date all'aria, parole pronunciate senza
intenzioni, parole che la lasciavano risalire di qualche metro dal
fondo prima di rigettarla giù ancora più violentemente
della volta precedente. Alecto non sapeva quante altre botte sarebbe
riuscita a sopportare prima di spezzarsi. Sentiva le sue ossa
scricchiolare.
Contro
le palpebre serrate con forza, vide materializzarsi l'immagine di sua
madre che la guardava come non l'avesse mai realmente conosciuta;
vide lo sguardo pieno di orrore di Richard Smith e la barella su cui
era stata adagiata Hanna Dixon, il collo piegato in una curva
innaturale.
Il
buio la teneva con tenaglie indistruttibili e la costringeva a
rivivere ancora l'isolamento forzato cui i suoi amici, spaventati da
lei, l'avevano costretta a scuola e rivisse in un veloce ma doloroso
flash, il momento in cui era stata gettata in pasto alle suore del
collegio dove sua madre l'aveva fatta rinchiudere. Ha
il demonio in sé,
aveva detto alla direttrice, con la voce che aveva tremato per il
disgusto e con lacrime di rabbia ad inumidirgli gli occhi; salvate
la mia bambina aveva
concluso, stringendo il ciondolo a forma di croce nel pugno, come
fosse stato un'ancora di salvezza. E la direttrice aveva accolto
molto seriamente il suo disperato grido di aiuto.
Alecto
ricordò, con un brivido guidato da un forte senso di nausea,
come quelle religiosissime istitutrici avessero cercato in tutti i
modi di farla sentire sbagliata. Di farla sentire cattiva
e destinata alla dannazione. Apri
le braccia a Dio, erano
le classiche parole che precedevano la sua reclusione nella Gola: una
stanza stretta, spaziosa quanto un ripostiglio delle scope, senza
finestre, adibita all'unico scopo di far scontare punizioni di varia
natura alle studentesse del collegio. Veniva chiamata la Gola non
solo per le sue scarse dimensioni e la mancanza di luce, ma anche a
causa del fatto che, ad un certo punto, si arrivava ad avere la
sensazione di essere ingoiati
dall'oscurità pressante.
Alecto
credeva che una tortura fisica sarebbe stata meno peggiore e non lo
pensava semplicemente perché soffriva di attacchi di panico,
no: aveva visto ragazze piegarsi come fuscelli e cadere nel mutismo
per giorni, dopo essere state dentro quella stanza. I pensieri
potevano corrodere come acido, se veniva permesso loro di scivolare
liberi nella mente come nuvole e le istitutrici erano sempre state
troppo furbe per non poterlo capire. Tutte le ragazze che erano
finite in quel collegio, a loro modo, avevano diversi demoni sulle
spalle e peccati da espiare agli occhi delle loro famiglie: era
semplicemente una tentazione troppo perfetta per non poterne
approfittare.
Desiderò
l'oblio. Desiderò che quella particolare crisi, - era da molto
che non ne aveva di così forti -, le togliesse talmente tanto
il respiro da farle perdere i sensi. Desiderò così
tanto l'incoscienza che ad un certo punto, forse per auto difesa,
immaginò una luce, un tenue bagliore bianco. Si concentrò
su quella luce più intensamente che poté e cercò
di vederla aumentare sempre di più; tentò di intuire
che cosa avrebbe potuto provare se quella luce l'avesse avvolta, se
l'avesse abbracciata e cullata al di fuori dell'oscurità, ma
niente l'avrebbe potuta preparare alla sensazione che avvertì
quando la luce, letteralmente, la toccò.
Sussultò
spaventata e spalancò definitivamente gli occhi. Dovette
metterci qualche secondo, prima di decidere che cosa fare. Per la
precisione, urlò. Urlò con voce piena di spavento e si
appiattì contro la parete della miniera in modo così
repentino che la luce - una creatura dall'aspetto indescrivibile -,
sobbalzò e si ritrasse, come scottata. Alecto la fissò,
i pallidi occhi sgranati ed il respiro accelerato.
La
cosa
che le stava davanti - dal sesso indefinibile, poiché priva di
qualsiasi curva -, aveva la testa allungata e dalla forma ovale,
mostrava guance incavate che mettevano in risalto un paio di alti
zigomi, non aveva sopracciglia e neanche i capelli. La sua pelle
sembrava traslucida, un reticolo di vene era infatti visibile sotto
l'epidermide grigiastra e sottile, mentre i suoi grandi occhi, scuri
come le profondità in cui poco prima si era persa, la stavano
fissando in modo che non riuscì a decifrare; soltanto quando
riuscì a riportare il respiro ad un ritmo normale, notò
che il bagliore che aveva creduto di immaginare proveniva
principalmente dalla sua testa a forma di uovo, oltre che dalle mani
sottili e lunghe come quelle di uno scheletro.
"Alecto"
soffiò la creatura, con un tono di voce roco - di chi non
parlava mai - e dalla tonalità misteriosa. Se ne stava tutta
piegata su se stessa ed uno strano mezzo sorriso le inclinava le
labbra piene. Ad Alecto sembrò che non intendesse sorriderle
veramente, ma che quello fosse solo il modo in cui teneva chiusa la
bocca.
"Tu
sei... sei la Diamar?" biascicò la ragazza, tenendosi una
mano premuta all'altezza del cuore.
"Senza
dubbio" soffiò quella in risposta, "E tu mi stavi
cercando".
Chiaramente
non era una domanda.
"Sì,
io..." esitò. "Io vorrei sapere-"
"Non
è quello,
che vuoi sapere" la interruppe la Diamar, in modo suadente,
nonostante lo sgradevole grattare della voce contro la gola. Alecto
corrugò la fronte e restò in silenzio ad osservarla,
non avendo la più pallida idea di cosa intendesse dire.
"Quello
che realmente ti serve sapere" riprese la creatura, senza
distogliere un attimo i profondi occhi da lei, "È che
tutte le creature, nel momento in cui vengono al mondo, sono
destinate a qualcosa. Non sempre è chiaro lo scopo od il
significato di ciò che finiamo per essere o di ciò che
arriviamo a compiere, ma la cosa importante non è la riposta.
È trovarsi nel posto giusto al momento giusto, proprio quando
così deve essere".
"Credo
di non capire..." balbettò Alecto, sempre più
confusa. Dove aveva intenzione di andare a parare? La curiosità
era così opprimente che dimenticò tutti gli
avvertimenti di Emrys; la Diamar non le sembrava pericolosa e neanche
meschina. Piuttosto, Alecto si sentiva messa in soggezione
dall'immensa aura di saggezza che la creatura sembrava aver incisa su
ogni centimetro del suo fragile corpo sottile.
"Perché
cerchi la risposta" ribatté la Diamar, dicendo tutto e
non dicendo niente. "La cerchi nel modo sbagliato".
"Ti
prego, sii più specifica, perché non riesco davvero a
seguirti..." la pregò la ragazza, mollando la presa sulla
maglia tutta spiegazzata.
"Credi
di essere capitata qui per caso?" domandò per contro
l'altra, senza sbilanciarsi. Alecto scrollò la testa.
"Ci
sono venuta perché l'ho deciso e perché ho bisogno di
informazioni".
"Sei
qui perché dovevi essere qui, adesso, in questo momento".
"Cosa
stai cercando di dirmi? Che hai visto questo momento? Sei una
veggente?"
"Io
sono la chiave della conoscenza, giovane Alecto. Conosco al di sopra
dello scorrere del tempo, al di sopra della materia e delle energie
sottili. Devi fidarti della mia parola, quando ti dico che il tuo
destino è quello di rimanere al fianco dei tuoi attuali
accompagnatori".
A
quelle parole, la ragazza strabuzzò gli occhi: tutto si era
aspettata, tranne che quella rivelazione.
"Ma
li conosco appena!" replicò con incredulità,
guardando la Diamar come fosse impazzita.
"Perché
il tuo cammino è appena cominciato" le rispose la
creatura, ancora con quello strano mezzo sorriso ad inclinarle le
labbra.
"E
con quale scusa dovrei ancora affiancarmi a loro? Se dicessi che ti
ho incontrata e che me l'hai detto tu, di farlo, non mi crederebbero
mai!"
Alecto
fece una smorfia e pensò che, per essere precisi,
probabilmente sarebbe stata la vecchia a rifiutarsi di crederle.
"Forse potresti parlarci tu..." soggiunse, quasi
speranzosa. Soltanto un secondo dopo, si rese conto della richiesta
che aveva tentato di fare e rimase di stucco.
Che
cosa stava succedendo? Non poteva restare al fianco di quei due, lei
ed Emrys avevano una missione, doveva aiutarlo a riportare la magia
alla luce e doveva aiutare tutti quelli come lei a conquistare il
giusto posto nel mondo. Niente più nascondigli, niente più
fughe, basta con la paura e con i sotterfugi; avere la magia non
voleva dire essere pericolosi, lei ed Emrys l'avrebbero dimostrato in
larga scala. Il loro progetto era ambizioso ed una volta realizzato
non sarebbe stata mai, mai più sola. Corrugò la fronte
e stavolta guardò la Diamar con sospetto.
"Che
cosa mi stai facendo?" soffiò, guardinga. "Stai
tentando di manipolare la mia mente?"
La
Diamar, che fino a quel punto era rimasta in silenzio ad osservarla,
allungò una mano verso di lei e prima che Alecto glie lo
potesse impedire, le sue dita le toccarono la fronte; la ragazza
sussultò ed il suo intero corpo fu pervaso da una freschezza
pura ed indescrivibile, come se avesse insieme la primavera e
l'autunno a scorrerle nelle vene. Con quel contatto, ebbe modo di
toccare
l'assoluto disinteresse che quella creatura aveva nel mentire.
Tramite quel contatto, sentì
sulla pelle
la
sua sincerità. Non la stava aiutando. Non la stava nemmeno
ostacolando. Stava soltanto esponendo dei fatti ed i fatti erano
inconfutabili, quando a propinarli era la Chiave di tutta la
conoscenza.
Scossa
da un profondo brivido, Alecto mise di nuovo a fuoco il volto della
Diamar, notando che quella aveva ritirato la mano; si toccò la
fronte con circospezione ed il cuore ancora le batteva a ritmo dei
piacevoli strascichi che quell'esperienza le aveva fatto provare.
"Perdonami"
mormorò, sentendosi incredibilmente sciocca per aver dubitato
di lei. Emrys le aveva detto che la Diamar avrebbe tentato di
ammaliarla, ma dopo quello...
era certa che il bambino avesse avuto torto - per
una volta,
aggiunse una piccola parte di lei, con meschina soddisfazione -.
"Il
tuo Destino è affar tuo soltanto, Alecto" tornò a
parlare la creatura, con cautela. "Sta' accanto a loro e tutto
ti sarà più chiaro. Scegli un'altra via e ciò
che temi di più, finirà per avverarsi".
*
Nello
stesso momento...
"Quali
prove?" la interrogò Hester, senza però osare
avvicinarlesi di un passo di troppo. La Diamar stava accucciata
davanti a loro, le lunghe dita accarezzavano il terriccio della
miniera e la sua candida luminescenza si infrangeva sulle pareti
rocciose in un modo che rivelava, di quando in quando, i piccoli e
numerosi insetti che le popolavano. Charles stava poco dietro di lei
e ancora non aveva deciso se prendersi a schiaffi da solo per capire
se stesse sognando oppure mettersi a ridere istericamente. Quella
cosa aveva
tutto l'aspetto di un alieno, solo che al posto del classico colorito
verdognolo, ce n'era uno grigiastro.
La
Diamar scosse piano la testa ovale e disse: "La natura delle
difficili prove che vi troverete ad affrontare lungo il cammino, non
è rilevante al fine della salvezza di Albion, nonostante
dobbiate superarle ad ogni costo. Se vorrete avere successo, vi
occorrerà il giusto... aiuto".
Hester
corrugò la fronte, gli occhi verdi si muovevano veloci sul
volto della Diamar come in cerca di una risposta.
"Stai...
stai parlando della magia?" tentennò, ipotizzando nel
modo più logico possibile. La creatura piegò la testa
da un lato e sembrò che le sue labbra si inclinassero ancora
di più.
"In
un certo senso..." rispose, con un baluginio particolarmente
intenso ad attraversale le lunghe dita spettrali. "Sto parlando
di ciò che anticamente rese Re Arthur degno del suo titolo e
protagonista di immortali leggende..."
"Excalibur..."
mormorò allora Hester con una certa reverenza, lo sguardo
lontano e perso in luoghi remoti della sua mente.
Charles
fissò i suoi lunghi capelli biondi striati di grigio e sgranò
gli occhi: aveva sentito bene? Excalibur?
"Esiste
davvero?" si ritrovò a domandare a voce bassa, quasi
temesse di essere preso in giro solo per averlo chiesto.
Ma certo che no, sciocco! gli
avrebbero sicuramente risposto, prima di ridere di lui. Hester si
girò e lo guardò, quasi avesse notato la sua presenza
solo in quel momento. La sua occhiata fu davvero indecifrabile.
"Le
avevo detto che le avrei dimostrato tutto, Charles. Non se lo ricorda
più?" e senza aspettare risposta, tornò a
rivolgersi alla Diamar: "Sono vere, le leggende? E' ancora lì
che la troveremo?"
La
Diamar annuì.
"E
magari in omaggio troveremo anche la tavola rotonda..." borbottò
Charles, mascherando il suo scetticismo con un colpo di tosse. Venne
elegantemente ignorato. La Diamar si mosse verso di loro, come
volesse rendere ancora più reali le sue stesse parole.
"Recuperate
la spada e salvate il regno di Albion. È questo, il destino
che deve essere compiuto. In caso contrario..." i suoi enormi
occhi, scuri come pozzi interminabili, agganciarono con forza lo
sguardo di Charles. "In caso contrario, sarà la fine di
tutto ciò che conosciamo".
*
"Che
ansia" sputò fuori Charles, non appena mise piede al di
fuori della miniera; strizzò le palpebre alla luce grigiastra
del giorno, non riuscendo a tenerli aperti per più di due
secondi. Dopo tutto quel buio, il minimo che i suoi occhi potessero
fare era protestare con vivacità a quel cambio di luminosità
e palpitare dolorosamente. Quando si fu abituato all'ambiente
circostante, notò che Alecto li stava già aspettando,
seduta su una sporgenza distante una decina di metri. I pallidi occhi
della ragazza li stavano osservando, ma studiando il suo volto,
Charles ebbe l'impressione che fosse turbata da qualcosa.
"Tutto
bene?" le domandò, avvicinandosi con Hester alle
calcagna. La donna si era tutta irrigidita e fissava l'altra con
circospezione.
Alecto
si strinse nelle spalle, sospirando.
"Potrebbe
andare meglio" rispose con un velo di delusione; "Se solo
fossi riuscita ad incontrare la Diamar. Voi siete stati più
fortunati?"
"No"
intervenne rapidamente Hester, scavalcando Charles con poca grazia.
Aveva usato un tono fermo ed autoritario, non lasciando neanche
intendere risposte che fossero diverse da una negazione più
assoluta. "Non l'abbiamo vista anche noi".
Calò
il silenzio. Per un paio di minuti il trio stette lì a
ciondolare, a scambiarsi sguardi non ben interpretabili ed a cercare
di fare chiarezza. Avevano tutti parecchie cose su cui riflettere.
Alla fine, la prima a parlare fu Hester.
"Direi
che a questo punto possiamo-"
"Continuare
il viaggio insieme" la interruppe Alecto, che aveva alzato
velocemente gli occhi su di lei. Le due si studiarono a lungo, occhi
negli occhi: la più giovane fremeva di aspettativa, mentre
mordeva il labbro inferiore e la più anziana sembrava essere
stata appena insultata in modo pesante.
"Bé,
pensateci un attimo" riprese la ragazza, coinvolgendo con forza
anche Charles nella discussione, che sembrava averla presa molto più
in simpatia di quella bisbetica di una governante. "Il nostro
obiettivo è comune, cerchiamo tutti delle risposte qui.
Potrei... potrei aiutarvi con la mia magia, tra l'altro. Sai, nel
caso in cui..." guardò il ragazzo con un pizzico di
titubanza, "...cioè, se dovesse spuntare fuori qualche
altro grifone, ecco, credo che potrei aiutare".
"Charles"
iniziò a quel punto Hester, tentanto di risultare persuasiva,
ma il ragazzo alzò una mano e la interruppe; continuò a
guardare Alecto negli occhi, cercando di cogliere qualsiasi indizio
che potesse indurlo a non fidarsi di lei.
Da
quando si era unita a loro, Hester non aveva fatto altro che
trattarla come un'appestata, ma non si sentiva nella posizione di
poterla biasimare del tutto, perché si stava finalmente
rendendo conto dei reali rischi che stavano correndo. Eppure...
eppure c'era qualcosa di quella ragazza, quando la osservava, che lo
spingeva a non volerla allontanare da sé; aveva come la
sensazione che fosse lei, quella ad avere bisogno della loro
vicinanza, e non il contrario. Gli sembrava semplicemente qualcuno
che si era perso e aveva come l'istinto di volerle tenere la mano per
non farla perdere ancora di più.
Pensò
ad Excalibur ed all'imperativo di segretezza che Hester tentava in
tutti i modi di fargli rispettare, ma si disse che, una volta
arrivati dove sarebbero dovuti arrivare, avrebbe pensato al da farsi
ed a come allontanare Alecto per un breve lasso di tempo, per tenerla
all'oscuro delle loro intenzioni. Un problema alla volta, si disse.
Quando
ad alta voce informò le due che avrebbero continuato il
viaggio tutti insieme, Hester tentò di opporsi senza darlo
troppo a vedere, ma Charles la conosceva troppo bene per non
accorgersene e le lanciò un'occhiata; gli bastò una
singola, veemente occhiata per far comprendere alla sua governante
che tornare sull'argomento sarebbe stato del tutto inutile. Alecto
sarebbe andata con loro, fine della storia.
Camminando
qualche passo dietro di loro, Alecto si crogiolò
nell'improvvisa vampata di calore che le aveva invaso il petto: occhi
bassi, un sorriso che non voleva saperne di abbandonare le sue
pallide labbra e la consapevolezza che, davanti ad una scelta,
qualcuno aveva deciso di non lasciarla sola.
*
Hayes
wood, distretto di Bath, 23 luglio 2020
Sera
"[...]
inviati ci comunicano che la situazione è la stessa, da Londra
a Gloucester, arrivando fino a Portsmouth e Weymouth, il grado di
devastazione non pare avere risparmiato neanche i fzzfzz più
piccoli. Fzzfzz militari presiedute da fzzfzz conferenza ad uno dei
centri di accoglienza allestiti in varie zone del paese. Per chiunque
fosse in ascolto, ricordiamo che potrete trovare socc-fzz a
Wimbledon, Camden Town, Stanfo-fzzfzz, Bethnal Gr-fzzfzz, Oxford,
Cambridge-"
Hester
guardò Alecto tornare a stendersi nel fondo della grotta, dopo
aver spento la radio. La osservò dare loro le spalle per
provare a dormire e non protestò. Charles aveva aperto gli
occhi per osservare la scena, poi li aveva richiusi, restando
appoggiato contro la parete rocciosa del loro rifugio d'emergenza.
Gli dolevano tutti i muscoli del collo e la schiena cominciava a non
essere da meno; in quel momento pensò che avrebbe anche potuto
dare via un braccio, per un letto vero. Due braccia per un letto ed
un pasto decente. Due braccia ed una gamba per un letto, un pasto
decente ed una doccia calda. Arricciò la punta del naso,
l'odore di sudore misto a terra a stuzzicargli le narici; aveva
pensato che ci avrebbe fatto l'abitudine, con il passare dei giorni,
ma così non era stato.
"Non
lo capiranno mai..." sussurrò ad un certo punto Hester,
con gli occhi fissi sulla parete di fronte.
Il
fuoco si era spento, ma le braci brillavano ancora nel buio,
regalando un fioco senso di sollievo. I barattoli di quella che era
stata la loro cena, giacevano vicino le ceneri. Charles voltò
la testa verso di lei ed aprì piano gli occhi, riuscendo a
distinguere solo i contorni del suo viso.
"Che
cos'è che non capiranno?" mormorò a sua volta, per
non disturbare Alecto; nonostante non riuscisse a vederla bene a
causa dell'oscurità, il suo respiro profondo era segno
inequivocabile del fatto che si fosse appena addormentata. Hester si
girò verso la ragazza a sua volta, traendo la sua stessa
conclusione. Fu forse a causa di quello, che si sentì
finalmente libera di rilassare le spalle; un mugolio di sollievo le
sfuggì dalle labbra e la donna allungò le gambe davanti
a sé, dando sollievo alle articolazioni indolenzite. Non era
mai stata così stanca in vita sua.
"Non
se n'è accorto, Charles?" domandò a quel punto la
donna, con un sospiro lieve. "I draghi non hanno attaccato tutta
la Gran Bretagna. Non hanno attaccato nemmeno tutta l'Inghilterra, ma
solo alcune zone. Questo non le sembra strano?"
Charles
corrugò la fronte, realizzando che Hester aveva ragione. Fu
solo a quel punto, che quella cosa gli risultò strana.
"Tu
sai perché?" chiese, mantenendo un tono così basso
e morbido che anche da sveglia, Alecto avrebbe fatto probabilmente
fatica a distinguerne le parole. Hester inumidì le labbra
secche con la punta della lingua ed accarezzò la stoffa della
gonna con le mani, distrattamente.
"È
Albion" rivelò con una sorta di timore ed a quel punto,
il buio sembrò vibrare di elettricità. "Durante il
passare dei secoli, le mappe con la precisa estensione di Albion sono
andate perdute e sono rimasti in pochi a ricordare fin dove
arrivassero i suoi effettivi domini".
"E
tu sei tra quelle persone" commentò Charles, scoprendo di
non esserne poi tanto sorpreso. La donna annuì, un movimento
che il ragazzo poté solo intuire.
"A
quanto pare, anche i draghi lo sanno - o chi per loro. Stanno
distruggendo soltanto Albion e le calamità naturali dei mesi
precedenti sono state solo l'inizio. Deve essere per forza così,
non posso più credere che siano state una casualità.
Non dopo la violenza con cui si sono manifestate".
"Hester,
senti... come fai a sapere tutte queste cose? Da quando la nostra
casa è stata attaccata, ho come la sensazione di non sapere
più chi sei".
Nel
buio, Charles scorse il debole bagliore delle braci morenti
riflettersi negli occhi verdi della donna, che aveva girato la testa
verso di lui. Lei allungò una mano, cercando a tentoni la sua
e quando la trovò, la strinse forte. Sembrava combattuta tra
il desiderio di parlare e quello di tacere. Charles ricambiò
con affetto la sua stretta.
"Si
ricorda quando ho ammesso che l'essere diventata governante in casa
sua non è stato un caso?" trovò il coraggio di
dire ad un certo punto, parlando ancora più piano di prima.
Charles dovette avvicinarsi di più, per poterla sentire.
"In
realtà, prima della sua nascita, avevo preso in affitto una
casa nei pressi della sua per osservare sua madre, Charles. Prima di
me l'aveva fatto mia madre e mia madre aveva osservato anche suo
nonno. E mia nonna, oltre suo nonno, aveva vegliato sul suo
bisnonno".
"Aspetta,
fammi capire" la interruppe il ragazzo, che nella testa aveva
già dato il via ad un via vai frenetico di pensieri e
considerazioni. "Tu hai osservato mia madre e dopo che sono
nato, sei rimasta per me. Tua madre ha osservato la mia e mio nonno.
E tua nonna ha osservato mio nonno ed il mio bisnonno..." si
interruppe, come aspettandosi di essere corretto, ma non avvenne.
Allora continuò: "Ti rendi conto di quanto tutto questo
suoni...
malato?"
"No"
rispose Hester, bisbigliando. "È
semplicemente compiere il proprio destino. La mia famiglia è
a guardia della discendenza Pendragon dai tempi di Camelot, Charles.
È
stata designata dalle Disir, che lei può conoscere forse con
il nome di veggenti. Le donne della mia famiglia, di secolo in
secolo, si sono tramandate il compito di vegliare sulla linea di
sangue reale, in attesa del ritorno di Re Arthur e dei tempi in cui
Albion ne avrebbe avuto più bisogno".
Si
zittì all'improvviso e si voltò verso Alecto, ma quella
aveva iniziato a respirare pesantemente, come fosse un po'
raffreddata. Nell'oscurità della grotta, per un breve istante
gli occhi di Hester brillarono di una tonalità dorata: avrebbe
dovuto verificare prima di dire certe cose, se Alecto stesse
veramente dormendo oppure no; quello che l'incantesimo rivelò,
tuttavia, la fece rilassare. Non si trattava di una farsa.
"Di
generazione in generazione, anche se il sangue è andato
mischiandosi ed il cognome Pendragon è andato perduto"
continuò rassicurata, "La famiglia Carrow non è
mai venuta meno ai suoi doveri. Stavamo tutte aspettando lei,
Charles. Per me è un onore, essere quella a cui è
toccato il compito di guidarla verso la salvezza di Albion".
Charles
aveva uno sguardo indecifrabile e l'espressione di chi fosse stato
appena messo sotto un treno, ma il buio si era intensificato ed
Hester non ebbe occasione di notare alcunché; lei gli strinse
di nuovo la mano, quando avvertì la sua stretta vacillare.
"È
stato un errore da parte mia, quello di entrare a far parte della
sua famiglia. Nessuna di noi era mai entrata in contatto con voi
sangue reale, ma quando sua madre è morta..." la sua voce
si incrinò e Charles avvertì la pelle della mano cedere
sotto le unghie di lei, "... non ho potuto farne a meno. Lei era
così piccolo, Charles... così piccolo... come avrei
potuto...?"
Hester
si piegò in avanti e premette una mano sulla bocca con forza,
gli occhi verdi inondati dalle lacrime. Attraverso la mano che lo
stringeva ancora, Charles la sentì tremare, scossa dai
singhiozzi che stava cercando di reprimere in tutti i modi. Avrebbe
voluto consolarla, davvero, ma anche lui era umano; era umano e le
continue, nuove informazioni che stava ricevendo, sembravano via via
renderlo sempre più incapace di reagire con scaltrezza. Rimase
lì, avvolto da un buio che gli era infinitamente caro, a
lasciarsi stringere la mano dalla donna che l'aveva cresciuto come
una madre e che, come la sua famiglia prima di lei, aveva sempre
vegliato sulla sua.
Come
si supponeva avrebbe dovuto reagire una persona normale a scoperte
del genere?
Charles
non lo sapeva. Si sentiva spettatore della sua stessa vita, aveva
come la sensazione che tutto quello non stesse accadendo davvero a
lui. Era assurdo. Ogni cosa era assurda e l'assurdità rendeva
la situazione ancora più irreale. Come sarebbe potuto mai
scendere a patti con quelle informazioni? Era impossibile. Fece per
sottrarsi alla stretta di Hester, ma all'improvviso una forte fitta
di dolore gli attraversò la testa e si ritrovò a gemere
di dolore senza neanche accorgersene.
La
governante si irrigidì immediatamente e mettendo con una
facilità disarmante i suoi sentimenti in un cantuccio, si tese
verso di lui con espressione tirata.
"Ancora
quelle fitte, Charles?" domandò apprensiva.
Il
ragazzo annuì, sperando che bastasse quello, perché di
parlare proprio non ne aveva voglia; i suoi brevi ma intensi mal di
testa erano iniziati nel momento in cui aveva cominciato a fare dei
sogni strani, tra cui quell'unico che aveva condiviso con Hester. La
donna gli scostò la frangia dalla fronte e gli chiese di
raccontare il suo ultimo sogno; Charles fece una smorfia e scacciò
il senso di nausea che lo aveva assalito.
"C'era
di nuovo lui..." mormorò, tenendo gli occhi chiusi,
perché tanto sarebbe stato uguale al tenerli aperti. "Il
ragazzo con i capelli scuri e le orecchie a sventola. Lo sogno quasi
sempre, è una persecuzione..." sospirò
pesantemente, passando le mani sulla faccia sudata. Dentro la grotta
faceva un caldo terribile.
"(1)Mi
trovavo in una stanza e... ed avevo una spada in mano. Una spada di
quelle vere, Hester! E poi è entrato lui e non mi ricordo
bene... so solo che abbiamo iniziato a litigare, lui non voleva che
facessi una cosa... parlava di dimostrare saggezza, che non c'era più
bisogno di coraggio ed io continuavo a dire che no, lui non capiva,
io dovevo farlo... dovevo farlo... c'era qualcuno che dovevo
affrontare e mi stava aspettando nel cortile... abbiamo continuato a
discutere sempre di più e ad un certo punto, quando per la
rabbia gli ho puntato la spada alla gola per spaventarlo e farlo
smettere di parlare, mi sono svegliato".
Charles
tenne le mani sul volto, come a voler allontanare quella sensazione
di senso di colpa che non gli apparteneva; non era stato mica lui a
puntare contro quel ragazzo la spada alla gola, era stato l'altro,
quello del sogno. Perché diavolo doveva sentirsi così?
Stropicciò gli occhi con forza e sentì Hester muoversi
accanto lui, probabilmente cercando una posizione più comoda.
"Da
ciò che la mia famiglia si tramanda riguardo quella dei
Pendragon e dalla descrizione che lei mi ha fatto di questo ragazzo,
è possibile che si tratti del servo che le ha fatto da
valletto. Merlin, era il suo nome. Le dice niente?"
Charles
fissò intensamente l'oscurità che gli premeva sulle
palpebre.
"No..."
si risolse a dire. "Non mi dice niente".
Ed
era vero. Sentire quel nome non aveva avuto nessun effetto su di lui.
Neanche il minimo. Nonostante questo, era maledettamente certo di
aver avuto un trascorso con quel ragazzo, di essere legato a lui da
qualcosa di profondo.
"Credo
che questo Merlin e... ed il me del sogno, siano stati davvero molto
uniti. Lo posso percepire, non so spiegartelo, ma... credo che Merlin
fosse il suo migliore amico".
Hester
mugugnò un assenso e gli accarezzò il dorso della mano
che ancora stava stringendo tra le sue.
"Le
è stato accanto fino alla fine, da quanto ne so. E l'ha
aiutata in più di un'occasione, con la magia. Anche lui era un
mago, sa? Aveva il compito di proteggerla".
A
quell'affermazione, Charles si sottrasse bruscamente dal suo tocco.
"Perché
avete tutti quanti la fissa di proteggermi? Non sono un ragazzino e
non ho alcun potere magico! Non c'è niente che mi renda
diverso da un altro Charles qualsiasi, perciò smettila di
trattarmi come una sorta di Sacro Graal, Hester, od una mattina
potresti svegliarti da sola, ti avverto!"
Il
ragazzo si coricò e le diede le spalle, muovendosi a scatti
furiosi. "Ne ho abbastanza di diavolerie per oggi, non
disturbarmi più! Buona notte".
Hester
restò con le mani a mezz'aria, guardando fisso il punto in
cui, bene o male, riusciva a scorgere la sagoma scura di Charles; unì
le labbra in una linea sottile e morse l'interno della guancia,
ricacciando indietro la frustrazione.
"Buona
notte" pronunciò debolmente, ma non si sdraiò.
Restò seduta, la schiena contro la parete fredda e rocciosa, e
fissò l'oscurità appiccicosa ed umida della grotta. Chi
lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare egli
stesso un mostro. E se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche
l'abisso vorrà guardare dentro di te(2),
disse qualcuno nella sua testa che aveva la stessa voce di sua madre.
NOTE
DELL'AUTORE: un altro lunedì è giunto. Zan zan
zaaan. Come sempre, grazie a chi commenta, legge e segue e grazie
anche a Mimiwitch perché è una beta fantasmagorica. Le
cose si complicano, ma d'altro canto in questo capitolo sono presenti
anche delle piccole chiarificazioni... Asfo dà, Asfo nega. È
l'equilibrio cosmico ù_ù
Capitolo
bello corposo. Se volete, fatemi sapere cosa ne pensate :)
(1)
Il sogno descritto da Charles rende fede al nono episodio della prima
stagione di Merlin.
(2)
Friedrich Nietzsche
Asfo
|
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Capitolo 8 *** Adesso siamo pari ***
OTTAVO
CAPITOLO
8.
Adesso siamo pari
Distretto
di Bath, 24 luglio 2020
Mattina
"Non
possiamo più proseguire a piedi" aveva esordito Hester
quella mattina, dopo che ebbero tutti mangiato.
Charles
l'aveva guardata come fosse improvvisamente impazzita, ma lei non
aveva fatto una piega. "La strada è lunga" si era
giustificata, "E noi abbiamo fretta. Correremo i nostri rischi".
Alecto si era alzata in piedi e, dopo essersi stiracchiata, aveva
parlato e sbadigliato nello stesso momento: "Dov'è che
stiamo andando?" aveva chiesto, stropicciandosi la faccia
pallida. Hester aveva arricciato la punta del naso, ma
incredibilmente non aveva detto nulla di velenoso.
"Andiamo
a sud ovest" aveva risposto, piuttosto vaga.
La
seguente domanda, perciò, era stata inevitabile: "Perché
proprio a sud ovest?"
Le
due donne si erano guardate a lungo e Charles aveva ben pensato di
restarne fuori - a dirla tutta, ce l'aveva anche un po' con Hester e
non aveva molta voglia di intervenire per aiutarla -.
"Andiamo
a sud ovest perché l'ultima volta che ho visto i draghi
attaccare Londra, si sono poi allontanati in quella direzione. Adesso
sei soddisfatta?" aveva decretato la più anziana, con
impazienza e piuttosto burbera.
Alecto
aveva taciuto e non aveva fatto più domande. Ovviamente,
Hester non aveva potuto né voluto rivelare la verità a
quella ragazza; non aveva intenzione di raccontare della spada
Excalibur a chicchessia e men che meno rivelare la posizione di
quello che sapeva essere, secondo le leggende Carrow, il lago di
Avalon.
Solo
Charles aveva sollevato l'ultimo dubbio, mentre si avventuravano in
un paese vicino alla ricerca di un veicolo: "Le strade sono
bloccate, come speri di poter fare più in fretta?" aveva
chiesto ed Hester non aveva potuto fare a meno di notare quanto si
fosse mostrato rigido nei suoi confronti.
"La
qui presente signorina ha espresso il desiderio di rendersi utile, mi
sembra" aveva risposto lei, includendo Alecto nella
conversazione. "Avrà modo di farlo aiutandoci a
sgomberare la strada con la magia".
Qualche
ora dopo di certo Alecto non si sarebbe mai aspettata di dover usare
la sua magia per liberare la strada da quello che apparve in tutto e
per tutto come un enorme topo carnivoro, cieco e senza pelo. Dopo
aver rubato una macchina dall'ennesima cittadina devastata dai
draghi, non avevano potuto fare più di pochi chilometri, prima
di essere bloccati da quell'orrenda creatura. Wildeon(1), lo aveva
chiamato Hester.
"Solitamente
vivono sottoterra" aveva detto; "Probabilmente la fame l'ha
portato ad abbandonare la miniera dove siamo stati attraverso qualche
altra uscita".
Avevano
dovuto fermare la macchina e la governante, dai sedili di dietro,
aveva aggiunto sussurrando appena: "Sono ciechi come le talpe.
In compenso ci sentono benissimo ed hanno un olfatto molto
sviluppato. Fatemi pensare..."
Mentre
Hester pensava, Charles aveva starnutito; non era proprio riuscito a
trattenersi, era stata una cosa così improvvisa da lasciare
sconvolto lui stesso. Attraverso il finestrino aperto della macchina,
il suono del suo starnuto si era propagato come il rombo di un corno
che preannunciava l'inizio di una sanguinosa battaglia. Alecto ed
Hester gli avevano puntato addosso due facce inequivocabilmente
agghiacciate, dopodiché... era stato il panico.
Il
Wildeon li aveva caricati come un toro infuriato e Charles aveva
appena fatto in tempo a lanciarsi fuori dal finestrino, prima che la
macchina fosse travolta dalla ferocia di quel mostro; le altre due si
erano gettate fuori dalle portiere dell'auto ed in un breve sprazzo
di lucidità, Charles pensò con gratitudine al fatto che
avessero scelto di prendere
in prestito un
veicolo a cinque porte, altrimenti Hester ed Alecto sarebbero state
schiacciate contro i sedili posteriori dell'auto.
Il
Wildeon si muoveva fiutando la loro paura e senza neanche un minimo
di esitazione, si diresse verso Hester con l'intento di mangiarsela;
la donna iniziò a correre, ben consapevole di non avere la
minima speranza contro quella creatura - la sua magia non era
abbastanza potente -, ma il Wildeon aveva una velocità
impressionante ed accorciò le distanze con estrema facilità.
Fu a
quel punto che Alecto decise di intervenire; le sue iridi celesti ed
opache lasciarono spazio ad un'intensa sfumatura dorata ed una
scarica luminosa colpì il Wildeon su un fianco, facendolo
stridere di dolore. Senza fermare la sua corsa il mostro virò
bruscamente, scartando Hester a meno di un metro di distanza e la
donna crollò sulle ginocchia tremanti, con il cuore che a
forza di batterle furiosamente, stava sicuramente tentando di uscirle
fuori dal petto.
Alecto
sgranò gli occhi ed all'improvviso si rese conto di quello che
aveva fatto: a causa del suo atto di coraggio, la creatura aveva
deciso di prendersela proprio con lei. Cercò di pensare
velocemente a qualcosa, ad un incantesimo efficace, ma non aveva
ancora fatto i conti con la paura: lei non aveva mai utilizzato la
magia in contesti del genere e non si era mai trovata a dover
affrontare una minaccia come quella, od un combattimento; per la
prima volta, capì come dovessero sentirsi quelle persone che,
nel bel mezzo di un incendio od un terremoto, dicevano di non
riuscire più a muoversi. La sua mente non era allenata ad
affrontare il pericolo a sangue freddo ed il primo ad accorgersene fu
Charles. Gli bastò un'occhiata per capire che la ragazza era
andata nel panico e senza che glie lo avesse nemmeno ordinato, la
sua mente si attivò in automatico, lavorando freneticamente
alla ricerca di una soluzione veloce. Quando spostò gli occhi
su Hester, sembrò trovarla. Tutto si fece chiaro
all'improvviso: sapeva che cosa doveva fare.
"HESTER!"
gridò, chinandosi a raccogliere un legnetto da terra; la donna
si voltò verso di lui con aria smarrita e lo guardò
senza capire. "Trasformalo!" urlò ancora,
sventolando per aria quella specie di ridicolo bastoncino. "Come
hai fatto con il grifone!"
La
donna, come rinvigorita dal fatto di sapere finalmente cosa fare per
aiutare, si alzò in piedi ed obbedì senza fare domande:
come quelli di Alecto avevano già fatto, i suoi occhi
assunsero una sfumatura dorata e per magia, Charles si ritrovò
a stringere una spada di legno dalle notevoli dimensioni. Il ragazzo
neanche la guardò, piuttosto si rivolse alla bionda nel
tentativo di scuoterla: "Alecto! Corri! Non stare ferma lì!
Corri!"
Le
sue parole non sortirono alcun effetto: Alecto si ritrovò con
le spalle contro il tronco di un albero e solo gli Dei saprebbero
dire come fu in grado di gettarsi a terra, di lato, per schivare il
morso del Wildeon. Restò lì, scossa dai brividi,
colpita dagli acuminati pezzi di legno che la creatura stava in quel
momento spuntando per liberare le sue fauci. L'albero era andato
distrutto.
Charles
non perse altro tempo: corse alla macchina e la aggirò; usando
l'impugnatura della spada, con uno, due, tre colpi, ruppe il vetro
posteriore del veicolo, tolse il poggia oggetti e lo gettò a
terra; utilizzando le cinghie che penzolavano nel porta bagagli e che
sarebbero dovute servire per tenere immobili eventuali valigie, legò
la spada in posizione orizzontale, affinché la punta volgesse
all'esterno della macchina.
Il
Wildeon raschiò le zampe per terra e, contraendo il muso,
annusò l'aria. Ci mise meno di un minuto per individuare
Alecto, ma l'immobilità della ragazza lo costrinse ad andare a
tentoni; nel tentativo di scovare la sua preda, la creatura si
abbassò sulle zampe e quasi si sdraiò su di lei. Alecto
premette le mani sulla bocca, cercando di non gridare, ma dovette
fare violenza su se stessa per utilizzare tutto lo scarso
autocontrollo di cui disponeva. Adocchiando al volo la scena, Charles
capì che era il momento di intervenire: salì in
macchina e girando la chiave nel quadro, spinse la frizione per
mettere la retromarcia; diede gas a più non posso, abbracciò
il sedile del passeggerò e si voltò all'indietro,
facendo compiere alla macchina una vertiginosa inversione ad U.
Indirizzò
così l'estremità appuntita della spada verso il fianco
del mostro, semi sdraiato su Alecto: a quel punto, premette
completamente il piede sull'acceleratore e diede fondo a tutta la
potenza del motore. Il Wildeon fu brevemente distratto da quel rombo
improvviso che si avvicinava sempre più, ma quando si ritrovò
sotto il naso l'odore di Alecto, la fame ebbe la meglio su qualsiasi
altro istinto di sopravvivenza ed il roditore gigante assecondò
il suo stomaco: con un ruggito spalancò le fauci e le zanne
ricoperte di saliva brillarono minacciosamente agli occhi della
povera Alecto; lei chiuse le palpebre, non avendo il coraggio di
vedere come sarebbe andata a finire e dopo quella che le parve
un'eternità - o forse una frazione di secondo -, venne
completamente investita da un liquido vischioso e caldo come
l'inferno.
Un
odore forte ed acido le violentò l'olfatto e si ritrovò
ad annaspare in cerca di ossigeno pulito. Rabbrividendo per un
profondo senso di disgusto, rotolò di lato e si trascinò
sul prato secco che costeggiava l'asfalto; all'ennesima boccata di
aria, non riuscì a ricacciare indietro dei forti conati di
vomito, che vennero coperti dagli strazianti lamenti di una bestia
morente. Sentì qualcuno pronunciare delle parole, ma non
riuscì a capire un accidente: provò soltanto un'immensa
ed incommensurabile gratitudine quando avvertì una mano sulla
fronte, a reggerle la testa.
Quando
ebbe finito di rimettere anche l'anima, rimase inginocchiata per
terra, totalmente esausta; alzò le mani per ripulire gli occhi
dal liquido viscoso che andava asciugandolesi addosso e scorse le
facce preoccupate di Hester e Charles che torreggiavano su di lei -
sì, anche la bisbetica sembrava mostrare una certa
apprensione, il che aveva dell'incredibile.
"Sono
viva..." mormorò, sentendosi quasi costretta a dirlo per
poterci credere davvero.
Hester
strinse le labbra in una linea sottile e Charles annuì. Alecto
si voltò verso il punto in cui stava per essere divorata dalla
bestia e la ritrovò riversa a terra, con la punta della spada
conficcata nel fianco - dal quale ancora sgorgava copioso il sangue -
e la macchina praticamente parcheggiata contro di lei; Charles aveva
sfruttato la velocità dell'auto per infilzare quel mostro come
uno spiedino. Ancora sotto shock per tutto quello che era successo,
tornò a guardare il ragazzo biondo inginocchiato accanto a
lei.
"Adesso
siamo pari" le disse lui, con un sorriso tra i più
luminosi.
Ad
Alecto venne in mente il giorno in cui l'aveva salvato dal grifone e
pensò che avesse proprio ragione.
*
Inghilterra,
24 luglio 2020
Tarda
mattina
Non
è mai successo prima,
pensò Emrys, osservando il suo alter ego versione adulta
inchiodato alla poltrona come un condannato. E lo era. Era condannato
a non rivedere mai più il mondo, a non calpestare più
alcun suolo. Adesso che c'era lui, non avrebbe mai permesso all'altro
di soffocarlo nuovamente, di relegarlo ancora in un punto così
remoto del suo cuore da essere dimenticato pure dagli Dei.
Ma
perché si agitava così? Emrys guardò ancora il
modo febbrile in cui gli occhi di Merlin si muovevano a scatti sotto
le palpebre chiuse; le dita affusolate delle mani si contraevano e
rilassavano ad intervalli irregolari, ma vicini, ed in certi momenti
le sue spalle erano scosse da tremiti talmente intensi da far gemere
i rami che lo costringevano contro la poltrona. Il bambino si
avvicinò all'altra parte di sé con cautela, studiandone
ogni sfaccettatura con morbosa curiosità; quando gli fu
praticamente davanti, sollevando le gambe si arrampicò su
Merlin, mettendosi seduto a cavalcioni su di lui. Alzò le
manine bianche e morbide, poggiandole sulle guance del dormiente e si
avvicinò talmente tanto che le punte dei loro nasi si
sfiorarono. Gli occhi di Emrys parvero ancora più grandi ed
infantili.
"Che
succede?" domandò a bassa voce, facendo saettare lo
sguardo su tutto il viso del se stesso adulto.
"Che
succede?" ripeté subito dopo, nonostante sapesse che non
avrebbe avuto alcuna risposta. Emrys restò a fissarlo per un
tempo che parve infinito e poi, poco a poco, le sue unghie si
affossarono sempre più nella pelle del viso di Merlin, fino a
creare dei solchi.
"Dimmelo"
mormorò; "Si tratta di lui?"
Merlin
si agitò ancora, ma Emrys rimase ancorato a lui, come
incollato.
"Si
tratta di Arthur Pendragon?" chiese piuttosto diretto, mentre le
guance di Merlin venivano macchiate da alcuni rivoli di sangue, lì
dove le unghie del bambino stavano scavando nella carni; il
dormiente, neanche fosse stato sedato, si rilassò
completamente non appena quel nome fu pronunciato.
Tornò
a respirare con regolarità e gli occhi non si mossero più,
le palpebre smisero di tremare; Emrys sgranò gli occhi,
studiando l'effetto immediato e disarmante che il solo sentir
pronunciare il nome di Arthur Pendragon aveva avuto sull'altra parte
di sé e restò immobile per un minuto intero. Ad un
certo punto, la consapevolezza di quello che era appena successo si
insinuò talmente a fondo nella sua mente da fargli perdere il
controllo: unì le labbra fino a farle diventare un'unica linea
sottile, i suoi occhi dorati brillarono ancora più
intensamente, dominati da una crescente furia indescrivibile ed i
lineamenti infantili del suo viso si deformarono, sino a creare il
volto di un demonio mangiato da una gelida e violenta rabbia.
Emrys
tracciò con le unghie dei lunghi graffi sul viso di Merlin,
quattro per guancia, e quelli iniziarono a sanguinare copiosamente,
imbrattando tutto il collo del ragazzo, i rami che lo tenevano
prigioniero ed il colletto della maglia che indossava; dalle labbra
del giovane non sfuggì un singolo gemito di sofferenza, ma il
grido che Emrys fece vibrare nell'aria, iniziato come un ronzio ma
fattosi via via sempre più forte ed incontenibile, causò
l'istantaneo annuvolarsi del cielo. Il potente rombo di un tuono fece
tremare i muri della malandata dimora ed a quel punto Emrys si
allontanò di scatto dall'altro, non senza prima averlo
schiaffeggiato con tutta la forza di cui disponeva.
Arthur
Pendragon era tornato, finalmente ne aveva la certezza.
Arthur
Pendragon era tornato e se quell'altro
si era agitato così, voleva dire che era anche vicino.
"Come
osi"
sibilò malevolo il bambino, fissando il giovane con intenso
odio; "Come osi anche solo sperare?
Io lo ucciderò!" gridò, tremando da capo a piedi e
stringendo i pugni.
Un
lampo improvviso rese i tratti del suo volto spettrali e disumani.
"Lo
ucciderò!"
urlò ancora, scatenando l'inferno: iniziò a grandinare
con una violenza inaudita, i tuoni sempre più forti
squarciavano il cielo a metà. "E quando sarà morto
ti porterò la sua testa! La metterò proprio lì,
vicino a te ed a quel punto capirai che non esisterà più
nessuno capace di rispedirmi indietro! Hai capito? NESSUNO!"
La
sua voce si spense di colpo. Rimase lì in piedi, rigido come
una statua; la furia che l'invadeva lo portava a contrarre i muscoli
del volto e delle mani.
Merlin
sembrava non aver udito neanche una parola di quel che il bambino gli
aveva vomitato contro; era rimasto inerte, abbandonato contro la
poltrona, con il sangue denso e scuro che spiccava in modo
ironicamente macabro sulla sua carnagione pallida, sulle ossa degli
zigomi alti e scarni; le scie rosse avevano disegnato sul suo viso e
sul collo figure grottesche.
Quando
Emrys tornò a parlare, lo fece con un tono basso e
controllato, vibrante di promesse e di minacce: "Non ci sarà
nessun Arthur Pendragon che sarà in grado di salvarti da me,
Merlin. Questo è il mio
tempo. Il tempo più oscuro della magia stessa".
*
Distretto
di Bath, 24 luglio 2020
Pomeriggio
Charles
fissò la macchina senza vederla davvero. Se ne stava
appoggiato contro lo steccato di legno che circondava il giardino di
una piccola villetta, le braccia incrociate sul petto ed un cipiglio
pensieroso. Avevano dovuto raggiungere a piedi la città più
vicina, dopo l'incidente con il Wildeon, e per la seconda volta in un
giorno solo aveva preso
in prestito
un'altra macchina; Hester, cullata dall'andamento ritmico e calmante
del veicolo, aveva quasi subito ceduto al sonno e nonostante si
fossero fermati nuovamente, era ancora addormentata sui sedili
posteriori.
Alecto
l'aveva praticamente pregato di fare una sosta vicino qualche
abitazione, perché avere quella roba appiccicosa e puzzolente
tutta incollata addosso, era troppo da sopportare per chiunque.
Charles l'aveva assecondata, non solo perché l'odore
nauseabondo del sangue del Widleon gli faceva in effetti girare la
testa, ma perché la prospettiva di poter riuscire a farsi una
doccia l'aveva sedotto con estrema facilità. Passò le
dita attraverso i capelli ancora umidi; aveva indosso dei vestiti
puliti, anche se un po' troppo larghi: il vantaggio di potersi
intrufolare in case disabitate e comportarsi come da padroni.
Lanciò
un'occhiata verso la porta dell'abitazione, domandandosi
distrattamente se Alecto stesse bene. Spero
non sia svenuta nella doccia, non aveva una bella cera
pensò, scacciando il pensiero subito dopo: non era il caso di
fasciarsi la testa prima di sbatterla; guardò l'orologio che
portava al polso e decise che l'avrebbe aspettata altri dieci minuti,
prima di andare a controllare. Tornò a fissare la macchina
parcheggiata davanti a sé ed i suoi pensieri presero il via.
Io
sarei un Re,
constatò, senza fare una piega. Anzi,
sarei IL
Re
aggiunse, corrugando la fronte. Non aveva il coraggio di dirlo ad
alta voce, quell'assurdità suonava troppo da... da manicomio,
per i suoi gusti. E non era che si fosse già convinto della
cosa, ad essere onesti; stava ancora aspettando che Hester gli
mostrasse la prova finale, quella inconfutabile, quella di cui non
avrebbe potuto negare l'esistenza neanche in punto di morte.
Cosa
avrebbe fatto a quel punto? Cosa sarebbe venuto dopo la certezza,
dopo la scoperta, dopo l'aver ritrovato se stesso?
Forse,
la domanda più giusta da porsi era: che cosa si aspettava?
Desiderava davvero che quel viaggio confermasse le parole di
Hester... o che le smentisse? E se le avesse confermate, quali
cambiamenti avrebbe dovuto affrontare? Voleva farlo? Era davvero
disposto ad entrare in territori inesplorati? D'altra parte, dopo
tutto quello che aveva visto, non sarebbe riuscito a tornare indietro
neanche se l'avesse voluto... il suo mondo era stato sconvolto con
l'entrata in scena di variabili che aveva visto esistere soltanto nei
videogiochi. E quindi? Anche se fosse stato vero, anche se lui era
per davvero Re Arthur, non poteva smettere di essere Charles. Non
voleva perdere il sé attuale! Cosa sarebbe successo se la
prova verso la quale Hester lo stava conducendo gli avrebbe impedito
di riconoscersi? O di ricordare chi era?
Sospirò
pesantemente, gli occhi spalancati, ma persi nei meandri delle
proprie paure, fissi su un punto indefinito. Perché continuava
a sognare il ragazzo con le orecchie a sventola? Oramai, ogni
volta che chiudeva gli occhi lo vedeva. Si vedeva insieme a lui in un
castello, in mezzo ad una foresta, nel bel mezzo di una lotta oppure
seduti vicino ad un fuoco, a scambiarsi confidenze che l'avevano
fatto arrossire, perché aveva quasi potuto sentire sulle
labbra un certo sapore di intimità. Si sentiva uno spione,
provava il senso di colpa di chi assiste ad una scena privata senza
averne il minimo diritto. Eppure, una parte di lui di cui non avrebbe
mai ammesso l'esistenza, si rifiutava di guardare altrove; beveva
quelle scene come un assetato avrebbe fatto con dell'acqua fresca e
pura, anelava a scoprire tutte le sfaccettature di quello strano
rapporto di amicizia che c'era stato tra il sé Re e quel
ragazzetto dall'aria un po' malinconica, si lasciava sedurre dalla
curiosità e da ciò che doveva aver vissuto in un'altra
vita. Sapeva di non dover essere lì, ma voleva
essere lì.
Era
quello, a farlo sentire in colpa. Charles ed Arthur, due esseri
distinti che forse, volevano la stessa cosa. Perché il sé
del sogno sembrava tenere così tanto, in modo tutto suo, a
quel Merlin - così l'aveva chiamato Hester -? Cos'aveva avuto
di così speciale? Quel qualcosa, qualsiasi cosa fosse stato,
pareva avere un certo ascendente anche su di lui. Ogni volta che
sognava Merlin, provava come la sensazione di aver finalmente trovato
ciò che aveva cercato da tutta una vita.
Eppure,
non l'aveva nemmeno mai conosciuto. Com'era possibile?
"A
cosa pensi?" domandò all'improvviso qualcuno, proprio
accanto a lui.
Chiuse
ripetutamente le palpebre, riprendendo contatto con la realtà
e quando si voltò, incrociò gli occhi acquosi di
Alecto, il viso incorniciato dai lunghi capelli biondissimi, in quel
momento più scuri del normale perché bagnati. La
ragazza arcuò le sopracciglia davanti la sua faccia perplessa
e fece un piccolo passo indietro, come a volersi togliere da sola la
confidenza che si era presa. Charles finalmente scrollò le
spalle e scosse brevemente la testa.
"A
niente" rispose, piuttosto vago. "Come mai ci hai messo
tutto questo tempo?" domandò di seguito, cercando di
sviare il discorso da sé. Alecto lo guardò come fosse
impazzito.
"Hai
idea di che cosa voglia dire cercare di togliersi tutta quella roba
appiccicosa di dosso? È stato come essere immersi in un
barattolo di miele andato a male... avrei voluto vedere te!"
Charles
si ritrovò a ridacchiare. Era una ragazza stramba,
quell'Alecto... ma gli sembrava un tipo a posto.
"Senti
un po'..." iniziò, spinto da una legittima curiosità;
"Ma i tuoi sono d'accordo con il fatto che te ne vai
gironzolando per l'Inghilterra tutta sola, con i draghi in giro?"
"Perché,
tu hai chiesto il permesso a mamma e papà, prima di fare la
stessa identica cosa?" domandò per contro la ragazza,
accompagnando le parole con uno sguardo ironico.
Charles
inarcò le sopracciglia ed un sorrisetto beffardo gli piegò
le labbra.
"No,
però mi sono portato dietro la balia" commentò
sarcastico, indicando con il pollice la macchina nella quale Hester
dormiva della grossa. Alecto sembrò non avere nulla da ridire
e sospirò.
"Non
ho un buon rapporto con la mia famiglia" biascicò
semplicemente.
Charles
annuì e si limitò a guardarla, senza fare altre
domande; gli sarebbe piaciuto sapere di più, ma non le avrebbe
fatto alcuna pressione. Poteva quasi percepire sulla pelle il suo
disagio. Lei spostò il peso del corpo da una gamba all'altra e
sorrise con sarcasmo, senza nessun motivo apparente.
"Diciamo
che mia madre avrebbe preferito portarmi da un esorcista, piuttosto
che alle cene con i parenti durante le feste comandate" aggiunse
con simulata leggerezza, stringendosi poi nelle spalle. "Mi
dispiace" mormorò lui dopo qualche secondo, osservando il
volto di Alecto come se al di sotto vi fossero celati più
segreti di quanti avrebbe potuto immaginare.
Per
la prima volta, prese in considerazione l'eventualità che
forse tutto quello che pensava di aver capito di lei, fosse soltanto
un grosso fraintendimento. Su quali basi aveva tratto delle
conclusioni sul conto di quella ragazza? Lui non aveva delle basi che
la riguardavano, non le aveva affatto. Cosa glie la faceva sembrare
una tipa
a posto?
Alecto
lo guardò di sottecchi, come stesse valutando la natura di
quel mi
dispiace.
Era stato detto per circostanza? Di solito accadeva così.
"Già"
si ritrovò comunque a rispondere, senza dare troppo peso a
quello che aveva detto. "Suppongo che nessuno possa dire di
avere una famiglia perfetta."
"Già"
le fece eco Charles, sentendosi improvvisamente un po' sciocco. Cosa
avrebbe dovuto dire, a quel punto? Ci pensò un po' su, poi
sembrò decidersi.
"Fortuna
vuole che, in qualità di figli, possiamo sempre imparare dagli
errori dei nostri genitori. Possiamo scegliere di non diventare come
loro, giusto?"
Alecto
lo guardò con aria spaesata, come l'avesse colta totalmente di
sorpresa. Trascorse qualche attimo di silenzio, che si concluse con
un "Giusto" pronunciato da un'Alecto quasi senza fiato.
Quelle parole l'avevano lasciata interdetta. Charles le sorrise e con
un'amichevole pacca sulla spalla, la precedette verso la macchina.
Lei lo seguì poco dopo.
NOTE
DELL'AUTORE: buon inizio settimana! Reduce da 17 ore di lavoro
filate, mi accingo a lasciarvi questo capitolo, prima di svenire a
comando sulla prima superficie orizzontale disponibile che troverò.
Scopriamo ancora un po' il passato di Alecto che, vi piaccia o meno,
è un personaggio attivo, in questa storia. Vi anticipo che nel
nono accadrà finalmente qualcosa di concreto ed interessante.
(1):
Wildeon: enorme topo carnivoro, nudo e cieco. Descrizione ripresa
direttamente da Merlinwiki.
Au
Revoir,
Zia
Asfo.
|
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Capitolo 9 *** Excalibur ***
NONO
CAPITOLO
9.
Excalibur
Glastonbury,
Pressi Lago di Avalon, 25 Luglio 2020
Poco
dopo l'alba
"FERMATI!"
Alecto cercò di aumentare la sua velocità,
incurante dei rami che le graffiavano il viso e delle radici che, più
di una volta, l'avevano quasi fatta cadere. La cosa importante era
mantenere gli occhi puntati sul bastardo che stava scappando con il
suo
zaino sulle spalle - lo stesso che le era stato rubato a Londra.
Strinse i denti perché i polmoni le bruciavano come l'inferno,
ma non poteva fermarsi proprio adesso: anche il fuggitivo sembrava
iniziare ad accusare un certo grado di stanchezza e se solo avesse
rallentato ancora un po', forse avrebbe potuto trovare il modo di
usare la magia e fargli così passare la voglia di rubare le
cose altrui.
"È
MIO!"
gridò l'uomo, leccando velocemente le labbra con una certa
golosità.
Alecto
ringhiò per la frustrazione, ma non avrebbe saputo dire se fu
la rabbia che riuscì a farla correre più velocemente
oppure se fu il ladro a perdere terreno; eppure, quando gli fu a
circa due metri di distanza, il tipo si voltò così
velocemente che per lei fu impossibile frenare. Si schiantò su
di lui con una forza inaudita dovuta alla corsa folle ed entrambi
caddero sul terreno irregolare del bosco, in un groviglio di braccia
e gambe.
Come
in un terribile déjà-vu che Alecto avrebbe fatto
volentieri a meno di rivivere, riuscì ad aprire gli occhi in
tempo per vedere qualcosa di grigiastro che la colpì forte
sulla tempia, facendole perdere i sensi.
Sembrava
che quel goblin riuscisse piuttosto bene in quel genere di cose.
*
Glastonbury,
Lago di Avalon, 25 Luglio 2020
Qualche
minuto prima, alba
Charles
fu costretto a fermare la macchina sul ciglio della strada; la
vegetazione che circondava il lago, che aveva intravisto attraverso
alcuni alberi, gli impedì di avvicinarsi più di così.
Spense il motore e scambiò uno sguardo con le altre due,
entrambe sveglie e piuttosto pallide a causa della stanchezza.
"Perché
ci siamo fermati?" domandò Alecto, che non aveva idea del
reale motivo per il quale si trovassero lì.
Charles
guardò Hester, che come sempre intervenne a salvare la
situazione.
"C'è
un isolotto al centro di questo lago. Potrebbe essere un buon
nascondiglio per i draghi, non ci va mai nessuno".
"Certo
che non ci va mai nessuno" rispose la ragazza, corrugando la
fronte; "L'isola è circondata da mulinelli che
risucchierebbero giù anche una nave da crociera! C'era scritto
su un cartello lungo la strada, non l'hai visto? Come speri di
arrivare sino a lì per controllare se le tue supposizioni sono
esatte?"
Hester
sorrise come se dovesse avere a che fare con una bambina un po'
tarda.
"Fortuna
vuole che noi abbiamo la magia" fu la secca replica, che
onestamente aveva anche del senso logico.
Alecto
unì le labbra, ma non disse più una parola; aprì
lo sportello della macchina e scese, beandosi per degli idilliaci
istanti dell'aria fresca del mattino, quando ancora l'umidità
non cercava di squagliare la pelle. Charles la imitò subito
dopo e si guardò intorno con aria spaesata: Hester gli aveva
detto dove dirigersi, ma non aveva rivelato il perché, né
cosa lui avrebbe dovuto fare, anche se poteva immaginarlo: la Diamar
aveva parlato della spada di Excalibur e forse in tutta quella
storia, quell'isolotto c'entrava qualcosa; si girò a
guardarla, notando che quella si era già mossa e si accorse
così che aveva abbandonato la strada per avvicinarsi al
limitare della vegetazione.
Charles
intascò le chiavi della macchina e passando accanto ad Alecto,
le diede una debole gomitata per attirare la sua attenzione, poi si
diressero entrambi verso la governante. Hester non li aspettò
nemmeno, prima di immergersi tra gli alberi a passo sicuro, con la
luce del giorno che via via andava lentamente scacciando il grigiore
caratteristico del momento che intercorre tra la fine della notte e
l'inizio del mattino.
Solitamente
ci sarebbero volute solo poche ore per raggiungere il punto in cui si
trovavano, ma avevano trovato più volte la strada bloccata dai
detriti e questo li aveva rallentati moltissimo - senza contare il
fatto che Hester l'aveva costretto a viaggiare a fari spenti per
paura che i draghi li potessero notare e la luce della luna non
poteva dirsi di certo il massimo, in fatto di illuminazione.
Alecto
chiudeva la fila e Charles si perse ad ascoltare lo spezzarsi dei
piccoli rametti che cedevano al loro passaggio. Quando sbucarono
fuori la vegetazione, Hester si fermò nei pressi della riva
fangosa con le braccia abbandonate lungo i fianchi e fissò
l'isolotto: pareva talmente assorta nei suoi pensieri che
probabilmente non si accorse nemmeno di Charles, nel momento in cui
lui la affiancò; il ragazzo la guardò per l'ennesima
volta con una sorta di aspettativa dipinta sul volto ed Alecto rimase
a ciondolare poco dietro di loro, calciando senza molta convinzione
dei piccoli sassolini.
Alecto.
Alecto
era un problema, pensò Hester, la quale non aveva intenzione
di recuperare Excalibur proprio davanti a lei. Doveva trovare un modo
per farla allontanare. Finalmente prestò attenzione al suo
pupillo, che sembrava cercare di chiederle con lo sguardo 'e
adesso che facciamo? Non si può davanti a lei!'
Per
una frazione di secondo, la donna ebbe l'impulso di dire 'glie
lo avevo detto!', ma
non avrebbe saputo mai capire quale miracolo la portò a
trattenersi. Aveva saputo sin dall'inizio che quella ragazza avrebbe
solo costituito un ostacolo, anziché un aiuto. Restarono a
guardarsi per degli attimi piuttosto lunghi, almeno finché
Alecto non li interruppe con un tono un po' spazientito.
"Allora?"
proruppe. "Qual è il piano? Fissare il lago finché
l'isola non deciderà di avvicinarsi?"
Hester
fece una smorfia e si girò a guardarla con tutta l'intenzione
di risponderle per le rime, ma un fruscio proveniente dalla
vegetazione catturò l'attenzione del trio; qualche metro più
in là rispetto al punto dove erano usciti loro, le foglie si
mossero ancora. Charles si irrigidì immediatamente e, come
avesse ricevuto un comando diretto, il suo cuore iniziò
immediatamente a pompare adrenalina nel sangue. Alecto indietreggiò
sino ad accostarsi a loro, poi rimasero tutti in attesa.
Qualche
secondo dopo la testa arruffata di un uomo sulla trentina, dai
capelli castani, fuoriuscì da dietro il tronco di un albero;
sembrò non essere consapevole della loro presenza, almeno
questo sino a quando, facendo per costeggiare la riva, i suoi occhi
non si imbatterono direttamente con quelli del trio. Alecto corrugò
la fronte, avvertendo qualcosa di strano nell'aria. Lo sguardo del
misterioso uomo si fermò su di lei più a lungo che su
gli altri, in un modo che sembrava confermare le intuizioni della
giovane. Nessuno disse niente per tutta la durata di quello studio
reciproco e poi, all'improvviso, il tipo si voltò velocemente:
con un invidiabile scatto iniziò a correre come avesse la
peste alle calcagna, ripercorrendo i suoi stessi passi. Fu a quel
punto che Alecto lo vide: sulle spalle, l'uomo castano indossava il
suo zaino - quello che le era stato rubato a Londra!
Senza
pensarci su una seconda volta, scattò immediatamente
all'inseguimento dell'uomo, ruggendo un "ASPETTA!"
che ovviamente non servì a niente. Non pensò nemmeno
che, agendo senza riflettere, avrebbe dovuto dare una spiegazione del
suo comportamento a Charles e ad Hester, ma la sua mente fu occupata
da un unico pensiero fisso: recuperare lo zaino e sperare che dentro
vi fossero ancora il Triskelion e l'uovo che aveva trovato.
Charles
sgranò gli occhi nel vederla partire così in quarta e
divenne ancora più teso.
"ALECTO!"
gridò, facendo per correrle dietro, però Hester lo
trattenne con forza per un braccio e lui si girò a guardarla
con aria interrogativa. La donna scosse la testa.
"Cosa
spera di fare?" lo interrogò, cercando di risultare
ragionevole; "Recuperiamo la spada, come prima cosa.
Approfittiamo di questo momento e poi, con quella, lei potrà
essere sicuramente più utile di così per quella
ragazzina. Non possiamo più rischiare di andarcene a zonzo
disarmati".
Charles
strinse i denti, irrigidendo così la mascella; non si mosse
subito, alternando bensì lo sguardo dalla sua governante al
punto in cui Alecto era stata inghiottita dalla vegetazione. Hester
poteva quasi vederlo fremere per la voglia di fare la cosa più
logica - più
giusta.
Conosceva bene quel ragazzo e sapeva che nella sua coscienza la lista
delle priorità era settata piuttosto diversamente dalla sua:
fosse stato per lui, la spada sarebbe venuta al secondo posto.
Charles inspirò profondamente, aprendo e chiudendo i pugni più
volte e poi, con evidente difficoltà, voltò le spalle
alla schiera di alberi per fissare le acque calme e grigiastre del
lago, lo sguardo arrabbiato ed impaziente.
"Allora?"
sbottò, il nervosismo che gli si cuciva addosso di minuto in
minuto. "Cosa devo fare?"
Hester
abbassò brevemente gli occhi e poi li riportò su di
lui, ma mantenne il mento vicino al collo. "Non lo so"
ammise, con aria colpevole. In qualità di guardiana,
considerava una pecca terribile essere all'oscuro di quel genere di
cose e, anche se non era effettivamente colpa sua, non poteva fare a
meno di rimproverarsi. Se avesse fatto più ricerche, se avesse
fatto più domande, se fosse stata più intuitiva, se,
se, se...
Charles
sembrò del tutto ignaro di quello sguardo che chiedeva
implicitamente perdono; la donna si sarebbe aspettata come minimo un
insulto o una faccia allibita, ma tutto quello che il biondo fece, fu
marciare a passo spedito verso l'acqua, entrandoci dentro senza la
minima esitazione - anzi, pareva volerla calpestare.
Hester sgranò gli occhi, non sapendo che cosa pensare di
quella sua iniziativa e restò a fissarlo completamente
interdetta.
Charles?
"Charles!"
disse ad alta voce, dopo averlo pensato. Mentre lei faceva qualche
passo incerto sulla riva, il diretto interessato continuò a
marciare pieno di determinazione, fendendo quell'acqua illuminata
appena dal pallido sole sorgente; aveva le scarpe ed i pantaloni
fradici ed essendo immerso praticamente fino alla vita, presto la
maglietta avrebbe fatto la stessa fine. Quando l'acqua superò
l'ombelico, alzò le braccia, tenendole ad altezza spalle e la
sua avanzata fu rallentata appena dalla forza che l'acqua oppose
contro il suo corpo; sotto la suola delle scarpe, poteva sentire il
terreno irregolare costellato da massi, a tratti scivolosi a causa
delle alghe.
Ma
non fu a causa di quelle, che finì all'improvviso sotto la
superficie dell'acqua.
Anche
se la logica avrebbe potuto far intendere che fosse scivolato, in
realtà quello che accadde fu totalmente diverso. Il
lago lo
risucchiò verso il fondo, come se una forza invisibile lo
avesse afferrato per la caviglia con una presa degna di una tenaglia.
Charles ebbe solo il tempo di sgranare gli occhi, poi il suo grido si
perse tra le bolle d'aria e l'acqua fresca, che lo avvolse sin sopra
i capelli. Completamente sommerso, scalciò e si divincolò
come una furia, terrorizzato dalla vista della superficie che si
allontanava da lui sin troppo velocemente.
Ciò
che lo teneva per la caviglia lo trascinò giù, sempre
più giù, fino a farlo giungere sul fondo del lago,
dopodiché la pressione scomparve. Quando Charles fu libero di
muoversi nuovamente a suo piacimento, come prima cosa cercò di
nuotare verso l'alto; il cuore galoppava nel suo petto ad un ritmo
insostenibile, i polmoni gli bruciavano per mancanza di
quell'ossigeno che non aveva nemmeno fatto in tempo a prendere e,
nonostante muovesse le braccia e le gambe con quanta più
energia possibile, la superficie luminosa sembrava non avvicinarsi
neanche di un metro.
Non
ce l'avrebbe mai fatta. Sarebbe morto lì sotto, dove nessuno
avrebbe mai trovato il suo corpo e non sapeva nemmeno perché
gli fosse toccata una sorte così indegna.
Mentre
la speranza scappava da lui a gambe levate, un debole luccichio
attirò la sua attenzione. Voltò la testa verso un
gruppo di alghe ondeggianti ed attraverso il loro movimento sinuoso,
a tratti poté scorgere di nuovo lo stesso bagliore. Oramai già
arrendevole all'inerzia, si aggrappò ai massi del fondale per
trascinare il suo corpo in quella direzione e non gli venne neanche
in mente di chiedersi come mai, ad una tale profondità, ci
vedesse così bene. Quando scostò le alghe con la mano,
riuscendo persino a provare una sorta di disgusto a contatto con il
loro viscidume, per poco non si lasciò sfuggire dalle labbra
quel poco di fiato che gli era rimasto.
Era
lì, proprio davanti a lui!
C'era
una spada sul fondale, circondata da una lieve luminescenza dorata e,
se ancora la mancanza di ossigeno al cervello non gli stava causando
delle allucinazioni, se ne stava lì incastonata come stesse
soltanto aspettando qualcuno che la estraesse dal terreno melmoso!
La
afferrò, ancora prima di rendersi conto di ciò che
stava facendo. Quando la sua mano si chiuse attorno all'elsa,
un'intensa scarica elettrica lo attraversò lungo tutto il
braccio, sino ad arrivare alla testa, che si spaccò a metà
- doveva essere per forza così, il dolore fu insopportabile.
Charles gridò di un grido muto e poi, il mondo si spense.
Nel
buio che premeva contro i suoi occhi divenuti improvvisamente ciechi,
si aprì per lui un mondo tutto nuovo.
O
forse no?
No,
lui... lui conosceva quel mondo. Quello era il Castello di Camelot,
oltre il cortile interno si accedeva all'area esterna che portava
all'arena, si potevano poi raggiungere l'armeria e le stalle. E
poi... certo, da quella parte c'erano le cucine, su per la scalinata
ed oltre il grande portone invece si trovava l'androne principale e
sotto, al livello inferiore, c'erano le segrete. A sinistra invece,
sì! A sinistra c'era il corridoio che portava agli
appartamenti di Gaius e a destra c'erano le stanze dei servitori. E
poi su, su per le scale interne, verso il primo piano... la camera di
Morgana... Morgana... Oh Dio, come aveva
potuto dimenticare
Morgana? Come aveva potuto non ricordare più il volto di colei
che per lui era stata una dannazione - prima piacevole e poi
angosciante? E Gwen.
Gwen.
Dov'era
la sua Gwen? Corse, Re Arthur corse fino alle sue stanze, le stanze
che poi aveva iniziato a condividere con quella che era stata sua
moglie, l'amore della sua vita, il suo cuore...
Gwen, sono stato io? Davvero sono stato io, a permettere che ti
cancellassero dalla mia mente - dai miei occhi? Gwen!
Sua
Maestà spalancò la porta con foga e si catapultò
all'interno con il cuore che batteva all'impazzata per l'emozione ed
il rimorso e l'angoscia e la gioia; varcò la soglia delle sue
stanze guidato da un impeto furioso e lì, ad aspettarlo, c'era
davvero qualcuno. Ma non era Gwen.
In
piedi, stagliato con la schiena rivolta verso la finestra, reso
ancora più sottile dalla luce che entrava dietro le sue
spalle, c'era lui. Il suo servitore, il suo confidente, il suo
consigliere, la sua coscienza, il suo migliore
amico.
C'era Merlin.
Il
cuore di Arthur fece una capriola spaventosa, crollò giù
verso le ginocchia e nel tornare su, rimase incastrato all'altezza
dello stomaco. Merlin lo guardava, lo guardava con quei suoi occhi
blu - oh, blu, così
blu! -, che l'avevano sempre costretto a mettersi in discussione e
gli sorrideva. Arthur restò fermo poco oltre la soglia,
incerto sulle sue stesse gambe, gli occhi sgranati e le labbra
dischiuse. Nel tumulto di emozioni che lo stordì quasi a
livello fisico, un solo pensiero riuscì ad affiorare sugli
altri, limpido come l'acqua di un ruscello: Gwen non c'era, ma in
realtà era
lui
che aveva voluto veramente vedere. Lo seppe nell'istante in cui lo
vide, nell'istante in cui la quiete si appropriò della sua
mente agitata.
In
quel momento, nulla aveva importanza. Non importava che lui fosse un
Re, non importava che Merlin fosse un servitore, non importava che
lui fosse un uomo - e Merlin pure. Arthur si mosse e quando lo fece,
fu soltanto per andare a toccarlo. Voleva
toccarlo. Il bisogno che aveva di sentirlo reale,
vero, sotto
le sue mani, era persino doloroso - il bisogno di un disperato.
Allungò con decisione le dita verso di lui e nel momento in
cui fu sul punto di toccarlo, la sua testa emerse di nuovo fuori
dalle acque del lago e poté finalmente prendere un bel respiro
profondo.
Charles
tossì e sputò fuori l'acqua dalla bocca. Agitò
le braccia per restare a galla e quando trovò qualche
difficoltà nel farlo, scoprì di avere tra le dita la
spada di Excalibur. Nel pieno di una confusione mentale devastante,
udì la voce di una donna squarciare l'aria con potenza
inaudita: qualcuno gridava il suo nome.
Quando
voltò la testa verso la riva, vide Hester già immersa
nell'acqua fino a quasi la vita: nel momento in cui l'aveva visto
sparire all'improvviso sotto la superficie del lago, si era
spaventata maledettamente a morte ed era entrata subito in acqua con
tutte le intenzioni di andarlo a recuperare - a costo della sua
stessa vita. Charles nuotò verso di lei come un automa; diede
il comando alle sue braccia ed alle sue gambe di muoversi, di
raggiungere Hester, ma si sentiva estraneo a se stesso.
Ricordava
tutto. Ogni singola, piccola cosa. Era vero... era sempre
stato vero.
Neanche
un minuto dopo, Hester fu in grado di tirarselo vicino come una madre
in preda all'isteria e non gli lasciò nemmeno il tempo di
parlare; iniziò subito a guardare il suo viso, a toccargli la
testa, ad alzargli le braccia e chi
se ne fregava di Excalibur! Con
un groppo pesante come un macigno incastrato nella gola, Hester lo
esaminava ed intanto pregava, implorava che fosse tutto intero. E
Charles, fisicamente, lo era.
Quando
gli occhi verdi della donna, soddisfatti di quello che avevano visto,
corsero finalmente per tutta la lunghezza di Excalibur, un silenzio
pesante e grave cadde su di loro. Hester tentennò, ma cercò
lo stesso lo sguardo di Charles.
"È...
?" iniziò, perché aveva bisogno di conferme. Di
conferme date a voce alta. Lo sguardo perso del giovane ragazzo la
trapassò da parte a parte.
"Sì"
fu la criptica replica, detta da uno che non pareva proprio in
condizioni di parlare.
La
bocca di Hester si seccò e quindi, perché la sua
famiglia era sempre esistita solo per quello,
guardò gli occhi di Charles cercando di scorgervi la verità.
Tra tutte le generazioni che erano vissute alle sue spalle, era per
davvero toccato
proprio a
lei?
Charles
non rifuggì il suo sguardo e lasciò che la donna
leggesse dentro di lui tutto ciò che poteva - una buona
alternativa a quella di dover aprire bocca. Testa alta, lineamenti
duri e spalle incredibilmente rigide - di quelle che sapevano reggere
il peso del mondo. E poi, lei, Excalibur. Poteva esserci spazio per
qualche dubbio?
"Maestà..."
bisbigliò Hester, chinando la testa in segno di rispetto.
Ma
Charles non era un Re e non aveva intenzione di cominciare ad essere
trattato come tale; fendendo l'acqua, superò Hester guidato da
energiche falcate.
"Andiamo
a cercare Alecto" decretò, duro come la pietra.
Naturalmente, Hester poteva intuire che cosa stava accadendo: per un
po', sapeva che Charles avrebbe tenuto il mondo fuori e distante da
lui - in qualche modo doveva pur difendersi, per non cedere alla
convinzione di essere pazzo.
In
silenzio, seguì i suoi passi.
*
Glastonbury,
Pressi Lago di Avalon, 25 Luglio 2020
Mattina
presto
Quando
Alecto aprì gli occhi, sentì il volto incredibilmente
fresco. Sbatté le palpebre più volte per abituarli alla
luce del giorno e si accorse di avere la faccia bagnata. Qualcuno si
mosse accanto a lei e quando girò la testa, mise a fuoco la
faccia di Charles che teneva una bottiglietta vuota di acqua nella
mano.
"Bentornata
tra noi" esclamò il ragazzo quando la vide aprire gli
occhi ed accompagnò le parole con un debole sorriso - davvero
poco suo.
Alecto
corrugò la fronte, con un principio di mal di testa che
minacciava di aumentare piuttosto velocemente. Aiutandosi con le mani
si mise a sedere ed appoggiò un palmo sulla fronte, esaminando
la scena circostante: si trovava ancora nella vegetazione che
circondava il lago, ma non era lo stesso punto in cui era stata
colpita - probabilmente doveva essere stata trascinata. Ricordando
improvvisamente cosa stesse facendo prima di perdere coscienza,
scattò sulle ginocchia e con lo sguardo cercò
freneticamente l'uomo che aveva inseguito, trovandolo privo di sensi
e legato come un salame al tronco di un albero. Alecto inarcò
le sopracciglia e fece altalenare lo sguardo dall'uomo a Charles, che
sulla faccia aveva un'espressione beffarda.
"Ci
stai prendendo gusto a farti salvare la vita, eh?" commentò
quest'ultimo, come se le avesse letto il pensiero.
Alecto
non rispose e notò che accanto al fuggitivo c'era Hester; la
donna stava in piedi e per terra, vicino a lei, c'era uno zaino. Il
suo. Cercando di non lasciar trapelare troppa frenesia, Alecto si
alzò da terra e si avvicinò per recuperare ciò
che le era stato rubato a Londra; si chinò sullo zaino e lo
raccolse, accorgendosi immediatamente, a causa del suo peso, che
qualcosa non andava.
Lì
dentro mancava qualcosa.
Le
ci volle uno sforzo di dimensioni bibliche per evitare di aprire lo
zaino come un'isterica e controllarne il contenuto davanti agli altri
due; mantenendo un'espressione il più neutrale possibile, se
lo issò sulle spalle rigidamente e poi guardò Charles,
notando solo in quel momento che con sé aveva un oggetto
piuttosto notevole.
"E
quella dove l'hai presa?" domandò, indicando la spada
lucente. Il ragazzo esaminò la lama con espressione pensierosa
e fece un mezzo sorriso sarcastico.
"Da
una roccia" rispose, guadagnandosi uno sguardo allarmato da
parte di Hester.
Alecto
corrugò la fronte.
"Lungo
la riva del lago ci sono alcuni minerali contenenti delle tracce di
ferro. Hester ha saputo sfruttare questo dettaglio e con un semplice
abracadabra... ecco il risultato". Fece roteare la lama
nell'aria con una certa abilità.
"Non
sapevo fossi così bravo" commentò la ragazza,
impressionata.
Nemmeno
io,
fu la prima cosa che Charles pensò, ma rispose: "Da
piccolo ho preso qualche lezione di scherma. Il mio insegnante, che
era un appassionato di armi bianche classiche, mi ha insegnato a fare
qualche trucchetto con la spada”.
Hester
si rilassò visibilmente e spostò l'attenzione su
Alecto. "Conosci questo individuo, per caso?" domandò
con sospetto, osservando il volto della ragazza come a voler leggere
la verità tra le sue pieghe.
"Sì"
rispose quella. "Mi ha rubato
questo
zaino a Londra" concluse, senza entrare troppo nei dettagli; la
governante, che era tutto tranne che scema, si rivelò essere
un osso duro per l'ennesima volta.
"Che
strano" commentò infatti; "I goblin di solito rubano
soltanto le cose di valore".
Hester
poté osservare gli occhi di Alecto diventare grandi come due
palline da golf.
"Goblin?
Questo sarebbe un goblin?" domandò la ragazza,
sinceramente stupita; l'altra soppesò la sua reazione con
minuzia da laboratorio, cercando di capire se fosse una brava attrice
o se non sapesse niente per davvero.
"Sì,
è un goblin. Quando l'abbiamo legato ha cominciato a blaterare
su come i goblin, appunto, non potessero essere presi in giro così
e che non avremmo mai trovato il suo tesoro. Di che cosa stava
parlando?"
Alecto
deglutì a vuoto ed ebbe paura che gli altri due riuscissero a
sentire il ritmo frenetico con cui il suo cervello aveva iniziato a
girare. Fece altalenare lo sguardo dall'uno all'altra, sapendo di
dover trovare una spiegazione veloce.
"A-adesso
si spiega..." iniziò, tentennando appena; "Dentro lo
zaino avevo... avevo un libro e dei soldi" aggiunse, forse un
po' troppo frettolosamente.
Solo
a quel punto un pensiero le fece ghiacciare il sangue nelle vene: e
se Charles ed Hester avevano già controllato il contenuto
dello zaino mentre lei era svenuta e l'avessero appena messa alla
prova? Sbiancò visibilmente e barcollò sul posto.
"Tutto
bene?" le chiese Charles, allungando una mano verso di lei come
a volerle impedire di cadere se fosse stato necessario. Alecto si
costrinse ad annuire e con la mano asciugò il sudore sulla
fronte.
"Sì,
solo... la botta, mi gira un po' la testa, tutto qui".
Hester
non aveva mai distolto gli occhi da lei ed aveva le palpebre
socchiuse.
"E
cos'avrebbe avuto di così importante un libro, per essere
oggetto dell'attenzione di un goblin? Perché dubito che si sia
trattato dei tuoi soldi, a meno che tu non abbia una cifra
considerevole, lì dentro".
"Era
un libro di magia..."
"E
dove l'hai preso?"
"...
l'ho scritto io... tutte le cose che ho imparato, per non
dimenticarle..."
"E
come faceva a sapere il goblin che lo avevi tu?"
"...
deve... deve averlo visto quando l'ho tirato fuori per
consultarlo..."
"Non
vuoi controllare se ti manca qualcosa?" domandò ancora la
governante, risultando del tutto casuale ed Alecto esitò solo
per un istante, il sudore più abbondante che mai sulla
schiena.
"No".
"No?"
"No-
cioè, sì. Sì, adesso controllo, sì..."
Mentre
apriva lo zaino, Charles le chiese: "Alecto, sicura di stare
bene? Mi sembri confusa".
La
ragazza gli lanciò un'occhiata ed aprì la zip quel
tanto che le bastò per sbirciarvi dentro, senza far vedere
niente agli altri due.
"Sì,
te l'ho detto, mi gira solo la testa. Mi riprenderò".
Dopo
un esame attento del contenuto, lei richiuse lo zaino e se lo mise
nuovamente sulle spalle.
"Allora?"
la incalzò Hester, inarcando un sopracciglio.
"C'è
tutto" rispose Alecto, che in realtà smaniava dalla
voglia di mettere le mani alla gola a quel bastardo di un goblin per
costringerlo a dirle che diavolo di fine avesse fatto il suo fottuto
uovo. Strinse i denti e mandò giù l'istinto omicida.
"Posso
vederlo?" le chiese Hester ad un certo punto.
Arcuò
le sopracciglia e la guardò apertamente con aria di sfida:
adesso stava davvero esagerando. "No" rispose seccamente,
senza preoccuparsi di mascherare la stizza. "È
personale. È mio e soltanto io posso consultarlo".
"D'accordo"
intervenne Charles a quel punto, con aria davvero molto, molto
stanca.
"Direi
che siamo tutti un po' nervosi. Considerando che è solo
mattina, cerchiamo di non litigare o il momento di andare a dormire
non arriverà mai. Per oggi non andremo oltre, abbiamo bisogno
di riposare tutti quanti, per cui... Alecto, vieni: andiamo a cercare
del cibo che non sia in scatola, non ne posso più di legumi.
Hester, tu torna alla macchina ed aspettaci lì, mentre
venivamo a cercare Alecto mi è sembrato di aver visto una
lepre nel sottobosco".
"Che
cosa ne facciamo di lui?" domandò quest'ultima,
accennando all'uomo legato contro l'albero. Hester avanzò
verso di loro con le braccia incrociate e schioccò la lingua
contro il palato: "Lo liberiamo. Il goblin ha lasciato il corpo
non appena l'abbiamo colpito, quest'uomo non è più
posseduto".
A
quella notizia, Alecto si sentì quasi mancare: non aveva
nessuno da poter interrogare. Mentre il trio prendeva strade diverse
e la bionda affiancava Charles, notò un altro particolare che
lo riguardava.
"Cos'è
quella?" domandò, indicando una piccola ampolla che gli
pendeva dal collo, a mo' di ciondolo; il ragazzo abbassò gli
occhi e restò esterrefatto, quando la vide. Si fermò
lentamente e prese l'ampolla tra le mani, osservando il liquido
trasparente che vi era dentro.
"Non
lo so..." biascicò, corrugando la fronte; "Non ce
l'avevo prima di entrare nel lago..."
"Lago?
Cosa ci facevi nel lago?"
Charles
rimase immobile come una statua.
"Emh,
le pietre..." rispose, calcolando bene le parole; "I
minerali erano nell'acqua e così..."
Ad
Alecto quella spiegazione sembrò andare bene e si strinse
nelle spalle.
"Forse
Hester ha pasticciato un po' con la magia. Del resto, devo ammettere
che mi stupisce il fatto che sia stata in grado di creare una spada
del genere. Credo di averla sottovalutata..."
"Già,
può darsi..." mormorò Charles, sfilandosi il
ciondolo ed infilandolo nella tasca dei pantaloni; non gli andava di
portare al collo un oggetto sconosciuto e potenzialmente magico.
L'avrebbe fatto vedere ad Hester, prima.
"Allora?
Andiamo?" lo richiamò Alecto, che aveva già
iniziato a camminare; senza risponderle, si affrettò a
seguirla.
NOTE
DELL'AUTORE:
Non c'è un attimo di paceee, non c'èèè
nanana *canticchia
*
Ve
l'avevo detto che questo capitolo sarebbe stato un po' movimentato!
Finalmente Charles ha messo le mani sulla spada, ma che effetti avrà
questo sulla sua sanità mentale? ù_ù secondo
voi?
Alecto
si sta incartando sempre di più con le sue stesse menzogne...
quanto ancora potrà durare questa storia?
E
ce la farà Hester a mantenere sana la mente del suo pupillo?
Questo
e molto ancora su: Voyager!
Lol.
Oggi stavo rischiando di saltare l'aggiornamento, purtroppo mia mamma
ieri si è sentita molto male ed in questi giorni dovrò
giostrarmi con impegni ed ospedale. Alla fine l'aMMore che provo per
voi è riuscito a vincere su altre questioni e quindi eccomi
qui, volante, a lasciarvi segno del mio passaggio ù_ù
A
lunedì, bestiole!
|
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Capitolo 10 *** Incertezze ***
DECIMO
CAPITOLO
10.
Incertezze
Glastonbury,
26 Luglio 2020
Mattina
"Devo
fare pipì!"
Fu
così che Alecto riuscì ad allontanarsi da Charles ed
Hester: con una bugia. Aveva costretto il ragazzo ad accostare sul
ciglio della strada, vicino ad una casa solitaria - ne avevano
trovate pochissime ancora abitate, poiché la maggioranza della
popolazione era accorsa ai centri di rifugio
-,
e lei l'aveva aggirata per raggiungere il retro, così da avere
una sorta di privacy. A quel punto, aveva tirato fuori dal k-way
grigio il suo cellulare ed aveva premuto il pulsante verde di
risposta: "Sì" aveva esclamato, stupendosi per il
tono fermo e calmo che le era uscito fuori.
"Al"
le aveva risposto una voce familiare, quella inconfondibile di Emrys:
leggiadra come quella di un bambino, atona come quella di un essere
inanimato; quando le accarezzò l'orecchio, si impedì di
provare il consueto disagio e morse con i denti il labbro inferiore.
"È
passato
qualche giorno"
continuò lui, lentamente.
"Sì..."
"Dunque?
Cos'hai da dirmi?"
Alecto
esitò, mentre il cuore le martellava furioso nel petto. In
tutta la sua agitazione, una piccola parte di sé riuscì
a provare sincero disprezzo per il modo in cui stava reagendo nei
confronti di un bambino. Era davvero umiliante.
"Sono
vicina a trovare il ladro. Oramai ce l'ho".
"Sei
vicina? Speravo in notizie migliori".
"Mi
dispiace, la Diamar è stata troppo vaga. Le piace parlare per
enigmi, credo".
Silenzio
dall'altro capo del telefono. Aveva forse detto qualcosa che l'aveva
tradita? Magari avrebbe dovuto evitare il commento sulla Diamar... Ma
che importa? Non l'ha nemmeno mai vista,
lui,
pensò subito dopo.
"Dove
ti trovi?"
le domandò ad un certo punto Emrys ed Alecto si sentì
gelare: il giorno prima non se ne era accorta
-
perché non era mai stata nella zona lacustre e durante il
tragitto per arrivarvi si era addormentata
-,
ma quando si erano allontanati dalla vegetazione ed erano tornati
sulle strade principali, l'aveva riconosciuta: si trovavano a
Glastonbury. Esattamente dove Emrys viveva - e dove viveva anche lei,
da quando lui l'aveva accolta in casa sua. Aprì la bocca per
dire qualcosa, ma aveva come un blocco dentro la gola; senza sapere
che cosa la spinse a farlo, mentì un'altra volta.
"Poco
fuori dal centro di Londra" sputò, con un impercettibile
tremito nella voce. "Zona Fulham".
"Pensi
di averne ancora per molto?"
"No.
Come ho detto, gli sono vicina. Ho capito chi è, devo solo
trovare il momento giusto per agire".
"Bene.
Fallo arrivare in fretta questo momento, Al. Aspettare mi annoia e
non vorrai che i nostri fratelli e sorelle debbano attendere altro
tempo ancora, non è vero?"
"No,
certo che no".
"Brava.
Dobbiamo agire in fretta o tutto quello che abbiamo costruito sino ad
ora si rivelerà inutile. Tutti i tuoi sforzi, ed i miei.
Stiamo combattendo per la nostra gente, per i nostri diritti e siamo
a tanto così dalla vittoria, Al, a tanto così... Non
possiamo permetterci di rallentare proprio adesso".
"Ed
il calice?" ribatté inaspettatamente la ragazza,
lasciando il bambino senza parole per qualche idilliaco secondo.
"Come?"
cercò di riprendersi lui, senza lasciar trapelare nulla.
"Il
calice della vita" ripeté Alecto, risultando
inaspettatamente decisa. "Quando lo potrò recuperare?
Anche quella è una parte importante del piano, eppure me ne
hai parlato solo una volta. Dov'è?"
"Non
ti fidi di me?"
Alecto
unì le labbra, ricacciando indietro la frustrazione: odiava
quando le rispondevano ad una domanda con un'altra domanda. "No,
non è questo..."
"Allora
cos'è?"
domandò Emrys, con voce sferzante.
"È
che... quando arriverà il momento di prenderlo? Non voglio
che sia l'ultima cosa della lista. È importante. È
importante per me..."
"Lo
so. È importante anche per me e ti ho fatto una promessa.
Mantengo sempre le mie promesse, dovresti saperlo. È vero o no
che ti ho tirata fuori da lì dentro?"
"Sì,
ma-"
"Allora
non capisco quale sia il problema. Quando verrà il momento, ti
manderò a cercarlo. So già dove si trova".
Alecto
avrebbe voluto insistere, ma sapeva che facendolo l'avrebbe soltanto
fatto innervosire e quindi annuì, prima di rendersi conto che
lui non poteva vederla.
"Va
bene. Ti richiamo io".
L'unica
risposta che ricevette fu un click. Emrys aveva terminato la
chiamata.
*
Glastonbury,
26 Luglio 2020
Nello
stesso momento
Charles
guardò Alecto allontanarsi verso il retro della casa e
tamburellò le dita sul volante con impazienza. "Non ci
posso credere" stava dicendo, "Siamo appena partiti! Perché
diavolo non l'ha fatta prima?"
"Qual
è il problema?" domandò Hester, osservando il
movimento ritmico delle sue dita. Il ragazzo la guardò,
corrugando la fronte.
"In
che senso?" le chiese, continuando a tamburellare senza nemmeno
accorgersene.
"Non
posso credere che sia così infastidito solo perché ci
siamo dovuti fermare" replicò allora la donna, arcuando
le sopracciglia con scetticismo. "Quindi, qual è il
problema?"
Charles
distolse gli occhi da lei e li riportò sulla strada, senza
osservare nulla in particolare. Tolse le mani dal voltante e le
incrociò dietro la testa, cercando di assumere una posa del
tutto rilassata. I finestrini erano completamente abbassati, ma non
entrava un filo di vento; l'aria era immobile e satura del calore del
giorno che si era da poco avviato.
"Perché
pensi che ci sia un problema?" domandò, risultando
piuttosto casuale. Fu quasi tentato di farsi un applauso.
Hester
schioccò seccamente la lingua contro il palato: "Perché
è nervoso ed è inutile che lei tenti di fare il finto
tonto con me, signorino! Le ricordo che l'ho cresciuta e, mi dispiace
dirglielo così brutalmente, ma lei fa schifo a mentire. Dico
sul serio, mi metterei a piangere a causa della sua performance, se
non fosse che alla mia età sarebbe una reazione sconveniente".
Charles
la guardò con tanto d'occhi, ma non disse niente. Hester ne
approfittò per proseguire: "Adesso che abbiamo aperto le
porte alla sincerità, che ne dice di parlarmene? Qualsiasi
cosa le stia passando per la testa, anche se posso immaginare".
"Se
lo puoi immaginare, perché lo chiedi?"
"Sciocco!"
lo aggredì lei, facendolo un po' rimpicciolire sul sedile;
"Perché dire le cose ad alta voce, ci permette di
affrontarle! Per gli Dei misericordiosi, a volte mi chiedo se non
glie ne ho fatte passare lisce un po' troppe..."
"Direi
di no" replicò Charles, strabuzzando gli occhi, punto sul
vivo: da un certo punto di vista Hester era stata un vero generale
tedesco, cosa che suo padre aveva apprezzato enormemente.
"Comunque
sono solo pensieroso" aggiunse poi, scrollando le spalle. Hester
lo guardò con placida attenzione, facendo apparire delle rughe
intorno agli occhi verdi.
"Cosa
la turba, nello specifico?"
"Tutto!"
esplose a quel punto Charles, mulinando le mani verso il tettino
della macchina. "È come... è come se dentro di me
ci fosse un intruso!" esclamò, mentre il battito del suo
cuore accelerava senza che lo potesse controllare.
"Non
appena ho toccato la spada, ho iniziato a ricordare tutto della...
della mia vita precedente. Sono stato letteralmente affogato da una
quantità immonda di flash e nel giro di qualche secondo,
un'intera vita
è entrata dentro la mia testa! Hester, io sono ancora io. Sono
Charles! Il fatto che abbia ricordato chi sono stato in passato, non
può cambiare quello che sono adesso! Mi... mi sento diviso, mi
sento braccato! È come se ci fosse un'altra persona dentro di
me che tenta di soffocarmi! E non-" si interruppe, passando
furiosamente le mani tra i capelli biondi, che si drizzarono in tutte
le direzioni.
"Non
sono più sicuro di chi io sia veramente! Se ho recuperato i
ricordi, vuol dire che devo essere
l'altro?
E se così fosse, perché farmi vivere una vita come
Charles per poi pretendere che io vi rinunci così? Non
capisco!"
"Charles"
disse Hester, interropendo il suo flusso di parole, "Prenda un
bel respiro. Lei non deve assolutamente, in alcun modo, rinunciare a
sé. Ha detto una cosa sacrosanta: lei è quello che è,
nessuno può cambiare questa cosa e non deve nemmeno accadere".
Il
suo tono di voce era dolce e nonostante fosse basso - quasi stesse
condividendo con lui un segreto
-,
era pieno di sentimenti. Charles la guardò come sperasse che
da lei venisse una soluzione che potesse porre fine al suo
turbamento.
"Io
non ho cresciuto Re Arthur, quando sono venuta a stare da lei"
continuò Hester; "Io ho cresciuto Charles Hamilton, un
bambino iperattivo con una visione dell'interpretazione delle regole
tutta sua, se posso dirlo".
Charles
le regalò un debole sorriso.
"Quel
bambino è parte di lei, ma è anche parte di me. Non
permetterei mai, a nessuno al mondo, di portarmelo via".
"Hester..."
bisbigliò lui, avvertendo all'improvviso il forte bisogno di
abbracciarla.
"No,
mi ascolti. Quel bambino è cresciuto ed io ho fatto del mio
meglio affinché potesse diventare un uomo di cui ci si possa
dire fieri. Ed io lo sono. Sono fiera di lei, non di quello che è
stato in passato. Le gesta di Re Arthur sono rimaste nella storia,
sono diventate leggenda, ma non è per lui che io sono qui. Io
sono qui per te".
Charles
dovette distogliere lo sguardo e passarsi una mano sulla faccia, gli
occhi lucidi a causa delle corde del cuore pizzicate dalle parole di
Hester e di quella confidenza tutta speciale che le sfuggiva soltanto
nelle occasioni davvero importanti. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma
non era sicuro di poter avere totale controllo sulle sue parole,
quindi preferì tacere.
"Charles"
pronunciò la donna con gentilezza, "Tu e Re Arthur avete
soltanto dei ricordi diversi... ma siete
già la
stessa persona. Ecco perché non puoi
cambiare. Tu sei lui e lui è te".
*
Quando
Alecto era tornata, Hester aveva deciso che si sarebbero diretti a
sud; in attesa che il destino di Charles si chiarisse, aveva avuto
l'idea di condurlo dalle tre Disir(1): sperava che le loro parole
potessero infatti placare un po' di quell'ansia e di quel disagio che
rendevano il ragazzo così scostante e contrito. Al contrario
di com'era successo per la Diamar, Hester aveva la certezza assoluta
che le avrebbe trovate proprio dove era convinta che fossero, poiché
aveva fatto loro visita ben più di una volta. Tutta la
famiglia Carrow, in realtà, si era lasciata guidare dalle loro
sagge parole durante tutta la lunga veglia sulla dinastia Pendragon.
Hester
si era aspettata che Alecto avrebbe iniziato a porle delle scomode
domande come suo solito, invece non aveva detto niente e si era
limitata a guardare fuori dal finestrino; non che la cosa non le
stesse bene, ma ovviamente le parve strano. Senza considerare cos'era
successo il giorno prima: non aveva dimenticato come la ragazza si
fosse mostrata eccessivamente circospetta sul contenuto del suo
zaino... ovviamente Hester era diventata ancora più sospettosa
nei suoi confronti. C'era qualcosa, nella bionda, che non le
quadrava.
Dal
canto suo, Alecto aveva sin troppe preoccupazioni di cui occuparsi,
per anche solo pensare di avanzare delle polemiche sulla loro meta. A
stento aveva notato che Hester aveva aperto bocca.
I
suoi occhi, di un celeste scialbo e slavato, osservavano il paesaggio
sfrecciare fuori il finestrino aperto; alcune ciocche di capelli
biondi le frustavano le guance, mossi dal vento, ma era così
assorta nei suoi pensieri da non provare alcun fastidio. Una sorta di
morsa gelida le chiudeva lo stomaco ed il suo cuore batteva ad un
ritmo irregolare; si stava cacciando in una brutta situazione, se lo
sentiva nelle ossa e se solo avesse commesso un passo falso...
Strinse i denti per riflesso, mentre un'ondata di nausea le fece
fluire un po' di bile nella gola, che bruciò come avesse
ingoiato un fiammifero. Le dita sudate si contrassero sulla stoffa
dei pantaloni, ma rimase rigidamente seduta contro il sedile
anteriore della macchina.
"Si
è addormentata" esclamò improvvisamente Charles,
occhieggiando lo specchietto retrovisore.
"Cosa?"
disse Alecto, voltando la testa verso di lui con l'aria di chi stava
appena scendendo dalle nuvole.
Il
ragazzo accennò con il mento ai sedili posteriori e lei vide
che Hester si era profondamente assopita; ne approfittò per
seguire le linee che le rughe formavano sul suo volto austero e
studiò il modo perfettamente naturale in cui i fili grigi dei
suoi capelli si amalgamavano con quei pochi ancora rimasti biondi.
Chissà se, crescendo, anche lei avrebbe avuto quell'aspetto:
l'aspetto di una donna risoluta, perfettamente in grado di gestire
qualsiasi situazione e con gli occhi intelligenti. Nonostante
l'asprezza che Hester le riservava, non poté impedirsi di
augurarselo. Le sarebbe piaciuto, poter essere come lei.
"Ti
vuole molto bene" constatò senza troppa enfasi, tornando
a guardare avanti. Charles non rispose subito e per un paio di
minuti, guidò in silenzio.
"Anche
io glie ne voglio" disse ad un certo punto, quietamente, e poi
aggiunse: "Insieme a mio padre, è la persona più
importante della mia vita".
Davanti
ai suoi occhi la strada sparì all'improvviso e senza che
l'avesse desiderato davvero, baluginò inaspettatamente al suo
sguardo l'immagine del volto del ragazzo dai capelli neri, Merlin.
Charles strizzò le palpebre e scosse la testa e quando riaprì
gli occhi, davanti a lui trovò di nuovo solo l'asfalto che la
macchina stava divorando. Cosa diavolo era successo? Alecto non si
accorse dell'improvviso cambio d'umore del ragazzo, così
disse: "Si comporta come fosse tua madre".
"In
un certo senso lo è stata. Mia madre è morta quando ero
piccolo" rispose, con un tono di voce piuttosto teso. Non sapeva
per quale motivo, ma sospettava che fosse stato l'altro
sé,
a giocargli quel trucchetto. Strinse le dita sul volante e le nocche
sbiancarono.
"Mi
dispiace" tornò a parlare lei, lanciando una breve
occhiata al volto di Charles. "Se la cosa ti mette a disagio,
possiamo cambiare argomento".
"No.
No, figurati. Che cosa mi dici invece, tu, della tua famiglia?"
Stavolta
fu Alecto a mostrare un improvviso irrigidimento, ma il ragazzo non
se ne accorse, intento a guardare la strada e a fare slalom tra i
detriti.
"I
miei genitori sono entrambi vivi e vegeti" commentò
piattamente. "Mio padre era succube di mia madre e lei... beh,
lei era... particolare".
Charles
corrugò la fronte, un'improvvisa confusione sul suo volto.
"Scusa, non credo di aver capito se sono vivi oppure no. Prima
hai parlato di loro al presente, poi al passato".
Merda.
Alecto
non mosse un muscolo, tranne le dita: quelle affondarono ancora di
più nella stoffa dei pantaloni e, se li avesse tolti, avrebbe
trovato dei segni rossi molto marcati sulla pelle pallida.
"È
che... non li vedo da molto tempo" disse lentamente, così
da avere il tempo di calcolare le parole.
"Come
mai?"
"Vivo
in un collegio".
"Un
collegio?"
"Sì...
mia madre ha... ha preferito allontanarmi, quando ha scoperto che
sono... particolare. Le arrecavo imbarazzo" concluse, con
un'involuta vena ironicamente nera. Charles arcuò le
sopracciglia sin quasi l'attaccatura dei capelli e poi scosse
brevemente la testa.
"Assurdo.
Non conosco tua madre, ma se posso dirti quello che penso, credo che
un genitore che allontani così i propri figli sia meglio
perderlo che averlo. Venderei l'anima pur di riavere indietro mia
madre, invece la tua ti ha in carne ed ossa,
ma sceglie
di tenerti a distanza. Credi che una persona così meriti di
avere un figlio? La punizione di non averla vicino non è per
te, ma per lei. Se ne accorgerà".
Alecto
lo guardò, gli occhi più grandi del normale. Quando
Charles non sentì nessuna risposta, si voltò verso di
lei, notando che lo stava fissando con aria stralunata.
"Cosa?"
domandò allora, alternando lo sguardo tra lei e la strada.
"Scusa se ho detto qualcosa che ti ha offesa, non volevo farmi
gli affari tuoi".
"Perché
lo fai?" chiese per contro la ragazza, sinceramente confusa.
"Fare
cosa?"
"Perché
ti comporti così? Tu non mi conosci, Hester non si fida di me,
eppure tu non l'hai ascoltata. Hai accettato di farmi venire con voi,
mi hai salvato la vita due volte e adesso ti interessi dei miei
problemi. Fai così con tutti?"
Charles
non seppe cosa dire. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte
come un pesce fuor d'acqua e poi, molto diplomaticamente, si strinse
nelle spalle. "Boh. Cioè sì, voglio dire, non lo
so. Suppongo di sì. Non è una cosa a cui faccio caso o
mi abbiano mai fatto notare, ma... certo. Nel senso, non mi sembra di
aver fatto qualcosa di così particolare. E poi anche tu mi hai
salvato la vita, non te lo ricordi? L'hai salvata a me ed anche ad
Hester".
Alecto
fu invasa da un improvviso moto di fastidio e voltò
bruscamente la testa dall'altro lato. Lei aveva salvato loro la vita,
certo, ma non era la stessa cosa. Non meritava la gratitudine di
Charles e vedersi invece trattata con tanta attenzione, la faceva
sentire ancora più colpevole di quanto già non fosse;
le menzogne, le finzioni, i segreti, tutto le calò addosso
come un macigno in un solo istante e la ridusse ad un tombale
silenzio di frustrazione e disagio. Stava letteralmente sguazzando
nel senso di colpa.
"Inoltre,
sono sicuro che tu avresti fatto lo stesso al posto mio"
proseguì il ragazzo, come niente fosse; "Infatti non ci
hai lasciato morire quando abbiamo avuto a che fare con il grifone ed
io non potevo di certo lasciare che accadesse a te. È vero che
Hester non si fida, ma io non sono come lei. Ho bisogno che la gente
mi dia un motivo per non dargli fiducia e tu non me l'hai ancora
dato. E se proprio vuoi saperlo, mi interesso dei problemi delle
persone perché tutti, nessuno escluso, abbiamo bisogno di
qualcuno che si preoccupi per noi. Alcuni fingono di farlo, ma io non
sono così, perché non vorrei che gli altri lo facessero
con me".
Alecto
affondò i denti nel labbro inferiore con una tale veemenza
che, in pochi secondi, sentì il sapore del sangue sulla
lingua. Le parole di Charles la stavano uccidendo, parevano fatte
apposta per puntare la luce sui suoi misfatti. Lui era così...
puro,
nelle sue intenzioni, mentre lei... Emrys non faceva che ripeterle
che anche la loro causa era pura, ma per la prima volta da quando
l'aveva conosciuto, si chiese se stessero davvero facendo la cosa
giusta. Il bambino non le aveva mai trasmesso la sicurezza e la
tranquillità che Charles le aveva dato sin dal primo momento e
certe volte, dovette ammettere con fatica, si era sentita intimorita
da lui, timore che si era accresciuto con il tempo, anziché
affievolirsi.
Inghiottì
saliva mista a sangue e poi, all'improvviso, lo zaino che teneva tra
le braccia divenne piacevolmente tiepido; sgranò
impercettibilmente gli occhi e stando ben attenta a sembrare del
tutto casuale, aprì di poco la zip per sbirciare all'interno.
Ciò che vide, fece aumentare i battiti del suo cuore: il
Triskelion aveva cominciato a pulsare debolmente.
Ci
stiamo avvicinando all'uovo,
pensò, stentando a credere a quell'insperata fortuna. Chiuse
di nuovo la zip, decisa a tenere gli occhi ben aperti e non
addormentarsi: forse, se l'avesse ritrovato subito, avrebbe potuto
evitare che Emrys si innervosisse ulteriormente. Immersa nei propri
pensieri, realizzò che forse era proprio per quello che la
Diamar le aveva consigliato di unirsi a quel duo: sapeva che in quel
modo avrebbe ritrovato l'uovo! Sì, doveva essere per forza
così, si disse. Una nuova, fioca speranza la portò a
respirare con più regolarità.
NOTE
DELL'AUTORE: No vabbè. Già al decimo capitolo? Ma
scherzando stiamo?! D: ne mancano altri 10 e poi mi tolgo dalle
palle, lo giuro. Tanto lo so che vi state facendo due balle enormi
ù_u Grazie Mimiwitch, beta del mio quore, luce dei miei occhi!
E grazie a chi recensisce, legge, segue, preferisce, ricorda, schifa,
vomita, ignora eccetera eccetera. Il mio amore non conosce razzismi.
(1)Disir:
le Disir sono un trio di veggenti che interpretano il verbo della
Triplice Dea. Tutto ciò che le riguarderà non è
di mia invenzione, ma è stato tratto direttamente dal
telefilm.
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Capitolo 11 *** A carte scoperte ***
UNDICESIMO
CAPITOLO
11.
A carte scoperte
Yeovil
Country Park, 26 luglio 2020
Sera
"Non
mi piace" esordì Charles ancora una volta, al che Hester
sbuffò sonoramente.
"La
smetta di lamentarsi e faccia silenzio!" lo redarguì;
"Non possiamo sapere che razza di bestie ci siano in giro a
quest'ora!"
"Appunto"
le rispose piccato lui, stringendo tra le mani l'elsa di Excalibur;
da quando aveva recuperato tutti i suoi ricordi, paradossalmente lo
faceva sentire più sicuro brandire quella spada piuttosto che
l'idea di poter avere una pistola. "Non sarebbe meglio aspettare
che faccia giorno?"
"No,
abbiamo perso sin troppo tempo! Non mi aspettavo che ci avremmo messo
così tanto, altrimenti l'avrei fatta fermare prima. In
circostanze normali non avremmo dovuto impiegarci più di
un'ora!"
"Ma
queste circostanze non sono normali" intervenne Alecto, che
chiudeva la fila seguendo la scia dei loro passi in mezzo alla
boscaglia. Le narici di Hester fremettero.
"Sei
davvero una volpe, ragazzina. Non ti si può nascondere
niente".
"Ci
risiamo" sospirò Charles, roteando gli occhi verso il
cielo, mentre Alecto assottigliava minacciosamente le palpebre.
Rumore
di rami che si spezzano sotto i piedi.
"Ma
con l'avvicinarsi della notte diventi sempre così acida oppure
oggi è un giorno speciale?"
"Chi
ti ha detto che puoi prenderti tutta questa confidenza?!" sbottò
Hester, voltandosi verso di lei per puntarle la torcia in faccia. Tra
i rami degli alberi, baluginò il suo fascio di luce. Alecto
strizzò gli occhi e Charles si frappose tra loro.
"E
allora! Adesso basta, ti concedo altri cinque minuti,
Hester, dopodiché torneremo alla macchina e ci riposeremo fino
a domattina!"
Il
sudore che imperlava la sua fronte brillò sotto la luce della
torcia elettrica.
"Certo"
sibilò la donna, piuttosto impettita, come fosse stata offesa
dal fatto che Charles non avesse preso le sue difese. "Siamo già
praticamente arrivati".
*
"Tutta
questa segretezza per una caverna?" commentò Alecto con
un filo di sarcasmo, le sopracciglia inarcate. Cercò di
intravedere l'interno della suddetta, ma l'oscurità della
notte era troppo fitta e la luce della torcia pareva essere troppo
debole per penetrarla oltre i due metri. Spostò il peso da un
piede all'altro, stringendo lo zaino caldo tra le braccia; da quando
avevano lasciato la macchina, il Triskelion aveva iniziato a pulsare
sempre di più, segno che si trovava sulla giusta via. Eppure,
non appena si erano diretti leggermente più a est, le era
sembrato che l'intensità della sua luce fosse diminuita. Il
che voleva dire che doveva trovare un modo per tornare indietro, per
allontanarsi senza destare sospetti.
"Non
è una semplice caverna" replicò Hester,
seccamente. "All'interno sono presenti quelle che potrebbero
definirsi l'essenza in terra dell'Antica Religione. Li vedi quelli?"
Charles
ed Alecto seguirono la direzione indicata dal dito di Hester ed
alzarono gli occhi sui rami degli alberi, notando solo in quel
momento la quantità di monili che vi erano appesi. "Quelli
sono degli avvertimenti. Invitano ad onorare il suolo che stiamo
calpestando ed a mostrarci rispettosi verso gli Dei. Ci troviamo in
terra sacra" concluse la donna.
A
quel punto, Charles ci mise veramente poco a riconoscere quel posto.
Spostò lo sguardo verso l'entrata della caverna, mentre
davanti ai suoi occhi riaffiorava il giorno in cui c'era stato per la
prima volta. A quel tempo c'erano stati i suoi cavalieri con lui.
C'era stato Mordred. E c'era stato anche Merlin. Merlin, che gli
aveva detto di entrare disarmato. Merlin, che lui stesso aveva
insultato per quell'idea assurda, ridicola.
Ricordò il modo irrispettoso in cui si era fatto largo tra i
monili che, lo sapeva, erano appesi anche all'interno della caverna.
Ricordò l'accusa che gli era stata volta contro, quella di
aver offeso la Triplice Dea. Le Disir glie lo avevano detto, di
accogliere con benevolenza l'Antica Religione, di permetterle di
fiorire; lo avevano avvisato, dell'altrimenti distruzione che avrebbe
colpito il benessere di Albion. Eppure, lui... lui era rimasto cieco
e sordo, di fronte ai loro avvertimenti. Aveva voluto ignorarli.
Rivide,
come in una sorta di beffardo slow motion, il corpo di Mordred
apparire all'improvviso davanti al suo, per proteggerlo dall'asta che
le Disir avevano lanciato contro di lui come pagamento della sua
insolenza. Vedere il corpo di Mordred trafitto, assistere al suo
sacrificio... si era quasi sentito morire.
Lo
aveva mai meritato, tutto quello? Tutta la lealtà che i
cavalieri dell'altro
sé
avevano sempre dimostrato? Era stato davvero un buon re?
Forse
si era meritato il tradimento di Mordred. Si era meritato di morire
in quel modo. Se l'era meritato per non aver voluto vedere. Se l'era
meritato per non aver voluto sentire. Se l'era meritato per non aver
mai capito.
Non
ho mai capito niente, vero, Merlin?
Non
aveva mai colto il modo in cui Merlin aveva sempre cercato di
metterlo in guardia da Mordred, no. Aveva sempre preferito accusarlo
di pensare o parlare troppo, di essere un idiota. Ma l'idiota era
sempre stato lui. Non aveva mai visto nemmeno
il mago.
Se qualcuno glie lo avesse detto, avrebbe riso per una settimana.
Merlin un mago? Quello stupido? Ma
per favore.
Non
ho mai capito niente, di te, Merlin.
Quando,
insieme, erano tornati alla caverna... non era bastato deporre le
armi e dimostrare di aver imparato la lezione, non era bastato
inginocchiarsi davanti alle Disir o ammettere gli errori commessi.
Aveva implorato perdono per sé, ma sopratutto per Mordred, per
colui che in seguito gli aveva tolto la vita. E poi, di nuovo Merlin.
Ancora lui al centro delle sue decisioni, dei suoi pensieri. Aveva
chiesto il suo consiglio, gli aveva domandato: che
cosa faresti al posto mio? Accetteresti la richiesta delle Disir?
Accetteresti la magia a Camelot? E
Merlin, gli occhi lucidi di lacrime che ora
ricordava, ma che non aveva voluto vedere a quel tempo, gli aveva
risposto. Gli aveva detto che non ci sarebbe mai stato un posto per
la magia a Camelot.
Con
la consapevolezza che possedeva dal giorno in cui aveva riavuto tutti
i ricordi, Charles comprese che era come se gli avesse detto: non
ci sarà mai un posto per me
a Camelot. E
l'altro
sé
aveva permesso che fosse realmente così.
Spostò
nervosamente il peso del corpo da in piede all'altro, la gola
improvvisamente stretta da una morsa tra le più terribili:
quella della frustrazione, del senso di colpa. Merlin era stato suo
amico. Il suo più caro amico. Perché non aveva mai
capito niente?
"L'Antica
Religione..." ripeté Alecto a fior di labbra,
distogliendolo dai suoi pensieri.
Bassa
com'era, non avrebbe potuto sfiorare quei monili neanche se avesse
alzato tutto il braccio, dato che si trovavano piuttosto in alto.
Avvertì un'irrefrenabile curiosità farsi spazio dentro
di lei, ma il calore che aveva tra le braccia le ricordò
fastidiosamente quali fossero le sue priorità. Abbassò
gli occhi celesti su Hester.
"Vi
aspetto qua fuori" disse, con voce calma e naturale. "Voi
entrate e cercate di scoprire qualcosa. Io terrò fuori
eventuali minacce".
Hester
non se lo fece ripetere due volte: si sentiva più sollevata
all'idea che lei non sarebbe stata presente, quando si fosse trovata
con Charles al cospetto delle Disir. Si limitò così ad
annuire, prima di parlare con il ragazzo: "Deve lasciare la
spada all'ingresso,
Charles, perché-"
"Sì,
lo so. Me lo ricordo".
Alecto
corrugò la fronte e si voltò verso di lui. "Te lo
ricordi?" domandò, senza capire.
Hester
si schiarì la gola e Charles si bloccò nell'atto di
posare la spada a terra, accanto all'ingresso. Ci fu un lungo momento
di silenzio.
"Stamattina(1),
quando sei andata a fare... insomma, quando ci hai fatti fermare, ho
detto a Charles di questo posto e ne ho approfittato per spiegargli
qualche cosa".
"Ah"
replicò asciutta la ragazza, altalenando lo sguardo dall'uno
all'altra con espressione un po' sospettosa. Titubarono qualche altro
istante in silenzio, poi Hester batté le mani, sfregando i
palmi.
"Muoviamoci,
stare ferma mi fa sudare anche di più. Questo caldo è
atroce".
*
All'interno
della grotta, incredibilmente faceva anche più caldo. Charles
aveva come la sensazione che al suo interno vi fosse qualcosa che
pulsasse e, mentre il sudore gli colava lungo la schiena, cercò
di ricordare se anche la prima volta che c'era stato fosse stato
così. Il fascio di luce della torcia elettrica che Hester
teneva puntata a terra, rendeva appena visibili i monili che
pendevano dal soffitto, poiché l'oscurità era densa e
corposa.
"Stia
attendo a dove mette i piedi" esclamò la donna, gli occhi
verdi incollati al terreno dissestato.
"Come
ha fatto la caverna a sopravvivere durante tutti questi secoli?
Voglio dire, come ha fatto a rimanere nascosta ed alla larga dalla
civiltà?" domandò piuttosto il ragazzo, stringendo
le dita come se stesse impugnando ancora Excalibur. L'aver dovuto
lasciarla fuori l'aveva messo un po' a disagio. Del resto, l'aveva
appena ritrovata.
"Secondo
lei?" ribatté Hester, azzardando un'impercettibile nota
divertita.
"Scusa
tanto se non mi riesce naturale di pensare in versione abracadabra".
"La
scuso, a patto che lei si dimostri più comprensivo nei
riguardi della magia. Nella sua vita precedente, nonostante io possa
ben intuire perché abbia deciso di tenerla al di fuori della
vita di Camelot, non si è neanche sforzato più di tanto
per cercare di comprenderla o conoscerla".
"E
tu che ne sai?"
Hester
si girò qualche istante, lanciandogli un'occhiata valutativa.
"Le ricordo che la mia famiglia sorveglia la sua da
incalcolabili generazioni".
"Vuoi
dire che..." la voce di Charles si inceppò, incastrandosi
nella gola. Per continuare, fu costretto a schiarirla un paio di
volte. "Vuoi dire che
l'altro ha...
ha avuto degli eredi?"
Perché
non ci aveva pensato prima?
Hester
si fermò e per poco lui non le andò a sbattere contro.
Quando alzò gli occhi sul volto della donna, Charles vide che
lo stava guardando con una sorta di tenerezza mista a dispiacere.
"Sì
Charles" rispose lei, con tutta la gentilezza possibile del
mondo. "Quando Arthur morì, la regina aspettava un
bambino".
Il
ragazzo dovette appoggiarsi alla parete più vicina quando una
forte vertigine gli fece tremare le ginocchia. Prima che la sua
stessa mente potesse iniziare a lavorare contro di lui, si sforzò
di pensare: Arthur
ha avuto un figlio. Arthur.
Non io. Io non sono Arthur. Io sono Charles. Questa è un'altra
vita. Condivideremo pure gli stessi ricordi, forse la stessa anima ed
anche una punta dello stesso sangue, per forza di cose, ma non siamo
la stessa persona. La mia vita non è uguale alla sua. I miei
genitori sono diversi dai suoi. Io sono Charles.
Riaprì
gli occhi quando sentì il tocco delicato della mano di Hester
sulla propria spalla. Lei aveva la fronte solcata da alcune rughe
profonde e gli occhi verdi luminosissimi, come per combattere tutto
quel buio deprimente.
"Charles...
Dia retta a me. Non si soffermi troppo a pensare a cos'è
accaduto nel passato, in una vita che è stata la sua, ma che
ora non lo è più. Lei ha riacquistato i ricordi per un
motivo. Per pensare all'immediato futuro, oltre che al presente.
Rimuginare su ciò che fu, non cambierà l'effettivo
corso di una storia oramai già trascorsa. L'unica cosa che
otterrebbe, sarebbe quella di entrare in un insano circolo vizioso di
pensieri negativi e questa è l'ultima cosa che le serve. Ciò
che è stato, è stato. Non si dimentichi del qui
e dell'adesso.
Non si lasci incantare da fatti accaduti più di mille anni
fa".
Suo
malgrado, il ragazzo si ritrovò ad annuire e si distaccò
dalla parete rocciosa alle sue spalle. Sentì la mano di Hester
stringergli la spalla in segno di conforto e senza dire una parola,
tornò a seguirla verso il fondo della caverna.
Con
tutto quello che gli era successo e che ancora gli stava succedendo,
con tutte le cose che aveva scoperto, quelle che aveva ricordato e
quelle che stava provando... sarebbe mai riuscito, un giorno, a
provare di nuovo cosa volesse dire sentirsi sereni?
Sentirsi leggeri?
*
Alecto
si era lasciata guidare dalla luminosità e dal calore emanati
dal Triskelion. Non le era parso vero quando, dopo neanche dieci
minuti di cammino, era finita a rovistare in un cespuglio di more;
tra i rami taglienti ed i frutti succulenti, le sue dita si erano
strette intorno alla sagoma di un oggetto ovale e tiepido al tatto.
Con estrema cautela la ragazza l'aveva estratto dal fogliame e non
appena la luce del Triskelion l'aveva illuminato, l'uovo appena
ritrovato era stato come percorso da un fremito.
Non
poteva credere alla sua fortuna sfacciata. Probabilmente quell'idiota
di un goblin si era diretto nella stessa grotta in cui si trovavano
in quel momento Charles ed Hester, alla ricerca di un acquirente - se
quello che la donna le aveva detto era vero ed al suo interno si
trovavano sul serio creature appartenenti a quell'Antica Religione
che tanto aveva decantato, qual posto migliore per fare un affare
come quello?
Un affare con un drago
di mezzo!
Si
rialzò in piedi senza neanche togliere la terra dai pantaloni
ed esaminò l'uovo per assicurarsi che fosse del tutto integro;
le sua dita ne percorsero la superficie liscia con minuzia e poi se
lo portò all'orecchio, per sentire il battito della piccola
creatura che stava crescendo al suo interno.
Era
perfetto, proprio come quando l'aveva trovato la prima volta. Ma
perché il goblin l'aveva nascosto vicino la caverna? Che fosse
stato in attesa di concludere l'affare e non si fosse fidato a
portarlo con sé?
Scrollando
le spalle, la ragazza liquidò la questione: l'importante era
aver ritrovato tutta la refurtiva. Avrebbe finalmente potuto
telefonare ad Emrys e dare la buona notizia. Infilò l'uovo
all'interno dello zaino e si diresse di nuovo verso l'entrata della
caverna.
*
Trovarsi
al cospetto delle Disir gli causò un efficace timore
reverenziale, al contrario della prima volta in cui aveva messo piede
in casa loro; forse, questo dipendeva dal fatto che sapeva benissimo
quello di cui erano capaci, consapevolezza che non aveva avuto ai
tempi di Camelot.
Hester
stava di fianco a lui e con atteggiamento remissivo teneva la testa
china, in segno di rispetto. Dopo averla guardata qualche lungo
istante la imitò, ma non poté impedirsi di continuare a
lanciare occhiate furtive alle tre donne incappucciate che sostavano
poco distanti da loro. Sembrava che il tempo non avesse avuto effetto
sulle Disir o, per quel che ne poteva sapere lui, avrebbero potuto
essere state rimpiazzate da altre prescelte. Del resto, non aveva mai
visto i loro volti, quindi non avrebbe saputo dire con certezza se si
trovasse ancora al cospetto delle stesse Disir di mille anni prima
oppure no.
"Hester
Carrow..."
"...il
tuo fato di guardiana...."
"...si
è dunque compiuto".
Ah,
ma certo. Come aveva potuto dimenticare la curiosa abitudine
caratteristica delle Disir e cioè quella di completare l'una
la frase dell'altra? Se la situazione non fosse stata così
seria, avrebbe riso.
"Ho
seguito il vostro suggerimento e ci siamo diretti dalla Diamar"
svelò Hester, un dettaglio che neanche Charles aveva saputo.
Quindi erano state loro ad indirizzarli dalla Chiave di tutta la
conoscenza! Continuò a tenere la testa china, le mani
congiunte davanti a sé. "Abbiamo recuperato la spada
Excalibur, ma ora siamo di nuovo alla deriva e non sappiamo da dove
cominciare per adempiere ai nostri doveri" tornò a dire
la donna, con tono mite, ma perfettamente chiaro. Ci fu un breve
silenzio valutativo.
"Eppure
con la spada Excalibur..."
"...e
con un arduo compito da assolvere..."
"...tu
non sei qui per questo".
Hester
si irrigidì, avvertendo su di sé lo sguardo smarrito di
Charles. Sapeva che sarebbe stato inutile tentare di celare i suoi
pensieri alle Disir, ma aveva voluto comunque tentare.
"Hester...?"
sussurrò Charles, altalenando lo sguardo da lei al trio di
donne, che ora stavano guardando soltanto lui.
"Percepiamo
la confusione della tua mente..."
"...e
del tuo cuore..."
"...e
del tuo spirito".
Il
ragazzo tornò a guardare la sua governante, gli occhi
sgranati, non un briciolo di comprensione nello sguardo confuso.
Hester alzò la testa, sul volto aveva un'espressione quasi
mortificata. "Non posso più sopportare di vederla
arrancare tra sensi di colpa che non sono suoi e sofferenza. Lei non
sta bene, Charles, ed io non so cosa posso fare per aiutarla. Ma
forse loro potranno riuscire in qualche modo a confortarla".
"Cosa?"
domandò in un soffio il diretto interessato, arcuando le
sopracciglia bionde sin quasi all'attaccatura dei capelli.
Erano
andati lì per una... consulenza psicologica? Stavolta, non
poté impedirselo, una risata piuttosto secca sfuggì al
suo controllo. Scosse la testa con incredulità, incapace di
pronunciare una sola parola. Davvero, non sapeva cosa dire, era...
era assurdo. Era tutto troppo assurdo. Aprì la bocca, ma la
richiuse quasi subito, senza successo. Non poteva crederci. Non era
possibile. Con tutto quello che c'era da fare, con tutto... no.
Assurdo.
A
toglierlo dall'impiccio di dover articolare qualcosa, furono ancora
le Disir. Hester era tornata con il capo chino, le spalle ancora più
rigide di prima.
"Charles
Hamilton, Re del Passato e del Futuro, la tua coscienza è
stata risvegliata per un ben preciso scopo, dietro il quale si cela
non solo un nome, ma anche un volto..."
"...un
volto a te già noto, ma forse ben di più a colui che
fosti in passato. La tua guardiana ti ha portato qui per un motivo,
ma noi ci chiediamo..."
"...sei
veramente disposto a sentire la verità? Sei consapevole del
rischio cui andresti incontro? Le nostre parole potrebbero risultare
ben diverse dal conforto..."
Hester
alzò la testa di colpo a quell'avvertimento, ma prima che
potesse dire qualunque cosa, Charles disse: "Ho altra scelta?
Visto che il destino si è preso il disturbo di sconvolgermi la
vita senza neanche prima chiedermi se mi potesse andare bene l'idea,
direi che il minimo che io possa ricevere in cambio sia un po' di
sacrosanta onestà".
"Bene
allora" esordì la Disir al centro e tutte e tre batterono
all'unisono i loro bastoni a terra, come fosse stata appena emessa
una sentenza. "Il pericolo ti attende, ma se saprai essere
saggio e compiere bene le tue scelte, tu stesso sarai la chiave della
salvezza di Albion..."
"...il
pericolo è insito non solo nella realtà, ma anche nel
tuo cuore, poiché colui che dovrai affrontare ti porterà
a dover compiere una difficile scelta..."
"...colui
che in passato ha vegliato il tuo cammino e ti ha donato protezione,
colui che ti ha guidato verso la nascita di Albion e la tua
grandezza, è colui che ora cerca la tua distruzione e quella
di tutto ciò che avete costruito..."
Charles
corrugò la fronte, facendo saettare gli occhi da un volto
all'altro, nonostante i lineamenti delle Disir fossero celati dai
cappucci calati sulla testa. Cercò di assimilare quello che
gli era appena stato detto e di tradurlo in qualcosa che la sua mente
potesse comprendere.
Colui che in passato ha vegliato... colui che mi ha guidato e
protetto... colui che...
"Merlin?"
gli spuntò dalle labbra, all'improvviso, senza che se ne
rendesse conto. Sbatté le palpebre con inequivocabile
sconcerto, chiedendosi se l'avesse davvero detto oppure no. Non
può essere. Merlin è qui? È vivo?
L'avvertimento
delle Disir passò completamente in secondo piano, fu come se
non avessero suggerito nient'altro tranne che il nome del mago,
insito nelle loro vaghe parole.
"Dov'è?"
chiese immediatamente dopo, facendo dei passi avanti. Avvertì
il cuore impennarsi nel petto ed il respiro farsi più veloce
per l'agitazione. Merlin,
dov'è Merlin? Dove sei?
"Merlin
il Mago, questo è il nome noto tra gli uomini. Non conosciamo
la sua posizione, poiché la sua magia è potente. Invero
egli è la Magia Stessa ed in quanto tale, lo scorrere del
tempo non può avere effetto sul logoramento del suo corpo
immortale..."
"...ma
può avere effetto sul logoramento del suo spirito e della sua
coscienza. Emrys è il nome in cui egli è chiamato dai
Druidi. Ha pagato la sua immortalità a caro prezzo, poiché
ha permesso alla purezza del suo cuore di essere contaminata
dall'odio..."
"...ha
sempre saputo che un giorno saresti tornato, Arthur Pendragon, ma non
ha mai sospettato che saresti tornato a
causa sua.
È stato il suo destino, quello di soccombere al peso di una
solitaria immortalità..."
"...è
sempre stato scritto che sarebbe arrivato il giorno in cui il grande
Mago Merlin avrebbe ceduto alla fragilità delle sue emozioni,
che per oltre un millennio lo hanno tormentato..."
"...aspettando
il tuo ritorno, giorno dopo giorno, anno dopo anno, secolo dopo
secolo, ha perso di vista il significato della sua esistenza. Si è
lasciato sopraffare dal dolore della perdita di persone a lui
vicine..."
"...si
è lasciato invadere dalla paura della prospettiva di altri
mille anni da passare in solitudine, nella tua attesa, ed è a
quel punto che il richiamo oscuro dell'oblio ha avuto meglio sulla
sua forza di volontà..."
"...sei
il Re del Futuro perché è il tuo destino, quello di
dover ristabilire l'ordine delle cose, per fermare la giovane furia
del Mago Merlin, per contrastare quello che fu una delle persone a te
più care..."
"...ciò
che vi ha legato in passato, qualcosa di profondo e veramente puro, è
ciò che nel presente potrebbe risultare l'unica arma efficace
contro di lui. Siete due facce della stessa medaglia. La speranza che
rappresenti per Albion con la tua sola esistenza è pari alla
forza che avrai nel brandire Excalibur..."
"...Merlin
il Mago sapeva che il suo destino era quello di doverti aspettare,
ciò che non sapeva era che dovesse farlo in attesa che tu
giungessi per mettere fine alla sua esistenza. Sei l'unico che può
farlo".
Scosse
lentamente la testa.
La
bocca dischiusa, asciutta.
Arretrò
con passi incerti, la testa gli girava.
Charles
non ne poteva più.
Era
troppo.
Tutto
quello, era semplicemente troppo.
Le
sue gambe si mossero da sole prima che potesse anche solo pensare di
dar loro il comando di farlo.
Scappò.
Come
avesse avuto il diavolo alle calcagna, si catapultò fuori
dalla grotta, ripercorrendo a ritroso tutta la strada che lui ed
Hester avevano fatto. Nel buio totale che tornò ad avvolgerlo,
non poté vedere dove mettere i piedi ed inciampò varie
volte; finì per sbattere contro le pareti rocciose della
caverna e le sue braccia, come anche la sua faccia, si riempirono di
escoriazioni con una facilità disarmante.
Ma
Charles continuò a correre. Corse, corse e corse, finché
non venne schiaffeggiato dall'aria della sera, incredibilmente fresca
in confronto al caldo opprimente in cui era stato immerso fino a quel
momento. Eppure non bastò, non bastò minimamente;
nonostante il fiato pesante ed il sudore che gli entrava anche negli
occhi, facendoli lacrimare e bruciare, le sue gambe non si fermarono.
Le sue orecchie vennero riempite da un fischio, la testa gli pulsava
a causa del sangue che scorreva impetuoso nelle vene e la sua figura
si tuffò con disperata foga nella vegetazione.
Sassi,
buche, cespugli, rami. Altri graffi. Ma non era importante, anzi. Era
giusto.
Era
giusto.
Merlin
lo aveva aspettato. Giorni, anni, secoli, completamente da solo.
Aveva visto morire tutti coloro a cui aveva voluto bene e non aveva
potuto fare niente per evitarlo.
Era
rimasto completamente alla mercé
di
se stesso. Unico custode del suo segreto, unico custode della propria
identità, della propria unicità.
Merlin
lo aveva aspettato ed alla fine, dopo più di mille anni -
Cristo,
mille anni! - era impazzito. Aveva dato di matto.
Charles
iniziò a buttarsi quasi consapevolmente, contro i tronchi
degli alberi.
Il
dolore era giusto.
Doveva essere punito. Aveva bisogno, del dolore.
Merlin
si era perso, stava radendo al suolo Albion, aveva ucciso delle
persone.
Ed
era tutta colpa sua.
*
Quando
Alecto raggiunse l'entrata della caverna, trovò Hester con
un'espressione stravolta ed il volto sudato ed arrossato per una
qualche fatica. Corrugando la fronte e spinta da un brutto
presentimento, allungò il passo e la raggiunse velocemente.
"Che
succede?" le chiese, mentre la donna si appoggiava contro la
parete rocciosa dell'entrata con tutto il peso del corpo. Aveva il
fiatone. Quando venne interpellata, gli occhi verdi di Hester
saettarono su di lei con una luce furiosa ad animarli.
"Dove
diavolo sei andata?" sbottò con fatica, tornando ad
ansimare pesantemente. Alecto allargò un po' gli occhi pallidi
e strinse le cinghie dello zaino.
"Io..."
provò ad inventarsi qualcosa, ma non era pronta: si era
convinta di riuscire a tornare alla caverna prima che gli altri due
fossero usciti da lì dentro... ci aveva messo pochissimo,
infatti!
Hester
ringhiò come fosse stata imbizzarrita e la artigliò per
la maglietta.
"Non
mi sono mai fidata di te, non mi hai mai dato un motivo per farlo e
questo tuo atteggiamento schivo e da falsa ingenuotta mi ha
definitivamente stancata! Adesso basta!"
Alecto
si guardò intorno, alla ricerca di Charles, sperando che
sarebbe intervenuto come suo solito e scoprì che non si
trovava lì. Il suo cuore fece una buffa capriola e riportò
lo sguardo sul volto trasfigurato di Hester: era davvero
imbestialita.
"Dov'è
Charles?" mormorò, cercando di arretrare da lei, ma la
donna la seguì passo passo, spinta da preoccupazione, rabbia,
frustrazione e senso di impotenza. Con qualcuno doveva pur
prendersela.
Aveva
fatto un errore madornale. Aveva trascinato Charles dalle Disir con
la speranza che loro potessero sbrogliare la matassa confusa che da
giorni occupava la sua mente e che cosa aveva ottenuto?! Il risultato
era stato un disastro! Come aveva potuto lasciarlo accadere? E chissà
dove si era andato a cacciare in quel momento quel benedetto ragazzo!
"Attenta,
signorina, la tua magia sarà anche più forte della mia,
ma stai giocando un gioco pericoloso, perché sono molto più
vecchia di te e deve ancora nascere qualcuno che riesca a farmela
sotto il naso" sibilò la donna.
Alecto
deglutì e sentendosi braccata come non lo era mai stata,
involontariamente allontanò da sé Hester con la magia.
I suoi occhi si tinsero intensamente di oro e la donna fu sbalzata
via da lei da una spinta invisibile. Questo non fece altro che
imbufalirla maggiormente.
"Come
osi!" ruggì, il volto ancora più arrossato. "Come
osi anche solo pensare di alzare un dito su di me! DIMMI
DOVE SEI STATA!"
"DOV'È
CHARLES?!"
ribatté per contro Alecto, cercando di sovrastare la voce
della donna. Si stava lasciando prendere dal panico, la situazione le
stava sfuggendo di mano e quando le venivano gli attacchi, non era in
grado di controllare la sua magia. Hester si gettò verso di
lei a bracca tese e l'impulsività del suo attacco impedì
ad Alecto di reagire con prontezza; l'unica cosa che riuscì a
fare fu cadere a terra insieme all'altra sul fianco, per evitare di
schiacciare l'uovo sotto il peso di entrambi i loro corpi.
"NON
LO SO DOV'È, SMETTILA DI CHIEDERLO!"
gridò la donna, cercando di graffiarla. I suoi occhi divennero
dorati, anche se con meno intensità rispetto a quelli di
Alecto ed alcuni tagli abbastanza superficiali lacerarono la
maglietta ed i pantaloni della ragazza, macchiando giusto appena la
pelle di sangue. Quel che avvenne dopo, fu qualcosa di decisamente
inaspettato. L'incantesimo di Hester, nella foga della lotta, colpì
anche lo zaino di Alecto; sulla stoffa si aprì uno squarcio e,
molto semplicemente, l'uovo ne rotolò fuori, fermandosi poco
distante sull'erba.
Le
due si fermarono improvvisamente, come fossero state immortalate in
una fotografia. Con il volto girato verso l'uovo, la più
giovane che imprigionava i polsi della più grande nel
tentativo di tenere le sue mani lontane da sé, restarono in
contemplazione della sua sgradita entrata in scena.
"Per
tutti gli Dei..." mormorò Hester ad un certo punto, con
profondo e tremante sconcerto.
Si
distaccò bruscamente dal tocco di Alecto e con fatica si
rimise in piedi, senza mai togliere gli occhi dal piccolo uovo.
L'altra, finalmente libera, strisciò velocemente sul terreno
ed in men che non si dica, avvolse l'uovo tra le braccia, come a
volerlo proteggere dallo sguardo acuto ed implacabile della donna
che le stava di fronte; tenne gli scialbi occhi celesti puntati sul
terreno, l'espressione corrucciata e completamente chiusa a qualsiasi
comunicazione esterna.
Stava
per avere un attacco di panico, lo poteva sentire strisciare sotto la
pelle e stringerle il cuore in una morsa. Probabilmente sarebbe
morta. Razionalmente sapeva di non star correndo nessun pericolo di
vita imminente, ma gli attacchi di panico se ne sbattevano della
razionalità: potevano farti credere di star morendo anche se
ti fossi trovato sdraiato sotto le coperte del tuo letto, al sicuro
da qualsiasi cosa. Iniziò a respirare pesantemente, gli occhi
allucinati ed il volto inondato di sudore. Eccolo, iniziava.
"Chi
sei tu?" le domandò Hester, il tono di voce
improvvisamente controllato e molto, molto cauto. La guardò
piegarsi in avanti su se stessa, mentre il corpo magro iniziava ad
essere scosso da brividi ben visibili. La donna corrugò la
fronte, ma non osò avvicinarsi. "Smettila di fare questa
scena, questo non ti eviterà nessuna domanda. Perché
hai un uovo di drago nello zaino? Dove l'hai trovato? Che cosa vuoi
farne? Stai cercando di ingannarci?"
"Sto
morendo" soffiò flebilmente la ragazza, il volto rigato
dalle lacrime. Aprì la bocca, cercando di prendere respiri
profondi, ma qualcuno stava tentando di strozzarla! Perché
volevano ucciderla?
"Cosa?"
ripeté Hester, che non aveva ben sentito. Spinta dalla sete di
sapere, le si avvicinò, le palpebre ridotte a due fessure.
"Cosa hai detto?"
"Sto
morendo!" esclamò con più forza Alecto, in pieno
stato di agonia. Un gemito da bestia ferita fu tutto ciò che
aggiunse, prima di emettere dei versi strozzati. Hester la guardò
con aria stralunata. Che
cosa diavolo le prende? Sta cercando di farmi avvicinare per tendermi
una trappola? Sta mentendo, come ha sempre fatto sino ad ora!
Un
paio di mani rossastre afferrarono Alecto per le spalle e la tirarono
su con forza. Charles era uscito dalla vegetazione circostante ed
Hester non se ne era nemmeno accorta, troppo sbalordita da quello che
stava accadendo. Il ragazzo, con la faccia, le mani e le braccia
ricoperte di sangue, la aggirò e le si inginocchiò di
fronte, dandole dei piccoli schiaffetti sulle guance.
"Alecto!"
esclamò, il tono duro e perentorio. "Alecto, respira! Non
c'è niente che te lo impedisce, quindi respira!"
Lei
continuò a piangere, scossa da brividi sempre più
violenti.
"Guardami
Alecto, guardami in faccia!" tornò a parlare Charles, con
un tono di voce anche più alto, urgente. Le afferrò il
volto con entrambe le mani e la scosse, non troppo forte. La ragazza
socchiuse gli occhi celesti, incontrando quelli azzurri dell'altro.
"Ecco,
così. Guardami Alecto e respira. Ci siamo solo io ed Hester
qui e nessuno sta tentando di ucciderti. Torna in te. Respira!"
L'improvvisa
apparizione di Charles ebbe un effetto decisamente benefico. Seguendo
le istruzioni della sua voce, poco a poco Alecto riuscì a
controllare nuovamente il suo respiro e nel giro di dieci minuti,
smise anche di tremare e di piangere. Esausta dall'ondata di panico
appena passata, si afflosciò su se stessa come un guscio
vuoto, con le mani di Charles poggiate sulle spalle. Hester era
rimasta immobile come una statua di sale poco distante da loro, le
mani sulla bocca a coprire il grido di orrore che aveva voluto
uscirne non appena aveva messo gli occhi su Charles.
Coperto
di sangue su quasi ogni centimetro di pelle visibile.
"Che
cos'è successo?" chiese duramente il ragazzo, non appena
fu sicuro che il peggio fosse passato. Senza smettere di rassicurare
Alecto con il tocco delle sue mani, altalenò lo sguardo
dall'una all'altra, incurante di come potesse apparire il suo aspetto
ai loro occhi. A giudicare dagli occhi fuori dalle orbite con i quali
Hester lo stava guardando, doveva essere tremendo.
"Charles...
che... che cosa ha fatto?" gemette la governante, già
allungando le mani verso di lui.
"NO!"
esclamò immediatamente quello, duro come la pietra. "Adesso
le domande le faccio io, non ho intenzione di parlare riguardo quello
che è successo. Esigo una risposta, adesso.
Cosa. È. Successo". Più che una domanda, sembrò
una pretesa.
"Attacchi
di panico" si intromise la debole voce di Alecto. Charles spostò
gli occhi su di lei, osservandone il volto pallido e sudato. "Soffro
di attacchi di panico". Poi, con evidente titubanza: "Come...
come sapevi che cosa fare per aiutarmi?"
"Non
lo sapevo" rispose subito l'altro, senza nessuna espressione.
"Ho soltanto cercato di farti ragionare. E comunque, è la
prima volta che ti prende da quando sei con noi. Perché è
successo?"
Alecto
tornò ad esitare, guardando prima il terreno, poi Hester, poi
Charles e ancora il terreno. "Perché Hester si è
arrabbiata" optò alla fine, sentendosi in una posizione
di profondo svantaggio. Avevano scoperto il suo uovo. Che cosa le
avrebbero fatto?
"Non
è la prima volta che si arrabbia con te. Che differenza c'è
stata stavolta?"
A
quel punto, intervenne Hester. "La differenza, sta tra le sue
braccia!" esclamò, senza poter impedire ad un fremito di
rabbia di insinuarsi nella sua voce. Charles, finalmente, abbassò
gli occhi sull'uovo che la ragazza stava stringendo con evidente
protezione. Aveva la vista sfocata dal martellante mal di testa,
perciò ci mise qualche istante prima di capire che cosa stesse
guardando.
"Un
uovo" esclamò, piattamente. "Ti sei arrabbiata...
per un uovo?"
"Non
un semplice uovo!" attaccò ancora la donna, "Ma un
uovo di drago! Non capisce? Ci ha mentito per tutto questo tempo! Lo
sapevo, che non dovevamo fidarci di lei! Glie lo avevo detto!"
Alecto
alzò appena lo sguardo, incontrando quello di Charles fisso
sul suo volto ed in attesa di spiegazioni. Sospirò
rumorosamente e non avendo la forza di articolare chissà quale
acrobatica menzogna, quella volta optò per la verità:
"Questo è ciò che realmente il goblin mi aveva
rubato" ammise, mentre le dita accarezzavano la superficie
liscia dell'uovo.
"C'entri
qualcosa con tutto questo? Con questa storia dei draghi?" le
chiese in modo molto schietto Charles, senza il minimo tentennamento.
Avrebbe potuto chiederle 'perché
non ci hai detto la verità quando te lo abbiamo chiesto?',
ma probabilmente anche lui avrebbe mentito, al suo posto; andare a
dire in giro di avere un uovo di drago non era certo un'idea
brillante. Le braccia di Alecto si strinsero ancora di più
attorno all'uovo.
"No"
rispose lei, continuando a guardare ciò che aveva in grembo.
Non si sbilanciò a dire altro, non fidandosi minimamente della
sua voce.
"Mente!"
sibilò Hester con cattiveria, colpendola con gli occhi accesi
dalla furia.
"Cosa
ci fai con un uovo di drago?" le chiese allora Charles,
mantenendo un tono perfettamente controllato, nonostante il dolore
dei graffi ed alla testa lo stesse lentamente divorando. Ma non aveva
la minima intenzione di lamentarsene. Ad ogni gemito che si fosse
lasciato sfuggire, avrebbe personalmente provveduto a prolungare la
sua agonia.
"L'ho
trovato..." tornò a dire Alecto, sempre sulla linea della
sincerità. "A Londra. E... non potevo lasciarlo lì”.
"E dove speravi di portarlo, un uovo di drago?"
domandò Hester, sprezzante.
Da
Emrys,
fu la prima cosa che ovviamente pensò. Lui
saprebbe sicuramente che cosa fare, come è già successo
con gli altri.
Eppure, il pensiero di ritornare in quella casa non la attirava per
niente. Che fosse stata troppo condizionata da quello che la Diamar
le aveva detto? Alecto si strinse nelle spalle, infossando la testa
ancora di più. "Non lo so..." mormorò. "E
se lo avesse trovato qualcun altro?"
Per
un po', nessuno disse niente.
"Non
possiamo lasciarla andare in giro da sola con un uovo di drago"
esclamò Charles, come primo dato di fatto. "Credevo che-"
che
i draghi si fossero estinti già ai tempi di Uther,
avrebbe voluto dire, ma si morse la lingua: Alecto non poteva
sospettare che lui era la reincarnazione di Re Arthur e che quindi
sapeva in realtà già alcune cose, della magia. Hester
lo guardò con aria confusa, così come Alecto, quindi
cercò di inventarsi qualcosa per continuare.
"Credevo
che i draghi non esistessero ed ora non solo ne ho visti di giganti,
ma abbiamo anche un uovo, qui".
Ciò
che disse, anticipò un evento che dire straordinario sarebbe
riduttivo. Alecto tornò ad abbassare gli occhi sull'uovo,
guardandolo con attenzione; sotto le sue dita, poteva sentire il
pulsare forte di un cuore, oltre ad un piacevole tepore. Era così
bello, da guardare. Perfettamente ovale, liscio come marmo, con delle
venature rossastre appena percettibili ad impedirne l'altrimenti puro
candore. Le sue labbra si tesero in un piccolo sorriso affettuoso.
“Ofan
Drem(2)”
disse, parlando con una certa dolcezza. Un paio di secondi dopo si
ritrovò a battere le palpebre con perplessità, uno
strano rossore a far capolino sulle guance pallide. Guardò
furtivamente Charles ed Hester, come avesse detto qualcosa di
imbarazzante. "Scusate, è che... è così
rassicurante
il
suo calore!"
Ma
gli altri due continuavano a guardarla come se non avessero compreso
una parola di quello che aveva detto. Non capendo cosa stesse
succedendo, improvvisamente Alecto sentì l'uovo incrinarsi
sotto le sue dita; sgranò gli occhi ed abbassò subito
lo sguardo, in tempo per vedere delle crepe percorrerne la
superficie. Non
è possibile,
pensò, allibita come poche volte lo era stata. Perché
l'uovo si stava schiudendo? Emrys non le aveva ancora insegnato come
fare! Che cosa stava succedendo?
Strinse
la base dell'uovo tra le mani e la parte superiore volò per
l'aria, quando una piccola testa rugosa fece capolino dal foro
creato; il musetto di un cucciolo di drago dalle scaglie verde scuro
fece la sua comparsa, salutando il mondo esterno con un tenero verso
gracchiante. I suoi liquidi occhietti scuri guardarono dritto Alecto
e la piccola creatura fece un altro versetto delicato. La mandibola
della ragazza avrebbe potuto quasi sfiorare il terreno dalla
sorpresa.
"Ed
a quanto pare..." aggiunse Hester, lentamente, gli occhi grandi
come due palline da golf, "...abbiamo anche una signora dei
draghi".
NOTE
DELL'AUTORE: Oh mamma saura. Ma qui le cose invece di migliorare
peggiorano! Ma com'è possibile?! Eh, e chi lo sa ù_ù
*parla da sola *. L'avete sentita la musichina nella testa, alla fine
del capitolo? Quella che fa ZAN ZAN ZAAAN. Io l'ho sentita tipo una
cifra. Ma non è possibile che siamo già all'11 capitolo
ç_ç non faccio in tempo a pubblicare qualcosa che già
mi scappa via ç_ç Vabbé, bando alle depressioni.
Grazie a tutti come sempre, chi scrive, chi legge, chi segue, chi
preferisce, chi si impicca dall'orrore e dallo schifo che questa ff
può suscitare, e a chi mi BETA: Mimiwitch, scelgo te! Ok, fine
degli scleri.
(1)Fa
riferimento al capitolo precedente, poiché il giorno è
sempre lo stesso.
(2)Dare
Pace: E' scritto in draconico, preso direttamente dall'alfabeto
ufficiale di Skyrim riguardo la lingua dei draghi. Il nome del drago
quindi deriva da Peace (pace in italiano), che in draconiano si dice
Drem. Il drago si chiamerà Drem. Vi ricordo infatti, che per
far schiudere un uovo di drago, nella serie televisiva ciò che
basta è che un signore dei draghi decida il nome del drago che
dovrà nascere e che lo pronunci ad alta voce, ovviamente nella
lingua dei draghi.
Free
hugs,
Asfo
|
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Capitolo 12 *** Chance ***
DODICESIMO
CAPITOLO
12.
Chance
Yeovil
Country Park, 26/27 luglio 2020
Notte
"Ed
a quanto pare..." aggiunse Hester, lentamente e con gli occhi
grandi come due palline da golf, "...abbiamo anche una signora
dei draghi".
Charles
ed Alecto continuarono a guardare il draghetto con due facce
equamente sbalordite. La creatura si mosse all'interno del guscio
oramai schiuso e cercò di sbatacchiare le ali, sin quando
tutto il suo agitarsi non la liberò dalle deboli costrizioni
che le erano rimaste attorno. Quando ne fu in grado, spalancò
le alucce come stesse stiracchiandosi e fece per scrollarsi qualcosa
di dosso, nonostante avesse le squame perfettamente lucide e pulite.
Alecto emise un verso strozzato, volendo dire qualcosa senza però
riuscirci. Fu Hester che tornò a far sentire la sua voce per
prima. "Hai ben pensato di tenere anche questa cosa, per te, non
è vero? Sei una signora dei draghi, vorresti continuare a
farmi credere che con questa faccenda degli attacchi tu non c'entri
niente?"
"Io
non... non so come ho fatto" rispose la ragazza, il volto
stravolto dall'incredulità e, era evidente come la luce del
sole, anche dalla sincerità. "Non sapevo di poter fare
una cosa del genere, io... non so come ho fatto! Perché l'uovo
si è schiuso?!"
"Perché
hai dato un nome al drago, mi pare evidente" le rispose Hester
con impazienza, incrociando le braccia contro il petto. L'unica cosa
che ricevette fu uno sguardo completamente smarrito.
"Ho
dato un nome al drago?" ripeté lei, allibita. "Io?
Ma quando?"
"Adesso,
è ovvio!"
"Ma...
che cavolo dici? Quando l'avrei fatto?! Siete stati presenti tutto il
tempo, oppure vuoi incolparmi anche di questo?! Non ho mai detto il
suo nome, non ho nemmeno pensato di dargliene uno! Non sapevo che
funzionasse così!"
"L'unica
cosa che abbiamo sentito" intervenne Charles, moderando le
parole ed il tono della voce, "È stata una roba strana ed
incomprensibile uscire dalla tua bocca. Come se avessi parlato
un'altra lingua..."
"La
lingua dei draghi" chiarificò Hester, molto pragmatica.
"È una lingua che tutti i signori dei draghi sanno
parlare per natura. Non si può imparare, o ce l'hai o non ce
l'hai".
"Ho
parlato un'altra lingua?" Alecto si sentì un po' sciocca:
sembrava che quella sera, l'unica cosa che le riusciva fare fosse
ripetere le parole degli altri piuttosto stupidamente. Il draghetto
mosse le zampette per tastarne la solidità e solo quando lo
sentì muoversi in grembo, la ragazza constatò quanto in
realtà risultasse leggero.
"Sì"
confermò Charles, gli occhi catturati dalle movenze della
piccola creatura. Non aveva mai visto nulla di così...
speciale.
Come poteva una creatura come quella essere pericolosa?
"Ed
è così che avrai sicuramente pronunciato il suo nome"
tornò a dire, piegando la testa da un lato. Il piccolo drago
girò su se stesso e notando la curiosa posizione in cui
Charles teneva la testa, anche lui inclinò il musetto di lato,
imitando a specchio la postura del ragazzo. Charles fece uno sbuffo
di divertimento.
"Cos'è
che hai detto, prima che l'uovo si schiudesse?" le chiese
Hester, socchiudendo le palpebre sui tempestosi occhi verdi. Alecto
corrugò la fronte, cercando di fare chiarezza: era davvero
confusa e sbalordita, quindi ci mise un po' per riattivare il
cervello. "Ho detto... che il suo calore è rassicurante".
"E
prima di quello?"
"Ho
detto: tu mi dai pace. Ma non so perché l'ho fatto, voglio
dire... generalmente non dico cose di... questo genere".
Hester
abbassò gli occhi sul draghetto, che adesso stava emettendo
dei versetti gutturali all'indirizzo di Charles. "Prova a
ripeterlo guardando il drago".
Alecto
fece come le era stato detto. Guardò la creatura e disse: "Tu
mi dai pace".
"Non
così, concentrati!"
"Tu
mi dai pace".
"Ancora!"
"Tu
mi dai pace!"
Charles
sospirò pesantemente. "Non funziona così! Le stai
soltanto mettendo agitazione!" esclamò, rivolgendosi ad
Hester; la donna strinse le labbra, ma si ammutolì, poiché
era appena stata offesa l'indiscutibile efficacia dei suoi metodi.
Charles
riportò lo sguardo su Alecto ed arcuò le sopracciglia
bionde, appena visibili sotto le macchie di sangue che andavano
seccandosi. "Perché non provi a toccarlo? Quando te la
senti, tenta di dirlo ancora".
La
ragazza annuì debolmente e piuttosto esitante, allungò
le mani verso il drago; la creatura si girò verso di lei e
senza alcun timore, avvicinò il musetto alle sue dita,
annusandone la pelle. Passarono soltanto pochi istanti, poi il
draghetto fece un versetto delicato e strusciò il muso contro
il palmo della sua mano destra; Alecto abbozzò un piccolo
sorriso dall'aria intenerita e dopo aver raccolto un po' di coraggio,
accarezzò la testolina della creaturina come fosse stata fatta
di cristallo.
"Rok
mi ofan Drem(1)" disse allora, piano, parole con sembianze di un
segreto. Alzò di colpo gli occhi su Charles e vide che anche
lui stava sorridendo.
"L'ho
sentito" disse lei, con genuino stupore. "Stavolta l'ho
sentito!"
Hester
continuò a restare in silenzio, ma i suoi occhi non si persero
un passaggio. Nell'udire la voce di Alecto, il draghetto si era
girato verso di lei ed aveva sgambettato fino ad issarsi sulle zampe
posteriori. Stava rispondendo al suo richiamo.
"Drem"
disse allora lei, che con quella parola ottenne un gioioso sventolio
di coda acuminata. "Il suo nome è Drem. Vuol dire Pace".
"Hai
scelto un nome davvero... singolare" commentò Charles
corrugando la fronte, ma pentendosene subito dopo: il mal di testa
gli annebbiò la vista per qualche secondo. Alecto alzò
lo sguardo su di lui, aspettandosi che continuasse; quando il dolore
scemò un poco, Charles inumidì le labbra secche e tornò
a dire: "Considerando il disastro che i suoi simili stanno
combinando, questi draghi mi sembrano tutto tranne che portatori di
pace".
Alecto
strinse i denti, senza distogliere lo sguardo. L'unico problema era
che loro due avevano un concetto diverso di pace; lei stava
combattendo per una giusta causa, per ottenere la pace universale tra
gli esseri magici e quelli non magici. Quell'attacco di forza era
necessario per raggiungere il cambiamento completo e comunque, lei ed
Emrys avrebbero posto rimedio a tutti coloro che nel mezzo erano
rimasti vittime di quella rivoluzione. Quindi Drem avrebbe
sicuramente portato la pace. La pace per tutti, la pace che intendeva
lei. Strinse le labbra in una linea sottile e preferì non
rispondere, poiché la sua situazione era già abbastanza
precaria di per sé.
"Quindi
vorresti farmi credere che non sapevi di essere una signora dei
draghi?" le chiese Hester, le sopracciglia inarcate a mostrare
tutto il suo scetticismo.
Alecto
scosse la testa. "No, certo che no. Chi avrebbe potuto dirmelo?
Quante streghe pensi che ci siano, in giro? Credevo che i draghi
nemmeno esistessero." Ed era vero. Prima di Emrys, aveva
addirittura quasi creduto a sua madre; aveva creduto di essere
indemoniata. Ma cosa ne poteva sapere, lei, della verità? Nel
2020 non c'era nessuna
verità,
per quelli come lei.
"E
perché quando sono uscita dalla caverna non c'eri?"
A
quella domanda, Alecto sentì lo sguardo di Charles bucarle la
faccia. Hester non avrebbe allentato la presa, non prima di aver
chiesto tutto quello che aveva da chiedere. "Perché avevo
cominciato a sentirmi male" rispose la ragazza, approfittando
dell'attacco di panico verificatosi poco prima. "Ho pensato che
camminare mi avrebbe aiutata ad evitare la crisi, poi tu mi sei
saltata al collo ed è andato tutto alle ortiche".
"Ah,
ma certo. La crisi" esclamò la donna, schioccando
seccamente la lingua contro il palato.
Alecto
sentì crescere un moto di furia dentro di sé ed affondò
le dita nella stoffa dei pantaloni; perché quella vecchiaccia
doveva essere sempre così odiosa?
Charles, con tono profondamente stanco, come al solito intervenne:
"Ne ho abbastanza, per questa notte. Ho bisogno di riposare,
quindi adesso mi riprendo Excalibur e ce ne andiamo tutti alla
macchina. In silenzio".
"E
senza fare domande" aggiunse, quando vide Hester di nuovo in
procinto di controllare le sue ferite. Si trattava per lo più
di graffi che si era procurato andando a sbattere accidentalmente
contro le pareti, nell'oscurità totale della grotta - meno
accidentalmente quando si era gettato a capofitto in mezzo alla
boscaglia. Probabilmente sarebbe spuntato qualche livido sotto lo
strato di sangue, ma non aveva ferite gravi; il suo aspetto tremendo
faceva solo sembrare la cosa peggiore di quanto fosse in realtà.
Era
stufo di pensare ogni volta a qualche problema che necessariamente
doveva
venire
sempre prima dei suoi; aveva corso, si era sfogato, ma quel peso nel
petto non era sparito, non era sparito per niente. Aveva bisogno di
pensare, di ricavarsi uno spazio per sé e sperò
ardentemente che le sorprese, per quella notte, fossero terminate.
Non ce la faceva più.
*
Tornati
alla macchina, con un incantesimo Alecto aveva ripulito alla bell'è
meglio la pelle ed i vestiti di Charles da tutto il sangue che aveva
addosso; la magia ebbe dei risultati piuttosto soddisfacenti,
nonostante qualche macchia ostinata che restò aggrappata alla
stoffa della t-shirt. Charles non l'aveva nemmeno ringraziata e si
era immediatamente infilato in macchina, abbandonandosi contro il
sedile anteriore in preda ad un'emicrania da record; una volta chiusi
gli occhi, piombare in un sonno profondo era stato veramente troppo
facile.
Con
il pungente odore del sudore misto a sangue che impregnava la sua
pelle ed i suoi indumenti, iniziò a sognare; l'odore di sudore
rimase, ma quello del sangue venne sostituito da qualcosa di più
gradevole, un po' dolciastro, come legno di pino bruciato. (2)Charles
aprì lentamente gli occhi e la prima cosa che vide fu il
fuoco: stava seduto per terra vicino ad un piccolo falò, la
cotta di maglia pesava sulle sue spalle ed il sudore gli colava lungo
la schiena, appiccicando la casacca di stoffa leggera alla pelle
accaldata; inspirando anche più a fondo, insieme al profumo di
pino bruciato riuscì ad avvertire anche quello classico del
cuoio, che era solito indossare con la sua tenuta da caccia o da
battaglia. Stava fissando il fuoco con aria profondamente assorta, le
gambe piegate vicino al petto ed i gomiti poggiati sulle ginocchia.
"Tutte
le volte che ho affrontato un pericolo" iniziò, con tono
di voce sommesso ed incrinato da una sorta di dolore, "Non mi
sono mai preoccupato di dover morire".
"Non
penso dovreste farlo ora" rispose immediatamente Merlin, che
ovviamente era seduto di fianco a lui. Non c'era stato un attimo di
esitazione, nella risposta che aveva formulato con forza. Arthur si
voltò a guardarlo con l'aria di chi si era momentaneamente
perso e Merlin abbassò quasi subito lo sguardo.
"Certe
volte sei un enigma, per me" esclamò il Re, spostando di
nuovo gli occhi azzurri verso il fuoco, senza realmente vederlo. Le
parole vennero pronunciate con un impercettibile fastidio.
"Non
mi avete mai capito fino in fondo" replicò Merlin,
sfoderando la sua solita insolenza. Di certo non si poteva dire che
avesse peli sulla lingua.
"No"
disse infatti Arthur, annuendo. Avrebbe voluto aggiungere altro, ma
cosa poteva dire? "Bé..." mormorò l'altro,
senza distogliere gli occhi blu dal volto del sovrano, almeno sino a
quando non aggiunse: "Le cose sarebbero diverse se fossimo stati
buoni amici".
Il
Re continuò a guardare il fuoco e raggrumò appena le
labbra; e quello che cos'avrebbe dovuto significare? Che non lo
erano? Non erano buoni amici? Possibile che Merlin non avesse nemmeno
notato la differenza tra il modo in cui trattava lui
ed
il modo in cui trattava 'solo'
il
resto del mondo?
"Già"
si limitò a rispondere, con una sorta di amarezza.
"Se
non foste stato un arrogante e tronfia testa di fagiolo"
aggiunse inaspettatamente il moro, sottintendendo che sì,
sapeva che esisteva una differenza. Sapeva di aver sempre ricevuto un
trattamento di favore. Arthur non riuscì a reprimere uno
sbuffo di divertimento ed abbassò brevemente lo sguardo,
scuotendo la testa; quell'idiota riusciva in qualche modo a lasciarlo
sempre senza parole.
"Ma
le cose non vanno sempre come ci si aspetta" esclamò
Merlin, mentre la voce assumeva nuovamente una sfumatura di serietà.
Tornarono entrambi a fissare il fuoco, perché parlare di quel
genere di cose senza guardarsi negli occhi era molto più
facile.
"Vedrete..."
continuò il moro; l'evidente titubanza con la quale pronunciò
quella singola parola, fece voltare Arthur verso di lui; si
scambiarono un breve ma significativo sguardo eppure, come i
precedenti, svanì in fretta. Nell'aria c'era odore di qualcosa
lasciato in sospeso. "Sconfiggeremo i Dorocha, lo faremo..."
il mago annuì alle sue stesse parole, per convincere entrambi
di quella possibilità. "...Insieme".
Si
guardarono ancora. Arthur accennò un piccolo sorriso, che
svanì in un battito di ciglia.
"Lo
apprezzo" replicò, prima di aggiungere un cenno di
intesa.
Fu
in quel momento, che prese la sua decisione definitiva; era da un
po', in realtà, che ci stava pensando, ma non aveva mai
trovato l'occasione adatta per farlo - o magari il coraggio. Eppure,
sentiva che quello era il momento giusto. Che Merlin,
era la persona giusta. Si voltò e rovistò nella
bisaccia, trovando praticamente subito quello che stava cercando:
estrasse un piccolo sacchetto di cuoio scuro e dopo averlo aperto,
sul palmo della sua mano scivolò un medaglione di ferro
abilmente scolpito, dall'aria importante; era diviso in quattro da
una croce ed al centro c'era la figura di un piccolo volatile.
"Apparteneva
a mia madre" spiegò con tranquillità,
accarezzandone i rilievi, mentre sentiva lo sguardo di Merlin su di
sé come fosse stato qualcosa di palpabile, di concreto.
"Rappresentava il suo stemma" continuò, cercando di
combattere contro il nodo che gli aveva stretto improvvisamente la
gola; lo osservò intensamente per qualche altro secondo e dopo
averlo accarezzato un'ultima volta, lo porse all'altro ragazzo.
"Tieni"
disse, alzando finalmente gli occhi su di lui. Merlin chiuse le dita
attorno al medaglione e lo osservò con attenzione.
"Arthur,
non posso-" iniziò a protestare, ma il Re lo interruppe
con fermezza: "Solo... prendilo e basta". Fissò con
convinzione i suoi occhi, lasciando intendere che no, non avrebbe
accettato di essere contraddetto. Lui era il Re.
Merlin
sostenne il suo sguardo per un po' e poi lo abbassò di nuovo
sul medaglione; Arthur ne approfittò per tornare a guardare il
fuoco, per prendersi una pausa dall'emozione che lo aveva colto
impreparato. Non aveva immaginato che si sarebbe rivelato così
difficile separarsi da quell'oggetto, eppure ebbe la netta e viva
sensazione che quella fosse davvero l'unica
cosa giusta da fare.
*
"Avete
trovato quello che stavi cercando, nella caverna?"
Seduta
per terra vicino la macchina ed impegnata a giocherellare con Drem,
Alecto tentò di intavolare a voce bassa una discussione con
Hester, che stava seduta sul sedile posteriore, ma rivolta verso il
passaggio lasciato libero dallo sportello aperto. La donna fece
strusciare pigramente le suole delle scarpe a terra, incapace di
distogliere lo sguardo dal piccolo drago; mai nella vita avrebbe
immaginato che un giorno ne avrebbe visto uno così da vicino.
Sospirò silenziosamente e nel rispondere, anche lei mantenne
il tono della voce basso, per evitare di svegliare Charles.
"Io
non so cosa tu stia facendo, ma voglio sottolineare che non sono
Charles". Alecto alzò immediatamente gli occhi opachi su
di lei, priva di qualsiasi espressione.
"Non
basteranno due moine o l'aria indifesa, per convincermi della tua
innocenza" continuò Hester, sostenendo lo sguardo
dell'altra. "Sei una signora dei draghi ed in quanto tale, per
me potresti benissimo essere coinvolta in tutta questa orribile
faccenda. Fino a prova contraria, ovviamente. Il fatto che io non
abbia elementi con cui accusarti, non fa di te una persona onesta".
"E
allora dimmelo tu come posso fare, per dimostrarti la mia onestà"
replicò Alecto, guardandola negli occhi. "Visto che non
vuoi fidarti di me, merito per lo meno una chance".
Calò
il silenzio, interrotto solamente dai gorgoglii delicati di Drem, che
zampettava in giro del tutto eccitato da qualsiasi cosa; al contrario
delle due donne, sembrava non avere il minimo bisogno di riposare, ma
del resto chi poteva biasimarlo? Chissà per quanto tempo era
rimasto chiuso in quell'uovo, aspettando semplicemente che qualcuno
pronunciasse il suo nome... E quando quel momento era giunto, non
aveva perso tempo per dare sfogo a tutta la sua energia. Dormire? Non
se ne parlava proprio!
Hester
seguì per un bel po' i suoi movimenti in silenzio, abbandonata
contro il sedile della macchina. La richiesta di Alecto era
legittima: l'assenza di prove non faceva di lei un'innocente, ma
neanche una colpevole. Forse, avrebbe potuto sfruttare quella
situazione a suo vantaggio e ricavarne due piccioni con una fava.
Dopo quasi cinque minuti di silenzio meditativo, decise di
risponderle come si doveva.
"D'accordo"
iniziò lentamente, soppesando con attenzione ogni parola; "Ti
dico che cosa faremo. Ci metteremo sulle tracce dei draghi e quando
li troveremo, li costringerai a confessarti chi è il loro
mandante e dove si trova. Sai che i draghi sono costretti a fare
qualsiasi cosa venga loro ordinata da un signore dei draghi, vero?
Oh, che sciocca..." accennò un sorriso storto di
proposito, "...no che non lo sai. Non sapevi nemmeno di esserlo,
una signora dei draghi".
"Come
fai ad essere così sicura che dietro gli attacchi dei draghi
ci sia qualcuno? E se fosse così, cosa pensi di fare una volta
ottenuta quest'informazione?" domandò Alecto, che d'un
tratto s'era tutta irrigidita. Mantenne gli occhi bassi su Drem, per
celare qualsiasi timore vi potesse essere riflesso dentro. Ma lei non
poteva sapere che le Disir avevano praticamente ammesso che era
Merlin, il fautore di tutto quel caos.
"I
draghi sono creature solitarie e non avrebbero il minimo interesse ad
agire come stanno facendo, se non sotto stretto ordine. Inoltre, fino
a poco tempo fa ti assicuro che erano del tutto estinti. Quindi
qualcuno deve aver fatto schiudere le loro uova, anche se non riesco
ad immaginare dove possa averle trovate. Vediamo un po', Alecto:
secondo te, cosa mai potrei voler fare, una volta scoperto dove si
trova il colpevole di questi attacchi?" la voce della donna
sfumò in un chiaro tono di sarcasmo.
"Tu?"
esclamò la giovane, replicando scetticismo contro il sarcasmo
dell'altra; "Tu vorresti uccidere chi sta conducendo questa
battaglia?" ed arcuò le sopracciglia bionde sin quasi
all'attaccatura dei capelli. Hester sorrise quasi con dolcezza.
"No,
non io" replicò, soave e letale al tempo stesso; "Ma
noi. Mi hai chiesto di darti una chance per dimostrare la tua onestà.
Eccotela, la tua chance. Fammi vedere che sai fare".
*
Merlin
restò in silenzio e mantenendo gli occhi bassi, infilò
il medaglione dentro la tasca dei calzoni scuri. Per un po' nessuno
dei due parlò ed il crepitio delle fiamme fu l'unico suono,
insieme a quello della notte, che fece loro compagnia.
"Sapete,
non avrei mai pensato che sarebbe finita così" disse ad
un tratto il mago, interrompendo quella sorta di confortante
tranquillità.
Arthur
corrugò la fronte e si voltò a guardarlo, senza capire;
quando Merlin notò la confusione nei suoi occhi azzurri, si
decise a continuare: "Bé, è decisamente ironico,
non trovate? Aspettarvi per tutto questo tempo, soltanto per essere
ucciso. Gli Dei hanno uno strano modo di divertirsi".
Arthur
continuò a guardarlo, gli occhi leggermente sgranati e la
pelle increspata a causa di un improvviso ricordo.
Ma
certo.
Le
Disir gli avevano detto che avrebbe dovuto ucciderlo... come aveva
fatto a dimenticarselo?
"Non
lo farò" decretò seccamente, tornando a guardare
il fuoco, come se quello potesse cancellare immediatamente il gelo
improvviso che lo aveva fatto spostare scomodamente sul terreno.
Merlin rise e scosse la testa.
"Ah,
davvero?" domandò, tenendo il volto basso e guardando
l'altro di sottecchi. Quando sorrideva i suoi zigomi sporgevano
ancora di più. "E come intendereste risolvere la
situazione? Non mi lascerete davvero distruggere tutto ciò per
cui abbiamo lottato".
Arthur
non rispose ed allacciò le dita delle mani, stringendo forte
la presa; inghiottì a vuoto, senza riuscire a ricambiare lo
sguardo di Merlin.
"Invece
sì" sussurrò a quel punto il mago, mentre la
comprensione faceva diventare i suoi occhi blu ancora più
grandi. "È proprio quello che farete, non è così?"
"Che
cosa pretendi da me, Merlin?" sbottò il Re, sentendosi
punto sul vivo dall'incredulità dell'altro. "Vuoi che ti
uccida? Vuoi veramente farmelo fare? Io non... io non posso,
d'accordo? Non posso!"
Merlin
restò ad osservarlo a bocca aperta, il volto illuminato dalle
fiamme improvvisamente pieno di ombre grottesche. "Arthur... qui
non si tratta di me. Non si tratta nemmeno di voi. Si tratta di
Albion. Dopo tutto quello che abbiamo passato per riuscire
nell'impresa, dopo tutto... Arthur, per favore. Pensate a tutte
quelle persone che-"
"Non
me ne importa un accidenti, delle persone!" gridò con il
respiro rotto, come se avesse trattenuto il fiato sino a quel
momento. Guardò fisso Merlin negli occhi, con il sangue che
gli pulsava nelle orecchie a causa del battito veloce del cuore.
Perché non riusciva a capirlo? Perché gli chiedeva una
cosa del genere come fosse semplice? Come se fosse l'unica soluzione?
Arthur non poteva sopportarlo; non poteva sopportare lo scarso valore
che Merlin stava dando alla sua stessa vita, non quando per lui,
invece, voleva dire immensamente.
"Non
mi importa" si sentì dire, con un tono vibrante di
risentimento. "Io non sono più Re. Non ho più un
Regno a cui dover badare, non ho più dei sudditi da dover
soddisfare. Non sono nessuno, in questo mondo. Non ho più
alcuna responsabilità, eccetto una".
Si
mosse così velocemente che Merlin sussultò e quando il
mago se lo ritrovò a carponi davanti a sé, non riuscì
più a distogliere lo sguardo.
"Io
non devo niente a questa gente. Non sono loro che mi hanno aspettato
per un millennio. Non sono loro che hanno sopportato il peso di una
responsabilità non voluta. Non sono loro che mi hanno
dimostrato la tua stessa lealtà, non sono loro che non hanno
dimenticato chi sono davvero, non sono loro a conoscere ogni singolo
aspetto della mia vita, non sono loro che hanno condiviso con me
tutto ciò a cui attribuisco maggiore importanza, non sono loro
che mi hanno sostenuto e guidato! Questa gente non ha mai rischiato
la sua vita per la mia. Ed io in cambio di tutto questo che cosa ti
ho dato, Merlin?"
La
gola del mago si mosse come per inghiottire qualcosa, ma non un suono
abbandonò le sue labbra schiuse, sormontante da un paio di
occhi divenuti improvvisamente rossi. Sembrava in balia di una
profonda difficoltà, di una lotta interiore molto intensa, ma
Arthur non se ne curò perché aveva bisogno che lui lo
ascoltasse e che sopratutto capisse.
"Mi
dispiace, ma questa volta voglio essere egoista. Quando ero Re, era
mio dovere pensare prima al benessere del mio Regno ed a quello del
mio popolo. Stavolta è diverso. Questa volta voglio porre i
miei desideri dinanzi a quello che il destino o come diavolo vuoi
chiamarlo, si aspetta da me. Nessuno può togliermi il libero
arbitrio, Merlin, te compreso. Sono io che ti ho portato a fare
quello che stai facendo".
Il
mago cercò di interromperlo, ma Arthur si limitò ad
alzare la voce per sovrastarlo: "E non intendo ignorare le mie
colpe. Troverò un modo per fermare tutto questo, troverò
un modo per salvarti, ma ti posso assicurare che non sarà
uccidendoti. Mi rifiuto di fare una cosa del genere, che Albion possa
pure sprofondare all'inferno se non potrò averti di nuovo con
me".
"Arthur..."
la voce di Merlin tremò terribilmente, "Io sto cercando
di ucciderti".
"Bé,
buona fortuna allora, dovresti sapere che non è così
semplice sbarazzarsi di me. Sono già morto una volta, eppure
eccomi qui".
"Sei
qui soltanto per fare quello che devi fare" insistette Merlin
muovendosi a disagio, non potendo più sopportare la vicinanza
di Arthur. Tenne il volto basso, deciso a non lasciarsi corrompere
dagli occhi limpidi del sovrano.
"E
lo farò" replicò quello, afferrando il volto del
mago con entrambe le mani per impedirgli di fuggire da lui. "Ma
lo farò a modo mio" concluse con determinazione, una
scintilla di ribellione a rendere più luminosi i suoi occhi.
Merlin rilasciò un sospiro vibrante e dopo quella che parve
un'eternità, alzò una mano e la poggiò con
delicatezza tra i capelli di Arthur. Si chinò in avanti e
premette con forza la fronte contro quella dell'altro.
"Comunque
andrà, sappi che io non potrei mai avercela con te"
mormorò tenendo gli occhi chiusi. "Mai".
*
Alecto
dovette sdraiarsi per terra, perché non sarebbe mai riuscita a
tenere buono Drem all'interno della macchina; incrociò le
braccia sotto la testa e punto gli occhi celesti verso il cielo
stellato. La calura era impressionante, ma l'umidità sembrava
essersi leggermente abbassata, tant'è che il sudore sulla
faccia le si stava asciugando. Il draghetto si era seduto accanto a
lei e stava giocando con un piccolo ciuffo di erba, mentre Hester
aveva chiuso lo sportello della macchina ed era caduta profondamente
addormentata poco dopo. Approfittò di quei momenti per
ripensare a quello che la donna le aveva detto poco prima: non aveva
ancora ben capito come funzionava quella cosa della lingua dei draghi
e fino a quel momento, non era mai stata nemmeno in grado di
comunicare con quelli di Emrys, quindi non aveva molta fiducia nelle
proprie capacità. Del resto, in quel gruppo era l'unica ad
essere una signora dei draghi, per cui niente le avrebbe vietato di
poter fingere di parlare con loro, quando li avessero trovati; in
più, in quel caso avrebbe potuto inventare di sana pianta
tutto quanto e proteggere così Emrys da qualsiasi pericolo
potesse correre a causa loro.
Era
stata molto furba, Hester, a cercare di incastrarla così: se
lei era davvero una persona onesta come andava sottolineando ogni tre
per due, allora non avrebbe avuto nessun problema a stare dalla loro
parte. In caso contrario...
Alecto
strinse le labbra e corrugò la fronte nello sforzo della
concentrazione. In caso contrario, Hester avrebbe avuto finalmente la
prova che andava tanto cercando e addio copertura. In realtà,
non avrebbe saputo nemmeno dire perché ci tenesse tanto a
tenere in piedi tutta quella farsa, ma ogni volta che pensava
finalmente di tornare da Emrys, le parole della Diamar sorgevano
nuovamente dalla sua coscienza come un avvertimento. Aveva pensato
che la Chiave di tutta la Conoscenza avesse voluto invogliarla a
restare insieme al duo per ritrovare sia il Triskelion che l'uovo di
drago, ma anche se adesso li aveva entrambi, aveva la sensazione che
non fosse tutto lì, che la Diamar avesse inteso qualcosa di
più. Da quando era entrata in contatto con il mondo della
magia e da quando Emrys aveva iniziato ad insegnarle come usarla,
aveva capito che fidarsi del proprio istinto poteva risultare
essenziale in molte occasioni. Chi le diceva che restare con Hester e
Charles non fosse una di quelle occasioni?
Drem
interruppe le sue riflessioni strusciando il musetto contro la sua
guancia e gorgogliò con delicatezza, riuscendo a farla
sorridere; la ragazza accarezzò la testolina della piccola
creatura e con un sospiro decise di darci un taglio, lasciando che la
stanchezza vincesse sui suoi timori.
NOTE
DELL'AUTORE: Non so perché ma non mostra il capitolo con l'interlinea, come ha sempre fatto. Vabbé! ò_O
Non
prendetela per letterale, è una traduzione un po' arrangiata
poiché di translitterazioni in giro ce ne sono pochissime.
Questa
è la scena: http://www.youtube.com/watch?v=24f5wsWwbOI
Asfo
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Capitolo 13 *** Ultimatum ***
TREDICESIMO
CAPITOLO
13.
Ultimatum
Zona
di Yeovil, Somerset, 27 luglio 2020
Mattina
Charles
immerse le mani sotto il getto dell'acqua e le strofinò sul
viso, sulle braccia e sul petto, cercando di lavarsi alla meno
peggio; quella mattina, appena svegli, avevano deciso di prendersi un
momento per fare il punto della situazione ed Alecto aveva proposto,
durante il tragitto, di fare sosta ad uno dei tanti bar lasciati in
balia di se stessi a causa del fuggi fuggi generale. Avrebbero potuto
introdursi in qualche altra casa e farsi una doccia, ma nonostante la
situazione attuale, Charles si sentiva a disagio al solo pensiero;
l'aveva fatto una volta e si era sentito in colpa per tutto il
giorno, così aveva preferito evitare di ripetere l'esperienza.
Avevano
lasciato Alecto alla macchina, Hester invece l'aveva seguito sin nel
bagno ed ora se ne stava appoggiata a braccia incrociate contro lo
stipite della porta, a guardarlo con espressione greve. Se la donna
si aspettava qualche parola da lui, aveva proprio capito male.
Charles non aveva la benché minima voglia di parlare.
Fece
uscire un po' di sapone dall'erogatore attaccato al muro e lo
strofinò tra i palmi, prima di passarli sul collo e tra i
capelli: con il caldo che faceva, non ci avrebbero impiegato nemmeno
cinque minuti per asciugarsi alla luce del sole. La maglietta che
aveva sporcato di sangue la sera prima giaceva nel lavandino accanto,
sommersa da una discreta quantità di acqua mista a sapone; non
avrebbe mai pensato di farlo se Alecto non glie lo avesse suggerito,
dopo essere stata per prima nel bagno. Doveva ammettere che era una
buona idea.
"C'è
qualcosa che deve sapere" esclamò ad un certo punto
Hester, decidendo che erano stati in silenzio abbastanza a lungo.
"Ieri sera ho discusso con quella ragazzina ed il fatto che si
tratti di una signora dei draghi, potrebbe tornare a nostro
vantaggio. Se ci mettessimo sulle tracce dei draghi e li trovassimo,
a quel punto lei potrebbe farsi dire dove si trova Merlin".
Charles
mugugnò un assenso e frizionò i capelli insaponati
sotto il getto del rubinetto, chiudendo gli occhi affinché non
iniziassero a bruciare come l'inferno. Si sentiva tutto indolenzito a
causa dei leggeri graffi che aveva sulla pelle ed un paio di lividi
avevano già fatto la loro comparsa sulle braccia.
"Francamente
non conosco nessun incantesimo di localizzazione per trovare quelle
creature, ma lei invece sì... un'altra delle tante
informazioni che ha ben pensato di tenerci nascoste, sottolineerei,
però sorvoliamo. Suppongo quindi che la strategia migliore
sarebbe unire la magia al ripercorrere la scia di stragi che i draghi
si sono lasciati alle spalle. Se prestassimo attenzione, potremmo
scoprire uno schema, una logica, un qualcosa".
Charles
si tirò su e chiuse l'acqua; non appena drizzò la
schiena, le gocce d'acqua che cadevano dai suoi capelli iniziarono a
scivolargli lungo il collo, sul petto e la schiena. Scosse forte la
testa, schizzando acqua in giro in modo piuttosto incurante ed Hester
chiuse pazientemente gli occhi quando venne investita da una cascata
di goccioline. Strofinando la punta del naso, il ragazzo gorgogliò
nuovamente un altro assenso non verbale e si avvicinò alla
maglietta che aveva messo a mollo; immerse le mani nell'acqua
divenuta rosata ed iniziò a strofinare a casaccio la stoffa
chiara.
"Se
devo essere sincera," proseguì Hester, seguendolo con lo
sguardo, "Vorrei anche approfittarne per capire una volta per
tutte le intenzioni di Alecto. Se è veramente coinvolta nella
faccenda dei draghi, allora quando li troveremo, per forza di cose
non potrà aiutarci. A quel punto sapremo la verità!
Anche se quelle creature rispondono direttamente al comando di
Merlin, comunque sono obbligate ad obbedire a qualsiasi signore dei
draghi".
Charles
tirò fuori la maglia dal lavandino senza curarsi di estrarre
il tappo per far scorrere via l'acqua sporca e dopo aver controllato
il suo stato con aria critica, la mostrò ad Hester.
"Puoi
asciugarla?" domandò con voce roca, tenendo le braccia
stese in avanti. Lei sospirò pesantemente e con un guizzo
dorato negli occhi verdi, eliminò completamente l'umido
dall'indumento; Charles fece sbucare i capelli bagnati dal collo
della maglietta e la indossò con gesti veloci e precisi.
"Charles,
potrebbe dire qualcosa al riguardo?" gli domandò Hester,
con tono insofferente e quasi supplicante. "Qualsiasi cosa!"
Lui
la guardò per qualche secondo senza muoversi. Dalle finestre
aperte del bagno, il canto mattutino degli uccelli lasciava intendere
che il mondo stava comunque andando avanti. "D'accordo"
disse seccamente allora, già muovendosi per superarla ed
uscire dal bagno; "Facciamo come vuoi tu".
*
Alecto
fissò lo schermo del cellulare come se tra le dita stesse
stringendo un mostro a due teste. Il nome che era apparso sul display
sin dalla prima vibrazione le aveva fatto perdere un paio di battiti
ed il cuore le era vertiginosamente crollato ad altezza stomaco.
Ingenuamente, aveva sperato che quel momento non giungesse mai;
evitando di pensarci, aveva voluto credere che avrebbe tenuto lontane
da sé l'attenzione e l'impazienza di Emrys. E così,
ovviamente, non era stato. Lanciò uno sguardo verso l'entrata
del bar, controllando che Hester e Charles non stessero uscendo
proprio in quel momento e finalmente, dopo altri due agonizzanti
secondi, prese la chiamata.
"Sì"
esclamò, cercando di mantenere un tono fermo, mentre Drem alle
sue spalle zampettava sul sedile posteriore della macchina,
gorgogliando con gioia alla luce del sole che filtrava attraverso i
finestrini aperti. Si allontanò di un paio di passi, volendo
evitare che Emrsy lo sentisse.
"Al"
sentì rispondere al bambino, con la sua caratteristica cadenza
monocorde. "Procede
bene la vacanza?"
Lei
corrugò la fronte, umettando velocemente le labbra.
"Vacanza...?" ripeté, senza riuscire a mascherare la
titubanza. Sentì Emrys sbuffare in modo divertito.
"Certo"
rispose lui, la vocetta genuina ed infantile; "Visto
il tempo che ci stai mettendo, non può essere nient'altro che
questo. Una vacanza".
"No,
non è così. Ho recuperato il Triskelion e come ti ho
detto l'ultima volta, mi-"
"Ah,
certo, sì. L'ultima volta..."
la interruppe l'altro, piuttosto seccamente. "Adesso
ascoltami bene, Al, perché come sai non sono solito ripetere
le cose due volte. Ho la tua attenzione?"
"Sì"
bisbigliò lei, non potendo impedire al battito di aumentare
con tremenda aspettativa.
"Sono
stato piuttosto generoso e paziente con te, ma ho come la sensazione
che tu non ti stia impegnando. Azzarderei a dire che sei quasi...
schiva. Mi perdonerai se il tuo atteggiamento poco assennato mi ha
portato a chiedermi se non ho fatto male a puntare tutto su di te ed
a dubitare della tua lealtà verso la nostra causa, oltre che
verso la nostra stessa gente".
"Emrys,
io-”
"Zitta"
esclamò bruscamente, senza pietà. "Sto
parlando io. Come dicevo, nonostante i miei ragionevoli timori,
l'affetto che provo per te mi spinge a volerti dare il beneficio del
dubbio e dunque mi rifiuto di dar credito alle supposizioni cui tu
stessa mi hai portato ad ipotizzare. Perciò, poiché tu
conti immensamente per me, Al, ti do esattamente ventiquattro ore per
portarmi sia l'uovo che il Triskelion".
"Ventiquattro
ore?" sputò fuori lei, senza riuscire a trattenersi, "Ma
io-"
"Al
termine delle quali"
continuò Emrys, alzando la voce per sovrastare la sua,
"Scoprirai
di persona che cosa vuol dire non fare più parte della
famiglia. Sei ancora in tempo per tornare a casa, Al, al tuo posto.
Sono amareggiato da tutto questo e non avrei mai voluto arrivare a
tanto, sul serio, ma non mi lasci altra scelta. Non deludermi
ancora".
Click.
Alecto
mosse la gola, ma non riuscì ad inghiottire niente.
Completamente chiusa in un'apnea di panico, si voltò
lentamente verso la macchina, incrociando immediatamente gli occhi
intelligenti e vividi di Drem che la stavano fissando con curiosità.
Il draghetto piegò la testa di lato e gorgogliò verso
di lei con tenerezza e, proprio in quel momento, Charles uscì
dal bar con le mani a scompigliare i capelli biondi, seguito subito
dopo da una torva Hester. Fortunatamente Alecto dava le spalle
all'entrata del locale, altrimenti sarebbe stato un bel problema
cercare di spiegare lo sguardo letteralmente allucinato che aveva
sulla faccia. Si costrinse a muoversi come un automa quando i due la
superarono e salì in macchina senza dire una parola,
nascondendo il cellulare nella tasca dei pantaloni.
Era
nei guai. Era in seri, serissimi guai.
*
Milborne
Port, 27 luglio 2020
Pomeriggio
Faceva
caldo, un caldo davvero bestiale. Charles aveva cercato di mettere in
moto la macchina più volte, ma questa non aveva voluto
saperne. Dopo quello che doveva essere stato il decimo tentativo di
farla partire, Hester aveva decretato che avrebbero continuato il
tragitto a piedi.
"Forse
è anche meglio così," aveva aggiunto, "Visto
che procedere i macchina ci ha rallentati di parecchio".
In
effetti, ogni volta che si erano messi in viaggio, Alecto aveva
dovuto passare la maggior parte del tempo a spostare detriti e
sgomberare la strada, il che era stato piuttosto stancante.
Camminavano
lungo il ciglio asfaltato già da qualche ora; Charles ed
Hester stavano una ventina di metri avanti ad Alecto che, di sua
spontanea volontà, aveva preferito distanziarsi e stare da
sola con i suoi pensieri; in realtà avrebbe dovuto comunque
tenere un passo più lento rispetto a quello degli altri,
poiché Drem, essendo così piccolo, non riusciva a
trotterellarle dietro oltre una certa velocità.
"Stanotte
ho fatto un sogno".
Hester
alzò gli occhi da terra e sbatté scioccamente le
palpebre più volte. Aveva parlato? Charles le aveva davvero
rivolto la parola? Decise di non dire niente, invogliando con il suo
silenzio l'altro a proseguire; drizzò le orecchie come fossero
antenne, dedicando al suo pupillo la più completa attenzione.
Chissà quando le sarebbe potuta ricapitare una fortuna del
genere! Non intendeva lasciarsela sfuggire.
"Non
saprei dire se sono stato davvero io a farlo, oppure se sia stato
l'altro.
C'era Arthur e c'era Merlin... ma in realtà, io ero Arthur.
Non stavo assistendo alla scena e basta, la stavo vivendo in prima
persona".
Charles
alzò lo sguardo verso il cielo, socchiudendo le palpebre a
causa della luminosità del sole estivo. I capelli si erano
asciugati da un pezzo, tranne quelli che poggiavano sulla fronte e
sulla base del collo: a causa del sudore, si erano appiccicati sulla
pelle.
"All'inizio
è cominciato tutto come un ricordo. Ho rivisto qualcosa che è
successo veramente e anche se sapevo già cosa avrei detto io e
cosa avrebbe detto lui, mi sono comportato come non avessi mai
vissuto quel momento, perché non ho potuto fare altrimenti.
Non avevo potere di decidere alcunché. Ma poi..." la sua
voce sfumò lentamente e davanti al suo sguardo assorto si
replicò per l'ennesima volta quello che era successo dopo; da
quando aveva aperto gli occhi quella mattina, non aveva fatto altro
che pensare a quello.
"Poi
è successo qualcosa che non so spiegare" riprese, in modo
controllato, tenendo a bada la moltitudine di emozioni che lo stavano
consumando; "Il ricordo è uscito fuori dal copione.
Merlin mi ha guardato e mi ha detto che devo portare a termine il mio
compito. Che lo devo uccidere".
Si
zittì e senza smettere di camminare, voltò la testa
verso Hester, che lo stava guardando con profonda intensità.
"Capisci,
Hester? Mi ha chiesto di ucciderlo, come fosse consapevole di quello
che sta succedendo. Ma non è tutto. Anche se io ero Arthur, ma
Arthur non era me, gli ho risposto che non potrei mai fare una cosa
del genere. Ho detto...." la sua voce si incrinò a causa
della titubanza.
"Ho
detto delle cose,
Hester, cose che continuo a pensare anche adesso
che sono sveglio, come fossi stato io a dirle e non Arthur. Oh Dio,
lo so, lo so che più o meno siamo la stessa persona, ma... è
lui che ha conosciuto Merlin, non io. Eppure, ecco qui: non chiedermi
di ucciderlo, perché è una cosa che, semplicemente, non
posso fare".
Sospirò
pesantemente, passandosi la mano sulla faccia con frustrazione. "Io
non credo che Arthur e Merlin siano stati soltanto buoni amici. Deve
esserci stato qualcosa di più".
Ecco.
Finalmente l'aveva detto. Il dubbio che da giorni lo stava logorando
- sin da quando i suoi sogni avevano avuto inizio, per la precisione
-, l'enigma a cui i suoi nuovi ricordi non avevano saputo rispondere,
il tassello del puzzle che non riusciva ad incastrare da nessuna
parte... fino a quel momento, non aveva mai nemmeno osato pensarlo,
ma dopo l'ultimo sogno che aveva fatto... come avrebbe potuto
continuare ad ignorare un'evidenza così palese? Aveva frugato
per ore tra i ricordi di Arthur, alla ricerca di qualcosa che avesse
potuto confermare i suoi sospetti, ma tutto ciò che aveva
trovato erano state situazioni simili a quelle del medaglione: parole
non dette, sguardi fuggevoli, pensieri taciuti...
"Charles"
lo richiamò Hester, soppesando attentamente le parole, "Forse
è così. Forse Merlin, intendo il suo inconscio, ha
tentato di mettersi in contatto con lei, ben sapendo che è lei
l'unico che può aiutarlo. Se addirittura Merlin stesso le ha
fatto una richiesta del genere, forse non dovrebbe escluderne a
priori la fattibilità".
Non
fece in tempo a chiudere bocca che il ragazzo aprì subito la
sua per protestare, ma lei alzò le mani in segno di pazienza,
invitandolo a lasciarla continuare.
"Quel
che voglio dire è che cercheremo di trovare altre strade prima
di giungere a quello, se è questo ciò che lei vuole, ma
deve prendere in considerazione anche l'eventualità che di
alternative non ce ne siano. Mi dispiace Charles, ma devo insistere
su questo punto, che le piaccia oppure no, perché per quanto
lei cerchi di dimenticarselo, le ricordo che non è una persona
qualunque. So benissimo che non ha chiesto lei di essere quel che è,
ma è un fatto che non possiamo cambiare. Perciò non può
permettersi di chiudere gli occhi davanti gli eventi che potrebbero
verificarsi. Sopratutto, è una cosa che non la aiuta a fare
chiarezza".
Alzò
una mano per toccare con gentilezza il braccio di Charles, che aveva
di nuovo puntato ostinatamente lo sguardo sulla strada. "Quest'idea,
questo dubbio che ha sul reale legame che ha unito Arthur a Merlin...
perché le crea così tanto pensiero? Sembra
disturbarla".
"Certo
che mi disturba" smozzicò per tutta risposta lui, più
aspramente di quanto avesse voluto in realtà.
"Fino
ad ora sono sempre riuscito a scindere i miei ricordi da quelli di
Arthur, i miei sentimenti dai suoi. Questo vuole dire che quando
penso a Gwen, quella che è stata sua moglie, ricordo anche
l'affetto profondo che lui provava per lei e comprendo quel
sentimento, ma non diventa mio. Ma quando penso a Merlin, Cristo...
quando penso a Merlin io non ci riesco! Per quanto mi sforzi di
fingere che non sia così, so di tenere a lui esattamente tanto
quanto ci teneva Arthur e non capisco, davvero non capisco il perché
di questa differenza!"
Hester
poteva chiaramente percepire la tensione del suo protetto e se ne
dispiacque profondamente.
"Quando
è scappato via dalle Disir, ieri sera, prima di lasciar andare
anche me, mi hanno detto una cosa" disse, seguitando a camminare
accanto a lui. "Mi hanno detto di dirle che la risposta ai suoi
problemi si trova nel suo cuore". Charles la guardò come
per dire: mi stai prendendo in giro?
"Ah,
adesso sì che è tutto più chiaro. Classica
risposta da film di terzo ordine. Adesso cosa, sbucheranno le
telecamere da dietro qualche albero e qualcuno griderà di
sorridere perché sono su Candid Camera?" replicò
sarcasticamente, roteando gli occhi verso il cielo. "Secondo me
è a causa di tutta quella storia dell'essere due facce della
stessa medaglia, te lo dico io".
"Può
darsi" concesse Hester, senza sbilanciarsi troppo. "Quindi
lei suppone che ciò che prova verso Merlin non sia reale?"
"No
che non lo è. Non ha senso".
"E
invece, da quello che ricorda, ciò che Arthur provava verso
Merlin... quello era reale?"
"Sì..."
rispose Charles, guardandola in modo strano. Sapeva che stava per
andare a parare da qualche parte, ma non riusciva a capire dove.
"E
lei non ha appena detto di essersi accorto di tenere a Merlin
esattamente tanto quando ci teneva Arthur?"
Charles
non rispose. Hester sorrise.
"Se
ciò che provava Arthur era vero ed è esattamente
equiparabile a quello che prova lei ora, come fa a dire che non è
reale?"
Colpito-affondato.
In effetti, sarebbe stato meglio continuare a non rispondere, pensò
Charles, preferendo cambiare argomento. Infilò una mano nella
tasca dei pantaloni e ne estrasse l'ampolla che si era ritrovato
addosso a mo' di ciondolo dopo essere uscito dalle acque del lago di
Avalon. La porse ad Hester, che la prese per esaminarla con
attenzione.
"Ce
l'avevo addosso dopo aver recuperato Excalibur" chiarificò
il ragazzo, guardandola e camminando al tempo stesso. "Sai che
cos'è?"
La
donna non rispose subito, rigirandosi tra le dita il piccolo
artefatto contenente del liquido trasparente; Charles la sentì
pronunciare alcune parole in qualche lingua strana e dopo tre o
quattro tentativi, l'ampolla venne circondata per un paio di secondi
da un alone dorato; arcuò le sopracciglia con perplessità,
incontrando subito dopo lo sguardo della donna.
"È
l'acqua del lago" replicò lei con aria pensierosa,
restituendogli il ciondolo. "Va usata solo ed esclusivamente in
caso di necessità, Charles, poiché si dice che mostri
quale sia la cosa giusta da fare".(1)
"In
che senso? Dovrei berla?" domandò lui, corrugando la
fronte, ma Hester scosse la testa.
"Non
ne ho idea" rispose, abbassando lo sguardo. Charles mise
nuovamente l'ampolla nella tasca dei pantaloni e seguitò a
camminare in silenzio, completamente immerso nei suoi pensieri; non
sapeva esattamente dove stessero andando, ma Hester ed Alecto sì,
quindi si limitò a procedere nella direzione decisa da loro.
Si
voltò brevemente per controllare che la ragazza li stesse
effettivamente seguendo, ma non riuscì ad incontrare i suoi
occhi, poiché lei li stava tenendo ostinatamente fissi verso
il terreno; Drem, poco dietro di lei, gorgogliava e gironzolava con
un entusiasmo davvero al di fuori del comune e le sue scaglie verdi
brillavano come pietre sotto la luce diretta del sole. Era uno
spettacolo bellissimo da guardare.
D'altro
canto, Alecto era davvero troppo angosciata per percepire
l'attenzione di Charles su di sé ed il meraviglioso gioco di
luce che i raggi del sole creavano su Drem era l'ultimo dei suoi
pensieri. Aveva finto di conoscere l'incantesimo di localizzazione
per i draghi ed aveva così già cominciato ad inscenare
il suo inganno; aveva sputato fuori una meta a caso, ma già
andava chiedendosi quanto tempo ci sarebbe voluto prima che Hester si
accorgesse che li stava facendo girare a vuoto. Il nervosismo l'aveva
portata a strappare la pelle delle labbra con i denti, poiché
di unghie da mordicchiare non ne erano rimaste proprio più.
Non
si era trovata mai in un guaio così grande in tutta la sua
vita e la cosa peggiore era che non riusciva a vedere una via di
uscita; da una parte c'era Emrys con la sua promessa che sapeva di
minaccia, dall'altra c'erano Hester e Charles che sicuramente non
glie l'avrebbero mai fatta passare liscia, se solo avessero saputo
tutta la verità. Qualsiasi cosa avesse deciso di fare,
comunque sarebbe andata incontro a spiacevoli conseguenze. Durante
quelle ore, aveva anche contemplato l'idea di darsela a gambe e
sparire nel nulla; al diavolo il progetto di Emrys, al diavolo le
parole della Diamar, al diavolo tutto! Avrebbe voluto semplicemente
voltare le spalle alla maledetta Inghilterra e fingere che non fosse
successo nulla.
Eppure
le cose non potevano funzionare così.
Non
quando aveva sulla coscienza il peso delle vite sacrificate in nome
della causa, non quando aveva il compito di riportarle indietro, non
quando era giunta la responsabilità di occuparsi di Drem, non
quando Charles le aveva dimostrato che si poteva essere ottime
persone, anziché persone e basta. Gemette con sofferenza,
sentendosi schiacciata dal succedersi degli eventi. Che cosa doveva
fare?
Non
portarlo dagli altri.
"Che
cosa?" Alecto corrugò la fronte e guardò in
avanti, come aspettandosi di trovare qualcuno accanto a sé.
Aveva sentito una voce, l'aveva sentita chiaramente. Drem gorgogliò
in tono roco molto più in basso, intorno alle sue caviglie.
Non
portarlo dagli altri ripeté
la voce dal timbro maschile, Sento
che non è una buona cosa.
Con
gli occhi divenuti improvvisamente grandi come due palline da golf,
Alecto abbassò lo sguardo sul draghetto, che la stava
guardando in modo molto palese.
"Hai...
hai appena parlato?" sussurrò lei, con evidente
incredulità. La piccola creatura sbuffò con delicatezza
dal naso qualche rivolo di fumo.
Posso
parlare nella tua testa e sentire cosa c'è dentro, le
venne risposto. Non
portarlo dagli altri.
"Non
portarlo dagli altri? Che- che vuol dire? Perché?"
È
male. Non va bene.
Drem zampettò un poco avanti a lei, sbatacchiando le ali.
"Come
è male? Spiegami, non capisco!" protestò la
ragazza, cercando di mantenere un tono di voce discreto; con
apprensione lanciò un'occhiata avanti a sé,
controllando che Charles ed Hester non l'avessero sentita.
Non
va bene, si
limitò a ripetere il drago, iniziando subito dopo a giocare
con un sasso di discrete dimensioni. Alecto restò a guardarlo
con aria interdetta, senza smettere di camminare. Provò
diverse volte ad estorcergli qualche altra informazione, ma Drem
sembrava aver chiuso definitivamente i canali di comunicazione. Non
le prestò più attenzione. Più frustrata di
quanto fosse mai stata in tutta la sua ancora breve vita, slegò
i capelli per rifare la coda alta; in certi momenti li tirò
così forte da arrivare ad insultarsi da sola, ma era talmente
agitata da non riuscire nemmeno a controllarsi.
Che
diavolo
doveva fare?!
Mentre
gli occhi dal caratteristico celeste pallido scivolavano
distrattamente tra le macchine ed i detriti che ingombravano la
strada, sfortunatamente lo sguardo le si posò su qualcosa che
avrebbe preferito non vedere mai più in vita sua. Poco
lontano, al di sotto di un'auto rossa chiaramente andata a fuoco,
fuoriusciva un piccolo piede calzato da una scarpetta rosa confetto;
stava scompostamente poggiato sull'asfalto, la vernice lucida solcata
da graffi in diversi punti e le calze bianche macchiate da fuliggine
scura. Alecto rallentò i suoi passi fino a fermarsi del tutto,
il mondo intorno a lei divenuto improvvisamente silenzioso come una
tomba. Con gli occhi ancora incollati sulla scarpetta di quella che
doveva essere stata una bambina, le sembrò di rivedere Hanna
Dixon stesa a terra, in un ricordo vividissimo di qualcosa che era
successo quando ancora andava alle elementari.
Era
un giorno assolato e per questo le maestre avevano loro concesso di
stare in cortile più del solito; Alecto indossava un bel
vestito azzurro ed i capelli biondissimi creavano un'aureola tale
intorno alla sua testa da farla sembrare un piccolo angelo. Le sue
ginocchia erano sporche di terra, ma a lei non interessava, perché
quando si è piccoli si ha il dovere si essere ricoperti di
terra ed erba dalla testa ai piedi. Richard era proprio accanto a lei
e stava finendo di scavare la buca dove avrebbero sepolto la
lucertola morta trovata in mezzo all'erba; Alecto staccò la
coda all'animale completamente inerme e la osservò da vicino
con una curiosità quasi scientifica.
"Vuoi
mettere anche quella nella buca?" le chiese il bambino, che sin
dal primo giorno aveva mostrato nei suoi confronti una simpatia
davvero genuina. Alecto lo guardò e scosse vigorosamente la
testa, mettendosi la coda nella tasca del vestito. "La voglio
far vedere alla mamma" rispose quasi con orgoglio,
inginocchiandosi accanto a lui, pelle nuda contro la terra. Se Alecto
avesse dovuto dire chi fosse il suo migliore amico, sicuramente
avrebbe detto Richard, poiché trascorreva con lui tutto il
tempo in cui era costretta a stare a scuola.
"Sì,
già me la immagino la faccia di tua madre" esclamò
il bambino, gettandosi immediatamente nell'imitazione di una faccia
agonizzante ed urlante; Alecto rise e gli diede una leggera spinta,
facendogli penzolare la lucertola morta davanti al naso.
"Forse
dovrei portarle questa?" domandò, stendendo le labbra in
un sorriso un po' monello.
Stavano
per commemorare finalmente la fu vita del piccolo rettile quando
Hanna Dixon si avvicinò alla loro buca con un'aria un po'
smorfiosa; nel momento in cui i suoi occhi castani videro il
corpicino della lucertola, fece una chiara esclamazione di disgusto.
"Che
schifo!" ed arricciò la punta del naso. "Sei sempre
tu che fai queste cose, Jones! Non ti stanchi mai di essere una
stramba?"
Alecto,
sentendosi tirata in causa, alzò gli occhi su di lei con aria
poco amichevole. "E tu non ti stanchi mai di fare l'antipatica?"
le domandò per contro e seguitò una linguaccia. Hanna
assottigliò le palpebre.
"Le
femmine non fanno quelle smorfie!" le disse, prima di spostare
lo sguardo su Richard. "Ecco perché giochi sempre con
lei, perché si comporta come i maschi!"
"Che
vuoi Hanna?" le chiese il bambino a quel punto, con le mani
sporche di terra. Non era la prima volta che Hanna andava a dare
fastidio ad Alecto, anzi! Aveva spesso l'abitudine di criticarla per
qualsiasi sciocchezza e l'altra aveva sempre pensato che fosse gelosa
del fatto che Richard giocasse sempre insieme a lei. Ed infatti...
"Perché
non vieni a giocare a nascondino con noi?" gli propose a quel
punto la bambina, indicando gli altri compagni di classe che già
avevano iniziato senza di loro. Richard li guardò per qualche
secondo in silenzio e poi scrollò le spalle.
"Non
mi va" rispose; "Dobbiamo seppellire la lucertola adesso".
Hanna pestò le scarpe rosa confetto a terra, indispettita dal
suo rifiuto.
"Tu
e quella stupida, inutile lucertola!" sbottò verso
Alecto. "Adesso vado dalla maestra e le dico che l'hai uccisa!"
"Non
è vero!" replicò immediatamente l'altra, alzandosi
in piedi come una molla. "L'abbiamo trovata in mezzo all'erba!"
Hanna
piegò le labbra verso il basso. "Allora se non vuoi che
le dica una bugia, dammela!" e tese la mano verso di lei. Alecto
guardò le sue dita aperte, la pelle morbida del palmo in
attesa di stringere ciò che invece lei nascose dietro la
schiena.
"No,
l'ho trovata io! È mia!"
Non
fu necessario dire altro per scatenare Hanna, che le saltò
praticamente addosso per tentare di strapparle la lucertola dalle
mani; le due bambine iniziarono a gridare ed a graffiarsi e Richard
balzò in piedi, avvicinandosi nel tentativo di separarle.
Hanna afferrò i capelli di Alecto e li tirò con
talmente tanta veemenza che lei iniziò a piangere dal dolore.
Lasciando cadere la lucertola, alzò le mani per afferrare i
polsi di Hanna e tentare di allontanarli da sé.
"Lasciami!"
gridò rabbiosamente.
Intorno
a loro già stava formandosi un gruppo di bambini. Da lontano,
poté udire le grida delle maestre. Hanna aveva la faccia tutta
accartocciata dalla rabbia ed il collo rossissimo. Alecto desiderò
ardentemente che quella brutta stupida morisse, perché non ne
poteva più di sopportare la sua cattiveria ogni santo giorno.
Non appena la sua mente formulò quella volontà,
d'improvviso un suono orribile spezzò le grida di tutti e
l'aria si fece immobile, mentre il collo di Hanna assumeva una
posizione innaturale.
Alecto
sentì le sue dita scivolarle via dai capelli e così le
lasciò andare subito i polsi; quando fece un passo indietro,
il corpo di Hanna cadde pesantemente a terra come un sacco di patate
e la vernice rosa delle sue scarpette si graffiò. Solo in quel
momento si accorse di avere un braccio intrappolato tra le mani di
Richard; si voltò verso di lui con sguardo vacuo e confuso e
vide che Richard aveva gli occhi spalancati e la stava fissando come
se le fosse spuntata un'altra testa. Il bambino lasciò andare
immediatamente il suo braccio ed arretrò velocemente,
confondendosi nella folla di ragazzini che si era creata attorno a
loro. Alecto non seppe perché, ma nonostante l'afa, sentì
improvvisamente molto freddo. I bambini vennero spostati
freneticamente dalle maestre, ma quando quelle giunsero, era oramai
troppo tardi.
Hanna
Dixon era morta.
Hanna
Dixon era morta ed Alecto sapeva
che era stata lei ad averla uccisa.
Da
quel giorno, Richard non le rivolse mai più la parola.
Alecto
era arci convinta che Richard avesse visto i suoi occhi diventare di
un altro colore, perché a parte lui, nessuno era riuscito a
ricollegarla in qualche modo a quello che era successo nel cortile;
tutti quei ragazzini che avevano fatto da testimoni, avevano detto la
stessa identica cosa: Alecto non aveva mai nemmeno sfiorato la gola
di Hanna. Tra la perplessità e l'angoscia generale, il caso si
era chiuso senza una spiegazione logica, eppure per Alecto, quello
era stato solo l'inizio... l'inizio di una sofferenza morale e
mentale sempre più profonda, con incidenti magici sempre più
frequenti, a tal punto che sua madre l'aveva data per indemoniata e
l'aveva fatta rinchiudere in un collegio di suore.
E
Richard era stato il primo ad averla abbandonata.
Si
accorse improvvisamente di star piangendo come una ragazzina, perché
sulle labbra sentì il sapore salato delle lacrime; si affrettò
ad asciugarsi le guance con le mani e poi cercò Drem con gli
occhi, trovandolo parecchi metri davanti a lei. Senza rendersene
conto, era rimasta ferma per un bel po'. Si mise a correre sin quando
non lo raggiunse e la sua mente volò di nuovo ad Emrys ed a
tutti coloro che erano morti per la causa che stava sostenendo -
anche se non ne era più così sicura.
Come
aveva potuto pensare di voltare le spalle a tutto quello ed
andarsene? Che cosa sarebbe successo se non avesse recuperato la
coppa e non avesse riportato indietro tutte quelle persone?
Rabbrividì
intensamente, improvvisamente consapevole di tutto il sudore freddo
che aveva sulla schiena; la voce di Suor Agatha le giunse come se
quella le stesse sussurrando all'orecchio, proprio come faceva sempre
prima di rinchiuderla nella Gola: chi
ha inferto grandi dolori, atroci sofferenze e profonde ferite
nell'animo dei suoi simili, dovrebbe purificarsi nelle fiamme
dell'inferno.(3)
La
sua anima apparteneva già a quel luogo.
NOTE
DELL'AUTORE:
Io lo so che non ve ne importa una ceppa secca di Alecto o di Hester
e che vorreste tagliarvi le vene dalla noia quando si esplorano
questi personaggi, ma fanno parte della storia e sono importanti u_u
ergo, amateli! Amateli è basta è_é stanno
lottando per far riunire Arturo con Merlo, meritano apprezzamento
queste due cristiane! Comunque, aggiungo una comunicazione di
servizio: poiché a lavoro mi hanno dato dei turni assurdi, ma
così assurdi che se ve li scrivessi non ci credereste,
potrebbe (dico POTREBBE) capitare che alcuni lunedì io non
riesca ad aggiornare ma, se così fosse, avreste comunque il
capitolo entro la settimana. Don't worry.
(1)
Acqua del lago di Avalon: è proprio così, in effetti.
Nel telefilm stesso si dice che l'acqua del lago di Avalon mostri
quale sia la cosa giusta da fare, quiiindi... non è farina del
mio sacco :p
(2)
Ovviamente l'intera conversazione tra Drem ed Alecto avviene nella
lingua dei draghi.
(3)
Per chi non lo ricordasse, la Gola si trova nel collegio ed è
una stanza stretta, spaziosa quanto un ripostiglio delle scope, senza
finestre, adibita all'unico scopo di far scontare punizioni di varia
natura alle studentesse del collegio. Veniva chiamata la Gola non
solo per le sue scarse dimensioni e la mancanza di luce, ma anche a
causa del fatto che, ad un certo punto, si arrivava ad avere la
sensazione di essere ingoiati
dall'oscurità pressante.
Gaudio,
gioia e giubilio,
Asfo
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Capitolo 14 *** Punto di rottura ***
QUATTORDICESIMO
CAPITOLO
14.
Punto di rottura
Pressi
Winchester, 30 luglio 2020
Mattina
Ventiquattro
ore. Era questo l'ultimatum che Emrys le aveva dato, ben tre giorni
prima. Ventiquattro ore... che erano scadute da un pezzo. In tutta
onestà, Alecto avrebbe voluto che accadesse qualcosa -
qualsiasi
cosa -, perché vivere nell'ansia che da un momento all'altro
le potesse succedere gli Dei solo sapevano cosa, era peggio che
doverla affrontare nell'immediato. Emrys le aveva indirizzato più
una minaccia che un avvertimento, ma come mai non era ancora stata
colpita in pieno da un fulmine allo scadere del tempo che aveva
avuto a disposizione? Come mai non aveva preso fuoco? Perché
non era stata mangiata viva da una mandria di wildeon infuriati?
Alecto
non aveva mai pensato ad Emrys in quel modo, prima dell'arrivo di
Drem. Emrys, c'era da ammetterlo, l'aveva salvata da se stessa.
Eppure... i dubbi e le domande sempre più frequenti, l'avevano
portata a vederlo sotto un'altra luce.
Tuttavia,
c'era qualcuno per cui la fantomatica luce non era minimamente
cambiata, anzi! Si era addirittura intensificata! Hester non avrebbe
voluto fare sempre la parte del 'guardiano cattivo', ma come diceva
la parola stessa... era suo dovere proteggere Charles e forse,
proprio a causa di questo, faceva caso a dettagli che invece
continuavano a sfuggire a quel benedetto ragazzo. Com'era possibile
non notare i tremiti nervosi di Alecto o la luce terrorizzata che a
volte si faceva spazio nei suoi sproporzionati, grandi occhi, quando
pensava di non essere osservata? Come avrebbe potuto ignorare i suoi
lunghi ed a volte interminabili silenzi, o l'aria indecisa che
tentava di nascondere quando si trovavano davanti ad un bivio? Più
volte da quando l'avevano incontrata, Alecto aveva detto o fatto
determinate cose che l'avevano sempre più screditata agli
occhi di Hester e da quando erano partiti alla ricerca dei draghi,
tre giorni prima, lentamente un'idea si era sempre più
radicata nella mente della donna, sino a tramutarsi in una
convinzione.
Tre
giorni. Le ci erano voluti tre giorni per capirlo.
Si
fermò improvvisamente nel bel mezzo della strada, lasciando
che gli altri due la superassero di qualche metro; quando Charles si
accorse che non li stava seguendo, si voltò verso di lei e
corrugò la fronte con aria interrogativa. "Hester?"
Lei
non rispose. Mantenne lo sguardo fisso sulla schiena di Alecto, sino
a quando questa non si voltò a sua volta ed a quel punto
incontrò i suoi occhi. Le due si guardarono in silenzio per
degli attimi che a Charles parvero infiniti e questi si ritrovò
a far altalenare lo sguardo dall'una all'altra, sempre più
confuso.
"Okay,
che cosa mi sta sfuggendo?" domandò allora, perché
conosceva bene l'espressione che c'era sul volto di Hester e
solitamente precedeva qualcosa di poco piacevole; considerata poi la
scarsa simpatia che nutriva nei riguardi di Alecto, Charles non
prevedeva nulla di buono.
"Alecto"
esclamò la donna, mettendo in quella singola parola tutta la
disapprovazione di cui era capace; l'altra parve intuirla, perché
strinse convulsamente le cinghie dello zaino che portava sulle
spalle.
"Sul
serio?" continuò allora Hester, arcuando le sopracciglia
con eloquenza. La più giovane fece un minuscolo passo
indietro.
"Posso
sapere cosa sta succedendo?" intervenne Charles, che in una
lista delle cose che odiava di più al mondo, avrebbe
sicuramente messo tra i primi posti l'essere all'oscuro di qualcosa.
Hester non lo guardò, ma rispose: "Succede che stiamo
girando a vuoto".
Charles
sgranò gli occhi dalla sorpresa ed anche lui alzò le
sopracciglia.
"Cosa?"
domandò, girandosi immediatamente verso Alecto, che sembrava
essersi congelata sul posto.
"Di
che cosa sta parlando?" le chiese allora Charles, più
duramente di quanto avesse voluto fare.
La
ragazza gli indirizzò una breve occhiata, prima di scuotere
con veemenza la testa. Si strinse nelle spalle e disse: "Non ne
ho idea. È un'altra delle sue trovate per accusarmi di
qualcosa".
Hester
rise seccamente e sospirò rumorosamente. "Un'altra delle
mie trovate..." ripeté, annuendo con aria meditabonda;
"Sei diventata stranamente silenziosa, di recente".
"E
con questo?"
"Le
persone silenziose hanno un sacco di segreti".
"Hester,
ti prego, non di nuovo!" Charles roteò gli occhi verso il
cielo.
"D'accordo
allora" disse subito lei, drizzando la schiena; sul volto aveva
un'espressione feroce ed al contempo sarcastica.
"Parliamo
invece del perché stiamo tornando verso Londra, visto che
tutti abbiamo visto i draghi allontanarsi da lì. Parliamo del
perché la ragazza non vuole dirci chiaramente dove ci stiamo
dirigendo o, come mai, ogni volta che ci troviamo vicini ad un
incrocio, rallenti come se non sapesse dove diavolo andare".
Iniziò
a camminare verso di lei, via via il tono di voce si fece sempre più
insinuante.
"Parliamo
dell'uovo spuntato fuori all'improvviso - perché no, tesorino,
non ho creduto ad una singola parola di ciò che ci hai detto
-, parliamo della sua povera beata ignoranza: 'io
una signora dei draghi? Ma davvero?' Accenniamo
a come abbia potuto trovare casualmente un uovo di drago, se
vogliamo, e fermiamoci a riflettere su come fino a due settimane fa,
giorno più giorno meno, fosse una razza estinta da più
di un millennio. Una cascata di coincidenze a dir poco strabilianti,
non è vero?"
Un
altro passo e le avrebbe praticamente soffiato le sue accuse
direttamente sul volto divenuto terreo, ma Drem si frappose tra di
loro ed emise un basso gorgoglio di avvertimento rivolto ad Hester.
La donna fece un'espressione indecifrabile e fissò la creatura
come se Alecto le avesse ordinato di proposito di minacciarla. Fece
un paio di passi indietro e riportò lo sguardo sul viso
cinereo della ragazza, che aveva gli occhi grandi come fari nella
notte ed il labbro superiore percorso da un lievissimo tremito. Le
nocche delle mani erano diventate bianchissime per la forza con cui
stava stringendo il suo zaino.
"Non
ti piacciono questi argomenti?" seguitò Hester,
mantenendosi a distanza, ma ben lungi dal voler mollare la corda -
Drem poteva ringhiarle contro quanto diavolo voleva.
"Scusami
se ti ho messa a disagio. Preferiresti illuminarci, allora, sul
perché ci sono momenti in cui ti metti a piangere senza nessun
motivo apparente? Oh, certo che ti ho vista. Ho capito qual è
la tecnica giusta per inquadrarti, sai? Tendi a tradirti quando pensi
che nessuno ti stia guardando. Ma non essere troppo dura con te
stessa, in fondo sei ancora una ragazzina - li hai, almeno,
vent'anni? - e non potevi certo aspettarti di riuscire a farmela per
davvero. Non a
me,
che di anni ne ho cinquantotto e perdona il mio vanto".
Charles
fissò con attenzione il volto di Alecto e stavolta anche lui
la vide: la paura, riflessa nei suoi occhi vacui e celesti, aveva
l'aspetto dell'inevitabilità.
"Forse
ti ho fatto una domanda troppo personale, lo capisco se non vuoi
rispondere".
Hester
era inarrestabile.
"Allora,
dimmi un po' invece: di cos'è che chiacchierate, esattamente,
tu ed il tuo amichetto lì?" Accennò con il mento a
Drem. "Pensavo non avessi poi tutta questa dimestichezza con la
lingua dei draghi. Ma del resto, cosa posso saperne? Non li comando
come puoi fare tu. Eppure, considerando che nemmeno sapevi di essere
ciò che sei, permettimi di farti i miei complimenti: impari
piuttosto in fretta".
Seguitarono
dei lunghi secondi di silenzio, durante i quali l'unico suono che
intervenne fu quello del mondo circostante: il cinguettio degli
uccelli, il fruscio delle deboli folate di vento, il ronzare degli
insetti che sfrecciavano nell'aria. E poi, lo schiocco della lingua
di Charles contro il palato.
"È
il momento" disse, con la voce roca, rivolgendole uno sguardo
piuttosto intenso. "Se c'è qualcosa che devi dirci,
Alecto, questo è il momento giusto per farlo. Te lo chiedo per
favore. Siamo amici, no?"
In
quel per
favore,
lei poté giurarci, c'era un abisso di cose: per favore, dimmi
che non ho sbagliato a fidarmi di te; per favore, dimostrami che
Hester ha torto; per favore, dimmi che non c'entri niente con quello
che sta succedendo; per favore, dimmi che non mi hai preso in giro
per tutto questo tempo; per favore, dimmi che sei stata onesta quanto
io lo sono stato con te; per favore, dimmi che siamo amici per
davvero.
Fu
proprio a causa di Charles che Alecto crollò come un castello
di carte; anche se aveva sempre avuto delle difficoltà a
farlo, poteva mentire ad Hester senza troppi ripensamenti e quando la
donna l'attaccava, ci provava anche po' di gusto nel farlo. Era
sempre stata lei, inoltre, a cercare di metterla spalle al muro, a
cercare di estorcerle la verità, mentre Charles... Charles non
le aveva mai chiesto niente. Almeno sino a quel momento.
Quando
le aveva domandato 'siamo
amici, no?',
improvvisamente Alecto aveva realizzato che a lui non poteva mentire.
Non dopo la domanda così diretta che le aveva posto, non dopo
come era sempre stata trattata da lui - siamo
amici, no?
E allora pensò a Richard, all'unico amico che avesse mai avuto
in tutta la sua vita ed a come si era sentita distrutta quando lui
l'aveva abbandonata.
Pensò
a come fosse sempre stata sicura che non avrebbe mai incontrato
nessuno che l'avrebbe accettata per quello che era e poi era arrivato
Charles, che non solo l'aveva accolta e si era fidato di lei, non
solo le aveva fatto indirettamente capire che c'era qualcosa di
sbagliato
in quello che le aveva dato Emrys fino a quel momento, ma in più
le chiedeva: siamo
amici, no? Come
se il suo pensiero avesse una qualche sorta di valenza. Come se fosse
stato lui, quello ad avere bisogno di sentirsi rassicurato su quel
punto. Ma l'unica persona che aveva sempre avuto bisogno di
rassicurazioni era stata lei. Era lei, quella abituata ad elemosinare
le risposte, le conferme, le attenzioni.
Non
poteva permettere che accadesse di nuovo. Non poteva avere un altro
Richard
nella sua vita. Se avesse detto la verità, forse avrebbe avuto
ancora qualche chance di potersi meritare l'amicizia di Charles.
Doveva vuotare il sacco, prima che le menzogne l'avessero portata ad
essere risucchiata da un vortice di altre menzogne.
Siamo
amici, no?
Ed
allora, Alecto si arrese.
*
Glastonbury,
30 luglio 2020
Mattina
Morgana
aveva usato quel trucchetto su di lui, ai tempi di Camelot.
Francamente non aveva mai prestato molta attenzione ai metodi da lei
utilizzati per tentare di uccidere Arthur, concentrato com'era,
invece, a cercare di tenerlo in vita, ma dovette ammettere che
quell'espediente si sarebbe rivelato decisamente utile e per questo
la ringraziò. Com'era ovvio che fosse, aveva dovuto apportare
delle modifiche all'incantesimo originale, poiché aveva in
mente di fare le cose in grande ed uno
solo non gli sarebbe stato neanche lontanamente sufficiente: aveva
dovuto fare in modo di crearne a migliaia.
Del resto, lui era la magia stessa e modestia a parte, poteva fare
quel che diavolo voleva con le leggi, le formule e le creature legate
all'antica religione.
Non
c'era niente e nessuno, al di sopra di lui.
Guardò
il medaglione che stringeva tra le piccole mani con curiosità:
al di sopra vi era inciso l'albero di Rowan, che ai tempi gloriosi
della magia era stato solito crescere sull'isola dei beati; poco dopo
l'arrivo di Alecto, aveva fatto sì che la ragazza lo andasse a
recuperare per lui, poiché di lasciare la casa nemmeno se ne
poteva parlare - non fin quando sarebbe stato fisicamente legato
all'odiosa altra metà di sé.
Era
stato in grado di individuare l'artefatto magico, ma non era stato
altrettanto in grado di andare a prenderselo ed era per questo che
aveva avuto bisogno di lei, di Alecto: una mente debole da poter
manipolare e piegare, un essere magico eletto a suo braccio da poter
controllare in sicurezza, come una marionetta.
Alecto
era stata reclutata in modo tale da poterla far arrivare dove a lui
non era possibile; ci aveva messo un po', prima di trovare un essere
magico che avesse potuto rispondere ai suoi requisiti e che si
trovasse inoltre abbastanza vicino da poter essere attirato tramite
telepatia, ma dopo parecchi mesi la sua perseveranza era stata
premiata ed il fato aveva voluto che Emrys la trovasse rinchiusa in
un collegio e con l'anima ridotta a brandelli. Aveva catturato con i
fili della mente quell'essere fragile e l'aveva modellato, l'aveva
plasmato affinché si asservisse a lui nella maniera meno
palese possibile.
Fino
a qualche settimana prima, Alecto era stata la personificazione del
suo miglior atto di violenza psicologica. Poi, qualcosa era
evidentemente cambiato ed Emrys aveva dovuto necessariamente
rimescolare le sue priorità: la ragazza sapeva troppo, era un
pericolo ed in quanto tale, andava eliminata. Ma come poterlo fare,
senza abbandonare la casa o destare troppi sospetti?
Due
giorni prima si era alzato dal consunto tappeto del salotto per
andare a recuperare ciò che in quel momento stava stringendo
tra le mani: il medaglione per evocare il Fomorroh. Il giorno
precedente, invece, l'aveva passato a tentare di ideare un modo
affinché dal medaglione potesse fuoriuscire ben più di
una sola creatura.
Un
esercito, ecco quello di cui aveva bisogno. Un esercito che obbedisse
ciecamente ad ogni suo comando ed il Fomorroh era proprio il tipo di
creatura che poteva assicurargli una fedeltà del genere,
eliminando qualsiasi variabile dal caso.
Osservò
le braci spente del camino.
"Baerne"
sussurrò, all'aria immobile ed umida della stanza; con un
guizzo più acceso nelle iridi già dorate,
all'improvviso delle fiammelle apparvero a danzare sui ciocchi
anneriti. Emrys osservò il fuoco prendere vita e vivacizzarsi,
lasciando che la sua luce gli illuminasse il volto per qualche
minuto. In seguito, abbassò lo sguardo sul medaglione e lo
fissò intensamente.
"Astige
ðu wyrm fah ond geþéowe ðæt mod ðisse
þeowes. Hine bind ond ða heold ond awendaþ he ealle".
Le
parole si diffusero dalla sua bocca come un'antica melodia, gli occhi
tornarono ad accentuare l'oro di cui erano fatti ed infine il bambino
gettò l'artefatto tra le fiamme del camino; immediatamente il
fuoco si innalzò, come rinvigorito da una forza invisibile e
l'ondata di intenso calore costrinse Emrys ad arretrare di un paio di
passi. Non passò molto tempo che il crescendo di un sibilo
spezzò drasticamente l'immobilità dell'aria: no, non
era uno.
Erano di più, molti di più. Se non l'avesse considerato
davvero infantile, Emrys si sarebbe coperto le orecchie con le mani a
causa dell'intenso fastidio che quel suono gli causava.
Il
castello di ciocchi crollò sotto il peso delle creature che il
mago aveva richiamato dall'aldilà e la cenere si spanse in uno
sbuffo sulla pietra, quando queste strisciarono fuori dal camino per
raggiungere il loro padrone; Emrys rimase immobile e li osservò
in silenzio, lasciò che gli si strofinassero addosso, sulle
gambe, come figli in cerca di affetto. I Fomorroh avevano un piccolo
corpo scuro, sinuoso, come quello di un serpente, ma anziché
una testa sola... ognuno di loro ne aveva sette. Resistendo
all'impulso di calpestarli freneticamente, il bambino camminò
attraverso la stanza fino a raggiungere il malandato tavolo che aveva
posizionato contro la parete opposta e recuperò quella che
aveva tutta l'aria di essere una piccola ascia, solcata da macchie
scure. Il luccichio della lama si specchiò nei suoi occhi
gialli, le orecchie piene dei sibili sinuosi dei numerosi Fomorroh
fuoriusciti dal medaglione. Emrys si voltò lentamente verso il
salotto, dando così le spalle al tavolo ed osservò le
creature stringendo l'ascia nella mano destra.
Poi,
iniziò a tranciare selvaggiamente le loro teste.
Il
sibilare dei serpenti si acuì a tal punto da diventare quasi
insopportabile ed Emrys gridò, imponendo tutta la ferocia che
era intrappolata nel sul piccolo corpo ad ogni calare di lama; ben
presto il pavimento si riempì delle teste dei Fomorroh, le
quali sviluppavano quasi immediatamente un piccolo corpo che
permettesse loro di strisciare. Dal collo mozzato della fonte
originale, invece, una nuova testa prendeva subito il posto di quella
tranciata. Del liquido scuro schizzò dalle ferite inferte ai
Fomorroh, macchiando il giovane volto glabro ed infantile di Emrys,
ma quello non si fermò: colpo dopo colpo, l'aria satura di
suoni viscidi e disgustosi, nel giro di dieci minuti riuscì a
mozzare una quantità di teste che da sola sarebbe bastata a
prendere possesso di metà della città di Glastonbury;
soltanto allora l'ascia scivolò via dalle dita delle sue mani,
cadendo rumorosamente a terra, su un pavimento che non si vedeva
nemmeno più a causa dell'enorme quantità di creature
che lo ricoprivano.
Ansimò
pesantemente, il volto infradiciato da rivoli di sudore che avevano
fatto colare lungo il collo il sangue dei Fomorroh, macchiandogli la
maglia; barcollò sulle sue stesse gambe, avvertendo
chiaramente l'acido lattico bruciare lungo tutto il suo braccio
destro. Alzò la mano davanti al volto, facendo chiudere ed
aprire le dita più volte, lentamente.
"Andate"
sussurrò sommessamente, gli occhi vitrei ed assenti sulle
morbide falangi macchiate e scure; "Andate. Prendeteli,
prendeteli tutti... e cercatela. Cercate Alecto. Uccidetela".
Un
unico crescendo di sibili gli rese noto che l'ordine era stato
compreso; come un'unica macchia scura, rivoltante e pregna di cose
oscure e malate, i Fomorroh strisciarono attraverso il salone ed
abbandonarono la casa, chi dalle finestre dai vetri rotti, chi dalle
crepe che la natura aveva creato nei muri della dimora, ai tempi in
cui ne aveva preso possesso. Emrys li sentì dirigersi verso il
centro abitato, ma non si voltò a guardare il modo in cui la
luce del giorno faceva risplendere la loro pelle come petrolio
liquido, no: il suo pensiero volò a coloro che, durante quei
mesi, non l'avevano mai tradito.
Aveva
ordinato ai draghi di cercare Alecto nel momento stesso in cui le
ventiquattro ore erano scadute, ma a tre giorni di distanza quelli
non avevano saputo trovarne traccia; Emrys non poteva sapere che la
ragazza aveva trovato un alleato in Drem, un alleato che la metteva
in guardia ogni qual volta percepiva un pericolo.
Emrys
era stato molto attento, con lei. Non le aveva mai detto che i suoi
draghi avevano sempre avuto il compito di trovare il Fu Re e di
ucciderlo, in realtà neanche sapeva cosa
o
chi
fosse, un Fu Re; tutto ciò che la ragazza sapeva, era che
quelle creature usavano le loro fiamme per purificare la terra, per
azzerare tutto ciò che di bigotto era stato costruito dagli
umani e poter così permettere alla società di risorgere
dalle sue ceneri, ma ceneri migliori, fatte di magia.
Per
ottenere un mondo migliore era necessario
un atto di forza ed Alecto aveva anelato così dolorosamente un
mondo a cui poter appartenere, che si era lasciata sedurre senza
porsi alcuna domanda. Emrys era convinto che durante la sua ultima
missione fosse successo qualcosa che l'aveva allontanata da lui, ma
non era minimamente interessato nello scoprire che cosa.
L'altra
metà di sé gli aveva rivelato che Arthur era tornato in
vita, quindi la prima parte del suo piano aveva funzionato; la
seconda ed ultima, restava quella di ucciderlo. Creare un nuovo mondo
dove gli esseri magici e non potessero convivere in armonia non era
mai stata sua intenzione. A quel punto, Alecto per lui non valeva
niente.
Il
mio esercito riuscirà laddove i miei draghi non sono riusciti.
È solo questione di tempo.
*
Pressi
Winchester, 30 luglio 2020
Mattina
"È
iniziato qualche mese fa. Io mi trovavo ancora in collegio, perché
non si poteva permettere che una nelle mie condizioni se ne andasse
in giro liberamente. Le suore erano ancora solo all'inizio della loro
'opera di purificazione' ed io ero ben lungi dall'esserlo. Questo a
sentir loro, almeno. Per un certo periodo ho pensato che avessero
tutti ragione, comunque: la mia famiglia, sopratutto. Erano tutti
convinti che fossi posseduta da qualche forza demoniaca e, non so
bene a che punto, me ne convinsi anche io".
Alecto
inumidì le labbra, guardando Charles con intensità.
Strinse le cinghie dello zaino con forza, tentando di non lasciar
morire quel flebile sospiro di coraggio che le parole del ragazzo le
avevano donato.
"Ad
un certo punto del mio... percorso spirituale, le cose sembrarono
peggiorare. C'erano alcune notti in cui, nella mia testa, sentivo una
voce. All'inizio pensai si trattasse di sogni mescolati a
dormiveglia, ma l'evento si fece sempre più frequente, sino a
quando non iniziai a sentirla anche di giorno. Durante quei momenti,
ho spesso pensato di aver raggiunto il capolinea, di essere
definitivamente impazzita, di essere irrecuperabile. C'era questa
voce che mi parlava, mi chiamava per nome, mi ordinava di cercarla.
Cioè, di cercare la sua fonte".
Sentiva
gli occhi di Hester bruciarle il volto in modo implacabile, ma non
aveva la minima intenzione di guardarla; Charles, solamente Charles
aveva il potere di tirarle fuori tutto quanto e se veramente quella
doveva essere la volta buona, era per lei fondamentale rivolgersi a
lui, solo a lui. Glie lo doveva.
"La
situazione si fece talmente insostenibile che alla fine ho ceduto.
Una notte uscii di nascosto ed andai a cercarla. O forse, dovrei dire
a cercarlo... la voce apparteneva ad un maschio - ad uno stregone,
per essere precisi. Mi sono lasciata guidare dal suo richiamo e senza
sapere come, mi sono ritrovata di fronte ad una casa, non molto
lontano dal mio collegio. È stata quella, la prima volta in
cui ho incontrato Emrys".
Hester
smise di respirare ed allargò impercettibilmente gli occhi
verdi. Charles capì sulla propria pelle che cosa volesse dire
essere tramutati in pietra. Come fosse successo solo il giorno prima,
l'incontro con le Disir gli rammentò le esatte parole: Merlin
il Mago, questo è il suo nome da uomo. Emrys è il nome
con cui egli è chiamato dai Druidi.
Merlin.
Per tutto quel tempo... Alecto avrebbe potuto essere il suo
collegamento immediato con Merlin.
Non
mosse un muscolo, esattamente come Hester e l'immobilità
terrea che colpì entrambi, non interruppe il racconto di
Alecto.
"Lui
mi ha salvata, capite? Mi ha tirata fuori dalla mia miserabile vita!"
Il
suo tono si fece accorato, come se avesse necessità fisica che
gli altri due la comprendessero.
"Mi
ha fatto capire chi sono e, sopratutto, cosa
sono! Mi ha insegnato a controllare il mio dono, mi ha mostrato una
realtà di cui non ero minimamente a conoscenza e per la prima
volta in vita mia, è capitato che qualcuno mi facesse sentire
giusta
così come sono! Lui ha bisogno di me
per salvarci tutti, per salvare gli altri.
Credete che io sia l'unica ad essere stata rinchiusa perché
considerata un mostro? Un pericolo? Non avete idea di quante altre
Alecto
ci siano là fuori, in questo momento! Lui... lui mi ha
promesso un mondo per me. Per noi. Non vedete quanto fosse necessario
tutto questo?" I suoi pallidi occhi si fecero vacui, come
stessero contemplando qualcosa che solo lei poteva vedere.
"Io
credevo che lo fosse! Credevo... Anche Emrys l'ha detto: per un mondo
migliore, è necessario un atto di violenza. I cambiamenti non
possono avvenire, non senza una rivoluzione! Io credevo... pensavo
che il fuoco dei draghi avrebbe purificato tutto. Avremmo potuto
iniziare a costruire un mondo nuovo, da zero, e tutti coloro che
fossero rimaste vittime accidentali degli attacchi, sarebbero tornate
in vita grazie a noi, grazie al calice della vita(1)!"
Hester,
a quel punto, ruggì come un animale selvaggio.
"STUPIDA!"
l'appellò, con le mani che le prudevano, tanta era la voglia
di strozzarla. Drem drizzò la coda, inchiodandosi al suolo con
una posizione difensiva.
"Stupida,
stupida, idiota di un'inutile ignorante! Il calice della vita NON
ESISTE
più! È andato distrutto secoli e secoli fa! La tua
imbecillità ci farà ammazzare tutti, disgraziata!"
Charles
non l'aveva mai vista così fuori di sé e per un attimo
temette che le sarebbe preso un colpo al cuore.
La
notizia crollò su di Alecto con la potenza di una frana;
sgranò gli occhi, oramai quasi fuori dalle orbite per lo
sconcerto ed il volto le si fece pallidissimo. Al contrario, quello
di Hester era acceso da una rabbia incontenibile e le vene del collo
erano gonfie per le grida trattenute. La più giovane scosse
impercettibilmente la stessa, inghiottendo a vuoto.
"No"
esclamò, la voce tremula; "Non è così.
Emrys... Emrys ha detto-"
"TI
HA MENTITO, IDIOTA CHE NON SEI ALTRO! TI HA MENTITO!
Ma non lo capisci?! Non glie ne importa un accidente di riportare in
vita le persone e se tu avessi più cervello in quella tua
miserabile testa da cieca, muta e sorda, ti saresti anche chiesta se
quella del calice non fosse l'ennesima menzogna! E sai perché?
Te lo dico io perché!"
Quando
dalle fauci di Drem uscirono dei rivoli di fumo intimidatori, Charles
fu costretto a trattenere la sua governante per le braccia.
"PERCHÉ
IL CALICE NON SERVE A RIPORTARE IN VITA I MORTI! NON È MAI
STATA QUESTA LA SUA FUNZIONE! MALEDETTA STUPIDA!"
sputò, tentando di avanzare comunque verso di lei. Oh, se solo
avesse potuto metterle le mani addosso, l'avrebbe ammazzata!
"Se
pure fosse ancora esistito il calice, non avreste potuto comunque far
risorgere nessuno! DELLE
PERSONE SONO MORTE, LO CAPISCI? E PESANO TUTTE SULLA TUA SPORCA,
LURIDA COSCIENZA!
E adesso fatti venire un altro attacco di panico, avanti! Ma questo
volta fai un favore al mondo e restaci secca una volta per tutte!
Liberaci della tua deficienza!"
"Hester!"
esclamò Charles, cercando di farle dare una calmata. Alecto
iniziò ad iperventilare, la sua mente si rifiutava di
accettare ciò che le era stato detto, ma una parte di lei -
una minuscola, infinitesima parte di lei che era nata a causa
dell'incontro con la Diamar -, aveva da tempo iniziato a sospettare
che ci fosse qualcosa che non andava, a partire dal modo evasivo in
cui Emrys affrontava ogni discussione riguardo al calice.
Hester,
quel giorno, aveva dato conferma ai suoi timori.
Aveva
sbagliato.
Aveva
sbagliato tutto.
Poi,
inesorabilmente, iniziò a processare per
davvero la
portata di quello che era successo: non avrebbe potuto riportarle
indietro. Tutte le persone che erano morte dall'inizio di quella
crociata, sarebbero rimaste tali per sempre.
Morte.
Uccise.
Bruciate
vive.
Trucidate.
Era
un genocidio.
Non
avrebbe potuto aiutarle.
Non
avrebbe potuto fare niente, per loro.
E, a
soli venti anni, la prospettiva di avere ancora tutta una vita
davanti per ricordare ogni sacrosanta, maledetta mattina, quello che
aveva fatto... era terrificante.
Avrebbe
preferito di gran lunga la morte.
Fu
per questo che quando l'attacco di panico arrivò davvero,
sperò che il desiderio di Hester si realizzasse: sperò
di morirne sul serio e che la sensazione di soffocamento non si
limitasse ad essere, per l'appunto, una semplice sensazione, una mera
presa in giro del suo cervello.
Crollò
sulle ginocchia con le dita affondate nei capelli ed iniziò a
dondolarsi avanti ed indietro, sforzandosi di accogliere la paura,
anziché scacciarla. Schiacciami,
soffocami, uccidimi, uccidimi, uccidimi.
Al
contrario dell'ultima volta in cui aveva avuto una crisi, Charles non
si avvicinò per aiutarla; restò con le braccia ancorate
attorno ad Hester, continuando a tenersela stretta e l'unica cosa di
lui che raggiunse Alecto, fu lo sguardo. Uno sguardo condito di
biasimo, di incredulità, di rassegnazione e di tradimento.
Perché
la sua maledetta vita pareva essere un déjà vu? Perché
tutti non facevano altro che mentirgli, mentirgli e mentirgli? Dai
tempi di Camelot, niente sembrava essere cambiato. Ancora menzogne,
sempre e solo quelle. Era di nuovo colpa loro.
Drem
si accostò alla ragazza crollata a terra ed utilizzò
con lei ciò che le aveva ispirato anche il suo nome: la riempì
con la pace, la tranquillizzò con la sicurezza e la cullò
con la quiete. Fu l'unico ad intervenire, a fare qualcosa di reale
per Alecto; del resto, lei non avrebbe potuto aspettarsi un
comportamento diverso, da Charles o da Hester. Sopratutto da Hester.
Quando
Alecto riuscì a superare l'attacco, ben una ventina di minuti
dopo e solo grazie alla vicinanza di Drem, prese in fretta una
decisione: non avrebbe potuto vivere nell'angoscia e nel senso di
colpa il resto dei suoi giorni. Doveva fare qualcosa. Doveva aiutare
a porre fine a quella follia. Fu per questo che, restando ginocchia a
terra, il capo chino, si tolse lo zaino dalle spalle con il
Triskelion all'interno e lo gettò ai piedi di Hester.
"Prendetelo"
disse e quando sentì la sua stessa voce, ebbe come
l'impressione che fosse stato qualcun altro a parlare.
"Prendete
tutto. Anche il drago, se volete. Vi darò tutto, ma vi
prego... lasciatemi venire con voi. Voglio aiutarvi. Voglio che tutto
questo finisca. Non lasciatemi indietro".
"NO!"
sputò immediatamente Hester, che era rimasta a guardare la sua
agonia nella illogica speranza che il drago decidesse di arderla
viva. "Quello che hai fatto è ripugnante e non meriti un
briciolo della nostra pena. Dovremmo ucciderti, ecco cos'avrebbe
finalmente senso!"
"Lo
so" biascicò miseramente la ragazza, senza più uno
straccio di dignità "Potrete uccidermi, se vorrete, ma vi
prego di farlo quando avremo fermato Emrys. Se dovrò morire,
voglio poterlo fare soltanto dopo aver compiuto qualcosa di buono".
"E
con quale diritto credi ancora di poter avere il lusso di scegliere
in che modo morire? Ce l'hanno avuto, tutte quelle persone che se ne
sono andate a causa delle fiamme? Dei crolli?"
Le
spalle di Alecto vennero scosse da singhiozzi rumorosi.
Era
una scena patetica.
"Vi
prego"
pigolò, alzando verso di loro un paio di occhi sproporzionati
ed acquosi. Li stava letteralmente implorando in ginocchio. "Posso
parlare con i draghi! Vi giuro che vi aiuterò! Farò
tutto quello che mi direte di fare! Ve lo giuro! Ve
lo giuro!"
pregò, con la voce incrinata dalla disperazione.
Ecco,
finalmente si tornava alla normalità: era sempre stato quello,
il suo posto. Persa in balia di coloro dai quali doveva elemosinare
un po' di considerazione. Quando Charles la vide grondare sia dagli
occhi che dal naso, ne ebbe abbastanza; le si avvicinò
meccanicamente e la tirò su per un braccio, costringendola ad
alzarsi.
"Asciugati
la faccia" le disse, senza alcuna intonazione particolare.
Alecto, il volto accartocciato ed arrossato per il pianto, alzò
la maglietta ed usò la stoffa per asciugarsi le guance ed il
naso. Charles la fissò con aria greve e lei poté
chiaramente sentire sulla pelle il peso del suo giudizio, del suo
biasimo e della sua delusione.
Ce
l'aveva fatta. Aveva distrutto nuovamente l'unica cosa che di buono
aveva nella vita.
Aveva
perso la sua amicizia. Non c'era più speranza.
"Io
ti avverto, Alecto" continuò il ragazzo, dopo lunghi
istanti di silenzio; "Se scopro che mi stai tenendo nascosto
ancora qualcos'altro, non ci sarà più alcun vi
prego
che tenga. Il fatto che a me piaccia dare il beneficio del dubbio
alle persone, non fa di me uno stupido. Forse ai tuoi occhi lo sono
diventato da un pezzo, perché nonostante tutti gli
avvertimenti che Hester ha provato a darmi, io ho preferito ignorarli
in tuo favore".
"Charles,
io-"
"Non
ho finito" la interruppe, bruscamente. "E ascolta anche tu
Hester, perché questo risponderà alle domande che
sicuramente non vedrai l'ora di farmi".
Mantenne
lo sguardo fisso in quello di Alecto, emanando un'aura di autorità
che ricordava in tutto e per tutto Arthur Pendragon, Il Re.
"Se
ti permetto per l'ennesima volta di venire con noi, è soltanto
perché ci serve qualcuno che sia in grado di comunicare con i
draghi. Alla prima mossa falsa, ti ritroverai la mia spada puntata
alla gola. Alla prima mossa falsa, per quanto mi riguarda, Hester
avrà tutto il diritto e la piena libertà di fare di te
ciò che più riterrà opportuno. Camminerai sempre
due passi avanti a noi, non ti allontanerai neanche per andare a fare
pipì. Io non so a che gioco ora vuoi giocare, ma chi mi
assicura che non sia stato un caso il fatto che tu fossi lì,
il giorno in cui ci hai salvati dal grifone? Chi mi assicura che tu
tuttora non voglia ucciderci, vista la discutibile scelta dei tuoi
alleati?"
Alecto
sgranò gli occhi, prima di sbattere le palpebre con
perplessità. "Uccidervi?" ripeté, sconvolta.
"Perché
dovrei farlo? Perché non mi sarei dovuta trovare lì per
caso?"
Charles
esitò. Non aveva rivelato di essere Arthur Pendragon ad Alecto
e forse nemmeno Emrys lo aveva fatto. Era certo che il mago sapesse
che fosse vivo, ma non aveva idea di quanto avesse detto alla
ragazza, o su cosa avesse invece taciuto. Sapeva che Emrys voleva
ucciderlo ed il dubbio che avesse delegato il compito ad Alecto lo
aveva più che sfiorato, eppure... c'erano state una miriade di
occasioni in cui la ragazza avrebbe potuto ucciderlo e darsi alla
fuga, ma non ne aveva mai colta nessuna. In fin dei conti, forse si
era trattato davvero di un caso, quel loro primo incontro. Scambiò
un veloce sguardo con Hester, che scosse impercettibilmente la testa
ed infine tornò a guardare il volto angosciato e devastato
dalle lacrime di Alecto.
"Andiamo"
replicò solamente Charles, afferrandola per un gomito e
spingendola davanti a sé; "Stavolta si fa sul serio.
Portaci verso il luogo in cui si trova questo Emrys e niente
scherzi".
Alecto
deglutì, incespicò maldestramente nei suoi stessi piedi
ed iniziò a camminare con gli occhi fissi sul terreno, con
Drem al suo fianco che, a tratti, sbuffava ancora rivoli di fumo
fuori dalle narici. Sapeva che avrebbe dovuto sopportare per tutto il
resto del viaggio lo sguardo arrabbiato di Charles puntato sulla
schiena.
Ed
avrebbe dovuto farlo in silenzio.
NOTE
DELL'AUTORE:
tra lampi tuoni e fulmini, giunge l'aggiornamento in sordina di
questa storicciuola. Dedicato a tutti voi, belli e brutti! Domanda
random: pensate che Alecto sia un personaggio esagerato o troppo
finto? Ci terrei molto al vostro parere...
Il
calice della vita: lo incontriamo nella serie televisiva ai tempi di
Nimueh. Bevendo l'acqua dal calice, si può scampare alla
morte. Riempiendo il calice di sangue, invece, si potrà
essere immortali sino a quando il sangue si troverà al suo
interno. Come potete vedere, non ha il potere di riportare in vita i
morti ed anzi, il suo funzionamento si basa su uno scambio
equivalente (lasciando perdere i principi alchemici): una vita in
cambio di un'altra, per mantenere l'equilibrio della natura. Quindi,
quando qualcuno scampa alla morte grazie al calice, qualcun altro
morirà per prendere il suo posto. Tutto ciò è
tratto fedelmente dalla serie televisiva.
Asfo
|
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Capitolo 15 *** Un penny per i tuoi pensieri ***
QUINDICESIMO
CAPITOLO
15.
Un penny per i tuoi pensieri
Milborne
Port, 2 agosto 2020
Mattina
"NON
UCCIDETELI!"
era stata la prima cosa che Alecto aveva gridato, quando l'attacco
era iniziato. Quella mattina si era alzata con un profondo senso di
inquietudine e, mentre si erano avvicinati sempre di più a
Glastonbury, le era parso di avvertire una sorta di elettricità
nell'aria; solitamente si sentiva sempre così, quando stava
per succedere qualcosa. Giunti da poco a Milborne Port, quel qualcosa
li aveva scovati e guidato da una sconvolgente assenza di timore per
la morte od il dolore, li aveva attaccati.
Drem
le aveva subito detto: sono innocenti.
Innocenti?
Aveva
pensato Alecto nell'immediata frenesia della situazione, quando un
energumeno grosso come una gip le era corso incontro con gli occhi
fuori dalle orbite. Come poteva essere innocente uno con una faccia
così spaventosa?
Sono
posseduti dai Fomorroh,
aveva aggiunto il piccolo drago a quel punto, che si era
immediatamente posizionato davanti a lei con chiari intenti
protettivi. Non
sanno quel che stanno facendo. Eseguono degli ordini.
Alecto
non aveva idea di cosa diavolo fosse un Fomorroh, ma se Drem le aveva
detto che non erano coscienti di cosa stessero facendo, allora
ucciderli per non essere uccisi sarebbe stato un grosso sbaglio e lei
di pesi sulla coscienza, ne aveva già a sufficienza per le
successive dieci vite.
"Cosa?!"
aveva esclamato Charles, spada sguainata ed in posizione di difesa al
suo fianco. Hester, dietro di loro e quasi schiena contro schiena del
suo pupillo, era impegnata a tenere alla larga come meglio poteva il
resto degli assalitori; ad occhio e croce stimò che fossero in
sette.
"Sono
posseduti" squittì sbrigativamente Alecto, che con un
guizzo di occhi dorati spintonò il loro aggressore, facendolo
finire a gambe all'aria; gettò un'occhiata verso Charles ed
anticipando la sua domanda, aggiunse: "Me l'ha detto Drem".
"Magnifico"
commentò il ragazzo a quel punto, con sarcasmo, facendo
roteare la lama di Excalibur nell'aria. "Non possiamo ucciderli.
Non possiamo ferirli..."
Drem
fece zampillare del fuoco attraverso le sue fauci minute ed il fuoco
creò un cerchio attorno a loro, ma di debole entità e
destinato ad estinguersi molto presto. Charles fece saettare gli
occhi sui volti delle persone che li circondavano, valutò la
loro costituzione, le armi che già possedevano o che
l'ambiente circostante avrebbe potuto offrire al momento, studiò
il terreno pianeggiante tutto ad est, la macchia di alberi a
sud-ovest, la prevalenza di ostacoli verso nord - ma con la maggiore
possibilità di rientranze rocciose - e si costrinse a prendere
velocemente una decisione.
Una
drastica decisione.
"Scappiamo!"
Senza
perdere tempo, afferrò la mano di Hester e se la trascinò
attraverso le fiamme che avevano già iniziato a calare; la
donna si riparò il volto con il braccio libero e non riuscì
ad inghiottire un insulto rivolto a nessuno in particolare. Alecto
scattò dietro di loro e Drem, rotolando un paio di volte sulle
sue stesse zampe, riuscì con fatica ad alzarsi in un volo
traballante. I Fomorroh si lanciarono immediatamente al loro
inseguimento e Charles poteva sentirli correre dietro di loro e
sapeva già che se non fossero intervenuti in qualche modo,
sarebbero stati raggiunti in pochi secondi.
"Dobbiamo
rallentarli!" gridò, spinto anche da un'altra urgenza:
Hester non avrebbe potuto reggere quel ritmo a lungo, il viaggio e lo
stress l'avevano incredibilmente provata. "Fa' qualcosa!"
"Che
cosa?" urlò di rimando Alecto, la cui capacità di
pensare lucidamente, in certe situazioni, andava a farsi allegramente
benedire.
"Qualunque
cosa!" replicò l'altro, sventolando con frustrazione
Excalibur nell'aria.
Alecto
voltò la testa per studiare la situazione e quasi inciampò
nei suoi stessi piedi, quando si rese conto che i Fomorroh stavano
per caracollarle addosso. Oh
Dio
gemette nella sua testa, terrorizzata. Tornò a voltarsi in
avanti e cercò di accelerare la sua andatura, ma non sarebbe
andata comunque molto lontano perché il respiro ansante di
Hester le fece capire la donna stava per cedere e di certo Charles
non l'avrebbe mai lasciata indietro. Oh
Dio pensò
di nuovo, come
faccio a rallentarli?!
La
parola la spinse ad immaginare un qualcosa che potesse bloccare i
Fomorroh e fu a quel punto che gli occhi, quasi per caso, le caddero
sulle radici degli alberi che a tratti spuntavano fuori dal terreno.
E allora capì che cosa fare. Cercando di raccogliere quanta
più concentrazione ed energia possibili, Alecto smozzicò
tra un respiro ansante e l'altro una formula dalle parole antiche ed
i suoi occhi si tinsero di oro liquido; in una reazione praticamente
immediata, il terreno sul quale stavano correndo tremò come
risvegliato da un sonno profondo ed all'improvviso le radici degli
alberi si mossero fendendo la crosta e si attorcigliarono attorno
alle caviglie dei Fomorroh. Hester caracollò a terra dalla
fatica in quell'esatto momento ed appoggiò una mano
all'altezza del cuore, il volto coperto di sudore ed i capelli grigi
incollati alla faccia.
"No
Hester, ti prego, alzati!" la implorò Charles,
afferrandole un braccio per farlo passare sulle sue spalle; Alecto
pretese qualche glorioso istante per ammirare ciò che aveva
fatto: i Fomorroh, caduti a terra come salami, stavano cercando di
liberarsi dalle radici che li avevano imprigionati, gridando
oscenità.
Adesso
sì, che aveva fatto guadagnare loro del tempo.
"Alecto!"
la richiamò Charles urgentemente, riportandola con i piedi per
terra e costringendola a voltarsi; si avvicinò a loro con
passi veloci e senza che le fosse stato detto niente, passò
intorno alle sue spalle l'altro braccio di Hester, aiutando Charles
ad alzarla in piedi; il volto di lui era trasfigurato dall'ansia ed i
suoi occhi azzurri parlavano di una paura non tanto remota.
"Hester,
che ti prende? Smettila di respirare così, non lo sopporto!"
In
effetti il respiro di Hester era pesante e rumoroso, come non
riuscisse a prendere boccate abbastanza profonde nonostante
l'impegno.
"Non
è che adesso le prende un infarto?" chiese senza alcun
tatto Alecto, accorgendosi soltanto dopo di come le sue parole
fossero suonate male; guardò immediatamente il volto di
Charles, che si era fatto terreo e che aveva unito le labbra in una
linea sottilissima. Era proprio quello stesso pensiero che l'aveva
fatto sbottare così malamente e che l'aveva portato in modo
illogico ed infantile ad ordinare
ad Hester di stare meglio.
"Andiamo"
rispose con tono rigido, ignorando sia la sua domanda che il rossore
sul viso di Hester; insieme all'aiuto di Alecto, riuscirono ad
avanzare faticosamente verso nord e dopo circa mezz'ora di cammino,
incapparono in una rientranza semi nascosta da alcuni cespugli.
Charles fece cenno alla ragazza di dirigersi da quella parte e quando
ebbero posizionato Hester seduta a terra e con la schiena poggiata
contro il muro roccioso, Alecto eseguì in incantesimo che
rendesse poco visibile a sguardi curiosi l'entrata della piccola
grotta. Loro, posizionatisi vicino all'ingresso, potevano comunque
studiare l'esterno.
"Hester"
disse Charles, accucciandosi davanti a lei; strappò un pezzo
della sua t-shirt e le asciugò il sudore sulla fronte e sul
collo; lei aveva regolarizzato il respiro, ma appariva molto più
stanca di quanto lui l'avesse mai vista. Se in quel momento avesse
dato retta al suo istinto, avrebbe chiuso gli occhi pur di non vedere
quella maledetta realtà dei fatti.
Non
la voleva vedere così. Semplicemente, non voleva. Lei era
Hester. Era la sua roccia.
"Non
si preoccupi, Charles" disse lei, allontanando con gentilezza la
sua mano dal viso. "Mi bastano dieci minuti. Dieci minuti di
riposo e poi possiamo rimetterci in cammino".
Lui
la guardò intensamente, con un senso di smarrimento tale che
si ritrovò senza parole.
I
dieci minuti diventarono venti e da venti divennero quaranta. Hester
si era addormentata e Charles sentiva di non avere il cuore per
svegliarla. Il terribile pensiero che gli aveva attraversato la mente
e che poi Alecto aveva concretizzato con le parole, gli aveva messo
addosso un'angoscia indescrivibile. Non sapeva cosa doveva fare. E se
il rimettersi in cammino li avesse costretti ad un'altra fuga simile?
E se Hester la volta successiva non avesse saputo reggere il ritmo? E
se si fosse sentita male per davvero? E se, e se, e se...
Immerse
le dita nei capelli biondi e li tirò dalla radice; gli occhi
si inumidirono a causa del dolore, ma lui non addolcì la
presa. Era troppo, tutto quello era semplicemente troppo per un
singolo essere umano. Aveva talmente tanti pensieri ad affollargli la
testa, talmente tante emozioni a spaccargli lo stomaco ed il petto
che ad un certo punto sospettò che l'infarto sarebbe venuto
prima a lui. In quei giorni aveva cercato di darsi un tono, di
reprimere il malessere interiore che lo stava lentamente divorando,
poiché c'era bisogno di qualcuno che salvasse il mondo e non
importava a nessuno che a lui non fosse mai interessato salvare il
mondo. Quanto avrebbe potuto resistere ancora? Alla resa dei conti,
si sarebbe presentato davanti ad Emrys abbastanza lucido da poterlo
affrontare?
Sarebbe
stato abbastanza lucido da poter salvare non il mondo, ma l'unica
persona di cui, in tutta quella faccenda, gli importasse davvero
qualcosa?
"Se
vuoi tagliare i capelli non c'è bisogno di tentare di
strapparli".
Charles
aprì lentamente le dita e le lasciò scivolare lungo il
volto accaldato, prima di farle ricadere in grembo; voltò la
testa verso Alecto, seduta accanto a lui, ma lei non sorrise e tenne
gli occhi grandi fissi verso gli alberi. Stavano lì seduti,
aspettando da un momento all'altro di sentire le voci od i passi dei
Fomorroh.
"Sei
stato bravo prima, sai" continuò lei, rigirandosi tra le
dita nervose un filo d'erba. "Quando siamo stati attaccati. Ti
sei comportato come se ti trovassi in situazioni del genere da una
vita".
Alecto
fece quell'osservazione senza nemmeno sospettare la totale ironia
della situazione. Non
io,
pensò Charles con un mezzo sorriso sarcastico sulle labbra, ma
l'altro. Ovviamente
preferì non commentare ed Alecto interpretò quel
silenzio come un permesso: quello di potergli parlare.
"Mi
dispiace per quello che è successo" disse infatti,
quietamente. Nell'aria si diffuse il suono di un elicottero che stava
volando in zone circostanti. Charles alzò gli occhi verso il
cielo, come aspettandosi di vederlo.
"Non
è stata colpa tua" rispose, corrugando la fronte subito
dopo: "O forse sì?"
Lei
si torse le mani con nervosismo ed aggrottò le sopracciglia
con espressione contrita. "Ecco, io... io credo che sia stato
Emrys, a mandarli. Molto probabilmente mi sta cercando. Sono quasi
certa che ce l'avessero con me, ma dal momento che avete cercato di
difendermi..." allungò una mano verso Drem, che si era
acciambellato davanti a lei e gli accarezzò la testa squamosa.
Il drago emise un gorgoglio deliziato e socchiuse gli occhi lucenti
con pigrizia. Charles osservò il muso della creatura con aria
assorta, metabolizzando il significato di ciò che Alecto gli
aveva detto.
"Quindi
ci stanno dando la caccia" esclamò, piuttosto incolore.
"Ovunque andremo, rischieremo di essere braccati".
Chiaramente,
la sua non era una domanda, ma in risposta ricevette comunque un
silenzioso assenso.
"Un
motivo in più per porre fine a tutto questo circo senza
perdere altro tempo".
"Questo
circo?"
"Alecto,
non ce la faccio più." La guardo apertamente negli occhi.
"Sono
stufo di dormire sull'erba, nelle caverne o nelle macchine rubate di
persone che probabilmente sono morte. Sono stufo di nascondermi, di
scappare o di provare paura ad ogni rumore e ad ogni movimento. Non
mi lavo da giorni, non facciamo un pasto decente da non so quanto e
più tempo passo a ripetermi quanto io odi questa situazione,
più tempo ha Emrys di perpetrare questa pazzia!"
"Allora
perché lo fai?" domandò lei, con espressione
stupita ed al contempo inquisitoria.
"Perché
faccio cosa?"
"Perché
tu ed Hester vi siete imbarcati in questa impresa? Perché ti
sei messo in testa di voler fermare Emrys? Ho più ragioni io
di te, per farlo. Eppure la stai facendo sembrare una questione
personale".
Charles
distolse lo sguardo e lo puntò davanti a sé. Non disse
niente, limitandosi ad irrigidire la mandibola ogni tre per due.
Alecto intuì che qualcosa mancava, nel puzzle. Un pezzo che le
facesse comprendere un punto importante. Decise quindi di cambiare
tattica.
"Mi
chiedevo..." iniziò, scegliendo con attenzione le parole,
"...cosa intendessi l'altro giorno, quando mi hai detto che
forse non si è trattato di un caso l'avervi incontrati nel
posto in cui siete stati attaccati dal grifone?"
"Con
quale coraggio vieni tu a fare domande a me?"
Alecto
allargò gli occhi, con la sensazione che qualcuno le avesse
afferrato lo stomaco e lo stesse accartocciando: Charles non le aveva
mai parlato con quel tono così aggressivo. Abbassò lo
sguardo e si chiuse in un silenzio quasi tangibile. Accanto a lei, il
ragazzo si mosse scomodamente sul terreno e poi si alzò
sbuffando, andando a recuperare dallo zaino qualcosa; quando tornò
a sedersi per terra, tra le mani stringeva la radio tramite la quale
avevano cercato di tenersi informati sull'evolversi delle cose.
Il
ragazzo la accese ed un rumore fastidioso decretò la mancanza
di segnale; girando la rotella dei canali, tentò di trovare
una frequenza che fosse anche un minimo percepibile e fu in quel modo
che i successivi cinque minuti trascorsero; allo scoccare del
settimo, Charles emise un verso infastidito e spense la radio,
gettandola accanto a sé. L'impatto contro il terreno produsse
un rumore forte e lui, con la colpa dipinta sulla faccia, si voltò
per controllare di non aver disturbato il sonno di Hester; con
sollievo, constatò che la donna dormiva ancora della grossa.
Quando tornò a guardare verso gli alberi, oramai le parole
incastrate nella sua gola avevano già iniziato a soffocarlo.
Non
si fidava di Alecto, lei gli aveva dimostrato di non doverlo fare;
d'altra parte, una fastidiosa vocina dentro di sé, che
stranamente aveva il tono di Merlin, gli suggerì che per
pretendere l'onestà altrui, avrebbe dovuto essere onesto egli
stesso in primo luogo. Con quale diritto Merlin osava azzardare
quell'osservazione proprio nei suoi confronti, poi, era un maledetto
mistero. In veste di Arthur, se pensava a come Merlin era sempre
riuscito a nascondergli il suo segreto, si lasciava montare dalla
rabbia; in veste di Charles, prendendo piena coscienza della
situazione attuale, si ritrovava a contare i secondi che ancora lo
separavano da lui.
"C'è
qualcosa che non ti è stato detto".
Sollevò
Excalibur da terra e sentì lo sguardo di Alecto su di sé.
"Al
contrario di te, non è stato fatto per tenere nascosto un
piano malvagio per la conquista del mondo. Se abbiamo preferito
tenerti all'oscuro di alcune... informazioni, specialmente Hester, è
stato per la mia sicurezza". Fece scintillare la lama della
spada sotto la luce calda del giorno.
"Guardala"
esclamò Charles, lasciando scorrere lo sguardo lungo tutta
quella lucentezza; "Credi che questa sia una spada qualsiasi?"
Alecto
guardò l'arma con espressione quietamente curiosa, ma non vide
in essa nulla di diverso che potesse classificarla al di fuori del
consueto.
"Non
lo è?" si ritrovò a domandare piano, avendo paura
che l'altro potesse cambiare idea all'improvviso e smettesse di
parlarle. Charles la impugnò più saldamente e conficcò
la punta nel terreno, affinché la spada svettasse davanti a
loro in tutta la sua magnificenza.
"No,
che non lo è" replicò lentamente, allungando le
gambe in avanti ed incrociando le caviglie. "Questa spada è
molto antica, le sue origini risalgono a più di mille anni
fa".
"Mille
anni fa? E come fai ad averla tu?" chiese allora Alecto, non
riuscendo a reprimere lo stupore. Charles sorrise. "Perché
un tempo è stata mia tanto quanto lo è adesso".
"E
questo che vorrebbe dire? Vorresti farmi credere che hai più
di mille anni?"
"No,
certo che no. Anche se, in un certo senso..." si interruppe e
voltò la testa verso di lei. "Hai mai sentito parlare di
Excalibur?"
Alecto
sgranò gli occhi. "La spada di Re Arthur?" Si girò
a guardare la diretta interessata, poi di nuovo Charles. "Lo sai
che è solo una leggenda, vero?"
Lui
soffocò una risata sarcastica e poi esclamò: "Disse
quella con i poteri magici ed un drago come animaletto domestico".
Alecto
aprì e chiuse la bocca più e più volte, non
riuscendo a comprendere perfettamente la portata di ciò che
Charles stava tentando di dirle. "Tu saresti... saresti..."
"Sì?"
"Tu
sei Re
Arthur?!"
"Così
dicono. Ma se Hester scopre che te l'ho detto, mi uccide. Lei pensa
che tu sia comparsa sotto ordine di Emrys per mettermi fuori gioco".
"Che
cos- cosa?
Ma che caz- cioè, cosa?
No, aspetta, scusa un attimo, non ce la faccio. Tu sei Re Arthur?!"
"Eh,
ci ho messo un po' anche io a capirlo in effetti. Non ti nascondo che
tutt'ora ho gravi problemi nel realizzarlo. Credo che quando tutto
questo sarà finito, avrò bisogno di uno psicologo".
"Oh
porca vacca..." e se Alecto avesse aperto un altro po' di più
la bocca, probabilmente la mascella avrebbe toccato terra. Charles
annuì con aria falsamente greve, poi disse: "Ora, adesso
che sai il mio segreto... se veramente ti ha mandata Emrys, sai
finalmente che sono io quello giusto da uccidere. Quindi... devo
dormire con un occhio aperto?"
"Cosa?"
ripeté l'altra, come un disco rotto. "Voglio dire, no!
Cioè, perché Emrys dovrebbe volerti uccidere?"
"Perché
c'è una profezia che mi designa come l'unico essere in grado
di porre fine a ciò che sta accadendo. Adesso ho il permesso
di farne una questione personale?"
"Oh
porca vacchissima..."
"Ti
stai ripetendo. Comunque, c'è una domanda che credevo avresti
fatto il giorno in cui hai vuotato il sacco. Eppure non è
ancora arrivata".
Alecto
corrugò la fronte, lo sguardo smarrito. "Quale domanda?"
Charles
sospirò e poi arcuò le sopracciglia con eloquenza.
"Hester ti ha detto che il calice della vita non esiste più.
Ciò vuol dire che Emrys non ha mai avuto intenzione di
riportare in vita le vittime di questa guerra. Correggimi se sbaglio,
ma i draghi quando attaccano, non lo fanno a seconda delle persone
che incontrano. Lo fanno per zona e chiunque si trovi in quella zona,
finisce vittima delle loro fiamme. Non ti è mai passato per la
testa che per forza di cose, anche esseri magici saranno
probabilmente rimasti vittime di questi attacchi?"
Alecto
continuò a fissarlo senza dire niente.
"Prendendo
in considerazione questo particolare... se Emrys sta uccidendo sia
esseri umani, sia esseri magici... come avrebbe esattamente
intenzione di 'salvare' e 'proteggere' tutti quelli come lui? Tutti
quelli che hanno la magia?"
"Non
è questo il suo scopo..." si ritrovò a soffiare
debolmente la ragazza, gli occhi sbiaditi e vacui su un pensiero che
continuava a sfuggirle. "Come... come ho fatto a non pensarci
io?"
"Non
lo so" rispose brutalmente Charles, senza neanche tentare di
nascondere cosa ne pensasse della sua ingenuità. Lei lo
guardò, forse senza nemmeno vederlo realmente. "Allora...
cosa diavolo sta facendo?"
"Ancora
non ci arrivi? Alecto, non pensare in piccolo. Pensa in grande. Lui
vuole uccidermi perché sono l'unica cosa che può
fermare non solo questa guerra, ma anche lui! E farebbe di tutto, pur
di trovarmi. Anche scatenare un genocidio di massa e farti credere di
starlo facendo per una buona causa".
"Porca
vacca vacchissima... lui sta facendo tutto questo per un singolo
uomo?! Per te? Ma è pazzo!"
Secondo
me anche tu non ci stai tanto con la testa,
non poté impedirsi dal pensare Charles, che invece rispose:
"Tu dici? Sai a cosa è servito in primo luogo, tutto
questo casino? A risvegliare la mia coscienza. È ovvio che
non posso avere mille anni. Io sono la reincarnazione di Re Arthur e
per uccidermi, Emrys sapeva bene che prima avrebbe avuto bisogno di
farmi uscire allo scoperto. Di farmi rinascere, se così
vogliamo dire".
Schioccò
seccamente la lingua contro il palato ed allargò le braccia
con rassegnazione.
"Prova
a metterti nei miei panni. Ho vissuto quasi venticinque anni
nell'ignoranza più totale. Una vita ordinaria, una famiglia
ordinaria, delle abitudini ordinarie. Poi, una notte... ta-dan! Mi
sveglio nel bel mezzo delle fiamme. I draghi stanno attaccando Londra
e la mia governante, che in realtà è la mia guardiana
sin da quando sono nato, mi dice che sono destinato a salvare
l'Inghilterra e, per mia personale estensione, il mondo". Si
zittì all'improvviso qualche istante, un po' interdetto.
"Ah,
detta così potrebbe sembrare che anche io non ci stia tanto
con la testa".
"Governante?"
mormorò nel mentre la ragazza; "Per caso sei ricco?"
"Non
è questo il punto!"
"Alla
faccia dell'ordinario..."
"Il
punto è
... il punto è... che..."
Alecto
vide gli occhi di Charles adombrarsi improvvisamente. Morse il labbro
inferiore, indecisa se spronarlo a vuotare il sacco oppure no - non è
che si sentisse propriamente nella posizione di poter fare
liberamente un azzardo del genere. Alla fine optò per fare
almeno un tentativo, perché nonostante quello che era successo
tra di loro, a causa sua, per carità, era ancora grata per la
gentilezza che aveva ricevuto da quel ragazzo ed anche se lui poteva
non vederla più allo stesso modo di prima, Alecto scioccamente
non riusciva a smettere di considerarlo suo amico. Del resto, quando
masochisti si nasce...
"Senti
Charles... mi hai appena rivelato un segreto che più segreto
di così non poteva essere... cos'altro può esserci di
più compromettente?"
Lui
torse le mani tra loro con evidente nervosismo e rifuggì il
suo sguardo; dalla sua gola provenne un verso strozzato, come di
qualcuno che stava provando a dire qualcosa senza avere tuttavia voce
a sufficienza. Inumidì velocemente le labbra secche e quando
passò le mani tra i capelli, se possibile questi apparvero
ancora più sconvolti, decretando sicuramente una qualche sorta
di record sui capelli spettinati. Fece saettare gli occhi azzurri
verso il cielo, poi sugli alberi ed ancora sul cielo; quando infine
caddero sul volto di Alecto, Charles boccheggiò come un pesce
fuor d'acqua due o tre volte.
"E-ecco...
io..." schiarì la gola, poiché la voce gli era
uscita un po' gracchiante. "Sai, io... cioè, noi - io ed
Emrys intendo, ecco, noi... eravamo amici ai... ai tempi di Camelot".
"Porca
vaccona, vuoi dire che anche Emrys è una reincarnazione?"
"No,
lui è immortale, non può morire" rispose
frettolosamente ed ignorando lo sconvolgimento sul volto di Alecto,
continuò: "Eravamo amici, ma sai... i tempi erano diversi
e anche... anche la mentalità lo era. Se ci ripenso adesso,
nel 2020, a tutto quello che è successo ed a tutto quello che
c'è stato i-io non... non riesco a capire se non fossimo in
realtà anche... qualcosa di più" la sua voce si
affievolì vertiginosamente nel pronunciare le ultime parole,
ma Alecto gli era seduta affianco e riuscì comunque a capirne
il significato, tant'è che gli occhi le divennero così
grandi da uscire quasi fuori dalle orbite.
"Oh
Dio. Oh Dio, mio, mio, mio carissimo Dio. Questo è decisamente
compromettente, addirittura più della storia di Excalibur, Re
Arthur, Camelot e profezia messi insieme! Stai scherzando spero!
Charles, è impossibile quello che dici! Non ci credo che sei
uno di quelli!"
Charles
sgranò gli occhi, fraintendendo le sue parole ed arrossì
violentemente. "Uno di quelli cosa?!
Prima che mi tornasse la memoria, ho sempre e solo guardato ragazze!
Non è colpa mia, è una cosa che non posso controllare!
I ricordi di quello
mi invad-"
"No,
ma che hai capito!" lo interruppe la ragazza, sventolando le
mani per aria. "Intendo un pedofilo!" sussurrò in
seguito, come se dirlo troppo forte lo rendesse una bestemmia.
Charles strabuzzò gli occhi e le sopracciglia bionde
raggiunsero quasi l'attaccatura dei capelli. "Di che diavolo
stai parlando?" domandò, totalmente smarrito.
"Di
Emrys ovviamente!" replicò lei, a disagio. "È
solo un bambino!"
Charles
sentì il suo cuore congelarsi all'improvviso ed essere
attraversato da crepe agghiaccianti. Emr- Merlin
era... un
bambino?!
Improvvisamente
gli venne da vomitare.
"A
meno che tu non stia parlando del ragazzo..." aggiunse Alecto,
lieve come un accordo di violino.
*
Glastonbury,
2 agosto 2020
Sera
C'era
un motivo, in effetti, se durante tutto il giorno Charles ed Alecto
non avevano più visto né sentito i Fomorroh; difatti,
le creature che avevano ricevuto l'ordine di cercare ed uccidere la
ragazza, dopo essersi liberate dalle radici degli alberi avevano
fatto dietro front e dopo molte ore di cammino, erano tornate dal
loro padrone.
Emrys
se ne stava seduto nella solita poltrona consunta e troppo grande per
lui, con le gambette che penzolavano oltre il bordo e che mai
sarebbero riuscite a toccare terra. Era destinato ad avere
eternamente l'aspetto di un inutile, maledetto ragazzino.
Attualmente
però, aveva ben altri problemi cui pensare. Le informazioni
che i Fomorroh gli avevano riportato, erano curiosamente ed
inaspettatamente interessanti.
"Una
vecchia, un giovane ed un drago..." ripeté lentamente,
come se davanti ai suoi occhi quello fosse un rebus da risolvere.
"Cosa ci fa Alecto in compagnia di una vecchia e di un
ragazzo...? E si è presa il mio drago..." strinse i
braccioli della poltrona e le unghie affondarono nella pelle
consunta. I Fomorroh mantennero il capo chino ed una perfetta
immobilità: servi più obbedienti di loro non sarebbero
mai potuti esistere.
Emrys
doveva sapere. Emrys voleva
sapere cosa diavolo stava pensando di fare quella stupida, ingenuotta
femmina dimenticata dagli Dei. Chi erano gli individui che la stavano
accompagnando? E che ruolo avevano in tutto quello? Doveva
considerare anche loro un intralcio? Inspirò profondamente ed
un bagliore dorato guizzò maggiormente nell'oro liquido che
già strisciava sinuoso nelle sue iridi.
Un
piccolo cambiamento di programma non poteva essere un danno.
"Cercateli"
decretò, seccamente. "Li voglio vivi, tutti e tre. Non mi
importa come, fate tutto ciò che è necessario.
Spezzategli la gambe, le braccia, tutte le ossa del corpo se dovesse
servire. Mi basta che siano vivi".
"Ed
il drago, Mio Signore?" domandò uno di loro, con
deferenza.
"Non
c'è da preoccuparsene. Se è stata lei a farlo nascere,
lui la seguirà ovunque".
Senza
porre ulteriori domande, il gruppo di Fomorroh si dileguò
silenziosamente, non senza prima aver eseguito un servile inchino.
Quando fu solo, Emrys scivolò giù dalla poltrona e si
avvicinò a Merlin con aria assorta.
"Hai
sentito?" domandò con voce morbida, arrampicandosi su di
lui come già aveva fatto parecchi giorni prima. "Presto
avremo visite. Non sei felice? È da tanto che non ospitiamo
qualcuno".
Gli
occhi dorati del Mago sfiorarono i suoi stessi lineamenti adulti, con
una gentilezza che aveva in sé qualcosa di sbagliato.
"Eppure,
quello che dovrà essere l'ospite d'onore ancora ci sfugge. Ma
è solo questione di tempo, sai? Dopo che mi sarò
occupato di Alecto, ordinerò ai Fomorroh di condurre da me
qualsiasi essere di sesso maschile che incrocerà il loro
cammino. Il nostro Arthur sta arrivando. Verrà qui a morire e
succederà proprio davanti a te, se saremo fortunati. È
un peccato che tu non possa assistere..." alzò una mano e
con l'unghia dell'indice iniziò a grattare via il sangue secco
che si era asciugato sul volto di Merlin, fuoriuscito dai profondi
graffi che Emrys stesso gli aveva inferto. Il volto giovane ed
addormentato della sua versione adulta non fece una piega; Emrys gli
afferrò il viso con entrambe le mani e premette la sua piccola
bocca su quella dell'altro, spingendo forte, con violenza. Al suo
rilascio, seguì lo schiocco rumoroso di un bacio. "Ti
regalerò la sua testa" mormorò, accarezzandogli le
guance. "Così non potrai dire che non ti voglio bene".
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Capitolo 16 *** Piano B ***
SEDICESIMO
CAPITOLO
16.
Piano B
Child
Okeford, 4 agosto 2020
Tarda
mattina
Hester
venne bruscamente spinta e se non ci fosse stato Charles, davanti a
lei, probabilmente sarebbe anche finita faccia a terra.
"Ehi!"
esclamò aggressivamente quest'ultimo, voltandosi con modi
minacciosi verso il Fomorroh che chiudeva la fila; quello piegò
le labbra in un mezzo sorriso derisorio e poi sventolò la
pistola avanti ed indietro con falsa pigrizia, facendo segno di
continuare a camminare.
"La
vecchia ogni tanto perde colpi, bisogna mantenerla sul vivo".
A
quelle parole così offensive Charles si fermò e strinse
i pugni, piantando gli occhi sul pezzo di stronzo che si era
azzardato a pronunciarle; Hester alzò lo sguardo su di lui e
gli toccò il braccio in modo lieve: "Charles, lasci
perdere. Va tutto bene, proseguiamo" lo esortò
carezzevole, ma ferma allo stesso tempo. Lui, irrigiditosi a causa
della rabbia, restò fermo sul posto qualche altro lungo
istante; lo vedeva negli occhi del Fomorroh, che quegli non aspettava
altro che essere provocato. Eppure, in quel momento, Charles, avrebbe
dannatamente voluto fare il suo gioco.
Ah,
se solo quelle persone non fossero state inconsapevoli vittime di un
disegno più grande!
Alla
fine sbuffò aria dal naso, ma senza riuscire a far scemare la
tensione dalle spalle contratte e poi riprese a camminare. Sentì
il Fomorroh dietro di lui esibirsi in una risatina derisoria e
Charles cercò di stringere i denti per non cedere alla
tentazione di spaccargli la faccia. Non
faresti del male al colpevole giusto,
pensò, ricordatelo.
Davanti
a lui Alecto procedeva in silenzio ed a testa bassa; un altro
Fomorroh apriva la fila ed ai lati della stessa vi si erano
posizionati in quattro, due per lato. A Charles vennero in mente i
criminali nel momento in cui venivano scortati all'interno delle
carceri. Nonostante il caldo afoso di quella giornata uggiosa - il
cielo era una distesa grigia che si chiudeva su di loro come una
cappa -, una brezza lieve gli regalò un fugace sollievo ed i
suoi occhi azzurri si sollevarono in alto, inquadrando le modeste ali
a membrana del piccolo Drem, che volava sulle loro teste; quando
tornò a guardare la nuca di Alecto, si sentì
leggermente più tranquillo.
Fino
a quel momento, il piano era proceduto come previsto. Dal momento in
cui si erano lasciati alle spalle la grotta, dopo essere fuggiti per
la prima volta dai Fomorroh, il trio era incappato in altri loro
piccoli gruppi più spesso di quanto si fosse aspettato ed
infatti, da quando avevano abbandonato Milborne Port, non avevano
potuto fare molta strada; all'inizio, in un modo o nell'altro, erano
sempre riusciti a seminarli od a nascondere le loro tracce, ma Hester
aveva notato che i Fomorroh parevano non avere più interesse
nel cercare di ucciderli, anzi. Sembravano volerli fare prigionieri.
I suoi sospetti erano stati confermati da una donna che, non appena
li aveva individuati, aveva gridato ai suoi simili di catturarli.
Anche in quell'occasione, il trio si era dato ad una fuga che aveva
avuto del miracoloso - ogni tanto la fortuna sorrideva anche a loro -
e dopo aver trovato un attimo di calma, avevano discusso della
recente novità.
I
Fomorroh erano agli ordini di Emrys e loro avevano bisogno di
raggiungere proprio lui. Se quelle creature non avevano più
intenzione di ucciderli, ma bensì di catturali, poteva esserci
un modo più sicuro e veloce per raggiungere la loro meta? Se
si fossero lasciati catturare dai Fomorroh, avrebbero potuto prendere
due piccioni con una fava: avrebbero compiuto il resto del viaggio al
sicuro e sarebbero certamente stati condotti proprio dove volevano
arrivare. Era stata inclusa nel piano anche una certa percentuale di
rischio, ma del resto... non lo correvano già tutti i giorni?
Davanti
a lui, Alecto si bloccò improvvisamente; perso com'era nei
suoi pensieri Charles le finì addosso, ma Hester riuscì
a fermarsi in tempo.
"Che
cosa ti prende?" la punzecchiò una dei Fomorroh che si
trovava alla loro destra; "Continua a camminare, biondina".
Alecto
non rispose e fece come le era stato detto, ma Charles notò
che si muoveva piuttosto rigidamente.
"Ehi"
bisbigliò, cercando di attirare la sua attenzione. "Ehi!"
Alecto
si voltò velocemente verso di lui per indirizzargli
un'occhiata atterrita e Charles arcuò le sopracciglia, senza
avere la più pallida idea di cosa si stesse perdendo.
"Che
succede?" tornò a sussurrare, controllando subito dopo di
non aver attirato troppo l'attenzione dei loro accompagnatori. La
ragazza avanzò ancora qualche passo e poi, voltando la testa
quel tanto da sfiorare la spalla con il mento, mormorò:
"Stanno arrivando!"
"Cosa?
Chi?"
"I
draghi!"
"Ehi,
voi! Piantatela! Chi vi ha dato il permesso di parlare?"
Charles
sgranò gli occhi e proprio come aveva fatto Alecto qualche
secondo prima, si fermò improvvisamente; Hester si bloccò
accanto a lui con sguardo confuso e lo osservò, cercando di
capire cosa stesse succedendo. Lui ricambiò la sua occhiata,
ma il Fomorroh che fino a quel momento aveva chiuso la fila, era uno
che si spazientiva molto facilmente.
"Non
sono previste soste in questa vacanza, quindi ricominciate a
camminare o sparerò alle gambe della vecchia, così
sarai costretto a trascinarla".
Charles
sembrò non sentire una singola parola.
I
Fomorroh si chiusero attorno a loro come un cerchio e Drem emise un
verso diverso dal solito, che aveva qualcosa di agitato, forse
impaurito.
"Stanno
arrivando" esclamò il ragazzo, fissando intensamente la
sua governante. Lei sgranò gli occhi e li indirizzò
immediatamente verso Alecto, che si limitò ad annuire con un
pallore sul volto ancor più accentuato del solito. Hester si
coprì la bocca con le mani, ma i Fomorroh non ebbero nemmeno
il tempo di interrogarli, poiché un ruggito potente squarciò
il grigiore del cielo e nello stesso momento, un immenso stormo di
uccelli in fuga oscurò la luce del giorno, facendoli cadere in
una sorta di crepuscolo; Charles osservò gli animali
abbandonare gli alberi in fretta e furia e si accorse anche dei
movimenti repentini provenienti dal sottobosco che costeggiava la
strada sulla quale stavano camminando. Quando lo stormo di uccelli si
fu dileguato però, la percezione della penombra non si
attenuò. Drem gorgogliò nuovamente, stavolta con più
foga e la volta successiva che il trio alzò gli occhi verso il
cielo, poté vedere la sagoma di un enorme drago abbattersi su
di loro, le fauci spalancate.
Il
primo istinto di Charles fu quello di gridare, ma una dei Fomorroh lo
batté sul tempo; senza pensare si voltò velocemente e
si gettò su Hester, costringendola a buttarsi a terra, in modo
tale da poterla proteggere con il suo corpo.
"Charles,
no!" gridò la donna, cercando di divincolarsi. Uno dei
Fomorroh si frappose tra loro ed il drago, alzando le braccia in
aria.
"FERMO!"
gridò, privo di timore per la morte od il dolore. "LUI
LI VUOLE VIVI!"
Al
contrario dei Fomorroh, i draghi potevano chiaramente percepire che
l'anima racchiusa nel corpo di Charles era esattamente quella di
colui che, oramai da settimane, andavano continuamente cercando. Ed
il loro padrone aveva ordinato di uccidere
Re Arthur, non di catturarlo vivo.
Charles
doveva morire lì, in quel momento.
Il
drago sbuffò un'intensa vampata di aria calda dalle narici,
che precedette una robusta fiammata luminosa, ardente, viva. Il
Fomorroh prese immediatamente fuoco come una miccia e nonostante
l'assenza di paura, il dolore lo spinse a lanciare un grido
straziante e disumano; Charles avvertì il calore del fuoco
sulla schiena e sulle spalle e quando alle grida della creatura si
aggiunsero anche quelle di Alecto, capì di stare andando a
fuoco anche lui.
Hester,
sfoderando una forza insospettabile e sconcertante, lo spinse via da
sé e Charles cadde di schiena sull'asfalto; senza nemmeno
pensare, l'istinto lo portò a rotolarsi, al fine di spegnere
le fiamme. Lì intorno stava succedendo l'inferno: sentiva le
grida dei Fomorroh che si stavano gettando contro il drago, il suono
delle fiamme crepitanti, i numerosi spari che, insieme al fuoco
magico, avevano reso l'aria satura dell'odore di zolfo e bruciato...
i ruggiti del drago sconquassavano non solo la terra, ma anche la sua
cassa toracica e gli sembrò che il suo cuore vibrasse ad ogni
clamore bestiale.
Charles
socchiuse gli occhi su un cielo fatto di fumo e cenere e nonostante
fosse riuscito a spegnere le fiamme che gli avevano bruciato la
t-shirt, avvertì quasi immediatamente un intenso dolore
propagarsi lungo tutta la schiena. Non riusciva a muoversi, era come
se la pelle si fosse incollata al catrame di cui era fatta la strada
sulla quale stava sdraiato. Hester gli fu subito addosso, la fronte
contratta dalla preoccupazione e le mani nervose sul suo viso. Lui
cercò di mettersi a sedere, di mettere a fuoco la vista, ma
aveva gli occhi pieni di lacrime, causate dalla cenere e dal dolore
pulsante dell'ustione.
"Charles!"
esclamò la donna con pena, come se il solo invocare
disperatamente il suo nome potesse cancellare ciò che gli era
appena successo. Il drago, intanto, aveva ripreso velocemente quota
ed in lontananza, altre due sagome scure si stavano avvicinando;
Charles riuscì ad alzare una mano e la poggiò sulla
guancia di Hester.
"Sto
bene" disse, facendo sibilare le parole tra i denti contratti,
"Sto bene".
Lei
dovette sforzarsi per capire cosa avesse detto, poiché le
grida dei Fomorroh, unite agli scoppi delle fiamme ed al fragore
degli spari, avevano reso il momento frenetico come un flash forward.
Charles vide Hester gridare il nome di Alecto, ma non riuscì a
vedere dove la ragazza si trovasse: per quanto girasse la testa, la
maggior parte della situazione gli sarebbe rimasta reclusa se avesse
continuato a stare sdraiato.
"Aiutami!"
esclamò verso la donna, tentando nuovamente di tirarsi su e
lei lo sorresse immediatamente.
"Charles,
si deve alzare, dobbiamo metterci al riparo, stanno arrivando altri
draghi!" lo pregò lei, il tono di voce urgente ed al
tempo stesso tremante. Lui sentì un boato terrificante alle
sue spalle e quando cercò di voltarsi per guardare, vide
l'ombra del drago incombere su di lui; il cuore smise di battere
all'improvviso, arrivandogli praticamente in gola e si coprì
la testa con le mani, nel mero ed illogico tentativo di ripararsi.
Con
la ferrea la certezza che fosse troppo tardi per tentare di fare
qualsiasi cosa... l'attacco non arrivò.
"L'ho
ferito!" gridò una dei Fomorroh, con ferocia. C'era
riuscita davvero? Charles si costrinse a guardare e scoprì con
un confusionario sollievo, misto a trepidazione, che aveva avuto
ragione. Tuttavia, nonostante il drago avesse un occhio sanguinante,
accadde una cosa strana: il proiettile che aveva perforato la sua
retina venne espulso dal bulbo oculare e, tra un lamento e l'altro
della creatura, la ferita iniziò a rimarginarsi ad una
velocità impressionante; il drago muoveva le zampe e la coda
con frenesia, distruggendo e calpestando qualsiasi cosa o persona
avesse sotto tiro, mosso dalla rabbia e dal dolore. Charles notò
tre Fomorroh distesi per terra completamente immobili e ne notò
un quarto gravemente ferito.
"Possono
essere uccisi soltanto da un Signore dei Draghi..." sussurrò
Hester, ancora inginocchiata di fianco a lui, chiaramente riferita
alla bestia. Più in là, al margine della scena, Alecto
stringeva tra le braccia un Drem davvero molto impaurito ed aveva un
brutto taglio sotto l'attaccatura dei capelli, che le aveva
imbrattato la faccia pallida di sangue.
Quando
il drago si fu completamente ripreso, Charles tentò con uno
slancio disperato di alzarsi in piedi, ma la fitta alla schiena fu
tale che per dei terribili, lunghissimi istanti, davanti ai suoi
occhi apparvero solo numerose lucine bianche. Quando ricadde
indietro, trovò le braccia di Hester pronte a sorreggerlo.
Il
drago ruggì in modo mostruosamente assordante, tant'è
che le orecchie di Charles iniziarono a fischiare a causa
dell'eccessivo rumore; poi non vide più niente, perché
si ritrovò schiacciato contro il terreno dal corpo di Hester.
Cercò di gridare il suo nome, ma diventato momentaneamente
sordo, non riuscì ad udire la propria voce. La situazione era
disperata, altri draghi stavano arrivando e lui non sapeva che cosa
fare.
Sarebbero
morti. Sarebbero morti tutti, lì, in quel momento, su quella
strada deserta, imbrattati di sudore e di sangue e di angoscia.
Ma
lui non voleva morire.
Aprì
di nuovo gli occhi, il peso del corpo di Hester che spingeva la sua
schiena dolorante sull'asfalto gli causava delle fitte abominevoli e
quando la sua bocca si aprì per implorare Alecto di usare i
suoi poteri, di ordinare
ai draghi di fermarsi, avvertì un mormorio in lontananza e
capì, dopo qualche secondo, di essere lui. L'udito stava
tornando.
Le
sagome di due draghi sfrecciarono nel cielo sopra di lui e Charles
tentò di spostare Hester, di levarsela di dosso, ma non seppe
dire se fosse il corpo della donna ad essere diventato
improvvisamente pesante come un macigno o se fosse lui ad aver perso
le forze. Era come assistere alla vita con il muto inserito. Non lo
sopportava, lui aveva bisogno
dei suoi sensi, erano tutto! Erano quelli, ad averlo sempre guidato
in mezzo ai boschi, a caccia, negli agguati, nelle battaglie... senza
i suoi sensi, lui non era niente! Gridò e gridò e gridò
ancora, più e più volte, chiamando il nome di Alecto,
pregandola di usare le sue capacità di Signora dei Draghi,
spronandola ad alzarsi in piedi e di fare qualcosa; non potendo
calibrare il tono della sua voce, si ripeté all'infinito,
sperando che le sue parole la raggiungessero e che riuscissero a
smuoverla un po'. Ad un certo punto il terreno vibrò con
forza, come se qualcosa vi fosse caduto sopra pesantemente e Charles
restò fermo ed immobile, esattamente come Hester, cercando di
intuire cosa diavolo fosse stato. Con una lentezza maledettamente
interminabile, i secondi trascorsero come granelli di sabbia
incastrati in una clessidra troppo piccola; poi, all'improvviso, il
volto insanguinato ed arrossato di Alecto apparve nel suo campo
visivo; Charles spostò lo sguardo sulle sue labbra che si
muovevano e dopo qualche sforzo, perché lei stava parlando in
modo dannatamente veloce, riuscì a captare un mi
dispiace.
Anzi,
dal momento in cui ebbe capito cos'è che la ragazza stesse
dicendo, notò che erano le uniche due parole che stava
pronunciando. Una sfilza di mi
dispiace.
Charles
non capì e corrugò la fronte. Quindi era così...
stavano per morire? Non era riuscita a fermare i draghi? Con la
confusione dipinta sulla faccia, si accorse con sollievo che il
fischio nelle orecchie andava diminuendo sempre più e che la
voce di Alecto diventava via via un poco più chiara. Si
aspettò di udire le grida dei Fomorroh, seguite ancora dai
ruggiti dei draghi, che erano diventati tre!,
ma l'unica cosa che lo accolse fu, oltre la voce lontana di Alecto,
la sensazione di avere la testa racchiusa dentro una bolla di sapone.
Fu
così, che iniziò a sentire di nuovo.
Improvvisamente
provò l'urgenza di vedere cosa diavolo stesse succedendo.
Subito.
"Hester,
spostati, voglio alzarmi!" si sentì esclamare, come se
qualcun altro avesse parlato al posto suo. Adesso almeno sapeva di
star effettivamente parlando! Cercò di aiutare la donna a
sollevarsi ed indirizzò lo sguardo verso Alecto.
"Aiutami
un secondo!" le disse, facendo leva sulle braccia. Ma Alecto non
lo aiutò.
Lei
si coprì la bocca con le mani e dagli occhi enormi, un po'
sporgenti e pallidi come ghiaccio, sgorgarono senza preavviso alcune
lacrime.
"Mi
dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace..."
"Hester,
che diavolo hai? Lèvati!"
"...dispiace,
mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace..."
"Andiamo,
Hester! Hester!"
Nonostante
l'atroce dolore alla schiena, Charles riuscì con uno sforzo
enorme a far rotolare via da sé il pesante corpo di Hester e
la prima cosa che fece, fu sospirare di sollievo; la litania
soffocata e tremante di Alecto che era lì, accanto a sé,
lo raggiungeva come un'inutile confusione, ma del resto, annebbiato
com'era dalla temporanea sordità e dal dolore e da tutta
quella frenesia, non sarebbe mai stato in grado di focalizzare quali
dovessero essere le sue priorità.
Libero
di tirarsi su come meglio poté, Charles ruotò il busto
quel tanto che bastò per permettergli di vedere che i draghi
erano lì, tutti e tre; con le loro mastodontiche moli
occupavano tutta la strada e non essendoci spazio sufficiente per
stare a terra vicini, si erano messi in fila, uno dietro l'altro.
Drem si teneva a debita distanza e li guardava con quella che lui
avrebbe definito diffidenza.
I
draghi stavano lì, a pochi metri da loro e non stavano
cercando di ucciderli.
Quindi
Alecto ce l'aveva fatta!
Senza
riuscire a nascondere lo stupore e la meraviglia, Charles si voltò
a guardarla e scoprì che chiaramente qualcosa non andava.
Perché
diavolo sta piangendo adesso? pensò,
non potendo impedirsi di metterci una certa stizza. Quella ragazza
piangeva davvero troppo spesso.
Finalmente
si girò verso Hester, in cerca di spiegazioni, ma la donna
giaceva ancora a terra nella stessa posizione in cui lui l'aveva
fatta scivolare via da sé.
Charles
stette seduto a guardarla, perfettamente immobile.
La
sua schiena, rivolta verso il cielo, mostrava senza riguardo uno
squarcio enorme e profondo; il sangue fuoriuscito dalla ferita le
aveva sporcato i capelli mezzi grigi e mezzi biondi, dando loro
un'aria appiccicosa.
Gli
occhi verdi ed opachi erano aperti sul nulla, la bocca era dischiusa
ed imbrattata di un rosso più acceso.
Dallo
squarcio che l'aveva dilaniata, la spina dorsale e parte degli organi
interni erano ben visibili.
Hester
giaceva lì in una posizione innaturale, con l'asfalto che le
bucava la pelle del viso morbida e rugosa, una mano tesa verso il suo
protetto come a non volerlo lasciare andare.
Charles
non si mosse nemmeno allora.
*
Quando
la voce di Drem le aveva invaso la testa, avvertendola che gli altri
draghi erano in avvicinamento e che la faccenda non sarebbe finita
bene, il significato di quelle parole aveva avuto su di lei lo stesso
effetto che avrebbe avuto una doccia di acqua congelata. Ignorando la
presenza dei Fomorroh, il cui livello di minaccia era passato
drasticamente e con meno di mezzo secondo in fondo alla lista delle
sue priorità, aveva avvisato Charles del pericolo imminente e
lui, a sua volta, l'aveva detto ad Hester. Da quel momento, sapeva
soltanto che tutto era sfuggito al suo controllo.
I
Fomorroh avevano iniziato a gridare e ad urlare oscenità e poi
c'erano stati gli spari, le urla di dolore, l'odore di bruciato,
delle fiamme, il rumore del fuoco ed i roboanti ruggiti di una bestia
che non aveva avuto il controllo delle sue azioni, perché
guidata da un qualcosa
che l'aveva costretta ad obbedire e basta. Qualcosa che in quel
momento costringeva non solo lei, ma anche altri due esemplari, a
stare fermi ed in attesa.
Un
triste destino, il loro, alla fine dei conti. Passare da un
comandante ad un altro, la prospettiva di essere liberi effimera come
un rivolo di fumo.
Eppure,
quando Alecto pensò alla pericolosità che quelle bestie
rappresentavano ed al modo in cui il movimento frenetico della coda
del drago per poco non le aveva spaccato il cranio a metà, si
disse che la presenza di qualcuno che potesse domarli era necessaria.
Lasciare loro il libero arbitrio sarebbe potuto risultare troppo
pericoloso.
Era
stato grazie ad un miracolo, l'essere riuscita ad usare le sue
capacità di Signora dei Draghi per fermare il loro attacco.
Charles
era stato quel miracolo, in effetti. Aveva sentito la sua voce che la
chiamava, che la implorava di fare qualcosa; aveva percepito la sua
disperazione ed il suo dolore, si era lasciata scuotere e toccare
dalla sua impotenza.
Proprio
quando pensava che sarebbe arrivato il peggio per tutti, aveva
gridato con tutto il fiato che aveva potuto far entrare nei suoi
polmoni ed aveva loro ordinato, per
l'amor di Dio!,
di fermarsi, di fermarsi maledizione,
che tutto quello non era davvero necessario e non era giusto ed era
disumano e crudele e di sangue non
ne poteva veramente più.
I
draghi - loro, le bestie,
i mostri
-,
improvvisamente avevano smesso di fare qualsiasi cosa; si erano
immobilizzati, come cristallizzati in un momento eterno, aspettando
che la magia penetrasse nella loro carne, venisse assorbita dai loro
muscoli e prendesse possesso dei loro arti. Avevano atteso che il
precedente ordine impartito da Emrys venisse sradicato in profondità,
in favore di quello più fresco, più recente, impartito
da Alecto. La loro nuova padrona.
I
draghi le avevano obbedito. Si erano fermati. I Fomorroh, andati
tutti incontro a morte certa dal momento che avevano cercato di
contrastarli, giacevano in modo disordinato intorno a loro, immobili,
morti. Uno di questi aveva Excalibur stretta nel pugno, la spada che
era stata loro confiscata al momento della cattura.
Eppure,
ancora una volta, quando Alecto guardò in direzione di Charles
ed Hester, seppe di essere arrivata nuovamente in ritardo; quando
finalmente decideva di fare qualcosa di buono, era sempre troppo
tardi: a quel punto aveva già perso le occasioni importanti e
le persone importanti.
In
quel momento sentì di odiare se stessa con tutte le sue forze,
per non aver ancora compreso come poter controllare quel potere che
era sempre stato parte integrante della sua natura di strega. Se solo
si fosse impegnata di più, se solo avesse chiesto a Drem di
più, se solo ci avesse provato di più, se solo fossa
stata coraggiosa di più, se
solo...!
Ne
avrebbe mai fatta una giusta? si chiese, mentre si inginocchiava
accanto a Charles, ancora incastrato sotto il corpo immobile e sozzo
di sangue di Hester. Farò
mai la scelta giusta al momento giusto?
Quanto
era stupida. Implorare perdono, vomitare una sequenza infinita di mi
dispiace era
l'unica cosa che davvero le veniva meglio? Charles faceva bene a non
volerla più come amica. Hester aveva fatto bene a trattarla
come l'idiota che era. Era stata colpa della sua idiozia, infatti, se
era morta. E dopo quello, neanche la diretta grazia degli Dèi
le avrebbe potuto far meritare anche uno sputo in faccia da parte di
Charles. Si sentì meschina, perché nonostante fosse lui
quello ad aver appena subito una perdita, lei non riuscì ad
impedirsi di provare delle tremende e dolorose fitte al centro del
petto.
Non
ho nessun diritto di soffrire così. Sono io la causa di tutti
questi mali.
"Avrei
dovuto essere io!" singhiozzò, asciugandosi il naso con
il dorso della mano. Cercò di ripeterlo ancora, ma il respiro
spezzato le impedì di pronunciare qualsiasi altra cosa. Forse
era meglio così, forse Charles non voleva nemmeno sentirla, la
sua voce irritante e stridula. Né vedere le sue stupide,
ipocrite, falsissime lacrime. Questi, infatti, non diede segno
nemmeno di averla sentita. Aveva occhi solo per Hester. Aveva occhi
solo per lo squarcio che le apriva la schiena e per lo strato di
sangue che la ricopriva.
Drem
si mosse cautamente, fino a quando non giunse accanto al corpo senza
vita dell'ultima guardiana Carrow; avvicinò il muso alla
ferita mortale, annusando solo gli Dèi sapevano cosa e poi
soffiò(1): schiuse le piccole fauci ed una specie di vapore
biancastro accarezzò con delicatezza e grazia l'intero
squarcio che spaccava a metà la schiena della donna.
Charles
batté le palpebre un paio di volte, gli occhi perfettamente
asciutti e privi di qualsiasi segno di coscienza. Alecto sapeva cosa
stava accadendo e premette le mani sulla bocca.
Ti
prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego ti prego
ti prego!
Furono
i cinque - o dieci? Magari venti...- minuti più lunghi e
strazianti della sua vita. Cinque, dieci o venti minuti in cui Drem
cercò di riparare l'irreparabile, ma nonostante i suoi sforzi,
fu tutto inutile. Hester era morta e non c'era davvero più
niente che si potesse fare.
Alecto
abbassò la testa e cercò di piangere in silenzio, il
cuore di nuovo sprofondato negli abissi dopo una ridicola, breve e
rocambolesca risalita, le mani bagnate dalle lacrime e dal moccio e
dal sangue che le si era sciolto sulla faccia dopo essere colato
dalla ferita alla fronte.
Drem
si allontanò da Hester subito dopo e nell'aria immobile,
calda, afosa, zampettò dietro Charles, che sembrava aver
lasciato solo il suo corpo su quella terra. Anche se aveva gli occhi
aperti, pareva essere incosciente ed inconsapevole di ciò che
stava accadendo intorno a lui. Drem usò il soffio del drago
anche sulle ustioni della sua schiena; al contrario di come era
successo con Hester, dopo qualche secondo le sue ferite cominciarono
a guarire e nel giro di un paio di minuti, sulla pelle di Charles non
era rimasto nemmeno il ricordo del dolore che l'aveva dilaniato così
tanto.
Lui,
non fece una piega.
Quando
fu il turno della fronte di Alecto, lei tentò di tenere Drem
lontano da sé. Non voleva essere guarita, non voleva essere
graziata, era stanca di essere aiutata e salvata e riportata in un
mondo dove riusciva a combinare solo guai. Sapeva di non avere una
ferita mortale, ma aveva bisogno
di quel dolore. Ne aveva maledettamente bisogno.
NOTE
DELL'AUTORE:
Ahi. Ahi ahi ahi. Credo che questo sia un capitolo un po' tosto, ma
per onor del realismo... sarebbe stato impossibile. Sarebbe stato
impossibile che qualcuno non ci lasciasse le penne, ammettiamolo.
Avreste preferito che fosse toccato Alecto? Vi aspettavate una cosa
del genere? Pensate che abbia gestito male il momento? Ho avuto
un'ansia folle nel descrivere il momento della morte di Hester,
quindi davvero, davvero mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate, che
cosa vi ha trasmesso (sempre che abbiate in effetti avuto qualcosa,
da ciò che avete letto). E niente... ci siamo quasi gente. Ve
lo assicuro. Avete aspettato, avete sopportato, avete pazientato...
vi chiedo di farlo per qualche altro capitolo ancora. Le persone che
arriveranno fino alla fine, saranno quelle a cui non piacciono solo
storie incentrate sul sesso o che girano esclusivamente attorno allo
sviluppo della relazione sentimentale tra personaggi (che poi,
diciamocelo, più o meno è sempre la stessa pappa). E
comunque, sono questi i lettori che a me piacciono di più :) a
lunedì!
Asfo
p.s.
Questo capitolo è stato betato da me, perciò se fa più
orrore del solito... abbiate pietà.
|
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Capitolo 17 *** In volo verso Glastonbury ***
DICIASSETTESIMO
CAPITOLO
17.
In volo verso Glastonbury
In
volo, 4 agosto 2020
Sera
L'oblio.
L'oblio rappresenta la dimenticanza, intesa come fenomeno non
temporaneo, non dovuto a distrazione o perdita temporanea di memoria,
ma come stato più o meno duraturo, come scomparsa o
sospensione del ricordo, con un particolare accento sullo stato di
abbandono del pensiero e del sentimento.
Sì,
l'oblio. Lo desiderava così tanto.
Forse era a causa dell'intensità di quel desiderio che, non
appena chiudeva gli occhi, crollava come addormentato in una sorta di
limbo, di anfratto oscuro e caldo, che sapeva di squame lucide e
resistenti e di fruscio di ali giganti.
Con
l'aria che gli ingarbugliava i capelli e gli frustava la faccia
pallida, Charles si addormentò di nuovo.
Per
l'ennesima volta,
constatò Alecto seduta avanti a lui, impegnata a tenere
aggrappati sia lui che se stessa al drago sotto di loro. Dopo aver
capito il meccanismo, era stato ironicamente un gioco da ragazzi,
ordinare a quelle creature di trasportarli in volo sino alla dimora
di Emrys; l'avrebbero sicuramente raggiunta in meno di un'ora, ma
visto lo stato in cui Charles stava metaforicamente annegando, Alecto
dubitava che avrebbero concluso qualcosa quella notte; magari il
giorno dopo, con un po' di riposo alle spalle e la mente un poco più
lucida. Avrebbero potuto comodamente viaggiare ognuno su un drago, se
solo lui non avesse cominciato, già dal pomeriggio, ad
alternare momenti di veglia a stati di incoscienza ogni cinque
secondi. In altre circostanze Alecto l'avrebbe portato dritto in
ospedale, perché era tutto fuorché normale.
Ma
anche il casino in cui si trovavano poteva considerarsi tutto tranne
che normale, per cui... aveva dovuto adeguarsi alla lista delle
priorità. Ad essere sincera, le sembrava di stare vivendo come
in un film: erano successe così tante cose, in modo talmente
veloce che niente le pareva reale. Pensandoci bene, il primo attacco
dei draghi era avvenuto a metà luglio, eppure le sembrava
successo un'era
prima.
Aveva la sensazione di avere il ruolo di mera spettatrice e che,
quella a volare su un drago maledettamente enorme, in realtà
non fosse lei. Se lasciava la mente vagare, riusciva quasi ad auto
convincersi che tutti gli attacchi dei draghi, le persone morte, il
suo coinvolgimento in prima persona, la devastazione, Charles,
Hester... fossero stati frutto di un'allucinazione. Alla fine però,
la realtà dei fatti tornava sempre a schiaffeggiarla sulla
faccia sotto forma di vento fresco.
In
quell'esatto momento ebbe un brivido, ma non seppe dire se a causa
all'aria fresca che le si infiltrava sotto la maglia o alla brutta
sensazione che, sin dal momento in cui avevano spiccato il volo, le
aveva fatto chiudere lo stomaco.
Una
cosa era certa: la resa dei conti era praticamente giunta.
L'indomani, in un modo o nell'altro, tutto sarebbe finito.
*
Il
sole gli scaldava la pelle in un modo così dolce e lieve che
sarebbe rimasto steso per tutto il resto della sua vita, sulle rive
di quel fiume; il gentile gorgogliare dell'acqua si accompagnava al
frusciare delle foglie degli alberi rigogliosi ed Arthur poteva
ricordare poche volte in cui si era sentito così felice e così
appagato. Con le guance accarezzate dall'erba e la testa teneramente
appesantita dall'ozio, pensò che per una volta nella sua vita,
soltanto una, avrebbe anche potuto permettere l'uso della magia nel
suo regno: congelare il momento, ecco quello che desiderava. Se solo
la magia avesse potuto bloccare tutto e farlo restare lì tutto
il giorno, o tutto l'anno, o tutta la vita - per sempre, sempre,
sempre.
Magnifico.
Semplicemente meraviglioso. Quel pensiero languido come il miele lo
fece sorridere scioccamente e gli ingigantì il cuore. Si
sentiva forte come un leone, Arthur Pendragon. Inarrestabile,
coraggioso, impetuoso, determinato, giusto Arthur Pendragon.
Se
avesse potuto portare con sé ovunque la sensazione di quel
calore sulla pelle, era sicuro sarebbe diventato immortale.
Arthur
Pendragon, l'Immortale. Suonava bene, no? Chissà che cosa ne
avrebbe detto Merlin - conoscendolo, probabilmente avrebbe riso di
lui.
Arthur
aprì lentamente gli occhi sul cielo azzurro d'estate che
faceva da tetto alla sua testa e sospirò con pienezza.
Merlin.
Anche se ne avesse avuto davvero la possibilità, non avrebbe
mai potuto restare lì a vita... non avrebbe mai potuto
abbandonare Merlin. Sapeva che lo stava aspettando, che c'era
qualcosa che doveva fare, ma l'erba era così soffice e l'aria
così amabile... cos'era, che doveva fare? Merlin...
Sopra
di lui, uno stormo di uccelli volò in modo leggiadro tra le
correnti di aria fresca ed il loro canto si unì al ronzio
degli insetti che sfrecciavano tra i fili verdi del prato, proprio
vicino la sua testa. Chiudere gli occhi, doveva chiudere gli occhi,
gli diceva tutto quello. Il mondo intorno a lui era diventato una
culla affettuosa e lui non avrebbe dovuto preoccuparsi di niente,
mai, mai più. Sarebbe bastato solo chiudere gli occhi.
Doveva
chiudere gli occhi.
Andava
tutto bene.
Era
al sicuro.
Era
protetto dal sole, dagli alberi, dal fiume, dal cielo, persino dagli
insetti. Andava tutto bene. Ad occhi chiusi.
Come
se qualcuno avesse iniziato a premere sulle sue palpebre per
abbassarle, Arthur si sforzò di combattere quella pressione.
Voleva chiudere gli occhi, lo voleva davvero, ma prima aveva bisogno
di vederlo, voleva vedere Merlin. Allora, soltanto allora, si sarebbe
sdraiato nuovamente sull'erba e sarebbe rimasto lì fino al
termine dell'eternità. Ma non poteva farlo, se prima non
avesse visto Merlin ancora una volta. Merlin.
E
lui dov'era?
Con
una sofferenza quasi fisica abbandonò quello stato di semi
incoscienza per mettersi seduto; immediatamente, una forte sensazione
di disagio lo gettò in una confusione tremenda: essersi messo
a sedere era equivalso ad aver abbandonato brutalmente il grembo
materno... ma del resto, che ne poteva sapere lui? Il paragone non
poteva esistere, eppure era proprio così.
Si
stropicciò la faccia cercando di scacciare la sonnolenza, ma
la sensazione di pesantezza alla testa non se ne andò del
tutto, come se fosse davvero molto stanco. Cercando di concentrarsi e
di recuperare un po' di lucidità, iniziò a guardarsi
intorno e scoprì di trovarsi in uno dei terreni che erano
vicini al castello; si voltò verso la foresta ed oltre le
fronde degli alberi, non molto lontano, riuscì a scorgere le
torri di Camelot innalzarsi come vessilli verso il cielo; le bandiere
di un rosso acceso sventolavano pigramente lassù in alto,
perfettamente visibili contro il cielo azzurro che faceva loro da
sfondo.
Tutto
quello era casa.
L'aria che respirava, il terreno su cui giaceva, l'acqua che scorreva
affianco a lui, gli uccelli che solcavano il cielo... tutto era casa.
Ma come quando si abita da tanto tempo sempre nella medesima dimora,
ci si accorge subito di quando qualcosa improvvisamente cambia,
oppure sparisce; ci si accorge subito di una mancanza.
In
quella casa mancava qualcosa.
In
quella casa mancava qualcuno.
Il
nome di Merlin balenò di nuovo nella sua mente e fu proprio
quello a spingerlo ad alzarsi. La certezza che dovesse fare qualcosa,
che Merlin lo stesse aspettando divenne immediatamente più
reale e concreta, più impellente. Dov'era Merlin?
Barcollò
sulle gambe e mosse qualche passo incerto in direzione del castello.
La testa gli girava ed una leggera, ma persistente sensazione di
nausea gli chiudeva la gola. Un minuto prima, sdraiato lì
sull'erba, stava benissimo; perché ora si sentiva così
male?
"Arthur".
Arthur
si fermò, richiamato all'attenzione da qualcuno che era sempre
stato lì con lui, nella radura. Come mai non se ne era
accorto? Con un cipiglio confuso, si voltò verso il fiume, ma
non vide nessuno. Eppure era sicuro che la voce fosse provenuta da
quelle parti.
"La
vostra vista è peggiorata?"
Inseguendo
la direzione del suono di quella voce, Arthur indirizzò lo
sguardo verso alcuni alberi che costeggiavano le rive del fiume e
finalmente lo vide: Merlin se ne stava seduto all'ombra, accovacciato
su alcune grosse radici e con le lunghe dita incrociate sulla pancia;
le fronde verdi e rigogliose gli regalavano un piacevole anfratto
fresco ed al tempo stesso l'avevano in qualche modo protetto da
sguardi indiscreti. Certo, che non l'aveva visto. Si era mimetizzato
bene, l'idiota.
"Andavate
da qualche parte?" domandò Merlin, arcuando le
sopracciglia scure con quella classica espressione che solitamente
gli faceva venire voglia di strozzarlo.
"Sì"
rispose Arthur, "Venivo a cercare te, se proprio vuoi saperlo!
Dove sei stato?"
"Bé,
non mi troverete di certo se continuerete a restare qui" replicò
l'altro, senza soddisfare la curiosità del Re, che corrugò
la fronte con aria interrogativa.
"Di
che diavolo stai parlando?" chiese, avvicinandosi a lui con
cautela, poiché il suo equilibrio sembrava averlo abbandonato;
Merlin non si alzò e restò a guardarlo avanzare con
incertezza, senza nemmeno dare l'impressione di volerlo aiutare.
"Mi
dispiace per quello che è successo" disse, in tono
sommesso.
"Merlin,
stai parlando per enigmi ed io non riesco a seguirti! Cos'è
che è successo?"
L'altro
si strinse nelle spalle. "Non lo so" esclamò
infatti, "Ma se siete qui sicuramente qualcosa è successa
di sicuro. E non di quelle belle, temo. Non ve lo ricordate?"
Arthur
sgranò di poco gli occhi per esprimere la sua totale e sincera
perplessità.
"No.
No, certo che no! Se fosse successo qualcosa ti pare che non me lo
ricorderei?!" sbottò, infastidito da tutti quegli strani
giri di parole. "Ti comporti in modo più bizzarro del
solito oggi, forse è successo qualcosa a te... ?!"
Merlin
sorrise in modo un po' triste e lo guardò con un sentimento
così liquido che Arthur provò un soverchiante senso di
colpa, come se fosse lui stesso la causa del malessere che gli occhi
del mago non riuscivano a celare.
"In
effetti sì" rispose dopo un po' il suo valletto, "E
mi avevate promesso che mi avreste aiutato. Come fate a non
ricordarlo?"
Arthur
si fermò a qualche metro di distanza da lui e lo guardò
in modo vacuo, tentando disperatamente di capire, o ricordare, di
cosa stesse parlando Merlin, che nel frattempo si era alzato e gli si
stava avvicinando. Arthur lo guardò coprire la distanza che li
separava con poche falcate e poi fermarsi davanti a lui in modo un
po' timoroso, il mento basso ed i pugni chiusi strettamente lungo i
fianchi magri.
"In
che modo ho promesso di aiutarti?" si sentì chiedere
Arthur, la voce leggera come un soffio di aria. Merlin lo guardò
con intensità, sondando il suo sguardo, cercando in lui un
barlume di consapevolezza e volontà.
"Hai
promesso di uccidermi, Arthur. Non è qualcosa che puoi
dimenticare. Devi svegliarti adesso e mantenere fede alle tue
parole".
Arthur
non disse niente.
Merlin
lo vide starsene in piedi tutto rigido, la mascella e le spalle
contratte, gli occhi perfettamente immobili su di lui; il mago si
sforzò di mantenere il suo sguardo, strinse maggiormente i
pugni e le narici di Arthur fremettero. I suoi occhi azzurri, da
immobili che erano, iniziarono a saettare lungo tutto il volto di
Merlin, come alla ricerca di un dettaglio particolare e la sua
espressione mutò gradualmente; il mago vide la sua perplessità
svanire ed essere sostituita da un'aria interdetta, che a sua volta
lasciò il posto al dubbio ed all'indecisione, poi ad una cauta
consapevolezza che si riverberò sulla tensione delle spalle.
Quando, dopo circa un minuto, Arthur esplose spingendolo bruscamente
all'indietro, Merlin seppe che non aveva funzionato.
"TU!"
gridò il Re, piantandogli l'indice al centro del petto con
violenza, più e più volte; "SUL
SERIO, MERLIN?!
Pensavi davvero che alla fine non mi sarei ricordato niente? COME
PUOI SOLO PENSARE DI RACCONTARMI UNA BUGIA COSÌ ASSURDA!"
Merlin
strinse le labbra e non rispose, indietreggiando fino a quando non si
trovò ad essere spalle al muro contro il tronco di un albero.
"MI
CREDI COSÌ IMBECILLE? 'AH, ARTHUR NON SI RICORDA UN FICO
SECCO DI QUELLO CHE È SUCCESSO, BENE! FACCIAMOGLI IL LAVAGGIO
DEL CERVELLO!' NON CI PROVARE MERLIN, NON TI AZZARDARE MAI PIÙ!"
Arthur lo spinse contro il tronco e gli intrappolò il viso con
una mano, tra il collo ed il mento, come se volesse strozzarlo senza
ucciderlo.
"IO
NON TI HO MAI, MAI PROMESSO UNA COSA DEL GENERE! TI HO DETTO CHE TI
AVREI SALVATO, MA NON SAREBBE STATO UCCIDENDOTI! NON LO FARÒ
MAI! C'È UN'ALTRA SOLUZIONE!"
"NON
C'È UN'ALTRA SOLUZIONE!"
gridò Merlin di rimando, improvvisamente tutto rosso in viso.
"SE
CI FOSSE STATA VE LO AVREI DETTO, MA NON C'È,
MALEDIZIONE, NON C'È ! ILLUDENDOVI DI POTERNE TROVARE UNA NON
FARETE ALTRO CHE ALLUNGARE QUESTA INSOPPORTABILE AGONIA! NON VI
IMPORTA NIENTE DI ME?"
la sua voce, non poté impedirlo, si incrinò
paurosamente e Merlin inspirò bruscamente perché mai,
mai avrebbe dato sfogo a tutta la sua rabbia e la sua frustrazione in
modo così patetico. Non sarebbe servito a niente frignare e di
certo non l'avrebbe fatto davanti ad Arthur.
"Non
vi importa dell'inferno che sto vivendo ogni giorno?" aggiunse
in maniera molto più quieta, nonostante la voce fosse vibrante
di ira repressa. Merlin piantò i suoi enormi occhi blu in
quelli di Arthur, implorandolo di aiutarlo, di fare qualcosa, di
porre fine a quella sofferenza.
"Arthur,
ti prego, ti prego, ti
prego.
Se ci fosse stata un'altra soluzione, sarei stato il primo a gioirne,
ma non c'è. Non è facile per me chiederti una cosa del
genere e non l'avrei mai fatto, se non fossi stato così
sfinito. Io non ce la faccio più. E per quanto l'idea che tu
sia l'unico che possa aiutarmi mi renda furioso e pieno di altri
sentimenti che mi hanno fatto diventare quello che sono oggi, io ho
preferito strisciare da te piuttosto che continuare in questo modo.
Anche se tu avessi la possibilità di aiutarmi senza uccidermi,
io non posso assicurarti che dopo non mi accadrebbe niente. Io sto
già morendo, Arthur. Il senso di colpa mi sta divorando come
un acido! Di chi pensi sia la responsabilità di tutto questo
caos?! Io ho causato le calamità naturali! Io ho dato ordine
ai draghi di distruggere tutto per riportarti in vita! Io ho
calpestato le vite delle persone per raggiungere i miei scopi! Il
dolore, il dolore che mi sta consumando non posso combatterlo e non
voglio combatterlo! Io non potrei mai vivere con il peso sulle spalle
di tutto quello che ho fatto. Non posso, non ce la faccio. Quindi,
Arthur, per favore, ti prego, se la nostra amicizia è mai
valsa qualcosa per te-"
"Non
voglio sentire altro".
"Se
il mio volere conta almeno qualcosa-"
"Ho
detto che non voglio sentire altro".
"Allora
per una volta non lasciare che-"
"BASTA,
HO DETTO!"
Arthur
strinse ancora di più la presa sulla gola di Merlin e quello
si zittì. Passarono dei lunghi, interminabili secondi prima
che il Re decidesse di mollare la morsa su di lui. Entrambi
respiravano pesantemente, uno con il volto cinereo, l'altro accaldato
e sudato. Restarono a guardarsi con la testa piena di pensieri e
parole che si accavallavano l'una sull'altra, incapaci di far trovare
loro un'ordine per poterle dire ad alta voce. Merlin si toccò
la gola distrattamente ed Arthur inghiottì a vuoto.
"Quando
ti salverò" esclamò quest'ultimo, con tono
tremante di rabbia ma duro come la pietra, "Non ci sarà
più niente, niente
che dovrai sopportare o combattere da solo. Niente".
L'altro
strinse i denti e voltò la testa per guardare da un'altra
parte, i suoi pensieri in totale contrasto con quelli del Re. Arthur
restò a guardarlo ancora per un po', cercando di guadagnare
tempo per controllare almeno la velocità del suo respiro.
"Adesso,
dimmi come diavolo faccio ad uscire da qui" esclamò, non
appena fu soddisfatto dei suoi sforzi.
*
Fu
una goccia d'acqua gelida a fargli aprire gli occhi. Cadde
esattamente al centro della sua fronte e scivolò
trasversalmente lungo la guancia, fino a morire sul mento. Charles
sbatté le palpebre e vide che il mondo attorno a lui s'era
fatto scuro come la pece; nonostante il cielo nuvoloso e grigio, che
con sé portava promesse di piogge abbondanti, nonostante
stessero volando sufficientemente in alto da poter contrastare la
calura estiva, Charles stava sudando come fosse stato dentro ad una
sauna. Si mosse dietro Alecto e cercò di stiracchiare le
braccia, ma lei gli teneva le mani aggrappate insieme alle sue; lo
lasciò subito però, quando si accorse che era sveglio.
"Scusa"
esclamò quietamente, "Cercavo di non farti cadere".
Lui non rispose e quando stirò i muscoli, un dolore lancinante
lo colpì al retro del collo, a causa della scomoda posizione
che aveva assunto decisamente troppo a lungo.
"Mmh"
mugugnò, tornando ad afferrare la maglia di Alecto: volare su
di un drago non era mai stato uno dei suoi desideri più forti
e non si sentiva proprio a sua agio, lì sopra.
"Guarda"
lo richiamò lei, indicando con l'indice l'orizzonte alla loro
sinistra; Charles voltò la testa e notò che le nuvole
cariche di pioggia si estendevano per qualche chilometro, per poi
interrompersi bruscamente in una linea netta per lasciare spazio ad
un cielo più che sereno.
"Anche
di là" aggiunse, facendolo girare dall'altra parte. In
effetti, adesso che ci faceva caso, si trovavano al di sotto di un
cerchio perfetto, formato dalle nubi stesse, ma non aveva per niente
l'aria di essere qualcosa di naturale.
Alecto
parve leggere i suoi pensieri, perché qualche istante dopo
anticipò le sue domande: "Quando Emrys era arrabbiato
capitava che facesse piovere, a Glastonbury. Eppure i suoi poteri non
si erano mai estesi così tanto. Deve essere davvero fuori di
sé".
"C'è
un caldo insopportabile" rispose lui, per contro. Alecto annuì
ed aggiunse: "Sì, è un effetto della sua magia. La
potenza è tale che la avverti anche fisicamente".
Charles
si rabbuiò a quella notizia e ripensò al sogno che
aveva appena fatto. Si era sentito pronto ad abbattere le montagne,
pur di trovare Merlin, ma ora che era sveglio e che aveva solo una
vaga idea di quanto potesse essere realmente forte il mago... le sue
sicurezze iniziarono a vacillare. No,
non sono io quello pronto ad abbattere le montagne. È
l'altro. È sempre e solo lui che mi spinge a fare queste
assurdità.
Quel
pensiero lo fece sentire anche peggio, perché solitamente ogni
volta che diceva robaccia simile, Hester lo riprendeva e gli
mormorava qualcosa che riusciva a consolarlo almeno un po'.
Ma
Hester non c'era più.
Stropicciò
tra le dita la maglia di Alecto e strinse i denti.
"Mi
dispiace per quello che è successo".
"Merlin,
stai parlando per enigmi ed io non riesco a seguirti! Cos'è
che è successo?"
"Non
lo so. Ma se siete qui sicuramente qualcosa è successa di
sicuro. E non di quelle belle, temo. Non ve lo ricordate?"
"No.
No, certo che no! Se fosse successo qualcosa ti pare che non me lo
ricorderei?!"
Aveva
praticamente sputato sulla memoria di quella che era stata la sua
seconda madre. La certezza che non avrebbe mai, mai potuto
dimenticarsi l'offesa che le aveva arrecato, lo sapeva, l'avrebbe
accompagnato per tutto il resto dei suoi giorni. Guardò la
nuca bionda di Alecto, seduta davanti a sé. Chi
è senza colpe scagli la prima pietra.
Non c'era nessuno, tra di loro, che fosse completamente innocente.
Ognuno stava semplicemente facendo del proprio meglio ed in effetti
era questo che Hester aveva sempre cercato di fargli capire. Fa'
del tuo meglio, come Charles o come Arthur, non importa. Fa' sempre
del tuo meglio. Era
ancora in tempo per onorare la sua memoria, per far sì che non
fosse morta invano. Si era sacrificata
per lui, il minimo che potesse fare era smettere di piangersi addosso
e di chiedersi in continuazione perché
proprio a me.
Guardò
Excalibur, incastrata nella cinta dei suoi pantaloni e ripensò
al giorno in cui Hester si era inchinata davanti a lui chiamandolo Re
- sembrava una vita prima. Dopo tutto quello che aveva fatto per lui,
sarebbe dovuto accadere il contrario. Sarebbe dovuto essere lui a
farle quell'inchino.
Era
arrivato il momento di mettere le insicurezze da parte. Come Charles,
o come Arthur, la questione non cambiava: era inutile continuare a
negare che Merlin fosse importante solo per l'altro.
In un modo intrinseco e che non avrebbe saputo spiegare, neanche se
avesse voluto farlo, lo era anche per lui. E poi, glie lo aveva
promesso: aveva promesso che sarebbe andato a prenderlo.
"Charles"
lo richiamò Alecto, guardandolo da sopra il profilo della
spalla, felice del fatto che non avesse perso di nuovo conoscenza.
Lui alzò gli occhi su di lei e attese.
"Io...
stavo pensando..." la voce le morì e rimase in attesa,
aspettandosi un rimprovero per il solo fatto che avesse osato
pensare, come se, dopo tutto quello che aveva combinato, non avesse
più anche solo il diritto di aprire bocca. L'altro continuò
a guardarla in silenzio ed Alecto si sentì lievemente
incoraggiata da quel tacito consenso, così decise di
continuare: "Stavo pensando che forse... sai, forse dovrei dirti
qualcosa su di Emrys. Non sai niente di lui, del nuovo lui intendo,
quindi pensavo... che magari..."
Il
suo primo istinto fu quello di mettersi a ridere. Se lui non sapeva
niente su di Emrys, allora i draghi non esistevano e tutto quello
stava avvenendo soltanto nella sua mente. Eppure, Alecto non aveva
tutti i torti: il Merlin che lui aveva conosciuto non c'era più,
era assopito da qualche parte. Charles acconsentì quindi ad
ascoltare che cosa l'altra aveva da dire.
"C'è
una vecchia casa a Glastonbury che, da quanto ho capito, è
sempre stata abitata da lui. Non gli piace molto parlare e quelle
poche cose che so, le ho ottenute sudando, mi devi credere. L'unica
stanza della casa che occupa è il salotto, forse perché
lì si trova anche il ragazzo di cui ti ho parlato l'ultima
volta. Sono legati l'uno all'altro da una sorta di... ramo, o radice,
non saprei dire bene. Credo che questo legame impedisca ad Emrys di
allontanarsi fisicamente da lui, ma questa è solo una mia
supposizione. Purtroppo non so dirti chi sia il ragazzo e se non
fosse che non si è ancora decomposto, ti avrei detto che è
morto. Non ha l'aria di uno che se la passa bene, comunque".
"Come
l'hai conosciuto?" intervenne Charles, approfittando della sua
pausa. Sapeva già chi era il ragazzo di cui Alecto parlava, o
almeno se n'era fatto un'idea, perché le aveva già
chiesto di descrivere il suo aspetto la prima volta che ne avevano
discusso.
"Noi
esseri magici abbiamo la possibilità di poter comunicare tra
di noi telepaticamente. È così che mi ha attirata a
sé. E comincio a pensare che l'abbia fatto proprio per
mandarmi a fare cose che lui di persona non avrebbe mai potuto e non
potrà mai fare. Non può semplicemente allontanarsi da
quel ragazzo, ecco tutto. Il solo modo che aveva per avvicinarmi era
cercarmi telepaticamente e così ha fatto".
"Perché
non sai cosa fare con i draghi? Possibile che non ti abbia mai detto
niente?"
"No"
rispose subito Alecto, facendo una smorfia. "È sempre
stato restio a toccare l'argomento ed ogni volta che ci provavo si
infuriava. Diceva che dovevo avere pazienza, che non ero pronta. Ma
ora sono convinta che il suo unico scopo era quello di tenermi
all'oscuro di tutto, per evitare di farmi diventare una minaccia. Non
credo si sia mai fidato totalmente di me e forse l'idea che qualcun
altro oltre a lui potesse avere controllo sui draghi, non gli piaceva
poi così tanto. Le uniche cose che so con certezza è
che soltanto un signore dei draghi può uccidere un drago.
Qualsiasi tipo di arma su di loro non ha effetto, a meno che non sia
appunto una come me ad utilizzarla".
Charles
ricordò vagamente che anche Hester gli aveva detto una cosa
del genere.
"Come
se i draghi non bastassero, Emrys ha risvegliato altre diverse
creature, tra cui i grifoni ed i wildeon - scommetto che li ricordi.
Ed io, come la stupida che sono, l'ho aiutato".
Confessa
le tue colpe adesso e forse, con altre venti o trenta vite, avrai
diritto a chiedere il perdono.
Charles
non commentò poiché, in tutta onestà, non aveva
nemmeno la forza di ideare una frase che potesse farla sentire
meglio. E poi un po' la incolpava, su quello non poteva farci niente.
Aveva compreso che i trascorsi di Alecto erano tutto tranne che
rosei, ma non poteva accettare ciò a cui aveva preso parte.
Stava cercando di capirla e forse perdonarla, ma quello non implicava
accettare le sue azioni.
"Inoltre
la sua magia si è talmente rafforzata da aver cominciato ad
interferire con i segnali radio, strumentazioni militari, radar,
antenne e quant'altro. Infatti-" fu costretta ad interrompersi
perché di punto in bianco, una gelida cascata d'acqua investì
entrambi.
Aveva
iniziato a piovere così violentemente e così
all'improvviso che entrambi boccheggiarono dalla sorpresa e dallo
shock della differenza termica. In un lampo, tutti e due avevano i
capelli appiccicati alla faccia ed i vestiti incollati addosso.
"CREDO
SIA MEGLIO SCENDERE!"
gridò Charles, per sovrastare il fragore della pioggia e dei
tuoni.
"HAI
RAGIONE!"
rispose Alecto. "PIÙ
CI AVVICINEREMO E PIÙ PEGGIORERÀ !"
Guardarono
giù, cercando di scorgere un punto favorevole dove poter far
scendere i draghi e solo così si accorsero di aver già
raggiunto la loro meta. Erano arrivati a Glastonbury. Si scambiarono
brevemente uno sguardo e dopo qualche istante, Alecto gridò
qualcosa nella lingua dei draghi; le creature, compreso Drem,
iniziarono a planare verso il basso con precisione ed un minuto dopo
avevano tutti toccato terra vicino le rive del lago, lo stesso dove
Charles aveva recuperato Excalibur. Scesero dal drago con qualche
difficoltà, il tempo di incespicare un po' sui propri piedi ed
in un lampo vennero circondati da altri Fomorroh. Charles sfoderò
istintivamente la spada e si frappose tra loro ed Alecto.
"Che
facciamo?" chiese lui, che ad una veloce analisi soppesò
fossero una ventina. Alecto gli si affiancò e poi voltò
la testa verso di lui.
"Percorri
il sentiero che porta sulla strada principale e segui le indicazioni
per Green Hill. Alla fine di quella via troverai la casa di Emrys.
Dei Fomorroh mi occupo io. Ti raggiungo appena posso, ok?"
Anche
Charles si girò verso di lei e fece saettare gli occhi sul suo
volto.
"Sei
sicura?" domandò, alla ricerca di ogni minimo sentore di
cedimento. Tuttavia Alecto annuì con determinazione.
"Adesso
che ho capito come funziona questa storia dei draghi, direi che è
arrivato il momento di fare qualcosa di utile, non è vero?
Avrei voluto saperlo fare prima, ma per affogare nei sensi di colpa
ho tutto il resto della mia vita. Non credo sia questo il momento
adatto. Va', ti copro io".
Lui
restò con le braccia tese a brandire la spada ancora un po';
lasciò indugiare gli occhi su Alecto, perfettamente in grado
di nascondere l'inquietudine che in realtà stava provando.
Avrebbe fatto bene a lasciarla da sola? Ma poi, aveva altra scelta?
Nella sua scala delle priorità c'era Merlin al primo posto, ci
sarebbe stato sempre e solo lui. In fondo era soltanto un essere
umano, non poteva pretendere di essere sempre gentile, sempre
altruista, sempre impavido. Quando c'era di mezzo Merlin, in realtà,
diventata un essere umano un po' stupido.
E
forse molto innamorato.
Abbassò
lentamente le braccia e distolse bruscamente lo sguardo da lei,
imboccando il sentiero che lo avrebbe portato sulla strada
principale.
Con
gli occhi fissi sulla sua schiena ed una sorta di paura liquida
dentro lo stomaco, Alecto ordinò a Drem di andare con lui e di
proteggerlo, dopodiché dedicò la sua totale attenzione
ad i Fomorroh.
"Adesso
vediamo un po' cosa riesco a fare con voi".
NOTE
DELL'AUTORE: Ci siamo ragazzi. La resa dei conti è
finalmente arrivata. Il prossimo capitolo sarà decisivo e
tutte le vostre sofferenze raggiungeranno il punto massimo, la
conclusione. Dopo il prossimo, ci sarà la discesa verso la
fine (vi ricordo che la storia si compone di 20 capitoli). Se sarà
un'allegra discesa o irta di angst, lo scoprirete solo leggendo. Voi
mi conoscete... cosa ne pensate? Non vorrei dirlo troppo ad alta
volte ma credo che con questa storia, saluterò per un bel po'
di tempo il fandom di Merlin. Anche se... mai dire mai :)
Asfo
|
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Capitolo 18 *** Merlin il Mago deve morire - I ***
DICIOTTESIMO
CAPITOLO 18.
Merlin il Mago deve morire - parte I
Glastonbury,
5 agosto 2020
Notte
Fino
a quel momento aveva pensato che case del genere esistessero solo nei
film - a partire dal muro di cinta che la circondava e che era stato
letteralmente assediato dalle piante: si erano intrecciate tra di
loro in modo talmente fitto da impedire a chiunque di sbirciare; le
foglie erano secche, i rami grossi e pieni di spine, il ferro della
cancellata abbondantemente arrugginito. Stringendo Excalibur in una
mano, Charles camminò lungo il marciapiede deserto, sino a
raggiungere il cancello di ingresso, che era chiuso; il cielo
vomitava acqua a secchiate e le gocce erano talmente grosse da fare
quasi male: era normale che per strada non ci fosse anima viva. Con
gli occhi resi piccoli dallo sforzo di vedere attraverso la pioggia,
Charles osservò la facciata della casa attraverso le sbarre
che la proteggevano dai passanti: definirla fatiscente sarebbe stato
un eufemismo; le mura esterne erano attraversate da crepe, almeno
nelle parti visibili, perché la maggior parte della superficie
era occupata dall'edera.
Lasciò
correre lo sguardo sui vetri sporchi delle finestre, rotti in diversi
punti, sulle decorazioni smozzicate e scolorite del cornicione, sulla
porta di ingresso graffiata ripetutamente ed infine su quello che, un
tempo, doveva essere stato un giardino: in quel momento sarebbe
potuto passare per una prateria. L'erba secca ed ingiallita era alta
più di un metro e sfiorava sino a metà le finestre del
pian terreno, i pochi alberi che erano riusciti a crescere lì,
nel mezzo di quell'aridità, avevano l'aria di essere morti da
un pezzo e, posizionate un po' ovunque, facevano capolino radici
grosse come la gamba di un uomo adulto. Lo scenario dava come
l'impressione che una natura marcia, malata, avesse voluto prendere
possesso di quella casa con la forza, reclamandola.
Charles
espirò bruscamente e le gocce di pioggia che gli si erano
poggiate sulla bocca schizzarono via. Aveva il cuore che stava
andando a tremila e si ritrovò ad afferrare Excalibur con
entrambe le mani, praticamente aggrappandosi a lei, tentando di
assorbire la sua forza ed il suo coraggio.
Non
avrebbe saputo dire quant'è che restò fermo sotto la
pioggia, davanti quel cancello, in procinto di compiere quel destino
per il quale la sua coscienza era stata risvegliata; in quel momento
la sua testa era invasa da una confusione tale che ad un certo punto
gli sembrò addirittura che quel corpo non fosse più il
suo, che si stesse sdoppiando.
Il
che non sarebbe stato poi così strano, visto che lì
dentro erano in due.
Ma
no, Hester diceva che erano sempre stati la stessa cosa, lui e
l'altro.
Sì,
ma Hester non poteva sapere che cosa si provasse. Non avrebbe mai
potuto saperlo, quindi su cosa aveva basato certe affermazioni?
No.
Doveva smetterla di pensare a lei. Hester non c'era. Non c'era più.
Ma
se fosse stata lì, sicuramente avrebbe saputo che cosa fare.
E
lui, lo sapeva che cosa doveva fare?
Perché
Hester non glie lo aveva detto? Perché l'aveva lasciato così,
da un giorno all'altro, insicuro ed impreparato?
No,
basta per davvero. Niente più Hester. Lei non c'era. Caso
chiuso.
Concentrazione.
Doveva stare concentrato.
Merlin,
Excalibur, Casa, Cancello.
Aveva
le mani sudate- e se Excalibur gli fosse scivolata dalle dita? Doveva
asciugarle.
Che
idea stupida! Era fradicio sin dentro le ossa e stava piovendo a
dirotto, come pensava di asciugarle?
Allora
forse non erano sudate. Forse era colpa dell'acqua.
Un
momento, quella spada era sempre stata così pesante?
Chissà
dove si sarebbe trovato da lì ad un'ora.
Merlin,
Excalibur, Casa, Cancello.
Concentrazione.
Concentrati.
Concentriamoci,
io e te. Noi. Io.
Oh,
Dio.
Charles
fissò quel cancello talmente a lungo che arrivò a
perdere la concezione stessa di cosa fosse, un cancello, come quando
si ripete una parola così tante volte da credere di
dimenticarne il significato. Dopo interminabili minuti, quando per
essere più bagnato di così avrebbe soltanto potuto
tramutarsi lui stesso in acqua, con la punta della spada fece
pressione sul cancello, aspettandosi una certa resistenza.
Contro
ogni previsione, quello si aprì docilmente, cigolando in modo
fastidioso.
"Grwoar!"
esclamò Drem, che dal lago l'aveva seguito sino a lì,
ubbidientemente. Charles se ne era completamente dimenticato, così
abbassò gli occhi sul piccolo drago, che stava annusando le
sbarre dischiuse con aria apparentemente diffidente.
"Piace
meno a me che a te, quindi non fare quella faccia" biascicò
al suo indirizzo, ottenendo un gorgoglio di disaccordo. A quel punto
però, non poteva davvero più rimandare: facendo un
deciso passo avanti, con Drem alle calcagna, mise piede nel giardino
di quella casa dall'aria spettrale. Avanzò con cautela tra
l'erba alta, stando attento alle radici dalle dimensioni
straordinarie sulle quali avrebbe potuto inciampare e si fece strada
tra il fogliame grazie ad Excalibur. Il drago rimarcava le sue orme,
approfittando del passaggio lasciato aperto davanti a lui.
Se
avesse dovuto dire che la situazione non gli puzzasse, avrebbe
largamente mentito; si era aspettato di dover combattere contro altri
Fomorroh, di dover superare, insomma, delle magie o per lo meno altri
ostacoli del genere... perché stava filando tutto così
liscio?
Cos'è
che lo rende così sicuro di sé? Non
poté fare a meno di chiedersi. Quando infine giunse davanti la
porta di ingresso, che si aprì immediatamente non appena la
spinse un po', non si stupì tanto quanto prima. Scambiò
un'occhiata con Drem, unico compagno e conforto al momento
disponibile e la prima cosa che notò, ancora prima di entrare,
fu l'odore: l'interno della casa emanava puzzo di umido, di muffa e
di polvere. Possibile che lì dentro ci vivesse davvero
qualcuno? Sembrava fosse stata abbandonata da anni.
Quando
entrò lasciò la porta aperta, affinché la debole
luce dei lampioni potesse illuminare l'ingresso almeno un poco; come
per l'esterno, Charles poté notare che anche le mura interne
della casa erano cosparse di crepe e foglie di edera, i cui rami si
estendevano fino al soffitto, ricordando una mappatura molto simile a
quella delle vene del corpo umano. Il pavimento era spaccato in più
punti da altre robuste radici, che si erano fatte prepotentemente
strada attraverso strati di calce e cemento; sparse come un tappeto
dalle sfumature giallastre e brune, numerose foglie secche giacevano
a terra dappertutto. Ogni passo compiuto era come un tuono su quel
manto arido e morto, ma Charles ebbe come la netta impressione che,
chiunque abitasse lì dentro, fosse già a conoscenza
della sua intrusione.
Con
una certa sorpresa, realizzò che la cosa non gli importava:
prima di varcare il cancello il nervosismo l'aveva quasi fatto
vomitare, ma ora che si trovava lì... provava soltanto una
gran voglia di farla finita. Si sentiva totalmente devastato, sia
mentalmente che fisicamente ed aveva iniziato a credere che non
sarebbe mai riuscito a riprendersi completamente dall'odissea che
l'aveva risucchiato sin nelle sue viscere. Tutto quello doveva
giungere al termine, ma non solo per lui... sopratutto per Merlin e
per quell'angoscia che lo stava divorando vivo, che glie lo stava
portando via anche quando, finalmente, era giunto ad averlo così
vicino.
Sarebbe
morto di nuovo, prima di lasciarlo accadere.
Inspirò
a fondo, cercando di liberare la mente da ogni pensiero. Non doveva
distrarsi, il gioco era diventato serio e si era trovato in
situazioni come quella un milione di volte - il fatto che Merlin in
quella particolare occasione non sarebbe stato con lui, ma
contro di lui, non voleva dire che non ce l'avrebbe fatta -.
Era il maledetto Re del passato e del futuro, qualcosa doveva pur
significare.
Avanzò
con circospezione sino a raggiungere la prima stanza alla sua destra,
priva di porta; il cuore, che aveva già raggiunto l'altezza
della gola a causa del nervosismo, per poco non gli schizzò
fuori dalla bocca quando si affacciò oltre la soglia per
esaminare l'ambiente: un lampo aveva inondato la stanza di luce e,
sulla parete opposta all'entrata, costretto su una poltrona da una
moltitudine di rami o liane o quel che diavolo erano, lo vide. Era
lui, ne era sicuro.
Il
tuono che seguì gli fece tremare la cassa toracica.
Merlin.
Merlin
era lì.
Merlin
era lì, davanti a lui, a qualche metro di distanza.
Merlin
era lì.
Come
poteva essere lì?
Charles
corrugò la fronte e si congelò sul posto. Cercò
di scorgere il suo viso, ma la stanza era completamente buia ed anche
se i lampioni in strada erano piuttosto vicini alla casa, la tempesta
che fuori imperversava dava l'impressione che fossero in procinto di
spegnersi totalmente.
No.
C'era
decisamente qualcosa che non andava.
Non
era umanamente possibile credere a tutta quella fortuna. L'averlo
trovato così, immediatamente, nel salotto? Neanche nelle
favole era tutto così semplice.
Strinse
le mani attorno all'elsa di Excalibur e serrando i denti con forza,
decise di avanzare; mosse con cautela prima un piede e poi l'altro,
entrando nella stanza con i nervi a fiori di pelle. Valutò
velocemente l'ambiente, cosa che aveva imparato a fare già ai
tempi dell'addestramento a Camelot: essere in grado di studiare il
terreno di battaglia era una delle regole basilari per il gioco della
guerra.
Il
salotto rispecchiava alla perfezione le condizioni del resto della
casa: la carta da parati era ingiallita e cadeva a pezzi in alcuni
punti, mentre le piante avevano sfondato il pavimento e si erano
inerpicate lungo i muri ed il soffitto; ebbe come l'impressione di
essere stato inghiottito dalla bocca di un mostruoso albero, ma non
vide nessun altro lì dentro, oltre al mago.
"Okay..."
mormorò, per infondersi un po' di coraggio. Abbassò lo
sguardo alla ricerca di Drem, ma non riuscì a vederlo da
nessuna parte - del resto, era davvero troppo
buio
lì dentro. Tenendo quindi Excalibur tesa davanti a sé,
Charles si inoltrò fino al punto di raggiungere Merlin senza
nessuna difficoltà; gli si fermò di fronte e la
vicinanza guadagnata gli permise finalmente di scorgere quei dettagli
che prima non aveva potuto notare: il sangue scuro e secco che gli
imbrattava la faccia, le croste dei graffi in via di guarigione sulle
guance scavate, le occhiaie scure sotto gli occhi chiusi, i capelli
neri e spettinati come al solito che ricadevano delicati sul suo
viso, il letto di foglie secche che lo ricopriva come una coperta
-come se lui fosse stato qualcosa di dimenticato -, i rami che lo
circondavano abbracciandolo stretto stretto, quasi con una sorta di
gelosia...
Anche
nell'incoscienza di quella morte apparente ed innaturale, Merlin
aveva quella sua caratteristica aria irriverente che aveva del tutto
scombinato la vita ed i sentimenti di Arthur. Il fatto che anche
quelli di Charles fossero totalmente sottosopra, era una naturale
conseguenza, un proseguo di un filo il cui capo era legato molto a
fondo nel passato. Non sapeva chi avesse ridotto il mago in quelle
condizioni, ma avrebbe scovato quell'individuo che si faceva chiamare
Emrys e lo avrebbe costretto ad implorare di ucciderlo. Non era mai
stato un Re od un ragazzo crudele, dedito alla violenza, ma come in
molte altre occasioni era già successo ,quando si trattava di
Merlin tutte le certezze che Arthur, o Charles , aveva su di sé...
irrimediabilmente crollavano come un fragile castello di carte.
Merlin aveva sempre avuto il potere di farlo passare come uno
sconosciuto ai suoi stessi occhi e, per essere onesti, non era mai
riuscito ad accettarlo molto bene; quando era con lui, Arthur avrebbe
anche potuto indossare la corona più vistosa e brillante e
preziosa del mondo, ma sapeva che Merlin avrebbe continuato a
guardare solo e semplicemente i suoi occhi. Glie lo aveva dimostrato
in diverse occasioni.
Improvvisamente
sentì di avere la mente libera, completamente sgombra. Credeva
di non essere mai stato così lucido in vita sua, eppure la
spada gli tremò tra le mani, quando la accostò al collo
di Merlin. I suoi occhi azzurri accarezzarono la lama nella sua
interezza, fino alla punta poggiata contro la pelle morbida del mago.
Un
taglio.
Sarebbe
bastato un taglio netto, secco e deciso, e quella storia sarebbe
finita una volta per tutte. Del resto, era anche ciò che
Merlin voleva, no? Glie lo aveva chiesto lui, più di una
volta, di essere ucciso!
Drem
mugolò come spaventato nei pressi della soglia del salotto, ma
Charles non lo sentì. L'elsa era ben stretta tra le mani,
avvertiva il sangue pulsare nelle vene, guidato da battiti
improvvisamente tranquilli e regolari; un nuovo lampo inondò
la stanza, donò luce oscura alla lama di Excalibur e rese
ancor più macabro il contrasto del sangue secco sulla pelle
pallida come ghiaccio di Merlin. Charles strinse le dita attorno
all'impugnatura, le gocce di pioggia che l'avevano infradiciato
neanche dieci minuti prima gli scivolarono sulla faccia e sotto i
vestiti.
Che
cosa stava aspettando?
Inghiottì
a vuoto.
Che
diavolo, un colpo. Gli trafiggo la trachea e me ne vado. È
facile.
Adesso
le sue mani tremavano visibilmente. Drem mugolò ancora e
Charles serrò forte i denti, strizzando le palpebre, perché
la vista gli si era annebbiata; la spada, divenuta instabile nelle
sue mani, graffiò la pelle del collo di Merlin e, a riprova
del fatto che fosse in realtà ancora vivo, del sangue colò
giù dalla ferita.
Ucciderlo.
Ucciderlo e basta. È la soluzione più semplice. Devo
farlo.
Aprì
nuovamente gli occhi, la faccia bagnata non più dalla pioggia,
ma dal sudore. Sentiva il sapore della bile nella bocca e la gola
bruciare di acidità.
Basta,
non ce la faccio più.
Basta.
Deve finire!
Ucciderlo.
Basta,
sono stanco...
Uccidilo.
Non
ce la faccio...
Uccidilo!
"BASTA!"
gridò, lasciando cadere la spada per terra, come ne fosse
stato ustionato; barcollò malamente sulle gambe e respirò
in modo affannato più volte, poiché si sentiva come se
avesse corso in modo folle. Con gli occhi spalancati dall'apprensione
e le pupille dilatate al massimo, si guardò attorno in modo
frenetico, cercando evidentemente qualcosa. "Dove sei?!"
O
qualcuno.
Le
sue parole vennero seguite dall'unico rumore della pioggia e del
vento che fischiava attraverso le finestre senza vetri; il pavimento
era umido a causa dell'acqua che le raffiche di aria trasportavano
dentro e quando Charles si chinò velocemente a recuperare
Excalibur, per poco non scivolò sulle radici umide. Non
riusciva a controllare il suo respiro e sapeva che agli occhi di
chiunque, in quel momento, sarebbe apparso come un animale braccato e
costretto all'angolo. Aveva sempre odiato sentirsi a quel modo ed era
capitato pochissime volte che accadesse; quando ancora non era
divenuto re, ad esempio, e Camelot era stata attaccata dai
Dorocha(1), aveva provato un'impotenza così soverchiante da
portarlo a dubitare di se stesso in un modo in cui non aveva mai
fatto prima. Poi Merlin, per l'ennesima volta, l'aveva aiutato a
riemergere da quelle acque oscure, così
oscure...
Lui.
Sempre lui. Ovunque, in ogni momento.
Quelle
stesse acque oscure, da cui era stato salvato una vita fa, erano
tornate e stavano minacciando di portargli via l'unica ancora di
salvezza che avesse mai avuto; di nuovo, Charles fu quasi schiacciato
miseramente dalla stessa impotenza che l'aveva reso preda durante
l'invasione dei Dorocha... eppure, quella volta, c'era una
differenza: sentiva di voler dimostrare a Merlin di poter contare su
di lui, di poter essere a sua volta la mano che l'avrebbe afferrato e
fatto riemergere dalle profondità dell'abisso.
Glie
lo doveva.
Glie
lo doveva perché era la cosa giusta da fare.
Glie
lo doveva perché non poteva lasciarlo andare.
Glie
lo doveva perché era Merlin.
Glie
lo doveva perché...
"Ti
sei rammollito" esordì una voce lieve, dalle oscurità
della stanza. Charles si irrigidì e le nocche divennero
bianche, tanta fu l'intensità con la quale strinse l'elsa di
Excalibur. Lentamente, vantando una calma che non era lontanamente
reale, si voltò verso il camino spento e, accanto al profilo
di una poltrona consunta, vide baluginare un paio di occhi fatti
d'oro liquido. Il movimento costante ed ipnotico della loro sostanza,
a tratti più intensa o più oscura, lasciava intuire
l'agitarsi stesso della magia che scorreva in modo instancabile nella
pelle, nelle ossa e nelle vene di lui, lui!
Il vero responsabile di tutto il dolore, la follia, la paura e
l'angoscia che avevano gettato in ginocchio l'Inghilterra.
"Emrys"
esclamò Charles, duramente. Puntò d'istinto Excalibur
verso di lui, frapponendola tra loro; l'altro non sembrò
esserne impressionato, ma non si avvicinò neppure, restando
nell'ombra.
"Questo
secolo ti ha reso debole" sentenziò, con una sfumatura
derisoria. "Un tempo avresti saputo mettere da parte i tuoi
ridicoli sentimenti, per fare ciò che è giusto. È
evidente però..." fece qualche passo in avanti e
l'ennesimo lampo permise a Charles di constatare che lo era per
davvero, un ragazzino, "...che quel tempo è finito. Non
che me ne dispiaccia" aggiunse, quasi allegramente, "Così
sarà decisamente tutto più facile".
"Sarà
più facile che cosa?"
"Ucciderti,
naturalmente" replicò con leggerezza Emrys, allargando le
braccia come per sottolineare l'ovvietà di quella risposta.
"Vedi, ho fatto una promessa a me stesso" continuò,
indicando con una mano Merlin, poco dietro Charles. "Gli ho
promesso che gli avrei regalato la tua testa. Non mantenere fede alle
mie parole, sarebbe come mancarmi di rispetto, non credi?"
"Tu
sei pazzo" disse Charles, con la confusione dipinta sulla
faccia, "Parli di lui come foste la stessa persona! Non-"
Emrys
lo interruppe, battendo le mani con approvazione. "Ottimo! Ci
sei arrivato subito! Ti sarai anche rammollito, ma forse sei
diventato più intelligente. Però non vorrei dare
giudizi troppo affrettati, credo che aspetterò di vedere che
altro riesci a dedurre, prima di confermarlo".
Charles
non rispose, perché troppo impegnato a metabolizzare il
significato di quello che aveva appena appreso. Non si sentì
nemmeno offeso dal palese insulto appena ricevuto, lo sconcerto che
sopraggiunse insieme alla comprensione assorbì tutta la sua
attenzione.
"Non
ti credo" fu la prima cosa che riuscì ad esclamare; la
sua mente era andata in blocco: non poteva accettarlo, non poteva
essere reale.
"Che
novità" fu l'aspra risposta di Emrys. "Quando mai
l'hai fatto? Hai sempre avuto la verità sotto il naso e non te
ne sei mai voluto accorgere". Sorrise, in modo ferino.
"Ma
adesso è impossibile negare l'evidenza, altezza.
Sarebbe troppo da idioti, perfino per uno come te".
Gli
occhi di Emrys divennero ancora più vividi di quel che già
erano e, subito dopo, una robusta fiammata invase il camino: in men
che non si dica, i ciocchi presero fuoco e la legna cominciò
ad ardere allegramente; la luce del fuoco invase poco a poco il
salotto, morbida come una carezza, e finalmente Charles poté
vedere con maggiore chiarezza altri dettagli della stanza - che era
messa in condizioni molto peggiori di quanto avesse intuito - e del
bambino stesso; aveva le labbra a forma di cuore, identiche a quelle
di Merlin, e le stesse, grandi orecchie, che erano peggio di un
marchio di fabbrica.
No,
continuò a dire ostinatamente il suo cervello, non
può essere.
Emrys
sembrò leggergli nello sguardo ciò che stava pensando e
socchiuse le palpebre con aria di sfida.
"Non
hai imparato proprio niente dagli errori del passato, vero? Sempre a
girarti dall'altra parte quando ti capita davanti qualcosa di scomodo
che preferiresti non aver mai visto. Povero, piccolo Arthur. Che
trauma, scoprire che l'avere sangue nobile nelle vene non può
salvarti dalle brutture del mondo".
Charles
strinse i denti, irrigidendo la mandibola; sentiva le mani sudate
stringere convulsamente Excalibur. Calmati,
pensò. Concentrati.
"Sono
qui per rimediare a tutti gli errori che ho commesso" rispose,
sforzandosi di tenere un tono di voce controllato. "Mi è
stata data una seconda possibilità e ti assicuro che finirà
in modo completamente diverso dalla prima".
"Ma
certo che non
finirà
in modo diverso" ribatté Emrys, quasi annoiato; "Morirai.
Di
nuovo.
A meno che tu non voglia davvero uccidermi. In quel caso, dì
pure addio per sempre anche alla restante parte di me. E scusalo se
non partecipa attivamente a questa conversazione, sai: ultimamente è
sempre stanco morto".
Il
grondante sarcasmo che colorò la voce di Emrys, fece schizzare
il sangue al cervello di Charles. Fu un attimo: lui scattò in
avanti, con la vista resa rossa dalla rabbia ed alzò Excalibur
sopra la testa, come a volerla abbattere violentemente su Emrys -
poco glie ne importava che avesse le sembianze di un ragazzino! -, ma
giunto praticamente davanti a lui, qualcosa lo bloccò: il mago
si era voltato di spalle e rivolgeva alla sua lama affilata la radice
che lo legava direttamente al cuore di Merlin.
Cosa
diavolo è questa?
"Fallo"
lo incoraggiò Emrys, guardandolo con la coda dell'occhio da
sopra la spalla. "Perché ti sei fermato? Non vorrai dirmi
che adesso mi credi".
Gli
occhi azzurri di Charles percorsero la radice in tutta la sua
lunghezza, fino a raggiungere l'altro capo, che affondava
direttamente nel centro del petto di Merlin. All'improvviso la voce
di Alecto gli venne alla mente e ricordò di quando lei aveva
raccontato di una sorta di ramo che collegava Emrys ad un
ragazzo dall'aria malata.
Quindi era quella, l'incognita della faccenda. Charles inghiottì
a vuoto. Che cosa sarebbe successo se lui avesse...
"Uccidi
me" mormorò Emrys con delicatezza, "E muore anche
lui".
No,
esalò con debolezza la sua stessa voce nella sua mente, e
qualcosa di feroce risucchiò con violenza tutta l'aria dai
suoi polmoni.
Come
se quella sentenza avesse assorbito da lui ogni briciola della sua
energia, Charles lasciò crollare le braccia lungo i fianchi,
la spada mollemente stretta nella mano destra. Eccola di nuovo lì,
l'impotenza, con la stessa malvagia ed oscura morsa che l'aveva
tenuto stretto già in passato.
"Lo
sapevo" disse Emrys, con un sorriso.
Non
poteva sapere se quel ragazzino stesse bluffando o meno. Ma non
poteva nemmeno rischiare, non quando c'era di mezzo Merlin. Fissò
i suoi occhi dorati e disgustosamente sinuosi, mentre i propri si
inumidivano a causa della frustrazione.
"Sapevo
che non l'avresti fatto".
Aveva
dato la sua parola. Aveva dato a Merlin la
sua parola.
Eppure eccolo lì, davanti all'incubo di Albion, impotente come
non lo era stato mai, incapace di pensare coerentemente, di sapere
che cosa diavolo fare. Aveva dato la sua parola! Trattenne il
respiro, aprendo e chiudendo la mano sinistra più volte.
"Devo
ammettere che all'inizio ho avuto qualche dubbio. Ma adesso me ne hai
appena dato la conferma. Oh, no, non sul fatto se mi avresti ucciso o
meno. Ero sicuro che non avresti avuto il coraggio di farlo. Ma non
ero altrettanto sicuro che tu mi amassi. Però adesso lo so".
Charles
aggrottò lievemente le sopracciglia, l'aria fragile e spaesata
di chi stava perdendo tutto senza sapere come fare per fermare il
processo.
"Tu
mi ami".
Chiuse
gli occhi. Bumbumbumbumbumbum.
"Questo
non ti fa girare dall'altra parte, altezza?
Vuol dire che questo
lo
vedi?"
Per
un attimo gli sembrò di galleggiare nell'aria, senza peso.
Quando arrivò l'impatto, però, si rese conto che Emrys
l'aveva scaraventato dall'altra parte del salotto, facendo finire
Excalibur chissà dove.
"Basta
giocare" esclamò il mago, improvvisamente gelido come la
pietra. Charles socchiuse le palpebre, riverso sul pavimento
dissestato ed umido, la vista sfocata dal dolore alla schiena;
intravide i piedi di Emrys che gli si facevano sempre più
vicini e, oltre le sue spalle, uno strano bagliore azzurrino. Il
camino,
pensò distrattamente in modo incoerente, quasi ridendo di se
stesso. Morirò
con il camino acceso ad agosto. Che
senso avrebbe avuto continuare a fingere, a combattere? Emrys aveva
ragione: non avrebbe mai potuto ucciderlo. Mai. Neanche se ne andava
delle sorti del fottuto mondo intero.
"Sei
l'unico ostacolo che mi separa dalla vita eterna" stava dicendo
il mago, con fermezza. "Capisci bene che non posso fare
altrimenti. Non c'è altra soluzione. Saresti stato l'unico che
avrebbe potuto fermare tutto questo. Ma una volta che non ci sarai
più, io avrò finito di preoccuparmi. Dì addio
alla tua seconda possibilità".
Charles
sentì una potente
forza invisibile, che stava chiaramente tentando di schiacciarlo,
costringerlo contro il muro; la pressione sui suoi muscoli e le sue
ossa aumentò vertiginosamente e lui digrignò i denti,
facendosi violenza per impedirsi di urlare. Se proprio doveva morire,
non gli avrebbe dato anche quella soddisfazione.
Emrys
si inginocchiò davanti a lui e gli accarezzò i capelli
sudati con la manina piccola e paffuta.
"Lasciati
andare" sussurrò con voce soffice, scollandoglieli dalla
fronte appiccicosa; "Ti prometto che non dovrai mai più
fare l'eroe. Questa sarà la tua ultima morte".
La
tensione sulle tempie era bestiale. Charles credette di non aver mai
provato un tale dolore intorno alla testa ed a stento percepì
qualcosa di viscoso colargli dal naso verso il mento; sentiva le vene
gonfie come palloni ed era certo che qualcosa, dentro di lui, fosse
sul punto di esplodere. Ti
prego,
pensò con angoscia, fa'
che finisca in fretta. Ti prego, Hester...
"Basta
così!" esclamò qualcuno, da qualche parte, nella
stanza - non avrebbe proprio saputo dire da dove. Poi il miracolo
avvenne e poté accogliere con gioia indescrivibile la
scomparsa della pressione che, in un secondo di troppo, l'avrebbe
definitivamente ucciso; il dolore tuttavia era comunque lì,
nelle carni, nei tendini, nelle ossa, talmente intenso da impedirgli
anche solo di immaginare un qualsiasi movimento. Tentò di
aprire gli occhi, ma le palpebre erano così pesanti e pulsanti
di dolore che fallì miseramente. Percepì un fruscio
vicino a sé e suppose che Emrys si fosse rialzato in piedi.
Dalla gola gli sfuggì un doloroso rantolo ed anche respirare
sembrava un'impresa titanica. Non poté fare a meno di
chiedersi perché non fosse già morto... cosa lo aveva
impedito?
"Tu?"
soffiò la voce di Emrys, un misto tra stupore ed furia.
Charles udì un rumore metallico e familiare; faticò
solo pochi istanti, prima di saperlo ricollegare: qualcuno aveva
sollevato Excalibur da terra.
"Sorpresa"
esclamò una voce maschile, terribilmente gracchiante,
accompagnata da rantolii di stanchezza.
"Come-?"
"Dovresti
controllare meglio i tuoi draghi".
"I
miei... cos-? A chi appartiene quella bestia?!"
"A
lei".
Un
altro rumoroso respiro, tremante ed affaticato. "L'allieva che
supera il maestro".
Seguì
una risata graffiante, di chi non ne aveva fatte per molto, molto
tempo.
"Non
osare!"
Che
cosa stava succedendo? Chi era? Con chi stava parlando? I battiti del
cuore di Charles ebbero un'impennata pazzesca ed anche se la
rinnovata velocità del sangue nelle vene acuì ancora di
più la sua sofferenza, gli diede la spinta necessaria che
servì a far schiudere i suoi occhi. Ciò che vide fu
nebbia, solo nebbia rossastra. Lacrime. Sangue. Sangue misto a
lacrime. Da dove veniva tutto quel sangue? Sbatté le ciglia e
sentì colare giù per il viso le lacrime accumulatesi
negli angoli degli occhi; subito dopo, però, la sua vista
divenne più nitida.
"...sottovalutato
i prodigi del (2)soffio del drago" stava dicendo il ragazzo. "Un
drago ha una sua coscienza, te ne eri dimenticato? Forse non siamo
così simili".
Emrys
non rispose e Charles non poté vedere la sua espressione,
perché il bambino gli dava le spalle, impegnato a guardare
qualcun altro; i suoi occhi si mossero con lentezza lungo il
pavimento del salotto, poiché ogni spostamento troppo brusco
faceva dondolare la stanza in maniera insopportabile. Cautamente, lo
sguardo gli si posò su un paio di scarpe scure, semi coperte
da classici jeans anonimi, che fasciavano delle gambe dalle ginocchia
ossute e tremolanti; in quell'insieme era inclusa anche Excalibur,
sulla quale quel qualcuno si stava chiaramente appoggiando, come non
riuscisse a stare in piedi da solo.
"Anche
io ho ancora una mia coscienza e di quella, lo sai, proprio non
avresti mai potuto appropriartene. Hai paura?"
Charles
sollevò gli occhi. Un volto spigoloso. Zazzera di capelli
neri. Enormi, buffe orecchie a sventola.
"No,
aspetta, possiamo-!"
"Io
non ne ho. Ma tu dovresti".
Ciglia
lunghe. Occhi blu.
Merlin.
"NO!"
urlò, con tutto il fiato che aveva in gola - la voce intrisa
di un dolore tremendo, frutto dello sforzo immane che aveva compiuto
per incamerare bruscamente aria in quel corpo martoriato da una morte
scampata per un soffio-, nell'esatto momento in cui Merlin brandì
Excalibur e tranciò di netto la radice che affondava nel suo
petto, unico maledetto vincolo che lo univa indissolubilmente alla
parte più oscura di sé. Emrys, le mani protese verso di
lui come lunghi artigli, si immobilizzò all'improvviso; la
radice ricadde pesantemente a terra come un corpo senza vita e così
fecero subito dopo le ginocchia di Merlin. Il clangore di Excalibur
che crollava sul pavimento, fu dolorosamente assordante.
Le
dita di Emrys cominciarono a scurirsi lentamente di un colore
fangoso, sporco, e subito dopo iniziarono ad assottigliarsi, come se
qualcosa stesse risucchiando del nutrimento direttamente dal suo
piccolo corpo; a poco a poco il processo si estese lungo le sue
braccia, il collo, il viso, il petto e le gambe, fino a quando di lui
non rimase che un mucchietto di pelle ed ossa completamente
avvizzito. La sagoma di Emrys crollò a terra, leggera come un
alito di vento, con gli occhi di un giallo opaco spalancati su un
mondo che non avrebbe potuto più vedere né dominare.
Emrys
era morto. Lo era chiaramente.
Emrys
era morto ed era successo così velocemente che, a pensarci,
tutto quello che aveva fatto pareva appartenere solamente ad una
semplice fiaba dell'orrore.
Ma
a Charles non importava.
Non
gli importava di lui, non gli importava di se stesso, non gli
importava del dolore atroce che stava provando nel trascinare
pesantemente il suo stupido, inutile corpo sul pavimento, non gli
importava dell'impressione che aveva di essere stato spaccato a metà,
non gli importava nemmeno del sangue che gli imbrattava la faccia,
fuoriuscito dal naso, dagli angoli degli occhi azzurri e dalle
orecchie.
Non
gli importava un maledetto niente, se non della soverchiante
necessità di raggiungere Merlin, che non l'aveva neanche
guardato!,
di scuoterlo, picchiarlo, insultarlo fino a perdere la voce, di
abbracciarlo, di stringerlo, di-
"Merlin"
lo chiamò debolmente, le parole pregne di un pianto che
premeva per uscire da ore.
"Merlin!"
ruggì.
Ma
Merlin, il corpo magro accasciato a terra in una brutta angolatura,
il viso rivolto verso l'alto, gli occhi dischiusi ed immobili, non si
mosse.
NOTE
DELL'AUTORE:
Eh. Che brutta persona che sono. Non solo salto l'abituale
aggiornamento del lunedì negandovi la gioia di un nuovo
capitolo ad inizio settimana, ma lo tronco anche in questa maniera
orribile e disumana.
Troppo
divertente!
(1) I dorocha, per chi non li ricordasse:
http://merlin.wikia.com/wiki/Dorocha
(2) Per chi invece non avesse fatto il collegamento mentale nel
modo corretto... il 'bagliore azzurrino' che vede Charles mentre è
a terra, non è il fuoco nel camino. È il soffio del
drago che Drem sta utilizzando per bruciare le radici che
imprigionano Merlin :)
Buone feste e buon anno nuovo, ci
vediamo lunedì :)
Asfo
|
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Capitolo 19 *** Merlin il Mago deve morire - II ***
DICIANNOVESIMO
CAPITOLO
19.
Merlin il Mago deve morire - parte II
Ascoltami
Glastonbury,
5 agosto 2020
Notte
fonda
Anche
se la tempesta si era improvvisamente acquietata ed una splendida
luna aveva fatto capolino da dietro le nuvole più scure che
avesse mai visto, non appena mise piede nel giardino della casa,
Alecto seppe che qualcosa non andava. Non avrebbe saputo dire se
fosse stato grazie al sesto senso femminile, alle strane vibrazioni
che avvertiva nell'aria od all'immobilità del mondo -
l'assenza di suoni era sconcertante.
Semplicemente...
anche se il bel tempo era tornato, non voleva dire che fosse tutto a
posto.
Indugiò
qualche istante sulla soglia del cancello, adocchiando la natura
morta che da sempre aveva caratterizzato il giardino.
"Drem...?"
provò a chiamare, ma debolmente: la faceva sentire a disagio
l'idea di spezzare in modo troppo brusco il silenzio. Con cautela
attraversò il vialetto coperto dalla sterpaglia e raggiunse la
porta d'ingresso già aperta; Alecto vi si fermò davanti
e piegò la schiena verso l'interno, sia per dare un'occhiata
in giro - la solita fatiscenza, il solito odore di muffa -, che per
captare in anticipo un qualsivoglia rumore. Dalla prima stanza sulla
destra, le sembrò di percepire qualcosa.
Nonostante
i nervi a fiori di pelle ed il pensiero dei tre enormi draghi
lasciati parcheggiati al lago di Avalon, grazie ai quali aveva tenuto
a bada i Fomorroh, Alecto entrò in casa con una certa
familiarità; il tempo che aveva trascorso lì dentro era
stato talmente lungo che non poteva pretendere di cancellarlo come
non fosse mai esistito. Che le piacesse oppure no, quella era stata
la sua casa ed il suo corpo l'aveva riconosciuta come tale.
I
suoi passi sul tappeto di foglie secche le resero impossibile
un'entrata in scena silenziosa, ma in qualche modo sapeva che nel
salotto non avrebbe trovato un Emrys in attesa e pronto a fulminarla
alla prima occhiata; d'altro canto, ciò che avrebbe potuto
trovarvi la impensieriva forse anche di più. Prima di compiere
l'ultimo passo che la separava dalla stanza, fece un respiro profondo
e poi avanzò; per un attimo, se ne stette sulla soglia a
sbattere le ciglia bionde stupidamente, non sapendo nemmeno lei che
cosa si fosse aspettata di vedere: la solita, familiare scena di
degrado ed abbandono la accolse come una vecchia amica. Uno
scalpiccio le fece abbassare lo sguardo e subito vide Drem
trotterellarle incontro, sbatacchiando le ali ed agitando la coda.
Solo in quel momento, si accorse di aver avuto un macigno al posto
dello stomaco, perché non appena lo vide e riuscì a
constatare che stava bene, si sentì inaspettatamente leggera
come una piuma.
"Ehi"
disse con tenerezza, inginocchiandosi per abbracciarlo. Ecco che cosa
voleva dire, essere in pena per qualcuno. "Dov'è Cha-"
fu lì per chiedere, ma quando sollevò gli occhi dal
drago per esaminare il resto della stanza, le parole le restarono
incastrate nella gola: lo vide dalla parte opposta, completamente
accasciato su un altro corpo. Ecco perché prima non lo aveva
notato.
"Charles..."
sussurrò, standosene lì in ginocchio, con una sorta di
timore ad accorciare le distanze: non riusciva a capire se le sue
spalle stessero tremando di rabbia o chissà cos'altro.
Nel
sentirsi chiamare, Charles emise un verso strano, a metà tra
un lamento ed un ringhio; sollevò il viso verso di lei ed
Alecto inspirò bruscamente dall'orrore: la sua faccia era una
maschera di sangue.
"Oh
mio Dio...!" mormorò, coprendosi la bocca con una mano.
Quella doveva essere stata opera di Emrys.
"Aiutalo"
esclamò lui, la voce vibrante di lacrime, disperazione e
rifiuto della realtà. "Ti prego, aiutalo".
Alecto,
gattonando, si avvicinò velocemente a loro, come attratta da
un incantesimo: dopo tutto, teneva a Charles. Se lui aveva bisogno di
lei, non avrebbe potuto fare altro che tutto il possibile, per
dimostrargli la sua amicizia. Tutto.
Guardò
per la prima volta il corpo semi protetto dalle sue braccia e
riconobbe praticamente subito in lui il ragazzo che aveva sempre
visto lì nel salotto, costretto contro la poltrona. Quello
che, in parole povere, aveva dato spesso per morto.
In
quel momento però, lo sembrava davvero.
Alecto
osservò il suo viso, mentre con lentezza terrificante iniziò
a comprendere la reale portata della situazione.
È
lui, il ragazzo di cui Charles è innamorato. È lui.
Alzò lo sguardo su quest'ultimo, che tremando in modo
impercettibile, scostava i capelli scuri dalla fronte di Merlin. E il
modo - il
modo
in cui lo toccò... sembrava avesse paura che potesse
disintegrarglisi tra le mani da un momento all'altro.
Oh,
Dio. Non
può finire
così.
"Drem"
chiamò subito lei, per farlo avvicinare, ma il drago era già
lì; allora guardò Charles: "Forse se proviamo con
il soffio del drago, riusciamo a recuperarlo" esclamò,
cercando di suonare ottimista. Ma lui scosse la testa, tornando ad
osservarla.
"No"
rispose duro, nel tentativo di soffocare tutto il mondo che ribolliva
al di sotto di quella effimera fermezza. "Ci ha già
provato" continuò, inghiottendo rumorosamente ciò
che invece avrebbe accolto a braccia aperte, per lasciarsi
schiacciare ed affondare. "Non ha funzionato".
Se
nemmeno il soffio del drago aveva funzionato, Alecto sapeva che non
ci sarebbe stato nulla che lei avrebbe potuto fare, in tal caso. I
suoi poteri non eguagliavano quelli dei draghi e mai l'avrebbero
fatto; la ragazza strinse le labbra con aria mortificata ed abbassò
gli occhi su Merlin, sporco in viso del sangue di Charles, che se
l'era stretto contro.
"Charles,
io... Io non so..."
"Vattene"
la interruppe lui, il corpo devastato forse quanto la mente; "Vattene
e porta la spada via con te".
Alecto
strinse i pugni sulle ginocchia e restò a fissarlo con
ostinazione. "Charles, tu non stai bene. Lascia che almeno con
te, Drem-"
"No!"
esclamò lui, stringendo tra le dita i capelli di Merlin con
rabbia. "Non ti azzardare ad alzare un solo dito su di me. Vuoi
aiutarmi? Allora fai sparire dalla mia vista quella fottuta spada e
lasciami solo. Anzi, sai cosa? Distruggila, se ci riesci. Non ne
voglio più sapere".
Alecto
sapeva che Charles non ce l'aveva direttamente con lei, ma non poté
fare a meno di sentirsi ferita da quell'allontanamento. Lui non aveva
alzato la voce, eppure in qualche modo così era anche peggio.
Si diede della stupida, comunque, perché razionalmente
comprendeva bene che lui aveva bisogno
di quel momento. Non solo non era nemmeno riuscito ad avere un attimo
per sé, quando era morta Hester, ma le perdite erano diventate
addirittura due
nel giro di pochissime ore: era semplicemente troppo da accettare, lo
sarebbe stato per chiunque.
Si
alzò in piedi ed andò a raccattare la spada con
l'angoscia nel cuore: odiava sentirsi così inutile ed odiava
ancora di più quel dolore che l'atteggiamento scostante di
Charles le aveva causato.
Ma
andava bene così.
Doveva
andarle bene così.
"Andiamo
Drem" mormorò, richiamando l'attenzione del drago; lui
guardò per un'ultima volta Charles co una sorta di indecisione
dipinta negli occhietti intelligenti, ma poi di trotterellò
via dietro i passi silenziosi di Alecto. Una volta uscita in
giardino, restò seduta sugli scalini sbeccati a sentire le
grida rabbiose del suo unico amico, con le labbra strette e la fronte
poggiata sulle ginocchia.
*
Glastonbury,
5 agosto 2020
Alba
Si
sentiva estremamente indolenzito. Le mani gli formicolavano ed appena
provava a muovere le gambe, un forte dolore muscolare gli faceva
strizzare gli occhi dalla sofferenza. Da quanto tempo si trovava in
quella posizione? Strinse la maglia di Merlin, tenendo l'orecchio
poggiato contro il suo petto freddo ed immobile.
La
stanza era inondata da una morbida luce dorata, che diede alla cose
una parvenza di sogno. Il dolore però, era troppo reale. Non
poteva essere un sogno.
"Ti
odio" mormorò per l'ennesima volta Charles, con la voce
resa rauca dagli insulti gridati durante la notte. Batté un
pugno sulla spalla di Merlin. "Mi hai sentito?" continuò
debolmente, "Ho detto che ti odio".
Una
leggera brezza entrò dai vetri rotti delle finestre e stuzzicò
con dolcezza le foglie secche che cospargevano il pavimento.
"Non
solo mi hai fatto tornare in vita. Hai pensato bene di sconvolgere di
nuovo quella che già avevo e mi hai fatto arrivare
fino a qui". Tirò su con il naso, completamente buttato a
peso morto su di lui. "Mi hai fatto arrivare fino a qui. E tu
che fai?" aggiunse, il viso privo di qualsiasi espressione. "Ti
uccidi. Davanti a me".
Passarono
dei lunghi, silenziosi istanti, durante i quali Charles restò
a fissare con sguardo vitreo i giochi di luce sulle foglie morte, ma
senza vederli davvero. Ad un certo punto poi, fece ruotare il collo e
puntellò il mento sul petto di Merlin, per guardarlo in viso;
allungò le mani indolenzite ed afferrò a coppa le sue
guance.
"Ti
uccidi davanti a me. E non mi guardi. Non mi guardi nemmeno una cazzo
di volta" ripeté, mentre le dita tremavano. "Ringrazia
che sei già morto, Merlin, hai capito?" scrollò la
sua testa con rabbia. "Ringrazia che sei già morto,
maledetto idiota!" terminò, ringhiando.
La
gola gli bruciava da impazzire. Pensò che se qualcuno vi
avesse sfregato contro dei fiammiferi, non avrebbe sentito niente.
La
sua faccia era un disastro, un miscuglio di sangue, sudore e lacrime;
fisicamente era devastato e mentalmente neanche a parlarne. Gridare
era servito a qualcosa?
Sì
pensò, gridare
è servito a mantenermi vivo.
Guardò
l'alba conquistare la stanza. Un nuovo giorno era dunque arrivato,
nonostante tutto. Il mondo, all'esterno, non aveva mai smesso di
girare... eppure lui si sentiva immobile, cristallizzato in un attimo
che risaliva ore addietro, a quando il corpo sotto di lui respirava
ancora.
Trovò
impossibile il fatto che il mondo non si fosse fermato davanti a
tutto quello.
Che
cosa avrebbe fatto?
Aveva
perso Hester.
Aveva
perso Merlin.
Aveva
perso la sua casa.
Gli
restava suo padre, ma era in America e gli sembrò che
appartenesse alla vita di qualcun altro, in quel momento.
Forse
aveva anche perso la voglia di pensare.
Provò
a tirarsi su ed ogni movimento gli causò una smorfia di
dolore; si chiese se i muscoli atrofizzati potessero causare
quell'esatto dolore e non si rese conto di quanto superflui ed
illogici fossero i suoi pensieri. Decise che avrebbe lasciato vagare
la mente, che l'avrebbe fatta andare dove voleva andare. Quando si
inginocchiò accanto al corpo inerme di Merlin, sentì
qualcosa premere per bucargli la coscia. Storse il naso, preda di una
confusione e pesantezza mentale del tutto giustificabili e con gesti
lenti infilò la mano nella tasca dei jeans; le dita ruvide si
chiusero attorno a qualcosa di piccolo, liscio e freddo. Quando
Charles estrasse la mano dalla tasca per vedere cosa fosse, si
ritrovò nel palmo della mano l'ampolla contenente l'acqua del
lago di Avalon.
"Ce
l'avevo addosso dopo aver recuperato Excalibur. Sai che cos'è?"
"È
l'acqua del lago. Va usata solo ed esclusivamente in caso di
necessità, Charles, poiché si dice che mostri quale sia
la cosa giusta da fare".
"In
che senso? Dovrei berla?"
"Non
ne ho idea".
Charles
fissò con occhi vacui ed assenti l'ampolla nella sua mano,
mentre la voce di Hester sfumava leggera tra i suoi ricordi e via
dalle sue orecchie.
La
cosa giusta da fare...
Lo
sguardo balzò su Merlin, poi di nuovo sull'ampolla e quindi
ancora su Merlin, più e più volte.
La
cosa giusta da fare...
Non
era forse quello, un caso di estrema necessità? Avrebbe potuto
esserci occasione più giusta? Strinse le dita attorno
all'ampolla ed il suo cuore ebbe un'impennata furiosa, ricordandogli
che lui era ancora lì ed era vivo.
La
cosa giusta da fare...
"Al
diavolo" esclamò, accompagnando le parole a movimenti
frenetici. Afferrò il tappo che chiudeva l'ampolla e lo fece
saltare via con decisione; subito dopo una brezza decisa s'insinuò
tra i suoi capelli incrostati di sangue e, sulle sue fresche curve
invisibili, portò con sé sospiri fuggevoli come rivoli
di fumo.
Merlin
il Mago...
Merlin
il Mago è morto...
È
morto...
Merlin
il Mago...
Il
Mago è morto...
Avrebbe
riconosciuto quelle voci ovunque: erano le Disir.
Charles
fissò il volto di Merlin, completamente assorto nei suoi
pensieri. L'aspettativa gli stava stringendo la gola in una morsa
ferrea.
"Merlin
il Mago..." sussurrò con voce roca, mentre gli occhi
azzurri saettavano da una parte all'altra di quel volto spigoloso e
pallido, alla ricerca della risposta all'enigma. "Merlin il Mago
è morto... Merlin... Il Mago... Il Mago... Il Mago. Il Mago?"
Strinse
i denti con forza eccessiva e subito dopo inumidì le labbra
secche, sentendo sulla lingua il sapore del sangue. Le Disir si erano
rivolte a lui sempre
e solo
in quel modo: Merlin il
Mago.
Era un azzardo, forse anche la pazzia di un un disperato visionario,
ma... a chi diavolo importava? Valeva la pena tentare. Doveva
tentare!
Ebbe
bisogno di afferrare l'ampolla con entrambe le mani, tanto quelle
stavano tremando; se l'avvicinò con attenzione alle labbra e
subito dopo bevve, stando attento a non sprecare nemmeno una goccia;
si riempì la bocca con l'acqua del lago di Avalon, ma non
inghiottì. Gettò l'ampolla vuota per terra e con una
naturalezza sconcertante, si chinò sul viso di Merlin. Charles
mise un braccio a lato della sua testa e con l'altra mano gli afferrò
il mento, in modo tale che schiudesse le labbra; non c'era niente di
romantico in quel che stava accadendo, ma solo la forte necessità
di un miracolo.
Quando
riuscì nell'intento, allora annullò completamente la
distanza tra di loro.
Lasciò
colare l'acqua direttamente dalla sua bocca in quella di Merlin,
lentamente; tenne la sua testa leggermente sollevata da terra e
massaggiò la gola con il pollice, per costringerlo ad
inghiottire. Se era vero che lui era sempre stato l'unico in grado di
fermarlo e salvarlo, allora... doveva essere lui
personalmente
in tutto e per tutto.
Il
male ch'è nel cuore...
Il
male ch'è nella mente...
Non
c'è morte...
Non
c'è vita...
Tutto
si trasforma...
Il
Mago è cessato...
Il
Male è cessato...
La
scissione è cessata...
Emrys.
Emrys e Merlin erano stati davvero la stessa persona, allora.
Charles
si scostò appena, socchiudendo gli occhi sul viso pallido
dell'altro. Notò che l'acqua del lago aveva creato un leggero
bagliore dorato, sulla sua pelle fredda.
Posò
un bacio sulla sua bocca.
"Emrys
era la parte più oscura di te" sussurrò,
pronunciando le parole direttamente su quelle labbra dolorosamente
morbide, fredde ed esangui. "Ma adesso che non c'è più,
non hai alcun motivo per restare morto. Torna da me, Merlin".
Allungò il collo, baciò le sue palpebre e la sua
fronte. "Ti
prego,
torna da me".
In
un momento imprecisato, posto tra quella supplica mormorata e
l'avanzare del giorno, il sole crebbe e mangiò centimetri di
pavimento. Ad un certo punto Charles ne sentì il calore
avvolgergli la schiena e lo vide carezzare silenziosamente il volto
di Merlin. Si chiese se il suo calore sarebbe riuscito a scaldare
quella pelle fredda e pallida come lui non era stato in grado di
fare.
Toccò
la guancia di Merlin, guidato da quello stesso pensiero.
La
pelle era piacevolmente calda.
Il
sole aveva spazzato via il pallore.
Poi,
i suoi occhi si aprirono.
NOTE
DELL'AUTORE: Oh my God! Dai, andiamo, non dite che non ve lo
aspettavate. Lo so che sono smielata e scontata come una bamboccia,
ma non ci posso fare niente, è più forte di me. Ci sono
voluti diciannove capitoli, ragazzi. Diciannove capitoli affinché
questi disgraziati si ritrovassero ed il male venisse sconfitto. Sono
un'infinità di capitoli, come avrei potuto in tutta onestà
uccidere il povero Merlo? Ma dai. Mica mi chiamo Giorgio Martino, no?
E poi non hanno sofferto solo solo. Avete sofferto anche voi, avete
atteso, avete avuto pazienza, avete sperato, avete avuto fiducia in
me ed in loro... non potevo non ricompensarvi. Che dire? Ci vediamo
con il prossimo ed ultimo capitolo :) ce la farete a pazientare
un'altra, ultima settimana? Spero di sì... stay tuned!
Asfo
p.s.
Sto giro vi ho messo anche la track con la quale accompagnare la
lettura del capitolo! Non sono magnanima e generosa? u_u
p.p.s.
Per chi non avesse capito cosa è successo nell'effettivo ed il
perché le Disir abbiano insistito tanto a chiamare Merlin
sempre con l'appellativo di 'Il Mago'... me lo faccia sapere!
Spiegherò tutto a tutti :D
|
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Capitolo 20 *** L'era mortale ***
VENTESIMO
CAPITOLO
20.
L'era mortale
circa un anno dopo...
Londra,
Gunnersbury, 10 settembre 2021
Tarda
mattina
"...
e ora passiamo alla politica. Questa mattina, il Presidente
dell'associazione Carrow's Legacy, Alecto Jones, ha partecipato ad
una conferenza stampa nella quale ha dichiarato che i lavori di
ristrutturazione per la rinascita del territorio e le leggi volte
all'introduzione di norme che tutelino i soggetti iperumani procedono
con regolarità ed ha anticipato che il completamento degli
interventi in Winchester dovrebbe raggiungere il termine per la fine
del mese di novembre. Ecco un estratto dell'intervista-"
Charles
afferrò il telecomando ed alzò il volume nell'esatto
momento in cui lo schermo del televisore gli propinò
l'immagine di un'Alecto fasciata da un sobrio abito azzurro, con i
capelli biondi severamente legati in uno chignon.
"Grazie
per essere qui presenti. Durante i mesi che sono trascorsi dalla fine
dell'attacco, la Carrow's Legacy è giunta a vantare un numero
di iscritti pari a millecinquecentosessanta. Gli effetti positivi
della nascita di questa associazione, è evidente, hanno avuto
ripercussioni sia sulla comunità dei soggetti iperumani - che
nella CL hanno potuto trovare uno sportello informativo, un aiuto ed
un porto di accoglienza -, sia sulla situazione precaria in cui
l'Inghilterra era crollata a causa delle devastazioni. Il numero
sempre maggiore di iperumani che si iscrivono al registro
dell'associazione ed a quello ministeriale, ci ha permesso di
organizzare squadre di volontari che, in tal senso, hanno potuto
affiancare già l'ottimo lavoro svolto dalle autorità
locali e nazionali, rafforzando gli interventi e velocizzando i
lavori grazie alla magia".
Charles
si mise seduto e lanciò il cuscino del divano accanto a sé,
continuando a guardare il televisore.
"Il
processo riguardante la creazione di leggi volte alla tutela dei
soggetti umani ed iperumani che ci possano far auspicare ad una
convivenza sociale sana ed educativa è, per ovvie ragioni,
lungo e complicato, ma le persone incaricate del progetto sono
competenti e motivate a raggiungere un risultato entro i primi mesi
del prossimo anno".
"A
tal proposito" intervenne un giornalista, "Cosa ci
può dire delle ultime statistiche mostranti un'opinione comune
contraria e razzista nei riguardi della classe iperumana?"
Alecto
sorrise. "Grazie
per la domanda e, mi perdoni per questo, credo la sfrutterò
anche per fare nuovamente un annuncio. Generalmente, per natura, le
persone tendono ad avere paura di ciò che non conoscono ed io
non posso biasimare né pretendere di cambiare un atteggiamento
che è insito nell'essere umano. Proprio per questo, invito
tutti coloro che hanno domande, dubbi e sì, anche paure, a
rivolgersi ad uno degli sportelli CL che tutt'ora stanno aprendo i
battenti in vari punti di Inghilterra. La sede centrale è a
Londra, come tutti ben sapete, ma ogni dislocamento sarà
altrettanto preparato ed attento ad ogni vostra perplessità.
Parlo con tutti voi che state ascoltando in questo momento, umani ed
iperumani: venite
da noi.
Cercateci, fateci delle domande,
osservateci.
Ma sopratutto: conosceteci.
La
parola iper,
senza
umano,
non
vuol dire niente. La paura non ha ragione di esistere. Convivenza
e collaborazione
sono le parole chiave che da oggi in poi spero potranno governare le
vite di tutti noi. La Carrow's Legacy è completamente aperta a
qualsiasi tipo di dialogo, purché costruttivo". Alecto
fece una pausa, trattenne il respiro e, per la prima volta, guardò
dritto in telecamera, come se quello le costasse tutto il coraggio di
cui era capace. "Non
siamo una minaccia. Non siamo contro di voi. Siamo con
voi".
Charles
estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans, aprì la rubrica e
la fece scorrere sino a che non trovò quello che evidentemente
stava cercando. Pigiò sullo schermo ed avvicinò il
cellulare all'orecchio. Arrivò ad udire sino a quattro
squilli, prima di ricevere una risposta.
"Pronto?"
"Ehilà,
bionda" esclamò allora, mentre un sorriso gli tendeva le
labbra. "Carino il vestito azzurro. Certo che un sorriso avrebbe
migliorato l'immagine generale..."
"Lascia
perdere"
disse a quel punto Alecto, con un tono teso. "Si
è visto che stavo lì lì per vomitare? Queste
cose mi mettono sempre un'ansia tremenda".
"Ma
non mi dire" ribatté sarcasticamente lui. "Hai
guardato ovunque tranne che in telecamera. Cioè, alla fine
l'hai fatto, ma sembrava che qualcuno ti stesse puntando una pistola
addosso".
"Tanto
lo sento, che lo trovi divertente".
Charles
ridacchiò, senza neanche provare a dire il contrario.
"Mi
hai chiamata soltanto per sfottermi o per dirmi che il pranzo salta
perché hai bruciato tutto?"
"Solo
per punzecchiarti un po'. Perché, nel caso in cui io ti
conoscessi bene, saprei che te la staresti ancora facendo addosso,
nonostante l'intervista tu l'abbia fatta più di due ore fa.
Fortuna vuole che io non ti conosca affatto".
"Carini
i tuoi metodi per tranquillizzare la gente. Perché tradotto, è
questo che volevi dire".
"Bé,
con te hanno sempre funzionato. E per la cronaca, il pranzo non
salterà, perché nessuno ha bruciato niente. Se te lo
stai chiedendo, non ho cucinato io. Ti aspettiamo per l'una, vedi di
essere puntuale altrimenti inizio a mangiare senza di te".
"Merlin
non te lo permetterebbe mai!"
"È
in giardino a trafficare con non so che cosa, non se ne accorgerebbe
nemmeno".
"Allora
adesso attacco, lo chiamo e faccio la spia!"
Charles
guardò fisso nel vuoto.
"Sei
una piccola stronzetta manipolatrice".
Alecto
rise di gusto.
"È
vero. Ci vediamo dopo!"
"A
dopo e ricordati il vino. Abbiamo fatto la spesa, ma ce lo siamo
dimenticato".
"Sarà
fatto!"
Quando
Charles uscì in giardino e chiuse dietro di sé la porta
di casa, fu costretto a coprirsi gli occhi con una mano a causa del
sole abbagliante. Sbatté le palpebre più volte,
aspettando che i suoi occhi si abituassero a tutta quella quantità
di luce improvvisa; come al solito, oltre la cancellata che
delimitava la sua proprietà, allo sguardo gli si presentò
l'oramai familiare spettacolo di tutto il suo vicinato che,
affiancato da quelli definiti ufficialmente da tutti iperumani,
si prodigava a ristrutturare le ultime abitazioni. Di lavori da fare
ne erano rimasti pochi, la magia aveva davvero enormemente
velocizzato la ricrescita e Charles quasi non ricordava più
come erano le case che prima avevano preceduto le nuove costruzioni.
Ognuno ne aveva approfittato per apportare migliorie a proprio
piacimento e lo Stato aveva chiuso un occhio su questo, per aiutare
il popolo inglese ad affrontare meglio il trauma che aveva subito.
I
suoi occhi azzurri scivolarono due case più in là, dove
la famiglia Clapton si era chiusa in una bolla di ribellione ed aveva
rifiutato qualsiasi intervento che avesse potuto avere a che fare con
la magia: a causa dell'Estate di Fuoco - così i giornalisti si
riferivano al periodo degli attacchi -, i Clapton avevano perso la
loro bambina; Charles cercò di ricordare il viso di Faith
Clapton, che dall'alto dei suoi sette anni, all'inizio dell'anno
precedente, gli aveva lasciato nella cassetta della posta una lettera
d'amore piena di glitter e di cuoricini.
Stirò
le labbra in un sorriso amaro, sentendo il sapore della tristezza
sulla lingua come la stesse masticando da sempre. Si chiese quante
Famiglie
Clapton ci
fossero in giro per l'Inghilterra in quel momento: gente che aveva
perso tutto, che non avrebbe mai accettato la magia o che addirittura
avrebbe aizzato le folle contro gli iperumani per le più
disparate e disperate ragioni.
Era
certo però di non voler conoscere la risposta.
Scese
i tre gradini che si trovavano davanti la porta e percorse il
vialetto circumnavigante la casa, dirigendosi verso il retro;
nell'accorciare le distanze, iniziò a distinguere il rumore di
quelle che sembravano forbici. Charles infilò le mani nei
jeans chiari che indossava e svoltò l'angolo in tutta calma,
sostando con i piedi al limitare del prato; all'angolo più
estremo del giardino, vicino il muro di pietra, Merlin stava
trafficando con quelle che effettivamente erano cesoie; un sorriso
gli nacque spontaneamente sul volto e dimentico del motivo per il
quale era uscito di casa, si perse ad osservare con aria assorta i
capelli scuri di Merlin baciati dal sole di fine estate, spettinati
come sempre ed incapaci di nascondere le ridicole orecchie.
Dandogli
la schiena, il moro non si accorse di essere osservato e passò
il dorso della mano sulla fronte, asciugando il sudore. Anche la
maglietta azzurra che indossava era umida, tant'è che in certi
punti gli aderiva addosso quasi come una seconda pelle.
A
Charles sarebbe bastato chiudere gli occhi, per sapere cosa ci fosse
esattamente sotto quella maglietta. Aveva toccato e baciato ogni
centimetro di quel corpo così tante volte che avrebbe potuto
andare anche solo ad istinto, per sapere dove mettere la bocca.
Il
sapore della tristezza per Faith, sulla lingua, fu sostituito da
quello della pelle di Merlin.
Guardandolo
pensò a come, in certi momenti, il sentimento di possessione
era così sconvolgente da lasciarlo stordito. Aveva lottato
così tanto per averlo lì con lui, in quella casa, in
quel giardino, in quell'attimo d'estate assolata che faceva sembrare
i suoi capelli di una tonalità scura molto più calda...
Non
poteva farci niente. Sapeva che Merlin non era un oggetto, sapeva che
odiava essere considerato come tale, ma, davvero... non poteva farci
niente.
Per
Charles, Merlin era semplicemente suo.
Se
l'era conquistato sputando sudore e sangue, lacrime e dolore. Non
l'avrebbe lasciato andare da nessuna parte. Era suo, lo era sempre
stato, sin dai tempi di Camelot.
Attratto
da lui come una falena è attratta dalla luce, Charles calpestò
l'erba per raggiungerlo; quando fu a poco meno di cinque metri,
l'altro sentì i suoi passi e si voltò verso di lui. Le
sue pupille erano così piccole che parevano essere state
inghiottite da un mare di blu.
"Ehi"
esclamò Merlin con tranquillità, tornando poi a
trafficare con le cesoie. Charles inspirò con lentezza e
guardò il piccolo albero messo all'angolo.
"Sta
crescendo bene" commentò, osservando il perfetto lavoro
di potatura portato avanti dal moro, che annuì.
"Una
serie di fortunati eventi" disse quello, lasciando cadere le
forbici sull'erba e chinandosi a prendere del mastice. "A
partire da una discreta presenza di calcare nel terreno, cosa davvero
molto rara da queste parti. Gli ulivi non crescono bene lontano dalla
costa, perciò era fondamentale che in giardino ce ne fosse in
buona quantità".
Charles
lo osservò applicare il mastice in punti strategici del tronco
e dei rami.
"Questo
te l'hanno insegnato al vivaio?" domandò, incrociando le
braccia. Senza guardarlo, Merlin annuì di nuovo.
"Anche
se Gaius mi ha insegnato molte cose sulle piante, diciamo che alberi
come l'ulivo non rientrano tra le mie specialità".
Charles
abbozzò un sorriso, anche se l'altro non lo stava guardando.
“Ho sentito Alecto al telefono. Le ho ricordato di prendere il
vino”.
“Ah,
bravo, me l'ero già dimenticato. Comunque, per restare in
tema, sua madre ieri mi ha mandato di nuovo un messaggio. Prima o poi
Alecto dovrà decidersi a parlarle”.
Lui
si strinse nelle spalle. “Non lo so. Non so cosa avrei fatto
io, nei suoi panni. Ma finché resterà intenzionata a
non vederla né sentirla, è ovvio che sua madre
continuerà a cercare noi per tentare di avere contatti con la
figlia. Siamo le persone a lei più vicine”.
“Mh”
mugugnò il moro, “È molto cambiata in questi
mesi. È maturata. Io credo che ora riuscirebbe a gestire bene
i rapporti con la sua famiglia. Un po' meno, forse, quelli con i suoi
sensi di colpa... ma sono l'ultima persona sulla faccia della terra
che può fare una considerazione del genere”.
Charles
lo guardò attentamente, ma non disse niente. Era un qualcosa
su cui, lo sapeva, non avrebbero mai smesso di lavorare. Ma lui era
pronto a farlo.
Decise
comunque di cambiare discorso e schioccando la lingua sul palato,
annunciò: “Ho deciso che quando finirò gli studi
di economia, apriremo un vivaio”.
Merlin
si mise a ridere e gli lanciò uno sguardo divertito. “Quello
è il mio obiettivo, non il tuo” commentò con un
sorrisetto da schiaffi.
“Tu
devi guardare il quadro nell'insieme” rispose allora il biondo,
allargando le braccia. “Il mio destino è diventare un
imprenditore come mio padre. Se non lo facessi gli prenderebbe un
colpo secco, lo conosci. Ma deciderò io, in cosa investire i
miei soldi. Se ci tiene, mi occuperò delle sue attività
come extra, ma nel mio progetto ideale ci sarà anche un
vivaio. L'ho sognato stanotte. Quindi sbrigati a finire questo
benedetto stage”.
“Ah,
ecco perché ti agitavi tanto e borbottavi cose senza senso”
esclamò l'altro, con un tono da presa in giro. “Non lo
devi fare per me, comunque” aggiunse poi, quietamente. “Non
voglio che rinunci a fare ciò che vuoi davvero. Lo troverò
da solo, un modo per arrivare dove intendo arrivare. Ma qualsiasi
cosa sceglierai di fare tu, io ci sarò. Non vado da
nessuna parte. Lo sai...?” tentennò sulle ultime parole,
indeciso se renderle un'affermazione oppure una domanda.
Si
guardarono nello stesso momento, facendo scorrere gli occhi l'uno sul
viso dell'altro, imprimendo ogni singolo dettaglio.
Lo
so? Pensò Charles, la fronte contratta in un'emozione di
paura che non sarebbe mai andata via del tutto. Gli occhi
completamente blu di Merlin, però, gli dissero certo che lo
sai. E allora capì che era giunto il momento di
sdrammatizzare.
“Smettila
di sentirti al centro del mio universo, idiota egocentrico. Voglio
aprire un vivaio per avere una piantagione di ulivi tutta mia, non lo
faccio mica per te” e così il moro rise.
Trascorsero
cinque silenziosi minuti, durante i quali Merlin terminò di
tamponare le dispersioni di liquidi e poi, con un sacco ed una
paletta, iniziò a lasciar cadere della polvere di azomite
intorno al terriccio del tronco.
"Perché
non prendi quello e ne spruzzi un po' sulle foglie?" disse ad un
certo punto, indicando un prodotto che era poggiato a terra poco
distante, vicino il muro di pietra. Charles seguì la direzione
del suo dito e si mosse, raccogliendo quello che era ossicloruro di
rame.
"A
che cosa serve?" domandò, togliendo il tappo per iniziare
a spruzzarlo sulle foglie con cautela. Merlin ripose la paletta nel
sacco e si alzò, spazzolando le mani sui jeans.
"Gli
ulivi soffrono molto il freddo. Quello serve a rinforzarne le foglie.
Non siamo in un paese mediterraneo, sai. Dobbiamo aiutarlo".
Charles
emise uno sbuffo. "Ma va? Non me ne ero accorto".
Merlin
arricciò le labbra in un sorrisetto da figlio di buona donna e
poi si strinse nelle spalle, quasi scusandosi: era un perenne
ossimoro vivente e Charles non avrebbe mai finito di stupirsene.
"Non
potrà mai sostituire l'ulivo di tua madre(1), ma sai... volevo
solo..."
Lo
guardò per un brevissimo secondo, prima di riportare gli occhi
verso il basso. Infilò le mani nelle tasche posteriori dei
jeans e voltò la testa dall'altra parte, come cercando un
pretesto per cambiare argomento.
Charles
lo guardò con una certa intensità. Mise il tappo
all'ossicloruro di rame ed allungò una mano, toccando la
fronte sudata di Merlin; l'altro sobbalzò impercettibilmente,
preso in contro piede da quel contatto, ma lasciò che Charles
gli spostasse la frangia umida dalla fronte con una delicatezza che
lo fece sentire vulnerabile, sebbene non lo fosse per niente.
"Andrà
benissimo, Merlin" mormorò molto chiaramente, lasciando
scivolare la mano dietro la sua testa, finché le dita non si
ancorarono sulla pelle umida del collo, resa bollente dal sole.
"Questa era una cosa che le piaceva fare. Ed il fatto che la
faccia anche tu, è come se la riportasse un po' in vita ogni
volta. Quindi, credimi. Va davvero bene".
Merlin
si arrischiò ad alzare gli occhi per guardarlo in viso e
quando Charles incontrò il suo sguardo, si sporse in avanti
per baciarlo, come avesse atteso solo quel pretesto per farlo.
Premette ancora di più le dita sul suo collo per avvicinarlo a
sé e con una familiarità che faceva dolere il cuore,
poggiò la bocca sulla sua. Merlin tolse le mani dalle tasche e
le fece aderire ai lati del collo di Charles, muovendo con deliziosa
pigrizia le labbra contro quelle dell'altro. Ogni volta che accadeva,
ogni volta che si baciavano, era come se il tempo fosse un concetto
astratto: non erano più Merlin e Charles o Merlin ed Arthur,
erano semplicemente due ragazzi che si amavano e che avevano bisogno
soltanto di quello.
Charles
sapeva di latte e caffè e delle fette biscottate alla
marmellata che mangiava ogni mattina. La sua pelle sapeva di sole, i
suoi capelli di grano e la sua presenza di miraggio.
C'erano
notti in cui Merlin ancora si svegliava sudato fradicio ed in preda
al panico, con il terrore di aver sognato tutto, di essere ancora un
vecchio scorbutico abbandonato a se stesso; così si toccava la
faccia e scopriva che non c'era la barba. Si voltava alla sua destra
e scopriva che accanto a lui, così vicino!,
c'era un corpo caldo assopito tra le sue stesse lenzuola.
Eppure
non bastava, non bastava mai.
A
quel punto Merlin svegliava sempre Charles, lo toccava, lo baciava
sugli occhi e sulla bocca e poi se ne stava in silenzio ad
osservarlo, come temendo che se si fosse addormentato, non l'avrebbe
visto più.
Allora
Charles si girava e lo stringeva a sé, imponendogli la sua
presenza almeno fino a quando la tensione non abbandonava un po' le
spalle contratte di Merlin e poi si alzava per andare a preparargli
una di quelle tisane che gli piacevano tanto.
Era
così che il biondo aveva iniziato a guarirlo da quelle
tremendi nottate - nottate che, durante il passare del tempo, avevano
iniziato a verificarsi con sempre meno frequenza. In realtà
non era soltanto la paura di risvegliarsi nell'incubo in cui l'altra
metà di sé l'aveva tenuto prigioniero per settimane, ad
agitarlo: i sensi di colpa, quegli stessi sensi di colpa di cui aveva
parlato ad Arthur nella radura assolata del suo inconscio, si erano
fatti strada dentro di lui con la devastante forza di un uragano.
C'erano volte in cui Merlin si ritrovava a boccheggiare, schiacciato
dal peso di tutte le persone che erano morte solo perché lui
era stato un debole
vecchio incapace
di controllare la sua magia, incapace di impedire che prendesse il
sopravvento su di lui.
D'altra
parte, c'erano volte in cui Charles smetteva di respirare senza
neanche rendersene conto: il terrore che Merlin potesse decidere di
fare una sciocchezza quando lui non fosse stato presente, lo
accompagnava ad ogni ora del giorno e della notte. I primi tempi,
Charles non l'aveva perso di vista un secondo; addirittura, quando
Merlin aveva avuto bisogno del bagno, lui si era seduto a terra con
la schiena appoggiata contro la porta, attendendo che uscisse e
guardando l'orologio per tenere il conto del tempo che ci impiegava,
pronto a fare irruzione se fosse stato necessario.
Due
diversi tipi di paure avevano governato le loro vite per un po' fino
a quando, insieme, non avevano trovato una sorta di equilibrio. Per
Charles certe volte era ancora difficile lasciare Merlin da solo,
perché sapeva che non era guarito del tutto e probabilmente
non lo sarebbe stato mai. Eppure, ogni volta che l'altro si sentiva
schiacciare dal dolore e dai rimorsi, ogni volta che gli mancava il
respiro o si ritrovava a fissare la parete vuota un minuto di troppo,
non aveva mai esitato ad alzarsi per andare a cercare Charles, per
far sì che lui lo potesse salvare da se stesso.
Nella
radura, poco prima del loro primo incontro, aveva confessato ad
Arthur che non credeva sarebbe riuscito a convivere con il peso di
tutte le sue colpe, nel remoto caso in cui Emrys fosse stato
sconfitto. Ma a quel tempo, Merlin non aveva ancora fatto i conti con
la potenza sconcertante dei sentimenti di Charles e dei suoi.
Ce
la stava mettendo davvero tutta. Voleva imparare a convivere con
quello che aveva fatto, voleva prendersi le sue responsabilità,
voleva accettare la sofferenza che un po' lo mordeva ogni giorno, ma
ora voleva farlo accanto a Charles. Non aveva intenzione di cedere il
passo alla tristezza ed all'apatia; egoisticamente, anelava ancora a
vivere una vita con la persona che aveva atteso per più di
mille anni e non c'era niente,
niente che
gli avrebbe impedito di prendersi quello che forse non si meritava.
Charles
lo rendeva egoista,
ma a lui non importava. Una volta Alecto gli aveva detto che non si
trattava di egoismo, ma di amore.
Il
risultato, per lui, non cambiava. Fin quando Charles sarebbe stato lì
a sollevarlo ogniqualvolta la disperazione l'avesse spinto giù,
sarebbe andato tutto bene.
Durante
una delle sue prime crisi, accaduta nel bel mezzo della notte,
Charles l'aveva abbracciato e gli aveva sussurrato tra i capelli
sudati che lui era lì, che era reale
e che si sarebbe preso cura di lui. Merlin aveva pensato che non ci
sarebbe stato un modo o posto migliore per morire, se proprio doveva
succedere, e dopo aver incastrato la testa sotto il mento di Charles,
aveva sussurrato direttamente sulla pelle calda del suo collo: non
ti ho guardato il giorno in cui sei venuto da me, perché avevo
paura che poi non sarei riuscito a farlo. Se ti avessi guardato, se
ti avessi guardato... non sarei riuscito ad usare Excalibur, ma era
necessario che lo facessi. Capisci che effetto mi fai? Non essere
arrabbiato con me. Mi basta guardarti per non essere più
sicuro di niente.
Charles
aveva smesso di accarezzargli i capelli. Poi, nel buio, la sua bocca
era finita su quella dell'altro con rabbia, il ricordo di ciò
che aveva provato stampato a fuoco contro le palpebre chiuse: "Ti
uccidi davanti a me. E non mi guardi. Non mi guardi nemmeno una cazzo
di volta".
Il
calore cocente che tra di loro era aumentato come una bolla fatta di
tremiti, li aveva portati a fare l'amore per la prima volta.
Affondare in Merlin era stato come prendere un enorme ed appagante
respiro dopo un'apnea durata un millennio, come non avessero
aspettato altro dai tempi di Camelot.
Merlin
aveva realizzato, invece, che il prezzo pagato per le sue azioni non
gli era mai parso così giusto.
Cosa
avrebbe mai potuto farsene della magia, senza avere quello?
La bocca calda di Charles sul collo, la libertà di potergli
passare le dita lungo la spina dorsale, il suo bacino incastrato
perfettamente tra le cosce tese.
Chi
aveva bisogno della magia, quando aveva lui? La prospettiva di vivere
una vita normale e di invecchiare come una persona qualunque, l'aveva
riempito di gioia nello stesso istante in cui Charles l'aveva
riempito di sé.
Merlin
il Mortale. Suonava così maledettamente bene, come il gemito
lieve e sottile che gli aveva riempito le orecchie alla fine e
l'inizio di tutto, quando la bolla fatta di tremiti era esplosa in
mille gocce colorate. Merlin
il Mortale,
che sarebbe vissuto ed invecchiato insieme all'unica persona con la
quale sarebbe voluto morire.
Che
tale perfezione.
Quando
Charles abbandonò le sue labbra, Merlin tornò nel
giardino dietro casa loro, casa che Alecto stessa aveva aiutato a
ricostruire. Sbatté le palpebre un paio di volte e sorrise.
"I
tuoi tratti sono molto simili a quelli che avevi quando eri Arthur.
Eppure... c'è qualcosa di diverso. D'altronde, non so perché
mi aspettassi che ti avrei ritrovato perfettamente uguale a come eri
a Camelot". L'altro arcuò le sopracciglia con espressione
beffarda.
"C'è
di diverso che adesso sono meglio, perché mi sono
modernizzato. Evviva il duemilaventuno".
Merlin
roteò gli occhi verso il cielo e scosse la testa con
rassegnazione. "Questo invece non è cambiato per niente"
commentò, iniziando a raccogliere tutti i sacchi che aveva
utilizzato per riporli nell'armadio da giardino. Charles corrugò
la fronte.
"Cosa
non è cambiato?"
"Te
che fai l'asino".
L'asino
in questione lo guardò riporre i sacchi con una faccia
oltraggiata e dato che Merlin gli dava le spalle, si perse il
sorrisetto sghembo che piegava le sue labbra.
"Come
puoi dirmi una cosa del genere? Il fatto che abbiamo deciso di non
installare una gogna in giardino per non spaventare i vicini, non
dovrebbe farti sentire sicuro abbastanza da ferire i miei
sentimenti".
Merlin
rise. "Sono sicuro che troverai un altro modo per vendicarti. Ma
sappi che anche io so essere molto creativo".
Charles
fece una smorfia. "Sì, lo so. Se iniziassi questa
battaglia non la finiremmo più per il resto dei nostri
giorni".
L'altro
si voltò per guardarlo. "Sento puzza di qualcuno che ha
paura di perdere la guerra".
"Stai
attento a quello che dici, Merlin.
Ho una miriade di videogiochi terminati alle spalle, che hanno
contribuito a rendere molto creativo me.
Potrei sorprenderti".
"Mmh"
mugugnò di rimando il moro, "Questa cosa mi intriga"
commentò, facendo scattare le cesoie, prima di metterle
nell'armadio di alluminio insieme al resto.
Charles
arricciò le labbra, tentando di non cedere alla voglia di
sorridere. "A proposito di roba intrigante, c'è una cosa
che volevo chiederti da un pezzo, ma poi finisco sempre con il
dimenticarmene".
"Sarebbe?"
chiese Merlin, chiudendo le ante con una chiave.
"Da
come mi era stata raccontata la situazione da Hester, avevo capito
che soltanto io avrei potuto usare Excalibur su di te..." il suo
tono si fece via via più cauto; non era un argomento tabù,
tutti e due avevano deciso di comune accordo che parlarne spesso e
liberamente li avrebbe aiutati entrambi a superare il trauma più
velocemente, eppure non potevano fare a meno di approcciarsi alla
questione con una sorta di cautela. "...Invece sei stato tu a
farlo al posto mio. Com'è possibile?"
Merlin
sospirò, mise la chiave in tasca e si girò nuovamente
verso di lui. Socchiuse gli occhi a causa del sole.
"Devi
sapere che quando degli esseri magici potenti ti parlano, fanno molta
attenzione alle parole che decidono di utilizzare".
Charles
annuì, ricordando il modo in cui le Disir avevano insistito a
sottolineare Merlin Il
Mago,
intendendo che la sua parte magica sarebbe dovuta morire per lasciar
vivere semplicemente il suo lato mortale.
Certo
che se avessero parlato chiaro sin dall'inizio...
pensò, con un lampo di fastidio che gli fece stringere le
labbra insieme.
"Quindi,
le occasioni in cui ad entrambi è stato detto e ripetuto che
siamo due facce della stessa medaglia... non sono casuali. Tra me e
te... c'è una sorta di connessione che neppure io sono mai
riuscito a spiegare. In verità, quando ho deciso di fare
quello che ho fatto... non ero sicuro che avrebbe funzionato. Ho
solo deciso di seguire il mio istinto ed anche un po' di logica, a
dire la verità. Se siamo due facce della stessa medaglia,
avrebbe dovuto voler dire che quello che puoi fare tu, posso farlo
anche io. E così in effetti è stato".
Aveva
senso, dovette ammettere Charles controvoglia. Non avrebbe comunque
potuto fare niente per fermarlo. Si ritrovò così ad
annuire con rassegnazione e sospirò pesantemente, prima di
guardare l'orologio da polso. "È tardi" constatò
stupito; "Vado ad infornare il pollo e comincio ad
apparecchiare. Non provare ad entrare in casa con le scarpe piene di
terra o ti ammazzo".
Merlin
arcuò le sopracciglia e piantò le mani sui fianchi. "Sì
mamma" e dopo qualche attimo di silenzio, aggiunse: "Non
posso credere che tu sappia in effetti cucinare. È- è
sconvolgente, sul serio. Non mi abituerò mai a questo".
"Tsk...
e mi riesce anche maledettamente bene!" disse Charles, che
gonfiò il petto come un pavone, ammiccò un paio di
volte e fece per dirigersi verso la porta di casa. Dopo qualche
passo, la voce di Merlin lo fermò al limitare del prato.
"Una
volta, prima che tu arrivassi da me, mi hai detto che non ci sarebbe
stato più niente che avrei dovuto sopportare o combattere da
solo. Bé, lo sai che per te vale lo stesso, vero?"
abbassò lo sguardo quando Charles si voltò verso di
lui. "Voglio che tu abbia bisogno di me come io ne ho di te"
continuò con un tono più sommesso, ma senza l'ombra di
incertezza - solo un velo di imbarazzo. Dopo qualche attimo, quando
capì che non avrebbe ricevuto nessuna risposta, si arrischiò
a lanciare un'occhiatina verso di lui: vide che l'altro aveva
allungato la mano in sua direzione e stava solo aspettando che lui
l'afferrasse.
"Se
vuoi" iniziò Charles, il tono serio come lo sguardo, in
netto contrasto con il significato apparente delle sue parole, "Puoi
aiutarmi a mettere piatti e bicchieri".
Merlin,
afferrando la sua mano dopo i primi istanti di smarrimento, rispose
piano al suo sorriso.
Ed
entrò in casa con le scarpe sporche di terra.
NOTE
DELL'AUTORE: ecco qua. Il parto è avvenuto e adesso
possiamo andarcene tutti in pace. Che dire? Ecco un'altra avventura
che giunge alla sua conclusione. Non so quali parole usare per
ringraziare tutti quelli che l'hanno commentata, che l'hanno aggiunta
nelle varie categorie o che l'hanno semplicemente letta e basta.
Tutti avete avuto un ruolo, dal primo all'ultimo e se ora siamo qui,
all'ultimo capitolo, è sopratutto grazie a voi. Questa storia
esce un po' fuori dai classici schemi, ne sono consapevole, perciò
grazie per la vostra fiducia e la vostra pazienza. Spero sinceramente
di non aver deluso nessuno. Grazie anche a Mimiwtich, che mi ha
aiutato moltissimo con il betaggio di parecchi capitoli: sei stata
very precious! Non so quando e se ci rivedremo su questi schermi,
quindi per il momento vi lascio con un sorriso e con l'unica promessa
che, prima o poi, un'altra storia verrà alla luce. Stay
strong!
(1)Nel
primo capitolo, Charles vede bruciare l'ultimo ricordo che ha di sua
madre e cioè l'ulivo che lei stessa aveva piantato in
giardino. L'evento l'ha sconvolto più di quanto sarebbe
disposto ad ammettere.
Mega
baci bavosi,
Asfo
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