La ragazza e l'arciere

di LindaBaggins
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


LA RAGAZZA E L’ARCIERE
 

I.

Ana strizzò gli occhi alla tenue luce della candela e fletté le dita della mano destra con uno sbuffo di fastidio. Sebbene l’inverno non fosse ancora ufficialmente iniziato – l’ultimo giorno d’autunno sarebbe stato proprio l’indomani – le giornate si stavano facendo sempre più fredde, e il sole riusciva a malapena, con la sua fioca luce, a scalfire la spessa coltre di nebbia che ormai da settimane avvolgeva Pontelagolungo. Sulla superficie del fiume Anduin galleggiavano già grossi pezzi di ghiaccio, e non appena il pallido disco del sole spariva dietro l’orizzonte il fiato cominciava a condensarsi in piccole nuvolette. Soltanto all’interno delle case, accedendo fuochi e avvolgendosi in spesse coperte di lana, si riusciva a trovare un po’ di sollievo dal freddo umido che ti entrava nelle ossa, ma spesso e volentieri queste precauzioni erano a malapena sufficienti, dato che alla maggior parte della popolazione mancava ciò che era più indispensabile ad affrontare le stagioni fredde: il cibo.
Ana cercò di ignorare le mani gelate e doloranti, che le impedivano di maneggiare l’ago con la destrezza per la quale era famosa in tutta la città, e di concentrarsi sul lavoro che aveva davanti. Doveva assolutamente finire di rammendare quei vestiti entro la mattinata, così avrebbe potuto riconsegnarli ai legittimi proprietari e, con un po’ di fortuna, avrebbe racimolato abbastanza denaro da mettere insieme una cena decente per lei e per i suoi genitori.
Il suo stomaco produsse un buffo e sordo brontolio che, nel silenzio della loro piccola casa di legno, le sembrò echeggiare come un tuono. Strinse le labbra e si dedicò con maggiore foga al suo compito, facendo del suo meglio per sgombrare la mente. Nemmeno la rabbia l’avrebbe aiutata a concentrarsi, questo era poco ma sicuro. Aveva imparato ormai da tempo, come del resto quasi tutti gli abitanti di quella città, a chinare la testa e accettare le cose così com’erano, cercando di tirare avanti come poteva, anche se il disgusto che provava per la situazione di Pontelagolungo cresceva dentro di lei ogni giorno di più.
C’era stato un tempo in cui quella città non era stata solo case fatiscenti, puzza di pesce e gente affamata. Ana e la maggior parte della gente di Pontelagolungo non poteva averlo visto con i propri occhi, ma le storie che si raccontavano a proposito della vecchia Esgaroth parlavano di maestosi e splendenti edifici, commerci fiorenti, ricchezza, prosperità e, più di ogni altra cosa, giustizia. Ricordava che da bambina, quando i suoi nonni e gli altri anziani della città rievocavano davanti al fuoco quei giorni felici, sgranava gli occhi e si beveva ogni parola, fantasticando su come sarebbe stato uscire dalla porta e scoprire che tutto a un tratto il grigiore e la bruttura erano spariti. Che cosa era rimasto di quei tempi lontani?, rifletté amaramente Ana facendo entrare e uscire l’ago dall’orlo della sottana che teneva adagiata sule ginocchia. Soltanto un Governatore grasso e meschino che pensava esclusivamente ai propri interessi, chiudendo gli occhi di fronte alle difficoltà della sua gente, e una popolazione troppo stanca e affamata per tentare di ribellarsi.
Sospirò profondamente. Quasi si vergognava di quanto, ultimamente, la sua rabbia fosse rapida a scemare e a trasformarsi in rassegnazione. Se molta più gente avesse dato sfogo al suo malcontento, invece che continuare a reprimerla in nome dell’istinto di sopravvivenza e dell’inerzia, forse …
Dei forti colpi di tosse arrivarono dalla stanza adiacente a interrompere i suoi pensieri e a distrarla per un attimo dal lavoro di rammendo.
«Arrivo tra un attimo, mamma» disse ad alta voce, girando appena la testa verso sinistra. Dette un altro paio di punti alla sottana e si alzò, deponendo il lavoro sulla sedia di paglia quasi del tutto sfondata. Mentre versava dell’acqua da una brocca di peltro sbirciò distrattamente oltre il vetro della piccola finestra della cucina. La nebbia si era infittita, e a giudicare dal modo intirizzito con cui le persone si aggiravano alla spicciolata per le stradine e i ponti della città, anche il freddo doveva essere aumentato. Si augurò che suo padre fosse ben coperto, e ringraziò il cielo che il suo turno di guardia ai cancelli della città fosse quasi terminato.
«Ecco qua» disse pochi secondi dopo, entrando nella stanza accanto con in mano un bicchiere. «Ti ho portato dell’acqua.»
La camera da letto dei suoi genitori, piccola come tutte le altre stanze della casa, era avvolta nella penombra. L’unica fonte di luce era il fuoco che scoppiettava senza troppa convinzione nel camino, gettando ombre tremolanti su ogni cosa. Sua madre, distesa sul letto sotto vari strati di coperte e con la schiena appoggiata ad un cuscino, la accolse con un debole sorriso.
«Grazie, cara» disse con voce fioca, allungando le mani verso il bicchiere che la figlia le porgeva. Bevve avidamente ma con difficoltà, mentre Ana gettava un altro pezzo di legno nel fuoco (“Uno degli ultimi”, constatò abbattuta) e ravvivava il fuoco con l’attizzatoio.
«Come va il lavoro?» le domandò sua madre dopo aver poggiato il bicchiere vuoto sul comodino. «Tuo padre mi ha detto che ti hanno dato diverse cose da rammendare.»
«Ho quasi finito. Devo soltanto dare gli ultimi punti alla sottana di Hilda, e poi potrò uscire per le consegne» rispose Ana. Si stupì della nota di allegria e soddisfazione che avvertì nella propria voce. Era un modo per non preoccupare sua madre e non farle pesare le difficoltà che doveva affrontare ogni giorno, certo, ma era anche un segno del piacere con cui, a dispetto del freddo, della fame e dei pochi guadagni, svolgeva le sue occupazioni. Immaginava di dover ringraziare sua madre, per questo: quella del cucito, più che un lavoro, era una vera e propria passione tramandatale da Miriel, che prima di ammalarsi e vedere la sue mani ridursi ad estremità gonfie, nodose e pressoché inservibili, era stata la sarta più abile della città.
«Vorrei tanto aiutarti a fare qualcosa, Ana» sussurrò mortificata, fissandosi le mani abbandonate sulla coperta con espressione amara. «Vorrei esser ancora in grado di maneggiare un ago.»
«Non pensarci, mamma. Io e papà ce la caviamo benissimo, lo sai» rispose Ana dolcemente, sistemandole le coperte. Era una mezza bugia, ma sua madre stava già abbastanza male senza che dovesse venire a sapere quanto, effettivamente, lei e suo padre faticavano a garantire una vita dignitosa alla loro famiglia. «Tu, piuttosto, come ti senti?»
«Abbastanza bene, come sempre» sorrise Miriel rivolgendole uno sguardo pieno di tenerezza e riconoscenza. Ana la scrutò di sottecchi. Anche quella di sua madre era una mezza bugia, lo sapeva bene. Il suo viso, già di per sé molto pallido, sembrava quasi cereo illuminato fiocamente dal bagliore del fuoco. Negli ultimi giorni, complici il freddo e il cibo sempre più scarso, era peggiorata sensibilmente, ma non l’avrebbe mai ammesso davanti a sua figlia e a suo marito. D’altronde, pensò Ana senza riuscire a trattenere un moto d’orgoglio, da qualcuno doveva pur aver ereditato quella sua tendenza a mostrarsi forte anche nei momenti più duri, a rifiutarsi di far pesare agli altri le proprie difficoltà.
Proprio in quel momento sentì la porta principale aprirsi con un cigolìo e richiudersi subito dopo con un lieve tonfo.
«E’ tornato papà» annunciò a Miriel, finendo di rimboccarle le coperte. «Tornerò da te più tardi. Cerca di dormire un po’, nel frattempo. Hai gli occhi stanchi.»
Le rivolse un rapido sorriso rassicurante e tornò nella stanza accanto, dove Percy, suo padre, stava appendendo berretto e cappotto al gancio di ferro vicino alla porta. Ana gli si accostò per salutarlo con un bacio sulla guancia.
«Ciao, papà.»
«Buongiorno, cara. Come sta tua madre?»
«Non troppo bene, temo» rispose Ana evitando il suo sguardo. «E’ pallida, e questa mattina ha tossito più del solito. Le mani sono particolarmente gonfie.»
Percy sospirò e si massaggiò stancamente le palpebre chiuse con le dita, poi depose una rapida carezza sulla guancia della figlia e sparì per qualche minuto nella sua camera da letto, a salutare Miriel.
Quando riapparve, Ana era seduta di nuovo sulla sedia di paglia e aveva ripreso sulle ginocchia il lavoro di rammendo. Gli rivolse una rapida occhiata, e scorse sul suo viso segnato dalla fatica e dalle rughe un’espressione tirata.
«Ti ho lasciato un po’ di stufato al caldo nella pentola» lo informò, vedendolo avvicinarsi alla cucina.
«Oh, bene» rispose suo padre, prendendo la pentola e poggiandola sulla tavola accanto ad una scodella  e ad un cucchiaio di legno. «Tu hai già mangiato, spero. Ti avevo detto che non dovevi aspettarmi.»
«Certo» mentì Ana, senza alzare lo sguardo dall’ago che entrava e usciva dall’orlo della sottana. In realtà si era fatta bastare solo qualche boccone di stufato per lasciare la sua razione alla madre, sempre più debole ogni giorno che passava, ma non voleva che nessuno dei suoi genitori lo scoprisse. Si sarebbero arrabbiati, non volevano che soffrisse la fame per loro.
«Qualche novità dal turno di notte?» domandò al padre, per sviare il discorso su un terreno più sicuro e alleggerire l’atmosfera.
Percy si abbandonò sulla sedia con un gemito esausto. Era ancora forte, per la sua età, ma quando si avvicinava la stagione fredda le ossa cominciavano a fargli sempre più male.
«E’ stato tutto abbastanza tranquillo» rispose cominciando a versarsi lo stufato nel piatto con l’aiuto di un mestolo. «Beh, perlomeno fino a un paio di ore fa.»
«Perché, cosa è successo?» domandò Ana incuriosita.
«Oh, c’è stata una piccola scaramuccia tra Bard e quel viscido verme di Alfrid» spiegò suo padre con la bocca piena. «Diciamo che la solita consegna di barili vuoti dal Reame Boscoso di Bard, questa volta, non era poi così vuota. Lo hanno beccato con del pesce di contrabbando. Io ero già pronto a farlo passare, puoi immaginartelo … lo sa il cielo, se questa città ha bisogno di cibo in più … ma proprio in quel momento è arrivato Alfrid, ed era sul punto di rovesciare i barili e buttare a mare il pesce. Stavo quasi per sentirmi male, al pensiero di tutto quel ben di dio che andava sprecato, ma fortunatamente Bard è riuscito a fermarlo in tempo e a convincerlo a farlo passare.»
Ana, che pur ascoltando attentamente non aveva smesso di lavorare, si lasciò sfuggire un piccolo sorriso all’angolo della bocca. Avrebbe dato volentieri la sua razione di stufato di una settimana, per vedere la faccia di Alfrid in quel momento. Non aveva dubbi che Bard fosse riuscito a sistemarlo a dovere.
Bard.
Bard, l’uomo più benvoluto di tutta Pontelagolungo, probabilmente l’unico che avesse il coraggio di opporsi ai soprusi e alle ruberie del Governatore e dei suoi accoliti, e proprio per questo malvisto e guardato con ostilità dalle autorità cittadine. Era anche un vecchio amico famiglia, forse il più stretto che suo padre potesse vantare, malgrado la forte differenza d’età tra i due uomini. C’era sempre stato un forte rapporto di affetto e aiuto reciproco tra le loro famiglie, e dopo che, qualche anno prima, sua madre era stata costretta a letto dalla malattia, Bard non aveva mai mancato di venire loro in soccorso con cibo, denaro o generi di prima necessità, quando aveva potuto. L’ammirazione e la riconoscenza che Ana provava per lui erano difficili da descrivere a parole, e sentire che, ancora una volta, era riuscito ad avere la meglio sul lacchè del Governatore le gonfiò il petto di feroce soddisfazione.
«Devo giusto andare a casa sua per riconsegnare dei vestiti rammendati» disse Ana in tono divertito. «Appena lo vedrò mi congratulerò con lui. C’è talmente poco di cui sentirsi soddisfatti, di questi tempi … sentir raccontare di Alfrid che viene messo nel sacco è sempre un toccasana per l’umore.»
Suo padre emise un grugnito di divertito assenso mentre masticava un boccone di stufato. Poi assunse un’aria più seria e riprese a parlare. «Dato che devi andare da lui, Ana, potresti chiedergli se per questa volta, invece del denaro che ti deve, può darti un po’ di quel pesce che ha portato in città. E’ raro trovarne di fresco, in questo periodo, e i prezzi dei contrabbandieri iniziano a diventare proibitivi per le nostre finanze.»
Ana annuì mentre dava gli ultimi punti alla sottana. «Glielo chiederò.»
Spezzò con i denti il filo avanzato dal rammendo della sottana e la ripiegò con cura, disponendola poi all’interno di una grossa cesta insieme agli altri vestiti che aveva provveduto a sistemare in quegli ultimi due giorni.
«Tornerò tra qualche ora» disse a suo padre deponendogli un veloce bacio sulla guancia, dopo essersi infilata il berretto e avere indossato il mantello. «La legna per il fuoco nella stanza di mamma è quasi finita. Credi di riuscire a procurarcene altra?»
«Certo, cara. Ci vediamo più tardi.»
Ana, il manico della cesta infilato sul braccio, uscì in strada e si chiuse la porta alle spalle. Il tiepido sole della tarda mattinata aveva contribuito ad alzare un po’ la temperatura, ma l’aria rimaneva sempre fredda e pungente. Nonostante ciò, fu quasi felice di sgranchirsi le gambe e uscire finalmente all’aperto dopo tante ore passate in casa a cucire. Si strinse nel mantello e si avviò di buon passo lungo il canale che costeggiava la loro casa, per iniziare il suo giro di consegna dei vestiti rammendati.
Aveva intenzione di passare per prima cosa da casa di Bard, e si rese conto che la prospettiva di quella tappa era uno dei motivi per cui il suo umore, negli ultimi minuti, era decisamente migliorato. Era diverso tempo che non faceva due chiacchiere con lui e con i ragazzi, sarebbe stato piacevole fermarsi per un po’ a parlare con loro. Non vedeva l’ora di sentir raccontare come era andata la faccenda di Alfrid, e di scoprire che effetto avrebbe fatto su Sigrid il vecchio vestito che aveva scovato nella sua cassapanca e che aveva riadattato e rimesso a nuovo apposta per lei. Le sarebbe stato benissimo, non c’erano dubbi. La primogenita di Bard, che aveva da poco compiuto sedici anni, si stava rapidamente trasformando in un’attraente giovane donna, e Ana era sicura che di lì a poco suo padre avrebbe dovuto vedersela con un esercito di pretendenti. Era inevitabile che accadesse, con dei genitori come i suoi. Sua madre Rhaella, morta otto anni prima alla nascita della piccola Tilda, era una vera bellezza, forse la donna più bella di Pontelagolungo, e suo padre …
Quasi rischiò di sbagliare strada e di finire dritta nell’acqua gelida del canale, mentre il volto del chiattaiolo le si materializzava improvvisamente davanti. Ana interruppe bruscamente il corso dei suoi pensieri, sentendo il volto prendere fuoco e il cuore farle un buffo saltello nel petto.
Per quanto cercasse di evitarlo, si stava rendendo conto che il modo in cui vedeva Bard era molto diverso da quello in cui lo vedeva fino a poco tempo prima. Aveva sempre nutrito, soprattutto da bambina e da adolescente, una fascinazione particolare per lui e per il suo sfrontato coraggio nell’opporsi ai soprusi del Governatore, ma i suoi sentimenti non si erano mai spinti oltre l’ammirazione, l’affetto e la riconoscenza. Era quasi una persona di famiglia: lui e suo padre erano buoni amici da diversi anni, e dopo la morte di Rhaella era stata la stessa Ana, diciassettenne già fin troppo adulta per la sua età, a badare ai suoi figli quando lui non c’era. Aveva cambiato i pannolini e dato da mangiare a Tilda, aveva vegliato sui giochi spericolati di Sigrid e Bain, li aveva rimproverati quando si comportavano male e aveva rimboccato loro le coperte quando erano ammalati. Il fatto che adesso non riuscisse a non pensare a Bard in quel modo la disorientava e le faceva provare una strana sensazione di eccitazione mista a forti sensi di colpa, come se stesse infrangendo un tabù o stesse facendo qualcosa di immorale. Durante il giorno era piuttosto facile non pensarci, perché il lavoro di rammendo, le riconsegne dei vestiti ultimati e i costanti sforzi per procurare cibo alla sua famiglia occupavano la maggior parte del suo tempo e delle sue energie. Ma alla sera, quando finalmente spegneva la candela e si ritirava nella sua piccola stanza da letto, quando finalmente si ritrovava da sola con se stessa e con i suoi pensieri …
Chiuse gli occhi per un momento e respirò profondamente, cercando di sgombrare la mente e di concentrarsi sul ritmo dei suoi passi e sulla strada da fare, ma si rivelò più difficile del previsto.
Si era chiesta varie volte se fosse possibile che Bard provasse nei suoi confronti le stesse sensazioni che provava lei; aveva passato in rassegna e analizzato fino alla nausea un certo suo sguardo, o un certo suo sorriso, o un certo suo modo di poggiarle la mano sulla spalla, ma era sempre giunta alla conclusione che quei segnali di interesse che a volte credeva di vedere fossero tutto un parto della sua mente. Considerati i rapporti tra le loro famiglie e la non trascurabile differenza di età fra di loro – Ana aveva appena compiuto venticinque anni, mentre Bard andava per i trentacinque – era assai probabile, se non certo, che lui la vedesse come una sorta di sorella adottiva. Questa convinzione, unita al fatto che Bard non era mai riuscito a superare del tutto la morte dell’amatissima Rhaella e (per quanto lei ne sapeva) non aveva più provato interesse per nessun’altra donna, di solito aiutava a gettare acqua sul fuoco che si ostinava ad accendersi nel petto di Ana ogni volta che pensava a lui. Anche questa volta il pensiero la aiutò a recuperare a mantenere il controllo di sé, permettendole di percorrere il resto del tragitto in uno stato emozionale meno alterato del previsto. Non riuscì a trattenersi, tuttavia, dallo specchiarsi rapidamente nel vetro di una finestra e dal darsi una fugace sistemata alla lunga treccia castana che le pendeva su una spalla e al piccolo ciuffo di capelli che spuntava da sotto il berretto.
Era ormai arrivata nei pressi della zona del mercato di Pontelagolungo, e si immerse volentieri in mezzo allo sciamare e al vociare della gente e alla confusione della merce esposta. La aiutò, almeno per qualche minuto, a distrarsi e ad abbandonare i suoi pensieri, anche perché quasi subito cominciarono ad arrivarle all’orecchio chiacchiere curiose e bizzarre frasi sussurrate a mezza voce dietro la mano. Tutte, in un modo o nell’altro, avevano a che fare con un nutrito gruppo di nani che, come ad Ana parve di capire, erano spuntati fuori all’improvviso da dei barili pieni di pesce e avevano seminato lo scompiglio proprio lì nel mercato, prima di sparire misteriosamente chissà dove. Qua e là, pronunciato con stupore e incredulità, Ana captò in mezzo ai sussurri anche il nome di Bard.
Seriamente incuriosita e desiderosa di saperne di più, stava per avvicinare una vecchia signora che – a giudicare dal modo solenne con cui raccontava e scuoteva la testa – sembrava saperne più degli altri, quando una voce alle sue spalle la bloccò.
«Buongiorno Ana! Che piacevole coincidenza incontrarsi qui!»
Ana chiuse gli occhi e trasse un piccolo sospiro prima di voltarsi. Conosceva quella voce, e al momento non era particolarmente entusiasta di sentirla. Si sforzò di stirare le labbra in un sorriso cordiale e si voltò.
Il ragazzo che le stava davanti era soprendentemente alto e massiccio per la corporatura media degli uomini di Pontelagolungo, ed era vestito con abiti che ne denotavano, se non la ricchezza (perché a parte il Governatore di persone propriamente ricche, in quella città, non si poteva parlare), perlomeno una certa agiatezza.
«Buongiorno, mastro Oswyn. Anche voi al mercato?»
Il ragazzo le sorrise con aria allettante, fissandola come qualsiasi altra persona, di quei tempi, avrebbe fissato una tavola imbandita, il che mise Ana un tantino a disagio.
«Sono solo di passaggio, stavo tornando a casa» le rispose, chiaramente desideroso di iniziare una conversazione con lei. «E voi? Avete trovato qualcosa di interessante da comprare?»
Nonostante la sua voglia di scappare via e continuare per la sua strada, Ana si sforzò di essere gentile.
«A dire la verità sono di passaggio anch’io. Sono appena uscita per il mio giro di riconsegna dei vestiti rammendati.»
Sperò ardentemente che questo gli facesse capire quanto fosse impegnata e lo spingesse a lasciarla andare, ma aveva fatto male i suoi calcoli. Il sorriso di Oswyn si tramutò all’istante in un’espressione premurosa, e subito il ragazzo si affrettò ad allungare le mani verso la sua cesta.
«Allora lasciate che vi aiuti a portare il vostro carico! Da che parte andate?»
«Da quella parte» rispose disorientata Ana indicando vagamente verso destra. «Ma non disturbatevi, vi prego, la cesta non è affatto pesante, posso benissimo …»
«Splendido, vado da quella parte anch’io!» la interruppe Oswyn entusiasta. «Sarebbe un piacere fare la strada insieme a voi!»
«Oswyn, davvero, non ce n’è bisogno.»
Oswyn le rivolse un sorriso di condiscendenza, come se le sue proteste fossero dettate solo dalla pura formalità. «Voi siete troppo orgogliosa, Ana. Scusatemi, ma insisto per accompagnarvi.»
Sconsolata, Ana si rese conto con disappunto di non poter fare altro che cedere. Lasciò quindi che Oswyn le prendesse la cesta dal braccio e le si affiancasse baldanzoso mentre riprendevano il cammino.
«Siete particolarmente bella, oggi, Ana. Radiosa, oserei dire» esordì Oswyn dopo che ebbero camminato fianco a fianco in silenzio per qualche secondo.
Ana non poté trattenersi dallo scoppiare in una risata sarcastica e alzò gli occhi al cielo. «Non siate sciocco, Oswyn. Ci vuole del coraggio per definire “radiosa” una persona che ha passato gran parte della nottata e l’intera mattinata a cucire alla luce della candela.»
Oswyn si esibì nello stesso sorriso di condiscendenza di poco prima, come se fosse convinto di saperla più lunga di lei. «Non soltanto siete orgogliosa, ma vi piace anche schernirvi pur essendo consapevole della vostra bellezza!» disse in tono complice. «Ah, Ana, tutto questo vi rende doppiamente affascinante!»
«Potrò anche essere orgogliosa, ma non mi sminuirei mai per il solo gusto di sentirmi rivolgere dei complimenti» replicò Ana il più gentilmente possibile, anche se cominciava ad essere irritata da quei modi da bellimbusto. «Sono sempre stata molto schietta, e questo dovreste saperlo.»
Il rossore e l’aria di mortificazione che invasero il volto di Oswyn furono così evidenti che per un attimo Ana si pentì di avergli parlato con tanta durezza. Oswyn, in fondo, non era un cattivo ragazzo. Era soltanto un po’ superficiale, e la sua famiglia era troppo vicina al Governatore per i gusti di Ana. Non che Oswyn personalmente avesse mai fatto esplicite dichiarazioni di amicizia o simpatia nei confronti di quell’uomo, ma non aveva nemmeno mai dimostrato di contestarlo o di prendersi a cuore la causa dei cittadini.
Oswyn, evidentemente imbarazzato, non parlò per i successivi due minuti, cosa di cui Ana fu enormemente grata. Poi, però, mentre già iniziava a scorgere in lontananza la casa di Bard, il ragazzo ruppe il silenzio per porre domanda che Ana temeva fin dal momento in cui si erano incontrati.
«Avete pensato a quello che vi ho chiesto l’altro giorno?» domandò a mezza voce con tono di colpo più profondo, più maturo.
Ana sentì il sangue gelare improvvisamente nelle vene e il cuore aumentare i suoi battiti. Il fatto che se lo aspettasse non aveva contribuito affatto a prepararla psicologicamente alla cosa. Per qualche secondo fu incapace di rispondere e boccheggiò come un pesce in cerca delle parole adatte.
«Io …» riuscì a balbettare alla fine. «Io sono molto … confusa, al riguardo, Oswyn. Dovete darmi ancora un po’ di tempo. Mia madre è peggiorata, negli ultimi giorni, e non sono in grado di darvi una risposta adesso …»
«Il fatto che le condizioni di vostra madre siano peggiorate, al contrario, è un elemento che dovrebbe aiutarvi a decidere!» disse Oswyn con foga. «Pensateci, Ana: io potrei proteggervi, dare una vita migliore a voi e alla vostra famiglia, potrei mettere fine ai vostri problemi!»
«Non è così semplice » tagliò corto Ana. «Ci sono altre … questioni su cui devo ancora fare chiarezza dentro di me.»
«Quali questioni?»
Ana sospirò. «Voi siete un ragazzo gentile e cortese, Oswyn, ma i miei sentimenti … io non sono sicura che … che possano bastare. Vi prego, cercate di capire cosa intendo.»
Al contrario di quanto si sarebbe aspettata, Oswyn non si scoraggiò, ma si slanciò verso di lei con rinnovato ardore prendendole le mani nelle sue. «I sentimenti possono essere coltivati, Ana» replicò in tono febbrile, fissandola dritto negli occhi. «Come una pianta, capite? I miei genitori non provavano altro che stima l’uno per l’altra, quando si sono sposati, eppure col tempo hanno imparato ad amarsi. E anche voi potrete imparare ad amarmi. Il mio amore per voi basterà per tutti e due, all’inizio.»
Sporse focoso le labbra verso le sue, ma Ana, pur presa alla sprovvista, reagì appena in tempo.
«Vi prego!» esclamò con voce tremante, respingendolo e indietreggiando di un paio di passi. Il corteggiamento di Oswyn nei suoi confronti era sempre stato un po’ insistente, ma non si era mai spinto ad un’invadenza di questo genere. «Vi prego, smettetela. Per favore, cercate di rispettare i miei tempi e i miei sentimenti. Non voglio offendervi né sminuire il vostro sentimento, solo … solo farvi capire che il mio modo di concepire il matrimonio potrebbe essere troppo diverso dal vostro.»
Oswyn sembrò riprendersi da un’ubriacatura. Tacque per qualche secondo, fissandosi i piedi. Quando parlò di nuovo, la sua voce era di nuovo ferma e controllata, il suo viso tirato in un’espressione tesa.
«Spero che possiate darmi presto una risposta» disse sommessamente. «Posso lo stesso accompagnarvi fino alla vostra destinazione?»
Ana chiuse gli occhi e deglutì. «Se non vi dispiace, preferisco liberarvi dal vostro disturbo e  terminare il mio tragitto da sola. Non manca molto, sono quasi arrivata.»
Indicò la casa di Bard con il dito, e istantaneamente, come se avesse appena inghiottito qualcosa di sgradevole, il volto di Oswyn si deformò in una smorfia appena trattenuta. Aveva sempre provato un’istintiva e ostinata antipatia per Bard, anche se tra loro non era mai accaduto nulla di spiacevole. Ana sospettava che si trattasse di gelosia nei suoi confronti: non perché Oswyn sospettasse qualcosa dei suoi confusi sentimenti per il chiattaiolo (che era stata bene attenta a tenere nascosti a chicchessia), ma perché, a parte i suoi genitori, era la persona a cui era più vicina; e tutti coloro che catalizzavano l’affetto e il tempo di Ana sottraendolo a Oswyn erano probabilmente visti come dei nemici.
Come si aspettava i modi di Oswyn si fecero improvvisamente freddi e formali. Le tese la cesta dei vestiti con un gesto brusco. «Vi lascio andare per la vostra strada, allora. Sono certo che mastro Bard vi starà aspettando con impazienza.»
Ana avrebbe voluto dirgli che, in realtà, non era attesa, ma prima che potesse parlare Oswyn si congedò con un rapido inchino e si allontanò lungo la strada, nella direzione da cui erano appena venuti. La ragazza rimase a fissarlo per qualche secondo con aria sconsolata, le gambe e i polsi che ancora tremavano, ma poi si impose di recuperare il controllo di sé e riprese a camminare. Quando ebbe superato il ponte e la scala di legno che la separavano dalla porta della casa di Bard, fortunatamente, era riuscita a tranquillizzarsi quel tanto che bastava per non apparire troppo turbata. Sollevò il pungo chiuso e lo picchiò per tre volte sulla porta.
Quasi immediatamente sentì dei passi infantili correre verso l’ingresso, e un secondo dopo il viso rotondo di Tilda comparve nello spiraglio della porta aperta. Subito i suoi stupefacenti occhi azzurro scuro – così simili a quelli di suo padre - si allargarono di felicità e la sua bocca si aprì in un largo sorriso.
«Pa’!» gridò contenta verso un punto imprecisato alle sue spalle. «C’è Ana!»
La reazione a quell’annuncio non fu affatto quella che Ana si sarebbe aspettata. Altri passi, più pesanti e più rapidi, risuonarono sulle assi del pavimento di legno alle spalle della bambina, e la voce di Bard gridò allarmata: «Tilda, no! Aspetta!»
Ana alzò lo sguardo oltre la testa di Tilda, disorientata. Nello stesso momento in cui la figura trafelata di Bard, ancora vestito in abiti da lavoro, compariva nello spiraglio della porta, la ragazza fece in tempo a vedere qualcos’altro alle sue spalle: volti duri, dalle barbe lunghe e dall’aspetto selvaggio, appartenenti a degli individui dalla statura soprendentemente piccola, bagnati e gocciolanti come se fossero appena emersi da un tuffo nel fiume. Subito gli strani discorsi sui nani che aveva sentito poco prima al mercato, messi momentaneamente in secondo piano dall’episodio con Oswyn, le affiorarono alla memoria, e Ana si rese conto con sgomento che non si trattava affatto di frottole mese in giro da vecchie e annoiate signore che volevano movimentare un po’ la sonnacchiosa vita di Pontelagolungo.
Alzò lo sguardo attonito verso Bard, che nel frattempo aveva raggiunto Tilda sul vano della porta, senza riuscire a proferire una sola parola.
«Posso spiegarti» fu tutto quello che le disse Bard, fissandola con espressione tesa.

 
 
 
 
 
 
 
 

ANGOLO AUTRICE

Salve a tutti! Come avete potuto vedere, la visione della Battaglia delle Cinque Armate ha dato interessanti frutti. Per essere più precise, il buon Bard tutto precisino, ripulito e in casacca blu era talmente brutto, ma talmente brutto, che … ecco …  ho deciso di scriverci una ff. Che volete farci, è la vita. Tutto quel ben di dio senza che nessuna potesse goderne mi sembrava sprecato, quindi ho deciso di inventare Ana per lui.
Spero che il primo capitolo sia stato di vostro gradimento! J Come al solito, vi invito a lasciarmi qualche parere, che sia positivo o negativo…anzi, soprattutto se è negativo, così potrò rimediare ai miei errori!
I prossimi aggiornamenti, studio permettendo, dovrebbero essere abbastanza regolari…spero di riuscire a mantenere l’impegno, in caso contrario perdonatemi!
A presto!

MrsBlack90

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


II.

Quella che per Bard doveva essere una semplice consegna di barili vuoti dal Reame Boscoso, un tranquillo lavoro di routine che aveva già svolto altre centinaia e centinaia di volte, si era rivelata presto una mattinata estenuante e a dir poco surreale.
Senza quasi sapere come fosse accaduto, si era ritrovato con una consistente quantità di argento in tasca e ben tredici nani più uno hobbit, nascosti nei barili che stava portando in città. Non solo, ma per dimostrare di essersi guadagnato il denaro che i nani gli avevano dato come pagamento, aveva persino dovuto recitare la parte del contrabbandiere di pesce per nascondere il carico ben più compromettente che stava trasportando. Gli era già capitato di portare in città del pesce pescato illegalmente, ma si trattava di piccole quantità, appena sufficienti per sfamare la sua famiglia e, a volte, qualcun altro che ne avevesse bisogno. Non gli era mai passato per la testa di cercare di introdurre a Pontelagolungo interi barili di pesce: era già abbastanza malvisto dalle autorità cittadine, e per il bene dei suoi figli voleva evitare di tirarsi volontariamente addosso guai con la giustizia.
Quei nani, però, lo avevano pagato – molto bene, per giunta – e Bard aveva deciso che valeva la pena rischiare. Non aveva idea di chi fossero, ma non credeva a una parola della storia che gli avevano propinato sull’essere dei semplici mercanti in viaggio per i Colli Ferrosi. Dei semplici mercanti non pagano un contrabbandiere per portarli dentro una città nascosti all’interno di barili vuoti, quello era poco ma sicuro. Bard, tuttavia, non aveva fatto domande: aveva intascato il denaro e, da uomo onesto qual’era, si era impegnato per portare a termine il suo compito e rispettare la parola data.
Se l’era vista brutta, quando era stato dato l’ordine di rovesciare nel fiume il contenuto dei barili, ma, come sempre quando si trovava alle strette, il suo cervello aveva iniziato a lavorare a velocità doppia, e due o tre allusioni a possibili sommosse popolari erano fortunatamente bastate a mettere nel sacco quello smidollato di Alfrid. Si era allontanato con aria sicura di sé, ma la verità è che sentiva ancora tremare le gambe per la paura e per il sollievo dello scampato pericolo.
Anche al mercato non se l’era cavata poi troppo male. Braga, il capitano delle guardie cittadine, era persino più facile di Alfrid da abbindolare. Nel suo caso, non c’era stato bisogno di evocare lo spettro di saccheggi e ribellioni: era stato sufficiente buttare lì un’allusione quasi casuale alla disinvoltura con cui sua moglie intratteneva rapporti con tutti gli uomini della città, e il povero Braga si era allontanato furibondo, sicuramente diretto a casa per fare luce sulla questione.
Soltanto quando tutti e tredici i nani erano venuti fuori dal suo gabinetto e si erano ritrovati al sicuro, lontani dagli sguardi famelici delle spie del Governatore che tenevano d’occhio la sua casa, Bard si era concesso un respiro di sollievo. Era stato in quel momento che, finalmente, si era accorto di quanto fosse stanco. Nemmeno dopo un’intera giornata di lavoro a pieno regime aveva mai sentito tanta voglia di gettarsi sul letto e dormire fino all’indomani. Ma sapeva benissimo che finché quei nani, chiunque fossero, non avessero ottenuto quello che volevano e non fossero stati fuori dalla sua casa, non avrebbe potuto concedersi nemmeno un secondo di riposo.
In tutto ciò la visita di Ana era di gran lunga l’ultima cosa che Bard si aspettava, e soprattutto auspicava, in quel momento. Non che non fosse contento di vederla, ma sentiva che meno persone venivano coinvolte in quella vicenda e meglio sarebbe stato per tutti. Per questo si era comportato in modo così allarmato, quando Tilda gli aveva annunciato che la ragazza era davanti alla porta.
«Entra, presto!» sibilò, afferrandola per un braccio e trascinandola dentro.  
«Ma cosa … ?» balbettò Ana disorientata, mentre Tilda richiudeva la porta. Sigrid e Bain corsero subito da lei per salutarla, e Ana li strinse in un rapido abbraccio.
«Bard, santo cielo, vuoi dirmi che cosa sta succedendo?» chiese la ragazza al di sopra della testa di Sigrid. «Chi … chi sono quelli
Bard, a disagio, lanciò una rapida occhiata alle sue spalle. Deglutì. «Loro … loro sono nani.»
«Questo lo vedo. Intendevo dire: cosa ci fanno dei nani nella tua sala da pranzo
Bard aprì la bocca per parlare, e si accorse di avere il palato completamente secco. Aveva la massima fiducia in Ana, sapeva di poterle raccontare tutto senza che ne facesse parola con nessuno. Ma quella faccenda gli sembrava ancora talmente incredibile, da riuscirgli difficile trovare le parole adatte per raccontare tutto senza farlo sembrare un mucchio di balle. Poi si accorse dell’espressione incredula e interrogativa che ancora aleggiava sul suo viso, e capì che le doveva una spiegazione, non importa quanto strampalata potesse sembrare.
«Li ho trovati lungo il Fiume Selva, poco fuori dai confini di Bosco Atro» le disse rapidamente, abbassando la voce. Sapeva che non ce n’era bisogno, ma la consapevolezza che c’erano delle spie del Governatore a sorvegliare la sua casa lo stava quasi portando alla paranoia. «Credo che venissero dal Reame Boscoso. Mi hanno pagato per portarli in città di nascosto, così li ho infilati nei barili vuoti che avrei dovuto consegnare stamattina, e … li ho riempiti con del pesce.»
Osservò Ana che, ascoltandolo, registrava una ad una le informazioni che le stava dando. Ad un certo punto, verso la fine del breve racconto, la ragazza sembrò finalmente mettere insieme dei pezzi, perché i suoi occhi verdi si allargarono e la sua bocca, se possibile, si spalancò ancora di più.
«Barili di pesce?» domandò incredula. «Allora è questo che stavi facendo quando stamattina mio padre …»
«Sì» si limitò a rispondere Bard con un sospiro. Percy doveva aver raccontato tutto alla figlia dello strano episodio a cui aveva assistito quella mattina.
Ana rimase a fissarlo ancora per qualche secondo, sbigottita. Sembrava che stesse cercando qualcosa di sensato da dire ma non riuscisse a trovarlo. Bard non la biasimava: lui stesso faticava ancora a credere a quello che stava succedendo. Vide lo sguardo della ragazza spostarsi lentamente dalla sua faccia ai nani alle sue spalle. Non avevano ancora detto una parola, ma la fissavano in silenzio e con le sopracciglia aggrottate, tesi come corde di un’arpa, sicuramente chiedendosi se fosse qualcuno di cui potevano fidarsi.
«Credo che dovresti presentarmi» gli bisbigliò Ana lanciandogli un’occhiata significativa.
Bard si riscosse, rendendosi conto che aveva ragione, e si voltò verso il gruppo alle sue spalle.
«Lei è Ana» disse semplicemente. «Non abbiate paura, è un’amica. Non ha cattive intenzioni.»
Per un attimo temette che le sue rassicurazioni non avessero avuto effetto, perché molti dei nani strinsero ancora di più gli occhi con aria sospettosa e non dettero segni di volersi muovere dal punto in cui si trovavano. Poi, dopo lunghi secondi di freddo silenzio, il nano più vecchio - quello con la lunga barba candida che terminava dividendosi in due punte – si fece cautamente avanti.
«Piacere di conoscervi, mia signora. Mi chiamo Balin. Al vostro servizio» esordì con un sorriso bonario, terminando la frase con un profondo inchino.
Bard guardò Ana boccheggiare per qualche secondo, sbattendo le palpebre come se stesse cercando di capire se era sveglia o stava sognando, e non riuscì a trattenere un sorriso divertito. Agli abitanti di Pontelagolungo non capitava così spesso di ritrovarsi a conversare con un nano.
«Il piacere è mio … mastro Balin» riuscì a rispondere alla fine la ragazza con voce incerta, cercando di mascherare lo stupore con la cortesia.
Anche il più piccolo della compagnia, quello dall’aspetto molto diverso dai suoi compagni, saltò giù dallo sgabello su cui era seduto e mosse qualche passo in avanti.
«E io sono Bilbo Baggins» disse in tono amichevole, la mano tesa verso Ana.
La ragazza la strinse, scrutandolo incuriosita. «Voi … non sembrate affatto un nano» azzardò incerta.
«Sono uno hobbit, infatti» rispose Bilbo Baggins con un sorriso. «Come sia capitato in una compagnia di nani, beh … è una storia molto lunga da raccontare.»
Incoraggiati  dall’esempio di Balin e di Bilbo, anche gli altri nani, uno a uno, cominciarono a farsi cautamente avanti verso Ana con aria più o meno amichevole, presentandosi con un inchino. Soltanto il nano dai lunghi capelli neri e dall’aspetto altezzoso – quello che Bard aveva intuito essere il loro capo – esitò più a lungo degli altri e continuò a fissare Ana con gli occhi stretti di sospetto. Il suo inchino fu più freddo e brusco degli altri, e – Bard non poté fare a meno di notarlo – non disse il suo nome.
Quando le presentazioni furono concluse, il chiattaiolo prese da parte Ana e la condusse in un angolo della stanza.
«Mi dispiace che tu ti sia ritrovata coinvolta in tutto questo , Ana» le bisbigliò, fissandola con aria colpevole. «Forse è meglio che tu te ne torni a casa.»
Fu sorpreso del lucchichío di determinazione nei suoi occhi, e ancora di più della fermezza della sua voce quando parlò: «Hai in casa tredici nani esausti, bagnati fradici e, con molta probabilità, affamati. Mi sembra che tu abbia bisogno di aiuto.»
«E a me sembra che tu abbia già abbastanza cose di cui preoccuparti a casa» protestò Bard. «Non voglio che passi dei guai per colpa mia!»
«Qualcuno li ha visti entrare?» chiese Ana alzando le sopracciglia.
«Credo di no. Ci sono delle spie del Governatore tutto intorno alla casa, ma li ho fatti passare dal … beh, non importa da dove. Non li ha visti nessuno.»
«Dunque, a chi può importare se ho passato un po’ di tempo in casa tua? Tutti sanno che vengo spesso a trovarvi, e mi avranno sicuramente visto arrivare con la cesta dei vestiti.» Gli sorrise. «Ho un alibi perfetto.»
Bard provò ancora una volta a obiettare: «Ana …»
«Quando io e i miei genitori eravamo in difficoltà tu ci hai aiutato molte volte» lo interruppe la ragazza. «Adesso lascia che sia io ad aiutarti.»
Bard sospirò e non riuscì a fare altro che fissarla senza dire nulla. Ana lo guardava con il più rassicurante dei sorrisi, e il primo, bizzarro pensiero che gli attraversò la mente fu che quel giorno, con il naso arrossato dal freddo e quel piccolo ciuffo di capelli castani che spuntava dal berretto, era particolarmente bella.
Deglutì e le sorrise riconoscente. «Ti ringrazio.»
«Che ne dici» domandò Ana in tono pratico, sfilandosi il mantello e poggiando la cesta di vestiti rammendati accanto alla porta «se io e le ragazze prepariamo qualcosa di caldo per i nostri ospiti?»
Bard non rispose subito. La stava ancora osservando con un vago sorriso, divertito e insieme affascinato dalla naturalezza con cui stava affrontando quella faccenda.
«Mi sembra un’ottima idea» rispose alla fine. «Io e Bain, nel frattempo, andiamo a recuperare delle coperte e altra legna per il fuoco.»
Il sorriso di Ana, se possibile ancora più largo di prima, lo accompagnò finché non prese con sé Bain e lo condusse sul retro, alla ricerca del necessario per far asciugare i nani.
Quando rientrò, Ana si stava già dando da fare in cucina insieme alle ragazze, scaldando acqua sul fuoco e tagliando rapidamente verdure e patate per preparare dello stufato. Mentre distribuiva coperte ai nani, rispondendo distrattamente alle loro parole di ringraziamento, Bard si ritrovò di nuovo a fissarla di sottecchi. Si muoveva in modo sicuro, come chi è perfettamente in grado di tenere le redini della situazione, come se avesse preparato da mangiare in quella casa per tutta la vita. Per un attimo fu colto da un breve vertigine. Vedere qualcun’altra assumere nella sua casa il ruolo che era stato di Rhaella, vederla fare le cose che faceva lei, persino con la stessa grazia e naturalezza con cui le faceva lei, era qualcosa di disturbante, che non migliorava affatto lo scompiglio che regnava in quel momento nella sua mente per colpa di quel manipolo di nani piombati improvvisamente nella sua vita.
Certo, era disturbante, si ritrovò a pensare mentre Ana, voltatasi casualmente verso di lui, gli regalava un breve sorriso prima di tornare ad occuparsi del cibo. Disturbante, ma in un certo senso – e Bard se ne stupì al punto di farsi quasi cogliere da un’altra vertigine – anche piacevole. Si ritrovò ad osservarla con un’attenzione con cui non ricordava di averla mai guardata prima: l’ondeggiare della sua treccia lungo la schiena, il suo naso leggermente all’insù, il modo spazientito in cui si scostava i capelli dal viso, il modo in cui il suo polso bianco si piegava su e giù maneggiando il coltello … Come si muoveva la mano di Rhaella quando usava il coltello? Gli mancò il fiato e fu colto da uno strano dolore dalle parti del petto, quando si rese conto che non riusciva a ricordarlo.
«Pa’?»
La voce di Bain arrivò provvidenzialmente a scuoterlo dal torpore in cui era piombato. Abbassò lo sguardo verso il figlio, che stava davanti a lui con in mano due tazze fumanti. Si riscosse e le consegnò personalmente a due dei nani, mentre Bain tornava verso la cucina per prendere altre bevande calde.
Dieci minuti dopo, tutti i nani avevano una coperta addosso e una tazza o una scodella bollente tra le mani. Si affollavano intorno al camino, bisticciando tra loro per assicurarsi un posto davanti al fuoco scoppiettante, mentre il loro capo sedeva con aria pensosa e adombrata presso la finestra, sbirciando fuori dallo spiraglio aperto.
Bard si lasciò cadere su una delle sedie vicino alla lunga tavola al centro della sala e si passò stancamente le mani sulla faccia, sbadigliando. Quando riaprì gli occhi, sul ripiano di legno davanti a lui era poggiata una scodella di stufato fumante. L’odore che salì fino alle sue narici gli sembrò il più buono che avesse mai sentito in vita sua. Alzò la testa, e si accorse che Ana era in piedi accanto a lui.
«Mangia» gli disse. «Hai un aspetto orribile.»
«Senti chi parla» replicò Bard con una punta di sarcasmo nella voce stanca. «Per quanto tempo sei rimasta sveglia a cucire, stanotte?»
Ana si strinse nelle spalle. «Il tempo necessario per finire tutto entro stamattina.»
«E scommetto che non hai mangiato. Di nuovo.»
La ragazza sospirò ed evitò il suo sguardo.
«Devi smetterla con questa storia, Ana. Capisco che tu non voglia far soffrire la fame ai tuoi genitori, ma anche tu hai bisogno di nutrirti.»
«Sto bene …» protestò debolmente Ana.
«Non puoi andare avanti con un solo pasto al giorno» replicò Bard. «Se tu mi permettessi di aiutarvi, di …»
«No» lo interruppe Ana. «Tu fai già abbastanza per noi, da molti anni. Anche tu devi dare da mangiare ai tuoi figli. Non voglio che tu sottragga cibo a Tilda, o a Bain, o a Sigrid.»
Bard sbuffò contrariato, scuotendo la testa. La testardaggine e l’orgoglio di Ana, qualche volta, gli facevano sospettare che fosse lontanamente imparentata con una qualche famiglia di nani.
«Almeno prendi una scodella di stufato e siediti» sospirò rassegnato, afferrando il cucchiaio e iniziando a mangiare.
Ana sembrò accettare il compromesso. Andò a versarsi una scodella di zuppa e lo raggiunse, sedendosi accanto a lui. Mangiarono in silenzio per qualche minuto, godendosi il liquido caldo che andava a scaldare loro lo stomaco.
«Grazie per averci dato una mano» disse infine Bard, immergendo per l’ennesima volta il cucchiaio nella scodella. «Sei stata di grande aiuto.»
Ana sorrise. «L’ho fatto con piacere.» Poi abbassò leggermente la voce e chiese: «Cosa pensi di fare con questi nani?»
«Non so quali siano i loro piani» sospirò Bard con aria cupa. «Non mi hanno detto niente. E’ chiaro che non si fidano di me fino in fondo. In ogni caso, non sarò tranquillo finché non saranno fuori di qui.»
«Pensi che abbiano cattive intenzioni?» domandò Ana dubbiosa, scrutandoli. «Mi sembrano così … innocui. Un po’ strani, te lo concedo, però innocui.»
Bard si incupì e rimestò nervosamente nella scodella. «Francamente, non so cosa pensare.»
Non le aveva detto tutta la verità, e si sentì un po’ in colpa. In realtà c’era un’altra cosa che doveva fare per quella bizzarra compagnia, ed era procurargli le armi che aveva promesso loro al momento della consegna del denaro. Ma non voleva che Ana lo sapesse: si sarebbe sicuramente preoccupata, e in questo caso lui non avrebbe potuto fare niente per rassicurarla, dato che nemmeno lui sapeva che cosa esattamente i nani stessero progettando di fare..
Si voltò a guardarla, e scoprì che lei lo stava già osservando con gli occhi leggermente socchiusi in un’espressione meditabonda.
«Mi dispiace solo di averti distolto dal tuo lavoro» le disse Bard. «I tuoi clienti ti staranno aspettando.»
«Per una volta, i miei clienti possono aspettare. A proposito … ero passata per restituirti i vestiti rammendati che mi avevi portato ieri. Tanto per curiosità, posso sapere cosa combini con i tuoi calzini per farci venire dei buchi così grossi? Vai in giro scalzo, per caso?»
Bard rise. Era la prima volta che lo faceva, nel corso di quella giornata, e fu felice di sentire un’inaspettata sensazione di familiarità e di benessere allargarsi nel petto.
«Non ne ho idea, ma ti ammiro per la pazienza che hai nel rammendarli ogni volta.»
«Oh, ormai ci ho fatto l’abitudine» ridacchiò Ana con noncuranza. Poi, si batté il palmo della mano sulla fronte, come ricordandosi di qualcosa, e aggiunse: «Ho anche portato a Sigrid quel mio vecchio vestito ricucito e rimesso a nuovo. Sono sicura che le starà benissimo.»
Bard si lasciò sfuggire uno sbuffo sarcastico. «Spero di no» disse in tono burbero, nemmeno troppo scherzosamente. «Sta già crescendo troppo in fretta. Non voglio ritrovarmi a dover usare l’arpione contro gli spasimanti in fila davanti alla mia porta di casa.»
Ana lanciò una breve occhiata qualche metro più in là e tossicchiò divertita. «Pare che qualcuno sia già riuscito a introdursi all’interno proprio sotto il tuo naso.»
Bard si voltò per sbirciare oltre la propria spalla. Uno dei nani più giovani, quello con i lunghi capelli biondi e i baffetti (si chiamava Kili? Oppure era Fili?) aveva appena preso la sua scodella di stufato dalle mani di Sigrid, e adesso le stava dicendo qualcosa per cui sua figlia era improvvisamente arrossita e scoppiata a ridere.
Si voltò di nuovo, con aria minacciosa. «Se quella mezza tacca prova solo a sfiorarla con un dito, giuro che lo ammazzo» ringhiò, tornando a dedicarsi alla sua scodella. Poi, vedendo che Ana non riusciva a trattenersi dal ridacchiare di gusto dietro il palmo della mano, sbottò, indispettito: «Non è divertente. Sto dicendo sul serio.»
«Oh, andiamo!» rise Ana. «Non fare il padre geloso, non sta facendo niente di male! Ora che lo guardo meglio, è piuttosto affascinante per essere un nano, non credi?»
Lo sguardo inceneritore che Bard le lanciò fece capire ad Ana che, forse era il caso di lasciar cadere il discorso, ma quando riprese a mangiare le labbra della ragazza erano ancora piegate in un piccolo sorrisetto.
Bard fece passare qualche secondo prima di parlare di nuovo. C’era una domanda che gli si agitava in testa da diversi giorni, e tutto quel parlare di spasimanti e corteggiatori gliel’aveva fatta tornare in mente all’improvviso.
«A proposito di pretendenti» iniziò cautamente, fingendosi molto occupato a raschiare gli ultimi rimasugli di brodo dal fondo della scodella «tuo padre mi ha detto della proposta di Oswyn.»
L’espressione divertita scemò lentamente dal viso di Ana, e la ragazza bloccò la mano a mezz’aria nel gesto di prendere un’altra cucchiaiata di stufato. Non sembrava molto felice di sentirlo introdurre quell’argomento, e Bard per un attimo si pentì di aver parlato.
«Già» rispose sommessamente. «Già, lui … mi ha chiesto di diventare sua moglie. Insistentemente, direi.»
«Beh, congratulazioni. E’ un ottimo partito, mi sembra. Non è il figlio di Kevan, il commerciante di vino?»
Tutt’a un tratto, Ana sembrava essere rimasta a corto non solo di parole, ma persino di fiato. «Infatti …» rispose in un soffio. «Un ottimo partito …»
Cercando di ignorare la bizzarra e fastidiosa stretta che gli stava stringendo lo stomaco, Bard si costrinse a sorridere con l’aria di essere molto contento per lei.
«E … gli hai già dato una risposta?» domandò con noncuranza.
Ana deglutì, e Bard fu sorpreso nel vederla avvampare fino alla punta delle orecchie.
«Io …» rispose, incerta. «Veramente … non ancora.»
Per qualche strana ragione, Bard sentì la morsa allo stomaco allentarsi sensibilmente, ma fu quasi deluso nel vedere che Ana, con la scodella ancora mezza piena di stufato, si alzava all’improvviso dalla sedia sostenendo di non avere più fame e di dover riprendere il suo giro per riconsegnare i vestiti rammendati.
Idiota.
Perché mai gli aveva fatto una domanda del genere? Ana era quasi una di famiglia, certo, ma lui non aveva alcun diritto di intromettersi così nei suoi affari. Voleva chiederle scusa per la sua imperdonabile mancanza di tatto, ma quando Ana tornò verso di lui dopo aver ripreso cesta, berretto e mantello, non sembrava affatto arrabbiata con lui. Il rossore era sparito dalle sue guance, e stava di nuovo sorridendo, anche se con meno convinzione di prima.
«Ho appoggiato i vestiti rammendati sulla poltrona vicino alla porta» disse allacciandosi il mantello. «Se Sigrid ha qualche problema con il vestito, dille di farmelo sapere.»
«Grazie ancora, Ana. Per tutto quanto» disse Bard. Si frugò nelle tasche e ne estrasse una piccola manciata di monete d’argento. «Ecco. Per i vestiti.»
Ana lanciò una rapida occhiata ai soldi e lo guardò con aria di rimprovero. «Ma sono troppi, Bard! Il mio lavoro vale meno della metà di quel denaro.»
«Non mi importa. Voglio che tu li prenda lo stesso.»
«Ma …»
«Ana! Dammi ascolto, per una volta!» la interruppe, ficcandole in mano il denaro e chiudendole con decisione il pugno tra le proprie mani. «Consideralo un prestito, se proprio vuoi, ma prendi questi maledetti soldi!»
Ana deglutì, corrucciata: era chiaro che il suo buonsenso e la paura per sua madre stavano facendo a pugni con il suo orgoglio. Poco a poco, tuttavia, il suo volto si distese e un incerto sorriso fece capolino tra le nubi.
«Grazie» si limitò a dirgli, la voce incrinata dalla commozione. Rimasero per qualche secondo  guardarsi sorridendo leggermente, ognuno leggendo la gratitudine negli occhi dell’altro. Bard si sorprese di come la mano di Ana nelle sue sembrasse così piccola e così calda.
«Adesso devo proprio andare» disse la ragazza. Curiosamente, notò Bard, le sue guance erano tornate a tingersi lievemente di rosa. «Ricorda di portare dei vestiti asciutti a quei poveri nani.»
«Lo farò.» Le lasciò la mano e le aprì la porta. «A presto.»
«A presto» lo salutò Ana scendendo le scale di legno che costeggiavano un lato della casa.
Appoggiato contro la porta di legno ormai chiusa, Bard rimase per diversi secondi a fissare il vuoto davanti a sé, le sopracciglia aggrottate. Avvertiva una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come se stesse cercando di far combaciare dei pezzi che non coincidevano o di risolvere un calcolo che non tornava.
Senza quasi rendersene conto si spostò verso la finestra e scostò leggermente la tenda per guardare Ana andare via. Non era stato del tutto sincero, con lei, riguardo a Oswyn. Le aveva fatto le sue congratulazioni per la proposta di matrimonio, ma in verità non era troppo sicuro che fosse una cosa di cui doversi congratulare. La ricchezza e una certa superficiale gentilezza erano le uniche qualità che quel ragazzo poteva vantare, e si chiese se davvero Ana le ritenesse sufficienti come basi per un matrimonio. Si chiese anche, per l’ennesima volta, perché avesse voluto sapere quale fosse stata la sua risposta.
E’ come una sorella, per me. Mi preoccupo per lei. Voglio che sia felice.
Ma guardandola superare il ponte e allontanarsi lungo la strada, con il mantello che le svolazzava alle spalle e la treccia che le dondolava sulla schiena, si rese conto che quella strana mattinata aveva avuto degli strani effetti su di lui. Persino le cose di cui era sicuro fino a ieri, adesso non gli sembravano più così chiare come prima.
 

 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE

Ben ritrovate a tutte!! Innanzitutto vorrei ringraziarvi per l’entusiasmo con cui avete accolto questa storia, non mi aspettavo un seguito così numeroso fin da subito :)
Spero che questo secondo capitolo, in cui finalmente entra davvero in scena il nostro chiattaiolo, sia stato di vostro gradimento e non abbia deluso le vostre aspettative. Come avete visto, Ana ha fatto la conoscenza dei nani, e, manco a dirlo, Thorin si è dimostrato fin da subito lo scorbutico scontroso asociale che abbiamo imparato a conoscere a ad amare alla follia (cuoricini per Thorin). Riguardo a Bard (tanti cuoricini anche per lui), non vi illudete: continuerà a farsi numerose pippe mentali ancora per un bel po’, e chiaramente Ana non sarà da meno. Sennò che gusto c’è? Dico bene? ;) Nel prossimo capitolo incontreremo un altro personaggio che abbiamo visto nel film, ma non vi dico chi è perché sono malvagia dentro e voglio tenervi sulle spine!
Vi mando un abbraccio e vi ringrazio ancora una volta per aver recensito, aggiunto tra le seguite/preferite o anche soltanto letto questa storia J
Al prossimo aggiornamento (fra una settimana esatta)!

MrsBlack90


 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


III.
 
Quando Ana imboccò il vicolo che conduceva alla tappa successiva del suo giro di riconsegna dei vestiti, era ancora in preda al turbamento in cui era sprofondata negli ultimi dieci minuti passati a casa di Bard.
Imprecò mentalmente per l’ennesima volta, il cuore che continuava imperterrito a sbatacchiarle nel petto come un uccello impazzito.
Si era ripromessa di mantenere il controllo di sé, davanti a lui, e invece tutti i suoi buoni propositi erano evaporati come neve al sole non appena le aveva chiesto della proposta di matrimonio. Rivide il suo volto giovane ma già segnato da qualche ruga sollevare le sopracciglia in un’espressione interrogativa, i suoi occhi azzurri scrutarla senza pietà.
“E … gli hai già dato una risposta?”
No che non gliel’aveva data, maledizione! Come poteva averlo fatto? Come poteva se era il suo viso, il viso di Bard il chiattaiolo, e non quello dell’ottimo-partito-Oswyn a tormentarla giorno dopo giorno, notte dopo notte? Per un attimo aveva sentito l’impulso di rispondergli in questo modo, ma per fortuna era riuscita a dominarsi quel tanto che bastava per non agire d’impulso e combinare il più grosso disastro della sua vita.
Stava ancora cercando di calmarsi e riprendere a respirare regolarmente, quando giunse finalmente davanti ad una piccola porta di legno mezza scrostata e alzò il pugno per bussare. Dopo qualche secondo di silenzio, dei passi risuonarono all’interno e uno spiraglio della porta si aprì, rivelando il volto di una donna di mezza età incorniciato da lunghi capelli neri e arruffati.
«Buongiorno Hilda!» le sorrise, sforzandosi di mettere da parte le sue emozioni inquiete. «Ti ho riportato i vestiti che mi avevi dato da rammendare.»
«Buongiorno, mia cara!» la salutò la donna, aprendosi a sua volta in un sorriso cordiale e spalancando del tutto la porta per lasciarla passare. «Santo cielo, sei stata velocissima! Ma entra, entra pure! Non vorrai restartene lì fuori al freddo?»
«Veramente dovrei continuare il giro» provò ad opporsi Ana gentilmente. «Sono già piuttosto in ritardo …»
«Sciocchezze, non c’è nessuna fretta! Avanti, vieni dentro!»
Quando Hilda Bianca si metteva in testa una cosa, era difficile che qualcuno riuscisse a farle cambiare idea. Ana non discusse ulteriormente e la seguì all’interno, lasciandosi condurre attraverso un corridoio lungo e stretto, dalle basse pareti di legno che costringevano a chinarsi leggermente per passare, e poi in una minuscola stanza in cui convivevano – con una certa fatica, a dire il vero – la cucina e una specie di salottino. Ana tirò fuori i vestiti di Hilda e li poggiò sullo schienale dell’unica poltrona presente nella stanza.
«Mettiti pure seduta, cara» la invitò Hilda. «Nel frattempo metterò a bollire l’acqua per una tazza di tè.»
Ana accolse l’invito e sprofondò nella poltrona dalla tappezzeria sdrucita e sbiadita con un piccolo gemito di soddisfazione. Dopo aver passato ore e ore a cucire seduta su una sedia, con la schiena rigida, non avrebbe potuto chiedere di meglio. Si guardò intorno, sorridendo leggermente. Era stata molte volte in quella casa, e, a dispetto del suo aspetto tetro, umido e povero (come quasi tutte le abitazioni di Pontelagolungo), non mancava mai di sentirsi a proprio agio. Le sembrava impossibile che fino a qualche ora prima si trovasse in un’altra casa, a preparare ciotole di stufato per tredici nani e uno hobbit spuntati fuori da chissà dove. Le venne da pensare che, se mai un giorno avesse avuto dei nipoti, probabilmente quella storia avrebbe avuto grande successo, nelle sere d’inverno davanti al fuoco.
«Allora dimmi, cara» le chiese in quel momento Hilda dalla cucina, mentre apriva sportelli e cassetti alla ricerca del barattolo del tè «come sta tua madre? Ho visto tuo padre un paio di giorni fa, e mi sembrava piuttosto abbattuto …»
Ana si rabbuiò. «Non molto bene, temo. Il freddo di questi ultimi giorni la sta mettendo a dura prova. Ma io e papà cerchiamo di prenderci cura di lei il più possibile.»
Anche sulla faccia di Hilda, china a posizionare il pentolino sul fuoco, passò un’ombra. Ana non se ne stupì: lei e sua madre erano amiche da molto tempo, e se non ricordava male era stata proprio Hilda ad assistere sua madre durante il parto e a farla nascere.
«Mi mancano le sue chiacchiere al mercato» sospirò la donna. «A volte mi ritrovo a scrutare la strada sperando che Miriel compaia da un momento all’altro per farmi ridere con una delle sue battute.» Sorrise amaramente, scrollando la testa. «Si sarebbe divertita un mondo, oggi, al mercato. Quando sono comparsi quei nani … per tutti gli dei, avrei voluto che fosse lì!»
Ana si mosse nervosamente sulla poltrona. «Nani? Al mercato?» domandò sfoderando la faccia più stupita che riuscì a trovare. «Ne sei sicura?»
«Sicura come vedo te in questo momento!» rispose Hilda solennemente, tagliando l’aria con un gesto deciso della mano. «Mani tozze, barbe lunghe, occhi feroci … mai visto niente del genere in vita mia, lo giuro sull’anima del mio povero marito!»
«Ma … da qualche parte devono pur essere venuti» obiettò Ana, guardinga. Voleva cercare di capire fino a che punto Hilda – e il resto di Pontelagolungo – sapessero del coinvolgimento di Bard in quella situazione. Certamente né lei né la maggior parte di quelli che conosceva si sarebbe sognato di andare a riferire qualcosa al Governatore, ma tutti sapevano che la città era piena di spie. Meno persone erano al corrente di quella faccenda e meglio sarebbe stato per tutti …
«Oh, non chiederlo a me!» rispose Hilda stringendosi nelle spalle. «So soltanto che ad un certo punto sono sbucati dal nulla, come demoni che spuntano dalla terra!»
Ana trattenne a stento un sorriso. “Demoni che spuntano dalla terra” non era esattamente la definizione che avrebbe usato per descrivere gli individui conosciuti da Bard, anche se, doveva ammetterlo, un paio di loro avevano un aspetto abbastanza fosco.
«E … che è successo dopo?» si costrinse a chiedere, ostentando interesse.
«Non ci ho capito granché, in realtà» borbottò Hilda prendendo due tazze sbeccate dalla credenza. «C’è stata una gran confusione, le guardie si sono messi a inseguirli, e … beh, lo sai come vanno queste cose. Qualunque occasione è buona per la gente di questa città per mettere i bastoni fra le ruote ai tirapiedi del Governatore.»
Ana sogghignò. Poteva solo immaginare quanto Hilda doveva essersi divertita nel prendersi gioco delle guardie. Dopo scaldarsi i piedi davanti al fuoco sorseggiando un po’ di brandy, era probabilmente la cosa che procurava più soddisfazioni alla sua vita.
«In ogni caso, dopo tutta questa baraonda sono spariti nel nulla e nessuno li ha più visti» continuò la donna. «Spariti nel nulla, ti dico, così come sono apparsi!»
Ana prese la tazza fumante che Hilda le porgeva e fece del suo meglio per assumere un’espressione perplessa. «Beh, questo sì che è un mistero!» commentò, affrettandosi a bere un sorso di tè per nascondere la faccia. Era ancora bollente, e per poco non si ustionò la lingua. Hilda, per fortuna, era talmente infervorata nel suo racconto che non si accorse di nulla.
«Io non so chi fossero quei nani, né da dove venissero» stava dicendo in quel momento in tono cupo, sedendosi a sua volta. «Ma mi sono fatta la mia idea. So bene che cosa mi ricordano.»
Fissò Ana con sguardo eloquente, come se si aspettasse che afferrasse al volo la sua allusione e concordasse con lei, ma la ragazza non poté fare altro che fissarla di rimando con sguardo interrogativo.
«Ehm … che cosa?»
«Ma la profezia, naturalmente!» sbottò Hilda. «Per quale altra ragione un manipolo di nani dovrebbe trovarsi qui a Pontelagolungo, sennò? Oh, ma probabilmente tu sei troppo giovane per ricordare …»
Ana ci mise qualche secondo per capire. La parola “profezia” solleticava qualcosa nella sua memoria, ma non riusciva a ricordare che cosa. Alla fine, però, nella sua testa si accese come una fiammella.
Il signore delle argentee fonti, il re delle rocce scavate …
Era una vecchia filastrocca che veniva insegnata a tutti i bambini di Pontelagolungo fin da piccolissimi, ma Ana sapeva che tra i più anziani girava la voce che si trattasse di una profezia sul ritorno del legittimo erede al trono del regno dei nani.
Il re che sta sotto il monte riavrà le cose a lui strappate …
Nessuno credeva più davvero a quella storia, ormai, ma i vecchi la evocavano ancora davanti al fuoco nelle sere d’inverno, facendo rabbrividire i bambini più piccoli per il suo lugubre finale.
«Hilda» disse Ana in tono ragionevole «è solo una vecchia storia. Voglio dire» e qui abbassò istintivamente la voce «se veramente c’è un drago in quella Montagna … a chi verrebbe in mente di andare a svegliarlo?»
Hilda sbuffò. «Vedo che non sai nulla sulla testardaggine dei nani e sul loro amore smodato per le ricchezze.»
«Senti, probabilmente quei nani erano solo …» ripensò a quello che le aveva raccontato Bard «… mercanti o … giocattolai di passaggio da queste parti. Non credo ci sia bisogno di scomodare vecchie filastrocche per bambini per spiegare quello che è successo stamattina.»
«Vallo a spiegare alla gente di questa città, mia cara! Si sentono già bisbigli eccitati riguardo al tesoro dentro alla Montagna e alla parte che potrebbe toccare a Pontelagolungo!»
«La gente di questa città crederebbe a qualsiasi favola che possa farle dimenticare per un attimo lo squallore in cui vive» replicò Ana amaramente. «Anche che dei semplici nani di passaggio siano degli eroi venuti a salvarli.»
Hilda sospirò e fissò corrucciata la sua tazza, come se potesse darle delle risposte. «Sarà» ribatté scettica, «ma non ne sono troppo convinta. Beh, ma se ne sono andati, questo è l’importante! Parliamo d’altro e non pensiamoci più. Dimmi, come sta andando il tuo giro di consegne?»
Ana trasse un breve respiro di sollievo. Era riuscita a sviare il discorso su un terreno più sicuro, finalmente.
«Abbastanza bene» rispose. «Anche se in realtà sono riuscita a passare soltanto da casa di Bard, per adesso.»
«L’ho visto stamattina al mercato, è stato maledettamente bravo con quell’idiota di Braga! Gli ha proprio dato il benservito!» ridacchiò Hilda. «Come sta?»
«Oh, benone» rispose Ana evasiva. «Soltanto un po’ … stanco, suppongo.»
La donna sospirò e scrollò la criniera di capelli crespi. «Quell’uomo dovrebbe risposarsi. Con tre figli a cui badare, quello che gli serve più di ogni altra cosa è una moglie.»
Ana arrossì e si schiarì la voce, sperando che la scarsità di luce nella stanza fosse sufficiente per nascondere l’improvviso rossore che le era appena divampato dalle parti delle orecchie. «Oh, io … non credo che lui sia molto interessato alla cosa» disse con finta noncuranza. «Voglio dire, la morte di Rhaella è stata davvero un brutto colpo per lui.»
«Oh, non ne dubito, cara, ma sono passati otto anni. E di certo negli ultimi tempi ha trovato il modo di tirarsi su il morale!» ribatté Hilda concludendo la frase con un’eloquente alzata di sopracciglia.
Ana, per la seconda volta nel giro di pochi minuti, la fissò confusa. «Che intendi esattamente?»
Hilda si guardò rapidamente intorno, come se temesse che qualcuno potesse sentirla, poi si sistemò meglio sulla sedia con aria compiaciuta. Era chiaro che non stava più nella pelle dall’impazienza di spiattellare tutto quanto …
«Niente di sicuro» rivelò sottovoce, con aria cospiratrice. «Ma pare che anche lui abbia contribuito ad aggiungere un paio di corna sulla zucca vuota di Braga».
La sensazione di Ana fu quella di qualcuno a cui improvvisamente avessero tolto il pavimento da sotto i piedi. Avvertì una strana sensazione di vuoto allo stomaco, e improvvisamente la casa di Hilda cominciò a non sembrare più così accogliente.
«La … la moglie di Braga, dici?» chiese, e si sorprese nel sentire la propria voce così roca. «Ne sei sicura?»
«Beh, non l’ha detto esplicitamente, stamattina al mercato, ma l’ha lasciato intendere» si strinse nelle spalle Hilda. «Anche se forse, a pensarci bene, era solo un modo per confondere quell’imbecille e farlo sloggiare. In ogni caso, ti stupiresti?»
Ana deglutì e si sistemò senza motivo i capelli sulla fronte. «Io … lo sai che preferisco non immischiarmi in queste cose, Hilda» rispose cercando di nascondere il suo turbamento.
La donna sembrò rendersi conto di essersi spinta un po’ troppo oltre con i pettegolezzi, e interpretò il tono di Ana come un semplice rifiuto di immischiarsi nelle faccende altrui.
«Hai ragione, cara, non sono affari nostri. Ma bevi, bevi il tuo tè, santo cielo! Non vorrai lasciare che si raffreddi!»
Rimasero a parlare un altro buon quarto d’ora, durante il quale Ana sentì meno della metà di quello che Hilda le stava dicendo. Continuava a distrarsi e a fissare il vuoto con aria assente, cercando di mitigare a forza di sorsi di tè la sensazione fastidiosa che provava alla bocca dello stomaco, tanto che, alla fine, la sua ospite si vide costretta a chiederle con aria preoccupata se stesse bene.
«Sto benissimo, Hilda» si sforzò di sorridere. «Sono solo un po’ stanca. Ho cucito tutta la notte e gran parte della mattina, avevo un sacco di lavoro da fare. Anzi,» aggiunse poggiando la tazza ormai vuota sul tavolo da pranzo e alzandosi «temo proprio che adesso dovrò riprendere il mio giro di consegne.»
Aveva la strana sensazione che non sarebbe riuscita a rimanere in quella stanza un minuto di più. Improvvisamente, quello che all’inizio le era sembrato un piacevole tepore adesso le pareva un caldo soffocante.
«Ma certo, non voglio trattenerti più del dovuto» disse Hilda, alzandosi a sua volta. «Oh, quasi dimenticavo!» aggiunse, dirigendosi verso la credenza. Ne trasse fuori delle monete di bronzo e un sacchetto di tela da cui proveniva un piacevole profumo.
«Questi sono per i vestiti» disse mettendole tutto in mano. «E porta questo a tua madre. Lenirà un po’ il dolore alle gambe e alle mani … anche se non lo farà sparire del tutto, temo.»
Ana sorrise e la strinse in un abbraccio. Hilda sapeva essere un po’ pettegola, quando ci si metteva, ma era una brava donna.
Quando uscì di nuovo in strada, l’aria era diventata, se possibile, ancora più fredda e umida, ma Ana quasi non se ne rese conto. Aveva sperato che un tè caldo e quattro chiacchiere con Hilda potessero aiutarla a placare la tensione, e invece si ritrovava più inquieta di quando era arrivata. Così tanti pensieri le turbinavano in testa, e così tante sensazioni le si agitavano dentro, che per qualche minuto camminò per le strade senza avere la minima idea di dove stesse andando.
La cosa che le dava più da pensare era la faccenda dei nani. Si chiese se nella storia della profezia evocata da Hilda e passata di bocca in bocca per tutta Pontelagolungo – persino adesso poteva vedere pescivendoli e fabbricanti di reti bisbigliare eccitati fra loro – potesse esserci qualcosa di vero. In fondo nessuno, nemmeno Bard, sapeva per certo chi fossero veramente quei nani, e loro si erano guardati bene dallo scendere nei dettagli riguardo alle loro intenzioni …
“E’ solo una stupida vecchia storia, Ana!” si ripeté per l’ennesima volta, quasi arrabbiata con se stessa. “A nessuno, nemmeno alla più avida delle creature della Terra di Mezzo, passerebbe mai per la testa di affrontare quel drago, sempre che in quella montagna ci sia ancora un drago da affrontare!”
Ana era sempre stata una persona razionale e di buon senso. A volte, forse, fin troppo. Credere a vecchie leggende solo per l’ingenua e inerte speranza che qualcuno piovesse dal cielo per risollevare le sorti di quella disgraziata città non era proprio nella sua natura. Eppure …
Liquidò stizzita le sue incertezze dandosi della stupida. Si stava logorando per niente! Probabilmente a quell’ora i nani erano già ripartiti per chissà dove e avevano abbandonato la casa di Bard, togliendo per sempre il disturbo!
Bard …
Si rese conto troppo tardi di essere scivolata su un terreno ancora più insidioso. Per quanto cercasse di non pensarci, le allusioni di Hilda su di lui continuavano a tormentarla, provocandole un malessere di cui non riusciva a spiegarsi la ragione. Bard, in fondo, era un uomo adulto, e per quanto profondamente potesse aver amato Rhaella, era naturale che dopo otto anni potesse aver sentito il bisogno di calore femminile. Ma Ana conosceva la moglie di Braga: era una donna non più giovane anche se con ancora un vago sentore dell’antica bellezza, a cui piaceva ostentare davanti a tutti quella sua poca ricchezza in più dovuta alla posizione del marito, nonché intrattenersi “amichevolmente” con altri uomini mentre Braga era fuori casa. La sembrava impossibile che Bard avesse potuto provare attrazione anche solo per l’unghia del piede di una donna del genere. Ma allora le sue parole al mercato? Hilda aveva forse sentito male? Magari, nella confusione …
Non sono affari tuoi, Ana, per l’amor del cielo!
Non aveva alcun diritto di soffermarsi su pensieri del genere. Bard poteva portarsi a letto chi gli pareva, e lei aveva cose ben più importanti a cui pensare in quel momento! Che razza di figlia era se, mentre i suoi genitori pativano la fame, lei perdeva tempo ad arrovellarsi il cervello su voci e pettegolezzi? Si sforzò di fare mente locale sui vestiti ancora da consegnare e mise un passo davanti all’altro con più decisione, determinata a portare a termine i suoi doveri senza farsi distrarre.
Fortunatamente, per il resto del pomeriggio riuscì a conseguire il suo proposito senza troppa difficoltà: le case da visitare erano ancora molte, e in una di esse le fu chiesto persino di badare a due bambini piccoli mentre la loro madre andava al palazzo del Governatore per ritirare la biancheria da lavare. Fu un pomeriggio stancante, ma tutto sommato, mentre tornava verso casa infreddolita e con i piedi doloranti, mentre già le prime ombre della sera arrivavano a scurire le acque del fiume, poté ritenersi soddisfatta. La cesta dei vestiti era di nuovo piena di capi da rammendare (cosa che le avrebbe assicurato qualche guadagno per i giorni seguenti), la tasca della veste era piacevolmente pesante per via della discreta quantità di monete, e dal braccio destro le pendeva una sporta con dentro pesce e verdure per la cena di quella sera.
Quando finalmente aprì la porta di casa e varcò la soglia, i nani, la profezia, Bard, persino Oswyn, non erano più che sbiaditi e fiacchi pensieri relegati in un angolo remoto della sua mente. In quel momento l’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era un’indicibile, immensa stanchezza.
«Bentornata, figliola» la accolse suo padre, con i piedi allungati vicino al debole fuoco che illuminava la stanza. Fino a quella sera tardi, non sarebbe dovuto tornare al suo posto di guardia. «Hai chiesto a Bard un po’ di quel pesce di cui ti avevo parlato?»
Ana sospirò e si passò una mano sulla fronte. Diamine. Con tutto quel trambusto se ne era completamente dimenticata.
«Ehm … credo che se ne sia sbarazzato cedendolo a qualcun altro» buttò lì, per evitare domande indiscrete. «Ma al mercato sono riuscita a trovarne un po’. Non sarà freschissimo, ma almeno è qualcosa. Come sta la mamma?»
«Sempre piuttosto debole, ma mentre sei stata via ha tossito molto meno.» 
Ana fu sollevata dalla notizia. I momenti “buoni” di sua madre non capitavano di frequente, negli ultimi tempi.
«Comincio subito a pulire il pesce» annunciò a suo padre «così potremo cenare prima che tu torni al tuo lavoro.»
In confronto alla giornata appena trascorsa, occuparsi della cena fu quasi rilassante per Ana. Raccontò a suo padre un paio di buffi aneddoti sui bambini a cui aveva fatto da balia quel pomeriggio, ridacchiò mentre lui borbottava riguardo all’ennesimo battibecco che aveva avuto con Miriel (che, benché malata, aveva mantenuto il suo solito caratterino), e mentre il profumo del pesce arrostito si spandeva per casa si ritrovò quasi a provare una sensazione di benessere. Cenarono in un clima di relativa tranquillità, e Ana fu contenta di trovare sua madre più vivace e sorridente del solito quando entrò in camera sua per portarle la cena e gli impacchi di erbe che le aveva raccomandato Hilda.
Stava giusto per sedersi al suo solito posto per cominciare il suo lavoro di rammendo – in attesa del momento in cui la stanchezza sarebbe giunta a sopraffarla costringendola ad andare a letto – quando dei nervosi colpi alla porta ruppero il silenzio della casa. Ana e suo padre si scambiarono uno sguardo perplesso, poi l’uomo si alzò dalla sua poltrona soffocando un gemito affaticato e si diresse verso l’ingresso.
«Chi mai può essere a quest’ora?» borbottò, le folte sopracciglia grigiastre aggrottate. Aprì la porta, e un alito di aria fredda si insinuò all’interno, facendo rabbrividire Ana. Fu quello che sentì pochi secondi dopo, tuttavia, a farle alzare di scatto la testa dal cappotto che stava rammendando.
«Oh, Bard!» esclamò suo padre con voce allegra, togliendosi la pipa di bocca. «Piacere di vederti! Posso fare qualcosa per te?»
Bard?
Che diamine ci faceva lì a quell’ora?
«Ciao, Percy .» Non poteva vederlo in faccia, ma la sua voce le arrivò vibrante di tensione. «C’è Ana?»
Suo padre si voltò a guardarla, disorientato. Era chiaro che non capiva il significato di quella richiesta a quell’ora della sera. «Sì …» rispose, titubante. «E’ … tutto a posto?»
«Nulla di grave. Devo soltanto riferirle alcune cose da parte di Sigrid riguardo al … al vestito che le ha portato stamattina.»
Ana posò cappotto, ago e filo sulla sedia e si diresse verso la porta. Non aveva creduto nemmeno per un secondo alla storia del vestito, ma sperava che suo padre se la fosse bevuta. Con uno strano presentimento che le serrava lo stomaco, raggiunse Percy sulla porta. Bard indossava ancora i vestiti con cui l’aveva lasciato quella mattina, il suo viso era visibilmente tirato e i suoi occhi inquieti.
«Posso parlarti?» le chiese, una chiara nota di urgenza nella voce.
«Certo …»
Approfittando del fatto che Percy era rientrato in casa e si stava sistemando di nuovo sulla poltrona, la prese per un gomito e la trascinò fuori.
«E’ successo qualcosa?» bisbigliò Ana, quando furono al riparo da orecchie indiscrete.
Bard fissò su di lei uno sguardo atterrito. Sembrava ancora più sconvolto di quando Ana, quella mattina, era piombata all’improvviso in casa sua.
«Devi aiutarmi» rispose in un soffio, senza preamboli. «I nani sono spariti.»
 
 

 
 
 
 





ANGOLO AUTRICE

Ssssssalve a tutti e ben ritrovati! Come al solito vorrei cominciare ringraziando tutte coloro che hanno recensito e che hanno aggiunto la storia alle seguite/preferite/ricordate, siete veramente tantissime!
Per proseguire … Come vi è sembrato questo capitolo? In effetti non succede granché, il bello arriva nell’ultima scena, ma mi sembrava giusto fornire altro materiale per angst e pippe mentali (visto che, giustamente non ce n’era abbastanza). Il personaggio del film di cui vi avevo preannunciato la comparsa nel capitolo precedente, come avrete capito, non è altri che Hilda, ovvero la donna che al mercato di Pontelagolungo vende erbe tra cui l’athelas (e tra l’altro fa cadere un vaso in testa a una guardia), nonché la tizia che nel terzo film infama pesantemente il nostro Alfrid Leccasputo XD Mi sembrava una personaggio interessante, così ho deciso di farla interagire con Ana per inserire ancora di più la protagonista all’interno dell’ambiente di Pontelagolungo! Tra l’altro, notare l’immensa paraculaggine di Ana quando fa finta di non sapere nulla riguardo ai nani XD
Insomma, per farla breve spero che questo capitolo vi sia piaciuto quanto gli altri! Dal prossimo le cose dovrebbero iniziare a movimentarsi un po’: spero di riuscire ad aggiornare nei tempi stabiliti, ovvero domenica prossima, altrimenti cercherò di farlo il prima possibile.
A prestissimo!

MrsBlack90


P.S. A chi interessasse essere sempre aggiornato sulle mie storie, vi inserisco il link della pagina facebook dedicata al mio profilo EFP. 
 
 

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


IV.
 


Per un attimo, Ana sembrò vacillare.
«Che cosa?» domandò, fissandolo attonita. «Che vuol dire spariti
Bard sospirò e si passò una mano sul viso. Era ad un passo dal farsi sopraffare dal panico, ma sapeva che non poteva permetterselo. Doveva restare lucido.
«Mi sono assentato da casa per un po’» spiegò «e quando sono tornato se n’erano andati.»
Ancora non riusciva a credere di essere stato così stupido. Come aveva potuto pensare che sarebbero stati lì buoni buoni a farsi bastare gaffe, arpioni e mazzapicchi, e non avrebbero cercato di procurarsi da soli delle vere armi? Come aveva potuto pensare che Bain e la ragazze sarebbero riusciti a tenere testa a tredici nani più uno hobbit, impedendo loro di uscire di casa? Sarebbe dovuto rimanere, non avrebbe mai dovuto lasciarli soli …
Eppure, non aveva potuto farne a meno. Quel nome, il nome del capo della compagnia, sfuggito di bocca a Balin senza volerlo, continuava a martellargli nella testa, ossessionandolo.
Thorin.
Thorin.
Thorin …

Non era riuscito a capire, all’inizio, perché smuovesse qualcosa nei recessi della sua memoria, perché gli suonasse tanto familiare ed evocasse immagini della sua infanzia, di fredde sere d’inverno e di storie raccontate da sua nonna davanti al fuoco. Era stato solo quando, folgorato da un’idea improvvisa, era corso nel negozio di Cheld e aveva trovato il pezzo mancante del mosaico, che finalmente era riuscito a dare un senso a ciò che era successo quella mattina.
Vide Ana passarsi una mano tra i capelli e inspirare a fondo, cercando di mettere in ordine le idee, e per un attimo si pentì di essere venuto a cercarla. Per la seconda volta nell’arco di quella giornata, la stava coinvolgendo in qualcosa da cui avrebbe fatto molto meglio a lasciarla fuori. Ma aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a cercare quei nani, e Ana era l’unica a cui poteva rivolgersi.
«D’accordo» disse finalmente la ragazza. «Cerchiamo di ragionare. Non possono essere usciti dalla città senza l’aiuto di qualcuno, ci sono guardie ad ogni ingresso. Hai idea di dove possano essere andati?»
Bard si guardò intorno nervosamente. Purtroppo, aveva un’idea abbastanza precisa al riguardo. «Spero di sbagliarmi» rispose in un soffio. «Ma credo che siano diretti all’armeria.»
Ana lo fissò a lungo, come se cercasse di capire se diceva sul serio oppure no. «E cosa te lo fa pensare?» chiese alla fine.
Bard chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Doveva dirglielo, non c’erano alternative.
«Il compito per il quale mi hanno pagato non consisteva solamente nel farli entrare in città di nascosto» spiegò a mezza voce, evitando il suo sguardo. «Dovevo anche … procurare loro delle armi. Tutto ciò che sono riuscito a trovare sono stati arpioni, mazzapicchi e qualcos’altro messo insieme alla meglio con arnesi da pesca, ma a quanto pare non le hanno trovate di loro gradimento. Sono uscito di casa per una mezz’ora, e quando sono tornato non c’erano più.»
«Aspetta un attimo, aspetta un attimo!» lo interruppe Ana, sconcertata, cercando di non alzare troppo la voce. «Armi, hai detto? Perché stamattina non me ne hai parlato?»
«Perché non volevo turbarti, mi sembra evidente!»
«Certo! Infatti adesso che l’ho scoperto in questo modo mi sento molto più tranquilla!» Sospirò, ma più che arrabbiata sembrava rassegnata. «Aspetta qui» bisbigliò rientrando in casa.
Bard la guardò sparire dentro lo spiraglio di luce giallastra della porta socchiusa, e subito dopo la sentì parlottare con Percy con il tono di voce più tranquillo e normale possibile. Captò qualche parola simile a “vestito”, “troppo lungo” e “casa di Bard”, poi poté udirla distintamente dire: «Non ci metterò molto, tornerò prima che tu te ne vada.»
Dopo qualche secondo Ana uscì di nuovo nella penombra della sera, il mantello avvolto intorno alle spalle e un berretto calcato sulla testa per proteggersi dal freddo pungente.
«Forza, andiamo» lo incitò sottovoce.
L’ondata di gratitudine che dilagò nel petto di Bard, unita ad un altrettanto acuto senso di colpa, fu tale che non riuscì nemmeno a trovare le parole per rispondere. Si limitò a seguirla in silenzio lungo la strada che costeggiava il canale e poi attraverso il ponte, al di sopra del cupo sciabordio dell’acqua ormai ridotta ad una gelida massa scura.
Camminarono fianco a fianco per diversi minuti senza scambiarsi neanche una parola, con soltanto il rumore sordo dei loro passi a spezzare il silenzio carico di tensione che era calato tra di loro. I loro respiri si condensavano in piccole nuvolette, e nell’aria cominciava ad avvertirsi un vago sentore di neve.
Raggiunti i confini della zona residenziale sud, quella in cui viveva Ana con la sua famiglia, Bard fece cenno di svoltare a sinistra e dirigersi verso ovest. Avrebbe allungato un po’ il tragitto per arrivare all’armeria, ma voleva evitare a tutti i costi di tagliare per la piazza del municipio: davanti al palazzo del Governatore ci sarebbero state sicuramente delle guardie di ronda, e l’ultima cosa che desiderava era farsi vedere in giro a quell’ora insolita.
Stavano per attraversare un incrocio, quando Bard si bloccò di colpo e fece scattare il braccio teso verso sinistra, davanti ad Ana. Delle voci e dei passi venivano verso di loro da una delle strade alla loro destra, echeggiando sinistramente nella penombra. Bard rispose allo sguardo interrogativo di Ana premendosi silenziosamente il dito indice sulla labbra, e le fece cenno di attendere.
«Dobbiamo muoverci con discrezione» le spiegò sottovoce una volta che le voci, poi rivelatesi quelle di tre semplici passanti, li ebbero superati e si furono allontanate. «Il Governatore aspetta solo un pretesto per farmi arrestare. Sono riuscito a passare sotto il naso delle spie che controllano casa mia per pura fortuna.»
Ana annuì in silenzio, ma dallo sguardo che gli lanciò sembrava turbata. Forse stava iniziando solo in quel momento a rendersi conto di quanto fosse acuta l’ostilità del Governatore nei suoi confronti, di quanto alto fosse il rischio che correva.
Mentre costeggiavano il canale grande, tenendosi il più possibile vicino alle case per confondersi con le ombre, Bard si ritrovò a respirare più liberamente rispetto a qualche minuto prima. La presenza familiare di Ana riusciva sempre a tranquillizzarlo, e anche questa volta non era stata da meno: il cuore non sbatacchiava più così insistentemente nel petto, e la tensione che gli irrigidiva il collo sembrava essersi allentata. Sbirciò con la coda dell’occhio in direzione di Ana e la osservò di sottecchi camminare al suo fianco in silenzio, le sopracciglia aggrottate e il passo deciso. Per l’ennesima volta, si stupì dell’effetto benefico che quella ragazza aveva su di lui: era ancora preoccupato per i guai che quei nani avrebbero potuto portare, ma la sensazione di puro panico che aveva provato quando era uscito di casa perlomeno adesso era sparita.
«Queste armi di cui parli …» esordì Ana sottovoce, spezzando il silenzio. «A cosa dovrebbero servire, esattamente?»
Bard deglutì. Non le aveva ancora raccontato tutto quello che sapeva, ma sentiva che adesso era il momento di farlo. Glielo doveva. Stava mettendo a rischio la sua incolumità per aiutarlo.
«C’è qualcosa che devi sapere» rispose lentamente, la faccia scura. «Il loro capo, il nano dai lunghi capelli scuri … beh, uno degli altri si è fatto sfuggire il suo nome.» Fece una pausa, stringendo i denti. «Si chiama Thorin. Ti dice niente?»
Ana aggrottò le sopracciglia scure e per qualche secondo parve riflettere. «No, non direi …» rispose alla fine, perplessa. «Dovrebbe?»
«Non riuscivo a liberarmi dalla sensazione di averlo già sentito,» continuò Bard, scrutando ansiosamente ogni angolo buio per paura di imbattersi in qualche brutto incontro «così sono andato da Cheld e ho cercato un vecchio arazzo che ricordavo di aver visto tempo fa, che raffigurava la genealogia degli eredi di Durin.» Si voltò per fissarla intensamente negli occhi. «L’ultimo nome della discendenza è Thorin, Ana.»
Vide gli occhi verdi della ragazza allargarsi per la sorpresa e la sua bocca aprirsi leggermente. Il ritmo del suo respiro aumentò sensibilmente sotto la stoffa del mantello, e per Bard non ci furono dubbi che avesse capito perfettamente a cosa si riferiva.
«Quindi … quindi è vero» balbettò Ana, senza riuscire a smettere di fissarlo incredula. «La profezia … Credevo che fosse soltanto una vecchia storia per spaventare i bambini!»
«Lo pensavo anche io» rispose Bard cupo. «E, credimi, non ho mai desiderato tanto sbagliarmi come in questo momento.»
Ana tacque per diversi secondi, tornando a fissare lo sguardo dritto davanti a sé. Bard capì che stava cercando di assimilare come meglio poteva quello che aveva appena sentito, e che la sua mente rifletteva febbrilmente su quali avrebbero potuto essere le possibili conseguenze. Lui, purtroppo, le aveva fin troppo chiare, e il solo pensiero lo faceva sprofondare in un orrore tale da togliergli il respiro.
Ma tutto si disferà con tristezza, e il lago brillerà e brucerà.
Strinse ancora una volta i denti e contrasse un pugno, sperando che il suo turbamento non trasparisse troppo all’esterno. Fortunatamente, quando si voltò di nuovo, il volto di Ana aveva recuperato la stessa durezza e la stessa determinazione di quando era uscita di casa per seguirlo in quell’impresa folle. Se aveva paura, di certo non lo dava a vedere, e Bard si rese conto che non avrebbe mai ammirato abbastanza la sua fermezza e il suo sangue freddo. Non aveva mai conosciuto nessuna donna come lei. Mai.
Superarono il ponte e si addentrarono nel quartiere dei mercanti a nord della città senza essere ancora incappati in nessun inconveniente. A quell’ora le strade, complice il freddo gelido della sera, erano pressoché deserte: la maggior parte delle persone era chiusa in casa a consumare un misero pasto davanti al fuoco, oppure in qualche taverna a scaldarsi con uno o due bicchieri di vino forte, perciò fu abbastanza facile attraversare buona parte della città passando inosservati. Avrebbero dovuto camminare ancora un po’, prima di arrivare all’armeria, e allora sarebbe cominciata la parte difficile: l’edificio, infatti, ospitava anche il quartier generale e gli alloggi delle guardie di Pontelagolungo, e i dintorni sarebbero brulicati di uomini armati.
«Che cosa ti fa pensare che potrei aiutarti a riportarli a casa?» bisbigliò all’improvviso Ana mentre si aggiravano tra il labirinto di case. «Noi siamo solo due, loro sono quattordici. E piuttosto determinati, mi è parso di capire.»
Era una domanda sensata, a cui Bard non era sicuro di saper rispondere. Non aveva idea del perché, appena scoperto che i nani erano scappati, aveva deciso di andare da Ana. Sapeva solo che il suo viso gli si era materializzato davanti e che i piedi l’avevano portato istintivamente a casa sua, come se sapessero che era la cosa giusta da fare. Forse aveva soltanto bisogno di un contatto umano, di qualcosa che lo rassicurasse e gli facesse credere che quella cosa sarebbe ancora potuta finire bene. Perché, al momento, non ne era affatto sicuro.
«Può darsi che in due riusciremo a convincerli a desistere» azzardò, ma persino alle sue orecchie il tono non suonò troppo convinto.
Ana gli rivolse una breve occhiata accompagnata da un sorriso sghembo. «Sono lusingata» disse, ironica. «Non sapevo che tu mi ritenessi in possesso di tali doti diplomatiche.»
«Chiunque riesca a sedare una lite tra i miei figli deve avere per forza uno spiccato senso della diplomazia» replicò Bard.
Per una frazione di secondo i loro sguardi si incrociarono, e le labbra di entrambi di piegarono in un sorriso divertito. Bard sentì il suono di una risata sommessa emergere pian piano dalla gola di Ana, che camminava ancora al suo fianco a passo svelto. Le fu grato di quel momento di leggerezza sopraggiunto a spezzare la tensione: per un breve, meraviglioso attimo riuscì persino a dimenticare il motivo per cui si trovavano in giro per la città a quell’ora tarda; per un attimo i nani, l’armeria, la profezia, le guardie e il pericolo incombente sparirono, e ci furono soltanto lui e Ana che passeggiavano fianco a fianco in una sera d’inverno, ridendo e crogiolandosi nella familiare sicurezza della reciproca compagnia.
Poi, improvvisamente, il presente tornò. Un rumore di passi pensanti in avvicinamento squarciò brutalmente la bolla di momentanea tranquillità che si erano costruiti intorno, facendolo tornare vigile e all’erta. Ana invece sembrava non essersi accorta di nulla, perché, ancora con una lieve risata che le aleggiava sul viso, sia accingeva a oltrepassare l’angolo dell’edificio che stavano costeggiando.
Successe tutto in meno di un battito di ciglia. Il braccio di Bard si mosse quasi di sua spontanea volontà, andando ad afferrare la ragazza e tirandola energicamente indietro, verso di sé, nell’ombra. Si ritrovarono schiacciati contro il muro della casa, il cuore che rimbombava loro nelle orecchie, mentre un manipolo di guardie spuntava da dietro l’angolo. Ci fu un terribile attimo in cui Bard, sicuro che li avrebbero visti, strinse spasmodicamente gli occhi e attese l’ineluttabile momento in cui avrebbe sentito il silenzio squarciato dal grido di allarme. Ma il buio sembrò nasconderli bene, perché i soldati passarono oltre senza voltarsi, ignari della loro presenza, e si allontanarono lungo la strada, verso ovest, per continuare il loro giro di pattuglia. Bard e Ana non si mossero subito. Rimasero immobili ancora per diversi secondi, osando a malapena respirare, mentre i passi delle guardi si facevano sempre più lontani e indistinti, fino a scomparire. Solo quando intorno a loro calò di nuovo il silenzio più completo, e i soli rumori udibili furono lo sciacquio dell’acqua e il cigolare delle barche nel canale poco lontano, Bard si azzardò finalmente ad aprire gli occhi. Il senso della realtà si abbatté su di lui di colpo, e si rese conto solo in quel momento che stava tenendo Ana stretta contro il suo fianco, un braccio avvolto intorno alla sua vita sottile per impedirle di muoversi. Le mani della ragazza stringevano ancora spasmodicamente i lembi del suo cappotto sdrucito, e il suo viso era affondato sulla sua spalla, forse nel tentativo di attutire il rumore del suo respiro spaventato. L’intimità di quel contatto, il calore del corpo di Ana contro il suo, turbarono Bard più di quanto si sarebbe aspettato. Per un attimo, gli parve che la semplice azione di immettere aria nei polmoni fosse diventata difficilissima, e fu sorpreso quando sentì che il suo cuore, invece che rallentare pian piano la sua corsa per il sollievo dello scampato pericolo, continuava a pulsare furiosamente nel petto. Incontrò lo sguardo di Ana, il viso a poca distanza dal suo, e lesse nei suoi occhi lo stesso sconcerto che lui stava provando in quel momento. Rimasero a guardarsi per un attimo, troppo imbarazzati per muovere un solo muscolo, ma poi le mani di Ana lasciarono bruscamente il suo cappotto e la ragazza si staccò da lui come scottata.
«Se ne sono andati» osservò, evitando il suo sguardo e muovendo un paio di passi indietro. «Forse dovremmo proseguire.»
Bard si disse d’accordo. Notò che le guance e le orecchie della ragazza erano diventate rosso porpora, e si maledì per averla stretta così forte. La paura di essere scoperti l’aveva reso a malapena cosciente di quello che faceva, la necessità di proteggere lei e se stesso l’avevano spinto ad agire istintivamente. E tuttavia non poteva ignorare come si era sentito quando se l’era ritrovata così vicina, quando aveva alzato su di lui i suoi occhi verdi. Le reazioni del suo corpo a quel contatto l’avevano spaventato, perché non credeva di poter ancora provare sensazioni del genere. Non dopo otto anni. Non con quell’intensità. Non per Ana.
Si passò una mano sul viso e si apprestò a seguirla, sbattendo ripetutamente le palpebre come se cercasse di svegliarsi da un sogno. Doveva rimanere lucido. Non poteva permettersi di abbassare la guardia, non adesso che avevano quasi raggiunto la loro meta. Gli sarebbe servita tutta la sua presenza di spirito per riportare a casa quei nani, e soffermarsi su quei pensieri non l’avrebbe certo aiutato.
Proprio in quel momento, come se l’avesse evocata, la sagoma del quartier generale delle guardie, con la sua torre massiccia che svettava al di sopra dei tetti delle case, iniziò a stagliasi contro il cielo scuro. I loro movimenti si fecero, se possibile, ancora più cauti e guardinghi. Bard notò che Ana, adesso,  sembrava molto più nervosa. L’incontro con quelle guardie doveva averla spaventata, perché continuava a guardarsi intorno con aria inquieta, voltandosi di scatto a ogni fruscio.
In breve riuscirono ad arrivare in vista dell’entrata principale dell’edificio. Era presidiata da due guardie immobili ai lati della porta, mentre altri soldati stazionavano a gruppetti nello spiazzo antistante, chiacchierando tra sé e ridacchiando, alcuni in attesa di iniziare il loro turno di pattuglia e altri in procinto di andarsene a dormire. Bard deglutì, la sicurezza che iniziava seriamente a vacillare. Avrebbero dovuto muoversi nel più totale silenzio, se non volevano attirare l’attenzione, e visto il temperamento dei nani, dubitava che sarebbero stati in grado di raggiungere lo scopo. Ma dovevano almeno tentare.
Fece cenno ad Ana di seguirlo senza fare il minimo rumore, e si diresse verso destra, allontanandosi dalla parte anteriore del quartier generale. Aggirarono l’edificio, cercando di tenersi il più possibile nascosti nelle ombre delle case circostanti e sobbalzando ogni volta che un rumore insolito arrivava a rompere il silenzio, certi che da un momento all’altro sarebbe comparso un manipolo di guardie a mettere fine alla loro avventura. Incredibilmente, tuttavia, non successe niente di tutto questo, e riuscirono a raggiungere il retro dell’edificio senza incappare in nessun inconveniente.
«Bard!» sibilò Ana, tirandolo per una manica. «Guarda là!»
Bard seguì con lo sguardo la direzione indicata dal suo dito, e il cuore gli fece un balzo nella gola. Ai piedi della torretta nella quale si trovavano le stanze dell’armeria, c’era una parte del gruppo dei nani, che scrutava ansiosamente la finestra in alto come se fosse in attesa di qualcosa. Tra gli altri, Bard intravide la testa pelata e gli avambracci possenti di Dwalin, la barba bianca di Balin e la criniera bionda di Fili.
«Devono aver fatto entrare gli altri dalla finestra mentre loro rimanevano di guardia» bisbigliò. «Dobbiamo andare a parlargli, Ana. Se il resto del gruppo è già dentro, non ci rimane più molto tempo.»
La ragazza annuì e lo seguì fuori dal cerchio d’ombra delle case. Soltanto un ponte li divideva dai nani, e Bard si ritrovò improvvisamente a pensare che, forse, quella faccenda avrebbe potuto non concludersi nel modo tragico in cui se l’era figurata all’inizio. Il fatto che tra i nani rimasti di guardia ci fosse Balin lo faceva sperare: finora si era dimostrato il più saggio e il più ragionevole della compagnia, ed era stato l’unico a cercare di fa ragionare Thorin quando questi aveva rifiutato con tanto disprezzo le armi che lui gli aveva procurato.
Li sentirono arrivare quando erano ancora a metà del ponte, e subito sui loro volti si dipinse un’espressione allarmata.
«E’ il chiattaiolo!» li sentì bisbigliare tra sé, increduli. «E c’è anche la ragazza!»
«Cosa ci fanno qui?»
«Vogliono consegnarci alle guardie!»
Anche se, ad eccezione di Dwalin e Fili, non erano certo i più combattivi e i più coraggiosi del gruppo, si misero subito sulla difensiva, mostrando loro i pugni e fissandoli con aria più minacciosa possibile.
«Calmatevi!» esclamò Ana a voce più bassa possibile, allargando le braccia. «Calmatevi! Non abbiamo cattive intenzioni! Siamo venuti solo per parlare!»
I nani si scambiarono delle occhiate sospettose, ma lasciarono lo stesso che Bard e Ana attraversassero il Ponte e li raggiungessero.
«Che cosa volete?» ringhiò Dwalin quando furono più vicini, fissandoli con gli occhi scuri stretti in un’espressione feroce. «Questi non sono affari che vi riguardano!»
«Oh, io invece credo che lo siano, mastro Dwalin!» replicò aspro Bard, facendo un passo in avanti e stringendo i pugni. «Questo non rientrava nei patti!»
Sentì la mano di Ana posarsi leggermente sul suo braccio, e la vampata di rabbia che gli era montata alla testa sembrò placarsi come per magia. Capì di non essere affatto partito con il piede giusto. Se voleva riuscire a persuadere quei cocciuti di nani ad abbandonare i loro propositi, doveva mostrarsi meno ostile.
«Quello che Bard sta cercando di dirvi, è che con questo colpo di testa state mettendo a repentaglio la sicurezza di tutti» intervenne Ana in tono più conciliante, ma senza nascondere una nota di apprensione nella voce. «Vi rendete conto di quello che potrebbe succedere se vi catturassero? Quello che potrebbe succedere a Bard se scoprissero che vi ha aiutato?»
«Voi non capite!» replicò con veemenza Fili, facendosi avanti. Bard ricordò che era stato lui, quella mattina, a fare gli occhi dolci a sua figlia, e non riuscì a trattenersi dal lanciargli un’occhiata ostile. «Questo colpo di testa, come lo chiami tu, è di importanza vitale per noi!»
«Fili!» lo ammonì Balin, lanciandogli un’occhiata eloquente. Era evidente che voleva impedirgli di lasciarsi sfuggire qualsiasi informazione riguardo alla loro missione, ma quello che non sapeva è che lui e Ana erano già al corrente di tutto. La ragazza, infatti, gli lanciò una rapida occhiata significativa prima di tornare a rivolgersi ai nani.
«Non ne dubito, davvero» disse, rassicurante. «E vi chiedo scusa se ho sminuito … qualsiasi cosa stiate cercando di fare. Non era mia intenzione.»
«Ma ci sono altri modi in cui potremmo aiutarvi» intervenne Bard a darle man forte, questa volta in tono meno tagliente. «Modi meno rischiosi per voi e per noi.»
Dwalin e Fili non abbassarono lo sguardo e non smisero di fissarli con aria di sfida, ma Bard non poté fare a meno di notare le espressioni incerte che passarono come ombre negli occhi di degli altri. Evidentemente, intuì, non tutti avevano approvato fino in fondo la decisione di compiere un’azione avventata come introdursi nell’armeria di una città sconosciuta. Vide Balin fissarsi insistentemente la punta delle scarpe, e capì che dovevano battere il ferro finché era caldo. Anche Ana parve intuirlo, perché parlò loro di nuovo, l’urgenza nella voce ancora più palpabile.  
«Vi prego» li implorò «richiamate i vostri compagni e dite loro di tornare a casa di Bard, al sicuro! Troveremo un altro modo, ve lo prometto! Lasciateci solo il tempo di …»
Non ebbe il tempo di finire la frase. In quel preciso momento, un terribile frastuono proveniente dall’interno dell’armeria ruppe il silenzio, risuonando cupo nella fredda aria della sera. Bard sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene, e per diversi secondi dimenticò di respirare. Vide i nani voltarsi istintivamente verso la finestra in alto e poi scambiarsi delle occhiate sconvolte, pallidi in volto. Fu allora che capì che era finita, e che la loro ultima possibilità di arginare quella marea stava sfumando una volta per tutte.
Sentì la mano di Ana stringersi intorno al suo gomito. «Dobbiamo andarcene!» bisbigliò la ragazza allarmata, strattonandolo. «Adesso!»
Bard capì che aveva ragione. Da un momento all’altro sarebbero arrivate le guardie, e se li avessero trovati lì avrebbero potuto pensare che fossero in qualche modo coinvolti. Il che era in parte vero, ma non era certo colpa loro se quegli sconsiderati di nani si erano incaponiti nel volersi procurare a tutti i costi delle armi, contravvenendo ai patti e imbarcandosi in quell’impresa suicida. Bard non voleva avere più nulla a che fare con tutto questo. I suoi obblighi nei loro confronti, ormai, erano esauriti.
Seguì Ana lungo il ponte, correndo nella direzione da cui erano venuti, lasciandosi rapidamente alle spalle l’armeria e i nani ancora in preda al panico. Si sorprese che ancora non fossero fuggiti: evidentemente non volevano lasciare indietro i compagni che erano entrati nell’armeria, e Bard, per un breve attimo, non poté che provare ammirazione per la loro lealtà.
Raggiunsero le abitazioni al di là dello stretto canale e si schiacciarono contro il muro di una casa, nascosti nell’ombra, respirando affannosamente per la corsa e per lo spavento. Il frastuono metallico che era esploso nell’armeria echeggiava ancora nelle orecchie di Bard, mescolandosi al rumore del suo cuore martellante. Si sporse leggermente oltre il muro della casa e sbirciò verso il quartier generale, attento a non uscire troppo dall’ombra. Da lì aveva una buona visuale del retro dell’edificio, e poté assistere all’arrivo di due guardie che, proprio mentre i nani in preda al panico cercavano di scappare, bloccarono il passaggio, puntando contro di loro le lance.
Istintivamente, Bard si ritrasse e tornò a schiacciarsi contro il muro della casa, il sudore freddo che gli colava dal collo dentro i vestiti. Incontrò lo sguardo di Ana e le lesse negli occhi la sua stessa paura.
«Li hanno presi» sussurrò. «Dobbiamo allontanarci da qui, e alla svelta!»
Ana assentì, le narici dilatate nello sforzo di controllare il respiro. L’espressione di coraggiosa determinazione nei suoi occhi contrastava talmente con l’apparente delicatezza del suo viso arrossato dal freddo, che Bard, cedendo quasi senza rendersene conto all’istinto di protezione, la prese per mano e le fece cenno di seguirlo.
Nei pressi del quartier generale delle guardie, adesso, stava cominciando ad esserci un po’ di tumulto. Il frastuono proveniente dall’armeria e le grida delle guardie avevano raggiunto le orecchie di molti, e diversa gente si sporgeva dalle finestre o dagli spiragli delle porte, parlottando tra sé e lanciandosi occhiate interrogative. Bard deglutì e strinse ancora di più la mano di Ana nella sua. «Cammina come se niente fosse» le bisbigliò. «Non dobbiamo attirare l’attenzione.»
Ana gli restituì la stretta, facendogli capire che aveva sentito.
Svoltarono un paio di angoli senza incontrare nessun ostacolo, e Bard, poco a poco, sentì la tensione allentarsi, anche se i suoi sensi continuavano a rimanere all’erta.
«Se vuoi insultarmi per averti coinvolto, sappi che hai tutto il diritto di farlo» disse ad Ana a bassa voce, scrutando ansiosamente la strada che stavano percorrendo.
«Non tentarmi» lo ammonì lei in risposta, ma anche senza guardarla Bard poté avvertire l’ironia nella sua voce, e capì che stava sorridendo. Si voltò per sorriderle a sua volta, di nuovo invaso dalla gratitudine, ma proprio in quel momento delle figure armate spuntate da dietro l’angolo di una casa comparvero a sbarrare loro il cammino.
«Bene bene bene» gongolò una voce bassa, sgradevole e fin troppo familiare. «Cosa abbiamo qui?»
Bard e Ana si voltarono, lentamente. Davanti a loro, a pochi centimetri dai loro volti, c’erano le punte acuminate di quattro lance che scintillavano sinistramente nella scarsa luce della sera, e all’estremità opposta di esse c’erano altrettanti soldati che li fissavano con espressione minacciosa. Accanto a loro, Braga, il capitano delle guardie del Governatore, li squadrava con una smorfia di soddisfazione dipinta sulla brutta faccia rossastra.
«E’ un piacere rivederti dopo così poco tempo, mastro Bard» ghignò l’uomo, puntando su di lui i suoi piccoli e scintillanti occhi porcini. Bard ebbe lo sgradevole presentimento che non sarebbe stato facile districarsi da quella situazione: Braga non aveva preso molto bene le allusioni riguardo a sua moglie, quella mattina al mercato, ed era evidente che non vedeva l’ora di vendicarsi di lui.
«Il piacere è mio, Braga» rispose tuttavia, cercando di comportarsi con naturalezza. «A cosa devo questo incontro inaspettato?»
Il capitano delle guardie fece scattare lo sguardo da lui ad Ana, poi tornò a fissarlo. «C’è un motivo particolare per cui tu e la tua amica ve andate in giro per la città a quest’ora della sera?» domandò, malevolo. «Una passeggiata al chiaro di luna, forse?»
Bard, colto dall’imbarazzo, ritrasse istintivamente la mano da quella di Ana nello stesso momento in cui la ragazza ritirava veloce la sua. Restituì a Braga uno sguardo carico di astio, fissando gli occhi nei suoi con aria di sfida. «Non mi risulta che sia illegale andare in giro per le strade» gli fece notare, con voce tagliente.
La bocca di Braga si stirò in un bieco sorriso che scoprì i suoi larghi denti giallastri. «Io non ne sarei così sicuro» replicò con deliberata lentezza, godendosi ogni sillaba che stava pronunciando. «Non nel tuo caso, almeno.» Poi si rivolse agli uomini che erano con lui e ordinò in tono brusco: «Prendeteli!»
Prima che avesse il tempo di reagire in qualunque modo, i soldati gli furono addosso, bloccandogli le braccia dietro la schiena. Voltandosi, vide che stavano facendo lo stesso anche con Ana, ignorando le sue proteste e i suoi vani tentativi di ribellarsi. Avvertì una violenta sensazione di rabbia mista a nausea, quando li vide afferrare le braccia della ragazza e torcergliele dietro la schiena strappandole un’esclamazione di dolore, e per un attimo fu colto dalla tentazione di divincolarsi e atterrarli entrambi con un pugno. Tuttavia riuscì a dominarsi, comprendendo che qualunque tentativo di resistenza da parte sua avrebbe solo potuto aggravare la loro posizione.
«Non è giusto!» esclamò Ana, la voce vibrante di rabbia, fissando Braga con gli occhi verdi accesi d’ira. «Non stavamo facendo nulla di male!»
«Questo sarà il Governatore a deciderlo» stabilì il capitano, restituendole uno sguardo gelido. «Portiamoli al municipio!» abbaiò, rivolto ai suoi. «Con un po’ di fortuna, nel giro di un’ora questo miserabile sovversivo sarà a marcire in una cella!»
Bard si sentì spingere brutalmente in avanti dalle guardie che lo tenevano fermo, e non poté fare altro che obbedire, iniziando a mettere un piede davanti all’altro. Incontrò lo sguardo Ana, dove si mescolavano nella stessa misura rabbia e paura, e il senso di colpa per averla trascinata in quella follia gli piombò addosso con violenza indicibile. Cercò di farsi coraggio, pensando che era lui quello a cui il Governatore puntava veramente. Con un po’ di fortuna, avrebbe sbattuto in prigione soltanto lui, e avrebbe lasciato andare Ana. Lei non aveva motivo per essere sospettata di qualcosa, non aveva mai causato problemi, non si era mai guadagnata l’ostilità del Governatore …
Pensò ai suoi figli, che lo stavano aspettando a casa con la tavola già apparecchiata e la zuppa in caldo sul fuoco. Pensò a Bain, che probabilmente già smaniava per venirlo a cercare, a Sigrid che scrutava ansiosamente fuori dalla finestra nella speranza di vederlo arrivare, alla piccola Tilda che fissava smarrita i suoi fratelli chiedendo dove fosse papà, e si sentì serrare il cuore in una stretta dolorosa. Maledì i nani, l’argento che ancora gli tintinnava nelle tasche, e la sua stupida convinzione che avrebbe potuto arrivare fino in fondo a quella faccenda senza danneggiare nessuno.
I soldati li strattonarono ancora, spronandoli ad andare più veloci. Stavano per arrivare nei pressi della sede della corporazione dei mercanti, un edificio alto e massiccio quasi quanto il quartier generale delle guardie, con le torce esterne sempre accese e l’interno sempre illuminato per via delle riunioni che spesso si protraevano fino a tardi. E fu proprio lì, mentre passavano accanto a gruppetti di mercanti che uscivano per tornarsene a casa, e che li guardavano passare con aria perplessa, che successe l’ultima cosa che Bard si sarebbe aspettato. Da un piccolo drappello di persone riunite a chiacchierare vicino all’entrata, una voce maschile, palesemente sbalordita, si levò nella loro direzione.
- Ana! Che cosa diamine sta succedendo?






 
 
 
 
 



ANGOLO AUTRICE

Puff, puff! Rieccomi qua! A dispetto della febbre e dei suoi fastidiosi postumi, che mi hanno tenuta in ostaggio per buona parte del fine settimana, sono riuscita ad aggiornare nei tempi stabiliti. Come avrete visto, le cose cominciano a movimentarsi un po’! L’idea per questo capitolo mi è venuta pensando che Ana, a parte i figli di Bard, era l’unica persona che fosse a conoscenza della faccenda dei nani, e quindi anche l’unica persona a cui lui avrebbe potuto rivolgersi in un momento di difficoltà. Inoltre ho notato che nel film, tra il momento in cui Bard scopre che i nani sono spariti e quello in cui ricompare nella piazza principale a litigare con Thorin, c’è un lasso di tempo in cui non sappiamo dove vada né cosa faccia, e quindi ho pesato che fosse plausibile che fosse andato a cercarli per cercare di mettere una pezza al disastro. Se vi è sembrato che la storia stia prendendo una piega diversa da quella del film, comunque, vorrei tranquillizzarvi: nel prossimo capitolo provvederò a riportarla nei “binari” giusti” ;) Ci tenevo anche a fare una precisazione a proposito del capitolo precedente: la scena tra Bard e Braga al mercato (la scena che Hilda racconta ad Ana e che scatena la gelosia della ragazza, quella in cui si allude al fatto che forse Bard potrebbe essere stato con la moglie di Braga) si trova nell’edizione estesa di DoS, quindi può darsi che alcune di voi, se non l’hanno vista, possano non aver capito di quale scena si stava parlando. Se è successo mi scuso davvero, ma ero convinta che quella scena ci fosse anche nell’edizione normale del film :/
Concludo questo poema sperando che il capitolo vi sia piaciuto! Tenetevi forte, perché dal prossimo capitolo le cose potrebbero iniziare a farsi interessanti ;-) Spero di riuscire ad aggiornare come al solito tra una settimana, ma forse questa volta la cosa potrebbe essere un po’ più complicata; in ogni caso, spero di farcela il prima possibile!
Alla prossima, e grazie a tutti coloro che hanno recensito o messo la storia tra le preferite/ricordate!


MrsBlack90



 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Prima di iniziare, una piccola premessa. Innanzitutto vorrei scusarmi per il ritardo con cui ho aggiornato, ma queste due settimane sono state davvero molto impegnative. In secondo luogo, questo è solo metà del capitolo che avevo intenzione di pubblicare: stava venendo troppo lungo, e i tempi di pubblicazione si sarebbero allungati eccessivamente, così ho deciso di dividerlo in due. I colpi di scena non sono molti, è più che altro un capitolo di passaggio, ma spero che vi piaccia lo stesso … farò in modo di rimediare nel prossimo ;) :P
Non voglio tediarvi oltre, perciò … buona lettura!

 
 
 


V.


Ana non avrebbe mai creduto di poter pensare una cosa del genere, ma quando vide Oswyn venirle incontro con espressione stupita le sembrò di sentire il cuore esplodere nel petto per il sollievo. In qualsiasi altra circostanza avrebbe cercato di evitare quell’incontro, ma in quel momento il suo arrivo le apparve provvidenziale.
Il ragazzo li raggiunse e si parò loro davanti, bloccando la strada a Braga, che guidava il drappello.
«Ana!» esclamò di nuovo, fissando allibito le loro braccia bloccate dietro la schiena e le guardie armate che li accompagnavano. «Cosa significa tutto questo?»
Ana aveva già aperto la bocca per rispondere, ma il capitano delle guardie la precedette. «Li abbiamo trovati a girovagare in modo sospetto per la città» disse in tono pedante. «Li stiamo portando dal Governatore perché valuti il da farsi.»
Oswyn sbatté un paio di volte le palpebre, fissandolo attonito, poi scoppiò a ridere come se Braga avesse appena raccontato una barzelletta molto divertente. «Dal Governatore?» ripeté. «Ma … è assurdo! Sono sicuro che Ana non stava facendo nulla di male!»
«Certo che non facevamo nulla di male!» intervenne Ana in tono acido, fissando Braga con sguardo omicida. «Stavamo camminando
«Silenzio! Mastro Oswyn, vi prego di notare con chi si accompagnava la ragazza!» replicò Braga, indicando Bard con uno sprezzante cenno del capo. «Certamente saprete che Bard il chiattaiolo ha fama di essere un pericoloso e infido sovversivo!»
Alla sua sinistra, Ana scorse con la coda dell’occhio Bard ridacchiare tra sé sommessamente, scuotendo la testa. Una delle guardie che gli teneva ferme le braccia provvide subito ad assestargli una potente spallata, e lui si affrettò subito a riassumere un’espressione seria, anche se ad un angolo della bocca ad Ana parve ancora di scorgere l’ombra di un sorriso.
«Conosco la fama di quest’uomo, mastro Braga,» stava dicendo nel frattempo Oswyn «ma conosco altrettanto bene Ana, e sono sicuro che, qualunque fosse il motivo per cui si stava accompagnando a lui, fosse del tutto innocente.»
Ana, per un momento, aveva visto il volto di Oswyn sbiancare e gli occhi accendersi d’ira alla notizia che era stata trovata a camminare da sola con Bard a quell’ora della sera. Gli fu immensamente grata, perciò, quando lo vide mettere da parte la gelosia per cercare di difenderla. Avevano un disperato bisogno che qualcuno li tirasse fuori da quella situazione, e Oswyn, per quanto Ana odiasse il pensiero di doversi sentire in debito nei suoi confronti, era proprio la persona adatta per riuscirci.
Braga, tuttavia, nonostante la sua stazza notevolmente inferiore, fissò il giovanotto dal’alto in basso e disse con aria di superiorità: «Forse non siete ancora stato messo al corrente degli eventi di questa sera, signore. Poco fa un gruppo di nani, arrivati in città nessuno sa come, si è introdotto nel quartier generale delle guardie per rubare delle armi, e questi due sono stati trovati nei dintorni soltanto pochi minuti dopo! Sono pronto a scommettere le braghe che c’entrano qualcosa con quello che è successo!»
 «Ana non c’entra nulla con questa storia!» scattò Bard, con un ringhio vibrante di collera. «Lasciatela in pace!»
Braga si voltò verso di lui, uno sgradevole sorriso che iniziava ad allargarsi sulle sue labbra sottili. «Oh, quindi ammetti che tu, invece, hai qualcosa a che fare con questa faccenda?» domandò compiaciuto. «Il Governatore sarà felice di sentirlo!»
Fu la volta di Ana di reagire istintivamente. Le sue labbra si mossero da sole, sputando fuori le parole con disperazione quasi implorante. «No, che non c’entra niente!»
«Silenzio, ho detto
«Lasciatela parlare, mastro Braga, se non vi dispiace!» intervenne Oswyn in tono deciso. Il capitano delle guardie lo squadrò con astio, ma il modo in cui aveva parlato era stato così autoritario che Braga non poté fare altro che tacere.
Ana, dominando l’impulso di assestargli un calcio tra le gambe per sfogare la rabbia, inspirò profondamente e si impose di parlare in modo controllato, anche se, come scoprì un istante dopo, non era affatto facile. «Bard è venuto a chiamarmi a casa poco dopo il calar della sera per chiedermi di sistemare un vestito che avevo confezionato per sua figlia. Potete chiedere a mio padre, se non credete a me» aggiunse freddamente, vedendo che Braga alzava gli occhi al cielo con aria scettica. «Stavamo andando a casa sua, quando abbiamo sentito del trambusto provenire dalle parti dell’armeria e abbiamo deciso di andare a vedere. Ci è arrivata voce della cattura di alcuni nani, così abbiamo deciso che era meglio non immischiarsi e siamo tornati indietro. Non c’entriamo nulla con questa storia, dovete credermi!»
Aveva pronunciato le ultime parole in tono quasi supplichevole, rivolta direttamente a Oswyn. Sapeva che, in quanto amico personale del Governatore, poteva avere una certa influenza su Braga, perciò era soprattutto lui che doveva cercare di convincere.
«L’avete sentita?» chiese Oswyn a Braga, allargando le braccia e inarcando le sopracciglia. «Questo sistema tutto, mi sembra!»
«Non sistema un bel niente!» replicò Braga alzando la voce, senza riuscire a nascondere una nota di isteria. «Il capitano delle guardie sono io, e sono io che decido chi arrestare! Se io sospetto di questa sgualdrinella, ho il dovere di portarla dal Governatore, e posso assicurarvi che Sua Eccellenza si fida ciecamente del mio giudizio!»
Ad Ana non sfuggì il modo in cui le vene del collo di Bard si ingrossarono e i suoi pugni si strinsero fino a far sbiancare le nocche, nell’udire l’appellativo che Braga le aveva rivolto, e pregò intensamente che non reagisse in alcun modo. Anche nello sguardo di Oswyn era passato un evidente guizzo di rabbia, ma il ragazzo riuscì a mantenere la sua freddezza.
«Forse vi sopravvalutate un po’ troppo, mastro Braga» replicò gelido. «Dimenticate che anch’io, in quanto figlio di mio padre, ho una certa influenza sul Governatore, probabilmente molto superiore alla vostra. Si dà il caso che la libertà di questa ragazza mi stia molto a cuore, e potreste scoprire che una mia parola a suo favore, nonché a sfavore di chi l’ha fatta arrestare, potrebbe essere molto … efficace.»
Gli scialbi occhi crudeli di Braga si strinsero, e ad Ana parve quasi di sentire il suo piccolo cervello lavorare alacremente, valutando la sua posizione. Braga era perfettamente a conoscenza dei rapporti di amicizia tra la famiglia di Oswyn e il Governatore, e sapeva bene che, se si fosse esplicitamente messo contro di lui, la sua carriera avrebbe potuto anche risentirne. E se fosse caduto in disgrazia, si ritrovò a pensare Ana con feroce sarcasmo, chi avrebbe comprato a sua moglie quei bei vestiti, e quei bei gioielli che nessun’altra donna di Pontelagolungo (eccetto forse le mogli di alcuni mercanti) si sarebbe mai potuta permettere?
Come Ana aveva previsto, la decisione fu presa in un paio di secondi.
«Liberatela» ringhiò Braga, sputando fuori quell’unica parola come se fosse un boccone di cibo marcio.
Dopo un secondo di esitazione, la stretta dei sue soldati si allentò, e Ana si affrettò ad allontanarsi da loro, massaggiandosi i polsi con mani tremanti.
«Venite, Ana» disse gentilmente Oswyn, circondandole le spalle con un braccio. «Vi riaccompagno a casa.»
Cercò di voltarla e portarla via, ma Ana puntò i piedi e rimase ferma nel punto in cui si trovava. «Ma Bard … Bard non ha fatto nulla di male! Dovete lasciarlo andare!» esclamò facendo scorrere il suo sguardo disorientato dal volto di Oswyn a quello di Braga.
Il capitano delle guardie gettò indietro la testa e scoppiò in una risata raschiante, simile al raglio di un asino. «Questa poi è buona!»
Ana desiderò intensamente avere a portata di mano un bastone per potergli rompere uno ad uno quegli schifosi denti gialli.
«Ana, non vi basta essere libera?» le sibilò Oswyn nell’orecchio con una certa irritazione. « Volete mettervi nei guai per lui? Andiamo, ho detto!»
«No!» si ribellò Ana, sottraendosi alla sua stretta. «Non lo lascio qui! Non ho intenzione di muovermi finché non metteranno giù le mani da lui!»
«Ana» intervenne una voce sommessa. Si voltò, rendendosi conto che questa volta era stato Bard a parlare. I suoi occhi la fissavano intensamente, cercando di sembrare rassicuranti. «Ana, dagli ascolto. Vattene a casa, io me la caverò.»
Per tutta risposta, Ana si piantò con decisione davanti ad Oswyn e afferrò i lembi del suo cappotto. Se per salvare Bard da un’incarcerazione certa avrebbe dovuto implorare, beh, l’avrebbe fatto! «Oswyn, vi prego!» lo supplicò, fissandolo dritto negli occhi. «Lui non c’entra niente con tutta questa storia, era soltanto venuto a chiedermi di sistemare un abito! Garantisco io per lui, vi assicuro che ha fatto nulla di male! Volete mandare in prigione un uomo innocente?»
Non seppe dire se Oswyn fosse più frastornato dalla sua improvvisa vicinanza o dalla veemenza della sua implorazione, ma vide i suoi occhi vagare sul suo viso con sguardo confuso, esitante. Sembrarono passare ore, prima che Ana sentisse fuoriuscire dalla sue labbra semiaperte un soffio quasi impercettibile.
«D’accordo.»
Chiuse gli occhi e sospirò profondamente, lasciando la presa sul cappotto, mentre Oswyn aggiungeva a voce più alta e decisa: «Braga, dite ai vostri uomini di lasciarlo.»
Il viso di Braga parve trasfigurarsi in una maschera di collera.  «Che cosa?» latrò.
«Mi avete sentito.»
Il capitano mosse qualche passo in avanti, come se avesse intenzione di fronteggiare Oswyn. «Voi non avete l’autorità per darmi ordini!» berciò sputacchiando. «Il Governatore sta tenendo d’occhio questo chiattaiolo piantagrane da mesi! Come credete che reagirebbe sapendo che ce l’avevo in pugno e l’ho lasciato andare per assecondare i capricci di una ragazzina?»
«Me la vedrò io con il Governatore, se sarà necessario. Mi assumo tutta la responsabilità» replicò Oswyn con fermezza, senza lasciarsi impressionare dalla sua ira sguaiata. «E se la mia parola non dovesse bastare a convincervi, credo che potremo raggiungere un ragionevole accordo.»
Frugò per qualche secondo nelle tasche interne del cappotto, e Ana intravide un luccichìo argentato baluginare fulmineo nella penombra della sera. Braga, con la faccia livida e il respiro ancora leggermente ansante, rimase per qualche secondo a fissare il denaro che Oswyn gli porgeva, ma all’odio nei suoi occhi, adesso, si era aggiunto anche qualcos’altro: avidità. Sembrava impaziente di allungare la mano sulle monete d’argento – l’equivalente di un paio di settimane di paga, probabilmente - ma allo stesso tempo non voleva darla vinta a nessuno di loro. Ci fu un terribile istante in cui Ana temette che sarebbe andato avanti nel suo proposito, nonostante tutto, ma alla fine Braga afferrò le monete e le fece sparire velocemente in una tasca.
«Lasciatelo andare» ringhiò, rivolto ai suoi. Le due guardie che tenevano fermo Bard si scambiarono un’occhiata incerta, e uno di loro azzardò un timido “Ma signore …”, prima di venire bruscamente zittito dal suo capitano. «Lasciatelo andare, ho detto
Il respiro di Ana ritrovò finalmente un ritmo normale, quando vide le guardie lasciare la presa su Bard. Braga gli si avvicinò e, fissandolo con gli occhi ridotti a due fessure, gli sibilò nell’orecchio: «Ci rivedremo.»
Poi rivolse un secco cenno ai suoi uomini e si allontanò lungo la strada che costeggiava un lato della sede della corporazione dei mercanti, seguito a pochi passi dalle guardie. Non appena furono spariti dietro l’angolo, Bard raggiunse Ana massaggiandosi i polsi, le narici ancora dilatate per la tensione. Le rivolse un piccolo sorriso – forse di sollievo, forse di ringraziamento – e Ana sentì il nodo che le serrava lo stomaco allentarsi sensibilmente.
Bard si avvicinò a Oswyn.  «Grazie, mastro Oswyn» disse, tendendogli la mano. «Sono in debito con voi. Spero di riuscire a ripagarvi, un giorno.»
Oswyn ignorò la sua mano tesa. «Non ringraziate me» rispose freddamente. «Ringraziate Ana. E’ merito suo se siete libero.» Poi si rivolse ad Ana ed aggiunse in tono più caldo, ma sempre con una certa rigidità: «Vorrei parlarvi, Ana, se non vi dispiace. Da solo.»
Ana, annuì, a disagio, e scoccò a Bard un’occhiata di scuse. Avrebbe dato qualsiasi cosa per andarsene: nonostante quello che Oswyn aveva fatto per loro (o, forse, proprio a causa di quello che aveva fatto), restare da sola con lui continuava a metterla a disagio. Ma li aveva appena salvati da un arresto praticamente certo, mettendo a disposizione il suo denaro per farlo, e Ana immaginò che concedergli una conversazione a quattr’occhi sarebbe stato il minimo che avrebbe potuto fare per ringraziarlo. Bard, fortunatamente, sembrò comprendere la situazione. «Credo che abbiano portato i nani nella piazza del municipio» disse mettendole una mano sulla spalla. «Andrò a dare un’occhiata.»
«Certo. Ti raggiungo lì.»
Lo guardò allontanarsi nella stessa direzione in cui se ne erano andato poco prima Braga con le sue guardie, e per un attimo, prima che svoltasse l’angolo, i loro sguardi si incontrarono. Un piccolo sorriso le increspò le labbra, prima che l’intensità dello sguardo di Oswyn sulla sua nuca la riportasse alla realtà.
«Oswyn, io … non so come ringraziarvi» disse impacciata, andandogli vicino.
«Lasciate perdere» tagliò corto Oswyn. «L’ho fatto solo per voi, e sono stato felice di farlo. Quello che non capisco, però, è perché vi trovavate in giro con Bard a quest’ora.»
«Ve l’ho detto, stavamo andando …»
«So quello che avete detto» la interruppe il ragazzo «e francamente, sapere se è o meno la verità mi importa poco. A me importa di voi, della vostra incolumità e della vostra reputazione.»
Ana gli rivolse un sorriso disorientato. «Non credo di capire.»
«Sicuramente conoscete la sua fama presso le autorità di Pontelagolungo. Bard non è ben visto dal Governatore e da coloro che gli sono vicini.»
Il sorriso di Ana di spense lentamente, il disagio che iniziava a tramutarsi in irritazione. Cominciava a capire dove Oswyn voleva andare a parare, e la cosa non le piaceva per niente. «La famiglia di Bard e la mia si conoscono da sempre» gli fece presente in tono freddo. «Lui è mio amico, praticamente parte della mia famiglia, e non mi interessa che fama abbia presso il Governatore o chiunque altro.»
Oswyn sospirò, spazientito, e la fissò dritto negli occhi. «Sarò molto chiaro con voi, Ana. Non mi piace che frequentiate quel chiattaiolo piantagrane, e non mi piace che vi facciate vedere in giro con lui. Preferirei che non lo faceste.»
Ana non credeva alle sue orecchie. L’irritazione, tutt’a un tratto, era degenerata in una violenta  vampata di collera che le aveva incendiato il viso e le orecchie. Boccheggiò per qualche secondo, cercando di impedire alla sua indignazione di esplodere. «Se pensate» disse lentamente, con voce tremante di rabbia «che avermi salvato dall’arresto possa darvi il diritto di parlarmi così, sappiate che non posso accettarlo!» Vide le sue guance imporporarsi per l’imbarazzo, e un’ombra di collera attraversargli lo sguardo, ma lo ignorò. Le parole le fuoriuscirono dalle labbra quasi senza che se ne rendesse conto, guidate solo dall’accecante rabbia che provava: «Voi non siete mio marito, Oswyn, non siete nemmeno il mio promesso sposo! Non avete nessun diritto di dirmi chi devo frequentare!»
Oswyn non rispose subito. Rimase a fissarla a lungo, la mascella contratta e le narici frementi. Non sembrava in collera con lei, ma soltanto ferito. Deglutì, mentre Ana sosteneva il suo sguardo con fermezza. «Forse intendevate che non sono il vostro promesso sposo … ancora» disse lentamente, calcando la voce su ogni sillaba che pronunciava. Era chiaramente un modo per rammentarle il fatto che non gli aveva dato ancora una risposta. Ana scorse nella sua voce un’impercettibile vena di apprensione, come se volesse indagare quali fossero i suoi sentimenti di lui. Ana, da parte sua, non aveva alcun dubbio: sapeva che, se avesse dovuto dare una risposta in quel preciso momento, sarebbe stato un sonoro ed inequivocabile “no”, ma era anche consapevole del fatto che era accecata dalla rabbia e incapace di pensare lucidamente. Trasse dei profondi respiri, cercando di calmarsi.
«Di certo con questo atteggiamento non siete sulla buona strada per diventarlo» rispose in tono più controllato, ma non meno freddo. «E adesso scusatemi, ma credo che la nostra conversazione sia finita. Vi ringrazio ancora per quello che avete fatto per noi.»
Con suo grande sollievo, Oswyn non cercò di fermarla in nessun modo quando si voltò per andarsene e lo piantò da solo in mezzo alla piazza. Sentiva ancora il suo sguardo formicolarle sulla nuca, ma cercò di non farci caso e di allontanarsi il più velocemente possibile. Solo adesso si accorse di quanto ancora le tremassero le gambe e di quanto il cuore le martellasse nel petto. Era la paura e il sollievo per lo scampato pericolo, certo, ma quello che era appena successo non aveva certo contribuito a migliorare la situazione.  Ana strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche. Oswyn non aveva mai nascosto il suo atteggiamento geloso e possessivo nei suoi confronti, ma non si era mai spinto fino al punto di proibirle esplicitamente qualcosa. Era un bravo ragazzo, in fondo, gentile e generoso. Gli avvenimenti di quella sera l’avevano dimostrato in modo lampante. Perché, penso con rabbia, perché aveva dovuto rovinare tutto e comportarsi in quel modo? Non sapeva con chi sentirsi più in collera: se con Oswyn, per averle detto quelle cose sgradevoli riguardo a Bard, o se con se stessa, per averlo trattato duramente nonostante la generosità che aveva dimostrato nei suoi confronti. Si sentiva un’ingrata, e allo stesso tempo fremeva per la collera repressa.
Respirò profondamente, imponendosi di calmarsi e recuperare il dominio di se stessa. Doveva ritrovare la lucidità, a tutti i costi. A breve avrebbe dovuto dare a Oswyn una risposta riguardo alla sua proposta di matrimonio, e nessuno di quei sentimenti l’avrebbe aiutata a decidere con razionalità e compiere la scelta giusta. Qualunque essa fosse …
Si rese conto che molte persone stavano confluendo alla spicciolata in direzione della piazza del municipio, bisbigliando tra loro e affrettando il passo come se temessero di perdersi qualcosa.
I nani, pensò nervosamente, ricordandosi solo in quel momento del motivo per cui si trovava in giro per la città a quell’ora della sera, con i polsi doloranti e un mancato arresto alle spalle. Si chiese che ore fossero. Probabilmente suo padre si stava chiedendo dove fosse finita, e la stava aspettando a casa per poter uscire e cominciare il suo turno di guardia alla dogana senza lasciare sola sua madre. Ana esitò per qualche secondo, incerta sul da farsi, e poi si diresse a passo svelto verso il palazzo del Governatore, seguendo gli sparuti gruppetti di persone che brulicavano come formiche verso il municipio.
Quando raggiunse la stretta via costeggiata da ammassi di case che sfociava nella piazza, si era ormai formata una numerosa folla di curiosi, tanto che Ana dovette faticare per farsi avanti e raggiungere un punto dove potesse vedere con chiarezza quello che stava accadendo. Nell’aria fredda turbinavano già minuscoli fiocchi di neve, e il respiro di centinaia di bocche impegnate a parlottare e sussurrare si condensava in tante nuvolette. Sembrava che tutta la popolazione di Pontelagolungo fosse accorsa per assistere allo spettacolo, pensò Ana sgomitando e insinuandosi in qualsiasi spazio libero riuscisse a trovare. Dal centro della piazza, parzialmente coperta dal brusio dei presenti, le arrivava il suono di una voce dal timbro deciso e potente, una voce che parlava con energico trasporto dei giorni lontani della grandezza di quella città, che ne evocava la ricchezza e i floridi commerci. Una voce che ad Ana parve di riconoscere, sebbene non potesse vederne il proprietario. La gente intorno a lei cominciava ad agitarsi visibilmente. La tensione nell’aria era palpabile, l’eccitazione poteva quasi essere avvertita sulla pelle. Finalmente, dopo essere sgusciata sotto il braccio di un omone corpulento ed essersi letteralmente schiacciata tra due anziane signore che sembravano avere intenzione di bloccare il passaggio a chicchessia, Ana riuscì ad avvicinarsi abbastanza da avere una buona visuale sulla piazza.
Quello che vide le strinse lo stomaco in una morsa di nervosismo.  Al centro dello spiazzo, le gambe divaricate piantate sul terreno e una luce di cupa determinazione negli ombrosi occhi scuri, c’era Thorin. Parlava alla folla a voce alta e appassionata, guardando negli occhi una a una le persone che aveva davanti, come se stesse parlando direttamente a ciascuna di esse; dall’alto della scalinata del municipio, il Governatore di Pontelagolungo e Alfrid, il suo viscido tirapiedi dai denti giallastri, seguivano ogni suo movimento con freddi sguardi calcolatori, mentre il resto della compagnia, trattenuto ai margini della folla da guardie armate, lo osservava con muto rispetto.
«Un tempo questa non era una città abbandonata su un lago!» gridò Thorin volgendo lo sguardo intorno a sé. «Un tempo questo era il cuore pulsante di tutto il commercio del Nord!»
Ana si accorse che la maggior parte delle persone presenti lo fissava in silenzio, rapita, con la bocca semiaperta. Se il merito fosse di quello che diceva oppure del suo innegabile carisma, Ana non avrebbe saputo dirlo.
Quel nano è un leader nato, si ritrovò a pensare istintivamente. Benché fosse più basso della maggior parte della gente che gli stava intorno, riusciva ad emanare una regalità e una maestosità che lo innalzavano al di sopra di tutti, persino del Governatore. Certo, non che ci volesse poi molto, rifletté Ana guardando con disgusto i lunghi, radi capelli unticci e il ventre sporgente del primo cittadino. Ma dove diamine si era cacciato Bard? Si alzò in punta di piedi per scrutare la folla intorno a lei, ma non riuscì a scorgerlo da nessuna parte.
«Ehi, ragazza! Falla finita di agitarti come un’anguilla! Stiamo cercando di vedere, qui dietro!» la apostrofò la burbera voce catarrosa dell’omone a cui era passata sotto il braccio. Ana mormorò distrattamente delle scuse e tornò a concentrarsi su quello che accadeva nella piazza.
«Io vi garantirei il ritorno di quei giorni felici!» stava dicendo in quel momento Thorin, strappando alla folla mormorii eccitati. «Rimetterei in funzione le grandi fornaci dei Nani, e dalle sale di Erebor arriverebbero di nuovo benessere e ricchezza per Pontelagolungo!»
Ana lo vide voltarsi verso la scalinata di legno, in attesa di un cenno di approvazione o di benevolenza; ci fu un breve istante in cui il Governatore sembrò sul punto di dire qualcosa, ma proprio in quel momento una voce che Ana conosceva fin troppo bene si levò al di sopra del brusio dei presenti.
«E del fuoco del drago che cosa ci dici, mastro nano?» lo interpellò con rabbia. «Morte e rovina! Ecco l’unica cosa che ci porterai!»
Ana si voltò di scatto. Alla sua destra, proprio di fronte alla scalinata, Bard si fece largo tra la folla e andò a piantarsi davanti a Thorin con aria di sfida, il viso contratto dalla collera.
«Andare a cercare quella bestia non porterà niente di buono» disse in tono di avvertimento, fissandolo dritto negli occhi. «Se la risveglierete, questa città non avrà scampo! Ci distruggerà tutti!»
Thorin sostenne il suo sguardo con fermezza, per nulla intimorito dalla sua collera, e fu in quel preciso momento che Ana capì che la battaglia di Bard era già persa in partenza. Quel nano e i suoi compagni erano troppo determinati, e la gente di Pontelagolungo era troppo desiderosa di sollevarsi dallo squallore in cui viveva, per dare ascolto a qualsiasi obiezione sensata. Anche se quell’obiezione veniva dall’uomo più benvoluto, amato e rispettato di tutta la città. I suoi sospetti furono confermati, perché solo pochi secondi dopo Thorin fece esattamente quello che Ana temeva: riprese la parola e, ignorando quello che Bard aveva appena detto a proposito del drago, promise esplicitamente al popolo di Pontelagolungo di condividere con loro una parte del tesoro di Erebor.
Fu come se la Montagna Solitaria fosse già stata conquistata e il drago, sconfitto, giacesse già morto lì davanti a loro: il brusio eccitato della folla si innalzò fino a trasformarsi in grida di giubilo e di esultanza. Le fiaccole vennero agitate nell’aria, mentre tutti si scambiavano sguardi increduli e pieni di gioia. La miseria rende disperati, pensò Ana con tristezza, guardandosi intorno. Non poteva biasimarli del tutto, ma si rendeva conto che le parole di Bard avevano senso. Sarebbe stato da folli ignorare il tremendo rischio a cui andavano incontro, anche se non potevano ancora esserne del tutto certi …
Nemmeno i dubbi avanzati da Alfrid sulla buona fede dei nani, pochi secondi dopo, riuscirono a spegnere del tutto l’entusiasmo della folla. Alla domanda, posta con tono di insinuante perfidia, su chi potesse garantire per Thorin, seguì qualche lungo istante di imbarazzato silenzio, finché un dito alzato emerse timidamente dalla selva di teste e una voce sottile si levò al di sopra dei mormorii perplessi.
«Lo … lo farò io. Garantirò io per lui.»
Ana si alzò di nuovo in punta di piedi, ignorando le proteste di chi stava dietro di lei. A parlare era stato Bilbo Baggins, lo hobbit che aveva conosciuto a casa di Bard insieme ai nani.
«Ho lasciato la mia casa nella Contea e ho seguito questi Nani attraverso innumerevoli pericoli» continuò, e, a dispetto del tremolio della sua voce, Ana fu colpita di scorgere sul suo viso un’espressione tanto determinata «e posso garantirvi che se Thorin Scudodiquercia dà la sua parola … ebbene, la manterrà!»
Era chiaramente quello che tutti volevano sentirsi dire. Ci furono nuove grida di approvazione e nuove acclamazioni di assenso, mentre anche gli ultimi dubbi sull’identità e sulle intenzioni di Thorin venivano dissipati e la speranza riaccendeva di nuovo gli sguardi di tutti. Bard era l’unico a non partecipare alla gioia collettiva: Ana lo vide guardarsi intorno furente, consapevole che i suoi ragionevoli dubbi su quell’impresa stavano per venire definitivamente messi in ombra dall’allettante prospettiva di una ricchezza imminente.
«Tutti voi, ascoltatemi!» gridò, e questa volta ad Ana parve di scorgere nella sua voce, oltre alla rabbia, una nota di disperazione. «Dovete ascoltarmi, per la miseria! Avete già dimenticato le storie che ci hanno raccontato fin da bambini? Avete già dimenticato quello che successe a Dale l’ultima volta che il drago arrivò su queste terre? La tempesta di fuoco, i morti, la distruzione! E quale fu il motivo di tutta quella rovina? L’avidità di un Re dei Nani, così accecato dall’ambizione e dal desiderio di ricchezze da non riuscire a vedere la catastrofe che stava attirando sulle teste di tutti!»
«Oh, suvvia, suvvia!» intervenne ad interromperlo una voce dall’alto della scalinata del Municipio. «Ritengo che nessuno di noi debba essere troppo frettoloso nel dare la colpa gli altri!»
Per l’ennesima volta nel corso di quella surreale serata, il silenzio calò sulla piazza. Tutti volsero gli sguardi verso l’alto, in direzione del Governatore. Era la prima volta che faceva sentire la sua voce da quando era iniziata quella contesa verbale, e Ana sospettava, dal modo in cui aveva continuato a scrutare con freddo sguardo calcolatore quello che stava accadendo, che avesse le sue buone ragioni per farlo proprio adesso. Non sbagliò. L’uomo fissò su Bard  i suoi piccoli occhi scialbi, accesi adesso di piacere maligno. «Di certo ricordiamo tutti il ruolo che ebbe Girion, signore di Dale, nei tragici avvenimenti di quel giorno!» lo apostrofò puntandogli contro il dito tozzo e inanellato. «Di certo ricordiamo tutti che fu proprio lui, il tuo antenato, a fallire nell’uccidere quella bestia!»
Non aveva neppure cercato di nascondere la soddisfazione, pensò Ana, osservandolo con disprezzo. Sentì la collera montarle alla testa, facendole dimenticare il freddo che le intirizziva le membra, e nello stesso momento vide un’espressione di sgomenta, quasi colpevole, attraversare per un momento il volto di Bard.
«Una giusta osservazione, signore!» intervenne Alfrid a rincarare la dose. Era chiaro che non vedeva l’ora di vendicarsi della magra figura che Bard gli aveva fatto fare quella mattina con il pesce. «Tutti gli abitanti di questa città conoscono la storia. Sappiamo tutti come Girion scoccò frecce su frecce dal punto più alto di Dale, e come ognuna di esse mancò miseramente il bersaglio.»
La gente aveva ricominciato a mormorare. Chi, come Ana, era a conoscenza delle nobili origini di Bard – origini che lui non aveva mai fatto nulla per rivendicare e che, anzi, sembrava preferire tenere nascoste – borbottava mezze frasi di disapprovazione nei suoi confronti; chi invece ne era all’oscuro, scambiava sguardi ed esclamazioni stupite con i vicini, fissandolo con aria incredula. Quello del Governatore era stato un vero e proprio colpo basso: non potendo permettersi di arrestare Bard senza un valido motivo davanti a tutta quella gente, cercava di screditarlo ai loro occhi, insinuando che fosse partecipe del fallimento del suo antenato per il solo motivo che condividevano lo stesso sangue. Questo Bard sembrò averlo compreso perfettamente, perché si guardò intorno a disagio, le narici dilatate per la collera impotente. Sembrava che stesse per reagire violentemente a quelle provocazioni, e Ana capì che era il momento di intervenire. Non avrebbe lasciato che rimanesse un secondo di più a farsi umiliare davanti a tutti.
Si fece strada tra la folla, cercando di ingoiare il magone che le serrava la gola e odiando coloro che le stavano intorno per la facilità con cui abbandonavano un uomo che fino a poche ore prima ammiravano e rispettavano. Non fu facile spostarsi verso il centro della piazza, perché la gente si accalcava il più possibile per poter vedere e sentire al meglio quello che accadeva, ma a forza di gomitate riuscì in qualche modo a farsi largo.  Emerse dalla folla proprio nel momento in cui Thorin Scudodiquercia, voltate le spalle a Bard, si rivolgeva direttamente al Governatore per chiedere la collaborazione di Pontelagolungo nella sua impresa. Ana sgusciò oltre il cordone di guardie armate e raggiunse Bard, mettendosi al suo fianco. Se il chiattaiolo si accorse della sua presenza, tuttavia, non lo dette a vedere: era ancora impegnato a fissare il nano con rabbia, i pugni talmente contratti che le nocche erano del tutto sbiancate.
«Cosa rispondi, signore?» chiese Thorin, in tono solenne e persuasivo insieme. «Tu e il tuo popolo volete condividere la grande ricchezza del tesoro dei Nani? Volete vedere la profezia finalmente realizzata?»
Il silenzio che seguì fu pressoché totale, e sembrò durare ore. Nella piazza del municipio, nessuno osava emettere un fiato, nessuno sembrava azzardarsi a fare il minimo movimento. Ad Ana parve quasi di sentire i respiri pesanti dei presenti e i loro nervosi battiti di ciglia, persino i fiochi di neve frusciare lievemente nell’aria. Con il cuore che le martellava nel petto, vide gli occhi stretti del Governatore scrutare, calcolare, valutare, finché la tensione nell’aria divenne talmente densa da poterla quasi vedere.
«Tu vuoi la mia risposta, Thorin Scudodiquercia» disse lentamente il primo cittadino, «e io te la darò.» Ci furono altri lungi secondi di silenzio, prima che le sue labbra sottili si aprissero in uno sgradevole sorriso e le sue braccia si spalancassero. «Pontelagolungo ti saluta e ti dà il benvenuto, Re sotto la Montagna!»
Nella piazza ci fu una tale esplosione di gioia, che le ultime parole del Governatore furono soffocate dalle urla e dalle acclamazioni. Tutti, nessuno escluso, presero ad esultare e ad abbracciarsi, alcuni piangendo per la commozione, altri levando al cielo lodi per Thorin Scudodiquercia, il nuovo salvatore di Pontelagolungo. Anche i nani e lo hobbit si abbracciavano e agitavano i pugni in aria, increduli e quasi colti di sorpresa dall’inaspettata piega che aveva preso la vicenda, mentre Thorin, in piedi sulla scalinata, accoglieva la sua vittoria con il petto gonfio di orgoglio.
Ana, che soltanto da pochi secondi si era ricordata come si facesse a respirare, lanciò uno sguardo preoccupato a Bard, in piedi accanto a lei. L’uomo non si era mosso dal punto in cui si trovava, e il suo sguardo pieno di collera non aveva ancora abbandonato Thorin, che, da parte sua, lo fissava con trionfante aria di sfida. Ana vide Bard contrarre i pugni allargando con rabbia le narici, e, temendo che potesse scagliarsi contro il nano, gli mise istintivamente una mano sul braccio.
«Bard …» bisbigliò nervosamente. «Bard, ti prego … andiamocene via!»
Bard non rispose. Si scrollò di dosso il suo braccio con un gesto stizzito e poi, dopo aver lanciato un ultimo sguardo ostile a Thorin, si allontanò a grandi passi.
Ana deglutì e chiuse gli occhi. Sapeva che Bard non ce l’aveva con lei, e tuttavia capì che era meglio non seguirlo. Quella giornata l’aveva messo a dura prova, e sicuramente avrebbe preferito rimanere per un po’ da solo con i suoi pensieri. Rimase a guardarlo scomparire tra la confusione della folla, con il magone che le serrava la gola, rendendosi improvvisamente conto che mancava da casa da troppo tempo. I volti di sua madre e di suo padre le balenarono davanti agli occhi tra i turbinanti fiocchi di neve e il bagliore delle fiaccole. Percy e Miriel non sapevano nulla di quello che era successo nelle ultime ore, ed era meglio che andasse ad avvertirli.
Sospirò e, con uno strano vuoto alla bocca dello stomaco, mosse qualche passo verso l’uscita della piazza.

 
 
 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE

Quello che dovevo dire riguardo a questo capitolo l’ho già detto all’inizio, quindi mi limito a ringraziare, come al solito, tutti coloro che stanno ancora seguendo questa storia, lasciando pareri o aggiungendola semplicemente tra le seguite/ricordate! E a proposito di pareri, colgo l’occasione per ricordare che sono sempre ben accetti ;)
Non so quando potrò aggiornare di nuovo, perché a breve dovrò iniziare un tirocinio e il mio tempo per scrivere si ridurrà un po’, ma ho già scritto parte del prossimo capitolo e spero non ci voglia troppo a terminarlo.
Alla prossima, speriamo il più presto possibile!

MrsBlack90

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


VI.
 

Quando Ana uscì di nuovo per le strade, poche ore più tardi, trovò Pontelagolungo completamente trasformata. La vita nella città, di solito, si trascinava a ritmo lento e stanco, scandita soltanto dal lavoro e dal sonno, e a quell’ora della sera le vie erano quasi sempre silenziose e deserte, ad eccezione di qualche pattuglia di guardie che faceva la ronda o di qualche solitario passante che andava o tornava dalla taverna. Quella sera invece, a dispetto della neve che ancora fioccava abbondante, sembrava che ogni singolo abitante di Pontelagolungo si trovasse per strada a festeggiare. Le vie risuonavano di urla, canti e risate, e i canali brillavano delle luci accese nelle abitazioni come se sotto la superficie dell’acqua ardessero centinaia di fuochi.
Poco dopo che Ana era tornata a casa e aveva riferito ai genitori i recenti sviluppi – facendo una gran fatica a parlare sopra le loro esclamazioni di stupore e a rispondere alle loro domande che si accavallavano l’una sull’altra – si era diffusa per la città la notizia che il Governatore aveva indetto una grande festa al municipio in onore del Re sotto la Montagna e della sua compagnia, e che aveva concesso ai cittadini il permesso di fare festa fino all’alba. Tutti coloro che svolgevano i propri mestieri durante la notte sarebbero stati esentati dal lavoro, e i mercanti di vino, per l’occasione, avevano messo a disposizione buona parte delle loro cantine.
Ana, a dirla tutta, non era molto in vena di festeggiare. Sarebbe rimasta volentieri in casa, cucendo davanti al fuoco, andando ogni tanto a controllare sua madre e aspettando il momento in cui il sonno avrebbe avuto la meglio su di lei, ma suo padre l’aveva spinta ad uscire. Era raro vedere feste del genere a Pontelagolungo, aveva detto, e almeno lei che era giovane avrebbe dovuto approfittarne. Alla fine si era lasciata convincere: Percy, a causa dei geloni che sempre più spesso lo affliggevano, non era particolarmente ansioso di passare la notte a fare baldoria sotto la neve, e in ogni caso rimanere chiusa in casa a rimuginare non le avrebbe certo giovato. Così aveva infilato di nuovo mantello e berretto ed era uscita in strada.
I canti e le risate avevano contribuito a risollevarle un po’ l’umore, anche se continuava a perdersi in pensieri poco edificanti. Era felice che tutto fosse finito bene e nessuno fosse stato arrestato, e non poteva non sentirsi scaldare il cuore vedendo la sua gente così piena di vita dopo tanto tempo, ma le sembrava che quella felicità avesse un retrogusto amaro. Sembrava facile gioire per l’impresa di Thorin Scudodiquercia adesso che tutti erano al sicuro e il vino scorreva per le strade, ma cosa sarebbe accaduto l’indomani, se e quando quei nani fossero riusciti ad entrare nella Montagna? Lo spettro del drago aleggiava in modo così insistente nella mente di Ana, che non riusciva a capire come nessun altro, a Pontelagolungo, lo tenesse in considerazione. E, d’altra parte, il Governatore aveva buon gioco ad approfittarsi della loro sconsiderata ingenuità …
Era un po’ in ansia anche per Bard. Fin da quella mattina, quando aveva accettato di far entrare di nascosto i nani in città, era rimasto coinvolto direttamente in quella faccenda, e quando Alfrid e il Governatore avevano tirato in ballo Girion, la cosa era diventata ancora più personale di quanto si aspettasse. Avrebbe voluto andare da lui per cercare di confortarlo, ma visto il modo brusco in cui aveva rifiutato il suo appoggio davanti al municipio, temeva che non sarebbe stata ben accetta.
Sospirò stancamente, massaggiandosi le palpebre con la punta delle dita gelate. Era stata una lunga giornata, e l’ultima cosa di cui adesso aveva bisogno era continuare a farsi il sangue cattivo per un futuro che, ancora, non era in grado di prevedere. Quello che era successo, ormai, non poteva più essere cambiato. Non per quella notte, almeno.
Decise di passare dalla piazza del municipio, dove, a giudicare dalla musica, dai battiti di mani e dai canti che si sentivano in lontananza, si stava svolgendo il grosso della festa. Con un po’ di fortuna avrebbe persino potuto vedere il Governatore, inebriato dal vino e dall’inaspettato aumento della sua popolarità, cimentarsi in uno dei suoi improbabili tentativi di danza, il che avrebbe certamente contribuito a risollevarle l’umore. Rallegrata da questa prospettiva, percorse le strade con passo rilassato, sorridendo di tanto in tanto quando qualche bambino le passava vicino correndo e strillando per l’eccitazione, e lasciandosi stordire dalle luci, dalle grida e dalle risate.
Lo stordimento  aumentò ancora di più quando arrivò nei pressi del municipio. La piazza principale era talmente piena di gente che ballava, parlava, gridava e brindava, che era difficile immaginare che fosse lo stesso posto in cui, poche ore prima, la folla assisteva immobile, silenziosa e trepidante ai discorsi di Thorin Scudodiquercia. Ana si inoltrò tra la gente cercando di non dare troppo nell’occhio. Non aveva alcun desiderio di ritrovarsi di nuovo faccia a faccia con Oswyn, né, ancora peggio, con Braga. Intravide alcuni dei nani più giovani della compagnia ballare in mezzo alla folla, mentre altri, in piedi vicino a delle botti più alte di loro, immergevano i calici nel vino e brindavano con frequenza quasi sbalorditiva. Thorin Scudodiquercia, seduto sotto il portico del palazzo e rivestito con abiti che meglio si addicevano al suo rango, dominava la piazza con un bicchiere di vino in una mano e un’espressione soddisfatta sul viso, parlottando con il Governatore seduto accanto a lui. Con il frastuono della musica e della gente era impossibile capire quello che si stavano dicendo, ma Ana per il momento preferiva rimanerne all’oscuro.
Stava facendo vagare intorno lo sguardo, osservando pigramente la confusione che la circondava, quando qualcosa andò a sbatterle contro le gambe. Abbassò lo sguardo e si ritrovò faccia a faccia con Tilda, il visetto rosso per l’eccitazione e alcune piccole ciocche di capelli sfuggite alla treccia nella corsa.
«Ana!» esclamò la bambina, con un gran sorriso e gli occhi che brillavano. «Sei venuta a festeggiare anche tu?»
Ana sorrise a sua volta. «In un certo senso. A dire la verità, stavo solo dando un’occhiata in giro. Tu, piuttosto, cosa ci fai tutta sola in mezzo a questa confusione?»
«Non sono da sola. Sigrid è laggiù da qualche parte, e Bain …» si guardò intorno perplessa, arricciando il nasino. «Bain era proprio dietro di me. Devo averlo perso.»
Proprio in quel momento Ana scorse Bain, a qualche metro di distanza, venire nella loro direzione con aria trafelata, facendosi largo tra la folla.
«Tilda, ti ho detto mille volte che non devi allontanarti troppo!» la rimproverò il ragazzino una volta che le ebbe raggiunte. «Se ci provi un’altra volta, giuro che ti riporto dritta a casa e racconto tutto a papà! Ana, per favore, diglielo anche tu!»
«Tuo fratello ha ragione, Tilda. Cerca di comportarti …»
Non fece in tempo a finire la frase che Tilda, attirata dalla vista di un uomo che in mezzo alla piazza faceva dei giochi di destrezza con tre palline di cuoio, schizzò di nuovo via con un grido estasiato. Bain sospirò, e dopo aver lanciato ad Ana uno sguardo esasperato si lanciò all’inseguimento della sorella.  Ana ridacchiò scuotendo la testa e, dopo aver sbirciato sopra le teste dei presenti per assicurarsi che Bain fosse riuscito a raggiungere Tilda, riprese a girovagare senza una meta precisa per la piazza.
L’entusiasmo infantile di Tilda l’aveva contagiata, facendole quasi apprezzare il caleidoscopio di voci, odori e colori che animavano la piazza e scuotevano l’aria sonnolenta della città. Mentre fendeva faticosamente la folla, tuttavia, si ritrovò a scrutare con una certa apprensione le facce dei presenti, chiedendosi se anche Bard aveva deciso di venire insieme ai suoi figli ad assistere ai festeggiamenti. Le sembrava inverosimile, vista la rabbia con cui aveva accolto la decisione del Governatore riguardo ai nani, ma non poteva evitare di avvertire una piccola stretta allo stomaco ogni volta che scorgeva qualcuno, di spalle o di profilo, che gli assomigliava.
Sbatté le palpebre, dandosi della stupida. Si era ripromessa di non pensare più a lui almeno fino alla mattina dopo, quando la rabbia del chiattaiolo fosse sbollita e avesse deciso di sua iniziativa di parlare di nuovo con lei, ma più la serata andava avanti e più trovava difficile mantenere il suo proposito.
All’improvviso, in un angolo della piazza, scorse qualcosa che la distrasse momentaneamente da quei pensieri. Seduta su una botte di vino (che, stranamente, non era ancora stata stappata) c’era Sigrid. Indossava l’abito rosso e blu scuro che Ana aveva rimesso a nuovo per lei, e che (a differenza di quanto aveva raccontato a Braga) non sembrava avere bisogno di alcuna modifica, dato che le stava d’incanto; i ricci castano chiaro erano sciolti sulle spalle, e sul suo viso Ana scorse uno strano sorriso di cui non faticò troppo ad individuare la causa. In piedi accanto alla ragazza, infatti, c’era il giovane nano biondo con cui l’aveva vista parlare quella mattina in casa di Bard, che le stava dicendo qualcosa nell’orecchio per farsi sentire al di sopra della confusione. Qualcosa che, a giudicare dal rossore e dagli occhi scintillanti di Sigrid, doveva somigliare molto a una qualche forma di corteggiamento.
Ana represse un sorriso divertito e si avvicinò. Quando Sigrid la vide emergere dalla folla a pochi metri da lei, il rossore sulle sue guance, se possibile, si accentuò ancora di più.
«Ana!» la salutò, alzandosi dalla botte come scottata e venendole incontro. «Che bello vederti! Non pensavo che ci fossi anche tu!»
Ana avrebbe voluto chiederle qualcosa a proposito della situazione in cui l’aveva appena sorpresa, ma ebbe pietà del suo evidente imbarazzo e per il momento lasciò perdere.
«Ho pensato di venire a dare un’occhiata in giro, anche se a mio parere c’è ben poco da festeggiare» rispose Ana in tono amaro. Non ci fu bisogno di aggiungere altro in proposito. Sigrid, oltre ad essere figlia di suo padre e dunque dotata della sua stessa perspicacia, era abbastanza cresciuta per capire che cosa intendesse.  
«Anche papà la pensa nello stesso modo» disse Sigrid con un sospiro. «Non ha voluto saperne di uscire di casa, ma ha dato il permesso a me, Bain e Tilda di venire alla festa. »
Ana fu lieta di quella decisione. Evidentemente, per quanto Bard fosse in collera con i nani, il Governatore e l’intera città, aveva pensato che non fosse un buon motivo per privare i suoi figli di una delle poche occasione di divertimento che Pontelagolungo offriva da molti anni a quella parte.
«Ha fatto benissimo. E tu stai d’incanto con questo vestito, tesoro» sorrise Ana, sfiorandole affettuosamente la guancia con una carezza.
«E’ merito tuo» rispose Sigrid allegra. «Hai fatto un ottimo lavoro.»
«E sembra che qualcuno abbia già avuto modo di apprezzarlo, a quanto vedo» osservò Ana in tono allusivo, accennando discretamente con gli occhi in direzione del nano.
Il viso di Sigrid, che aveva appena recuperato un colorito normale, tornò improvvisamente a tingersi di porpora.
«Sì, ecco …» disse schiarendosi nervosamente la voce. «A proposito di questo, volevo chiederti … non dirai nulla a papà di … di quello che hai visto … vero?»
Ana ricambiò il suo sguardo speranzoso con un’alzata di sopracciglia fin troppo esagerata. «E che cosa avrei visto, esattamente?» chiese fingendo di cadere dalle nuvole.
Sigrid sospirò di sollievo e si sporse per schioccarle un bacio sulla guancia. «Sei la migliore, Ana, sul serio!»
«Non c’è bisogno di adularmi così, ho già acconsentito a coprirti» rispose Ana ironica. «Piuttosto, vedi di non fare troppo tardi e di riportare a casa i tuoi fratelli ad un’ora decente, o dirò a tuo padre che hai cercato di comprare il mio silenzio con le moine!»
«Sarà fatto!» rise Sigrid. Ana, notando con la coda dell’occhio che Fili fremeva di impazienza accanto alla botte, capì che era il momento di liberare i due dalla sua ingombrante presenza e si congedò baciando Sigrid sulle guance. Mentre la ragazza raggiungeva il giovane nano, Ana si immerse di nuovo nella folla per raggiungere l’uscita della piazza, sgomitando tra persone che ballavano e barcollavano sotto l’effetto del vino. Si chiese se, qualsiasi cosa fosse quella che stava nascendo tra Sigrid e Fili, avesse sbagliato a far finta di non vederla. Le relazioni tra razze diverse non erano mai viste sotto una luce favorevole, e Sigrid avrebbe potuto ritrovarsi in una situazione difficile …
Oh, per l’amor del cielo, Ana!
Si stava davvero preoccupando in modo eccessivo. Non aveva senso mettersi a costruire castelli in aria sulla base di … di che cosa? Di qualche parola sussurrata all’orecchio e di qualche sorriso durante una festa? Quante volte le era capitato, a sedici anni, di ritrovarsi in situazioni del genere, per poi rendersi conto che si trattava soltanto di semplici sbandate passeggere? E in ogni caso, Sigrid era abbastanza cresciuta e intelligente da comprendere la situazione e non farsi troppe illusioni. L’indomani Fili sarebbe partito in direzione della Montagna Solitaria insieme agli altri: nel peggiore dei casi sarebbe potuto morire, nel migliore avrebbe contribuito alla riconquista di Erebor e si sarebbe assunto le proprie responsabilità. E Ana dubitava fortemente che Thorin Scudodiquercia avrebbe permesso al maggiore dei suoi nipoti, l’erede al trono del suo regno, di impegnarsi con un’umana, anche se di nobile lignaggio com’era Sigrid. D’altronde, era così che andava il mondo: non sempre era possibile decidere secondo i propri desideri. A volte, bisognava semplicemente agire secondo necessità, e fare quello che era giusto …
Ana rimase sconcertata dai suoi stessi pensieri: non credeva di essere in grado di ragionare in modo così cinico, e la cosa la spaventò un po’.
O forse non si tratta di cinismo. Forse si tratta semplicemente di realismo.
A dire il vero, non le avrebbe fatto male ad applicarne un po’ anche alla sua situazione personale. Magari l’avrebbe aiutata a vederci più chiaro …
Fu felice quando, verso il limitare della zona del municipio, la folla cominciò a diradarsi. Ana emerse in una delle strade che si immettevano nella piazza e la percorse a ritroso fino a raggiungere il canale più vicino. Nonostante il freddo pungente era accaldata, e sentiva il bisogno di respirare. Si appoggiò alla vecchia staccionata di legno che delimitava il bordo del canale e rimase a lungo a fissare i piccoli fiocchi di neve che volteggiavano in aria e poi andavano a morire nell’acqua gelida.
Forse avrebbe dovuto dire di sì a Oswyn.
Era la prima volta che trovava il coraggio di prendere seriamente in considerazione la proposta e, seppure a malincuore, doveva ammettere che sarebbe stata una scelta sensata. Oswyn avrebbe potuto darle sicurezza, tranquillità e una vita dignitosa per i suoi genitori. Sua madre avrebbe ricevuto delle cure adeguate, suo padre non avrebbe più dovuto passare le nottate a congelarsi le ossa durante gli sfiancanti turni alla dogana, e tutti loro avrebbero mangiato a sufficienza. Quanto a lei, avrebbe persino potuto imparare a voler bene a Oswyn. Non aveva il migliore dei caratteri, certo, ma in fondo – e quella sera l’aveva dimostrato – sapeva essere buono e generoso; con il suo aiuto avrebbe potuto migliorare molto …
Ana si concesse un sorriso amaro. Sembrava una prospettiva moto più realistica, rispetto alla fievole speranza che Bard avrebbe potuto ricambiare i suoi sentimenti. Quando l’aveva stretta a sé in quel modo, durante la ricerca dei nani per le strade della città … Le gambe le tremavano ancora al solo pensiero. Era strano: si conoscevano da tanti anni, ma non ricordava di aver mai avuto un contatto così ravvicinato con lui. I loro visi si erano ritrovati così vicini, che per un momento aveva pensato …
La parte più razionale di lei, quella che di solito predominava, intervenne per far sentire la propria voce e darle della stupida. Sigrid aveva sedici anni, e poteva anche permettersi di farsi qualche illusione, se lo desiderava. Lei, sedici anni li aveva superati da un bel pezzo, e tutto quel sospirare e sognare a occhi aperti la rendeva solo ridicola. Non era nemmeno sicura di cosa fosse quello che provava per Bard. Attrazione, stima, affetto, ammirazione … tutto era così confuso nella sua testa, che Ana faticava a dare un nome ai suoi stessi sentimenti.  Senza contare che il solo pensiero di paragonarsi a Rhaella la gettava nello sconforto più totale.
Ripensò al giorno del matrimonio di Bard, sedici anni prima. Lei aveva soltanto nove anni, allora, ma ricordava tutto come se stesse accadendo proprio in quel momento, davanti ai suoi occhi. Rivide Rhaella vestita di bianco, bionda e snella come un’elfa, con appena un accenno di pancione sotto il vestito da sposa, camminare tra la gente della città che le lanciava fiori e le gridava benedizioni. Le sue labbra rosse erano aperte in un sorriso radioso, e i suoi occhi blu scintillavano di gioia. Ana ricordava la sua voce gentile, i suoi modi cortesi e il suo portamento umile ma dignitoso, più simile a quello di una nobildonna che a quello della figlia di un pescatore. Rivide Bard, più giovane e con meno striature grigie tra i capelli, guardare sua moglie come se fosse l’unica donna sulla terra. Non avrebbe mai potuto guardare lei in quel modo, pensò Ana con una fastidiosa stretta allo stomaco. C’era un motivo se, dopo otto anni dalla sua scomparsa, non si era ancora risposato. Quella donna era la perfezione incarnata: sarebbe stato sempre innamorato di Rhaella, fino alla fine, e nessun’altra avrebbe mai potuto reggere il confronto con lei.
Ana sospirò e si passò stancamente le dita sulle palpebre chiuse. All’improvviso sentì l’impellente necessità di un bicchiere di vino, ma la malinconica indolenza che quei pensieri le avevano fatto calare addosso le impediva di staccarsi da quella staccionata e andare a cercarne uno.
«Ehm … tutto bene?»
Ana riaprì gli occhi e si voltò. Dietro di lei, infagottato in un’uniforme da guardia cittadina decisamente troppo grande per lui, c’era Bilbo Baggins, un’espressione titubante sulla faccia e una coppa di vino in mano.
Ana gli rivolse un sorriso sghembo. «Più o meno» rispose, sconcertata dal suo abbigliamento insolito. «Lieta di rivedervi, mastro Baggins. Cosa vi porta così lontano dalla festa?»
Lo hobbit sorrise a sua volta e si dondolò nervosamente sui grossi piedi pelosi. «Stavo per farti la stessa domanda, in realtà» replicò. «E … per favore, chiamami Bilbo.»
Ana sospirò e si strinse nelle spalle. «Beh, diciamo … che non mi sentivo molto in vena di festeggiare, ecco tutto» rispose vagamente.
«L’avevo capito dalla fretta con cui ti ho vista abbandonare la piazza. Così ho pensato di venire a portarti questo. Non sono un grande esperto in materia – preferisco il tè con qualche goccia di latte, a dire il vero – ma a quanto pare è un ottimo rimedio contro la malinconia.»
Ana rise e prese di buon grado il bicchiere che Bilbo le porgeva. Sembrava proprio che le avesse letto nel pensiero. «Grazie» disse, prima di portarselo alle labbra e bere un lungo sorso di vino. «Devo ammettere che ci voleva proprio.»
«Se ti serve un po’ di compagnia, posso provvedere anche a quella»aggiunse lo hobbit gentilmente. «I nani e gli uomini hanno un modo di festeggiare alquanto … irruento, e io non sono mai stato bravo a gestire gli effetti del vino. Avevo bisogno di una pausa.»
Ana esitò per un attimo, il sorriso che ancora le aleggiava sulle labbra. Conosceva quell’hobbit solo da una manciata di ore e, insieme a i suoi compagni, aveva causato più guai di uno sciame di cavallette. Eppure, in qualche modo, le piaceva più di tutti quanti gli altri nani messi insieme. La sua compagnia era gradevole, e in sua presenza si sentiva a proprio agio.
Il suo sorriso si allargò, mentre gli faceva spazio sulla staccionata e indicava il posto vuoto accanto a lei. «Non mi dispiacerebbe scambiare quattro chiacchiere» ammise.
Bilbo si appoggiò al paletto inferiore dello steccato con un piccolo sospiro, come se finalmente riuscisse a trovare riposo dopo una lunga corsa, e fissò a sua volta sull’acqua del canale che ondeggiava placida sotto di loro. Ci fu qualche secondo di silenzio, in cui entrambi sembrarono incerti su cosa dire, poi Ana riprese a parlare.
«Ho sentito quello che hai detto riguardo a Thorin, poco fa nella piazza» disse senza distogliere lo sguardo dai fiocchi di neve che sparivano in acqua. «E’ stato molto leale, da parte tua.»
Bilbo si fissò le dita intrecciate e sorrise leggermente. «L’ho fatto senza pensarci, a dire il vero. Era come se ... come se glielo dovessi, in un certo senso. A lui e a tutta la compagnia.»
Ana si voltò a guardarlo e lo osservò per qualche secondo, incuriosita. «Posso chiedere come ha fatto un hobbit a finire in una compagnia di nani e mettersi alla ricerca di un tesoro perduto?» chiese, divertita. «Stamattina, a casa di Bard, hai detto che era una lunga storia.»
«Lo è, in effetti» rispose Bilbo. «Lunga e … molto, molto strana. Se me la raccontassero, probabilmente non ci crederei.»
«Mettimi alla prova, allora. Non ho fretta di andarmene, e dopo la giornata di oggi, direi che il mio concetto di “strano” sta cominciando a ridefinirsi.»
Bilbo rise e annuì. «D’accordo. Ecco, è cominciato tutto … poco più di un anno fa, direi. A quei tempi ero ancora un hobbit rispettabile, il cui massimo concetto di “avventura” consisteva nell’arrischiarsi fuori di casa con la pioggia scrosciante per raggiungere la locanda del Drago Verde a Hobbiville. Poi, un giorno, è comparso dal nulla uno stregone con la strampalata proposta di seguirlo in un viaggio in cui, con molta probabilità, avrei lasciato la pelle; e io, come puoi ben immaginare, rifiutai con la dovuta cortesia. Il risultato fu che quella sera stessa mi ritrovai in casa un manipolo di nani che, dopo avere completamente ripulito le scorte della mia dispensa e avermi messo a soqquadro il soggiorno, cominciarono a raccontare storie di draghi di tesori, di regni perduti, e a cantare canzoni malinconiche davanti al fuoco.»
Si voltò, e il suo sguardo incontrò quello di Ana. Un angolo della sua bocca era piegato in un leggero sorriso.
«Mi sembra di capire che, questa volta, tu non abbia potuto dire di no» osservò la ragazza, sorridendo a sua volta.
Lo hobbit annuì. «Sono partito in fretta e furia, mettendo poche cose in uno zaino e senza nemmeno un fazzoletto. Immagino che, a questo punto, la mia reputazione di hobbit rispettabile sia perduta per sempre.»
A dispetto delle sue parole, Ana si stupì di non sentire nella sua voce nessuna traccia di rimpianto. Anche se prima di quella mattina non ne aveva mai visto uno, aveva sentito dire che gli hobbit erano le creature più tranquille e abitudinarie che esistessero nella Terra di Mezzo. Eppure, Bilbo Baggins sembrava perfettamente a suo agio con l’idea di aver seguito un gruppo di nani in un’avventura che aveva buone probabilità di rivelarsi suicida. Lo fissò, sinceramente impressionata, mentre Bilbo continuava il suo racconto con le vicissitudini che avevano preceduto l’arrivo della compagnia a Pontelagolungo. Passò almeno un’ora prima che finisse, ma Ana a malapena se ne accorse.  Bilbo parlava di creature straordinarie che lei conosceva solo attraverso le storie – troll, goblin, mutapelle, api grandi come cagnolini, aquile enormi – e per un po’ riuscì persino a dimenticare dove si trovava e cosa le accadeva intorno.  Un paio di volte, da certe esitazioni e certe ombre che vide passargli nello sguardo, intuì che lo hobbit le stava nascondendo qualche dettaglio della storia, ma non le importava. Rimase quasi delusa quando Bilbo, dopo aver descritto la  rocambolesca e incredibile fuga dal Reame Boscoso dentro dei barili galleggianti, arrivò a raccontare i fatti che Ana già conosceva, ovvero l’incontro con Bard e l’arrivo in città.
«E questa è … la lunga e strana storia di come un hobbit serio e  rispettabile  è stato traviato da un gruppo di nani e trasformato in un losco scassinatore» concluse Bilbo, stringendosi nelle spalle. Ana rise senza smettere di fissarlo intensamente.
«Ti sei affezionato a loro, vero?» chiese a bruciapelo, sorridendo appena.
Bilbo alzò su di lei uno sguardo leggermente sorpreso. «Da cosa l’hai capito?»
«Non credo che li avresti seguiti fino a questo punto, se non avessi cominciato a sentire quest’impresa un po’ come tua.»
Bilbo tornò a fissare dritto davanti a sé con le sopracciglia leggermente aggrottate, come se prima di quel momento non avesse mai preso veramente in considerazione quell’idea.
«Credo che tu abbia ragione» mormorò. «Sono partito semplicemente perché una parte di me – molto ben nascosta, devo dire – si è resa conto che un focolare, buon cibo e una poltrona comoda stavano cominciando a non bastare più … non avrei mai pensato di poter cominciare a desiderare davvero di vedere Erebor riconquistata.»
«Beh, da quello che ho visto in piazza questa sera, posso capire perché tu abbia sposato la loro causa» osservò Ana. «Thorin ha la stoffa del leader. Convincerebbe chiunque a seguirlo, persino i sassi.»
«Non penso si tratti solo di questo» replicò Bilbo pensoso. «Voglio dire, ciò che hai detto è vero, naturalmente. Ma quello che mi colpisce di Thorin e di tutti loro è … non so se c’è un modo adatto per dirlo … il completo disprezzo per ogni forma di logica o di buon senso, credo.»
Ana, suo malgrado, si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito. «Scusami» disse. «Non volevo ridere di te, solo … quello che hai detto suona alquanto strano.»
«Lo so» rise Bilbo. «Quello che volevo dire è che … sanno bene di essersi imbarcati in un’impresa che nel migliore dei casi si può definire pericolosa … sanno che probabilmente alcuni o molti di loro non riusciranno a tornare … sanno che per soli tredici nani sconfiggere un drago è quasi impossibile … sanno che nessuno dei loro parenti arriverà in loro aiuto, se non quando sarà il momento di spartirsi il tesoro … eppure a loro non importa. Tutto quello che vogliono è riconquistare Erebor, la loro casa, e il fatto che probabilmente finiranno tutti morti arrostiti non sembra toccarli minimamente.» Scosse la testa, come se non riuscisse a capacitarsi di ciò che aveva appena detto. «Non so se sia pazzia o semplice testardaggine nanica … quello che so, è che li ammiro per questo. Tutti loro.»
Ana lo fissò per diversi secondi senza dire nulla. Quelle parole avevano smosso qualcosa dentro di lei a cui non riusciva a dare un nome, ma che, ne era certa, aveva squarciato la cupezza dei suoi pensieri come un timido raggio di sole.
«Non avrei mai pensato di dirlo, ma … spero che tu e i tuoi amici abbiate fortuna in quest’impresa» disse gentilmente, sorprendendosi di avvertire nella sua voce una leggera nota di commozione. Temeva ancora la furia del drago che forse si sarebbe abbattuta su di loro, ma era come se, in quel momento, nella sua mente non ci fosse spazio per la fredda logica.
Bilbo le rivolse un sorriso di gratitudine. «Ti ringrazio. E’ bello sentirtelo dire» rispose, prima che il suo viso tornasse a rabbuiarsi. Le lanciò un’occhiata in cui Ana non faticò a scorgere un’ombra di senso di colpa. «A proposito di questo … vorrei chiederti scusa per tutti i problemi che vi abbiamo causato … e che forse vi causeremo.»
Ana avrebbe voluto replicare che, se un disastro fosse veramente accaduto, delle scuse non sarebbero certo bastate ad evitarlo, ma non ci riuscì. Non se la sentiva di rivolgersi a Bilbo in modo tagliente, non dopo che aveva parlato con lei in modo così aperto e sincero e le aveva fatto capire le ragioni profonde che stavano dietro alla loro impresa.
«Quel che è fatto è fatto, ormai» si limitò a rispondere con un lieve sorriso velato di amarezza, tornando a fissare l’acqua sotto di sé. «Credo che faremmo meglio a goderci questa serata fino in fondo, e lasciare che il domani, per adesso, resti tale.»
Come se le avesse letto nel pensiero, una voce dietro di loro arrivò improvvisamente a interrompere la loro conversazione.
«Bilbo! Che stai facendo lì? Avanti, vieni a vedere! Bombur dice che proverà a mangiare un’intera catena di salsicce senza nemmeno un sorso di vino e senza nemmeno togliere la corda!»
Si voltarono. A parlare era stato Bofur, il nano che portava sempre un buffo capello foderato di pelliccia con larghe falde girate all’insù. Quella sera tuttavia, al posto del capello portava un elmo delle guardie cittadine troppo grande per lui, che gli calava continuamente su un orecchio o sull’altro e che il nano doveva continuamente rimettere al suo posto.
Bilbo sospirò e le rivolse un’occhiata di scuse.
«Vai pure» lo rassicurò Ana. «Fossi in te, non mi perderei lo spettacolo per nessuna ragione al mondo.»
Per un momento parve che Bilbo fosse tentato di rimanere, ma poi, dopo averla ringraziata con un cenno della testa, si staccò dalla staccionata e si allontanò di qualche passo.
«Grazie per la chiacchierata» disse, voltandosi e sorridendole amichevolmente da sopra la spalla. «Spero che non sia l’ultima che abbiamo occasione di fare.»
«Lo spero anch’io, mastro Baggins» rispose Ana piegando a sua volta le labbra in un leggero sorriso. Ricambiò il suo saluto con un breve gesto della mano e per qualche secondo rimase a guardarlo allontanarsi insieme al nano, fermandosi di tanto in tanto per sistemarsi goffamente i pantaloni troppo larghi. Avvertiva dentro di sé una curiosa sensazione di leggerezza, come qualcuno le avesse appena tolto un macigno dallo stomaco. Eppure non era cambiato niente, rispetto a qualche ora prima: la compagnia di Thorin Scudodiquercia era sempre in procinto di partire per la Montagna Solitaria, il pericolo del drago continuava a incombere minacciosamente sulla città, e i sentimenti per Bard erano sempre lì, ad agitarsi confusamente nella sua testa mescolandosi alle sue insicurezze. Si raddrizzò e trasse un lungo sospiro, osservando l’aria che si condensava in una piccola nuvoletta davanti alla sua faccia. Era il suo stato d’animo ad essere cambiato, realizzò. Il cinismo, la cupezza e la malinconia in cui si era crogiolata fino a quel momento erano come scomparsi, spazzati via da un’improvvisa ventata di ottimismo, e Ana sapeva che il merito era tutto dello strampalato racconto di Bilbo Baggins.
Tredici nani erano partiti dall’ovest sperando, nelle più rosee previsioni, di riuscire ad arrivare vivi al massimo fino a Bosco Atro, e adesso erano in procinto di raggiungere la loro meta, di realizzare il sogno della loro stirpe …
Un hobbit aveva lasciato la sua confortevole abitazione senza mai essersi spinto più in là dei confini della Contea e senza aver mai fatto niente di più pericoloso che maneggiare fuochi d’artificio, e adesso era in quella città, onorato e festeggiato come un eroe insieme al resto della sua compagnia ...
Conosceva tutti loro da non più di qualche ora, eppure sentiva quelle storie stranamente vicine, come se in qualche modo le appartenessero. Ci mise un po’ a capire il motivo di quella strana sensazione, e quando ci arrivò sorrise tra sé e sé. Adesso ricordava perché da piccola le piaceva tanto stare ad ascoltare le fiabe. Storie del genere facevano sentire molto meno piccoli, molto meno incapaci o inadeguati. Storie del genere facevano dimenticare tutti i buoni motivi per cui ci era sembrato meglio non illudersi, tutti i buoni motivi per cui si era scelto di non osare. Storie del genere ti facevano semplicemente sentire meglio.
Come in un sogno, sentì il proprio corpo staccarsi dalla staccionata. Un’insistente voce nella sua testa la ammoniva che era ora di tornare a casa, che i suoi genitori avrebbero potuto iniziare a preoccuparsi … ma a quanto pareva le sue gambe erano di tutt’altro parere, perché dopo pochi minuti, quasi senza sapere come ci era arrivata, si ritrovò davanti alla porta della casa di Bard. Rimase a lungo con il pugno sollevato a mezz’aria, fissando le profonde venature del legno ormai scrostato, immobile come una statua di ghiaccio nelle neve.
Che cosa stai facendo?
Poteva sentire il rumore del battito delle sue ciglia mischiato ai leggeri tonfi del suo cuore nel petto.
Che cosa stai facendo, per l’amor del cielo? Perché sei qui?
Finalmente si decise, e picchiò tre colpi sonori con le nocche arrossate dal freddo.


 
 
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE

Sssssssalve e ben ritrovati! Lo so che pensavate fossi sparita dalla circolazione, ma per vostra sfortuna sono tornata a tediarvi con i miei aggiornamenti ;) A parte gli scherzi, mi scuso davvero per il ritardo, ma l’ultimo esame della mia carriera universitaria mi ha sottratto più tempo ed energie del previsto: sappiate soltanto che per un mese sono andata avanti a cibo, acqua, appunti e film di fantascienza italiani degli anni ’60 (alcuni anche di gusto molto discutibile). Coooomunque, come vedete finalmente mi sono decisa ad aggiornare. All’inizio questo capitolo non mi convinceva molto, tanto che ho esitato qualche giorno prima di pubblicarlo da solo senza andare avanti con la storia … poi però l’ho riletto a mente fredda, ho migliorato un po’ di cose qua e là e ho deciso che mi soddisfaceva! Non succede granché, è vero, ma abbiamo un primo vero dialogo (e un primo accenno di amicizia) tra Ana e Bilbo che spero di sviluppare ulteriormente nei prossimi capitoli e che mi sembrava abbastanza importante: prima di tutto perché è la molla che fa scattare qualcosa nella mente di Ana, in secondo luogo perché Bilbo è il mio personaggio preferito in assoluto (non solo dell’universo tolkeniano, ma anche di quello letterario in generale) e volevo dargli un po’ di spazio :)
Spero che il capitolo non vi abbia annoiato e che abbiate gradito la lettura. Come sempre ringrazio tutti coloro che mi seguono e spero di aggiornare prima possibile (il capitolo VII per fortuna è a buon punto)!
A presto,

MrsBlack90

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