Green Alert

di Nessie26
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 3: *** Tre ***
Capitolo 4: *** Quattro ***
Capitolo 5: *** Cinque ***
Capitolo 6: *** Sette ***
Capitolo 7: *** Otto ***
Capitolo 8: *** Nove ***
Capitolo 9: *** Dieci ***
Capitolo 10: *** Undici ***
Capitolo 11: *** Dodici ***
Capitolo 12: *** Tredici ***
Capitolo 13: *** Quattordici ***
Capitolo 14: *** Quindici ***
Capitolo 15: *** Sedici ***
Capitolo 16: *** Diciassette ***
Capitolo 17: *** Diciotto ***
Capitolo 18: *** Diciannove ***
Capitolo 19: *** Venti ***
Capitolo 20: *** Ventuno ***
Capitolo 21: *** Ventidue ***
Capitolo 22: *** Ventitrè ***
Capitolo 23: *** Ventiquattro ***
Capitolo 24: *** Venticinque ***
Capitolo 25: *** Ventisei ***
Capitolo 26: *** Ventisette ***
Capitolo 27: *** Ventotto ***
Capitolo 28: *** Ventinove ***
Capitolo 29: *** Trenta ***



Capitolo 1
*** Uno ***


Dopo settimane d'inferno trascorse tra il lavoro estenuante alla Palmer Technologies e la fonderia, Felicity sapeva che l'influenza era proprio l'ultimo dei suoi mali. Al contrario, le sembrava addirittura una benedizione. Aveva bisogno di dormire, dormire, dormire. Doveva staccare da tutto il resto per uno o due giorni. Nessuna violazione di sistemi informatici, nessuna localizzazione di criminali. Del resto non chiedeva molto.
Ancora a letto, troppo stanca anche solo per potersi girare e cambiare posizione, si sentiva divisa tra il senso di responsabilità e la voglia di dormire. Là fuori c'erano persone che contavano su di lei, sul suo aiuto e non poteva deluderli.
Al tepore, sotto le morbidi coperte di flanella, quei pensieri le sembrarono quasi senza importanza, troppo lontani anche solo per essere presi in considerazione. Pian piano tutte le preoccupazioni si sbiadirono perdendosi nel sonno. Era vero che i criminali non riposavano mai, ma lei sì, e non poteva far niente per cambiare quel semplice dato di fatto. Sarebbe dovuta andare a lavoro da lì a due ore, ma non aveva la forza né di alzarsi, né di prepararsi per uscire di casa. Felicity si destò ancora una volta per fare ciò che andava fatto.
Si sedette a letto, prese il telefono e chiamò a lavoro per dire che avrebbe preso due giorni di malattia.
Ritornò ad accucciarsi sotto le coperte e si addormentò quasi subito, mettendo a tacere tutto il resto.


 

Il telefono squillava senza sosta, ma Felicity impiegò diversi minuti prima di essere completamente sveglia. Aveva un forte mal di testa e qualche linea di febbre. Non riusciva a respirare bene perché aveva il naso chiuso e sembrava che la gola le andasse in fiamme. Stava decisamente male.
Che ore erano? Non ne aveva idea. Dopo essersi alzata nel primo pomeriggio e aver bevuto un brodo caldo, era tornata a dormire e non sapeva esattamente quanto tempo fosse trascorso da allora. Si voltò verso la finestra e vide che fuori era buio. Afferrò con mani incerte il telefono che continuava a squillare e rispose.

«Oliver». La voce nasale della ragazza non lasciava dubbi sulle sue condizioni.

«Dove diav... Felicity?», chiese confuso Oliver, non riconoscendone la voce per un attimo.

Aveva bisogno del suo aiuto e lei non aveva risposto al telefono per tutto il pomeriggio. Felicity non si allontanava mai dal suo cellulare, e lui non sapeva se essere infuriato o preoccupato per l'assenza. Quando Felicity rispose al telefono parlando con una voce così bizzarra, nella sua mente si chiarì ogni dubbio e si alleggerì anche la frustrazione accumulata nelle ore precedenti.

«Oliver, che c'è?», chiese la ragazza un po' bruscamente, stordita dal sonno e dal mal di testa.

«Felicity ho bisogno di te qui.», rispose Oliver con notevole urgenza nella voce, ma poi aggiunse più gentilmente : «Stai male?».

«Sì» , riuscì a rispondere a stento Felicity, poi si soffiò sonoramente il naso come per consolidare ciò che aveva appena affermato. «Come puoi sentire, ho preso l'influenza.», aggiunse poco dopo.

«Mi dispiace... Ce la fai a controllare una cosa per me?» , chiese speranzoso Oliver.

Non voleva disturbarla se stava male, ma aveva davvero bisogno del suo aiuto. Se ci fosse stato un altro modo l'avrebbe lasciata in pace. Era già vestito con il suo costume di pelle verde, pronto ad entrare in azione, aveva solo bisogno che Felicity gli indicasse il luogo esatto in cui un trafficante locale di armi, conosciuto come Big Joe, si trovasse in quel momento. Doveva evitare che quella feccia mettesse le mani sul carico di armi che sarebbero arrivate clandestinamente su una nave da trasporto merci. Aveva bisogno di sapere il luogo esatto e l'ora in cui sarebbe avvenuto lo scambio.
Felicity da parte sua non riusciva nemmeno a tenere gli occhi aperti, ma si rese conto che Oliver aveva bisogno del suo aiuto, quindi gli disse:

«Dammi solo un minuto, prendo il tablet.»

Dopo aver fatto alcune ricerche smanettando per un po' sullo schermo, riuscì a localizzare una nave che si avvicinava lentamente al porto di Starling City: sarebbe attraccata alle 23:30. Diede tutte le indicazioni necessarie ad Oliver e si lasciò cadere stancamente sul letto.
Oliver , prima di riattaccare, si rese conto ancora una volta di poter sempre contare su Felicity, la sua partner.

«Grazie»

«Oliver... sta' attento.»

La telefonata era terminata, ma Felicity non riuscì più ad addormentarsi. Non era mai tranquilla quando Oliver usciva in missione, era pur sempre un enorme rischio quello che correva.
Scese dal letto e andò a prepararsi qualcosa di caldo per cercare di sciogliere un po' della sua preoccupazione.

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Capitolo 2
*** Due ***


 

Le ore trascorsero lente e Felicity continuava a chiedersi se Oliver fosse già tornato al covo oppure no. Se avesse piazzato un localizzatore GPS nel costume da vigilante, l'avrebbe saputo. Purtroppo Oliver non voleva, quindi doveva fare affidamento su metodi più tradizionali.
Prese il telefono e selezionò il suo numero. Dopo pochi squilli sentì la voce calda di Oliver.

«Ciao.»

«Com'è andata?»

«Ho evitato lo scambio per il momento, ma i trafficanti sono riusciti a scappare. Ci riproveranno presto»

«Diggle e Roy erano con te?», chiese Felicity con un po' di apprensione nella voce.

Dall'altra parte del telefono regnava il silenzio.

«Erano con te, non è vero?» , ripeté la ragazza sempre più agitata.

«No. Avevano altri impegni per stanotte»

Felicity rimase interdetta. Oliver era andato ad un incontro tra trafficanti d'armi senza l'aiuto di nessuno. Era una fortuna che fosse riuscito a disperderli, anche se per breve tempo.

«Sto bene, Felicity. Davvero.»

Oliver si era reso conto della preoccupazione della ragazza e voleva tranquillizzarla.

«Potevi restare in comunicazione audio con me durante la missione... Il tuo è stato un azzardo Oliver. Te ne rendi conto?»

Dall'altra parte c'era solo silenzio, spezzato dal respirare lento e regolare di Oliver. Era troppo orgoglioso per ammetterlo.

«Come ti senti?»

«Meglio adesso...»

«Torna a dormire... hai bisogno di rimetterti in forze. Buonanotte Felicity».

«Buonanotte, Oliver»

 

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Capitolo 3
*** Tre ***


 

«Hai un aspetto terribile!». Fu così che Roy accolse Felicity al covo dopo due giorni di assenza.

Lei gli scoccò un'occhiataccia, ma non disse nulla per difendersi. In fondo era vero: parlava con voce nasale, gli occhi erano arrossati e cerchiati da occhiaie scure, il naso era arrossato e screpolato. Non si poteva certo dire che fosse in gran forma.
Oliver si avvicinò e poggiandole una mano sulla spalla le disse:

«Sei sicura di stare abbastanza bene?»

Felicity sapeva bene che nonostante la domanda, Oliver aveva bisogno di lei, quindi annuì in risposta e si mise a fare le sue ricerche.
Lavorò in silenzio per circa un'ora. Rintracciare quei criminali non era cosa semplice, ma doveva riuscirci. Era concentrata sui suoi computer e nessuno la disturbava mentre le ricerche erano in corso.
Diggle era uscito per andare a prendere qualcosa da mangiare con Roy, mentre Oliver era seduto alla scrivania alle sue spalle, limando alcune frecce in silenzio.
Alla fine Felicity ruppe quell'atmosfera, esordendo con un energico:

«Trovati!»

Oliver prestò subito attenzione alle parole della ragazza.

«Big Joe e gli altri si incontreranno tra poco in questa fabbrica dismessa in The Glades.», disse Felicity indicando un punto preciso sulla mappa.

Oliver registrò mentalmente il luogo e dopo essersi cambiato d'abito iniziò a scaldare la muscolatura per andare in missione da lì a poco. Non appena Diggle e Roy tornarono, furono subito aggiornati e insieme ad Oliver andarono al luogo d'incontro dei trafficanti d'armi.
Felicity rimase seduta al suo posto, dando indicazioni ai tre uomini attraverso gli auricolari. Si mise anche in contatto con il detective Lance, informandolo dell'incontro tra i trafficanti d'armi che sarebbe avvenuto a pochi minuti di distanza.
Felicity si sentiva ancora debole e i suoi riflessi erano tutt'altro che rapidi. Oliver, tramite l'auricolare, dovette ripetere più volte le domande prima che lei fosse in grado di rispondergli.
Il mal di testa era pulsante e insopportabile, quindi decise di andare a casa non appena gli altri fossero tornati, cosa che avvenne circa venti minuti dopo.
La missione era andata a buon termine, grazie anche all'aiuto della polizia che era intervenuta al momento opportuno.
Felicity prese le sue cose e fece per andarsene, ma alzandosi dalla sedia ebbe un capogiro così violento che sarebbe caduta se Oliver non l'avesse prontamente afferrata.
Felicity sentì il calore e la solidità del suo corpo attraverso i vestiti sottili. Un brivido la percorse da capo a piedi. Le sarebbe piaciuto restare in quella posizione ancora per un po', ma Oliver allentò la presa e la fece accomodare delicatamente sulla sedia.

«Hey».

La mano di lui accarezzò lievemente il viso di Felicity. Lei si riscosse quel poco per incrociare il suo sguardo, grata per quel tocco.

«Dammi le chiavi, ti porto a casa», disse Oliver, tendendo la mano verso di lei.

«Mhm»

«Felicity...»

«Posso farcela da sola, davvero»

Aveva richiuso gli occhi e si teneva il capo con una mano. Il mal di testa era acuto, aveva l'impressione di avere mille spilli nella testa.
Oliver le prese le chiavi dalle mani e dopo averla aiutata a mettersi il cappotto l'afferrò con decisione e in un attimo Felicity si trovò sulle sue braccia.
Oliver salì le scale con facilità: il corpo minuto di Felicity non era difficile da trasportare. L'aveva già fatto in passato, anche se in una circostanza completamente diversa.
La ragazza tese le braccia attorno al collo di lui per aggrapparsi meglio e adagiò il capo nell'incavo tra la spalla e il collo, lasciandosi cullare da quella sensazione di protezione e calore. Stare tra le braccia di Oliver e sentire i muscoli di lui tendersi per lo sforzo, era una sensazione piacevole.
In quella posizione riusciva a sentire l'odore della sua pelle; un profumo che sapeva di Oliver e sudore. Non le dispiaceva affatto, anzi la fece sentire a casa.
Il pensiero le sembrò subito ridicolo, ma non riusciva a spiegarsi in altro modo come si sentiva in quel momento. Quella era l'unica vicinanza fisica, l'unico momento di intimità che si fossero mai concessi e Felicity voleva goderselo, nonostante si sentisse poco bene.
Oliver percepiva, invece, il respiro caldo e leggero di Felicity sul collo. Un brivido lo attraversò all'improvviso. Cercò di controllare l'emozione, inutilmente. Sentire il corpo di Felicity così vicino al suo, percepire il suo odore e il suo respiro sulla pelle, lo faceva sentire vulnerabile.
Sentiva nascere dentro di lui un'eccitazione insolita che si diffondeva lenta e sembrava bruciargli sotto pelle. Istintivamente la strinse più forte a sé.
Raggiunse l'auto di Felicity e cercò di posizionarla al meglio sul sedile, coprendola con la sua giacca. Guidò finché non raggiunse il suo edificio. Sapeva bene dove abitava, ma non era mai stato a casa sua. Scendendo dalla macchina Felicity riusciva a reggersi in piedi e Oliver la lasciò camminare. Se l'avesse avuta ancora tra le braccia, non sapeva come avrebbe reagito il suo corpo.
Arrivarono all'ingresso, così Felicity prese le chiavi, aprì la porta ed entrò gettandosi immediatamente sul divano ancora col cappotto indosso. Oliver era rimasto sull'uscio, non sapeva cosa fare. Doveva entrare e aiutarla a mettersi a letto o lasciarla riposare sul divano?
Entrò, chiudendosi la porta alle spalle.
Felicity teneva gli occhi chiusi, forse dormiva già. Oliver cercò di sfilarle il cappotto con delicatezza, per non svegliarla. Poi le tolse gli stivali e si guardò attorno in cerca della camera da letto. La casa era spaziosa, ma non aveva molte stanze quindi trovò subito la stanza che cercava. Prese Felicity tra le braccia e la accompagnò fino al letto, dove la adagiò piano coprendola con le coperte.
Felicity era mezza addormentata ma si rese conto di trovarsi nel suo letto. Dischiuse gli occhi e sussurrò un grazie. Istintivamente si portò una mano verso i capelli e sfilò l'elastico lasciando ricadere i lunghi capelli biondi sul cuscino. Oliver la osservava in silenzio.
Spesso l'aveva immaginata nel suo ambiente, a casa sua, ma vederla distesa a letto, così indifesa e fragile faceva tutt'altro effetto. Si sentì invaso dalla tenerezza e da qualcosa che non riusciva a spiegare...
Fece per andarsene, ma prima di chiudere la porta sentì la flebile voce di Felicity che diceva:

«Resta per favore».

La voce era un sussurro, ma Oliver la sentì perfettamente.

«Sono di là se ti serve qualcosa»

Felicity sprofondò in un sonno profondo, felice di non restare da sola per quella notte.

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Capitolo 4
*** Quattro ***


 

Una volta lasciata la camera da letto, Oliver andò nel salotto e si guardò un po' attorno, incuriosito dal mondo di Felicity. Era tutto così colorato, vivace e accogliente, proprio come lei pensò.
Mentre osservava le sue foto, i piccoli oggetti riposti sulle mensole, i quadri appesi al muro, Oliver si sorprese nel rendersi conto di sapere davvero poco della sua vita. Chi erano le persone accanto a Felicity in quelle foto? Non ne riconosceva nessuna.

Chi era Felicity Smoak fuori dall'ufficio e fuori dal covo di Arrow?

Oliver sentì uno sgradevole fastidio interiore, come un peso sullo stomaco. Come poteva conoscere così bene qualcuno e sapere così poco della sua vita? Non riusciva a capirlo.
Felicity parlava continuamente, palesando tutto ciò che le passava per la testa. Era la persona più spontanea e genuina della sua vita e nonostante ciò si era pronunciata pochissimo sul suo passato e sulla sua famiglia.

Oliver non le aveva chiesto di più, forse perché se avesse conosciuto la vera Felicity, non le avrebbe più permesso di aiutare il vigilante, non sarebbe riuscito a caricarla di tutta quella pressione durante le loro missioni, non l'avrebbe più vista come il genio dell'informatica, la sua partner in quella folle crociata.
Felicity, d'altro canto, aveva deliberatamente celato la sua vita privata, non mischiandola con il lavoro che facevano. Si era dedicata anima e corpo alla sua lotta contro il crimine, sacrificando la sua vita privata, il suo tempo, le sue amicizie. Non l'aveva mai deluso, nemmeno una volta. Non poteva dire lo stesso di molti altri...

Tutti quei pensieri avevano fatto emergere sentimenti contrastanti che non aveva la lucidità di analizzare in quel momento.
Si sdraiò sul divano e cercò di riposare un po': era sempre stanco dopo una missione impegnativa come quella di poche ore prima e quei pensieri di certo non lo aiutavano a dormire.

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Capitolo 5
*** Cinque ***


Felicity arrivò a lavoro con dieci minuti di anticipo, quindi ebbe il tempo di bere il suo solito caffellatte con doppia dose di zucchero, prima di entrare nella sala riunioni. Il meeting era stato organizzato settimane prima da Ray Palmer in persona e, assieme a Felicity, avevano studiato ogni singolo dettaglio della relazione che avrebbero presentato ai giapponesi da lì a poco.
Ray Palmer aveva acquisito di recente la Queen Consolidated, un colosso che era stato tragicamente ridotto in cenere in un lasso di tempo brevissimo. Nonostante le potenzialità della compagnia, Ray sapeva bene che doveva stringere accordi con grosse società per consolidarne la stabilità e promuovere un'ascesa significativa e immediata. Doveva incrementare fusioni di un certo calibro se voleva avere successo.
Felicity lo sapeva bene, per questo motivo aveva dato il meglio di sé per assicurare la buona riuscita di quell'incontro.
Certo, non si sentiva al cento per cento delle forze, ma dopo il duro lavoro che aveva portato avanti per settimane, voleva avere la soddisfazione di essere almeno presente alla riunione.
Ray aveva esplicitamente scelto lei per quel compito, dunque non avrebbe deluso le sue aspettative.
Aveva appena terminato il suo caffellatte quando Palmer arrivò, avvicinandosi a passi lunghi e decisi e col solito sorriso stampato sul volto.

«Felicity Smoak, sono lieto di vedere che ti è ripresa. Pronta per l'incontro?», chiese euforico.

Felicity gli sorrise in risposta, sicura che Ray avesse già preso fin troppi caffè quella mattina.

Probabilmente, considerato il rossore degli occhi, non aveva neanche dormito un granché la notte precedente. Durante le settimane di collaborazione con Ray Palmer, Felicity si era resa conto che quell'uomo aveva determinazione e forza di volontà da vendere. Era instancabile. Spesso restava tutta la notte in ufficio a lavorare e non si staccava dal progetto a meno che non fosse assolutamente necessario.
Felicity capiva subito quando Ray non tornava a casa per dormire, soprattutto perché indossava gli stessi vestiti del giorno precedente, aveva gli occhi spiritati e un atteggiamento un po' esuberante: troppa caffeina in circolo.

«Ti sei ripresa, vero? Non sarai mica venuta solo per via del meeting... Se stai ancora male puoi andare a casa. Posso cavarmela da solo lì dentro»

Il suo sguardo era sereno e la guardava dritto negli occhi per capire se in lei vi fosse qualche traccia di incertezza. La ragazza non aveva dubbi sul fatto che Ray sapesse gestire quel meeting, in fondo era lui la mente e il cuore del progetto.

Cercò di rassicurarlo: «Sto benissimo. Non sarei venuta altrimenti. Non metterei mai a rischio l'incontro, so quanto è importante per la società. Ti assicuro che so gestire abbastanza bene lo stress»

«Non fraintendermi. Non ho dubbi sulle tue capacità, Felicity. Non vorrei, però, che ti sentissi obbligata a partecipare se stai ancora male».

Felicity apprezzò la genuina preoccupazione di Ray. Si chiedeva perché avesse quel particolare riguardo per lei, in fondo si conoscevano da poco meno di due mesi. Forse era così con tutti, non sapeva dirlo.

«Ho solo un leggero mal di testa, niente che un'aspirina non possa risolvere».

Ray Palmer annuì e guardò l'orologio che aveva al polso, uno di quelli che aveva progettato lui stesso: un insieme di funzionalità lo rendevano più un computer di ultimissima tecnologia che un orologio vero e proprio. Certo, era piccolo, aveva la forma di un orologio e segnava l'ora, ma quella era davvero l'ultima delle sue mansioni.

«Ci siamo. Possiamo andare?»

«Certo, andiamo»

«Magari giusto il tempo per un altro caffè prima.»

«Quanti caffè hai già preso stamattina?», chiese Felicity con fare indagatore.

«Tre o quattro...»

«Guarda che te lo leggo in faccia: stai mentendo!».

Ray proruppe in una sonora risata, divertito dall'atteggiamento di Felicity e dal dito che lei gli stava puntando addosso. Alzò le mani in aria in segno di difesa, lo aveva scoperto.

«Va bene, ne ho bevuto qualcuno in più, lo ammetto!»

«Dovresti dormire, piuttosto»

«E lo farò, non appena i giapponesi firmeranno il contratto.», disse Ray accomodante, strizzandole l'occhio.

Felicity non poté fare a meno di ridere.

Ray era decisamente convinto che i giapponesi avrebbero accettato di collaborare.

Come dargli torto. D'altronde, lei stessa avrebbe accettato se fosse stata al loro posto.

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Capitolo 6
*** Sette ***


 

Oliver si svegliò all'alba e dopo aver controllato che Felicity stesse bene, andò via.
L'aveva osservata dormire per qualche istante prima di andarsene e l'immagine di lei gli era rimasta scolpita nella mente. Era a questo che pensava mentre tornava a piedi alla fonderia.
Pensava alle prime luci dell'alba che le facevano brillare i capelli biondi sparpagliati sul cuscino, rendendoli più simili a fili d'oro sottili. Pensava ai tratti del suo viso completamente rilassati nell'incoscienza del sonno, le conferivano una dolcezza e un candore che non aveva mai visto sul volto di un'altra donna prima d'ora.Oliver si sorprese di ciò che la sua mente stava producendo: immagini di Felicity tra le sue braccia, Felicity che dorme, Felicity che sorride...
Probabilmente era trascorso troppo tempo da quando era uscito con qualcuna e stare a così stretto contatto con lei aveva risvegliato impulsi di quella natura. Non riusciva a spiegarsi in altro modo quelle strane sensazioni.L'aria gelida del mattino lo aiutò a uscire da quel vortice di pensieri e a riprendere il controllo di se stesso. Si mise a correre finché non raggiunse il covo e si perse, poi, nel suo lavoro di vigilante.

 

**

 

Al suo risveglio Felicity credette di trovare Oliver nell'altra stanza. Per un attimo si preoccupò del suo aspetto: doveva essere veramente indecente. Si alzò dal letto e si ravvivò i capelli davanti allo specchio, ma non c'era molto altro che potesse fare.
Uscì dalla stanza con un po' di agitazione nel cuore, sapendo che Oliver Queen stava dormendo nella stanza accanto. Invece non vide nessuno. Percorse tutto lo spazio con lo sguardo, cercandolo, ma non trovò nessuno. Se n'era andato. Una parte di sé fu delusa per questo, l'altra parte, quella razionale, si sentì sollevata.
Si fece una doccia calda e si preparò per andare a lavoro. Nonostante avesse ancora mal di testa, si sentiva meglio rispetto alla sera prima; inoltre doveva presenziare ad un meeting con Ray Palmer quindi doveva fare presto.
Prima di uscire e di chiudersi la porta alle spalle, diede un'ultima occhiata all'appartamento pensando al fatto che, per la prima volta in tutti quegli anni, Oliver era stato a casa sua e aveva addirittura passato la notte lì, anche se non per il motivo che molte volte aveva sognato.

“Peccato”- pensò Felicity divertita da quella riflessione. Dopodiché andò via con il sorriso ancora sulle labbra.



Nota:

Se state leggendo questa nota significa che, con molta probabilità, avete già letto i precedenti capitoli, quindi grazie mille. Ho scritto questa storia un po' di getto durante il fine settimana e mi sono decisamente divertita nel creare questa rete di emozioni, pensieri, confusioni tra Oliver e Felicity.
E' quasi un lento risveglio.
Non so ancora come evolverà la loro relazione, quindi se avete idee o suggerimenti sarei più che lieta di ascoltarli.
In ogni caso, anche senza recensioni, è una gioia vedere che qualcuno sta seguendo le mie storie. Grazie di cuore! :)

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Capitolo 7
*** Otto ***



Finito l'incontro, Felicity entrò nel suo ufficio e prese un'aspirina per lenire il mal di testa che si stava facendo più insistente. L'incontro era durato per più di due ore e si sentiva come se avesse lavorato l'intero giorno.
Quei giapponesi erano degli ossi duri. Con i loro sguardi indecifrabili, non lasciavano trapelare nulla. Ray era stato un vero ammaliatore.
Lui era sicuro che non ci sarebbe stato un rifiuto da parte loro, perciò Felicity aveva iniziato a crederci lei stessa.
Si sedette dietro la sua scrivania e si mise a pensare a quante cose fossero cambiate in solo due mesi.
Sulla porta del suo ufficio c'era scritto “Felicity Smoak” adesso, ma solo pochi mesi prima sulla stessa porta vi era il nome di “Oliver Queen. Amministratore delegato.”
Oliver, però, non era riuscito a riprendere la sua carica di amministratore delegato perché non aveva le competenze nel settore, quindi la società era passata nelle mani di Ray Palmer.
La stessa Queen Consolidated aveva cambiato nome: adesso si chiamava Palmer Technologies.
Felicity si rendeva conto che per Oliver non doveva essere stato facile quel cambiamento. Perdere la società di famiglia doveva essere stato un duro colpo, ma lui dava l'impressione di non volerne parlare quindi lei aveva rispettato la sua scelta.

 

'Oliver'...

Quel nome sembrava scolpito a fuoco nella mente della giovane ragazza e il pensiero di lui, della notte precedente, del suo tocco, non voleva proprio andarsene.
Felicity ripensò al momento in cui si trovava tra le braccia di Oliver e credeva di sentire ancora sulla pelle la presa delle sue braccia. Chiudendo gli occhi ricordava persino il suo odore.
Nonostante lo stordimento della sera precedente, Felicity giurava di aver percepito, solo per un istante, Oliver che la stringeva più forte a sé e l'avvicinava al suo petto. Che se lo fosse immaginato? Forse stava solo leggendo troppo in quei gesti. Forse lui voleva solo aiutarla perché stava male.
Poi un dubbio si agitò nella sua mente: forse quello che lei aveva scambiato per un movimento fatto di proposito, quello stringerla a lui, era stata solo una contrazione, una reazione dovuta al fatto che lei gli avesse circondato il collo con le braccia e gli avesse respirato contro la pelle nuda del collo. Forse Oliver si era solo agitato per la vicinanza. Loro due di solito non avevano interazioni fisiche del genere. Si toccavano a malapena, fatta eccezione per una stretta di mano, o una mano sulla spalla o sul braccio di tanto in tanto. Di sicuro niente corpi che si toccano e respiri ravvicinati.
Felicity avvampò pensando all'eventualità che Oliver avesse capito che lei aveva volutamente avvicinato il volto per stargli più vicina, ma l'imbarazzo svanì subito dopo.
In fondo Felicity non aveva mai nascosto il fatto che provasse attrazione per Oliver, lo sapeva bene persino lui.
Le sue battute non troppo velate, i doppi sensi non voluti, le frasi dette inconsapevolmente l'avevano smascherata sin dal principio. Aveva smesso fin da subito a tentare di filtrare l'attrazione che provava per lui, tanto era inutile.
Le piaceva osservarlo apertamente durante gli allenamenti, soprattutto quando lui e Diggle combattevano o quando Oliver si allenava alla salmon ladder. Le piaceva osservare il corpo sudato e i muscoli tesi durante lo sforzo. Osservava imbambolata i muscoli che si ingrossavano durante l'allenamento e il pulsare delle vene su tutto il corpo.
Per non accaldarsi troppo durante lo spettacolo, Felicity faceva attenzione persino alle espressioni del viso di Oliver, al suo stringere i denti per lo sforzo e alle cicatrici. Persino così era tremendamente affascinante.
Oliver sapeva benissimo che Felicity lo osservava durante gli allenamenti e non si sentiva minimamente imbarazzato ad avere i suoi occhi azzurri puntati addosso, anche quando faceva allenamenti estremi. Una parte di lui si sentiva lusingato, piuttosto.

L'attrazione, però, non è amore e Oliver sapeva che la ragazza bionda lo trovava affascinante, ma non sapeva quali sentimenti la animassero. Lo immaginava, forse, ma non poteva saperlo con certezza.
Dall'altra parte, Felicity non aveva idea di ciò che passava per la testa di Oliver. Non le sembrava che lui l'avesse mai guardata diversamente da come si guarda una semplice amica. C'erano stati dei momenti speciali tra loro, ma erano sfumati nell'oblio. Nonostante quei momenti, Felicity non aveva mai capito cosa Oliver provasse per lei. Lui l'aveva protetta in svariate circostanze, ma faceva lo stesso per Diggle o per Roy senza pensarci due volte.
Da quando si conoscevano, Oliver era uscito con un gran numero di ragazze, ma con lei non aveva mai provato ad andare oltre. Che non la trovasse attraente? Di certo le donne che frequentava erano tutte bellissime. Felicity si rattristò pensando alle ragazze con cui Oliver era uscito nel passato, partendo dalla bellissima, fantastica, meravigliosa Laurel.
Scacciò via dalla mente quei pensieri, e pensò piuttosto al fatto che Oliver avesse dormito da lei, sul suo divano, per prendersi cura di lei... Felicity sorrise al pensarci. L'avrebbe ringraziato non appena lo avesse visto. Si agitava al pensiero di vederlo. Come si sarebbe dovuta comportare? "Come sempre, ovviamente", pensò tra sé e sé, sentendosi una sciocca. In fondo, non era accaduto proprio niente tra loro la sera prima. Erano tutte sensazioni.

Per quel giorno Felicity poteva andare via dall'ufficio, Ray Palmer le aveva detto di prendersi il resto della giornata per fare ciò che preferiva.Felicity non immaginò niente di meglio che vedere Oliver.
Ecco ciò che preferiva: Oliver Queen.
Perciò prese subito il telefono per avvisarlo che sarebbe andata al covo da lì a poco.

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Capitolo 8
*** Nove ***


Da quando aveva messo piede al covo, quella mattina, Oliver non si era fermato un solo momento. Dopo la corsa per arrivare al Verdant, si era concentrato sul duro allenamento fisico. Rispetto a tutti gli altri giorni, però, quell'allenamento si era prolungato per diverse ore e non si sarebbe fermato se le sue gambe non avessero ceduto. Il corpo stanco di Oliver si rifiutava di continuare, era al limite.

Dopo essersi fatto una doccia fredda, aveva cercato di dormire un po', ma il suo sonno era alterato da pensieri che non avevano intenzione di demordere.

Si sentiva irrequieto.

Non capiva esattamente il motivo di quell'agitazione, e il non capire lo rendeva ancora più nervoso.
Chiuse gli occhi e vide un volto, quello di Felicity. “Ecco il motivo, gli sussurrava una vocina irritante nella testa.
Pensando a lei sentì un brivido sulla pelle, lo stesso che aveva sentito il giorno prima e che aveva continuato a sentire per tutta la mattina. Aveva provato a ignorarlo, ma i suoi battiti acceleravano vertiginosamente non appena ripensava al respiro caldo di lei sul collo, al suo odore, al corpo di lei stretto al petto...
Sentì un altro brivido, più intenso, nel basso ventre.
Per qualche secondo Oliver si abbandonò a quella sensazione... Il suo corpo si attivò, rispondendo all'istante a quei pensieri.

Si sentiva confuso.
Si sentiva strano.
Si sentiva tremendamente eccitato.

Pensare a Felicity in quel modo gli faceva questo effetto, apparentemente...

Aprì gli occhi, deciso a non andare oltre in quei pensieri. Se l'avesse fatto una volta, l'avrebbe fatto ancora e non poteva rischiare di combinare un guaio quando l'avrebbe rivista.
Felicity non era come le altre donne. Lei era completamente diversa.
Oliver l'aveva capito dal primo istante. Tutto di lei gli aveva fatto capire che con 'una come lei' non si gioca. E lui non ci aveva mai nemmeno provato.
L'aveva volutamente tenuta a distanza, cercando di non alimentare fantasie o sentimenti. Lo aveva fatto per proteggerla, perché non voleva ferirla.
Vedersi tutti i giorni, stare a stretto contatto, restare concentrati sulle missioni non sarebbe stato possibile se avessero mischiato, anche solo per una volta, il lavoro con i sentimenti.
Per quel motivo Oliver si era mantenuto quanto più possibile a distanza da lei e vi era sempre riuscito, solo nelle ultime ore qualcosa era cambiato e non capiva il perché.
Non poteva permettersi di varcare il limite che lui stesso si era imposto.

Fece dei respiri profondi e riuscì lentamente a calmarsi.
Decise di alzarsi e di concentrarsi su qualcosa che non avesse niente a che vedere con Felicity.
Nemmeno venti minuti dopo, però, sul display del cellulare il nome 'Felicity' e la foto associata, lampeggiavano vivacemente. Oliver rispose quasi immediatamente.

«Felicity»

«Ciao Oliver. Senti, ho appena finito qui a lavoro e stavo pensando di passare da te. Sei lì?», chiese Felicity con fare allegro.

«E' successo qualcosa?», chiese Oliver preso alla sprovvista.

«Ehm.. no, no. Perché?».

«Per nessun motivo»

Felicity non sapeva cosa dire, quindi formulò una nuova domanda:

«Allora ci vediamo tra dieci minuti?»

«Certo. A dopo», rispose Oliver questa volta.

 

Felicity sarebbe arrivata tra pochi minuti e Oliver si sentiva agitato.
Non c'era nessuno che potesse far da filtro tra i due, nessun Diggle, nessun Roy.
Che sciocchezza! Non era un adolescente, sapeva controllarsi se lo voleva davvero.

Accese i computer e attese che Felicity arrivasse.

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Capitolo 9
*** Dieci ***


Una Felicity sorridente e allegra arrivò al covo tenendo tra le mani una pianta. Oliver la osservò e si stupì nel vederla così energica, soprattutto dopo le condizioni della notte precedente. Il pallore era sparito dal viso, sostituito dal suo incarnato roseo, gli occhi azzurri erano quelli di sempre, vivaci e pieni di vita.
Oliver cercò di concentrarsi sulla pianta, anziché sul volto di lei.

«Cos'è quella?»

«Una felce arborea.»

«Perché hai una felce arborea tra le mani?»

«Se lo chiedi con quel tono sembra quasi che non ti piaccia. Il che sarebbe un peccato dato che l'ho presa per te.»

Oliver era visibilmente sorpreso. Era la prima volta che qualcuno gli portava una pianta in regalo e di certo non se l'aspettava. Tese le mani è afferrò il piccolo vaso.
Felicity lesse la confusione sul viso dell'uomo e aggiunse:

«È solo un modo come un altro per ringraziarti. Non ho avuto modo di farlo stamattina, quindi quando ho visto la pianta venendo qua, ho pensato che, considerato che ormai vivi qui, avrebbe portato un tocco di colore alla stanza...», disse la ragazza quasi d'un fiato. Poi aggiunse imbarazzata:

«Forse è stata un'idea stupida»

«Niente affatto» - si affrettò a dire Oliver - «E' molto bella. Grazie davvero per il pensiero, ma non dovevi farmi un regalo»

«Certo che sì, invece. M'hai presa in braccio, accompagnata a casa, tolto le scarpe e messa a letto. Sei persino rimasto a dormire sul divano o almeno credo che tu sia rimasto... Quando mi sono svegliata, eri già andato via...»

Lei lo fissava attentamente e con curiosità, aspettando una risposta alla domanda che indirittamente gli aveva posto.
Oliver aprì la bocca per parlare, ma inizialmente non riuscì ad articolare neanche una frase che avesse senso.
Felicity, allora, mise una mano sul braccio di lui per calmarlo, quasi che per un attimo i ruoli tra di loro si fossero invertiti. Entrambi si concentrarono su quel tocco, così innocente e spontaneo ma capace di richiamare alla mente i pensieri più svariati.
Oliver riprese il controllo di sé stesso e finalmente disse:

«Sono rimasto, ma sono andato via all'alba quando ho visto che stavi meglio»

«Certo, capisco. Non era mica necessario che restassi da me finché non mi fossi svegliata...»

Lui serrò le labbra non dicendo più nulla. Si limitava a fissarla con uno sguardo indecifrabile.I suoi occhi apparivano così scuri e profondi che Felicity temette di perdersi lì dentro.
Forse era già successo, forse si era già persa.

«Non eri mai stato da me prima di ieri. Non avevi mai avuto motivo per venirci effettivamente... Quello che voglio dire è che... Ti ringrazio per come ti sei preso cura di me, di nuovo»

I ruoli si erano ristabiliti tra i due. Felicity era di nuovo quella che parlava ininterrottamente, senza filtri e Oliver ascoltava in silenzio, con un sorriso appena accennato sulle labbra.

«Ti ricorderai di mettere un po' d'acqua alla pianta di tanto in tanto?»

Lui la guardò facendo finta di non capire e non rispose.

«Come immaginavo»



 





Nota.

Sono tornata con altri quattro capitoli, pubblicati tutti assieme.
Beh, vi piace la piega che sta prendendo la storia? Che ne pensate di questi nuovi capitoli?
Se avete già visto la terza stagione, avrete notato alcuni riferimenti. Mi sembrava carino inserire qualcosa della serie all'interno della storia.
Se vi va, fatemi sapere le vostre opinioni.

Grazie mille
Nessie26

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Capitolo 10
*** Undici ***


Dopo quella sera, Oliver si era fatto sempre più distante.
Felicity aveva cercato in tutti i modi di avvicinarsi a lui per capire quale fosse il problema, ma aveva l'impressione che la evitasse di proposito.
Cercava di trovare un'apertura, ma quando iniziava a parlargli vedeva Oliver irrigidirsi.
Dal canto suo, Oliver parlava rivolgendosi soprattutto a Diggle e Roy. Il suo sguardo si posava solo qualche attimo su Felicity per poi volare via da un'altra parte.
Forse voleva solo ristabilire certi limiti tra loro, limiti che chissà Felicity aveva involontariamente sorpassato.
Eppure la ragazza non riusciva davvero a capire il motivo di quel cambiamento. Le era sembrato di leggere qualcosa nei suoi occhi solo qualche giorno prima, di aver percepito un non so che nei suoi gesti. Possibile che si fosse sbagliata così tanto? Da un giorno all'altro Oliver era diventato freddo come il ghiaccio e inespressivo e duro come la pietra.
La ragazza non poteva far altro che accettare quel suo atteggiamento, facendo finta che tutto andasse a meraviglia.
Durante i primi giorni Felicity aveva tentato di avvicinarsi a lui, attribuendo il problema ad una giornata storta, ma ben presto dovette ricredersi perché lui si comportava così solo con lei.
Era ferita e si notava, ma cercava inutilmente di mascherare il tutto dietro a un sorriso.
Diggle, da parte sua, aveva capito tutto senza parlare con loro.
Li osservava come un critico d'arte silenzioso e attento osserva i quadri esposti ad una mostra. Li studiava e cercava di capire cosa spingesse quei due a farsi del male pur provando un forte sentimento l'uno per l'altra. Se avesse potuto, li avrebbe fatti sedere attorno a un tavolo, e avrebbe spiegato loro come procedere, così come si fa con i bambini.

Oliver sentiva su di sé sia lo sguardo confuso di Felicity che quello di accusa di Diggle.
Cercava quindi di evitare qualsiasi discorso con lui, perché sapeva che avrebbe provato a farlo ragionare. Diggle era la voce della coscienza, la sua coscienza.
L'unico a non rendersi conto della tensione che regnava in quella stanza era Roy, che ignaro di tutto si comportava come sempre, in modo assolutamente normale.

Dopo un ultimo tentativo di contatto con Oliver fallito, Felicity si era zittita completamente e si era seduta davanti al suo computer fingendo di cercare qualcosa. In realtà si stava solo chiudendo in un silenzio profondo, riflettendo sul da farsi.
Diggle la osservava comprensivo e dopo essersi avvicinato a lei aveva capito che la ragazza si sentiva ferita nel profondo per l'atteggiamento di Oliver.
Non potendo parlare con un uomo così caparbiamente determinato a sabotare qualsiasi relazione seria si presentasse nella sua vita, decise di manovrare un po' la situazione per aiutare quei due a parlarsi.
Chiese a Roy di accompagnarlo a prendere qualcosa da mangiare e fece in modo che restassero da soli per un po'.

 

Non appena se ne andarono, Oliver capì che la cosa non era stata casuale; Diggle li aveva lasciati da soli. Quel momento sarebbe comunque arrivato prima o poi, quindi tanto valeva affrontarlo subito.
Lei gli dava le spalle, ancora seduta alla sua scrivania, mentre lui la osservava dal suo posto studiandola un po' prima di parlare.
Non sapeva proprio come iniziare, non sapeva cosa dire, soprattutto perché negli ultimi giorni era stato davvero un coglione. Non aveva potuto fare diversamente, o così continuava a ripetersi.
In quei giorni, Oliver aveva capito che provava dei sentimenti nei confronti di Felicity.
Inizialmente aveva creduto si trattasse di normale attrazione, ma analizzandosi più a fondo e sinceramente, aveva capito che la situazione era più complicata di quando lui stesso si fosse realmente reso conto.
Felicity Smoak aveva scavato dentro di lui, giorno dopo giorno, facendosi strada a forza nel suo cuore. L'aveva riempito di luce, umanità e indulgenza. Aveva lenito ferite che lui stesso considerava incurabili. Aveva visto del buono, dove non c'era nient'altro che distruzione. Vedeva in lui l'eroe che nessun altro riusciva a vedere, anche nei momenti più bui.
In qualsiasi circostanza lei gli era rimasto accanto, e lui l'aveva amata profondamente per questo, anche se non se rendeva razionalmente conto.
Felicity era la donna che lo aveva cambiato di più e quella che aveva più meriti.
Quando Oliver aveva compreso tutte queste cose, la consapevolezza lo aveva sopraffatto. Si era reso conto di essersi spinto troppo avanti e di essersi esposto. L'aveva fatto senza rendersene conto, come qualcosa di estremamente naturale e fisiologico, come il respirare. Non voleva fare a meno di lei, ma non potevano stare assieme.
Sapeva di non essere l'uomo adatto per una ragazza dal cuore così genuino e puro. Il cuore di Oliver era danneggiado, irrimediabilmente.

“Per proteggerla, devo tenerla a distanza.” - continuava a ripetersi per farsi forza.

Ed era quello che aveva fatto durante quei giorni d'inferno. Era stato terribile evitare di guardare i suoi bellissimi occhi azzurri, fare finta di non ascoltarla, evitarla. Non voleva ferirla, ma lo considerava necessario.
Non sapeva, però, che Felicity era andata lontana tanto quanto lui.
Non poteva dirle tutte quelle cose, doveva essere chiaro senza ferirla ulteriormente.

Felicity si sentiva osservata, quindi si voltò verso Oliver e le sue sensazioni furono confermate: Oliver la stava fissando con uno sguardo impenetrabile. Si sentì a disagio e confusa.

«Che c'è Oliver, devi dirmi qualcosa?», chiese Felicity con tono gelido.

Oliver si sorprese di sentire così tanta freddezza nel tono di voce usato dalla ragazza più vivace e dolce che conoscesse. Era davvero ferita.

«Volevo... », Oliver non riusciva a dire niente con quegli occhi azzurri puntati addosso, pungenti come spilli.

«Che cosa volevi? Ti serve qualcosa?»

«No, non mi serve niente»- disse Oliver e prese un respiro profondo prima di continuare - «Vorrei solo chiederti scusa per come mi sono comportato»

«Quindi l'hai fatto di proposito a evitarmi... Perché? È per via dell'altra notte? Per caso pensi che io abbia valicato qualche limite? Non so, dimmelo tu perché io non ci capisco niente! Non capisco come tu possa essere così dolce e premuroso un giorno, e freddo e calcolatore il giorno successivo! Pur sforzandomi non riesco a capire il perché!»

Lo sfogo di Felicity era stato così intenso che per Oliver fu come ricevere un pugno nello stomaco. Faceva male sentirla parlare in quel modo. Vedendo che Oliver non diceva nulla, continuò dicendo:

«Benissimo, non dire nulla. Perché dovresti? Non c'è mai stato niente tra di noi, e mai ci sarà, quindi possiamo tornare alla normalità. Tu sei Arrow ed io una hacker disposta ad aiutarti di notte nella lotta contro la malavita. Meglio se lasciamo perdere qualsiasi discorso che sfoci nel personale...»

Felicity si era tolta un peso dal cuore dicendo quelle parole. Le aveva portate dentro di sé come un fardello che adesso, però, aveva lasciato cadere giù, via da lei.
Se Oliver non voleva avere più intimità con lei, che lo dicesse pure! Non c'era bisogno di ricorrere a giochini del genere.
La bionda era così alterata che era diventata tutta rossa in viso ed aveva gli occhi lucidi e iniettati di sangue.
I due si fissavano cauti, ma fu Felicity a interrompere per prima quel contatto visivo. Lui, inaspettatamente, le prese il viso tra le mani e la portò a sé, baciandola con infinita delicatezza.
Le sue labbra si posarono lievi su quelle di lei, quasi che si trattasse di un vaso di cristallo il cui rischio era quello di frantumarsi in mille pezzi da un momento all'altro.
Non appena le loro labbra si separarono Oliver la costrinse a sostenere il suo sguardo.
Sul volto di lei le emozioni si palesavano senza filtri.
Oliver voleva dire un milione di cose, voleva farle capire che lo faceva per il bene di entrambi, ma soprattutto per proteggerla.
Lui era Arrow, il vigilante. Non c'era una sola notte in cui non corresse pericolo. Come poteva proteggerla da tutto questo? Lei meritava una vita diversa, una vita felice e serena.
Non poteva offrirle niente, non poteva avere una relazione perché era troppo impegnato ad essere il vigilante. Doveva concentrarsi sulla missione che aveva intrapreso, non c'era spazio per nessuna distrazione.
Come dirle quelle cose? Come spiegarle quali pensieri si annidavano nella sua mente?

«Mi dispiace», disse infine semplicemente.

Felicity si staccò immediatamente da lui, come se si fosse scottata, e andò via senza guardarsi indietro, lasciandosi alle spalle un Oliver Queen immobile con le mani ancora a mezz'aria a trattenere il vuoto che il viso di lei aveva lasciato.

 



Altro capitolo scritto e pubblicato prima di andare a dormire.
Fatemi sapere cosa ne pensate. E il bacio? Ve lo aspettavate? :)
Grazie di cuore a tutti coloro che seguono, ricordano, preferiscono e commentano questa storia.
A presto!

Nessie26

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Capitolo 11
*** Dodici ***


Un bacio. Le aveva dato un bacio. Ma cosa diavolo era successo lì dentro? Come si era passati dal litigare ad un bacio sulle labbra? E poi... cosa significava quel bacio? Queste ed altre ancora erano le domande che vorticavano nella mente di Felicity.

"Mi dispiace", le aveva detto. Ma per cosa in particolare? Il suo tono di voce, mentre pronunciava quelle due semplici parole, era grave e profondo. Felicity aveva capito che il suo 'mi dispiace' non era rivolto solo al comportamento che aveva avuto nei giorni precedenti. Si riferiva a qualcosa di più. Era forse per via del bacio?
Oppure perché lei gli aveva detto che 'non ci sarebbe mai stato niente tra loro...'? Gli dispiaceva per questo?
Felicity non riusciva davvero a capire perché con Oliver tutto dovesse essere sempre così dannatamente difficile. Perché non poteva parlare in modo chiaro e diretto? Le sue affermazioni erano sempre criptiche e i suoi discorsi frammentari; non faceva altro che omettere pezzi di verità in ciò che diceva. Forse credeva di proteggere gli altri, il risultato però non era quello sperato.
Felicity se n'era andata dal covo, da lui, e adesso camminava avanti e indietro senza sosta dal salotto alla camera da letto, cercando di fare chiarezza nella sua mente.
Confusa e arrabbiata per come si erano evolute le cose, aveva adesso molti più dubbi di quanti non ne avesse avuti nei giorni precedenti.

 

Rimasto da solo al covo, Oliver era confuso quanto lei. Non sapeva perché aveva ceduto in quel modo e l'avesse baciata. Il sentire le sue labbra piene e calde a contatto con le sue era stato indescrivibile. Se avesse potuto, avrebbe prolungato quell'attimo all'infinito.
Potreste stare assieme se solo volessi...”, diceva la vocina nella sua testa. Ma Oliver non era intenzionato a torturarsi ancora su quel discorso. Aveva preso una decisione difficile, e doveva conviverci.
Diggle e Roy arrivarono poco dopo e videro un Oliver turbato e distante, ma al principio non gli chiesero nulla. Solo Diggle, dopo un po', gli si fece più vicino e, poggiandogli una mano sulla spalla, gli chiese: «Va tutto bene, amico?»

«Sì, certo» aveva risposto Oliver, cercando di risultare convincente.

L'amico però sapeva che stava solo fingendo di stare bene, e che in realtà la sua testa era piena di pensieri che lo angustiavano.

«Senti... Lyla sta preparando la cena proprio adesso. Che ne dici di fare un salto? Dovrai pur mangiare qualcosa prima o poi».

Oliver posò lo sguardo su Diggle, non poteva nascondergli proprio niente.

«Grazie per l'invito John, ma stasera non posso: devo vedere Thea», rispose Oliver sovrappensiero.

«Da quando è tornata da Corto Maltese non vi siete visti molto spesso. È tutto ok?»

«Sì, si. È solo che... la vedo strana. Non so spiegarlo, ma c'è qualcosa di diverso in lei... Sembra più forte.»

«Era inevitabile che cambiasse Oliver, che diventasse più forte. Ha vissuto esperienze molto traumatiche per una ragazza giovane quanto lei.»

«Mhmhm...», annuì Oliver, distante.

Diggle gli diede una pacca sulla spalla e se ne andò via, seguito a ruota da Roy.

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Capitolo 12
*** Tredici ***


Thea aveva telefonato ad Oliver qualche ora prima, chiedendogli di andare ad un certo indirizzo. Si sarebbero incontrati lì poco dopo.
L'uomo era arrivato al posto indicato dalla sorella con cinque minuti di anticipo. Scese dalla moto e dopo essersi sfilato il casco dalla testa, iniziò a guardarsi attorno. Si trovava in un quartiere distinto, da ricchi.
Non aveva idea del perché Thea gli avesse chiesto di andare là, ma sapeva che l'avrebbe scoperto da lì a poco quindi si incamminò fino a raggiungere il portone di quella splendida villa che si trovava di fronte.
Pochi secondi dopo aver bussato, Thea aprì la porta e Oliver venne accolto con un sorriso radioso.

«Ollie! Ciaoo! Entra, entra!»

Oliver baciò la sorella sulla guancia e le diede un breve abbraccio, per poi entrare guardingo e sospettoso dentro quella casa. Era splendida, ma spoglia. Scatoloni chiusi e altri in procinto di essere svuotati erano tutt'intorno sul pavimento e stonavano con il resto della casa.
Oliver si guardò attorno, cercando ancora di capire perché si trovassero lì.

«Ti piace?», chiese Thea sorridente, strofinandosi le mani in segno di contentezza e soddisfazione.

Oliver non rispose, ma si girò per osservare meglio la sorella minore, iniziando a capire il motivo della loro presenza lì.

«Ho appena firmato il contratto. È bellissima, non è vero?» - continuò Thea, aprendo uno scatolone e iniziando a tirar fuori oggetti personali come portafotografie e album di famiglia.

«Ho anche chiamato un arredatore; dovrebbe venire proprio domani mattina.»

Oliver era rimasto di stucco. Non erano più i miliardari che erano sempre stati, avevano perso quasi tutto il loro patrimonio solo pochi mesi prima. Nonostante avessero ancora qualche centinaia di migliaia di euro in banca, di sicuro non erano abbastanza per mantenere quello stile di vita a lungo.

«Thea... come farai a mantenere tutto questo?», chiese Oliver, indicando con le mani la casa e tutto il resto.

La sorella si limitò a dire: «Ho trovato degli investitori... Mi aiuteranno con la riapertura del Verdant. Ho bisogno di lavorare e mi piace farlo al Verdant.»

«Hai trovato degli investitori? E chi sono?», Oliver era sempre più sorpreso. Voleva conoscere i nomi e i cognomi di quella gente per fare un controllo approfondito.

Thea non rispose a quella domanda, ma gli disse:

«Non puoi semplicemente essere felice per me, Ollie? Ripeto: ho già firmato il contratto, quindi non puoi farmi cambiare idea»

Oliver però non sembrava intenzionato a concludere in quel modo il discorso, quindi proseguì dicendo:

«Perché degli investitori dovrebbero aiutarti con la riapertura del Verdant?»

«Questo suona quasi offensivo, Ollie!», rispose Thea piccata, con le braccia sui fianchi, fingendo di sentirsi offesa. «Sono brava nel mio lavoro, quindi mi piace pensare che non ci siano altri motivi.»

«So che sei brava, ma...»

Thea alzò subito la mano in alto, intimandolo a non continuare con quel discorso.

«Basta così, Ollie. Ti ho chiesto di venire perché volevo condividere questa notizia con te e non per avere una ramanzina. Se non puoi essere felice per me, allora è meglio se vai via subito.», rispose Thea completamente seria.

Oliver si rese conto che non poteva continuare con quell'argomento, altrimenti Thea si sarebbe chiusa a guscio. Non voleva allontanarla, soprattutto non dopo i sei mesi in cui era sparita volando a Corto Maltese e chiudendo quasi completamente i ponti con Starling City, e con lui.
Sapeva bene che la sorella aveva voluto restare sola, che aveva bisogno di un po' di tempo per superare il difficile momento che aveva vissuto, ma sapeva anche un'altra cosa: le era mancata molto.
Adesso era lì e non voleva di certo fare qualcosa che potesse allontanarla di nuovo. Oliver, quindi, le fece un mezzo sorriso accompagnato da un sonoro sospiro. Thea capì che la discussione era finita e la sua espressione cambiò subito. Un sorrisetto e uno sguardo furbesco le si dipinsero sul volto; quelli erano gli occhi che aveva quando voleva ottenere qualcosa da qualcuno.

«Mmmh, che cosa mi vuoi chiedere esattamente?».

«Stavo pensando ad una cosa...», iniziò a dire Thea, camminando avanti e indietro davanti al fratello - «Perché non vieni a vivere qui? La casa è molto bella e c'è un sacco di spazio! Inoltre pago un affitto spropositato e sarebbe davvero un peccato sprecare tutto questo spazio se possiamo viverci entrambi comodamente. E poi tu non dovresti più dormire chissà dove, ma avresti una casa dove vivere...».

Thea cercava di essere il più convincente possibile, aggiunse: «Ognuno di noi avrà la sua privacy ovviamente... Per fortuna la casa è molto grande e non ci dovrebbero essere problemi. Come ti mostrerò dopo, ha persino due entrate principali che si possono tranquillamente utilizzare!».

Oliver era così sorpreso che non sapeva cosa dire e si limitava a fissarla con sguardo inebetito.Thea proseguì imperterrita il discorso, dandogli la stoccata finale:

« E poi mi manca mio fratello...»

Oliver guardò i suoi occhi chiari e limpidi e si addolcì immediatamente. Riusciva a scorgere la piccola e tenera Speedy, l'allegra bambina che scorrazzava da una parte all'altra della casa con i pennarelli tra le mani, in cerca di una nuova parete da imbrattare, incurante di qualsiasi divieto. Thea interruppe inconsapevole quel ricordo, dicendo: «Allora, che ne pensi?»
Dopo qualche secondo di silenzio, Oliver rispose sorridendo: «D'accordo»
Thea lo abbracciò forte e gli diede anche un colpetto sul braccio, in segno di vittoria.

 

Oliver trascorse il resto della serata chiacchierando con la sorella, aiutandola a spacchettare gli scatoloni e a mettere un po' di ordine in giro. Si sarebbe trasferito nei giorni seguenti, lasciando finalmente il covo. Non era certamente il massimo della comodità come luogo per dormire, ma a lui non interessava granché. Aveva dormito dappertutto e su qualunque superficie, un posto valeva l'altro.
La sorella, però, lo voleva accanto e lui aveva accettato soprattutto per questo. Thea era l'unica famiglia che gli era rimasta e voleva sempre esserci per lei.

**

 

Dopo qualche ora di sistemazione, si sedettero sul pavimento a mangiare una pizza, chiacchierando tranquilli del più e del meno.
«... e non appena sarà tutto sistemato, vorrei organizzare una festa. Sarebbe grandioso!» - disse Thea, bevendo un sorso abbondante di aranciata - «Tu che ne pensi?»
Oliver sorrise. Nonostante Thea le sembrasse diversa da quando era tornata, notò con piacere che certe cose non cambiavano mai. E per questo era grato: era ancora la sua sorellina.

«Penso che non dovresti chiedere il permesso per fare una festa a casa tua.», rispose Oliver.
«Nostra», disse lei amabile.
«Ma sarai tu a pagare a l'affitto!»
«Motivo per cui sarò io a decidere l'arredamento della casa e persino della tua stanza! Ho già qualche idea che sono sicura ti piacerà...», disse lei sogghignando e schiacciandogli l'occhiolino.
«Non oso immaginare quali idee ti siano venute in testa, meglio non saperlo però...».

Entrambi scoppiarono a ridere, e fu come fare un salto nel passato. Un passato felice.



Nota.

Eccomi qua con un nuovo aggiornamento.
Devo essere sincera, ho già scritto alcuni dei capitoli successivi. Li posterò un po' per volta però, a meno che non li vogliate subito e allora potrei cambiare idea... ^^
Tornando al capitolo: che ve ne pare del rapporto tra Thea e Oliver? Vi è piaciuto?
Ancora una domanda a cui spero risponderete, vi sembra che la storia sia troppo frammentata o che, in fin dei conti, i capitoli siano ben collegati tra loro nel complesso?
Ci sono molti personaggi, perciò non vorrei disperdermi un po' troppo... Magari se mi dite la vostra opinione, potrei migliorare qualcosa.

Grazie mille a tutti, di cuore.
Nessie26

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Capitolo 13
*** Quattordici ***


Erano già trascorsi due giorni da quando si erano baciati. Felicity non riusciva a capacitarsi della situazione, perché non capiva fino in fondo come si sarebbero dovuti comportare da quel momento in poi. Avrebbero fatto finta che non fosse successo niente, forse. Ne avrebbero mai parlato? Non riusciva a dormire tormentata da quei pensieri. Si mise seduta a letto e guardò la sveglia posta sul comodino: erano le 2:30 del mattino.
Un pensiero baluginò nella sua mente: e se si fossero incontrati quella stessa notte? Di sicuro era il momento migliore per parlare, non ci sarebbe stato nessun altro oltre a loro. Non sarebbe arrivato nessuno ad interromperli e cosa ancora più importante, Oliver non sarebbe corso da un momento all'altro dietro al criminale di turno. Avrebbero parlato per bene, così come fanno le persone normali. Si passò una mano tra i lunghi capelli biondi, portandoli un po' indietro. Era confusa, non poteva di certo presentarsi al Verdant senza preavviso.
Si alzò dal letto e rifletté ancora un po'; in fondo aveva il diritto di sapere perché l'avesse baciata. Voleva sapere soprattutto come si sarebbero dovuti comportare d'ora in avanti.
Nonostante le incertezze, Felicity decise di andarci, così iniziò a prepararsi. Indossò un paio di jeans scuri, una maglia rossa e delle scarpe molto comode, decisamente casual. Si sistemò i capelli e decise di non mettere neanche un filo di trucco per quella volta. Felicity si avvicinò allo specchio per guardarsi meglio, senza quel sottile strato di trucco che metteva di solito, si notavano le lentiggini chiare che aveva sul viso. Di solito cercava di nasconderle, ma non quella volta. Se avesse perso dell'altro tempo per prepararsi, le sarebbe venuta meno la determinazione. Si allontanò dallo specchio, prese la giacca, quindi uscì di casa e si diresse al Verdant.

Poco prima di arrivare al covo, scrisse un messaggio a Oliver: “Arrivo al Verdant tra pochi minuti. Dobbiamo parlare. Felicity”. Non chiedeva il permesso per andare, lo informava soltanto. Prima di premere il tasto 'Invia' trascorsero cinque minuti, ancora poco convinta di ciò che stava facendo, ma alla fine lo inviò.

Oliver, steso sulla brandina, era insonne anche lui. Sentì il cellulare suonare per l'arrivo di un messaggio, pertanto andò a leggerlo. Era di Felicity. Ebbe un tuffo al cuore non appena lesse il suo nome. Aprì il messaggio e dopo averlo letto, ne ebbe un altro. Lei stava per arrivare e non era sicuro di ciò che si sarebbero detti, ma a quanto pare era inevitabile parlare.
Attese l'arrivo della ragazza su al Verdant, seduto sullo sgabello del bancone del bar, in agitazione. Era meno nervoso quando doveva scontrarsi contro qualche spietato criminale. Sorrise al pensiero.
Felicity arrivò poco dopo, camminando lentamente verso di lui e cercando di evitare di guardarlo negli occhi.
Al contrario Oliver cercava lo sguardo di lei, incessantemente. Voleva i suoi dolci occhi su di sé.
Quando fu abbastanza vicina, Felicity iniziò a mordersi le labbra, visibilmente nervosa.

«Scusa per l'ora... non riuscivo a dormire...», disse Felicity imbarazzata.

«Neanche io», rispose Oliver con sincerità.

 

Felicity alzò subito lo sguardo su di lui ed entrambi sentirono una scossa attraversargli tutto il corpo.
Oliver osservò il viso della ragazza, così perfetto e armonico in ogni lineamento. Senza trucco, se possibile, era ancora più bella. Le lentiggini, quasi impercettibili, le conferivano maggiore innocenza e candore, per quanto fosse umanamente possibile.
Oliver sentì il desiderio pulsante di baciarla ancora, di sfiorare con le labbra ogni centimetro della sua pelle delicata, di percorrere con le dita la rotondità delle sue labbra e ogni lineamento di quel viso tanto perfetto.
Felicity notò il suo intenso sguardo su di sé, ma spezzò quell'attimo dicendo: «Dobbiamo parlare»
Oliver annuì impercettibilmente, ancora frastornato dalla voglia di lei.

La ragazza si allontanò un po' da lui, andandosi a sedere sullo sgabello accanto e poggiando la borsa sul bancone.

«Senti... non so davvero cosa pensare. Ho provato ad analizzare la situazione tra noi, ma non riesco a venirne a capo. E pensare che sono piuttosto brava a risolvere i problemi.» - fece un respiro profondo - «La cosa che capisco meno è perché tu mi abbia baciata».

A quel punto Oliver abbassò lo sguardo e serrò le labbra. Quella era la domanda che temeva di più, ma probabilmente anche la più logica. Rimase in silenzio per diversi secondi, forse anche minuti, in cerca delle parole giuste da dire. La ragazza rimase in attesa, aspettando che lui dicesse qualcosa.
Oliver fissò intensamente Felicity per un tempo che sembrò infinito. Nessuno dei due si mosse minimamente, ed era come se il tempo si fosse fermato.
Felicity vide Oliver irrigidirsi sullo sgabello, poi vide i suoi occhi blu che la fissavano con tormento ed emozione, sentì fuoriuscire delle parole dalla bocca sensuale di lui, parole che dicevano: «Perché ti amo»

A quelle parole Felicity si sentì mancare il fiato e la forza; si interruppe persino il fluire dei suoi pensieri. Ci fu un momento in cui si sentì sospesa nel vuoto, senza la terra sotto ai piedi. Non sapeva dire quante volte, negli ultimi due anni, aveva immaginato e desiderato sentire quelle parole. Non riusciva a credere di averle sentite provenire direttamente dalle sue labbra. Eppure, adesso che le aveva sentite, non si sentiva sollevata come avrebbe voluto. Il peso sul cuore era ancora lì, invariato e più forte che mai.
Non appena riuscì a parlare disse con voce impercettibile e quasi scettica: « Tu... mi... ami?»

«Sì», confermò lui col tono di voce più dolce che avesse mai avuto con chiunque.

«E allora per cosa ti dispiace?»

Felicity non riusciva a capire lo strano senso che animava tutta quella storia.
Si sentiva tirata da una parte all'altra, trascinata senza spiegazioni come un burattino, verso luoghi sconosciuti.

«Perché... nonostante quello che provo per te, non possiamo stare insieme...» - la sua voce era roca - «E' troppo pericoloso. Io... ho preso una decisione: sono Arrow, non posso essere anche Oliver Queen. Non posso permettermi distrazioni e soprattutto, non voglio metterti in pericolo... Tu meriti di meglio, Felicity, meriti più di questo.»

«Sì, è vero» - ripose lei decisa, poggiando una mano sul suo braccio - « Merito molto più di questo, Oliver. Perciò lascia che sia io a decidere di assumermi il rischio. Lascia che decida IO ciò che è meglio per me», concluse lei con emozione palpabile nella voce.
Oliver scuoteva la testa, percorso da sentimenti contrastanti. La lotta incessante tra cuore e testa, sentimento e razionalità. Lei gli si fece più vicino, tanto che i loro corpi si toccavano appena e quel tocco era quasi doloroso per entrambi. Si guardarono ancora una volta negli occhi, intensamente.
Felicity vi lesse paura, ma anche determinazione. Si rese persino conto che ciò che più temeva si stava realizzando sotto i suoi occhi: Oliver si stava costruendo un muro tutt'attorno e la stava lasciando fuori.

«Non farlo», disse lei distrutta.

«Mi dispiace», ripeté lui in modo definitivo, ma con la voce che sembrava quella di un altro uomo.

Lei si allontanò da lui, afflitta dalla durezza delle sue parole. Lo guardò ancora una volta, sperando che cambiasse idea all'ultimo istante, che la fermasse, che la baciasse.
Con movimenti lenti prese le sue cose e prima di andarsene da lì gli disse con voce triste: «Anche a me.»
Se ne andò e rimasero soli con i propri pensieri, entrambi con una voragine nel cuore.

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Capitolo 14
*** Quindici ***


Lavorare con Ray era sempre enormemente stimolante. Riusciva a tirare fuori il meglio delle persone, stuzzicandone l'ingegno e la creatività. Il suo essere sempre positivo e propositivo era decisamente il metodo vincente per una ripresa rapida della compagnia. Ray Palmer aveva una mente brillante, acuta e vivace. Si poteva tranquillamente considerare un genio, ma chi stava al suo fianco non si sentiva in alcun modo intimidito da lui. Al contrario, Ray riusciva a spronare le menti più pigre e a cavarne sempre qualcosa di perlomeno soddisfacente. Felicity si sentiva professionalmente gratificata lavorando con lui. In pochi mesi aveva portato avanti, e concluso, numerosi progetti e lavorava a ciò per cui aveva realmente studiato.
Ray l'aveva corteggiata a lungo prima che lei accettasse quella proposta di lavoro, e non sempre con metodi che Felicity aveva gradito. Inizialmente aveva accettato solo perché era stufa di lavorare in un negozietto di articoli informatici e soprattutto perché aveva bisogno di soldi e lui ne offriva parecchi per quel posto di lavoro. Nonostante non gli andasse a genio il fatto che un riccone, all'apparenza un po' troppo spavaldo, avesse preso le redini della società di Oliver, doveva ammettere che Ray Palmer le offriva un lavoro nettamente più soddisfacente di quello che aveva in precedenza alla Queen Consolidated e molto ben retribuito. Guardandosi indietro la ragazza considerava la scelta di lavorare per lui, una delle decisioni migliori della propria vita lavorativa.
Dopo poco tempo, infatti, nonostante le apparenze iniziali, Felicity aveva dovuto ricredersi sul suo capo. Ray aveva le capacità e lo spirito giusto per fare da leader, e aveva a cuore il suo lavoro e quello di chi lavorava alla vecchia Queen Consolidated, ribattezzata poi Palmer Technologies.
Felicity era stata il cuore di quel cambiamento, di quella svolta. Ray l'aveva voluta al suo fianco, credendo nelle sue capacità sin dal primo momento, ed il risultato era stato un successo visibile a tutti, persino a Oliver.
Felicity si sentiva davvero spiacente per lui, ma quella era la dura realtà.
Le ore in ufficio trascorrevano sempre molto velocemente e non riusciva mai ad annoiarsi perché faceva ciò che più le piaceva: una fortuna che non molti potevano vantare.
Nelle ultime settimane il rapporto tra Felicity e Ray Palmer si era intensificato. Entrambi trascorrevano molte ore al giorno a stretto contatto tra loro per portare avanti i progetti che avevano in corso. Lavoravano in silenzio, fianco a fianco, scambiandosi qualche parola per confrontarsi o aiutarsi a vicenda.
Al termine della giornata, Felicity tornava a casa o andava alla fonderia, soddisfatta ma svuotata da ogni energia: le aveva tutte impiegate a lavoro. La sua stanchezza e il distacco fu visibile a tutti, soprattutto ad Oliver.
Inizialmente si era dato la colpa. Sapeva che Felicity stava cercando di prendere le distanze da lui per via di ciò che si erano detti quella notte al Verdant.
Sentiva male al cuore ogni volta che lei abbassava lo sguardo quando lui le parlava, o quando lei si rivolgeva ad altri fuorché a lui. Per quanto desiderasse che lei gli rivolgesse uno di quei sorrisi che tanto gli scaldavano il cuore, sapeva di meritare quella punizione. Lui aveva deciso per entrambi, doveva assumersi le conseguenze di quel gesto.
Dopo qualche settimana, Oliver iniziò a notare che quel cambiamento la stava portando troppo lontano da lui. Notava una Felicity distratta, stanca e assente. Il continuo chiacchiericcio, a cui si era abituato nel tempo, si faceva sentire sempre più raramente e lui si chiedeva quando sarebbe tornata quella di un tempo. Si sentiva escluso dalla sua vita, lei non gli rivolgeva la parola se non era strettamente necessario.
Quando si allenava, non aveva più gli occhi di lei fissi sul suo corpo e anche quella abitudine, per quanto banale, gli mancava da morire.
Nonostante tutto, nonostante la decisione che aveva preso, desiderava con tutto il cuore che le cose ritornassero a come era sempre state, a quando aveva la certezza dei sentimenti di lei, a quando gli bastava uno sguardo per capire cosa le passasse per la mente. Adesso lei era lì, ma la sua mente era lontana da lui.
Si sentiva profondamente egoista per quei pensieri, ma dentro di lui quel desiderio era continuo e bruciante: voleva indietro la sua Felicity.

**

 

Felicity aveva reagito a modo suo alla decisione di Oliver.
Si era dedicata anima e corpo al suo lavoro, lasciando tutto il resto fuori dal suo cuore e dalla sua mente. Non era sempre possibile estraniarsi da quei pensieri, questo lo sapeva bene, ma sfiancarsi di lavoro l'aiutava ad andare avanti e a non pensare.
Oliver aveva preso la sua decisione, l'aveva fatto per entrambi e lei non aveva avuto nessuna voce in capitolo. Si sentiva impotente e amareggiata, oltreché profondamente arrabbiata.
La sera, quando si incontravano al covo, lei lo evitava di proposito. Per quanto risultasse infantile, quello era il suo unico modo per punirlo e lui non avrebbe potuto far nulla per farle cambiare atteggiamento. Il suo potere si limitava a questo, a quella stupida vendetta. Felicity voleva che lui capisse che non era l'unico a poter imporre le proprie scelte, che lei aveva ancora il controllo su se stessa.
Gli negava i suoi soliti sorrisi, le sue pacche sulla spalla, le sue battutine spontanee e allegre, i suoi sospiri di sollievo quando tornava da uno scontro pericoloso. Si era chiusa a guscio, lasciandolo fuori come lui aveva fatto con lei sin dal principio. Per quanto le facesse male, evitarlo era l'unica opzione possibile. Era una rivincita che non le dava alcun piacere, ma che considerava necessaria per sé stessa.
Lavorava talmente tanto che la sera, sdraiata sul divano mentre guardava un film alla televisione, si addormentava e si risvegliava nel cuore della notte, con il collo dolorante e la schiena distrutta per la pessima posizione assunta durante il sonno.
La stanchezza era l'unica medicina che aveva a disposizione per il suo cuore spezzato, l'unico balsamo che leniva la sua solitudine. Non voleva pensare, non voleva soffrire.





 



Nota dell'autore.

Grazie a tutti coloro che leggono questa storia, in modo particolare grazie di cuore a chi commenta.
Spero davvero che vi piaccia e che continuerete a seguirla con interesse.

Un abbraccio, a presto.

 

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Capitolo 15
*** Sedici ***


Una sera, mentre si trovavano da soli alla fonderia, Oliver si avvicinò alla scrivania di Felicity con fare incerto e nervoso, fermandosi a mezzo metro di distanza da lei. Felicity non si preoccupò né di voltarsi né di rivolgergli la parola, si limitò a continuare a digitare sulla tastiera, simulando disinteresse assoluto per qualsiasi altra cosa.
Oliver estrasse un biglietto dalla tasca dei pantaloni e tossì piano per farla voltare, ma la ragazza continuò a ignorarlo. Attese che lei si girasse, senza successo. Snervato dal suo atteggiamento, Oliver eruppe in un esasperato: «Felicity!»
Lei sussultò sulla sedia e rispose acida: «Che c'è? Perché gridi?»
Lui la esaminò, spazientito e allo stesso tempo sorpreso per quel tono esacerbato.
Cercò di indossare la sua maschera da uomo impassibile e porgendole il biglietto che teneva in mano, disse calmo: «Volevo darti questo...»

Dopo qualche istante di esitazione, Felicity afferrò il pezzo di carta e le sue dita sottili e fredde sfiorarono brevemente quelle calde e grandi di lui. Oliver fu percorso da un brivido improvviso e desiderò ardentemente molto più di quel semplice tocco involontario. Ciononostante, dovette mantenersi distaccato.
Pur avendo preso il biglietto, lei non lo aprì, ma si limitò a fissarlo con cautela. Sopra vi era scritto il suo nome, ma la grafia minuta e precisa non poteva essere quella di Oliver.

«Cos'è?», chiese lei, ad un tratto curiosa.

Oliver si schiarì la voce e disse: «Thea organizza una festa nel suo nuovo appartamento e mi ha chiesto di invitarti.»

Le parole di Oliver erano vere, ma solo in parte. Thea gli aveva detto di portare qualcuno alla festa, e lui aveva subito pensato a lei. Voleva che fosse la sua dama per quella serata. Per quanto ciò andasse contro la sua stessa decisione, voleva disperatamente trascorrere del tempo con lei, in un ambiente diverso dal solito.

«Ah...», rispose lei in un sibilo, pensierosa.

«Ci saranno anche Diggle e Roy alla festa?», chiese poi all'improvviso, come intimorita dal pensiero che dovesse andarci senza di loro.

Oliver si sentì ferito al pensiero che lei si sentisse a disagio ad una festa in cui si trovasse da sola con lui, senza Diggle o Roy nei dintorni.

«Sì, certo... Ci saranno anche loro alla festa.» - rispose lui con un filo di voce.

Non era vero, non aveva avuto l'intenzione di invitarli. Voleva che quella fosse una serata per loro due soltanto, ma vedendo il suo sguardo smarrito e il timore di lei al solo pensiero di trovarsi da sola alla festa, capì che sarebbe stato meglio invitarli , altrimenti non si sarebbe presentata.

«Bene, allora ringrazia Thea per il pensiero. Ci sarò.», concluse lei freddamente.

Ed eccola di nuovo lì, avvolta nel suo guscio, distaccata da tutto il resto.
La conversazione era conclusa, lei aveva ripreso a digitare sulla tastiera e Oliver ancora in piedi accanto a lei, si sentì impotente. Ma cosa poteva fare? Non poteva forzare la mano, per poi ritrarsi di nuovo. L'avrebbe ferita ancora una volta e lui questo non lo voleva.

 

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Capitolo 16
*** Diciassette ***



Come ogni mattina, Felicity si svegliò presto per andare a lavoro.
Dopo essersi preparata, era uscita di casa e avevo preso l'automobile per andare alla sua caffetteria preferita. Aveva voglia di un buon caffè e di una di quelle ciambelle ricoperte di glassa e zuccherini colorati che tanto le piaceva mangiare da bambina. Non sapeva perché si fosse svegliata con quell'insolito desiderio, forse aveva solo nostalgia di casa.
Arrivò alla caffetteria e ne ordinò due: una con la glassa alla fragola, l'altra al cioccolato. Prese il caffè con doppia dose di zucchero e il sacchetto con le ciambelle e si sedette beata in un posto appartato del locale. Afferrò la ciambella alla fragola, e ad ogni morso che dava a quella squisitezza, si sentiva di nuovo la bambina di cinque anni che, dopo aver giocato al parco la domenica mattina assieme a mamma e papà, andava in un grazioso locale del posto e si godeva con immensa gioia quelle dolci bontà accompagnate da un frappè alla frutta. All'epoca, se qualcuno le avesse chiesto cosa fosse per lei la felicità, avrebbe risposto senza alcuna esitazione che felicità erano le domeniche con mamma e papà.
Ben presto però quella felicità giunse al termine, quando suo padre decise di abbandonarle senza dare spiegazioni. Da un giorno all'altro era semplicemente sparito nel nulla e allora le domeniche felici, divennero per quella bambina tristi e incolori.
All'inizio la piccola aveva creduto che la colpa fosse stata sua, che suo padre se ne fosse andato per lei. Non sapeva il perché di quella convinzione o comunque non ne ricordava più il motivo, ma a quel tempo Felicity ne era assolutamente certa. Si mise in testa che se avesse iniziato a studiare tutti i libri e i circuiti elettronici che tanto piacevano al suo papà, lui sarebbe tornato a casa e l'avrebbe portata ancora al parco la domenica.
Con il tempo, la sua determinazione non era venuta meno. Ogni giorno, restava chiusa nella sua stanzetta a studiare, rifiutandosi di andare a giocare con gli altri bambini. Si sentiva rassicurata con tutti quei libri sparsi attorno a lei. Si rifugiava nel suo intimo desiderio di conoscere sempre più a fondo quelle materie. Più leggeva, più sentiva crescere dentro di lei la curiosità di sapere ancora di più e non ne aveva mai abbastanza.
La madre la osservava con orgoglio e tristezza, perché capiva ogni giorno di più che quella bimba tanto simile a lei nei lineamenti e nell'aspetto, aveva la mente brillante del suo papà. Era precoce, intelligente come pochi, e sapeva che quando sarebbe cresciuta si sarebbe allontanata da lei, così come aveva fatto lui. Non sarebbe riuscita a starle dietro neanche se avesse voluto. In fondo lei era una donna semplice che viveva con un misero stipendio da cameriera e con le mance che i clienti le davano, soprattutto quando indossava vestiti striminziti.
Era molto bella e questo l'aiutava a tenersi stretto quel posto di lavoro, necessario per il loro sostentamento.
Gli anni erano trascorsi e Felicity si rese conto che quell'ingenuo tentativo di studiare informatica per riavere indietro suo padre, era diventato qualcos'altro già da un pezzo. Aveva messo da parte quella possibilità, suo padre se n'era andato per sempre e non sarebbe mai più tornato. L'informatica, i computer, la tecnologia erano la sua vera passione. Qualsiasi aggeggio elettronico le capitasse tra le mani era per lei assolutamente affascinante e diventava oggetto di studio meticoloso. Aveva dedicato anni della sua giovane vita a quelle cose, ma eccelleva a scuola in qualsiasi materia. Gli insegnanti continuavano a ripetere quanto fosse precoce e intelligente, ma lamentavano la sua timidezza e insicurezza.
Felicity però non era solo timida, era semplicemente disinteressata nei confronti di quei coetanei con cui sentiva di avere così poco in comune. Crescendo aveva stretto amicizia solo con due adolescenti: John e Dana. Erano svegli e insieme trascorrevano il tempo studiando e a fare gli esperti di tecnologia, a creare programmi sofisticati per computer. Ed esperti lo erano davvero per la loro giovane età, e ben presto lo capirono anche gli adulti. Felicity, infatti, iniziò a saltare anni di scuola, frequentando corsi di studio più avanzati e andò al college prima dei suoi compagni di classe. Era sveglia, ragion per cui Felicity non capiva come potesse essere così goffa e impacciata nei rapporti con gli altri.

 

Il cameriere si avvicinò al tavolo di Felicity facendola tornare al presente. Le ciambelle erano finite, così come il suo caffè e il ragazzo le stava chiedendo se desiderasse ordinare qualcos'altro. Lei rispose di no e si rese conto che era ora di andare in ufficio, altrimenti avrebbe fatto davvero tardi. Ray non diceva nulla se tardava, ma preferiva comunque non tirare troppo la corda col suo capo.

Arrivata in ufficio, vide Ray seduto comodamente sul divanetto, intento a leggere qualcosa sul telefono. La stava aspettando, ma non sembrava stizzito.

«Ray.»

«Felicity», l'accolse lui con un grande sorriso.

Lei lo osservava diligente, pronta a sentire ciò che lui aveva da comunicarle. Ray però la fissava semplicemente, sovrappensiero, probabilmente stava pensando a qualcos'altro. Era un atteggiamento tipico in lui. Si estraniava per qualche secondo, magari quando trovava una soluzione ad un problema che non riusciva a risolvere, poi tornava alla realtà. Felicity trovava quel suo modo di fare assolutamente affascinante, anche se le prime volte, l'aveva trovato imbarazzante perché non sapeva come comportarsi. Adesso si limitava ad aspettare che lui tornasse al presente e le dicesse cosa fare.
All'improvviso Ray Palmer, come se si fosse appena ricordato il motivo per cui si trovasse lì, le chiese entusiasta: «Sei libera sabato sera?»

La domanda arrivò inaspettata come un fulmine a ciel sereno. Felicity assunse un'espressione confusa, pertanto Ray iniziò a spiegare la situazione, dicendo: «Ho una cena di lavoro con l'amministratore delegato di un'industria miniera del Nevada. Possiedono diritti minerari, indispensabili per il progetto di cogenerazione.»

Terminò la frase con un tono di voce quasi interrogativo, suggerendo a Felicity l'importanza di quella cena per il successo dei progetti della Palmer Technologies.

Lei capì, ma si limitò a chiedere: «Ed io cosa c'entro in tutto questo?»

«L'amministratore delegato è di una noia mortale, per non parlare di sua moglie... Se ci andassi da solo, finirei per tagliarmi le vene col coltello da burro.», rispose lui con fare drammatico.

Felicity diede un'occhiata al corpo di lui, esaltato dal costoso completo che gli calzava a pennello, ed esclamò convinta: «Non credo che il coltello da burro possa funzionare...», facendo una chiara allusione al corpo muscoloso e sodo di lui.

«Oh, hanno anche quelli da bistecca», rispose Ray senza fare una piega, trovando la soluzione a quell'enigma come se si trattasse di una reale possibilità.

Dopo un attimo di silenzio, lei domandò incerta: «E tu vuoi farmi credere che non hai un'accompagnatrice più adatta per questo compito?»

«Centinaia, a dire il vero» - la provocò lui - «Ma TU sei quella per cui ho preso questo vestito», concluse accattivante, estraendo da una busta posta sul divanetto un favoloso abito blu. Felicity rimase di stucco nel vedere l'abito e disse estasiata: «Mio Dio! Questo vestito costa più del mio appartamento» e con mani incerte accarezzò la soffice stoffa di quell'abito che lui teneva ben in alto in modo che lei potesse guardarlo meglio.
Felicity era rimasta imbambolata a fissare lo straordinario pezzo di alta sartoria, e Ray osservava sinceramente divertito la sua reazione. Perciò le chiese: «Allora, la cena?»

Lei palesò ancora una volta la sua incertezza, quindi lui allontanò scherzosamente l'abito per riporlo nella busta, dicendo: «Va bene, vuol dire che lo farò restituire dalla mia assistente»

Lei allungò entrambe le braccia per fermarlo e si affrettò a dire: «Va bene, va bene, ci vengo!»

Afferrò l'abito e disse ancora: «Ma solo per potermi mettere questo»

Lui, con quell'espressione divertita ancora stampata in faccia, le disse: «Certamente»

Andò via lasciando Felicity intenta a stringere a sé quell'abito come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto, sembrava una bambina. Ray sorrideva ancora mentre andava via, voltandosi ad osservarla per un'ultima volta attraverso la porta a vetri, pensando a quanto Felicity fosse diversa da tutte le altre donne che aveva conosciuto.


 

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Capitolo 17
*** Diciotto ***



Felicity continuava a ripetersi che quella di sabato sera era un'ordinaria cena di lavoro, pur tuttavia non poteva fare a meno di sentirsi elettrizzata per l'invito.
Erano secoli che non usciva a cena con qualcuno, mettendosi in ghingheri indossando un abito elegante. Le mancava quel tipo di normalità. A volte le sarebbe persino piaciuto pensare a cose meno importanti, più frivole come: uscire con le amiche, andare a ballare il sabato sera, fare shopping, andare dal parrucchiere. Avere in mente pensieri futili e leggeri, senza dover pensare a mille problemi o complicazioni. Quel genere di cose erano usuali per una donna della sua età, ma non per lei.

L'invito di Ray era arrivato completamente inaspettato e doveva ammettere che le aveva fatto molto piacere. Poteva di certo invitare un'altra donna, invece aveva pensato a lei e le aveva persino preso un abito costosissimo per l'occasione. Felicity pensò che sarebbe dovuta andare per negozi a comprare delle scarpe e una borsa che si adattassero al vestito, e in più avrebbe dovuto prendere un appuntamento dal parrucchiere. Dovendo indossare quella meraviglia di abito, avrebbe osato un po' di più anche col resto.
Quei pensieri l'aiutarono a trascorrere allegramente la mattina a lavoro, dopodiché avendo il pomeriggio libero si dedicò allo shopping.


Dopo aver trascorso un intero pomeriggio in giro per negozi, alla disperata ricerca di scarpe e accessori per la cena di lavoro, Felicity aveva finalmente trovato un paio di scarpe dal tacco vertiginoso fantastiche per l'occasione e una borsa che si abbinava perfettamente all'abito. Aveva speso una fortuna, ma non voleva pensarci, in fondo era da una vita che non faceva qualcosa per sé stessa e se lo meritava.
Arrivata al parcheggio del Verdant, posteggiò l'auto al solito posto e scese dalla macchina. Non essendo proprio un quartiere tranquillo, Felicity decise di prendere le buste con i suoi preziosi acquisti e di portarli con sé al covo.
Entrò dal retro, salutando tutti con un grande sorriso stampato sul volto, tenendo tra le mani le buste degli acquisti.
Roy ed Oliver si stavano allenando con un combattimento corpo a corpo, ma si fermarono non appena la videro entrare. Roy aveva bisogno di una pausa e Oliver aveva bisogno di guardare lei.

«Ciao» salutò Roy col fiato corto, afferrando una bottiglietta d'acqua e ingollandone un sorso abbondante.
Felicity lo salutò con un cenno del capo e un ampio sorriso, ma era completamente distratta dallo sguardo penetrante di Oliver.

Poi Diggle le si fece incontro e divertito le chiese: «Ti sei data allo shopping selvaggio, eh?»

Lei rispose su di giri: «Beh sì, ogni tanto ci vuole. Ho speso una fortuna per le scarpe, se non altro ne è valsa la pena: sono favolose!»

Diggle proruppe in un “Ah beh, se ne è valsa la pena...”, le fece l'occhiolino ed entrambi scoppiarono a ridere.
Felicity prese le buste e le posizionò sotto la sua scrivania; lì non avrebbero dato fastidio a nessuno.

Roy riprese l'allenamento, ma con Diggle questa volta.

Oliver, invece, prese un asciugamano e tamponandosi il sudore dal viso e dal petto si avvicinò alla scrivania di Felicity. Era senza maglietta e con la pelle lucida per il sudore. Non appena fu vicino a lei si sedette sul bordo della scrivania, proprio a pochi centimetri di distanza dalla ragazza, che fu letteralmente investita dal suo odore. Si sentiva agitata nell'averlo così vicino, soprattutto perché voltandosi verso di lui avrebbe avuto i suoi addominali scolpiti e sudati proprio all'altezza del viso. Per afferrare la sua borsetta, che per disgrazia si trovava accanto alla gamba di Oliver, Felicity dovette girarsi leggermente verso di lui. In quel momento la sua attenzione fu catturata da una gocciolina di sudore che partiva dal petto per poi scendere lungo gli addominali perfetti, che si alzavano e abbassavano seguendo il ritmo del respiro ancora irregolare di Oliver. Felicity ebbe l'impulso di sfiorare con le dita la superficie dura della sua pelle, seguendo lo stesso percorso tracciato dalla goccia di sudore. In quell'istante le sarebbe piaciuto toccarlo e la curiosità di sapere come sarebbe stato farlo per davvero, la lasciò stordita per un po'.

Poi alzò lo sguardo, completamente rossa in viso, per sfuggire a quella vista pericolosa e soprattutto a quei pensieri altrettanto fatali. Dallo sguardo intenso che lui le rivolse, capì che aveva compreso, almeno in parte, il percorso dei suoi pensieri.

Oliver sospirò appena, ma quel sospiro poteva essere scambiato per un gemito spezzato. Chinò leggermente la testa di lato e le chiese a bassa voce: «Come stai?»

Dal suo tono di voce, così basso e profondo, si evinceva il bisogno di Oliver di avere un momento da condividere solo con lei, anche se si trattava di una semplice domanda come quella.

«Bene... » - rispose Felicity con voce roca - «E tu?»

«Bene»

 

Oliver aveva il viso accaldato per l'esercizio fisico, e le guance rosse mettevano ancora di più in evidenza il blu acceso dei suoi occhi. Felicity si dimenticò persino di respirare: riusciva solo a pensare al fatto che Oliver Queen fosse l'uomo più bello che avesse mai visto. Non riusciva a staccare lo sguardo da lui, completamente ipnotizzata da tanta bellezza e perfezione.
Ripensava alla confessione di Oliver in cui diceva di amarla, ma che non potevano stare assieme. Nonostante le sue spiegazioni, Felicity non capiva il perché.
Si sentiva impotente di fronte a quella sensazione, e si disperava sapendo che quell'uomo così dannatamente bello e forte, avesse di sentimenti per lei, per lei soltanto.

 

«Felicity?», la chiamò Oliver all'improvviso, facendola piombare di nuovo alla realtà.

«Sì», rispose lei assente.

«A che ora passo a prenderti sabato?» - chiese Oliver con dolcezza - «Per le otto va bene?»

Felicity non colse immediatamente il senso di quella domanda, ma i pezzi si ricomposero nel giro di qualche secondo e l'ansia iniziò a montarle dentro facendola quasi arrivare sul punto di esplodere, quindi sbottò in un isterico: «Sabato?»

 

Non sapendo esattamente cosa dire, Oliver si limitò ad esaminare con sorpresa l'insolita reazione della ragazza.

«Questo sabato?», continuò a chiedere, iniziando a cercare nervosamente qualcosa dentro la sua borsetta.

Ne uscì una busta bianca che Oliver riconobbe immediatamente: era l'invito al party di Thea.

«No. No. No. Ti prego … », ripeteva concitata mentre apriva la busta, per poi zittirsi di botto non appena finì di leggerla.

«Felicity, cosa succede?», chiese infine Oliver non capendoci più nulla.

«Il party di Thea è questo sabato», affermò lei, guardando scioccamente il pezzo di carta che teneva tra le mani.

«Sì, e allora? Credevo lo sapessi … »

«Non sapevo fosse questo sabato», chiarì lei calcando l'attenzione sul 'questo'.

 

Oliver la osservava con attenzione, cercando di capire cosa stesse succedendo e chiedendosi come potesse essere nato quell'equivoco. Come faceva a non sapere che la festa sarebbe stata quello stesso sabato? Quando le aveva dato il biglietto non aveva detto il giorno, ma era scritto lì, bastava leggerlo.

«E allora le buste sotto la scrivania?» - chiese Oliver all'improvviso - «Non sono acquisti per la festa?»

La domanda di Oliver la spiazzò e per qualche secondo non seppe cosa rispondere, completamente disorientata.

Alla fine rispose mesta: «No, sono per un'altra occasione.»

Oliver mosse la testa e aprì le mani, come a chiedere “Quale occasione?”.

«Ray Palmer mi ha invitata a cena.»

«Ah», fu l'unica risposta che Oliver fu in grado di dare.

«Si tratta di una cena di lavoro e non di un appuntamento vero e proprio … » - si affrettò a chiarire la ragazza.

Oliver rispose con un mugugno indefinito.

Felicity deglutì pesantemente, dopodiché chiarì tutto con la frase: «La cena con Ray è questo sabato»

 

Lui abbassò lo sguardo fissandosi le mani, visibilmente turbato. Doveva distogliere lo sguardo da quello di lei per potersi ricomporre. La rabbia iniziò a crescere dentro di lui, una rabbia mista a profonda delusione per la piega che aveva preso la situazione. 'Che diavolo stava succedendo tra quei due?' si chiedeva Oliver infelice.

Felicity si alzò in piedi, parandosi di fronte a lui e gli disse desolata: «Mi dispiace, non so come sia potuto accadere… Non ho letto la data nell'invito, poi Ray me l'ha chiesto, ed io ho detto di sì… Cosa posso fare? Si tratta di lavoro…»

Lui rimase in assoluto silenzio ancora per qualche istante, dopodiché alzò il viso per incontrare lo sguardo di lei e disse a bassissima voce: «Fa' come vuoi»

Dopodiché andò via lasciandola lì a chiedersi cosa fare.




Eccomi tornata con questi due nuovi capitoli. So che molte di voi mi odieranno perché continuo a mettere Ray in mezzo. Che vi posso dire? Mi piace pure lui! :)

Spero che questi due capitoli, nonostante tutto, vi siano piaciuti. Se vi va, lasciatemi un commento per dirmi cosa ne pensate, ne sarei contentissima.

A presto.
Nessie26

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Capitolo 18
*** Diciannove ***




Felicity rimase ancora diverse ore al covo per terminare una ricerca, ma non rivide Oliver per il resto della serata. Era andato via subito dopo la loro discussione. Durante le ore di ricerca aveva avuto il tempo per pensare all'accaduto. Non riusciva a spiegarsi come si era potuta trovare in quella strana situazione. Non leggere l'invito era stato un grosso errore e adesso doveva pagarne le conseguenze. Vi era solo una cosa che potesse fare: declinare l'invito di Thea. Non poteva di certo telefonare a Ray e dirgli allegramente: “Ehy Ray, portati un'altra donna alla cena di sabato, io ho un altro impegno!”. Se avesse voluto perdere il suo posto di lavoro, quella sarebbe stata la giusta argomentazione.

Felicity prese quindi il cellulare e telefonò alla sorella di Oliver per informarla che non sarebbe andata alla festa.

 

Il telefonò squillò a lungo, prima che Thea rispondesse. Ad ogni squillo Felicity era tentata di mettere giù, ma sapeva che sarebbe stato inutile e infantile.

Dall'altra parte del telefono rispose Thea con la sua voce cristallina: «Pronto?»

 

«Ciao Thea, sono Felicity... Smoak?»

«Ma certo, Felicity», rispose la giovane Queen. «Come va?»

«Bene, grazie. Ti disturbo? Se vuoi posso telefonare in un altro momento.»

«Nessun disturbo. Sto solo ultimando i preparativi per il party»

«Certo, capisco. Volevo parlarti di una cosa.»

 

A Thea era sempre piaciuta Felicity. Le piaceva la sua spontaneità e in particolar modo l'influenza che la bionda aveva sul suo fratellone. Decisamente un'ottima influenza.

 

Thea prese nuovamente la parola, invitando Felicity a parlare: «Dimmi tutto»

 

Dopo qualche attimo di incertezza, Felicity si decise a parlare.

 

«Sì, beh... riguarda il party, non potrò esserci purtroppo... Ho un impegno di lavoro saltato fuori all'ultimo minuto. Mi dispiace dirtelo con così poco preavviso, ma non ho potuto fare diversamente.», spiegò la bionda a disagio, torturandosi una ciocca di capelli con le dita.

 

«Che peccato!» - rispose Thea, sinceramente dispiaciuta - «Grazie per avermi avvisato. Mi dispiace molto che non ci sarai, ma dispiacerà soprattutto ad Oliver…», la ragazzina terminò la frase con una chiara allusione che Felicity fece finta di ignorare.

 

La bionda non fiatava, perciò Thea continuò dicendo: «Se finisci presto a lavoro, vieni a fare un salto; la mia festa finirà tardi, te l'assicuro»

 

«Ci proverò, grazie».

 

 

Dopo la telefonata, Felicity si sentì come se si fosse tolta un peso dallo stomaco, anche se continuava a sentirsi amareggiata per l'accaduto. Oliver con la sua reazione l'aveva spiazzata. “Fa come vuoi” le aveva detto, per poi andarsene via come al suo solito.

La ragazza pensò “Sto facendo esattamente quello che voglio. Sto mettendo me stessa e il mio lavoro al primo posto”, “Sto facendo ciò che è meglio per me”.

Di sicuro Oliver avrebbe trovato un diversivo alla festa, qualcosa da fare, qualcuno con cui parlare. Non era necessario che lei vi andasse, in fondo si trattava solo di una festa.

Felicity si ripeteva continuamente queste frasi in testa per cercare di non cambiare idea. Non capiva esattamente cosa desiderasse di più: andare al party con Oliver o a cena con Ray?

Non poteva di certo mentire a sé stessa ed era certa di voler stare con Oliver, ma dopo tutte le cose che si erano detti sapeva di dover andare avanti con la sua vita, non poteva di certo sentirsi in colpa per una stupida cena di lavoro, non glielo avrebbe permesso.

Cosa avrebbe fatto se si fosse trattato di un appuntamento galante? Si sarebbe sentita così? In quel caso non avrebbe mai avuto una vita vera, non sarebbe mai stata felice.

Voleva qualcosa di reale, di tangibile. Le parole, gli sguardi, lo sfiorarsi non erano più sufficienti per lei. Voleva di più dalla vita, in fondo non chiedeva poi tanto.

 

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Capitolo 19
*** Venti ***


Sabato

 

La luce del sole iniziò inesorabilmente a calare, lasciando spazio all'oscurità della sera.

Soffiava una brezza leggera che rinfrescava piacevolmente l'aria.

Felicity, affacciata al balcone della sua camera da letto, vestita con una leggerissima sottoveste di seta, assisteva a quel naturale cambiamento di atmosfera, godendosi quell'assoluta tranquillità. Rimase in silenzio sul balcone per diverso tempo, lasciandosi lentamente avvolgere dall'oscurità della sera ed era così immersa nei suoi pensieri, che non si rese nemmeno conto che la frescura della sera la stesse facendo rabbrividire.

Con lo sguardo perso in qualche punto lontano e indefinito si chiedeva come sarebbe stata la cena e soprattutto se sarebbe stata adatta al compito che Ray le aveva affidato. Nonostante lui le avesse semplicemente chiesto di fare da accompagnatrice, Felicity sapeva che la cena a cui stavano andando era con un uomo davvero importante e altrettanto importante era il motivo per cui lo dovevano incontrare. Pensava alla festa a casa di Thea, ad Oliver e al fatto che le sarebbe piaciuto trascorrere del tempo con lui. La giovane scacciò quei pensieri dalla sua testa, cercando di mantenersi concentrata su altri aspetti.

 

Era giunto il momento di prepararsi e Felicity si impegnò affinché il risultato fosse il più soddisfacente possibile, non voleva sfigurare a cena con tutti quei ricconi.

Si dedicò con cura ad ogni dettaglio e, due ore più tardi, quando fu finalmente pronta, tirò un sospiro di sollievo all'immagine riflesso allo specchio di fronte a lei: non era niente male.

 

Pochi minuti prima delle otto, la ragazza sentì il campanello di casa suonare, due volte. Sbuffò sonoramente perché non immaginava chi potesse essere, non aspettava nessuno. Sperò non si trattasse della solita vicina. Si diede un'ultima occhiata allo specchio e andò ad aprire la porta barcollando un po' per via di quei tacchi esageratamente alti a cui doveva ancora abituarsi.

 

Il campanello suonò altre due volte, e Felicity, che nonostante l'impegno si trovava ancora a metà del tragitto, gridò: «Arrivo! Arrivo!»

 

Ma chi poteva essere? Sperò col cuore che non fosse lei, la vicina del piano di sopra. Era una donnina di mezza età, dal temperamento insopportabile e scortese, non faceva altro che bussare a tutte le porte dell'edificio in cerca del suo gatto. La povera bestiola quando ne aveva la possibilità sgattaiolava fuori dall'appartamento per andare a gironzolare liberamente per le scale o nel giardinetto. La sua padrona lo chiamava per ore con la sua voce isterica e stridula, ma senza successo. Il gatto tornava solo quando ne aveva voglia.

Tutte le volte che la vicina bussava alla sua porta, Felicity cercava di essere sempre cortese, perché sapeva che quel gatto era l'unica compagnia che la donna avesse; quel giorno, però, era già passata tre volte e ne era proprio stufa: cosa poteva saperne lei del suo gatto?

 

Aprì la porta con foga, pronta a dirgliene quattro alla donna, ma le parole rimasero bloccate in gola non appena vide di chi si trattava: Ray Palmer in carne ed ossa.

 

Perplessità, incredulità, contentezza: ecco alcune delle emozioni che si delinearono sul volto della ragazza.

Stupore, quella che si leggeva chiaramente sul volto di lui.

«Ciao»

«Ciao», rispose meccanicamente Felicity, sinceramente sorpresa di vedere il suo capo fermo sull'uscio di casa sua. I due si fissarono senza dire nient'altro.

Ray, visibilmente meravigliato alla vista della ragazza, disse: «Sei... sei tremenda»

Felicity si sentì d'improvviso imbarazzata e insicura, cercando di capire se ci fosse qualcosa che non andasse nel suo aspetto. Adesso si sentiva ridicola sotto lo sguardo penetrante di Ray Palmer, anche se un secondo prima, davanti allo specchio, aveva decretato di aver fatto un ottimo lavoro con sé stessa quella sera.

Ray la stava osservando con attenzione e Felicity non capiva che cosa non andasse esattamente.

«Cosa c'è che non va? L'acconciatura, forse?», chiese Felicity portandosi una mano ai capelli e dandogli una sistemata come meglio poteva.

 

Da principio voleva raccoglierli in un elegante chignon, ma alla fine aveva optato per un semi-raccolto che le ricadeva morbidamente sulle spalle, lasciandole libero il viso.

L'uomo si rese conto di essersi espresso in maniera ambigua, quindi si corresse immediatamente, dicendo: «No, no. Non intendevo in senso negativo, piuttosto tutto il contrario: sei bellissima»

 

Felicity si rilassò immediatamente al suono di quelle parole e riacquistando un po' di sicurezza, disse lusingata: «Dev'essere per via del vestito.»

 

Ray sorrise e le chiese di poter entrare. Lei si scostò leggermente per lasciarlo passare.

 

«Ray?» - chiese poi Felicity- «Cosa ci fai qui? Non dovevamo incontrarci fuori dal ristorante tra venti minuti?»

 

«Sì, ma ho pensato che sarebbe stato carino venirti a prendere, piuttosto che farti arrivare da sola al ristorante» - spiegò Ray, per poi aggiungere - «E poi volevo darti questo»

 

Uscì dalla tasca un cofanetto di velluto nero e lo aprì con cautela, mostrandone il contenuto a Felicity che restò senza parole. Si trattava di una meravigliosa collana di diamanti.

 

Ray la prese tra le mani, richiudendo poi il cofanetto e poggiandolo sul tavolino accanto a lui, e si diresse verso Felicity che lo fermò subito, dicendo : «Non posso indossarla, vale troppo, non mi sentirei a mio agio con un gioiello del genere»

 

«Ma certo che puoi.», rispose Ray avvicinandosi ancora di più.

Lei lo guardava perplessa e impacciata, perciò Ray le disse: «L'ho presa in prestito per questa sera, pagando una cauzione. Sarebbe un peccato non sfruttare l'occasione di indossare un gioiello tanto bello quanto raro»

 

Si posizionò dietro le spalle della giovane ragazza e appena dietro di lei, le chiese con delicatezza: «Posso?»

 

Felicity annuì e scostò leggermente i capelli in modo che lui potesse circondarle il collo con la splendida collana.

 

«Ecco fatto, lasciati guardare», disse Ray all'orecchio di Felicity.

 

Lei si voltò verso di lui, sfiorando appena i diamanti con le dita, lasciando che lui la guardasse.

 

«Semplicemente perfetta»

 

Felicity avvampò in viso, le sue gote erano di un rosso acceso.

 

«Grazie»

«Faremmo meglio ad andare, se non vogliamo arrivare tardi»

«Certo. Dammi solo un attimo, vado a prendere la borsa.»

 

Dopodiché uscirono di casa per andare alla cena tanto attesa.

 

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Capitolo 20
*** Ventuno ***



Dall'altra parte della città, un Oliver pensieroso e turbato stava finendo di prepararsi per la festa. In piedi, in mezzo alla sua nuova camera da letto a casa di Thea, si stava vestendo, abbottonando svogliatamente la camicia. La festa sarebbe iniziata da lì ad un'ora, quindi aveva tutto il tempo di prepararsi. Mentre si vestiva la sua mente viaggiava da un'altra parte, lontano da lì, da Felicity.

L'impotenza giocava a suo sfavore, non aveva potuto fare nulla per impedirle di andare a cena con lui quella sera. Sarebbe dovuta essere la loro serata,  invece tutto era andato a monte per colpa di Ray Palmer. Quando pensava a quel nome, sentiva il sangue ribollirgli nelle vene.

Tra tante donne che poteva portarsi a cena, perché doveva chiederlo proprio alla sua Felicity? La risposta era fin troppo chiara, ma Oliver non se ne capacitava comunque. Lei aveva accettato l'invito e per quanto Oliver fosse arrabbiato, sapeva di avere tutta la colpa.

 

Indossò la giacca nera dal taglio classico ed elegante, e uscì fuori per vedere se Thea avesse bisogno di una mano. Dopo poco tempo cominciarono ad arrivare i primi ospiti e la casa iniziò a riempirsi di gente. Arrivarono anche Roy e Diggle, quest'ultimo accompagnato da una bellissima Lyla. Oliver stava all'erta, guardandosi attorno, con la speranza che lei arrivasse comunque da un momento all'altro.

La grande mano di Diggle si posò sulla spalla di Oliver, e non ci fu bisogno di dire nulla. Oliver sospirò, lasciando trapelare tutta la sua delusione.

«Lei non verrà, Oliver. A quest'ora sarà a cena con Palmer»

 

Nel tono di Diggle non vi era traccia di arroganza o presunzione, ma con quelle parole voleva far capire al testardo di Oliver di non aspettarsi troppo da quella serata, altrimenti ne sarebbe rimasto deluso.

 

«Lo so», rispose lui, simulando una calma che in quel momento non aveva.

 

Diggle non si lasciava ingannare facilmente, lo conosceva fin troppo bene, perciò gli chiese: «Stai bene?»

«Certo, benissimo», rispose Oliver, con un finto sorriso per poi rivolgere la sua attenzione a qualcosa o, meglio, qualcuno della sala.

Aguzzò lo sguardo e vide tra gli invitati un volto a lui familiare: Laurel. Doveva essere stata Thea ad invitarla.

«Dig, scusami un attimo. C'è qualcuno che devo andare a salutare.»

«Certo, va' pure», rispose Diggle, guardando nella stessa direzione di Oliver.

 

Laurel si trovava in mezzo alla sala con una coppa di vino in mano e si intratteneva allegramente con altri invitati. Era bellissima, così fasciata da un elegantissimo abito rosso che le aderiva perfettamente al corpo e le arrivava fino ai piedi. Un ampio spacco percorreva tutta la lunghezza della gamba sinistra, lasciando intravedere ad ogni piccolo passo la carne nuda. Dalla scollatura profonda si scorgevano le rotondità dei suoi seni, rendendola un bocconcino oltremodo appetibile per molti uomini lì dentro. Laurel era sempre stata sicura di sé, conscia della sua bellezza fisica e della spigliatezza propria del suo carattere. Non aveva mai avuto problemi ad osare con abiti del genere; aveva un corpo che le permetteva di indossare qualsiasi cosa; sarebbe stata bene persino con una tenda avvolta attorno al corpo.

Ad Oliver era sempre piaciuto questo lato di lei, questa incrollabile sicurezza, il suo essere forte. L'aveva affascinato sin dal primo istante, col suo sguardo fiero e la sua audacia. Vedendola lì, completamente a suo agio, con molti sguardi puntati addosso, ad Oliver ritornarono in mente numerosi ricordi del passato, quando aveva desiderato essere l'unico a possedere il suo cuore e quando era riuscito a farla innamorare di lui.

Era solo un ragazzo all'epoca, innamorato ma molto instabile e volubile, incapace di mantenere una relazione monogama, troppo spaventato da qualcosa di eccessivamente impegnativo. Quando restava da solo con lei, però, tutte quelle paure e quelle leggerezze sparivano, perché sapeva che lei ne valeva la pena.

Laurel vide Oliver venirle incontro e scusandosi con gli ospiti con cui stava parlando si avvicinò a lui.

«Ciao Ollie»

«Ciao Laurel. Sei bellissima.»

«Grazie, anche tu non sei niente male.»

Oliver le sorrise e Laurel fece altrettanto, per niente a disagio per quello scambio di complimenti.

Il cameriere passò accanto a loro e Laurel tese il braccio per poggiare il calice vuoto sul vassoio e per prenderne uno pieno. Oliver fece lo stesso, aveva bisogno di rilassarsi per superare quella serata e l'alcool sarebbe servito al suo scopo. I due si sedettero in disparte nell'angolo bar, per parlare e aggiornarsi un po' sulle loro vite.

 

«Mi fa piacere che anche tu ti concedi un po' di sano divertimento a volte.», disse Laurel, alludendo al fatto che la sua attività di vigilante non lasciasse molto spazio ad altro.

«Già.», confermò Oliver.

«Dov'è Felicity? Non credo di averla ancora vista.» - domandò lei all'improvviso, cercandola tra gli invitati - «Mi piacerebbe salutarla»

«Temo che non potrai, non è venuta.»- rispose Oliver, muovendo circolarmente il calice che aveva in mano e osservando attentamente l' ondeggiare del liquido chiaro sulla superficie del vetro trasparente, - «Aveva un altro impegno per stasera.»

«Ah. Che strano...»

«Cosa c'è di strano?», chiese Oliver leggermente infastidito da quell'esternazione.

«È che lei c'è sempre. Sono solo sorpresa, ecco tutto»

«Mh-mh», mugugnò Oliver in risposta, scolandosi il contenuto dell'intero bicchiere.

Ne afferrò subito un altro, stavolta sorseggiandolo più lentamente.

Laurel si limitava a fissarlo, cercando di interpretare quel turbamento.

«Ollie, va tutto bene?»

«Certo, sto benissimo», rispose senza convinzione.

 

Laurel iniziò a raccontargli del suo lavoro e degli ultimi casi a cui stava lavorando in modo da distrarlo da qualsiasi pensiero lo turbasse. Oliver la ascoltava quieto, ponendogli qualche domanda di tanto in tanto, ma limitandosi per lo più ad annuire e lasciarla parlare.

Durante la chiacchierata, continuarono a bere, scolandosi un bicchiere dopo l'altro. Senza quasi rendersene conto erano brilli e Laurel percepiva un leggero mal di testa.

 

«Ollie, mi gira la testa, possiamo andare in un luogo più tranquillo? Qui dentro c'è troppo rumore.»

«Sì, certo. Ti porto di sopra.»

 

Oliver l'aiutò ad alzarsi e cingendola per la vita la portò al piano di sopra, nella sua camera da letto.

La fece distendere portandole un bicchiere d'acqua.

 

«Mi sa che abbiamo bevuto un po' troppo stasera»

«Direi che hai ragione», rispose lei scoppiando in una risata. Era ubriaca.

 

Anche Oliver si sedette, mettendosi un cuscino dietro la schiena e poggiando la testa contro la spalliera del letto. Si allentò la cravatta per respirare meglio, sbottonandosi i primi tre bottoni della camicia.

 

«Mi sembra di avere un déjà-vu»

Oliver rimase in silezio ad ascoltare, gli occhi chiusi.

«Ti ricordi quando io, tu e Tommy uscivamo per andare a ballare e poi io e te tornavamo in camera tua per smaltire la sbornia e dormivamo assieme fino al mattino dopo? Sembrava tutto così facile a quel tempo. Non avevamo pensieri, problemi... c'eravamo solo noi, Ollie. Quanto mi piacerebbe tornare indietro a quella spensieratezza a volte...», le ultime parole furono pronunciate debolmente, tanto che Oliver dovette faticare per sentirle.

Entrambi si persero in quei ricordi lontani, cercando di ricordare quella leggerezza, quel sentirsi invincibili e forti, capaci di qualsiasi cosa.

Quante cose erano cambiate da allora, tante, troppe cose.

 

Laurel si tolse le scarpe e si spostò, andandosi a sedere proprio accanto ad Oliver. I due erano adesso seduti l'uno all'altro, cercando di rilassarsi.

«Ci pensi mai, Ollie?»

«Sì», ammise lui.

 

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Capitolo 21
*** Ventidue ***



La cena si era conclusa con evidente successo. Sembrava proprio che Felicity avesse fatto colpo sull'amministratore delegato e sua moglie. La cena non era stata poi così noiosa, soprattutto perché Felicity era riuscita a portare un po' del suo brio all'interno delle loro conversazioni, senza però perdere di vista il nocciolo della questione. Ray si era comportato da vero gentiluomo per tutta la sera, trattandola con estremo riguardo e nonostante un leggero imbarazzo iniziale, era riuscito a farla sentire completamente a suo agio durante lo svolgimento della serata. Era stato un incantatore come sempre, sicuro di sé e audace. Aveva stregato tutti con la sua dialettica, inserendo numerosi aneddoti divertenti all'interno della conversazione. Insomma, sia lui che Felicity erano stati un team eccezionale quella sera.

 

Usciti dal ristorante, entrarono in auto, entrambi soddisfatti.

 

«Ti riaccompagno a casa»

 

Felicity guardò l'ora sul display del cellulare e vide che erano ancora le undici di sera. Stava valutando nella sua testa se valeva la pena andare al party oppure no.

Era già vestita, elegante, era ancora presto, perché non andarci?

 

 

«E' ancora presto. Che ne dici piuttosto di accompagnarmi ad una festa?», chiese Felicity allegramente.

 

«Una festa?»

 

«Qualche settimana fa sono stata invitata ad un party a casa di Thea, la sorella di Oliver Queen.»

«Ah. Beh, non credo che sia una buona idea per me presentarmi lì senza invito; dopotutto ho assorbito la loro azienda di famiglia. Mi stupirei se non fossi l'ultimo della lista delle persone che vorrebbero vedere a casa loro»

«Che stupida, scusami. Non ci avevo proprio pensato»

«Posso comunque darti un passaggio fino alla festa se vuoi»

«Ehm no, no. Ti ringrazio, portami a casa per favore»

«Come desideri.»

 

Ray diede disposizioni al suo autista e si diressero a casa di Felicity.

Giunti all'appartamento fece accomodare Ray in salotto, lui la fissava un po' impacciato. Felicity sapeva il perché di quella goffaggine.

«Devi riprenderti questa, non è vero?», chiese Felicity toccandosi la collana che portava al collo.

In fondo lui l'aveva preso in noleggio per la serata che si era appena conclusa.

«Purtroppo sì.»

Felicity si avvicinò per farsi sfilare la collana e mentre lei la osservava per l'ultima volta, lui le disse: «Sei una donna fantastica Felicity, meriti molto, molto più di questo»

Con una frase era riuscito a mandarla K.O. Felicity non era decisamente abituata a tutte quelle esternazioni in una sola serata.

La tensione in quella stanza stava crescendo notevolmente, e i due continuavano a guardarsi negli occhi intensamente.

Ray tornò in sé stesso giusto in tempo per non fare un passo falso e dopo averla salutata, andò via.

 

Felicity si sedette un momento, rossa in viso e con il cuore che batteva a mille, riflettendo sulle parole di Ray. In cuor suo desiderava che gliele avesse dette Oliver quelle cose. Perché no? Perché non poteva sentirgli dire parole del genere?

La ragazza prese le chiavi dell'auto e andò dritta alla festa con grande determinazione. Se lui non era in grado di fare il primo passo, l'avrebbe fatto lei per l'amor del cielo! Gli avrebbe detto tutto: che i suoi sentimenti erano reali, che voleva di più, che non le importava tutto il resto. Se i suoi sentimenti erano veri, avrebbero vinto qualsiasi remora, qualsiasi incertezza. Gli avrebbe fatto capire che non avevano tutto il tempo del mondo, che dovevano afferrare a piene mani tutto ciò che gli capitava, “prima che sia troppo tardi, Oliver”.

 

Arrivata al quartiere di Thea, Felicity si sistemò il rossetto davanti allo specchietto dell'auto e quando si sentì pronta scese dal veicolo e si diresse alla porta della casa. Da fuori sembrava tutto splendido: il quartiere, le strade, la casa. Dall'interno proveniva la musica, e Felicity suonò più volte sperando che qualcuno la sentisse.

Per evitare di aspettare fuori e di gelare al freddo della sera, inviò un sms a Roy, chiedendogli di andare ad aprire perché stava aspettando fuori.

 

La porta però si aprì improvvisamente, e due giovani uscirono di casa, leggermente ubriachi. Non li conosceva, ma approfittò per entrare in casa. Thea la vide subito e le si fece incontro.

«Ce l'hai fatta!»

«Sì. Scusa se sono arrivata così tardi.»

«Sciocchezze, sono contenta che tu sia qui.» - la tranquillizzò la piccola Queen, per poi complimentarsi con lei, - «Mio Dio, sei incantevole!»

«Ehm... Grazie. Tu sei splendida e questa casa poi... E' un sogno!»

«Bella vero? Piace anche a me.», disse e le schiacciò l'occhio.

Felicity cercò con lo sguardo qualcuno tra la folla e Thea capì subito chi fosse quel qualcuno.

«Oliver dev'essere qui da qualche parte. Ci sono anche Roy e Diggle.»

«Vado a cercarli allora.», rispose Felicity.

 

Roy, che aveva appena ricevuto il messaggio di Felicity, si mise alla sua ricerca e la vide accanto a Thea. Si avvicinò a lei per salutarla e dopo essersi complimentato anche lui, la portò da Lyla e Diggle. Felicity fu felice di vedere tanti volti familiari, ma ne mancava uno, quello che cercava, quello più importante.

Diggle, captò la sua inquietudine e si avvicinò a lei per sovrastare il rumore della musica e le disse, indicando un punto lontano della sala: «Oliver è seduto laggiù.»

Felicity sentì il cuore uscirle dal petto, tanto batteva forte. Tra pochi minuti gli avrebbe detto tutto ciò che provava, senza freni o limiti, nonostante il suo corpo le urlasse di non farlo.

Con gli occhi seguì la direzione in cui puntavano le dita di Diggle e focalizzò lo sguardo sulla figura in lontananza, anzi, le figure.

Oliver era seduto all'angolo bar con Laurel, bellissima come sempre, nel suo abito rosso scintillante. Parlavano e bevevano, sorridendosi a vicenda. Laurel non faceva che poggiare le sue mani sulle braccia di lui, che non sembrava minimamente infastidito dal contatto.

Felicity dovette inghiottire tutta la sua emozione, simulando disinteresse, ma temette di non riuscirci. Si girò verso gli altri, dicendo: «Beh, magari lo saluterò dopo»

Ma neanche cinque minuti dopo, i due si allontanarono assieme salendo le scale che portavano alle camere da letto al piano di sopra.

Diggle per confortarla le disse: «Di sicuro non è come sembra.», ma le sue parole ebbero l'effetto opposto sulla ragazza.

«Davvero?», ribatté lei scettica.

Lui non disse nulla, contraddicendo in tal modo la frase che aveva appena pronunciato.

 

Dopo dieci minuti non c'era ancora traccia di Oliver o Laurel, e i dubbi e le paure di Felicity cominciarono a prendere forma e validità.

Con la scusa di andare alla toilette, Felicity andò in cerca di quei due, girando al piano di sopra ed entrando nelle varie stanze. “Dove si sono cacciati?” si chiedeva, ma se l'avessero vista come avrebbe giustificato la sua presenza lì?

Si sentiva come un ladro che si aggira silenziosamente nei corridoi bui di una casa, in cerca di qualcosa di prezioso da rubare. Passando accanto ad una porta, sentì delle voci provenire dall'interno. Sì avvicinò per cercare di distinguerle e una risata le giunse alle orecchie: era quella di Laurel.

Le voci si erano fatte più vicine adesso, si stavano avvicinando alla porta e Felicity per non essere vista dovette correre il più rapidamente possibile per nascondersi dietro ad una colonna. I piedi le dolevano, ma doveva far di tutto pur non essere vista.

 

Oliver e Laurel uscirono dalla stanza e parlavano a bassa voce, ridacchiando allegramente. Sembravano ubriachi, lo erano sicuramente.

«Ollie, avvicinati...», diceva lei maliziosa e suadente - «Facciamolo qui...».

Nella testa di Felicity risuonò un campanello di allarme, uno enorme. “Facciamolo qui?”, ma che diavolo dovevano fare lì?

Felicity non riusciva più a sentire le loro voci, sentiva solo dei tonfi provenire qualche metro più avanti. Cercava di calmarsi, ma la curiosità ebbe il sopravvento. Si sporse leggermente dalla colonna per sbirciare, e ringraziò il fatto che quell'angolo fosse immerso nell'oscurità. Sperando di non essere vista, aguzzò la vista e li vide avvinghiati nella penombra.

Lei era seduta su un mobile e Oliver si trovava esattamente in mezzo alle sue gambe. Si stavano baciando e in quel bacio non c'era nessuna tenerezza, solo foga e ardore.

Ogni gemito che arrivava alle orecchie di Felicity era una ferita sul suo cuore, ogni volta che le labbra di lui si posavano con tanta passione sulla pelle di lei, sentiva di morire. Per quanto male le facesse quello spettacolo, Felicity non riusciva a distogliere lo sguardo. Era ancora incredula, non credeva ai suoi occhi, non poteva essere vero. Quando vide che lui le alzava la gonna fin sopra il sedere e lei gli slacciava i pantaloni, Felicity non riuscì più a sopportare quella visione. Distolse lo sguardo e rimase lì immobile a sentire i loro gemiti. Dopo minuti che sembrarono infiniti, si sentirono chiaramente dei passi provenire dalle scale. Oliver afferrò prontamente Laurel sostenendola per le natiche, mentre lei lo avvolgeva con le gambe all'altezza del bacino e le sue braccia gli cingevano il collo. In quella posizione, così avvinghiati l'uno all'altro, Oliver riuscì a trasportandola di nuovo in camera da letto, chiudendosi poi la porta alle sue spalle.

 

Felicity ne approfittò per andare via, per scappare da quello a cui aveva appena assistito.

Se ne andò via senza salutare nessuno, sperava che non la vedessero perché non sapeva come avrebbe reagito o cosa avrebbe detto.

Prese la macchina e sfrecciò via senza sapere esattamente dove sarebbe andata. Restò in auto per quasi un'ora, girovagando senza alcuna meta. Quando fermò la macchina si ritrovò con sua grande sorpresa nel parcheggio del Verdant. Perché diavolo era andata lì? Continuava a pensare a come era iniziato tutto, forse il suo inconscio l'aveva spinta in quel luogo perché lì avrebbe riflettuto più chiaramente. Non ne capiva il senso, ma uscì dalla macchina e scese giù fino al covo.

 

 

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Capitolo 22
*** Ventitrè ***


Una volta raggiunta la sua scrivania Felicity si sedette e fissò lo schermo del pc continuando a rivedere nella sua mente quelle immagini mortificanti. I pensieri viaggiavano veloci, schizzando da una parte all'altra della sua mente. Se chiudeva gli occhi veniva trascinata da un vortice di emozioni e pensieri che le facevano mancare il fiato.
Ciò che aveva visto l'aveva scossa nel profondo e non riusciva a liberarsi da quella sensazione. Ma perché era così sorpresa? Sapeva perfettamente delle sue attività serali, sapeva delle donne con cui usciva. Di tanto in tanto ne aveva vista qualcuna su al pub o al ristorante dove di solito gli piaceva andare, ma vederlo in un momento di tale intimità con una di loro era una cosa totalmente diversa. Diversa, soprattutto perché era Laurel la donna con cui l'aveva visto.

Non voleva accettarlo, non poteva interiorizzarlo. La sua mente rifiutava di crederci. Perché non riusciva a dimenticarsi di lei, nonostante tutti i litigi e le incomprensioni che avevano avuto fino a quel momento? Quanto profondo doveva essere il suo amore per lei, per non rendersi conto della loro incompatibilità? Vivevano su due pianeti diversi, eppure continuavano a cercarsi. Come poteva desiderarla così intensamente? Tutte queste domande invadevano con prepotenza la sua mente, lacerandole il cuore e lasciandola sfinita e angosciata.

Si sentiva così stupida: ultimamente lei e Oliver erano diventati più intimi e per questo lei aveva creduto di interessargli, anche se solo un pochino. Si era convinta di non essere totalmente invisibile ai suoi occhi. Ma lo era. Era sempre stata invisibile per lui. Era l'amica, la partner, l'aiutante, il genio dell'informatica. Era necessaria, ma lo era per Arrow e non per Oliver.

Adesso era persino imbarazzata per le fantasie che aveva avuto su di loro, stupide e platoniche fantasie di una ragazzina invaghita del proprio capo. Che sciocca era stata. Era caduta nella sua trappola come un'adolescente alle prime armi.

Chiudeva per un istante gli occhi e li vedeva: le mani di Oliver frementi per il desiderio, muoversi decise sul corpo di Laurel, sui suoi fianchi, sulla schiena; rivedeva i baci che le dava sul collo e la sua lingua sfiorare la pelle nei punti più sensibili. Da come Laurel rispondeva a quei movimenti, si capiva quanto lui la conoscesse a fondo, sapeva esattamente cosa fare e dove stuzzicarla.

In fondo si conoscevano da una vita, nonostante i loro alti e bassi erano stati insieme davvero a lungo. Una vita intera. Chi avrebbe potuto competere contro di lei?

Chiuse gli occhi con forza, come a voler fermare le immagini che gli si riproponevano senza sosta nella mente e che la tormentavano senza pietà. Si alzò di scatto dalla sedia e iniziò a camminare nervosamente da una parte all'altra della stanza per scaricare la tensione. Avanti e indietro, avanti e indietro, a lungo... non v'era pace per il suo cuore, duramente schiacciato sotto il peso della consapevolezza: Oliver non sarebbe mai stato suo. Le lacrime le pizzicavano gli occhi, ma non poteva permettersi di crollare. Non poteva lasciarsi andare, non lì almeno... qualcuno sarebbe potuto entrare da un momento all'altro.

Si sedette nuovamente al suo posto e decise che era davvero arrivato il momento di darsi una calmata.

Iniziò con una serie di respiri profondissimi e lenti, cercando di concentrarsi unicamente su quelli.

Dopo un tempo che le sembrò infinito, iniziò a sentirsi effettivamente più calma e un senso di torpore la avvolse come un manto caldo. Adagiò la testa sulle braccia poste a mo' di cuscino e lentamente si lasciò vincere dalla stanchezza, sprofondando in un sonno profondo ma inquieto.

Nella stanza, scarsamente illuminata dalla luce dei monitor accesi, regnava il silenzio. Il respiro di Felicity era un sussurro quasi impercettibile, a tratti spezzato a causa del suo tumulto interiore.

Era notte fonda quando la porta del covo si aprì improvvisamente e Oliver scese velocemente la rampa di scale con il suo solito passo leggero ma deciso. Andava lì quando aveva bisogno di pensare, di restare solo.

Si diresse verso l'interruttore della luce per illuminare la stanza che era quasi totalmente immersa nel buio, ma proprio in quel momento intravide qualcosa o meglio, qualcuno, seduto alla scrivania di Felicity. Si avvicinò cauto all'esile figura rannicchiata sulla scrivania, e si rese conto che si trattava proprio della sua Felicity, abbandonata al sonno. Osservò il suo viso, fiocamente illuminato dalla luce del monitor poco più lontano rispetto a lei. Così rannicchiata in quell'angolo sembrava piccola e indifesa.

La sua fragilità era maggiormente delineata dall'espressione del suo viso tesa e quasi sofferente. Anche il suo respiro era irregolare e Oliver capì che qualcosa la turbava: che stesse facendo un brutto sogno?

Una parte di lui avrebbe voluto svegliarla per chiederle cosa la turbasse in quel modo, ma l'altra parte non voleva svegliarla. Cosa fare allora?

Fu Felicity a rispondere tacitamente a quella domanda; si mosse leggermente e aprì gli occhi.

Non sapeva per quanto tempo avesse dormito, se per un minuto o la notte intera; si sentiva distrutta fisicamente a causa della posizione assunta durante il sonno e mentalmente perché non appena si rese conto di dov'era e del perché si trovasse ancora alla fonderia, mille pensieri si fiondarono nuovamente nella sua mente. Sentiva un fortissimo mal di testa e si portò le mani al viso, per massaggiarsi un po' le tempie. Non si era accorta della presenza di Oliver, poco più distante rispetto a lei. Credeva di essere da sola, ma non appena alzò lo sguardo e lo vide in piedi di fronte a lei, per poco non urlò per lo spavento. L'urlo le rimase però bloccato in gola e Felicity inghiottì pesantemente, per ricacciare la paura e l'angoscia. Come se non bastasse, pochi secondi prima, stava sognando proprio lui e Laurel, e nel vederlo lì accanto a lei ebbe la sensazione di essere stata in qualche modo scoperta, che lui sapesse a cosa stesse pensando.

Sperava di non aver detto qualcosa di imbarazzante nel sonno ma dal sorriso dolce che Oliver le rivolse capì che non sapeva nulla.

Alzò lo sguardo verso l'orologio bianco appeso alla parete di fronte a lei e si rese conto che era davvero troppo tardi. Cosa ci faceva lui lì? E a quell'ora poi. Perché non era con Laurel? Avrebbe voluto fargli quelle domande, e molte altre ancora, invece si limitò a chiedere:

 

«Da quanto tempo sei qui?»

 

«Sono appena arrivato» , rispose lui immediatamente, quasi per tranquillizzarla. Non voleva metterla in imbarazzo confessandole di averla osservata mentre dormiva, e dallo sguardo più rilassato che lei gli rivolse in cambio si rese conto di averle dato la risposta giusta.

«Cosa mai sei qui?» , chiese ancora Felicity.

«Potrei chiederti la stessa cosa», rispose Oliver, ma vide che lei non accennava a rispondere, per cui aggiunse:

«Sono venuto per stare un po' da solo. Come sai, casa di Thea non è il massimo della tranquillità in questo momento».

«Sì, capisco. Vado via allora» , disse Felicity, alzandosi a fatica dalla sedia. La posizione in cui era rimasta in quelle poche ore di sonno, infatti, l'aveva lasciata un po' indolenzita.

«Non è necessario che tu vada via», disse Oliver, guardando Felicity negli occhi.

Non era riuscita a capire se quello che lui le aveva rivolto fosse un invito a restare o se semplicemente non voleva essere scortese. Optò per la seconda. Doveva smetterla di voler leggere tra le righe, perché non avrebbe comunque trovato niente, niente di ciò che voleva leggere comunque.

«Lo so, ma sono stanca e si è fatto molto tardi. Tra poche ore dovrò svegliarmi per andare a lavoro. Non vorrei che il mio capo avesse da ridire sulla mia puntualità o peggio ancora, sul rendimento lavorativo. Sai, tiene molto alle mie prestazioni», disse Felicity tutto d'un fiato.

Oliver si indurì per un momento al sentire quella frase, poi però aggiunse:

«Dubito che una cosa del genere possa accadere»
 

Felicity non disse nulla. Indossò il trench, afferrò la borsa e fece per andarsene. Non appena raggiunge le scale Oliver la richiamò:

«Felicity?».

Lei si voltò verso di lui, ma non disse neanche una parola.

«Sei sicura di stare bene?», si informò.

Felicity lesse una nota di preoccupazione nella sua voce e si chiese per quale motivo le domandasse una cosa del genere. Cosa vedeva nei suoi occhi?

«Sì, certo. Va tutto bene, Oliver. Grazie.», lo sguardo di lei si soffermò qualche secondo in quello di lui, dopodiché aggiunse: «Adesso devo andare. Buonanotte, Oliver».

Oliver rimase a fissare quei grandi occhi azzurri velati di amara tristezza e col cuore gonfio di mille turbamenti la lasciò andare via augurandole la buona notte.

 

 

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Capitolo 23
*** Ventiquattro ***


 Felicity
 

Uscì dal covo e raggiunse il parcheggio dove aveva lasciato l'auto.

L'aria fredda della notte la rinvigorì, svegliandola definitivamente. Là fuori il buio l'avvolse col suo mantello e Felicity si sentì meno angosciata.

Com'era possibile che le cose fossero cambiate così radicalmente nel giro di una notte?

Dopotutto, grazie a ciò che aveva visto con i propri occhi, poteva finalmente rendersi conto di come stavano esattamente le cose tra di loro. Non c'era più spazio per fraintendimenti, sguardi ambigui, carezze fugaci. Adesso aveva la certezza che lei e Oliver erano solo amici e non ci sarebbe mai stato nulla di serio tra loro.

Nel tragitto verso casa Felicity pensò e ripensò a quella notte, torturandosi con ricordi amari.

Pianse così tanto che le lacrime le offuscarono la vista, impedendole di guidare. Accostò l'auto sul ciglio della strada, e si abbandonò al un pianto lungo e silenzioso. Tappandosi la bocca con la mano, cercava di nascondere persino a sé stessa la vergogna di sentirsi così umiliata, delusa, ferita.

Pianse tutto il suo dolore, fino a quando sentì di non averne più la forza.

Riprese la guida e raggiunse il suo appartamento, reggendosi a malapena sulle gambe tremanti.

Quella notte aveva finalmente compreso quanto era stata ingenua e quanto di se stessa avesse messo in gioco. “Mai più” - pensò mentre apriva la porta di casa. Non avrebbe voluto sentirsi mai più così fragile e sconfitta a causa di un uomo.

Chiuse la porta, lasciandosi alle spalle un capitolo della sua vita che era convinta sarebbe rimasto incompiuto per sempre.

 

 

Oliver

 

Oliver era rimasto da solo. Le luci erano ancora spente quando si sedette al posto lasciato vuoto da Felicity.

Si chiese cosa la preoccupasse e per quale motivo si trovasse lì a quell'ora della notte, sola e visibilmente turbata. I suoi occhi, di solito vivi e pieni di luce, era invece tristi e spenti come davvero poche volte li aveva visti.

Forse aveva solo avuto una brutta serata. Perché non gliene aveva parlato, allora? Non credeva di potersi confidare con lui?

Il pensiero di una Felicity triste lo rendeva ansioso e non gli permetteva di analizzare ciò che era accaduto poche ore prima con Laurel.

Erano stati insieme dopo parecchio tempo. Non l'aveva previsto, era semplicemente successo.

Si erano incontrati quella sera alla festa, avevano parlato per un po' mentre sorseggiavano del buon vino rosso e le cose aveva preso una strana piega. Nostalgia, vecchi sentimenti e la mancanza di una normalità perduta per sempre, avevano giocato un ruolo decisivo in ciò che sarebbe accaduto poco dopo.

Oliver si rese conto che, diversamente dal passato, non aveva sentito le stesse sensazioni stando con lei. Non era più coinvolto emotivamente come un tempo. Il suo era stato più un bisogno fisico, il bisogno di scaricare la tensione accumulata durante le ultime settimane.

Certo le voleva bene e gliene avrebbe sempre voluto, ma qualcosa era cambiato tra loro.

Mentre analizzava queste sensazioni, si torturava al pensiero di aver commesso un grave errore a fare ciò che aveva fatto. Non sapeva cosa avrebbe comportato quella serata assieme per Laurel, se era stato solo un momento o se significasse altro, qualcosa in più.

Si erano baciati in modo appassionato, spingendosi fino alle porte dell'irrimediabile.

Una Laurel maliziosa e provocante si stava offrendo a lui con facilità e c'era mancato poco perché Oliver cogliesse l'occasione di scaricare tutto il suo desiderio e la sua foga su di lei. Ne sentiva il bisogno, che pulsava nelle sue vene e lo lasciava senza fiato. Era stato difficile resistere alla tentazione, avendo la mente offuscata dal vino e il corpo di Laurel sotto di sé, seminudo e desideroso di lui. In fondo quello era il corpo della donna che per così tanto tempo aveva controllato il suo cuore e la sua mente, e quel corpo aveva ancora il potere di farlo dubitare.

L'uomo dentro di lui, la parte più animalesca e istintiva, gridava a gran voce di lasciarsi andare, ma l'Oliver razionale e innamorato di Felicity lo combatteva, imponendogli di fermarsi.

Baciò Laurel a lungo, ma la sua testa andava altrove, da un'altra donna. Era lei che desiderava in quel momento, lei che voleva baciare e toccare, lei che riusciva a farlo impazzire col solo pensiero. Lei: la sua Felicity.

Se avesse avuto la sua bionda tra le braccia, non avrebbe esitato un istante a farla sua.
Oliver aveva aperto gli occhi e quando, ancora ubriaco, vide il volto di Laurel e non quello della donna che amava con tutto sé stesso, si rese conto che stava commettendo un errore colossale.

Si fermò e cercò di raccogliere le forze e il controllo di sé stesso, prima che fosse troppo tardi.

Laurel non capiva l'improvviso contegno di Oliver, ma quando vide che lui si scostò da lei e iniziò a rivestirsi non disse niente. Si era sentita offesa e vulnerabile, ma non sapeva esattamente cosa fare o dire. Oliver si era scusato ed era andavo via, lasciandola da sola nella sua camera da letto.
Se fosse rimasto lì non sarebbe riuscito ad affrontarla, così era andato semplicemente via per darsi il tempo di riflettere. Non voleva ferire Laurel, e doveva essere sincero con lei. Non voleva stare con lei, neanche per una notte. Gli ostacoli che si erano frapposti tra loro li avevano allontanati definitivamente.

Rancori, incomprensioni e mille altre cose avevano spento la sua fiamma, forse per sempre, e un'altra fiamma ardeva in lui, oscurando tutto il resto.
Laurel sarebbe sempre stata Laurel, la donna che aveva amato per metà della sua vita, ma non pensava più a lei come alla donna che amava, bensì come ad un'amica.
Si era convinto che l'avrebbe amata per sempre, ma si era dovuto ricredere. Laurel non sarebbe mai potuta essere la donna della sua vita.

 

Seduto al buio, alla scrivania di Felicity, Oliver si sentiva male per ciò che aveva fatto.
Neanche qualche settimana prima aveva detto a Felicity che l'amava e in un momento di debolezza aveva ceduto. Quanto era stato stupido? Non era più uno sciocco ragazzino, era un uomo adesso.

Ma era il suo essere prima di tutto un uomo la causa di quella tensione fisica, che avrebbe dovuto smaltire prima o poi. Non poteva continuare a ingannare la sua mente e il suo corpo, perché non avrebbe retto a lungo. Sarebbe impazzito di desiderio e d'amore per una donna che lui stesso aveva allontanato con tutte quelle scuse, per problemi apparentemente insormontabili. Non poteva riuscirci in eterno, non poteva stare lontano da lei neanche per un altro momento senza rischiare di perdere anche sé stesso.

Averla continuamente nella testa lo svuotava e lo sfiancava. Una donna non l'aveva mai privato così profondamente della sua pace e della sua ragione. Non riusciva a fare nulla senza averla nella mente.
Nel passato, pur amando Laurel, l'aveva tradita di continuo con donne senza importanza.
L'amore che provava per lei, non l'aveva fatto mai desistere dal cercare appagamento in altre ragazze. Tradirla gli riusciva piuttosto facile, ed anche se Oliver adesso se ne vergognava, doveva ammettere che non si era mai sentito così svuotato quando tradiva Laurel. All'epoca era un ragazzino, è vero, ma ci sono aspetti del nostro essere che difficilmente cambiano, soprattutto quando si ama veramente.
Adesso si sentiva malissimo per aver baciato una donna che non fosse Felicity e ringraziò quel suo briciolo di autocontrollo, perché non si sarebbe mai perdonato se fosse stato a letto con Laurel.

 

 

 

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Capitolo 24
*** Venticinque ***



Poche ore dopo Felicity si svegliò con un doloroso mal di testa e una gran voglia di restare a letto. Non potendo soddisfare questo desiderio, dovette alzarsi e prepararsi per andare a lavoro, anche se era domenica doveva terminare un progetto importante.
Si muoveva meccanicamente, senza pensarci troppo, dato che tutti i suoi pensieri erano ancora canalizzati su ciò che aveva visto la sera precedente.

Il ricordo le faceva male da impazzire. Quelle immagini e quei gemiti le tornavano alla mente per il puro piacere di tormentarla. Non riusciva a scacciarli dalla sua testa, neanche per un attimo.

 

La giornata alla Palmer Technologies trascorse lentamente, ma tutto sommato il tenersi occupata l'aveva aiutata a non crollare.
Nonostante l'orario di lavoro fosse terminato da un pezzo, Felicity era rimasta nel suo ufficio e non aveva ancora voglia di andarsene. Se fosse tornata a casa, avrebbe pensato e ripensato alla sera precedentemente; se fosse andata al covo, beh, sarebbe stato ancora peggio perché avrebbe rivisto Oliver ed era decisamente troppo presto. Aveva persino ignorato tutte le sue telefonate e i messaggi che le aveva inviato.

Non l'aveva mai fatto prima d'ora. Una parte di sé, quella razionale e assennata, la faceva sentire in colpa perché lo stava evitando e pensava “E se avesse bisogno di me per qualcosa?”, ma il suo IO più intimo, quello ferito e devastato, supplicava di lasciargli il tempo di riprendersi.
Questo era il primo passo per il cambiamento di Felicity, prendere le distanze, avere i propri spazi, i propri orari, solo così poteva sperare di riprendere il controllo della sua esistenza.
Arrow non poteva entrare con prepotenza in ogni aspetto della sua vita, lavorativa e non. Doveva essere sempre reperibile, sempre presente quando avevano bisogno di lei, sempre attenta a non sbagliare.
Non che lo facesse solo per Oliver; lo faceva per il bene della città in cui viveva, ma in questo momento aveva bisogno di fare qualcosa per sé stessa, altrimenti non sarebbe riuscita ad aiutare nessun altro. Una pausa da tutto e da tutti era l'unica via di uscita da quell'inferno.

 

Felicity continuò a lavorare finché Ray entrò nel suo ufficio, dicendo: «A quanto pare non vuoi proprio tornare a casa»

Centrato in pieno il problema. Lei sorrise appena, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi le tempie.

«No, infatti.»

«Vuoi parlarne?», chiese Ray gentilmente.

«Grazie, ma meno ci penso e meglio è...»

 

Lui annuì comprensivo.

 

«Senti... sto morendo dalla fame, che ne dici di andare a mangiare un boccone assieme?»

«Non ho molta fame, ma ti ringrazio per l'offerta», rifiutò lei.

«Sono sicuro che dopo aver mangiato qualcosa ti sentirai meglio. E poi parlerò talmente tanto di lavoro che non riuscirai a pensare a nient'altro, lo prometto.», insistette Ray mettendosi una mano sul cuore, per dare maggiore credibilità alle sue parole.

 

Felicity suo malgrado sorrise, conquistata da un invito così eccentrico.

 

«Va bene»

 

Prese la sua borsa, il soprabito e uscì con Ray per andare a prendere un boccone.
Si recarono in un ristorantino assolutamente delizioso. Il cibo era ottimo e Ray parlava continuamente, facendo in modo di intrattenere Felicity come meglio poteva. Per tutto il tempo in cui furono assieme, la ragazza riuscì davvero a non pensare ad altro. Ray aveva la capacità di farle dimenticare tutto il resto, di monopolizzare i suoi pensieri e la sua attenzione. E lei ne aveva davvero bisogno in quel momento.

 

Finita la cena, Ray accompagnò Felicity fino al parcheggio affinché tornasse a casa con la sua auto.

«Grazie di cuore per la splendida cena, Ray. Sono stata benissimo.»

«Dovrei essere io a ringraziarti, non ho fatto altro che parlare di lavoro. Forse dovrei darti un aumento.»

«Era proprio ciò di cui avevo bisogno», rispose Felicity.

«Parli dell'aumento, vero?», chiese Ray con finta sorpresa.

«No. Avevo bisogno di un amico.», disse Felicity, poggiando la mano sul braccio di lui e alzandosi in punta di piedi per dargli un casto bacio sulla guancia.

Ray fu piacevolmente sorpreso da quella vicinanza, ma non si mosse o disse nulla. Le sorrise semplicemente e rimase ad aspettare lì fuori, finché Felicity mise a moto l'auto e andò via accelerando.

 

**

 

 

Oliver non aveva avuto notizie da Felicity dalla notte precedente. Le aveva telefonato, ma non aveva ricevuto ancora nessuna risposta. Iniziava a preoccuparsi e aveva bisogno di lei. Non per qualche missione, ma per sé stesso. Aveva bisogno di sentire la sua voce, di trovare una scusa per vederla anche solo per un attimo. Smanioso e impaziente, aspettò ancora qualche minuto che lei rispondesse al suo messaggio.

Come se avesse i sensi in allerta, scattò di colpo non appena sentì la porta del covo aprirsi. La sua speranza si accese e lo illuminò come un lampo illumina il cielo in piena notte, ma sparì altrettanto repentinamente quando fu Diggle a entrare.

 

«Ehi John», salutò Oliver abulico.

«Aspettavi di vedere qualcun altro? Non sembri particolarmente felice di vedermi.», scherzò l'uomo per risollevare lo stato d'animo di Oliver, visibilmente turbato. Sapeva perfettamente chi sperava di vedere.

 

Oliver rimase in silenzio, facendo finta di seguire il notiziario di Starling City e guardando il cellulare in continuazione, aspettando una risposta da parte di Felicity.

 

«Non l'hai ancora sentita?», chiese Diggle notando quella smania.

«Mhm?»

«Non hai parlato con Felicity?», ripeté di nuovo Diggle, cercando di essere più chiaro.

«Non oggi», rispose lui ermetico.
 

«Strano.»

 

Ecco l'input necessario per farlo parlare. Diggle aveva toccato il punto esatto su cui fare leva.

«Infatti.» - sbottò Oliver - «Sarà successo qualcosa alla cena con Palmer?», disse caricandosi di rabbia e apprensione al solo pensiero.

«No, non credo affatto.» - prese a spiegare Diggle, ricordando il giorno prima - «Felicity sembrava raggiante dopo la cena.»

«Dopo la cena?»

Oliver sembrava confuso. «Quando l'hai vista?»

«Alla festa naturalmente», rispose Diggle, credendo di dirgli qualcosa che lui sapesse già.

«Diggle, Felicity non è venuta alla festa... era a cena con Ray Palmer», rispose Oliver scandendo le parole con cura, in modo che l'amico capisse la situazione.

«Felicity c'era, invece.», gli assicurò, scandendo altrettanto lentamente le parole. «La cena dev'essere finita presto, perché poi è venuta alla festa.»

 

Oliver rimase in silenzio a pensare, limitandosi a guardare l'amico con lo sguardo smarrito.

 

Al che Diggle, disse: «Credevo vi foste visti. È salita anche lei al piano di sopra, neanche dieci minuti dopo che tu e Laurel eravate saliti. Dopodiché non l'ho più rivista, dev'essere andata via. Sono salito poco dopo per salutarvi, ma non c'era traccia di nessuno di voi tre.»

 

«Cosa?», il cuore di Oliver iniziò a battere forte e sentì di non capirci più nulla. «Felicity è salita al piano di sopra?».

Non voleva saltare a nessuna conclusione, ma ricordava di essere stato nel corridoio con Laurel e di certo i tempi combaciavano. Felicity non rispondeva al telefono dal giorno prima, l'aveva vista al covo visibilmente turbata, tutti segnali che confermavano le sue paure.

«Devo andare.», disse Oliver all'improvviso, lasciando Diggle da solo che lo guardava senza capire.

 

Oliver indossò il casco e sfrecciò in moto fino a casa di Felicity. Doveva vederla immediatamente e sapere cosa fosse successo la notte precedente. Doveva sapere la verità su tutto, altrimenti sarebbe impazzito per il dubbio.
Arrivò all'edificio e salì le scale correndo come un folle, fino a raggiungere la porta di casa sua, e col cuore che batteva all'impazzata, non esitò un solo attimo prima di bussare forte, più e più volte.


Felicity subito dopo essere rientrata a casa, si era spogliata e per scaricare un po' della pesantezza e dello stress della giornata, si era fatta una doccia, restando a lungo sotto il getto d'acqua bollente.
Era appena uscita dalla doccia e non si era ancora vestita del tutto quando sentì bussare forte alla porta. Si meravigliò che qualcuno la stesse cercando a quell'ora, ma si preoccupò che potesse essere successo qualcosa all'edificio, pertanto decise di andare subito a vedere di cosa si trattasse. Se non altro tutta quell'urgenza e quel baccano dovevano avere una giustificazione valida.
Indossava solo l'intimo, quindi afferrò la sua solita vestaglietta di seta bianca e se la infilò per poi dirigersi alla porta, con i capelli ancora umidi che le ricadevano sulle spalle senza un ordine preciso.

Prima di aprire, sentì bussare ancora più forte, e sempre più preoccupata si chiese ancora una volta chi potesse essere. Non si era mai troppo sicuri in quella città. E se fosse stato un maniaco o un ladro cosa avrebbe fatto? L'idea le sembrò subito sciocca: un ladro o un maniaco non avrebbero bussato alla sua porta, e soprattutto non avrebbe fatto tutto quel chiasso. Si tranquillizzò e andò a togliere il blocco alla porta, ma all'improvviso sentì la voce profonda di Oliver che supplicava di aprirgli.

 

«Felicity apri, ti prego.»

 

Lei si bloccò all'istante. Non voleva parlare con lui, non voleva stare da sola con lui, non voleva vederlo. Indietreggiò e si decise a non aprire la porta.

 

«Felicity, riesco a sentire i tuoi passi dietro la porta, sento persino il tuo respiro... Ti prego, apri.»

 

Le paure di Oliver iniziavano velocemente a diventare certezze e sempre più angosciato si appoggiò alla porta per sentire tutti i movimenti al suo interno. Lei era lì, riusciva a sentirla e solo pochi centimetri li tenevano separati.
La voce di Oliver, attraverso il legno della porta, raggiungeva le orecchie di Felicity e si percepiva tutto il bisogno che lui aveva di parlare.

Felicity si chiese cosa volesse a quell'ora, con quell'urgenza. Cosa c'era di così importante da non poter aspettare fino al giorno seguente?

Nonostante tutta l'inquietudine che sentiva, Felicity riuscì a trovare il modo di parlare, così gli disse:

«Oliver, di qualunque cosa si tratti, possiamo parlarne anche domani. Sono stanchissima e voglio solo andare a dormire. Per favore, va' via.»

 

Oliver però non andò via. La prego più e più volte di aprire la porta, ma lei non sembrava cedere. Passarono diversi minuti e quello stava diventando un gioco assurdo: lui dietro la porta pregandola di aprire, lei dall'altro lato della stessa porta, privandolo di quel desiderio. Chi tra i due era la vittima e chi il carnefice? Difficile a dirsi.

 

«Felicity, apri questa dannata porta o ti giuro che la butto giù!», s'infuriò Oliver, sempre più esasperato dalla testardaggine di lei.

 

A quelle parole Felicity ebbe un sussulto, si spaventò sinceramente. L'Arrow che era in lui, il suo essere autoritario e minaccioso era uscito in tutto e per tutto in quell'unica frase, intimandole di aprire la porta. “Non lo farebbe mai”, pensò Felicity ma dovette mettere in discussione quella certezza quando Oliver iniziò a colpire la porta sempre con più forza.

 

«Mio Dio, Oliver! Sei proprio un bambino!», urlò lei e aprì la porta tremendamente irritata.

 

Lui si fiondò dentro casa richiudendosi la porta alle spalle, incurante della rabbia di lei.
La osservò da capo a piedi e si sentì subito rinvigorito da quella vicinanza.

La vestaglietta lasciava vedere più pelle di quanta ne copriva e la prima cosa che Oliver pensò non appena la vide fu :“Dio, quant'è bella”.

 

Felicity si indispose maggiormente per quello sguardo indiscreto e invadente, e nonostante il suo pudore la invitasse a coprirsi maggiormente, non lo fece; piuttosto alzò il mento con fare superbo e lo sfidò, dicendo: «Volevi sfondare la porta solo per goderti lo spettacolo?»

 

Oliver sentì quelle parole e non sapeva esattamente se rincuorarsi per quella battuta sarcastica, oppure prendere sul serio la sua rabbia ed evitare di farla arrabbiare ancora di più. Decise che non era proprio il momento di rischiare, pertanto rispose mesto: «No, sono venuto per parlarti»

 

«E allora parla!», sbraitò lei infuriata.

 

Oliver non sapeva da dove iniziare, non aveva preparato nessun discorso e adesso stava facendo la figura dello stupido.

 

«Ieri sera sei venuta alla festa...», disse lui guardandola negli occhi per capire cosa sapeva e cosa no.

 

«Dubito che tu abbia visto qualcosa, occupato com'eri.», rispose lei d'impeto, mandando al diavolo tutte le raccomandazioni che si era fatta sul “mantenere il controllo”.

 

«Felicity...»

 

«Oliver!»

 

«Non è successo niente con Laurel se è questo quello che pensi.»

 

«Quello era niente?», domandò lei mantenendo un tono di puro sarcasmo.

 

«Niente di importante.», rispose incautamente Oliver.

 

Felicity proruppe in una risata di scherno, e scuoteva la testa, disgustata da quelle parole. Voleva prenderla in giro e continuare a trattarla come una stupida?

 

«Senti, non ho alcun diritto di essere arrabbiata con te per essere andato a letto con Laurel Lance. Non stiamo insieme, non siamo amanti e non lo saremo mai. Puoi fare tutto ciò che vuoi, con chi vuoi, quando vuoi. E sai perché? Perché noi due Non. Siamo. NIENTE.», sibilò Felicity, avvicinandosi a Oliver mentre scandiva ogni parola singolarmente, finché non fu ad un centimetro di distanza dal suo volto.

Lui rimase impassibile e lasciò che quelle parole affondassero come lame ardenti nel suo cuore. La risolutezza di lei lo lasciò impietrito e sentì di non avere carte in mano per farla calmare.

 

«Non sono andato a letto con lei...», cercò di spiegarle senza successo.

 

«Quindi è stata un'allucinazione della mia mente perversa! Certo, certo, hai ragione! Ho avuto una visione di voi due che vi baciavate nel corridoio, e ho pure immaginato Laurel mentre ti sbottonava i pantaloni e tu che le alzavi la gonna!», gridò Felicity, atteggiandosi come se fosse una pazza in preda all'isteria. «E' tutto qui, nella mia mente. Adesso ho le visioni di te che baci un'altra»

 

Felicity stava perdendo il controllo di sé e non riusciva a contenere la sua rabbia, il corpo le prese a tremare incontrollato e la sua voce tremava e si spezzava per il troppo gridare.

 

Oliver si sentiva distrutto nel vederla così, sapendo di essere lui l'unico colpevole da biasimare. Voleva tanto proteggerla e invece l'aveva delusa in quel modo, l'aveva spezzata come nessuno era riuscito a farlo.

Oliver, nel vederla così sconvolta, aveva un groppo in gola che lo rendeva incapace persino di parlare; andò istintivamente verso Felicity per proteggerla e incurante delle proteste di lei, la strinse forte tra le braccia, poggiandole il capo sul suo petto.

«Non toccarmi!» - ruggì Felicity con tutta la rabbia che aveva in corpo - «Vattene via, Oliver! Via!».

Urlò come una furia, incurante della gente che avrebbe potuto sentire oltre quella porta.

Che ascoltino pure quei maledetti curiosi! Avranno pane per i loro denti!”, pensò Felicity.

 

Il suo corpo tremante e gli occhi iniettati di sangue diedero un vigore maggiore al tono di per sé estremamente convincente. Si dimenò cercando di svincolarsi dal suo abbraccio, lo colpì con pugni e schiaffi che Oliver accettò in silenzio senza scostarsi di un centimetro. Lei lo colpì finché non ebbe più forze e si abbandonò ad un pianto che la spossava tutta, e quel pianto fu per Oliver più doloroso di qualsiasi pugno o schiaffo ricevuto.

 

Oh, la mia piccola”, pensava Oliver mentre la stringeva forte a sé accarezzandole i capelli, “La mia piccola...

 

Quando lei sembrò calmarsi, lui allentò la presa, senza però liberarla dal suo abbraccio.

Lei alzò i suoi occhi pieni di lacrime e lo scrutò con lo sguardo completamente smarrito.

 

«Felicity, non sono andato a letto con Laurel. Non ci sono riuscito, devi credermi.»

 

Sentendo quelle parole Felicity abbassò lo sguardo, ferita, ma Oliver le afferrò affettuosamente il mento per costringerla a guardarlo negli occhi.

 

«Felicity, te lo giuro...»

 

Lui allentò la presa fino a liberarla dal suo abbraccio, per permetterle di assimilare quelle confessioni, ma lei, annichilita com'era, si lasciò cadere a terra, incurante di quanto doveva sembrare sciocca e patetica in quel momento.

 

Lui si inginocchiò di fronte a lei, si sentiva smarrito e infelice quanto lei.

 

L'afferrò delicatamente per le spalle e le sussurrò angosciato: «Cosa mi hai fatto, Felicity? Vederti così mi riduce a niente...», parlava in un sussurro, rotto dall'emozione.

 

«Non hai idea di quanto profondamente ti ami, Felicity», continuò con la sua confessione d'amore, permettendole di entrare nel suo cuore, senza remore, senza finzioni. Ogni muro, ogni barriera era ormai distrutta per sempre.

 

«Ho provato con tutte le forze a starti lontano, ma non ci riesco».

 

Oliver questa volta le prese il viso tra le mani, per rivelare le sue emozioni guardandola negli occhi, per farle capire che non c'era menzogna in quelle parole.

 

Lei si limitava a fissarlo impassibile. Logorata da tutta la situazione, un giorno l'amava, quello dopo non la voleva; poi la desiderava, ma non poteva stare con lei; poi baciava un'altra donna e di colpo non riusciva a vivere senza di lei. Felicity ripensò alla promessa che si era fatta: “Mai più”. Non avrebbe permesso ad Oliver di farla sentire così un'altra volta.

 

«Vattene.»

 

Quell'unica parola, fu pronunciata in modo delicato tuttavia deciso, e per questo motivo suonò incredibilmente innaturale, ma affilata come una lama.

 

Oliver sentì perfettamente ciò che le aveva detto, ma non riusciva a muoversi.

 

«Subito», sibilò lei gelida.

 

Lui si rialzò, continuando a guardarla negli occhi. Non vi lesse niente. Non c'era niente nel suo sguardo. Nessun dolore, nessun tormento, nessuna emozione, nessun amore. Ne ebbe paura: capì cosa significasse quel vuoto.

Gli occhi di Oliver si bagnarono di lacrime salate e non riuscendo più a sostenere quello sguardo duro e irriconoscibile, se ne andò via con l'anima avvelenata e col cuore gonfio di dolore.





 

 
 

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Capitolo 25
*** Ventisei ***


 

Il cuore di Oliver ricominciò a battere solo quando la porta dell'appartamento di Felicity si richiuse alle sue spalle. Gli occhi lucidi e la mente offuscata dal tormento e dalla consapevolezza non gli permettevano di pensare. Si allontanò a passi lenti finché non raggiunse la sua moto.
Decise di non partire subito, era troppo alterato e preferiva calmarsi prima di tornare a casa.

Non riusciva a liberarsi dall'immagine del volto di Felicity e dal suo sguardo che gli aveva gelato il sangue nelle vene. Mai, in quegli anni, aveva visto un'espressione così distaccata sul suo volto, gli occhi freddi come il ghiaccio, due pozzi tanto profondi da non poterne scorgere il fondo.

Non c'era nient'altro che lei nella sua testa in quel momento, niente aveva importanza, solo Felicity e la possibilità di averla persa per sempre lo terrorizzava.
Oliver pensò di salire nuovamente fino all'appartamento di lei; voleva rivederla, parlarle, tranquillizzarla. Aveva bisogno di vedere il suo sorriso e gli occhi pieni d'amore e di dolcezza di sempre, ma sapeva bene che lo avrebbe respinto di nuovo e lui questo non sarebbe riuscito davvero a sopportarlo.

Col cuore a pezzi, mise in moto il veicolo e sfrecciò via alla velocità della luce.

 

**

 

Seduta a terra, con le gambe strette al petto, Felicity si sentì morire quando vide Oliver oltrepassare la soglia della porta e andare via, richiudendosela alle spalle.
La voce dentro di lei urlava “RESTA!”, ogni fibra del suo essere voleva abbracciarlo, sentire il calore della sua pelle, assaggiare il sapore delle sue labbra, ma quei desideri si dileguarono non appena ricordò la sua promessa, la stessa promessa che riportò in superficie anche tutto il dolore.

Non riusciva a pensare ad altro, voleva addormentarsi e dimenticare tutto e tutti. Ci riuscì.

 

La mattina seguente un sole magnifico splendeva nel cielo e se non fosse stato per il gelo dentro al suo cuore, Felicity se ne sarebbe certamente accorta.
Sdraiata sul divano, ancora in pigiama e con una tazza di caffè bollente in mano, guardava con sincero disgusto uno stupido programma televisivo e, di tanto in tanto, inveiva collerica contro uno dei protagonisti per placare una collera che era però rivolta al protagonista di una storia completamente diversa.

Stufa di guardare la TV, Felicity afferrò il suo tablet e iniziò a leggere le notizie del giorno. Non si evinceva niente di particolarmente pericoloso, sembrava tutto abbastanza tranquillo a Starling City e, di per sé, ciò era sicuramente qualcosa di anomalo.

Il telefono squillò d'improvviso e il suono inaspettato per poco non le fece venire un infarto.
Felicity afferrò la cornetta e rispose con un incurante «Pronto»

«Tesoro, sono la mamma. Ti disturbo?»

«Mamma?», Felicity era sorpresa di sentirla, si parlavano di rado ultimamente.

«Come stai?», chiese la donna con voce calda e premurosa.

 

'Come sto? Male!', pensò Felicity, ma disse: «Bene, grazie... E tu?»

 

«Tutto bene, tesoro. Ti ho chiamato perché volevo sentire la tua voce. Ho una sensazione... come se qualcosa non andasse. Sicura di stare bene?»

 

'Istinto materno... Allora esiste davvero!', rifletté Felicity tra sé e sé.

 

La signora Smoak era una donna estremamente apprensiva, soprattutto quando si metteva in testa che qualcosa non andava.
Felicity attese qualche secondo prima di parlare, indecisa tra il confidarsi con la madre e il rassicurarla e riagganciare. Per quanto avesse bisogno di parlare con qualcuno, Felicity era una donna che condivideva difficilmente i suoi problemi personali con gli altri, preferendo tenere per sé le proprie paure, i propri dolori e delusioni.
Nonostante questo indiscutibile dato di fatto, Felicity scoppiò in lacrime quasi senza accorgersene.
La sua mente le suggeriva di simulare di stare bene e riagganciare, mentre il suo cuore aveva la necessità di scaricare la sua angoscia parlando con qualcuno.

«Mamma...», disse Felicity piangendo, cercando inutilmente di darsi un contegno.

 

In quel momento per mamma Smoak, dall'altro lato della cornetta non c'era più la donna adulta e intraprendente, c'era solo la sua piccola Felicity e avrebbe tanto voluto abbracciarla come faceva quando era bambina.

«Tesoro, cos'è successo?»

«Niente, niente... È solo che...», e pianse ancora non riuscendo neanche a terminare la frase.

E poi non sapeva cosa dire, né da dove cominciare.

«Felicity, ascoltami bene» - disse la signora Smoak con fare deciso - «Perché non vieni da me per qualche giorno? Così potremo parlare tutto il tempo che vorrai o potremmo anche starcene in silenzio, se è questo ciò di cui hai bisogno»

 

Quell'invito suonava così allettante che Felicity lo prese immediatamente in considerazione.
Non tornava a casa sua da molti anni e la nostalgia si faceva sentire, quanto più adesso che aveva bisogno di allontanarsi da lì, da quella zona di pericolo. Inoltre, Ray Palmer le aveva concesso cinque giorni di vacanza, in quanto avevano terminato un grosso progetto su cui Felicity aveva lavorato giorno e notte, per non parlare delle domeniche trascorse in ufficio pur di portarlo a termine. Ray le avrebbe permesso più giorni se non avesse avuto così tanto bisogno di lei a lavoro. In cambio, però, le aveva dato un bonus decisamente cospicuo.

In un primo momento Felicity pensò che quei cinque giorni di vacanza sarebbero stati la sua rovina, ma dovette ricredersi non appena sua madre le offrì quella splendida via di fuga.
Non riusciva a pensare ad un modo migliore per spendere parte del suo bonus, se non andare da sua madre e lasciarsi alle spalle tutte quelle preoccupazioni, almeno per qualche giorno.

«D'accordo...» - annunciò Felicity con voce roca - «Prendo il primo volo e arrivo»

La madre ne fu così entusiasta che per un attimo si dimenticò della tristezza della figlia e iniziò a parlare e parlare finché Felicity non la zittì dolcemente e riagganciò con la scusa di doversi preparare per il viaggio.
Entrambe avevano lo stesso vizio di conversare senza fermarsi quando erano agitate, nervose o semplicemente emozionate e felici.

 

Felicity preparò un piccolo trolley con il necessario per quel breve viaggio verso casa; si preparò e si diresse all'aeroporto per prendere l'aereo. Il primo volo sarebbe partito nel pomeriggio, quindi avrebbe avuto tutto il tempo di prenderlo.
Giunta in aeroporto, in attesa della partenza, Felicity afferrò il cellulare e chiamò Diggle per annunciare la sua imminente partenza.

 

«Pronto», la voce di Diggle era calda e confortevole, come sempre.

«John, scusa per il disturbo»

«Scherzi? Tu non disturbi mai. Tutto ok?»

«Sì, va tutto bene» - rispose Felicity, cercando di essere quanto più convincente possibile - «Parto per qualche giorno, vado a visitare mia madre»

«Ah»

«E' stata una decisione improvvisa, ma credo proprio di aver bisogno di una piccola pausa»

«Certo, capisco» - disse Diggle, sapendo che sotto doveva esserci qualcos'altro che la bionda gli stava volontariamente occultando. Decise di lasciar correre, pertanto le disse - «Fai buon viaggio allora, e divertiti!»

«Grazie Dig. A presto»

 

Ora che John era a conoscenza della sua partenza, poteva comunicarlo agli altri, non c'era quindi motivo di telefonare a tutti.
Felicity rimase seduta all'aeroporto per diverso tempo, sempre in attesa della partenza e cercava di contrastare la sua tristezza pensando che presto sarebbe tornata a casa. Si chiedeva come l'avrebbe trovata, se fosse cambiata in quegli anni, se le sue cose si trovassero ancora al suo posto.

Questi pensieri riuscivano a distrarla a sufficienza, anche se in fondo, dentro di lei, giaceva tutto il dolore.


 

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Capitolo 26
*** Ventisette ***


Al covo

 

 

«Dannazione! Felicity non risponde al telefono!», imprecò Oliver, ad un tratto nervoso.

«Avrà il cellulare spento», rispose Diggle per tranquillizzarlo, ma la successiva frase ebbe il risultato contrario - «Succede quando si è in aereo»

«Come scusa?»

«In aereo si spengono i telefoni, non lo sapevi?»

«Certo che sì, ma questo cosa ha a che vedere con Felicity?»

«A quanto pare non lo sai...» - disse Diggle in un sospiro - «Felicity è andata a visitare sua madre, a Las Vegas»

«Cosa?» - domandò Oliver aspro, il cui tono di voce cresceva assieme alla sua irritazione - «Ti ha detto il perché?»

«Sì, dice di aver bisogno di una pausa»

«Una pausa?» - adesso Oliver era al limite della sopportazione, voleva esplodere per la rabbia - «E quanti giorni durerà questa pausa

«Non saprei, non l'ha detto», rispose Diggle calmo.

«Ah»

 

Oliver iniziò a camminare avanti e indietro, terribilmente nervoso. Non sapeva come dare sfogo alla sua rabbia, cercava di mantenere l'autocontrollo a tutti i costi, ma sembrava evidente che quel tentativo non stava dando il risultato sperato.

'Dannazione, Felicity!'

Non riusciva a credere che fosse partita all'improvviso, senza neanche dire quando sarebbe tornata. Stava fuggendo da Starling City, ma soprattutto da lui. Non sarebbe riuscito a resistere senza vederla, non dopo la notte precedente. Se la sua intenzione era quella di punirlo, ci era decisamente riuscita.

«Ho bisogno di una boccata d'aria», eruppe Oliver all'improvviso, prendendo le chiavi della moto e andando via senza dare ulteriori spiegazioni.

 

**

5 giorni dopo

 

 

I cinque giorni erano già trascorsi, ma né Oliver, né Felicity si erano fatti sentire durante la lontananza.
Il viaggio a Las Vegas era stato un vero toccasana per Felicity, che adesso si sentiva alleggerita e carica a sufficienza per tornare alla vita di sempre.

Stare nella casa dove aveva trascorso la sua infanzia aveva portato a galla tante emozioni e ricordi, e per di più la madre era stata amorevole e premurosa con lei per tutto il tempo, accudendola come quando era bambina. Era stata coccolata e viziata e, per quanto infantile, era proprio ciò di cui aveva bisogno. Un po' di pace e affetto possono fare miracoli.

 

Oliver, invece, aveva accumulato così tanta frustrazione e rabbia, da non riuscire a pensare ad altro che a lei e alla sua dannata lontananza. Vani erano stati i tentativi di Diggle e Roy di distrarlo, perché lui voleva solo una cosa: lei.
Non sapeva nemmeno quando sarebbe tornata a Starling City e questo lo angustiava più di tutto, rendendolo assolutamente intrattabile, oltreché inutile come vigilante.

 

Proprio quando pensò di non riuscire più ad aspettare, di aver raggiunto il limite, Felicity spuntò al covo. Come se nulla fosse successo, come se si trattasse di un giorno come un altro, entrò scendendo le scale e salutando allegramente il team col suo solito sorriso pieno e gioioso.
Sembrava completamente rinata dall'ultimo incontro, vestita con un abitino corto e aderente che lasciava scoperta una spalla, di un acceso color rosso. Aveva i capelli sciolti e la pelle leggermente abbronzata che la rendevano una vera visione, soprattutto per Oliver che al vederla rimase senza parole e senza fiato.

 

«Bentornata», disse Diggle, poggiandole una mano sulla spalla nuda e delicata.

«Grazie Dig», rispose lei allegra e sorridendo spontanea.

«Ti ha fatto proprio bene questa pausa, sei uno schianto!», intervenne Roy, spuntando alle sue spalle.

«Grazie, Roy» - rispose Felicity lusingata, con le guance improvvisamente rosse per l'imbarazzo - «Sì, mi serviva una pausa da tutto. Adesso mi sento decisamente meglio»

 

Oliver non disse niente, incapace anche solo di pensare, chiuso in sé stesso. Tanto meno Felicity gli rivolse particolari attenzioni.

 

«Cosa mi sono persa?», chiese Felicity ad un tratto, vedendo che i tre stavano lavorando ad una missione.

«Una rapina a mano armata alla Starling National Bank. Pare si tratti di una gang composta da 5 elementi che si fanno chiamare 'I predatori'», spiegò Diggle con voce grave - «Di sicuro stanno progettando un secondo attacco, ma non sappiamo né dove, né quando avverrà», concluse l'uomo, fissando Felicity e lasciandole intendere che era lei l'unica persona in grado di scoprire qualcosa in più.

«Sappiamo chi sono? Abbiamo un punto da cui partire?»

Fu Oliver ad intervenire questa volta, dicendo finalmente qualcosa.

«C'è un fotogramma catturato da una telecamera di sorveglianza della banca in cui si vede il viso di uno di loro... l'immagine, però, è da ricostruire perché troppo sfocata»

Felicity annuì seriosa, affermando : «E' già qualcosa»

Si mise al computer, cercando finché non riuscì a risalire ad un nome, anzi a due.

«Matt Webb, 35 anni, arrestato per scippo e aggressione nel 2007 assieme al fratello, Paul Webb. Sono stati rilasciati entrambi due mesi fa»

Oliver intervenne di nuovo: «Bene. Mi serve...»

«Un indirizzo, lo so», Felicity terminò la frase al posto suo.

Lui annuì.

«Ocean Street, 174»

Oliver afferrò l'arco e fece un cenno a Roy, così andarono via per effettuare una perlustrazione.

 

Diggle e Felicity rimasero in comunicazione con loro tramite l'auricolare, in modo da poterli guidare e aiutare durante il sopralluogo. Sembrava tutto silenzioso e tranquillo all'inizio, finché si sentirono numerosi spari prima lontani, poi sempre più vicini. Infine uno sparo, un tonfo improvviso seguito da un grugnito che fece rabbrividire Felicity. Il grunito era quello di Oliver.

«Che succede? Oliver, stai bene? Oliver!», strillò la bionda improvvisamente in preda dell'agitazione.

«Ci hanno attaccato, Oliver è stato ferito», rispose Roy concitato e con voce affaticata, nel tentativo di afferrare il corpo pesante di Oliver e andare via da lì, così continuò dicendo - «Torniamo immediatamente alla fonderia»

 

Felicity e Diggle, speravano che la ferita non fosse troppo grave, ed avevano già predisposto tutto per intervenire celermente su Oliver.
Diggle andò incontro a Roy per aiutarlo, e assieme tornarono al covo nel giro di dieci minuti, i quali a Felicity sembrarono infiniti.

«Ha perso conoscenza durante il tragitto», annunciò Roy frenetico.

Non appena Roy e Diggle adagiarono sul tavolo il corpo incosciente di Oliver, Felicity si piombò su di lui per ispezionarlo meglio e con l'aiuto dei due uomini, cercò di spogliarlo per analizzare la ferita. Il foro provocato dal proiettile si trovava proprio sotto la clavicola, ed il sangue usciva copiosamente. Mentre Diggle prendeva il necessario per disinfettare la ferita, Felicity cercò di tamponarla e nel tentativo si sporcò le mani col suo sangue caldo. Ciò le diede la nausea, ma cercò di restare salda.

 

«Dovremmo andare in ospedale?», chiese Felicity, terrorizzata.

«No, possiamo farcela. Fa' ciò che ti dico e andrà tutto bene» - rispose pratico Diggle, cercando poi di rassicurarla - «Sta' tranquilla, la ferita non sembra grave»

«Non sembra grave?», strillò Felicity ancora più nervosa, per poi rendersi conto che quel suo atteggiamento non aiutava per nulla, la situazione era già fin troppo critica.

«Ok, ok, devo calmarmi. Ce la posso fare, ce la posso fare», continuava a ripetersi per cercare di convincersi.

 

Tutti seguirono le direttive di Diggle, e ben presto estrassero il proiettile dal corpo inerme di Oliver, cercando di ricucire poi la ferita e bloccare la perdita di sangue.
Felicity ebbe il cuore in gola per tutta la durata dell'intervento, le tremavano le mani ma cercò di mantenere la lucidità per poter essere d'aiuto.

Dopo aver ricucito e ripulito la ferita, coprendola con una garza sterile, Felicity si sentì finalmente più tranquilla. Prese un asciugamano e tentò di ripulire il sangue e di tamponare il sudore che ricopriva il corpo, le braccia, il petto e la fronte di Oliver.
Vederlo così inerme la fece rabbrividire, tanto che dovette imporsi tutto il suo autocontrollo per non piangere.
Il battito cardiaco di Oliver si regolarizzò lentamente e questo le sembrò un buon segno.

 

«Lasciamolo riposare e aspettiamo che si svegli», consigliò Diggle, vedendo che Felicity era sul punto di rottura.

«Sì», rispose la ragazza con un filo di voce, allontanandosi a malincuore da Oliver.

Trascorsero due lunghissime ore, ma alla fine Oliver aprì gli occhi e seppur con fatica riuscì a parlare. La prima parola che disse fu quasi un sussurro, ma tutti la udirono.

 

«Felicity»

 

Sentendo quella voce, la donna si sentì sollevata e si avvicinò subito a lui, prendendogli la mano tra le sue. Adagio gli disse: «Shhh Oliver, sono qui, sono qui»

Lui aveva la fronte imperlata di sudore e gli occhi cerchiati e arrossati, ma cercò di mettere a fuoco il volto della donna. Non appena incontrò il suo sguardo si rasserenò subito, e strinse la mano di lei in risposta. Felicity gli sussurrava delicatamente all'orecchio :«Riposati, sono qui accanto a te», mentre gli accarezzava teneramente i capelli.
Obbedendo alle sue richieste, Oliver chiuse gli occhi e si riaddormentò, senza però lasciare la mano della ragazza. Felicity rimase accanto a lui, asciugandogli il sudore dal viso con molta delicatezza, e guardandolo col cuore gonfio di tanta emozione.
Nemmeno un'eternità di lontananza avrebbe cambiato i suoi sentimenti per Oliver. Le bastava vederlo così per rinnegare qualsiasi promessa o distanza. Era stata una sciocca ad aver creduto di aver superato tutto, lei lo amava profondamente e non c'era niente che potesse fare per cambiare quel semplice dato di fatto.

Oliver era ormai fuori pericolo, così sotto insistenza di Felicity, Diggle tornò a casa, così come fece Roy.

 

«Resto io per stanotte. Se ho bisogno, vi chiamo immediatamente», li rassicurò Felicity.

Benché a malincuore, i due se ne andarono, insistendo di essere contattati qualora ci fossero state novità.
Una volta sola, Felicity si sedette accanto ad Oliver, accarezzandogli la mano e ascoltando il suo respiro regolare. Cullata da quel ritmo, si addormentò ben presto pure lei, seduta sulla sedia e col capo adagiato sul tavolo, la mano abbandonata sul braccio di Oliver.

Quando riaprì gli occhi, controllò subito che Oliver stesse bene, maledicendosi per essersi addormentata. Oliver, però, era già sveglio e la stava guardando con tenerezza.

«Scusami Oliver, mi sono addormentata. Mi dispiace, davvero, sono proprio un'imbranata. Come stai? Che domanda sciocca! Scusami. Hai bisogno di qualcosa? »

Felicity era partita col suo solito straparlare e Oliver sorrise e gioì nel vederla così spontanea e genuina, senza ombra di freddezza o distacco. Era di nuovo la sua dolce Felicity.

 

«Mi basta averti accanto per stare bene», disse lui con voce roca.

 

Lei si zittì subito, sorpresa da tale ammissione. Oliver Queen non era sicuramente uomo di tante parole, soprattutto se queste appartenevano alla sfera romantica.

 

«Sono qui», disse lei semplicemente, non sapendo cos'altro dire in quel momento.

 

Entrambi rimasero in silenzio per diversi minuti, immersi nei loro pensieri.

 

«Mi sei mancata, Felicity», continuò Oliver, con voce ferma e intensa - «Da impazzire»

 

Felicity si infiammò sotto lo sguardo penetrante di lui, e quelle parole, pronunciate con tanta certezza e convinzione, le fecero venir voglia di gettarsi su di lui e baciarlo con passione.

 

Strinse i pugni, inghiottì pesantemente e disse soltanto: «Anche tu»

 

«E allora perché sei andata via?». La voce di lui era adesso sofferente.

 

«Avevo bisogno di riflettere, lo sai»

 

«E a quale conclusione sei arrivata?»

 

«Oliver, ti prego, non è il momento»

 

Lui si arrese, ancora troppo debole.

Felicity prese un bicchiere d'acqua e glielo porse, poggiandolo con cautela sulle labbra secche affinché potesse bere. Oliver alzò appena appena la testa per prenderne un sorso, ma teneva gli occhi fissi su Felicity che in risposta tentava di ignorarli.

Andò a posare il bicchiere ma Oliver le afferrò il braccio per non farla allontanare.

 

«Non te ne andare», la supplicò lui, ma Felicity aveva capito che si riferiva soprattutto ad altro.

 

«Non vado da nessuna parte», lo rassicurò lei.

 

Oliver chiuse gli occhi, cercando di riprendere un po' di forze, ma finì per riaddormentarsi.
Lei lo osservò attentamente, accarezzando con lo sguardo tutte le linee perfette del suo volto e desiderò ardentemente di baciarlo. Era ancora addormentato, così lei, guidata da quel desiderio, si avvicinò e gli diede un bacio leggero a fior di labbra.

Lui rispose al bacio, immediatamente.

Felicity scattò indietro, colta di sorpresa e col viso rosso come un pomodoro.

 

«Ma allora sei sveglio!»

 

Lui sorrise appena, e si giustificò dicendo: «Ho il sonno leggero»

 

Poi cercò di mettersi seduto e, seppur a fatica, ci riuscì. Sorrideva ancora, emozionato per quell'improvvisa e inaspettata vicinanza. Ci era voluta una pallottola per riavere un po' di intimità con lei, ma almeno ne era valsa la pena.

 

«Vieni qui», la invitò.

 

Lei, inizialmente titubante, si fece più vicina e nonostante l'imbarazzo afferrò la mano che lui le porgeva. Oliver la fece avvicinare sempre di più, collocandola in mezzo alle sue gambe e cingendola con le braccia. In quel momento una smorfia di dolore gli attraversò il viso, ma cercò di resistere, sopraffatto com'era dal corpo di Felicity così vicino al suo.

«Ti fa troppo male?» , chiese lei preoccupata e con un tono di voce così dolce che il cuore di Oliver si sciolse in un istante.

«Solo un po'»

 

Oliver sfiorò il viso di lei con le dita, accarezzandole i capelli e sistemandoli dietro un orecchio.
Lei si lasciava toccare senza obiezioni, completamente sopraffatta da tutte quelle emozioni.

Prese la mano di lui e ne baciò il palmo con piccoli e delicati baci che ebbero l'effetto immediato di accenderlo fin dentro le ossa. La afferrò, quindi, e la strinse a lui, baciandola con foga sulle labbra, sul collo, su ogni centimetro di pelle del viso.

Si alzò il piedi e la strinse a sé con talmente tanta forza che ebbe paura di farle male. Lei gli cinse il collo con le braccia, provocandogli una fitta di dolore alla spalla ancora ferita.

 

«Scusa»

«Non è niente»

 

Si baciarono a lungo, ora dolcemente ora con passione, finché Oliver completamente sovrastato da tante emozioni, si aprì nuovamente a lei dicendole tra un bacio e l'altro: «Ti amo»
Felicity si bloccò, allontanandosi un po' dalla stretta di lui, guardandolo dritto negli occhi che apparivano sinceri e leali. Lo guardò a lungo, col cuore che batteva come impazzito.

 

«Allora non farmi più soffrire»

 

Quella frase lo fece sentire nudo e sporco davanti al candore del suo sguardo; avrebbe voluto proteggerla da qualsiasi sofferenza e tormento, ma sapeva bene che non sarebbe stato un compito facile. Nonostante il peso enorme di quel giuramento, promise.

«Mai più»

 

Lei si avventò sulla bocca di lui, bisognosa di sigillare quel giuramento con un bacio, di sentirne il sapore e di godere di quel senso di liberazione e leggerezza che si espandeva dentro di lei.
Oliver e Felicity, avvinghiati l'uno all'altro, si diressero in una zona più appartata e dopo aver gettato per terra alcuni plaid e dei cuscini si sdraiarono, l'uno accanto all'altro, con delicatezza.

Oliver si muoveva piano per non riaprire la ferita, mentre Felicity lo toccava con delicatezza in modo da non fargli male.
Si baciarono ancora, poi lui tirò giù la lampo dell'abito e, cercando conferma negli occhi di lei, iniziò a sfilarle il vestito. Felicity, immensamente imbarazzata non sapeva come comportarsi e aspettava che fosse lui a darle indicazioni. Oliver, consapevole del suo tenero imbarazzo, la guidò in ogni movimento, sussurrandole, tra un bacio e l'altro, cosa fare.
Felicity, con mani tremanti, toccò i suoi addominali che per la respirazione concitata si alzavano ed abbassavano velocemente, e scese giù fino ad arrivare all'inguine di Oliver, che in risposta gemette.
Lei lo guardò e vide che non desiderava altro che stare con lei, subito, così come lo desiderava lei.

 

Ormai nudi, si toccarono si accarezzarono, scoprendo per la prima volta i loro corpi, le loro nudità, completamente estasiati dalla presenza dell'altro.
Per Oliver quelle sensazioni furono qualcosa di assolutamente nuovo, di inaspettato.

Nonostante la desiderasse da tempo, non aveva immaginato che stare con lei gli provocasse una tale eccitazione. Non aveva mai provato una tale completezza con una donna, una voglia così pulsante, capace di togliere il respiro.

 

Nonostante Oliver fosse ferito, fecero l'amore a lungo e dolcemente, incuranti del mondo circostante, incuranti del passato e del futuro. In quei momenti c'erano solo loro e l'amore che provavano l'uno per l'altra.

 

Ancora abbracciati e col cuore colmo di felicità si addormentarono.

 

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Capitolo 27
*** Ventotto ***


Verso le prime ore del mattino Felicity si svegliò e, sbadigliando sonoramente, allungò le braccia per stirarsi meglio. Aveva le spalle indolenzite, così come tutto il resto del corpo. Ci vollero diversi secondi prima di rendersi conto di dove si trovasse e per ricapitolare gli ultimi avvenimenti.
Aprì gli occhi e vide il volto di Oliver a pochi centimetri dal suo, placidamente addormentato. Averlo così vicino, poter osservare i lineamenti del volto perfetto, distesi e rilassati, sentire il calore provenire dal suo corpo seminudo, le provocò un guizzo di pura gioia che gli attraversò lo stomaco e raggiunse il cuore.

I ricordi della notte precedente iniziarono a salire in superficie con prepotenza e Felicity ripensò alle cose che si erano detti e a quelle che avevano fatto. Le mille fantasie che aveva avuto su di loro nel passato non si avvicinavano neanche lontanamente alla realtà. Tutto era stato semplicemente meraviglioso.
La dolcezza che le aveva dimostrato l'aveva stupita più d'ogni altra cosa, una dolcezza che Felicity non credeva neanche possibile in un uomo come Oliver. L'aveva toccata e baciata con delicatezza ed estrema cura, come se il suo corpo fosse fatto di cristallo, come se potesse scalfirla o farle del male. Allo stesso tempo l'aveva posseduta con una necessità quasi impellente e bruciante, come se ne avesse avuto bisogno per respirare, per vivere. Una foga e al contempo una delicatezza che l'avevano riempita di un un sentimento caldo e potente che aveva occupato ogni angolo, ogni centimetro del suo essere, spazzando via ogni insicurezza o dubbio.
Per la prima volta in tutta la sua vita, Felicity si era sentita amata, perfettamente completa.
Nel pensare a tutte queste cose, Felicity non poté trattenere un sonoro sospiro.
Oliver si mosse e la strinse più forte a sé, in modo che il loro corpi si toccassero maggiormente.
«Già sveglia?», domandò lui con voce bassa e sensuale.
«Mh-mh», rispose Felicity, stringendosi ancora di più al petto di Oliver.
Lui aprì gli occhi e la tirò a sé in modo da posizionarla su di lui. Lei si adagiò con cura sul suo corpo e iniziò a baciargli il petto, il collo, infine le labbra e fu come se i loro corpi si conoscessero da sempre, perché sentivano di appartenersi. Nonostante la novità della situazione, nessuno dei due provò imbarazzo o vergogna. Si comportarono come se la loro intimità fosse qualcosa di assolutamente abituale, di normale.
Felicity si fermò un attimo per guardarlo negli occhi, e gli sorrise piena di gioia. Lui le scostò con delicatezza una ciocca di capelli dal viso e ricambiò con uno sguardo dolce quanto penetrante. Tutto ciò che non diceva a voce, lo esprimeva con gli occhi. Portarono avanti quella conversazione muta, fatta di soli sguardi carichi di sentimento e amore e Felicity si sentì leggera e felice come una bambina.
Poco dopo però la sua attenzione fu catturata dalla garza che era adesso umida e rossa, la ferita stava sanguinando.
«La ferita!» - strillò Felicity in agitazione, scostandosi immediatamente dal corpo di lui - «Deve essersi riaperta»
Oliver toccò la garza e si sporcò le dita di sangue, perciò disse calmo ma col viso un po' tirato per il dolore: «Non ti preoccupare, ci penso io»
Felicity si rialzò subito e lo aiutò a fare altrettanto, si rivestirono alla meglio e andarono a prendere gli strumenti per pulire e chiudere nuovamente la ferita.
Fortunatamente Oliver aveva il sangue freddo e l'esperienza necessari per suturarsi una ferita da solo, mentre Felicity si limitava a porgergli il necessario senza però nascondere il suo sgomento con commenti che di certo non aiutavano Oliver a mantenere la concentrazione. Lui però non le disse nulla, assorto com'era in quell'operazione tanto dolorosa.
Non appena terminò di ricucirsi la ferita, Felicity lo aiutò a fasciarla con cura e gli diede un potente antidolorifico per contrastare il dolore e permettergli di riposare.
Dopo diversi minuti, Felicity si alzò e iniziò a sistemare le sue cose, poi disse: «Andiamo»
Oliver sembrò naturalmente sorpreso e le chiese: «Dove?»
«Da me. Non penserai mica che io ti lasci qui da solo e di certo non puoi andare a casa di Thea conciato così»
Oliver seppur piacevolmente sorpreso dall'invito, scosse la testa.
«Resterò qui» - disse tranquillo, per poi rassicurarla - «Starò bene»
«Ma...»
Il tentativo di Felicity di parlare fu smorzato dalla voce calda e decisa di Oliver, che nel frattempo si era avvicinato a lei: «L'antidolorifico è molto forte, quindi dormirò per un bel po'»
Felicity sembrava intenzionata a protestare ancora una volta, ma Oliver la zittì dandole un bacio sulle labbra. «D'accordo», si arrese lei vedendo dallo sguardo di lui che non sarebbe riuscita a fargli cambiare idea. «Ma sicuro che starai bene?»
«Sicurissimo» - rispose lui, afferrandole le natiche con le mani e spingendole con decisione verso il suo bacino. Lei gemette involontariamente e Oliver iniziò a baciarla e a morderle le labbra.
Pochi secondi in quella posizione e il desiderio di entrambi ardeva già come un fuoco incontrollato.
Fu Felicity a scostarsi leggermente da lui e a dire: «Devi riposare...»
Il corpo di lui desiderava tutt'altro che riposare in quel momento, ma Oliver sapeva che la donna aveva ragione e annuì.
Lei gli sorrise ancora una volta, con uno di quei sorrisi dolci che lui tanto amava e che gli facevano perdere un battito ogni volta che glieli rivolgeva, e andò via voltandosi un'ultima volta prima di sparire dietro la porta d'ingresso del covo.
 

**

 

Non sarebbe stato facile riuscire a guardarsi allo specchio quella mattina.
Nel cuore di Felicity albergavano due forze uguali e contrarie che la tormentavano; si sentiva divisa da due sentimenti intensi quanto contrastanti.

Una gioia nuova, fresca, nascente, ma così meravigliosamente familiare stava nascendo dentro di lei, e si insinuava con vigore in luoghi aridi e desolati che le sembravano adesso lontani, quasi innaturali.
Il suo cuore, inaridito da anni di attese e delusioni, attingeva adesso direttamente dalla sorgente della felicità.
Possibile che in una notte, fosse sparito tutto il dolore e l'amarezza? Era possibile sentirsi interamente felici dopo aver sofferto così tanto? Com'era possibile che lo stesso uomo poteva farla sprofondare in un baratro di tristezza e poi riuscisse a risollevarla fino al paradiso?
Felicity si rattristò di colpo d'una tristezza che non partiva dal cuore, ma dal cervello.
Si sentiva miserabile verso la sua promessa, verso chi aveva scelto di essere solo pochi giorni prima, ma tirarsi indietro adesso significava voltare le spalle alla più grande gioia che avesse mai provato; come poteva riuscirci? Quando stava con lui il suo cuore le suggeriva una cosa, mettendo a tacere la sua testa; ma quando tornava a stare da sola la mente prendeva il sopravvento imputandole nuove colpe.
E' così forte..., pensava nella sua mente, riferendosi al sentimento che covava dentro di lei. Così vero.
Felicity decise di ignorare deliberatamente quel tumulto interiore, rimandandolo ad un altro momento, preferibilmente lontano. Aveva lottato tanto per vivere un attimo di felicità come quello e adesso non voleva fare un passo indietro e rinunciarci, anche se ciò significava voltare le spalle alla sua stessa promessa.
Anche quella volta avrebbe seguito il suo cuore anziché la sua testa, affidandosi fiduciosa a quel futuro carico di grandi promesse e potenzialità.

 


Spazio dell'autore

Che ne pensate? Ha fatto bene la nostra cara Felicity a scegliere di lasciarsi andare? Dovrebbe seguire il cuore o la mente? ^^
Grazie di cuore a tutti coloro che leggono questa storia e che mi scrivono per lasciarmi le loro opinioni: le apprezzo infinitamente.
Alla prossima!

 

 

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Capitolo 28
*** Ventinove ***


Oliver aveva dormito profondamente per la maggior parte del tempo, aiutato soprattutto dall'antidolorifico che Felicity gli aveva dato prima di andarsene.
Non appena l'effetto iniziò a scemare e il dolore a diventare pulsante, Oliver si alzò dal letto e andò a cambiarsi. Era già pomeriggio inoltrato e da lì a poco sarebbero arrivati sia Diggle che Roy.

Pur sofferente per la ferita, Oliver diede una ripulita tutt'intorno, togliendo di mezzo tutto ciò che poteva far intendere agli altri che Felicity avesse trascorso la notte con lui. Non sapeva ancora se lei avesse intenzione di dirlo agli altri, ma di certo avrebbe aspettato di parlarne con lei.
Quando finì di sistemare notò qualcosa di luccicante sul pavimento, a poca distanza dal luogo dove avevano dormito assieme. Si avvicinò per vedere meglio e si rese conto che si trattava di un orecchino, quello di Felicity. Doveva esserle caduto la notte precedente. Oliver si chinò a fatica e afferrò con cura il gioiello, rigirandoselo tra le mani, pensieroso. Accarezzò con le dita la superficie di quel prezioso pendente d'oro bianco che terminava in una perla rotonda e perfetta. In un attimo la mente ritornò alla notte precedente, al corpo perfetto di Felicity, alla sua spontanea sensualità, alle sue labbra dolci ed esigenti. Per un breve attimo il dolore del suo corpo svanì come per miracolo. Felicity era il suo balsamo, la sua medicina, capace di agire più in profondità di qualsiasi altra cosa. Lei rappresentava una costante a cui non poteva assolutamente rinunciare.
Nonostante quel breve momento di benessere, Oliver si sentì invaso da una latente incertezza, un dubbio crescente. Lei ha visto il lato migliore di me, l'unico che possiedo. Pensò all'oscurità che ottenebrava il suo cuore e si sentì indegno di una persona integra come Felicity. Lei meritava di meglio, meglio di un uomo interiormente danneggiato come lui.
Forse la sua luce non è abbastanza per entrambi.

Decise di lasciare arenare quel pensiero assieme a tutte le altre incertezze. Deve essere abbastanza. L'unica cosa di cui era certo era di voler stare con lei, con l'unica donna con cui sentiva di essere ancora Oliver, l'uomo con la sua umanità. Ne aveva bisogno come l'aria, come il respiro, come la calda luce del sole. Quel suo egoismo lo fece sentire talmente bene che non riusciva più a pensare al peso che gravava sulla sua coscienza, tormentandolo.
La porta del covo si aprì e Diggle entrò spedito, scendendo giù per le scale. Oliver chiuse il pugno stringendo l'orecchino nel palmo della sua mano e ficcandoselo in tasca, per poi andare incontro a Diggle che aveva l'espressione preoccupata.
«Ehi, amico. Come va?»
Oliver sorrise e l'abbracciò, dandogli un'energica pacca sulla spalla.
«Sto bene», rispose.
Diggle annuì, sapendo che la ferita doveva fargli un gran male, nonostante tutto.
«E Felicity?», domandò Diggle, guardandosi attorno in cerca della bionda.
«A lavoro»
Il dolore si era irradiato per tutta la spalla, rendendolo impossibile da sopportare. Ogni movimento, seppur insignificante e minimo, risultava incredibilmente doloroso. Oliver andò a prendere un antidolorifico nel cassetto delle medicine e lo inghiottì con un abbondante sorso d'acqua, dopodiché si diresse verso il computer dicendo: «Dobbiamo controllare gli spostamenti dei “predatori”, capire quale sarà la loro prossima mossa»
Diggle era ancora titubante per via delle condizioni fisiche di Oliver. Di certo non avrebbe potuto affrontare nessun criminale conciato in quel modo. L'espressione cupa e sfinita sul volto dell'amico fu un'ulteriore conferma alla sua tesi.
«Forse dovremmo prenderci una pausa di qualche giorno e limitarci a monitorare la situazione senza però intervenire attivamente»
Oliver lo guardò con un'espressione severa.
«Sto bene, Diggle» - affermò deciso, inchiodandolo con lo sguardo - «Non è la prima volta che vengo ferito e non mi sono mai tirato indietro»
«Dico solo che non dovresti arrivare sempre al limite» - chiarì Dig, altrettanto serio - «E' un rischio».
Nessuno dei due disse più nulla. Diggle lasciò che le sue parole facessero effetto su Oliver, sapeva che, nonostante la sua testardaggine, alla fine avrebbe riflettuto e magari accettato il consiglio. Forse Felicity, la voce della ragione, l'avrebbe fatto riflettere.
Oliver avviò il notiziario di Starling City e la prima notizia che sentì fu quella di un attacco in pieno giorno da parte dei Predatori ad una grande gioielleria della città. Il furto, effettuato solo da poche ore, era un colpo che valeva più di un milione di dollari. Oliver ascoltava attentamente la notizia, con le mascelle serrate e i pugni chiusi per la frustrazione. La telecamera dell'inviato speciale riprese l'entrata principale della gioielleria saccheggiata. In evidenza c'era una scritta in rosso, ben visibile a tutti: “Venite a prenderci”. Avevano rubato in pieno giorno, davanti a decine e decine di persone, senza paura di essere fermati. Avevano scritto sul muro quella frase derisoria nei confronti del vigilante e della polizia, invitandoli a farsi avanti. Oliver aveva già preso la sua decisione: la missione doveva proseguire. Li avrebbe stanati come topi dalle loro fatiscenti topaie. Il dolore alla spalla fu un input maggiore a proseguire con quella missione. Dovevano essere fermati al più presto. Diggle osservò l'amico, i cui lineamenti del volto si erano induriti, conferendogli un'espressione gelida e capì che non avrebbe potuto fare niente per fermarlo. Ciononostante provò a intervenire, con calma.
«Oliver, per fermarli dobbiamo essere preparati»
«John» - rispose Oliver immediatamente - «Non possiamo permettere che questi criminali continuino a rapinare. Dobbiamo agire, in fretta»
«E come pensi di riuscirci?»
Oliver sospirò sonoramente, chiudendo gli occhi per un secondo e portandosi una mano alla fronte, come faceva di solito quando era frustrato.
«Non lo so ancora, Diggle»- ammise poi -«So solo che non possiamo stare qui senza far niente!»
Roy apparve alle loro spalle; erano tanto presi da quella discussione che non l'avevano neanche sentito entrare.
«Interrompo qualcosa?», chiese un po' impacciato quando i due si accorsero di lui e lo guardarono sorpresi.
«No», rispose Diggle, sapendo che non c'era più nulla da aggiungere, la discussione con Oliver era oramai conclusa.
«Avete sentito del nuovo attacco?», chiese Roy.
«Sì» - disse, Oliver, serrando per un attimo le labbra - «Hanno attaccato in pieno giorno, per mandare un messaggio»
«Quale messaggio?», chiese Roy non afferrando il senso dalle parole di Oliver.
«Che non hanno paura di nessuno, che possono agire quando vogliono perché nessuno è in grado di fermarli»
«Ci stanno sfidando», disse Roy infine, iniziando a capire il discorso di Oliver.
«E vogliono terrorizzare la gente, facendogli capire che non riusciamo né a proteggere la città, né tanto meno a catturarli»
«Abbiamo bisogno di un piano», disse Diggle, venendo al nocciolo della questione.
«...e di Felicity», concluse Oliver, guardando l'orario sul display del suo cellulare. Sarebbe già dovuta arrivare, invece non c'era nessuna traccia di lei.
La chiamò al cellulare, ma rispose dopo numerosi squilli, non come al solito.
«Oliver?», rispose lei, usando un tono interrogativo decisamente inusuale. Sembrava sorpresa di ricevere una sua telefonata.
«Ciao. C'è stato un nuovo attacco, abbiamo bisogno che tu venga al più presto»
«Sì, ho sentito. Sarò lì tra venti minuti», rispose Felicity, liquidando velocemente la conversazione.
«Felicity, è tutto ok?», chiese lui preoccupato, voleva essere sicuro che stesse bene. Non si aspettava un atteggiamento così distaccato dopo la notte precedente.
«Sì, Oliver. Al momento sono con Ray e stiamo lavorando ad un progetto», rispose Felicity.
Oliver sentì Ray Palmer sussurrare qualcosa a Felicity in sottofondo, ma non afferrò nessuna parola in particolare.
«Venti minuti», concluse Felicity riattaccando la telefonata.
Oliver rimase col telefono ancora poggiato all'orecchio, confuso. Razionalmente sapeva che Felicity si trovava al lavoro e che se aveva risposto così era perché era impegnata in un progetto, ma il sapere che in quel momento si trovava con Palmer anziché con lui, gli fece contorcere lo stomaco. Voleva averla accanto, saperla al sicuro lì con lui. Sapeva di essere irrazionale, ma sentiva ugualmente il bisogno di lei e, ovviamente, non solo per via della missione.
Vederla lì, sapere che stava bene, poterle toccare anche solo una spalla, era un grande conforto.
«Sta arrivando», disse infine sia a Diggle che a Roy.
Si misero a cercare informazioni sulla gang, cercando di identificare anche gli altri membri. Se avessero avuto più informazioni, sarebbe stato più facile stanarli dal loro nascondiglio. L'indirizzo in cui si erano recati il giorno prima, era solo un base operativa, dove coordinavano le missioni, ma il bottino l'avevano nascosto da un altra parte.
Dovevano aver nascosto i soldi e i gioielli rubati in un posto più sicuro, il loro compito era quello di trovarlo. Dopodiché avrebbero fatto un altro sopralluogo e avuto più informazioni.
Quando Felicity arrivò al covo, la loro ricerca non aveva dato nessun risultato rilevante.
La bionda, dopo aver salutato velocemente gli altri, si sedette subito al suo posto, con le guance accaldate e la fronte imperlata di sudore. Si sfilò i tacchi, massaggiandosi i piedi l'uno contro l'altro.
Oliver si avvicinò per guardarla meglio in viso e quando lei posò i suoi occhi chiari in quelli di lui ed ebbe la sua totale attenzione, le disse rigido: «Un'ora»
Lei abbassò lo sguardo per un secondo, cercando qualcosa da dire, per poi rivolgersi a lui dicendo: «Mi dispiace, ho avuto da fare al lavoro» - si scusò - «Un progetto importante».
Lo liquidò con quella frase sommaria, dopodiché tornò al suo computer, ticchettando sulla tastiera del PC alla ricerca di informazioni.
Oliver continuò a fissarla per qualche secondo ancora, poco convinto dal suo atteggiamento sfuggente.
«Siete riusciti a trovare qualcosa?», chiese lei distrattamente, senza distogliere l'attenzione dal monitor.
«Niente di significativo», rispose Oliver serio e con le braccia incrociate sul petto.
«Credo di aver appena trovato qualcosa», disse invece Felicity con una punta di sorpresa nella voce.
Anche Diggle e Roy si avvicinarono al monitor per vedere ciò che Felicity aveva scoperto.
Tutti si chiesero come fosse possibile che, in meno di dieci minuti, avesse già trovato qualcosa, quando loro avevano cercato per più di un'ora senza cavare nessun risultato.
«Durante la rapina in gioielleria, una donna ha ripreso la scena con il suo cellulare. Il video è stato affidato alla polizia ed io sono riuscita ad estrapolarlo dal loro database» - disse Felicity euforica - «Nel video si vede un uomo senza maschera, a viso scoperto. Ho avviato una ricerca per identificare il volto dell'uomo ed ecco qui: Donald O'Connor! Due anni in prigione per furto»
«Va bene, ma come facciamo a sapere dove si trova il loro nuovo nascondiglio?», intervenne Roy.
«Vedete questo punto qui?» - chiese Felicity indicando col dito un punto della mappa sullo schermo del monitor - «E' un capannone abbandonato poco fuori The Glades. Donald, a quanto pare, ne è il proprietario»
«Potrebbe essere il posto giusto», affermò Diggle, speranzoso.
Oliver annuì e disse rivolto a Roy: «Prepariamoci»
Entrambi scomparvero per cambiarsi d'abito.
Diggle e Felicity rimasero da soli e si guardarono preoccupati. Oliver non era in condizioni di uscire, né tanto meno di combattere contro qualcuno.
Oliver rientrò col suo costume addosso, dirigendosi verso il cassetto contenente le medicine. Ne estrasse una siringa e un flaconcino. In pochi secondi si iniettò tutto il contenuto del flacone di antidolorifico nella spalla, e Felicity non poté trattenere un sussulto: odiava gli aghi e tutto ciò che fosse appuntito.
Si alzò dalla sua postazione e andò incontro ad Oliver. La sua espressione era palese, Oliver sapeva già cosa stesse per dire.
«Oliver... sei troppo debole. Non puoi andare», lo pregò Felicity, avvicinandosi a lui e poggiandogli la mano sul braccio.
Oliver avrebbe voluto tranquillizzarla, ma non sapeva cosa dirle esattamente. Non era bravo in questo genere di cose.
«Devo andare», disse invece, ed il suo tono di voce risultò più duro di quanto avesse intenzione.
«Sarò presto di ritorno», questa volta la sua voce assunse una sfumatura più tenue.
Felicity abbassò lo sguardo, sconfitta. Con lui era sempre così, non ci si poteva ragionare. Se prendeva una decisione, non c'era modo di fargli cambiare idea.
Diggle, rendendosi conto della situazione, decise di andare con loro e non appena furono tutti pronti, presero le loro armi e uscirono.

 

Felicity, ormai sola, ebbe un po' di tempo per pensare.
Poco prima era stata completamente sfuggente ed evasiva con Oliver. Non poteva fare altrimenti. Come avrebbe potuto raccontare ad Oliver ciò che era accaduto quel pomeriggio con Ray Palmer?
Proprio adesso che le cose iniziavano ad andare per il verso giusto...
Si rassegnò a tenere per sé l'accaduto, l'avrebbe condiviso con Oliver non appena ci fosse stato il momento opportuno. Più in là, quando le acque si sarebbero acquietate, gli avrebbe raccontato tutto.
Dall'auricolare la voce di Diggle la richiamò alla missione:«Felicity, siamo arrivati al capannone. Sembra essere il posto giusto»
«Ci sono quattro uomini armati fino ai denti a fare da guardia all'esterno», intervenne Roy.
«Contatta il detective Lance», ordinò Oliver.
«Subito»
Dopo aver contattato Lance, Felicity rimase in attesa di ulteriori indicazioni o richieste.
Nessuno si rivolse più a lei, fin quando ritornarono al covo. Tutti illesi.
Tirò un sospiro di sollievo e andò incontro ad Oliver per controllare le sue condizioni fisiche. «Allora?», chiese la donna che voleva essere informata sui risvolti della missione.
«Li abbiamo catturati mentre cercavano di nascondere i gioielli in delle casse di legno contenenti vino», la informò Diggle.
Erano tutti stanchi, ma Oliver sembrava distrutto.
L'uomo si sfilò la parte superiore del costume, rimanendo a petto nudo, e controllò le condizioni della ferita. Felicity s'intromise in quell'operazione e lui lasciò che la donna si prendesse cura di lui. Era piacevole sentire le sue dita delicate muoversi sul corpo, benché dolorante.
«Ahi!», gridò lui all'improvviso e per poco a Felicity non venne un colpo.
«Scusa, la garza si è...» - si scusò Felicity, ma si fermò non appena vide l'espressione tirata del viso di lui e capì che non aveva bisogno di sentire tutti i dettagli, perciò concluse - «Starò più attenta»
Lui si acquietò nuovamente e la lasciò fare. Era sfinito.


Si andarono a cambiare e nel giro di un'ora Diggle e Roy se ne tornarono a casa.
Oliver e Felicity, erano finalmente da soli. Lei si avvicinò un po' impacciata ad Oliver e lui l'attirò a sé, cingendola con un braccio. Le accarezzò i capelli e lei si rilassò completamente sotto il suo tocco. Non dissero nulla, non c'era bisogno di parlare. Entrambi erano stanchi, avevano solo bisogno di stare insieme, di condividere quel momento. Le parole erano superflue.
Dopo un po', Felicity gli chiese: «Come ti senti?»
«Sto bene», rispose lui, schiudendo le labbra fino a formare un debole sorriso.
Lei annuì e gli chiese timida: «Vuoi venire da me?»
Il sorriso di Oliver si allargò e raggiunse gli occhi.
«Sì, mi piacerebbe»
Quello era uno di quei pochi momenti in cui potevano comportarsi come persone normali. Una giovane coppia di innamorati che trascorre insieme la notte.
Le ferite, le lotte contro il crimine, i covi segreti, le missioni impossibili non avevano nessuna importanza in quei momenti. C'erano solo Oliver e Felicity, accomunati da segreti indicibili e un amore, invece, impossibile da tener nascosto.


 


Dopo una lunga assenza, eccomi tornata con questo nuovo capitolo.
Ultimamente mi è un po' mancata l'ispirazione, forse a causa dei troppi impegni.
Se ne avete voglia, fatemi sapere che ne pensate.

Grazie a tutti.
A presto.

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Capitolo 29
*** Trenta ***


Quella prima notte trascorsa a casa di Felicity fu speciale per entrambi. Non successe nulla di particolare, ma proprio per questo assunse un gusto ancor più dolce: quello della normalità. Stanchi com'erano, si abbandonarono presto al sonno, abbracciati teneramente l'uno all'altro.
Al mattino erano ancora nella stessa identica posizione. Felicity era rannicchiata accanto al corpo caldo di Oliver e lo cingeva con un braccio. Lui la teneva stretta in un abbraccio, come per non lasciarla andare.

A causa del dolore martellante alla spalla, Oliver fu il primo a svegliarsi. Aprendo gli occhi, la prima cosa che vide fu la testa bionda di Felicity abbandonata sul suo petto, la bocca piena schiusa in una piccola “o”, il volto roseo completamente rilassato. La gioia si espanse a dismisura nel suo petto, così tanto che temette di non poterla contenere neanche per un altro istante. Avrebbe voluto che tutti i giorni iniziassero così, con lei accanto; avrebbe voluto restare in quella stanza per sempre, per stare con lei e tenerla al sicuro.
Tutto il resto perdeva importanza nei preziosi attimi trascorsi con lei, che era diventata l'unica cosa veramente essenziale.
Nello stesso momento in cui aveva deciso di stare con Felicity, aveva capito che le avrebbe sempre dato la priorità su tutto. Rimase qualche minuto ad assaporare quella sensazione di pienezza. Poi, a malincuore, sciolse delicatamente quell'abbraccio per potersi alzare dal letto. Con cura si allontanò da lei, adagiandola piano sul cuscino, così da non svegliarla. Felicity si lamentò per un momento, per poi ricadere nuovamente in un sonno profondo.
Oliver entrò in bagno e dopo essersi fatto una doccia, andò in cucina a prendere qualcosa per il dolore. La ferita stava guarendo bene, anche se gli faceva ancora molto male. Avrebbe dovuto aspettare una settimana o giù di lì prima di riprendere i suoi allenamenti abituali. La cosa gli pesava, perché allenarsi significava per lui prendersi del tempo per sé, per chiarirsi le idee, scaricare la tensione accumulata. Se non altro avrebbe dedicato più tempo a Felicity.
Tentò di preparare qualcosa di simile ad una colazione, puntando tutto sul caffè, dopodiché tornò in camera da letto, ma vedendola ancora addormentata, sistemò il vassoio con la colazione sul tavolino e si appoggiò alla porta per guardarla dormire. Era ancora nella stessa posizione in cui l'aveva lasciata, sdraiata su di un lato mentre abbracciava il cuscino allo stesso modo in cui prima abbracciava lui. Il lenzuolo bianco le copriva solo una parte del corpo, ma lasciava interamente scoperta la gamba sinistra. Oliver tracciò con lo sguardo quella linea morbida e nuda, risalendo verso la forma perfetta delle cosce e delineando con crescente interesse la rotondità dei suoi fianchi coperti da un minuscolo slip bianco. Il seno piccolo e sodo, era ben visibile sotto la canottiera aderente che indossava. La fantasia e il desiderio presero il sopravvento, ma Oliver rimase immobile, limitandosi ad assaporarla con lo sguardo. Oliver si chiese come avesse fatto a starle lontano per tutto quel tempo. Non riusciva più a trovare un senso alle sue stesse parole o a credere alle motivazioni che l'avevano spinto nella direzione opposta a quella di Felicity. Era stato uno sciocco, un vero caparbio ad aver prolungato a entrambi un tale tormento. Nel disperato tentativo di proteggerla, Oliver era diventato l'afflizione più grande, l'amarezza più profonda, per tutti e due. Solo adesso riusciva a vederlo con i propri occhi, perché non era più accecato dal suo egoistico punto di vista.
Felicity si svegliò poco dopo, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando sonoramente senza neanche darsi il pensiero di coprirsi la bocca con una mano. Poi, ricordandosi di non essere sola si girò di scatto e vedendo Oliver poggiato alla porta della camera da letto, divenne subito rossa in viso. Nel vedere il suo imbarazzo, Oliver rise di gusto e Felicity assunse una sfumatura ancora più accentuata di rosso. L'abitudine di svegliarsi da sola tutte le mattine, portava con sé abitudini difficili da debellare: sbadigliare in modo poco signorile era proprio una di quelle. Oliver si avvicinò al letto, posizionandosi su di lei e iniziando a baciarle il collo, le spalle, le braccia, e pian piano lei si rilassò sotto di lui, lasciandosi coccolare da quei baci e dalle carezze.
«Buongiorno», le sussurrò lui all'orecchio con voce sensuale.
Bastò quel semplicissimo gesto, quel lieve soffio sull'orecchio, così caldo e delicato, a farla letteralmente impazzire. Oliver sapeva bene come muoversi, cosa fare e cosa dire.
Quando lui si avvicinò per baciarla sul collo ancora una volta, lei lo abbracciò forte e respirò profondamente, riempiendosi i polmoni del suo profumo. Era tutto assolutamente perfetto. Lui era perfetto. Nonostante i segni sulla pelle e le indelebili cicatrici sul cuore, Oliver l'uomo che ogni donna avrebbe voluto avere. La consapevolezza di essere la sua donna adesso, di trovarsi lì con lui, le fece venir ancora più voglia di tenerlo prigioniero nel suo letto per sempre, per non lasciarlo andare mai più. Nessun'altra donna lo avrebbe allontanato da lei.
Fu proprio quella viscerale necessità di possederlo, così animalesca e quasi primitiva, che la spinse a gettarlo su
un lato del letto e a spogliarlo dai pochi indumenti che indossava. Iniziò a baciarlo in ogni parte del corpo, senza alcuna delicatezza, con foga e passione. 
Oliver non poteva muoversi, vittima di lei e del suo travolgente desiderio. Era lei a comandare in quel frangente. Questo cambio radicale di ruoli era sorprendente persino per lui, ma lo eccitò. Non aveva mai creduto che oltre al suo lato dolce e un po' impacciato, Felicity potesse essere così sensuale e accattivante. Non mostrava nessun imbarazzo, completamente nuda com'era di fronte a lui; nessun impaccio, mentre lo baciava e lo toccava fino a farlo impazzire. In quel momento lei stava dando voce al suo desiderio interiore, mettendo da parte la sua natura razionale.
Avvinghiati l'uno all'altro, Felicity e Oliver esplorarono senza riserbo i luoghi più intimi e nascosti del loro Io. Si liberarono delle formalità, delle etichette e di qualsiasi convenzionalità, mostrandosi per ciò che erano veramente. Nessun dubbio tra loro, nessuna vergogna, nessuna incomprensione. Presero dall'altro tutto ciò che vollero, donandosi completamente.
E una volta tolto quel velo in mezzo a loro, erano finalmente una sola anima.



 


Capitolo breve e un po' troppo romantico per i miei gusti, ma considerando il fatto che si è quasi scritto da sé, ho deciso ugualmente di pubblicarlo. Chissà che piaccia a qualcuno... :)

Vi ringrazio tantissimo perché continuate a seguirmi e a scrivermi.
Grazie, perché vedo crescere il numero di coloro che seguono la storia e la mettono tra i preferiti.
Grazie di cuore a chi, addirittura, mi ha messo tra gli autori preferiti.

Manca davvero poco al termine di questa storia, quindi spero che questi ultimi capitoli vi piacciano.

A presto.
Nessie26






 

 

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