And then came the sun

di ArwenUndomiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Prefazione

E poi venne il sole...

Erano trascorsi venti minuti e quaranta secondi da quando, risalendo il sentiero che dal fitto della Foresta Proibita conduceva al castello, aveva visto il corpo di Hagrid riverso al suolo.
Un urlo di rabbia si era fatto spazio nella sua gola, ma non era riuscito ad emettere alcun suono.
Aveva mosso qualche passo verso di lui, nelle orecchie il rumore sordo del cuore che martellava contro le costole, come se volesse fuggire via dal petto per evitare tutto il dolore che, Harry ne era certo, lo avrebbe investito con la forza di uno tsunami spazzando via tutto ciò che aveva.
Si era inginocchiato ed aveva stretto una delle grandi mani dell’uomo nelle proprie, nella vana speranza che quel contatto avesse potuto riportarlo indietro. Con una morsa allo stomaco, aveva fatto scorrere lo sguardo sul viso sfigurato della prima persona al mondo che si era rivolta a lui con gentilezza, che lo aveva visto per quello che era , non un abominio o un mostro, soltanto un bambino di undici anni poco cresciuto ed infinitamente meno amato di quanto fosse umanamente accettabile.
Grazie ad Hagrid non si era mai più sentito un’ombra.
In ginocchio accanto al suo corpo, faceva vagare gli occhi sul suo viso con l’intento di imprimersi nella memoria ogni singola cicatrice inferta sadicamente per provocare quanto più dolore possibile, e la promessa di farla pagare cara a chiunque ne fosse stato l’artefice.
 
 
Erano trascorsi diciassette minuti e trenta secondi da quando si era alzato e su gambe malferme aveva iniziato a correre , non poteva perdere altro tempo, aveva impiegato troppo a decidere se tornare o meno.
Lungo il tragitto si era sforzato di non dare un nome ai cadaveri che giacevano lungo la strada, ma erano davanti ai suoi occhi come tutti i momenti trascorsi insieme.
 
 
“Dai Seamus, non prendertela … Lo sai che Dean non ama che gli si brucino i capelli …”
“Colin smettila con quella dannata macchina fotografica se non vuoi che ti appenda per le caviglie alla Torre di Astronomia!!”
“Oh, amico conviene che te la svigni … Sta arrivando la Brown!”

 
Erano trascorsi quindici minuti e dodici secondi da quando aveva varcato il grande portone di legno che dava sul patio ed era da allora che di Harry Potter non era rimasto più nulla.
Aveva sempre pensato che sarebbe morto di dolore se fosse accaduta qualcosa alle persone che gli erano più vicine.
In quel momento alla vista dei corpi scempiati dei suoi amici, il nulla si era impadronito di lui.
Aveva osservato da un capo all’altro il cortile in cui si trovavano tutti i pezzi della sua vita.
Nell’estremità destra, Ron era disteso per metà su Hermione, probabilmente aveva cercato di proteggerla con il suo corpo, ma non c’era stato nulla da fare.
 
“Voi due, smettetela di oziare e studiate … Abbiamo i GUFO quest’anno!!”
“Miseriaccia,amico … Hermione in periodo d’esame è davvero insopportabile! Burrobirra ad Hogsmeade?”
“RONALD!!”
“Signorsìsignore … Studiare sarà la nostra priorità assoluta!”

 
Più in là il suolo era ricoperto di chiome rosse, tante … Troppe.
 
“Harry, caro dovresti mangiare di più… Ti trovo sempre più magro!”
“Molly,non lo pressare!”
“Suvvia Harry, ingozzati pure senza tregua …”
“Ha ragione Fred, non vorrai fermarti per respirare!!”

 
 
Lì distesa c’era tutta la sua famiglia: Luna, Neville, Dora, Remus, i professori.
Nessuna pietà, nessun superstite.
 
E poi l’aveva vista, distesa poco distante dagli altri, c’era lei.
I capelli color rame ricadevano scompostamente sul selciato ed il suo sguardo privo di vita era puntato proprio verso di lui.
Quei bellissimi occhi nocciola così caldi e avvolgenti lo avevano sempre, in qualche modo, fatto sentire a casa.
Ginny.
Era solare e quando sorrideva ad Harry sembrava che si illuminasse il mondo intero.
Ginny.
 
“Cos’è quel broncio, amore mio? Lo sai che quando ridi sei molto più bello … ”
“Tu sei bellissima …”

 
Era la sua ancora di salvezza, l’unica che riuscisse a tirarlo fuori dall’oscurità che minacciava costantemente di ingoiarlo.
Ginny.
Chinandosi le aveva lasciato un ultimo bacio sulle labbra.
Ginny.
Poi era andato alla deriva.
Per la prima volta, ogni avvenimento della sua vita sembrava avere un senso.
Tutto sembrava condurre a quell’istante.
 
Erano trascorsi sette minuti e ventinove secondi da quando aveva fatto il suo ingresso nella Sala Grande ed aveva visto Voldemort seduto al posto di Silente.
Le iridi vinaccia sgranate in un accenno di incredulità.
“E così, l’erba cattiva non muore mai, Potter … Tempismo perfetto, stavo per dare il via alla fase conclusiva dello spettacolo.”
“E non immagini nemmeno quanto sarà divertente, Tom.”
“Come osi pronunciare quel nome, sudicio mezzosangue!” in uno scatto d’ira il Signore Oscuro si era portato a pochi metri da Harry che immobile, al centro della stanza , lo fissava con un ghigno dipinto in volto.
Quella situazione lo innervosiva, non riusciva a mantenere il controllo.
Potter gli era sfuggito un’altra volta ed ora si faceva beffe di lui.
Non poteva neanche lontanamente accettare un trattamento simile.
Era Lord Voldemort ed avrebbe schiacciato quell’inutile insetto.
“Peccato, però … Se fossi arrivato prima ci sarebbero state molte più grida ad animare questo posto!” aveva aggiunto maligno, mentre lo scrutava.
Non sapeva il motivo, ma quel ragazzo non sembrava lo stesso che aveva affrontato nella Foresta.
Se ne stava lì con gli occhi vuoti, come se niente potesse toccarlo.
Gli sembrava quasi di avere a che fare con sé stesso a diciassette anni.
Prima che potesse controllarlo un brivido gli aveva percorso la schiena, in preda allo sgomento aveva realizzato di non ricordare nemmeno l’ultima volta che aveva provato quella sensazione.
Harry se n’era accorto.
“Ti sei reso conto di essere vulnerabile, vero Tom? Il tuo ultimo Horcrux ero io e pensa un po’, sei stato tu stesso a distruggerlo!” aveva detto esplodendo in una risata cinica.
Voldemort aveva assottigliato lo sguardo e si era avvicinato di qualche passo.
“Chi sei tu?” aveva chiesto con una lieve nota di incertezza ad incrinargli la voce.
“L’avversario alla tua altezza.” aveva risposto Harry, beffardo .
“Io ti ucciderò stupido ragazzino.”
“Effettivamente non aspetto altro … Io non ho più nulla da perdere. In questo momento tu hai tutto, come ci si sente ad essere dalla parte opposta? ”
Voldemort  non voleva ascoltare una parola di più, sapeva che uccidendolo lo avrebbe liberato e di certo non voleva essere magnanimo con lui, ma la sua sola presenza lo disturbava: doveva sparire.
La bacchetta di Sambuco non si piegava al suo volere, se voleva liberarsi di quella spina nel fianco doveva usarne un’altra.
Aveva richiamato con un incantesimo di Appello la bacchetta di Bellatrix; la sua più fedele servitrice era stata uccisa da quella Weasley traditrice del suo sangue. Usarla per liberare il mondo dalla presenza di quell’insulso ragazzino, sarebbe stato un buon modo per onorarla. Non appena le dita avevano sfiorato la bacchetta , aveva pronunciato la formula dell’anatema che uccide, ma era stato preceduto.
Harry aveva visto il suo incubo più grande, la causa di ogni suo problema crollare al suolo, poi anche lui era stato raggiunto dal fascio di luce di verde.
Aveva chiuso gli occhi e con un sorriso aveva sentito l’incantesimo
avvolgerlo.
 
Libero.
Finalmente.
Non aveva paura di quello che sarebbe successo, era certo che avrebbe incontrato le persone che aveva perso e tanto gli bastava.
Dopo qualche istante il suo ragionare era stato interrotto ed era rimasto a vagare chissà dove per un periodo di tempo indefinito.
Improvvisamente si era sentito risucchiare verso il basso ed aveva avvertito il contatto con qualcosa di freddo e duro, mentre l’odore dell’erba gli penetrava nelle narici.
Aveva sempre pensato che il paradiso per lui avrebbe assunto le sembianze di un campo da Quidditch, tanto ne era ossessionato e quasi era scoppiato a ridere quando aveva visto gli anelli dorati stagliarsi sopra di lui.
“HARRY!!!”
Una voce che non conosceva chiamava il suo nome, avrebbe voluto alzare  la testa per vedere chi fosse, ma non riusciva a muoversi.
Qualche istante dopo dei passi lo avevano raggiunto e la sua visuale era stata oscurata da una sagoma.
Capelli neri, occhi azzurro ghiaccio.
“Sirius?” era l’unica cosa che Harry era riuscito a dire.
Il ragazzo gli aveva toccato la fronte e poi si era voltato per parlare con qualcuno che stava sopraggiungendo alle loro spalle.
“Teddy, manda un patronus ad Alex … Qui siamo nella merda: mi ha scambiato per mio padre.”
 
 
Angolo di Arwen
Ebbene, eccomi a torturarvi con una nuova storia!
A dire il vero, sono indecisa se dedicarmi o meno a quest’esperimento, so che si intuisce ben poco da questa prefazione, ma mi piacerebbe avere il vostro parere in merito!
Ringrazio anticipatamente chiunque si cimenterà nella lettura!
Affettuosamente vostra
Arwen
 
P.S. Non temete, presto (spero) aggiornerò “Dopo la fine, tutto ebbe inizio”, il capitolo 20 è molto impegnativo e l’università non mi dà tregua! :S
P.P.S. Mi sono resa conto che alcuni punti erano poco chiari e lineari, così li ho modificati!
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 
Dal prologo :
“Teddy, manda un patronus ad Alex … Qui siamo nella merda: mi ha scambiato per mio padre.”

 
Alexander Sirius Potter era sempre stato un amante della tranquillità e proprio nell’ozio aveva deciso di trascorrere quella giornata.
Memorabile, l’unico aggettivo per definirla.
Niente Pozioni, per la prima volta da quando era arrivato ad Hogwarts, niente compiti e un super banchetto ad attenderlo per l’ora di cena.
Da quando aveva due anni, però il 31 di Ottobre rappresentava il giorno più nefasto dell’anno; nessun venerdì 13 poteva neanche lontanamente competervi.
Sbuffando si era alzato dalla poltrona che occupava abitualmente in Sala Comune ed aveva raggiunto la grande finestra che dava sul parco.
Non era semplice essere il fratello maggiore del bambino sopravvissuto.
 Harry attirava le peggiori catastrofi, a volte sembrava che l’intero universo cospirasse contro di lui; intendiamoci, non che non se le andasse a cercare, ma sempre più spesso,soprattutto da un po’ di tempo a quella parte, definirlo un ragazzino sfortunato suonava decisamente riduttivo.
“Non succederà nulla, Alex … Smettila di fare il nevrastenico e vieni a fare la tua mossa, lo sai che aspettare mi infastidisce.”
“E sarei io quello con problemi di nervi, eh Black? Comunque ti tengo sotto scacco da almeno quindici minuti … Rassegnati, sei un caso disperato.” aveva detto con un ghigno guardando con attenzione il ragazzo dai capelli scuri che gli voltava le spalle.
“Odio chi ha inventato questo gioco da emicrania, odio questi pezzi rincretiniti che mi trattano come Terminator ed odio te, Potter!” aveva risposto il giovane, ringhiando leggermente.
“Sai non è colpa mia, se tutta l’intelligenza che avremmo dovuto sviluppare durante l’infanzia è rimasta a me!”
“ Tranquillo, preferisco essermi tenuto la bellezza!“ e con un ghignetto malevolo gli aveva puntato gli occhi verde acqua addosso.
“Ti piacerebbe, James … Continua pure a sognare!”
“Diciamo che potreste continuare ad illudervi entrambi, si sa che detengo io il primato di bellezza ed intelligenza !” aveva aggiunto una ragazza dai lunghi capelli vermigli che aveva appena varcato il buco del ritratto.
“Hey Ashley, dove sei stata?” aveva chiesto Alex, assottigliando lo sguardo.
“In giro … ” aveva risposto la giovane, mentre con la mano libera dai libri si dedicava con un gusto fuori dall’immaginabile a scompigliare i capelli dell’altro ragazzo presente nella stanza.
“Con chi? ”
“Al, piantala con questa storia della gelosia … Tra te ed Harry, non vivo più praticamente!” aveva risposto stizzita, mentre si allontanava dalla sua vittima.
“Fa bene a chiedertelo, da quando hai aiutato quel babbuino di Rosebund con Aritmanzia, troppi Serpidioti ti ronzano intorno!” era intervenuto James, mentre tentava di ripararsi con la scacchiera e tanto di pezzi annessi, che per evitare di cadere si erano aggrappati con le manine ai bordi e ad ogni suo movimento dondolavano pericolosamente.
“E così, anziché avere due fratelli, me ne ritrovo tre … Per fortuna che almeno gli altri hanno la buona abitudine di non impicciarsi dei fatti altrui … ” aveva ribadito la ragazza facendo loro una smorfia.
“Piuttosto … Che fine hanno fatto quei tre pericoli pubblici ?” aveva aggiunto guardandosi intorno.
“Non ne ho idea, non vedo Dylan da stamattina … Il che è più che positivo per la mia povera psiche!” aveva detto James, il quale stufo dei gestacci che gli rivolgevano gli scacchi da quando erano stati usati a mo di casco, era andato a sedersi sul davanzale.
“Questo giorno deve essere segnato sul calendario, assolutamente … James Regulus Black: amante del casino, ospite d’onore di tutti i festini a base di alcool , e Merlino solo sa cos’altro, che si tengono in questa scuola, nonché detentore del record di  infarti causati al povero Gazza, si preoccupa della sua tranquillità mentale!!” aveva detto Ashley ridacchiando.
“Lascia perdere fratello, è già bella che andata!” era intervenuto Alex, dandogli delle pacche consolatorie sulla schiena.
“Si vede che siete gemelli, dite le stesse cazzate!” aveva risposto James, mentre si scrollava la mano dell’amico di dosso.
“Ma se uno volesse dormire, come dovrebbe fare con voi tre?” aveva domandato una voce fuori campo.
“John, hai passato metà del nostro più unico che raro pomeriggio libero, a riposarti gli occhi … Testuali parole … Esci dal letargo, cazzo!!” aveva risposto James,esasperato.
Un ragazzo alto e dinoccolato, con i capelli biondo cenere e gli occhi scuri aveva fatto il suo ingresso nella Sala.
“Fate più casino voi tre di tutti i Grifondoro del primo anno messi insieme … ”
“Siamo pieni di vita, che vuoi farci!” aveva detto Alex lanciandogli contro un cuscino.
“Diciamo che a quanto pare, se siete pieni di qualcosa, è della voglia di scartavetrare i maroni alla gente!”
“Lupin, linguaggio!!” era intervenuta Ashley da dietro un grosso libro di Rune Antiche con un finto tono scandalizzato.
John stava per rispondere , quando un barlume argenteo gli aveva bloccato le parole in gola.
Un lupo.
Ted.
“È il patronus di mio fratello, deve essere successa qualcosa … ” aveva detto allarmato, mentre si avvicinava alla creatura per ascoltare il messaggio.
“Sono al campo da Quidditch, dice di fare in fretta, ma non spiega il motivo … ”
“Una bottiglia di Fire Whiskey che vogliono farci vedere qualche assurdo schema di gioco che si sono inventati durante il pomeriggio … “ aveva detto James, tentando di sdrammatizzare.
Alexander ed Ashley si erano rivolti uno sguardo preoccupato, come tutti gli anni, stava per accadere qualcosa di spiacevole.
“Vedremo, in ogni caso non perdiamo altro tempo …” aveva detto la ragazza dirigendosi verso l’uscita.
“Giuro che se ci hanno chiamati per una stronzata, Harry avrà un’altra cicatrice di cui preoccuparsi!” aveva aggiunto Alex, mentre si apprestava a seguire la sorella con gli altri due ragazzi al seguito.
 
 
“Dylan? ” Ted si era avvicinato all’amico e gli aveva posato una mano sulla spalla.
Da quando gli aveva detto di cercare aiuto, era entrato in una sorta di stato catatonico e non aveva pronunciato nessun’altra parola.
Continuava a tenere il viso di Harry tra le mani e lo fissava intensamente come se stesse tentando di farlo rinvenire con la forza del pensiero.
Nemmeno l’incantesimo Innerva era servito a qualcosa, non che ne fossero grandi esperti, in fin dei conti erano solo all’inizio del quinto anno di scuola.
Il ragazzo accovacciato aveva finalmente distolto lo sguardo dal loro migliore amico e lo aveva spostato su di lui.
Aveva paura che fosse successo qualcosa di irreparabile, per Ted non era mai stato un problema leggere nei suoi occhi.
Erano cresciuti insieme loro tre poteva, senza grandi difficoltà, terminare le frasi di Harry e prevenire le cazzate di Dylan ancora prima che pensasse di farle.
“Stai tranquillo … Ha la pelle dura, aspettiamo l’arrivo degli altri e lo portiamo in infermeria … ”
“È caduto da più di venti metri … Ho provato a rallentarlo con un Incantesimo Ammortizzante, sembrava essere andato a buon fine,ma non mi spiego perché sia svenuto.”
Ted aveva scosso la testa, ancora incredulo per quello che era successo.
Avevano programmato quel pomeriggio da una settimana, vale a dire da quando avevano scoperto che l’unica lezione che avrebbero dovuto seguire, Storia della Magia, non si sarebbe tenuta perché il professor Ruf era stato invitato a partecipare ad un convegno sulla 73esima guerra tra maghi e goblin o qualcosa del genere.
Era tutto perfetto: la giornata era mite e soleggiata per il periodo, generalmente in Scozia le previsioni meteo non annunciavano altro che pioggia da Ottobre ad almeno la metà di Aprile; non c’erano viscide serpi all’orizzonte, il che avrebbe potuto rendere piacevoli anche 24 ore no stop di Pozioni; ed avevano la possibilità di provare dei nuovi schemi per la stagione di Quidditch che ormai era alle porte.
Stavano volando da un paio d’ore quando avevano visto il loro amico irrigidirsi sul manico di scopa e cadere, come se fosse stato una bambola di pezza, da un’altezza improponibile.
Erano scesi a terra per soccorrerlo, sperando che stesse bene, quando Harry  aveva scambiato Dylan per suo padre; cosa che sarebbe stata perfettamente plausibile per un estraneo, data la straordinaria somiglianza, ma non per lui.
In quel momento erano nel panico più assoluto, incapaci di pensare lucidamente per fare qualunque cosa.
“Mi … Mi sembrava spaesato, come se non riuscisse a capire dove si trovasse …”
“Pensi che questo malore abbia a che fare con i suoi strani sogni?” aveva domandato Ted, riscossosi dai suoi pensieri.
“Ne sono quasi certo … ” aveva detto Dylan, scuro in volto.
Si sentiva in colpa per quello che era successo, avrebbe dovuto pressarlo di più affinché parlasse di quegli incubi assurdi ai suoi genitori, Lily e James avrebbero saputo sicuramente dar loro un’interpretazione.
Come sempre erano stati delle emerite teste di cazzo.
Preso nell’invettiva contro se stesso, non aveva notato che si stavano avvicinando a loro altre due persone.
“Hermione, piantala … Non solo, grazie a te, mia madre mi ha obbligato a scegliere Aritmanzia, materia nella quale dire che non capisco niente equivale a sopravvalutarmi, ora non puoi impormi di studiare … Voglio giocare a Quidditch con gli altri, miseriaccia!”
“Fa come ti pare Ronald … Io non ti farò copiare nemmeno una virgola!”
“Sempre la solita secc … Dylan, che è successo?” aveva domandato, nel vedere Harry sdraiato a terra privo di sensi e gli altri intorno a lui.
La voce di Ron lo aveva richiamato dai suoi pensieri.
“Non ne abbiamo idea … È svenuto, aspettiamo gli altri per portarlo in infermeria, ma …”
Un urlo strozzato della ragazza che gli stava accanto lo aveva obbligato ad interrompersi.
Incerto si era voltato, per notare l’amico che si contorceva in preda agli spasmi e Ted che con tutta la forza che aveva tentava di tenerlo ancorato al suolo.
Senza esitare oltre, li aveva raggiunti ed aveva iniziato a carezzargli il capo nella speranza che si calmasse.
Ron era giunto a dare man forte a Teddy, mentre Hermione sembrava essere stata pietrificata.
Che diavolo stava succedendo?
 
 
 
 
 
Quel pomeriggio James Potter era particolarmente silenzioso a lavoro.
Il 31 Ottobre ricorreva il quindicesimo anniversario  della morte di uno dei suoi migliori amici.
Peter si era sacrificato per salvare suo figlio e gliene sarebbe stato eternamente grato, nonostante avesse pensato di vendere la sua famiglia a Voldemort, all’ultimo aveva fatto marcia indietro.
Qualcosa di più, però lo turbava.
Da quando aveva messo piede fuori dal letto quella mattina aveva sentito il bisogno di vedere i suoi figli, era perfettamente consapevole che fossero al sicuro ad Hogwarts, ma Silente quel giorno si trovava, come lui, al Ministero e una strana sensazione di inquietudine non voleva proprio saperne di andarsene.
Per l’ennesima volta, aveva abbandonato la relazione che stava redigendo, e si era voltato a guardare fuori dall’ampia finestra. Pioveva fuori dai vetri incantati, decisamente l’ideale per chi, come lui, aveva l’umore sotto le suole delle scarpe.
“Prongs, stai bene ?”
“Sì, Pad … Stavo solo riflettendo … ”
“Dopo più di vent’anni di amicizia, credi ancora di potermi nascondere qualcosa?”
“Ci provo sempre, non si sa mai … Magari con l’età inizi a perdere colpi!” aveva detto con un ghigno l’uomo con gli occhiali, guadagnandosi un’occhiata torva.
“Divertente Potter, divertente … Non rido perché potrei urinarmi addosso nella foga del momento …” aveva risposto Sirius con gli occhi ridotti a due fessure.
James non era riuscito a trattenere le risate ed aveva sputato il caffè che stava bevendo per evitare di strozzarsi.
“Ti sbrodoli come un poppante e sarei io il vecchio, eh?”
“Smettila Sir, ti prego … Devo respirare …” aveva detto James implorante, mentre piangeva dal troppo ridere.
“Ragazzi, vi si sente dall’Ufficio Per La Regolazione delle Creature Magiche …” aveva detto con una punta di divertimento Remus che osservava la scena dall’uscio.
“Ehila Moony!!! Oggi ci hai dato buca, pranzare senza rubarti un pezzo del dessert non ha lo stesso gusto!” lo aveva salutato Sirius con un sorrisetto malandrino.
“Lontano dai miei averi Black!” aveva risposto il licantropo indignato.
“Jamie, tutto ok ?” aveva poi domandato notando che James non era intervenuto nel battibecco.
“Sì … “
Remus e Sirius gli avevano rivolto uno sguardo scettico.
“No, sono preoccupato. Ho un’orribile sensazione di ansia da stamattina e considerato che il catastrofista sei tu Rem, è un bel problema non pensate?”
 
Harry era passato da un’assoluta mancanza di sensazioni a provare un dolore immane in un periodo di tempo così breve che aveva iniziato a contorcersi prima ancora di rendersene conto.
Perché ? Era morto.
Non aveva un corpo, non doveva avvertire nulla del genere.
Ogni singolo muscolo si stava contraendo dolorosamente, come se fosse stato appena sottoposto a Cruciatus.
Sentiva delle voci, qualcuno che gli accarezzava la testa per tranquillizzarlo, non conosceva quel tocco eppure era così familiare.
“Ted, tienigli ferme le gambe al busto ci penso io …”
Ron.
Non avrebbe mai potuto non riconoscere la sua voce.
Si era sforzato di aprire gli occhi, ma le palpebre pesavano come macigni e dalla gola riarsa non usciva neanche un suono.
“Siamo qui!!! Ashley, quii!!!”
Hermione.
A quella nuova scoperta, una lacrima solitaria si era fatta spazio sulla sua guancia.
Svuotato di ogni energia aveva smesso di divincolarsi.
 
“Oh, Merlino …” Ashley si era premuta le mani sulla bocca.
Alex l’aveva superata e si era inginocchiato accanto al corpo del fratello.
“Dylan, cosa diavolo è successo?”

“DYLAN!”
James si era avvicinato ed aveva posto una mano sulla testa del ragazzino che si era riscosso dallo stato di trance nel quale sembrava essere caduto.
“Io … Non lo so. È caduto da più di venti metri di altezza …”
Il suo interlocutore aveva sgranato gli occhi.
“Harry, mi senti ? HARRY!”
“Innerva!”
Nulla.
“Mando un patronus a mio zio …” aveva detto James, mentre si allontanava dal fratello minore per lanciare l’incantesimo.
“No, non possiamo aspettare oltre …”aveva detto Alexander.
“Non ci pensare nemmeno … Non puoi muoverlo, potresti causargli molti più danni di quelli che ha già.” era intervenuto John, mentre stringeva tra le braccia Ashley che non sembrava avere più la forza nemmeno per restare in piedi.
Frustrato, Alex aveva tirato un pugno ad uno degli anelli del campo da Quidditch e con la mano sanguinante, aveva iniziato a camminare avanti e indietro per far defluire la rabbia.
Non era possibile che ogni anno succedesse qualcosa.
Non sempre alla sua famiglia.
Si era voltato a guardare Harry che, pallido come un cencio, sembrava un cadavere.
“Maledizione, resisti.”
Da quando aveva accettato di affiancare l’infermiera della scuola per stare più vicino al suo compagno, Regulus Arcturus Black, non aveva mai trascorso una giornata più tranquilla.
Non vi erano state visite, così si era potuto dedicare tranquillamente alla lettura, aspettando che fosse sera per andare a controllare che quella banda di delinquenti non stesse combinando danni in giro per il castello.
Con un sorriso aveva accolto l’ingresso di un uomo vestito di nero nello studio.
“Già di ritorno, Severus?”
“Così sembra … ”
“Non ti sei divertito a fare intrugli con Lily al San Mungo?” aveva domandato guardandolo di sottecchi.
“Punto primo, si dice: distillare pozioni, non lo ripeterò ancora, quindi vedi di ricordartelo se non vuoi che dia fuoco alla tua biblioteca guaritore dei miei stivali, punto secondo: è ovvio che abbia trascorso un pomeriggio più che piacevole … Tu piuttosto, giornata di ozio ?”
Regulus si era trattenuto a stento dal ridere, sapeva che punzecchiare troppo a lungo il suo compagno sulle sue adorate pozioni poteva diventare letale.
“Proprio così … Pensa che anche Poppy ha deciso di andare a fare shopping ad Hogsmeade con Filius!”
Severus si era voltato scandalizzato.
“Che coppia improbabile … ” aveva detto con un ghigno e Regulus era scoppiato a ridere.
“Ecco, ora avrò davanti agli occhi l’immagine di quei due che consumano nella cantina di Mielandia …  Ho bisogno di una pozione contro la nausea!”
“Pardon, il pervertito in famiglia non era tuo fratello?!”
“Sì, ma il patrimonio genetico, bene o male è lo stesso!” aveva risposto il guaritore mentre costringeva la sua migliore smorfia di disgusto a rientrare alla base.
Severus lo osservava divertito, odiava ammetterlo, ma si era affezionato a lui più di quanto potesse anche solo lontanamente accettare.
Era fregato, in tutti i sensi.
La sua mano, infida appendice, aveva raggiunto quella dell’oggetto dei suoi pensieri sfiorandone il dorso.
“Ti sono mancato … Ammettilo!” aveva aggiunto il compagno mentre stringeva la presa.
“Possibile … “ aveva risposto evasivo, prima di alzarsi in piedi allarmato.
Regulus si era voltato per capire quale fosse la ragione di quel gesto tanto improvviso ed aveva visto il patronus di suo nipote James dirigersi verso di lui.
Pallido, era tornato a guardare l’uomo che lo fissava preoccupato.
“Manda un gufo a Lily, dille di venire immediatamente qui …” aveva detto prima di prendere la borsa con le pozioni e correre fuori.
Solo nello studio, Severus si era battuto una mano sulla testa.
Era il 31 di Ottobre e, come ogni anno, la maledizione si stava ripetendo.
 
Dopo un intero pomeriggio trascorso a distillare pozioni, Lily era letteralmente distrutta e nell’area relax al primo piano del San Mungo, avrebbe volentieri goduto di un po’ di meritato riposo, se solo quella dannata morsa allo stomaco si fosse allentata.
Dal primo giorno di Novembre di ogni anno iniziava il conto alla rovescia e quando il countdown terminava sperava soltanto di rivedere tutti i suoi cari in salute a fine giornata.
Quel maledetto giorno di quindici anni prima era cambiata tutta la sua vita.
 
James giocava con Harry sul divano, mentre lei era al piano superiore tentando di far addormentare Alex ed Ashley che proprio non volevano saperne di collaborare.
D’un tratto la barriera anti intrusi aveva iniziato a suonare e suo marito era accorso alla finestra per vedere di chi si trattasse.
Qualche istante dopo, aveva sentito la porta aprirsi.
“Wormtail, non dovresti andare in giro di notte!”
“James, perdonami … Sta arrivando, tra pochi minuti Tu-sai-Chi sarà qui … Dovete scappare!”
Lily aveva avvertito il panico avvilupparle le viscere, ma prima che potesse fare anche solo un passo aveva sentito delle urla dal piano di sotto.
“Lils prendi i bambini e scappa … È lui!”
“James, devi mettere in salvo Harry!!”
“VAI!!!”
Scioccamente aveva chiuso la porta nella speranza che potesse almeno rallentare l’avanzata di quel mostro.
Poi aveva sentito un tonfo ed il suo cuore era andato in frantumi.
James.
Mentre lottava contro le lacrime per mantenere la lucidità, aveva udito un enorme trambusto al piano di sotto, un secondo rumore secco e poi la casa aveva letteralmente tremato come se fosse l’epicentro di un terremoto di magnitudo distruttiva.
Dopo di che, il silenzio più assoluto.
Si era assicurata che i piccoli stessero bene e prendendo il coraggio a due mani aveva iniziato a scendere le scale.
Non era preparata a vedere suo marito e suo figlio senza vita.
Sarebbe impazzita dal dolore, lo sapeva.
Poi aveva sentito Harry piangere ed aveva accelerato il passo.
Aveva creduto di morire dalla gioia, quando aveva visto James seduto con la schiena appoggiata al muro, mentre tentava di pulire la fronte del bambino con una manica del pigiama.
 
“Hey Lils …”
I suoi pensieri erano stati interrotti dall’arrivo di una donna.
“Ciao Alice! Anche tu in pausa ?”
“Assolutamente sì, sono distrutta!!”
“Come stai ? Oggi è il giorno. ” aveva aggiunto la nuova arrivata, guardandola da dietro un bicchierone di tè caldo.
“Cerco di non pensarci … Neville ha ritrovato Oscar?” aveva domandato Lily, nel tentativo di cambiare discorso.
“Sì, ma penso che l’abbia già riperso … È sbadato come Frank!” aveva risposto Alice ridacchiando.
“Ah, ma che bel quadretto!! Non vi disturbate a chiamarmi, eh? Amiche ingrate!” era intervenuta una terza persona nella conversazione.
“Da quando hai sposato Sirius sei diventata davvero melodrammatica, Ellie!!” aveva detto Lily con un sorrisino malefico.
“Ringraziate che io non sia diventata psicologicamente instabile  …” aveva risposto Eleanor accomodandosi tra di loro.
“Beh, tecnicamente lo eri già da prima.” aveva convenuto saggiamente Alice.
Prima che potessero ricominciare il battibecco, un gufo che picchiettava contro il vetro, le aveva obbligate a rinunciare.
La più vicina alla finestra, aveva allungato un braccio per aprirla e l’uccello si era diretto verso Lily che lo osservava con un’espressione indecifrabile in volto.
Aveva afferrato la lettera e il volatile si era dileguato.
“È la scrittura di Severus …” aveva detto alle amiche che la guardavano con apprensione.
Con la consapevolezza che aspettare significasse solo ritardare il momento della batosta, aveva aperto la busta.
Eleanor ed Alice avevano visto il colorito abbandonarle il viso mentre leggeva la lettera.
“Lily ?” Ellie le aveva posato una mano sulla spalla.
“Per favore, scrivi un biglietto a James da parte mia, digli di venire immediatamente ad Hogwarts … Io devo correre lì, è successo qualcosa ad Harry … ”
 
 
 
 
Angolino di Arwen
 
Non temete, non è un miraggio dovuto alle temperature finalmente tendenti all’estivo! Sono proprio io, non potevo lasciarvi senza dare un minimo di senso alla Prefazione!
In questo capitolo inizia a delinearsi il contesto nel quale si svolgerà la storia.
L’idea sulla quale voglio basarmi è nata da un disegno che ho visto un po’ di tempo fa, nel quale Piton dopo essere stato ucciso si risvegliava in un enorme letto matrimoniale con una bambina dai capelli rossi a fissarlo: sua figlia.
Il concetto è morire in una vita e risvegliarsi in un’altra in cui le cose sono andate diversamente.
Spero di essere stata chiara, se così non fosse invito chiunque volesse a contattarmi per avere delucidazioni!
Ora basta con le chiacchiere, credo di avervi tediati già a sufficienza!
Ringrazio, come sempre , chi ha recensito lo scorso mini capitolo e chi ha anche solo sprecato un po’ del proprio tempo a leggerlo.
Affettuosamente vostra
Arwen
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 
 
Nell’area relax del secondo piano del San Mungo, Eleanor fissava il punto in cui erano scomparse le sue amiche.
Nonostante tentasse di mantenere la calma, era evidente che Lily era rimasta più che sconvolta dalla notizia.
Effettivamente chi non lo sarebbe stato?
Se fosse capitato qualcosa a James o Dylan le sarebbe venuto un attacco cardiaco seduta stante.
Aveva sempre ammirato la forza della sua più cara amica, sin da quando frequentavano Hogwarts e la guerra minacciava di distruggere tutto ciò che amavano.
Si erano prese da subito loro due, nonostante fossero state smistate in case diverse.
Avevano affrontato insieme tutti i problemi, dal più insignificante al più terribile.
E da quando quel 31 Ottobre 1981 aveva iniziato a ripetersi quella macabra tradizione, Eleanor si era schierata al suo fianco per lottare insieme contro tutto quello che sarebbe arrivato a disturbare le loro vite.
Inutile descrivere a parole la frustrazione che provavano quando si rendevano conto di essere effettivamente impotenti: non importava quanto provassero a proteggere le persone a loro care, ogni anno qualcuno finiva per farsi male inevitabilmente.
Con il passare del tempo avevano iniziato solo a sperare che quello che sarebbe certamente accaduto non fosse stato troppo terribile, fallendo miseramente.
Appena due anni prima, Sirius e James avevano rischiato di morire in circostanze ancora da definire, ma che ci fosse lo zampino dei Mangiamorte era ben più che una semplice supposizione; e solo l’anno scorso Voldemort era tornato in circolazione e grazie all’aiuto di Lucius Malfoy aveva quasi ucciso Harry.
Da allora erano tutti diventati iperprotettivi nei confronti del ragazzo, suscitando parecchi moti di ribellione da parte sua.
Era la fotocopia di James ed in quanto tale , il più piccolo di casa Potter non amava che gli si imponessero limitazioni, era uno spirito libero proprio come suo padre.
Inutile sottolineare il numero infinito di punizioni che si era beccato in nome della tanto agognata indipendenza.
A tenergli buona compagnia c’era ovviamente Dylan.
Che fosse figlio di Sirius era inequivocabile in quanto praticamente identici e se questo non fosse bastato ad accertare la paternità, a supporto della tesi c’erano il suo stesso carattere e persino il modo di camminare.
Per fortuna che almeno James, aveva ereditato molti suoi tratti caratteriali, non che fosse meno casinista, solo non era una calamità naturale come il fratello minore.
Eleanor aveva emesso uno sbuffo dalle labbra semichiuse, Harry e Dylan erano come fratelli, avevano passato tutta la loro vita insieme.
Se capitava qualcosa ad uno, l’altro era come minimo nel letto accanto in infermeria.
Aveva ponderato l’idea di fare come le aveva suggerito Lily e scrivere un biglietto a James per avvertirlo di quanto accaduto ad Hogwarts, in modo di essere lì il prima possibile per appurare l’entità dei danni, ma poi ci aveva ripensato.
Doveva andare di persona per tentare di sminuire la cosa il più possibile ed impedire al suo testimone di nozze di dare di matto.
Forse avrebbe potuto contare su suo marito per mantenere la calma , ma mentre si avviava verso i cunicoli della Metropolvere aveva realizzato con una punta di invidia che non era stata fortunata tanto quanto Dora, Remus era il marito ideale, Sirius più che altro una palla al piede.
 
 
Regulus si era scapicollato giù per la collina verso il campo da Quidditch.
Era uno dei momenti in cui desiderava ardentemente potersi materializzare all’interno dei confini della scuola.
James era preoccupato per quanto volesse nasconderlo, aveva imparato a conoscere ogni sfumatura della sua voce.
In qualità di suo padrino era stato promosso parecchie volte a babysitter e poteva interpretare senza troppe difficoltà i suoi stati d’animo.
Si era fermato un attimo per riprendere fiato quando aveva notato non troppo distante da lui, un capannello di persone.
A passo spedito si era diretto verso di loro ed era stato proprio il suo figlioccio ad andargli incontro.
“Zio Reg per fortuna che sei arrivato …” aveva detto visibilmente sollevato.
Regulus si era immediatamente avvicinato ad Harry che giaceva sul manto erboso ancora privo di sensi.
Aveva eseguito qualche incantesimo diagnostico ed era tutto nella norma.
Non aveva lesioni interne con conseguenti emorragie, le funzioni vitali erano quasi perfette, aveva registrato una leggera aritmia, ma niente di preoccupante.
“È solo svenuto … Si riprenderà a breve.” aveva detto sicuro, ma non aveva notato alcun sollievo negli sguardi dei ragazzi che lo circondavano.
“Devo forse sapere qualcosa ?” aveva domandato riducendo gli occhi a due fessure.
Il gruppo si era aperto, lasciando intravedere Dylan che se n’era rimasto in disparte.
Avendo intuito il chiaro riferimento, il guaritore aveva fatto apparire una barella e vi aveva adagiato il giovane.
“Alex, guida tu Harry in infermeria … Vi raggiungerò fra un attimo. E preparati, ci vogliono dei punti magici per quella ferita alla mano.” aveva detto mentre si dirigeva verso suo nipote.
Alexander leggermente sollevato per le condizioni di suo fratello era piombato nuovamente nella disperazione all’idea di farsi ricucire.
Empaticamente James gli aveva dato una pacca sulla spalla.
“Ley, ce la fai a camminare?” aveva domandato John apprensivo.
La persona senza dubbio più scossa era Ashley, non aveva detto una parola da quando erano arrivati sul posto.
La ragazza aveva annuito, ma il suo migliore amico non se l’era sentita di mollare la presa su di lei e quasi portandola in braccio aveva iniziato ad inerpicarsi verso il castello.
Ron ed Hermione, dal canto loro erano indecisi se seguire gli altri alla volta dell’infermeria o aspettare Dylan.
Ted aveva già fatto la sua scelta e stava un po’ in disparte seduto sui gradini di pietra che conducevano agli spogliatoi.
Alla fine i due avevano optato per seguire Harry, volevano essere presenti nel momento in cui si fosse svegliato.
Regulus aveva volutamente aspettato che gli altri si allontanassero, suo nipote aveva un carattere particolare, gli ricordava terribilmente suo fratello e non era affatto facile trattare con lui, soprattutto quando era preoccupato per qualcosa.
“Dylan …”
Il ragazzo era sussultato come se si fosse reso conto solo in quel momento di quello che era successo.
Spaesato si era guardato intorno ed aveva impercettibilmente sgranato gli occhi nel notare l’assenza di Harry ed il piccolo corteo che risaliva la collina.
Aveva puntato gli occhi color ghiaccio sullo zio come ad invitarlo a proseguire.
“Cosa è successo prima che arrivassi qui?” aveva domandato l’uomo, cauto.
“Noi … Stavamo volando, ad un certo punto Harry si è irrigidito ed è caduto da forse venti metri, ho lanciato un Incantesimo Ammortizzante, ero assolutamente certo che stesse bene, ma quando siamo scesi a terra …”
“Cosa ?”
“Mi ha scambiato per papà, zio Reg … LUI ha scambiato ME per mio padre.” aveva detto scuotendo il capo sconsolato.
Il guaritore aveva registrato l’informazione, il ragazzo presentava dei segni di confusione.
“Ho provato a farlo rinvenire, anche Lex ha tentato, ma non ha funzionato … Non ci sono stati cambiamenti …”
“Devo farti una domanda, non prenderla come una mancanza di fiducia, ma ho bisogno di sapere se Harry ha bevuto o … Fumato qualcosa di strano prima di questo incidente ?” aveva chiesto pregando che la risposta fosse negativa.
“Lui non beve e non fuma.” aveva risposto suo nipote scandalizzato.
Regulus non aveva potuto fare a meno di notare che Dylan avesse sottolineato che solo il giovane Potter non facesse uso di alcool o droga.
Voleva approfondire il discorso, ma sapeva che probabilmente in quel momento avrebbe usato delle parole poco adatte ottenendo l’unico risultato di farlo chiudere a riccio.
Se Sirius avesse scoperto una cosa del genere, lo avrebbe fatto fuori, senza ombra di dubbio.
“C’è dell’altro che dovrei sapere ?” aveva domandato notando un curioso scambio di sguardi tra suo nipote e Ted.
Dylan aveva scosso il capo.
Era ovvio che ci fosse qualcosa e lui sperava che non fosse rilevante per capire quello che stava succedendo.
“Allora che ne dite di salire con me al castello? Non dovete sentirvi in colpa, sarebbe potuto capitare a chiunque e voi avete fatto il possibile per aiutarlo.”
I due ragazzi avevano annuito meccanicamente.
Mentre si dirigevano verso la scuola, Regulus aveva fatto un resoconto delle informazioni che aveva ottenuto dalla conversazione con suo nipote.
Il fatto che Harry non si fosse svegliato nemmeno dopo l’utilizzo dell’ Innerva era parecchio strano e la confusione che aveva manifestato prima di perdere i sensi poteva complicare decisamente le cose.
Sperava che Eleanor accompagnasse Lily in infermeria, con il suo aiuto era certo che sarebbero arrivati a capo di quella situazione molto più rapidamente.
O almeno lo sperava.
 
 
Severus Piton faceva avanti e indietro nel suo studio da almeno un’ora, più o meno il tempo che era trascorso da quando aveva inviato la lettera a Lily.
Aveva percorso tanti di quei chilometri che probabilmente se avesse deciso di partecipare alla maratona di New York l’avrebbe vinta senza grosse difficoltà.
A giudicare dallo scemare del brusio nel corridoio antistante i suoi quartieri doveva essere quasi ora di cena e della donna nemmeno l’ombra.
Stava seriamente considerando che le fosse capitato qualcosa di grave, quando una fiamma verde aveva animato il suo camino e ne erano venute fuori due persone.
“Severus …” aveva detto Lily pallida come un cencio.
“Come mai ci avete impiegato tanto ? Avete avuto problemi ?” aveva detto l’uomo dopo aver fatto un cenno di saluto sia a lei che ad Alice.
“Per lasciare la clinica dovevamo necessariamente avvertire il direttore e ci è voluto un po’ … ”
“Quell’idiota di Lancaster non capirebbe di trovarsi di fronte ad un’emergenza, nemmeno se gli amputassero una mano …” aveva detto velenoso.
Era risaputo che non corresse buon sangue tra i due già dai tempi della scuola.
Byron Lancaster era il Corvonero più ottuso che Hogwarts avesse mai avuto.
Lily aveva accennato un sorriso e Severus si era sentito sollevato, era sempre lieto di rallegrare le persone con le sue invettive contro gli inetti.
“Non usare mezzi termini … Dimmi cos’è successo ad Harry, devo essere preparata per quando me lo troverò davanti …” aveva detto la donna puntando gli occhi smeraldo su di lui.
Ricordava perfettamente l’anno precedente, quando se lo era ritrovato coperto di sangue e che a stento respirava.
Quella rievocazione gli aveva mozzato il respiro in gola.
Piton le aveva rivolto uno sguardo sofferente, seppur avesse tentato di apparire in tutti i modi controllato.
“Purtroppo non posso aiutarti Lils … Regulus è andato al campo da Quidditch per soccorrerlo, ma non ho idea del motivo … Spostiamoci in infermeria, se non sono ancora arrivati manca poco …”
La donna aveva annuito, i capelli vermigli erano scesi a coprirle il volto.
Voleva urlare al mondo intero che quella situazione l’aveva esasperata, voleva piangere senza ritegno come se fosse una bambina capricciosa per dare sfogo ai suoi sentimenti e forse sentirsi un po’ meglio, ma non poteva.
Era una madre e non aveva più tempo per essere debole.
Alice le aveva afferrato un braccio per darle coraggio e dopo averle rivolto uno sguardo grato si erano incamminati verso il piano superiore.
Il tragitto era stato percorso in silenzio, non sembrava esserci nessun altro in giro.
“È l’ora di cena …” era intervenuto Severus intuendo i pensieri delle due donne.
“La McGranitt è stata informata?”
“Sì, ma Silente non è in sede quindi non può abbandonare la Sala …”
La breve conversazione era stata interrotta dall’arrivo di un gruppo di persone dal capo opposto del corridoio.
A Lily era bastato un istante per riconoscere il ragazzo sulla barella e quello che la stava guidando verso l’infermeria.
Senza attendere oltre aveva allungato il passo.
“Mamma!” aveva detto Alex sorpreso.
Lily lo aveva abbracciato di slancio.
“Cos’è successo ?” aveva domandato chinandosi su Harry e poi cercando con lo sguardo Ashley.
“È caduto dalla scopa, Regulus dice che sta bene … Sembra solo svenuto.” aveva risposto accennando ad un sorriso.
“Tua sorella dov’è?”
“Qui.” aveva risposto Ashley con un filo di voce.
“Tesoro … Vieni qui, Harry starà bene … Non preoccuparti.”
A dispetto delle apparenze sua figlia era una ragazza estremamente sensibile ed amava i suoi fratelli più di ogni altra cosa al mondo.
Harry poi era il più piccolo di casa e lo aveva sempre visto come il suo personale tesoro da proteggere.
Faticava più degli altri a riprendersi quando accadeva qualcosa di spiacevole.
Lily le aveva scostato i capelli rossi, della sua stessa sfumatura, dal visino coperto di lentiggini e le aveva lasciato una carezza.
Ashley le aveva puntato gli occhi nocciola addosso come a volerle leggere nei pensieri per accertarsi che potesse davvero stare tranquilla.
Quando sua madre le aveva sorriso, si era visibilmente rilassata, ma era ancora troppo provata per stare in piedi da sola.
Prontamente Severus l’aveva afferrata.
“Hey tu, non sei un po’ troppo grande per essere tenuta in piedi di peso ?” aveva detto con un ghigno ed il solito tono dolce che riservava solo a lei.
Non aveva potuto credere alle sue orecchie quando Lily gli aveva domandato di essere il suo padrino e la cosa più sconvolgente era che anche Potter fosse d’accordo.
La ragazza gli aveva fatto una smorfia e si era accoccolata meglio contro il suo petto, come faceva quando era piccola.
“Voi state tutti bene ?” aveva poi domandato la signora Potter ricevendo dei cenni di assenso.
“Lex … La tua mano.” aveva poi aggiunto notando le gocce di sangue che colando dalle dita di suo figlio andavano a colorare il pavimento.
“Reg ha detto che ci vogliono i punti …” aveva annunciato rabbrividendo.
Lily aveva scosso il capo contrariata, non era la prima volta che in gesti di stizza Alexander si ferisse, ed era oltremodo stupido da parte sua.
“Non vedo Dylan, Ted e Andrea … Immagino che Neville non sapesse nulla dell’accaduto.” era intervenuta Alice.
“Dylan e Ted sono con Regulus, mentre Andrea non è stata avvisata … Era l’unica ad avere lezione oggi pomeriggio.” aveva risposto John.
“Neville deve essere in Sala Grande, lo abbiamo lasciato che studiava quando siamo andati al campo da Quidditch.” aveva detto Hermione.
“Bene, a parte Harry sembra che gli altri siano a posto …” aveva pensato Lily stancamente.
Qualche secondo dopo, anche la restante parte del gruppo era arrivata nel medesimo corridoio.
Il guaritore aveva sistemato Harry in uno dei letti dell’infermeria, mentre Madama Chips ,da poco rientrata, lo assisteva nel compiere alcuni test.
“Pensi che Eleanor ci raggiungerà ?” aveva domandato Regulus, mentre si tamponava con un fazzoletto la fronte imperlata di sudore.
“Dovrebbe … Se la conosco bene, anziché mandare un gufo a James sarà andata di persona ad avvertirlo.” aveva risposto Lily senza distogliere lo sguardo dal volto cadaverico di suo figlio.
Intanto nel corridoio erano rimasti solo i ragazzi, Piton era stato richiamato per una rissa interna alla sua casa ed Alice era dovuta tornare di fretta in clinica, con tanto di imprecazioni contro il direttore.
Alex aveva la mano fasciata contro il petto, mentre con l’altra accarezzava la schiena di sua sorella che era in uno stato di dormiveglia.
John e James tentavano di chiacchierare del più e del meno lanciando sguardi apprensivi verso i fratelli minori che erano entrambi seduti per terra.
Hermione aveva tirato fuori un grosso libro e per la disperazione, poco dopo Ron si era accodato a lei nello studio.
Accampati in quel modo li aveva trovati la più piccola del clan Black-Lupin-Potter.
Andrea Meda Lupin era una vivace ragazzina di 14 anni, aveva ereditato l’intelligenza e la sensibilità del padre e le doti più sbarazzine della madre.
Era adorabile con i suoi boccoli biondi e gli occhioni ambrati.
Non aveva il gene della licantropia completamente sviluppato nel suo DNA, ma in lei vi erano alcuni segni inconfondibili della maledizione, come ad esempio lo sguardo.
Quando a cena si era resa conto della mancanza di tutta la sua famiglia si era allarmata ed aveva deciso di recarsi nell’unico posto nel quale avrebbe potuto trovarli in quel particolare giorno di Ottobre.
Nessuno sembrava essersi accorto della sua presenza.
Aveva attraversato il corridoio e si era accomodata addosso al fratello maggiore, che era quasi balzato in aria per la mancanza di preavviso.
“Andy, mi hai fatto prendere un colpo!”
“Sono qui da circa cinque minuti … Deduco che se eravate tutti così sovrappensiero la situazione è grave …” aveva detto con uno sguardo ansioso al gruppo, aveva visto Teddy, ma Dylan ed Harry dov’erano?
“Harry è svenuto e stanno cercando di capirne la causa …”
Andrea aveva annuito tristemente, poi si era sporta ed aveva individuato l’altro pezzo mancante.
Il più piccolo dei fratelli Black aveva alzato gli occhi proprio in quello stesso istante e si erano scambiati uno sguardo indecifrabile.
Prima che qualcun altro se ne accorgesse, erano tornati a guardarsi intorno.
“Pensi che avremmo dovuto dire a Regulus degli incubi di Harry?”aveva detto Ted all’improvviso.
“No … Sono cose che gli appartengono, non avremmo alcun diritto di diffonderle … Se avesse voluto lo avrebbe fatto lui …”
“Non posso fare a meno di sentirmi in colpa, forse se l’avessimo pressato più avrebbe parlato con i suoi genitori …”
Dylan aveva scosso il capo.
“Lo conosci ... ”
“Già, ma non l’ho mai visto spaventato come nei giorni scorsi … “
L’altro aveva reclinato il capo all’indietro.
Aveva il vago ricordo di un paragrafo di un libro nel quale si diceva che le cose che accadono nel mondo onirico, avessero delle ripercussioni anche in quello reale.
Harry pativa le pene dell’inferno in quei sogni.
Nell’ultimo Voldemort lo aveva praticamente ucciso.
E se fosse stata quella la chiave di ogni cosa?
 
 
Eleanor era arrivata in men che non si dica al Ministero della magia.
Sicuramente era un bene che avesse impiegato così poco tempo, ma non aveva pensato al modo in cui dare la notizia.
Lily non le aveva dato alcuna informazione aggiuntiva e sperava soltanto che la situazione non fosse troppo grave.
Mentre rimurginava non si era resa conto che un uomo si stava spostando verso di lei.
“Ellie?”
Quasi era saltata in aria.
“Frank … Mi hai fatto venire un colpo!” aveva detto con una mano premuta sul petto.
“Credevo che fossi di turno con Alice …” aveva aggiunto l’uomo.
“Lo ero, ma dovevo assolutamente vedere Sirius così ho preso la restante parte del pomeriggio libera …”
“Non mi dire che è successo di nuovo qualcosa!” aveva detto allarmato.
Eleanor si era limitata ad annuire.
“Bene, vieni con me … Per la procedura di riconoscimento c’è una fila che arriva fino all’Atrium.”
Mentre si dirigevano verso l’ascensore, un tossicchiare sinistro aveva spinto entrambi a voltarsi ed un’identica smorfia di disgusto malcelata si era aperta sui loro visi.
“Ehm, ehm … La signora non ha il cartellino.” aveva detto Dolores Umbridge mentre si sistemava pomposamente la giacca di tweed rosa.
“Garantisco io per lei, signora sottosegretario … Conoscenza personale.” aveva risposto Frank nascondendo il fastidio.
La donna visibilmente delusa dal non poter fare rapporto sul comportamento dell’Auror, aveva rivolto loro uno sguardo di biasimo e se n’era andata.
Intuendo che Eleanor avrebbe fatto a breve qualcosa che li avrebbe fatti marcire ad Azkaban, il mago l’aveva tirata di peso nell’ascensore che si era diretto immediatamente al Dipartimento degli agenti magici.
“Quella megera!!”
“Metti via quella bacchetta Eleanor …”
“Perché mi hai fermata?! Non si sarebbe resa conto che ero io l’artefice della fattura!!”
“La zona è video controllata,altrimenti l’avrei affatturata io almeno una quindicina di anni fa.”
Eleanor aveva sempre saputo che Frank fosse un tipo a posto, ma con quell’ultima affermazione si era guadagnato il suo rispetto vita natural durante.
Il Dipartimento Auror era affollato come sempre, nonostante i turni pomeridiani fossero quasi giunti al termine.
L’ufficio che James e Sirius condividevano era proprio alla fine del tunnel creato dai cubicoli in cui lavoravano gli Auror meno esperti.
“Ellie, devo lasciarti qui perché devo parlare assolutamente con Dawlish prima che si dia alla fuga …”
“Conosco la strada Frank, non preoccuparti e grazie …”
“Tenetemi aggiornato …” aveva detto l’uomo facendole un cenno di saluto.
Eleanor era finalmente arrivata alla meta, aveva bussato ed atteso che qualcuno rispondesse.
“Vai via!”
“Dai James, l’ingresso è offlimits solo per Kingsley …”
“Rettifico: se sei Shacklebot vai via, altrimenti entra pure!”
La povera donna aveva alzato gli occhi al cielo, quei due erano senza speranza.
Aveva aperto la porta e fatto capolino nella stanza.
“Vedo che vi divertite …”
“El, che ci fai qui ?” aveva domandato Sirius alzandosi in piedi.
“Devo parlarvi … Ah, ciao Remus non ti avevo visto …” aveva detto con un sorriso.
“Ebbene sì, hanno trascinato anche me nel loro oziare …” aveva risposto Moony chinandosi per darle un bacio sulla guancia.
“Hey, hey, hey … Cosa sono queste smancerie?!” era intervenuto Sirius, tirandola a sé con fare possessivo.
Remus aveva inarcato un sopracciglio.
“Sei un caso disperato, Pad …”
Sirius aveva assottigliato lo sguardo per poi notare che James era rimasto stranamente in disparte perso in chissà quali pensieri.
“Jamie?” aveva domandato, incerto.
“Avanti Ellie … Vai subito al punto … Chi?” aveva detto suo fratello senza nemmeno rispondergli.
Eleanor aveva sospirato.
“Harry … Ma non so cosa sia accaduto con esattezza, Lily è ad Hogwarts … Andiamo insieme? ”
James aveva perso quel poco di colorito che gli restava. Sapeva che sarebbe successo, ma aveva sperato fino all’ultimo che quell’orribile tradizione avesse fine.
Abbassando il capo sconfitto aveva fatto un cenno di assenso.
Prima che potesse bloccarlo il ricordo di quello che era avvenuto l’anno precedente, gli era esploso davanti agli occhi.
 
… I Mangiamorte avevano tentato di sbarrar loro la strada, ma gli Auror erano riusciti a penetrare nelle loro difese.
James non si era fermato a combattere, era certo che Sirius gli coprisse le spalle.
Da quando Harry era scomparso quella stessa mattina dopo la gita ad Hogsmeade, non aveva fatto altro che ricerche per scoprire dove si trovasse.
Mai avrebbe pensato che il suo incantesimo di localizzazione lo portasse al cimitero di Riddle Manor, Little Hangleton.
Aveva seriamente creduto che suo figlio fosse morto.
Il cuore aveva smesso di battere quando l’aveva visto ricoperto di sangue con il capo ciondolante, legato ad una lapide.
Voldemort ormai in possesso di un corpo troneggiava su di lui.
“NON OSARE TOCCARLO!” aveva urlato,la rabbia cieca che provava in quel momento era chiaramente udibile nella sua voce.
Il signore oscuro si era voltato a guardarlo con disgusto.
Aveva alzato una mano cadaverica ed aveva scagliato contro suo figlio, la Maledizione Cruciatus.
Le urla di Harry gli avevano pervaso le orecchie e prima che potesse riprendere controllo di sé ed evocare qualunque tipo di incantesimo, quel mostro era già sparito.
Dietro di lui, Malfoy aveva tentato di fare lo stesso, ma con uno Schiantesimo potentissimo lo aveva mandato a tappeto.
Una volta arrivato davanti alla lapide, aveva reciso le corde.
“Harry …”

“HARRY! Rispondimi … RISPONDIMI! ”
Il petto di suo figlio aveva smesso di alzarsi ed abbassarsi, aveva provato a farlo rinvenire senza successo, così con mani tremanti gli aveva praticato un massaggio cardiaco.
“RESPIRA!! Avanti … RESPIRA!”
Il ragazzino aveva aperto gli occhi visibilmente appannati dalla sofferenza.
“Lo sa .. pevo che sar..esti arrivato … Grazie pa..pà.”
 
“Hey …” Remus gli si era avvicinato ed il flashback si era interrotto.
Prongs aveva gli occhi lucidi.
Quel ricordo era veramente troppo doloroso.
“Non sarà nulla di grave … ” aveva detto il licantropo con convinzione.
James aveva annuito debolmente.
“Andate, finisco di redigere questo rapporto e vi raggiungo subito …” aveva detto Sirius mentre dava un buffetto sulla testa a suo fratello.
Con un sorriso tirato, l’animagus era uscito dallo studio, seguito a ruota da Moony, ma prima che Eleanor potesse raggiungerli, suo marito l’aveva bloccata.
La donna gli aveva rivolto uno sguardo interrogativo.
“Dove credevi di andare?” aveva detto con voce roca, prima di premere le labbra sulle sue.
Ellie aveva sentito i brividi percorrerle la schiena.
Lei e Sirius erano sposati da quasi diciotto anni, ma non aveva mai smesso di avvertire quelle sensazioni in sua presenza.
Quando si erano allontanati, era ancora in punta di piedi per compensare la differenza di altezza.
“Andrà tutto bene …” aveva detto l’animagus nel tentativo di rassicurarla.
Sua moglie aveva annuito, stava per richiudersi la porta alle spalle quando la voce di Sirius le era arrivata di nuovo alle orecchie
“Controlla che tuo figlio non abbia fatto danni … Altrimenti dovrà fare i conti con me.”
 
 
Harry aveva iniziato a prendere nuovamente coscienza di sé.
Aveva un corpo, questo era certo.
Il cuore batteva rumorosamente, delle voci che non conosceva gli arrivavano alle orecchie, le narici erano pervase da odori contrastanti.
Avrebbe giurato di riconoscere quello del disinfettante che Madama Chips utilizzava per la sua amata infermeria.
Si era impegnato a capire cosa gli fosse accaduto da quando il suo cervello aveva iniziato a snebbiarsi.
Prima di tutto quel pandemonio si trovava faccia a faccia con Voldemort.
Si erano scagliati contro l’anatema mortale a pochi secondi di distanza l’uno dall’altro.
Il corpo di quel bastardo aveva appena toccato il suolo quando l’Avada l’aveva raggiunto e si era sentito in pace, come mai gli era stato concesso di fare.
Poi, il caos.
La persona che aveva visto sotto gli anelli del campo da Quidditch doveva essere Sirius, ma lui era morto.
Ed anche Harry sarebbe dovuto esserlo a rigor di logica, ma allora perché aveva sentito tutto quel dolore subito dopo?!
Sentiva il cervello andare letteralmente in fiamme.
Inoltre c’era qualcosa che non andava, era come se la sua memoria fosse stracolma di informazioni completamente contrastanti ed al momento ne avesse disponibile solo una piccola parte.
Il suo nome era Harry e questo aveva potuto appurarlo anche quando “la sagoma” lo aveva chiamato.
Quindi era se stesso, stava arrivando a dubitare anche di quello.
Si trovava nel mondo magico, dubitava che i calciatori di una qualsiasi squadra di calcio babbana potessero fare goal in cerchi alti trenta metri.
Altra questione risolta.
Maledizione, aveva bisogno di risposte, ma provava un sincero terrore all’idea di aprire gli occhi.
Prima che la frenesia si impadronisse nuovamente di lui, aveva avvertito chiaramente una mano che gli accarezzava il capo.
Le dita penetravano nei capelli poco sopra la fronte e li tiravano indietro in un gesto che gli avrebbe fatto fare letteralmente le fusa.
Era piacevole e lo faceva stare bene, come se fosse consuetudine che nei momenti di difficoltà qualcuno si desse pena di tranquillizzarlo in quel modo.
Harry, però sapeva che nessuno l’aveva mai fatto per lui.
Era un gesto troppo materno e di certo non era da zia Petunia che a stento lo toccava.
Stanco di porsi domande aveva deciso di appellarsi al suo coraggio.
In fin dei conti c’era un motivo se era finito a Grifondoro, no?
Con uno sforzo non indifferente aveva alzato le palpebre e mai avrebbe immaginato di trovarsi davanti quella scena.
Sua madre gli aveva sorriso rassicurante, mentre quello che aveva l’aria di essere Regulus Black gli portava un calice di pozione da bere,l’unica persona non anacronistica era Madama Chips.
“Mamma …” aveva detto con un filo di voce.
“Sì, tesoro … Sei caduto dalla scopa e Reg ti ha portato in infermeria.”
Caduto dalla scopa?
Aveva sgranato gli occhi, tutto ciò non aveva il ben che minimo senso.
“Harry, bevi questa … Ti aiuterà per i dolori.” aveva detto Reg (?).
Troppo shockato per protestare, aveva ingurgitato l’intruglio tutto d’un fiato.
“Stai bene?”
“Io … Credo di sì …”
Effettivamente per essere morto, stava una favola!
Prima che potesse indagare oltre, la porta dell’infermeria si era spalancata ed un uomo con i capelli scompigliati tanto quanto i suoi aveva fatto irruzione nella stanza.
Inutile dire che una volta superata la confusione iniziale, Harry aveva finalmente realizzato di avere davanti i suoi genitori e quasi era scoppiato in lacrime.
“Sei sveglio …” aveva constatato inutilmente James, mentre si lasciava andare ad un sospiro di sollievo.
“Mi hai fatto prendere un colpo … ” aveva aggiunto dandogli un buffetto affettuoso sulla testa.
Harry aveva sorriso d’istinto, anche se non capiva nulla, era bello sapere che qualcuno si preoccupasse per lui -rettifica- che LORO lo facessero.
“Poppy, che ne pensi se facciamo entrare anche gli altri giusto per un saluto?” aveva detto Regulus.
L’infermiera non era parsa molto entusiasta della proposta e se qualcuno si fosse dato pena di domandarglielo, anche il ragazzo sdraiato nel letto con gli occhi sgranati, avrebbe suggerito di rimandare quel momento.
Non si era accolto delle altre due persone che erano entrate insieme a suo padre.
Uno era Remus, senza ombra di dubbio ed Harry quasi aveva urlato dalla gioia.
L’altra era una donna dai capelli scuri e gli occhi verdi che non aveva mai visto in vita sua.
L’aveva scrutata con interesse, notando che il sentimento fosse ricambiato.
“Reg, gli hai fatto qualche domanda per verificare se è ancora confuso?” aveva domandato rivolgendosi al fratello di Sirius.
“No, stavo aspettando che si riprendesse …”
“Forse è meglio evitare che entrino gli altri prima di fare questo test.”
L’uomo aveva annuito ed Harry aveva pensato che quella che aveva tutta l’aria di essere una guaritrice gli stesse leggendo nel pensiero, istintivamente aveva distolto lo sguardo.
“Bene … Ti farò delle semplici domande: Il tuo nome completo è? ”
“Harry James Potter” aveva risposto prontamente.
La medimaga aveva segnato una spunta su un foglio.
“Età?”
“Diciassette anni”
Nessun segno che la sua risposta fosse corretta questa volta, Lily aveva rivolto uno sguardo ansioso a James.
“I nomi dei tuoi genitori?”
“Lily e James …”
“Hai fratelli o sorelle?”
“No”
“Qual è il mio nome, Harry?”
“Io … Non lo conosco, mi dispiace.”
 “Bene, abbiamo finito …”
 Il test era stato un completo disastro.
Harry aveva la netta sensazione di aver azzeccato al massimo un paio di risposte, ne aveva avuto conferma dallo sguardo preoccupato della guaritrice.
Si era girato verso i suoi genitori, ma non aveva ottenuto nessuna rassicurazione.
Nell’ufficio dell’infermeria, Eleanor osservava sconcertata le risposte che aveva ricevuto.
“Che ne pensi?” aveva domandato Regulus.
“Io … Non lo so, non mi sono mai trovata in una situazione del genere … È come se finora avesse vissuto in un’altra realtà …”
“Ora che ricordo, Dylan mi ha detto che lo aveva scambiato per Sirius, ma credevo fosse dovuto alla caduta.”
“Forse lo shock gli ha causato una perdita temporanea di memoria con conseguente alterazione della visione della realtà.”
“Possibile … Forse è il caso di fare entrare gli altri, chissà che la loro presenza non lo aiuti a ricordare …”
Mentre Regulus andava ad avvertire le persone accampate fuori che Harry si era svegliato spiegando loro a grandi linee la situazione, Ellie si era diretta verso James e Lily che visibilmente preoccupati osservavano Madama Chips fare ulteriori controlli su loro figlio.
“C’è qualcosa che non va, vero?” aveva domandato la donna con la voce incrinata dall’ansia.
La sua migliore amica aveva annuito.
“Non ricorda molte cose ed è convinto di altre decisamente errate … Probabilmente è dovuto allo shock.”
Un unico sospiro si era levato dai due coniugi.
“Harry, ci sono state delle incongruenze nelle risposte che mi hai dato.” aveva detto la guaritrice rivolgendosi di nuovo al paziente.
Il ragazzo le aveva rivolto uno sguardo stranito.
“Tu ha quindici anni, hai appena iniziato a frequentare il quinto anno di scuola.”
La mascella di Harry avrebbe toccato tranquillamente il pavimento se non si fosse obbligato a tenere la bocca chiusa.
“Inoltre hai un fratello ed una sorella …” aveva aggiunto dopo aver dato al suo figlioccio il tempo di assimilare la notizia.
“Io mi chiamo Eleanor e sono la tua madrina …” aveva concluso con gli occhi un po’ lucidi.
Al giovane  sembrava di trovarsi in quel programma televisivo che guardava sempre Dudley in cui ad ignare vittime venivano propinati degli scherzi crudeli.
E poteva essere solo quello, un enorme sadico scherzo.
I suoi genitori erano morti quando aveva un anno, non aveva fratelli allora dubitava ne potesse avere in seguito.
Sirius non si era mai sposato, sempre che lui fosse il suo padrino.
Aveva resistito alla tentazione di darsi delle botte in testa per ricordare e contemporaneamente era arrivata la consapevolezza di dover trovare ad ogni costo il modo di capire cosa diavolo gli fosse capitato.
Non poteva sbilanciarsi troppo,se avesse spiegato loro la sua versione dei fatti, lo avrebbero ricoverato al San Mungo senza troppe cerimonie.
Prima che potesse  formulare un altro pensiero di senso compiuto, la porta dell’infermeria si era aperta di nuovo ed Harry aveva sentito un vero e proprio attacco di panico colpirlo.
C’erano un sacco di ragazzi davanti a lui, ma ne riconosceva al più due.
Eleanor aveva intuito i suoi pensieri.
“Riconosci qualcuno?”
“Ron ed Hermione …” aveva detto con la voce che tremava per via dell’emozione di vederli ancora vivi.
I due gli avevano rivolto un sorriso rassicurante.
“E … Nessun altro?”
C’era il ragazzo identico a Sirius, ma era quasi sicuro che non fosse lui, così si era limitato ad annuire.
Una ragazza dai capelli vermigli era scoppiata in lacrime ed Harry si era sentito uno schifo.
Quella doveva essere sua sorella, era identica a sua madre, ma aveva gli occhi di suo padre.
“Bene, allora credo che sia il caso di spiegarti un po’ di cose …” aveva continuato la guaritrice, facendo un cenno a James e Lily.
“Beh … Ashley, Alex … Venite qui.” aveva detto l’uomo prendendo l’iniziativa.
Due ragazzi con gli stessi lineamenti si erano fatti avanti, l’intuizione di Harry non era stata sbagliata.
“L-loro sono i tuoi fratelli maggiori, scricciolo …” aveva continuato James, cercando di suonare il più naturale possibile.
“James e Dylan sono i figli miei e di Sirius …” aveva ripreso nuovamente la parola Eleanor , il ragazzo più alto aveva fatto un cenno con la mano, mentre lquello che più somigliava al suo padrino era rimasto immobile, la sua espressione vuota aveva profondamente ferito Harry, anche se non riusciva a spiegarsi il motivo.
“E … John, Ted ed Andrea … Sono i figli miei e di Dora.” aveva concluso Remus mentre gli posava una mano sulla spalla per infondergli sicurezza come solo lui sapeva fare.
Il ragazzo aveva sgranato gli occhi nel notare che quello che era il suo figlioccio avesse praticamente la sua stessa età.
Un leggero sorriso gli aveva illuminato il volto.
I Mangiamorte non avevano risparmiato nemmeno lui ed Andromeda, era un gran sollievo vedere come, almeno in quel … posto, fosse riuscito a crescere con accanto i suoi genitori.
La testa gli pulsava dolorosamente mentre tentava di fare un po’ di ordine, a quanto sembrava aveva una famiglia.
Una numerosa famiglia.
Anche se non ricordava praticamente nulla di ognuno di loro.



Angolino di Arwen
Non linciatemi per il ritardo, mi rendo conto che sia immane … Quindi mi limito a chiedere umilmente perdono!
Non ho granchè da dire su questo capitolo, ho provato a spiegare tutto nella maniera più chiara che la mia mente contorta mi consentisse di fare.
Se doveste avere dubbi, come al solito, vi prego di contattarmi per avere dei chiarimenti e sarò ben felice di provare a rispondere!
Ringrazio di cuore chi recensisce la mia storia e chi dedica parte del proprio tempo anche solo a leggerla!
Affettuosamente vostra,
Arwen

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


Da quando James , Remus ed Eleanor se n’erano andati, Sirius aveva provato invano a concludere le relazioni che lo avevano tenuto impegnato tutto il pomeriggio.
Se Prongs fosse stato lì lo avrebbe sentito ripetere ancora una volta che dovevano essere le matricole ad occuparsi dei rapporti, non degli auror esperti e soprattutto non loro due.
Aveva sempre rimproverato al suo migliore amico di essere troppo indulgente con i novellini, trattamento che di certo non era stato riservato a loro: aveva ancora ben impresso in mente e su indice e medio della mano destra quanto potesse essere sadico Alastor Moody.
Era il terzo mese di addestramento e li aveva aspettati fin nell’Atrium, cosa che avrebbe dovuto insospettirli sin da subito, ma frastornati per le poche ore di sonno che ormai erano diventati consuetudine, non avevano fatto caso al sorriso che deformava il già malmesso volto dell’ex capo auror.
Si erano sentiti venir meno quando avevano trovato praticamente l’ intero archivio del Ministero della Magia accanto alle loro scrivanie ed il mago aveva annunciato loro che avrebbero dovuto ricopiare tutti i documenti,  James aveva dovuto stringergli il braccio in una morsa d’acciaio per impedirgli di insultarlo pesantemente.
Malocchio aveva sviluppato sin da subito una simpatia per loro due ed era stato grazie ai suoi insegnamenti che Prongs si era guadagnato il posto di capo e lui di vice.
Riscossosi dai suoi pensieri, Sirius aveva sbuffato ancora una volta.
Dannata burocrazia.
Dannate piume per scrivere.
E soprattutto dannati Mangiamorte che facevano stronzate, poi loro li arrestavano e dovevano compilare i dannati rapporti.
Emettendo il milionesimo sbuffo infastidito, si era voltato verso il cunicolo tramite il quale arrivava la posta dall’esterno.
Nessuna lettera.
Nessuna notizia.
La situazione doveva essere grave e lui era ancora in alto mare.
Se avesse continuato in quel modo, sarebbe stato lì in eterno.
I suoi figli si sarebbero sposati.
Sarebbe diventato nonno.
Sua moglie avrebbe trovato un altro uo… E no!
“Piantala cervello inutile. Meno pensieri dementi, più concentrazione.” aveva detto quasi ringhiando.
Al culmine della frustrazione aveva preso a sbattere la testa sulla scrivania e così lo aveva trovato Kingsley Shacklebot quando aveva fatto irruzione nell’ufficio.
“Shacklebot … Punto primo, si bussa. Punto secondo, oggi per te questo posto è off limits.” aveva detto Sirius prima di alzare lo sguardo e puntarlo sul collega.
Notando l’espressione ansiosa, era scattato in piedi.
“Che succede?”
“Mangiamorte. In un villaggio ad est di Nottingham, pare che si siano divertiti parecchio …”
“Voglio la tua squadra e quella di Stapleton pronte per partire tra cinque minuti. Mettete le protezioni, non ho intenzione di andare a funerali per i prossimi vent’anni.” aveva detto il vicecapo, mentre con fare pratico sistemava la guaina per la bacchetta nella manica destra della divisa.
L’auror aveva imboccato l’uscio, ma dopo qualche secondo era ritornato sui suoi passi.
“Black?”
Sirius lo aveva guardato con aria interrogativa.
“Come ci comportiamo con il ministro?”
“Non allarmatelo. Al momento non è in sede, gli parlerò io quando torneremo dalla missione.”
Con un cenno del capo Kingsley si era congedato.
“… Se torneremo …” aveva pensato in automatico prima di chiudere la porta dell’ufficio dietro di sé.
Era ancora il trentuno di Ottobre, poteva accadere qualunque cosa.
 
 
Erano da poco passate le nove quando l’infermeria si era svuotata grazie a Madama Chips che con il piglio di una tigre aveva convinto anche i preoccupatissimi genitori del suo unico paziente a levare le tende. Harry non aveva potuto fare a meno di sorridere, era rincuorante che l’unica persona che poteva dire di conoscere fosse la stessa di sempre.
Regulus era rimasto ancora un po’ a fargli compagnia ed aveva scoperto in lui un interlocutore davvero piacevole.
Gli aveva parlato un po’ dei suoi fratelli, aveva scoperto che avessero diciassette anni, quindi quell’anno avrebbero terminato la scuola.
A conti fatti i suoi genitori erano nati prima, si erano sposati prima e quindi avevano avuto dei figli prima del 1980, anno in cui era nato lui.
Aveva scoperto che Remus era il padrino di Alexander,mentre Piton di Ashley.
Questo significava che le cose erano andate diversamente anche tra sua madre ed il suo migliore amico.
Regulus stesso non sembrava essere stato tra le fila dei Mangiamorte.
Mentre si perdeva in quelle riflessioni, si era scoperto a domandarsi se in quel mondo Voldemort esistesse.
Magari era andata diversamente anche per Tom Riddle, probabilmente anche lui aveva avuto una famiglia accanto che lo aveva amato e quell’odio folle che aveva animato i suoi occhi fino al momento in cui la morte lo aveva colto, non avrebbe avuto ragione di esistere.
Nel petto aveva sentito chiaramente diffondersi il tepore della speranza.
Con fare distratto si era passato una mano tra i capelli ed aveva rivissuto il momento in cui era stata sua madre a fare lo stesso gesto.
Non poteva credere di aver finalmente conosciuto i suoi genitori e se anche poteva sentirne le voci al di là delle porte dell’infermeria, non poteva capacitarsi che fosse vero.
La testa aveva iniziato a pulsare e per placare il fastidio Harry aveva preso a massaggiarsi le tempie.
Sapeva di avere bisogno di riposo, ma proprio non riusciva a non ripercorrere le ultime ore della sua “vita”.
Eppure era convinto di essere morto.
Doveva assolutamente saperne di più, non appena fosse stato dimesso sarebbe andato alla ricerca di qualche informazione.
Si era accoccolato meglio sotto le coperte ed aveva abbassato le palpebre, dopo tanto tempo poteva concedersi di dormire senza temere che accadesse qualcosa di spiacevole durante la notte.
Prima che Morfeo lo prendesse tra le sue braccia, nel turbine di pensieri che gli stipavano la mente, due profondi occhi nocciola ed una chioma color rame avevano avuto la meglio ed Harry si era sentito in pace con il mondo.
 
 
Il corridoio antistante l’infermeria era interamente occupato da un nutrito gruppo di persone. Solo gli adulti avevano iniziato a conversare fitto, i ragazzi erano per lo più in silenzio, tutti troppo sconvolti da quello che era accaduto qualche minuto prima.
“Almeno sembra che stia bene …” aveva detto James con un tono che aveva tutta l’aria di voler convincere sé stesso prima di ogni altro.
Lily aveva annuito mestamente.
“Comunque è piuttosto strano …” era intervenuta Eleanor.
“Lo penso anch’io, generalmente le amnesie non sono selettive …” aveva convenuto la sua migliore amica.
“Esatto … È come se il suo cervello avesse fatto una cernita, ma non capisco in base a quale criterio …”
“Certamente non è cronologica …” aveva detto Remus pensoso.
“Apparentemente non ha una logica …”  aveva convenuto James mentre si passava stancamente una mano sul viso.
Si era voltato ed aveva visto sua figlia accanto alla finestra, le spalle ancora scosse dai singhiozzi.
“Hey principessa …” aveva detto avvicinandosi.
“Non ci posso credere, papà … N-non è possibile.”
James se l’era stretta al petto.
“Vedrai che Harry ricorderà molto presto … Magari è stato lo shock della caduta a fargli perdere la memoria …”
Ashley aveva accennato un sorriso.
Non poteva essere così semplice, ma pur di tirarle su il morale, suo padre avrebbe affermato che i Puddlemore United fossero la squadra migliore di sempre ed era tutto dire dato che lui tifava per i Cannoni di Chudley.
Aveva annuito asciugandosi le lacrime con una mano.
“Come va a lavoro?” aveva domandato per cambiare discorso.
“Al solito … Il tuo ultimo anno ad Hogwarts come procede?”
“Bene … Come sempre … ” aveva risposto la ragazza facendo spallucce.
“Nessuna novità?” aveva detto James con uno strano scintillio negli occhi.
La giovane si era trattenuta dal ridergli in faccia.
Sapeva dove volesse andare a parare, ma non era assolutamente in grado di fare il subdolo con lei.
“No, papà … Ma anche se uscissi con qualcuno non te lo direi.” aveva risposto con un ghignetto malevolo.
“Sei diabolica come tua madre!” aveva detto l’uomo indignato.
Notando il sopracciglio inarcato di sua figlia, aveva continuato
“… Ma io devo saperlo, per capire se è un bravo ragazzo … Se appartiene ad una buona famiglia, se ha la fedina penale sporca … Decisamente avrebbe diecimila punti a suo favore se decidesse di non avere rapporti sessuali fino al matrimonio!”
“Papà!” aveva risposto la ragazza mentre diventava della stessa tonalità dei suoi capelli.
“Anche se fosse impotente … Anzi credo che per quello gli darei un bonus!”
Ashley aveva sgranato gli occhi incredula ed Alexander si era accasciato a pochi metri da loro, reggendosi gli addominali.
“Perché queste reazioni? Sono serio!”
“Appunto!” avevano risposto i due praticamente in coro.
“Figli ingrati …” aveva mormorato James, mentre tornava da dove era venuto.
“Sei sempre il solito …” aveva detto Lily, mascherando il divertimento.
Sapeva quanto suo marito fosse geloso della sua bambina e deriderlo su quel punto poteva diventare pericoloso.
Eleanor aveva annuito con vigore.
James le aveva guardate male.
“Toh, guardate James ed Alex sono con due ragazze …” aveva detto infido.
“DOVE?!” avevano praticamente urlato le due donne in coro.
“Come osa stare vicino ad una ragazza in mia presenza!” aveva detto Eleanor, infervorata.
“Siete senza speranza … ” aveva detto Remus alzando gli occhi al cielo afflitto.
“… Tutti.” aveva aggiunto notando il suo migliore amico che gongolava.
James per tutta risposta gli aveva fatto una smorfia.
“Beh, tutto sommato vi vedo tranquilli … Quindi Harry sta bene!” aveva detto una donna con i capelli rosa mentre procedeva verso di loro con la veste che si gonfiava dietro di lei tanto da fare invidia a quella di Piton.
“Dora!” aveva detto Lily contenta di rivedere la sua amica dopo tanto tempo.
“Come sei … “ aveva iniziato Eleanor alla ricerca della parola esatta.
“Svolazzante? Sì, lo so … Ho chiesto a Severus di dirmi chi gli confezionava gli abiti e mi sono fatta fare questo bel mantello per la divisa da insegnante … Non incute un certo timore?!” aveva detto con gli occhi che brillavano.
 “Assolutamente!” avevano convenuto le altre due donne.
Remus si era dato una manata in fronte disperato.
“E menomale che è Harry quello che ha sbattuto la testa … ”
Dora lo aveva bellamente ignorato.
“Scusate se non vi ho raggiunti prima, ma il preside è rientrato solo qualche minuto fa e non potevo lasciare la Mc Granitt da sola con Severus imbufalito e Filius mezzo brillo … Da quando la Sprite mi ha ceduto il posto di Capocasa, ho più responsabilità … ” aveva detto con un sorriso ripensando al piccolo professore di Incantesimi che quella sera era diventato rubicondo tanto quanto Hagrid.
“Nooo… Ubriaco Vitious?” aveva domandato James incredulo.
“Non hai idea di quanto!” aveva risposto con una risata.
Dopo qualche istante Dora era già stata messa al corrente di tutta la faccenda.
“Silente verrà non appena i ragazzi saranno rimandati nei dormitori, forse lui potrà dirci di più … ” aveva detto pensierosa.
Per evitare di rimuginare ancora su quella storia che la stava facendo impazzire, Lily aveva domandato
“Dev’essere bello stare dall’altro lato della barricata per una volta … Vero insegnante di Difesa contro le Arti Oscure?”
“Sì, lo è … Soprattutto dare punizioni, ma dato che quelli che le beccano con maggior frequenza sono i nostri figli, non è così divertente!” aveva risposto Dora.
“Serviva qualcuno che li tenesse d’occhio …” aveva aggiunto Remus mentre rispondeva al sorriso che gli aveva fatto Andrea da lontano.
“Tra me, Regulus e Severus non dovrebbero avere scampo, ma sono diventati astuti … Soprattutto i piccoli … ”  aveva detto con un sospiro, guardando prima Lily e poi Eleanor.
“Tali padri…”
“… Tali figli.”
 
Era buio pesto per le strade del paese, le uniche fonti di luce erano le bacchette dei venti auror che si erano materializzati sul posto.
“Barrymore, Callaghan … Provate a riparare l’impianto elettrico, non possiamo farci luce con le bacchette …” aveva detto Sirius, mentre con i sensi all’erta tentava di guardarsi intorno.
“Sì, capo…” avevano risposto i due prima di allontanarsi.
Dopo pochi minuti, il lampione che sovrastava il gruppo aveva preso vita sputacchiando.
L’improvviso cambio di illuminazione li aveva resi ciechi, Sirius doveva ancora riaprire gli occhi quando aveva sentito Kingsley al suo fianco trattenere il fiato.
Quando finalmente si era abituato alla luce ed aveva potuto inquadrare la strada principale della cittadina, aveva desiderato non averlo mai fatto.
Sui marciapiedi giacevano decine di cadaveri, alcuni smembrati altri apparentemente integri.
Sulla fronte di ognuno di loro, marchiata a fuoco la scritta “Muggle”, come se fosse la peggiore delle colpe.
Sirius aveva stretto le mani tanto da farsi sbiancare le nocche ed era stato il primo ad avventurarsi in quel viale della morte.
Nessun suono, nemmeno un alito di vento.
“Dawlish …” aveva chiamato con voce più ferma di quanto pensasse.
“Sì capo?”
“Raccogliete queste persone da terra e fate in modo che abbiano una degna sepoltura …” aveva detto.
“Agli ordini.”
“Shacklebot… Tu vieni con me.”
Aveva poi ripreso il suo cammino in quel paese che era più che certo non avesse più nemmeno un abitante in vita.
Man mano che si avventuravano verso il centro, la scena diventava sempre più macabra.
I muri delle case erano ricoperti di sangue e scritte di scherno evidentemente rivolte a loro.
Il rumore di un qualcosa di viscido che veniva calpestato lo aveva spinto a voltarsi.
“Ah, che schifo … Chissà cosa ho pestato!” aveva detto Kingsley, mentre si chinava per osservare l’oggetto incriminato.
Sirius aveva represso un conato di vomito quando si era  accorto che era un mezzo fegato.
Il collega non ce l’aveva fatta ed aveva dato di stomaco proprio dietro ad un cespuglio.
I mangiamorte avevano trovato da poco un nuovo modo per divertirsi, torturare ed uccidere le vittime non bastava più.
Le facevano letteralmente saltare in aria.
“Credo che abbiano fatto piazza pulita.” aveva detto Kingsley, mentre si teneva una mano sullo stomaco.
“Così pare …” aveva soffiato l’altro.
“Possiamo tornare indietro … Non è compito nostro ripulire questo posto. A breve dovrebbe arrivare la squadra di Stevenson.“ aveva aggiunto Sirius voltandosi.
D’improvviso si era bloccato, aveva avvertito un rumore.
“L’hai sentito anche tu?” aveva domandato al collega.
“Sì … Sembra che provenga da quella casa!” aveva detto Kingsley indicando un’abitazione piuttosto malmessa.
Una parte di essa era stata rasa al suolo, mentre l’altra sembrava sul punto di cadere su se stessa come un castello di carte.
“Andiamo a controllare … Stai attento Shacklebot, non voglio averti sulla coscienza!”
“Vale lo stesso per te, Black …”
Si erano avvicinati cautamente all’ingresso e si erano addentrati nella casa.
Sirius aveva sentito lo stomaco contrarsi dolorosamente.
Una foto ritraeva una bella famigliola in vacanza, c’erano due ragazzini: uno sembrava avere l’età di Dylan e l’altro giusto qualche anno in meno.
Quello scempio poteva capitare alla sua di famiglia o a quelle dei suoi amici.
Voldemort doveva essere fermato.
Il rumore che li aveva attirati nella casa, lo aveva riscosso dai suoi pensieri.
“Sembra che provenga dal piano di sopra …” aveva detto Kingsley.
“Resta qui … Salgo io.” aveva risposto Sirius.
“Black, non fare l’idiota … Non ti reggerà mai, questa casa sta cadendo a pezzi … ”
“Se c’è qualcuno ancora vivo dobbiamo salvarlo …” aveva detto prima di inerpicarsi su per le scale, quando era quasi a metà un pezzo di intonaco era atterrato proprio poco sotto di lui, alzando una nuvola di polvere.
“Sirius, torna indietro!” aveva detto Shacklebot supplice.
“Non fare la femminuccia, King!” aveva risposto l’altro, tentando di sdrammatizzare.
Il collega lo aveva visto sparire al piano di sopra.
Di nuovo quel rumore.
Ormai Sirius era certo che ci fosse qualcuno.
Temendo che si trattasse di una retroguardia dei mangiamorte, aveva spalancato la porta di quella che si era rivelata essere la camera matrimoniale.
Aveva osservato tutto l’ambiente a partire dal soffitto fino ad arrivare al pavimento.
Non sembrava esserci traccia di nemici.
Un lamento sommesso lo aveva portato a fare il giro del letto ed intrappolato sotto una pesante cassettiera, aveva trovato un gatto rosso che tentava di liberarsi.
“E così, eri tu a fare tutto quel rumore …” aveva detto Sirius, prima di spostare il mobile e tirare su l’animale che aveva le zampette posteriori evidentemente fratturate.
“Non preoccuparti … Ti porto via da qui.” aveva aggiunto carezzando il micio che sembrava essersi tranquillizzato.
“Tutto bene?” la voce di Kingsley era rimbombata in tutta la casa.
“Sì, sto scendendo …”
Cautamente aveva rifatto il percorso a ritroso.
“Un gatto?”
“Già … Almeno qualcuno lo hanno risparmiato.” aveva risposto sarcastico.
Kingsley aveva appena messo un piede fuori di casa, quando questa aveva iniziato a tremare, prima che potesse dire qualcosa si era ritrovato le unghie del gatto conficcate nel torace ed un rumore assordante aveva accompagnato l’alzarsi di una fitta nuvola bianca.
“SIRIUS!”
 
 
Dylan aveva mosso qualche passo davanti la porta dell’infermeria, aveva lo sguardo perso e nella sua testa si stava combattendo una vera e propria battaglia.
Era contento che Harry stesse bene, ma il fatto che non ricordasse nulla di lui era stato come una pugnalata in pieno petto.
Aveva sentito la mano di Ted posarsi sulla sua spalla.
“Ho bisogno di staccare il cervello … Mi ci vorrebbe un bella bevuta.” aveva detto senza nemmeno voltarsi.
“Non è la soluzione …” erano state le uniche parole che il suo migliore amico si era sentito di pronunciare.
Gli occhi color ghiaccio di Dylan lo avevano perforato.
“E poi a momenti sarà qui anche tuo padre …”
Maledizione.
Ci mancava solo lui.
Adorava suo padre, letteralmente, ma purtroppo avevano lo stesso carattere e spesso diventava impossibile instaurare una qualsiasi comunicazione pacifica.
Aveva abbassato le palpebre e tratto un profondo respiro.
“No, non reggo ad una conversazione con lui …  Vorrà sapere cosa è successo per filo e per segno e sembrerà un interrogatorio più che altro.” aveva detto deciso.
“Io vado … ”
“Dove?  È  quasi l’ora del coprifuoco …”
“Mi ha mai fermato?”
... “Non metterti nei guai …”
“Non succederà …”
Eleanor aveva tenuto gli occhi puntati su suo figlio dall’inizio alla fine, sapeva che quello che era accaduto pocanzi lo aveva turbato, confidava che gliene avrebbe parlato, ma era diventato freddo, come faceva sempre quando qualcosa non andava e gli si leggeva in faccia che voleva sparire.
Lo aveva visto spostarsi nella sua direzione.
“Chips … Io vado.”
La donna aveva inarcato un sopracciglio, quel delinquente aveva preso l’abitudine di chiamarla per cognome e nonostante gli avesse palesato il suo fastidio, continuava imperterrito.
“Dovresti aspettare l’arrivo di tuo padre …”
“Devo proprio?”
“Sì … Non vi vedete da fine Agosto, possibile che non ti manchi nemmeno un po’?”
“Non ho detto questo.”
Ecco, aveva usato le parole sbagliate ed ora si ritrovava di fronte un muro.
“Dy, capisco il modo in cui ti senti, ma Harry starà meglio te lo assicuro …”
“ È  mai capitato che zia Lily non ricordasse nemmeno il tuo nome?”
La donna aveva aperto bocca senza emettere alcun suono, quindi l’aveva richiusa.
“Ecco … Non puoi saperlo. Ora, ti prego, posso andare?”
James si era avvicinato a loro.
“Puoi smettere solo per un secondo di fare lo scorbutico ?” aveva detto andando in soccorso della madre.
Dylan lo aveva fulminato con gli occhi.
“Aspetta altri cinque minuti, poi puoi andare dove vuoi e … Ho la mappa quindi sta attento a come ti muovi.” aveva detto, serio.
Era sempre stato molto protettivo nei confronti del suo fratellino ed ultimamente si era reso conto di alcuni cambiamenti che non gli piacevano, quindi aveva raddoppiato i controlli.
“Che c’è? Giochi a fare l’investigatore?” aveva domandato suo fratello velenoso.
Prima che James potesse rispondere, una voce profonda lo aveva ammutolito.
“Possibile che voi litighiate sempre?”
Dylan aveva abbassato le palpebre.
Era arrivato, doveva mantenere il controllo di sé.
“Hai fatto tardi …” aveva notato Eleanor, prima di voltarsi e trattenere il respiro.
Sirius era sporco di polvere dalla testa ai piedi, aveva un taglio sulla fronte e le mani ricoperte di graffi.
“Che …” aveva iniziato a dire,avvicinandosi a suo marito.
“Sto bene … Non fare quella faccia … ”
“Sirius! Che cosa è successo?” aveva detto James mentre gli correva incontro seguito a ruota da Remus.
“Mangiamorte. Ad est di Nottingham. Nessun superstite.”
“Perché non sono stato informato?” aveva detto Remus pallido.
“Kingsley voleva avvisarti, ma gli ho detto di non impensierirti … In ogni caso la tua presenza sarebbe stata più utile qui.”
“Sirius, io sono il ministro della magia … Esigo che mi si venga detto quando uno dei miei migliori amici va a rischiare il culo da qualche parte!” aveva risposto Remus, guardandolo intensamente.
“Remus, non essere volgare!” aveva detto Sirius scandalizzato.
Per tutta risposta aveva ricevuto uno scappellotto sulla nuca.
“Mi dispiace fratello … Ti ho mollato da solo ed è successo il finimondo … ” aveva detto James dispiaciuto.
“Tranquillo Prongs, purtroppo quando siamo arrivati era troppo tardi … Non c’erano mangiamorte in giro. L’unica creatura viva, a parte noi, era un gatto.” aveva detto mostrando le mani e sorridendo cupamente.
James aveva scosso la testa affranto.
Come potevano essere così disumani.
“Harry?” aveva domandato Padfoot apprensivo, mentre si allontanava da Eleanor che lo stava studiando come se gli stesse facendo un controllo completo solo con gli occhi.
La cosa spaventosa era che ne fosse realmente capace.
“Hai una costola incrinata …” aveva detto.
Sirius aveva fatto finta di non sentire.
“Sta bene, a quanto sembra, ma non ricorda tutto quello che dovrebbe …”
L’amico l’aveva guardato stranito.
“Del tipo?”
“Non sa di avere dei fratelli , chi sia Eleanor … Non ha riconosciuto nemmeno Dylan.” aveva detto Lily avvicinandosi.
L’animagus aveva sgranato gli occhi ed aveva istintivamente cercato con lo sguardo suo figlio.
Lo aveva trovato di spalle, immobile.
Era leggermente più alto di quando lo aveva lasciato e senza dubbio era ferito a morte.
“Provo ad entrare … Voglio vedere il mio figlioccio.” aveva detto risoluto.
“Io vado al ministero, ci sarà bisogno di interloquire con il primo ministro babbano. Tenetemi aggiornato!” aveva detto Remus che dopo aver salutato tutti ed aver dato un bacio sulla fronte ad Andrea e Dora, si era allontanato.
Sirius lo aveva visto andare via e si era sentito orgoglioso di lui, Moony sarebbe stato il miglior ministro della storia del mondo magico e non.
Sospirando aveva bussato piano alla porta.
Regulus l’aveva aperta per invitarlo ad entrare.
“Sapevo che saresti arrivato tardi, come al solito … Ho chiesto a Poppy di farti rimanere qualche minuto con Harry, non vuole fare preferenze solo perché sei il marito di Eleanor, ma mi ha accontentato … ” aveva detto guardandolo per la prima volta da quando lo aveva fatto entrare.
Sirius gli aveva sorriso.
“Merlino santissimo, cosa ti è successo?” aveva detto il medimago con gli occhi sgranati.
“Niente di che … Sono a posto.”
“Questo lo giudicherò io …” aveva detto alzandogli con il pollice una palpebra.
“Reg …” aveva tentato di opporsi l’altro, mentre il fratello continuava il controllo scendendo verso l’addome.
“Hai una costola …”
“… Incrinata … Lo so, saluto Harry e poi potrai giocare all’allegro guaritore quanto ti pare.”
Regulus gli aveva rivolto uno sguardo scettico e gli aveva lasciato il passo.
Harry aveva gli occhi chiusi, ma non sembrava dormire sereno.
Il sudore gli imperlava il volto ed aveva la fronte aggrottata.
Incurante di essere lercio, Sirius si era seduto accanto a lui e gli aveva passato una mano sulla fronte per spianarla.
Piano il giovane aveva aperto gli occhi.
Quando lo aveva visto, Harry aveva temuto di essersi sbagliato di nuovo, ma aveva sentito chiaramente l’odore del suo padrino pervadergli le narici.
Sirius.
Gli era mancato da morire.
“Sirius!” aveva detto scattando a sedere inforcando gli occhiali.
“Di solito mi chiami zio, ma va bene così … Mi fa sembrare più figo!” aveva detto l’uomo ridacchiando.
Il ragazzo aveva sentito gli occhi farsi lucidi.
In quel posto viveva una vita completamente diversa, la stessa che aveva sempre desiderato.
Era cresciuto con gli amici di suo padre, come se fossero una grande famiglia.
“Tutto bene figlioccio?” aveva domandato il mago, notandone lo sguardo vacuo.
“Sì … Solo, non ricordo alcune cose e …”
“Non preoccuparti, vedrai che piano, piano tutto diventerà più chiaro, ne sono sicuro …”
E mentre guardava in quegli occhi color ghiaccio, Harry aveva avuto l’assoluta certezza che sarebbe andata come aveva detto il suo padrino.
D’improvviso aveva notato il taglio che sanguinava sulla sua fronte.
“Ma cosa?” aveva detto preoccupato.
“Nulla di che, sto bene … I soliti mangiamorte.” aveva risposto l’uomo con noncuranza e ad Harry era caduto un macigno sulle spalle.
Voldemort.
“Harry, credo proprio di dover andare … Zia Chips mi guarda male e Regulus non vede l’ora di farmi un check up completo. Ci vediamo domani, cerca di riposare.” aveva detto passandogli una mano tra i capelli.
Il ragazzo aveva annuito ancora troppo sotto shock per parlare.
La porta dell’infermeria si era chiusa di nuovo e lì nel buio aveva maturato la consapevolezza che non aveva alcuna importanza il dove si trovasse, la sua maledizione lo avrebbe inseguito ovunque.
 
Era più di un quarto d’ora che Sirius era sotto il controllo incrociato di sua moglie e suo fratello.
Dylan non si era mosso di un millimetro da quando lo aveva visto arrivare in quelle condizioni.
Era stato più forte di lui, istintivamente si era voltato ed aveva serrato le palpebre.
Non adesso.
Non di nuovo.
Aveva ancora vivido nella mente il momento in cui Dora aveva comunicato a lui ed Harry che i loro padri erano rimasti vittime di un agguato e che erano in condizioni critiche al San Mungo.
Suo padre non poteva morire, non poteva andarsene e lasciarlo solo.
Non gliel’avrebbe mai perdonato.
Ed a distanza di due anni eccolo di nuovo ferito, anche se lievemente.
E con lui quella sensazione di ansia che non lo aveva più abbandonato da quel maledetto giorno.
Doveva andarsene, ma non poteva senza avergli nemmeno rivolto la parola.
“Dy …”
Ted.
“Sì?”
“Sta bene …  È  appena uscito dall’infermeria, sta venendo verso di noi …”
Il piccolo Lupin lo aveva visto indossare la sua solita maschera di indifferenza.
“Ciao Ted …” aveva detto Sirius.
“Ciao zio Sir …” aveva risposto il ragazzo prima di allontanarsi.
Nel frattempo Eleanor e James avevano raggiunto il resto della loro famiglia.
“Hey …”
“Ciao papà …” aveva detto Dylan voltandosi.
Sirius lo aveva osservato con attenzione.
A volte gli faceva impressione guardarlo, gli sembrava di vedere se stesso quando aveva quindici anni.
“Stai bene?” gli aveva domandato cautamente.
“Meravigliosamente.” era stata la risposta sarcastica.
Dylan non voleva trattare male suo padre, ma in quel momento non riusciva a controllarsi.
“Ho solo domandato …”
“Io ho risposto.”
“Non essere insolente, Dylan … ”
Il ragazzo aveva serrato i denti.
“Senti, posso capire come ti senti, ma trattare male il mondo non servirà a nulla … Quindi, piantala di comportarti come un poppante.” aveva sbottato Sirius, sapeva di aver commesso un errore, ma aveva avuto una giornata interminabile ed era solo preoccupato per lui, non ci stava a farsi trattare da schifo.
“Agli ordini.”
“Non sfidare la mia pazienza …”
“Capisci, eh? La verità è che nessuno ha idea di come mi senta … LA PRIMA PAROLA DEL CAZZO CHE IO HO PRONUNCIATO  È  STATA IL SUO NOME, te lo ricordi o dato che non sono James il figlio perfetto, l’hai dimenticato? TU non puoi capire, nessuno può farlo.
Adesso se permettete,il poppante va a farsi un  giro.”
E così dicendo aveva imboccato le scale.
Era talmente fuori di sé che non si era reso conto di essere salito sulla Torre di Astronomia fin quando l’aria fredda della notte non gli aveva colpito il viso.
Cosa diamine c’era che non andava in lui?
Suo padre voleva solo parlargli e lui lo aveva aggredito.
Sentiva tutto il peso di quello che era successo quel giorno appesantirgli il corpo, si era trascinato così verso il suo posto preferito.
Non era visibile dalla porta e per raggiungerlo bisognava arrampicarsi sul cornicione della torre.
Provato com’era aveva rischiato di mancare più d’un appiglio, ma con fatica era riuscito ad issarsi su, ed aveva scrutato l’orizzonte.
Lì sopra niente poteva toccarlo.
Nessun problema, nessuna sofferenza.
C’erano solo lui e la notte.
“Non dovresti stare sulle tegole … Sono instabili.”
“Credevo che a Corvonero vi insegnassero a non uscire dopo il coprifuoco.”
“Lo fanno anche a Grifondoro, ma voi siete troppo scemi per capirlo.”
“Non ho voglia di parlare.”
“Non sono qui per questo.”
Il rumore di passi lungo il cornicione aveva spinto Dylan a scattare in avanti.
“Che stai facendo? Scendi immediatamente, rischi di cadere.”
“Solo se lo fai anche tu.”
Sbuffando il ragazzo si era calato giù dal tetto.
“Contenta?”
“Adesso sì … ”
Andrea aveva puntato gli occhi ambrati sul profilo di Dylan che osservava un punto lontano senza nemmeno vederlo.
Era completamente assorto nei suoi pensieri.
“Hai discusso con tuo padre?” aveva domandato, mentre stendeva meglio il mantello del ragazzo per accomodarvisi sopra.

“Andrà tutto bene …” aveva aggiunto accoccolandosi accanto a lui e posandogli la testa sulla spalla.
Dylan l’aveva guardata mentre, incurante del freddo, stava seduta a terra accanto a lui.
Era l’unica che riuscisse a capirlo, con lei non aveva bisogno di parole, mai.
“Andrea?”
“Mmm?”
“Promettimi che non ti dimenticherai mai di me.”
 
 

 
 
 
Angolino di Arwen
Ebbene sì, sono proprio io … Pensavate di esservi liberati di me!
Ottimisti!!
Dopo un’ assenza di circa due mesi (credetemi se vi dico che sono stati i più lunghi della mia ciofane vita) eccomi di ritorno.
Ho deciso di aggiornare innanzitutto questa fic perché la trascuravo da un po’, ho tantissime idee per il prosieguo, ma se non si trova il bandolo della matassa iniziale, non si può andare avanti.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e se non dovesse risultare chiaro qualche passaggio, sentitevi pure liberi di contattarmi per chiedere delucidazioni, sarò felicissima di rispondere!
Come sempre, ringrazio tutte le persone che recensiscono questa storia, nonostante le epiche attese per gli aggiornamenti, e coloro che dedicano un po’ del proprio tempo anche solo a leggerla.
Affettuosamente vostra,
Arwen
 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

La notte di Halloween era da sempre un evento per chi frequentava Hogwarts, il banchetto era più abbondante del solito e le leccornie preparate dagli elfi sembravano ancora più succulente agli occhi degli studenti che iniziavano il conto alla rovescia per gustarle, sin dal primo giorno di scuola.
Neville Paciock ne era probabilmente tra i sostenitori più accaniti, ma quella sera, al contrario di ogni previsione, aveva perso completamente l’appetito.
“Neve, le mangi quelle ali di pollo che hai nel piatto?” aveva domandato Seamus Finnigan constringendo il giovane a spostare gli occhi dalle porte della Sala Grande.
“Eh? No … No, prendile pure …” aveva risposto con fare distratto.
L’orologio aveva appena battuto le dieci, ma dei suoi amici non c’era traccia.
Harry e Dylan erano la quintessenza del ritardo, ma che Hermione, Ted e soprattutto Ron non fossero lì ad abbuffarsi, era assolutamente inconcepibile .
E se … No, non era accaduto nulla.
L’anno scorso erano fuori dai confini di Hogwarts quando Harry era stato rapito ed era sicuro al cento per cento che quegli scapestrati non si sarebbero allontanati dalla scuola infrangendo un triliardo di regole per la loro sicurezza.
Ted non gliel’avrebbe permesso.
Una fugace visione del povero ragazzo legato ed imbavagliato nella Stanza delle Necessità, lo aveva spinto a mordersi le labbra.
Si era voltato ed aveva passato in rassegna tutto il tavolo di Corvonero, quando la sua visuale era stata offuscata da una divisa, aveva alzato gli occhi per incontrarne un paio nocciola che conosceva bene.
“Mi stavi cercando?” aveva domandato una ragazza dai capelli color rame.
“No Ginny, stavo controllando se ci fosse Andrea …”
“È andata via un paio di minuti fa, non ha voluto che l’accompagnassi … ” aveva detto corrugando la fronte.
“Pensi sia accaduto qualcosa?” aveva poi domandato con uno scintillio di comprensione nello sguardo.
“Non lo so, mi sembra strano che non ci sia nessuno al banchetto, ecco … Alexander ha iniziato a fantasticarci su da stamattina all’alba …”
Ora a cui, tra l’altro, lo aveva buttato giù dal letto.
“Ora che mi ci fai pensare, non ho visto nemmeno Ashley … Eppure stasera sarebbe stata di ronda con uno dei nostri Caposcuola … ” aveva detto la  giovane con fare pensoso.
“Il mistero si infittisce …” aveva aggiunto Neville, mentre sentiva tutte le speranze di una serata tranquilla abbandonarlo.
“Il fatto che poi mio cugino non si stia abbuffando a morte, è estremamente preoccupante … ”
Neville non aveva potuto fare a meno di sorridere.
Ginny era l’unica figlia di Gideon Prewett e Hestia Jones, aveva perso i genitori qualche anno prima ed era stata accolta in casa di sua zia Molly come una figlia.
Era una ragazza vivace e attenta, aveva dimostrato una forza fuori dall’immaginabile nell’affrontare il lutto che le aveva sconvolto la vita.
Smistata a Corvonero aveva stretto una profonda amicizia con Andrea Lupin, le due non si separavano mai ed il fatto che la figlia del Ministro non avesse accettato la sua compagnia era tutto dire.
Un silenzio teso era calato tra i due ragazzi, ciascuno immerso nelle più improbabili ragioni che avessero spinto il resto della combriccola a tardare.
Nessuno dei due era disposto ad accettare un’incursione di Voldemort nelle loro vite, non ancora una volta, non di nuovo in quel giorno.
Il brusio che faceva da sottofondo alla cena in Sala Grande si era improvvisamente interrotto, riportando i due alla realtà.
Meccanicamente le loro teste si erano spostate alle porte che fino ad allora sembravano essere state sigillate.
Il Preside era sulla soglia in compagnia di un altro mago che aveva tutta l’aria di essere un Auror.
Neville aveva assottigliato lo sguardo per mettere meglio a fuoco ed aveva inquadrato la figura di suo padre.
Il professor Piton si era diretto immediatamente verso i due uomini, avevano scambiato qualche parola ed i nuovi arrivati avevano imboccato il corridoio svoltando a sinistra.
Verso i sotterranei, nella direzione dell’infermeria.
D’un tratto quelle che erano semplici spiegazioni al ritardo di un gruppo di ragazzi troppo casinisti, avevano preso una piega differente.
Neville e Ginny si erano scambiati uno sguardo preoccupato, obbligati a fare i conti con la realtà dei fatti.
Il ragazzo aveva appena accennato ad alzarsi quando una mano si era posata sulla sua spalla destra, si era voltato in quella direzione per incontrare gli occhi del suo professore di Pozioni.
“Non ci provare, Paciock … Tuo padre ti manda a dire di non muoverti da qui.” aveva detto con un tono più tagliente di quanto desiderasse.
Neville aveva aperto bocca, ma era evidente che non fossero richieste repliche.
“Andrà tutto bene…” aveva aggiunto l’uomo, addolcendo il tono e dirigendosi nuovamente verso il tavolo degli insegnanti.
Ginny accanto a lui aveva perso qualche sfumatura di colore, tanto che la panna sulla torta al cioccolato al confronto con il suo viso sembrava sporca.
Potter non le era mai piaciuto più di tanto, avevano due caratteri, a suo avviso, completamente contrastanti, ma trattandosi di uno dei migliori amici di suo cugino Ron, frequentava spesso la Tana e lei aveva dovuto abituarsi alla sua fastidiosa presenza.
Negli ultimi periodi, però avevano abbandonato il piede di guerra e quanto meno non si urlavano dietro improperi nei corridoi, almeno fino a quando quel babbuino con gli occhiali non aveva intrapreso una relazione amorosa con un’oca del quinto anno con la quale, per sua sfortuna, era obbligata a dividere la Sala Comune.
Aveva desiderato durante ogni partita di Quidditch Grifondoro contro Corvonero che quel dannatissimo Potter acciuffa boccini, con un pessimo gusto in fatto di donne, si fratturasse molto dolorosamente qualcosa o che un Bolide lo colpisse in piena testa per mitigare la sua disarmante stupidità; ma ora di fronte all’evidenza che gli fosse davvero capitato qualcosa, non provava la soddisfazione che si era aspettata, forse perché non si trattava di uno stupido infortunio sportivo, forse perché probabilmente Potter aveva rischiato la vita per mano di Voldemort, ancora una volta o forse perché, anche se odiava ammetterlo, la presenza di Harry non era poi tanto fastidiosa.
Si era voltata verso Neville che sembrava aver perso il dono della parola ed istintivamente aveva notato qualcosa di anacronistico, proprio dietro di lei , una ragazza dai lineamenti orientali, discuteva animatamente con le sue amiche lanciando occhiate di fuoco in direzione della porta, poi in uno scatto di nervosismo si era strappata dal collo una collanina, l’aveva gettata nel piatto e come una furia era uscita di scena.
Ginny si era scoperta a scuotere il capo, a giudicare da ciò a cui aveva appena assistito, poteva affermare quasi con certezza che non era affatto vero che a Corvonero venissero smistate le persone più argute.
 
 
Albus Silente, preside della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, era considerato il mago più potente di tutti i tempi, la sua grandezza non era mai stata messa in dubbio, nemmeno dopo l’ascesa al potere del mago oscuro che terrorizzava sia il mondo magico che quello babbano e si faceva chiamare con lo pseudonimo di Lord Voldemort.
Il vecchio mago incarnava in sé molte amabili qualità tra le quali, senza ombra di dubbio vi era la pazienza, o almeno così egli stesso credeva fino a quel pomeriggio.
Era stato convocato al Ministero della Magia da Cornelius Caramell che era stato uno dei suoi più cari amici fino a quando non si era trovato a fronteggiare, nelle elezioni politiche tenutesi due anni prima, uno dei suoi più brillanti studenti. Da allora lo aveva ritenuto, secondo un criterio che ancora si sforzava di cogliere, responsabile del tracollo della sua carriera ai vertici delle istituzioni magiche ed aveva preso le distanze.
Visti i precedenti, il professore era parso alquanto sorpreso della missiva che gli era stata recapitata quella mattina presto.
Consapevole di non poter rifiutare un colloquio richiesto in via ufficiale, era partito alla volta del Ministero, desideroso di rientrare il prima possibile.
Non aveva dimenticato ciò che era accaduto l’anno prima e non voleva abbandonare il castello più a lungo del necessario.
Caramell era un ometto piuttosto tarchiato con l’espressione leggermente corrucciata di chi si trova perennemente immerso nei  propri pensieri, fin sulle sopracciglia cespugliose faceva, in ogni stagione, bella mostra di sé una bombetta color verde acido, che dava un tocco di vivacità ad una figura che di suo, proprio non ne aveva.
Silente lo aveva trovato seduto alla scrivania, intento a scrivere con foga su una pergamena.
Era entrato nell’ufficio arredato in maniera talmente pomposa che sembrava rispecchiasse l’indole del suo occupante e prima di richiudersi la porta alle spalle, aveva salutato, gentile.
Per tutta risposta l’ex ministro aveva abbandonato la  piuma sul tavolo con studiata lentezza per poi assumere un’espressione di malvagità mista a trionfo che aveva spinto il vecchio Preside a sospirare, sicuro ormai che il suo desiderio di tornare in Scozia a breve, sarebbe rimasto inesaudito fino a notte fonda.
E così era stato.
Caramell militava tra i maghi che si opponevano strenuamente al governo di Remus Lupin, ostacolandone le proposte di legge ed aumentando esponenzialmente le tempistiche degli interventi. Il buon ministro non si era, però mai perso d’animo e con il piglio che solo lui possedeva aveva fatto valere le sue ragioni e promulgato tutte le norme che riteneva fossero necessarie per il benessere del mondo magico.
Inutile dire che, nonostante il periodo di terrore in cui, si era trovato a governare, aveva migliorato la qualità della vita per tutti.
Ormai i Lupi Mannari potevano considerarsi integrati a pieno all’interno della società, gli elfi domestici, sebbene inizialmente scontenti del provvedimento, avevano apprezzato la presenza di un sindacato che li tutelasse.
Le relazioni internazionali con i Giganti si potevano ritenere prospere e fruttuose, così come i rapporti con i Goblin che avevano incrementato di molto i fatturati del Regno Unito magico grazie alla propria abilità nel commercio.
L’unico ambito in cui il ministro aveva deciso di non intervenire era  quello dell’istruzione, semplicemente perché riteneva che Hogwarts fosse perfetta esattamente com’era; ed era proprio su questo punto che invece batteva l’opposizione.
Con la sua vocetta untuosa, Caramell aveva illustrato a Silente le intenzioni della sua fazione di controllare la qualità degli insegnamenti impartiti nella sua scuola. Riteneva infatti che, il Ministro, assolutamente incompetente in merito, sottovalutasse il clima di panico che il ragazzino visionario e la sua famiglia di squinternati stavano diffondendo,  plagiando deliberatamente le giovani menti.
Il Preside aveva scosso il capo rassegnato, numerose volte aveva provato a far ragionare Cornelius convincendolo che Voldemort era tornato sul serio, ma egli si ostinava a non vedere. Per fortuna non era più il Ministro altrimenti, Silente ne era sicuro, sarebbe morto più d’un innocente a causa della sua cecità.
Remus non aveva tardato ad arrivare e si era aperta un’accesa discussione in merito al fatto che non fosse assolutamente necessario inserire nessun Commissario Speciale a vigilare sull’operato di chi insegnava ad Hogwarts, ma dopo più di dieci ore passate a discutere e solo a seguito del benestare del Preside, il Ministro aveva dovuto cedere alle pressioni per quieto vivere.
La scelta del supervisore spettava a Caramell, quindi il semestre avrebbe messo a dura prova tutti.
Di certo Silente non avrebbe permesso a nessuno di turbare la serenità dei suoi studenti, anche se da quanto aveva appreso da Severus, non c’era bisogno di quell’inetto per farlo.
A quel pensiero, un’onda magica si era propagata per tutta la scuola, Frank al suo fianco, aveva sentito l’energia risalirgli per la spina dorsale e si era voltato a guardarlo.
Non era uomo che si spaventasse facilmente, ma l’espressione di Silente in quel momento lo aveva fatto sentire come un bimbo piccolo dopo un terribile incubo.
 
Le persone riunite nei pressi dell’infermeria avevano avvertito la presenza del Preside prima ancora di vederlo arrivare.
Quando aveva svoltato l’angolo aveva trovato tutti in piedi ad attenderlo.
“Buonasera … ” aveva salutato cordiale, l’ombra che gli aveva offuscato il viso, completamente svanita.
“Ciao Albus .. ” aveva risposto James andandogli incontro per stringergli la mano.
“Severus mi ha spiegato a grandi linee quello che è accaduto … ”
“A cosa pensa sia dovuta la perdita di memoria?” aveva domandato Lily che non aveva mancato di cogliere una strana sfumatura nelle parole del Preside.
“Spero che Poppy mi faccia entrare in modo che io possa tentare di scoprirlo …”  era stata la risposta in tono allegro.
La signora Potter si era sciolta in un sorriso al pensiero del potente mago che temeva le ire dell’infermiera della scuola.
Congedandosi il preside aveva bussato e Regulus lo aveva lasciato entrare.
“Come sta?”
“I parametri sono nella norma, ora riposa … ” aveva risposto il medimago.
“Pensi che potrei avvicinarmi al letto senza che la cara Madama Chips, mi amputi un arto?”
“Certo, Poppy è in medicheria … Ma si sbrighi, sa che diventa irascibile quando trova persone in infermeria dopo l’orario di chiusura.”
Dopo essersi scambiati uno sguardo divertito i due avevano preso direzioni differenti.
Quando era a pochi passi dal letto in cui riposava Harry, Silente si era arrestato ed aveva assottigliato lo sguardo.
L’aura magica che avvertiva era indubbiamente quella del Bambino Sopravvissuto, ma c’era qualcosa che al contempo la rendeva completamente diversa, come se appartenesse ad un’altra persona.
Aveva  mosso la bacchetta per rivelare eventuali incantesimi utili a celare la vera identità, ma non vi era traccia di nulla di simile.
Harry non si era accorto della sua presenza, dormiva come se non avesse avuto la possibilità di riposare per mesi.
Silente era rimasto ancora un po’ a fissarlo, desideroso di cogliere qualcosa che lo aiutasse a capire, ma era impossibile giungere ad alcuna conclusione senza un dialogo.
Era uscito dall’infermeria giusto qualche minuto prima dell’arrivo di Madama Chips.
I suoi occhi avevano incontrato quelli apprensivi di Lily e per la prima volta non aveva la minima idea di cosa dire.
 
 
Quando Remus era arrivato al numero 10 di Downing Street, era notte fonda.
Si era voluto smaterializzare in un vicolo lì vicino, desideroso di godere di un po’ di aria fresca, prima dell’incontro con il primo ministro britannico.
La strada era illuminata dalla luce tenue dei lampioni e a fargli compagnia c'era la luna crescente.
Si era incantato a guardarla, era bellissima eppure da ragazzo l’aveva odiata più di qualunque cosa al mondo. Era la causa di tutti i suoi problemi, del suo non poter essere come tutti gli altri.
Si era ripromesso che se fosse riuscito a diventare talmente importante da poter cambiare realmente le cose, avrebbe fatto in modo che non sarebbe stata più un problema per le persone come lui.
Era sulla buona strada per riuscirci.
Sulla nuca avvertiva gli sguardi della sua scorta, sicuramente opera di James.
Di solito non consentiva a nessuno di accompagnarlo, se non ai suoi migliori amici.
Il pensiero di quanto stava accadendo ad Hogwarts lo aveva spinto ad accelerare il passo.
Voleva essere accanto a James per aiutarlo a sopportare quell’ennesima batosta e accertarsi delle condizioni di salute di Sirius.
Era il ministro della magia, ma prima di tutto un Malandrino.
Con un sospiro, aveva salito gli scalini che conducevano alla porta di ingresso.
Prima che potesse suonare il campanello, un uomo vestito di nero e con un auricolare lo aveva lasciato entrare.
“Signor ministro, il suo ospite è arrivato …” aveva detto guidando Remus per il lungo corrioio.
Era una routine che si ripeteva in occasione di ogni incontro.
Una volta giunti davanti all’ufficio, l’agente aveva aperto la porta lasciandogli il passo.
“Buonasera Remus …” aveva detto un uomo dai capelli brizzolati e vivaci occhi scuri che brillavano al di sopra di occhiaie marcate.
“Ciao George …” aveva detto il ministro della magia, con un lieve sorriso ad increspargli le labbra.
Erano buoni amici da tempo immemore, infatti mai collaborazione tra babbani e maghi si era rivelata più proficua.
“Mi dispiace infinitamente per quello che è accaduto nei pressi di Nottingham … I miei auror sono arrivati troppo tardi … ” aveva continuato, mortificato.
“Dispiace anche a me … Posso offrirti qualcosa da bere? Scotch, Bourbon?”
“Un bicchiere di scotch andrà benissimo, grazie … ”
George si era alzato dalla sua poltrona in pelle e con mani tremanti aveva riempito due bicchieri piuttosto capienti.
Ne aveva porto uno a Remus e si era appoggiato alla scrivania con il capo chino.
“Sai Rem, sono stanco di questa situazione … Oggi ho dovuto incontrare i familiari delle vittime … Delle millecinquecento vittime. Non ho più parole per dare conforto. Non ho più speranza per riempirle.”
Il licantropo aveva chiuso gli occhi e sospirato.
Lo sapeva bene cosa significava dire ad un padre che non avrebbe più rivisto i suoi figli, ad una moglie che non avrebbe avuto più la possibilità di vivere la quotidianità con suo marito.
Per cosa poi? Più si sforzava di comprenderlo e più gli sembrava una gigantesca cazzata che si dovesse arrivare a tanto in base a degli ideali completamente malati.
Lo sapeva bene Remus, perché due anni prima, aveva dovuto guardare negli occhi le mogli dei suoi migliori amici dicendo loro che non sapeva se sarebbero sopravvissuti.
Aveva dovuto guardare anche nei suoi di occhi e darsi la stessa, orribile notizia.
George lo aveva guardato a lungo, poi aveva parlato distogliendolo dalle sue riflessioni.
“Cosa possiamo fare?”
“Purtroppo più di quello che stiamo facendo, nulla …”
“Perché tutto questo odio nei nostri confronti? Rispetto a voi siamo indifesi, come può un “babbano”, come dite voi, difendersi contro una bacchetta? Dove sta lo scontro corretto?” aveva domandato, nel tono una rabbia crescente.
Remus aveva ghignato con amarezza, lasciandolo spiazzato.
“Non esiste un perché George, semplicemente questa testa di cazzo, si è svegliato una mattina ed ha deciso che tutti quelli che non hanno il sangue puro, sono feccia. Lo sei tu, lo sono io, lo sono i miei amici, i miei figli, gli amici dei miei figli e così discorrendo.
Credi che perché abbiamo una bacchetta siamo al sicuro? Che noi abbiamo maggiori probabilità di sopravvivere e ce ne sbattiamo dei vostri morti? Non è così, amico mio … Te lo posso assicurare.” Aveva detto tutto d’un fiato, il respiro accelerato per via del nervosismo.
Sapeva perfettamente che George non intendeva dare la colpa a nessuno di loro, ma aveva bisogno di dire quelle cose.
Di farlo ad alta voce.
L’altro lo guardava con gli occhi sbarrati, sentire Remus parlare in quel modo era occasione più unica che rara.
Dopo qualche istante aveva parlato.
“Non c’è nessuna soluzione a questa faccenda?”
“Una ci sarebbe, ma significherebbe dargliela vinta su tutti i fronti.”
Il primo ministro lo aveva guardato con aria interrogativa.
“Chiudere i passaggi dimensionali, confinare i maghi nel mondo magico … In questo modo noi non potremmo uscire e voi non potreste entrare … “
“E che cosa comporta esattamente?”
“Che faremmo il gioco di Voldemort … La magia resterebbe off limits per i nati babbani.”
George aveva emesso un sospiro di frustrazione dalle labbra semichiuse.
Come potevano agire? Come potevano proteggere migliaia e migliaia di persone senza fare il gioco di quel folle?
Si era passato una mano sul viso, poi aveva parlato
“ E se arrivassimo al punto di non poter fare altro, Remus? Vale la pena sacrificare la vita di tutte queste persone ? ”
“No, niente vale delle vite … Ma questo è un genocidio in piena regola, pensa di trovarti catapultato ai tempi della seconda guerra mondiale .. Hitler aveva i suoi campi di sterminio, Voldemort un gruppo di bastardi armati di bacchetta e delle peggiori intenzioni … Troverebbe un modo per aggirare l’ostacolo e continuerebbe più spietato e feroce di prima.”
Un sospiro affranto aveva accompagnato la fine della frase.
Remus sentiva la bile risalire su per la gola, nella bocca ancora il sapore del liquore costoso che gli era stato offerto.
Se George decideva di cedere, avrebbero perso ben più di un collegamento tra i loro mondi.
“Cosa consigli di fare a questo punto?”
“Resistere.”
 
Si era congedato subito dopo, una volta uscito in strada aveva fatto cenno ad uno degli auror che lo stava osservando da dietro un albero.
Dopo aver superato lo sgomento di essere stato individuato sebbene avesse metà del corpo disillusa, l’uomo gli si era avvicinato.
“Signore ...”
“Buonasera Hasting …”
L’auror gli aveva fatto un cenno di saluto.
“Voglio che restiate qui a sorvegliare questa casa per stanotte … Da domani darò ordine che venga fatto quotidianamente … Resterei io stesso …”
“Non posso permetterglielo.”
“… Appunto, mi dispiace dovervi domandare questo sacrificio.” Aveva continuato.
“È il nostro lavoro.”
“Grazie, davvero.”
Hasting lo aveva guardato sgranando leggermente gli occhi.
Si sorprendeva ancora dei modi di Remus.
Era il ministro della magia eppure non si sentiva al di sopra di nessuno.
D’improvviso una consapevolezza
“Signore, non possiamo lasciarla andare da solo … La casa dovrà rimanere scoperta fino a quando non la sapremo al sicuro.”
“Non ce n’è bisogno… Restate pure qui.”
“Ma signor ministro … Il capo ci ha dato l’ordine tassativo di …”
“Tranquillo Theodore … Sono parole sprecate con lui. Rimanete qui, ci penso io a portarlo a casa.
Tra tre ore vi manderò il cambio.” Aveva detto un uomo con gli occhiali sopraggiunto in quel momento.
“Agli ordini, capo.” E dopo averli salutati, era ritornato alla sua postazione.
“Non mi aspettavo che venissi … ”
“Non potevo lasciare i miei auror in balia dei tuoi “non ce n’è bisogno”, “state tranquilli”,”parlerò io al vostro capo” e via discorrendo …” aveva fatto un cenno con la mano come per dire che avrebbe potuto continuare all’infinito.
“James ..”
“Remus, quando lo capirai che sei il ministro della magia e hai bisogno di una scorta?!”
Moony aveva sospirato affranto.
“Ok, al momento non sono dell’umore per discutere … ”
Prongs lo aveva guardato con maggiore attenzione.
“”L’incontro è andato male?”
“Dipende da ciò che intendi … ”
“Ti ha urlato contro, preso a schiaffi o roba del genere?”
“No… È stato cordiale, mi ha offerto dello Scotch …”
James aveva inarcato un sopracciglio.
“Tu non bevi.”
“Lo so … ”
Il sopracciglio di Prongs aveva quasi raggiunto l’attaccatura dei capelli.
“Ad un certo punto mi sembrava quasi propenso a chiudere i passaggi dimensionali …”
James aveva sgranato gli occhi
“Merda.” Aveva soffiato prima che potesse impedirselo.
“Già… E sai qual è il punto? Per un momento ho pensato di consigliargli di farlo, di chiudere i ponti, di dimenticarsi della nostra esistenza … La verità è che non siamo in grado di proteggere nessuno da Voldemort e il peso di questa consapevolezza mi sta schiacciando.”
“Remus, non sei Merlino… Non puoi vegliare sulla vita di tutti,  stai facendo un lavoro magnifico e ne verremo a capo, ne sono certo … ”
“Io non più, è questo il punto …” il sapore del vomito gli aveva pervaso la bocca e prima che James potesse aiutarlo stava già dando di stomaco dietro un cassonetto.
Dopo qualche minuto si era rialzato ed aveva inspirato profondamente dal naso, passandosi un fazzoletto di stoffa sulla bocca.
Le sue iniziali erano state ricamate sull’angolo superiore nel modo più orribile che potesse esistere. Con un lieve sorriso James aveva pensato a Tonks che si dedicava al punto a croce.
“Non preoccuparti … Sto bene, volevo farlo da quando ho saputo dell’attacco.”
“Se continui di questo passo ti ammalerai … Vuoi dell’acqua?”
Moony aveva scosso il capo.
“Harry?”
“Dormiva … Silente ha fatto una capatina in infermeria per vedere come stesse, ma di fatto non ci ha detto nulla  e la cosa mi preoccupa … Non poco.”
“Sono sicuro che non appena avrà modo di discutere con lui, riuscirà a darci qualche risposta in merito …”
Si era battuto una mano in fronte come se si fosse appena ricordato di qualcosa.
“Cosa?”
“Da domani ad Hogwarts sarà in servizio un supervisore nominato da Caramell …” aveva detto il nome dell’ex rivale con disprezzo.
James lo aveva guardato, sconvolto.
“Non guardarmi in quel modo… Ho passato un intero pomeriggio a spiegargli che non era una buona idea, alla fine Silente stesso mi ha detto di accettare … ” aveva detto sospirando.
“Si sa già di chi si tratta?”
Remus aveva annuito rabbrividendo.
“Dolores Umbridge.”
“CHI??”
“Già … Ma non temere ho intenzione di mandarvi tutti i weekend a darle filo da torcere … ” aveva detto Moony mellifluo.
James era scoppiato a ridere.
“Bentoranto messer Moony … ” aveva detto inchinandosi.
“Grazie messer Prongs… Così potrete tenere d’occhio anche i ragazzi …” aveva detto più a se stesso che all’amico che però aveva colto ed aveva annuito con vigore.
“A proposito di adolescenti da tenere sotto controllo … Sirius come sta?” aveva domandato.
“Meglio … Regulus quasi ha dovuto tramortirlo per visitarlo.”
“Avrebbe fatto un favore a tutti ….”
Si erano guardati ed erano scoppiati a ridere, poi James aveva tirato fuori un boccino
“Portus.”
“Una passaporta? Dove andiamo?”
“Ad Hogwarts, Silente ci ha invitati a rimanere per la notte … Sembrerà di essere tornati ai tempi della scuola!” aveva detto Prongs con gli occhi  che brillavano.
“ Sarebbe meraviglioso poterlo fare sul serio.” aveva replicato Remus malinconico.
Aveva allungato la mano afferrando l’oggetto e dopo qualche secondo erano spariti.
Poco distante da loro, un’ombra aveva fatto lo stesso.
 
 
Nella scuola di magia regnava la quiete, le persone che occupavano il corridoio sui cui davano le porte dell’infermeria si erano recate nelle più disparate zone del castello.
James aveva aiutato sua madre e zia Lily a portare un piccolo bagaglio a mano negli appartamenti che Silente aveva offerto loro per la notte.
Insieme a lui c’era Alexander, si poteva dire che fossero praticamente inseparabili.
L’atmosfera non era delle più allegre, ognuno era perso nei propri pensieri.
Un suono metallico li aveva riportati al castello.
“Merda!”
“Mamma!” aveva detto James, scandalizzato.
Eleanor era arrossita, gli anni di vicinanza con Sirius non avevano fatto bene alla sua dialettica.
“Che succede Ellie?” aveva domandato Lily, nascondendo un sorrisetto.
“Lancaster. Cercapersone.” aveva risposto quasi ringhiando.
Da quando il direttore della clinica aveva introdotto quegli aggeggi babbani modificati con la magia, non viveva più.
La cosa più terribile era che dopo le prime due chiamate, compariva un ologramma di quell’orrido ometto e ai poveri guaritori toccava sopportare una spiacevole conversazione con lui.
Lily aveva fatto una smorfia disgustata.
“Sei reperibile?”
“No, non lo sono ... Infatti mi domando come sia possibile che mi abbia contattata.”
Alexander aveva assunto un’ espressione preoccupata.
“Forse è capitato qualcosa di grave …” aveva detto più a se stesso che agli altri.
Le due donne si erano rivolte uno sguardo terrorizzato, ma prima che potessero dare voce ai propri pensieri, una voce fuori campo le aveva arrestate.
“James e Remus sono arrivati … Stanno camminando proprio qui fuori, li vedo.”
Entrambe avevano ripreso a respirare.
“Beh, in ogni caso mi tocca andare … ” aveva detto Eleanor sconsolata, alzando gli occhi verso suo marito che, seduto sul davanzale, fumava una sigaretta.
“Non credo sia legale che ti contatti a suo piacimento obbligandoti ad andare lì quando gli pare.”
“Lo so, ma non voglio intavolare una discussione né con lui, né con il suo ologramma.”
“Ti accompagno ad Hogsmeade per smaterializzarti... ” aveva detto Sirius e subito dopo aveva spento la sigaretta e fatto evanescere il mozzicone.
“Può usare la metropolvere signora Black, il camino è aperto … ”  la voce di Silente era echeggiata per la stanza.
James aveva sgranato gli occhi.
“Come fa a sapere sempre tutto?” aveva detto ed Alex aveva fatto spallucce.
“È Silente.”  Aveva replicato, come se tanto bastasse.
“Grazie, signor preside.”
“Allora a dopo … Vengo a prenderti quando finisci.”
“No, non … ”
“Non te lo sto domandando, Eleanor.”
La donna aveva guardato male suo marito.
Era scosso, lo conosceva bene. Lo nascondeva, come sempre, ma il comportamento di Dylan lo aveva ferito.
Aveva deciso di non replicare e gli aveva lasciato un bacio sulla guancia.
“A dopo ragazzi … James, per favore, non sparire … Voglio parlare con te quando torno... Se mai riuscirò a farlo!” aveva detto in direzione di suo figlio, poi si era infilata nel caminetto e nascosta da una fiamma verde, era scomparsa.
Il ragazzo si era voltato verso suo padre in cerca di risposte.
“Non ho idea di cosa debba dirti … ” aveva risposto quello con l’aria sorpresa tanto quanto la sua.
“Voi non dovreste essere nei vostri dormitori adesso?”
“Andiamo, zia Dora … ” aveva detto Alex esasperato.
“Sono una vostra insegnante qui e voi dovete rispettare le regole … ”
I due ragazzi avevano alzato le sopracciglia.
“Altrimenti potrei togliervi dei punti e farvi finire sotto Tassorosso nella sfida per la Coppa delle Case!” aveva aggiunto grattandosi il mento con fare pensoso.
“Non lo faresti!” aveva detto James, sconvolto.
“Si chiama giocare sporco …” era intervenuto Alexander.
“Mettetemi alla prova …”
“Sei sicura di non essere la responsabile di Serpeverde??” aveva domandato James con un ghigno.
“Sparite!!” aveva risposto Tonks indispettita, mentre tentava di nascondere un sorriso.
“È proprio quello che mia madre mi ha detto di non fare … ”
“Questo ragazzo è irritante quasi quanto te, sai Sirius?”
L’interessato aveva ghignato.
“Fidati, questo aspetto lo ha preso dalla madre!”
Lily era scoppiata a ridere per la scenetta.
“Va bene, dato che vi divertite tanto, dite a mia madre che sono andato via perché mi insultavate … ” aveva detto sdegnoso ed era uscito.
“James …” lo aveva richiamato suo padre.
Aveva fatto capolino dalla porta.
“Direttamente nel dormitorio, non fate deviazioni, per oggi ne ho abbastanza di casini … Ok?”
James aveva annuito.
I due si erano richiusi la porta alle spalle.
“Sono esausto … ” aveva detto Alex mentre si passava una mano sugli occhi.
“È stata una giornata …”
“Di merda.”
“Esattamente … Chissà Dylan che fine ha fatto …”
“Controlla sulla Mappa, l’hai con te, giusto?”
James aveva annuito ed aveva infilato la mano nella tasca della divisa trovandola vuota.
Si era girato verso Alex.
“Sei sicuro di averla presa?”
“Sì, l’ho usata quando eravamo di fronte all’infermeria …”
“Allora ripercorriamo mentalmente quello che hai fatto …”
“Ci siamo alzati e l’avevo appena riposta, poi abbiamo salutato tuo padre e mio zio … Ci siamo spostati e …” si era battuto una mano in fronte.
“Cosa?” aveva domandato Alex, poi aveva compreso.
“L’ha presa Ted.” Avevano detto praticamente in coro.
 
 
Nel frattempo, l’oggetto della loro discussione, era appena giunto nei pressi di uno dei passaggi segreti che usavano di solito per uscire da Hogwarts.
Dylan se n’era andato, quindi voleva rimanere da solo ed in tutta onestà anche lui aveva bisogno di riflettere.
Si era rigirato la mappa tra le mani, aveva assistito alla discussione che il suo migliore amico aveva avuto con il fratello maggiore.
Non voleva essere trovato e James non avrebbe esitato a cercarlo, così lo aveva reso irreperibile.
Aveva sorriso compiaciuto.
Il passaggio era abbastanza alto e largo da consentirgli di camminare senza difficoltà.
Il pensiero che la tranquillità che avevano raggiunto con tanta fatica era andata a donne di malaffare gli faceva torcere lo stomaco.
Non aveva nemmeno avuto la possibilità di parlare con suo padre.
Aveva paura, anche se detestava ammetterlo. Queste incursioni di Voldemort nella loro vita, erano solo una dimostrazione del fatto che poteva colpirli duramente quando voleva.
Suo padre era il ministro della magia, una persona scomoda, da eliminare.
Il pensiero di perderlo lo aveva fatto rabbrividire violentemente e lo stomaco gli si era contratto ancora di più.
Si era massaggiato le tempie per scacciare il pensiero.
Doveva essere forte, ora che i suoi amici erano in balia degli eventi, lui doveva essere in grado di riportarli al qui e ora, sempre.
Si era dipinto un bel sorriso sul viso, prima di aprire il quadro che chiudeva il passaggio.
“Hey Abe!!”
“Ted, che ci fai qui a quest’ora e soprattutto da solo?” aveva domandato il proprietario della Testa di Porco, diffidente.
“È una lunga storia … Hai tempo per una partita a scacchi?”
“Sì, il locale è chiuso …” aveva risposto.
Quel ragazzino gli era sempre piaciuto, era intelligente e sensibile, un’ottima compagnia.
“Il solito?”
“Sì, grazie … ” aveva risposto il giovane.
Intanto che il barista si affaccendava attorno al banco, aveva aperto la Mappa e dopo aver pronunciato la formula magica, aveva dato uno sguardo alla situazione.
Notando il cartiglio di Dylan, aveva inarcato un sopracciglio. Poi aveva recuperato il cellulare e gli aveva inviato un messaggio.
Era stato il loro progetto estivo, prendendo ad esempio quello che aveva fatto il direttore del San  Mungo con i cercapersone, avevano sistemato dei telefonini in modo che funzionassero all’interno dei confini di Hogwarts e li avevano dotati di tante piccole funzioni che li rendevano proprio … Magici, sì era la parola adatta.
Da quando suo padre aveva allentato le restrizioni della magia tra i minorenni, consentendo loro di compiere gli incantesimi più semplici al di fuori della scuola, le vacanze erano diventate molto più interessanti.
Aberforth gli aveva messo davanti un bel bicchiere di latte ed un sandwich, lo stomaco di Ted aveva brontolato rumorosamente.
Il ragazzo era arrossito.
“Si vedeva da un miglio che non avevi cenato …” aveva detto l’uomo.
Era conosciuto per essere un tipo burbero, ma con Ted e gli altri due Grifondoro scalmanati che gli facevano quelle visite notturne, era molto cortese ed attento.
“Per ringraziarti, ti farò scegliere il colore …” aveva detto l’altro, mentre prendeva un generoso sorso dal bicchiere.
“Sempre nero, lo sai … ”
“A noi due, allora … ”
 
 
Dylan percorreva i corridoi della scuola, sicuro come se avesse con sé la Mappa, era talmente abituato a girovagare di notte, che riusciva a captare anche il minimo movimento ed a trovare un rifugio prima di beccarsi una punizione, un’altra. L’ennesima.
La sua andatura non era minimamente alterata dal peso della ragazza profondamente addormentata che reggeva tra le braccia.
Avevano parlato a lungo e quando si era chiuso in uno dei suoi soliti silenzi, Andrea aveva ceduto alla stanchezza.
L’aveva osservata per un po’, perso nei ricordi della giornata.
Più ripercorreva con la mente le ore appena trascorse e meno capiva come fosse possibile che quello che era praticamente la sua ombra, non ricordasse nemmeno il suo nome.
Non  credeva che avrebbe fatto tanto male, inconfutabile dimostrazione che quel suo mostrarsi così intoccabile era, appunto solo apparenza.
Qualcosa si era incrinato in lui, nell’esatto momento in cui Harry lo aveva chiamato con il nome di suo padre.
Suo padre.
Un altro bel casino.
Grande, più o meno, come l’universo.
Aveva trattenuto uno sbuffo di frustrazione.
Perché doveva essere tutto così dannatamente complicato?
Non voleva mostrarsi debole, mai … Soprattutto di fronte a lui.
Si sentiva nell’ombra di James da quando era stato abbastanza grande per capire.
Amava suo fratello, come … Beh, non aveva nemmeno un termine di paragone tanto era immenso quello che sentiva.
Come poteva essere diversamente?
James gli aveva insegnato un sacco di cose interessanti, lo aveva portato a giocare con sé quando era troppo piccolo per uscire da solo, aveva coperto le sue malefatte infantili.
Poi quando erano diventati grandi, le cose erano diventate difficili, soprattutto dopo che loro padre aveva rischiato la vita.
Dylan era cambiato, per autodifesa si era chiuso in se stesso senza lasciare a nessuno la possibilità di avvicinarsi troppo.
Persino alla sua famiglia, ai suoi amici.
Harry e Ted, però aggiravano le sue barriere, lo riscaldavano con la loro presenza.
PERCHÈ?
Perché a loro?
Non lo avrebbe mai capito.
La rabbia gli  aveva contratto i muscoli del collo ed aveva scosso il capo per tentare di rilassarsi.
Un leggero bip lo aveva fatto arrestare, sapeva bene di cosa si trattava.
Sperava che qualche Serpeverde stesse infastidendo ancora Ted.
Era il figlio del Ministro ed un bersaglio facile per la sua pacatezza.
Si sarebbe divertito un mondo a prenderli a calci in culo.
Con un po’ di difficoltà  aveva reperito il cellulare e letto quanto appariva sullo schermo.
Il tuo cartiglio è decisamente troppo vicino a quello di mia sorella.
Spostati altrimenti sarà il tuo culo a subire maltrattamenti.

Aveva trattenuto a stento una risata.
Incredibile, anche a distanza, intuiva i suoi pensieri.
Prima che giungessero all’ingresso della Sala Comune, Andrea aveva aperto gli occhi.
“Mi hai portata in braccio fin qui?” aveva domandato ancora mezza addormentata, mentre Dylan la poggiava a terra.
“Avevo pensato di farti levitare, ma non mi pareva il caso … ”
“Ho troppo sonno per insultarti, buonanotte D” aveva detto prima di sparire dietro un muro.
“’Notte Andy.” aveva risposto il ragazzo con un sorriso.
Aveva preso a percorrere la  strada a ritroso, ma non aveva alcuna intenzione di andare nel dormitorio, i pensieri che tanto provava a tenere a bada lo avrebbero assalito una volta posata la testa sul cuscino.
Doveva assolutamente tenersi occupato.
D’improvviso la malsana idea di prendere il Nottetempo ed andare a fare un giro a Londra, c’era un club nei pressi del Tamigi dove spesso era andato a scaricare la rabbia in eccesso.
Tornava sempre un po’ ammaccato, ma ne valeva la pena.
Quando combatteva era un’altra persona, niente problemi, niente Voldemort.
Era appena arrivato alle porte del castello, per fortuna ancora aperte.
Gazza doveva essere stato trattenuto e sospettava che a dargli l’espediente fossero stati Fred e George Weasley.
Con un sorriso, aveva varcato la soglia prima di immobilizzarsi alla vista della persona che gli sbarrava la strada.
“Dove credevi di andare?”

“Avanti, argomenta.”
“Da nessuna parte …”
“Non è la prima volta che esci di notte … È pericoloso Dylan, quante volte devo ripetertelo?”
Il ragazzo si era limitato a fissare l’uomo che aveva di fronte con espressione neutra.
“Volevo solo fare un giro.”
“Credevo che dopo oggi avessi finalmente capito che nemmeno Hogwarts è sicura di questi tempi.”
Dylan aveva sbuffato.
“Pensi che mi diverta a farti da balia?”
“Nessuno te l’ha chiesto.”
“Non giocare a questo gioco con me, ragazzino. Sai quanto posso essere sgradevole se lo desidero.” Gli occhi color pece ridotti a fessure.
“Ti preferisco quando siamo in aula e fingi che io non esista.”
Piton aveva abbozzato un sorriso, poi gli si era avvicinato e gli aveva posato una mano su una spalla.
“Come stai?” aveva domandato scrutando il nipote acquisito più da vicino.
“Me la cavo … ”
“So che hai dato spettacolo oggi …” aveva buttato lì.
“Zio Severus, non voglio parlarne.”
“Io non ho mai avuto tanti amici Dylan, tuo padre si premurava affinché ogni mia giornata fosse infernale e tuo zio, beh … All’epoca non andavamo granchè d’accordo. Non facevo altro che tenermi dentro ogni dispiacere e questo mi ha avvelenato, sono diventato uno stramaledetto figlio di puttana e solo per un caso fortuito non sono diventato un mangiamorte. Esprimere le proprie emozioni non significa essere deboli, ma saggi.”
Il giovane lo aveva guardato.
“Credo che la saggezza non mi appartenga affatto.”
“Sì, lo credo anch’io …  Ma puoi provare a sorprendermi!” aveva detto con il chiaro intento di sbeffeggiarlo.
Dylan lo aveva guardato di sbieco, ma non aveva potuto impedirsi di alzare uno degli angoli della bocca in un ghignetto che lo faceva apparire più che mai simile a Sirius.
Piton gli aveva fatto cenno di fare dietrofront e non aveva protestato, sapeva che sarebbe stato inutile.
“Ah, quasi dimenticavo … 20 punti in meno a Grifondoro.”
“Cazzo, apparteniamo alla stessa famiglia!”
“Ripeti?”
“Perdinci, condividiamo anche i pasti durante le feste!”

“Fila, prima che decida di punirti!”
 
 
Sirius era rimasto accanto al camino, ad aspettare i suoi amici. Lily era letteralmente crollata sul divano accanto a lui e sebbene avesse ponderato più volte l’idea di svegliarla per dirle di andare a letto, non se l’era sentita, tanto dormiva beata.
Era passato più di un quarto d’ora da quando Eleanor si era recata al San Mungo, ma non aveva comunicato in alcun modo con loro, il che significava che probabilmente la faccenda l’avrebbe trattenuta a lungo.
Aveva chiuso gli occhi tentando di rilassarsi, ma l’immagine della famigliola sterminata dai mangiamorte lo aveva spinto a riaprirli subito dopo.
Frustrato si era passato una mano tra i capelli.
Non poteva andare avanti in quel modo. I seguaci di Voldemort erano sempre più sfacciati, colpivano in zone sorvegliate dagli auror non curandosi minimamente delle conseguenze.
Se li sarebbero ritrovati in casa un giorno di quelli.
La sua riflessione era stata interrotta dal chiacchiericcio sommesso di James e Remus.
“Hey … Come va Pad?” aveva domandato quest’ultimo apprensivo.
Sirius aveva alzato un pollice per poi indicare la donna che dormiva e suggerire tacitamente di spostarsi nell’altro salottino.
James aveva dato un bacio a sua moglie e le aveva sistemato meglio la coperta che aveva sulle spalle, poi si aveva chiuso la porta delicatamente.
“Allora? ”
“Bene Rem, non ti ci mettere anche tu.” Aveva risposto l’animagus seccato.
“Scusa se mi preoccupo.”
“Non ce n’è motivo … Hai altre cose a cui pensare. Com’è andato l’incontro con Brown a proposito?”
Il ministro aveva distolto lo sguardo e Sirius si era voltato verso James in cerca di risposte.
“Remus ha bevuto dello Scotch.”
“È andata così male?” aveva domandato Padfoot sgranando gli occhi.
“Non so dirlo, in tutta onestà … ” era intervenuto Moony, sincero.
“Stai bene?”
“Si invertono i ruoli?”
“Oh, piantatela voi due … Sembrate due mogliettine apprensive.” Aveva sbottato Prongs con ghigno malevolo sul bel volto.
Sirius aveva alzato gli occhi al cielo e Remus aveva fatto lo stesso.
Poi il primo si era preso la testa tra le mani, suscitando l’interesse degli altri due.
“Cazzo, se reagisco come te, Rem, sto messo proprio male.”
James era scoppiato a ridere e il ministro gli aveva fatto una smorfia.
“I ragazzi ?” aveva domandato l’uomo con gli occhiali.
“Alex e James sono nei loro dormitori  … John , Ashley Andrea e … Gli altri, non li ho più visti da quando mi hanno chiuso in infermeria.” Aveva risposto Sirius cupo.
“Non sono riuscito a scambiare nemmeno una parola con Ted.” Aveva convenuto Remus mentre scuoteva il capo.
“Pensi che abbia ancora problemi?” aveva domandato James, preoccupato.
“Mi auguro di no …” aveva detto sinceramente dispiaciuto, per poi rivolgersi verso Padfoot.
“Credo che nessun Serpeverde si avvicinerà più a lui, dopo il discorso che Dylan ha fatto in Sala Grande l’altro ieri.”
“Discorso? Non ne sapevo nulla.” Era intervenuto James.
“Si è rivolto direttamente a Nott, dicendogli che se mai si fosse avvicinato a Ted ancora, gli avrebbe fatto talmente male che nemmeno sua madre lo avrebbe riconosciuto.” Non aveva potuto non sorridere, anche Sirius aveva fatto la stessa cosa per lui, con parole simili.
“Che bel caratterino, eh Sir?”
“Non parlarmene.”
Remus aveva afferrato al volo.
“Avete discusso ancora?”
L’animagus aveva voltato il capo verso la finestra annuendo.
“Motivo?”
“Il semplice fatto che esisto e sono suo padre.”
“Non dire cazzate.” James si era seduto di fronte al suo migliore amico.
“Dylan ti adora.” Aveva aggiunto scrutandolo con attenzione.
“Pensa se gli stavo sulle palle!”
Remus gli aveva rifilato uno scappellotto.
“Oggi mi ha accusato di non ricordare la sua prima parola perché non era James, il figlio perfetto … ” aveva detto sorridendo amaramente.
“Perché ti turba tanto?” aveva domandato il licantropo, conoscendo la risposta.
“Mi ricorda me, più di quanto io possa accettare. Io non sono mio padre. Non faccio differenze tra i miei figli. Conosco perfettamente tutto quello che li riguarda e li amo allo stesso, identico, maledettissimo modo. Se mi avessero detto che un giorno avessi amato qualcuno più di Eleanor, non ci avrei creduto … Invece …  ” e scotendo il capo aveva lasciato cadere il discorso.
James lo aveva guardato con dolcezza per quell’ammissione. Lui e Remus erano molto più avvezzi alle tenerezze e diventavano delle vere pappemolli quando si trattava dei figli. Sirius non parlava mai dei suoi sentimenti e ,sebbene fosse strano per il più scapestrato dei Malandrini, era piuttosto rigido con i ragazzi.
“Sirius, guardami … ” aveva detto spingendo il suo migliore amico ad alzare gi occhi dalla piastrella che aveva osservato per gli ultimi minuti.
“Dylan non ce l’ha con te … Non è sempre stato così, o sbaglio?”
Padfoot aveva inclinato la testa di lato come faceva sempre quando non afferrava un concetto.
“No, prima era diverso … Ogni nostro dialogo non si trasformava in una lite furibonda … Sono due anni che …” poi aveva compreso ed aveva corrugato le sopracciglia al cenno di assenso di Prongs.
“Si è chiuso per difendersi. Ha avuto paura quando abbiamo rischiato la vita in quell’attentato, due anni fa. E si è allontanato, da tutti. Una parte di lui vuole che sia così …”
“… Ma l’altra desidererebbe che fosse tutto come prima e sente la competizione con James, perché si accorge che riesce a gestire quello da cui lui sta scappando.” Era intervenuto Remus.
“Questo non va bene.” Aveva risposto l’animagus.
Gli altri lo avevano guardato, curiosi.
“Non va assolutamente bene.”
“Dylan non è te a quindici anni.” Aveva detto James cogliendo il motivo del respiro accelerato di Sirius.
“E se fosse esattamente come me, invece? Guardalo. Si comporta come facevo io.”
Remus gli aveva posato una mano sulla spalla.
“Io … Non posso pensare che beva o faccia uso di droghe, come ho fatto io o che … ” aveva perso un po’ di colore.
“ A cosa stai pensando?” James era allarmato.
“Ricordi quando Regulus mi ha detto che lo avevano beccato un paio di volte mentre tentava di uscire di notte?”
Prongs aveva annuito.
“E se lo facesse per spostarsi da Hogwarts, io alla sua età , partecipavo alle gare clandestine, l’adrenalina mi faceva stare bene per qualche ora. Non provavo niente.”
“Si, ricordo ancora quando sei tornato in dormitorio che eri una maschera di sangue perché l’asfalto era scivoloso ed eri caduto dalla moto …” aveva detto Remus, incupendosi.
“Il pensiero che lui possa aver fatto qualcosa di simile sotto al mio naso, mi terrorizza a morte. Se gli capitasse qualcosa, io … Non me lo perdonerei mai.”
“Non preoccuparti, avrai modo di tenerlo d’occhio …”
“In che senso Rem?”
“Caramell ha voluto inserire nell’organico della scuola un commissario speciale, Dolores Umbridge per la precisione …Non fare quella faccia, ho dovuto cedere. Ma …” aveva detto illuminandosi di una luce malvagia tutta malandrina.
James e Sirius lo guardavano in attesa.
“Ma? ” aveva detto il primo, ansioso.
“Come ti accennavo prima, Jamie … Non sta scritto da nessuna parte che io non possa inserire dei vigili a vigilare sul comportamento del vigilante.”
Sirius aveva inclinato nuovamente la testa di lato e Remus gli aveva rivolto uno sguardo interrogativo.
“Mi sono perso al ma … ”
 
 
Nella sala comune di Grifondoro, quattro ragazzi erano rimasti svegli più degli altri. Uno camminava nervosamente lungo il perimetro della stanza, gli altri lo osservavano costernati, incapaci di pronunciare alcuna parola di conforto.
"James, smettila di fare avanti e indietro ..." aveva esordito John, alzandosi anch'egli in piedi.
"Non è da nessuna parte ... Neville non lo ha visto per tutta la serata e, mentre Ron e Hermione sono rientrati da più o meno due ore di lui nessuna traccia... E ora che ci penso ..." aveva detto alzando lo sguardo verso l'amico.
"Sì, nemmeno Ted è nel dormitorio ... Penso che siano insieme, in ogni caso sono ad Hogwarts ... Mio fratello non è così sconsiderato."
"Bene,menomale che almeno uno può contare sul buonsenso ..." aveva risposto ancora più affranto.
"Non credere di essere l'unico preoccupato, è difficile avere a che fare con due adolescenti a cui stanno venendo meno tutte le certezze poco per volta ... "
James aveva abbassato le palpebre. Era esattamente come diceva John. Remus era sempre impegnato con l'attività di ministro e sebbene fosse molto orgoglioso di suo padre, Ted risentiva del fatto che si vedessero praticamente mai. E Dylan aveva sempre creduto che loro padre fosse invincibile, inarrivabile. Due anni prima aveva scoperto che non era così e da allora, era un'altra persona. Non lo riconosceva più. Non voleva che gli si avvicinasse troppo. Era schivo, chiuso, sfrontato.
Aveva emesso uno sbuffo e si era seduto sulla poltrona accanto al camino, reclinando il capo all'indietro.
Ashley era rimasta in silenzio a guardarli. Era il destino dei fratelli maggiori quello di essere perennemente preoccupati e, di certo, loro avevano più ragioni degli altri per esserlo.
Si era voltata verso il suo gemello che con le mani giunte sotto al mento, osservava il dibattito dei suoi amici. Sapeva dall'espressione del suo viso che Alex non fosse davvero lì. Probabilmente perso a ripercorrere gli avvenimenti della giornata. Era fatto così, razionale tanto quanto lei era istintiva in determinate situazioni ed esattamente il contrario in altre. Come dimostrava la fasciatura leggermente colorata di rosso sulla sua mano destra.
John si era avvicinato alla finestra e scrutava il parco alla ricerca di ogni insignificante movimento. Stava impazzendo anche lui come James, ma non poteva perdere la calma. Ad aggravare la situazione c'erano le continue minacce che quei dannati Serpeverde non mancavano di rivolgere sia Ted che ad Andrea e quel pensiero in particolare gli faceva perdere il lume della ragione. Aveva stretto i denti,in un riflesso della sua rabbia cieca.
Tra qualche giorno ci sarebbe stata la luna piena e sebbene non fosse un vero e proprio licantropo, nei giorni che precedevano il plenilunio, tutto diventava troppo per lui, dal mantenere la concentrazione durante le lezioni, all'avere il controllo sulle sue pulsioni. Si era voltato in direzione di Ashley e, come se avesse attirato il suo sguardo, si era trovato due occhi color nocciola puntati addosso.
"È inutile che cerchi di nasconderlo, sei agitato tanto quanto James ... " aveva detto in un sussurro.
John si era voltato verso la poltrona e aveva notato il petto dell'altro ragazzo abbassarsi ed alzarsi con regolarità.
"È crollato ..." aveva convenuto Alex mentre lo osservava con affetto.
e John si era rilassato.
"In effetti,l'altra notte non è rientrato in dormitorio ... Sai dove fosse?" aveva domandato curioso.
"Credo si veda con una ragazza di Tassorosso e anche che gli piaccia molto, ma sai che non lo ammetterebbe mai." aveva concluso con un ghigno.
John aveva sorriso di rimando e Ashley aveva alzato gli occhi al cielo.
"Come se voi due sbandieraste ai quattro venti le vostre cotte..." aveva detto sorniona.
"Io non ho cotte ..." aveva risposto il fratello, scandalizzato.
"Sarei piuttosto interessato a sapere delle tue, però ... " aveva aggiunto più attento
"Piuttosto mangio qualcosa cucinato da Gazza ... "
"Dai, perchè ti ostini .. Io sono un ragazzo, chi più di me può darti consigli sui ragazzi??"
"Se non fossi anche maniacalmente geloso saresti perfetto ..."
"Sei la mia sorellina..."
"Ho già un confidente comunque.." aveva detto facendo l'occhiolino in direzione di John che aveva sorriso teneramente.
"Non posso competere con il nostro saggio Lupin ... Va bene, raccatto quell'animale e me ne vado a letto ..." aveva detto mentre scuoteva James con vigore.
Quest'ultimo aveva aperto un occhio e mentre si alzava a fatica e sbadigliava come un ippopotamo aveva mugugnato qualcosa che assomigliava vagamente ad un "Buonanotte".
Alex lo aveva seguito subito dopo, salutandoli.
Ashley non aveva potuto fare a meno di sorridere. A quel quadretto mancava però qualcosa, per meglio dire qualcuno.
Si era immediatamente rattristata.
"Hey ... Cos'è quell'aria disperata?" aveva domandando John prendendo posto sul divano accanto a lei.
"Harry ..."
"Già, un altro bel casino ..."
"Non posso credere che non ricordi nulla ... "
"Lo aiuteremo noi, Ley ... Gli racconteremo ogni singolo episodio e ti sembrerà che ci conosca ancora meglio di prima..." aveva detto illuminandosi di determinazione come solo lui sapeva fare.
La ragazza gli aveva sorriso teneramente.
"Vorrei essere ottimista tanto quanto te ..."
 
 
Era quasi l’alba quando Dylan era uscito dalla Stanza delle Necessità. Non aveva chiuso occhio tutta la notte, ma distruggere tutto quello che gli era capitato sotto tiro, era stato … Liberatorio. Si sentiva leggero, sebbene i dorsi delle sue mani fossero ricoperti di schegge di legno e graffi.
Nella sua furia aveva maturato l’idea di passare dall’infermeria per parlare con Harry, vedere come stesse.
Erano le 05:00 e a quell’ora suo zio non era ancora in servizio e Madama Chips sonnecchiava nel suo studio. Con un po’ di fortuna e trovando la porta aperta sarebbe riuscito ad entrare senza dare nell’occhio.
Giunto nei pressi della sua meta aveva dato uno sguardo in giro per accertarsi di essere completamente solo.
Poi avvicinatosi alla porta aveva applicato una leggera pressione alla maniglia e un lieve click gli aveva annunciato il successo della sua manovra.
Lentamente e facendo attenzione ad ogni minimo rumore, era entrato nella semioscurità dell’infermeria. Si era richiuso la porta alle spalle e si era addentrato per raggiungere l’ala in cui si trovavano i letti.
Il russare della zia di sua madre gli aveva assicurato il via libera, così accelerando il passo si era trovato proprio di fronte il letto di Harry.
Il ragazzo dormiva coperto fino al mento, sembrava sereno e Dylan aveva avuto quasi l’impressione di aver immaginato tutto.
Era Harry. Sempre il solito Harry.
Non poteva non ricordarsi di lui.
Uno spiffero lo aveva fatto rabbrividire, così si era diretto alla finestra e mentre osservava i primi raggi del sole di Novembre rischiarare il parco, l’aveva richiusa.
Si era voltato e aveva trovato due occhi smeraldo dietro a delle lenti spesse e tonde fissarlo.
Erano gli occhi del suo migliore amico eppure era chiaro che Harry non avesse idea di chi fosse.
“Ciao …” aveva esordito.
“Ciao …” aveva risposto l’altro.
“Dylan …”
“Sì, mi ricordo di te … “
Dylan aveva sentito il cuore mancare un battito.
“Tua madre mi ha detto il tuo nome giusto qualche ora fa …” aveva continuato Harry, sorridendo affabile.
La delusione era visibile sul volto dell’altro ragazzo.
“Giusto …” aveva detto non appena si era rimpadronito di se stesso.
“Allora … ehm, come ti senti?” aveva continuato fingendo che la conversazione si svolgesse in maniera normale, come sempre.
“Bene, non dormivo così bene da mesi …”
“Niente sogni strani ?”
Harry si era incupito, e così anche in quella realtà i suoi sonni erano disturbati da incubi presumibilmente su Voldemort. Quel ragazzo doveva condividere con lui il dormitorio.
Guardandolo meglio si era riscoperto a pensare che fosse strano parlare con il figlio di Sirius. Era come lui e non solo fisicamente.
Glielo ricordava in un modo impressionante.
“No, tutto liscio come l’olio … ”
Dylan aveva sorriso.
“E tu? Cosa ci fai in  giro all’aba?”
“Oh, io … Amo girovagare di notte …”
Un’altra cosa che avevano in comune.
“Hobby rischioso …”
“Già, Piton ci ha tolto 20 punti … ” aveva detto grattandosi il capo, imbarazzato.
Oh, un’altra persona che si comportava esattamente come nel suo mondo. Piton era sempre una garanzia.
“Che untuoso bastardo.” Aveva detto scotendo il capo.
“Puoi dirlo forte!” aveva convenuto l’altro ragazzo con un ghigno.
Erano rimasti a fissarsi ancora un po’ non sapendo che altro aggiungere, poi Dylan aveva ripreso la parola.
“Quando ti dimetteranno, verrò a prenderti io, così se non dovessi ricordare qualcosa del castello , potresti chiedermelo o rivolgerti a Ted, ma lui tende a rendere tutto noioso.”
“Non credo che ci riesca anche con Hogwarts.”
“Non metterlo alla prova.”
Si erano guardati per un po’, poi erano scoppiati a ridere, tappandosi la bocca con le mani.
Un movimento nello studio aveva fatto loro presagire che Madama Chips si sarebbe svegliata a breve.
“Beh, è meglio che vada …”
Harry aveva annuito.
“Grazie …” aveva detto , sincero.
“Ci vediamo dopo, Snitch …” aveva risposto l’altro con noncuranza, poi si era voltato di scatto verso di lui , mortificato.
“Scusami, io …”
“A dopo, Ace.”
Harry aveva sentito quel nome scivolargli di bocca, come se fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo, come se lo avesse sempre fatto.
Dylan aveva sgranato gli occhi.
“Io, non so perché ti ho chiamato in quel modo …” aveva detto il ragazzo con gli occhiali mentre si massaggiava una tempia.
“Noi ci chiamiamo così da quando avevamo nove anni e abbiamo deciso che fosse divertente avere dei soprannomi.”
“E quello di Ted qual è?”
“Archi … ”
“Archi?”
“Sì, come il gufo di quel cartone babbano che ci ha costretti a guardare un milione di volte … Credo si intitolasse “La spada nella roccia” e lui è saccente esattamente come Archimedes, il gufo … Senza poi considerare che come porta sfortuna lui agli avversari durante le partite di Quidditch, nessuno mai … ” aveva concluso con un sorriso smagliante.
Harry aveva ricambiato e desiderato come non mai di ricordare tutti quei bei momenti vissuti insieme ai suoi amici.
Dylan aveva sentito gli occhi riempirsi di lacrime e prendendo come espediente l’ennesimo rumore proveniente dalla stanza attigua si era fiondato fuori dall’infermeria.
Aveva mosso qualche passo, poi si era lasciato scivolare a terra lungo il muro.
Faceva male.
Avrebbe sempre fatto male.
 
 
Eleanor si era appena smaterializzata ad Hogsmeade, albeggiava e lei aveva perso tutta la notte dietro ai vaneggiamenti di Lancaster, per fortuna era intervenuta Alice ad aiutarla e, dopo aver promesso al Perfido Byron di dedicarsi alle scartoffie che le aveva appioppato, nemmeno fosse una giurista del diritto magico, se l'era svignata alla volta del castello, dove indubbiamente c'era più bisogno di lei. Da quando aveva ideato una cura, seppur sperimentale, per la licantropia, quell'uomo non le dava tregua.
Ora che ci pensava, dato che il suo principale paziente era proprio il ministro della magia, tutto quel polverone attorno alle sue ricerche era più che giustificato.
Frustrata aveva emesso uno sbuffo, giusto il tempo di notare qualcuno in piedi di fronte a lei che sembrava piuttosto irato.
"Cosa della frase:  vengo a prenderti io, non ti era chiara?" aveva domandato Sirius riducendo gli occhi a due fessure.
"Non sono una ragazzina, non c'è bisogno di scaldarsi ..." aveva risposto mettendo su un broncio adorabile.
"Si da il caso che tu sia mia moglie e che io mi preoccupi per la tua sicurezza ..."
Eleanor gli aveva rivolto uno sguardo di sbieco.
Maledizione a lui e all'esser così maledettamente sexy sempre, anche quando era arrabbiata e quella sua aria malandrina proprio non  la aiutava a far valere le sue ragioni.
"Appunto, sei mio marito non la mia balia..." aveva detto prima di ritrovarselo a pochi centimetri dal viso e trattenere il respiro.
"Capisco che la situazione possa essere pesante, ma non voglio che te ne vai in giro da sola... Chiaro?"
La donna aveva annuito, ma prima che potesse aggiungere altro, le labbra di Sirius erano sulle sue ed Eleanor si era completamente persa per poi ritrovarsi quando aveva sentito la fronte di suo marito appoggiarsi alla propria.
"Hai il naso gelido... Tanto per cambiare..." aveva detto l'animagus con un sorriso e lei si era sciolta come neve al sole.
"Torniamo al castello, va bene?"
"Sì, prima vorrei fare una capatina in infermeria,però ... "
"A quest'ora?"
"Dimentichi che sono la sola e adorata nipote dell'infermiera della scuola... " aveva risposto con l'aria di chi la sa lunga.
"Vuoi lasciarmi vedovo così presto?"
Eleanor aveva alzato gli occhi al cielo.
"Poco male, le pretendenti non mi mancano ... " aveva detto l'uomo con una faccia da schiaffi colossale.
"Spero di aver sentito male..."
La sua risata tanto simile ad un latrato aveva raggiunto le orecchie della donna che si trovava a qualche metro di distanza.
Era rimasta indietro per osservarlo mentre con il pesante fascicolo di Lancaster sotto il braccio, ma dando l'impressione di non sentirlo affatto, si stava avviando lungo il sentiero.
D'improvviso si era voltato e quegli occhi color ghiaccio così magnetici l'avevano intrappolata in quello sguardo che Sirius riservava solo a lei.
Lo aveva amato sin dal primo momento in cui avevano iniziato a discutere, lo amava più della sua stessa vita e lo avrebbe amato per sempre.
Accelerando il passo,lo aveva affiancato ed aveva intrecciato le loro mani, l'uomo si era visibilmente rilassato.
"Sir, cosa c'è che non va?"
"Ho fatto un giro nel dormitorio di Grifondoro prima di venire qui, c'erano tutti tranne Dylan e Ted ..."
"Non preoccuparti saranno in giro per il castello ... La giornata trascorsa deve averli messi a dura prova ..."
Sirius aveva annuito cupamente.
"C'è dell'altro, vero?"
"Cosa te lo fa pensare?"
"Quell'aria tormentata che metti sempre su quando si parla di Dylan."
...
"Com'è andata con Lancaster?" aveva detto con il chiaro intento di cambiare discorso.
Eleanor lo aveva guardato con tenerezza e lo aveva assecondato.
Persi nelle loro chiacchiere, in poco tempo avevano raggiunto l'infermeria, la donna aveva appena svoltato l'angolo, quando aveva visto qualcuno uscirne letteralmente sconvolto.
Subito aveva fatto dietrofront e con un braccio aveva bloccato Sirius.
"Che succede?" aveva chiesto quello sottovoce.
"Abbiamo trovato Dylan." aveva detto con voce tremante.
Preoccupato per la reazione di sua moglie, l'uomo si era sporto appena in tempo per vedere suo figlio scivolare lungo il muro fino al pavimento e tenersi la testa tra le mani, scosso dai singhiozzi.
Istintivamente aveva mosso un passo per andargli incontro. Tutto quello che voleva fare era stringerlo e rassicurarlo, ma la presa di sua moglie si era fatta più stretta.
Si era voltato per trovarla in lacrime.
"N-non andare ... N-non si perdonerebbe mai di essersi fatto vedere in quello stato... N-non da te." aveva detto con voce tremante.
E mentre asciugava con le dita il volto di Eleanor, faticando a respirare, Sirius aveva avuto la consapevolezza che suo figlio fosse esattamente e nel modo più autodistruttivo possibile uguale a lui.
 
 
Un picchiettare sommesso alla porta dei quartieri in cui dormivano, aveva spinto Remus ad abbandonare il calore delle coltri per accogliere chiunque fosse in giro a quell'ora del mattino.
I colori dell'alba inondavano il salottino in cui un paio d'ore prima era rimasto a chiacchierare con Sirius e James.
Quest'ultimo dormiva beato con Lily, come si poteva scorgere dalla porta leggermente socchiusa.
Doveva trattarsi del canide ed Eleanor.
"Sir, sei sempre il solito rompiballe..." aveva detto aprendo la porta.
Poi aveva abbassato lo sguardo quel tanto che bastava per incontrare un paio di occhi color ambra, come i suoi, che brillavano sotto dei ciuffi blu elettrico.
Aveva sorriso, illuminandosi.
"Teddy ..."
"Ciao papà, scusa non volevo disturbarti... "
"Non dire stupidaggini..." aveva detto lasciandolo entrare e gli aveva passato una mano tra i capelli.
"Sei gelido ..." aveva convenuto con la mano a mezz'aria.
Ted aveva alzato lo sguardo, colpevole.
Remus aveva scosso il capo.
"Dove sei stato?" aveva domandato, serio.
"In giro, non preoccuparti ... Non mi sono allontanato.." aveva risposto con un lieve sorriso.
Con un colpo di bacchetta, l'uomo aveva acceso un bel fuoco nel camino ed aveva fatto comparire due tazze di cioccolata calda.
Ted aveva alzato un angolo della bocca in un ghigno, suo padre e la convinzione che la cioccolata potesse curare ogni male.
D'improvviso la sensazione di terrore che gli aveva costretto lo stomaco in una morsa, giusto qualche ora prima, si era ripresentata più forte.
Non poteva pensare che quei momenti, seppur rari gli venissero tolti.
Aveva preso a tremare, sotto lo sguardo attento di Remus.
"Ted... Va tutto bene?"
Il ragazzo aveva annuito a fatica, ma contemporaneamente aveva perso la presa sulla tazza che si era rovesciata con tutto il suo contenuto sul tappeto.
Sebbene provasse a tranquillizzarsi non ci riusciva , come non riusciva nemmeno a respirare.
"TED..." Remus lo aveva fatto sdraiare, massaggiandogli la schiena.
"Va tutto bene, respira ... Respira ..." continuava a ripetere mentre lo vedeva tranquillizzarsi un poco alla volta.
"Sto bene ... Papà ... Tranquillo..." aveva detto mentre prendeva grandi boccate d'aria.
"Non puoi cavartela così ... Cosa ti ha sconvolto fino a questo punto?" aveva detto,preoccupato.
"Solo... Tutto quello che è successo fino ad ora." aveva detto con un sorriso.
Remus gli aveva carezzato una guancia.
Avevano parlato a lungo e poi il ragazzo si era congedato.
Il ministro era rimasto a fissare l'uscio, nonostante avessero fatto un bel po' di rumore, dormivano ancora tutti. Chiaro sintomo che fossero stremati.
Il tempo che aveva passato con suo figlio lo aveva reso inquieto, c'era qualcosa che non andava. Glielo stava nascondendo, ma quello era un attacco di panico in piena regola.
Perso nelle sue riflessioni non si era reso conto dell'arrivo di sua moglie.
"Come mai già sveglia?"
"Lo sono da quando mio figlio faticava a respirare ..."
Remus aveva annuito con un grande sospiro a gonfiargli il petto.
"Ti stai ancora domandando il perchè?"
L'uomo aveva annuito.
"Eppure si direbbe che tu sia una persona arguta..." aveva detto Dora con aria saccente.
"Quando si tratta della mia famiglia posso diventare alquanto sciocco ..." aveva detto teneramente.
Dora lo aveva guardato con amore.
"Ted ha paura di perderti. Ma non te lo direbbe mai perchè sa che rinunceresti alla tua carica per evitargli sofferenze ..."
"Come fai a saperlo?"
"Quella di stasera non è la sua prima crisi di panico."
Remus si era voltato completamente verso di lei con gli occhi sgranati e si era ritrovato a chiedersi per la milionesima volta in poche ore, se davvero ne valesse la pena.
 
 
ANGOLINO DI ARWEN
Ciao a tutti!! Eccomi qui, dopo innumerevoli mesi di attesa.
Non tenterò nemmeno di scusarmi, purtroppo il mio tempo è diviso tra lavoro e università, di rado riesco a ritagliarmi questi meravigliosi momenti per scrivere.
Vi ringrazio profondamente, per non aver perso le speranze e aver continuato a domandarmi notizie sulle mie storie, tenterò di essere più costante.
Vi lascio al capitolo con la promessa che, appena possibile, risponderò a tutte le recensioni pregresse, sperando di trovarne di nuove.
Anche se con un po' di ritardo, ci tengo a farvi i miei più cari auguri per questo 2015. Che sia l'anno delle cose belle e dei sorrisi e, ricordate, come dice il saggio Ligabue: "Sono sempre i sogni a fare la realtà".
Affettuosamente vostra,
Arwen

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