I'm looking for someone who..

di FeLisbon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Someone I can trust.. ***
Capitolo 2: *** Someone strong.. ***
Capitolo 3: *** Someone at peace with themselves.. ***
Capitolo 4: *** Someone better than me.. ***
Capitolo 5: *** Someone who knows the worst side of me.. ***
Capitolo 6: *** ..And still loves me. ***



Capitolo 1
*** Someone I can trust.. ***


SOMEONE I CAN TRUST


Il sole cominciava a tramontare su un'altra giornata di lavoro. Patrick era sdraiato sul suo comodo divano logoro mentre Lisbon, a soli pochi centimetri di distanza, compilava le scartoffie dell'ultimo caso seduta alla sua scrivania.
“Dai, riproviamo.”
“Jane, fammi finire questo lavoro, quando siamo a casa continuiamo. È già abbastanza lungo e noioso. Se mi distrai ogni secondo non mi passa più.”
“Fammi contento...un'ultima volta!”
In realtà anche rimanere in ufficio sommersa dalle cartacce era divertente ora che il suo consulente rimaneva nei paraggi. Era sempre stata abituata a svolgere la parte burocratica da sola: quando si trattava di compilare, scrivere, archiviare, Jane spariva magicamente. Ma ora aveva preso l'abitudine di rimanere al suo fianco. Certo, non si poteva dire che si rendesse utile, ma la sua compagnia era già un grande incentivo.
Quella sera Patrick si era messo in testa di trasformare la sua agente preferita in una mentalista, versione tascabile.
“Forza, sto pensando ad un oggetto. Hai tre domande a tua disposizione, poi devi indovinare.”
“Ma Jane è la millesima volta che ci proviamo, non è possibile indovinare con così poche informazioni... È un oggetto di tua proprietà?”
“No, non sto pensando al mio divano.”
“Ma... come hai fatto? Sono io quella che deve indovinare, non tu!”
Mentre Teresa si voltava a guardarlo stupita l'uomo sfoderò uno sei suoi meravigliosi sorrisi e ridacchiò soddisfatto.
Quando i loro sguardi si incrociarono rimasero fissi l'uno sull'altra, in pura contemplazione. Per una frazione di secondo Lisbon avrebbe voluto raggiungerlo su quel divano, ma quel momento di scherzosa tenerezza fu interrotto da dei precipitosi passi che si avvicinavano. Erano convinti di essere ormai soli, invece Abbott li raggiunse trafelato.
“Ragazzi, abbiamo un nuovo caso.”
Jane riconobbe subito qualcosa di strano nel tono della sua voce: acuto e con un tocco di preoccupazione. Poi notò che aveva ancora il cellulare in mano, come se si fosse precipitato da loro ancor prima di terminare la chiamata. Però l'espressione del suo viso non lasciava trapelare emozioni di particolare sconforto, quindi tutta quella premura non poteva di certo essere dovuta ad una tragedia enorme. Rimaneva solo un'ipotesi.
“Meh, non mi interessa questo caso. Lisbon, buon lavoro.”
Si alzò, le sfiorò una spalla con la mano e cominciò ad allontanarsi.
“Jane! Dove diavolo stai andando? Non ci ha ancora detto niente. Resta qui.”
Lui non si voltò neanche e proseguì lentamente verso l'ascensore.
“È ovviamente una questione politica. Qualche pezzo grosso ha appena chiamato il nostro caro Dennis facendo pressione perché lavorassimo su questo caso, che per giunta non è neppure un omicidio. Ergo non mi interessa. Sai che non sopporto queste cose.”
Poi si voltò appena un poco per accertarsi che la sua amata partner non fosse del tutto offesa dal suo comportamento e le sorrise dolcemente.
Abbott doveva ancora abituarsi alla perspicacia di quell'uomo così irritante quanto intelligente: ci aveva preso in pieno. Il senatore Holland lo aveva appena chiamato personalmente per chiedergli aiuto. La figlia diciassettenne non tornava a casa da due giorni e i genitori cominciavano ad essere preoccupati. Gli agenti a cui avevano denunciato la scomparsa stavano svolgendo il loro lavoro, ma Andrew e moglie erano convinti che non fosse abbastanza. Volevano i migliori investigatori e, grazie al loro prestigio e alle loro conoscenze, li avevano ottenuti.
“Jane resta qui, hanno richiesto espressamente della squadra al completo, sensitivo incluso.”
“I sensitivi non esistono.”
“Non mi interessa. Tu seguirai questo caso.”
L'uomo cominciava ad irritarsi. Non gli importava proprio un bel niente di quello che preferiva quel consulente da strapazzo. Avrebbe svolto il suo compito, che gli facesse piacere o meno. Bastò un rapido sguardo al volto corrucciato e severo di lui per capire che non avrebbe ammesso un no come risposta. Jane tornò lentamente sui suoi passi per andarsi a stravaccare nuovamente sul divano, fingendo però di non lasciarsi coinvolgere. Mentre Lisbon ascoltava i dettagli si fece passare distrattamente i documenti relativi alla ragazza.
Carol Holland, 17 anni. L'ultima ad averla vista era stata la sua migliore amica Sally Pierce, con cui si era imbucata ad una festa di collegiali – a cui le era proibito andare – due sere prima.
Sbuffò rumorosamente ma i due agenti lo ignorarono alzando gli occhi al cielo e continuando a discutere. Con tutta probabilità era scappata di proposito dalla famiglia per staccare da quell'oppressione costante di cui era vittima, ma presto, finiti i soldi prelevati dalla carta di credito regalatale dal paparino, sarebbe tornata a casa.
Chiuse il fascicolo per appoggiarlo a terra e tentare di schiacciare un pisolino, ma facendo questo cadde una fotografia sul pavimento. La raccolse distrattamente, ma non poté fare a meno di rimane folgorato. Due occhi azzurro cielo lo fissavano con insistenza. Erano vispi, intelligenti e penetranti. Il volto non era familiare, non aveva mai visto quella ragazza prima d'allora, ma quegli occhi... erano i suoi occhi. Occhi di un passato lontano, ma che aveva incrociato nuovamente qualche anno prima nel delirio di un'intossicazione da Belladonna. Erano gli occhi della sua Charlotte.
Improvvisamente non aveva più voglia di dormire o di ignorare il caso. Dovevano trovare quella ragazza. Si sentì stupido: solo perché Carol le ricordava la sua bambina non voleva dire che fosse realmente in pericolo. Era più probabile la sua prima ipotesi di una fuga volontaria, ma adesso aveva bisogno di esserne certo.
Senza accorgersene era saltato in piedi con la foto tra le mani. Teresa lo guardava sospettosa e stupita: che cosa stava facendo? Adesso avrebbe dato qualsiasi cosa per aver imparato quel trucco da mentalista che Jane poco prima tentava di insegnarle. Le sarebbe stato comodo capire a cosa stesse pensando il suo partner.
In tutto questo Abbott si congedò, informandoli che dal giorno seguente avrebbero cominciato delle scrupolose indagini.
Rimasti soli Lisbon tentò di capire cosa fosse successo. Lo aveva visto trasformarsi in qualche secondo dalla sua versione arrogante e annoiata a quella interessata e...coinvolta?
“Patrick, va tutto bene?”
Lui si riscosse tentando di rassicurare la sua piccola Lisbon con un sorriso sincero, ma con scarsi risultati. Se le labbra si inclinavano in una debole smorfia di felicità, gli occhi rimanevano affranti.
“Dimmi quello che pensi. Hai quell'espressione...insomma la tua espressione...l'espressione del passato.”
Era stato così difficile pronunciare quelle parole! Forse non era brava a leggere le persone, ma conosceva bene il suo compagno, e, purtroppo, conosceva bene anche quel sorriso colmo di tristezza. L'aveva sempre e solo dedicato al suo passato. Alla sua vecchia vita.
“Quale espressione? Non è niente, andiamo a casa Lisbon?”
Teresa rimase interdetta, era tornato il Jane di una volta che evitava gli argomenti scomodi e le nascondeva la verità. Questo non andava affatto bene, non più.
Aveva bisogno di schiarirsi le idee prima di affrontare quella che si prospettava una lunga discussione sulla fiducia, così non rispose immediatamente. Gli sorrise e si avviò verso l'ascensore.
L'uomo apparì sollevato e la seguì prendendola per mano. Era contento di non dover dare spiegazioni in quel preciso istante, ma gli era bastato un rapido sguardo agli occhi di Lisbon per capire che era rimasta delusa. Delusa per cosa? Perché non poteva accontentarsi della sua mezza verità per una volta? Non gli andava di ammettere i suoi sentimenti in quel momento. Cosa avrebbe potuto dire poi? Che quella ragazza le aveva gli occhi di sua figlia e che solo per questa ragione si era accesa in lui la voglia di risolvere il caso? Si sentiva una persona meschina: finché Carol era rimasta un'anonima figlia di papà non le aveva dedicato la men che minima attenzione, ma appena quella stessa ragazza le aveva ricordato una persona importante, sentiva l'urgenza di trovarla ed accertarsi che fosse al sicuro. Questo non era un comportamento da brav'uomo. E da quando Jane era l'uomo di Teresa, voleva essere il miglior uomo. Ancora una volta non lo era stato e ammetterlo ad alta voce sarebbe stato fastidioso. In più parlare di Charlotte con Lisbon lo metteva sempre in difficoltà. Lei si dimostrava aperta e pronta all'ascolto, ma Jane aveva paura di dire troppo, o troppo poco e di ferirla.
Non avrebbero potuto non parlarne, solo per questa volta?

Il breve viaggio verso casa fu silenzioso, ma pieno di pensieri. Patrick non riusciva davvero a mettersi il cuore in pace. Pensava agli occhi di quella ragazza che chissà in quale guaio si era cacciata; agli occhi di sua figlia che ricordava come se lei fosse sempre accanto a lui; agli occhi di Lisbon che volevano una sincerità che non ottenevano. E quest'ultimi occhi più di tutti lo tormentavano. Teresa si meritava la sua completa sincerità. Tanto tempo prima le aveva ammesso di raccontarle solo il trenta per cento delle cose e si era ripromesso che non sarebbe stato mai più così, ma adesso ecco di nuovo il vecchio Jane.
Si voltò a guardare la meravigliosa creatura seduta di fianco a lui alla guida dell'auto. Quanto era fortunato ad averla con sé, quanto ne era innamorato! Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. Così decise di farlo davvero, cominciando da quel piccolo passo.
Entrati in casa la prese per mano e la portò verso il divano. La fece sedere al suo fianco.
Teresa era perplessa da quel comportamento. Per tutto il tragitto aveva cercato un modo per intavolare una discussione con lui: la fiducia e la sincerità erano fondamentali per lei, erano pilastri importanti su cui si fondava qualsiasi relazione. Voleva essere chiara su questo, ma nello stesso tempo non voleva affrontare la questione in modo autoritario e non voleva finire con un litigio. Adesso lui appariva così mesto e triste che lei non ebbe il coraggio di rompere per prima il silenzio.
E non ce ne fu bisogno.
“Mi dispiace Teresa, lascia che mi scusi.”
Beh, questa si che era una sorpresa! Jane si stava scusando ancor prima che lei le facesse notare i suoi errori. Non poteva che rimanerne piacevolmente colpita. Ma non furono queste le parole più liete da ascoltare.
“Io voglio dirti che... Insomma... La verità è che mi fido di te Teresa, mi fido ciecamente e tu meriti di sentire sempre la verità su ciò che penso e su ciò che provo. Mi dispiace di essere stato così schivo, so che non deve essere così. Tra noi non deve essere così e ti prometto che non lo sarà mai più. Avrai il mio cento per cento, sempre. Io mi fido di te.”







- Angolo dell'autrice -
Questa è la prima volta che provo a scrivere una storia con più capitoli, ed è anche la prima volta che mi cimento con il racconto di un vero e proprio caso. Quindi spero che fili tutto liscio e che vi piaccia! Soprattutto per queste ragioni sarei molto contenta di ricevere vostre recensioni con eventuali commenti e consigli poiché sicuramente siete dei lettori-scrittori più esperti di me, ed il vostro parere mi sta molto a cuore.
Spero di riuscire ad aggiornare regolarmente ogni 7-10 giorni.
ps: chi indovina il titolo del prossimo capitolo? ;)

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Capitolo 2
*** Someone strong.. ***


SOMEONE STRONG


La mattina seguente Lisbon si sentiva come una bambina il giorno di Natale. Si svegliò con il sorriso sulle labbra, e chi la conosceva bene sapeva quanto fosse raro vederla di buon umore ancor prima di aver preso una tazza di caffè. Non c'era un albero addobbato e non c'erano montagne di regali. Ce n'era solo uno che dormiva accanto a lei. Il regalo più bello e sexy che avrebbe mai potuto desiderare. Un regalo che le aveva offerto il cento per cento di sincerità e fiducia e che non aveva intenzione di ricredersi.
Sarebbe rimasta per ore a contemplarlo. Quel volto, illuminato debolmente dai primi raggi del sole che riuscivano a trapassare le pesanti tende, era semplicemente meraviglioso, e apparteneva all'uomo che amava.
Ma il tempo della tenerezza passò alla svelta: dovevano prepararsi e andare a lavorare. Avevano un nuovo caso e Jane le aveva spiegato perché ci tenesse particolarmente a risolverlo in fretta. Lo scosse dolcemente e gli diede un bacio sulla guancia.

“Svegliati pigrone, abbiamo del lavoro da fare.”
Jane pensò a quanto fosse bello svegliarsi in quel modo, le sorrise e insieme uscirono da sotto le coperte per tornare nel mondo reale, dove purtroppo, non tutto era così perfetto come tra quelle quattro mura.
Infatti, appena arrivati in ufficio, tutta l'imperfezione di quel mondo piombò loro addosso. Jane combatteva contro se stesso per non lasciarsi coinvolgere troppo da quella ragazza scomparsa, ma continuava a rigirarsi la sua foto tra le mani. Era più forte di lui. Per un attimo pensò alle conseguenze di quel prendersi a cuore il caso: scoprire che Carol era già morta sarebbe stato un brutto colpo, ma anche pensare che fosse viva, in compagnia di chissà quale genere di mostro lo agitava...
Doveva rimanere lucido, doveva poter svolgere tutte le indagini con il suo solito intuito, solo così l'avrebbero ritrovata presto.
Lisbon da parte sua era preoccupata: conosceva il suo consulente, e aveva già avuto a che fare con un Jane troppo coinvolto, e non era mai finita bene.

Abbott stava già parlando con i genitori della ragazza quando Patrick entrò nella stanza presentandosi.
“Stavo giusto facendo compilare ai signori Holland una lista dei loro nemici, per così dire” spiegò il capo.
“Meh, ci servirà a poco. Non è arrivata nessuna richiesta di riscatto, e siamo già al terzo giorno. Credo che dovremmo concentrarci sulla lista degli amici. Partendo dai familiari magari.”
La reazione dei suoi interlocutori non lo scosse minimamente. Oramai era abituato alle proteste e alle minacce.
“Come osa insinuare che sia stato un componente della mia famiglia!? Ha per caso idea di chi sia io? Non le permetterò di insultarmi in questo modo.”
Abbott cercò di scusarsi e di placare gli animi, ma Jane rincarò la dose.
“So esattamente chi siete e non mi interessa, avete chiesto espressamente il mio aiuto, ora io vi chiedo di lasciarmi lavorare. Quella lista mi serve. Vorrei trovare vostra figlia viva se è possibile.” poi uscì immediatamente dall'ufficio richiudendosi la porta alle spalle. Poteva sentire le urla del padre e i singhiozzi della madre che aveva realizzato solo in quel momento che la sua povera Carol avrebbe anche potuto essere morta.
“Jane! Perché hai dovuto creare così tanto scompiglio? Dovesti imparare a chiedere le cose gentilmente. Esigono le tue scuse, e tu li accontenterai.” Dennis aveva seguito il consulente fuori dalla stanza qualche secondo dopo.
“Quella rabbia e quello sconforto sono reali. Ho appena eliminato due sospettati dalla mia lista. Non mi devo scusare, dovrebbero ringraziarmi.” poi si diresse verso il suo comodo divano.

Qualche ora più tardi Lisbon tornò dall'ufficio di Abbott. Poco dopo la scenata scatenata da Patrick era andata a scusarsi per il comportamento del suo collega e per fare loro altre domande. Non senza un po' di fatica era riuscita ad ottenere un elenco delle persone più vicine a Carol e alla famiglia.
Jane lesse attentamente quei nomi un centinaio di volte, ma sembrava brancolare nel buio.
“Hai qualche idea? Perché sei convinto che si tratti di un conoscente? Potrebbe essere stato chiunque. Un ragazzo che partecipava alla festa a cui era andata la sera della scomparsa, oppure un qualsiasi passante incontrato per strada.”
“No Lisbon, difficilmente un rapimento è improvvisato. Di solito avviene da parte di persone meticolose che studiano un piano per mesi e poi decidono di attuarlo. Perché un ragazzo appena incontrato dovrebbe scegliere di rapirti?” ci fu un breve silenzio. L'agente non sapeva come rispondere, ma non era necessario perché Jane lesse le sue espressioni.
“Ah. Tu non pensi sia un rapimento. Omicidio?” Lisbon scosse la testa.
“Non lo so Jane, ma dobbiamo prepararci al peggio. Se non è arrivata una richiesta di riscatto fino ad ora, difficilmente arriverà in seguito, e questo potrebbe voler dire...”
“Può essere...può essere...” e si immerse nuovamente nei suoi pensieri, facendo scorrere gli occhi su quei nomi che teneva in mano.

“Abbiamo una pista! Una telecamera di sorveglianza del parcheggio della discoteca ha ripeso Carol che usciva con un ragazzo. Abbiamo inserito la sua foto nel programma di riconoscimento facciale, ma per il momento nessun riscontro. L'amica Sally sta venendo qui, magari lo conosce.”
Jane non era per niente convinto che il ragazzo c'entrasse qualcosa, ma era pur sempre l'ultimo ad averla vista e rintracciarlo sarebbe stato ugualmente utile. E poi seguire una pista lo avrebbe sicuramente fatto sentire meno impotente.
Sally Pierce riconobbe il ragazzo nel video: era Peter Walsh, non frequentava il college, aveva già venticinque anni, ma non si perdeva mai una festa – specialmente quelle in cui poteva trovare alcol e belle ragazze – e tutti lo conoscevano. Li aveva visti scambiarsi qualche parola nel corso della serata, ma non poteva credere che l'amica fosse andata via con lui.
Al giovane agente Wylie ci vollero solo pochi minuti per raccogliere su di lui quante più informazioni possibili.
“Peter Walsh, venticinque anni. Abita in un appartamento appena fuori dal college, ma il suo coinquilino dice che non lo vede dalla sera della festa. Ha un'altra residenza a suo nome, in periferia. È una zona piuttosto isolata...”
Erano proprio le parole che volevano sentirsi dire.
“Mandaci le coordinate, noi cominciamo a muoverci.” Lisbon non aveva ancora finito la frase che Jane era già davanti alle porte dell'ascensore ed Abbott aveva già chiamato due agenti di rinforzo.
Teresa raggiunse il suo partner. Se prima sembrava restio a seguire questa pista, ora appariva determinato. Forse era fatta: l'avevano trovata. Sperava solo di arrivare in tempo e sperava che la ragazza fosse viva.
Jane era impaziente e fremeva: ogni secondo di attesa poteva essere fatale.

Arrivarono sul luogo in meno di quindici minuti, infrangendo qualsiasi norma del codice stradale, ma d'altronde erano l'FBI.
Quella che avevano davanti non si poteva definire residenza. Sembrava piuttosto un capanno abbandonato, immerso in una macchia di vegetazione. Effettivamente era piuttosto isolato.
Si avvicinarono all'edificio silenziosamente. Lisbon fece cenno a Cho di seguirla, mentre gli altri due agenti si spostavano sul retro. Avanzavano piano con le pistole estratte e dritte davanti a loro. Jane seguiva la sua partner, lasciando qualche metro di distanza. Per un momento posò lo sguardo sulla sagoma di lei e ne rimase affascinato: camminava sicura, senza esitazione. Era forte e bellissima.
Un frastuono improvviso interruppe i suoi pensieri. Un tonfo profondo seguito da un rumore metallico e dal suono di vetri rotti. Jane corse istintivamente dietro le macchine parcheggiate poco lontano da lì. Teresa si voltò per controllare la posizione di Jane ed accertarsi che fosse al sicuro, poi si volse nuovamente verso la casupola e con passo deciso si avvicinò alla porta.
“FBI. Esca con le mani in vista.”
Nessuna risposta.
“Signor Walsh dobbiamo farle qualche domanda. Esca lentamente o saremo costretti ad entrare.”
E così fecero. Con una sola spallata Cho sfondò la porta lasciando il passo a Lisbon. Entrambi gli agenti entrarono e furono risucchiati dall'oscurità.
Patrick era rimasto ad osservare la scena da lontano, ma adesso il suo cuore palpitava. Probabilmente era dovuto allo spavento che quel rumore gli aveva suscitato, oppure era il sottile terrore di non vedere la piccola figura della sua Teresa uscire da quella porta. Quante volte l'aveva vista in azione, aspettando fuori, ma adesso ogni volta che succedeva un leggero panico lo assaliva.
“Libero.”
“Libero.”
“Libero.”
Il consulente si accorse di aver trattenuto il fiato fino a quel momento e tirò un sospiro di sollievo. I quattro agenti uscirono delusi. Non avevano trovato nessuno all'interno. Un gatto randagio aveva fatto cadere qualche libro da uno scaffale, andando a rompere una lampada e un bicchiere mezzo vuoto che si trovavano su un comodino. Peter Walsh non era lì, e neanche Carol.
La donna raggiunse il suo compagno. Aveva solo brutte notizie, ma avrebbe dato qualsiasi cosa per strappargli un sorriso.
“Sei proprio un fifone. Era solo un gatto.” il suo volto si illuminò.
“È facile chiamare gli altri fifoni con una pistola in mano. Così sono tutti buoni ad essere forti e coraggiosi.”
Ecco il suo Jane, con la risposta pronta e un sorriso sulle labbra.
“Ma piantala, non mi serve la pistola per essere più forte di te.” e come a sottolineare quelle parole gli rifilò un pugno sulla spalla. Patrick fece una smorfia di dolore e si massaggiò la zona colpita. Per quei pochi minuti non pensò alla delusione di non aver trovato né la ragazza né il sospettato, gli bastava avere Lisbon al suo fianco, sana e salva.
“Mi dispiace Jane, ma abbiamo emesso un mandato d'arresto e sono sicura che troveremo Walsh al più presto. Nel frattempo potremmo dare un'occhiata alla tua lista.”
“Sto bene, non ho bisogno di essere consolato.”
“Non ti sto consolando!”
“Si invece, e ti dico che non ce n'è bisogno. Probabilmente hai ragione tu ed è già troppo tardi per Carol.”
Teresa non rispose. Avrebbe voluto smentire e dire che c'era speranza, ma nella sua lunga carriera i casi di rapimento che si concludevano nel migliore dei modi erano assai pochi, si contavano sulle dita di una mano, e sapeva che se avesse detto il contrario Jane avrebbe riconosciuto le sue bugie.
Risalirono in macchina e tornarono alla sede dell'FBI.

Una volta tornati a casa entrambi avevano solo voglia di lasciarsi quella lunga giornata infruttuosa alle spalle. Jane per primo voleva mostrarsi tranquillo, avrebbe preferito che il suo stato d'animo non si riversasse sulla sua compagna, così cercò di lasciare la sua frustrazione, la sua tristezza e il suo senso di impotenza fuori, sullo zerbino, e godersi la bellezza dello stare insieme.
“Non è vero comunque.” disse Patrick.
Lisbon rimase spiazzata. Erano entrati in casa in silenzio, e anche durante i minuti precedenti non stavano parlando di niente in particolare.
“Non è vero cosa?”
“Che sei forte anche senza la tua fedele pistola.” lei non poté trattenere un sorriso e lo guardò con aria di sfida. Sfilò il fodero dalla cintura dei pantaloni e lo appoggiò sul tavolino della sala.
“Mettimi alla prova.”
Jane rise soddisfatto e felice che lei stesse al gioco. Poi senza preavviso puntò i suoi occhi blu in quelli di Teresa e si fece serio. Si avvicinò lentamente finché i loro corpi non si sfiorarono. Lei sapeva dove volesse andare a parare Jane, in fondo lo conosceva bene, ma per una volta decise di perdere quella piccola sfida. Prese il suo volto tra le mani e lo baciò a lungo e con trasporto. Dopo qualche secondo Patrick si scostò, giusto per sottolineare la sua vittoria.
“Visto? Non sei così forte come credi mia piccola Lisbon, non puoi resistermi.”
Lei sorrise di nuovo, era bello vederlo felice. Poi alzò gli occhi al cielo con fare scherzoso.
“Ah, se solo avessi la mia pistola...” si liberò dalla sua stretta, lo prese per mano e lo trascinò di corsa su per le scale, verso la camera da letto.





  - Angolo dell'autrice -
Come promesso ecco il secondo capitolo! Complimenti a chi ne aveva indovinato il titolo ;)
Spero che vi piaccia e, come sempre, sentitevi liberi di lasciare commenti, critiche costruttive e consigli!
Aggiornerò tra 7-10 giorni, buona lettura! =)
Ps: chi indovina il prossimo titolo? 

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Capitolo 3
*** Someone at peace with themselves.. ***


SOMEONE AT PEACE WITH THEMSELVES

 

La notizia arrivò improvvisa e gradita come una ventata di aria fresca: avevano trovato e fermato Peter Walsh ad un posto di blocco al confine con il Messico. Lo stavano portando alla sede dell'FBI.
Lisbon tentava di non dare a vedere il suo stato d'animo, ma Jane riconobbe in fretta il sentimento di speranza che provava. Lui invece non riusciva a gioire: aveva la netta sensazione che quel ragazzo sarebbe stato loro inutile e che stessero solamente girando a vuoto.

Tirò fuori dalla tasca della giacca la fotografia di Carol – ormai tutta spiegazzata – e si perse di nuovo nei suoi occhi. Ricordò l'ultima volta che aveva potuto guardarli dal vivo e quasi si commosse.
Era solamente una bambina, ma era così intelligente! Ogni volta che faceva sparire la monetina fra le mani e la faceva ricomparire da dietro il suo orecchio Charlotte non rideva di gusto come tutti gli altri suoi coetanei, non rimaneva sbalordita. Sorrideva debolmente poi chiedeva al suo papà di rifarlo un'altra volta. E poi ancora. E ancora. Guardava con attenzione, con la fronte corrucciata e gli splendidi occhi azzurri ridotti a due sottili fessure. Tentava di capire il trucco. Il resto del mondo spariva e tutta la sua concentrazione si focalizzava sui movimenti del padre.
Quando infine si accorgeva di non saper risolvere quell'enigma non si arrabbiava: spalancava gli occhi e li puntava in quelli di lui, e con la voce piena di emozione affermava “Un giorno saprò farlo anche io papà.”
“Jane!” quella voce baritonale lo riscosse dal suo viaggio nel passato. Si accorse di essere fermo, in piedi in mezzo al corridoio. Da quanto tempo stava lì così?
“Va tutto bene? Cosa fai lì impalato? Sono arrivati gli agenti con Walsh. Lo stiamo per interrogare.”
“Ah, ottima notizia.” e sorrise pacifico per cancellare dalla mente di Abbott qualsiasi genere di preoccupazione riguardante lui. Lo seguì nella stanza adiacente a quella degli interrogatori da cui potevano osservare il sospettato senza essere visti.
“Lisbon il tuo fidanzato è strano. Se stesse progettando qualche stupidaggine delle sue voglio sperare che mi avvertirai.”
Teresa annuì e si volse con aria interrogativa verso Patrick, come a chiedergli spiegazioni. Lui assunse un'espressione furbesca e divertita e non disse niente. Preferiva che tutti pensassero che stesse combinando qualche pasticcio piuttosto che attribuissero la sua “stranezza” ad un coinvolgimento personale. Tutti tranne Lisbon ovviamente, che già sapeva e aveva capito. Quando la bella l'agente uscì dalla stanza per raggiungere Cho dall'altra parte del vetro, passò accanto al suo consulente gli sfiorò la schiena con la mano, sperando che il suo capo non lo notasse: odiava mostrarsi in atteggiamenti intimi in pubblico! E per una come lei anche una semplice carezza innocente era da classificarsi sotto i “comportamenti inadeguati” sul lavoro.
Cho cominciò l'interrogatorio, mentre Lisbon si sedeva al suo fianco.
“Immagino che tu sappia perché sei qui.”
Il ragazzo appariva piuttosto agitato e scosso.
“Carol Holland, ti dice qualcosa questo nome?”
“S...si...è la figlia del senatore Holland.”
“Ed è anche la ragazza con cui sei andato via da una festa tre giorni fa.”
Peter spalancò gli occhi, era sorpreso, ma neanche Jane riusciva a capire per che cosa. Rimase in silenzio per qualche secondo poi annuì arrendevolmente.
“Si, è venuta a casa mia quella sera. Ma solo qualche ora dopo l'ho riaccompagnata a casa. Era ubriaca e non volevo...insomma...è la figlia di un senatore, se avessi...approfittato della situazione sarebbe finita male, capite?”
Tentò di fare un piccolo sorriso sperando in una qualche complicità da parte dell'agente, ma Cho rimase impassibile, serio, fissandolo negli occhi.
“Quindi se non fosse stata la figlia di un senatore avresti approfittato di lei, ma essendo una ragazza importante sei stato un gentiluomo e l'hai riportata a casa.”
“Si! Cioè, no... Sono un bravo ragazzo, non ho mai fatto del male a nessuna, tanto meno a Carol Holland. L'ho riaccompagna a casa! Giuro! Suo zio può confermarlo.”
Lisbon alzò lo sguardo e lo puntò sul ragazzo apparentemente spaventato che aveva di fronte.
“Di chi parli?”
Adesso si che era sorpreso. I suoi occhi erano fissi e non si mosse di un millimetro.
Nell'altra stanza Jane sbuffò e assunse un'espressione seccata. Quando Abbott gli chiese le ragioni lui affermò che il ragazzo stava dicendo la verità, era palese.
“Ne sei sicuro Jane? Andrew Holland non ci ha detto di avere un fratello, né un cognato. Come potrebbe essere la verità?”
“Lo è. Non ha modificato la sua posizione sulla seggiola, non ha abbassato lo sguardo neanche un secondo, le sue palpebre non sbattono rapidamente e la sua sorpresa è autentica. L'ha riaccompagnata a casa. Ma se può interessarti ha mentito quando ha detto di essere un bravo ragazzo.”
Nel frattempo Walsh stava spiegando come quella sera aveva fatto salire Carol nella sua auto e l'aveva fatta sdraiare sui sedili posteriori per poi guidare fino a casa sua. Dopo averla fatta scendere l'aveva sorretta: era proprio conciata male. Mentre attraversavano il vialetto che conduceva al grande portone un uomo l'aveva salutata e si era avvicinato a loro. Carol non aveva risposto, ma aveva smesso di parlare del tutto da quando erano partiti! L'uomo si presentò come John Holland e disse che avrebbe accompagnato lui sua nipote in casa.
“Insomma, cosa potevo fare? Non volevo cacciarmi nei casini, così ho annuito e me la sono filata!”
Jane ripercorse mentalmente la lista dei nomi che Lisbon gli aveva procurato il giorno prima, John Holland non c'era. I casi erano due: o l'uomo incontrato da Peter aveva dato un nome falso oppure il senatore aveva omesso per qualche ragione una persona fondamentale dal suo elenco.
“Abbott devo parlare con Holland.”
L'agente rimase a fissarlo sbalordito. Si aspettava davvero che il senatore avrebbe acconsentito ad un altro incontro vista la conclusione turbolenta dell'ultimo?
“Scordatelo Jane. Se devi fargli qualche domanda sarò lieto di fare da tramite, ma non ti permetterò di mettere nuovamente tutta la squadra in pericolo perché hai voglia di giocare con una figura così importante come quella di Holland.”
Patrick stava già per ribattere irritato, ma una telefonata interruppe la discussione in corso. Il capo rispose con tono formale al cellulare e uscì dalla stanza per poter continuare la conversazione nel suo ufficio.
Cho e Lisbon raggiunsero Jane e gli chiesero cosa ne pensasse. Mentre il consulente li rendeva partecipi delle sue conclusioni, uno strano presentimento cominciò a farsi strada nel suo stomaco: lo sentiva attorcigliarsi lentamente ma inesorabilmente e non se ne spiegava la ragione.
Poi Dennis tornò nella stanza e in un attimo fu tutto chiaro.

Era morta.

Non ci fu neanche bisogno di ascoltare le parole dell'uomo. Aveva la fronte corrucciata ed uno sguardo serio, dispiaciuto. Era un'espressione inconfondibile.
Abbott diede la notizia a gli altri presenti nella stanza che non erano in grado di leggere la mente come Patrick; quest'ultimo non sentì la sua voce: era sprofondato nel buio dei suoi pensieri.

Era accaduto di nuovo. Ancora, come allora, non era stato capace di salvarla. Charlotte non c'era più, qualcuno aveva spento la sua giovane vita con brutale violenza. E non c'era più neanche Carol, per lo stesso motivo. Jane non era riuscito a salvarle, le aveva perse entrambe. Non era stato abbastanza abile, intelligente, acuto da risolvere il mistero che stava dietro a quella scomparsa ed ora era tutto finito. Quegli occhi azzurro cielo avevano ancora tanto da guardare, ma non lo avrebbero più fatto, perché qualcuno li aveva chiusi per sempre e lui, Patrick Jane non aveva fatto niente per impedirlo. Erano scomparse. Quelle due giovani fanciulle non sarebbero più ritornate dalle loro famiglie.
L'oscurità lo avvolse.
Avrebbe dovuto aspettarselo, era la conclusione più probabile per quella situazione. Ma quando c'erano di mezzo i suoi sentimenti non riusciva mai a considerare le scarse percentuali di successo con razionalità. Ci aveva sperato. Come uno sciocco aveva sul serio sperato di ritrovare Carol viva e di poterla riportare dai suoi genitori. Per qualche secondo aveva persino pensato che salvando lei avrebbe rimediato al danno fatto molti anni prima, sarebbe stato un po' come salvare la sua piccola Charlotte. Ma aveva fallito. Di nuovo. Come si poteva fare i conti con tutto ciò? Come si poteva tornare a casa, tornare alla vita di sempre, sapendo di non essere riusciti a salvare una ragazza in pericolo?
Il coroner aveva detto che l'ora del decesso si aggirava intorno alle dieci di quella stessa mattina. Era ancora viva quando avevano cominciato le indagini. Se fossero stati più bravi, più rapidi avrebbero davvero potuto salvarla. Patrick avrebbe dovuto salvarla.

Era sul suo divano, immobile. Fingeva di dormire per non essere disturbato, mentre intorno a lui il mondo continuava a girare: i suoi colleghi cominciarono immediatamente le ricerche per trovare questo “John Holland” o chiunque fosse. Non si fermarono un secondo, continuarono imperterriti a lavorare.
Lisbon era preoccupata. Ogni tanto passava davanti al suo partner e controllava il suo stato. Era pessimo, e lei non sapeva come gestire la situazione. Avrebbe voluto andare a svegliarlo e obbligarlo a collaborare con loro per trovare il colpevole, e in passato l'avrebbe fatto! Ma ora era diverso. Patrick si era aperto con lei e l'aveva resa partecipe di tutto. Non poteva fingere di non sapere quanto Carol significasse per lui, non poteva chiedergli di riprendersi in fretta e di aiutarli. Avrebbe dovuto, ma non ne aveva la forza. Così le ore passarono, senza che Teresa riuscisse ad interagire con lui. Si buttò anima e corpo nelle indagini: era il suo modo di reagire alla brutta notizia.
Quando finalmente Jane si decise a riaprire gli occhi il cielo si era già fatto buio, e anche l'ufficio cominciava ad essere immerso nella penombra, segno che la maggior parte degli agenti erano già tornata a casa. Si guardò intorno, il piano era deserto. Anche la scrivania che si trovava a pochi passi da lui era disabitata, Lisbon non era lì. Per un attimo rimase interdetto, ma solo per un attimo: sapeva esattamente dove avrebbe potuto trovare la sua compagna.

Patrick aprì lentamente il pesante portone di legno ed un penetrante odore di incenso lo travolse. Regnava il silenzio. Una moltitudine di candele poste nelle navate laterali illuminavano debolmente l'interno della piccola chiesetta. Tentando di non fare rumore si avvicinò all'unica persona presente. Lisbon era seduta in una delle prime panche, con lo sguardo leggermente rivolto verso l'alto. Pregava. Vedendola così lui non poté fare a meno di sorridere debolmente, ricordando una stessa situazione che avevano vissuto tanti anni prima. Com'erano lontani quei tempi, e quanto l'aveva fatta soffrire! In cuor suo si ripromise per l'ennesima volta che avrebbe fatto di tutto per non farla star male mai più, ma nell'atmosfera di quella chiesa silenziosa la promessa fatta a se stesso gli sembrò ancora più importante e vera del solito.
Si sedette nella fila appena dietro di lei, poi appoggiò i gomiti allo schienale della panca davanti, con il viso vicino alla spalla di Lisbon.
“Sapevo che ti avrei trovata qui.”
Stava ancora malissimo, ma adesso che era così vicino alla sua Teresa sentiva di poter tirare un sospiro di sollievo da tutti i suoi tormenti.
“Speravo che venissi.” si voltò appena un poco verso di lui per sorridergli.
“Come fai a stare bene? Ad essere così tranquilla?”
“Lo sai come.”
“Già, la tua fede...”
“Patrick, Carol adesso sta bene...e anche Charlotte, e...e tutti gli altri. Io ne sono sicura.”
“Vorrei poterci credere Teresa, vorrei trovare quella pace interiore che tu hai e che tanto amo di te.”
Lisbon sorrise e gli occhi le si inumidirono. Si ricordò di un video visto tanti anni prima, in cui Jane descriveva la sua donna ideale e diceva che avrebbe dovuto essere in pace con se stessa. Ed ora lui era lì, di fianco a lei e diceva di amarla.
“Lo so, un giorno forse troverai anche tu la tua pace e potrai finalmente credere che i tuoi cari stanno bene... E fino ad allora crederò io per entrambi.”
Jane sapeva che non avrebbe mai avuto la fede che animava la sua partner, ma per la prima volta non riuscì a negare del tutto quell'ipotesi, e si lasciò andare, solo per qualche secondo, alla speranza di trovare un giorno quella pace vera.
Appoggiò la testa sulla spalla di lei e rimase così, a lungo.
“Ti amo Teresa.”












-Angolo dell'autrice-
Visto che è festa, pubblico con un girono d'anticipo =)
Spero davvero che questo capitolo vi piaccia, personalmente è, fin ora, il mio preferito. E' stato per me molto importante scriverlo e condividerlo con voi, quindi spero che abbiate voglia di lasciare un vostro commento e di farmi sapere se vi è piaciuto (o di lasciarmi eventuali critiche costruttive, che sono sempre ben accette!)
Come sempre spero di aggiornare tra 7-10 giorni.
Ps: chi indovina il prossimo titolo? =D

 

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Capitolo 4
*** Someone better than me.. ***


SOMEONE BETTER THAN ME
 

“Dennis, te l'ho già detto, devo parlare con Andrew Holland.”
La mattina seguente Jane era tornato alla carica. Aveva abbandonato il comportamento arrendevole ed infruttuoso del giorno prima e aveva deciso di trovare l'assassino di Carol. Non poteva più salvarla, ma non per questo il mostro che l'aveva uccisa sarebbe dovuto rimanere impunito, doveva pagarla. Lisbon lavorava anima e corpo in quel caso, soprattutto perché sapeva quanto Patrick ci tenesse, così il consulente non poté che desiderare di darle una mano.

“Buongiorno Jane – rispose con tono sarcastico il capo – Non se ne parla, oltretutto sono una famiglia in lutto, saranno devastati, abbi un po' di rispetto.”
Abbott stava spiegando a lui come si sentiva un uomo in lutto? Un uomo che ha appena perso la figlia? Ridicolo. Trattenne un moto di violenta irritazione e cercò di comportarsi in modo civile.
“Ti sto solo dando la possibilità di agevolare le cose Dennis e di fare in modo che questo incontro avvenga sotto la tua sorveglianza, ma se non vuoi collaborare...”
Ora anche il capo cominciava ad innervosirsi. Sapeva che Patrick stava solamente tentando di dare una mano alla squadra, ma non poteva pretendere di far sempre di testa sua, e lui non gli poteva concedere tutto quello che chiedeva, soprattutto se erano coinvolte persone di un certo rilievo. Doveva mantenere una posizione autoritaria, altrimenti quel consulente da strapazzo sarebbe diventato ancora più ingovernabile.
“È forse una minaccia Jane?”
“No, affatto. Ma sai che troverò il modo per ottenere quello che voglio, lo trovo sempre. Ora dovresti chiederti cosa potresti fare tu per limitare i danni.”
Senza aspettare la risposta si voltò e si allontanò dall'uomo con cui parlava. Aveva fatto centro: entro qualche minuto Abbott avrebbe chiamato il senatore e l'avrebbe fatto venire nel suo ufficio. Ne era certo.

Trenta minuti esatti dopo, Teresa comunicò a Jane che il senatore era arrivato.
“Dennis ha mandato te sperando che, così facendo, io sia più motivato a comportarmi bene?”
L'agente arrossì, era esattamente come diceva, ma non avrebbe voluto che lui lo scoprisse così alla svelta. Però mentire ormai era inutile, lo era sempre stato. Gli sorrise.
“Dipende. Potrebbe funzionare?”
Il consulente sorrise complice a sua volta e la fulminò con uno sguardo intrigante.
“Mmm... potrebbe...”
Le si avvicinò un poco, ma Teresa fu più svelta: spalancò gli occhi sorpresa da quel tentativo di approccio così spudorato (nonché contro le regole) e lo allontanò spingendogli il petto con entrambe le mani.
“Non fare l'idiota!”
Cercò di essere seria ed autoritaria, ma non riuscì a trattenere un sorriso compiaciuto. Patrick si avviò verso l'ufficio del capo divertito, voltandosi ogni tanto per guardare ancora qualche secondo la sua partner.

Appena varcò la soglia della stanza si scontrò con mille emozioni differenti: Holland assunse una posa tipica di chi prova ostilità, Abbott gli piantò addosso due occhi minacciosi e preoccupati, Jane stesso sentì nascere un senso di diffidenza rivolto verso senatore, ma tentò di stemperarlo ricordandosi che, nonostante tutto, aveva di fronte un padre in lutto.
“Buongiorno.”
Come era solito fare, il mentalista saltò i convenevoli e andò dritto al punto.
“Signore, perché non mi ha detto di avere un fratello?”
“Jane!! – tuonò Abbott – Senatore lo perdoni...”
“Ah no, non ho niente da farmi perdonare. Le ho chiesto una cosa precisa: la lista di parenti e amici in contatto con la sua famiglia e lei ha omesso un nome.” fece una breve pausa per studiare il suo interlocutore, poi riprese senza dare tempo a nessuno di ribattere. “E dalla sua reazione noto che è stata un'omissione volontaria.”
Andrew Holland rimase basito, fece fatica a rispondere.
“Ma...ma...come si permette di avanzarmi delle accuse simili? Mi sta dicend...”
“La smetta di difendersi e di alzare uno scudo in nome della sua carica politica. Noi siamo qui per aiutarla. Mi risponda: perché non ci ha detto di avere un fratello?”
“Non ho un fratello!”
“Non mi menta. Perché non mi ha detto di avere un fratello?”
“LUI NON È MIO FRATELLO!”
Silenzio.
Holland si accorse del passo falso appena compiuto e rimase con la bocca spalancata, senza saper cosa aggiungere. Abbott era stupefatto: ancora una volta quel biondo immaturo aveva ragione. Per tutto lo scambio di battute aveva cercato di intervenire per riportate la calma, ma non ne era stato in grado, e ora per la verità, ringraziava di non esserci riuscito.
Jane stesso era leggermente stupito. Sapeva che Andrew stava nascondendo qualcosa e lo aveva provocato di proposito, ma non si aspettava sul serio che stesse nascondendo addirittura un fratello! Non aggiungendo quel nome alla lista il senatore aveva compromesso volontariamente le indagini, che razza di padre avrebbe preso una decisione simile? Inoltre com'era possibile che l'FBI, con tutte le potenti tecnologie di cui disponeva, non ne aveva scoperto l'esistenza?
Fu il grosso agente a riprendersi per primo e a parlare. Questa volta il suo sguardo minaccioso era rivolto verso Holland.
“Signore, lei ci deve delle spiegazioni.”

Andrew Holland era stato cresciuto dal padre e dalla moglie di quest'ultimo, che aveva preso il posto della madre biologica quando, dopo soli dieci mesi, li aveva abbandonati. Era cresciuto all'oscuro di tutto, fino al giorno della sua elezione. Da quel momento cominciò a ricevere lettere, e-mail, chiamate da un uomo che affermava di essere suo fratello e voleva condividere con lui la sua gioia (ovvero i suoi soldi). Il padre di Andrew fu costretto a raccontargli tutto, così il neo-senatore venne a sapere che la sua vera madre aveva avuto un altro figlio con chissà quale dei mille spacciatori che frequentava al tempo. Fu un duro colpo, ma non potevano permettersi di perdersi in un litigio familiare. Avrebbero dovuto insabbiare tutto al più presto: la notizia di una madre drogata e di un fratello illecito avrebbe potuto rovinare la sua carriera! Così grazie ai contatti del padre erano riusciti a cancellare qualsiasi traccia del legame tra Andrew e il fratellastro John.
Il senatore aveva presto capito che questo John era un uomo instabile e, nei mesi passati, l'aveva ripetutamente allontanato dalla sua famiglia e da sua figlia.
“Avrebbe dovuto dircelo subito.” disse Jane irritato e persino rabbioso dopo aver ascoltato il racconto. “La vita di sua figlia valeva più della sua stupida carriera politica.”
Detto questo uscì senza aspettare una risposta.

Con le informazioni giuste, fu facile per Wiley rintracciare l'uomo: John Stark – aveva ereditato il cognome della madre – viveva con la sua compagna in un appartamento ad Austin.
Peter Walsh, dopo aver visto una sua fotografia, confermò la corrispondenza con l'uomo che aveva visto la sera della scomparsa sotto casa di Carol; poi fu rilasciato.
Lisbon e Jane si diressero immediatamente all'indirizzo procurato dal biondino informatico, ma la compagna, Trish Maybur, era sola in casa.
Una volta entrati e fatti accomodare Lisbon cominciò con le domande di routine.
“Signora Maybur, saprebbe dirc...”
“Signorina, prego!” interruppe la donna, e dicendo questo sorrise languidamente a Patrick. Il mentalista finse di esserne lusingato e le strizzò l'occhio in risposta. Teresa rimase allibita per un istante, ma tentò di nascondere la sua irritazione; anche se, quando riprese a parlare, il suo tono era più duro e aspro.
Signorina Maybur, sa dirmi quando John tornerà a casa? Avremmo bisogno di fargli qualche domanda.”
“Oh, non saprei proprio, lui non vive più qui.” rispose la donna civettuola.
Era alta, bionda, ben proporzionata, con belle gambe accavallate in modo provocante e lunghe ciglia che continuava a sbattere, lanciando sguardi fintamente timidi verso il consulente.
“Ci siamo lasciati il mese scorso. È stato orribile... lui era un uomo magnifico, una persona migliore di me, non lo meritavo. Così un giorno ha preso le sue cose e se n'è andato.” era rivolta a Patrick, e parlava con voce melliflua quasi sperando che lui la consolasse.
“Capite cosa intendo? Lui era un santo e io gliene combinavo di tutti i colori. Non so come abbia fatto a sopportarmi per tutti quegli anni. Era migliore di me, capite?”
Jane annuì accondiscendente e le sorrise ancora una volta di sottecchi. Lisbon proruppe con un secco “Si.” e scoccò un'occhiataccia a Jane. Che diavolo stava facendo? Era proprio un idiota. Certo che capiva le parole di quella donna. Lei le sperimentava ogni giorno con Patrick, specialmente quando si comportava in quel modo!
“Bene” tagliò corto l'agente, “Se le dovesse venire in mente qualunque cosa non esiti a chiamarci.”
Alzandosi le porse un biglietto da visita. Jane intercettò il rettangolo di carta, frugò nella tasca della giacca finché non trovò una penna e aggiunse sul retro il suo numero personale. Poi lo rivolse delicatamente alla signorina Maybur e sfoderò la sua voce più dolce.
“Per qualsiasi cosa, non esiti a chiamarmi. La prego.”
Gli occhi di Trish luccicarono e si abbassarono intimiditi dal fascino di quell'uomo. Poi i due si congedarono e uscirono dalla casa.

Lisbon camminava con passo rapido e deciso sul vialetto e presto seminò Jane, che dovette fare una piccola corsetta per raggiungerla.
“Ehi! Aspettami, sei arrabbiata?”
COSA?! Quella domanda poteva proprio risparmiarsela! L'uomo che si vantava di conoscere ogni angolo della sua mente, che la definiva un libro aperto aveva il coraggio di chiederle se, dopo averlo visto flirtare con un'altra donna, lei fosse arrabbiata? E perché mai avrebbe dovuto esserlo?
“No.”
Jane ridacchiò sotto i baffi, quella piccola e splendida poliziotta non era proprio capace di mentire. Il suo volto imbronciato era così bello che avrebbe voluto baciarla in quel preciso istante, ma aveva seriamente paura che gli arrivasse un pugno sul naso, così si limitò a spiegarsi.
“Dai Tess, non prendertela, era solo un gioco!”
“Ho detto che non sono arrabbiata, gioca pure quanto ti pare.” e dicendo questo entrò in macchina e mise in moto. Se Patrick non fosse stato tanto rapido ad aprire la portiera, probabilmente lo avrebbe lasciato a piedi.
Era davvero irritata. Si chiedeva che vantaggio avesse tratto da quello stupido gioco. Perché doveva farla a tutti i costi incavolare? Durante il viaggio di andata era stato silenzioso, con gli occhi rossi di rabbia per il colloquio con il senatore. Quando Teresa aveva cercato di calmarlo dolcemente, lui le aveva sorriso appena ed era ritornato ai suoi pensieri tenebrosi. Ed ora d'un tratto gli era venuta voglia di giocare? Più il tempo passava più Lisbon si convinceva del fatto che Jane fosse bipolare.
Il mentalista lesse questo pensiero nell'espressione della sua partner e non riuscì a soffocare una risata. Per tutta risposta lei lo fulminò con lo sguardo.
“Lisbon, non fare così. Lo sai che c'è una spiegazione per il mio comportamento. Coraggio, prova ad indovinare.”
“Ti sembro in vena di indovinelli?”
L'irritazione nella voce della donna cresceva sempre di più, Patrick si convinse che fosse meglio non tirare troppo la corda, o l'avrebbe pagata cara.
“E va bene: quando Trish ha detto di non sapere dove fosse John stava mentendo.”
“E questo che c'entra?”
“Vuol dire che è ancora in contatto con lui e che sono ancora coinvolti sentimentalmente. Però ha provato attrazione per me non appena mi ha visto e mi ha stretto la mano, un po' come hai fatto tu...”
“Io non sono stata attrat...”
“Pessima bugiarda.”
Se quello era il suo modo di giustificarsi e di rimediare alla situazione non ci stava riuscendo per niente. Se solo Lisbon non avesse avuto paura di rovinare la macchina gli avrebbe sparato all'istante.
“Comunque...le piaccio, ma è innamorata di John. Questi sentimenti contrastanti faranno nascere presto un senso di colpa e sentirà il bisogno di vedere il suo uomo per accertarsi che tra loro vada tutto bene e per non cadere nella tentazione di chiamarmi sul serio. Vedi? C'è sempre una spiegazione valida, la stavo solamente manipolando per fare in modo che ci portasse da Stark. Quindi adesso dovresti fare il giro dell'isolato e tornare di fronte a casa sua, così potremo seguirla.”
“Agli ordini capo.”
Jane sapeva che quella motivazione l'aveva convinta, ma che nonostante questo, era ancora infastidita dal suo comportamento. E le sue ultime parole non fecero che rinforzare il messaggio: solo quando era profondamente irritata e si sentiva messa in discussione lo chiamava con quell'appellativo. Si sentì lievemente in colpa.
“Siamo partner, ricordi? Mi dispiace di averti offesa, non lo avrei fatto se non fosse stato necessario, credimi. È solo che mi è sembrato il modo più rapido per trovare John e fargliela pagare. Lo sai, quell'uomo deve essere punito per quello che ha fatto a Carol, non voglio che si goda neanche un altro giorno di vita.”
Il tono acceso e appassionato con cui Patrick stava pronunciando quelle parole riscossero Lisbon dai suoi pensieri e per il momento accantonò l'orgoglio ferito. Aveva sentito altre volte il suo consulente parlare in quel modo, ed era sempre stato per vendetta personale.
“Jane, quando lo troveremo lo arresteremo e lo interrogheremo finché non confesserà. E tu non entrerai in contatto con lui, neanche lontanamente. Ci lascerai condurre il caso in modo corretto e soprattutto legale.”
D'un tratto rimase silenzioso. Teresa era preoccupata: anche se poco fa scherzava e la punzecchiava di proposito, sapeva che la cosa che più stava a cuore al mentalista in quel momento era trovare l'assassino della ragazza dagli occhi color del cielo. Ma non poteva permettere che quella diventasse una missione personale, ne tanto meno che gli venisse in mente di fare qualche pazzia. Aveva bisogno di sentirglielo dire.
“Jane.”
“Si, va bene. Quando l'avremo trovato sarà tutto tuo. Però...”
“Nessun però. Pagherà per quello che ha fatto, te lo prometto, ma pagherà nel modo giusto.”

Nel frattempo si erano posizionati poco distanti dalla casa della signorina Maybur e tenevano d'occhio la sua macchina parcheggiata nel vialetto. Dopo solo qualche minuto d'attesa la bella donna uscì di casa e salì in auto guardandosi intorno per accertarsi che non ci fosse nessuno nei paraggi, ma non notò i due colleghi appostati poco più in là. Quando cominciò a percorrere le strade della città, Lisbon la seguì a qualche metro di distanza.
Non ci volle molto che arrivarono in un quartiere malfamato e semi deserto, con sacchi di spazzatura sparpagliati per i marciapiedi e recinzioni di metallo malridotte attorno alle case.
Trish accostò e attraversò di corsa la distanza che la separava da una catapecchia con tegole mancanti e intonaco scrostato. Bussò alla porta per tre volte velocemente e poi altri due tocchi lenti. I due partner rimasero a guardare. Qualcuno venne ad aprire e Jane riconobbe subito quel volto: era John Stark. Sentì salirgli un moto di disgusto per quell'individuo e si agitò appena sul sedile.
Teresa prese il cellulare.
“Cho, abbiamo trovato Stark, ti sto mandando le coordinate. Abbiamo bisogno di rinforzi per prelevarlo. Noi aspettiamo qui.”
Nel frattempo le due figure sulla soglia di casa si salutavano passionalmente e entravano avvinghiati, richiudendosi la porta alle spalle.
Lisbon non fece quasi tempo a riagganciare che il suo cellulare vibrò. I suoi occhi verdi fissarono il display illuminato e si ingrandirono momentaneamente per la sorpresa. Abbott le aveva appena scritto un imbarazzantissimo: “Tenete d'occhio la casa, non distraetevi.”
Stava forse mettendo in discussione la sua professionalità? O voleva solamente fare dell'umorismo pessimo? Arrossì violentemente.
L'attenzione di Jane si spostò immediatamente sulla compagna.
“Chi è?”
Teresa finse noncuranza e risposte nel modo più disinvolto che le riuscì.
“Nessuno...”
Patrick rimase interdetto. Da quando la sua partner tentava di nascondergli qualcosa? Di solito era lui quello fastidiosamente misterioso! Non voleva essere insistente, però una lieve gelosia cominciò a insinuarsi nel suo stomaco. Chi era la persona che gli scriveva e che lei si rifiutava di nominare?
“Nessuno? Questa cosa non ha senso, i messaggi non si scrivono da soli.”
L'umore di Lisbon cambiò radicalmente: Jane era geloso!
Si sentì più soddisfatta che mai; per una volta anche lui capiva quanto fosse irritante non sapere cosa stesse succedendo e temere che potesse essere una minaccia.
Il mentalista lesse i suoi pensieri e prese la palla al balzo.
“Stai solo cercando di vendicarti per come mi sono comportato con Trish, non è vero?”
“La vendetta è un veleno. La vendetta è per gli stolti e per i pazzi.”
“Ma che brava la mia Lisbon, queste sono parole mie!”
“Si, con la differenza che io ci credo davvero, mentre tu le dissi solo perché suonavano bene. Come direbbe la tua cara signorina Maybur: io sono migliore di te.” e mentre pronunciava le ultime parole sorrise spavalda. Ovviamente stava scherzando, voleva solamente infastidirlo un po' e distrarlo da John, da Carol e da tutto il resto. Non si aspettava di vederlo diventare improvvisamente serio.
Quelle parole avevano fatto breccia in Patrick, che non poté fare a meno che rifletterci su. Rimase qualche secondo in silenzio, poi puntò i suoi occhi accesi in quelli di lei e disse con voce calda e profonda: “Lo so, Teresa, tu sei migliore di me. Tu sei la parte migliore di me.”


















-Angolino dell'Autrice-
Eccomi qui con un nuovo capitolo! Spero che vi sia piaciuto e che abbiate voglia di farmi sapere il vosto parere, con eventuali critiche costruttive: scrivere una sottospecie di crime ma continuando a dare più spazio alle dinamiche jisbon sta diventando sempre più difficile! =S
Non sono sicura di riuscire ad aggiornare prima delle feste, ma mi auguro di sì!
Ps: chi indovina il titolo del prossimo capitolo? Vi preoccupa un pochino? Beh, dovrebbe! =D

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Capitolo 5
*** Someone who knows the worst side of me.. ***


SOMEONE WHO KNOWS THE WORST SIDE OF ME

 

Erano ancora in macchina, chiacchierando del più e del meno. Dopo le ultime parole di Patrick, Lisbon lo aveva completamente perdonato per aver flirtato con Trish ed ora cercava solamente di tenere la sua splendida mente impegnata.
Jane tentava di mascherare la sua agitazione conversando docilmente con Teresa. In realtà avrebbe solamente voluto scendere dall'auto e trovarsi faccia a faccia con quell'uomo, quell'animale che aveva spento la giovane vita di Carol. Meritava di soffrire.

Non sapeva come convivere con questi pensieri: aveva promesso a Teresa che non sarebbe entrato in contatto con Stark, che lo avrebbe lasciato alle autorità senza fare follie, ma ora sentiva un bisogno profondo di compiere la sua vendetta...
Non era la prima volta che provava quella sensazione, ma in passato le cose erano diverse: a quei tempi Lisbon conosceva le sue vere intenzioni, ed anche se non le condivideva, alla fine lo aveva lasciato libero di fare ciò che doveva, andando contro tutti i suoi principi.
Questa volta era diverso.
Prima di tutto le ragioni sembravano meno importanti: Carol non era la sua famiglia, non era sua figlia! Inoltre aveva promesso. E sapeva che la sua partner non avrebbe messo da parte il suo senso di giustizia un'altra volta. Con John il Rosso fare ciò l'aveva distrutta. Non lo aveva mai ammesso, ma Patrick lo sapeva bene. Lui l'aveva resa colpevole, aveva sbriciolato un angolino della sua integrità che non si sarebbe mai ricompattato. E questo l'aveva fatta soffrire.
Non poteva permettersi di farlo di nuovo!
Eppure quella rabbia che gli bruciava gli occhi e lo stomaco non accennava ad andarsene.
Doveva essere forte, superiore, giusto.
Doveva farlo per Teresa.

Finalmente arrivò la squadra guidata da Cho, e gli uomini armati circondarono la casa silenziosamente. Lisbon scese dalla macchina e con gesti quasi automatici si diresse verso gli agenti estraendo la pistola. Poi si bloccò: una voce nella sua testa continuava a richiamare la sua attenzione e a metterla in agitazione. Hai visto gli occhi di Patrick...fingeva di parlare d'altro ma li hai visti. Sono gli occhi di quel passato che sembrava così lontano. È vero, lui non è più quello di un tempo, è cambiato, è cresciuto, ma tu devi rimanere lucida Lisbon. Ora sei la legge e non la sua fidanzata, sii responsabile.” Non voleva dubitare della sincerità di Jane, ma la prudenza non era mai troppa con quell'uomo. Tornò indietro e si accostò al finestrino.
“Jane, tu resta qui. Non uscire per nessuna ragione...per favore.”
Patrick si sentì offeso, l'aveva forse scambiato per un bambino? Certo che avrebbe voluto scendere, andare da quel mostro e... ma non lo avrebbe fatto!
“Lisbon, ho già promesso. Ora vai.”
Una fitta di senso di colpa colse la poliziotta: lo aveva appena trattato come un bambino e non aveva riposto in lui e nelle sue parole la piena fiducia. Probabilmente si sbagliava e Jane non stava assolutamente covando un rancore personale, però quegli occhi... erano davvero simili a quelli che per anni aveva riservato unicamente a John il Rosso.
Sperava di sbagliarsi.

Seduto in macchina da solo il tempo sembrò dilatarsi all'infinito. Quei pochi minuti parvero a Patrick durare dei secoli. Come mai questo sentimento di vendetta lo metteva così in crisi? Aveva sempre creduto nella vendetta, avrebbe dovuto essere ormai abituato a quello stato d'animo.
Il problema era che questa volta tutto era più reale: quando in passato pensava a John il Rosso era talmente accecato dal dolore che non rimaneva spazio per i dubbi o per riflettere sulle sue emozioni. Tutta la sua mente era impegnata a trovare un modo per arrivare a quell'assassino spietato. Ora non era così, Stark, quel piccolo ed inutile uomo, era a pochi passi da lui, il dolore non era opprimente ma solo rinvigorente, e la rabbia era irrazionale e quasi incontrollabile. Cosa gli stava succedendo?

Non era da Jane rimanere così coinvolto: aveva sempre lavorato al CBI per trovare John, tutto il resto non importava poi molto. In qualche particolare caso di omicidio si era appassionato maggiormente, in altri meno, ma il suo obbiettivo era sempre stato chiaro ed unico: John il Rosso.
Ora John non c'era più.
Forse era per questo che si era lasciato coinvolgere dalla giovane Carol? Aveva bisogno di una missione personale? O semplicemente quegli occhi azzurro cielo lo avevano riportato indietro nel passato, ad essere l'uomo di un tempo.
Ma Jane non poteva più essere l'uomo di un tempo, e non lo era. Altrimenti ora non si sarebbe trovato a combattere contro se stesso per tenere a bada i suoi istinti più oscuri. Se si fosse comportato come in passato non si sarebbe fatto così tante domande sul senso del suo desiderio di vendetta.

Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dalla minuta agente che risalì in auto.
“Li abbiamo presi entrambi, ora li interrogheremo. Nel frattempo Cho e la scientifica cercheranno delle prove all'interno della casa: se non dimostriamo che Carol è stata uccisa qui...”
Lisbon lasciò la frase in sospeso. Aveva paura della reazione del suo consulente a quello che stava per dire e si maledisse in silenzio. Non doveva cominciare quel discorso! Ma ormai era tardi, e fingere di non aver mai parlato avrebbe solamente peggiorato la situazione. Così concluse, cercando di non dare troppo peso alle ultime parole.
“...dovremo rilasciarlo presto.”
Jane rimase con lo sguardo fisso in avanti, ma i suoi pugni si strinsero spasmodicamente.
Teresa meritava un uomo migliore di un vendicativo rabbioso, così tentò di celare i suoi sentimenti più profondi. Non voleva mentirle, voleva solamente proteggerla dalla sua parte più oscura. E soprattutto voleva proteggere se stesso: quanti suoi difetti ancora avrebbe saputo sopportare quella donna?
“Tranquilla Lisbon, lo farai crollare ancor prima che faccia arrivare il suo avvocato.”
Sorrise benevolo e le sfiorò il dorso della mano con le dita.
“E se dovessi fallire gli manderemo Abbott e Cho-uomo-di-ghiaccio, fanno paura quei due insieme, sai?”
Finalmente anche Teresa sorrise e si sentì più rilassata.
“Idiota.”
Si sbirciarono a vicenda con la coda dell'occhio, felici di sentirsi di nuovo in sintonia.

Arrivati alla sede dell'FBI Jane ebbe modo di capire che tipo di uomo fosse John Stark. Non poteva parlarci, ne tanto mento restare nella sua stessa stanza, ma nessuno gli vietò di osservarlo attentamente. Sulla mezza età, brizzolato con rughe profonde che gli solcavano il viso ma lo rendevano enigmatico e persino affascinante se non fosse stato per quella barba incolta e ruspante. Inoltre era chiaro come il sole: non aveva una coscienza. Era rimasto seduto per qualche minuto da solo, ammanettato nella sala interrogatori, e non aveva mostrato il ben che minimo disagio.
Rimase immobile con lo sguardo rivolto dritto di fronte a lui e le labbra incurvate in un ghigno rilassato.
Non ci volle molto perché Jane si convincesse della sua colpevolezza, non poteva essere altrimenti. Qualsiasi altro uomo innocente avrebbe protestato per il trattamento subito o quanto meno chiesto per quali ragioni veniva trattenuto. Un uomo innocente ora sarebbe stato turbato, ed anche spaventato forse. Il problema era che, non solo Stark aveva ucciso la giovane Carol, ma era certo di farla franca.
Lisbon entrò nella stanzetta e si sedette davanti a lui. Voleva farlo confessare, da sola.
Si sentì infantile per quel desiderio, l'importante era arrestarlo e non su chi fosse ricaduto il merito, ma voleva essere lei a farlo capitolare. Il suo volere era dimostrare a Patrick come la giustizia in cui tanto credeva poteva essere la soluzione migliore. Inoltre voleva poter essere lei a cancellare i fantasmi del passato dell'uomo che amava.
Avrebbe voluto essere in grado di prendere John il Rosso a tempo debito e di assicurarlo alla legge, ma non era stata abbastanza forte e aveva lasciato che Jane compisse la sua vendetta. Questa volta non sarebbe andata così: Stark doveva marcire in prigione, e doveva farlo per mano sua! Questa volta sarebbe stata Lisbon a “salvare” il consulente, liberandolo del peso che gli stava opprimendo il cuore a causa di quell'omicidio.
Non avevano salvato Carol, ma lei avrebbe sistemato tutto adesso.
Jane la guardò entrare e sedersi e si sentì attraversare da un fremito: per un istante soltanto desiderò che Teresa non stesse in quella stanza da sola con quell'individuo. Sapeva benissimo che era in grado di cavarsela da sola e che non era realmente in pericolo, ma non poté fare a meno di voler entrare a sua volta e sedere al suo fianco. L'avrebbe voluta proteggere anche con la sua sola presenza. Poi sorrise distrattamente all'idea che se le cose si fossero messe davvero male, sarebbe stata Lisbon a risolvere la situazione con la sua fedelissima pistola, mentre lui sarebbe rimasto a guardare o avrebbe, al più, fatto qualche gioco di parole per prendere tempo.
Inspirò profondamente, trattenne il fiato per qualche secondo e poi la buttò fuori lentamente, cercando di far uscire insieme anche tutta la rabbia e l'irrequietezza che Stark faceva nascere in lui.
Si sentì lievemente più calmo e si mise ad ascoltare l'interrogatorio con attenzione, sperando di poter captare eventuali incongruenze che avrebbero inevitabilmente incastrato John.
Dall'altra parte del vetro anche Lisbon respirò profondamente e cominciò a parlare.
“John Stark, così lei è il famoso fratellastro del senatore Holland...”
L'espressione sorniona dell'uomo non mutò di una virgola, continuava a mostrarsi spavaldo e sicuro di sé, ma spostò il suo sguardo fissandolo sugli occhi verdi della sua interlocutrice.
“Mio fratello vi ha parlato di me? Questo mi sorprende! Di solito preferisce tenermi nascosto e a debita distanza.”
“A distanza? Come mai? Andrew ha forse ragione di credere che lei sia un uomo pericoloso?”
“Dipende dai punti di vista agente... mi scusi, non ho afferrato il suo nome.”
I suoi occhi si posarono sul seno di lei, che ne rimase impercettibilmente turbata. In realtà Stark, con l'intento di leggere il cartellino identificativo appeso alla sua camicia, aveva volutamente dato l'impressione di essere interessato ad altro, per mettere la poliziotta a disagio.
“Teresa Lisbon, eh? Che magnifico... nome. Ecco, per esempio, con lei non potrei mai essere pericoloso agente.”
La calma che Jane aveva appena riconquistato svaporò velocemente. John stava cercando di mettere in difficoltà Teresa e non solo, la stava provocando di proposito. Strinse i pugni e le nocche gli si sbiancarono. Resistette alla tentazione di far irruzione nella stanza adiacente e vedere se quel pagliaccio aveva ancora voglia di scherzare.
Ma Lisbon non si fece mettere in soggezione e approfittò della situazione, in fondo era brava nel suo lavoro.
“Con me non potrebbe esserlo perché è ammanettato e perché io sono armata, giusto? Ma cosa mi dice di una ragazzina che ha perso i sensi? Potrebbe diventare pericoloso con lei?”
Patrick si sentì immediatamente fiero della sua partner, stava diventando abile anche a rigirare le parole altrui.
Il sospettato fu sorpreso di quella risposta, probabilmente era convinto di avere di fronte un'idiota, invece quella donna si stava rivelando molto più intelligente di quanto immaginasse. Forse avrebbe dovuto essere più cauto nel parlare. Ma non voleva togliersi subito quel divertimento.
Jane lesse le sue espressioni e capì che John era un uomo brillante, manipolatore e gli piaceva giocare. Quanto avrebbe voluto essere lui il suo avversario!
“Non so di cosa stia parlando agente Lisbon, ma immagino che sì, con una ragazzina ubriaca sia più facile essere pericolosi che con una donna attraente come lei.”
Teresa tentò di ignorare la seconda parte della risposta e proseguì imperterrita con le sue domande.
“Io non ho parlato di ragazze ubriache, come mai ha dato per scontato che la causa dello svenimento fosse l'alcol?”
“Mmm, intuito maschile forse.”
Quel sadico omicida non smetteva di sfoderare quel ghigno divertito, e non si stava nemmeno sforzando di mostrarsi innocente! Jane lo immaginava sorridere in quel modo alla povera Carol che probabilmente non riusciva a capire cosa stesse accadendo. Gli occhi cominciarono a bruciargli: era pieno di rabbia e sentiva di volerla esternare. Quell'uomo aveva spento una giovane vita ed ora stava seduto lì a giocare con la sua Teresa, credendosi superiore a lei e alla legge e facendole viscidi apprezzamenti. Era davvero dura per Patrick restare a guardare inerme. Ed ora le mani gli tremavano. Come poteva seppellire il Patrick Jane di una volta, quello che aveva sempre creduto e voluto vendetta?
Lisbon riprese incalzante: “Conosce questa ragazza?” chiese mostrando una foto di Carol.
Anche da attraverso il vetro spesso Jane fu folgorato da quegli immensi occhi blu.
Papà, sai che ho imparato a far sparire le cose come te?”
Era seduta al tavolo con una tazza di tè fumante e dei piccoli biscotti per merenda. Patrick stava preparando una tazza anche per sé, ma si fermò per dare retta alla piccola Charlotte.
Fammi vedere che sai fare allora!” e le sorrise dolcemente.
I suoi occhi si spalancarono di gioia e il padre si sentì sprofondare in quel meraviglioso azzurro. La bimba prese un biscotto, se lo passò di mano in mano per tre o quattro volte, poi se lo infilò rapidamente in bocca. Jane finse stupore e meraviglia, cominciando a cercare biscotto sotto il tavolo, dentro la tazza, dietro le sue orecchie... Quella messinscena fu troppo divertente per la piccola Charlotte che non riuscì a non ridere a crepapelle, sputacchiando così tutto il biscotto magicamente scomparso.
“Certamente – rispose Stark – è mia nipote Carol.”
“È stata trovata uccisa.”
“Oh, è un peccato. Era una ragazza così graziosa.”
Non aveva mostrato la ben che minima sorpresa, ne dispiacere, ne senso di colpa. Niente.
Riprese a parlare, ma non sapeva che stava davvero rischiando di toccare dei nervi scoperti.
“E aveva due bellissimi occhi! È un peccato che non possa più spalancarli come faceva sempre. Vede? Questo azzurro così intenso, quasi ipnotico...è raro! Dev'essere stato interessante vedere la vita scivolare via da due occhi così.”
Lisbon era agghiacciata. Non serviva il cervello di Jane per capire che l'uomo che aveva di fronte era uno psicopatico e che aveva ucciso la giovane Carol per curiosità.
Jane non fece tempo a reagire a quelle parole che gli stavano bruciando il cuore perché John riprese subito a parlare: “Sa, agente Lisbon? Anche i suoi occhi sono affascinanti. Così profondi e vivi...interessanti.”
Avvenne tutto troppo in fretta perché qualcuno potesse intervenire.
Jane irruppe nella stanza. Gli occhi spalancati e rossi, non sembrava neanche più lui.
La porta sbatté violentemente.
Si avventò sull'uomo ammanettato e lo prese con entrambe le mani per il collo della giacca. Lo strattonò con forza, lo tirò in piedi e lo spinse contro la parete.
La sedia cadde rumorosamente a terra, ma non coprì il suono della voce di Patrick che, continuando a tenere Stark incollato al muro, aveva iniziato a parlargli. Il tono era profondo e rabbioso.
“Cosa hai fatto a quella ragazza? Che razza di mostro sei? Eri curioso di vedere com'erano i suoi occhi mentre moriva? Tu non meriti di vivere. Tu non meriti giustizia.”
Anche la sedia di Lisbon cadde rovinosamente a terra mentre lei si alzava e correva verso Patrick per impedirgli di fare qualsiasi cosa. Stark ora era spaventato a morte e guardava la poliziotta con uno sguardo supplicante, ma Jane non sentiva gli ordini che Lisbon gli stava intimando.
“Non guardarla. Non osare guardare i suoi occhi e pensare a come potrebbero essere...”
Ma non riuscì a concludere la frase, il solo pensiero degli occhi di Teresa senza vita, lo avevano immobilizzato. Finalmente riuscì a sentire le parole della sua partner che gli dicevano di lasciare andare immediatamente l'uomo che aveva tra le mani. Si sentì strattonare per un gomito, così lasciò la presa su quell'individuo.
Lisbon era sbigottita e furiosa. Cosa diavolo credeva di fare?! Aveva promesso di non entrare in contatto con il sospettato ed ora lo minacciava verbalmente e fisicamente?! Appena Jane lasciò andare Stark, lei gli prese un braccio e lo trascinò fuori dalla stanza degli interrogatori richiudendo la porta alle loro spalle.
“SEI IMPAZZITO JANE? Che cosa diavolo credi di fare? Avevo detto niente cazzate, ti dovrei far arrestare!! Non siamo nel far west, non è questa la giustizia di cui parlavo.”
Anche Jane era fuori controllo: “LA TUA GIUSTIZIA E' RIDICOLA, quell'uomo merita di pagare per quello che ha fatto a Carol e per quello che ha pensato di fare a te. Sei un'illusa se pensi di poter risolvere tutto con la legge. Non è così che va il mondo.”
Appena pronunciò quelle parole si accorse dell'enormità dell'offesa che aveva appena lanciato. Rimase muto con gli occhi spalancati. Era mortificato. Ma era troppo tardi.
Lisbon aveva la testa bassa, si sentiva come se qualcuno l'avesse appena presa a pugni nello stomaco, e quel qualcuno era proprio Patrick. Il silenzio fu quasi assordante dopo tutto quel trambusto e quelle urla.
Poi finalmente alzò lo sguardo e puntò i suoi occhi lucidi in quelli di Jane.
“Vattene.”

















-Angolino dell'Autrice-
Mi scuso per la lunga attesa, ma le varie feste mi hanno tenuta un pochino impegnata..
A proposito: spero che i vostri festeggiamenti siano andati bene! =D
Molti di voi mi odieranno dopo questo capitolo..dico bene? eheh, chiedo venia!
Non so ancora quando riuscirò a pubblicare il prossimo (ed ultimo), quindi per sicurezza vi auguro un meraviglioso anno nuovo! =)
Ps: se siete molto preoccupati provate ad indovinare il titolo del prossimo capitolo ;)

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Capitolo 6
*** ..And still loves me. ***


AND STILL LOVES ME
 

Teresa tenne lo sguardo puntato sui suoi occhi. Non stava scherzando e non avrebbe ammesso nessun genere di repliche. Jane di fronte a lei rimase immobile per qualche secondo, poi si voltò e si diresse verso l'ascensore. Guardando la schiena di lui allontanarsi e sparire dietro le due porte scorrevoli, sentì le lacrime riempirle gli occhi e offuscarle la vista. Come aveva potuto comportarsi in quel modo? Come aveva potuto dirle quelle cose?
Si guardò le mani: tremavano terribilmente e credette che non si sarebbero fermate più. Si diresse rapidamente in bagno. Non voleva farsi vedere in quello stato; già qualcuno, attirato dalle urla, la stava sbirciando di nascosto proprio in quel momento. Voleva conservare l'immagine forte e impeccabile di sé che aveva costruito in tutto quel tempo.

Fortunatamente i servizi erano disabitati, per lo meno non avrebbe dovuto dare spiegazioni a nessuna donna ficcanaso dell'FBI. Aprì l'acqua del lavandino per sciacquarsi la faccia e riacquistare un poco di lucidità. Quando chiuse gli occhi, portandosi le mani bagnate al volto, rivide le scene appena vissute: Patrick che irrompeva nella stanza interrogatori con la furia di un pazzo e che sbatteva Stark contro la parete. Era rimasta pietrificata per qualche attimo, incredula di fronte a ciò che stava accadendo. La voce di Jane era quasi irriconoscibile.
Riaprì gli occhi di botto, non sopportando quella visione.
Stark l'aveva minacciata. In modo velato, certo, ma se n'era accorta anche lei. Questo aveva fatto scattare una molla nel consulente, che non era stato più in grado di trattenersi.
Per un momento soltanto lo capì: John il Rosso gli aveva portato via figlia e moglie. Quell'uomo aveva ucciso Carol (che tanto gli ricordava Charlotte) e poi aveva minacciato la donna che amava...era comprensibile che...
No. Era inaccettabile. Se lei non fosse intervenuta chissà fino a che punto sarebbe arrivato! Se lei non lo avesse fermato forse... Scosse la testa violentemente: quel pensiero era insopportabile.
Pensò a quando, diversi anni prima, lei gli aveva chiesto di poterci essere durante l'incontro con i presunti John il Rosso. Da una parte forse voleva impedirgli di compiere la sua vendetta, ma dall'altra sapeva di volergli solo stare accanto; e sarebbe rimasta anche se lui avesse deciso di ucciderlo davanti ai suoi occhi.
Quell'incontro non era finito come previsto, ma per la prima volta Teresa ringraziò, in cuor suo, di essere stata abbandonata sulla spiaggia: se quella sera Jane avesse ucciso John, lei sarebbe stata costretta ad assistere. Avrebbe visto Patrick uccidere un uomo, spegnere una vita. Probabilmente non avrebbe sopportato quella visione, non avrebbe mai superato lo shock...
Come ora faticava a convivere con l'immagine di Jane che afferrava Stark con violenza e lo minacciava. “La tua giustizia è ridicola...sei un'illusa...”
Quelle parole le risuonavano ancora nelle orecchie ferendola a morte. Patrick pensava davvero quelle cose? D'un tratto Lisbon si accorse che la loro visione del mondo era diametralmente opposta. Fu come essere presa a schiaffi. Poteva convivere con tutto questo?

Jane guardò negli occhi di Lisbon e ci vide amarezza, sofferenza, rabbia, paura.
Vattene”
Non aveva potuto far altro che seguire quell'ordine. Si era voltato ed era semplicemente uscito dall'edificio. Non poteva fare altrimenti...
E invece non era così, ma se ne stava rendendo conto troppo tardi. Avrebbe dovuto chiedere scusa, rimangiarsi immediatamente quelle parole orribili che le aveva sputato in faccia con rabbia e che non pensava del tutto. Avrebbe dovuto abbracciarla! Lei si sarebbe ribellata e avrebbe provato a liberarsi, ma lui l'avrebbe tenuta stretta fino a far sciogliere il cuore indurito di Teresa, e poi avrebbe ricominciato a scusarsi.
Adesso appariva tutto così semplice. Sdraiato nel suo Airstream guardava dal finestrino il sole scomparire dietro ai palazzi della città e trovava le mille parole giuste che avrebbe dovuto dire dopo quel “Vattene”. Invece se n'era semplicemente andato. Il mentalista che si vantava sempre della sua abilità colloquiale e della sua intelligenza era rimasto zitto, comportandosi da idiota e ferendo – ancora di più se possibile – la sua compagna.
Non era pentito per quello che aveva fatto a Stark. Era colpevole, un assassino, un mostro, e aveva minacciato Lisbon. L'unico rimpianto era di essere stato interrotto.
Scacciò questo pensiero dalla testa: lui era un uomo nuovo adesso, voleva essere un uomo migliore! Non c'era spazio per quei sentimenti oscuri e sbagliati.
Aveva promesso a se stesso che sarebbe stato tutto ciò di cui Teresa aveva bisogno, ed invece in soli trenta secondi aveva messo a rischio la sua carriera, tradito la sua fiducia, infranto una promessa e ridicolizzato ciò in cui lei credeva. Aveva definito il suo senso di giustizia ridicolo! Ma come aveva potuto pronunciare quelle parole? Jane amava il suo forte senso di giustizia, lo ammirava, lo invidiava addirittura.
Avrebbe potuto “offenderla” su qualsiasi altro aspetto ed essere perdonato facilmente, ma non era certo che Lisbon sarebbe andata oltre a quelle parole. Tutta la sua vita fu ed era fondata sulla giustizia. Dopo la difficile infanzia che aveva dovuto sopportare sarebbe stato facile per lei lasciarsi sopraffare dalla crudeltà della vita, invece era stata più forte e l'aveva affrontata a mani nude, diventando una donna adulta, matura, saggia, giusta. Era entrata in polizia credendo di poter rendere il mondo un po' migliore, e nel suo piccolo ci era sempre riuscita. Non si era mai lasciata corrompere anche quando sarebbe stato più facile farlo, non aveva mai messo da parte la sua onestà ed integrità, e Patrick la amava per questo. La donna che amava era una cosa sola con la giustizia. Come aveva potuto ridicolizzarla così?
Sarebbe dovuto correre da lei in quel preciso momento e trovare il modo per spiegarsi, per dirle quali fossero i suoi veri pensieri e per scusarsi per il suo comportamento, ma rimase fermo. Aveva paura di scoprire cosa gli avrebbe risposto. Era un vigliacco.
Se i ruoli fossero stati invertiti, Jane probabilmente non l'avrebbe perdonata, quindi ora si aspettava lo stesso comportamento, anzi, quasi lo pretendeva. Teresa non poteva essere costretta a convivere con il lato oscuro di Patrick, meritava un uomo che vivesse tutto alla luce del sole, senza quegli angoli d'ombra nel cuore. Quindi l'avrebbe capita se adesso stava mettendo in discussione il loro rapporto, l'avrebbe fatto anche lui al suo posto.
Ma lei non era come Jane, e non lo sarebbe mai stata.

La notte arrivò in fretta, cogliendo entrambi soli e insonni nei propri letti.

La mattina seguente, il sole non era ancora sorto e qualcuno stava bussando violentemente contro la porta dell'Airstream. Jane balzò in piedi spaventato e controllò che ore fossero. Le cinque. Quale pazzo si sarebbe presentato a quell'ora? E con quella furia per giunta! Istintivamente pensò ad Abbott: forse era venuto a conoscenza delle azioni del consulente del giorno prima ed era arrivato a licenziarlo, a sbatterlo in prigione o a prenderlo a pugni... No, non sarebbe stato da Dennis usare la violenza fisica, ma probabilmente l'avrebbe volentieri sbattuto in prigione. In fondo lo aveva già fatto un paio di volte.
Patrick si avvicinò all'entrata strofinandosi la faccia nel tentativo di mascherare l'aspetto trasandato di un uomo che non aveva dormito per tutta notte. Si lisciò il più possibile i vestiti e gli tornarono in mente tutte quelle mattine in cui si era ritrovato a compiere lo stesso rituale nella soffitta del CBI, per non dare l'impressione di aver passato la notte in quel buco a scrivere sul suo quadernino. Lisbon non ci era mai cascata: appena lo vedeva arrivare assumeva uno sguardo preoccupato e lo salutava con voce delicata, cercando di non far capire al mentalista che lei sapeva esattamente dov'era stato. Jane aveva sempre apprezzato quella delicatezza da parte sua, anche se, essendo una pessima bugiarda, non era per niente capace di celare la sua apprensione.

Quando finalmente aprì la porta metallica si ritrovò due occhi furiosi piantati addosso, ma non erano quelli di Abbott.
Anche Lisbon aveva un aspetto orribile: era pallida, con profondi solchi sotto gli occhi e capelli lasciati liberi di cadere disordinatamente sulle spalle.
La sera prima era tornata a casa tardi e stanca. Per tutto il pomeriggio si era buttata a capofitto nel lavoro e negli interrogatori. Era sempre stato il suo unico modo per distrarsi e reagire ai problemi personali. Non era stato per niente facile ritornare nella stessa stanza di Stark, ma non poteva fare altrimenti: voleva ancora incastrarlo a tutti i costi, e voleva anche provare ad insabbiare l'accaduto. Non era da lei, ma se l'aggressione di Patrick fosse diventata di dominio pubblico probabilmente l'avrebbero licenziato, o addirittura arrestato. Era decisa a non infrangere la legge per proteggerlo, ma poteva almeno cercare di convincere John a non sporgere denuncia. Ma non si immaginava minimamente quello che la stava aspettando.
Cho aveva appena fatto confessare Trish Maybur. La donna era a conoscenza della colpevolezza del suo fidanzato e non ci era voluto molto tempo per convincerla ad accettare di testimoniare contro Stark in cambio di una pena minima.
Quando Lisbon si ritrovò faccia a faccia con l'assassino di Carol si stupì di vederlo così spaventato. Era convinta che fosse un mostro senza cuore - e probabilmente era davvero così - ma la furia di Jane lo aveva terrorizzato.
Con una testimonianza dalla sua parte e facendo leva sullo stato d'animo dell'uomo, non fu difficile per Teresa farlo confessare. Una volta che l'agente Lisbon gli promise che avrebbe tenuto il consulente Patrick Jane lontano da lui, Stark affermò, in segno di gratitudine forse, che si sarebbe persino dimenticato di quell'episodio. Era incredibile come quell'essere così crudele e spavaldo, si fosse trasformato, in pochi minuti, in un agnellino indifeso pronto a finire in prigione piuttosto di dover incontrare il suo aggressore un'altra volta. Si era rivelato un piccolo uomo insignificante.

Patrick guardò la donna fuori dalla sua autovettura e pensò che non era mai stata così bella. Forse perché le era mancata? Ma ogni centimetro del suo corpo comunicava rabbia, e Jane non poteva non accorgersene. Tutte quelle meravigliose frasi che si era allenato a ripetere durante la notte fuggirono in un angolo lontano del suo cervello e lui non riuscì più a trovarle. Mi dispiace, sono un idiota, perdonami, non pensavo davvero quelle cose, non avrei voluto ferirti, scusami, ti amo...
Niente di tutto ciò uscì dalle sue labbra.
“Non mi aspettavo di vederti.”
Teresa rimase sorpresa, tutto qui quello che aveva da dire? Allora non c'era davvero mai fine al peggio.
“Mi fai entrare?”
“Certo.”
Si sposto leggermente di lato per liberare il passaggio. Entrando in quello spazio ristretto, il braccio di Lisbon sfiorò Jane. Patrick sentì un groppo in gola: e se non avesse mai più potuto sfiorare la sua compagna? Se quella visita mattutina si fosse trasformata in un inevitabile addio? Non avrebbe più potuto affondare le dita nei suoi capelli, non avrebbe più potuto giocare con le sue labbra, non avrebbe più sentito il suo corpo caldo, esile e perfetto adagiarsi su quello di lui.
Sarebbe tornato ad essere un uomo solo. Ma non era la solitudine a spaventarlo, piuttosto l'assenza di Teresa che quella solitudine avrebbe provocato.
Ora aspettava che fosse lei a parlare. La conosceva, e se era arrivata fin lì con quella grinta e con tutta quella rabbia, aveva sicuramente preparato un discorso da fare, o qualcosa del genere. Avrebbe lasciato che la sua rabbia esplodesse, era questione di pochi secondi, lo sapeva.
Ed infatti esplose, ma la sorpresa di Jane fu enorme.
“Come hai osato...come ti sei permesso di non tornare a casa dopo tutto quello che è successo? Sei... sei... sei incredibile. Sei semplicemente scomparso! Sei scomparso un'altra volta. Come hai potuto farmi questo?”
Adesso gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime, ma Jane la vedeva lottare con se stessa per non piangere. Voleva apparire forte, determinata, ma le tremava la voce.
Patrick era mortificato. Mortificato e sorpreso. Era per quello che Teresa era così furiosa?
“Pensavo che volessi restare da sola...”
“Si. Infatti. Ma avrei preferito restare sola...insieme. Ok, non è molto chiaro quello che intendo. Ma adesso non venirmi a dire che non ha senso oppure...”
“No, ha senso. Io...ho capito, insomma. Mi dispiace.”
Finalmente era riuscito a dire quelle due parole! Si sentiva così stupido per non averle dette prima. Era stato così facile, così naturale e spontaneo...ed ora che aveva preso il via non si fermò.
“Mi dispiace Teresa per quello che ho fatto e per quello che ti ho detto. Io non pensavo veramente quelle cose. Io non credo che la tua giustizia sia ridicola, e tu sei tutto tranne che ingenua. Lo so che ti ho ferito, che ho lasciato che il lato peggiore di me prendesse il sopravvento e non so come scusarmi per tutto questo. Sono stato un vigliacco. Sarei dovuto tornare a casa, nella nostra casa e affrontare subito questa discussione, ma avevo paura che...avevo paura e basta. Avevo paura di perderti.”
Adesso era Lisbon ad essere sorpresa. Per tutta la notte lui aveva seriamente pensato che lei avrebbe potuto non perdonarlo? Si, forse per un istante era talmente arrabbiata da essere convinta che non avrebbero mai superato quello scontro, ma sapeva che Patrick non pensava sul serio che la giustizia fosse ridicola. E tutto il resto lo aveva fatto per proteggerla. Negli anni che avevano passato insieme, aveva imparato a conoscere il suo compagno, e le loro visioni del mondo non erano così opposte come poteva sembrare a prima vista. Certo, erano due persone molto diverse, ma avano imparato a vivere insieme, costruendosi piano piano il loro mondo.
Un mondo in cui c'era spazio anche per quel lato di oscuro, in ombra, a volte spaventoso, ma che rendeva ancora più bello, vero e profondo il suo lato buono.
Le si sciolse il cuore. La rabbia, il dispiacere, scivolarono via lentamente e con delicatezza. La sua espressione e la sua voce si addolcirono e diventarono rassicuranti.
“Jane, io non vado da nessuna parte. So chi sei, l'ho sempre saputo e questo non mi ha mai fermata. Conosco anche il peggio di te, ma ti amo. Non vado da nessuna parte.”
Fu come essere immersi in una vasca d'acqua tiepida e profumata. Sentirsi avvolti da quel calore che ti rigenera e ti culla, contemporaneamente. Abbandonare ogni pensiero negativo e abbandonarsi a propria volta a quella profonda sensazione di amore.
Si abbracciarono piano, in silenzio. Poi Teresa interruppe la riconciliazione: già che c'era, era meglio dire tutto subito e mettere le cose in chiaro.
“Sono ancora arrabbiata però.”
“Lo so.”
“E non credere di passala liscia.”
“Si.”
“Non ho ancora voglia di perdonarti.”
“Va bene.”
“E voglio restare da sola.”
Dicendo questo si sciolse dall'abbraccio e si allontanò, ma al posto di uscire, andò a sdraiarsi sulla sottospecie di letto. Jane la raggiunse e si coricò di fianco a lei, abbracciandola.
“Resto qui, da solo, un po' anche io.”
Teresa sorrise, certa che lui non potesse vederla in viso e lasciò la sua mente libera di vagare. Quello che avevano appena compiuto era un grande passo per entrambi, ed era un passo che avevano fatto insieme.
Anche Patrick si immerse nei suoi pensieri: adesso capiva cosa voleva dire restare soli ma insieme, ed era forse la parte più bella. Non importavano più tutti i litigi che potevano accadere, l'importante era rimanere insieme per risolverli. L'importante era non scappare.
Rimasero così, abbracciati in quel letto, per quella che sembrò essere un'eternità.
Erano diversi, e lo sarebbero sempre stati, ma adesso sapevano che il mondo di uno sarebbe sempre finito nelle braccia dell'altro.












-Angolino dell'Autrice-
Mi scuso per la lunga attesa ma sono partita e tornata solo ieri sera..Vi faccio i miei più sinceri auguri per un Buon Anno pieno di cose belle e di ff da leggere/scrivere/recensire! =D e anche buon Epifania! =)
Ecco qui l'ultimo capitolo. Un po' mi spiace chiudere questa avventura, è stato bello e vi ringrazio tutti: quelli che hanno solo letto e quelli che hanno lasciato pensieri, consigli, incoraggiamenti..non ce l'avrei fatta senza di voi!
Un abbraccio grande, fatemi sapere cosa ne pensate! <3

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