Una nuova vita

di Chupacabra19
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 : Il ritorno ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 : Casa ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 : Il piano ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 : Le tre domande ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 : Prigioniera ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 : Ricordi ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 : Ying e Yang ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 : La bella e la bestia ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 : Giano ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 : Reset ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 : War ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 : Punto e a capo ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 : Montagne russe ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 : Non può esserci solo orrore ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 : Frantumi ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 : Sporche verità ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 : Impura ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 : Inchiostro ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 : Kâuma ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 : Collisioni ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 : Quelli che arrivano, sopravvivono ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 : Never Trust ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 : Non si torna indietro ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 : Niente è come sembra, perché niente è reale ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 : Acacia ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 : Negazione ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 : Nessuna tregua ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 : Scacco Matto ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 : Cielo ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 : Neve ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 : Al posto mio ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 : Persone ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 : Aspettative ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 : Tormenta ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 : A nudo ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 : Champagne ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 : Frida Kahlo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 : Il ritorno ***


NB 2.0 : sto revisionando i capitoli, con una lentezza da lumaca, ma è già qualcosa. Quindi scusatemi per gli errori!

NB. Messaggio diretto ai nuovi utenti, ai lettori che si imbattono per la prima volta in questa storia.
Ho pensato più volte di modificare il prologo e i primi capitoli, perchè non rispecchiano il resto della storia, o meglio, non li ritengo all'altezza.
Allo stesso tempo però, mi è sempre dispiaciuto doverlo fare. Perciò, eccomi qui che vi prego di non fermarvi a priori e di dare una possibilità a questa fanfiction. Vi prometto che non ve ne pentirete!

 
*
 
Salve lettori! Ho cercato di creare qualcosa di nuovo, sfruttando l'idea di inserire questo nuovo personaggio femminile, la cui vita si intreccierà ai protagonisti della nostra tanto amata serie tv. Spero vi piaccia. Sono ben accetti e graditi tutti i pareri, negativi e positivi, che si trattino di recensioni o messaggi privati. Buona lettura!


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Capitolo 1 : Il ritorno

Odio quando dei pezzetti di cervella restano attaccati al mio bowie seghettato da 30 cm, è sempre un problema pulirlo, e come se non bastasse, non faccio in tempo a godere della sua superficie immacolata che già noto in lontananza uno di quegli schifosi esseri. Mi guardo intorno, è solo. Bene, non dovrò sprecare munizioni. Strattono il mio cavallo e mi incammino. Il contatto fra i miei anfibi e le foglie secche che giacciono a terra inerti provocano un rumore fastidioso, una colonna sonora od una melodia d'accompagnamento per ogni mio passo. Lo zombie si gira di scatto, allarmato dalla mia presenza. Corre, o meglio, arranca nella mia direzione spostando una grossa quantità di natura morta, che oltretutto ostacola ed impedisce una sua andatura più ottimale o rapida. E' tumefatta, sporca. Irriconoscibile. Una donna, posso dedurre solo questo dalla sua gracile figura e dai lunghi capelli fangosi.

Un tempo cercavo sempre di ricostruire con la mente un volto, di immaginare come fossero prima di questo incubo, ma era un lavoro inutile, futile a se stesso. Ciò che erano in passato non conta più, adesso siamo solo io e loro, noi prede e loro carnefici. Non che alla fine siamo così diversi, insomma, noi diventiamo carnefici e loro vittime. Dipende dai punti di vista. Dopotutto si tratta di sopravvivenza per entrambi. Loro cercano solo di cibarsi, come le bestie, non hanno una ragione,  e noi tentiamo l'impossibile per non farci sopraffare da un branco.

Non ho voglia di aspettare. Raccolgo un ramo ben appuntito da terra, già sporco di sangue. Sarà stato utile ad un'altra persona. Mi avvicino con calma a quel mostro che si infiamma di desiderio. I suoi occhi iniettati di rosso cremisi incontrano i miei. Rabbiosa, spalanca le fauci. Ti sto facendo solo un favore, penso. Conficco nel cranio l'arma rudimentale che ha sostituito la mia appena lucidata. Di nuovo si impregna di rosso vivo. Lei cade all'indietro, spinta dalla forza con cui le ho trapassato quella fronte molle. Un rumore sordo si innalza nel bosco. Mi piacerebbe svegliarmi e trovarmi in ospedale, capire di aver fatto solo un brutto sogno, di essere andata in coma per chissà quale assurdo incidente, ma sapere che niente è cambiato, che il mondo non è diventato un'arena. Piangere dalla felicità alla vista dei miei cari. Potrei sfruttare quel sogno per scriverci addirittura un libro e magari diventare famosa. Desideri amari.

Salgo in groppa al mio destriero nero e trotto fra i fitti alberi, cercando di non smarrire la retta via. Il sole brilla e irradia con i suoi potenti raggi l'area circostante. Non ho mai amato così tanto l'estate. L'inverno è stato molto duro, ho rischiato più volte l'ipotermia, e molti miei compagni non ce l'hanno fatta. Orribile a dirsi, ma bruciare i loro corpi ha permesso ai restanti del gruppo di scaldarsi un poco. Chi ha perso la vita per il gelo, donando calore agli amici, chi è morto sacrificandosi, donando qualche giorno in più alle persone care, chi è morto di stento, chi si è suicidato. Sono passati sei mesi e sono rimasta solo io. La spedizione non è andata a buon fine, il sud è completamente invaso. I pochi superstiti che abbiamo incontrato sono durati un battito di ciglia. Una vera e propria mietitura. Il ghiaccio era diventato più pericoloso dei non morti. Il killer per eccellenza. Costruire un'altra cittadina si è rilevato un piano disastroso. Le notizie che ci erano giunte ci avevano fatto ben sperare, vi era la voce di una presenza di un rifugio militare. Un rifugio che poteva diventare una seconda casa. False speranze, come sempre. Noto le tracce che avevamo lasciato sui tronchi di alcune alberi. Matt si era impegnato di firmare il nostro viaggio, in modo da non perdersi al ritorno. Peccato che non possa usufruirne. Grazie. 

Spingo il cavallo ad accelerare, non manca molto ormai. Già sento un nodo allo stomaco. Sei mesi, un'eternità. Il mio letto, la mia camera, mura sicure, amici e lui. Ma non voglio cantare  vittoria in anticipo, ho imparato che il male è sempre in agguato. Potrei arrivare e trovare l'intera cittadina distrutta, i non morti ad ogni angolo e scorgere fra i loro volti quelli di chi ho lasciato là. Niente di nuovo, dopotutto. Perciò, meglio restare coi piedi a terra. Stringo forte le redini, quasi ferendomi con le unghie i palmi. È difficile mantenere il controllo e lucidità in questi momenti. Non sapere cosa trovare all'arrivo. Un'attesa logorante. D'improvviso mi trovo dinanzi ad un corpo sospeso, un corpo che si divincola. Uno zombie. Un uomo impiccato. Ne ho visti tanti in queste condizioni. Chi ha scelto l'impiccagione ha toppato. D'istinto porto il braccio all'indietro, in modo d'afferrare il mio arco, dimenticando per un istante di averlo perduto in una fuga. Infatti, ciò che le mie dita toccano è solo la faretra ormai vuota. Dannazione. Potrei colpirlo con uno dei miei coltelli da lancio, ma dopo non potrei recuperarlo. Dovrò lasciarlo lì, sperando nel passaggio di un altro sopravvissuto meglio attrezzato. Mi dispiace. 

Riprendo la corsa, udendo i suoi gutturali versi farsi sempre più flebili. Galoppando, i lunghi ricci mi frustano le spalle, procurandomi parecchio fastidio. Mi libero il polso da una fascia bordeaux e costringo le punte in una lenta coda. La mia canottiera bianca è ormai grigia, decorata da qualche schizzo rossastro. Potrebbe apparire come una tela di Pollock. La camicia marrone, che un tempo era verde militare, svolazzava  a causa dell'aria prodotta dalla corsa. I lunghi jeans neri si erano trasformati in shorts. Ero stata costretta a tagliarli, essendosi praticamente distrutti. L'unico capo che era resistito, erano i miei anfibi neri, i quali seguivano la linea del polpaccio. Certo, con questo caldo i miei poveri piedi ribollivano, ma erano resistenti ed utili. Non ne avrei mai fatto a meno. Sembro una selvaggia, pensai. Ma non era il momento di pensare all'aspetto, ormai nessuno se ne curava più. Anche se nella mia cara cittadina tutti erano felici, ben vestiti e puliti. Loro avrebbero capito. Se tutto fosse stato integro come il giorno della mia partenza, avrei dovuto prepararmi ad affrontare le famiglie dei compagni caduti. Sono morte persone che avevano qualcuno, qualcuno che aspettasse il loro ritorno. Mentre io, io che sono sola, sono ancora qua. Come un chirurgo che annuncia il decesso di un paziente ai parenti, dovrò fare lo stesso. Sostenere di aver fatto il possibile, elogiarli e intimare ai presenti di farsi forza per loro, per il loro ricordo e coraggio. Piangere con loro è vietato, devo restare fiera e pacata. Sono un soldato e così mi è stato insegnato, sebbene il mio cuore brami altro. Alcuni alberi potati, una strada sterrata, una lanterna poggiata ad un alto ramo. Riconosco dove sono. Ci siamo quasi. 

Percorro di fretta quella stradina ciottolata, giungendo così alla strada principale, asfaltata. Si estende all'infinito. I miei occhi non possono scorgere ancora la meta tanto desiderata, ma so per certo che mancano solamente quattro ore di cammino. Quattro ore d'agonia e gioia. Un'ora circa dopo, trovo al lato sinistro un piccolo ruscello. Il cavallo era stanco ed io assetata. Sebbene non volessi affatto fermarmi, era giusto regalare a quel povero destriero una mezzora di riposo. Scesi, tornando a toccare col suolo degli anfibi la terra. Ci allontanammo dalla strada e seguimmo il ruscello fino alla sorgente limpida, immacolata. Nascendo qui, era assolutamente non infetta. Mi bagnai la fronte e riempii due borracce. Il cavallo si dissetò. Presi dallo zaino due mele ormai molto mature e gliene lanciai una. Ho sempre odiato le mele. Ma adesso era tutta un'altra storia. Certe situazioni ti insegnano ad apprezzare ogni tipo di cibo, perfino i ratti e i serpenti diventano una prelibatezza. Se solo mi vedesse mia madre. Sorrisi leggermente. Il cavallo sembrò apprezzare.

Restai distesa sull'erba color smeraldo, osservando il cielo arricchito da candide nuvole. In altre situazioni avrei profittato di quel momento di calma per pensare, riflettere, ma la mia mente era morta. Dicono che è impossibile pensare al niente, poiché nel momento in cui credi di pensare al niente, stai pensando di farlo, come un cane che si morde la coda. Eppure, in quell'esatto istante il mare inconscio era più piatto che mai. Non si trattava né di noia né di felicità, ero semplicemente vuota. Il mondo era cambiato ed io con lui, mi aveva svuotato, resa robotica. Non tutti i giorni erano bui, ma quasi. Ciò che mi aveva portato avanti in questi sei mesi, era la possibilità di tornare in quel luogo che chiamavo casa. Lì un po' di felicità l'avevo provata. Forse, passarono più di 30 minuti, ma alla fine mi alzai nuovamente. Il cavallo non fece una piega, anche lui sapeva di essere giunto a destinazione . Si avvicinò ed io salii in sella. Riprendemmo il nostro viaggio, avendo recuperato le forze.

Quella strada mi parve interminabile. Macchine abbandonate, cadaveri, peluche. C'erano impronte di vite passate. Il sole stava calando, il cielo si era fatto un poco più scuro, quand'ecco che riconobbi i cancelli, quegli alti cancelli di ferro. Filo spinato, postazioni di vedetta e cecchini agli angoli. Si erano ben organizzati in mia assenza. Rallentai, quasi volessi godere ancora di quella visione. Restai immobile di fronte a quel cartello. Casa. Presi coraggio e lo superai, avvicinandomi ai cancelli e lasciandomi alle spalle quelle lettere cubitali : Woodbury.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 : Casa ***


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Capitolo 2 : Casa


Amo l'odore di casa. Sembrerà sciocco, ma l'aria che respiravo in quell'ambiente era completamente diversa da quella che mi ero lasciata alle spalle, confinata dietro ai quei freddi cancelli. Un soldato si avvicinò mostrando i suoi dritti e perfetti denti bianchi in un sorriso.

-Cazzo, bentornata! Ancora non riesco a crederci. Ti davano tutti per spacciata sai? – continuava a parlare gesticolando e scrutandomi, quasi fossi un miraggio. – Ma come diavolo hai fatto? E gli altri?

A quella domanda abbassai lo sguardo, non contraccambiai le labbra spalancate.

-Ah, capisco.. ne parleremo dopo. Intanto seguimi, saranno tutti felici di rivederti.

Cercò di contenersi, ma ogni suo fottuto poro emanava gioia. Era bello, era bello essere di nuovo là, e Martinez non mi era mai sembrato così importante. Eppure, averlo di fronte a me che camminava tranquillo, con un mitra poggiato sulla spalla destra, mi faceva sentire bene. I cittadini corsero ad abbracciarmi, chi mi dava il benvenuto, chi mi accarezzava le guance, chi mi dava la spesa appena fatta e chi, in lontananza, comprendendo il terribile destino toccato ai propri cari, piangeva in silenzio. Incredulità, questo si leggeva dai loro volti. E lo capivo bene, dopotutto anch'io ero incredula. Ce l'avevo fatta.

-E lasciatela stare, suvvia! Finirete coll'ucciderla voi, diamine. Non l'hanno uccisa quegli stronzi e volete farlo voi? Sarebbe ironico! – disse scoppiando in una fragorosa risata.

-Non fateci caso, io vi ringrazio.

Martinez spinse comunque lontano la folla, affermando che mi stavano togliendo il respiro.

-Contenetevi, tanto organizzeremo sicuramente una festa per stasera. Lì sarà tutta vostra.

Allora si calmarono e mi salutarono raggianti, mormorando fra loro della festa. Martinez mi strattonò, con i suoi soliti metodi burberi. – Da questa parte, prima andiamo nell'ufficio del cervellone.

Mi lasciai tirare . La sua mano sul mio avambraccio mi ricordava che era tutto vero. Spalancò la porta con un calcio, facendo sussultare l'uomo che sedeva alla propria scrivania.

-Milton, afferra quei maledetti occhiali e guarda chi è tornata!

Egli si voltò velocemente, portando le asticelle alle orecchie. I suoi piccoli occhi si illuminarono. Scattò in piedi lasciando cadere la sedia e borbottò qualcosa, cercando di ricomporsi.

-Kendra, io.. io sono davvero felice di rivederti, avrai un sacco di cose da raccontare. Sto giusto raccogliendo varie informazioni ehm, sulle storie altrui e..- disse indicando un quadernino sul tavolo accanto. - .. ora non voglio importunarti, ehm.. ne parliamo poi, ok?

-Troppo gioioso Milton, davvero! – affermò ironicamente Martinez.

Milton si aggiustò gli occhiali, portando l'indice sul ponte.

-M-ma veramente sono felice, solo che mh, magari..-

Decisi di interromperlo, Martinez si divertiva sempre a metterlo in difficoltà. Non era davvero cambiato niente. Mi sembrava impossibile.

-Tranquillo Milton, sono felice anch'io di vederti. Sarò lieta di raccontarti tutto. – ma mentii, avrei preferito dimenticare certi avvenimenti.

-Oh bene, anzi benissimo. Ehm, finisco una cosa e vi raggiungo, andrete da Philip immagino.

-Sì, ora la porto dal capo, dovrebbe essere in casa. A dopo scienziato!

Milton sorrise amaramente e si sedette di nuovo, facendomi un cenno con la testa. Mi era mancato quel buffo uomo, incapace di mostrare le emozioni, sembrando sempre in imbarazzo o in difficoltà. Martinez mi fece spallucce e tornammo in strada. Il cielo si era colorato di un'arancione pesca. Perché era tutto così dannatamente perfetto? Mai visto un tramonto così meraviglioso quando ero là fuori. Tutto acquistava un'altra luce.

-Ehi Martinez, è tornato il gruppo dalla spedizione con le scorte.

-Arrivo subito Shumpert!

L'energumeno mi salutò calorosamente e mi derubò di Martinez. Non che ne avessi bisogno, sapevo benissimo dov'era la casa di Philip. Ma dopo tutto questo tempo lontana da Woodbury, mi sentivo quasi spaesata. Camminai fissandomi le punte sporche degli anfibi, ricordandomi di essere in condizioni pietose. Forse avrei dovuto prima cambiarmi, ma mentre ero sovrappensiero, mi scontrai contro qualcuno. Non mi ci volle molto per capire chi fosse. Quel petto, i vestiti immacolati. Alzai lentamente la testa e lo sguardo, temendo di perdermi in quei suoi occhi glaciali e profondi. Intanto le sue mani si posarono sulle mie spalle. Un balzo al cuore. Una benda all'occhio. Cosa diavolo era successo? Chi lo aveva ferito? Rimasi impietrita. Phil se ne accorse.

-Sì beh, non sono proprio come mi hai lasciato eh?

Senza parole, continuai a fissarlo.

-Dai, vieni su da me. Ti fai una doccia e poi ne parliamo, avrai sicuramente voglia di acqua calda immagino.

Quella benda lo rendeva più cattivo, ma gli donava anche un'aria misteriosa. Restava comunque l'uomo affascinante e carismatico che avevo salutato mesi orsono. Il suo sorriso delizioso, la sua voce. Mi era mancato, inutile mentire a me stessa. Anche l'acqua calda mi era mancata, eccome. Fu una sensazione indescrivibile sentire quelle piccole gocce infuocate scivolare sul mio corpo, sulla mia pelle. Quel box doccia, quattro mura. Sicurezza. Restai sotto l'acqua per parecchio tempo, non avrei mai voluto uscire. Phil aveva lasciato dei vestiti sul mobile in bagno. Una maglietta a costole grigia, dei jeans blu ed un paio di Timberland. Mi sentii rinata, più leggera. Nessuna macchia di sangue o terra. Uscii dal bagno con i capelli ancora un poco umidi.

-Il cavallo lo hanno messo nella stalla con gli altri. Lo zaino e i vari affetti sono già al tuo appartamento. Ah, dimenticavo. Ti ho fatto lavare i vestiti e i tuoi cari anfibi.

Meticoloso. Pensava sempre a tutto.

-Grazie mille, davvero.

Mi abbracciò. La mia testa poggiava all'altezza del suo cuore.

-Mi dispiace per quello che è successo, ho temuto il peggio. Ma sei qui adesso, sei tornata.

Avrei voluto dire mille cose, ma le parole mi restarono bloccate in gola, come spilli.

-Vieni, sediamoci qua. – disse indicando un divano – procediamo per gradi. Prima ti racconto io, ok ? Non dirmi che non sei curiosa.

Curiosa, lo ero. Arrabbiata, anche. Speravo in cuor mio che chi lo avesse ferito fosse morto.

-Certo, lo sono. Ma prima dimmi, come stai? E' passato molto o ti fa ancora male?

Posò la testa allo schienale del divano e tenendo le braccia conserte, mi rispose fissando il soffitto.

-Brucia, brucia ancora. Ma non tanto quanto l'orgoglio. - Odio, percepivo questo – Beh, la ferita risale a due settimane fa. Devi sapere che Merle aveva trovato due del suo gruppo di Atlanta, ricordi?

-Sì, ricordo la sua storia.. sono quei bastardi che lo hanno costretto a tagliarsi una mano per sopravvivere.

-Esattamente...abbiamo scoperto che vivono in una prigione, non molto lontano da qui.

-Una prigione.. è un luogo perfetto dove rifarsi una vita.

-E' questo il punto. Loro, gruppetto misero, sono riusciti a liberare gran parte della prigione. Per adesso vivono nel blocco C, ma con tutto il personale che abbiamo noi, potremmo liberarla da quei bastardi del tutto. Ho cercato di convincerli, dicendo che potevamo vivere tutti assieme là. Insomma, non che qui non sia sicuro, ma là avremmo avuto molto più spazio. Inoltre la terrà è coltivabile. Il loro capo, un certo Rick, è pazzo. Non ha accettato, capisci? Ci ha dichiarato guerra. Hanno organizzato un assalto, hanno ucciso alcuni di noi. Compresa Haley..

Mi alzai, non volevo sentire altro. Haley era come una sorella per me. Tirava con l'arco ed io le avevo dato qualche lezione. Non ci era molto portata, ma era determinata. Mi avvicinai alla finestra, osservando le altre case. Immaginavo ciò che Phil mi raccontava.

-Ho conservato il suo arco, anche quello è a casa tua.

-Grazie..

-Ad ogni modo, ci hanno sopraffatti quando eravamo in festa, non pronti. Hanno liberato i propri compagni ed una di loro, Michonne, che tempo fa avevo ospitato, ha deciso di vendicarsi.

-Vendicarsi di cosa?

-Avevo ospitato lei ed una sua amica. Le avevo trovate praticamente in fin di vita, gli ho dato cibo, alloggio, mura sicure, una speranza. Lei ha deciso di fuggire, capisci? Mentre la sua amica è rimasta. Ho dovuto ucciderla. Uno di quegli esseri è entrato dal secondo recinto e l'ha morsa. Le ho sparato e credimi, è stata dura. Lo sai..

Sospirai.

-Lo so Phil.. uccidi prima che si trasformino, ed è molto più difficile.

Si spostò i capelli indietro.

-Il problema, è che proprio in quell'istante lei è arrivata, volendo convincerla a seguirla. Ha visto da lontano la scena ed è fuggita. Ho mandato i miei uomini nel bosco, per cercarla. Volevo che sapesse la verità. Ma di lei nemmeno la traccia.

-Fammi capire bene, quindi si è unita a quel gruppi di matti per ucciderti, per sfruttarli per entrare qua?

-Proprio così. Lei aveva scoperto di Penny..

In quel momento, percepii gelarmi il sangue. Non volevo sentire altro, non volevo. Non l'aveva fatto, non poteva averlo fatto. D'istinto mi voltai verso la porta di legno, la quale permetteva l'entrata alla stanza in cui si trovava Penny.

-Kendra..

-No, non è vero!

Caddi a terra, le mie ginocchia non tennero il peso. Fui travolta dai singhiozzi e dalle lacrime. Phil si sedette sul pavimento, in modo da potermi abbracciare da dietro. Mi strinse forte.

-L'ha fatto, Kendra. Ha ucciso mia figlia, davanti ai miei occhi, e poi ha cercato di eliminarmi, ma è riuscita solo a deturparmi il volto.

-Perché? Era solo una bambina, non c'entrava niente. Milton avrebbe trovato una cura.. forse.

-Mi ha privato della cosa più importante che avevo. Vendetta pura e cruda. Mi sono disperato come te, ho pianto. Non lo nascondo. Ma Penny non avrebbe voluto questo. Penny..-

-Dimmi solo che l'hai uccisa..

-Non ancora, non ancora.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 : Il piano ***


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Capitolo 3 : Il piano


Sdraiata nel letto del mio appartamento, fissavo le pale del ventilatore posto al soffitto, le quali ruotavano velocemente senza tregua. Aria fresca, un poco di sollievo. Sapevo in cuor mio che al ritorno mi sarei scontrata con qualche tragedia, perdita, ma non potevo immaginare questo. Come poteva un gruppo di sopravvissuti dichiarare guerra ad un altro? Come poteva una donna uccidere una bambina? Certo, quella non era più Penny, si era trasformata. Chiamarla mostro sembrerebbe giusto, ma è un appellativo che vorrei non fosse utilizzato. Era sempre e comunque una bambina, una vittima di questo nuovo mondo. Si meritava una morte migliore. Philip stesso, avendo scoperto in futuro l'impossibilità di creare una cura, avrebbe dovuto trovare il coraggio di farla riposare, di darle l'ultimo addio. Non doveva assolutamente morire per mani altrui. Era ingiusto. L'arco di Haley era lì, disteso sul cassettone di camera. Cazzo. Non potevo accettarlo. Avevo perso nuovamente una sorella. Il mio destino era forse rimanere sola? Ogni volta che trovavo affetto e comprensione in una persona, questa doveva perdere la vita. É colpa mia, non riesco a proteggerli. La rabbia mi invase, facendomi scattare in piedi.

-Fanculo! - urlai, tirando un pugno alla parete.

Il dolore mi pervase lentamente. Fanculo, fanculo, fanculo. Controllai meccanicamente le nocche della mano destra, notando le ferite che mi ero procurata. Queste piansero alcune lacrime rosse.

-Che idiota che sono!

Avevo sete di vendetta, rischiavo la cecità dall'ira, ma dovetti calmarmi e riprendere il controllo. Avrei sfogato tutto questo sui colpevoli, il muro era innocente. I cittadini si riunirono in piazza ed acclamarono a gran voce il governatore. Una volta fasciata la mano, raggiunsi la folla trepidante. Sui loro volti non era mai apparso il terrore, non avevano la minima idea di quale fosse la realtà esterna. Vivevano un idillio. Quella sera, però, avevano ceduto al timore. É vero, applaudivano e gridavano , ma riuscivo a cogliere nei loro occhi la paura. L'attacco a Woodbury aveva creato un po' di scompiglio. Si era infranta l'idea di un luogo inviolabile. Tutte le case erano costeggiate da lanterne ricche di colori accesi, nella piazza vi erano festoni e bancarelle con vari tipo di cibo e bevande. Che buon profumo. Non vedevo l'ora di addentare qualche bistecca succulenta. Phil arrivò, elegante ed impeccabile. Camicia azzurra, pantaloni con la piega, capelli curati e sorriso disarmante.

-Cittadini di Woodbury!

Le grida aumentarono.

-Come ben sapete, stasera festeggiamo il ritorno di Kendra, che si è sacrificata per noi in questi..

La sua voce calda, rilassante. Mi persi le sue parole. Milton apparve al mio fianco. Lo sguardo concentrato sul governatore, le braccia incrociate. Camicia bianca decorata da sottili linee arancioni, costretta nei pantaloni beige. Poi parlò, senza distogliere il punto focale.

-Hai già fatto il giro delle famiglie?

-Sì.. ho dovuto dire che sono morti da eroi.

-Bene, certe cose non meritano di essere sapute.

Intanto, le persone ridevano ed alzavano i bicchieri al cielo. La voce di Phil tornò alla mia attenzione.

-Ci sono stati momenti difficili, lo so. E me ne dispiaccio.. ho lavorato, anzi, abbiamo lavorato assieme per costruire questa meraviglia e non ce la faremo certo distruggere da un gruppo di sciocchi psicopatici. Questa è la nostra casa. Noi lotteremo..

La folla annuiva, si spronava a vicenda.

-Che uomo, eh? Doveva fare il politico. - sentenziò lo scienziato.

Gli sorrisi, aveva ragione. Philip era sempre riuscito ad incitare le masse, a farsi ascoltare, a farsi ubbidire. Era nato per essere un leader.

-.. lei è un miracolo, rappresenta la speranza.. speranza che ci aiuterà ad ottenere ciò che vogliamo! -

Mi indicò, esortandomi a raggiungerlo.

-Vieni Kendra, la parola a te, prima di festeggiare.

Oh cavoli, odio i discorsi in pubblico. Mi mettono a disagio. Mentre mi avvicinavo al governatore, passando fra le famiglie, cercavo disperatamente di organizzare mentalmente un buon sermone. Vuoto totale. Ok, si improvvisa. Giunta di fronte ai cittadini, questi urlarono il mio nome, incitandomi. Milton, invece, mi guardava divertito. Phil pregò di far silenzio e tutto divenne tranquillo. Nessun rumore, solo occhi colmi di speranza.

-Cara Woodbury, Dio solo sa.. ammesso che ci sia sempre o che ci sia mai stato..quanto io sia grata di avervi trovato. Stare lontana per questo lungo tempo, è stato un inferno. Non solo per la vostra mancanza o per i non morti che erano ovunque, quanto per le persone care che ho dovuto seppellire. So che questa è una sera di festa, ma vorrei anche ricordare chi non ce l'ha fatta. Vorrei che le loro morti non fossero vane. Hanno lottato per cercare un secondo luogo sicuro, sono morti per noi. Ed è loro che dobbiamo imitare adesso, lottare per guadagnarci quella prigione e renderla la nostra casa. Vorrei che quando giungesse il giorno di correre alle armi, tutti prendessero parte alla battaglia, poiché assieme saremo invincibili. Noi.. non ci arrendiamo.

La folla impazzì gioiosa. Era andata bene, ero riuscita a guadagnare la loro fiducia e forza. Avrebbero lottato. Phil, soddisfatto, allargò le braccia.

-Che inizi la festa!

Mentre tutti si sparpagliarono e i bambini correvano tenendo stretti bambole o palloncini, alcuni uomini si avvicinarono per ringraziarmi. Si trattavano del padre e del nonno materno di Matt. Erano in pace, avevano elaborato il lutto. Tutti erano felici, come ai vecchi tempi. Era necessario infondere coraggio ed io c'ero riuscita. Le parole, che oggetti potenti.. possono ferire a morte e modellare. Milton mi porse un bicchiere di spremuta.

-Beh, devo ammettere che non sei stata niente male!

Afferrai volentieri quel fresco succo d'arancia, poggiando l'altra mano sulla sua spalla.

-Grazie, mi sono lasciata trasportare dal momento.

Sorpreso del contatto fisico, osservò la mano.

-Ehi, cosa ti sei fatta?

Finii velocemente la spremuta, ridendo fra me e me.

-Una sciocchezza.
 

*
 

La leggerezza fluttuava nell'area circostante, i brutti pensieri erano svaniti. Volti rossi causati da risate sguaiate. Mi sedetti su una panchina di legno. Avrei voluto avere una macchina fotografica per immortalare l'atmosfera che si era creata od essere una brava pittrice per poter fissare la scena su di una tela, ma potevo fare unicamente appello alla memoria. La festa era giunta ormai al termine, alcuni stanchi bambini si poggiavano alle gambe dei propri genitori. Le lanterne furono spente e molti iniziarono a coricarsi nelle rispettive case. Martinez fu sostituito da un ragazzino per il turno di guardia notturno e mi salutò con un cenno. D'improvviso, un flash balzò nell'anticamera del mio cervello.

-Ehi, Martinez! Aspetta..

Lo raggiunsi di corsa.

Preoccupato, mi rispose avvicinandosi.

-Che succede?

-Dov'è Merle? Non l'ho visto..

Pregavo affinchè stesse bene. Forse era bloccato in una spedizione o probabilmente si era sbronzato ed era ancora a letto. Ad ogni modo, Martinez reagì diversamente da quanto mi aspettassi. Scosse la tesa, grugnendo.

-Come, non te l'ha detto il capo? Ci ha traditi quello stronzo. Ha tradito tutti noi per quel coglione di suo fratello.

In quel momento avrei dovuto essere amareggiata, delusa, ma in verità ero contenta. Contenta di sapere che suo fratello fosse vivo. Non ricordavo il suo nome, ma sapevo quanto significasse per lui.

-Oh diamine, allora è vivo. Chissà cosa avrà provato quando..

Martinez mi spintonò.

-Sei idiota per caso? Ci ha TRADITI, cazzo. Noi lo abbiamo salvato su quel cazzo di tetto.

Lo fulminai con lo sguardo. Odio le persone che mi mettono le mani addosso. Comprendevo la sua rabbia.

-Ho capito benissimo.. ma resto comunque sollevata e felice per lui.

Detto questo, sputò a terra, corrugando la fronte.

-No, non capisci un cazzo.

Restai in silenzio, limitandomi a guardarlo voltarsi ed andarsene. Che stronzo. Merle se lo meritava, dopotutto quello che aveva passato. Un fratello, sangue dello stesso sangue. Avrei pagato tonnellate di oro per poter riabbracciare mia sorella. Ma forse, dico forse, per una bambina di otto anni era meglio così. Era meglio morire subito, allo scoppio dell'epidemia. Alcune immagini si introdussero violentemente. Lei. La mia pistola. Il sangue. La pioggia. Quella scena, quella maledetta scena. Quei ricordi mi perseguitavano, non li avrei mai cancellati. Vidi in lontananza Phil e Milton parlottare a bassa voce. Quando si voltarono nella mia direzione però, distolsi lo sguardo. Udii il rumore dei loro passi farsi sempre più forte. Fu Phil ad aprir bocca.

-Dobbiamo parlare, è importante.

Seduti al tavolo circolare del governatore, Milton si apprestò a sorseggiare del tè fumante, mentre Phil versò per entrambi del whisky. Alcool, fottuto alcool. Era da un secolo che non bevevo. Annusai quel veleno, quell'odore secco e pungente. I due maschietti notarono il mio apprezzamento. Ero un libro aperto con loro e forse avevo degli enormi cuori pulsanti al posto degli occhi. Ci fu del silenzio per qualche minuto, finchè Philip presa parola.

-Dobbiamo organizzarci, capire bene come muoversi prima di un secondo attacco.

Milton annuì ed egli continuò.

-Li voglio morti, tutti. Se dovessero varcare quel cancello adesso, l'unica che non ucciderei sul momento sarebbe quella puttana di Michonne. Deve soffrire.

Si inebriò di colpo di tutto il bicchiere di cristallo, svuotandolo in pochi secondi. Lo riempì nuovamente, sputando odio e fuoco su quella donna. Gli domandai se avesse un'idea, qualche piano. Si tirò su le maniche, arrotolandole fino al gomito, quasi fosse colpito da vampate di calore.

-No. So però con chiarezza che non ci faremo trovare impreparati. Anzi. Dobbiamo attaccare noi per primi!

Milton deglutì e sistemò gli occhiali prima di rispondere.

-Ma non possiamo attaccare per primi. Cerca di ragionare.. loro hanno avuto successo perchè Michonne era stata qui, conosceva perfettamente il posto.

-Non mi importa! Improvvisiamo.. andiamo lì e sfondiamo quelle reti con un pullman.

-Aspetta, non andiamo di fretta. Potremmo trovare un'altra soluzione.. basterebbe fare la stessa cosa.

-E ti sembra fattibile, eh? Prendo uno dei miei uomini e lo piazzo lì? Come se non si vedesse da un miglio che sono dei miei scagnozzi.

Mentre i due discutevano, percorrevo con l'indice la superficie liscia di quel bicchiere ormai vuoto. Milton aveva ragione. Dovevamo avere qualcuno all'interno, qualcuno che fungesse da talpa.

-Ci sarà un modo.. magari ripuliamo qualcuno e..

Phil gettò la bottiglia al muro accanto al povero Milton, che prese a sudare impaurito. Questa si frantumò in mille pezzi, i quali presero direzioni differenti. Egli si poggiò sul tavolo e si inclinò in modo da avvicinarsi al viso del suo amico, urlando a denti stretti.

-Potresti evitare di dire stronzate? Cazzo! Vorresti ripulire qualcuno? Sul serio?!

Di colpo i suoi muscoli si rilassarono. Soffriva di scatti d'ira, non sapeva controllare la rabbia, i nervi. Si passò le mani fra i capelli nocciola chiari e si sedette, fingendo una voce più delicata.

-Scusa, non è colpa tua.. solo che mi infastidiscono le chiacchiere inutili.

Milton restò immobile. Allorchè ebbi un'illuminazione. L'idea non mi rendeva certo entusiasta, ma forse era l'unica che potesse fare al caso nostro.

-Philip, ho una soluzione.

Mi guardò, alzando il sopracciglio e dischiudendo leggermente le labbra. Speravo di aver avuto una buona idea, perchè quel suo occhio ghiacciato prometteva violenza.

-Potrei essere io la spia. Pensaci bene, non mi hanno visto la notte dell'assalto, ed idem per Michonne.

Tese le spalle e flettè la testa sia a destra che sinistra.

-Già te ne vuoi andare?

-Lo faccio per te, per noi. E potrei tornare, incontrarci ogni due o tre giorni ad esempio, in modo da riferirvi tutto il possibile.

-Ammettiamo che Rick ti accetti, cosa farai? Non si confideranno subito.

-Lo so, dovrò lavorare sodo.. posso farcela.

Dalla gola di Milton uscirono alcuni strani stridolii. Si schiarì la voce e si intromise, pauroso.

-Non vo-vorrei essere puntiglioso, ma là c'è Merle.. vi conoscete.

Phil rise, rise a crepapelle. Una risata mostruosa, perfida. La perdita di Penny, lo aveva mutato.

-Come, non vi ho detto che l'ho ammazzato?

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 : Le tre domande ***


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Capitolo 4 : Le tre domande


Speravo di dover abbandonare queste solide mura dopo molto tempo ed invece eccomi qui. Zaino in spalla, bowie sul fianco destro, tirapugni bilama e glock 19 mm sul sinistro, arco e provviste caricate sul cavallo. Gli abiti? Beh, gli stessi con cui ero arrivata il giorno prima. Dovevo essere credibile. Avevano l'aspetto di averne passate tante, rovinati, finiti. Erano solo perfettamente puliti e profumati, avrei dovuto rotolarmi nel bosco. Se mi trovavo in questa situazione, era gran parte colpa mia. Forse avremmo potuto trovare un altro modo, ma in realtà, nel profondo, sapevo di essere contenta. Ero felice di potermi infiltrare, bramavo il loro incontro, desideravo conoscere i loro volti, i loro segreti. Temevo anche di fallire, di non essere accettata. A quanto diceva Phil, il loro capo dava i numeri, non era stabile. Avrei dovuto fare molta attenzione, essere cauta. Era una missione e nient'altro. Dovevo mettere da parte la voglia di compiere vendetta e tagliare gole, restando impassibile in loro presenza. Non potevo mandare tutto all'aria a causa del mio atteggiamento negativo. L'esercito e il duro addestramento mi avevano insegnato a prendere di vista unicamente la buona riuscita di una missione. I dettagli, la disciplina, dovevo avere cura di questi aspetti. Il governatore, Milton e l'intera Woodbury contavano su di me. Avevo promesso loro che ce l'avremmo fatta. Così deve essere. Non fallirò. Il padre di Matt, l'addetto alla stalla, si avvicinò dopo aver sistemato la sella.

-Il cavallo è pronto, e tu?

-Credo di sì.

Accennò un lieve sorriso, salutandomi con gli occhi lucidi. Sapevo cosa provava, non avrebbe voluto vedermi partire. Mi voleva bene quell'uomo, quasi fossi anch'io sua figlia. Ma non poteva dirmi niente, il viaggio che avevo deciso di intraprendere era rivolto anche a lui. Mi incamminai assieme al cavallo, fermandomi sulla soglia dei cancelli. Martinez non mi rivolse parola. Ancora offeso? Mi chiesi se sapesse che fine aveva fatto Merle. Gli abitanti della cittadina mi osservavano malinconici e grati allo stesso tempo. Rischiavo di non far ritorno. Cercai di mostrarmi positiva, sorridente, ma avevo lo stomaco in subbuglio. Maledetti nervi. Ero stressata, stanca. Non mi ero ripresa ancora del tutto dal pellegrinaggio invernale. Ma ardevo di giungere al traguardo.

Milton non si fece vivo ed io non potevo aspettare oltre. I cancelli furono aperti, dopo aver controllato che il perimetro fosse libero. Phil mi accompagnò per un tratto, restando muto e pensieroso. Non fu piacevole udire nuovamente lo scricchiolio delle foglie secche. Sebbene fosse estate, molti alberi erano già spogli. Mentre osservavo i nudi rami che vertevano e si intrecciavano fra loro, la mano di Philip sfiorò la mia, ancora fasciata. Gli uomini di vedetta fingevano di guardare altrove.

-Kendra..

Mi strinse a sé delicatamente. Percepivo il suo caldo respiro sul collo. Un brivido mi percorse la schiena, tanto da spezzarmi il fiato. Una sua mano sulla vita, l'altra posata sulla guancia. Restammo così, come in attesa. Godemmo di quell'istante, fermo e perfetto. Avevo sempre amato i suoi occhi cristallini, di ghiaccio puro, ma adesso solo uno si posava sui miei. Ed era bello, era bello lo stesso. Quella benda non aveva affatto rovinato quei bei lineamenti. Era sempre lui, era sempre Philip. Forse più maturo, cambiato, potente. Ma restava l'uomo che avevo conosciuto. Quella situazione fiabesca terminò con un suo bacio. Le sue labbra premettero con decisione sulle mie, le quali risposero alla loro invocazione spalancandosi. Le nostre lingue si incontrarono, scambiandosi dolci effusioni, come due amanti infuocati dall'eros. Il mio cuore schiamazzò. Sarei morta fra le sue robuste braccia. Il rimorso apparve, avrei preferito restare. Ma non potevo più tornare indietro ormai. Lo facevo soprattutto per lui. Quando le nostre bocche si congedarono, mi sentii vuota. Desideravo un altro bacio, un altro lungo saluto.

-Se qualcosa dovesse andare storto o se la situazione diventasse troppo complicata, ti prego.. corri da me. Non potrei accettare l'idea di perderti.

Posai l'indice sulle sue labbra umide.

-Non accadrà, fidati di me.

Diede un veloce bacio anche al dito, prima di puntare alla mia fronte. Era così protettivo, premuroso. La preoccupazione e l'ansia erano chiaramente visibili sul suo volto. Gli avrei dimostrato ancora una volta di cosa fossi capace. Ci separammo, come se niente fosse. Un flebile "a presto" e proseguimmo per direzioni opposte. Io tornavo alla natura, al pericolo, alla realtà. Lui tornava a casa, al sicuro, al comando. Fu frustante ripercorrere quella malinconica strada, notare le tracce sulle cortecce e i torsoli di mela marci a terra. I vermi si aggruppavano viscosi ed affamati su quei miei avanzi, strisciando convulsivamente. Mentre fissavo schifata quella poltiglia, due vaganti mi notarono. Staccarono i loro neri denti dalla carcassa di un animale, un cinghiale presumibilmente, e protrassero la mascella quasi volessero già pregustarmi. Una donna e un uomo, o quello che ne restavano. Fortunatamente erano ben distanti, il giusto per permettermi di impugnare l'arco e tenere in tensione la corda. Chiusi l'occhio destro, concentrandomi. Presi di mira l'uomo, quello più veloce. Trattenni il respiro e scoccai la freccia. Che bella sensazione. Amavo tirare con l'arco, era più soddisfacente. Sparare con un arma da fuoco risultava più semplice. Certo, se mi fossi trovata di fronte un branco di zombie, un ak-47 avrebbe fatto molto più comodo, veloce ed efficace. L'arco era un'arma da distanza. Non era adatto a tutte le situazioni, ma quando capitava la possibilità, la coglievo al volo. Il vagante si accasciò esamine. La donna inciampò su di esso, rompendosi il femore. Tale condizione non la fermò, non pose fine alla caccia. Come i vermi vicini alle scarpe, questa si dimenava cercando di raggiungermi. Le andai incontro. Un calcio dritto in faccia. La mandibola si staccò, bagnandomi di sangue agglomerato la gamba. Poi, il colpo finale. Le schiacciai il cranio, che si appiattì come burro nel fango. Ripresi la freccia coperta di materiale organico e la pulii sulla maglietta. Dovevo sporcarmi. Una volta in groppa al cavallo, distesi sulle cosce la mappa su cui era segnato il tragitto. Una grossa x spiccava, quasi fosse la mappa di un tesoro. Beh, dopotutto quella era il mio tesoro. Le mie prossime prede.

Cavalcai velocemente, sicura di me. Pensai alla notte precedente, alla confessione di Phil. Merle, morto. Ucciso senza apparente motivo. Ma forse il termine adatto era giustiziato. Sì, quella era stata una piccola vendetta personale. Philip non aveva perdonato il suo gesto, non gli era importato che avesse fatto ritorno per chiarire la questione. Come diceva Martinez, ci aveva traditi. Quante cose non mi aveva ancora raccontato? Quante verità taciute? Non avevo affatto perduto la fiducia in quell'uomo, ma mi ero resa conto di cosa fosse capace. Speravo che la conquista della prigione placasse la bestia. Non desiderava altro. Ed io avrei fatto di tutto per compiacerlo. Insomma, anch'egli doveva esser felice. Ma il contorto destino di Merle mi distruggeva. Perché diavolo era tornato indietro? Aveva di nuovo suo fratello, o meglio il marmocchio. Così lo chiamava. Perché aveva sentito il bisogno di dover chiudere i rapporti diplomaticamente? Non riuscivo a capacitarmene. Non era da lui. Milton mi aveva spiegato la sua ipotesi, una volta usciti dalla casa del governatore. Era convinto che si sentisse in debito. Riteneva che fosse tornato per mettere una pietra sopra alla faccenda. Avrebbe vissuto alla prigione con il nemico, zero rimpianti. Ma Phil.. Phil non poteva lasciarlo andare, non gli avrebbe permesso di voltargli le spalle nuovamente. Aveva scelto loro a lui. La sua scelta, la sua condanna. Così si era dichiarato innocente. Così, col sorriso sulle labbra, appagato da se stesso, aveva detto : ognuno è artefice del proprio destino. Avevo l'amaro in bocca. Non potevo fare niente ormai. Chissà come si erano salutati lui e il fratello, chissà se forse lo stesse ancora aspettando. Un poco mi spiaceva, lo ammisi. Uccidere suo fratello mi sarebbe stato difficile. Avrei visto nel suo volto quello di Merle.

Ad ogni modo, cercai di fuggire da tali pensieri spinati come rovi di more e posai l'attenzione su una tenda da campeggio intrisa di sangue. Bloccai la corsa del cavallo, il quale impennò violentemente, nitrendo. Scusami. Scesi ed accarezzai il suo muso col palmo, in modo da calmarlo. Sfoderai il bowie e facendo attenzione, con passi lenti e felini, sbirciai all'interno della tenda. Dei ratti sgusciarono fuori nel panico. Il corpo sembrava essere di un adolescente. Un foro sulla tempia, una magnum stretta in mano. Si era tolto la vita. Intelligentemente almeno. Controllai fra i suoi oggetti e trovai solo cartacce e scatolette più che scadute. Frugai nelle sue tasche. Un accendino ed una torcia funzionante. Un buon bottino. Montai in sella ed il cavallo partì.  Non si trattava di un semplice accendino, ma di uno zippo inciso. Sopra vi era scritto : fuck you. Ironico. Finalmente vidi emergere dalle chiome una torre in lontananza. Mi morsi il labbro. Era arrivato il momento di entrare in scena, calarmi nella parte.

Quando fui abbastanza vicina e riparata allo stesso momento, osservai i movimenti all'interno del recinto. Un uomo anziano, ma non troppo, stava annaffiando un pezzo di terra coltivato. Si poggiava su delle stampelle. La gamba.. non riuscivo a vedere bene, ma forse era ferito. La fronte rugosa. Capelli e barba fitti, come neve. Aveva un'espressione serena. Probabilmente si è ferito durante l'attacco. Un ragazzino con un cappello da sceriffo ed un uomo asiatico stavano puntando dei tronchi lavorati nel terreno, poggiandoli sulla recinzione, facendo in modo che reggessero il peso dei molteplici vaganti adagiati alla rete d'acciaio. Mi spostai, cercando un'altra visuale. Dal nuovo scorcio potetti notare altri individui. Una donna magra e slanciata ridacchiava con un'altra più bassa. La prima era castana, capelli corti all'altezza della mascella, la seconda invece bionda, con il crine raccolto in una coda. La biondina teneva qualcosa in braccio, ma non riuscivo a capire cosa fosse, essendo rivolta di schiena.

Una porta di ferro rossa del blocco C si spalancò. Da questa uscì un uomo sulla trentina. Capelli corti, mossi, castani chiari. Barba incolta, affatto curata. La sua corporatura sembrava fragile, ma si capiva dalla mani strette in pugni quanto fosse solo apparenza. I nervi affioravano sugli avambracci scoperti. Indossava una camicia marrone, con le maniche arrotolate, e dei pantaloni scuri. Era armato, una fondina. Tutti si voltarono per guardarlo e questo si avvicinò all'entrata della recinzione unicamente per controllare il lavoro svolto dall'asiatico e il bambino. La sua fronte, perennemente corrugata. Gli occhi vigili, attenti ad ogni più minuzioso particolare. Per quanto il suo tono muscolare trasmettesse calma, il suo sguardo aveva un qualcosa di folle e razionale alle stesso tempo. È lui. Non ho dubbi, è il capo. Rick. Nel cortile della prigione erano presenti solo questi pochi individui. Gli altri avrebbero potuto essere dentro od occupati in qualche ricerca di provviste. La situazione generale era pacifica, piatta.

Si erano organizzati bene, la prigione era diventata praticamente una villetta. Orto, maiali, cavalli, barili pieni d'acqua, delle casse ricche di armi e munizioni, un barbecue. Niente male. Come potevano aver colto di sorpresa Philip? Erano davvero così pericolosi? Non sembravano il tipo di uomini da cui mi avevano messo in guardia. Per avvicinarmi senza dover far fronte alla quarantina di non morti presenti, avrei dovuto imbrattarmi col loro sangue. Poi guardai il cavallo. Stavolta tocca anche a te. Discesi dalla leggera altura su cui ero giunta e costeggiai a distanza il perimetro del recinto, restando sempre nascosta fra le numerose fronde. Mi servivano almeno due vaganti per il cavallo. Bingo! Il mio desiderio fu accolto. Uccisi i due non morti e con il bowie aprii il costato. Tuffai le mani in quella brodaglia color pece. Un miscuglio di sangue ed organi putrefatti.

Grondante di quella merda, ne spalmai anche sul dorso del cavallo, il quale non sembrò apprezzare. Si muoveva continuamente, cercando di sfuggirmi. Fui costretta a legare le redini ad un albero. Finita la scena ridicola, mi incamminai verso l'obiettivo, profumata come una rosa. Il cavallo mi restava vicino, incollato quasi. Molto coraggioso. Avvertiva chiaramente il pericolo. Non so perché, ma trattenni il respiro. Passai in mezzo a quella massa putrefatta. Nessuno di quei mostri si curava di noi. D'un tratto una donna, che prima non avevo notato, mi vide. Mantenni lo sguardo fisso sul suo. Magra, volto un poco scavato. Sofferente. Non tanto nel fisico quanto nell'animo. Capelli spettinati, cortissimi e grigi. Rimase interdetta per una ventina di secondi, finchè non decise di indietreggiare ed esortare Rick a voltarsi. Questo mi squadrò, confuso e sospettoso. Restai ferma, immobile. Gli zombie si muovevano intorno a me, producendo i loro soliti grugniti. Dovetti impegnarmi molto nel celare l'odio che provavo nei suoi confronti. Lo mascherai, sostituendolo con una richiesta d'aiuto.

Comunicammo così, senza parole. Urlò il nome Carl ed il ragazzino corse ad attivare il meccanismo dello strano cancello triangolare che avevano ideato. Particolare ed efficiente. Quello fu il segnale. Aveva deciso di farmi entrare, ma era troppo presto per cantare vittoria. Farmi varcare quella soglia significava solamente aprire un dialogo. Non potevamo certamente conversare divisi dai recinti e non solo, parlare in mezzo agli zombie sarebbe stato controproducente. La donna dai capelli argentati mi puntò la canna del fucile alle tempia. Gli altri si posizionarono alle spalle del capo. Nessuno apriva bocca. Rick continuava a fissarmi. Il suo sguardo sembrava quasi perso. Fece qualche passo in avanti e posizionò la mani sui fianchi.

-Chi sei, come ti chiami?

Il tono era graffiante. Dovevo mantenere la calma, sembrare innocua. Non aveva ancora deciso.

-Mi chiamo Kendra, Kendra Moore.

La mia voce uscì decisa, ma morbida.

-Sei sola? Hai un gruppo nelle vicinanze?

-Sono sola.

Spostai lo sguardo sul fucile. Rick comprese. Fece un cenno e la donna abbassò l'arma. Notai che il vecchio non era ferito, ma aveva una protesi. Una fottuta protesi artigianale e perfetta.

-Bene. Kendra, adesso ti farò tre semplici domande. Rispondimi sinceramente e sei parte dei nostri.. se è quello che vuoi.

La donna armata non sembrò esser d'accordo. Di nuovo alzò il fucile.

-Cosa stai dicendo? Non sai nemmeno chi è questa. Non puoi farla entrare.

-Carol, abbassa l'arma.

-Prima dimmi perché diavolo vuoi farla stare con noi? Potrebbe essere pericolosa.

Carl mi guardava minaccioso. Faceva l'adulto.

-E perché non dovremmo? – disse il vecchio – dopotutto è sola, che male potrebbe mai fare? E se dovesse mostrarsi una minaccia, potremmo tranquillamente cacciarla.

Il suo volto, i suoi occhi blu. Quell'uomo era la bontà fatta persona. La ragazza castana annuì.

-Mio padre ha ragione.

Bene, quindi l'anziano era il padre della fichetta. La stronza si chiamava Carol ed il bambino cocciuto Carl. Philip aveva fatto bene a non descrivermi i vari componenti del gruppo e a non menzionare i loro nomi, fatta eccezione per Michonne. Qualsiasi informazione sarebbe potuta sfuggirmi e di conseguenza mandare al diavolo l'intera operazione.

-Papà, perché la vuoi con noi?

-Carl, ci serve aiuto. Ci servono persone disposte a lottare con noi, nel caso quel pazzo del Governatore dovesse attaccarci.

In quell'esatto istante avrei voluto gettarmi a terra dalle risate. Dio, che situazione assurda. Carol ritrasse il fucile e se ne andò indignata. L'unica intelligente ci aveva abbandonati, se solo l'avessero capita. Il gruppo non si scompose, forse erano abituati alle sue scenate. Molto irascibile. Il vecchio scrutò Rick e sorrise. Aveva visto qualcosa che mi ero persa, aveva compreso che il capo stava cambiando. Da come mi avevano descritto le dinamiche di questi sopravvissuti, Rick doveva rappresentare un folle. Un folle che non avrebbe comunque permesso l'entrata di un nuovo membro.

-Tornando a noi.. quanti vaganti hai ucciso?

Uh, una delle tre domande.

-Non ho tenuto il conto.

Inclinò leggermente la testa.

-Quante persone hai ucciso?

Una, ne ho uccisa una sola. Mia sorella.
Solitamente ferisco a morte, ma non do mai il colpo di grazia.

-Da quando è scoppiato l'inferno, una soltanto. Ero un soldato, ho dovuto uccidere in passato.

Detto questo, scrollò le spalle. Abbassò lo sguardo.

-Perché?

Gli occhi tornarono a me.

-Era infetta.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 : Prigioniera ***


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Capitolo 5 : Prigioniera


Posai le armi su di un tavolo di alluminio, posto a contatto con la fredda parete. L'ambiente era buio, scarno. L'intonaco grigio si sgretolava al solo sguardo. Sebbene il pavimento e le varie superfici fossero prive di polvere, la poca luce che filtrava dalla spesse finestre dava l'idea di un luogo sporco e abbandonato. Se fossimo riusciti a conquistare questa prigione, avremmo dovuto lavorare molto per restaurarla e renderla accogliente, altrimenti i cittadini di Woodbury non avrebbero accettato di buon grado il trasferimento.

Non che l'estetica fosse importante, ma sicuramente avrebbe aiutato e placato coloro che si sarebbero opposti. Vi erano già stati dei commenti poco positivi al riguardo. Nessuno aveva intenzione di vivere in gattabuia. Chi poteva biasimarli. Abituati al lusso, non avrebbero gioito della nuova sistemazione, nonostante fosse decisamente più sicura. Ma questo, solo pochi potevano capirlo. Alcuni tavoli rotondi era presenti in mezzo alla stanza. Una cabina in alto, la postazione della guardia carceraria. Ci trovavamo forse nella zona adibita all'area ricreativa. Gli altri mi fissavano dietro una porta a sbarre, la quale permetteva l'accesso alle celle, ovvero al dormitorio. L'anziano, invece, era seduto su due gradini all'interno della mia stessa area, con accanto le proprie stampelle. Mi parve affaticato. Rick gettò ai miei piedi una coperta.

-Ascolta, casa mia.. mie regole. Per adesso tu dormi in questa ala. Le armi le prenderò io e ti verranno consegnate quando lo riterrò opportuno. Vuoi farti un giro? Chiedi a me il permesso. Vuoi renderti utile? Chiedimi. Vuoi pisciare? Me lo vieni a riferire. Devo sapere di ogni tuo spostamento, è chiaro? Sei ancora in prova. Devi guadagnarti la nostra fiducia. Io ti ho permesso di entrare. Adesso è tutto nelle tue mani. Disubbidisci? Sei fuori. Fai una cazzata? Sei fuori. Metti in pericolo qualcuno di noi? Ti uccido. Non ti sto giudicando, solo mettendo in guardia. Okay? - disse camminando avanti e indietro.

Faceva molto caldo. Sulla sua camicia erano visibili alcune chiazze di sudore, ma non erano provocate unicamente dall'alta temperatura, quanto dal nervosismo. Quell'uomo mi incuteva agitazione. Mi bastava guardarlo e già mi sentivo frenetica. Avrei voluto tirargli un pugno. Sembrava che qualsiasi cosa facesse, gli risultasse un peso, un fardello. Ci vorrebbe del valium. Passò le armi al di là delle sbarre, le quali furono sequestrate dalla donna prepotente. Carol. I suoi occhi promettevano poco di buono. Non mi avrebbe mai persa di vista. Mi accorsi di essermi persa la biondina, non sapevo dove fosse. L'asiatico sembrava dispiaciuto della mia condizione, ma sospirava. Sapeva che fosse la cosa giusta da fare. Si fidavano molto di Rick. Non tutti forse. Carol mi dava l'idea di essere l'elemento disturbante, colei che mettesse più volte in discussione le scelte del capogruppo. Forse in passato era successo qualcosa, qualcosa che non gli aveva ancora perdonato. Il cinese, o coreano, si staccò dalla porta assieme alla figlia dell'anziano. Carol fece lo stesso. Finalmente non avevo degli spettatori antipatici. Era rimasto solo il vecchio alle mie spalle. Rick si posizionò di fronte a me, con aria risoluta.

-Ci sono domande?

Raccolsi la coperta, passivamente.

-Dove sono le docce?

Rick corrugò la fronte. Si sentì preso in giro. Forse si aspettava qualcosa di diverso dopo il suo monologo intimidatorio. Ma mi premeva di più togliermi di dosso quelle schifose budella, oramai secche. Il vecchio cercò di soffocare una risata.

-Devi scusarlo, a volte si dimentica le buone maniere.

Mi voltai per sorridergli. Dovevo mostrarmi anche socievole. Rick, interdetto, si limitò a guardare il disabile alzarsi. Sorretto di nuovo dalle stampelle, contraccambiò il sorriso, anche se fu in parte nascosto dalla barba.

-Per di qua, ti faccio strada. - disse avviandosi verso un corridoio.

Rick lo bloccò.

-Hershel, ci penso io. Tu resta qua.

Finalmente il suo nome. Il capo non si fidava di mandarlo solo con me. Dopotutto non era nemmeno in ottima forma, avrei potuto aggredirlo ed avere la meglio. Hershel comprese il suo timore e prese la strada opposta, entrando nella stanza dove si trovavano gli altri. Uno, due. Io seguii il pazzo. Nove, dieci, undici. Il corridoio era stretto, ma ben illuminato. Molte porte si susseguivano. Mi indicò delle frecce sul muro. Avevano contrassegnato il percorso. Probabilmente le zone escluse non erano ancora state ripulite del tutto. Trenta, trentuno. Camminavo al suo fianco, mantenendo il passo frettoloso. Vidi una porta socchiusa, ma non potetti sbirciare. Con la coda dell'occhio notai solamente una cassetta degli attrezzi rossa e rugginosa. Cinquantacinque. Si massaggiò il collo con la mano sinistra, mentre la destra stringeva il calcio che usciva dalla fondina. Settantatre, settantaquattro. Dopo pochi metri si fermò di colpo, mostrandomi la zona docce. Novanta.

-Io resto qua fuori.

Novanta secondi.

-Ehm, Rick?

-Sì?

-Ho dimenticato gli abiti di là.

L'espressione che assunse era un misto di stupore e scocciatura. Tossì, per schiarirsi la voce.

-Va bene.. va bene. Sono nello zaino?

-Nella borsa marrone.

Fece ruotare le spalle si apprestò a ripercorrere l'intero tragitto. Aspettai che voltasse l'angolo e contai fino a dieci prima di muovermi. La sala ricreativa e i bagni distavano esattamente novanta secondi. Disponevo quindi di un lasso di tempo di circa due minuti, considerando che sarebbe andato a passo molto più svelto. Corsi in punta di piedi, cercando di ricordare a che altezza fosse la porta aperta. Una volta trovata, mi fiondai sulla cassetta degli attrezzi, sperando di trovare qualcosa di utile. Altrimenti l'aver lasciato intenzionalmente i vestiti sarebbe servito a poco. Un grosso cacciavite, una chiave inglese, dei bulloni, un martello rotto. Cazzo. Avevo bisogno di qualcosa di sottile, qualcosa che potessi nascondere tranquillamente negli anfibi. Mi guardai velocemente intorno, disperata come un cerva in fuga da un cacciatore. Nell'angolo notai una lima. Perfetto. Venti secondi, mancano solamente venti secondi. Non avevo tempo di tornare indietro. Udii il rumore dei passi echeggiare fra le pareti. Dovevo inventarmi qualcosa. Tornai nel corridoio, liberai il polso dalla fascia bordeaux che portavo sempre con me e la lanciai a terra, lontana. Poi, come se niente fosse, camminai verso quella. Rick spuntò con la borsa in mano ed appena mi vide accelerò.

-Dove stai andando?

Non risposi e mi piegai sulle ginocchia per raccogliere la fascia. Le feci fare due giri, fingendo di temere di perderla. Allora mi porse la borsa, sentendosi uno sciocco. Lo ringraziai. Tornammo alle docce e si posizionò accanto alla porta, rilassando la schiena contro il muro.

-Rick, un'altra cosa.. - mi guardò avvilito – se sei così preoccupato che possa fare qualcosa, perchè mi hai fatta entrare?

Anch'egli aveva gli occhi azzurri. Ma che cavolo, sono rimasti vivi solo quelli con gli occhi blu? Erano diversi da quelli di Phil. Rick li costringeva più volte, corrucciandosi. Era quindi difficile vederlo col volto disteso e notare il bel taglio degli occhi. Chissà quale espressione avrebbe assunto durante la morte.

-Credo sia normale essere sospettosi, soprattutto di questi tempi. Non pensi? Sai, non sei la prima persona che si presenta ai nostri cancelli sporca di sangue. Il contesto era diverso, ma feci bene a fidarmi di lei. Quindi sto cercando di provarci, sto cercando di fidarmi un poco degli altri.

-Capisco.. - aveva senso, insomma, una logica. Ero capitata quindi a fagiolo, se mi fossi presentata in un altro momento mi avrebbe mandato a quel paese. -.. ed è ancora con voi?

Sorrise. Alleluja. Dovevano aver stretto un bel legame.

-Sì, ma non è qui adesso. Avrai modo di conoscerla stasera. Siete simili, credo che andrete d'accordo te e Michonne.
 

*
 

Il sangue, trasportato dall'acqua, scivolava nello scarico formando dei vortici. Finalmente mi sentivo pulita. Quell'odore nauseabondo era svanito. Schizzinosa com'ero, non avrei mai immaginato di riuscire a sopravvivere in un'apocalisse zombie. Non mi dava noia il sangue o la vista di un corpo putrefatto. Avendo lavorato per l'esercito in missioni speciali, avevo visto di peggio. Ma non pensavo che un giorno mi sarei ritrovata in questo casino, costretta a bagnarmi di organi marci. I ricci, ormai zuppi, scendevano pesanti sulle spalle.

Come aveva osato Rick paragonarmi con quell'assassina? Noi non eravamo affatto simili. Lei sarebbe morta presto. Gli abiti erano in ammollo con acqua fredda in uno dei lavabi. Le macchie avrebbero dovuto sparire. Chiusi il rubinetto e poggiai i palmi alle piastrelle che ricoprivano il muro. Quanto avrei resisto in compagnia di queste persone? Rick mi dava sui nervi, Carl era un bimbetto, Carol mi odiava, la figlia del vecchio sembrava una "tutto so io", l'asiatico boh, non sapevo nemmeno che voce avesse e la biondina era sparita. Fatta eccezione di Hershel, mi sembrava di esser tornata sui banchi di scuola. Mi trovavo male coi compagni. Rimanevano ancora il fratello di Merle e la bastarda. Mancava poco al calar del sole, di conseguenza all'incontro con l'assassina.

Come avrei fatto a non perdere il controllo? Come avrei potuto desistere alla pulsione di spaccarle la faccia? Se Philip avesse voluto farla semplice, stamani su quella collina avrei potuto farli fuori tutti con un tattico fucile da cecchino. Certo, non sarebbe stato altrettanto soddisfacente, poiché avrebbero perso la vita senza alcuna sofferenza. Ma almeno mi sarei risparmiata quest'agonia. Mi asciugai con un panno e presi gli abiti spiegazzati nella borsa. Un paio di jeans neri trucidi, con un taglio all'altezza del ginocchio destro ed una canotta color verde oliva scuro. Calzati gli anfibi, entrai in corridoio dove vidi Rick spazientito.

-Ci ho messo troppo?

I capelli ancora bagnati mi aiutavano a combattere l'afa.

-No, no. Lascia stare.

Bene, era preoccupato per altro.

-Ascolta, pensavo di uscire in cortile per far asciugare i capelli all'aria aperta. Ho il tuo permesso?

Si spogliò della camicia, restando in t-shirt.

-Sisì, vai.. - rispose frettoloso, quasi volesse che restassi in silenzio – ..devo parlare con Carol.

Ecco il punto. Probabilmente avevano bisticciato mentre ero in doccia. Ne fui felice, potevo uscire senza scorta. Partì con un dinamico scatto. Ahi, le spetta una partaccia. Ero curiosa di scoprire altro, ma preferii dirigermi verso l'esterno.

-Ti terrà d'occhio Carl, è fuori a badare al tuo cavallo. - urlò ormai lontano dal mio campo visivo.

Fanculo. Una folata di vento mi investì. I capelli sarebbero stati asciutti entro poco. Vidi Carl all'angolo della recinzione, occupato a tirare sassi contro i vaganti avvinghiati alla rete. Le putride dita passavano fra i fori del recinto, bramando carne fresca da lacerare. Avrei potuto spingerlo verso di loro e farlo passare come un incidente. Ma risi da sola. Non ci avrebbe creduto nessuno. Una morte alquanto divertente. E poi quel ragazzino, dall'aspetto così cocciuto, sembrava in gamba. Percepivo quanto fosse maturo nonostante l' età. Dopotutto, il mondo richiedeva questo. Se fosse stato ingenuo e sprovveduto, non sarebbe ancora in vita.

Il cavallo fissava gli altri della propria razza. Avevano una bella stalla. Il suo mantello era lucido. Carl risparmiò gli zombie e si sedette a terra, gambe incrociate. Si tolse il cappello da sceriffo. Doveva appartenere al padre. Effettivamente Rick aveva l'atteggiamento da poliziotto. Fortunatamente il ragazzino non mi aveva visto, perciò controllai il perimetro. Osservai le torrette di guardia, i sostegni del recinto, le casse con le munizioni e le armi. Bell'arsenale. Notai alcuni cancelli bloccati con catene e lucchetti. Il blocco accanto era pregno di putridi. Dovevo estorcere al gruppo molteplici informazioni, camuffando l'interrogatorio con semplici chiacchiere. Domattina avrei cominciato con Hershel, sembrando esso il più disponibile. Per quanto riguardava gli altri, sarebbero serviti giorni. Non avevo idea di quanto Phil volesse pazientare. Mi voltai e vidi Carl mettersi delle cuffiette. Aveva un mp3. Beato lui.

Mi aggrappai alla recinzione e la strattonai in vari punti, per analizzarne lo stato. In alcuni tratti non era messa benissimo, ma per un qualche strano motivo, i non morti tendevano ad aggrupparsi in due soli lati. Quindi non era un problema per il momento. Tornai alla mia ronda. In un recipiente notai dei flaconi di latte in polvere. Non è possibile. Vi era forse un neonato nella prigione? La mente mi proiettò l'immagine della biondina di spalle, con le braccia occupate a tener sollevato qualcosa. Una ragazza madre? Non potevo crederci. Quale scellerata avrebbe partorito in una situazione del genere? Forse si trattavano di cibo che avevano consumato, non avendo trovato altro.

Un suono acuto interruppe il mio pensiero. Subito il mio corpo roteò nella direzione dal quale esso era provenuto. Accadde tutto molto velocemente, sebbene mi parve fermarsi il tempo. I miei occhi focalizzarono uno strappo nella recinzione a sud, in un'area arrugginita. Uno zombie varcò la soglia, superando quella staccionata di ferro che ci aveva divisi e protetti da loro. Questo si ferì, strappandosi parte dell'epidermide, la quale rimase penzoloni sulla rete. Il non morto puntò il ragazzino e si affrettò a raggiungerlo. Carl, ignaro del pericolo, stava dritto in piedi a scorrere le canzoni della sua playlist. Urlai il suo nome correndo, ma con la musica sparata a tutto volume, non si accorse di niente. Il putrido, ormai vicino, tese le braccia. Se solo avessi avuto una pistola. Affondai la mano nella scarpa e trassi la lima, impugnandola come un coltello da caccia.

Vidi Rick spuntare esattamente dall'angolo opposto al mio. Gridò il nome del figlio e tolse la sicura alla pistola, ma non poteva sparare da quella distanza. Rischiava di colpire Carl. Appena se ne rese conto, iniziò a correre disperato. Formavamo un perfetto triangolo rettangolo. Io, vicina, rappresentavo il cateto minore, mentre Rick il maggiore. Preso dalla foga e drammaticità del momento, il padre non si era nemmeno accorto della mia presenza. Entrambi ci stavamo spingendo verso il vertice, consapevoli che non saremmo mai giunti in tempo. Il morto era ormai alle sue spalle. Lo afferrò. Le mani di Carl ebbero uno spasmo, il quale provocò la caduta del riproduttore musicale. Il ragazzo tentò di liberarsi dalla stretta prima che i gialli denti penetrassero nel collo. Crollò a terra. Il putrefatto aveva una colorazione tendente all'ocra, gonfio di pus e liquidi tipici di un cadavere in decomposizione. Posso farcela, posso farcela. Chiusi gli occhi per un secondo e quando li riaprii, fui lì al fianco del bastardo che si era curvato sulla propria preda. Con tutta la forza che avevo in corpo, tirai un calcio sulla tibia scoperta dai muscoli decomposti.

Il vagante cadde sulle ginocchia. Piantai fulminea la lima dal basso, trafiggendo il mento. La punta di questa perforò la lingua e si incastrò nel palato. Con rabbia, la sfilai velocemente ed un fiotto di sangue colorò l'erba. Parte dei liquidi si riversarono su di me e sul ragazzo. Di nuovo mi accanii su di esso e la lima penetrò il bulbo oculare, giungendo al cervello. Poggiai la suola dell'anfibio sul suo petto e tirai per riprendere l'arma che, conficcandosi, si era incastrata. Così, riuscii a liberarla e il vagante si riversò esamine, piegandosi all'indietro. Uno strepito straziante mi bloccò il respiro. Alle mie spalle, Carl era ricoperto dalle sostanze organiche dell'azzannatore e Rick si era gettato sul figlio, abbracciandolo. Il ragazzo, sotto shock, non parlava. Non aveva ancora capito le dinamiche dell'accaduto, sapeva solo di aver visto la morte in volto. Rick, preso dagli spasmi, controllò con furore il corpo del figlio, temendo di scovare qualche graffio. Io stessa non ero sicura della sua salute. Ero stata così impegnata nel correre, che non avevo fatto caso a questo particolare. Quando udii una risata nervosa, mista a singhiozzi, capii che Carl ne era uscito incolume.

L'adrenalina scomparve e potetti percepire il tremolio delle gambe affaticate. Fu così che imitai involontariamente il putrefatto, cadendo sulle ginocchia. Ero sollevata. Avevo salvato una vita. Avrei potuto lasciare gli eventi al proprio corso, eppure mi ero imposta contro. Il mio istinto aveva avuto la meglio. Rick si dondolava compulsivamente, tenendo stretto il ragazzo. Sulla mia coscia destra, notai scorrere un sottile e fresco rivolo cremisi, che si faceva spazio fra il sangue marcio. Mi accorsi di star stringendo ancora la lima, così forte da essermi procurata un taglio sul palmo. Ma non provavo alcun dolore. Rilassai la presa, ma non mollai l'arma. Mentre Rick, ancora in preda al terrore, poggiava il viso fra i capelli del ragazzo, questo aveva gli occhi fissi su di me. Tornai in piedi lentamente, sperando che quella commovente scena terminasse.

D'un tratto, bruciore. Una terribile fitta mi travolse. Un dolore acuto, straziante. D'impulso, mi irrigidii. La lima precipitò al suolo. Abbassai lo sguardo, per capire da dove provenisse tale sofferenza. Un dardo. Un dardo dalle alette verdi conficcato nel fianco. D'improvviso, mi sentii fiacca, debole. La vista mi abbandonò e tutto si fece scuro.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 : Ricordi ***


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Capitolo 6 : Ricordi


Piangeva fra le mia braccia. I suoi capelli miele profumavano di albicocca, a causa del suo shampoo preferito. Avrei voluto consolarla, mormorarle con parole dolci che tutto si sarebbe risolto, che mamma sarebbe guarita. I telegiornali parlavano di una nuova malattia, un virus mai visto prima. I sintomi non erano ancora chiari, per il momento gli affetti presentavano dolori muscolari e febbre molto alta, la quale procurava anche allucinazioni. Nostro padre entrò in cucina e riempì una bacinella d'acqua con del ghiaccio. Prese delle pezze e le immerse.

-Si è addormentata, ma è molto bollente. Il ghiaccio dovrebbe aiutarla..

Parlò senza nemmeno guardarci, sperando che non notassi il terrore sul suo volto, e tornò in camera da letto. Sapevo che mamma non ce l'avrebbe fatta, non avrebbe resistito ancora a lungo. Gli antidolorifici erano inutili. Qualsiasi medicina era inefficiente. Scienziati e dottori lavoravano assieme, cercando di trovare un antibiotico al più presto, ma era ovvio che i primi infetti sarebbero morti. Cassie si asciugò le lacrime.

-Sta mentendo, vero sorellona?

Mi persi nei suoi occhi grigio perla.

-No Cassie, ha solo paura..

-Anch'io ho paura, non voglio che la mamma muoia.

La strinsi a me.

-Ce l'abbiamo tutti, Cassie..

La televisione, a cui avevo messo il muto, interruppe un programma per trasmettere delle nuove notizie, relative all'epidemia. Ma ciò che vidi, mi sconvolse. Gli infetti erano stati colpiti da improvvisi scatti d'ira, diventando aggressivi con chiunque avessero vicino. Un ragazzo col suo telefono aveva ripreso un bambino divorare il proprio cane. I pazienti uccidevano, non riconoscevano i propri cari. Avevano solo fame. Spensi immediatamente la tv. Fortunatamente Cassie non aveva visto niente, avendo il volto sul mio petto. I battiti del cuore accelerarono. Mia madre si sarebbe trasformata in un mostro. Poteva aggredirci, ucciderci. Dovevamo fare qualcosa per impedirlo, non le avrei permesso di fare del male a qualcuno. In fondo speravo ancora nella possibilità di una cura, magari, essendo la situazione peggiorata, i medici avrebbero lavorato maggiormente, con più determinazione.

-Cassie, va in camera tua. Parlo un attimo con papà e poi ti raggiungo.

Mollò la presa.

-Voglio venire anch'io, salutare la mamma.

-Sta dormendo tesoro, le parlerai quando si sarà svegliata. Ora sali in camera e scegli qualche film, ok? Ce lo guardiamo assieme.

Annuì rattristata. Raccolse Smith, il suo coniglietto di peluche, e si diresse verso la propria cameretta. Dovevo dire a nostro padre cosa sarebbe potuto accadere. Era pericoloso starle vicina adesso. Entrai in camera degli ospiti. Mia madre giaceva distesa sotto le coperte. I lunghi ricci dorati le incorniciavano il volto. Sulla fronte, uno straccio bagnato. Papà se ne stava seduto su una sedia di legno, vicino al corpo della donna amata, ed ogni poco le cambiava lo straccio, sostituendolo con uno più fresco.

-Kendra, non so cosa fare.. mi sento dannatamente inutile.

Non avrei voluto metterlo al corrente della degenerazione dell'epidemia, ma rischiava la vita a starle così vicino.

-Papà, la situazione è peggiorata.. i telegiornali..

Non riuscivo a trovare le parole, non riuscivo a trovare il modo giusto per dirlo. Parlarne avrebbe fatto diventare il tutto reale.

-..i malati impazziscono, diventano pericolosi. Aggrediscono coloro che hanno a fianco, non riconoscono le persone.

Rimase bloccato. Gli occhi su di me e la mano sulla fronte di mamma.

-Ne sei sicura? Non ha senso, non è possibile.. di cosa diavolo si tratta?

-Non lo so, io davvero non capisco..

Sospirò.

-Cosa possiamo fare allora? Se non possiamo avvicinarci, come potrò darle le medicine.. la chiudo a chiave in camera e via? Restiamo in casa a far nulla, a girarci i pollici, sperando che qualche idiota trovi una speranza?

Non pianse, ma i suoi occhi erano lucidi.

-Non so nemmeno se qualche idiota, come dici tu, troverà una cura o meno.. fatto sta che dobbiamo starle lontano.

-No Kendra, io non mi muovo da qui. In passato l'ho lasciata sola anche troppe volte..

Aveva ragione, non era stato un buon marito, un buon padre. Ma doveva rendersi conto della gravità generale.

-E allora permettimi almeno di legarla, per la nostra e sua sicurezza.

-Legarla come se fosse una matta pericolosa? Non credo proprio. Sai come sono i mass media, esagerano tutto. Vogliono tenerci impauriti.

Mi spazientii.

-Cazzo papà, perchè sei uno sciocco? Sei così cieco da non capire che non si tratta di una semplice malattia.. non è influenza suina o altra merda. E' qualcosa che non abbiamo mai visto. Ti dico che sono già morte delle persone, uccise a morsi dai contagiati.

Rimase in silenzio, combattuto. Sapeva che avevo ragione, ma non voleva accettarlo. Accarezzò delicatamente le gote della donna. Questa si svegliò, sbarrando gli occhi, e fu colpita da spasmi. Nathan si curvò su di lei, farfugliando qualcosa. Io rimasi bloccata alla porta. Era terribile vederla così. Qualsiasi cosa stesse accadendo, era come vivere un incubo. Il letto cigolò. Mia madre balzò dal materasso ed afferrò Nathan, affondando le unghie nella sua carne. Lui gridò, cercando di spingerla via, ma fu morso al collo.

*

Stordita, alzai le pesanti palpebre. Tutto era confuso, sfocato. L'ambiente si muoveva intorno a me. Mi stavo spostando, ma non capivo come. Dolore, solo dolore. Gli occhi si chiusero. Non riuscivo a tenerli aperti, era faticoso. Mi sentivo a pezzi. Provai di nuovo a guardare. Vidi scorrere un soffitto grigio, alternato da lunghe plafoniere. Delle frecce sulle pareti. Qualcuno mi stava portando alle celle, nella stanza principale. Sentivo la maglia bagnata, appiccicata alla pelle. Un forte odore di ferro. Sangue, stavo perdendo molto sangue. Ricordai cos'era successo. Carl, lo zombie. La freccia. I miei sensi erano poco definiti. Udivo dei passi frettolosi. Più passi. Ma ogni suono era ovattato. Qualcosa mi strinse il braccio, vidi delle dita sporche di terra e sangue. Ero in braccio a qualcuno. Cercai di alzare lo sguardo, per capire chi fosse. Rick.

-Si è svegliata, è ancora viva!

Una voce femminile controbatté.

-Per adesso. Ha perso molto sangue.

Rick aumentò la velocità. Voleva salvarmi. Sciocco. Gli conveniva lasciarmi morire. Sorrisi, una smorfia, e svenni nuovamente. Il freddo contatto di una liscia superficie mi svegliò. Ero stata adagiata su un tavolo. Una figura si avvicinò. Non riuscivo a distinguerne il volto. Vedevo solo un'ombra scura infilarmi qualcosa nel braccio. Si sedette e cominciò a toccare laddove sanguinavo. Volevo dirle di smetterla, che faceva male. Ma non ne avevo le forze. Percepii tirare qualcosa. Forse stava cercando di estrarre il dardo. Non appena questo fu rimosso, il dolore divenne più pressante, intenso. Irrigidii la mascella, stringendo i denti in una stretta morsa.

-E' grave Hershel? - chiese Rick in agitazione.

La figura si voltò e rispose.

-La punta è arrivata in profondità. Ha una grossa emorragia interna..farò il possibile.

Hershel stava provando a medicarmi. Era un medico o forse un semplice uomo che si era fatto un po' di esperienza in questo mondo. Le due figure temevano per la mia vita. Due sconosciuti inoltre. Due persone che in futuro avrei dovuto uccidere.

-Cazzo Daryl, perchè diavolo hai sparato?

Una voce rispose, ma da dove mi trovavo non riuscivo a vedere a chi appartenesse.

-Ti ho già detto il perchè! Cosa avrei dovuto pensare, eh? Arrivo vicino all'entrata, dalla rete vedo te disperato e Carl a terra. Poi una fottuta sconosciuta mezza di sangue con in mano qualcosa d'appuntito. Ho fatto due più due e..

Ma Rick lo interruppe rabbioso.

-Hai fatto due più due? Le hai sparato un cazzo di dardo.

-Senti, so di aver sbagliato. Ma ho agito d'istinto. C'era quel buco nella recinzione. Pensavo che quella matta fosse entrata ed avesse ucciso tuo figlio. Così ho scoccato.

Sentivo le dita di Hershel muoversi nella carne, trafficare per bloccare l'emorragia. Una sensazione orribile. Premeva e puliva con un panno la ferita. Poi richiese che qualcuno gli passasse del filo da pesca.

-Non usa più chiedere e poi sparare?

L'altro rimase in silenzio, dopotutto era inutile continuare il discorso.

-Lo ha salvato..e se non fosse stato per lei.. capisci Daryl?

Quel nome mi diceva qualcosa, ma non riuscivo a ricordare. La mente era troppo occupata a recepire il dolore. Bruciava da fare schifo. Sentivo tirare la pelle. Hershel stava suturando. Alzando lo sguardo vidi una sacca da flebo. Il dottore si alzò sorridente, affermando che me la sarei cavata. Il dardo aveva evitato di poco qualche organo vitale. Non so il motivo, ma persi nuovamente i sensi. Quando mi svegliai, notai che avevo riacquistato la vista e sensibilità. Cercai di mettermi a sedere, ma un'improvvisa fitta non me lo permise.

-E' di nuovo sveglia! - annunciò Carol.

L'intero gruppo mi circondò in un attimo. Erano tutti sollevati. Tentai ancora una volta a sedermi e stavolta qualcuno mi tese il braccio per aiutarmi. Quando fui a sedere, potetti scoprire chi avevo afferrato. La prima cosa che notai fu l'abbigliamento stracciato da motociclista. Un giubbotto di pelle privo di maniche metteva in risalto i suoi muscoli. Una leggera barba incolta. Dei capelli castani di media lunghezza, gli coprivano in parte gli occhi cristallini. Sguardo profondo, deciso. Poi vidi che portava qualcosa sulla spalla. Una balestra.

-Allora sei tu il bastardo.

Sul suo voltò apparve una smorfia. Gli altri risero. Rick si avvicinò con un'espressione da cucciolo.

-Kendra, mi dispiace per quello che è successo. Posso soltanto dirti grazie.. per quello che hai fatto. Io ero troppo lontano, non sarei riuscito.. insomma, hai capito. Non c'è più bisogno di metterti in prova. Abbiamo deciso che sei ufficialmente dei nostri.

Ne fui entusiasta. Carol poggiò una mano sulla mia spalla.

-Scusa se ho dubitato.

-Non dovete dispiacervi.. è normale non fidarsi ora come ora. Anch'io probabilmente avrei fatto lo stesso. Basta che non mi spariate più addosso. - dissi cercando di tranquillizzarli.

Il rocker mi guardò storta e l'asiatico alzò le mani.

-E' stato un malinteso! Un brutto malinteso.. e comunque non ci siamo ancora presentati, io sono Glenn, lei è Maggie e loro..

Mi informò dei vari nomi, presentandomi finalmente l'intero gruppo. La ragazzina bionda fece il suo ingresso nella stanza, tenendo in braccio una bambina. Rimasi allibita. Gli altri se ne accorsero e mi spiegarono l'intera storia. Fu proprio Carl a parlarmene, come se raccontare ciò lo aiutasse. Il suo sguardo era dolce, malinconico. Era tornato un ragazzino, non più l'adulto che mi aveva squadrata quando ci eravamo incontrati. Rick, invece, si incupì. Poi ognuno tornò alle proprie cose. Beth si stese nel proprio letto, cercando di far addormentare la piccola. Hershel metteva a posto gli strumenti "medici". Glenn e Maggie andarono in cortile per stare di guardia. Mentre Rick e Carol si apprestarono a riparare la recinzione. Mi venne in mente di non aver riconosciuto in nessuna delle ragazze la voce che avevo udito nel tragitto in braccio allo sceriffo. Mancava ancora una donna all'appello e doveva trattarsi di Michonne. Daryl, l'unico rimastomi vicino, saltò sul tavolo, sedendosi accanto.

-E insomma, ti ho quasi uccisa.

Lo guardai infastidita.

-Sì, non hai una buona mira.

Scosse la testa ridacchiando.

-No, sei tu che ti sei alzata proprio quando avevo scoccato il dardo. Avevo mirato alla testa.

Ah, bene. Ero viva per miracolo e questo coglione me lo stava sbattendo in faccia.

-Che vuoi che ti dica? Sono molto fortunata.

Un frettoloso sorriso.

-Bene, vado a scaricare l'auto.. che con tutto questo casino ce lo siamo dimenticati! – disse borbottando.

Con un balzo scese e se ne andò, tenendo sempre la balestra sulla spalla. L'atteggiamento, il modo di camminare, mi portarono alla mente la personalità di Merle. Cazzo, è proprio lui. Daryl Dixon. Avrei voluto rincorrerlo, domandargli del fratello, sapere come si erano salutati. Magari si erano separati, avevano litigato. Sarebbe stato giusto raccontargli la verità. Ma restai inerme su quel tavolo. Il dolore non era scomparso del tutto, ma grazie a delle piccole pillole che mi aveva dato Hersh, almeno si era fatto più docile. Sebbene li conoscessi solo da un giorno, percepivo il loro forte legame. Non erano dei semplici sopravvissuti, erano una famiglia. Mi chiesi il motivo per cui Rick avesse rifiutato la proposta del governatore. Phil non mi aveva raccontato proprio tutto, ci doveva essere dell'altro. Restava comunque il fatto che Michonne avesse agito da vipera. Meritava di pagare. Forse avevo un'espressione triste, poiché Hersh si accostò zoppicando.

-Tutto bene? A parte la medicazione..

Quand'egli mi era accanto, provavo una strana sensazione. Era troppo buono, uno di quegli uomini destinati a morire. Mi trasmetteva pace, calma. Riusciva a rasserenarmi.

-Sì, stavo solo pensando.

-Posso chiederti a cosa?

-A voi, siete un bel gruppo..più una famiglia.

-Hai ragione, siamo diventati una famiglia. Vedi, prima vivevo con Maggie, Beth, mia moglie.. insomma, la mia vera famiglia in una casa in campagna. Ero un uomo di fede e mi ero convinto che gli infetti potessero essere curati, che fossero ancora delle persone. Così, io e un altro uomo li rinchiudevamo in un fienile e li cibavamo pure, in modo che non potessero morire. Poi, un giorno.. vidi uno sceriffo correre nella mia proprietà, con un bambino ferito in braccio. Era impossibile che si salvasse, ma ci provai. Ed accolsi l'uomo, la sua moglie e il suo gruppo, poiché non avevano un posto in cui andare ed avevano bisogno di un punto sicuro per poter fare delle ricerche. La figlia di Carol era scomparsa. Otis perse la vita per recuperare del materiale medico, ma il suo sacrificio permise a Carl di salvarsi. Non molto dopo, scoprirono degli zombie. Ma ero un bastardo, pensavo solo alla mia famiglia e quando questi cercarono di farmi capire che i vaganti andavano uccisi, volli sbatterli fuori da casa mia. In quel fienile c'erano anche i miei cari, non avrei avuto il coraggio di affrontarli. Shane, il migliore amico di Rick, aprì le porte del fienile. Appena un vagante metteva piede fuori, gli sparava. Fece così con tutti. Mi sentii perso, vuoto. Avevo visto mia moglie accasciarsi a terra. Avrei dovuto affrontare la sua morte, il lutto da cui stavo fuggendo. Ma ciò che travolse tutti nell'animo, fu la vista della figlia di Carol. Era sempre stata in quel dannato fienile. Otis l'aveva recuperata. Non ne sapevo niente. Mi accusarono, li odiai. Volevo che se ne andassero, ma ero loro debitore, perchè mi avevano aperto gli occhi. Poi un'orda invase la fattoria e fummo costretti a fuggire. In quest'avventura abbiamo avuto delle perdite, ma il tempo trascorso assieme ci ha uniti. Ci fidiamo ciecamente l'uni degli altri..

Lo guardai restando in silenzio. Non potevano essere loro i cattivi. Ero confusa. Dovevo scoprire cos'era successo. Certo, Michonne era esclusa. Lei doveva pagare.

-.. e beh, adesso siamo qui. Cerchiamo di ricostruirci una vita.

-Pensi che durerà molto?

Alzò le sopracciglia.

-Lo spero, ma se così non fosse.. non sarà un problema. Troveremo un altro luogo. Non ci arrendiamo.

Sorrise, tamburellando con le dita sul tavolo.

-Ne avete passate molte..ma è bello vedere che siete affiatati. Nel gruppo di cui facevo parte, mancava questa componente.

Allargò le braccia.

-Ormai fai parte di questo gruppo. Sei anche te della famiglia!

Rimasi stupita. Sapevo che non tutti la pensassero già così, ma solo il fatto che Hersh mi riteneva un nuovo membro della famiglia, mi appagò. Lo ringraziai incredula e saltai in piedi. Una lieve fitta richiamò l'attenzione. Dovevo stare attenta ai movimenti, rischiavo di riaprire la ferita.

-Ah Kendra, un'altra cosa.. - il suo tono si fece basso, sperando di non essere udito da altri – dovrai dare a Rick qualche spiegazione. Insomma, eri armata. Non ne ha voluto parlare davanti al gruppo, ma è meglio se chiarite.

-Non ci avevo pensato, grazie. Sappi però che non volevo far del male a nessuno, l'avevo presa per..

Mi interruppe rilassato.

-Lo so, non preoccuparti. E non offenderti se preferirà non parlare dell'accaduto.

Poteva essere davvero così buono o fingeva soltanto? Phil mi aveva messa in guardia, diceva che erano dei bravissimi attori. Fingevano per portare le persone che incontravano dalla loro parte, facendoli così lottare per una causa sbagliata. Ma da quel poco che avevo visto, non era risultato niente. Forse avrei dovuto aspettare. Ancora un poco dolorante, percorsi il lungo corridoio. A terra erano ancora presenti delle macchie di sangue. Ora era questo a segnalare la giusta direzione. Pensai alla lima, a cosa avrei potuto dire. Mi accorsi di avere il palmo fasciato, mi ero completamente dimenticata di essermi tagliata. Una volta fuori, cercai Rick. Il recinto era già stato riparato. Carol stava aiutando Daryl. Vidi molte lattine. Scorsi lo sceriffo impegnato a conficcare un piede di porco nel cranio dei vari non morti che spingevano sulla rete. Senza batter ciglio, passava da una testa all'altra. Si sta sfogando. Mentre camminavo per raggiungerlo, pestai qualcosa. Alzai il piede e notai l'mp3 di Carl. Lo misi in tasca. Quando fui abbastanza vicina, non lo interruppi. Aspettai che fosse egli stesso ad accorgersi della mia presenza. Non volevo interrompere la sua carneficina. Dopo una ventina di putridi a terra, finalmente mi vide.

-Kendra, come ti senti?

Si pulì le mani bagnate sulla maglietta, cercando di ricomporsi.

-Bene, Hershel ha fatto un ottimo lavoro.

-Sì beh, per essere un veterinario è molto bravo. Ormai è il nostro medico.

Ah, un veterinario.

-Hai bisogno di una mano?

Gettò a terra l'oggetto contundente.

-Ho finito. Ascolta, a parte l'azione eroica.. resta il fatto che tu fossi in possesso di un'arma. Avevamo un patto.

-Ed io l'ho infranto, me ne rendo conto. Ma non aveva alcuna intenzione di usarla per ferirvi od altro.

-Di questo non posso esserne sicuro al cento per cento.. ma so che se tu non l'avessi avuta, Carl adesso non starebbe leggendo i fumetti nel proprio letto. Non so dove e quando l'hai presa, ma non violare l'unica regola che avrai : comando io, 
fai quel che dico io. D'accordo? Qui contano tutti su di me, non voglio sbagliare a fidarmi, sebbene ti sia debitore.

-Rick, non ti deluderò.

-Bene..

Mi superò, asciugandosi la fronte con il polso. I non morti brontolavano affamati, calpestando i corpi dei propri simili. Chissà se un giorno diventerò come loro.

-Ah Kendra.. - si voltò rallentando la camminata – ..riposati stanotte. Domattina andrai in spedizione, abbiamo finito le scorte di antidolorifici ed altri medicinali. Voglio vedere come te la cavi. Ti accompagnerà Michonne.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 : Ying e Yang ***


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Capitolo 7 : Ying e Yang


Camminavamo l'una di fianco all'altra. Sguardo fisso avanti, impassibili. Non era una donna di molte parole. Una qualità che apprezzai. Non avrei sopportato di parlarle. Cercavo di ripetere a me stessa di non ucciderla, sebbene la mia mente mi proiettasse mille modi per farlo. La katana oscillava al ritmo dei passi. I dreadlocks scuri sulle spalle, una fascia fra i capelli. Labbra pronunciate. Fisico atletico. Superficie che nascondeva un tetro animo. Mi parve offesa, quasi non fosse contenta del compito che le era stato assegnato. Si sentiva in dovere di tenermi d'occhio, di calarsi nel ruolo di maestrina che dovesse necessariamente tenermi per mano. Potevo capirla. Non aveva idea di chi fossi, cosa sapessi fare ecc. La missione era piuttosto semplice, recuperare delle scorte medicinali, ma in quel mondo non vi era più niente di facile e scontato. Quando fummo abbastanza vicine alla farmacia di un paesino diroccato, estrasse la lama, liberandola dalla fodera. Avendo notato entrambe un flusso abbastanza importante di vaganti, entrammo in una casa, forzando la serratura. Avevamo bisogno di qualche non morto. Sentimmo dei rumori, provenienti dal piano sopra. Impugnai il bowie. Mentre salivamo le scale, due putridi ci furono addosso. Mi attenni all'idea che mi aveva suggerito l'assassina. Conficcai la lama in una delle bocche marce e con un taglio netto, la privai della mascella. Michonne privò la propria vittima degli arti superiori e con un repentino volteggio, separò la mandibola dal resto della bocca. Feci lo stesso, separando il mio vagante dalle proprie braccia. Essendo ormai innocui, utilizzammo una corda a mo' di guinzaglio.

Ero un poco titubante. Non sapevo se passeggiare in mezzo al branco con quei due semplici putrefatti avrebbe evitato il nostro riconoscimento, ma ella era sicura che avrebbe funzionato. A quanto diceva non era la prima volta. Tornammo così in strada. Con passo lento, attente ad evitare qualsiasi movimento sospetto, passammo fra la folla di non morti. Stringevo forte la corda, ridendo fra me e me. Era una situazione delicata, ma allo stesso tempo ne ero quasi divertita. Non avevo mai pensato di usare un putrido come animale da compagnia. Lo tenevo al guinzaglio, come un cane. Stare con loro, significa esser come loro. Per questo motivo gli zombie non si rendevano conto della nostra presenza. Procedevamo a passo di lumaca, finché scorsi l'edificio all'angolo della strada. Dall'aspetto esteriore, sembrava in buone condizioni. Davanti all'entrata, vi era una grossa catena a terra, arricchita dal rispettivo lucchetto. Qualcuno era già passato di qua. Speravo di trovare all'interno qualcosa che facesse al caso nostro, ma vi era la possibilità che un altro gruppo avesse già fatto piazza pulita. Entrammo, sospettose. Legammo i cagnolini ad una colonna portante e controllammo i barattoli e le poche scatole rimaste sugli scaffali. A terra vi era solo sporcizia, cartacce, flaconi vuoti. In un cassetto trovai delle siringhe nella propria confezione. Lei, cucciata su di una scatola, rovistava freneticamente, come un ratto affamato. Sole, in un luogo chiuso. Zero testimoni, guardia abbassata. Avrei potuto tagliarle la testa o romperle l'osso del collo. Rimasi a fissarla, combattendo con le mie stesse pulsioni. Starle vicino mi faceva ribollire il sangue.

-Trovato qualcosa? - domandò Michonne.

-No, solo qualche siringa. Ma potremmo cercare sul retro.

Tirò un calcio alla scatola di cartone, la quale roteò prima di appiattirsi al suolo. La polvere prese a fluttuare.

-Sì, forse è rimasto qualcosa.

Il suo tono seccato mi fece presupporre che anch'essa provasse dell'astio nei miei confronti, ma non ero sicura che si trattasse proprio di questo. Forse diffidava, dal momento che non mi conosceva ancora abbastanza. La porta che dava sul magazzino era bloccata, chiusa dall'interno.

-Ci penso io.. - dissi chinandomi.

Estrassi dalla tasca posteriore dei jeans, un paio di forcine. Ne avevo la tasca piena. Sembrerà stupido, ma in più di un'occasione mi erano state necessarie. Mentre stavo provando a scassinare la serratura, la porta scattò all'indietro, aprendosi di colpo.

-Fate un passo indietro! - urlò un uomo.

Ma la prima cosa che vidi fu la canna di una 44 magnum puntata alla fronte. Mi alzai, arretrando. Vidi un altro uomo farsi avanti e puntare il proprio fucile a canne mozze sulla mia compagna di spedizione. Lei rimase impassibile, con una mano dietro la testa, la quale teneva stretta l'impugnatura della lama bianca.

-Non vogliamo guai. Questo è il nostro rifugio. Perciò girate i tacchi e nessuno si farà del male.. - intimò l'ultimo arrivato.

Il primo era caratterizzato da un'esile corporatura e da una tuta blu da lavoro. L'altro suo amico, invece, imponente, indossava una larga camicia rossa a scacchi, tipica da boscaiolo. Mi piaceva. Dietro di loro notai alcune munizioni, flaconi arancioni e lattine. Erano in possesso di buone provviste e temevano che qualcuno potesse privarli dei propri viveri. L'atteggiamento minaccioso, risultava sforzato, finto. Nè io né Michonne li prendemmo sul serio. La loro postura tradiva l'incompetenza nel combattimento corpo a corpo, avremmo potuto stenderli al tappeto in un attimo, ma nessuna delle due aveva intenzione di azzuffarsi e rubare loro le provviste. Non ero quel tipo. Ma avremmo potuto contrattare, fare del baratto. Il problema è che avevamo poco a disposizione e vi era anche la possibilità che rifiutassero. Prima di tutto, bisognava ribaltare la situazione. Mi doleva ammetterlo, ma la complicità di Michonne sarebbe stata utile. Ci guardammo negli occhi, parlando con quelli. Non sembrava esser d'accordo, preferiva andarsene. Ovviamente, non la pensavo allo stesso modo. La ignorai e feci di testa mia. Per disarmare l'uomo di fronte, avrei dovuto essere molto veloce nei movimenti. Le mosse da eseguire sono molto semplici, ma per ottenere un risultato devono essere precise. Bisogna colpire il polso del nemico, con i palmi rigidi, ponendoli come una morsa. La mano di sinistra deve far slittare il polso, in modo che la pistola venga direzionata verso il corpo del bastardo. In quell'esatto istante, per una frazione di secondi, la presa dell'avversario si fa più debole, permettendo di privarlo della sua stessa arma. Con quell'uomo esile poi, sarebbe stato così facile da sembrar noioso. Michonne avrebbe dovuto reagire non appena gli avessi bloccato il polso, puntando la propria affilata lama al collo dell'altro, che preso alla sprovvista dalla mia mossa, si sarebbe voltato d'istinto nella mia direzione. Un'azione errata e tutto avrebbe preso un'altra piega. Il bestione avrebbe potuto spararmi. Non avrei voluto affidare la mia vita nelle mani di quella stronza, ma non potevo fare altrimenti. Perciò, agii. Un colpo rapido, netto, e la pistola fu nelle mie mani. Troppo facile. Fui sollevata dal vedere il boscaiolo immobile, minacciato dalla katana. Avevo immaginato la punta della spada alla giugulare, ma Michonne aveva preferito mirare alle parti basse. Ad ogni modo, aveva funzionato.

-Anche noi non vogliamo guai, ma abbiamo bisogno di alcune cose..qualche farmaco. - dissi con tono risoluto.

I due si guardarono, sentendosi dei perfetti imbecilli.

-Non mi pare che abbiamo scelta.. - affermò quello robusto.

-Ce l'avete invece. Questo non è il vostro rifugio.. sul pavimento sono presenti solo delle orme delle vostre scarpe, ora.. ammesso che non dormiate in piedi come cavalli, presumo che siate qua da poco. Magari da stamattina.. e che, avvicinandosi quell'orda di putrefatti, abbiate deciso di ripararvi qui. Sbaglio per caso?

Loro restarono in silenzio. Forse si sentirono umiliati. Insomma, battuti da due donne. Allora continuai il discorso.

-Osservandovi, si capisce subito che fate sicuramente parte di qualche gruppo. Da soli non avreste potuto sopravvivere a lungo. – dissi - Ad ogni modo, vi propongo un'offerta. Se ci date un paio di flaconi di antibiotici o antidolorifici, in cambio vi scortiamo fuori dal quartiere. Vi insegneremo come passare inosservati fra questi amichetti affamati.

Percepivo gli occhi di Michonne scrutarmi, ma non persi il contatto visivo con i due. Il gracile alzò leggermente le spalle, come se volesse farmi intendere che si fosse arreso, mentre il boscaiolo parve avere dei dubbi.

-E se non accettiamo?

-Semplice, noi ce ne andiamo senza i medicinali e voi ve ne restate qua, ad aspettare, sperare che la folla di non morti qua fuori abbia voglia di emigrare. Di certo non potete uscire per strada e ucciderli, sono troppi.. non avete abbastanza munizioni e gli spari ne attirerebbero altri.

Michonne non aprì bocca, lasciandomi condurre il gioco.

-D'accordo.. affare fatto. La nostra vita per qualche flacone mi pare più che ragionevole. Solo antidolorifici e antibiotici giusto?

Abbassai l'arma, la privai delle munizioni e la resi a tuta blu. Gliele avrei date una volta fuori da questo casino. Lei fece lo stesso, rinfoderando la katana, e prese il fucile del bestione.

-Ora che ci penso, ci sarebbe qualcos'altro.. - risposi con una smorfia.

Sul volto di Michonne apparve un grande punto interrogativo. Chissà cosa avrebbe riferito a Rick. L'uomo mi guardò serio, temendo di esser stato fregato.

-La tua camicia, mi piace.
 

*
 

I cancelli si aprirono e noi trottammo all'interno. Lasciammo i cavalli alla stalla. Porsi lo zaino a Michonne, la quale entrò nel blocco per consegnare i medicinali a Rick e per, probabilmente, discutere di me. I vari componenti del gruppo erano indaffarati. Ognuno stava facendo qualcosa. Chi aggiustava le reti, chi trasportava alcune tavole di legno, chi posizionava dei fucili dotati di mirino acog sulle torrette. Sembrava che si stessero preparando in vista di un attacco.

-Ehi, fatto shopping? – domandò Glenn, indicando la camicia che indossavo.

-Mhh è un regalo, così come i flaconi.

Glenn sembrò stupito.

-Un regalo?

-Chiamiamolo concessione spontanea di due sconosciuti. – dissi sorridendo.

Egli scosse la testa ridendo e mi lanciò un tubo di metallo.

-Vieni, eliminiamo qualche vagante e rinforziamo la recinzione.

I non morti si accasciavano come bambole di pezza. Alcuni crani erano vero e proprio burro. Una volta ridimensionato l'accumulo di quegli esseri, passammo ai miglioramenti. Alzammo uno di quei pesanti tronchi e lo incastrammo fra il terreno e la rete, doveva fungere da supporto. Hershel ci guardava da lontano, raccogliendo alcuni legumi. Continuando a svolgere meccanicamente quel compito, non parlammo. Notai che spesso si voltava per cercare Maggie, incrociare i suoi occhi. Non ci voleva un genio per capire quanto fosse innamorato di quella ragazza. Glenn era un tipo a posto, semplice, ma doveva avere un grande cuore. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerla. L'aria che tirava era elettrica, pungente. Sembravano tutti preoccupati. Nessuno aveva intenzione di lottare, nessuno voleva far guerra a Phil. Ma come automi continuavano le proprie mansioni, ormai rassegnati. Non avevano ideato un piano o programmato un attacco, stavano solo organizzando le difese, sperando nel profondo che fossero solo una perdita di tempo. Ahimè, Phil non avrebbe mai dimenticato l'offese ricevute e la morte di Penny. Qualsiasi cosa avessero potuto dire o fare, sarebbe risultata inutile. Fatto sta, che se si fosse presentato, loro si sarebbero fatti trovare pronti. Avrebbero perso la vita, ma lottando. Per numero ed armamenti, la vittoria era sicuramente in mano a Woodbury, ma questo gruppo non si sarebbe piegato facilmente. Loro erano diversi.

-Glenn, da chi ci stiamo difendendo?

Lui mi guardò. Si tolse il cappello, passò una mano fra i capelli lucidi di sudore, e lo indossò nuovamente.

-Pensavo che Rick te ne avesse già parlato..

Storsi le labbra di lato, facendogli intendere la mia ignoranza al riguardo.

-Bene.. forse non sono il più adatto a spiegarti il problema, perchè ci sono entrato dentro fin troppo. C'è una cittadina, non molto lontano da qua, si chiama Woodbury. Lì, si trova un uomo che si fa chiamare Governatore. Dirige tutto. Un giorno, mentre ero in spedizione per delle provviste con Maggie, un uomo ci ha costretti ad andare là, dove ci hanno fatto prigionieri. Un uomo matto, che purtroppo conoscevo..

Sapevo benissimo di chi stesse parlando.

-.. si chiama Merle, faceva parte dei nostri in passato. Ed è il fratello di Daryl. Beh.. - i suoi occhi si infiammarono di rabbia – ..ci hanno picchiati, interrogato. Volevano sapere dove ci rifugiavamo. Il loro capo, quel bastardo del Governatore, ha violentato Maggie..

Cazzo. Non era vero.

-.. o forse no, non ne ho ancora idea. Lei mi ha assicurato che non l'ha toccata. Ma sai, quando ti vedi la tua ragazza spaventata, senza maglia, di fronte.. pensi al peggio. Comunque, la fortuna ha voluto che Michonne assistesse alla nostra cattura e che avesse origliato i nostri discorsi. Così ha saputo della prigione ed è corsa qua, avvertendo gli altri. Hanno organizzato una missione di salvataggio, ci hanno liberati, ma loro hanno catturato Daryl. Ha scoperto che suo fratello era ancora vivo.. te non lo sai, ma ci eravamo divisi, non sapevamo che fine avesse fatto.. comunque, Maggie e Rick sono tornati indietro per recuperarli. Abbiamo ucciso alcuni di loro, ma siamo stati costretti. Il Governatore ci ha attaccati la settimana scorsa, è arrivato qua cogliendoci di sorpresa, abbattendo un lato del recinto. C'erano vaganti ovunque. Beh, sei giunta nel bel mezzo di una guerra. Non proprio il momento migliore.

Avrei dovuto fingere di essere scioccata, incredula, ma non ci fu bisogno di recitare. Lo ero davvero. Philip non mi aveva detto niente di tutto ciò. Mi aveva mentito o lo stava facendo l'asiatico? Il mio cuore strillava intimandomi di credere alle parole di Phil, ma la mia razionalità, sapeva che non sarebbe stata la cosa giusta. Mi trovavo nel mezzo, in una situazione di merda. Entrambe le parti avevano delle ragioni e delle colpe, ma la fiducia nei confronti quell'uomo bendato vacillò. Cosa ci facevo lì? Avrei contribuito alla sterminazione di questo gruppo? Avrei potuto oppormi? I miei pensieri si scontravano fra loro, fui investita da mille domande e paranoie. Giusto e sbagliato. C'erano ancora in quel mondo? Ero incazzata, furiosa. Non poteva avermi mentito così spuduratamente.

-Non so cosa dire.. davvero. E' una faccenda parecchio complicata. Rischiare di morire per mano di persone, invece che di putrefatti.. mi dispiace per quello che vi è capitato.

Poggiò una mano sulla mia spalla, come se fossi io quella da consolare.

-Il mondo di adesso è così. Prima chiamavamo guerra azioni militari spinte da interessi politici, ora si fa guerra per follia, vendette e voglia di supremazia. Nessuno vuole arrendersi, ma mostrarsi invincibile.

Aveva ragione, Phil era un folle. Ma non lo era sempre stato. La realtà l'aveva trasformato e la morte della figlia, doveva avergli dato il colpo di grazia. Credevo comunque di poter fare qualcosa. Solitamente mi dava ascolto, ma sarebbe stato difficile distorglielo dall'inefrenabile voglia di sterminare Rick e i suoi amici. Conoscendolo, poi, avrebbe voluto farli soffrire molto prima di prendersi il diritto sulla loro vita. Adesso, non sapevo più chi fossero i bastardi. Loro non erano certamente privi di macchie, ma le loro azioni erano state spinte da buone cause, a differenza di Philip. Da quale lato mi sarei schierata? Casa o sconosciuti? Non ero nemmeno sicura che Rick avrebbe abbandonato l'idea di lasciare in sospeso la diatriba. Anch'egli era stato attaccato. Nessuno si sentiva più al sicuro.

-Avete perso dei compagni? - domandai, sperando in una risposta negativa.

-Sì e no. Sono morti alcuni uomini che avevamo incontrato all'interno della prigione. Erano dei carcerati, ma bravi ragazzi.

Lo compresi. Era affranto, ma felice che la sorte avesse deciso di colpire i nuovi arrivati e non la propria famiglia acquisita.

-Capisco..

Mi accucciai nuovamente, volendo continuare il lavoro. Glenn mi seguì, senza batter ciglio. Era un argomento delicato per entrambi. Per un attimo mi parve che avesse aperto la bocca, per chiedermi o dirmi qualcosa, ma abbassò la testa. Dopo tre tronchi posizionati, sembrò aver cambiato idea.

-Scusami se te lo chiedo, ma ora che conosci la nostra storia.. mi piacerebbe sapere la tua.

Era giusto, non potevo negarglielo.

-Prima di tutto questo, vivevo con la mia famiglia in un tranquillo borgo. Hai presente? Le tipiche città con le villette a schiera, le staccionate bianche, i giardini immacolati. Abitavo lì, con i miei genitori e mia sorella più piccola. Mio padre era un sergente ed io fin da ragazzina volli seguire le sue orme. Mi insegnò parecchie tecniche di combattimento. Lui andava al fronte, in guerra. Io invece fui accolta dai gruppi speciali. Sai, missioni segrete, spionaggio. Poi arrivò l'epidemia e mia madre fu colpita. Fu proprio quando arrivarono le prime notizie di violenza e panico, che mia madre si trasformò e morse papà..

Glenn mi fissava dispiaciuto, pentito di avermi fatto tale richiesta. Ne avevo parlato con pochi, perchè ancora ci soffrivo. Ancora mi sognavo Cassie.

-..riuscii a chiuderli in una stanza e scappai con mia sorella. Ce la siamo cavate abbastanza bene per un mese circa, poi ci siamo appoggiate ad un altro gruppo di una dozzina di persone. Adesso sono qui.

Volli saltare gli avvenimenti di passaggio. Non era necessario scendere nei particolari. Dopotutto, parlargli della morte di Cassie non avrebbe avuto senso. Era perfettamente intuibile. Ci guardammo, legati dallo stesso sentimento malinconico. L'empatia di quei tempi era salita alle stelle. Eravamo tutti sulla stessa barca, sulla stessa cazzo di barca pericolante, in balia di tempeste e maremoti. Una voce interruppe la nostra riflessione al passato, portandoci involontariamente a voltarci, per comprendere da chi provenisse. Vidi Daryl sbraitare contro Carol ed andarsene incazzato. Lei cercò di richiamarlo, ma l'arciere non la considerò, continuando la propria marcia. Ormai io e Glenn avevamo terminato e mi congedai con un sorriso. Entrai nel blocco, volendo buttarmi qualche minuto su un letto. Mi sedetti su quello scomodo materasso con la testa fra le mani. Fissavo il pavimento, ancora basita dalle parole di Glenn. Notai un'ombra allungarsi. Beth era sulla soglia, con la piccola Judith stretta fra le braccia. La bambina dormiva beata, incurante della realtà in cui era stata gettata.

-Posso?

Le feci cenno di sedersi. Quei suoi biondi capelli mi portarono alla mente Cassie. Sembrava così fragile, innocente. Era quasi un elemento disturbante in quel gruppo. Un angelo ingenuo. I suoi occhi colmi di speranza, voglia di vivere, mi scrutavano. Sebbene fosse annoiata, era allegra.

-Giornata pesante? - chiese con fare gentile.

-Un po'. Mi siedo solo ora.. te?

Alzò le spalle.

-Io bado a Judith. Non potrei essere molto d'aiuto là fuori.

-Sei d'aiuto comunque. Rick si fida ciecamente di te.

Non parve dello stesso parere.

-Tu credi? Penso che mi abbiano affibbiato il ruolo di babysitter perchè mi ritengono inutile.

-Beh, io vedo altro. Vedo un capo scrupoloso e tendenzialmente malfidato, che ha deciso di affidare le cure della propria figlia nelle mani della persona più adatta. Potrà anche sembrare una cavolata stare dietro ad un neonato, ma non lo è affatto. Soprattutto oggi.

Mi sorrise, abbassando lo sguardo. Cullò Judith.

-Spero sia come dici tu.

Osservando la sua candida pelle e quelle esili braccia che proteggevano la piccola, notai sul polso una ferita. Una dritta e bianca cicatrice. Probabilmente il mio volto assunse un'espressione persa, perchè ella se ne accorse. Si coprì velocemente con la manica della giacchetta di jeans, arrossendo dall'imbarazzo. Fece per andarsene, ma la fermai. Sciolsi il mio polso dalla stretta fascia elastica bordeaux e glielo mostrai. Una cicatrice gemella, un ricordo doloroso.

-Non sentirti una stupida Beth.. ci sono caduta anch'io.
 

Angolo autrice

Scusate se non mi sono ancora presentata, il mio nome è Erika. Ringrazio tutti per i bei messaggi, le recensioni e i consigli. 
Mi fa sempre piacere conoscere le vostre opinioni e rispondere a qualche dubbio. Spero che la storia che sto tessendo sia di vostro gradimento, 
so che già non avendo la coppia Bethyl - Caryl come protagonisti questa risulti meno stimolante od interessante, ma voglio portare avanti l'idea che ho in mente.
Come avrete capito, sto cercando di dare vita a questa Kendra, delinandone pian piano il suo triste passato, in modo che anche voi lettori possiate 
conoscerla capitolo dopo capitolo. Ora che ha visto com'è il gruppo di Rick, come agirà? Si trova in una situazione di stallo, tormentata dal bisogno di  dover
fare la cosa giusta. Ad ogni modo, mi piacerebbe sapere cosa ne pensiate al riguardo, ora che siamo già giunti  al settimo capitolo! Fatevi sentire, un abbraccio.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 : La bella e la bestia ***


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Capitolo 8 : La bella e la bestia


Il vento danzava con i miei lunghi capelli ricci. Il paesaggio spoglio pareva infinito. Campi e campi, distese dorate di spine di grano. Vi era solo la strada che stavamo percorrendo a rompere la natura. L'unico oggetto grigio e materiale. Se non fosse stato per il rombo del motore, un profondo silenzio avrebbe regnato indisturbato. Vedendo il mondo così, nessuno avrebbe pensato ad un'apocalisse zombie. Era un luogo incontaminato dalla presenza di qualche putrefatto. Un normale tratto di campagna. Mi chiesi se mai un giorno tutto sarebbe tornato come una volta. Il nostro futuro, qual era? Imparare a condividere la terra con i mostri? Non sapevo cosa avrebbe potuto spettarci. Avevo incontrato persone che credevano nell'aiuto del governo, di centri scientifici. Ma ancora nessuno si era presentato con una soluzione. Perfino l'esercito si era arreso nel compiere missioni di salvataggio. Rimanevano infatti solo accampamenti abbandonati. Star lì, seduta su quel sedile di pelle, mi riportò alla mente vari ricordi del passato, memorie che ancora non ero riuscita a seppellire. Involontariamente, strinsi la presa, pensando a quei giorni in moto con mio padre.

-Che cazzo stai facendo? – borbottò Daryl, guardandomi con la coda dell'occhio.

Subito mollai i suoi fianchi, poggiando le braccia sulle mie gambe.

-Niente..

Che imbarazzo. Sbuffò, tornando concentrato sulla guida. Percepii bruciarmi le gote, ero sicuramente arrossita come una bimbetta. Chissà quale idiota idea si era fatto di me. Da quel punto in poi, non mi avvicinai più alla sua schiena. Evitando così di fare la tipica ragazza zainetto. Purtroppo, gli unici viaggi in moto li avevo condivisi con mio padre. Lui amava vagare in montagna, imbattersi in strade sterrate poco battute. Le poche volte che era presente, cercava sempre di passare molto tempo con me. E questo era il suo modo, montarmi in sella e partire. Da piccola ero felice di poterlo abbracciare per ore. Non mi ero minimamente accorta di star stringendo troppo Daryl. Tentai di pensare ad altro, non volendo soffermarmi ulteriormente sulla figuraccia appena fatta. Rick ci aveva ordinato di recuperare rifornimenti alimentari, avendo visto nelle vicinanze uno store. L'arciere, nervoso come al solito, si era limitato a prendere la Triumph, senza degnare l'amico di una risposta. Ancora non sapevo il motivo di tale rabbia, ma Daryl era parecchio scontroso, e ciò non mi faceva certo sentire molto a mio agio. Appena scorsi l'edificio, fui felicissima di poter stare più lontano dal burbero. Scendemmo ed entrammo nel supermarket, fiduciosi di trovare un buon bottino. Chiudemmo alle nostre spalle la porta e prima di saccheggiare il posto, decidemmo di fare un sopralluogo, in modo da liberarlo dai putrefatti. Udii alcuni versi gutturali in lontananza, ma per il resto mi parve tutto tranquillo. Non ce ne saranno più di cinque. Con passo cauto, prendemmo due corridoi diversi, ma paralleli fra loro. Fra uno scaffale e l'altro, infatti, potevo benissimo vedere Daryl avanzare desideroso di spaccare il culo a qualche non morto. Era a caccia. Nel reparto alcolici, un vagante passeggiava ignaro. Mi liberai la schiena dall'arco, estrassi una freccia  e mirai con attenzione. Scoccai. Questa trafisse in pieno il malcapitato, ma un'altra freccia perforò la tempia. Cadde sul pavimento, in mezzo a qualche bottiglia di vino.

-Era mio. – sentenziò l'arciere, recuperando il proprio dardo.

Sputò a terra e riprese la caccia. Quell'uomo mi dava sui nervi. Non avevo ancora dimenticato di esser fuggita alla morte per poco. Potevo tranquillamente esser deceduta per mano sua. Raccolsi la mia freccia e lo seguii. Uccidemmo gli altri vaganti senza batter ciglio. Ormai ammazzarli era diventata un'azione comune, normale. Non destava più alcun effetto od emozione. Anzi, era diventato quasi noioso e seccante. Essendo il perimetro sicuro, prendemmo qualche cestello rosso e ci dedicammo alla spesa. Maggie e Glenn, invece, si trovavano in un altro piccolo negozio, per recuperare le ultime lattine rimaste. Noi avevamo il compito di scoprire se vi fosse ancora del cibo e Dio volle che ce ne fosse molto. Ovviamente noi avremmo preso lo stretto necessario, in modo da riempire i tre borsoni che avevamo a disposizione. Il giorno seguente si sarebbero recati Michonne e Carl in auto, in modo da poterne prendere in quantità maggiore. Vidi Daryl camminare con un braccio in mezzo allo scaffale, spingendo i vari barattoli a terra. Il cestello si muoveva a causa dei piccoli calci che gli tirava, sperando che le lattine lo centrassero. Molte di queste però cadevano ai lati, producendo acuti suoni.

-Che diavolo stai facendo? - ammonii - Smettila immediatamente di fare questo casino. Potresti attirare dei putrefatti.

Lui si voltò, guardandomi torvo.

-Come cazzo li chiami, putrefatti?!

Non capii cosa ci fosse di tanto sbagliato.

-Meglio che vaganti, se permetti.

Mi diede nuovamente le spalle e continuò la scenata. Che stronzo. Ripresi il mio cestino e mi allontanai, recandomi nel reparto neonati. Judith aveva bisogno di latte in polvere e forse avrei trovato qualche altro oggetto utile. Infatti, notai alcuni ciucci rosa e delle coperte di molti colori. Afferrai tutto. Trovai persino qualche pannolino. La piccola avrebbe sicuramente gioito nel provarli, molto meglio di alcuni sporchi stracci. Poi, passai nel reparto igiene femminile e riempii lo zainetto di assorbenti. Le ragazze mi avrebbero amata. Era complicato di quei tempi essere donna. Ciclo e dolori mestruali non aiutavano affatto. Terminati gli 'acquisti', cercai Daryl. Mi bastò seguire la scia dei vari prodotti. Stava controllando alcune bottiglie di superalcolici, fra una smorfia e l'altra, e quelle che non lo soddisfacevano, finivano con lo schiantarsi su una parete.

-La vuoi smettere di fare il coglione? Hai già il cesto pieno, andiamocene.

-Non rompere. – ringhiò, non distogliendo lo sguardo dalle etichette. 

Lo mandai a quel paese. Agguantai il suo cestello ed andai a riempire l'ultimo borsone rimasto. Lo aspettai fuori dal negozio, incazzata. Decisi così di sfogarmi sui pochi non morti che girellavano fra i marciapiedi. Estrassi da un borsello legato alla cinta alcuni coltelli da lancio e, come una pazza furiosa, cominciai a tirarli, centrandoli. I marci corpi si accasciarono. Una volta recuperati e puliti, mi piazzai vicino alla moto, aspettando che lo stronzo avesse fatto i propri comodi. Questo uscì, si poggiò al muro dell'edificio, e si fece scivolare lungo di esso, fino a mettersi col culo a terra. Aprì una bottiglia e la sorseggiò.

-Adesso vuoi anche metterti a bere? – chiesi seccata.

-Lasciami stare. – grugnì.

Sbuffai, ormai stanca di sopportarlo. Raramente perdevo la pazienza, ma Daryl era da giorni che rispondeva male a tutti. Afferrai un bel sasso che avevo ai piedi e lo lanciai con forza sul dorso della bottiglia. Questa si frantumò, rovesciando il contenuto sul petto dell'arciere. Rabbioso, si alzò e mi raggiunse con fare minaccioso.

-Cosa cazzo vuoi da me, eh? Ti ho detto di non rompere i coglioni.. è chiaro o sei deficiente?

Sbraitava urlandomi in faccia e puntandomi con l'indice. I suoi glaciali occhi mi dilaniarono colmi di collera.

-Sei tu il deficiente! Cosa cazzo ti prende? Non mi sembravi un coglione quando ti ho conosciuto.

Un ghigno.

-Non sai un bel niente di me, evita di dire stronzate!

Invece, continuai. Volevo che si arrabbiasse, sfogasse tutto l'odio che aveva dentro. Volevo che mi sputasse addosso la verità, ciò che in questi giorni lo stava turbando tanto.

-E tu evita di fare lo stronzo. Non ti sopporta più nessuno, rispondi storto a tutti. Cos'hai che non va, perché ti comporti così come se non te ne fregasse di loro?

-Perché non me ne frega davvero niente, sono stanco delle loro buone parole ed anche di te!

Mentiva, non era un bravo bugiardo. Teneva molto al gruppo, ma questo aveva fatto forse qualche torto all'arciere, probabilmente senza rendersene nemmeno conto, perché nessuno aveva la minima idea di cosa gli passasse per l'anticamera del cervello.

-Sai benissimo che non è vero! Vuoi bene a quelle persone, ti si legge addosso. Mi basta vedere come guardi Rick, quasi fosse un fratello..

Cazzo, pensai. Merle. Era Merle il problema. Perché nessuno alla prigione ne parlava? Quando sentì quella parola, mi afferrò velocemente la gola. Di conseguenza, premetti leggermente la punta di un coltello da lancio sul suo addome, in modo da invitarlo a non fare scherzi.

-Io ho un fratello e a Rick non frega proprio un cazzo, se ci tieni tanto a saperlo. Se ne è andato da giorni e non mi permette di andare a cercarlo, con la scusa che gli servo. Sai, nel caso arrivasse il Governatore.. – abbaiò.

Mollò la presa, lasciando cadere il braccio lungo i fianchi, ed io feci lo stesso, allontanando la lama. Poi chinò la testa, fissando il marciapiede. Finalmente l'aveva detto, si era sfogato, liberando la rabbia che aveva costretto in sé. Continuò il discorso.

-..ma è solo una cazzata, la verità è che non interessa a nessuno che fine abbia fatto. Danno per scontato che sia tornato dalla parte del bastardo.

Mi sentii un verme. Quel ragazzo era in pena per il proprio fratello ed io che sapevo quale sorte gli era toccata, non potevo dirglielo. Capii il motivo per cui il gruppo non se ne curasse più di tanto, insomma, Merle non era un santo ed era stato proprio lui a portare Maggie e Glenn da Philip. Non credo che qualcuno lo avesse perdonato.

-Se le cose stanno così, perché non sei andato a cercarlo e basta?

Non mi rispose. Forse gli era difficile disubbidire a Rick. Non sapevo il perché, ma aveva una grande stima dello sceriffo, e probabilmente, sapeva in cuor suo che Merle se ne era davvero andato a Woodbury. Ad ogni modo, restava la sua famiglia. Merle rappresentava l'unica persona del passato. Era normale che ci soffrisse, ma a quanto avevo capito, Daryl era un tipo un po' così, sempre scontroso e lunatico. Probabilmente il gruppo si era ormai rassegnato al suo atteggiamento. Tornai dentro il negozio e ne uscii porgendogli un'altra bottiglia dello stesso liquore, una grappa, ma egli scosse la testa. Allora mi sedetti vicino e bevvi quella forte sostanza. Mi bruciò subito la gola, riportandomi le immagini delle mie prime sbronze con gli amici del college. Gliela porsi nuovamente e stavolta accettò. Restammo per una decina di minuti in silenzio, a contemplare il quartiere fatiscente. Non mi chiese scusa per il tono della voce e il comportamento che aveva tenuto, ma mi parlò con gli occhi.

-Daryl, se Rick mi permette di uscire domani, potrei prendere il mio cavallo e far un'ispezione in zona. Magari sarà anche inutile, ma se può aiutarti a stare tranquillo.

Attesi la sua risposta. Il silenzio ripiombò su di noi, più pesante di prima. Ma non mi lamentai, ero già soddisfatta del fatto che mi avesse confidato il problema. Speravo che appoggiasse la mia proposta, sarebbe stata un'utile scusa per tornarmene da Phil. Sarei partita all'alba ed avrei dovuto fare ritorno prima che facesse buio. Come priorità avevo quella di far cambiare idea al Governatore, sperando di trovarlo di buon umore. Sapevo di rischiare, ma dovevo comunque provarci. Loro meritavano una possibilità. Su Michonne però non mi ero ancora fatta un'opinione.

-E' facile da riconoscere, ha un coltello al posto di una mano.. – borbottò.

Lo presi come un sì.
 

*
 

L'oscurità dominava lussuriosa sui nostri corpi e la natura circostante. Sebbene non mi trovassi a Woodbury, anche all'interno di quelle reti mi sentivo al sicuro. Erano passati ormai alcuni giorni da quando mi ero presentata ricoperta di viscere e domani speravo di poter rivedere Phil. Non avevo ancora parlato con Rick, essendo stato egli occupato tutto il giorno, ma adesso eravamo tutti seduti intorno ad un falò. Beth intonava dolci melodie, permettendo ad ognuno di noi di perderci fra i meandri della nostra mente. Quella voce ci cullava, incoraggiandoci quasi ad affrontare ricordi taglienti. Daryl era sdraiato, col naso all'insù. Scrutava quel mare sopra di noi, spumeggiante di stelle. Mi chiesi a cosa stesse pensando. Quel ragazzo aveva un mondo dentro. Poi, guardai Hershel. Occhi di un padre amorevole. Fissava le proprie figlie, tradendo un sorriso. Nonostante tutto, era felice di averle ancora accanto. Glenn stringeva la mano dell'amata, sperando di non doverla perdere mai, mentre Carl giocherellava con l'mp3 che gli avevo restituito poco fa, essendomelo dimenticata in tasca. Mi aveva ringraziato serio, grato non tanto per l'oggetto, quanto per la consapevolezza di avergli salvato la vita. Ancora non potevo dire di non sentirmi un'estranea in loro presenza, ma stare assieme a quel gruppo non mi dispiaceva. Michonne doveva provare lo stesso, anche per lei erano dei nuovi amici. Solo che ella non aveva niente da nascondere, a differenza mia. Io ero un nemico. Carol guardava l'arciere, con animo triste. Ella soffriva quanto lui. Rick, invece, con un braccio poggiato sul ginocchio, si massaggiava la barba pensieroso. Quando la canzone terminò, si scambiarono tutti un sorriso. Hersh si alzò e tutti lo emulammo, era l'ora di recarsi a letto. Beth si avvicinò lentamente, sussurrandomi qualcosa all'orecchio.

-Grazie per gli assorbenti, ne avevo bisogno.. sai, quando sono gli uomini a prendere le provviste non ci pensano mai.

Aveva perfettamente ragione. Il gruppo entrò nel blocco, tranne Rick che rimase seduto sull'erba. Mi accostai a lui, sperando che fosse lo sceriffo a pronunciar parola.

-Grazie per aver pensato anche a Judith. Ora che ha il ciuccio è più tranquilla. - disse pacato.

Gli sorrisi, come per dirgli che non ci fosse bisogno di ringraziare, ed egli continuò.

-A volte mi fermo a guardare oltre i cancelli, chiedendomi se il Governatore stia facendo la stessa cosa. Quanto tempo ci farà aspettare? Per quanto ancora vuole tenerci qui nel terrore di una sua mossa folle? Non temo per la mia vita, ma ho paura che qualcuno possa ferirsi o morire. Vorrei che capisse che questa guerra è inutile.. ma in fondo è giusto così, abbiamo ucciso alcuni dei suoi uomini. Anch'io farei lo stesso. Solo che non sopporto quest'attesa.

-Pensi che ci sia la possibilità di una resa?

Storse le labbra.

-No, quell'uomo ha troppo orgoglio. Non scenderebbe mai a patti. Non sarà felice finchè non ci avrà sterminato.

-Sembra che tu lo conosca bene..

-L'ho visto solo due volte.

-E ti è bastato per capire?

-Oh sì, ho visto me in lui.

Allora compresi perché era tanto sicuro di una battaglia. Per quanto Philip fosse un bastardo ai loro occhi, Rick sapeva che nei suoi panni avrebbe agito ugualmente. Se qualcuno avesse ucciso Carl o Glenn, ad esempio, lui avrebbe massacrato i colpevoli. Era una bomba inesplosa, anch'egli sapeva esser pericoloso. Dopotutto, come mi aveva detto il primo giorno che ci eravamo incontrati, se avessi ferito qualcuno, mi avrebbe ucciso immediatamente. Avrebbe fatto di tutto per mantenere integro il gruppo. Aveva scelto di armarsi invece che scappare, ma non sapevo se in fondo fosse la scelta giusta. Se lo chiedevano tutti. Dovevo parlargli della mia uscita, trovare una scusa credibile, ma preferii dire una cosa semplice, chiara e schietta, senza apparire preoccupata di una sua decisione, come se avessi già scelto per conto mio. Ora che era in uno stato riflessivo, poco turbato e affatto nervoso, sarebbe stato il momento adatto, inoltre mi parve stanco, quindi, probabilmente, non avrebbe polemizzato più di tanto. Aspettai un poco prima di interrompere il flusso dei suoi pensieri.

-Rick, ascolta.. domani mattina prendo il cavallo ed esco, tornerò prima del tramonto. Ho bisogno di stare un poco da sola.

Si massaggiò il collo, scocciato.

-Non me lo stai chiedendo..- replicò.

-Te lo sto solo dicendo.

Mi alzai e mi diressi alla prigione, lasciando che tornasse ai propri problemi. Mi spiacque non essergli stata d'aiuto, non dico consolarlo, ma almeno discutere sul da farsi. Purtroppo non ero dell'umore giusto. Anch'io avevo le mie crisi e non avevo la benché minima idea di come uscirne. Odiavo la situazione in cui io stessa mi ero cacciata. Se avessimo fatto come aveva proposto Phil, ci saremmo presentati con tutti gli uomini e li avremmo uccisi a sangue freddo. Adesso, invece, mi ero affezionata, li avevo conosciuti. Come avrei potuto ammazzarli guardando loro negli occhi senza provare niente? Il senso di colpa mi avrebbe divorata. Quando aprii la porta, scorsi nell'angolo della struttura una piccola fiammella che subito scomparve, lasciando posto ad un punto rosso. Una sigaretta. Catturata dalla curiosità di scoprire chi fosse un fumatore, raggiunsi quella flebile fonte di calore. Non fui stupita di trovare Daryl.

-Allora, che ti ha detto? – domandò aspirando.

-Non gli ho chiesto il permesso.

Ridacchiò immerso nel fumo.

-Cosa ti spinge ad uscire? Non sono un idiota, non lo fai per mio fratello.

-Devo andare a fare una cosa, per me.. dal momento che sono fuori, ne approfitto.

Non mi chiese cosa dovessi fare, sapeva benissimo che non gli avrei fornito risposta alcuna. Mi porse un pacchetto di Marlboro.

-Ne vuoi una? Le ho trovate addosso ad uno di quei pezzi di merda.

La sua mano restò sospesa. Non avevo mai fumato una sigaretta. Odiavo quell'odore, le schifezze di cui era composta. Ma adesso, che male avrebbe mai potuto fare? Un'innocente sigaretta, del tabacco chimico. Perciò, accettai quell'oggetto. Cercò di infiammare l'accendino, ma scattava a vuoto senza produrre una fiamma. Borbottava con la cicca fra le labbra, impegnato nell'agitare quell'affare. Feci scorrere la cerniera interna della mia giacca di pelle e ne tirai fuori lo zippo che avevo rubato a quel ragazzo in tenda. Daryl lo afferrò di colpo, prendendomi alla sprovvista. Se lo girava fra le dita, cercando un raggio lunare che gli permettesse di scorgere le varie incisioni presenti sulla sua superficie. Per una frazione di secondi, la mia mente lo paragonò ad un primitivo. La fronte corrucciata, l'espressione, i modi goffi e burberi, lo studio per l'oggetto metallico. Sembrava un uomo primitivo alla presa con un arnese mai visto prima.

-Cosa c'è scritto?

Gli sarebbe piaciuto senz'altro.

-Fottiti.

Mi guardò divertito, scrutandomi da dietro i castani ciuffi che gli ricoprivano parte del viso. Quel ragazzo mi suscitava qualcosa, non so se fosse a causa del suo sguardo particolare o semplicemente per il suo modo di essere, ma riusciva ad innervosirmi e incuriosirmi allo stesso tempo. Stanca di aspettare, lo privai dello zippo con un rapido scatto. Conteneva ancora del liquido infiammabile, perciò si accese senza problemi. Tirai un profondo respiro, inalando quella sostanza tossica. La gola stramazzò, iniziando a bruciare, come se qualcuno la dilaniasse dall'interno. Mi trattenni dal tossire. Dovevo evitare una seconda figuraccia, già lo avevo abbracciato come una bambina, se avessi poi iniziato a tossire come una tredicenne alle prime armi, mi avrebbe sfottuta a vita. Per fortuna era notte e questo giovò alla mia reputazione. L'oscurità nascose il mio volto rosso peperone. Gettai fuori ciò che avevo nei polmoni, liberando nell'aria una nuvola bianca. Daryl mi squadrò in silenzio. Mi sta giudicando, ti prego fa che non se ne sia accorto. Era stata una pessima idea accettare una sigaretta. Ad ogni modo, egli non infierì. Poggiai lo zippo sul suo petto e me ne andai con quella stretta fra le labbra, fingendo una camminata disinvolta. Ma appena entrai nel blocco, mi fiondai nei bagni e tossii come una dannata. Smembri zombie e non sai fumare, sei proprio una cogliona Kendra, pensai.


Angolo autrice

Ciao lettori, grazie per continuare a seguire la mia storia.. Finalmente vi ho regalato un capitolo incentrato su Daryl, personaggio che io stessa amo. Era necessario che i due si avvicinassero, hanno molte cose in comune e si danno sui nervi a  vicenda. Comunque i vari rapporti si intensificheranno sempre di più, con il proseguire della storia che ho bene in mente. Nel prossimo capitolo, Kendra giungerà nuovamente a Woodbury, dove avrà a che fare con  il Governatore. Vi lascio con un poco di suspense! Non dimenticatevi di scrivermi o recensirmi, mi fa sempre piacere leggervi. Grazie.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 : Giano ***


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Capitolo 9 : Giano


La gelida aria del mattino mi investì, costringendomi a stringermi negli abiti in cerca di calore. La sfera color pesca si trovava ancora a metà strada, sospesa in quel soffitto azzurro. Poche nuvole in lontananza. Caricai il cavallo dello zaino e del borsone, lasciando su di me le mie bambine, le armi. Mi incamminai verso i cancelli, ansiosa di percorrere quel lungo tragitto. Gli altri dormivano ancora e ciò mi consentì di evitare saluti e spiegazioni. Solo Rick e Daryl erano a conoscenza della mia partenza, ci avrebbero pensato loro. Uno scarno stormo di uccelli sorvolò la prigione, spezzando la monotonia di quei suoni gutturali. Un leggero battito di ali. Accarezzai la chioma del destriero. Non gli avevo dato un nome, ma mi sopportava da un anno circa.

Provavo una certa tensione all'idea di dover rivedere Philip, speravo di trovarlo di buon umore, altrimenti si sarebbe adirato molto se avessi provato a distoglierlo dall'odio che lo stava consumando. Nell'orto vidi ergersi al cielo una zappa, che ricadde subito al suolo. E così via, colpo dopo colpo. Quell'uomo doveva obbligatoriamente trovare del lavoro che lo impegnasse, gli era impossibile starsene fermo con le mani in mano. Un uragano. Passeggiai lentamente, osservandomi la scarpe. Stavo cambiando, diventando debole, e non mi piaceva. Lo sceriffo mi inquadrò sotto alcuni ricci pregni di sudore che pendevano sulla sua fronte.

-Non hai dormito, vero? - domandai a bassa voce, come se non volessi disturbare qualcuno o qualcosa.

Egli mi rispose, senza interrompere l'azione.

-Avevo delle cose da fare..

Lo squadrai, facendogli intendere che non ero una stupida.

-..insomma, non riuscivo a prendere sonno.

E conoscevamo entrambi il motivo. Non so perchè, ma non seppi trattenere quelle parole semi consolatrici, futili a se stesse.

-Andrà tutto bene, le cose si aggiusteranno.

Mollò la presa dell'arnese, asciugandosi i palmi bagnati sulla maglia grigia, e si avvicinò feroce.

-Perchè mi guardi così, con questi occhi tristi come se ti sentissi in colpa?!

Un grido soffocato il suo. Scontroso, incazzato, ma pur sempre con una certa postura. Non sembrava uno zoticone come l'arciere, Rick restava composto anche quando si alterava. Non fui pronta a rispondere, mi prese contropiede. Serio, sollevò nuovamente la zappa e riprese il proprio ruolo da contadino, invitandomi ad andarmene. Mi ero lasciata andare, per una frazione di secondi non avevo tenuto la parte della ragazza risoluta, esterna, ed egli lo aveva notato immediatamente. Scaltro, attento ad ogni minuzioso particolare, ed aveva fatto centro.

Sì, io ero triste. Sì, mi sentivo in colpa. Non era successo ancora niente, ma sapevo benissimo che presto sarebbe accaduto qualcosa. Il problema, è che non avevo più intenzione di ucciderli, né di vederli morire. Cavalcando nel bosco, pensai e ripensai alla scena di poco prima. Continuavo a vedermi il volto dello sceriffo. La sua folta barba brizzolata, gli occhi accusatori. Non volevo distruggere la casa che si erano costruiti con tanta fatica. Era un padre, un amico, un capo. Aveva delle responsabilità e non si tirava indietro di fronte ad una minaccia. Combatteva per la sicurezza di tutti. Ero convinta che fosse stato anche costretto a compiere delle azioni che, nella realtà precedente, non avrebbe mai eseguito. Quindi, egli si trovava anche in lotta con se stesso, con la propria coscienza, morale. Era difficile buttarsi alle spalle il passato e concentrarsi solo sul presente, abbattendo tutte le vecchie regole. L'uomo ha la capacità di adattarsi, ma in quel caso non era così semplice come si teorizzava. Impossibile non scontrarsi con chi si era un tempo. Galoppavo veloce, vogliosa di un abbraccio, di parole rassicuranti. Dopotutto ero sopravvissuta da sola per mesi, ero tornata a casa e subito ero ripartita per una missione folle ed insensata. Tutto per colpa mia ovviamente. Quindi meritavo, esigevo comprensione e complicità da qualcuno. Amicizia, vera amicizia. Come quella che teneva stretto il gruppo del blocco C. Nel mezzo del cammino, un posto di blocco non mi consentì di procedere.

Una bella folla massiccia di putridi si dirigeva proprio verso la prigione. Per un attimo pensai di tornare indietro, passando per una strada secondaria, in modo d'avvertirli. Ma subito cambiai idea, se la sarebbero cavata da soli, come avevano sempre fatto. Perciò, mi allontanai dalla mandria affamata, percorrendo un'altra via, sebbene più lunga. I gruppi di non morti avevano la tendenza ad emigrare. Prima divoravano tutto ciò che fosse di loro gradimento ed una volta ripulita la zona, si mettevano in viaggio su quelle loro gambe marce. Monotoni. Uno stile di vita molto semplice il loro. Durante il tragitto fui costretta ad ucciderne qualcuno. Sfruttai il tirapugni bilama, molto comodo nel combattimento ravvicinato. Essendo assai affilato, risultava una cavolata trafiggere quei crani, e poi mi piaceva alternare. Usare sempre lo stesso tipo di arma mi annoiava, era giusto anche allenarsi con le altre. Dopo un lasso di tempo che mi parve l'esattezza di tre ore, giunsi alla destinazione tanto bramata. Per mia sfortuna, fu di nuovo Martinez ad accogliermi.

-Cazzo Kendra, ci sei stata più del dovuto. Dovevi presentarti due giorni fa. - mi ricordò il soldato.

Abbandonai la sella del cavallo, recuperando gli affetti.

-Beh sì, ma non posso fare come voglio.

Rise sfottendomi.

-Forse non ne sei capace.

Lo ignorai, dirigendomi alle stalle.

-Se fossi in te andrei immediatamente dal capo. Credo che non vedendoti arrivare abbia cambiato idea. Ha trovato un carrarmato.

Urlò divertito. Mi voltai, sperando che stesse scherzando, ma egli era troppo su di giri per trattarsi di una cavolata. Philip voleva attaccare. Basta, aveva deciso e si stava preparando. Infilai di fretta l'animale nella propria recinzione, ignorando il povero padre di Matt, che mi vide correre come una matta, ed entrai in casa del Governatore, approfittando della porta socchiusa che un soldato si era lasciato alle spalle. Salii le scale a grandi falcate, scontrandomi con Milton. Egli borbottò qualcosa, ma non lo degnai della mia attenzione.

-Un carrarmato? Sei impazzito?

Philip mi venne in contro a braccia aperte.

-Sei in ritardo Kendra, ma sono felice di vedere che stai bene.

Mi sciolsi dall'abbraccio, furiosa.

-Perchè diavolo hai già cambiato idea? Avevamo un piano a cui attenerci.

Fece un passo indietro, diventando serio.

-Vedo che stare a contatto con loro ti ha resa pazza. Temevo per la tua incolumità e tu mi tratti così?

Allora mi ricomposi un poco, cercando d'assumere un atteggiamento più rilassato. Posò di nuovo le sue robuste mani sulle mie braccia.

-Dimmi a cosa è servito stare laggiù per cinque giorni..

-Per le informazioni ovviamente.

Sorrise, ma era un falso.

-Phil, non te ne frega un emerito cazzo delle informazioni. Hai preso un carrarmato! Non si tratta più di un attacco strategico.

-Quello serve per spaventarli e buttare giù il blocco C, in modo che se qualcuno ci sfugge, sarà costretto a rifugiarsi nella vasta vegetazione. Morte certa. Se non fosse stato necessario, non ti avrei mai mandata con quei selvaggi. Ciò che hai scoperto sulla struttura, ci aiuterà ad infiltrare qualche uomo. Così che siano attaccati anche all'interno.

Philip voleva metterli in trappola, bloccargli ogni possibilità di fuga. Uomini all'interno e all'esterno. Poi mi prese per i fianchi, avvicinando il mio corpo al suo. Storsi la bocca, un sibilo. Le sue dita premevano sulla ferita provocata dalla freccia di Daryl. Notò la mia espressione ed alzò la mia canottiera.

-Cosa ti hanno fatto? - domandò alterato.

-Niente, è stato un incidente.

Ma egli si inginocchiò per osservare meglio la lesione.

-Un incidente, eh? - borbottò serio - Vuoi dirmi che una freccia ti ha preso per sbaglio?

Afferrai le sue spalle, facendolo tornare in piedi. Aggiustai il colletto della sua camicia e nel mentre tentai di rassicurarlo.

-Philip, è stato un incidente. Non avrei ragione di mentirti.

Sospirò.

-Sei arrabbiata e non ne capisco il motivo. Quando sei partita volevi sterminarli ed ora ti preoccupi di un carro armato. C'è qualcosa che mi nascondi.

Avvicinò il volto al mio, in modo da incutermi timore, e ridacchiò fra sé e sé.

-Non dirmi che hai cambiato opinione su di loro.

Percepii una morsa allo stomaco. Sebbene apparisse calmo, quell'uomo era sull'attenti per aggredirmi. Non feci in tempo a controbattere, che agguantò l'abat-jour posta sulla scrivania e la schiantò a terra, gridando.

-Cazzo, cazzo! Con che coraggio torni qui a darmi del folle per un carrarmato, quando tu, brutta puttana, te la fai con quegli assassini? Hanno ucciso mia figlia, te lo sei dimenticato? Hanno ucciso Penny, Haley.. o non significano più niente per te?

Sbraitava, infierendomi contro. Rabbioso come una volpe selvatica.

-Ti basta passare qualche giorno all'aperto per perdere il senno? Sei andata lì con un compito : prendere il maggior numero d'informazioni utili. Sei andata lì, per aiutarci ad ucciderli. E non riesco a credere, proprio non lo concepisco, che ti sia lasciata abbindolare da quel branco di coglioni!

Lo guardavo immobile. Agitava le mani. Si spettinava la chioma castana. Le vene sul collo si fecero più evidenti. Stava per esplodere. Tentai di avvicinarmi, ma egli mi respinse.

-Philip, ti prego.. non far così. Ne possiamo parlare con calma..

Mi interruppe, ridendo.

-Certo, parliamone con calma. Non c'è motivo per cui reagisca così, giusto?

-Non sfottermi. - replicai.

-No Kendra, non sfottermi tu. E' impossibile che tu sia cambiata nel giro di pochi giorni. Li odiavi, ti si leggeva addosso. Ancora non li avevi visti, ma già li odiavi per le loro azioni. Ed era giusto, che cazzo. Dimmi il perchè, dammi una motivazione sensata. - disse, invitandomi ad un dialogo 'tranquillo'.

La situazione era critica. Non riuscivo più a pensare. Phil aveva ragione. Ero cambiata, mi ero schierata dalla loro parte per pura superficie. In fondo non li conoscevo abbastanza per essere certa della loro bontà. E allora perchè mi sentivo in dovere di difenderli? Qualcosa mi diceva che fosse la scelta appropriata. Non avevo dubbi su ciò, ma allo stesso tempo non potevo perdonarli per le morti di Haley e Penny. In sintesi, non volevo che morissero e non volevo mettermi contro Philip. La rabbia che lo attraversava era scaturita da una seria causa. La perdita di una figlia non è una sciocchezza, sebbene ella fosse già morta. Ma questo non potevo certo dirglielo.

-Philip, non credo affatto che siano dei santi e che non abbiano colpe, perchè le avete entrambi. E lo sai bene. Soltanto che loro non si stanno armando come degli psicopatici, ma stanno preparando solo le difese con il poco che hanno a disposizione. Non hanno intenzione di presentarsi qui e uccidere tutti. Potresti parlare con Rick, trovare un accordo.

-Sei così ingenua. Dici che non hanno intenzione di presentarsi qui? L'hanno già fatto una volta, non sarebbe un problema per loro. Trovare un accordo.. - disse muovendo la testa orizzontalmente - .. tu credi davvero che quelli si metterebbero intorno ad un tavolino con me?

Era così cocciuto, fissato con uno sterminio.

-Non ha senso che muoiano per colpa di una sola persona.

-Cosa dovrei fare? Chiedere gentilmente a Rick il permesso di uccidere quella puttana con la spada? Ti andrebbe bene questo?

Non risposi. Non c'era soluzione al conflitto. Philip non avrebbe mai accettato un compromesso. Forse Rick sì, ma non ero sicura. Era tutto così dannatamente sbagliato. Mi lasciai cadere su una poltrona, sfinita. Lui camminava avanti e dietro nella stanza, seguendo una linea retta immaginaria.

-Kendra, Kendra.. cosa devo fare con te? - ripeteva più volte.

Dovevo assolutamente finire la discussione ed andarmene. Stava iniziando a dare di matto. In quei momenti era sempre meglio stargli alla larga il più possibile. Non ero al sicuro lì. Poi si avvicinò alla scrivania, tamburellò sulla superficie di legno, e mi guardò pensieroso. Feci per alzarmi, ma egli mi puntò una pistola. Meccanicamente estrassi la mia. Restammo immobili, entrambi col braccio teso.

-Non avrei mai pensato che saremmo arrivati a questo punto. - affermò con un bel sorriso.

Annuii, ormai c'eravamo dentro. Philip che mi minacciava, non l'avrei mai immaginato. Dovevo molto a lui, mi aveva salvata. Raccolta dalla strada. Sola, disidratata, affamata. Mi aveva trovato dopo la morte di Cassie. La mia salute mentale era più critica di quella fisica, ma egli mi era stato accanto. Ero sicura di aver provato qualcosa per lui, forse, addirittura, lo avevo amato. Ma ero una ragazzina debole, cieca, e quell'uomo aveva rappresentato la luce. Fu facile per Phil 'addomesticarmi'. Era il capo ed io un bravo soldato. Non facevo domande, eseguivo e basta. In fondo avevamo un tetto, mura sicure. Tutti erano felici. Eppure, c'era sempre stato qualcosa di oscuro dietro, qualcosa che fingevo di non vedere. Ne ero consapevole, ma lo accettavo comunque. Ma quei sei mesi, dove sono dovuta crescere, affrontare la vita giorno dopo giorno, mi hanno fatto cambiare prospettiva. Mi avevano insegnato ad avere fiducia in me stessa. Ed ora mi trovavo lì, di fronte all'uomo che avevo amato, pronta a sparare se fosse stato necessario. Mi stava testando. Chiuse la pistola all'interno di un cassetto, stupendomi. Di conseguenza, inserii la sicura e la posai nuovamente nella fodera. Si rilassò. Mi duole ammetterlo, ma mi incuteva terrore. Sebbene si fosse calmato ed apparisse sereno, non potevo avere la certezza che non vi sarebbero stati altri attacchi nevrotici. Si accostò a me, giocherellando con i ricci. Aiuto. Ma non feci in tempo a pronunciarlo in mente, che subito mi afferrò per la nuca, spingendomi contro la parete. Si adagiò sul mio corpo. Mi infastidiva. Odiavo averlo così vicino. La sua mano aumentava lentamente la forza della presa, facendomi male. Portai le braccia al suo petto, per tenerlo distante, ma Phil spinse ancor più forte.

-Da che parte stai? - sussurrò.

-Phil, ti prego.. - dissi, con la poca voce smorzata.

Strinse maggiormente. Respiravo a fatica.

-Ti ho fatto una domanda. Da che parte stai? - gridò, digrignado i denti.

Un suono rauco fu prodotto dalla mie corde vocali schiacciate.

-Dalla tua, sempre e comunque. 
 

*
 

Dolore. Percepivo i muscoli indolenziti. Anche il più piccolo movimento scaturiva fitte atroci. La gola era il meno e forse l'intero corpo pure. Mi aveva ferito di più il gesto. Non avrei mai pensato che fosse stato capace di farmi del male. Dopotutto, non l'avevo tradito, soltanto messo in chiaro alcuni aspetti della situazione. Il suo comportamento, la sua azione, le sue parole, si trattavano di una lezione. Mi aveva punita per educarmi. Quelle mani, le stesse mani che mi avevano salvato, si erano strette in pugni.

Mi osservai allo specchio del bagno, il volto livido. Una grossa macchia violacea ricopriva parte dello zigomo e della tempia. Il labbro inferiore spaccato. Gli unici segni visibili, la sua firma. Il resto era tutto coperto dagli abiti. Faceva caldo, ma avevo preferito indossare i jeans neri lunghi, gettando gli shorts nello zaino. Philip era un mostro ed io l'avevo capito tardi. Mi aveva dato appuntamento al mattino, per fornire le informazioni sulla prigione e la loro organizzazione. Avevo giurato di essere dalla sua parte, ma questo non mi ha consentito di evitare le percosse. Forse, perché temeva in un mio ripensamento o, più probabilmente, dava per scontato un mio volta faccia. Perciò, si era sfogato, sputando tutta la collera e lo stress che aveva accumulato su di me. Ed io, come una cogliona, non ero riuscita nemmeno a ferirlo. Non perché non avessi potuto, ma perché qualcosa me lo aveva impedito.

Non era stupido, aveva già elaborato il fatto che l'indomani avrei potuto mentire, esponendo falsi ragguagli. Ma avrei fatto di più, non mi sarei presentata. Dovevo far ritorno al blocco, raccontare ogni cosa. Era chiaro che sarei morta presto, ma preferivo che fossero gli altri, i cosiddetti nemici, ad uccidermi. Rick mi avrebbe creduto? Anche se vi era la possibilità che il gruppo decidesse di non freddarmi, non mi avrebbero comunque più accettata. Nessuno di loro si sarebbe più fidato, di conseguenza, sarei ritornata sola, ancora una volta. Ma tanto, ci avevo fatto il callo. Ciò che mi stava a cuore, era che gli altri sapessero, dovevano prepararsi a combattere. Il resto era futile. Presi le mie cose e raggiunsi la stalla. Buio pesto. Circa le due di notte. Mentre stavo liberando il cavallo, pensai che sarebbe stato pericoloso attraversare quel lungo tratto di strada in groppa alla bestia. Zero luce. Rischiavo di perdermi e non avendo una buona visibilità, sarebbe risultato difficile trovare una via di fuga se mi fossi imbattuta in un branco di putrefatti. Mi spiaceva abbandonarlo lì, era stato un buon compagno, ma avevo assolutamente bisogno di un'auto. Oltre al fatto che fosse un mezzo nettamente più veloce, questa disponeva inoltre dei fari. Non potevo però rubare una macchina all'interno di Woodbury. Fortunatamente all'esterno ve ne erano molte, alcune in buone condizioni.

Recuperata una tanica di benzina, sgattaiolai fuori, scavalcando i cancelli a sud, quelli non sorvegliati. Controllai le varie autovetture ed optai per un pickup rosso. Ci volle un po' prima che il motore ruggisse, ma alla fine partì. Guardai gli alti cancelli dallo specchietto retrovisore. Non li avrei più rivisti. Era un addio alla mia seconda vita. Sarei dovuta tornare prima del tramonto, invece eccomi lì, sparata sulla strada asfaltata. La via era dritta, perciò potetti accelerare al massimo. Mille domande si accavallavano nella mia testa.

Come avrei potuto spiegare loro che ero un'infiltrata di Phil? Come li avrei convinti che ciò che dicevo era la più limpida verità? Potevano benissimo pensare che si trattasse di un ulteriore imbroglio. Perché cazzo avevo fatto ritorno a Woodbury? Dopo l'inverno avrei potuto trovare un altro rifugio, cavarmela da sola. Philip, in poche ore, fra botte e violenza verbale, era riuscito a disintegrarmi come persona. Ero stanca, stanca di tutto. Dell'epidemia, delle persone, della difficoltà giornaliera. Volevo solo dormire, non svegliarmi più. ' E' colpa tua – mi aveva detto – è colpa tua se Cassie è morta. Sei un'incapace. Lei si fidava di te. Non capisci? Fidarsi è sbagliato. Ti fidi di loro adesso, per questo morirai' . E per quanto le parole fossero dettate dalla foga del momento, dal disprezzo e dall'ira, sapevo che aveva ragione. Era colpa mia. La morte di mia sorella, di mio padre, di Matt, del gruppo. E invece di far cambiare idea al Governatore, avevo solamente peggiorato le cose. Investii qualche non morto. La macchina slittò per qualche metro. Le budella erano rimaste impigliate nei cerchioni.

Non mi importava scansare gli azzannatori che vagavano lungo il mio stesso percorso, ci passavo direttamente sopra. Come insetti, si sfracellavano sul parabrezza, ricoprendolo di materia putrida. D'un tratto notai le mie mani tremare. Agitata, nervosa. Avrei voluto calmarmi, ma non vi riuscii. Illuminai il cortile della prigione con i fari e vidi Rick correre al meccanismo del cancello. Quando questo fu chiuso, scesi dall'auto, coprendo parte del volto coi ricci e tenendo la testa bassa. Non volevo che se ne accorgesse subito, ma egli mi riempì di domande e rimproveri.

-Dove cazzo sei stata? Avevi detto che saresti tornata al calare del sole. E dove hai preso quest'auto? Il cavallo che fine ha fatto?

Strepitava, senza darmi il tempo di rispondere. Poi puntò la torcia su di me e la sua espressione mutò. Non avevo più niente della ragazza sicura di sé, strafottente e ironica. La voce si fece più calma, seppur sempre ferma.

-Cos'è successo?

-Niente. Solo un incidente.

Avrei voluto parlare di fronte a tutti. Quello non era il momento adatto. Ma egli non mi credette.

-E pensi che mi basti come risposta? Non prendermi in giro.. – disse, afferrandomi ed assumendo toni più rassicuranti - .. ti prego.

Mi liberai dalla morsa. I vocaboli si aggrovigliarono fra loro, formando un groppo in gola. Avrei voluto dirgli qualcosa, ma ero come bloccata da me stessa. Non tentò di agguantarmi nuovamente, permettendomi così di svignarmela nell'edificio. Nel bloccarmi il braccio, aveva scorto sul polso altri lividi. Fu in quel momento che mollò la presa. Non seppi quale idea si fosse fatto, ma mi lasciò andare. Dire che ero in crisi sarebbe un eufemismo. Avevo resistito fino a quel punto, non avevo versato lacrima alcuna. Sopportato le botte, le parole, ma di fronte agli occhi di Rick, crollai. Chi mi aveva ridotto così, era lo stesso uomo che avrei protetto con la vita, lo stesso uomo di cui mi fidavo, lo stesso uomo per cui mi sarei macchiata del sangue di innocenti. Ed invece, era l'uomo che avevo ingannato ad esser rimasto scioccato, inquieto. Quello, fu quello a spezzarmi. Da una parte fui sollevata dal fatto che fosse notte, così come alla partenza mi sarei evitata qualche domanda, almeno per poche ore, giusto il tempo di ricompormi. Avevo bisogno di sciacquarmi il viso, di nascondere quelle fragili gocce d'acqua. Entrata nel bagno, mi rinfrescai il volto, facendo attenzione a non premere sulle zone plumbee. Lo zigomo era molto gonfio. Provavo così tanto dolore dappertutto, che mi era impossibile dire cosa dolesse maggiormente. Una voce femminile mi colse all'improvviso, facendomi sussultare.

-Kendra.. tutto bene?

Non mi voltai, cercando di fare l'indifferente. Ma una mano si posò sulla schiena, pregandomi di guardare la donna. Carol. Non mi sorpresi nel vedere un'espressione dolce mutare in una faccia quasi terrorizzata. Le proferii parole stupide, le prime che si erano presentate al mio cervello.

-Sono caduta da cavallo, una scena davvero ridicola.

Abbozzai un sorriso, speranzosa che mi lasciasse sola o, se non altro, che capisse che volessi restare per conto mio. Ma con decisione e prontezza, mi alzò la canotta, liberando le altre firme di Philip. Non disse nulla. Mi guardava e basta, in silenzio, come se volesse leggermi, comprendere qualcosa nei miei occhi muschiati. Incrociò le braccia, poggiandosi al lavabo.

-Per tua sfortuna, conosco molto bene questo genere di contusioni. Il mio Ed era una persona violenta.

Sapeva che non avrei parlato, almeno in quel momento. Perciò intavolò un racconto, la storia del suo passato. Ciò che era un tempo e ciò che era diventata. La sua metamorfosi. La forza e il coraggio, caratteristiche che credeva assenti. Ripetevo a me stessa che avrei dovuto confessare, non riuscivo più a tenerlo nascosto dentro. La verità, un ratto bloccato in un labirinto che cercava rabbioso una via di fuga. Ed era come se quel roditore fosse in me e si facesse spazio fra le membra.

-Ti hanno per caso..

La domanda restò incompiuta, vacillante nell'aria.

-No Carol, nessuno mi ha toccata.. non in quel senso.

-E allora chi ti ha ridotto così?

Mi prese le mani. Sapeva cosa significava esser picchiate, soprattutto da un uomo amato, ma non era al corrente che si trattasse della stessa cosa anche per me.

-Philip..- annunciai -..ma voi lo conoscete come il Governatore.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 : Reset ***


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Capitolo 10 : Reset


Un rumore metallico si scontrò sulle pareti, echeggiando nei confini della stanza. La porta del bagno si era chiusa con forza, spinta dall'azione di braccia muscolose. Rick avanzò furioso, con uno sguardo da pazzo, nella mia direzione. Mi afferrò per il colletto della canottiera, avvicinandomi a sé. Carol fece per bloccarlo, ma si arrestò. Forse aveva capito che non mi avrebbe fatto del male. Lo sceriffo doveva aver origliato la conversazione. Mi aveva seguita, raggiunta, magari per dirmi qualcosa, ma vedendomi con la donna, aveva preferito prima ascoltare i nostri discorsi. Non mi opposi. Come una bambola di pezza, fui sollevata ed avvicinata al suo volto. Carol era rimasta immobile, sicura, ma io ero convinta di morire. Sì, sarei morta. Mi avrebbe fatta parlare e poi mi avrebbe ammazzata. Quegli occhi artici e pungenti, mi ricordarono quelli di Philip. Non erano poi tanto diversi. Ero scappata da un folle per incontrarne un altro. Non ero molto furba.

-Come fai a sapere il suo nome?! – sgolò.

-Lo conosco. Io conosco quell'uomo..

La presa si fece più forte, intimandomi a continuare.

-..Rick, lavoravo per lui. Se mi sono presentata qui, era solo per studiarvi. Woodbury aveva bisogno di sapere prima di organizzare l'attacco..

Carol serrò la mascella adirata.

-..ma invece di tornare indietro e riferire tutto, ho esortato Philip a lasciar perdere. Mi aveva mentito, io non c'ero quando avete assalito la cittadina per riprendervi i vostri compagni. Ero in missione da mesi. Ciò che sapevo di voi era completamente sbagliato. Ti prego di credermi, è la verità.

Sciolse la morsa, facendomi cadere a terra. Urlava, eccome se urlava. Ripeteva più volte la parola 'cazzo' e nel frattempo si reggeva la testa, premendo sulle tempie. I riccioli si intrecciavano alle dita. Carol mi guardava con un misto di odio e gratitudine. Aveva capito che dicevo la verità, non avrei avuto più motivo di mentire. Ovviamente non era certa al cento per cento, ma comunque mi sprezzava per la mia figura ingannatrice. Il gruppo mi aveva accolta, trattata bene tutto sommato. Ed io li avevo quasi pugnalati alle spalle. Dico quasi, perché non avevo più impugnato la lama. Rick si adagiò ad un muro e si sedette su quelle mattonelle monocromatiche. Le mani unite dietro il collo. Compieva movimenti ripetitivi, dondolandosi inconsciamente avanti e dietro. La donna non mi parve stupita. Probabilmente l'amico reagiva spesso così, in modi particolari, tipici di uno schizofrenico. Ma non lo biasimavo.

-Mi ero fidato, cazzo. Mi ero fidato.. – mormorava lo sceriffo.

Lei si accucciò vicino a me, con un certo disdegno.

-Per questo ti ha picchiata? Perché ti sei messa contro?

Annuii.

-E cosa sei venuta a fare qua, eh? Non avrai protezione da noi. Vattene immediatamente!– sbraitò Rick, tornando in piedi.

Carol bloccò lo sceriffo, impedendogli di raggiungermi nuovamente.

-Rick! Rick ascoltami. Non ha senso buttarla fuori adesso, cerca di ragionare. Una persona in più ci farà comodo. Non ha dato informazioni al Governatore, attaccheranno come l'altra volta. Dobbiamo solo farci trovare pronti.

La allontanò.

-Averla dentro significa firmare una condanna a morte. Avranno un soldato all'interno. Come fai a crederle? Come minimo sono già a conoscenza di tutto e stanno arrivando adesso!

Mi alzai con cautela. Rick estrasse la pistola.

-Pensi che si sarebbe fatta ridurre così solo per attenersi ad uno schema? Ha davvero provato a far cambiare idea a quell'uomo. Di questo ne sono sicura. Sul resto non lo so.. non so se, una volta schierati, punterà l'arma a loro o a noi.

Carol percepiva con chiarezza che le mie parole erano sincere. Anche i lividi lo erano. Nessuna persona sana di mente si sarebbe fatta massacrare così. Essendo rimasto egli zitto, occupato a riflettere o a calmarsi, risposi alla domanda che mi aveva rivolto, rimasta ormai in sospeso.

-Non esigo protezione da voi, sono consapevole della gravità del contesto. Ma sono tornata per avvertirvi.

-Avvertirci di cosa? – sollecitò.

-Hanno un carrarmato, Rick. E domani pomeriggio saranno qui.

La donna portò le mani alla bocca, incredula e spaventata. Lo sceriffo si fece ancora più avanti, tanto da premere la canna dell'arma sulla mia fronte, umida di sudore.

-Non riesco a credere ad una singola parola che esce dalla tua bocca! – ribadì sberciando.

Era arrabbiato anche con se stesso. Si sentiva uno stupido per avermi permesso di entrare. Si sentiva un incapace per aver messo in pericolo la sua famiglia. Si era ripromesso che niente di brutto sarebbe capitato a loro, ed invece era lì, basito e avvelenato dal risentimento. Pronto a spararmi. Sapeva però che le ferite che portavo erano un marchio, un segno tangibile della follia instabile del Governatore. Se lavoravo ancora per lui, perché mai mi avrebbe pestata? La sua mente lavorava veloce come un treno, offuscandolo a tratti. Cosa avrebbe fatto? Permesso ancora di farmi stare al loro fianco? E soprattutto, si sarebbe fidato ad avermi vicino in battaglia o avrebbe temuto per la vita dei compagni? Lo intimai a recuperare una decisione ferma e sicura, spingendo un poco la testa contro quel freddo metallo.

-Sparami allora! – affermai.

Le sue sopracciglia si levarono un poco, curvandosi come per comprendermi.

-Rick, se non puoi avere fiducia in me, allora fallo. Uccidimi, adesso.

Carol ci guardava disperata. L'immagine di un carro armato che insediava la prigione si era stampata nel suo pensiero. Noi, intanto, ci fissavamo. Un'altra voce si levò nella stanza, obbligando i nostri occhi a distogliere lo sguardo.

-Che cosa diavolo sta succedendo qui!? Vi sentiamo berciare dalle celle, cazzo. – abbaiò Daryl.

Ma quando ebbe scorto le mie decorazioni violacee e visualizzato la scena che aveva di fronte, si arrestò. Era entrato con così tanta furia da non curarsi della nostra posizione. Rick e l'arciere si scambiarono lunghi discorsi, attraverso le pupille cristalline. Poi passò a me, ma impugnò la balestra. Sempre peggio. Non posso dire con sicurezza cosa avesse capito, ma certamente non era difficile da intuire che fossi diventata una possibile nemica. Se poi alcune parole o mezze frasi erano giunte alle orecchie dell'intero gruppo, non dovette essere complicato tirare una somma.

-Che intenzioni hai? – chiese il nuovo arrivato allo sceriffo.

Egli non rispose. Fu così sostituito dalla donna, che, nel frattempo, si era ripresa, tornando determinata e combattiva.

-Ucciderla sarebbe uno sbaglio, uno spreco. Evitiamo di farlo noi adesso, tanto ci penserà il Governatore quando la vedrà. Rick, ci serve. Sarà lei a fornirci informazioni utili su quei bastardi.

-Non capisci? Non servono proprio ad un cazzo delle informazioni. Sono più di noi, meglio armati ed addirittura in possesso di un carrarmato. - replicò Rick.

Daryl sbiancò quasi.

-Ma che cazzo state dicendo?! E dove lo avrebbe preso un fottuto carrarmato? – disse mirandomi – Lo sai questo?

-No, non mi sono posta questo problema. Era già abbastanza scioccante.

Rick abbassò l'arma e l'arciere, come un cagnolino ben ammaestrato, fece lo stesso. Non era affatto calmo e non si era schiarito del tutto le idee, ma aveva preso una decisione. Non credo che molti sarebbero stati del suo stesso parere, ma forse vi era una ragione che mi sfuggiva.

-Apri bene le orecchie, Kendra. Non ti ucciderò, non adesso perlomeno. E non ti dirò grazie per essere tornata o per aver tentato di parlare col Governatore. Ora lavori per me, ti è chiaro questo?

Non ci fu bisogno di rispondere, era ovvio. Mi aveva in pugno ed era giusto così. La fiducia, semmai ce ne fosse stata l'occasione, me la sarei guadagnata passo dopo passo.

-Se arriva uno di loro, un tuo amico.. che fai? – interrogò.

-Lo uccido. – risposi secca.

-Se durante la battaglia stanno rischiando la vita uno di loro ed uno di noi, chi salvi?

-Il vostro compagno.

I tre continuavano a scambiarsi occhiatacce.

-Le regole le conosci. Si parte da capo.

Questi si avvicinarono alla porta, bisbigliando fra loro. Rick e Carol andarono dagli altri, per informarli, mentre Daryl restò a farmi la guardia. Si sedette con uno slancio su un lavandino e poggiò la balestra sulle gambe. Non era il momento adatto per parlargli di Merle, ma sapevo che, in fondo, non ci sarebbe mai stato. Un giorno valeva l'altro. E dato che avevo già confessato tutto, restava unicamente quel doloroso particolare. Se avessi indugiato oltre, tenendolo segreto per molto tempo ancora, sarebbe stato solamente controproducente. Prima lo sapeva e prima le cose potevano andare nel verso giusto. Ci esaminavamo a vicenda, come se entrambi volessimo dire qualcosa. Era teso, ma non troppo. La notizia di un attacco del Governatore non lo aveva sorpreso, tutti più o meno sapevano che quel giorno sarebbe arrivato. E non era nemmeno irato più di tanto con me o almeno non lo dava a vedere. Sembrava più preoccupato per il mio stato fisico. Continuava a fissare il volto e le braccia. Non so se nel ring, nel pieno dello scontro, si sarebbe fidato, ma ora sembrava non esserne turbato.

-E' stato il Governatore a farti questo? – domandò, ruotando l'indice intorno alla mia figura.

Ignorava alcuni particolari dell'intera situazione, essendo egli giunto in ritardo.

-Sì.

Stava cercando di ricomporre i pezzi, i vari frammenti del dialogo fra me e Rick. Capì quindi che le ferite erano state causate da un mio intervento a loro favore. E forse, forse se ne dispiacque. Era difficile interpretare Daryl. Si svelava solo quando era preda alla collera. Altrimenti era una tomba, muta nel suo silenzio.

-Non gli hai spaccato il culo?

Accennai un sorriso. Non volevo parlare di ciò e fortunatamente lo comprese. Staccò gli occhi da me e li puntò sulla porta. Aspettava il ritorno da Rick, qualche ragguaglio sulla possibile gestione del problema futuro. Trovai il coraggio. Non sapevo quando sarebbe potuta ricapitare l'occasione di trovarmi in sua compagnia, lontani da altri. Senza muovermi, restando coi piedi nel mezzo dei limiti di una mattonella, parlai.

-Daryl..

-Daryl! – chiamò lo sceriffo.

Questo abbandonò il lavabo e raggiunse l'amico all'ingresso della stanza.

Avevo perso un'occasione. I due uscirono, lasciandomi sola. Quei minuti mi parvero interminabili, un secolo. Mi sentivo una merda, anzi, ero una merda. Ora mi trovavo in un bel casino. Avevo cambiato squadra, tattica, ma Woodbury era stata la mia casa. Se mi fossi trovata di fronte Phil, forse sarei riuscita a sparargli, ma non potevo dire lo stesso per gli altri. Erano degli amici, persone che purtroppo avrebbero eseguito qualsiasi ordine del Governatore. Avrei preferito incontrare un altro gruppo, evitare la conoscenza di Philip. Tutto sarebbe andato diversamente. Ma ero felice di aver incontrato la compagnia di Rick. Mi piacevano, sia come persone, che come compagni. Uniti, fedeli, forti.

Lo sceriffo era riuscito a fornire una buona struttura. Erano come un orologio, ognuno di loro era singolare e particolare, un ingranaggio indispensabile per il buon funzionamento dell'intero organismo. Mi turbava non conoscere le loro intenzioni, non poter ascoltare le loro considerazioni. Cosa avevano detto gli altri? Rick li aveva convinti a tenermi? Avevo instaurato un sottile legame con ogni membro, ma adesso si era spezzato. Traditi. Li avevo traditi. Questo era il punto. E se non vi è fiducia, il gruppo non è coeso. Gli ingranaggi si bloccano. Probabilmente ero all'inferno. Non vi era altra spiegazione. Dovevo esser morta e finita in un girone. Questa era la mia punizione. Castigata per aver sempre eseguito gli ordini senza pensare con la propria testa. Un bravo soldato, ma un'inutile persona. Per quanto Rick si stesse scervellando per trovare un buon piano di guerra, qualsiasi progetto si sarebbe rivelato poco efficiente. Saremmo periti tutti o almeno una buona parte. Una pioggia di proiettili. Non sapevo in cosa sperare. Morire in campo o sopravvivere, costretta poi a subire il loro disprezzo?

Se per miracolo ne fossi uscita illesa, avrei optato per un'avventura solitaria. Avremmo preso strade diverse, opposte. Un giorno avrei trovato anch'io un posto. Un mio posto. Ma lì, ogni giorno era un'incognita. Appesi ad un filo sfibrato. Rick si affacciò alla porta, facendomi segno di seguirlo. Camminammo lungo quei corridoi. Gli stessi corridoi dove lo sceriffo mi aveva condotto in braccio, temendo per la mia vita. Percorsi che non avremmo più calpestato. Entrata in una nuova ala, mi trovai di fronte ad un tavolo circondato da Glenn, Daryl ed Hershel e due sedie libere. Ci accomodammo. Il silenzio mi straziava. Avrei preferito udire terribili parole, dissenso e ira. Ma Hershel e Glenn mi guardavano senza proferire parola. L'asiatico era avvilito, convinto di una sconfitta. Il vecchio, invece, raggiante di speranza. Ma continuavano a fissarmi, come per voler decifrarmi. Un enigma. L'arciere, ovviamente, era seduto diversamente. Lo schienale della sedia era rivolto al tavolo e fungeva d'appoggio alla sue braccia.

-Abbiamo poche ore per decidere come muoverci. – confermò Rick.

-C'è poco da decidere. Noi o loro. Ed io non ho intenzione di perdere. – sbuffò Daryl.

-Dobbiamo trovare delle sistemazioni tattiche dove posizionarci. Loro entreranno sfondando i cancelli e utilizzeranno il carrarmato per buttare giù il blocco. Perciò, possiamo sfruttare i passaggi sopraelevati. Li abbiamo già forniti di scudi per i proiettili. Bisogna avere il controllo sull'intera area. Dei cecchini saranno sicuramente posizionati sulle due torrette. Abbiamo poche munizioni, quindi colpi precisi. Nessuno spreco. – disse l'asiatico, gesticolando.

Rick annuiva, stringendo compulsivamente la mano in pugno. La gamba sinistra si muoveva veloce, influenzata dal nervosismo.

-Sulle torrette andranno Maggie e Carol, hanno una buona mira. Sulle strutture rialzate, invece, Carl ed Hersh. A terra voglio quelli più abili e capaci. Beth.. deve stare al sicuro con la bambina. – sentenziò lo sceriffo.

Hershel era preoccupato. Temeva per le figlie. Trovare un luogo sicuro sarebbe stato alquanto difficile, impossibile. Una volta partito l'attacco, le posizioni sarebbero state rispettate per poco. Quando si è nella mischia, la ragione vacilla. L'adrenalina prende il sopravvento e si compiono azioni eroiche o idiote. Tutti vogliono salvare tutti e si rischia di peggiorare le cose. Ma questa è una cosa che non si può controllare, fa parte dell'uomo. In mezzo ai nemici ci saremmo ritrovati io, Rick, Daryl, Glenn e Michonne. L'arciere avrebbe dovuto abbandonare la balestra. In uno scontro fuoco a fuoco non era l'arma più indicata, così come la katana della donna. Glenn disponeva invece di una tuta antisommossa, oggetto più che adatto. Rick aveva inserito gli altri in luoghi più riparati, nella speranza che si salvassero. Hersh non poteva certamente aiutarci sul campo, ma avrebbe fatto comodo come tiratore.

-Non dimentichiamoci dei vaganti. Col bel casino che faremo saranno sicuramente attratti. Dobbiamo guardarci le spalle anche da loro. – puntualizzò Daryl.

-Sarà un problema per entrambi. Forse ci daranno addirittura una mano quegli esseri. – disse l'anziano.

Rick parve d'accordo.

-Sì, può essere. Considerando che il Governatore abbatterà il cancello, gli zombi e i loro uomini entreranno nel cortile. Noi saremo oltre il giardino, già posizionati nelle zone indicate. Al sicuro per breve tempo, ma potremmo sfruttare questo vantaggio. I cecchini potrebbero ferire alcuni uomini, magari alle gambe, impedendo loro di muoversi. Molti vaganti si getterebbero subito su di loro ed altri assalirebbero quelli nelle vicinanze. Cerchiamo di ridurre il numero dei nemici. Quando poi gli altri avranno distrutto la seconda recinzione, beh.. lì saremo faccia a faccia.

A quel punto addio progetti. Avrebbe vinto solo il più forte. Sarebbe stato inutile disporre una strategia. Uomo contro uomo, arma contro arma. Chi prima preme il grilletto ha la vita allungata di qualche minuto. Avremmo disposto una linea di armi e munizioni varie, in modo da poterci rifornire agevolmente, pur mantenendo la disposizione iniziale. Sparare all'impazzata con una mitragliatrice leggera sarebbe stata un'idea comune e affatto sbagliata, ma essendo a corto di munizioni, avremmo dovuto calibrare ogni singolo sparo. Uccidere con intelligenza. Zero panico. Capivo il motivo per cui non avevano preso in considerazione la proposta di una fuga, poiché questa si sarebbe rivelata una soluzione unicamente temporanea. Avrebbe comportato la conquista della prigione da parte dei nemici ed una loro pressante ricerca del gruppo, perché non si sarebbero accontentati dell'espugnazione del blocco. Non si sarebbero fermati finché non avessero cacciato e braccato ognuno di noi. Tenevano di più alla nostra morte. Poi tutti si voltarono nella mia direzione, scrutandomi.

-Adesso tocca a te. Dicci anche il più insignificante particolare : quanti sono, come si muovono, la armi equipaggiate, come pensa il Governatore. Esigo tutto. – ordinò Rick – Dopo passiamo ai fatti concreti.

*

La spiegazione non durò molto. Cercai di essere coincisa e precisa. Non che ci fosse molto da dire sulla mente di Philip. Instabile. Nonostante fosse ancora buio, ci muovevamo rapidamente lungo il perimetro della prigione, predisponendo il tutto come progettato. Nessuno ebbe da ridire sulle decisioni prese dal capo, sebbene Maggie avrebbe preferito partecipare allo scontro diretto. Lavoravo a testa bassa, cercando di evitare gli sguardi altrui. Non avevo voglia di sentirmi una stronza più di quanto già sapessi. Preferivo fare il mio, lasciando i loro commenti alle spalle. Insomma, anche la loro situazione non era delle più ottimali. Dovevano odiarmi per aver mentito, ma mi erano grati per averli avvertiti. Pensieri molto contrastanti.

Fatto sta che non ci rivolgevamo parola, quasi avessimo deciso di collaborare malvolentieri. Ci trovavamo con la merda fino al collo, non c'era spazio per discutere. Non importava se fossi amica, imbrogliona od altro, ciò che contava era avere delle mani in più che potessero uccidere. Ne avevano bisogno, su questo non c'era storia. Avevamo deciso di preparare subito le varie postazioni, temendo che il Governatore, una volta accortosi della mia fuga, avesse potuto presentarsi prima, credendo di prenderci alla sprovvista. Ci sentivamo furbi. Speravo che funzionasse.

Salii in cima ad una torretta, rifornendola del materiale necessario. A terra vi era un materasso e qualche zaino. Glenn e Maggie si rifugiavano spesso assieme quassù. Notai una foto poggiata su di una coperta. Maggie che dormiva. Mi venne spontaneo sorridere. Era bella, dolce. Tornai giù ed aiutai Michonne a posizionare alcune tavole di legno in diversi punti, in modo da poterle sfruttare come ripari momentanei. Se non fossi stata una pessimista, guardandomi intorno, avrei giurato che avremmo potuto farcela.

Rick mi teneva d'occhio, più di quanto fosse necessario. Mi aveva nuovamente privata delle armi. Ed anche se ne fossi stata in possesso, non avevo certo intenzione di fare cazzate. Non avevo una filosofia precisa, ma quando mi trovavo in situazioni critiche, ripetevo sempre a me stessa che potevo farcela, che non dovevo morire in modo stupido, a mò di mantra. Stavolta, invece, non ne ero poi così tanto sicura, ma avrei fatto il possibile, come sempre. Non solo avrei tentato di restare in vita, ma avrei anche fatto di tutto per aiutarli. Illuminavo con la torcia i piedi, cercando di non andare a sbattere da qualche parte, essendo tutto il terreno ricoperto di ogni oggetto. C'era molta confusione, tutti correvano da una parte all'altra, come quando si interrompe una fila di formiche e queste impazziscono agitandosi in diverse direzioni. Io mi spostavo fra loro, restando nella mia pacatezza. Dovevo trasportare una cassa di munizioni vicino all'entrata del blocco C, perciò presi la torcia in bocca e sollevai a fatica quella dannata cosa.

Facevo grandi passi, in modo da giungere prima e poterla posare, ma a metà del percorso Daryl mi fermò.

-Ci penso io.. – disse, strappandomi dalle mani la cassa.

Volli controbattere, ma uscirono fuori solo degli incomprensibili mugolii, a causa della torcia. Egli mi guardò impassibile e si diresse a quella che era la mia destinazione. Ripresi in mano l'oggetto, sbiascicando. Il sapore di plastica mi infastidiva. Avrei voluto fare le mie scuse ad ognuno di loro, ma sarebbero state vane ed imbarazzanti. Dovevo dimostrare ciò coi fatti e non con le parole. Assai più difficile. Ci sarebbe voluto del tempo. Osservai le ali dell'arciere allontanarsi e confondersi nell'oscurità.

-Non devi farti problemi a chiedere una mano.. – sussurrò Hersh.

-Mi sembravate tutti occupati. – dissi di getto.

In realtà non avevo la minima idea di cosa facessero gli altri, dal momento che prestavo attenzione unicamente al lavoro che dovevo svolgere, evitando qualsiasi dialogo. Mi diede qualche colpetto sulla spalla e si appropinquò a raggiungere il capo.

-Hershel..

-Cosa? – domandò l'uomo, voltandosi.

-Non sei arrabbiato?

Inclinò la testa.

-Perché mai dovrei esserlo? – chiese ridendo.

-Per quello che fatto.

-E dimmi, cos'hai fatto?

-Vi ho mentito..– risposi a testa china.

Hersh rimase fermo a guardarmi, non togliendo dal volto quel sorriso stampato.

-Ma poi sei stata sincera. Di concreto, cos'hai fatto?

Non capivo dove volesse arrivare, mi sembrava una conversazione alquanto strana.

-Avrei potuto ..

-Appunto, avresti potuto.. – disse interrompendomi - .. avresti, ma non l'hai fatto.

Poi se ne andò, lasciandomi lì interdetta. Scossi la testa incredula. Non poteva aver detto una cosa del genere, nessuno mi avrebbe considerata in quel modo. Una qualsiasi altra persona mi avrebbe uccisa una volta scoperto l'inganno. Quell'uomo era troppo gentile, superava di gran lunga la bontà. Puntai nuovamente sull'erba il fascio di luce prodotto dall'unicamente che avevo a disposizione e raggiunsi il resto del gruppo all'interno della prigione. Ognuno si trovava nella propria camera, cella, ma nessuno aveva intenzione di dormire. L'ansia e la paura non ci risparmiarono.

Mancavano circa due ore all'alba, riposare avrebbe avuto comunque poco senso. Rick prese inbraccio sua figlia, la quale strinse l'indice del padre. La guardava con occhi tristi, rammaricato di averla posta in un mondo del genere, ma allo stesso tempo la fissava con amore, felice che si fosse salvata, come aveva desiderato Lori. Abbracciarla significava sentire la donna amata al proprio fianco. Tutti avevano perso qualcuno ed anche se l'avevamo superato in parte, temevamo di dover affrontare un'altra perdita. Sembrerà strano, ma non avrei voluto veder morire nessuno di loro. Non posso dire di aver instaurato forti rapporti, ma mi ero affezionata comunque, seppur ne ignoravo il motivo. Non mi era mai capitato di sentirmi bene con un gruppo dopo solo alcuni giorni. Quando li avevo conosciuti, li odiavo. Poi avevo imparato a relazionarmi, comprendendo le reali dinamiche dell'accaduto che aveva scaturito la guerra. Michonne era l'unico soggetto che ancora non avevo decifrato a pieno. Seduto in guardiola, Daryl era occupato a controllare lo stato dei dardi. Nessuno parlava, tutti stretti nel proprio silenzio. Le menti però non erano ferme quanto le nostre lingue, ma viaggiavano fra miriadi di pensieri, domande e fobie.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 : War ***


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Capitolo 11 : War


Parte 1 
Kendra

Le lancette marciavano scandendo il flusso del tempo. I secondi, i minuti, le ore. Attesa. Un' attesa spinata. Il corpo fremeva, pur restando chino al susseguirsi dei movimenti circolari delle tre sottili sbarre. Niente era in nostro potere. A noi spettava solo il compito di portare pazienza. Avrei preferito trovarmi in un qualsiasi altro luogo o addirittura essere diventata un putrefatto. Zero preoccupazioni, solo fame insanabile. Sarebbe stato sicuramente più semplice. Il sole ardente illuminava l'area, quella che avrebbe svolto il ruolo di palcoscenico. Noi eravamo gli attori, coloro che avrebbero dato vita ad un avvincente spettacolo. Peccato che disponevamo di un esiguo pubblico, il quale era caratterizzato unicamente da non morti. Non ci sarebbero stati applausi al termine della rappresentazione, mazzi di fiori o complimenti, ma solo cadaveri. Impugnavo smaniosa l'MP5 che mi avevano assegnato, nella speranza che quell'oggetto mi consentisse di allungare il destino imposto dall'alto o meno. Ognuno si trovava alla propria postazione, pronto a fronteggiare uno scontro che persone sane di mente avrebbero tranquillamente potuto evitare. Ma in quella realtà, nessuno più era stabile. Anche se non tutti lo davano a vedere, quella era la verità. Inutile aggrapparci al ricordo di chi eravamo in passato. Ci eravamo evoluti. Rick scrollò le spalle, cercando di allentare la tensione muscolare. I suoi occhi miravano la recinzione, vogliosi di scorgere nella vegetazione i passi del nemico. Una ventina di putrefatti erano ben visibili, ma ne sarebbero arrivati molti di più dopo il primo sparo, la prima pallottola caduta al suolo. Il piccolo orologio dal quadrante nero ossidiana che mi ero legata al polso destro, segnava incurante le undici di mattina. Mi trovavo di fronte ad una delle tavole di legno che avevo posizionato assieme alla spadaccina, le quali sarebbero state utili come scudi per le scariche di mitra. Dei potenziali ripari, sebbene poco resistenti. Daryl disponeva inoltre di un fucile a pompa, model 1887. Un bell'oggetto. Gli altri si lanciavano di tanto in tanto qualche occhiata, chiedendo quale senso avesse restare là immobili come cani da guardia, ma nessuno aveva il coraggio di interrogare lo sceriffo, rispettando il suo volere. Tanto, niente avrebbe fatto la differenza. Carl sembrava il più agguerrito, fiamme al posto delle pupille. Hershel, il quale aveva preso posto al fianco del ragazzo, guardava oltre le proprie spalle, mirando il blocco. Beth si trovava all'interno col compito di proteggere la piccola spacca culi, soprannome fornito dall'arciere. Le avevamo lasciato delle armi ed uno zaino ricco di provviste, in modo che se la situazione avesse preso una brutta piega, lei avrebbe potuto fuggire dal campo di battaglia, assicurandosi la sopravvivenza di entrambe per almeno qualche giorno. Quello che sembrava un lontano ronzio, si fece sempre più vicino, presentandosi come rombi di motori. Stavano arrivando. Le nostre figure si fecero rigide, quasi statuarie. Due jeep ed altre auto si allinearono al cancello, poi dalla fitta flora apparve la nostra nemesi. Un carrarmato su cui sedeva impettito il Governatore. Gli uomini a cavallo e a piedi si occuparono dei putrefatti accalcati alle reti. Una volta liberato il terreno da quelle piaghe, Philip scese portando le braccia ai fianchi. Il suo volto era disteso, rilassato. Il profumo di ferraglia e sangue lo eccitava. Era felice di trovarsi lì, era felice di farla franca. Se fosse stato per me, avrei già sparato a quel pezzo di merda da una delle torrette, ma Maggie e Carol si attennero al piano. Avremmo fatto fuoco solo se i nemici per primi avessero aperto le danze. Rick fece qualche passo avanti.

-Mi pare di vivere un dèjà vu! – affermò il bendato.

Gli uomini del suo battaglione risero, ma Rick non si scompose.

-Stavolta il tuo culo marcirà su questo terreno.

Daryl guardò l'amico stranito, come se non si fosse aspettato una risposta del genere. Solitamente lo sceriffo restava diplomatico anche nelle situazioni delicate. Ma Philip non si curò della minaccia e mi puntò.

-Mi sorprende vederti ancora in vita. Cos'è, questi idioti non hanno ancora capito che razza di persona sei?

Non caddi nella provocazione e mantenni la canna dell'arma dritta a mirare il petto.

-Non credo che tu abbia ancora capito con chi hai a che fare. – ringhiò Rick.

-E' proprio perché l'ho capito, che sono sicuro vincere.

D'improvviso, un silenzioso proiettile perforò la spalla di Carol, la quale si accucciò immediatamente. Di conseguenza, Maggie fece lo stesso, temendo di essere colpita. Alcuni cecchini si erano nascosti nel bosco. Nell'esatto momento in cui tutti ci riparammo, il carrarmato esplose in un boato, distruggendo il cancello di ferro massiccio. E quelli avanzarono, facendo il loro ingresso nel cortile. Una pioggia, anzi, un temporale di proiettili si abbatté sulla prigione. Una prima scarica di mitra fu gettata su di noi, con l'intento di spaventarci e spezzare parte dei ripari che avevamo progettato. Nel mentre un pullman avanzò a grande velocità, abbattendo la recinzione. Restando con la schiena poggiata alla tavola, scrutai ciò che avveniva nel cortile attraverso il riflesso di uno specchietto laterale dell'auto, che avevo accuratamente posizionato. Un uomo scese frettoloso, aprì i portelloni del bus e raggiunse i propri compagni. I mitra si ammutolirono, lasciando che divenissero protagonisti dei lamenti strazianti. Cazzo. Un fiume di non morti sfociò nel campo, avanzando nella nostra direzione, essendo noi più vicini. Avevano fatto ciò in modo che terminassimo gran parte delle munizioni per liberarci dei vaganti. Le due donne fecero capolino dalle torrette sparando sia ai non morti più a noi vicini che ai soldati. Hershel e Carl, trovandosi nel piano rialzato, ebbero la possibilità di coprirci. Noi quattro, ancora seduti contro gli scudi, balzammo e ci esponemmo. Sparai alle spalle dei putrefatti, mandando in frantumi alcuni parabrezza delle auto, poi afferrai il tirapugni bilama e mi apprestai a fracassare qualche cranio. Le vetture erano molto distanti rispetto al blocco. Gli altri fecero lo stesso, colpendo prima a fatica qualche nemico non più riparato dalle macchine ed estrassero le lame, in modo da non sprecare inutilmente proiettili. Infiltrare i putridi risultò una mossa sì efficace, ma anche controproducente. Questi non erano solamente attratti dal nostro odore, ma anche da quello dei soldati che, inoltre, sparavano destando loro interesse. In sostanza, eravamo tutti nella merda. Michonne affettava alcuni corpi logorati dall'infezione.

-Sfondate il recinto con le auto. Prendete le armi, entriamo. – ordinò Philip – Uccideteli!

-Ricevuto! – gridò un nemico – Muoviamoci.

Le auto sfondarono le recinzioni, una dopo l'altra. In un battito di ciglia i nemici avevano già conquistato terreno, entrando nel perimetro oltre il cortile. Se fino a quel momento la distanza aveva giovato a nostro favore, permettendoci di scampare a qualche pallottola, ora non era più possibile. Il carrarmato tossì nuovamente, colpendo l'edificio in alto. Un forte calore si irradiò e il suolo prese a tremare. Rinfoderai il tirapugni e presi l'arma da fuoco. Le posizioni, il piano ideato, svanì tutto in un secondo. Ognuno di noi prese logicamente direzioni differenti, in modo d'assicurarsi un buon riparo ed un'ottima visuale. Dovevamo fuggire sia ai vaganti che ai soldati, in gran numero rispetto a noi. Vidi Carol e Maggie abbandonare le torrette e scendere in battaglia. Alcune scariche colpirono la parete che mi fungeva da copertura. Con la coda dell'occhio notai Shumpert avanzare quatto. Caricai l'arma e feci fuoco spostandomi velocemente verso una delle nostre auto, in modo da ripararmi. Non c'era più affetto o amicizia, per lui ero solo una da uccidere. Senza esitazioni lo colpii, perforandogli la giugulare, la quale zampillò di rosso vivo. Mentre correvo, vidi una bomba a mano scivolare abbastanza vicina ai miei piedi. Le tirai immediatamente un calcio per allontanarla e mi gettai dietro la vettura. Un esplosione provocò un secondo tremore. L'auto sobbalzò. Non avevo tempo di guardarmi molto intorno, cercavo soprattutto di non farmi uccidere, ma avevo promesso al gruppo che li avrei aiutati ed era quella la mia intenzione. Inspirai e mi sporsi, esaurendo un altro caricatore. A terra si stavano accumulando molti corpi, non vi era più distinzione fra infetti e no. Cercai disperata di scorgere Philip, temevo di trovarmelo di fronte, ma fui disturbata da una pallottola che si piantò nella mia coscia. Mi fiondai di getto dietro una parte di recinzione rinforzata da alcune assi di legno. Porca puttana. I jeans si impregnarono di sangue. Mi buttai culo a terra, serrando la mascella. Frizzava. Cercai di guardare attraverso alcuni spazi fra le tavole che avevamo disposto sulla rete metallica, per capire se vi era qualche soldato nelle vicinanze od un cecchino ben nascosto, e proprio quando scorsi Martinez una mano mi afferrò, spingendomi la schiena in basso.

-Giù! – gridò Daryl.

Martinez ci caricò pieno d'ira finché l'arma scattò a vuoto, costringendolo a rifugiarsi. L'arciere gettò via il fucile a pompa, avendo terminato le munizioni, e prese un AK – 12.

-Sei ferita? – chiese caricando l'arma.

-Mi hanno colpito ad una gamba, niente di grave.

Prese uno dei suoi pugnali ed affettò il jeans all'altezza del foro.

-Dobbiamo controllare se è fuoriuscito il proiettile.

Lo bloccai, non era il momento di mettersi a fare gli infermieri. Non era sicuro. Ci acquattammo lungo le pareti, sparando ad ogni nemico che spuntava da un angolo. Daryl saltò addosso ad un soldato, piantandogli la lama nella gola. Lo privò delle granate e corse in direzione del carrarmato. Io lo coprii, eliminando coloro che lo minacciavano. Martinez mi colpì alla nuca con il calcio del fucile e mi fu addosso. Spinse via l'MP5 che mi era caduto e mi sferrò un colpo allo stomaco con la punta degli anfibi. Si sedette sopra di me, prendendomi a pugni il volto. Ma fece in tempo a tirarmene due che già gli avevo affondato il tirapugni nel petto. Questo urlò dal dolore, mollando la presa. Approfittai di ciò per colpirlo in volto, dritto sul naso. Stordito, cadde di lato.

-Puttana! – sputò.

Dolorante mi alzai a fatica, reggendomi sulla gamba sana. Estrassi la mia glock 19 mm e sparai. Una pozza di sangue si formò intorno alla sua testa. Mi sei sempre stato sul cazzo, pensai. Vidi Carl destreggiarsi bene con alcuni vaganti, allora spostai lo sguardo in cerca di qualcuno a cui dare una mano. La situazione era caotica. Spari su spari. Rumori metallici. Grida. Zombie. Era difficile concentrarsi. Daryl uccise un altro nemico sparandogli in pieno petto e fu vicino al carrarmato quando questo fece fuoco di nuovo, mandando in frantumi un'ala del blocco. Beth doveva fuggire, ma vi era la possibilità che alcune macerie avessero ostruito il passaggio o qualche corridoio. Dovevo accertarmene. L'arciere saltò, infilando la granata nel cannone di quel mostro metallico. Implose, uccidendo il conducente. Maggie e Carol si nascosero dietro una parete, ormai prive di munizioni. Lanciai loro la mia arma e le rispettive munizioni, tenendo unicamente la mia pistola. Mi affrettai a raggiungere l'entrata nel blocco, quando vidi Hersh zoppicare al suo interno. Avrebbe pensato lui a sua figlia. Ora che il carrarmato era fuori uso, nel blocco sarebbe stato più al sicuro. Mi avvicinai a Michonne, la quale sanguinava all'altezza del sopracciglio sinistro.

-Hai visto dov'è andato quel pezzo di merda? – chiese con il fiatone – Mi ha rubato la spada.

Risposta negativa la mia. Sparammo a qualche soldato, avanzando lentamente in cerca del Governatore. Non poteva essere andato tanto lontano. Ci accostammo a Glenn, ormai pregno di sangue, fortunatamente altrui. Le munizioni stavano terminando, non avremmo resistito ancora a lungo. Presto ci saremmo dati sicuramente alla fuga. Notai un uomo robusto, alto, un vero e proprio bestione, assieme ad una ragazza molto magra. Entrambi di colore. Questi sparavano alla schiera di Philip.

-Chi cazzo sono quelli? – domandai indicandoli.

Glenn si accucciò e seguì il mio indice.

-Sono due tizi che ci avevano chiesto di essere accolti, ma Rick non li ha accettati. Sono arrivati con il Governatore.. non so cosa stia succedendo.

Si erano improvvisamente messi dalla nostra parte, abbattendo i loro ex compagni. Ultimamente era in voga voltare le spalle a Phil. Li lasciammo fare, finché non ci sparavano addosso non erano un problema. Rick spaccò con rabbia alcune teste di vaganti con un machete, quasi si trattassero di angurie. Sporco di sangue e fango, avanzava sfinito, barcollando un poco. Eravamo tutti un po' acciaccati, ma per il momento nessuno era ferito gravemente. Informai lo sceriffo delle mie paure su Beth e decidemmo di arretrare, tornando nelle vicinanze dell'entrata del blocco. Michonne chiese al capo se avesse visto Philip, ma anch'egli l'aveva perso di vista nella mischia. Alcuni spari ci costrinsero a dividerci, impegnandoci ad eliminare diversi nemici. Rick corse alla prigione. Dal bosco, apparse una quantità smisurata di putrefatti. Una vera e propria orda. Non potevamo più stare lì, non era sicuro. Dovevamo fuggire, ma i soldati continuavano a sparare non curanti del pericolo alle loro spalle. Un urlo straziante si levò al cielo. Nonostante gli spari, le granate, la confusione.. quel grido primeggiò sul tutto. Vidi Maggie gettarsi a terra gemendo, sconvolta con occhi gonfi di lacrime. Mi voltai nella direzione di quella voce sofferta. Rick. Rick che fissava la porta del blocco. Davanti a questa, vi era Philip. Aveva qualcosa in mano, qualcosa che sanguinava copiosamente. La mia mente si bloccò e così il corpo. Quando i miei occhi ebbero focalizzato cosa teneva, mi sentii privata di ogni cosa. Svuotata. Il braccio destro, il quale era alzato in modo che tutti potessero vedere, mostrava la testa di Hershel.

 

Parte 2
Philip

Il cecchino, come ordinato, sparò alla donna sulla torretta di guardia. Segnale che informava il conducente del pullman di sfondare la recinzione principale. Il gruppo si riparò inutilmente, credendo che le pallottole fossero l'unico problema. Pregustavo il terrore che si sarebbe formato nei loro occhi, una volta aperti i portelloni. Stavolta non me ne sarei andato, non avrei permesso che restassero in vita a lungo. Avevo pazientato fin troppo. Kendra si era rivelata un'incapace, una traditrice. Avevo sbagliato a credere in lei e peggio ancora, avevo errato a non ucciderla l'altra notte, quando ne avevo avuto l'occasione. Ma picchiarla mi aveva dato una piccola soddisfazione. Si era comunque rivelato inutile, ella ha deciso di continuare la guerra dalla loro parte. Scelta che gli sarebbe costata la vita. L'avrei uccisa con le mie stesse mani, così come avrei giustiziato brutalmente Michonne. Volevo morto anche il loro capo, Rick. Degli altri non mi importava, ci avrebbero pensato i miei uomini o gli azzannatori. Il conducente spalancò i portelloni, permettendo a quegli esseri di cibarsi di quei bastardi. Kendra mirò le nostre vetture, ma la distanza non le permise di avere una buona precisione. Il gruppo si sparpagliò nel panico. Tutto il loro finto coraggio si era prosciugato all'istante. Ero io a condurre il gioco.

-Sfondate il recinto con le auto. Prendete le armi, entriamo. – ordinai– Uccideteli!

-Ricevuto! – gridò un soldato – Muoviamoci.

Salii su un auto. Abbattemmo anche le altre recinzioni, facendoci strada fra i fetenti. I miei uomini sparavano senza pietà. Abbandonai la vettura e mi appostai dietro al pullman. Caricai la pistola e tenni sotto controllo la situazione. Lasciai le prime mosse agli scagnozzi, i quali avrebbero seminato paura. Le loro difese erano alquanto scadenti. Non avrebbero resistito molto. Gli zombie avanzavano affamati, costringendoli a dividersi. In questo modo sarebbe stato più facile sopraffarli. Erano in trappola, condannati a morte ed io, il loro boia. Il carrarmato colpì la prigione. La figlia del pastore corse verso l'edificio, ma fu bloccata dalla compagna dai capelli grigi. Martinez le seguì. Shumpert prese di mira Kendra, ma questa fu più veloce, abbattendolo. Puttana. Dovevo ucciderla, mi faceva ribollire il sangue. Quella bastarda non avrebbe dovuto mettermi il bastone fra le ruote. Sparai, ferendola purtroppo solo ad una gamba.

-Martinez! – chiamai – laggiù!

Scaricò il mitra sulla recinzione dove si erano riparati il fratello di Merle e la troia. Nel frattempo mi spostai, cercando la puttana con la spada. Mi muovevo velocemente fra gli azzannatori, ammazzandone alcuni. Il carrarmato fece fuoco nuovamente. L'aria si scaldò. Bruciava quasi. Le grida, gli spari. Mi appagavano. Avevo distrutto il loro piccolo paradiso e li stavo portando per mano all'inferno. Il pastore si diresse all'interno. Bene, un uomo in un vicolo cieco. La mia prima vittima. Mi trovai di colpo di fronte a Michonne. Le mollai un pugno dritto in faccia, con tutta la rabbia che avevo in corpo. Quella donna mi aveva portato via tutto. Cadde a terra come una bambola e le rubai la spada. Avrei voluto assassinarla, ma uno zombie mi prese alle spalle. Lo decapitai. Il suo sangue mi bagnò il volto. Dannati esseri. Ma non era l'unico, altri azzannatori mi furono addosso. Riuscii a divincolarmi, ma persi la pistola. Entrai nel blocco. L'anziano era distante pochi metri. Chiusi con forza la porta di metallo, in modo che il suono si propagasse fra quelle mura. Quello mi vide ed arrancò in quella che doveva essere una corsa per fuggirmi. Osservai la lucente lama della katana, la quale mi rifletteva. Come mi ero ridotto. Una bestia. Quella benda. Il sangue. Non ero più l'uomo di una volta. Ero cambiato, in meglio forse. Avevo costruito un impero, avevo persone al mio sevizio, avevo convinto tutti che la guerra fosse pace. Ero un leader. E un leader non lascia nemici vivi. Mi incamminai fra quei corridoi con passo lento, sicuro. Lasciai la mano morbida, giocherellando con l'impugnatura della spada. Questa strusciava con la punta sul pavimento. Un rumore stridente, fastidioso. Un suono che annunciava la sua dipartita.

-Beth! Beth! – gridava il pastore.

Doveva esserci anche sua figlia, nascosta da qualche parte. I detriti, le macerie, lo rallentavano. Poi si fermò, come per arrendersi. Aveva capito che era finita. Non pronunciò parola, limitandosi a guardarmi con quei suoi occhi che professavano giustizia, buon senso. Mi stava facendo la predica, quel bastardo voleva farmi credere che era tutto inutile. Povero mentecatto. Strinsi la presa dell'impugnatura, levando al cielo quella lama affilata. Affondai. Nella giugulare, proprio come Shumpert. La sua camicia si immerse di un fiume cremisi. L'uomo cadde all'indietro. Gli occhi aperti, il respiro soffocato dal proprio sangue. Era ancora vivo. Le urla di una ragazzina mi distrassero dal contemplare quella pozza di linfa rossa. Doveva trattarsi di Beth. Fu preda ai singhiozzi. Balbettava parole come 'papà – perché'. Ma non aveva il coraggio di muoversi, di farsi avanti. Restava al termine del corridoio, con lo sguardo fisso sul volto del padre. Lo spettacolo non era ancora finito. Avrei mostrato a tutti ciò che li aspettava. Mi accucciai sul pastore e fendendo nuovamente la lama, mi accanii su quel collo rugoso. Ad ogni colpo, quel liquido rosso ci imbrattava. La ragazza mormorava di fermarmi fra il pianto convulsivo. Ripetendo più volte a bassa voce di smetterla. Ma continuava a guardare, ad osservare la mia violenza, la foga. Finalmente riuscii a separare la testa dal corpo. Mi pulii il volto con la manica della giacca e mi avvicinai a quella smorfiosa insignificante. Per un attimo avevo pensato di eliminarla, ma subito la mente mi aveva proiettato un'altra soluzione. Ucciderla avrebbe alleviato solo il suo dolore, mentre io volevo che soffrisse in eterno. Perciò la lasciai lì, in compagnia del corpo del suo caro padre. Non avrebbe mai dimenticato quella scena. Mi sentivo onnipotente? Ovviamente sì. Spalancai quella dannata porta e, con odio, sollevai la testa dell'anziano, in modo che tutti potessero vederla. Il primo sguardo che la incrociò, fu quello di Rick. E ne fui immensamente felice. Lui non mi parve della stessa opinione, gridò. Un misto di rabbia e disperazione. L'avevo colpito, ferito più di una pallottola. Ero al centro della situazione, tutti gli occhi erano puntati su di me. Sui loro volti si erano formate espressioni di dolore, incredulità, quasi fossero frastornati. Ma quella era la realtà, non si sarebbero mai svegliati dall'incubo. Il gruppo si mosse per venirmi incontro, ma furono bloccati dai miei scagnozzi e da un'orda di azzannatori che si faceva sempre più vicina. Mancava ormai poco alla loro resa. Rick, essendo stato più distante, fu l'unico a riuscire a raggiungermi. Gettai il capo lontano da me, il quale rotolò fra la polvere. Mi si lanciò addosso, come un leone che tenta di acchiappare una gazzella. Cademmo entrambi a terra. La spada scivolò via. Era diventato una furia. Non ci risparmiammo. Lasciai che affondasse i suoi primi pugni, tanto per fargli credere che potesse farcela. Ma in un attimo ci scambiammo i ruoli. Ora era lui con la schiena al suolo ed io l'aggressore. Le mie mani fremevano dalla voglia di massacrarlo ed io non mi opposi. Le nocche si abbattevano sul suo corpo, tanto da percepire le ossa. L'avrei ucciso di botte. No armi, niente di materiale. Solo io e lui. Divenne livido in poco tempo. La faccia gonfia, l'occhio nero e iniettato di sangue. Grondante di cremisi. Una mano stringeva il colletto della sua maglia, in modo da fargli alzare la testa, e l'altra si gettava su di lui. Intorno a noi vi erano urla, spari. Ma tutto mi sembrava ovattato, confuso. Ero concentrato unicamente sulla mia vittima, così tanto da non rendermi conto cosa stesse avvenendo nelle vicinanze. Gemeva dal dolore, era vicino ad uno svenimento. Mancava poco. Poi, un getto di sangue si riversò su di lui. I muscoli vibrarono. Una lama. La katana affiorava dal mio addome. Le mani ebbero uno spasmo, permettendo alla testa di Rick di ricadere a terra. L'arma bianca fu estratta. Fu in quel preciso istante che avvertii l'intensità del dolore. Stramazzai, cadendo di lato. Vidi il cielo, il fumo. Qualcuno sollevò l'uomo che tanto disprezzavo. Scapparono. Tutti urlavano e fuggivano. L'ondata di non morti aveva fatto il proprio ingresso, ponendo fine allo scontro. Non poteva finire così, non era questo quello che avevo pianificato. Sarei dovuto uscirne vincitore. Non dovevo morire. Non posso, io non posso morire qui.
 

Parte 3
 Kendra

Qualcosa esplose, granate, auto, non saprei. Mi trovai a terra, dolorante. La testa ruotava, avevo le vertigini, come se fossi stata per troppo tempo su di una giostra. Ogni suono mi giungeva ovattato. Cercai di alzarmi, facendo leva sulle mani, ma non avevo equilibrio. Mi aggrappai a ciò che rimaneva della recinzione, potendo così costatare quale forza catastrofica si fosse abbattuta sulla prigione. Un uomo ferito, dotato di un lanciafiamme, tentava di far arretrare il branco di putrefatti col fuoco, trasformando li in torce vaganti. Zoppicai a fatica lungo la rete, muovendomi a piccoli ed incerti passi. In lontananza vidi Glenn gettarsi nella boscaglia, in fuga. Mi guardai velocemente attorno, nella speranza di scorgere qualcuno del gruppo, ma non trovai nessuno. Temetti di vedere i loro volti fra i corpi seminati nel cortile, ma fortunatamente non ve ne era l'ombra. Certo, non potevo comunque esserne sicura, fiamme e polvere avevano occupato l'aria, rendendo difficile l'orientamento. Ricordai l'urlo di Rick, l'ultima cosa che avevo udito perfettamente. Portai immediatamente lo sguardo alla porta del blocco. Corsi, allontanando i putridi che mi si schieravano davanti a colpi di tubo di ferro, il quale avevo raccolto vicino ad un rottame di un'auto. Era pericoloso restare nel perimetro, dovevo assolutamente fuggire. Caddi sulle ginocchia non appena vidi Philip disteso a terra, con le mani occupate a premere una ferita all'addome. Sgorgava molto sangue, come una sorgente. Mi avvicinai carponi. Sollevai la sua testa, accarezzando per un'ultima volta i suoi morbidi capelli. Il suo occhio glaciale mi guardava, con fare perso, come se vedesse altro intorno alla mia figura. Stava morendo lentamente, circondato dal caos che egli stesso aveva partorito. Era stato un bastardo, un assassino, un vero e proprio mietitore. Mi avrebbe uccisa senza esitazione, eppure non potevo evitar quella strana sensazione che la sua immagine mi offriva, pietà. Aveva perso tutto a causa della sua follia ed ingordigia di potere. Le palpebre si chiusero, come le tende di un sipario al termine dello spettacolo, e le sue mani scivolarono lungo il corpo. Avrei dovuto sparargli, un colpo preciso alla fronte. L'idea che si potesse trasformare mi schifava quasi. Afferrai tremolante la glock, puntando la canna a quello che ormai era un cadavere. Cazzo. Non riuscivo a premere quel dannato grilletto, non comprendendo quale fottutissima ragione me lo impedisse. Rinfoderai la pistola ed abbandonai quel corpo. Gettai via il tubo ed arrancai verso un buco nella recinzione, squarcio che mi avrebbe permesso di fuggire nella vegetazione. Il mio piede si scontrò con qualcosa di metallico, obbligandomi ad abbassare lo sguardo per capire cosa fosse. Notai la balestra di Daryl, ricoperta di terra. La scossi, rimuovendo lo strato di sporco più superficiale, e la indossai per la tracolla. Ma i miei occhi furono catturati da un altro particolare, particolare che avrei preferito trascurare. La gola si infiammò, provocando una leggere lacrimazione ai bulbi oculari, ma non piansi, trattenendo così quelle lacrime salate. La testa di Hershel era viva. Il processo di trasformazione si era già compiuto. Le iridi sembravano ricoperte da un velo grigio. La bocca era spalancata, attenta a mordere l'aria. Il branco di zombi si accorse di me, dopo aver divorato quel coraggioso soldato. Era arrivato il momento di scappare a gambe levate, ma non potevo lasciare lì Hersh, in quelle condizioni. Scusami. Affondai nella sua tempia il tirapugni bilama, dandogli così la pace che meritava. Presi fra le mie braccia quella testa, decisa di seppellirlo una volta al sicuro. Oltrepassai il recinto d'acciaio e mi tuffai in quell'oceano muschiato.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 : Punto e a capo ***


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Angolo autrice.
Salve lettori, eccomi con un nuovo capitolo fresco fresco.
Scusatemi se sono lenta ad aggiornare, ma la scuola mi sta impegnando molto.
Ringrazio tutti per le recensioni ed anche i lettori silenziosi che continuano a seguirmi e a mettermi fra i preferiti.
Mi fa sempre piacere leggervi, quindi non esitate a scrivermi le vostre opinioni.
Adesso troveremo una Kendra più fredda, introspettiva. Ciò che è accaduto la tormenterà per molto, ora che ha perso tutti.
Ma la domanda è : resterà sola a lungo?
Buona lettura :*

 

Capitolo 12 : Punto e a capo


Corri, corri. Non fermarti. I miei piedi scattavano sotto di me, quasi si fossero animati di vita propria. La ricca vegetazione sfumava al mio passaggio. Il paesaggio era infinito, uguale a se stesso. Pareva di esser sempre al punto di partenza. Non sapevo dove andare, non avevo un minimo piano né una fottuta idea di quello che avrei dovuto fare. La mia coscienza continuava a ripetermi di scappare, fuggire dall'orrore a cui il destino mi aveva legato.

Scacciai le immagini dalla mia mente, non volevo ripercorrere quei momenti. I capelli di Hershel si intrecciavano come seta alle mie dita sporche di sangue. Avrei voluto chiudere gli occhi, dimenticare tutto. Sebbene avessi fra le mani la sua testa, non avevo il coraggio di guardarla. Mi muovevo frettolosa come una lepre in fuga da una volpe selvatica. Dovevo trovare un riparo, un rifugio, ma il più lontano possibile. Mi chiesi per quale dannato motivo il gruppo non si fosse creato un piano di fuga o almeno un luogo d'incontro nel caso ci fossimo divisi. Mi pareva strano che Rick non ci avesse pensato, scrupoloso com'era. Mi venne il dubbio. Il dubbio che lo sceriffo avesse davvero pensato di farcela, di sconfiggere l'uomo nero. Non poteva esser stato così superbo. Ma d'altronde, non lo conoscevo affatto. Non conoscevo nessuno di loro a dirla tutta. Mi ero infilata in uno stupido scontro, mi ero schierata dalla loro parte, poiché in fondo mi ero sentita in colpa, responsabile. Ed oltretutto, mi ero affezionata, in un così poco tempo da rimaner stupita io stessa. Era inutile rimuginare su ciò che era avvenuto, sulle mie scelte, si trattava ormai del passato. Niente poteva cambiare.

Percepii i polmoni stramazzare, chiedermi pietà. Mi fermai, accorgendomi di avere il fiato corto. Annaspavo come emersa da un'apnea prolungata. Appoggiata ad un albero, mi guardai intorno. Non scorsi alcun putrefatto. Sull'albero di fronte, notai una grossa x rossa. Qualcuno aveva segnato un percorso. Probabilmente, mi avrebbe orientato verso qualche rifugio o baita. Era una buona zona per la caccia, quindi non era da escludere l'ipotesi che vi potesse essere qualche edificio per i cacciatori o addirittura per i boyscout. Ne avevo incontrati molti. Camminai un poco nelle vicinanze, speranzosa di trovare nuovamente quel simbolo. E fu così. Speravo inoltre che non si trovasse troppo lontano. Il mio corpo reagiva a fatica ai miei ordini. Ero spossata, stanca, ferita. Mi reggevo ancora in piedi grazie esclusivamente alla determinazione.

Di quei tempi non potevo permettermi di mollare. Arrendersi portava solo ad una cosa, significava scegliere la morte. Dopo un'oretta circa, però, tutti i buoni propositi crollarono ed io con loro. Mi trovai sdraiata a terra col fiatone. Il sole brillava, irradiando con quei suoi bollenti raggi l'area circostante. Avrei preferito del venticello fresco. Per quanto mi sforzarsi di pensare ad altro, la mia mente continuava a trasportarmi nei miei effettivi sentimenti. Temevo per la vita degli altri. Non sapevo chi si era salvato, se qualcuno era ferito, se ce l'avrebbero fatta. Mille domande mi graffiavano dall'interno. Ero di nuovo sola. Anzi, in compagnia della testa di un uomo a cui avevo voluto bene. Un uomo che non si era mai mostrato ostile nei miei confronti, un uomo che si comportava quasi come un padre. - I buoni in questo mondo non possono sopravvivere – l'ho sentito dire così tante volte. Eppure non ci ho mai voluto credere. Ma sapevo che era vero, tutto ciò che avevo vissuto lo dimostrava. Le persone buone d'animo cadevano una dietro l'altra, come una pila di domino. Quel gruppo si stava frantumando. Era arrivato anche il loro momento.

Un lupo solitario, disdegnoso di un nuovo branco. Ero tornata questo. Una sopravvissuta che avrebbe dovuto contare solo su se stessa, cosa che, tuttavia, non mi era risultata difficile in passato, ma il problema era che avevo nuovamente fatto l'abitudine ad avere delle persone vicine. Il foro di proiettile sulla gamba si destò, portando con sé dolore e fastidio. Daryl fece capolino nel mio pensiero inconscio, ricordandomi che egli avrebbe voluto sbrindellarmi completamente il jeans per controllare che il bossolo fosse fuoriuscito o meno. Ma non avevo nessun buco sul retro della coscia, ciò significava che l'oggetto si trovava ancora indisturbato fra la mia carne. Avrei dovuto estrarlo, ma prima volevo giungere a quel riparo tanto desiderato, e magari circondarmi di quel silenzio, rendendomi davvero conto di quello che era accaduto.

Certo, ero lucida ed avevo ben chiara tutta la vicenda, ma questa ancora non era stata elaborata. Dopotutto non ne avevo avuto il tempo e finchè fossi stata occupata, concentrata sul non restare all'aperto, non l'avrei affrontata del tutto. Sapevo che quando mi sarei ritrovata in quella baita, dopo essermi chiusa alle spalle la porta, lì, lì sarei crollata. Quand'ebbi recuperato le poche forze che avevo ancora in corpo, proseguii in quella fitta radura. La balestra dondolava sulla mia schiena, oscillando al ritmo dei miei passi abbozzati. Non dava l'idea di essere un oggetto pesante, eppure stava cominciando a farsi sentire fin troppo. Ma forse si trattava solo di un disperato tentativo del mio corpo di chiedere pietà. La testa lottava con me, tentando in tutti i modi di proiettarmi i loro volti. Rick, Beth, Glenn, Maggie, Carol, Carl, Judith, Michonne e Daryl. Scacciai quelle immagini, ma sapevo che non avrei primeggiato a lungo. Dovevo comunque mettermi l'anima in pace, potevano essere morti ed anche se fossero stati in vita, non li avrei mai più rivisti. Quella dannata balestra avrebbe però riaperto questa profonda cicatrice. Forse avrei dovuto disfarmene.

D'un tratto vidi in lontananza una decina di putridi, occupati a gironzolare affamati in cerca di qualche spuntino fresco. Feci qualche passo indietro, attenta a non produrre alcun rumore. Forse avevo la possibilità di evitarli, non si erano ancora accorti della mia presenza. Ma ero così concentrata su quelli da non accorgermi di un putrefatto molto vicino, che mi assalì alle spalle. D'istinto calciai sul suo ginocchio, obbligandolo a cadere in avanti. Il tonfo allarmò i suoi compagni. Merda.

Arretrai immediatamente. Non potevo contare su un'agile corsa che mi avrebbe permesso di restare in vita. Le mie gambe erano pesanti come cemento. Dovevo trovare una soluzione al più presto, prima che quegli esseri mi raggiungessero. Mi guardai intorno nella speranza di un'illuminazione improvvisa. Poggiai la testa di Hersh a terra, non l'avrebbero neanche notata, dopotutto aveva già subito il processo di trasformazione, e mi aggrappai ad un robusto ramo. Scalai in fretta un albero massiccio, arrampicandomi con non molta grazia. Gli zombie si accalcarono a quel fusto, allungando le braccia marce in alto, come se potessero agguantarmi. Mi sentivo un gatto accerchiato da un branco di cani. Estrassi il bowie e, porgendomi un poco, trinciai quei dannati arti. In questo modo non avrebbero più potuto graffiarmi, permettendomi di espormi maggiormente. Mi calai ancora e trafissi uno ad uno quei crani fetidi. Scesi, atterrando sui loro resti puzzolenti. Notai un putrefatto arrancare zoppicando nella mia direzione. Impugnai la balestra e scoccai. Lo colpii ad un spalla. Non era come tirare con l'arco. Al secondo tentativo, l'essere si accasciò. Dopo aver recuperato e pulito i dardi sul jeans, tornai al mucchio di vaganti ed affettai il loro addome. Non potevo rischiare di imbattermi in un altro branco in queste condizioni. Ero sfinita, mi reggevo in piedi per miracolo.

Mi imbrattai delle loro viscere. Se avessi avuto delle corde avrei potuto emulare Michonne. Ma mi accontentai. Uno dei cadaveri indossava uno zainetto trucido e sporco in pelle nera. Mio. Lo sfilai dal suo vecchio proprietario e ne controllai l'interno. Vi trovai un diario, una bottiglia d'acqua, due vasetti di pesche sciroppate ed una torcia. Un ricco bottino. Non mi erano mai piaciute le pesche, ma stavolta non avrei obiettato. Era cibo, punto. Ero curiosa di leggere il diario, ma sapevo che mi avrebbe fatto male. D'altronde ero una ragazza emotiva, la quale si trovava anche in un momento abbastanza critico, e non solo, leggere quelle pagine inchiostrate avrebbe comportato ulteriore dispiacere per quell'uomo deceduto. La bottiglietta d'acqua era piena fino all'orlo, ma non avevo la certezza che questa fosse del tutto non infetta. L'avrei prima bollita. Giusto per essere più sicura. Prima di indossare lo zainetto, vi inserii anche la testa del pastore, lasciando così le mani libere. Sporca e puzzolente, tornai alla mia ricerca. Attraversai quella boscaglia, passeggiando spesso accanto ai putridi. Superai un corso d'acqua, dove mi rinfrescai, e seguii il percorso segnalato.

Non seppi quantificare quanto tempo fosse passato, ma finalmente scorsi dietro alcuni arbusti un rifugio. La struttura era in legno scuro, ricoperto da muschio ed alcune ramificazioni di edera. Ma per il resto sembrava proprio in ottimo stato. La porta era bloccata. Mi avvicinai ad una finestra, sbirciando all'interno. L'interno era ordinato, nessuno si era imbattuto in questa baita. Vidi dei pezzi di legno vicino al camino, alcune coperte, dei piatti sul lavabo. Forse qualcuno vi abitava ancora. Bussai sul vetro ed aspettai. Se ci fosse stato qualche vagante, si sarebbe presentato subito. Fortunatamente nessuno si fece vivo. Dovevo spaccare il vetro della finestra. Non avendo niente in cui avvolgere la mano per non ferire le nocche, lo distrussi con un calcio ben piazzato. Gli anfibi non mi deludevano mai. Entrai comunque sospettosa, stringendo il tirapugni. Era possibile che qualche putrido fosse bloccato dietro le altre porte dell'edificio. Aprii lentamente una porta, pronta a scattare se ce ne fosse stato bisogno, ma mi trovai di fronte a due letti singoli, con le coperte accuratamente piegate. Effettivamente all'interno del rifugio tutto sembrava troppo ordinato, oltre al grosso strato di polvere che ricopriva il tutto, vi era poco o nulla fuori posto. Era possibile che qualcuno fosse andato a caccia o in spedizione.

L'entrata era chiusa a chiave. Non era un luogo abbandonato. Speravo solamente che si trattasse di brave persone. Sul pavimento vi erano alcuni stracci. Controllai i cassetti di un comodino, curiosa di scoprire qualche informazione sul o sui residenti. Ma niente, erano tutti vuoti. Nell'armadio solo una falena. Cambiai stanza, esaminando il bagno. Molti panni sporchi era stati gettati in un angolo. Sul lavandino vidi poggiato uno spazzolino ed una lama da barba sporca di sangue. L'ultima stanza era un'altra camera da letto ricca di altre brandine, ve ne erano quattro. Ma davano l'idea di non esser mai state utilizzate, a differenza delle due dell'altra camera. Tornai in soggiorno. Sul tavolo vidi un bicchiere. Una sedia spostata. Tutto mi dava l'idea che vi abitasse un solo individuo. Ma era solo un'ipotesi. Nella credenza vi erano molte scorte di cibo. Avrei voluto prendere alcuni barattoli, ma pensai che fosse stato meglio non toccare nulla. Nel caso fosse tornato qualcuno, questo non si sarebbe adirato per esser stato derubato. Meglio iniziare col piede giusto. Poi mi voltai, guardando la finestra. Beh, si sarebbe incazzato comunque. Era meglio farsi trovare pronta. Mi sembrò di udire alcuni passi.

Afferrai la glock e mi posizionai alla parete accanto alla porta d'ingresso, in modo da poter puntare subito la pistola alla tempia del tizio che fosse entrato. Sempre se si trattava di un lui. La lama mi aveva fatto pensare ad un uomo, ma poteva essere anche una ragazza. Una chiave scattò lentamente nella serratura. Chiunque fosse stava cercando di non far rumore, pensando di non farsi notare da chi si trovasse all'interno. Peccato che avevo un udito felino. La maniglia si abbassò e la porta si mosse in avanti. Non feci in tempo a vedere la canna di un fucile, che un uomo balzò in avanti. Come immaginato, puntai la pistola alla sua testa. Un cappellino da baseball blu gli copriva parte del volto con la visiera ed essendo di profilo non potevo scorgere bene i suoi lineamenti. La sua stazza era ben pronunciata, un bestione insomma. Cercai di non farmi vedere intimorita. L'uomo portò le mani all'altezza delle spalle, come per arrendersi. Staccai quindi la pistola, facendo qualche passo indietro. Questo si voltò e ci scrutammo. Non appena vidi chiaramente il suo volto, abbassai l'arma ed egli fece lo stesso, riconoscendomi.

-Guarda un po' chi si rivede.. - disse fingendo un sorriso - .. non c'è la tua amichetta con la spada?

L'uomo a cui avevo preso la camicia da boscaiolo mi stava di fronte, vivo e vegeto. Per qualche strana ragione, fui felice di vederlo. Lo avevo conosciuto in un ironico frangente e ci avevo parlato giusto per un'oretta per insegnare a lui e al suo amico come passare inosservati fra i putrefatti, eppure mi dava positività.

-E il tuo?- chiesi.

Abbassò lo sguardo, costringendo le labbra in una smorfia. Ciò mi fece comprendere che fosse rimasto solo, era morto. Rinfoderai la pistola, facendogli capire che non volevo guai, ed egli posò il fucile sul tavolo, chiuse la porta, e si gettò sul divano.

-Sei venuta a sfrattarmi un'altra volta?

Mi sedetti su una poltrona.

-No, non ho intenzione di buttarti fuori. Vedo che ti sei sistemato bene..

Scosse le spalle. Finalmente avevo le chiappe su qualcosa di morbido. Una goduria.

-Sì, beh.. era di un'altra persona. Un vecchio scorbutico, ma un brav'uomo. Ora sono rimasto solo io. Ma tu.. non avevi un gruppo? – domandò fingendo di non ricordare.

Le mie dita affondarono nel bracciolo della poltrona, come in preda ad una terribile fitta. Se ne accorse e mi fece cenno di lasciar perdere. Non era più necessaria una risposta. Poi mi guardò meglio, notando le mie condizioni fisiche.

-Sei conciata parecchio male. Ascolta, non sono uno stronzo.. non fraintendermi. Se hai bisogno di rifocillarti, non c'è problema. Puoi restare. Ma ho giusto le scorte per me, che a fatica ho raccolto. Vorrei che tu poi te ne andassi. Intesi? Un giorno, due massimo.

Era andata già meglio di quanto pensassi. L'alloggio era tranquillo, il proprietario pure. L'indomani avrei potuto convincerlo a prolungare il soggiorno, se così avessi voluto. In realtà mi andava anche bene passarci un giorno solo, giusto per riprendermi mentalmente e fisicamente. Poi avrei dovuto far chiarezza, organizzarmi sul futuro.

-Mi va più che bene, non c'è bisogno di giustificarsi.

Mi tese la mano.

-Comunque sono Drake, l'altra volta non ci siamo presentati.. mi sei sembrata più interessata alla camicia.

Sorrisi, sorrisi nonostante l'orrore che avevo dentro. Quel viso conosciuto mi aveva risollevato temporaneamente.

-Kendra..beh, purtroppo non è durata molto.

 

*
 

L'acqua gelida della doccia giovò al mio corpo. Fu come destarsi da un lungo sogno, un incubo ad esser precisi. Il vecchio proprietario aveva maneggiato qualche tubo ed era riuscito a collegare la casa ad una sorgente qui vicina, di più Drake non aveva saputo dirmi. Il sangue di zombie si scrostò più facilmente, l'acqua fredda è il rimedio adatto per le macchie di sangue. Levai via quella sporcizia, quei fluidi corporei altrui. Sul bordo della vasca c'era addirittura una saponetta, ma non mi passò in mente nemmeno per un secondo l'idea di utilizzarla. Avevo ancora riguardo per la mia igiene, sebbene sembrasse ironico.

Fu un sollievo lavarsi. Fu come gettare tutte quelle immagini giù nello scarico, fu come buttarsi alle spalle quel passato ancora fresco. La polvere, il dolore, la morte. Tutto. Tutto finiva in un vortice, in uno scarico di una vasca, in uno chalet, in una fottuta radura del cazzo. Incrociai le braccia, poggiando le mani sulle spalle. Chiusi gli occhi. Quelle gelide gocce d'acqua scendevano sinuose lungo il mio corpo, ricordandomi di essere ancora viva. Io c'ero ancora in quella merda di mondo. In un modo o nell'altro ero sopravvissuta e dovevo continuare a farlo. Pensai a Drake. Era un brav'uomo anch'egli. Forse non aveva voluto mostrarsi fin troppo gentile, ma ero sicura che ad egli dispiacesse avermi detto quelle cose. Non credo che avesse davvero voluto buttarmi fuori, ma doveva comunque mostrarsi con un certo rigore. Mi rinvolsi in un asciugamano abbastanza preciso da coprirmi il necessario. Ora che la ferita era pulita, potevo estrarre il proiettile. Scavai in quel foro con la punta della lama di un coltello, digrignando i denti. Il bossolo cadde a terra. Tamponai la ferita con uno straccio. Avrei dovuto metterci un po' di resina. Mi guardai allo specchio. Avevo una faccia terribile. Si vedeva lontano un miglio che ero sconvolta. Non ero più brava come una volta a nascondere le mie emozioni. Strano. Dicono che situazioni del genere aiutano a formare un carattere forte. Io, invece, stavo andando in frantumi. La porta del bagno si spalancò di colpo, facendomi sussultare. Drake aveva di nuovo il fucile in mano.

-Sapevo che non c'era da fidarsi! – gridò.

Era agitato, incredulo. Non capivo cosa fosse successo. Poi, d'un tratto, il mio cervello elaborò la causa.

-Sei un'assassina psicopatica!

-Abbassa quell'arma, ti posso spiegare. – intimai.

Lui avanzò, poggiandomi la canna del fucile al petto. In un'altra situazione sarei stata in imbarazzo. Quell'asciugamano era troppo corto per i miei gusti, ma in quel momento ero più occupata a pensare come tranquillizzare il tizio.

-Drake, ti prego.. ascoltami. Non è come sembra, io..

Ma l'orso interruppe, continuando ad urlarmi contro.

-C'è una cazzo di testa nel tuo zaino! Non è come sembra?! E' proprio come sembra, cazzo! Quale persona sana di mente se ne andrebbe a giro con una cazzo di testa?

Aveva tutte le ragioni del mondo a reagire così, non suonava molto bene la cosa, effettivamente.

-Non sono un'assassina, tantomeno una psicopatica. Quello.. la testa era.. – non riuscivo a trovare le parole, la voce iniziò a tremolare, vacillando fra i ricordi di quella terribile scena – Hershel, era un amico.. era una persona speciale. Non meritava la fine che ha fatto. Sono scappata e ho portato la testa con me.. volevo dargli un funerale.. seppellirlo una volta trovato un luogo lontano e sicuro.

Il suo sguardo si addolcì, spegnendo le fiamme. Sollevò il fucile, massaggiandosi il collo. Si sentiva in colpa ed in imbarazzo. Non aggiunse altro. Se ne uscì, chiudendo la porta. Mi venne spontaneo tirare un sospiro di sollievo, sedendomi sul bordo della vasca. L'avevo vista brutta. Mi vestii velocemente, indossando alcuni abiti che quel furioso mi aveva prestato. Ero inguardabile. Pantaloni da uomo con cavallo basso, una T- shirt abnorme. Sembravo un rapper squattrinato. Ma almeno avrei potuto lavare i miei vestiti. Li misi in ammollo per un poco e poi strusciai forte, cercando di eliminare qualsiasi tipo di residuo. Dalla finestra filtravano i raggi bollenti del sole. Con quel caldo afoso si sarebbero asciutti in un baleno. Aprii la persiana e poggiai gli abiti su di un ramo che si ramificava proprio nelle vicinanze della finestra, fungendo da stendino. Giunta in soggiorno, vidi lo zaino aperto e Drake sulla porta d'ingresso. In mano aveva una straccio grigio. Aveva rinvolto la testa di Hershel. Mi indicò con lo sguardo una pala appoggiata al divano. L'afferrai senza proferire parola ed uscimmo fuori.

Camminammo per dieci minuti, finchè non giungemmo ad uno spiazzo meraviglioso. Un campo ricoperto di fiori gialli e viola. Il loro profumo delicato si avvertiva nell'aria. Visioni banali come queste, in quel mondo regalavano emozioni più profonde. Si apprezzava maggiormente ogni cosa, ogni aspetto della vita. Guardai Drake, incredula. Avevo capito fin dal primo istante in cui l'avevo visto in quella farmacia che era una brava persona, ma mai avrei creduto così empatico ed emotivo. Lì era perfetto. Non ero religiosa, ma volevo credere che l'anima di Hershel potesse apprezzare. Probabilmente non avrebbe fatto differenza alcuna se l'avessi lasciata alla prigione, ma il mio cuore mi aveva fatto agire così. Era stata un'azione spontanea, non pensata. Affondai nel terreno quella pala d'acciaio, scavando una piccola fossa. Nel frattempo Drake aveva costruito una croce con due rametti, tenendoli legati con dello spago da cucina. Mi persi in un monologo interiore, ricordando le gesta di quell'uomo, le poche che avevo potuto vedere, ma che erano bastate a farmi capire quali virtù avesse. Guardai per un'ultima volta quei bianchi lucenti capelli, poi ricoprii di terra la fossa, versando qualche lacrima in silenzio. Riposa in pace.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 : Montagne russe ***


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Capitolo 13 : Montagne russe



Le sue grosse mani brandivano quell'accetta affilata, accanendosi su quei tranci di legno. Il tempo era balordo in quelle settimane, il giorno si schiantava di caldo e la notte si gelava dal freddo. La temperatura calava a picco, costringendoci a far sempre rifornimento di legna. Fortunatamente la casa disponeva di un camino, ciò ci rendeva tutto più facile. Alla fine Drake non mi aveva più chiesto di andarmene ed io non ero tornata sul discorso. Credo che entrambi fossimo contenti di esserci ritrovati, nessuno dei due aveva intenzione di restare solo nuovamente, per quanto ci dolesse ammetterlo. Aveva perciò dato inizio a questa collaborazione, convivenza se si può dire. Cacciavamo, andavamo in spedizione. Insomma, non eravamo a corto di cibo. Lo chalet era solido, sicuro. Qualche mandria di putrefatti si era scontrata su di esso, ma eravamo riusciti a debellarle tranquillamente. Per il momento le cose andavano bene. Non ne ero né felice né sollevata, avevo imparato a non gioire delle situazioni per quanto ottimali potessero essere, non volevo illudermi. Meglio restare coi piedi per terra, pronti ad una possibile burrasca. Dietro ad un mare piatto, vi è sempre una tempesta in agguato. Accatastammo i tronchetti di legno in una scatola e rientrammo. Accesi il fuoco, sedendomi poi a terra vicino ad esso. Il sole era calato e il freddo alle porte. La finestra che avevo rotto per intrufolarmi, l'avevamo riparata con qualche asse, ma purtroppo entravano degli spifferi. Cuocemmo sulla fiamma degli uccellini che avevo impalato coi dardi. Adoravo la carne di quei pennuti. Drake si strinse nella sua felpa antracite. Era moro, capelli corti e scompigliati, barba non curata ed occhi verdi scuri. La pelle tendeva all'olivastro. Mi aveva detto di aver trentadue anni, di aver perso la famiglia fin dall'inizio, di essersi trovato in un gruppo e di averci passato un anno in una cittadina. Poi le cose si erano messe male, erano fuggiti prendendo strade diverse. Un po' com'era successo a me. Alla fine erano rimasti solo in due, lui e il suo amico Greg. Ed adesso eravamo noi. Ci eravamo interrogati a vicenda i primi giorni, come per accelerare una specie di amicizia forzata, ma almeno avevamo evitato future domande. Sapevamo dell'altro quello che c'era da sapere, quello che avevamo ritenuto dispensabile. Poco ovviamente, ma andava benissimo così. La sua mascella pronunciata scattava per dilaniare quella succosa carne. Il sapore era ottimo. Quando ne avevo l'occasione, tornavo sul luogo dove avevo seppellito Hersh. Avevo promesso a me stessa che non ci avrei più pensato, ma non riuscivo a dimenticarlo, a dimenticarli. Una parte di me sperava con tutta se stessa che fossero salvi, che stessero bene. Sapevo che era alquanto improbabile, era impossibile che tutti fossero vivi. Ma sperarlo mi faceva quasi credere che fosse vero, passando così meglio le giornate. Certo, non li avrei più rivisti, ma almeno ero dell'idea che potessero avercela fatta. Dopotutto, loro erano diversi.

-Ti mancano, non è così? – domandò, interrompendo la mia riflessione.

Buttai giù il boccone.

-Non ci penso nemmeno più. – sentenziai.

Si leccò le dita, prima di pulirsele sulla felpa.

-Conosco quello sguardo..

-Beh, ti sbagli. – dissi, tirando un ultimo morso.

-Sai, stavo pensando che potremmo cercarli. Insomma, da come li hai descritti sembrano dei tipi in gamba. Mi risulta difficile credere che non siano sopravvissuti. Magari in gruppo riusciremmo ad organizzarci bene qui. Potremmo addirittura costruire un altro capanno.

Gettai il resto dell'animale fra le fiamme.

-Credi davvero nelle stronzate che dici?

Mi guardò indispettito.

-Era solo un'idea. Vedo che ci stai male. E' anche possibile che non si siano allontanati più di tanto.

-E a te cosa ne verrebbe, eh? Hai sempre detto di non voler più far parte di un gruppo, che ti era bastato. Eravamo d'accordo su questo.

Aggiustò il fuoco, spostando qualche pezzo di legno ed aggiungendocene qualchedun altro.

-Sì, è vero. Ma non sono uno stupido. Lo so che con la scusa della caccia vai a quel campo di fiori.

Mi sentii stretta in un angolo. Colpita ed affondata.

-Beh, anche se fossero vivi sarebbe alquanto improbabile incontrarli. Sono passate due settimane, potrebbero essere lontanissimi ormai. Comunque sono morti, facciamocene una ragione.

Rise.

-Ma non ti senti? Se pensavi davvero che fossero morti, l'avresti detto subito, tralasciando il discorso di dove potrebbero trovarsi. Evita di mentire, con me non attacca.

Gli tirai un'occhiataccia. Non mi piaceva esser compresa così. Capì comunque che il discorso era chiuso, non avrei mai accettato di andarli a cercare. Era rischioso. Inutile peggiorare la situazione, dovevamo solamente approfittare della quiete di quel momento. Sembrava una pausa idilliaca e non l'avrei spezzata per niente al mondo. A pancia piena, mi gettai sulla poltrona, abbracciando le gambe poggiate sul petto. Osservavo l'animarsi delle fiamme, le sfumature di quell'arancione vivo. Drake si sdraiò sul divano, intrecciando le mani dietro la nuca. La felpa, nonostante fosse voluminosa, permetteva ai suoi muscoli di farsi notare. Con quella stazza era facile sopravvivere più a lungo.

-Ho letto le prime pagine di quel diario.. – ammise - .. ma non ne vale la pena.

Compresi che era straziante. La lettura di quelle pagine doveva essere una tortura. Ci eravamo abituati a vivere giorno per giorno. Questa era la nuova realtà, eravamo ben consapevoli che il mondo di una volta era andato a puttane e non sarebbe più tornato lo stesso. Trovare ricordi e dolore di un'altra persona, un'altra pedina caduta, riaffiorava solamente tutte quelle emozioni che cercavamo di reprimere ogni minuto della nostra esistenza incerta. Non l'avrei letto, né ci avrei provato. Ammirai il coraggio di quel ragazzo, si era messo alla prova. Se ci fosse riuscito senza batter ciglio, lo avrebbe reso più forte. Era come costruirsi una barriera, un qualcosa che potesse tenerci lontano dalla sofferenza. Ma in verità io e Drake non eravamo poi così tanto differenti. Ci impegnavamo così tanto a mostrarci duri ed impassibili con gli altri, da non renderci conto che li rendevamo parte di noi. Ogni morte di un nostro compagno, la subivamo come un perdita di una parte di noi. Certo, non lo dichiaravamo ai quattro venti, ma era così. Scrutai le ombre delle fiamme ondeggiare sul corpo di Drake. Facevo di tutto per non provare niente per quel ragazzo, lottavo con me stessa per impedire qualsiasi tipo d'affetto. Ma in realtà già avevamo legato. Drake era riuscito a mantenermi integra, come se avesse riparato ogni mia crepa. Mi aveva donato stabilità. Ne ero grata. Senza di lui sarei sfociata nella depressione più profonda. Vero, a volte mi infastidiva. Si divertiva a farmi innervosire, ma sapevo che lo faceva per distrarmi. La mia mente mi riportò la frase – è un bravo ragazzo – e subito la sua subordinata – le brave persone muoiono – trafiggendomi. Spostai subito lo sguardo, tornando al camino. Di tanto in tanto il legno scricchiolava, come se soffrisse di quel calore. Mi accoccolai su quella comoda poltrona, perdendomi nei miei pensieri, finchè tutto si fece scuro.
 

*

Correvo per le scale, quasi i miei piedi volassero. Rischiai più volte di inciampare, ma restai aggrappata al corrimano. Percepivo fremermi le budella, ero in uno stato d'agitazione e panico. Imponevo a me stessa di restare coi nervi saldi, ma la pressione era aumentata. Rischiavo un attacco di panico e non potevo permettermelo. Spalancai con forza la porta, gettandomi su di lei. La strinsi in una morsa disperata. Comprese che qualcosa non andava e si divincolò, stringendo fra le mani il proprio peluche. I suoi occhi si fecero lucidi e rossi. Presi da sotto il letto il suo borsone di danza ed incominciai a riempirlo di abiti e di tutto ciò che ritenevo necessario in quella stanza. Dei colpi dal piano inferiore ci fecero sobbalzare. Temevo che mamma e papà potessero sfondare la porta. Dovevamo andarcene il prima possibile. Degli spari iniziarono ad echeggiare nel vicinato. Cassie si tappò le orecchie e sfociò in un pianto. Mi affacciai alla finestra e ciò che vidi mi terrorizzò. Un'orda di quei cosi vagava nel quartiere. Tutti erano in fuga, occupati a caricare le auto. Dobbiamo andarcene da qui, pensai. E' troppo pericoloso. Strattonai Cassie, obbligandola a guardarmi negli occhi.

-Ti ricordi quando andavamo in campeggio e facevamo la gara a chi preparava la borsa più in fretta? – chiesi assumendo un tono pacato.

Ella mi guardò con quei suoi occhioni azzurri, con labbra tremolanti. Annuì.

-Tu pensa alle tue cose, d'accordo? Io scendo giù e prendo da mangiare. Partiamo subito.

Le afferrai quelle morbide mani, come per rassicurarla. Non era stupida, sapeva che era successo qualcosa di grave. Ancora non aveva idea del peggioramento di quella che sembrava un innocua malattia, non aveva visto a cosa portava, ma aveva sentito gli spari e i suoni gutturali che provenivano dalla camera degli ospiti. Era già entrata nell'orrore. Corsi giù in cantina ed agguantai i due borsoni di nostro padre, uno era sigillato da un lucchetto. Conteneva delle armi da fuoco. Cercai frettolosamente le chiavi nei vari cassetti, sopra e sotto i mobili. Rimuginando sul dove potesse averle nascoste. Poi, rabbrividii. Erano nel suo portafoglio. Le portava sempre con sé. Ma se fossi entrata in quella stanza, mia madre mi avrebbe aggredita in un secondo. Avrei trovato un modo per spezzare il lucchetto in un secondo momento. Fortunatamente in macchina vi era sempre una pistola, una glock 19 mm. Mi sarebbe bastata in caso di pericolo. Entrai in garage, gettando il borsone occluso nel portabagagli. Vidi il mio arco riparato all'interno. Papà lo aveva preso il giorno prima, pagando parecchio la restaurazione. Tornai in cucina, svuotando il frigorifero e la credenza. Non avevo idea di dove saremmo andate, perciò prendevo tutto. Non volevo restare in brutte situazioni senza cibo ed oggetti necessari. Tutto ciò che mi pareva utile, finiva nel borsone senza un ordine preciso. La televisione trasmetteva immagini di vari attacchi in altre città. Tolsi il muto e mi incollai a quello schermo, in cerca di informazioni. La malattia si era diffusa in una velocità assurda, infettando parecchie migliaia di persone. Chi veniva morso o graffiato, si trasformava in quelle cose. Mandarono in onda alcune immagini terribili, un ragazzino che sparava a quegli esseri. Ma questi non mostravano alcun dolore, anzi, continuavano ad avanzare aggressivi. Gli esperti non capivano cosa stesse succedendo, tutto era andato nel deliro più totale. Queste cose erano aggressive e dilaniavano chiunque incontrassero. Se i proiettili non bastavano, dovevamo trovare qualcos'altro. Entrai in bagno e presi gli spazzolini, carta igienica e sapone. Ero disperata, sudavo freddo. Non riuscivo a pensare. Udii alcuni passi e vidi Cassie immersa nelle lacrime con il borsone pronto. La presi in braccio e corsi all'auto. Le misi la cintura. Avrei dato parecchio di gas. Se mamma e papà fossero rimasti chiusi in quella stanza, forse al momento della cura, avremmo potuto farli tornare in sé. Bloccai quindi la porta della stanza, usando il divano come rinforzo. A presto, pensai. Tornai in auto e il basculante del garage si alzò.

-Chiudi gli occhi Cassie, non guardare.

Ma ella non ubbidì. Sfrecciamo lungo la strada, cercando di scansare gli infetti. Si udivano perfettamente grida, spari, paura. Accesi la radio, sperando in qualche notizia costruttiva. Cambiai più stazioni, alcune avevano interrotto le comunicazioni. Non poteva essere andato tutto in puttane in così poco tempo. Finalmente una voce maschile echeggiò nell'auto. Il segnale era disturbato, capivo qualche parola di tanto in tanto. Atlanta, esercito, soccorsi, salvezza. Zona sicura, rifugio. Cazzo, Atlanta distava parecchio. Ci volevano minimo due giorni di viaggio senza tappe intermedie. Ma non era un problema, avrei fatto di tutto per portare in salvo Cassie. Noi, dovevamo farcela.
 

*
 

Sobbalzai all'improvviso, destandomi da quell'incubo. La sala era ancora buia, non avevo dormito molto. Mi accorsi di avere la mano di Drake sulla spalla e scattai a sedere, vigile come una lince. Egli si fece più lontano, tornando sul divano. Lo interrogai con lo sguardo.

-Ti stavi agitando. Ho pensato che fosse meglio svegliarti.

Ravvivai i riccioli, scompigliandoli un poco alla radice. Aveva fatto bene a svegliarmi, non avrei voluto ripercorrere quei giorni, soprattutto l'arrivo ad Atlanta. Mi guardai la fascia bordeaux sul polso sinistro. Apparteneva a Cassie. Copriva quella cicatrice, quella mia azione stupida. Ancora non mi perdonavo per ciò che le era successo. Portavo sempre con me quella fascia per ricordare, per aiutarmi a non mollare.

-Ora sarà difficile appisolarsi di nuovo.. – ribattei.

Fece spallucce, come per fregarsene.

-Come se fosse una novità. – aggiunse.

Impossibile dargli torto. Sebbene ci trovassimo al sicuro, nessuno aveva recuperato il giusto ritmo. Non dormivamo abbastanza e quando riuscivamo a chiuder occhio, eravamo sempre con le orecchie tese a percepire qualsiasi tipo di rumore, pronti a scattare se ce ne fosse stato il bisogno. Un sonno leggero il nostro, tormentato. Ma chiunque fosse sopravvissuto si trovava nelle stesse condizioni. Le nostre vite erano appese ad un filo, una mossa sbagliata e diventavamo i nemici, coloro da cui tanto scappavamo.

-Domattina potremmo spingerci oltre, oltrepassare quella strada che abbiamo visto in lontananza. Gli animali cominciano a scarseggiare, se siamo fortunati ci imbattiamo in qualche casetta o negozio.

Annuii, mostrandomi consenziente. Ultimamente ci cibavamo di piccoli uccellini e qualche serpente, ma non sempre riuscivamo a trovarli. Di lepri non se ne vedevano più e le scorte stavano terminando. Non mi piaceva l'idea di allontanarci così tanto dal rifugio, ma non potevamo fare altrimenti. Il cibo rappresentava una priorità.

-Andiamoci subito, no? Fra un'oretta, massimo due, ci sarà già moltissima luce. Approfittiamone, almeno avremo qualche ora in più per starcene a giro.

Tamburellò con le dita sul soffice divano, osservando il cielo dalla finestra.

-Ma sì, non mi pare una brutta idea. Così potremo fare le cose con calma. – affermò soddisfatto.

Mi sgranchii le gambe. Avendo dormito tutta storta, mi dolevano leggermente. Calzai gli anfibi, balestra in spalla, bowie affilato. Drake prese il suo caro ed amato fucile a canne mozze, uno zaino ed un machete. Chiudemmo a chiave la porta e ci incamminammo. Le torce elettriche ci consentivano di poter vedere nelle zone più buie, ma il cielo si stava schiarendo pian piano ad ogni nostro passo. Udivamo in lontananza alcuni gemiti dei putridi, ma finchè distavano molto non sarebbero stati un problema. Inutile sprecare le energie. Passammo proprio per quel campo fiorito, ma non scrutai quella croce. Drake mi squadrava, come se aspettasse un mio cedimento. Ma non gliela avrei data vinta. Il pensare a loro non si riduceva ad un singolo sguardo alla fossa di Hersh. Loro erano rimasti nei miei ricordi, in me. Quando oltrepassammo il confine che ci eravamo imposti, ormai il sole primeggiava nel cielo, illuminando l'area circostante, mostrando così l'orrore divenuto quotidianità. Abbattemmo qualche putrefatto che ci aveva raggiunto e continuammo la nostra spedizione, parlando del più e del meno. Raramente  esploravamo in silenzio, era facile cadere in qualche dialogo più o meno interessante. Ma parlavamo comunque, come per distrarci e non abbandonare quella consuetudine che ci rendeva umani. Non eravamo poi così tanto distanti dall'esser diventati selvaggi, ma erano azioni banali come quelle dell'esprimerci che ci aiutavano a non perdere la nostra umanità. Mi raccontò qualche aneddoto sulla sua vita scolastica, su quanto tutti i ragazzacci gli stessero alla larga essendo egli un armadio muscoloso. Sicuramente non aveva sofferto di bullismo. Ridemmo un poco. A volte mi stupivo di riuscire ancora a farlo. Mi chiedevo quando anche quel semplice gesto si sarebbe trasformato in un vecchio ricordo. Un forte rumore ci costrinse a levare al cielo gli occhi. Un elicottero fumante sorvolò la zona a gran velocità. D'istinto pensai a come attirare la sua attenzione, ma quel fumo grigio mi convinse che non sarebbe stato utile.  Probabilmente lo stesso pensiero attraversò anche Drake, infatti sembrò non esserne attratto. Continuammo a seguire la strada, facendo attenzione allo spostamento del sole. Tenevamo d'occhio il tempo. L'orologio nero ossidiana che mi aveva dato Rick si era rotto, ma non lo avevo gettato. Lo tenevo ancora con me, nella tasca dello zaino di pelle. Volevamo essere sicuri di aver poi il tempo necessario per tornare in dietro prima che calasse la notte. Notammo una baracca mal conciata a causa delle intemperie. Un albero era crollato sul tetto. Tre giorni fa si era abbattuta una terribile burrasca. Gli effetti erano ben visibili nella zona. Rami spezzati, alberi a terra. Un caos. Molti putridi erano bloccati sotto alcuni tronchi. Innocui. Li superammo fino a giungere alla baracca. Era un poco pericolante, ma all'interno vedevamo alcune scorte di cibo. Ci abbassammo per poter entrare, passando sotto a quel possente albero.

-Dannazione, altri fagioli. – borbottò.

-Un classico.

Agguantammo comunque quei barattoli, gettandoli negli zaini. Notammo una stanza ancora integra ed una a cui mancava una parte di parete. Quest'ultima si trattava di una stanza da letto ed erano visibili due corpi distesi sul materasso. Un possibile suicidio.

-Tu controlla di là, guarda se nel bagno ci sono delle medicine. Io guardo le camere. – ordinò.

Saltai un ramo di quell'albero ed aprii la porta. La vasca era distrutta e lo specchio sopra il lavandino era finito in frantumi. Calpestai quei pezzi di vetro, producendo uno scricchiolio tremolante. All'interno di un mobiletto ormai privo di ante, afferrai qualche flacone arancione ed una scatola per il pronto soccorso. Soddisfatta me ne uscii. Non avevamo mai trovato dei medicinali e del materiale per le medicazioni. Ma non feci in tempo ad informare Drake, che uno zombie mi agguantò la caviglia, facendomi perdere l'equilibrio. Caddi in avanti come un sacco di patate, sbattendo la testa sul tronco dell'albero. Quell'essere si avvinghiò alle mie gambe, arrampicandosi su di me. Era privo degli arti inferiori. Alcuni spari di fucile mi fecero allarmare. Anche Drake era nei guai. Prima che quel bastardo affondasse i denti nel mio fianco, lo infilzai col bowie, dividendo la sua testa a metà. Mi alzai stordita, la fronte sanguinava. Passai sotto al tronco e raggiunsi il mio amico. Vidi a terra quattro vaganti. Ci guardammo con chiarezza, dovevamo abbandonare immediatamente quella baracca. Ma quando fummo fuori, notammo la strada brulicare di quei dannati esseri. L'elicottero aveva attratto una mandria di vaganti.

-Siamo nella merda, cazzo. – urlò.

-Non possiamo eliminarli, dobbiamo scappare. – dissi tirandolo per la felpa.

Sputò a terra e poi iniziammo a correre, trucidando quelli che cercavano di imporsi sul nostro cammino. Anche dopo esserci inoltrati nella radura però, nonostante avessimo lasciato la strada, i putrefatti erano sparpagliati ovunque, obbligandoci a dover ideare qualche fottuto piano. Era impossibile tornare al rifugio, dovevamo aspettare che il branco continuasse la propria migrazione.

-Seguimi – gridai – cerchiamone due isolati e spalmiamoci quella merda addosso.

Non c'era altro rimedio, erano troppi. Non ne avevo mai visti così tanti. Corremmo disperati in cerca di qualche poveretto che fosse rimasto indietro. Trovammo un gruppetto di cinque occupati a divorare un cerbiatto. Ci gettammo su di loro come furie, martoriandoli come carne da macello. Altri però sopraggiunsero da dietro alcuni arbusti, non facendoci cantare vittoria troppo presto. Schiena a schiena, provammo a tenerli distanti. Ma un putrefatto a terra, che credevamo morto, fece cadere Drake e gli altri si lanciarono su di lui. Come impossessata da un demone, mi scaraventai su quei bastardi, fracassandogli il cranio. Calciai lontano quei corpi ammassati e mi avvicinai a Drake, temendo di trovarlo ferito. Egli affondò il machete nella fronte del putrido che lo aveva fatto cadere e si alzò zoppicando. Si controllò timoroso le braccia, in cerca di qualche graffio. Ma sembrava esserne uscito illeso. Lo abbracciai di impulso, schiantandomi con quei suoi pettorali di marmo. In un primo momento restò stupito, con le braccia sospese in alto, ma dopo contraccambiò. Se l'era vista brutta. Avevamo temuto entrambi per il peggio. Non ci vergognammo di quel contatto fisico. Fu di conforto, fu piacevole.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 : Non può esserci solo orrore ***


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Capitolo 14 : Non può esserci solo orrore


Il cielo si colorò di rosa, sfumando nell'arancione e nel rosso, quasi si trattasse di una tavolozza di un pittore. Quei colori tenui donavano un senso di pace, tranquillità. Eravamo fuggiti a quell'ammasso di vaganti gementi ed ora camminavamo spossati in direzione della baita. Il viaggio era stato faticoso e pericoloso, non avevamo avuto un minuto per riprendere fiato. Sembrava che quegli esseri si fossero moltiplicati all'infinito, erano ovunque. Adesso, fortunatamente, la radura era silenziosa e quieta, facendoci ben sperare di non incontrarne altri. Puzzavamo di morte, di putrefatti. Drake aveva al collo l'intestino marcio di un putrido, a mò di sciarpa, e ciò lo rendeva inquietante e divertente allo stesso tempo. Aveva rischiato di essere morso, eppure non se ne curava. Anzi, cercava di affrontare quella merda con positività. Aveva detto che quelle budella gli donavano, giusto per sdrammatizzare la situazione. Ed io, sciocca, ci avevo riso. Ma adoravo quella parte di lui, perché riusciva a trasmettermi un poco di leggerezza. Per quanto le cose potessero mettersi male, lui riusciva ad addolcirle con qualche battuta. Giungemmo ad un ruscello e Drake si liberò della sciarpa. Ci sciacquammo con quell'acqua gelida, un po' per rinfrescarci, ma soprattutto per pulirci da quello schifo. Colorammo di rosso quel liquido trasparente, sverginando quella purezza. Un venticello debole si alzò nell'aria, spostando delicatamente le fronde degli alberi.

-Ne ho abbastanza di conciarmi così. La prossima volta prendiamo delle corde. – borbottò.

Come dargli torto, eravamo stati stupidi a non pensarci.

-Forse dovremmo tenerci sempre due zombie al guinzaglio.

Si bagnò i capelli, scompigliandoli.

-Mh non saprei.. mi darebbe fastidio averli sempre intorno. – ammise.

-Questione d'abitudine! – esclamai.

Michonne era sopravvissuta così. Aveva vagato in compagnia di quei cosi per mesi. Una mossa astuta. Drake scosse la testa, inorridito. A quanto pare gli era bastata l'esperienza della farmacia. Non aveva nessuna intenzione di ripeterla. Rinfrescati, continuammo il viaggio. Mancavo poco. Come sempre, finimmo col parlare di scemenze, giusto per riempire quel silenzio. Ad un certo punto, però, fece una domanda che mi prese di contropiede.

-Ho notato che guardi spesso quella fascia.. un fidanzato capellone per caso? – domandò punzecchiandomi.

Lo guardai sorridendo, trattenendo qualsiasi velo di tristezza. Dovevo imparare a gestire quei dialoghi delicati, affrontare con qualcuno quella perdita. Solo Philip ne era stato a conoscenza, ma non avevamo mai parlato nel dettaglio della questione. In quel momento, il mio animo mi disse che Drake era la persona giusta con cui farlo, forse perché avrebbe saputo non farmi annegare in quei ricordi.

-Nah, nessun ragazzo capellone. Era di Cassie, mia sorella minore..

-Ops, tasto sbagliato. Scusami, non volevo.. – si scusò, rammaricato di aver aperto vecchie ferite.

Lo tranquillizzai.

-Non preoccuparti, non è un problema.. sai, Cassie aveva questa vaporosa chioma dorata, nonostante avesse capelli liscissimi come seta.. ma amava stringerli in una coda di cavallo alta ed utilizzava sempre questa fascia, era la sua preferita. Non ne conosco il motivo.. una stupidaggine penso.. ma era così. E le poche volte che li lasciava sciolti, se la teneva al polso. E Quando.. – un groppo alla gola mi disturbò – ..beh, hai capito.

Percepii affondare le scarpe in qualcosa di morbido e mi accorsi di essere giunti al campo fiorito. Non avevo staccato gli occhi dalla fascia, camminando senza curarmi del percorso. Drake mi prese per mano. Un sussulto nel petto. Mi invitò a sedermi, indicando un tronco disteso ed io acconsentii. Portò le braccia sulle gambe, incurvando la schiena.

-Si è trasformata? – chiese con flebile voce.

Aspettai un poco prima di rispondere, perdendomi in quella meraviglia. Il mondo aveva ancora degli scorci bellissimi. Forse, se un giorno fosse tornato tutto apposto, noi uomini avremmo imparato a vivere differentemente, ad apprezzare ciò che un tempo davamo per scontato, anche se avremmo dovuto imparare a convivere con l'orrore. Nessuno avrebbe dimenticato questi giorni.

-No.. – proclamai – .. ma era stata morsa. Ha perso molto sangue, non sono riuscita a bloccare l'emorragia.. prima di chiudere gli occhi, ripeteva di non volersi trasformare in uno di quei mostri. Mi ha supplicato di evitare ciò.. e poi, poi mi diceva di farmi forza.. capisci? Lei cercava di consolarmi, quando sarei dovuta essere io quella a calmarla, a dirle che sarebbe andato tutto bene. E invece ha dovuto vedere sua sorella disperata, in lacrime..

Nel mentre parlavo, Drake poggiò una mano sulla mia schiena, come per rassicurarmi. Come se quella mano dicesse 'ehi, ci sono '.

-..poi è morta fra le mie braccia.. ed ho fatto quello che mi aveva chiesto.. e con la stessa lama mi sono tagliata.

Sfilai la fascia, mostrando alla luce quella retta bianca. Fissai quella striscia, rivivendo quella scena. Il sangue, la disperazione.

-So cosa stai pensando.. – dissi – ..sono stata una cogliona, lo so. Ma in quel momento desideravo solo raggiungerla.

-Non è quello che stavo pensando.. – sentenziò.

-Ah no? – dissi curiosa.

-No, pensavo solo che mi ero fatto un'altra idea su di te, Kendra. Invece, sorpresa! Sei una persona normale e non un robot apatico costruito per sterminare zombie.

Gli tirai un scappellotto sulla nuca.

-Sei proprio una merda! – esclamai.

Ridemmo e mi fece bene. Era riuscito nuovamente a gettare un'atmosfera più tranquilla. Poi il suo volto si fece serio, bloccando il mio sorriso.

-Non devi vergognarti per aver provato ad uscirne. Io ci ho pensato più volte. Ciò che mi ha fermato è stata la voglia di mettermi in gioco. Volevo vedere fin dove sarei arrivato, se avrei salvato vite, se avrei fatto la differenza per qualcuno. Te hai perso una sorella minore.. e ti ha fatto sentire inadatta, in colpa.. avrai pensato che fosse stata tutta colpa tua.. io invece ho perso il mio esempio, la mia guida.. Walter, mio fratello maggiore. Lui non si è mai perso d'animo, ha continuato a lottare per tutti.. e sorrideva sempre. Figurati, mi dava quasi fastidio tutta la sua positività. Ero un coglioncello che non riusciva a trattare quei cosi come mostri.  Ma quando è morto, lì ho capito. E mi son detto, ' beh Drake, adesso tocca a te. Vediamo un po' come te la cavi'.

Lo guardai con occhi lucidi. Parlare di questi argomenti mi stava liberando. Forse avevo sempre sbagliato a tenermi tutto dentro. Mi ero portata addosso questo fardello spinato, senza rendermi conto che avrei potuto elaborarlo con qualcuno. Ma forse, forse non avevo mai trovato la persona giusta.

-Beh, direi bene! – ridacchiai.

Si alzò in piedi con una molla, allargando le braccia per farsi contemplare.

-Cioè, guardami. Sono un cazzo di sopravvissuto! E se ora sono ancora vivo lo devo a te, poco fa me la sono vista davvero brutta. Ma l'importante Kendra, l'importante è che noi ci siamo ancora.. non ci siamo arresi, capito? E' questo che fa la differenza.. anche se abbiamo attraversato brutti momenti, noi ci siamo ancora. Non può esserci solo orrore, intendi? C'è anche dell'altro e sta a noi vederlo.

Osservavo quel matto sorridendo. Le sue parole mi invasero il cervello. Aveva ragione, su tutto. Ero così grata e felice di averlo incontrato. Non avrei mai dimenticato il suo discorso, quella specie di incitazione.

-Noi ci siamo ancora.. – ripetei.

-Sì, cazzo.. – affermò agguantando il mio braccio, obbligandomi così ad alzarmi - .. noi ci siamo ancora!

Mi strinse a sé in una morsa soffocante. I suoi abbracci erano tutt'altro che delicati. Colpa dei muscoli. Ma apprezzai quel gesto, le sue parole. Ed affondai in quella stretta. Posò una mano sulla mia guancia e avvicinò il suo volto al mio. D'istinto mi irrigidii, ma non cercai di scansarmi, e le nostre labbra si sfiorarono. Un rumore improvviso ed assordante mi fece tremare, esortandomi a chiudere gli occhi. Bang. Un colpo di pistola e del sangue schizzò sul mio volto. Bang. Un colpo di pistola e Drake si accasciò a terra. Bang. Un colpo di pistola e Drake era morto. Il tempo parve bloccarsi, l'area a me circostante si muoveva a rallentatore. Quel suono, quello sparo, continuava a rimbombare in testa. Due uomini uscirono dalla boscaglia, mirandomi rispettivamente con una pistola dal calcio rosso ed un arco. La determinazione, il coraggio, la pacatezza, tutto svanì in un battito d'ali. Impietrita, scioccata ed incredula, guardavo questi avvicinarsi, privata dell'idea di afferrare la glock e difendermi. Sarebbe stato inutile, mi avrebbero freddata non appena avessi mosso un dito. Ma anche se avessi voluto reagire, il mio corpo si era bloccato. Quello con l'arco tirò un'occhiata al suo amico, ridendo soddisfatto. L'altro, con una bandana nera sulla fronte, mi guardò sogghignando. Ciò mi bastò per comprendere quello che mi aspettava.

-Cazzo amico, guarda là che bocconcino. – disse con enfasi l'arciere.

-Finalmente una bella pollastra! – rispose l'altro.

Quando furono vicini, il tizio con la banda puntò la pistola alla mia testa e l'arciere iniziò a perquisirmi, privandomi delle armi.

-Non fare scherzi bambola, altrimenti finisci come il tuo amichetto qua, intesi? – ordinò lo stronzo.

Descrivere ciò che provavo in quegli istanti mi risulta impossibile. Forse avrei voluto muovermi, farmi sparare. Forse sarebbe stata la mossa giusta, forse mi avrebbe risparmiato ciò che mi sarebbe toccato dopo. Ma in quel momento non riuscivo a pensare, ero caduta in uno stato di catalessi mentale. Non riuscivo a credere che Drake fosse morto. Speravo di svegliarmi di soprassalto nella brandina nel rifugio. Una voce lontana sopraggiunse.

-Diamine ragazzi, mi allontano per pisciare e voi trucidate gente a caso. Non posso proprio mai perdervi di vista.. – brontolò un uomo dalla capigliatura grigio perla.

Quando però l'uomo bandana si spostò, permettendo al nuovo arrivato di vedermi, subito questo assunse un'altra espressione, facendosi serio. Era il capo.

-Joe, guarda un po' cosa abbiamo trovato. – disse l'arciere ridendo.

Il capo mi squadrò, passando poi ai suoi uomini. Il tizio indossava una camicia nera dai bordi bianchi, decorata da una piccola rosa rossa all'altezza del taschino. Uno smanicato di jeans poi copriva questa, facendo contrasto coi pantaloni sempre di jeans ma più scuri. Sembrava a suo agio, bello tranquillo. Mi guardava beato con uno strano sorrisino. La sua faccia mi urtava. Mi trasmettevano strane vibrazioni. Sapevo a cosa andavo in contro.

-Mi spiace che i miei ragazzi non abbiano avuto riguardo per il tuo amico, ma sai come funziona ultimamente.. non ci sono più regole a questo mondo, sbaglio?

Ovviamente non risposi, si trattava di una domanda retorica. Ma gli altri due sghignazzarono. Lo sguardo dell'arciere era quello che più mi preoccupava, sembrava una persona poco stabile. Era esile, magro, capelli medio lunghi mossi e barba scura. Indossava una felpa marrone aperta, la quale mostrava così la maglia grigia sporca che era al di sotto. L'altro, invece, era più robusto. La giacca di jeans azzurra delineava la pancia rotonda. Olivastro, moro con capelli cortissimi. Occhi a palla. Fra i tre quello che spiccava maggiormente era Joe, non a caso era il capo. Anch'egli aveva un po' di pancia. Di certo non avevano avuto problemi col cibo.

-Non odiarci, ti prego. Sei stata un po' sfortunata, mettiamola così. Figurati che avevamo deciso di tornare indietro dagli altri! – rise – Ma.. beh, adesso credo che faremo una sosta. Non sai da quanto tempo i miei ragazzi non si sfogano un po'.

Avrei voluto morire, chiudere gli occhi e non percepire più nulla. I due scagnozzi mi agguantarono, gettandomi a terra.

-Len, Tony! Tenetela ferma. – ordinò il capo – Inizio io.

Angolo autrice

Buona domenica lettori! Lo so, lo so.. non ve l'aspettavate, ma purtruppo in una realtà del genere, questo accade. La situazione adesso sarà molto più delicata e Kendra dovrà affrontare un'altra crudeltà. Drake era un bravo ragazzo, da scrittrice mi ero affezionata al suo personaggio, ma nel mondo di The Walking Dead non si è mai al sicuro. Come sempre, per qualsiasi dubbio o critica, non esitate a scrivermi. D'ora in avanti ci saranno capitoli parecchio impegnativi, dal punto di vista emotivo, quindi non aspettatevi paginate troppo allegre. Ringrazio tutti per le recensioni e il supporto, anche coloro che mi seguono in silenzio. Un abbraccio.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 : Frantumi ***


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Buongiorno lettori! Eccomi qua con un nuovo capitolo da offrirvi, nella speranza che anche questo vi piaccia. Ho apprezzato moltissimo le recensioni ricevute, le dritte e i consigli che mi avete dato! Ringrazio particolarmente dixon23, azzie18, Niki92, Moran88 e The LoonyBlogger, che mi hanno seguito finora, facendosi sentire. Ovviamente un grazie va anche a coloro che mi leggono in silenzio. Detto questo, vi auguro una buona lettura! Ci sentiamo nelle recensioni ;)                                                                                    Un bacio.
 

Capitolo 15 : Frantumi 
 

L'odore di olio di motore impregnava l'intero locale, rendendo l'aria pesante e nauseante. Alcune carcasse di auto erano state sistemate come brande. Il pavimento era lercio, ma io mi trovavo lì, seduta e non mi importava. A dir la verità  non mi importava più niente, l'unica cosa a cui tenevo in quel momento, era la morte. Ero stanca di combattere, avevo resistito fin troppo. Non ero capace di sopportare altro, ero giunta al limite. Durante quell'orrore, durante lo stupro, la mia mente era coinvolta in un unico pensiero. Ti prego, fa che mi uccidano dopo. E non facevo altro che ripeterlo, come per convincermi che sarebbe successo, come per convincermi che quella tortura sarebbe terminata ed io sarei stata bene, in un'altra dimensione o in qualsiasi merda ci fosse stata dopo il trapasso. Invece mi trovavo ancora lì, in quella dannata realtà infestata da morti viventi. Ma non erano loro i veri mostri, si contendevano il titolo anche gli uomini. Il mondo era degenerato, portando nell'oblio gli stessi individui. In un luogo in cui avremmo dovuto farci forza e lottare assieme, la follia e la violenza avevano primeggiato sull'istinto solidale. Fanculo la sopravvivenza, qua ci si diverte. Questo era il ragionamento. In un posto in cui tutto è andato a rotoli, nessuno può dirti cosa fare e non, vi è libertà, pura e candida libertà d'azione. Addio parole come etica, morale.

Questo è l'inizio della fine. Ed io ero stata travolta da questo uragano distruttore. Ci ero finita dritta in mezzo. Cosa restava di me? Niente. Un fantoccio privo di contenuto, questo ero. Un fantoccio inanimato. Sentimenti, emozioni? Nello scarico del cesso. Paura, timori? Anch'essi nel cesso. Mi ero congelata dentro. Viva nella carne, ma morta nell'animo. Joe, dopo essersi divertito, aveva concesso agli altri due una cosa veloce. 'Una sveltina, mi raccomando. Meglio tornare prima che faccia buio' così se l'era sbrigata, appagato dal coito. Non si era allontanato dopo, anzi, era rimasto a guardare. Ma nei suoi occhi non leggevo eccitazione carnale, la sua era di un altro tipo. Eccitato, compiaciuto di aver trasgredito. Come se il caos che si è abbattuto fosse una benedizione, un nuovo inizio per lui e la gente al suo pari. Quando anche i due scagnozzi avevano terminato, Joe non pensò di lasciarmi lì. Ero una rarità, mi aveva spiegato Len, il gruppo ne avrebbe gioito. Così, adesso mi trovavo in un loro covo od una semplice tappa di passaggio. Dopo avermi mostrato con fierezza, quasi fossi un trofeo, mi avevano gettato in un angolo, legandomi i polsi con una fascetta. Avevo i loro occhi puntati addosso, bramosi, vogliosi. Mi spogliavano col semplice sguardo. Percepivo la loro fame. Mi chiusi in me stessa, aggrappandomi alle mie stesse gambe poggiate sul petto. Il dolore fisico che provavo era molto, ma mai straziante quanto il mio essere. Continuavo a fissarmi i polsi. La fascetta di plastica era stata stretta fin troppo, tanto che sulla pelle si era già formata un arrossamento livido. In un primo momento avevo cercato lentamente, senza destare alcun sospetto, di ruotare i polsi, per capire se avessi avuto qualche possibilità di liberarmi. Anche se mi fossi rotta di proposito i pollici, le mani non sarebbero comunque passate. Una volta mi era capitato di essere ammanettata, ma in quel caso era bastato rompersi i primi diti. Stavolta però non vi era margine di spazio. Anzi, ero finita col ferirmi, sporcando di sangue i polsi stessi. Rinunciai. Gli scagnozzi borbottavano fra loro, pregustando la sottoscritta. Joe intavolò qualche discorso, un appunto. Raccomandò agli uomini di aspettare il mattino seguente.

-Inutile accanirsi subito, non vi pare? – disse, con quel suo tono pacato. – adesso è debole, sfibrata. Fossi in voi aspetterei domattina.

Non tutti si mostrarono contenti, ma nessuno osò obiettare. Dopotutto sarei rimasta lì, qualche ora non avrebbe fatto la differenza. Len fece l'occhiolino a uno del gruppo, il quale gongolò divertito.

-Ci siete andati pesanti eh? – affermò, indicandomi con un cenno di capo.

-Dovevi vedere come si dimenava! – aggiunse Len.

L'amico mi guardò, leccandosi le labbra.

-Bene, mi piacciono quanto si agitano..

Ma Joe levò le braccia in alto, come per richiamare l'attenzione. Tutti si ammutolirono, portando la propria attenzione sul capo. Questo mi guardò con la coda dell'occhio, sorridendo.

-Ragazzi, vi prego. Non facciamo brutta figura, mica siamo solo belve.

Lo sprezzai per il suo tono ironico. Proprio non capivo dove volesse arrivare con tale atteggiamento. Non ero un'idiota, il fatto che non ne parlassero non avrebbe affatto migliorato il mio stato d'animo. Abbassai nuovamente lo sguardo, poggiando la testa sulle ginocchia. Chiudendo gli occhi, Drake mi apparve. Prima il suo sorriso, poi il suo corpo disteso fra quei fiori che tanto avevo amato. Gli stessi fiori che avevano cinto Hershel, adesso stavano abbracciando quel ragazzo. Non riuscivo a capacitarmi dell'accaduto. Ancora non avevo elaborato la sua morte. Era successo tutto così in fretta. La mente si affollò di ricordi ed immagini di quelle due settimane passate in sua compagnia. Le nostre confidenze, i sorrisi, le risate. Drake mi aveva portato in un altro stato, era riuscito a donarmi della luce. Un briciolo di speranza, una piccola fiaccola luminosa nella più totale oscurità. Ed ora, anche quella flebile fiammella si era spenta.

-Dov'è finito quello stronzo? – domandò Len.

Joe lo guardò torvo, ma uno del gruppo rispose.

-Se ne va sempre a giro con la scusa della caccia.

-Lasciategli del tempo.. – intimò Joe – ..vedrete che si integrerà bene.

Poi la saracinesca si alzò, permettendo al bagliore lunare di illuminare un poco la stanza. Nell'angolo in cui mi trovavo, non avrei potuto vedere di chi si trattasse. Alcune auto mi impedivano la visuale. Ma in verità non avevo la minima intenzione di osservare chi fosse entrato, non volevo guardare altri volti. Soprattutto i loro. Non avrebbe fatto alcuna differenza. Perciò me ne restai con la testa bassa, scrutando il sangue che scorreva lungo le braccia. Udii alcuni passi avvicinarsi all'ingresso. Vidi le scarpe di Joe sparire dalla mia vista e poi la sua voce calda echeggiò.

-Ben tornato! Caccia proficua? – chiese con tono gentile.

Il nuovo arrivato gettò a terra un sacchetto nero della spazzatura, ma dal tonfo che generò, compresi che al suo interno vi fossero delle carcasse. Il tizio rispose con un semplice mugolio, come se non avesse voglia di tanti discorsi.

-Guarda un po' cosa abbiamo trovato in spedizione.. – suggerì Joe.

Attraverso i miei riccioli, vidi aggiungersi un altro paio di piedi. Tutti risero, sorprendendomi. Ridevano di lui e non di me. Da quanto avevo capito dallo scambio di battute fra Joe e Len, questo si era unito a loro di recente. Forse la sua reazione nel vedere una ragazza aveva prodotto l'ilarità degli altri. Presupposi che egli non fosse un bastardo come quelli, ma non potevo esserne certa. Forse aveva solo assunto un'espressione gioconda, felice di vedere carne fresca. Alzai pigramente la testa, per poter studiare gli occhi di questo. Mi bastava uno sguardo per percepire l'animo di una persona. Ma quando permisi a lui di osservare il mio volto, mi sentii gelare. I nostri occhi si incrociarono, gettandoci in uno stato di paralisi. Nessuna emozione apparve, attenti  a non trasmettere qualcosa al gruppo.

-Rivendicata. – enunciò Daryl.

Non compresi tale parola, ma questa destò scompiglio fra gli uomini. Len si avvicinò al capo con fare rabbioso, indicando l'arciere.

-Rivendicata un cazzo! Chi ti credi di essere? Non funziona così, bello. – sputò.

Joe portò una mano sul petto del furioso, spingendolo un poco indietro. Inclinò la testa, spostandosi il ciuffo bianco. Guardò in silenzio Daryl, interessato alla sua figura. Len non fu felice di vedere nessuna reazione del capo ed allora continuò ad inveire.

-Non mi frega un cazzo se adesso ha capito la regola, con le puttane non ha significato. E' roba di tutti, ce le siamo sempre spassate.

Il gruppo spalleggiò Len, mostrandosi d'accordo. Capii che erano state emanate alcune regole da rispettare, ma doveva essere sorto un dilemma su questa rivendicazione di Daryl. Ero confusa. Inoltre gli occhi di Daryl continuavano a puntarmi, senza badare i discorsi a lui circostanti. Mi fissava in modo strano, non riuscivo a capire cosa pensasse veramente. Temevo che fosse cambiato. Nel mentre, anche Tony accusò l'arciere, brontolando sul fatto che gli avessero già concesso troppe cose. Joe, pacato, rispose al suo scagnozzo, distogliendo finalmente lo sguardo da Daryl.

-Calma, calma ragazzi. – disse – a quanto pare al nostro amico qua non piace condividere.

Le occhiate glaciali di Daryl mi imbarazzavano. Non riuscivo a mantenere il contatto visivo, abbassavo spesso lo sguardo. Poi ero presa da ciò che stava accadendo, dalla discussione molto viva.

-Che si fotta! – abbaiò Len – io me la scopo come e quanto voglio.

La mano di Daryl si chiuse in un pugno, evidenziando i tendini tesi, ma nessuno se ne accorse. Anzi, Len era irato anche dalla strafottenza dell'arciere, poiché pareva non curarsi delle loro obiezioni. Joe mi lanciò un sorrisino e parlò all'incazzato.

-Suvvia Len, non mi dirai che non ti sei sfogato abbastanza poco fa.

In quel momento, Daryl si voltò ed accostò la faccia a quella di Len, ribattendo a denti stretti.

-Ho detto, rivendicata.

Len si mosse come per assestargli un pugno, ma chioma bianca lo bloccò.

-Comprendo la vostra rabbia – affermò Joe – Ma vedete, noi non abbiamo mai stipulato una regola su questo argomento. Abbiamo sempre condiviso, senza farci problemi al riguardo. Però, abbiamo deciso che con la parola 'rivendicato', potevamo dichiarare nostro qualunque cosa. In modo da non creare litigi e disagi. Adesso, quindi, mi sento in dovere di dar ragione al ragazzo. Non avendo mai trattato di ciò, non posso negarglielo.

Tutti protestarono sdegnati, gesticolando e imprecando, ma si sciolsero raggiungendo le proprie postazioni. Erano dei bravi soldatini dopotutto. Len guardò minaccioso l'arciere, ma poi si arrese, uscendo dal garage. Non riuscivo però ad esser felice. Avevo capito che con l'affermazione di Daryl, ora nessuno poteva più toccarmi, ma l'idea di dover restare in loro compagnia mi schifava alquanto. Sebbene Daryl fosse lì di fronte a me, vivo e vegeto, sano come un pesce, non ero nella condizione adatta per gioirne. Non fraintendetemi, vederlo vivo dopo ciò che mi era capitato, mi aveva addolcito un poco l'animo, ma niente di più. Joe guardava compiaciuto Daryl, come se gli ricordasse qualcosa. Poi prese un borsone verde scuro e glielo porse.

-Beh ragazzo, ti sei guadagnato anche l'arsenale che quella aveva con sé. Avevi detto di aver perso la tua balestra, giusto?

Daryl annuì, afferrando l'oggetto donato.

-Allora è il tuo giorno fortunato. La ragazza ha proprio un bel modello. – aggiunse.

L'arciere non aprì bocca, limitandosi a squadrarmi nuovamente. Stavolta, però, non si bloccò unicamente sulle mie pupille, ma mi scrutò con attenzione, scrupolo. Si gettò il borsone sulla spalla e mi raggiunse con grandi falcate. Rannicchiata nell'angolo, non sapevo come comportarmi. Egli mi agguantò privo di delicatezza e mi strattonò fino ad una porta, senza rivolgermi parola. Sembrava furioso. Spalancata la porta, mi spinse dentro e poi la chiuse, adagiandovisi con la schiena. Con fare minaccioso, lanciò il borsone su un tavolo logoro. Feci qualche passo indietro, finchè un armadietto non mi bloccò la strada. Il cuore partì in una corsa assennata. Mi spaventava, per qualche strano motivo Daryl mi spaventava. La sua freddezza, il suo silenzio. Avevo le mani sospese all'altezza del seno, ancora costrette in quella fascia tagliente.

Dopo qualche minuto di tensione, passato a fissarci come due estranei, Daryl si mosse, avvicinandosi velocemente. Chiusi gli occhi d'improvviso, stupendo me stessa di quanto fossi diventata insicura e timorosa. Ma non appena avvertii una stretta morsa, mi lasciai andare fra quelle braccia che mi cingevano. Ero al sicuro, adesso ero al sicuro. Quel dolce contatto sciolse i rovi del mio animo, rassicurandomi. Poggiai la testa al suo petto ed egli mi avvolse maggiormente. Avrebbe potuto dirmi qualsiasi cosa, ma non era uno stolto, sapeva che niente sarebbe stato adatto. Ad una ragazza vittima di stupro, non ci sono vocaboli che possano cancellare o reprimere quella violenza subita, annebbiandone le immagini ed i ricordi. Quell'abbraccio per me, significava di più. Superava di gran lunga qualsiasi possibile discorso.

Ma forse erano solo miei stupidi pensieri, probabilmente Daryl si era limitato a tale azione perché aveva agito con spontaneità. Ad ogni modo, poco importava. Lui era lì, questo mi bastava. Non saprei dire quanto restammo in quella posizione, un tempo che mi parve infinito e che non avrei voluto terminasse, ma ad un certo punto ci separammo, cadendo in una specie di imbarazzo. Compresi che Daryl si era calato in una parte, aveva recitato. Aveva finto di non conoscermi, di voler una cosa soltanto. Io ero stata ingenuamente al gioco, limitandomi a seguirlo senza controbattere. Gli altri nell'altra stanza immaginavano che egli stesse abusando di me. Avrei voluto dire qualcosa, ringraziarlo, ed invece me ne stavo lì come una deficiente a cui avevano tagliato la lingua. Estrasse il suo pugnale e lo utilizzò per tagliarmi la fascetta. D'istinto mi massaggiai i polsi. Notando il sangue, liberò uno straccio rosso dalla tasca posteriore dei pantaloni e la premette sulle ferite. Quel semplice gesto, quella premura. L'abbraccio di prima. Tutto riportò a galla il dolore interno. Drake, l'abuso. Fui travolta. Un oceano in tempesta. Piansi, pur restando in silenzio. Le lacrime solcarono le mie guance. Daryl non se ne accorse subito, impegnato com'era a pulirmi le ferite. Poi le sue dita si bloccarono, essendosi accorte di una cicatrice. Alzò lo sguardo preso alla sprovvista e non appena vide quelle salate gocce d'acqua, si sentì inutile. Con un cenno gli dissi di non preoccuparsi e mi sedetti a terra, chiudendomi in me stessa. Certo, c'erano delle sedie ed un divano scassato, ma in quel momento non mi importava del comfort. Ero crollata. Daryl si affiancò a me, sedendosi anch'egli a terra. Piombò di nuovo il silenzio. Era una situazione irreale, confusa. Un susseguirsi di avvenimenti terribili e solari nel giro di qualche settimana. Un alternarsi di alti e bassi. Ed ora mi dovevo trovare sicuramente al limite, però il fatto che avessi trovato Daryl mi portava ad una postazione di stallo.

-Eri sola? – domandò.

Spalla contro spalla, fissavamo entrambi la parete di fronte.

-Sì. – risposi coincisa.

Non volevo parlare di Drake, nemmeno nominarlo. Daryl sospirò. Anch'egli doveva trovarsi un poco incasinato. Era rimasto solo, aveva perso tutti i suoi amici, la sua famiglia. Si era poi aggregato a questa gentaglia, Dio solo sa per quale dannato motivo. Avrà pensato, come me, che tutti fossero morti. Vedermi, forse, gli aveva scombussolato le idee. Insomma, non credo che mi ritenesse un'amica, ma sapere che fossi viva aveva causato istintivamente la speranza dello stesso destino per gli altri. Ma alla felicità passeggera, si era subito accostato il disdegno e la tristezza. Il suo nuovo gruppo aveva abusato di me e se non ci fosse stato lui, la cosa sarebbe durata a lungo. D'altro canto però, fu grato del fatto che fossi sola. Se avessi avuto come compagno qualcuno della prigione, ciò significava la morte di questo per mano dei bastardi. Quindi, in sostanza, non potevo sapere come si sentisse in realtà.

-Non sono affatto contento di vederti.. – sussurrò.

-Ah..

-Nel senso.. – aggiunse, accortosi di avermi offesa –..avrei preferito che non ti avessero trovata.

-Sarebbe piaciuto anche  a me..

Si alzò per prendere il borsone e poggiò tutte le armi sul tavolo, compreso il mio zainetto. Accarezzò la sua amata balestra e la impugnò, come per osservarne lo stato. Mi ringraziò con lo sguardo.

-Non l'ho mica presa per farti un piacere.. nella fuga ci sono semplicemente inciampata sopra. – affermai, come se volessi allentare quella tensione.

Non volevo che si trovasse in difficoltà, vedevo che non sapeva bene cosa dire e come comportarsi. Non mi piaceva esser trattata con delicatezza o esser compianta, volevo che mi considerasse come al suo solito, come se niente fosse accaduto. Mi asciugai le guance, ricomponendomi. Anche se stavo una merda, avrei finto di esser me stessa, combattiva e determinata.

-Dobbiamo andarcene da qua.. – incitai.

Daryl mi rispose, continuando ad aggeggiare con le mie cose

-No. – rispose, senza alcuna spiegazione.

Mi feci più vicina, notando che vi era anche il fucile di Drake.

-Cosa scusa? Vorresti dirmi che ti va bene restare con loro? – domandai incredula.

-Non ho detto questo.

Provò anche il fucile, fingendo di dover mirare a qualcosa. Controllati tutti gli oggetti, levò gli occhi dal tavolo, guardandomi.

-Avevi detto di essere sola. – sibilò.

Scrutando il tavolo, compresi che effettivamente le armi erano troppe per potersi trattare di un equipaggiamento di una singola persona.

-Se vogliamo andare d'accordo, la devi piantare di dire stronzate. – disse, velando un briciolo di nervosismo.

Quella frase mi ferì. Si riferiva anche a Philip. Ma non lo biasimai, aveva tutto il diritto di fidarsi poco.

-Il fucile, il machete e quel taccuino.. appartenevano a Drake.

-Un amico?

-Qualcosa di più. – ammisi.

Non l'amavo, questo era certo. Né mi ero infatuata di lui. Drake però non aveva ricoperto un semplice ruolo d'amico, per me era stato di più. Un'ancora, una speranza. Un ventata d'aria fresca in un mondo opprimente. Daryl fece una smorfia, dispiaciuto di avermi accusato.

-Ascolta, non ho intenzione di restare in loro compagnia. Avevo già pensato di mollarli, ma se adesso lo facessi, la rivendicazione non avrebbe più alcun significato. – illustrò.

-Quindi, cosa pensi di fare?

-Ce ne andremo, quando sarà il momento giusto.

-Cioè? – chiesi con insistenza.

Non avevo la minima idea di dover passare molti giorni al loro fianco. Ogni qual volta che Len, Tony o Joe avessero aperto bocca, avrei rivissuto quel momento.

-Sono sulle tracce di altre persone, qualcuno che ha ucciso dei lori compagni. Quando saremo vicini e loro attaccheranno, lì sarà il momento di separarci. Saranno troppo occupati dallo scontro per pensare a noi.

Il piano non faceva una piega, ma avrei preferito una soluzione più veloce.

-Non potremmo semplicemente uscire da quella finestra e scappare?

-So quello che faccio.. – sentenziò –.. capisco che possa essere dura per te, ma ti prego di stringere i denti. Se adesso fuggissimo da quella finestra, non passerebbe molto prima che questi ci trovino. Sono cacciatori, li conosco bene. Sono come me, seguirebbero le tracce senza alcuna difficoltà.

Affranta, sospirai. Aveva ragione, inutile illudersi di fuggire immediatamente. Avrei dovuto farmi forza e sopportare, attendere quel momento. Sarebbe stata dura restarmene in silenzio e pacata ad ogni loro parola, occhiata. Avrei voluto ucciderli.

-Va bene Daryl, faremo come hai detto tu.

-Okay.. io e te non ci conosciamo, non ci siamo mai visti. E' vero che adesso sei 'mia' , ma non posso consegnarti le armi. Questo non lo accetterebbero. Quindi nascondi questo pugnale negli anfibi. Nel caso dovesse succedere qualcosa, almeno puoi difenderti. Sta al gioco, fa' quello che faccio io. Evita di spaccare la faccia a Len. Lo so, ho visto come lo guardi. Non ti nascondo che anch'io vorrei massacrarlo.. ma se vogliamo che il piano funzioni, segui le istruzioni. – spiegò.

Mi parlò delle loro abitudini, del regolamento che si erano imposti, dei loro caratteri. Illustrò ogni singolo particolare che riteneva importante. Non lo interruppi, lasciai che esponesse quel sapere. Dopotutto già era di poche parole e vederlo lì a conversare, mi aveva stupita. Certo, non era una vera e propria chiacchierata, ma almeno stavamo dialogando. Lo ascoltai senza distrarmi, apprendendo il necessario. Per qualche strano motivo, piaceva molto a Joe. Questo gli avrebbe concesso di non tenermi legata. Sarei stata al loro pari, anche se sicuramente non tutti ne sarebbero stato elettrizzati. Sebbene Daryl fosse impegnato a spiegarmi le mosse future, osservavo il suo volto. Era cambiato, qualcosa in lui si era spezzato. Quando saremmo stati soli, ero sicura che sarebbe venuto fuori l'effettivo Daryl. Adesso era occupato a pensare ad altro, ad integrarsi al nuovo gruppo. Ci guardammo, dicendoci con lo sguardo che eravamo pronti. Feci per avvicinarmi alla porta, ormai era passato molto, il tempo poteva reggere benissimo l'idea di un suo abuso, ma egli mi fermò.

-Graffiami. – esortò.

-Cosa?

-Devono crederci, non devono sospettare. Sai di cosa parlo.. – affermò a bassa voce, come se gli altri potessero udire  –  ..graffiami, sul volto o sulle braccia.

Voleva che lo ferissi dove gli altri potessero vedere, sul volto o sulle braccia che erano sempre scoperte, giusto per simulare una lotta, una mia reazione di difesa. Con la balestra in spalla, si avvicinò, incitandomi ad agire. L'idea di graffiarlo, provocargli delle lesioni intenzionalmente, mi metteva a disagio. Lui se ne stava lì, dritto a fissarmi. Mi porse un braccio. Posai la mano su questo, unto e sporco di terra. Non si faceva la doccia da un po'. Mordendomi il labbro inferiore, premetti con le unghie sulla sua carne, trascinando un poco le dita. Ritrassi velocemente la mano, sorridendo in modo impacciato. Mi lanciò un'occhiata, alla quale seguì una smorfia.

-E questo cosa sarebbe? – chiese, agitando il braccio – Un graffio di un gattino?

-M-ma io..

Non feci in tempo a finire la frase, che egli si graffiò da solo in più punti. Compiaciuto, si osservò le ferite autoimposte. Certo, i suoi erano più credibili. Dopo un cenno, mi avvicinai nuovamente alla porta, ma non appena sfiorai il pomello, mi fermò.

-Che c'è stavolta? – chiesi spazientita.

Non che avessi fretta di tornare da quella banda di strada, ma volevo andarmene a letto. Dormire o almeno fingere di dormire. Desideravo starmene sola nel mio silenzio. Senza rispondermi immediatamente, mugolò, rimettendo a posto la balestra. Si sfilò lo smanicato di pelle e la camicia, restando in una maglia carbone. Mi lanciò la camicia, anch'essa scura, e con l'indice mi indicò il petto.

-E' meglio se ti copri.

Oh merda. Abbassai lentamente lo sguardo, notando uno squarcio abbastanza profondo nella canottiera. Arrossii all'instante, coprendomi con la camicia. Daryl si voltò di profilo, nascondendo il viso fra i ciuffi castani. Non fu bravo a nascondere il suo imbarazzo. Cazzo, pensai, poteva dirmelo prima. Gli diedi la schiena, come se avesse fatto qualche differenza ormai, ed indossai quella camicia larghissima. Annodai i due lembi all'altezza del jeans, in modo che non mi fosse di fastidio.

-Puzzerà un po', ma meglio di niente. – sottolineò, aggiustandosi il giubbotto.

Annusai la manica. Non seppi definire se si trattasse di un odore sgradevole o meno. Sapeva di Daryl, insomma, profumava di cane bagnato.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 : Sporche verità ***


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Capitolo 16 : Sporche verità


Il sole era così abbagliante da costringermi a tenere gli occhi bassi. Avanzavamo lungo una piccola cittadina, un paesino confortevole. Molte villette a schiera si susseguivano, alternando degli ampi giardini verdi. Un tempo doveva essere una piccola oasi. Immersa nella natura, questa tranquilla cittadina era stata divorata dall'epidemia, dall'assalto dei putrefatti. A giudicare dallo stato degli infissi, era stata inoltre già razziata. Joe non provò nemmeno a darci un'occhiata. Attraversammo quel fossile di civiltà e riemergemmo nella radura. Non ne potevo più di alberi, cespugli, arbusti e cavolate varie. Avevo passato un anno a gironzolare fra i boschi. In un certo senso, Woodbury mi mancava. Non per le persone che vi avevo conosciute, non per tutte almeno, ma per l'idea di un mio appartamento. Avevo un letto, un bagno, una sala da pranzo. Avevo un tetto, una casa. Lì non mi preoccupavo, non temevo costantemente per la mia vita. Ero al sicuro. Adesso invece, qualcosa mi diceva che non avrei più trovato un altro luogo altrettanto quieto. Anche la prigione, ad esempio, era durata poco. Tutto sembrava andare a pezzi, io compresa. Sebbene Drake fosse morto proprio dopo aver pronunciato quelle parole radiose di speranza, io volevo ancora crederci. Non mi importava quanto avrei vissuto ancora, quanto le mie gambe mi avrebbero sorretto o quanto il mio corpo avrebbe resistito prima di accasciarsi per gli stenti. Io ci sono ancora, ripetevo a me stessa. Anche tu Drake, anche tu ci sei ancora. E mai se ne sarebbe svanito del tutto. Sembrerà strano, lo avevo conosciuto in un arco di 14 giorni. Pochi, direste, per conoscere a fondo una persona. Vero, vi risponderei, ma nella realtà odierna, quattordici giorni sono tanti. Rappresentano un miracolo. Ogni singolo giorno è un miracolo. Un miracolo, nonostante tutto.

Perché sì, io ero viva, ma cosa avevo dovuto sopportare? E quanto ancora avrei dovuto sopportare? Non potevo saperlo, né immaginarlo. Mi accontentavo di seguire come un cagnolino ferito Daryl, il quale sembrava a suo agio fra quei nuovi amici. In loro presenza non ci eravamo scambiati nemmeno una parola. I graffi avevano affermato i loro pensieri, tanto che Joe gli aveva tirato una pacca sulla schiena, sorridente come al suo solito. La terra arida e secca, si sbriciolava quasi ai nostri passi. La guardavo sconfortata, immedesimandomi. Ero diventata così anch'io, fragile e ricca di crepe. La vita mi aveva calpestata più volte, ma io ero sempre lì, pronta a farmi pestare ancora, speranzosa di un giorno di pioggia, speranzosa di un lieto fine, per quanto assurdo potesse sembrare. Sì, ero come quella terra, ferita, separata da lunghi e profondi solchi. Ma nonostante ciò, proprio come lei, me ne restavo lì, compatta nell'animo. Vero, ero spezzata. Una qualsiasi altra persona si sarebbe disperata. Come quando un oggetto si rompe, finendo in mille frantumi. Le persone comuni lo gettano, se ne separano. A cosa mai potrebbe servire? E' rotto dopotutto. Ma io, io no. Io lo avrei riparato, avrei incollato quei pezzi. Gli avrei garantito una seconda possibilità. Ed è quello che stavo facendo a me stessa. Mi ero spezzata, ma non mi  ero gettata via, anzi, avevo cercato di fasciare quelle ferite a me interne, il giusto per permettermi di starmene in piedi. Alzai lo sguardo per cercare di pensare ad altro ed oltre le larghe spalle di Daryl, scorsi dei binari.

Una volta giunti su quelli, mi guardai intorno. Finalmente niente alberi, questi ci fungevano solo da cornice. I binari erano un buon segno, potevano portarci a diversi centri urbani, per quanto rurali potessero essere. Magari avremmo potuto incontrare un altro gruppo di sopravvissuti. Magari migliore di quest'ultimo che avevo vicino. Gli uomini si sparpagliarono, esaminando la zona. Compresi che avremmo fatto una sosta di qualche minuto, in modo da rifocillarci prima di continuare questa estenuante caccia all'uomo. Joe, con un semplice gesto di mano, ci divise in coppie di due, mettendo come mio compagno Len. Lanciai immediatamente un'occhiata a Daryl, nella speranza che protestasse. Egli infatti fece per brontolare, ma il capo lo precedette.

-Tranquillo ragazzo. Len non la sfiorerà, conosce le regole.

Non ne ero comunque tanto sicura. Daryl mi aveva spiegato che chi non rispettava le regole, subiva una pesante punizione corporea. Ma Len era un pazzo, non sapevo quanto potesse importargli.

-Controllate il perimetro. Facciamo un piccola sosta. Se ci sono quei cosi, abbatteteli. Se ci sono animali, cacciateli. – ordinò, prima di allontanarsi con Daryl.

Len allargò le braccia, come per invitarmi a seguirlo. Mi strinsi nella camicia ed accettai. A noi era stato assegnato il compito di controllare la parte opposta dalla quale eravamo giunti, addentrandoci nuovamente nella natura. Con l'arco in mano, Len mi camminava di fronte, facendo attenzione a non far rumore, in modo da evitare di spaventare qualsiasi tipo di animale. Ma a giudicare dalla zona, sapevo che mi sarebbe toccata altra carne di scoiattolo. Infatti, così fu. Cercavo inutilmente di non fissarlo, di pensare ad altro, ma il mio odio nei suoi confronti accresceva sempre più. Volevo separarmene il prima possibile.

-Cosa c'è puttanella, eh? Preferivi startene con quell'altro stronzetto, quello con la balestra.. non è vero? – domandò serpeggiando – Ho visto come lo guardi.

-Non azzardarti a chiamarmi puttana una seconda volta, altrimenti..

-Altrimenti cosa? – rise compiaciuto – E' questo quello che sei, che ti piaccia o meno. Pensi forse che gli altri siano felici di ciò che ha detto quello stronzo di Joe? Sei la nostra puttanella, non dimenticarlo.

Mi superò, dirigendosi ai binari. Un' irrefrenabile pulsione di accoltellarlo mi invase, obbligandomi a fare dei profondi respiri. Non dovevo dar di matto, non potevo ucciderlo. Avrei solo peggiorato le cose.

-E' arrivato il tuo fidanzatino! – urlò, in modo che potessi sentirlo.

Mi voltai affranta, notando Daryl addentrarsi per raggiungermi. I due si scontrarono, colpendosi con le spalle. Mi interrogò con lo sguardo, prima di scrutarmi il corpo.

-Ti ha..? – domandò, incerto.

-No, tranquillo. Sono passati al massimo dieci minuti, anche se avesse voluto..

-Non mi fido di quel bastardo. Joe l'ha fatto apposta, mi sta testando. – affermò guardandosi indietro.

-Quell'uomo non è stupido, non tanto quanto gli altri almeno.. secondo me ha capito, sa che ci conosciamo o che mi hai già vista da qualche parte.

Non mi rispose. Compresi così che anch'egli la pensava allo stesso modo.

-Siamo vicini alle loro prede. Abbiamo trovato delle cartacce di alcune barrette di cioccolato. Stanno seguendo i binari. Vogliono beccarli prima che giungano a Terminus. – disse, sventrando uno scoiattolo che aveva cacciato.

Terminus. Un rifugio? Il mio volto si illuminò. Mi avvicinai all'arciere, in modo che potessi guardarlo in quei suoi occhi di ghiaccio.

-Terminus, è un rifugio. Non è così? – chiesi, sapendo già la risposta.

Alzò lo sguardo dal ventre di quel povero animale.

-Non ha importanza, non ci andremo. – sentenziò, come un padre severo.

-Per quale fottuto motivo? E poi come fai a sapere di questo posto? Te lo hanno detto loro?

Si avventò su quelle interiora, assaporandone le freschezza. Mi schifava un poco, ad esser sincera.

-Ci sono dei cartelli lungo i binari, con una mappa. Joe ha detto che non è un posto per noi. – sbiascicò.

Non riuscivo a credere che fosse un tipo così testardo e stretto di mente.

-E tu gli credi? – reclamai.

Si pulì le labbra sporche di sangue con il dorso della mano e gettò la carcassa ai suoi piedi, poi affondò il pugnale in un secondo scoiattolo.

-Come hai detto prima, Joe non è uno stupido.

Lo guardavo incredula. Mi sembrava troppo passivo, come se si fosse arreso.

-Daryl, ragiona. Se ci sono dei cartelli sui binari, è possibile che gli altri siano andati proprio lì. Dannazione, non riesco a credere che tu non voglia andarci. Potrebbero essere vivi, potresti rivederli.

Ma non appena terminai la frase, mi accorsi di averlo fatto incendiare d'ira. Era molto suscettibile, bastava poco per farlo innervosire. Dovevo imparare a calibrare i miei discorsi, a pesare ogni singola parola. Sennò rischiavo di farlo ammutolire, a cui seguiva un atteggiamento da menefreghista e stronzo. Infatti, senza degnarmi di uno sguardo, mi lanciò lo scoiattolo sventrato.

-Sono tutti morti. – sentenziò – Mangia.

 

*


 

La notte era calata sulle nostre teste prima di quanto pensassi. Il giorno era filato velocemente, per quanto fossi stata inesorabilmente in silenzio. Daryl non mi aveva più considerata ed io mi ero limitata a passeggiare in compagnia di questi schifosi esseri. Ciò che Len mi aveva detto nel bosco, mi aveva allarmato un poco. Ma tentavo di non farci più di tanto caso, non sarebbe successo di nuovo. Ogni tot metri, ai lati dei binari, spuntava un cartello su cui era stata affissata una mappa. Terminus. In caratteri neri, grossi e cubitali. Zona sicura, diceva, rifugio per tutti. Forse aveva ragione Daryl, forse sbagliavo ad aggrapparmi all'idea che il gruppo potesse trovarsi là o che, soprattutto, fossero tutti vivi.

Ma cazzo, io ero viva e con me c'era pure l'arciere. Non volevo digerire il fatto che gli altri non potessero avercela fatta. Ne avevano passate di peggio, da quanto mi avevano raccontato. Drake mi aveva illuminata, gettando al vento ogni traccia di oscurità. Probabilmente mi avrebbe portato a soffrire maggiormente, perché rischiavo di illudermi. Ma almeno ci avrei provato. Avrei provato a convincere quel testone e se non ci fossi riuscita, gli avrei dimostrato che avevo ragione. Sarei andata da sola a Terminus, li avrei trovati. Ero sicura che anche gli altri avessero fatto quel ragionamento, nessuno non avrebbe considerato l'idea di raggiungere un rifugio. Lo stesso Rick, per quanto fosse diffidente, avrebbe deciso di dare un'occhiata. Le ronfate degli altri disturbavano il mio sonno. Ero spossata, stanca. Non avrei gradito dormire in loro compagnia, ma ormai potevo farci poco. Mi sarebbe bastata un'oretta o due, insomma, sempre meglio di niente. Già solitamente dormivo male, cercando di essere vigile anche in quei momenti di pace, ma ora che questi russavano, mi restava impossibile. Cercando di non produrre alcun rumore, attenta ad adagiare lentamente la punta degli anfibi su quelle assi di legno, sgattaiolai fuori dall'edificio, dalla baita che avevamo occupato, nella speranza di non aver svegliato nessuno. Mi sedetti sugli scalini del porticato, osservando il cielo col naso all'insù. Uno spicchio argentato spiccava in quell'immensità blu cobalto. Quel cristallino silenzio fu interrotto da alcuni gorgogli provenienti dalla foresta. Doveva esserci qualche putrido. Ma non avrei potuto abbatterlo, gli altri non dovevano scoprire che fossi armata. Dovevo nascondermi, in modo che quel coso continuasse per la propria strada. Mi aggrappai ad un albero vicino alla casetta, arrampicandomi su un ramo che passava proprio sul tetto di questa. Essendo buio pesto, camminavo carponi su quel largo ramo, attenta a non cadere di sotto.

Quando mi parve di esser esattamente all'altezza del tetto, cercai di calarmi, ma scivolai sbucciandomi le mani sulla corteccia. Non appena percepii la sensazione del vuoto, pronta a schiantarmi sulle tegole, qualcosa mi afferrò, impedendo la caduta.

-Ti è chiaro il concetto di non farsi notare? – sussurrò Daryl.

Mi trovai ancora una volta fra le sue braccia, ma stavolta sospesa. Se fossi caduta avrei fatto un bel casino, svegliando tutti. Mi sciolsi da quella morsa, adagiando delicatamente i piedi sul tetto.

-Adesso mi rivolgi parola? – obiettai, fissando i palmi che frizzavano.

-Mpf.. – mugolò sdraiandosi - .. sei buona solo a farti male.

-E tu a far lo stronzo. – aggiunsi a bassa voce.

Si levò a sedere con un veloce scatto.

-Cosa hai detto?!

Mi sedetti al suo fianco, incrociando le gambe ad indiano.

-Ho detto che sei un ragazzo molto gentile. – risposi ironica.

Borbottò qualcosa e prese un rametto appuntito. Agguantò un coltellaccio e si impegnò a rendere più affilato quel pezzo di legno.

-Che ci fai quassù? – chiesi dopo poco.

-Speravo di starmene da solo.

-Beh anch'io, ad esser sincera.

-Ma cosa ti è saltato in mente mocciosa? – mi sgridò – Te ne sei uscita senza badare a chi potesse esser fuori, oltretutto di notte. E come se non bastasse, vuoi salire sul tetto senza nemmeno essere in grado di stare su un cazzo di ramo! Per caso ti diverti a metterti nei casini?

Mi venne spontaneo scostarmi un poco, come se fossi inorridita dalle sue parole. Proprio non riusciva ad esser mai di buon umore.

-Cazzo Daryl, ma sei sempre così mestruato?

Mi sprezzò con un'occhiataccia. Non aveva il senso dell'umorismo, dovevo arrendermi.

-E' inutile che ti dia ragione, sai già da solo di averla. – aggiunsi.

Egli sbuffò, compiendo quei meccanici movimenti per levigare quel ramo. Non aveva voglia di parlare, ma speravo di intavolare un dialogo spontaneo, giusto per arrivare al nocciolo della questione.

-Una volta che ci saremo liberati di loro, cosa pensi di fare? – domandai preoccupata.

-Ho capito dove vuoi andare a parare, è inutile che ci giri intorno. – rispose scocciato.

Sospirai infastidita. Era davvero impossibile non innervosirsi con quest'uomo. Ma non ero stupida, percepivo benissimo quanto soffrisse. Ci stava male, ma doveva fare l'eroe della situazione. Non poteva certo mettere da parte la maschera che si era prefissato d'indossare. Lui era il tipo freddo, quello distaccato. Il burbero a cui niente importa. Ma non era poi così bravo come attore. Pensai a Drake, a quella notte di fronte al camino, quando mi chiese se avessi voluto cercare il gruppo. E porsi a Daryl la stessa domanda.

-Ti mancano, non è così?

Si bloccò, interrompendo l'azione compulsiva.

-Smettila. – suggerì rabbioso.

-Di fare cosa, di dire la verità?

Si voltò, puntandomi l'indice. Lo faceva spesso quando si incazzava.

-Di credere di conoscermi. Lasciami in pace, cazzo.

Allontanai quel dito dalla mia faccia, puntando il mio sulla sua.

-E tu smettila di fare il bambino.

Si alzò, calciando il legnetto. Questo cadde a terra, soffocando il rumore nell'erba alta. L'avevo fatto agitare, troppo forse. Daryl si massaggiò il collo furioso, prima di inveirmi contro, pur mantenendo un tono basso.

-Sai cosa, non mi importa un emerito cazzo di te. Fa pure l'eroina, fatti uccidere. Vuoi andare a quel cavolo di rifugio? Vacci da sola, non ti seguirò. Ma non provare a pensare di conoscermi, di sapere come stia. Tu non sai un cazzo, non mi conosci affatto. Intesi?

Dischiusi le labbra per rispondere, per difendermi da tali affermazioni taglienti come vetro, ma egli continuò a gettarmi merda addosso.

-Ah un'altra cosa, Kendra Moore. Credi forse che a qualcuno interessi di te? Pensi davvero che se tu incontrassi Rick, ammesso che sia vivo, voglia tenerti con sé? Dopo quello che hai fatto, che ci hai fatto! – abbaiò.

Fu come ricevere una pugnalata a pieno petto. Fu come gettare un cubetto di ghiaccio in un barbecue. Fu come scagliare del sale su una ferita aperta. Fu doloroso, un colpo basso. Le mie unghie spinsero sul legno del tetto, iniziando a grattarlo lentamente.

-Pensi che non mi senta già abbastanza in colpa, caro Daryl Dixon? So cosa ho fatto e cosa non ho fatto. Vi ho mentito, è vero, ma non aiutato in nessun modo Philip. – contestai con voce tremolante. – Io non so come si comporterà Rick, visto che è vivo, ma sento il bisogno di trovarli, di accertarmi che stiano bene. E so, anche se non vuoi ammetterlo, che lo vuoi anche tu. E bada bene, cane rabbioso che non sei altro, non credere che dire tali cose ti aiuti ad affrontare la loro separazione. Ripetermi più volte che sono morti, per autoconvincerti di ciò, non ti farà stare meglio. Ma se vuoi sfogarti con me, sputandomi addosso tutto questo odio, continua pure. Non mi importa.

Si avvicinò per abbaiarmi sul muso a denti stretti, sforzandosi di non urlare.

-Continui a pensare di conoscermi, ma ti sbagli mocciosa. Loro sono morti, smettila di illuderti.

Prendendo coraggio, cercai di mostrarmi sicura di me stessa, affatto intimorita dal suo fare minaccioso, portando il mio viso ancora più vicino al suo.

-Lo stai dicendo a me o a te stesso?

-Chiudi quella cazzo di bocca. – intimò.

Restammo un poco in quella posizione, ad odiarci con lo sguardo, scambiandoci lingue di fuoco immaginarie o saette. Lui era cucciato su di me ed io gli tenevo testa, pronta a dovergli rispondere se avesse aggiunto altro. Poi scocciato, si allontanò incazzato più che mai. Si diresse al ramo, pronto per scendere e starsene finalmente per conto proprio. Ne avrei gioito anch'io.

-Quando ci saremo liberati di loro.. – insistette, rispondendo ad una mia vecchia domanda –..tu vattene pure a cercare fantasmi, io andrò a trovare mio fratello.

D'istinto mi alzai, stanca del fatto che non volesse capire, stanca del fatto che volesse continuare con quella sceneggiata, stanca del fatto che non volesse essere oggettivo ed affrontare la realtà.

-Diamine Daryl, tuo fratello è morto.

-Non puoi saperlo. Lui non c'era all'attacco alla prigione, significa che non se ne era tornato dal Governatore. Questo vuol dire che può essere ancora vivo, a differenza degli altri.

Si aggrappò al ramo, apprestandosi a scendere ed io non seppi trattenermi, sputando quell'amara verità.

-Daryl, tuo fratello è morto.. – dissi, asciugando una lacrima con la manica della sua camicia – ..io lo so.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 : Impura ***


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Capitolo 17 : Impura


L'avevo detto. Sì, quelle parole erano uscite dalla mia bocca. Quei vocaboli avevano trovato la loro strada, liberandosi nell'aria. L'avevo detto, nei peggiore dei modi. L'avevo detto, senza accorgermene. Un gesto spontaneo, non calcolato. Quell'amara verità era finalmente venuta a galla, fluttuando in quella notte non stellata, volteggiando fra noi. Senza tatto, delicatezza, avevo annunciato ad una persona la morte del proprio fratello, come se niente fosse, come se avessi fornito una notizia di quartiere. Egli rimase immobile, con una mano in tensione sul ramo. Non si voltò a guardarmi, non si avvicinò per chiedermi spiegazioni, non eruttò. Feci un passo in avanti, come per raggiungerlo, ma al rumore che provocò il mio spostamento, Daryl si aggrappò sul ramo, fuggendo in una corsa felina. Rimasi impietrita a guardarlo allontanarsi nel bosco, come un animale ferito che cerca un riparo dove morire. Ero cosciente di averlo spezzato, ma mai avrei pensato che egli ancora nutrisse della speranza nei confronti di Merle. Avevo erroneamente creduto che si fosse arreso, che se lo fosse immaginato. Forse era proprio così, fino a pochi minuti fa. Forse la ricerca di suo fratello era stata una banale scusa, fatto stava che mai si sarebbe aspettato tale affermazione, soprattutto da me, soprattutto in quel momento. Sentire ciò, aveva trasformato le sue paure, i suoi timori in realtà. Lo avevo scaraventato nel limbo. Sapevo che avrebbe voluto del tempo per sé, ma sapevo pure che per quanto Daryl fosse un cacciatore esperto, attento, in quello stato emotivo in cui si trovava, avrebbe rappresentato una facile preda. Dovevo raggiungerlo, evitare che si facesse ammazzare per una distrazione. Mi calai a terra, facendo mente locale. L'oscurità aveva inghiottito l'ambiente, rendendo difficile il riconoscimento del materiale a me vicino. Ma ormai ci avevo fatto l'abitudine, allenando i miei occhi a scorgere il necessario nel buio. Avanzai un poco timorosa, stringendo con forza il pugnale che avevo nascosto negli anfibi. Mi addentrai nello stesso punto in cui avevo scorso svanire la figura dell'arciere, sperando che non si fosse allontanato più di tanto. I miei piedi si scontrarono con qualcosa e a giudicare dall'odore, fu semplice capire di cosa si trattasse. Daryl aveva già ucciso qualche putrefatto. Superai quei resti, spostando alcune fronde. Udii dei rumori, qualcuno era vicino. Mi bloccai d'impulso, in modo da concentrarmi su quel suono, per meglio comprendere da dove provenisse. Passi, ma non erano pesanti e strascicati. Esclusi l'ipotesi di un vagante. Non appena il rumore si fece più intenso, mi voltai portando il pugnale all'altezza del volto, ma qualcuno mi afferrò il polso, facendolo ruotare. La mano non trattenne la presa, causando la caduta dell'arma. Mi trovai schiacciata fra un tronco e un corpo, il quale mi aveva tappato la bocca con un palmo.

-Shhh.. – sussurrò una voce maschile.

Rabbrividii, riconoscendo il tono.

-Che pensavi di fare, eh bambolina? – interrogò – volevi farti un giretto?

Cercai di dimenarmi, di liberarmi dalla sua presa. Dopotutto era abbastanza esile di corporatura. Ma non appena percepii la punta di una lama all'addome, cessai ogni tentativo. Ero stata un stupida a correre dietro a Daryl, aveva ragione lui. Riuscivo sempre a mettermi nei casini, a farmi del male. Era un uomo con le contro palle, se la sarebbe tranquillamente cavata da solo. Non aveva bisogno del mio aiuto, né tantomeno della mia compagnia. Ma ora avevo una questione più urgente da risolvere, dovevo sfuggire a quel viscido di Len. Non gli avrei permesso di toccarmi una seconda volta. Mi leccò il collo, procurandomi una sensazione disgustosa. Dopo aver preso un bel respiro, alzai di getto la gamba, colpendolo nei coglioni col ginocchio. Ciò provocò un suo cedimento, permettendomi di colpire la mano che serrava il coltello, disarmandolo. Assestai poi un calcio alla sua caviglia, obbligandolo a cedere su se stesso. Cadde a terra gemendo ed inveendomi contro, ma non prestai attenzione alle sue parole, occupata dal fuggire il più lontano possibile. Ma inciampai proprio sul corpo di quel putrefatto, finendo faccia a terra. Len mi fu addosso di nuovo, più furioso di prima. Cercava di agguantarmi i polsi, di bloccarmi. Allungai il braccio in cerca di qualcosa, sperando di riuscire a colpirlo con un grosso ramo od altro. Le mie dita affondarono nel terreno, stringendo un bel masso irregolare. Con un colpo di reni, schiantai la pietra sulla sua schifosa faccia.

-Puttana! – gridò dolorante.

Lo spinsi via facilmente, essendo egli troppo occupato a massaggiarsi la testa che sanguinava. Uscii in fretta dalla radura e fui stranamente entusiasta di scorgere la baita. Sebbene quella gentaglia aveva abusato di me, Joe non avrebbe permesso sgarri alle regole. Sarei stata al sicuro nelle sue vicinanze. Anche se pensare ciò, mi fece rabbrividire. Udendo alcune voci, compresi che si fossero svegliati. Costeggiate le mura, giunsi davanti al portico. Il gruppo stava borbottando qualcosa su noi, domandandosi dove fossimo finiti e se era necessario cercarci. Non appena mi videro, Joe mi squadrò esaminandomi con circospezione. Uno dei tizi mi interrogò, gesticolando con una pistola.

-Dove cazzo sei andata?

-A pisciare. – risposi pacatamente.

-E il tuo nuovo amichetto?

-Non lo so.

-Riprova. – minacciò, avvicinandosi.

Joe gli toccò una spalla, ordinando senza aprir bocca di placarsi e di lasciarmi stare. Quando questo si voltò per protestare, dei passi allarmarono tutti, togliendo le varie sicure nel caso fosse arrivato qualche vagante. Invece fu proprio Len a fare capolino, bestemmiando mentre premeva con la mano sulla ferita. Qui all'aperto, in un cielo privo di chiome e fronde, i raggi lunari ci permettevano di vedere più chiaramente. Lo avevo colpito alla tempia, la quale sembrava essersi gonfiata. L'incarnato si stava scurendo, il giorno seguente avrebbe avuto una bella chiazza violacea. Inoltre sanguinava dall'arco del sopracciglio.

-E tu dov'eri? – chiese Joe, fingendo naturalezza.

Len mi guardò, cercando di capire se avessi detto qualcosa, ma non comunicai niente.

-Devo chiedere il permesso per andare a cagare adesso? – domandò scontroso.

Joe diede vita ad un sottile sorriso, tanto che mi parve più un ghigno.

-Come ti sei ferito? – continuò chioma bianca, osservando la pistola fra le mani.

Len rispose, fissandomi negli occhi. Temeva che avessi parlato.

-A coglione! Ho sbattuto contro un cazzo di ramo.

Gli altri ridacchiarono, divertiti dalla scena che si stavano immaginando. Joe si unì alla loro risata e ciò fece abbassare la guardia allo stronzo, che sbuffò per essere preso in giro. D'improvviso però, il capo tese il braccio ed un sparo rimbombò nell'aria. Len cadde a terra, mugolando. Le sue mani premevano con forza sulla gamba, dalla quale colavano dei rivoli spessi di sangue. Lo aveva colpito al ginocchio.

-Se c'è una cosa che odio, sono i bugiardi.

Len urlò, inveendomi contro.

-Non ho fatto niente, quella puttana si è inventata tutto.

L'asfalto si colorò di rosso.

-E' vostro. – annunciò Joe.

Il gruppo non se lo fece ripetere due volte. Rimasi impietrita dalla violenza che si scagliò su di lui, non che non sapessi di cosa fossero capaci, ma avevo banalmente pensato che si sarebbero riguardati su un loro compagno. Erano solo delle bestie. Joe posò divertito un braccio intorno ai miei fianchi, invitandomi ad entrare nella casetta. Chiusa la porta, le grida e le percosse si fecero più distanti.

-Era così scontato? – gli chiesi curiosa.

-A dir la verità, no. – rispose serio – Eri piuttosto tranquilla, affatto agitata. Quindi nessuno ha pensato che ti avesse toccato. Ma ho notato che avevi un po' di fiato corto ed una mano sporca di terra..

D'istinto mi esaminai l'arto.

-Se tu fossi andata a pisciare, quale motivo avresti avuto di correre? Beh, potevi essere scappata da uno di quelle cose, ma certamente ciò non spiegava la mano sporca. Poi mi è bastato vedere lo sguardo di quel deficiente, la ferita in testa. Era una lesione affatto pulita, irregolare. E mi sono chiesto, quale oggetto avrebbe potuto utilizzare per imbrattarsi di fango? Un masso. Ho fatto due più due. Non che fosse una caso poi così difficile.

Giustamente era il capo. Non gli sfuggiva nulla e sapeva come tenere al guinzaglio i suoi uomini. Le urla di Len si fecero più forti, ma mi accorsi che non mi suscitavano niente. Anzi. Come se avessi detto qualcosa, Joe continuò a parlare, osservando dalla finestra il massacro.

-Questo mondo ci calza a pennello. Non dico che siamo in paradiso, ma siamo adatti per questa realtà. Non abbiamo alcuna difficoltà a sopravvivere, ci viene naturale. I contrasti si creano solo fra di loro. Non sono intelligenti, ma sono animali. Agiscono per istinto. Il mio compito è tenere il controllo della situazione, ammaestrarli. Len era un anello debole ed un soggetto di squilibrio, pericoloso per il branco. Se non fosse stato per te, sarebbe presto finito così comunque.

-Non mi importa cosa siete, ma più che animali direi mostri.

Senza distogliere lo sguardo da quella scena brutale, mi corresse.

-No ragazza mia, se pensi che noi siamo dei mostri, significa che ti è andata parecchio bene.

Mi resi conto che poteva benissimo avere ragione. L'epidemia aveva tirato fuori il peggio dagli uomini. Speravo di continuare a non imbattermi in qualcosa di terribile. D'un tratto mi accorsi che la voce di Len era svanita già da qualche minuto, preannunciando ciò che avrei visto se avessi aperto la porta. Un cadavere deturpato.

-L'ho notato, sai? – disse chioma bianca.

-Cosa?

-Lo stesso giorno in cui ti ho incontrata, il tuo sguardo. I tuoi occhi hanno qualcosa di diverso, ho capito subito che non eri una ragazza sprovveduta. Per quanto siano verdi brillanti, si stanno macchiando.

Non capii cosa intendesse, ma mi infastidì parecchio il suo riferimento allo stupro.

-Ti stai trasformando. Questa realtà plagia tutti noi. Se resterai viva ancora per molto, presto non sarai poi tanto diversa dai mostri che temi.


 

*


 

Quei dannati binari sembravano non volersi mai fermare, ma anzi, estendersi per miglia e miglia. Il caldo estenuante non rendeva facile nemmeno quella semplice azione, camminare. Le gambe chiedevano pietà, ma ero costretta ad ignorarle. La frase di Joe si era insinuata nel mio cervello, martellando con insistenza. Gli era bastato guardarmi, per capire la metamorfosi che il mio animo stava compiendo a mia insaputa. Certo, non ero così sciocca da non aver intuito il processo di trasformazione che avevo messo in atto, ma forse avevo solamente finto di non farci caso, di concentrarmi su altro. Odiavo problematizzare su me stessa, ma quel bastardo di Joe mi aveva mandata in crisi. Se ancora non ero un mostro, poco ci mancava. Le urla e le grida di Len, non avevano scatenato alcuna emozione in me, anzi, ero felice del destino che gli era stato concesso. Osservai Daryl che mi ignorava palesemente, arrabbiato e ferito nell'animo. Non provai a dire qualcosa, sapevo che quando sarebbe stato il momento giusto egli stesso mi avrebbe rivolto parola. Era fatto così, aveva bisogno di tempo per sbollire, ma soprattutto per realizzare ed accettare la morte di suo fratello. Appena il sole era sorto, l'arciere era tornato dal gruppo, come se niente fosse. Nessuno gli chiese nulla, compreso Joe. Capii che lo faceva spesso. Aveva visto il corpo di Len, eppure non si era domandato cosa fosse successo, né mi aveva degnata di uno sguardo. Odiavo vederlo così distante. Se me ne stavo ancora lì in loro compagnia era solo per lui, altrimenti avrei già cercato di scappare. Ma a quanto pareva, Daryl non era della stessa opinione, anzi, forse gli ero solo di fastidio. Però ero stranita dal suo modo di fare, è vero che era solito chiudersi in se stesso, ma mi aveva sorpreso il fatto che non avesse voluto sapere di più su Merle. Non che gli avrei potuto fornire chissà quali spiegazioni, Philip mi aveva detto poco. Daryl se ne stava in fondo, a chiudere la fila. Io invece mi trovavo in cima al fianco del capo, pregando che questi trovassero in fretta le persone tanto acclamate. Ancora non sapevo cosa avrei dovuto fare, certo, la prima decisione era quella di fuggire, ma allo stesso tempo ero dubbiosa sulla loro caccia. Era possibile che queste persone fossero solo delle vittime e che avessero dovuto uccidere alcuni loro uomini per difesa. Dopotutto non erano molto accoglienti e gentili. Ero solita accollarmi i problemi altrui, le altre vite. Sapevo che mi sarei sentita in colpa se fossi solamente scappata. Prima avrei dovuto accertarmi che tipi di individui fossero, ma ancora non sapevo come agire. Anche se mi fossero sembrate brave persone, come avrei potuto aiutarle? Ero sola contro questi mostri. E Daryl, boh, non credo che avrei potuto contare su di lui. Tutto dipendeva dal suo umore in quel preciso istante. Joe si fece più vicino, quasi volesse sussurrare.

-Da quando sei arrivata quel ragazzo è ancora più disturbato.

-Ah sì? – parlai, destandomi dai miei pensieri.

Si guardò intorno, per capire se potesse parlare a bassa voce o meno.

-L'ho capito, sai? Non c'è più bisogno di recitare.

-Nessuno sta recitando. – dissi, sperando che Joe si bevesse tale balla.

Passò una mano fra quei folti capelli argentati e sorrise. Spostai lo sguardo, concentrandomi sull'orizzonte. Ancora non riuscivo a digerire il fatto di camminare in compagnia del bastardo che mi aveva violentata, e allo stesso tempo, mi stupivo di quanto fossi calma. Il cuore mi diceva di aggredirlo e porre fine alla sua vita, ma il cervello mi implorava di fare la cosa giusta, di non essere un'assassina, un mostro. Si sarebbe trattata di vendetta dopotutto, occhio per occhio, un'azione quasi legittima. Eppure, qualcosa in me sapeva che sarebbe stata la mossa sbagliata. Dovevo provare a mantenere stabile il mio essere, la mia persona. Il mondo era cambiato, ma io potevo combattere, e non farmi piegare da questa forza distruttrice. La mia identità doveva restare intatta, integra. Una sfida complicata.

-Tutti recitiamo, ragazza mia. – sentenziò Joe – Ognuno di noi interpreta un personaggio, si cala perfettamente nel ruolo. Il tuo amichetto, ad esempio, lui ha scelto di essere un lupo solitario. Pensa di dover stare da solo, di non aver bisogno di nessuno. Ma sappiamo entrambi che un lupo, alla fine, si aggrega sempre ad un branco. E tu, tu sei un diamante.

Lo guardai non capendo cosa intendesse, sperando che fornisse una spiegazione.

-Già ragazza, un diamante. Reciti questa forza, fingi che niente possa scalfirti, ma quello che ancora non hai capito, è che sei macchiata. – aggiunse – Sei un diamante impuro.

-Beh, grazie dell'allegoria. – lo interruppi – Ma non mi interessano questi discorsi da psicologo. Sono quel che sono.. e diciamo che tutta questa merda ha influito.

Una leggera smorfia apparve sul suo volto, ma scomparve per permettere alle sue labbra di muoversi.

-E' qui che ti sbagli, ragazza. Quello che stavo cercando di dirti, è che sei sempre stata così. Un diamante è impuro fin dalla nascita, quando durante la sua formazione nel sottosuolo compaiono delle fratture al suo interno. Certo, quello che avrai dovuto subire avrà avuto un peso, ma la tua impurità non è causata da questi.. agenti esterni, chiamiamoli così.

Tali parole mi spiazzarono. Joe mi aveva appena detto che avevo un lato oscuro, una parte di me che ancora forse non avevo avuto l'occasione di conoscere, a differenza sua. Per quel bastardo, era evidente cosa fossi. Stava cercando di farmi mollare, di invitarmi ad essere quello che ero, senza seguire la razionalità. Voleva che agissi d'impulso, che lasciassi alla realtà esterna di mutarmi in quello che fin dall'inizio avrei dovuto essere, come se la vita passata fosse stata solo una gabbia. A suo avviso, io fingo di essere un diamante.

-Se dovessi seguire la tua logica, Joe.. allora anche tu fingi di essere qualcun altro.

Mi guardò compiaciuto, felice che avessi compreso.

-E' così, questo è il punto.

Osservai i palmi delle mani, permettendo ai raggi solari di mostrare quelle abrasioni che, stupidamente, mi ero inferta. Per quanto mi dolesse ammetterlo, forse chioma bianca aveva ragione. Io ero sempre stata "fratturata". E forse era proprio questa particolarità ad avermi permesso di restare in vita fino ad oggi. Ciò poteva avere anche dei vantaggi, in fondo. Stava a me riuscire a manovrare queste qualità. Probabilmente egli non si riferiva a qualcosa di maligno, forse avevo malinteso le sue parole. Forse stava cercando di dirmi altro.

-E tu, cosa saresti Joe? – domandai.

Egli diede un'occhiata ai suoi uomini, inarcando le sopracciglia.

-Io sono un leader, un capo, un alfa.. tante parole per dire la stessa cosa. Il mio compito è tenere a bada questi ragazzi, guidarli, imporre disciplina. Ma per farmi rispettare, questo comporta ad una serie di azioni che, normalmente, troverei alquanto sgradevoli.. diciamo così.

Trattenni una risata, incredula di aver udito ciò. Una risata nervosa, feroce.

-Mi prendi per il culo? – sibilai – E' meglio se la pianti con questi discorsi del cazzo. Non voglio sentire altro, basta stronzate.

Fu divertito di vedermi alterata.

-Qual è il problema, non mi credi? – chiese pacifico.

Le mani si serrarono in pugni, pronte per spaccargli quella dannata faccia.

-Non riesco a credere che tu sia così dannatamente serio. Secondo te, dovrei accettare queste balle che mi stai rifilando? Pensi forse che possa guardarti con occhi diversi in questo modo? – domandai ferita e arrabbiata – Come puoi pensare che io creda a tali stronzate? E' assurdo. Ceh, tu mi stai dicendo che hai fatto quel che hai fatto solo perché la tua banda del cazzo continui ad eseguire i tuoi ordini? Della serie, ' è andata come è andata, senza rancore' .

Joe cambiò espressione, facendosi scuro in volto.

-Credi che sia facile essere a capo di questa barbara gentaglia? Se voglio essere considerato il leader, devono temermi e stimarmi. Non posso evitare certe situazioni, ma prenderle di petto. Liberissima di credermi o meno, ma sappi che non avrei nessun motivo di mentirti. Non ne avrei vantaggio in alcun modo. – affermò, tornando dal suo gregge.

Mi sentii preda a fiamme. Si era riferito al mio abuso come un incidente di percorso, come una cosa a cui era costretto partecipare, come una situazione che obbligatoriamente doveva affrontare in quel modo. Ed io come una deficiente ci stavo pure ragionando su, perché quel bastardo aveva detto almeno una verità, mentirmi non avrebbe portato a niente. In sostanza, mi aveva costretta a rivalutare la sua figura. Non mi aveva chiesto di perdonarlo, ma di capirlo. Feci per voltarmi quando una furia mi attaccò il braccio, obbligandomi a seguire la sua camminata rabbiosa. Ci immergemmo nuovamente nella radura, allontanandoci da occhi indiscreti. Dire che mi strattonava sarebbe un eufemismo, più che altro mi trascinava. Prendendomi per le spalle, mi sbatté ad un tronco, costringendomi a restare immobile. I suoi occhi glaciali non erano alquanto invitanti in quel preciso istante, anzi, sembravano che volessero tagliuzzarmi in minuscole parti. Finalmente era scoppiato, lento l'arciere.

-Cosa cazzo stai facendo? – latrò.

Alcuni ciuffi scuri e compatti, a causa dello sporco, occuparono parte del volto.

-Semmai, cosa diavolo stai facendo tu! – risposi, allontanando le sue braccia.

-Sei una stupida puttana! – sgolò – Questo non è un gioco.

Posai l'indice sul suo petto, in modo da punzecchiarlo.

-Sarebbe più facile discuterne se tu dicessi gentilmente a cosa ti stai riferendo.

-Mi pare ovvio cazzo! – abbaiò – Stai facendo combriccola con Joe. Ti sembra normale?

-Se c'è qualcosa che non mi sembra normale qua, quello sei tu. – risposi infastidita.

Non mi trovavo dell'umore più adatto per discutere. Quando mi giravano i coglioni era meglio starmi alla larga. Rischiavo di dire cose che non pensavo. Ero riuscita a controllarmi, a restare razionale per tutti questi giorni pieni di merda. Ma Joe mi aveva scossa, facendo riaffiorare la morte di Drake e l'abuso, ma non solo, anche tutto il marcio che avevo dovuto sopportare in silenzio.

-Non fare la gradassa, ragazzina. – disse – Non ho più intenzione di guardarti le spalle, quindi evita di comportarti da idiota.

Mi scostai da quella figura minacciosa.

-Se non ti importasse, non saresti qui a dirmelo.

-Stronzate! – ribatté immediatamente.

Ma sapevo di avere ragione. Era inutile che Daryl facesse il distante, ormai mi era facile capirlo.

-Senti, se non hai altro da dirmi.. me ne torno indietro. – dissi, incamminandomi.

Egli mi bloccò, afferrandomi il polso.

-Quelli ti hanno stuprato, dannazione. E se non ci fossi stato io, lo avrebbero fatto anche gli altri. – ringhiò – Cosa diavolo ti spinge a voler tornare da loro? Cosa ti ha detto Joe per ridurti così? Ti ha fatto il lavaggio del cervello, cazzo.

Mi stava rinfacciando il suo aiuto.  Mi stava gettando nel dolore a cui ero sfuggita. Liberai il polso da quella morsa e mi avvicinai molto all'arciere, in modo da metterlo a disagio. Non avevo bisogno di urlare, a differenza sua sapevo essere schietta anche a toni più bassi.

-So benissimo cosa sarebbe successo, cosa avrei dovuto sopportare se tu non fossi stato con loro. Te ne sono grata, questo lo sai. E sai anche che sarebbe inutile ripetertelo più e più volte. Siamo fatti così noi, no? Ci teniamo le cose dentro, le diamo per scontato. Ma c'è una cosa che ci rende molto diversi. A differenza tua, io affronto tutta la merda che incontro. – bisbigliai, avvertendo alcune lacrime solcarmi le gote – Io non scappo, non evito i confronti. Accetto ed affronto, lotto. Nessuno mi ha fatto il lavaggio del cervello, non ti importa nemmeno cosa mi ha detto Joe. Ti infastidisce solo vedermi ancora in piedi, ti ferisce vedermi più forte di te.. ti innervosisce ascoltarmi adesso ed apprendere quanto abbia ragione.

Per un attimo mi parve vederlo addolcirsi, ma dopo pochi secondi i suoi occhi mi fulminarono.

-E' questo quello che vuoi, vedermi incazzato con te? Cosa vorresti sentirti dire, sentiamo. Ti aspetti forse che faccia un bel piantino, che ti dica che sei una stronza. Cazzo, avresti potuto dirmi prima di mio fratello. Dimmi la verità, quel giorno al supermercato.. quel fottuto giorno in cui mi hai rassicurato dicendo che l'avresti cercato.. sapevi già che era morto, non è così? – sgolò – Pensi che sia un cretino? Non mi illudevo certo di trovarlo vivo, ma in fondo è mio fratello cazzo. Per quanto fosse un bastardo, gli volevo bene. Ma forse sì, sono un coglione ad essermi fidato di te. E sono doppiamente coglione a discuterne con te.

Fece per allontanarsi, ma stavolta fui io a bloccarlo per un polso.

-Daryl, ti prego. Non fuggire di nuovo, non darmi le spalle per una seconda volta. Pensi che sia stato facile tenermi dentro questo segreto? Lavoravo per Philip, ero con voi per eseguire degli ordini. Non hai idea di quanto sia stata dura per me. Ogni volta che ti guardavo, parlavo.. pensavo a Merle. Quando sono tornata per avvertirvi, quando mi sono resa conto di cosa fosse in realtà Phil, quel giorno nei bagni della prigione.. lì, stavo per dirtelo. Poi non ne ho più avuto l'occasione. Ieri sera è successo, te l'ho sputato con rabbia. Ad esser sincera speravo di dirtelo in altro modo, magari in un altro momento.. ma sappiamo entrambi che non ce ne sarebbe mai stato uno adatto. Daryl, per quanto possa sembrarti strano, ero amica di tuo fratello. Non posso sapere come fosse prima di Woodbury, ma lì.. cazzo se si divertiva. Era sempre di buon umore. Andavamo spesso in spedizione assieme, sai? Mi parlava di te, del suo fratellino, del moccioso.. il tenero della famiglia.

-Basta.. – pregò.

-Sono stata sei mesi nel caos, in una cazzo di spedizione per trovare un rifugio, una seconda casa. Non sto a dirti come sono morti tutti i miei compagni. Ma sono sopravvissuta, ho affrontato l'inverno da sola. E quando ho fatto ritorno a Woodbury, tuo fratello non c'era. Ho pensato che fosse a casa sua, sbronzo come al solito. Poi un soldato mi ha detto che ci aveva traditi, che era tornato da te. Daryl, credimi, ne ero felicissima. Merle era riuscito ad incontrarti, dopo tutto quel tempo. Voi eravate di nuovo assieme. Non lo consideravo un traditore, ma una persona fortunata.

-Dimmi solo come è morto.. – disse.

-Philip, lui l'ha ucciso. – ammisi, abbassando lo sguardo. – Merle è tornato da lui, per chiedere una tregua, per chiarire. Dopotutto, era stato proprio Philip a salvarlo ad Atlanta.

Fu così che il silenzio calò fra noi. Restammo immobili uno di fronte all'altro, come gli alberi a noi vicini. Non c'era altro da aggiungere, ci eravamo liberati. Sebbene spesso mi infastidivano i suoi modi di fare e di essere, mi resi conto quanto fossimo simili. Riuscivamo ad aprirci solo nelle discussioni, ma Drake mi aveva aiutato in questo frangente, mentre non potevo dire la stessa cosa per l'arciere. Non sapevo se aveva mai avuto qualcuno in grado di farlo parlare. Percepivo il suo dolore, le emozioni che ero riuscita a scaturire parlando di Merle. In un certo senso, mi immedesimavo in lui. Sapevo bene cosa significava perdere qualcuno. Cassie. Drake era l'opposto di Daryl, nonostante fossero stati vittime dello stesso tragico destino. Entrambi avevano perso il fratello maggiore, ma le loro reazioni erano state completamente differenti. Forse Drake sarebbe stato più utile ad egli, piuttosto che a me. Ebbi la forza di levare gli occhi dai miei anfibi e di puntarli su quelle pupille di ghiaccio, nascoste dalla lunghe ciocche di capelli. Forse mi sbagliai, ma mi parvero lucide. Fu così che poggiai il mio volto al suo petto e lo cinsi in un abbraccio. Ci scambiammo i ruoli del nostro primo abbraccio, stavolta ero io quella che aveva avuto il coraggio di avvolgerlo, mentre era lui quello che aveva deciso di restare fermo, non contraccambiando quel gesto, non ad azione almeno. Perché sapevo che anche se i suoi arti superiori non si erano alzati per unirsi, il sentimento lo aveva fatto al posto loro.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 : Inchiostro ***


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Capitolo 18 : Inchiostro


Se mi avessero detto che avrei dovuto camminare così tanto, mi sarei impegnata a fare palestra. Invece negli ultimi mesi in cui ero stata a casa, dopo alcune missioni con l'esercito, avevo deciso di fondermi col divano. Inutili le incitazioni da parte di mio padre, inutili quei bei pomeriggi, inutile l'abbigliamento da jogging che avevo nell'armadio. Ed ora ne pagavo le conseguenze. Un crampo mi fece irrigidire la gamba, obbligandomi a rallentare fino a fermarmi. Misi in tensione il piede, in modo da sciogliere quella contrazione tanto dolorosa quanto fastidiosa. Daryl si fermò, scrutandomi. Avevamo fatto ritorno al gruppo, il quale si era offerto una pausa. Breve per i miei gusti. Adesso ci trovavamo nuovamente in cammino, su questi dannati binari. Nel frattempo si era fatta sera e fortunatamente l'aria era fresca. I muscoli si rilassarono lentamente, procurandomi del sollievo. Guardai Daryl e tornammo a camminare. Ci trovavamo in fondo alla fila, in modo da potercela svignare più facilmente quando si sarebbero occupati delle prede. Non avevamo più parlato dopo quell'abbraccio, come se avessimo deciso di prenderci del tempo per riflettere. Non mi odiava, ma si sentiva giustamente ferito. Ed io non lo odiavo, ma mi sentivo giustamente aggredita. Il borsone con le mie armi dondolava fra le sue mani. Mi sentivo nuda senza i miei effetti, ma entro poco me ne sarei nuovamente appropriata. A quanto diceva Joe eravamo vicini, non doveva mancare molto. Li avremmo sicuramente raggiunti quanto sarebbe calata la notte, questi dovevano pur riposare. La camicia emanava un nuovo profumo ormai, all'odore di Daryl si era unito anche il mio. Speravo di incontrare qualche macchina o qualche casa ricca di abiti, giusto per fare un cambio. Spostai i riccioli di lato, tutti su una spalla, in modo che il venticello fresco mi passasse sul collo. Una goduria. Tornai a guardare Daryl e dissi la prima cosa che mi venne in mente.

-Ascolta, abbiamo iniziato col piede sbagliato. Che ne dici di ripartire da zero? – domandai sorridente, sperando che ciò bastasse per fargli dire di sì.

Mi guardò incerto, poi sbuffò. Non era proprio una risposta, ma lo presi come un okay.

-Mh, allora.. Kendra Moore, venticinque anni. Mia madre si è ammalata allo scoppio dell'epidemia ed ha morso mio padre. Sono scappata con mia sorella di dieci anni e siamo giunte ad Atlanta. Ho incontrato un gruppo e ci siamo unite a loro. Per un po' le cose sono andate bene.. poi un'orda ha raggiunto il nostro campo e siamo state costrette a fuggire. Dopo un mese circa, mia sorella è morta. Philip mi ha salvata e il resto lo conosci.

-Per questo hai tentato il suicidio? – domandò privo di tatto – L'hai fatto dopo che è morta tua sorella, giusto?

Osservai la fascia e poi il suo volto.

-Ho visto la cicatrice quando ti ho liberato i polsi.. – ammise, guardando avanti a sé.

Ero riuscita a raccontargli la mia vita in nemmeno un minuto, sputando quei ricordi senza prendere fiato. Ero riuscita a fare qualcosa che mi avrebbe richiesto anni da un'analista. Ma la soddisfazione si era volatilizzata all'istante con quella domanda tanto amara.

-Lasciamo le domande alla fine, che ne dici? – proposi.

-Mmmh..-

Sempre di molte parole. Sospirai, felice di aver evitato tale argomento, anche se egli aveva già capito benissimo, il mio silenzio era stato più efficace di qualsiasi possibile parola. Un puntino rosso al lato del binario catturò la mia attenzione. Mi accucciai per spostare quei fili d'erba e vidi una fragolina selvatica. Il mio frutto preferito. Già assaporavo sulle labbra quel dolce succo, quand'ecco che una mano strappò via quella fragola.

-Rivendicata.

Sempre cucciata, alzai lo sguardo in tempo per vedere Daryl gustarsi quella perla deliziosa. Tornai in piedi a braccia conserte, odiandolo con ogni singola parte di me. Mi fece un sorrisino e riprese a camminare come se niente fosse. Rimasi un poco interdetta dal suo gesto, l'aveva fatto giusto per dispetto. Ma fin tanto che mi considerava, andava bene. Poco importava se facesse lo stronzo o meno, mi bastava averlo al mio fianco. Mi faceva sentire meno sola. Accelerai il passo per raggiungerlo, stupendomi del fatto che avesse sorriso.

-Tocca a te..- affermai.

-Mpf.. – borbottò – Non mi va di fare questo stupido gioco.

Sbuffai.

-Non l'avrei mai detto. – risposi ironica.

Si innervosì e non mi degnò di altre parole. A volte mi divertiva vederlo così, era una bambinone. Sapevo che era difficile farlo parlare, ma ero fiduciosa del fatto che un giorno ci sarei riuscita. Pazienza e perseveranza, le madri del successo. Il cielo si scurì ad ogni nostro passo, accompagnandoci in questa caccia all'uomo. Joe fece cenno di passare per il bosco, li avremmo accerchiati spuntando dall'oscurità. In trappola, nessuna via di fuga. Due scagnozzi erano andati in avanscoperta e adesso stavamo aspettando il loro ritorno, per organizzare meglio l'azione. Il gruppo mi parve eccitato all'idea di spargere sangue. Appena i due uomini si unirono nuovamente a noi, Joe fornì le indicazioni per l'attacco. Il gruppo si sarebbe diviso, in modo da prenderli da ogni angolo. La caccia ebbe inizio ed io e Daryl ci confondemmo nel buio, allontanandoci in fretta da quei bastardi. Correvamo scansando gli arbusti e facendo attenzione a non inciampare in qualche grossa radice emersa. Uno sparo fece alzare in cielo uno stormo di corvi, che sorvolò velocemente la radura. Mi bloccai di colpo, aggrappandomi ad un tronco per riprendere fiato. L'arciere mi fece cenno di continuare, non potevamo perdere tempo. Ogni minuto era prezioso. Col fiato corto ed una mano sul petto, provai a parlare.

-Dobbiamo tornare indietro.. – tossii - ..quelle persone.

-Quelle persone non sono un nostro problema. – controbatté.

-Ma Daryl, loro..-

Mi corse incontro, in modo d'afferrarmi per la manica lunga della camicia.

-Loro hanno firmato la propria condanna, uccidendo quelle persone. – disse spazientito – Muoviamoci.

Mi strattonò per qualche metro, ma cocciuta ci provai nuovamente. Non potevo accettare l'idea che quei bastardi facessero del male ad altre persone. Se ci fosse stata una donna fra loro?

-Daryl aspetta! – urlai – Dobbiamo aiutarli.

-Non possiamo salvare tutti, devi mettertelo in testa. – abbaiò – Pensavo che questo l'avessi capito ormai.

Colpii il polso dell'arciere e questo si voltò immediatamente, mollando la presa. Con uno scatto veloce gli strappai di mano il borsone ed iniziai a correre come una forsennata. Aprii la cerniera ed estrassi il fucile di Drake. Alcuni rumori mi fecero comprendere che il bambinone mi era al culo. Bene, in un modo o nell'altro ero riuscita a farmi seguire. Lanciai il borsone al ciglio della strada ed emersi da quell'oceano alberato, poggiando gli anfibi sull'asfalto. Vidi un pick up azzurro e gli uomini di Joe con le armi puntate. Le vittime erano coperte dalla vettura, ma a veder la postura dei cacciatori, ero ancora in tempo per salvarli. Daryl mi tirò uno scappellotto sulla nuca e mi fece cenno di non ribattere, portando l'indice sulle sue labbra. Avanzammo su quella strada liscia, in modo d'affiancarci ai nostri cari compagni. Non ci avrebbero mai attaccato né sospettato un nostro ammutinamento. Così facendo sarebbe stato più facile per noi prenderli di sorpresa. Joe stava blaterando qualcosa sulla vendetta e non appena ci vide, fece cenno di avvicinarci a lui. Gli uomini ci fecero spazio, per consentirci di godere della vista delle loro prede. Ma non appena mi fu possibile scorge i loro volti, mi pietrificai. Le parole di Joe divennero ovattate per le mie orecchie, fu come cadere in trance. Lì, inginocchiati a terra e con le pistole puntate alla testa, c'erano tre persone che tanto avevo sperato di trovare vive. Il mio cuore balzò dal petto dalla gioia, nonostante la situazione non fosse delle più felici. Ma allo stesso tempo, ero grata a me stessa per aver insistito tanto con Daryl. Se non fossimo tornati indietro, Rick, Michonne e Carl, avrebbero fatto una brutta fine. Lo sceriffo fissava il suo amico, senza far trapelare alcuna emozione. Dovevamo agire in fretta, prima che questi scoprissero che fossimo dalla loro parte. Guardai Daryl ansiosa di ricevere qualche cenno, idea di come muoversi, ma egli fece qualche passo avanti, incredulo e sconvolto di vedere parte della sua famiglia.

-Joe.. queste sono brave persone. – proferì con voce poco ferma.

Chioma bianca squadrò me e l'arciere, poi le prede. Sorrise. Sapevo che stava recitando, si era calato nel suo personaggio.

-Queste "brave" persone hanno ucciso dei nostri compagni, ragazzo mio.. – ringhiò - .. se c'è una cosa che odio, sono i bugiardi.

Al termine della frase, alcuni uomini si gettarono su Daryl per aggredirlo e Michonne approfittò della situazione per aggrappare la pistola che le era stata puntata ed utilizzarla per sparare al suo possibile carnefice. Tutto avvenne velocemente, come un film che viene mandato avanti. Sparai a due uomini che stavano pestando Daryl e ferii un altro che era sopra a Carl. Lo sceriffo si mosse, uccidendo un altro bastardo, ma fu bloccato da Joe. Michonne si occupò degli ultimi due rimasti ed io mi gettai su Daryl, per aiutarlo ad alzarsi. Restammo tutti immobili di fronte a Rick e Joe, non sapendo come agire. D'un tratto lo sceriffo si accanì sul suo nemico, affondando le fauci al collo di questo, come in preda alla follia di una belva. Nessuno si mosse, troppo straniti e sorpresi di sua tale aggressiva azione, ma io corsi per separarli. Separai i due, colpendo col gomito la bocca dello stomaco di Rick, in modo che aprisse la mascella. Joe cadde a terra, premendo compulsivamente sulla ferita con entrambi le mani. Sanguinava molto, ma fortunatamente ero riuscita ad allontanare quella furia in tempo. Michonne mi puntò la pistola e Rick fece lo stesso. Daryl mi rimproverò con lo sguardo, non comprendendo la mia reazione. Dopotutto, nemmeno io sapevo perché avevo agito così. Forse perché speravo che Joe avesse detto la verità, speravo che egli conservasse un briciolo di bontà, nonostante tutto. Forse volevo concedergli una seconda possibilità o forse, ero semplicemente diventata pazza. Ma l'arciere non prese le mie difese, anzi, lasciò che quelle due pistole mirassero al mio petto. Mi spostai in modo da coprire con la mia figura Joe, che si lamentava a causa del dolore.

-Cosa cazzo stai facendo? – minacciò Michonne – Da che parte stai?

-Evito un omicidio.. – obiettai.

Rick piegò la testa di lato. Quando faceva così, erano cazzi amari.

-Quel figlio di puttana ci stava per ammazzare! – gridò rabbioso. – Spostati!

-Rick aspetta! – insistetti – Quest'uomo ha agito proprio come avresti fatto tu. Avete ucciso alcuni dei suoi uomini e lui vi ha dato la caccia, per vendicarli. Se delle persone avessero ucciso Carl o Michonne, non avresti fatto la stessa cosa?

Lo sceriffo mi scrutava senza rispondere. Speravo che si placasse. Dopotutto Joe adesso sarebbe rimasto solo, non aveva più una compagnia. Non sarebbe più dovuto essere un leader. E nel caso avesse mentito, nel caso io avessi preso un abbaglio, nessuno avrebbe esitato a giustiziarlo in un secondo momento.

-Perché lo proteggi? – domandò lo sceriffo.

-Perché ho visto qualcosa in lui..

-So io cosa gli hai visto! – interruppe Daryl, sfottendomi.

Tutti si voltarono verso l'arciere, mal interpretando le sue parole.

-Non mi frega un cazzo se te lo scopi. – sentenziò Michonne – Lo voglio morto.

Fulminai l'arciere con un'occhiata, odiandolo nell'animo.

-Io non scopo un bel niente, calmati dannazione. – risposi alla spadaccina.

-Non è quello che ha insinuato lui! – gridò, indicando Daryl.

Nel frattempo Rick continuava a fissarmi, senza abbassare l'arma. Daryl si infiammò, notando che non volevo arrendermi. Non capiva le mie ragioni.

-Quel pezzo di merda l'ha stuprata! – dichiarò rabbioso.

Michonne sgranò gli occhi, chiedendomi conferma. Abbassai la testa, sconfortata. Non c'era bisogno che Daryl rivelasse l'accaduto, non volevo che gli altri sapessero. Il mio silenzio confermò le parole dell'arciere, facendo inorridire Carl e la samurai.

-E dopo quello che ti ha fatto.. – disse lo sceriffo – .. hai il coraggio di difenderlo?

Mi resi conto che era una situazione del tutto anormale, ma Drake mi aveva seminato nel cervello la strana convinzione che le persone mantenessero ancora un briciolo di bontà. Non fraintendetemi, non l'avevo perdonato. Un abuso non si dimentica, né tantomeno si accetta. Ma io potevo andare avanti, non volevo ricoprire il ruolo della vittima. Non volevo che il gruppo mi vedesse come la debole depressa a cui stare accanto nel resto del viaggio, ora che Daryl aveva sbaragliato ai quattro venti la mia triste sorte. Desideravo solo che esaminassero la situazione razionalmente. Joe e Rick agivano da capi entrambi. Ovviamente non erano comparabili per le gesta abituali, ma sul piano vendicativo non vi era differenza. Ma forse chiedevo troppo, forse dovevo rendermi conto che niente più era razionale. Guardai Rick con rassegnazione, non obiettando, ed egli spostò immediatamente la canna della pistola a Joe, sparando. Non mi voltai a guardare il corpo esamine di quell'uomo, né mi mossi. Osservai ai miei piedi avvicinarsi una pozza di sangue. Rick afferrò il suo machete e si avvicinò all'uomo che avevo ferito per liberare Carl. Lo alzò con forza e trafisse il suo addome. Non abbastanza soddisfatto, fece scorrere la lama in alto, giungendo al costato. Lo stava aprendo letteralmente in due, senza emanare alcun briciolo di emozione. Michonne abbracciò il ragazzino. Anche Rick era cambiato. Joe aveva ragione, questa realtà plagia tutti noi.

 

*
 

L'alba rese visibile la carneficina ai nostri piedi. Il sangue aveva imbrattato tutta la zona, compresi l'auto e Rick. Lo sceriffo sembrava essere appena uscito da una vasca di linfa rossa, tanto che era zuppo. Michonne e Carl erano saliti sul pick up, e stavano riposando. Seppur la donna fingesse. In realtà stava cercando di rassicurare il ragazzo, il quale era rimasto scioccato dalle reazioni violente del padre e dall'uomo che aveva tentato di toccarlo. Ma egli era forte, avrebbe superato anche questo. Daryl e lo sceriffo, invece, si trovavano spalla a spalla, seduti a terra con le schiene poggiate alla vettura. L'arciere gli passò lo straccio, invitando lo sceriffo a pulirsi del sangue secco sul volto. Ero felice per loro, contenta che si fossero riuniti. Sapevo di essere in più, perciò volli lasciar loro lo spazio che si meritavano. Mi sedetti lontana, sul ciglio della strada, rovistando nel borsone che avevo nascosto. Ne tirai fuori le mie armi e finalmente mi equipaggiai di quelle. Fu una sensazione piacevole. Ora che parte del gruppo si era riunito, sentivo crescere in me la consapevolezza che non vi era un posto per me fra loro. Presto sarebbe giunto il giorno in cui avrei dovuto salutarli e riprendere per la mia strada, ma in verità speravo che accadesse il più lontano possibile. Mi erano mancati, questo Drake l'aveva capito subito. Ero stata una stupida, una folle ad impedire a Rick di uccidere quell'uomo, quel bastardo. Avevo addirittura colpito lo sceriffo. Non ci avrebbe messo una pietra sopra, non subito almeno. Chissà cosa mi ero messa in testa di fare, invece di essere felice di averli trovati vivi, avevo già iniziato a contrastarli. Certo che non avevo imparato proprio niente dai miei errori, forse Daryl aveva ragione, ero ancora una mocciosa, nonostante l'età e la merda che ero stata costretta a digerire. Ma poco importava ormai, dovevo imparare a riflettere prima di agire, invece di trovarmi dopo piena di rimorsi. Fatto sta, che Joe mi era parso sincero quando mi aveva parlato della finzione. Razzolando nel borsone, afferrai il taccuino di Drake, o meglio, quello che avevo rubato ad uno degli zombie che aveva tentato di uccidermi. Sfogliai le prime pagine, evitando di leggere quella vita passata. Non appena vidi la foto di una bambina, lo lasciai cadere al mio fianco. Ultimamente ero troppo emotiva, colpa di tutto credo. Non avrei permesso a Daryl o agli altri di trovarmi a piangere. Ma quando abbassai lo sguardo per fissare quell'oggetto spinato, notai una diversa calligrafia. Il quadernino si era aperto alle ultime pagine, permettendomi di scorgere alcuni fogli strappati ed un differente inchiostro. Una seconda mano. L'afferrai nuovamente, curiosa di capire di più.
 

Avevo una penna in casa e nessun pezzo di carta su cui scrivere, non che ne avessi sentito il bisogno finora. Mi scusi sig. Shepard se sto utilizzando il suo taccuino, se sto imbrattando un ricordo di ciò che lei era. Ho ricavato un piccolo spazio anche per me, in modo che anch'io non venga dimenticato. Certamente, queste pagine potrebbero andare distrutte, ma almeno ci sto provando, no? In realtà mi sento un completo idiota adesso. Scrivere non è il mio forte. Ho pensato più volte a cosa avrei voluto lasciare. Ma la mia storia, il mio passato.. non hanno niente di interessante e trovo quasi inutile doverlo rievocare. Il presente ormai è questo, proprio però ho deciso di parlare di questo. Chiunque stia leggendo queste mie righe, penserà che lo aspetta un racconto terribile ed infelice, ma si sbaglia. A dirla tutta, io adesso sono felice. E no, non sono un matto.. non ancora almeno. Forse sono fortunato, ma ho avuto la possibilità di conoscere molte persone, ma nessuna di queste è come lei. Una settimana fa, una ragazza si è introdotta a casa mia.. una ragazza che avevo già conosciuto, affatto amichevole diciamo.
 

Un groppo alla gola insistette affinché io chiudessi quel taccuino, ma le mie mani non mollavano la presa di quell'oggetto.
 

Si chiama Kendra, di più non so. Beh, so poco e nulla sul suo conto. Ma quando le sono vicino, mi sento strano. Le cose fra noi vanno bene, collaboriamo tranquillamente.
 

Uno strappo nel foglio, mancano delle parti.
 

Probabilmente sono uscito di senno, ma credo di amarla. O quel che è. Non sono un genio coi sentimenti, ma sento il desiderio di voler passare più tempo possibile con lei. Mi sembra assurda questa situazione, ma non ne farò parola. Cercherò solamente di regalarti giorni felici, per quanto io ne sia in grado. Spero tanto di riuscire a lasciar un segno di me almeno in una persona, oltre che in queste pagine colme d'inchiostro.
 

Le dita si sciolsero, liberando quel quaderno. Questo cadde nuovamente a terra, chiudendosi. Strinsi forte le ginocchia al petto. Mille pensieri accavallarono la mia mente. Mi sentii una sciocca ad aver letto, mi ero condannata con le mie stesse mani. Dannazione, Drake. Perché me lo hai nascosto? Ma non aveva molto senso rimproverarlo. Non poteva sapere quanto ancora avrebbe vissuto, nessuno di noi può dirlo. Quelle parole presero a martellare in me, scontrandosi col muscolo pulsante nel mio petto. Mi amava. Voleva vedermi felice, pur sapendo quanto bastava. Sorrisi, ma fu una smorfia di dolore in realtà. Scavando in quel briciolo di cuore che mi era rimasto, mi domandai se anch'io in fondo avessi provato qualcosa per lui. Mi era stato semplice negare ogni emozione, così riuscivo sempre ad evitare di affezionarmi. Eppure pensavo troppo spesso a quel ragazzo. Forse qualcosa mi era sfuggito, forse stavolta non ero stata capace di capirmi. Ero sempre stata così attenta a schermarmi, a tenere distanti le altre persone. Forse in quei giorni però, in quei giorni mi ero lasciata andare. Gli avevo permesso di vedere altri lati di me, quelli di una Kendra ormai andata.

-Posso? – domandò una voce alle mie spalle.

Ma non risposi, tanto ero concentrata su quel taccuino. Qualcuno si sedette alla mia sinistra e non appena scorsi dei riccioli bagnati, compresi che si trattava dello sceriffo. Ciò mi sorprese.

-Uhhm beh, sono contento di vederti. – disse, quasi fosse uno sforzo ammetterlo.

-Ne sei sicuro? – domandai, senza guardarlo.

Egli tossì un poco e poggiò le braccia sulle ginocchia.

-Non saprei, dimmelo tu. – ammise – Sei tu quella che mi ha colpito.

Mi voltai chiedendogli scusa con lo sguardo ed egli mi fece cenno di non pensarci più, era acqua passata. Non mi aspettavo di vederlo così pacato, non dopo la furia omicida della notte scorsa. Ma probabilmente, la vista di Daryl gli aveva donato un frammento di speranza.

-Terminus. – sospirai – Sembra un posto okay.

Si guardò le mani rapprese di sangue.

-Sì, sembra un posto okay. – ripeté con voce roca – E' lì che siamo diretti.

I miei occhi si illuminarono. Finalmente qualcuno fiducioso.

-E lui? – chiesi, riferendomi all'arciere – Cosa ne pensa?

Rick si voltò a guardarlo, accorgendosi che anche Daryl ci stava fissando.

-Beh, lui è d'accordo.

Sorrisi incredula, ma non troppo. Era scontato che Daryl avesse accettato la proposta dello sceriffo. Rick era il suo unico punto di riferimento. Forse, avevano addirittura raggiunto quel legame fraterno. Poi, la sua mano si posò sulla mia spalla, obbligandomi a guardarlo negli occhi. Quelle iridi sempre corrugate, quasi fossero timide di mostrare la loro brillantezza.

-Kendra.. – parlò con velo triste – .. mi dispiace.

Lanciai immediatamente un'occhiata a Daryl, il quale abbassò velocemente la testa. Quel 'mi dispiace' mi era bastato per comprendere che l'arciere gli aveva già parlato di tutto, raccontando per filo e per segno cos'era accaduto. Sicuramente sapeva anche di Drake, seppur entrambi ignoravano il modo in cui era morto. Non aggiunsi altro alle sue parole, mi limitai ad annuire. Così, egli si alzò e mi porse una mano. Mi aggrappai a quella quasi fosse uno scoglio, un appiglio su cui contare. Mi fidavo ciecamente di Rick, del suo essere, del suo modo di pensare. Non provava alcun tipo di rancore nei miei confronti, ormai non ve ne era nemmeno il bisogno. Tutto era crollato e stava a noi ricomporre i pezzi, non c'era spazio per il passato. Dovevamo guardare avanti, crearci un futuro.

Angolo autrice 
Buongiorno carissimi/e *^*
Finalmente il gruppo si sta riunendo pian piano, anche se sappiamo tutti cosa sta per succedere..
Per quanto riguarda il messaggio di Drake, lacrimoni!

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 : Kâuma ***


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Capitolo 19 : Kâuma


Stesso luogo, stessi alberi, stessi binari. Cambiava solamente la compagnia. Descrivere ciò che provavo, mi pare quasi impossibile. Ero al sicuro. Dopo tanto tempo, ero finalmente al sicuro. Affiancata da persone buone, pure. Non avevo motivo di stare in allerta, se non per i vaganti che ogni tanto spuntavano dalla boscaglia. Non avevo motivo di nascondere armi, non avevo motivo di aver paura ad aprir bocca. Non temevo di esser me stessa. Rick mi aveva accettata, non gli era sfiorata nemmeno l'idea di cacciarmi. Ne ero sollevata. Daryl mi aveva messo in testa varie paranoie, dopo la nostra ultima discussione sul tetto. Ma fortunatamente, si sbagliava. Michonne, invece, non sembrava gradire molto la mia compagnia. A dir la verità non eravamo mai andate più di tanto d'accordo, ma avremmo dovuto farci l'abitudine entrambe. Carl passeggiava vicino a questa, ma controllava ogni gesto del padre, quasi stesse riflettendo su di esso. Mi parve però più tranquillo di stamani, ma non ero comunque sicura di cosa potesse pensare delle gesta dello sceriffo. Seppur fosse comprensibile, la reazione era stata comunque piuttosto violenta. Ad ogni modo, essendo al loro fianco, non percepivo nemmeno la stanchezza. Avrei camminato per miglia senza sosta, felice di averli trovati. Non sarei andata da Daryl a dirgli le fantomatiche parole 'te l'avevo detto', ma le avrei lasciate aleggiare nella mia mente. L'importante era che fossimo assieme. Avevo preso quel taccuino, prima di abbandonare la strada. Nel pick up avevamo trovato uno zainetto e l'avevo subito reclamato. Quello di pelle si trovava ancora nel campo fiorito. Indossavo il fucile di Drake, avendolo dotato di una tracolla, e questo si muoveva seguendo i miei passi, l'oscillazione dei miei movimenti. Avrei fatto di tutto pur di non perdere questi due oggetti, non l'avrei dimenticato. Carl si affiancò a me, essendo io rimasta un poco più indietro.

-Ne vuoi un po'? – domandò il ragazzo.

Abbassai lo sguardo per vedere cosa mi stesse offrendo. Una barretta di cioccolata.

-Scherzi?! – esclamai, afferrandola al volo.

Carl mi sorrise ed io mi ricomposi subito.

-Facciamo a metà? – aggiunsi.

Come se avessi detto un'oscenità, Carl indietreggiò muovendo la testa in segno di negazione.

-Ne ho abbastanza, fidati. Ho ancora sullo stomaco un chilo di budino.

Addentai quella delizia, quella fragranza fondente. Cacao amaro, il mio preferito. Pensavo che non ne avrei più assaggiato.

-Beh, non ve la siete cavata male allora. – ammisi – Bon per voi.

Sfortunatamente io avevo dovuto arrendermi alla caccia, agli scoiattoli e ai poveri pennuti che capitavano a tiro. Con tutta quella carne i miei reni sarebbero scoppiati da un giorno all'altro. Carl si rese conto che per un millesimo di secondo, avevo provato dell'invidia nei loro confronti. Dopotutto, Michonne aveva un borsone pieno di merendine e leccornie varie. Avevano sicuramente svaligiato qualche bella villetta, forse proprio quelle casette che avevo incontrato col gruppo di Joe.

-Col cibo siamo stati fortunati.. – confessò.

Dopo aver mangiato tre cubetti, incartai nuovamente quella delizia. Il cioccolato è una componente importante per una dieta, è ricco di energie ed aiuta l'organismo a reagire un poco. Era perciò molto più intelligente frazionarlo e conservarlo a lungo, invece che divorarlo all'istante.

-Vi siete trovati subito? – domandai, indicando Michonne.

Vidi negli occhi del ragazzo qualcosa, quasi fosse gratitudine. Era chiaro che aveva un buon rapporto con la donna.

-Praticamente.. – rispose tradendo un sorriso – voi invece?

Lo guardai un attimo prima di rispondere ed egli si accorse di non aver fatto la domanda più intelligente del momento, o meglio, più adatta. Si aggiustò il cappello da sceriffo e fece per andarsene, spiacente di avermi turbato con le sue parole. Ma io risposi comunque, obbligandolo a non fuggire impacciato.

-Sono rimasta sola per qualche ora, poi ho avuto sempre qualcuno accanto. – affermai pacata – Ho conosciuto una brava persona, un ragazzo. In quei giorni, sono stata davvero bene. Seppur ero sempre in pensiero per voi.

Carl mi guardava con quei suoi occhietti azzurri, simili al padre. Non era più un bambino, lo si percepiva chiaramente.

-Lui..questo ragazzo, adesso è..? – formulò.

Giustamente si sentiva a disagio, non sapeva bene come farmi delle domande o quali parole usare per non ferirmi.

-Beh, quel gruppo.. che hai avuto il piacere di conoscere.. ci ha trovati e lo hanno ucciso, proprio di fronte a me. – continuai – Poi .. diciamo che il resto lo sai.

Ci fu un minuto di silenzio, nessuno dei due osò aggiungere altro.

-L'importante è che adesso ci siamo trovati.. – fiatò –  .. e probabilmente a Terminus ci saranno  anche gli altri.

Lo colpii alla spalla, simulando un pugno. Giusto per sdrammatizzare e rievocare una buona atmosfera, non volevo facce mosce.

-Li troveremo senz'altro. – esclamai.

Ridacchiammo contenendoci, in modo da non farci sentire dagli altri. Era liberatorio. Daryl con la coda dell'occhio ci fulminò, ma non ci fu d'aiuto, anzi, ridemmo maggiormente. Michonne si voltò e mi sorrise. Non l'avevo mai vista ridere, fu strano. Per la prima volta, mi aveva mostrato quei bianchi e perfetti denti. Contraccambiai quel gesto. Eravamo tutti sollevati, felici, sebbene i due maschietti dovessero immancabilmente fingersi i seri del gruppo. Sapevo che le risate di Carl riuscivano a sciogliere quel cuore di pietra del padre. Comunque ci ricomponemmo, tornando alla routine di quei giorni. Camminare e camminare, come se non ci fosse un domani. Terminus sembrava irraggiungibile. Ma ad esaminare la mappa, mancava forse solamente un giorno di cammino. Speravo con ogni fibra del mio corpo, o meglio, pregavo, seppur non fossi credente, che quella non fosse una trappola. Il gruppo meritava una tregua, un momento di unione. Non c'era spazio per un altro pericolo. Dopo qualche ora, giungemmo in un'altra area ex abitata. Un mini quartiere residenziale. Facemmo una ricognizione del posto e Rick indicò una casa che a suo avviso era la più stabile. Inoltre sul tetto erano presenti dei pannelli solari, questo stava a significare la presenza di acqua calda. Era provvista poi di un'inferriata alta lungo il perimetro, per delineare il giardino da ricconi che proteggeva. I putrefatti non potevano raggiungerci. Al massimo li avremmo trovati all'interno. Entrammo da una finestra sul retro e ci dividemmo per perlustrare più velocemente l'abitazione che avremmo occupato per la notte. Al piano superiore andammo io e Daryl, mentre a quello inferiore restarono Rick e Carl. Michonne si occupò dello scantinato. Salimmo lentamente le scale, reggendo le nostre armi, pronti a scattare. Mi era mancato il mio bel bowie seghettato. Ci trovammo di fronte ad un lungo corridoio, adornato da molte porte. Uno controllava a destra ed uno a sinistra, partendo dalla stanza più lontana. Io mi diressi a sinistra e feci scattare il pomello. Poggiai una mano su quell'asse di legno scuro, sicuramente pregiato, ed accompagnai la porta in quel movimento lento, in modo da esaminare l'interno con agio. Via libera. Nessun vagante. Entrai comunque per esaminare la camera. Apparteneva sicuramente ad un adolescente. Fumetti, poster, console, tutto era sparso senza alcun apparente ordine logico. Feci lo stesso per le altre stanze. Doveva essere una famiglia numerosa perché vi erano un sacco di camere da letto. Tutti i cassetti erano aperti e alcuni abiti si trovavano a giro sul pavimento. Qualche valigia gettata a caso. La famiglia in questione aveva tentato la fuga. In garage infatti non vi era un auto. Finito il sopralluogo, ci riunimmo nella sala. Nessuno di noi aveva incontrato un putrido. Eravamo stati fortunati. Ci stava andando bene ultimamente. Speravo che questa fortuna non ci abbandonasse presto. Rick indicò la dispensa della cucina.

-Ci sono una marea di provviste. – esclamò – Qualcosa è scaduto e qualcosa no.

-Giù ho trovato molti scaffali ricchi di altro cibo, tutto scatolame. Potremmo cibarci per mesi. – aggiunse la samurai.

Rick portò le braccia ai fianchi e guardandosi attorno, sorrise.

-Beh, ci è andata parecchio bene.

Poi posò una mano sulla testa del figlio, scompigliandogli i capelli.

-Fra massimo due ore sarà buio – dichiarò l'arciere – Direi di riposarci e occupare le camere. Ce ne sono a volontà.

Fu così che salimmo tutti al piano superiore e guardammo la casa con altri occhi. Non con fare sospettoso o preoccupato, ma come se volessimo ammirare quel fossile. Era davvero una bella casa, dopotutto. Indicai a Carl la prima stanza che avevo controllato.

-Ti piacerà. – gli sussurrai, facendo l'occhiolino.

Si diresse alla camera con grandi falcate, curioso di trovare all'interno quello che tanto sperava. Un 'evvai' aleggiò per il corridoio, facendoci sorridere tutti. Un tonfo sottolineò il fatto che si fosse già buttato sul letto con qualche fumetto. Trascinai lo zaino sul pavimento ed entrai in una camera a caso. Era spaziosa e molto luminosa. Aprii qualche cassetto, speranzosa di trovare degli indumenti puliti. I pantaloni non erano della mia taglia, ma qualche canotta poteva andarmi bene comunque. Mi sarebbero state un poco larghe, ma non era importante. La dimora disponeva di tre bagni, non avremmo scazzottato per farci una doccia. Misi nello zaino quei pochi abiti. Dopo avrei fatto il giro delle altre camere, magari avrei trovato un jeans della mia misura. Mi gettai su quel materasso morbido, spossata com'ero. Sul soffitto primeggiava un grande lampadario. Che lusso. Stanotte avremmo tutti dormito in un letto, in un vero e proprio letto. Ognuno nella propria camera, ognuno con la propria privacy. Sono dettagli che contano, anche se nessuno ci fa più caso. La porta si aprì ed io balzai a sedere. Daryl entrò senza dir nulla e avanzò fino alla finestra. Spostò le tende e guardò l'esterno, quasi fosse in cerca di qualcosa. Poi parlò, come se mi avesse letto nella mente.

-Sto facendo un giro per controllare quale stanza ha più visuale. – spiegò.

Mi sdraiai di nuovo, affondando nel cuscino.

-Stanotte devi dormire. – ordinai – Non c'è bisogno che tu faccia la guardia.

Rick si affacciò nella stanza e dopo aver dato un'occhiata agli infissi, aprì bocca.

-Preferisco dormire sul divano per questa notte. – ammise – Nel caso dovesse entrare qualcun altro, sarò subito sull'attenti.

Portai una mano sulla fronte, poggiandovi il dorso.

-Per questa notte? – ripetei.

Daryl squadrò l'amico, in attesa di una risposta.

-Pensavo.. potremmo fermarci qui per due giorni. Non ho intenzione di arrivare a Terminus seguendo i binari, preferivo aggirare quel rifugio. Per sicurezza. Ciò ci comporta molto più cammino del necessario. – illustrò massaggiandosi la barba.

-Un giorno in più non fa alcuna differenza. – aggiunse secco l'arciere.

Mi limitai ad annuire. Un giorno di riposo in più avrebbe solo giovato ai nostri corpi distrutti. Non sarebbe stato un problema. Anzi, capii benissimo l'idea dello sceriffo. Due giorni, il giusto per metterci in forza e per godere della quiete di quel luogo. Non avevo niente al contrario.

-Bene.. – disse, ormai in corridoio.

Il rumore di un getto d'acqua mi fece intendere che Michonne era già sotto la doccia. Ciò mi scaturì l'immediato bisogno di un bel bagno caldo. Volevo togliermi di dosso quello sporco, la fatica, la polvere, la terra. Ma soprattutto, quel ricordo. Quella scena. Quella violenza subita. Mi sedetti sul bordo del letto ed osservai il mio volto nello specchio a parete. Che straccio. Daryl apparve nel riflesso, in piedi accanto a me. Distolsi lo sguardo da quella superficie vitrea e lo posai sull'arciere, che mi stava tendendo una mano. Una fragola selvatica.

-Ne ho trovata un'altra, lungo la strada. – sentenziò brusco.

La presi, sfiorando le sue dita. Pulii quel minuscolo frutto dolce, togliendo qualche briciolo di terra.

-E' il tuo modo per chiedermi scusa? – domandai, prima di godere di quel succo dolce.

Sbuffò e se ne uscì senza rispondermi, trascinandosi dietro la balestra. Non se ne separava nemmeno per un secondo. Che tipo, pensai. Afferrai una canotta ed entrai nel bagno vicino alla mia camera. Feci scorrere l'acqua, finchè non diventò tiepida. Nel frattempo, aspettando che la vasca si riempisse, mi spogliai. Mi scrutai allo specchio, notando qualche ombra dei vecchi lividi lasciatomi dal Governatore. I polsi stavano guarendo, erano rimaste solo delle sottili croste. Poi, mi immersi in quel liquido trasparente. Trattenendo il respiro, mi adagiai completamente sul fondo. Era una bella sensazione. Stare sott'acqua, era come esser trasportati in un altro mondo, dimensione. Riemersi, e rimasi lì per almeno dieci minuti. Immobile, senza pensare. Quell'azione normale, seppure rara per quei tempi, mi riportò alla mente il passato. Casa, famiglia. Erano particolari come questi, dettagli di una vita perduta, che ti gettavano nella depressione più profonda. Non so bene quanto tempo passai in quel bagno, ma a quanto pare il necessario per far preoccupare gli altri. Qualcuno bussò alla porta, quando ormai mi ero già rinvolta in un grande asciugamano. Avevo le mani grinzose.

-Tutto bene? – domandò Michonne.

-Sisì. – rassicurai – fra poco vi raggiungo.

Udii i suoi passi farsi lontani e poi rimbombare per le scale. Indossai velocemente i nuovi indumenti e mi apprestai a lavare i miei vecchi, compresa la camicia di Daryl. Gliela avrei restituita. Quando scesi in salotto, trovai tutti riuniti intorno al tavolo da caffè. Seduti su divano e poltrone, erano impegnati a divorare alcuni barattoli.

-Ma non siete stanchi di mangiare quella roba? – chiesi ridendo.

Rick alzò la testa dalla lattina, ridendo di se stesso.

-Se volete posso provare a cucinare qualcosa..

Michonne abbandonò immediatamente il barattolo, poggiandolo sul tavolo.

-Kendra ha ragione. – disse alzandosi – Guardiamo un po' cosa c'è in cucina.

Ci dirigemmo assieme alla credenza, esaminando i vari possibili ingredienti. Trovai un pacco di pasta secca, degli spaghetti, e Michonne mi guardò sorridente, agitando una bottiglia di concentrato di pomodoro. Carl si poggiò sullo schienale del divano.

-Pasta! – esultò.

Daryl parlò senza guardarci, continuando a masticare.

-Non ci sarà gas. – disse scorbutico.

Carl abbassò la testa, deluso. In realtà, tutti agimmo così, compresi Rick e me. Ma Michonne rise, tamburellando con le dita sul piano cucina.

-Zitto brontolone! – esclamò – Nello scantinato ho trovato molte bombole del gas, quindi pasta per tutti.

Gioimmo all'unisono, tutti tranne Daryl, al quale sembrava non importargli. Non gli chiesi il motivo, preferii ignorarlo. Come con i bambini, quando fanno i cocciuti e cercano attenzioni. Non gliela avrei data vinta, anzi, sarei stata indifferente.

 

*
 

Il camino irradiava la stanza, cacciando l'oscurità della notte. Non avendo trovato molte candele, avevamo deciso di disporle logicamente. La sala sarebbe stata illuminata dal fuoco, che avevamo acceso sfruttando alcuni scatoloni e giornali trovati in garage. Una candela si trovava in cucina e due nel corridoio al piano superiore. Le ultime le avremmo poste nei bagni e nelle camere. Intanto, però, restavamo stravaccati sui lussuosi divani in pelle, felici con la pancia piena. Avevamo iniziato a parlare, come se fossimo amici da una vita. Degli amici riuniti in una vacanza, pronti a rievocare vecchi trascorsi. Dopo poco, tuttavia, il silenzio ci aveva avvolti, accompagnandoci ad uno stato di quiete. Le parole sarebbero state superflue. Godemmo di quella pace, di quella fonte di calore, della compagnia e del luogo sicuro. Solitamente, la materia grigia mi portava a galla solo i brutti ricordi, quasi facendomi dimenticare tutti i bei momenti passati. Perché sì, c'erano anche quelli in mezzo alla merda quotidiana. Mi concentrai di fissare al meglio quell'istante, sperando che in futuro ne avrei potuto sentire ancora le vibrazioni. D'un tratto, capimmo che si era fatta l'ora di coricarsi nei propri letti, così raggiungemmo le nostre stanze, trascinandoci sulle proprie gambe quasi fossimo dei vaganti. Poggiai la candela di cera verde sul cassettone vicino al letto, in modo che illuminasse la stanza, ma non troppo. Vicino al letto vidi un libro, un oggetto che alla prima occhiata mi era sfuggito. Lo presi senza nemmeno leggere il titolo sulla copertina e mi scaraventai su quel letto che tanto bramavo. Sfogliai velocemente le pagine e poi avvicinai quelle al mio volto, in modo che potessi percepirne l'odore. Da piccola amavo odorare le pagine dei libri. Fu come tuffarsi a capofitto nel passato. Tenni stretto quel prodotto di carta sul petto, non avendo in realtà nessuna intenzione di leggere, sebbene fosse un'abitudine che mi era mancata. Provavo varie emozioni, ero letteralmente in uno stato d'agitazione. Euforica forse, quasi fossi tornata davvero bambina. Sapevo che non sarei riuscita a dormire, ma poco importava. Avrei comunque riposato su quel comodo giaciglio, circondandomi di quell'oscurità che ora mi pareva tanto confortante. Osservavo la fragile fiamma della candela oscillare ogni tanto. La cera si consumava lentamente, sformandosi al contatto di quel calore assassino. Quando questa fu quasi terminata, mi decisi finalmente ad alzarmi. Era passata un'ora ed il sonno non mi aveva fatto visita. Afferrai la candela e mi affacciai in corridoio. Dalla porta di Carl non filtrava alcun tipo luce, perciò stava già dormendo. Lo stesso per Michonne. Quella di Daryl invece era spalancata. Scesi le scale con passo felpato, avendo ai piedi solo dei calzettoni grigi. Senza anfibi ero due centimetri più bassa. Pochi direte voi, ma per una ragazza di nemmeno un metro e sessantacinque, sono tanti. Non appena svoltai l'angolo, mi scontrai contro qualcuno, udendo dei tintinni.

-Guarda dove cammini. – obiettò Daryl, superandomi.

Vidi che si diresse in soggiorno e lo seguii curiosa. Quando il fuoco mi permise di vederlo appieno, notai che in mano aveva delle bottiglie di vetro. Scossi la testa, incredula. In quel momento l'arciere si voltò, notando il mio gesto.

-Che c'è? – domandò scocciato – Sapevo che avrei trovato dell'alcool in cantina.

-Perché è la casa di qualche famiglia ricca? – chiese lo sceriffo.

Rick mi salutò con un cenno. A quanto pare non ero l'unica a non riuscire a dormire. Mi leccai i polpastrelli dell'indice e del pollice, in modo da spengere la candela senza bruciarmi.

-Proprio così. I ricconi hanno sempre l'alcool migliore in cantina. – esclamò l'arciere, tuffandosi sul divano in modo del tutto scomposto.

Avendo Daryl occupato gran parte del divano ed essendo lo sceriffo sull'altro, andai a posizionarmi sulla poltrona, non disturbando nessuno. Mi accoccolai su quell'oggetto tanto confortevole, poggiando il mento sulle ginocchia.

-Pensavo che appena avessi poggiato il culo sul letto, sarei andata tranquillamente in coma. – parlai, fissando il fuoco.

-Fossi in te, non parlerei di coma con il cowboy presente. – mi ammonì Daryl, aprendo una bottiglia di whisky.

Curiosa mi voltai verso lo sceriffo, il quale porse un bicchiere all'amico con una smorfia.

-Lascia perdere.. – sbrigò – Lunga storia.

Non insistetti, con Rick non avevo ancora tutta questa confidenza. I due brindarono sfiorando i bicchieri e tracannando quel liquido amaro, ignorandomi palesemente. Forse li stavo guardando male, perché lo sceriffo si accorse del mio risentimento e si sporse sul tavolo per prendere un bicchiere anche per me. Daryl, notando ciò, ebbe ovviamente da obiettare.

-Che stai facendo? – domandò scocciato.

-Le verso da bere.. – rispose Rick, riempiendo il bicchiere.

-Tsk.. è una mocciosa. – ribatté – Non voglio una ragazzina ubriaca fra i piedi.

Bevvi tutto d'un sorso quell'aspra bevanda, non battendo ciglio. Pensai immediatamente alle serate passate in compagnia di Philip, ma cacciai quell'immagine prima che potesse rovinarmi la serata.

-Scommetto che lo reggo meglio di te. – risposi, versando l'alcool nei tre bicchieri.

Daryl borbottò qualcosa a denti stretti e prima che potessi punzecchiarlo, Rick fece una precisazione.

-Non dovremmo arrivare a quel punto. Solo un goccetto.

-Mh forse hai ragione.. – ammisi.

L'alcool non ci avrebbe aiutato in caso di pericolo. Dovevamo restare lucidi, avere il pieno controllo delle proprie azioni. Inoltre, era passato molto tempo dall'ultima bevuta con gli amici. I nostri corpi avrebbero assorbito quella sostanza più velocemente del solito. Saremmo stati brilli entro pochi bicchieri.

-Prima mi sfidi e poi ti tiri indietro. – replicò l'arciere – Tipico di chi sa già di perdere.

-Ti sbagli.

-Dimostralo! – sfidò.

Ci guardammo in cagnesco. Era davvero impossibile andare d'accordo. Fra noi doveva nascere costantemente un conflitto.

-Avete davvero intenzione di ubriacarvi? – domandò lo sceriffo, quasi volesse rimproverarci.

In realtà, seppur si mostrava serio, non riusciva a nascondere un velo di divertimento nel vederci battibeccare.

-Che differenza farebbe? – illustrò Daryl – Hai detto tu stesso che qua siamo al sicuro. Inferriata lungo il perimetro. Nessun vagante può entrare.

-Mi preoccupo delle persone. – ammise Rick.

Ed effettivamente aveva ragione. Ultimamente avevamo incrociato pochi individui amichevoli. Io e Daryl ci guardammo, apprestandoci ad alzare bandiera bianca, almeno per questa notte, ma Rick, quasi fosse colpito da doppia personalità, si rimangiò le parole appena pronunciate.

-Ma forse.. per qualche ora potremmo anche abbassare la guardia.

La sfida quindi fu accolta, proiettando me e Daryl nella figura di cane e gatto. Sapevo che Rick si stava sforzando, ma era bello vedere che comunque volesse provarci, volesse provare a concedersi dei momenti allegri, privi di nebbia. Facemmo scontrare i nostri bicchieri, alzando le braccia in alto.

-Boyaah. – gridò l'arciere.

E le nostre gole furono pervase da quel veleno. Dopo la terza bottiglia, ricordo che quando tentavamo di riempire i bicchieri, gran parte del whisky finiva a terra. Ridevamo per nulla, fino a scoppiare. Tanto che ci trattenevamo la pancia, doloranti dalle risate. Rick si poggiava spesso il bicchiere in faccia, ridendo nascondendosi dietro quell'oggetto di vetro, come se non potessimo vederlo. Daryl invece, gesticolava a caso, da vero e proprio sudista cafone. Con tutto quel baccano, mi parve impossibile credere che Carl e Michonne non si fossero svegliati, ma nessuno venne a brontolare. Perciò, noi continuammo indisturbati a riempirci lo stomaco di quella merda. La vista cominciò a farsi confusa. La testa prese a girare vorticosamente, ma non mollai. Dovevo dimostrare a quell'antipatico che avrei saputo reggere l'alcool meglio di lui. Ormai era diventata una vera e propria gara, sebbene nessuno dei tre fosse abbastanza lucido per rendersi conto che avevamo già superato il limite. Saremmo stati male la mattina seguente, terribili postumi di una sbronza ci aspettavano.

-Stai per crollare. – balbettai a Daryl – Rinuncia finchè sei in tempo.

Buttò giù un altro sorso, prima di controbattere.

-Non farti illusioni. Sarai tu quella a finire col culo a terra.

-Io scommetto sulla ragazza! – ridacchiò lo sceriffo.

In quel momento mi accorsi di quanto fosse bella e spontanea la sua risata. Non avevo mai visto il suo volto disteso, privo di quelle rughe causate dalla sua tipica espressione corrucciata.

-Che stronzo. – brontolò Daryl – Due fratelli dovrebbero sostenersi a vicenda.

-In queste condizioni? Non ne sareste mai capaci. – dissi, dichiarando l'ovvietà.

Mi faceva male il collo da quanto ero scomoda, ma non avevo le forze per cambiare posizione. Mi trovavo sempre sulla poltrona, ma avevo avuto la brillante idea di sdraiarmi orizzontalmente, avendo le gambe oltre il bracciolo e la testa piegata a causa del secondo bracciolo. Bere da sdraiata stava diventando sempre più complicato, finivo spesso col versarmi addosso quella merda, ma pareva che gli altri due non ci facessero più di tanto caso, anche perché non erano poi messi meglio di me. Avevo un braccio a penzoloni e lo facevo oscillare, tenendo stretto in mano il bicchiere ormai vuoto. Mi concentrai sui due, limitandomi a guardarli come se fossi ad un teatro. Vedevo che blateravano, ma in quel momento non riuscivo a focalizzarmi sulle parole, perdendo così il senso del discorso. Probabilmente stavo sorridendo come un ebete, perché Daryl mi punzecchiò con un dito sulla fronte.

-Questa è andata. – parlò a Rick.

In realtà ero semplicemente felice di quel momento allegro, se possiamo definirlo così.

-Ti piacerebbe! – obbiettai, tirandomi su a fatica. – Stavo soltanto pensando.

Daryl tentò di alzarsi, ma non appena fu in piedi, si lasciò cadere nuovamente sul divano. Rick lo indicò, scuotendo la testa. Lui sì che era proprio andato, rideva anche da solo. Ma Daryl ci provò di nuovo, cocciuto com'era avrebbe fatto di tutto per dimostrare che era più lucido di noi tre, soprattutto di me. Stavolta restò dritto sulle proprie gambe, sebbene queste non si muovessero normalmente, ma anzi, ondeggiavano un poco incerte sui passi. Era una tipica camminata da ubriaco, affatto composta.

-Devo pisciare. – borbottò, ormai vicino al bagno.

Rick si sdraiò tranquillamente sul divano, avendo egli molto più spazio rispetto a me. Giocherellando col bicchiere, ruotandolo e passandolo da una mano all'altra, mi fece una domanda.

-A cosa stavi pensando prima?

Sebbene egli non potesse vedermi, essendo rivolto verso il camino ed essendo la poltrona esattamente posta più indietro, parlai fissando i suoi capelli mossi.

-Che sono felice.. – risposi vergognandomi – ..felice di avervi conosciuto e di avervi ritrovato.

-Mh.. – si schiarì la voce – Speravo in qualcosa di più stupido.

Daryl riapparse in salotto, impegnato a tirare su la zip e ad allacciarsi la cintura.

-Era da un po' che non vedevo un cesso. – affermò.

Questo posto non era male. Pannelli solari, qualche bombola del gas. Sembrava un mini quartiere residenziale abbandonato fin dall'inizio, come se queste famiglie ricche avessero deciso di evacuare la zona. Mi venne la strana idea di poterci restare. Avremmo potuto controllare anche le altre villette. Potevamo organizzarci in qualche modo, magari saremmo riusciti a creare anche un recinto.

-E se ci stabilissimo qui? – proposi.

-Stai scherzando, spero. – rispose lo sceriffo.

-Che stronzata. – aggiunse lo scorbutico, attaccandosi alla bottiglia.

Una fitta allo stomaco mi travolse, costringendomi a premere con una mano sulla pancia, come se tale azione limitasse il dolore.

-Potremmo sistemarci, organizzarci. Abbiamo dei pannelli solari.. acqua calda a volontà.. cibo.

-Puttanate. – interruppe Daryl – Ti sei già dimenticata degli altri?

-Dobbiamo assolutamente andare a Terminus. – ribadì Rick.

Una terribile nausea mi obbligò ad aspettare qualche minuto, prima di continuare col discorso. Temevo che con l'aprir bocca, avrei vomitato l'intera cena sul tavolo.

-Infatti, intendevo dopo Terminus.. nel caso in cui non fosse un buon rifugio come immaginavamo, nel caso in cui non andassimo d'accordo con quelle persone..

-No. – rispose secco lo sceriffo – Non è abbastanza sicuro qua. Troppi alberi. Dovremmo abbatterli tutti. Dovremmo costruire un recinto. Non abbiamo i mezzi adatti. Questo posto è un' incognita. E noi abbiamo bisogno di certezze. Sono stanco di provarci.

Daryl non fiatò, continuando a sorseggiare dalla bottiglia, ed io non insistetti. Già l'atmosfera si era fatta più tesa, non volevo peggiorare le cose. Se Rick diceva no, c'era poco da discutere.

-Sarà difficile trovare un altro luogo sicuro come la prigione. – ammisi.

-Ma lo troveremo. – concluse lo sceriffo, versandosi un altro bicchiere di whisky.

Mi sarebbe piaciuto avere tutta quella sicurezza, ma non ero poi così tanto certa. La prigione era stato un vero e proprio colpo di fortuna. Non mi restava altro che sperare in Terminus. Fortunatamente il mio intervento non turbò per molto gli animi, tanto che i due continuarono a bere e a dir stronzate, ridacchiando ogni tanto. Bevvi pochi altri bicchieri, cercando di contenermi e di simulare un ottimo stato. In realtà, il mio corpo stava cominciando a reagire male a quella quantità d'alcool ingerita, provocandomi una nausea incessante e un giramento di testa allucinante. Sapevo bene che se avessi provato a camminare, sarei finita sul pavimento all'istante, perciò, sebbene avessi un terribile bisogno di andare al gabinetto, cercai di trattenerla il più possibile. I reni rischiavano di implodere, ma avrei resistito in modo da evitare la vittoria a Daryl, che non avrebbe certo desistito da rinfacciarmi più volte la mia sconfitta. Ma i miei sforzi non servirono a molto, anzi, rimandarono di poco ciò che tanto stavo cercando di controllare. D'improvviso la bocca si riempì di un sapore amaro, fastidioso. Un voltastomaco mi fece contorcere le budella. Lottavo contro me stessa, contro il mio stesso corpo. Non volevo vomitare. Daryl mi avrebbe deriso all'infinito. Rick si massaggiò le tempie, storcendo la bocca. Probabilmente anch'egli era giunto al limite.

-Credo che me ne andrò a letto. – sentenziò lo sceriffo, reggendosi alla parete.

L'arciere non mollò l'amico con lo sguardo finchè non fu giunto al piano superiore, pronto a scattare nel caso in cui questo avesse avuto bisogno. Prendendo coraggio, tentai di emulare Rick, fingendo una camminata disinvolta.

-Devo andare in bagno.. – annunciai incerta.

Ma la vista si annebbiò per un istante, preannunciando ciò che sarebbe capitato. Un conato mi travolse, costringendomi a portare le mani alla bocca.

-Sicura di farcela? Mi sembri poco stabile. – delineò l'arciere, sfottendomi.

Non appena quelle parole giunsero alle mie orecchie, non ebbi il tempo di controbattere, che il mio stomaco contrattaccò, spezzando le mie difese. Inutile dirvi, che vomitai l'anima.

 

 Angolo autrice

Tannaaà, nuovo capitoletto per voi. Questo, a differenza degli ultimi, è un poco più leggero, proprio perchè ho voluto far trasparire la quiete che Kendra prova adesso, una volta affiancata da facce conosciute, da persone a cui, in un modo o nell'altro, si è affezionata. Kâuma è una parola greca, letteralmente significa 'vampata di calore', ma poi in italiano si è trasformata nella semplice parola calma, per indicare uno stato di riposo del mare, non turbato dal vento. Ecco perchè ho deciso di utilizzare questo vocabolo per intitolare il capitolo. Ringrazio tutti per continuare a leggere la mia storia, in egual modo i lettori silenziosi e quelli attivi. Un grazie speciale va a MidnightMemories14, che continua a sostenermi, a SaraLincoln, che mi sprona ogni giorno a scrivere, ad Azzie18, che mi riempe continuamente di dolcissime recensioni, e a Dixon23, che come sempre cerca di corrompermi per creare una love story fra Kendra e Daryl. Spero che la lettura sia stata piacevole e che nonostante la situazione tranquilla dei nostri protagonisti, non vi siate annoiati! Ci sentiamo nelle recensioni, un bacio.

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 : Collisioni ***


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Capitolo 20 : Collisioni


Mi trovai col volto puntato su una tavoletta del cesso, fissando un getto di un colore indefinito mischiarsi con l'acqua del water. Percepivo il mio stomaco liberarsi, riversando tutto l'etanolo fuori dal mio corpo, quasi volesse sbarazzarsi di quell'innocente bevuta. Ero confusa, dolorante. Non riuscivo a placare quel rigetto, tanto che mi mancava il respiro. Non riuscivo a capacitarmi di come fossi riuscita a raggiungere il bagno, proprio perché avevo un vuoto. Un blackout. Un altro conato salì in gola. Gli occhi mi bruciavano ed avevo la bocca in fiamme. Annaspavo fra un getto e l'altro, sperando che questa tortura terminasse in fretta. La testa mi girava, provocandomi le vertigini. Non avevo mai reagito così male per dell'alcool. Lo scarico del gabinetto fu azionato, allarmandomi. Non ero sola. Mi resi conto di non avere capelli di fronte al volto, ciò significava che qualcuno me li stava reggendo, evitando così che li inzuppassi di acido. Chiunque fosse, mi strattonò proprio da questi, allontanando la mia faccia dalla tavoletta.

-Ne hai ancora per molto? – rimproverò Daryl.

Infastidita, cacciai la sua mano, liberando i riccioli. Gattonai fino al bordo della vasca, in modo da sfruttarlo come appoggio per alzarmi. Dopo pochi tentativi e qualche sforzo, finalmente riuscii nell'impresa, sebbene le vertigini non mi permisero di essere stabile al cento per cento.

-Sei patetica. – aggiunse.

Non calcolandolo, mi aggrappai al lavandino. Chiusi gli occhi, ma non giovò al capogiro. Aprii l'acqua del rubinetto e vi immersi le mani, cercando di trattenerne un poco per sciacquarmi la bocca. Volevo sbarazzarmi di quel saporaccio, sebbene ne avvertissi ancora l'odore. Egli si sedette sul bordo della vasca, ma come sospettavo non era messo poi tanto peggio di me. Infatti, a mia sorpresa, egli vi scivolò dentro, sbattendo la testa contro le piastrelle della parete. Sorrisi, avendo visto la scena riflessa nello specchio. Una serie di imprecazioni furono gettate in quelle quattro mura.

-Sei patetico. – riproposi.

-Stai zitta! – brontolò offeso – E' un'ora che sono qui a farti da baby sitter.

Rimasi interdetta. Non pensavo che fosse passato così tanto tempo. Accarezzandomi la pancia, raggiunsi la vasca a fatica e mi immersi anch'io in quella bacinella d'avorio, posizionandoci così ai due estremi di questa. Con le gambe a penzoloni e la testa più in basso, poggiata al bordo tondeggiante, fissavo il soffitto muoversi. A prima vista, potevamo sembrare scomodi, eppure in quella posizione mi sentivo meglio.

-Sapevo che mi sarebbe toccato star dietro ad una bambina vomitosa. – inveì.

Socchiusi gli occhi, cercando un poco di sollievo. Essendo semi sdraiata, le vertigini si erano attenuate.

-Ti ho sporcato? – domandai.

Daryl sbuffò, osservandosi i pantaloni marroni.

-No. – rispose secco, guardandomi in cagnesco.

Piegai leggermente la testa di lato, in modo da poterlo scrutare.

-Peccato. – risposi sorridendo.

Egli si mosse, giusto per avvicinarsi e ringhiarmi contro.

-Dì un po' ragazzina, ti diverti per caso ad infastidirmi?

Gran parte dell'ebbrezza era svanita, ma tuttavia restavo ancora lievemente brilla, tanto da permettermi di parlare e dire cose che, di normale, avrei taciuto o semplicemente evitato.

-Mi domando la stessa cosa ogni giorno.

Ciò lo fece alterare maggiormente. Era intrattabile di solito, ma da ubriaco era ancora peggio. Fece per controbattere, ma cambiò idea velocemente, allontanandosi di nuovo. Lo fissavo e non riuscivo a fare a meno di sorridere. Lo trovavo buffo in ogni suo piccolo gesto. Lo infastidivo, eppure non mi aveva lasciato sola, anzi, se ne stava lì a far nulla, giusto per essermi accanto se avessi avuto bisogno o mi fossi sentita male. Era puro, genuino, sebbene volesse mostrare il contrario.

-Sei sempre stato così? – chiesi timida.

-No. – rispose a testa bassa – Ero un pezzo di merda prima, un vero e proprio egoista bastardo.

Mi fu difficile credere a quelle parole, ma a giudicare dalla sua espressione, capii che ne soffriva. Non chiesi spiegazioni, il passato aveva poca importanza ormai. Era strano vederlo così, spaparanzato in una posizione affatto comoda. Solitamente era un bravo soldatino, anzi, un felino sempre sull'attenti, pronto a balzare ed attaccare la propria preda, sempre vigile su un possibile pericolo. Adesso, invece, era stordito dall'alcool e sembrava non curarsi di niente se non di lanciarmi occhiatacce o mostrarsi scontroso.

-Cos'hai da guardarmi con quello sguardo da ebete?

Mh probabilmente non avevo una faccia molto sveglia, ma era più che comprensibile, dopotutto.

-Niente, ti trovo buffo.

Mi squadrò sconcertato, sorpreso ed irritato allo stesso tempo. Forse nessuno lo aveva mai definito tale, o al massimo nessuno aveva avuto il coraggio di ammetterlo ad alta voce. Lì per lì sbuffò, senza aggiungere altro, e si nascose dietro quei capelli tanto bisognosi di una doccia.

-E tu sei una stupida. – proferì dopo cinque minuti buoni di silenzio.

-Come scusa?

-Te ne stai sempre sorridente, parli di un futuro, credi che le cose cambieranno. Cresci un po' ragazzina. Terminus sarà un buco nell'acqua, altra merda d'aggiungere alla collezione.

Il solito corvaccio.

-Cerco solo di essere ottimista, poco quanto basta per non impazzire. – affermai.

Egli sorrise maligno, come se fosse sul procinto di scoppiare.

-Questo è il punto. Tu dovresti aver dato di matto. Invece sei fredda come un cazzo di pezzo di marmo. Non ho visto nessuna reazione. E' morto quel coglione che ti stava dietro, hai perso la tua casa, i tuoi amici ed oltretutto sei stata.. –

-Basta! – gridai, scaraventando il palmo sul suo volto.

Lo schiaffeggiai d'istinto, senza nemmeno rendermene conto, come per bloccare quelle parole che mi avrebbero minata dall'interno. Non volevo udire altro, non volevo che terminasse quella frase. Se non avessi avuto l'alcool in corpo, non avrei reagito in tal modo, mi sarei semplicemente limitata a rispondergli a tono. In quel momento, però, non mi trovavo nelle condizioni più adatte per digerire quei discorsi. Diciamo che ero più suscettibile ed emotivamente instabile del normale. Rimasi con la mano sospesa a guardarlo con rimprovero e rabbia. Daryl non fiatò ed uscì dalla vasca barcollando.

-Non azzardarti mai più, mocciosa.

-Fottiti! – inveii – Qua il moccioso sei tu.

Egli se ne andò dal bagno, sbattendo la porta. Mi accucciai in posizione fetale, poggiando la faccia su quella liscia superficie. Daryl non poteva comprendere od immaginare cosa provassi, come stessi realmente. Vero, non mostravo niente, tenevo tutto gelosamente nascosto. Non era mia intenzione fare la vittima, esser guardata diversamente o trattata con occhio di riguardo. Fingevo che niente mi avesse ferito, che niente mi avesse scalfito, sebbene stessi praticamente sanguinando nell'animo. Sfortunatamente, quelle parole non pronunciate mi avevano comunque già invaso, procurandomi un malessere che sfociò in un pianto isterico. Tentai disperatamente di trattenermi, ma fallivo anche nel reprimere i singhiozzi. Forse, stavo finalmente elaborando tutto il peso che finora mi ero accollata sulle spalle, ritenendomi erroneamente abbastanza forte, capace di tale sopportazione. Affogai in quelle lacrime salate, annaspando in quell'oceano di disperazione e tormento. Mi ero lasciata andare. Finalmente, dopo tanto tempo, mi stavo liberando. Pian piano l'addome smise di contorcesi a causa degli spasmi involontari del pianto e così i singhiozzi terminarono, portando un fortissimo mal di testa. Restai comunque in quella posizione per ancora molto tempo, o almeno così mi parve, senza nemmeno muovere un dito per asciugarmi le gote. La nausea era passata in secondo piano. Sebbene mi sentissi terribilmente fiacca e debole, decisi di provare ad alzarmi. Non avrei tollerato di dormire nella vasca, ora che finalmente avevamo trovato dei letti decenti. Mi sedetti sul bordo di questa, corrugando la fronte. Speravo che le vertigini si attenuassero un poco, il giusto per consentirmi di salire le scale. La porta si aprì lentamente, trascinando un fastidioso cigolio. Daryl mi apparve appoggiato allo stipite. A terra notai un'altra bottiglia vuota.

-Finalmente hai chiuso quella boccaccia. – sibilò – Non ne potevo più di sentirti. Piuttosto mi sarei strappato le orecchie.

Non lo considerai, mostrandomi impassibile alle sue parole. Aveva avuto lo stomaco per bere ancora, e ciò poteva essere pericoloso. Se avessi detto qualcosa di sbagliato, avrei avuto l'infelice piacere di scoprire un lato di Daryl parecchio aggressivo. Meglio tacere.

-Che c'è, un vagante ti ha mangiato la lingua? – gesticolò.

Gli avrei volentieri tirato un cazzotto in pieno muso, ma in quell'istante mi premeva maggiormente riuscire a raggiungere camera mia. Mi alzai, cercando di non perdere l'equilibrio. Ma dopo qualche passo, caddi. Vomitare mi aveva completamente svuotata e disidratata. Non avevo più niente nello stomaco, avevo rigettato ogni frammento di qualsiasi alimento che avevo ingerito, eliminando così le scorte di energia. Il mio corpo chiedeva pietà. Un calo di pressione mi fece sudare freddo. Dovevo sdraiarmi, buttare giù qualche boccone di cibo con molti zuccheri. L'arciere si gettò su di me, abbattendo quel fare da bullo della scuola.

-Daryl, io.. – dissi, cercando di scusarmi per quello che era successo.

Nonostante la situazione, quella era la prima cosa a cui avevo pensato.

-Sta zitta. – controbatté, prendendomi in braccio.

Varcammo la soglia del bagno, dirigendoci alle scale. Daryl calciò le bottiglie che gli intralciavano la strada e percorse quei gradini senza mostrare alcun segno di sforzo.

-Non mi sento tanto bene. – farfugliai, ammettendo l'ovvio.

Egli infatti non mi rispose, limitandosi ad affacciarsi in quella che avrebbe dovuto essere la mia stanza. Udii un leggero russare.

-Mpf, il cowboy è crollato nel primo letto che ha trovato. – sbuffò.

Passeggiò nel corridoio con cautela, essendo completamente buio. Le candele si erano consumate da parecchio ormai. Entrammo in un'altra camera ed egli mi adagiò con delicatezza sul letto.

-Cerca di stare su un lato. Potresti soffocare nel vomito se ti addormenti di schiena.

-Sissignore. – sbiascicai.

Le palpebre si fecero pesanti, facevo fatica a tenere gli occhi aperti.

Mi guardò con una strana espressione. Vedevo che era ancora un poco irritato, ma il suo lato buono aveva avuto la meglio. Poggiò una mano sulla mia fronte, spostando con preoccupazione una ciocca di riccioli.

-Porca puttana! Stai andando a fuoco.

Detto ciò, persi i sensi.
 

*
 

Un tintinnio mi fece riemergere da quello stato di incoscienza, sobbalzando nel letto come se minacciata. Tutto mi apparve confuso. Una flebile luce penetrava dalle persiane della finestra, rendendo l'ambiente confortevole ed adatto per una pennichella. Mi voltai nella direzione del rumore udito e non appena dischiusi le labbra, Michonne adagiò l'indice sulle sue.

-Shhh. – consigliò a fievole voce, indicando con gli occhi l'angolo della camera – E' stato sveglio tutta la notte.

Osservai ciò che le sue iridi mi avevano suggerito, notando Daryl accasciato su una poltrona. La spadaccina poggiò sul comodino un vassoio, porgendomi un bicchiere d'acqua.

-Hai bisogno di bere molto, con tutto quello che hai vomitato. E ti ho portato una barretta di cioccolato, ti restituirà l'energia in fretta. – aggiunse a basso tono, sperando che l'arciere non si destasse.

Mi fece poi un sorrisino, alzando le sopracciglia in un ammicco. Scossi la testa, negando la sua deduzione. Daryl era stato prima cortese, poi uno stronzo, e dopo nuovamente gentile. Era fatto così, non c'era un perché od un come, era semplicemente il suo essere. Mi ero messa l'anima in pace, era inutile chiedergli spiegazioni ogni qual volta che reagiva in malo modo o rimuginare sulle mie azioni, come se la colpa fosse mia. Bastava essere paziente ed accettarlo per quello che era. Michonne mi fece cenno che sarebbe tornata più tardi ed uscì dalla stanza sulla punta dei piedi, la ringraziai sussurrando, prima che questa chiudesse con delicatezza la porta. Cercai di tirarmi su un poco, in modo da sedermi nel letto con la schiena appoggiata alla testata. In quella posizione potetti meglio vedere l'arciere pisolare come un bambino. Sembrava tanto innocuo. Sorrisi e bevvi quell'acqua. Mi versai un altro bicchiere, ma alla fine mi attaccai alla bottiglia. Non mi ero resa conto di quanto fossi assetata. Mi faceva male la testa ed avevo freddo, nonostante ci fossero come minimo venti, venticinque gradi. Mi sentivo la febbre, doveva essere parecchio alta. Controllai il corpo in cerca di qualche ferita infetta. Poteva trattarsi di una infezione e sarebbe stato un bel problema. Sul vassoio vidi due pillole e le presi senza battere ciglio. Gli antibiotici mi avrebbero fatto passare la febbre se si fosse trattato di ciò che temevo. Altrimenti era solamente una brutta influenza. Speravo in quest'ultima. Scartai la barretta di cioccolato molto lentamente, evitando di fare rumori irritanti. Al terzo morso, egli si mosse posando su di me quei suoi occhi freddi e taglienti. Si alzò ed aprì la finestra, in modo da poter osservare il sole. Borbottò. Probabilmente aveva dormito poco. Si avvicinò per poggiarmi nuovamente la mano sulla fronte, ma vedendo che stringevo le coperte, si fermò ai piedi del letto.

-Hai preso qualcosa? – domandò, stiracchiandosi.

-Sì, degli antibiotici.

-Escludo un'infezione. – affermò con sicurezza.

-Meglio esserne sicuri. – sorrisi.

Afferrò la balestra vicino alla poltrona.

-La prossima volta che hai voglia di rovinarmi la festa, avvertimi. – disse, andandosene.

Addentai il cioccolato, affogando i dispiaceri negli zuccheri. Provai ad alzarmi, rinvolgendomi comunque una coperta sulle spalle, a mo' di mantello. Anche se avessi continuato a stare male nei giorni successivi, avrei finto il contrario. Non potevo rallentare il gruppo, dovevamo raggiungere Terminus. Avanzai lungo il corridoio, entrando nella mia stanza. Il letto era sgualcito e a terra vi era una maglia di Rick. Presi la camicia che Daryl mi aveva prestato e che ieri avevo lavato. Dovevo restituirgliela. Ma prima sentivo il bisogno persistente di cambiarmi, potevo percepire ancora quell'odore nauseabondo. Indossai in bagno i miei vecchi abiti, ormai lindi e profumati. Calzai gli anfibi e scesi le scale ravvivando i riccioli. Raggiunta la cucina, mi trovai Michonne intenta a gettare qualcosa nel cestino e Carl impegnato a mangiare dei cereali stantii.

-Come stai? Hai mangiato? – domandò alzando la testa dalla tazza.

-Sto meglio, grazie.

Mi guardai intorno, in cerca di Daryl e Rick, ma non ve ne era traccia.

-Come meglio? – si allarmò la samurai – Hai preso le pillole e ti si è abbassata la febbre?

-Non in quel senso! – rassicurai immediatamente – Almeno ho le forze per stare in piedi.

-Allora ci hai fatto sprecare dei medicinali. – brontolò Daryl, sbattendo la porta di ingresso.

-Non potevamo saperlo! – rispose esasperata Michonne – Era meglio accertarsene.

-Beh adesso lo sappiamo. – ribatté l'arciere.

Stavo per rispondere, quando Michonne mi fece cenno di lasciar perdere. Seguii il suo consiglio.

-Il perimetro è sicuro? – chiese il ragazzo.

-La parte che ho controllato sì. Aspettiamo tuo padre per averne la sicurezza.

D'improvviso alcuni allarmi risuonarono nel quartiere, in una zona non poco distante dalla nostra posizione. Ci guardammo interrogandoci sul da farsi e senza aprir bocca, facemmo in fretta le valige, se così possiamo dire. Rick giunse di corsa, perdendo sangue ad un braccio.

-Dobbiamo andarcene immediatamente. – ordinò – C'è un fottuto gregge!

-Papà, cos'hai fatto al braccio?

Daryl corse fuori dalla casa, mirando con la balestra. Un gregge di vaganti si stava dirigendo verso alcune auto. Rick aveva azionato gli antifurti.

-Dobbiamo fare in fretta, muoverci finchè sono distratti. – incalzò l'arciere.

Rick prese di fretta alcune provviste e si gettò nuovamente in strada, pronto a mostrarci il cammino che avremmo dovuto percorrere. Carl lo seguì, sperando che il padre rispondesse alla domanda posta. Io e Michonne ci guardammo con velo di amarezza. Era un peccato abbandonare quella mura, chissà quanto sarebbe passato prima di raggiungere un luogo altrettanto confortevole e ben strutturato. Deglutii, spronando me stessa a farcela. Avremmo dovuto porre molta distanza fra noi ed il gregge di putrefatti, ciò implicava una bella marcia veloce, qualcosa che il mio corpo avrebbe rifiutato se avesse avuto scelta. Zaino in spalla, fuggimmo dal pericolo imminente, tuffandoci nella boscaglia. Quando fummo abbastanza lontani, Michonne protestò affinchè ci fermassimo. Mi parve strano che ella chiedesse una pausa, qualche minuto per riprendere fiato, non ne era il tipo. Infatti, quand'ella si fece vicina a me, compresi che non aveva preteso ciò per se stessa.

-Pensi di farcela? – mi sussurrò.

Rick fu come emerso da un sogno, osservandosi intorno spaurito e pronto ad attaccare. Oramai eravamo al sicuro, ma lo sceriffo pareva non averne la certezza. Dopotutto era comprensibile, non si poteva mai esserne del tutto sicuri, ma indubbiamente poteva abbassare la guardia. Daryl scattò per perlustrare l'area, confondendosi fra gli arbusti.

-Sto bene. – risposi – Non c'è motivo di preoccuparsi.

Sollevando le spalle, contestò la mia affermazione.

-Perdi colpi ragazza, un tempo sapevi mentire meglio.

Carl alzò la manica al padre, permettendo alla ferita di vedere la luce. Una copiosa quantità di sangue scivolava lungo l'avambraccio, colorando di rosso la mano ed impregnando il tessuto.

-Non è niente. – disse rassicurando il figlio – Basta fasciare.

Carl prese una garza nella tasca superiore del suo zainetto, recuperandovi anche un disinfettante dal colore scuro. Lo odiavo, bruciava da morire. Ad ogni modo, Rick rimase immobile a scrutare la radura, lasciando il braccio a penzoloni in modo che il ragazzo se ne occupasse.

-Non potevi spaccare i finestrini in un altro modo? – ammonì Carl – Che so, lanciare dei massi?

-Si beh, l'ho fatto dopo.

Quell'uomo era incredibile. Per quanto fosse razionale e scrupoloso, a volte sapeva proprio sembrare un pazzo. Daryl sbucò dalla fitta vegetazione con passo sicuro.

-Se vogliamo fermarci, qua non avremo problemi. Non per ora almeno. – illustrò, aggiustandosi la balestra sulla spalla.

-No. – rispose lo sceriffo – Lo faremo fra qualche miglio. Voglio arrivare a Terminus prima che faccia notte.

-Rick, sarà meglio entrarci al pieno delle nostre forze. Nel caso dovessimo combattere o scappare. – evidenziò samurai.

Lo sceriffo annuì e riprese il viaggio, dando per scontato il nostro consenso. Daryl di certo non si sarebbe posto contro l'amico. Camminammo su quel terreno secco, muti nel nostro silenzio. Mi ero ormai abituata ai lunghi momenti morti, sebbene in compagnia. Facevo fatica a tenere il passo, i brividi mi salivano lungo le ossa. Ma non davo segno di cedimento ed emulavo i miei compagni, mostrando una naturale compostezza. Dopo qualche ora, mi affiancai a Rick, avendo notato un suo rilassamento.

-Tutto bene? – domandai stupidamente.

Piegò la testa di lato in una smorfia, come per dirmi 'non c'è male'.

-A parte un cerchio alla testa, bene direi. – disse in un mezzo sorriso.

Sorrisi al sentire quelle parole. La serata era andata bene, escludendo il dopo.

-Ho sbagliato. Non dovevamo restare in quella casa. Non era sicuro. – aggiunse.

-Niente dava questa impressione, anzi, le inferriate erano rassicuranti.

-Se stamattina non fossi uscito per controllare, avremmo potuto essere accerchiati da quel mucchio di non morti. – sottolineò rammaricato – Avrei dovuto pensarci.

-Non è successo niente, stiamo bene. Quei bastardi non ci hanno rovinato il party. – disse Daryl, intrufolandosi nella conversazione.

I due si guardarono da buoni amici e il silenzio ripiombò fra noi. Così fu per molto altro tempo, lasciando che i nostri pensieri o preoccupazioni ci avvolgessero in un morbido manto. D'un tratto, camminando con lo sguardo in basso, non mi accorsi che il gruppo si era paralizzato. Finii con lo sbattere contro un braccio teso dello sceriffo, che mi invitava a non fare un altro passo. Scorsi in lontananza un edificio in mattoni rossi con delle enormi lettere bianchi cubitali : Terminus.
Ce l'avevamo fatta, eravamo arrivati.
 

Tadà, Terminus è alle porte e Kendra è bella malaticcia :P

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 : Quelli che arrivano, sopravvivono ***


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Capitolo 21 : Quelli che arrivano, sopravvivono 

 
 

Ci acquattammo temendo di esser notati, seppure ben distanti. Era possibile che vi fossero uomini sul perimetro, delle sentinelle. Rick lanciò il borsone con le armi all'amico, prima di prendere parola ed illustrarci il piano. Seppure il mio stomaco non sembrasse felice, ero elettrizzata e su di giri, speranzosa di trovare i restanti del gruppo.

-Tu e Kendra andate a nascondere questo. Se dovessero prenderci le armi e fossimo costretti a fuggire, meglio avere un rifornimento qui nel bosco. Noi controlliamo la recinzione, cerchiamo una seconda entrata. Evitiamo quella principale.

Nessuno di noi ancora sorrideva, provando a restare obiettivi sulla situazione. In realtà ci eravamo già illusi, volevamo solo nasconderlo. Soprattutto Daryl. Scattammo eseguendo l'ordine dello sceriffo, essendo un progetto più che sensato. Prendemmo lati opposti, dividendoci. L'arciere sgattaiolava veloce fra gli arbusti, facendo a zig zag fra questi. Riuscivo con fatica a stargli dietro, temevo che la nausea si acutizzasse nuovamente. Dopo poco, Daryl si fermò, esaminando la zona. Si accucciò ed iniziò a smuovere il terreno, scavando una buca. Lo aiutai senza aprir bocca e in un baleno l'oggetto fu nascosto, invisibile ad occhi estranei. Estrassi il bowie per incidere un tronco, per contrassegnare il punto esatto in cui si trovava, ma l'arciere mi bloccò.

-Vuoi indicargli dove scavare per caso? – abbaiò – 'Per fotterci scavare qui'.

-Non trattarmi da stupida.

-E' quello che sei. – rispose senza farmi finire.

Ritrassi la lama, sbuffando.

-Non avrei certo segnato la corteccia con una grossa x. Bastava una minuscola incisione ad un ramo, niente che qualcuno avrebbe potuto notare, a parte noi.

-Meglio non rischiare. – disse, dandomi le spalle.

Guardò gli edifici del rifugio e senza aggiungere altro, si incamminò per fare ritorno alla collinetta. Non gli domandai come avremmo fatto a raggiungere con sicurezza il luogo esatto della sepoltura degli armamenti, andando a colpo preciso. Ero sicura che mi avrebbe risposto con qualcosa del genere 'lo so e basta', sottolineando chiaramente quanto fosse superiore a me, magari con fare distaccato. Quindi mi limitai a seguirlo, ricordando a me stessa di essere paziente. Fra una chioma e l'altra, riuscivo a distinguere qualche particolare del luogo. Nessun rumore sembrava provenire da quelle mura, ma alcuni vasi colmi di fiori arredavano gli angoli delle costruzioni, ponendosi come un'area ben curata. Un fruscio ci distrasse dalla missione, facendoci voltare immediatamente nella sua direzione. Proveniva dal cuore della vegetazione.

-Occhi aperti, c'è qualcuno. – suggerì l'arciere, tenendo ben stretta la balestra.

Escluse a priori l'ipotesi di un animale, essendo egli un esperto cacciatore. Impugnai il bilama.

-Un putrido? – domandai, facendo attenzione al rumore.

-No, non sono passi strascicati. – illustrò frettolosamente – Fatti vedere o non esito a sparare!

Lo sconosciuto non si mosse, pensando di potersela cavare facilmente. Daryl però non mollò certo la caccia e senza pazientare minimamente per una possibile risposta, mirò per scoccare una freccia.

-Fermo! – gridò una voce maschile.

Dal tono compresi che era spaventato. L'estraneo si avvicinò, facendoci spazio fra i rovi.

-Non sparate, vi prego. – aggiunse ancora nascosto.

Un banco di arbusti vibrò e Daryl non abbassò la balestra, mostrandosi affatto colloquiale. Ma infondo era giusto muoversi così, non lo rimproverai per questo. Avevamo imparato a non fidarci più delle persone. Queste si erano dimostrate più pericolose dei putrefatti. Finalmente un uomo emerse dal verde, presentandosi con i palmi rivolti in alto, in segno di sottomissione. Controllai con un'occhiata fulminea il corpo, scrutando l'equipaggiamento. Dalla cintura penzolava un machete arrugginito ed una pila, facendomi intendere che era privo di un'arma da fuoco. Mi parve strano.

-Chi sei e perché diavolo ci stavi seguendo? – intimorì Daryl.

L'uomo era sulla trentina, moro, alto, esile e con gli occhi a mandorla. Ma non ne sapevo riconoscere la provenienza. Indossava una polo scura a maniche lunghe e dei pantaloni marroni sbiaditi.

-Risponderò a tutte le domande che volete, ma abbassa l'arma.. mi sentirei più tranquillo. – pregò il tizio.

Daryl non parve affatto d'accordo con la proposta.

-Non mi frega un cazzo se non ti senti a tuo agio, rispondi e basta.

Abbassando lo sguardo ai suoi piedi, notai un rigonfiamento sulla caviglia sinistra.

-Vi prego, non mi piacciono le armi.. tu.. – disse, facendomi un cenno – .. per favore, dì al tuo ragazzo di togliere quell'affare.

Daryl fece per contro ribattere da stronzo, ma evitai ciò essendo più veloce nel rispondere.

-Non mi pare che tu sia nella posizione di chiedere. Ti basta rispondere, vedrai che poi il mio ragazzo si calma. – esposi pacata.

L'arciere mi fulminò, ma non aggiunse altro. L'uomo sospirò, rendendosi conto che non ci avrebbe mai convinti ad abbassare la guardia.

-D'accordo, d'accordo.. mi chiamo Kioshi, sono un medico.. ecco, io sono rimasto solo e mi sto dirigendo a quel rifugio. – farfugliò timoroso – Non avevo intenzione di seguirvi, ma vi ho visti e volevo capire che persone foste.

-Ah sì? – chiese ironico Daryl – E che persone siamo?

Kioshi mi guardava, sperando che intervenissi, ma lasciai condurre il gioco all'arciere.

-Sicuramente brave, sì sì non ho dubbi.

Risi, poggiando una mano sulla balestra. Daryl non sembrò contento, ma abbassò comunque l'arma. Quel dottore non sembrava affatto pericoloso, anzi, mi chiesi come avesse fatto a sopravvivere per così tanto tempo. Non appena Daryl posò l'arma sulla spalla, Kio si rilassò.

-Non ho cattive intenzioni, ve lo giuro. – aggiunse.

-Lo so. – rassicurai.

Daryl mi ammonì con una semplice occhiata glaciale.

-No, non possiamo saperlo.

-Invece sì. – ribattei – Suvvia, guardalo. Già è tanto se non se l'è fatta sotto.

Kioshi si massaggiò la testa timidamente.

-Ehi, io sono qui. – disse ferito.

Gli sorrisi, mentre Daryl continuò a guardarlo sospettoso.

-Potrebbe fingere.

-Nah, lo escludo. E' così ingenuo che ha nascosto la pistola sotto i pantaloni nella caviglia sinistra, come se non si notasse a chilometri di distanza.

Kioshi piegò la testa in basso, sconfortato.

-Forse è soltanto stupido. – affermò scocciato – Sono sicuro che andrete d'accordo.

Detto questo, si incamminò dando per scontato il suo consenso. Il problema sarebbe stato convincere Rick, ma forse non avrebbe problematizzato più di quanto immaginassi. Mi accostai al nuovo membro, dandogli una pacca sulla schiena.

-Scusami per prima, ma dovevo convincerlo sul tuo conto.

-Fa niente. – disse, recuperando la pistola. – Allora anche voi siete qui per il rifugio?

Seguimmo Daryl, pur mantenendo una nota distanza. Camminare con calma non mi provocava sensazioni spiacevoli, limitando la nausea.

-Sì, speriamo di trovare delle persone che facevano parte del nostro gruppo.

-Capisco. Io spero che sia un luogo sicuro. Sono stanco di stare all'aria aperta.

Sapevo benissimo riconoscere gli animi delle persone e Kio non era uno di cui preoccuparsi, anzi, forse avremmo dovuto addestrarlo. Non mi sembrava molto preparato. Però, un lampo di genio lo aveva avuto.

-Dì un po', Kioshi, stavi perlustrando il perimetro in cerca di un'entrata secondaria.. non è così?

Egli nascose un sorriso imbarazzato.

-Beccato. Voi pure, immagino.

Udimmo alcune voci, eravamo vicini agli altri. Kio mi guardò interrogandomi in silenzio.

-Uno sceriffo, suo figlio ed una samurai. Sono con noi. – illustrai per calmarlo.

Sbucammo dalla radura, tornando alla collinetta da cui eravamo partiti. Rick fece per aggiornarci, ma non appena intravide Kio si zittì, soffermandosi sul nuovo arrivato. Carl puntò lo sguardo su me e Daryl, in cerca di spiegazioni, ma l'unica a parlare fu Michonne.

-Chi è questo?

-Kioshi. – risposi – Sta andando a Terminus. Non è un soggetto pericoloso.

-Non voglio dare problemi. Posso andarci anche per conto mio. – propose Kio, mettendo le mani avanti.

Rick lo scrutò con fare minaccioso, sperando di intravedere qualcosa in lui. Ma era chiaro come il sole quanto questo nuovo arrivato fosse innocente. Passò quindi a Daryl, il quale parlò come se interrogato.

-E' a posto. – spiegò conciso.

Carl mi parve dubbioso, ma si sarebbe adattato a ciò che avrebbe deciso il padre. Ovviamente, l'ordine del giorno non era certo arruolare nuovi membri, ma infiltrarsi nel rifugio dal retro, con l'intenzione di sorprenderli e studiarne i comportamenti. Fu quindi schietto, quasi fosse distratto da altro.

-Andiamo. – ordinò lo sceriffo – Segui noi, accetti le nostre regole. Questo è quanto.

Michonne e Rick ci mostrarono la strada, scendendo silenziosi fra la natura. Carl ogni tanto si voltava per controllare che Kio ed io fossimo sempre dietro a loro, temendo che il dottore potesse rivelarsi un mostro. La situazione però era tranquilla. Daryl passeggiava poco distante da me, fingendo di non fargli la guardia.

-Credo sia meglio essere sinceri fin da subito. – mi sussurrò Kioshi – Non sono un dottore, o meglio, non ho finito gli studi. Ho ventisei anni, ma ero fuoricorso.

Apprezzai il fato che me ne avesse parlato subito, ciò significava che era un ragazzo sincero. Avremmo evitato molte questioni. Daryl ci guardò con la coda dell'occhio, dichiarando praticamente che lo controllava, prestando attenzione ad ogni sua mossa o discorso.

-Pensavo che i cinesi fossero dei secchioni. – espresse con aria da stronzo.

Kioshi scosse la testa, esasperato dai suoi modi di fare. Credo che non gli stesse molto simpatico.

-Sono giapponese.

Daryl alzò le spalle, con fare strafottente. Come per dire 'beh, cambia poco'. Kioshi sembrò voler controbattere, ma lo trattenni per un braccio. Comprese che era inutile discutere con l'arciere e si limitò ad ignorarlo, tornando a parlare con me.

-Come fai a stare con uno così? – mi domandò stupito.

Sebbene Daryl non si mosse, sapevo che ci stava ascoltando.

-Non è il mio ragazzo. – illustrai.

Kioshi sorrise, quasi fosse felice di udire ciò. Parve proprio sollevato.

-Menomale. – disse, tirandosi su le maniche.

In quel momento Daryl scattò in avanti, allontanandosi da noi per raggiungere Rick. Si era offeso.

-Credi che mi abbia sentito? – domandò preoccupato Kio.

Non risposi, essendo scontata l'affermazione positiva. Mi acquattai, facendo cenno al mancato dottore di fare lo stesso. Rick ci mostrò l'entrata. Non vedendo nessuno nelle vicinanze, seppur sospetto, decidemmo comunque di avanzare. Camminavamo leggiadri sul luogo cementato, cercando di smorzare il rumore dei passi. Tutto era così dannatamente silenzioso. Ci fece pensare che probabilmente era abbandonato, un rifugio dismesso. Ma continuammo l'esplorazione, speranzosi di apprendere il contrario. Ci appiattimmo contro la parete di un edificio simile ad un capannone. Daryl e Rick si avvicinarono alla porta. Delle voci giunsero alle nostre orecchie. Varcammo quindi la soglia, timorosi ed agguerriti allo stesso tempo. Percorremmo un corridoio vuoto fino a giungere ad una porta. Daryl fu il primo ad affacciarsi.

-Comunità per tutti. Rifugio per tutti. – udimmo una voce femminile.

Quando entrammo nella stanza, vidi appunto una donna parlare ad un microfono. Stava mandando dei messaggi via radio.

-Quelli che arrivano, sopravvivono. Terminus : Rifugio per tutti, comunità per tutti. – continuò.

A pochi metri di distanza, in fondo al capannone, vi erano delle scrivanie, un enorme mappa geografica ed altri uomini.  Rick si avvicinò alla donna, troppo impegnata per essersi accorta di noi.

-Salve. – disse – Salve.

Al secondo saluto, alzò la voce, in modo che tutti potessero sentirlo. La donna interruppe immediatamente il compito, privandosi delle cuffie. Guardò sconcertata noi e poi i suoi. Tutti rimasero a guardarci, quasi non sapessero come agire.

-Scommetto che Albert sia di guardia al recinto. – affermò un uomo moro.

Noi ci allineammo, formando una retta orizzontale. Così facendo, tutti potevano vederci chiaramente. L'uomo che aveva parlato, superò i tavoli fino a raggiungerci. I suoi passi risuonarono all'interno dell'edificio. Essendo questo semi vuoto, fu molto scenico.

-Volete derubarci? – domandò.

-No. – rispose lo sceriffo, riponendo la pistola – Volevamo vedervi prima che voi vedeste noi.

Egli sorrise divertito, squadrandoci. Aveva un accenno di barba ed indossava un giacchetto marrone sopra una camicia verde scura. Le persone alle sue spalle, tre uomini ed una donna, non presero parola, lasciando a lui la faccenda. Doveva essere il capo.

-Ha senso. – ammise.

Poi, dopo aver dato un'occhiata ai suoi compagni, si avvicinò ancora.

-Di solito lo facciamo alla fine dei binari. – illustrò con fare socievole – Benvenuti a Terminus. Mi chiamo Gareth. Sembra che siate in strada da un po'.

Avrei voluto parlare, ma era giusto che fossero i due capi a contrattare.

-E' così. – rispose lo sceriffo – Rick. Loro sono Carl, Daryl, Michonne, Kendra e Kioshi.

Gareth ci fece un cenno con la mano, come per salutarci. Sorrise leggermente. Mi sembrava tutto molto tranquillo, troppo forse. Mi parve strano che non fossero minimamente diffidenti. Restammo muti, aspettando che ci dicessero cosa fare o che facessero qualche domanda più specifica.

-Siete nervosi! Lo capisco, lo eravamo anche noi. – ridacchiò Gareth – Siamo venuti qui per il rifugio. Siete venuti per questo?

-Sì. – rispose secco Rick.

-Bene. – continuò Gareth – Lo avete trovato. Alex!

Un uomo dai capelli castani e mossi, si sciolse dall'immobilità e si incamminò verso di noi.

-Qui non è accogliente come l'ingresso. – spiegò il capo – Non c'è niente da nascondere, ma il comitato di benvenuto è più carino. Alex ora vi farà qualche domanda. Ehm, ma prima dobbiamo vedere le vostre armi. Potete metterle davanti a voi?

Non rispondemmo subito. Prima ci parlammo con gli occhi. Rick chiese il nostro consenso. Poi estrasse la pistola.

-D'accordo. – disse, accucciandosi.

Noi lo imitammo.

-Sono sicuro che capirete. – esclamò Gareth, mostrandosi attento ai rituali.

-Sì, certo. – rassicurò Rick, seppur fece trasparire un poco di dissenso.

Poggiai a terra il mio arsenale, anche se si era ridotto molto. Kioshi non riusciva a mascherare bene la tensione, mi parve quasi tremare sulle gambe. Ad ogni modo, alzammo le braccia e Gareth ed il suo uomo, ci perquisirono.

-Ve ne siete date tante? – chiese ironico Alex, mentre era sull'arciere.

Daryl lo ignorò.

-Hai ragione. – rispose Rick.

Alex rise divertito e passò a Carl.

-E se lo meritavano?

-Sì. – ammise il ragazzo.

Sorrisi. Sembrano persone okay, ma avevo l'impressione che volessero a tutti costi porsi così, come se dovessero mostrare qualcosa che solitamente non erano.

-Noi non siamo quel genere di persone. – spiegò il capo – Ma non siamo nemmeno stupidi, ovvio. E voi non dovreste provare a fare stupidaggini. Finchè è chiaro questo, non avremo nessun problema. Solo soluzioni.

Facile. Il discorso non faceva una piega. Alex, avendo finito di controllarci, riprese una ad una le armi, restituendocele con fare gentile. Daryl afferrò la balestra prima che questo potesse toccarla, ponendosi guardingo. Guardammo l'uomo increduli e questo, quasi imbarazzato, ci chiese di seguirlo. Lasciammo il capannone e tornammo all'aperto, curiosi di scoprire l'organizzazione interna.

-Da quanto esiste questo posto? – domandò Daryl.

-Praticamente dall'inizio. Quando gli accampamenti erano sopraffatti, tutti venivano qui. Forse per istinto. Seguivano un sentiero. Alcuni andavano verso la costa, altri verso ovest o a nord, ma tutti finivano qui.

D'un tratto, ci affacciammo in una specie di spiazzo. Al centro vi era un orto rigoglioso, ai lati invece altri edifici. A sinistra vi erano degli ombrelloni e molte sedie. Davanti a noi, trovammo un barbecue acceso,  di cui si occupava una donna dall'espressione radiosa. Aveva dei capelli color nocciola raccolti in una treccia laterale. L'odore di carne alla brace aveva impregnato l'aria.

-Ciao. – salutò – Siete entrati dal retro, furbi. Vi ambienterete bene qui.

-Lo speriamo. – risposi, porgendole un sorriso finto.

Gli altri restarono in silenzio, più attratti dallo scrutare ogni particolare del luogo.

-Mary, puoi preparare un piatto per i nuovi arrivati? – chiese gentilmente Alex.

Ai tavoli delle persone si stavano gustando la succulenta carne fresca. Negare che fossimo affamati, sarebbe stupido, ma in quel momento non ne avevamo molta voglia. Soprattutto io, che avevo ancora lo stomaco in subbuglio. Rick notò qualcosa in lontananza. Seguii il suo sguardo.

-Perché lo fate? Perché accogliete tutti? – domandò Michonne.

-Più persone ci sono, più siamo forti. Per questo mettiamo i cartelli. Invitiamo la gente. E' così che sopravviviamo.

Alex porse a Carl e a Michonne un piatto fumante, ma vidi ciò solo perché mi passò vicino. I miei occhi erano puntati su qualcos'altro. Ad un ombrellone, una ragazza indossava il poncho di Daryl, il quale era stato preso da Maggie. Uno zaino arancione, di proprietà di Glenn, erano nelle mani di un uomo anziano, mentre una tuta antisommossa era indossata da un altro. Sbuffai, per un attimo avevo davvero creduto che le cose sarebbero andate per il verso giusto. Nello stesso momento in cui estrassi la pistola e la puntai alla testa della donna, Rick prese alle spalle Alex, poggiandogli la canna dell'arma alla tempia. Gli altri si armarono, compreso Kioshi, che ci emulò senza capirne il motivo. Lo sceriffo aveva notato un orologio da taschino ad Alex ed ora lo stava mostrando al sottoscritto.

-Dimmi dove hai preso l'orologio!

Gli individui lasciarono stare il pranzo e ci puntarono con le armi da fuoco. Daryl teneva d'occhio questi, assieme a Carl, mentre Michonne alzò lo sguardo ai tetti.

-Vuoi delle risposte? Vuoi qualsiasi altra cosa? L'avrai, quando avrai abbassato la pistola.

Un cecchino stava puntando lo sceriffo.

-Vedo quell'uomo sul tetto col fucile da cecchino. Quanto è bravo? – domandò ironico Rick – Dove hai preso l'orologio?

L'ultima domanda fu gridata, facendo impaurire Alex. Disse al cecchino di non sparare, che ci avrebbe pensato lui. Ma ero sicura che le cose si sarebbero messe male. La donna mi guardava in uno strano modo. Sapeva cosa sarebbe successo entro poco, era tranquilla. Alex continuava a non rispondere alla domanda, finchè non si decise ad accontentare le richieste dello sceriffo, dopo altre minacce. Si inventò una cazzata affatto plausibile. Ed idem Gareth, che d'improvviso era alle nostre spalle. Nessuno avrebbe creduto a ciò.

-L'ho preso da un morto. Credevo che non gli servisse più. – disse Alex.

-La tenuta l'aveva un poliziotto morto, il poncho era steso su un filo.

Altri uomini si avvicinarono con dei fucili semi automatici, poco amichevoli. Erano in troppi, sarebbe stato impossibile darci alla fuga e sopravvivere.

-Gareth possiamo aspettare. – pregò Alex.

-Non parlare Alex. – rispose l'amico.

-Tu parla con me. – ordinò irato lo sceriffo.

Gareth non era preoccupato, ma il suo volto era cambiato. Era un bravo camaleonte. L'uomo cordiale era solo una recita. Aveva qualcosa di diabolico. Terminus era una trappola. Daryl aveva ragione.

-Che altro si può dire? Non ti fidi più di noi.

-Gareth! – chiamò Alex

-Non devi parlare. – ripeté il capo.

-Gareth, ti prego.

-Va tutto bene, va tutto bene. – confortò l'amico.

Tenendo sempre sotto mira la donna, fulminai con lo sguardo lo stronzo.

-Cosa volete? – domandò.

-Piantala. – dissi – Dove sono i nostri amici?

Egli fece un sorrisino.

-Non hai risposto alla domanda.

Al termine della frase, degli spari partirono. Alex fu colpito e morì all'istante. Sparammo qualche colpo, ma eravamo più interessati ad uscirne illesi.

-Merda, merda, merda. – ripeteva Kio.

Sparatoria nella zona centrale.

L'allarme scattò e sui tetti arrivarono a flotte una marea di uomini armati fino ai denti. Ci raggruppammo, analizzando velocemente le possibili vie d'uscita. Correvamo come conigli da una parte all'altra, ma non appena imboccavamo una strada, questi ci bloccavano la fuga, sparando copiosamente ai nostri piedi. Capimmo in fretta che ci stavano guidando. Eravamo nella merda, eravamo in trappola, non potevamo far altro che seguire le loro indicazioni e fingere quella evasione. Essere ottimisti non portava da nessuna parte, Drake si sbagliava. Io mi sbagliavo. Non avremmo mai dovuto abbassare la guardia così velocemente o non spiare per qualche giorno il rifugio. Eravamo stati dei coglioni. Forse, in questo caso, essere pessimisti e cinici come Daryl ci avrebbe giovato. Oramai, dovevo solo pensare a sopravvivere.


Angolo autrice

Buona sera lettori! Come promesso, ho cercato di essere più veloce nelle pubblicazioni. Spero vivamente, che anche ques'ultimo capitolo vi sia piaciuto. Che ne pensate della new entry? Vi informo che ho mantenuto alcune battute originali, seguendo proprio quelle del copione della serie. Mi sono rigurdata le puntate su Terminus per scrivere questi capitoli inerenti. Parlo sopratutto dei dialoghi connessi a Gareth. Ringrazio di cuore tutti voi, siete sempre così pazienti e dolci nei commenti. Per qualsiasi cosa, ci sentiamo nelle recensioni. Scrivetemi **

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 : Never Trust ***


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Capitolo 22 : Never Trust

 
 

I nostri piedi scattavano veloci fra gli spari e il frastuono, permettendo alle testa di pensare in fretta. Continuavamo a correre fra lunghi spazi, guidati sempre dai loro fucili. Non volevano ucciderci, e questo poteva essere un male. Avevano qualcosa in mente per noi, qualcosa che allora non avrei mai potuto immaginare. Kioshi mi stava attaccato come un animale impaurito, mostrando chiaramente quanto fosse preoccupato per l'intera situazione. Probabilmente si dava già per spacciato, ma la realtà è che tutti avevamo paura. Essere in trappola, era qualcosa di duro da digerire. Soprattutto per noi, soprattutto per Rick. Di colpo notammo una serranda aperta e Daryl vi si gettò immediatamente, obbligando noi a seguirlo. Ma proprio nel momento in cui chiudemmo la saracinesca, udii alcune voci chiedere aiuto, chiedere di essere liberate. Per un secondo, vidi dei grossi container rossi, poi il metallo mi bloccò lo stralcio. Sapevamo benissimo di non essere in salvo, ma ciò ci permise di riprendere fiato. Attraversammo un corridoio senza parlarci, troppo agitati per poter formulare qualsiasi tipo di pensiero. Aperta una porta, mi trovai di fronte ad una immagine particolare. Un'intera stanza era ricoperta di candele e scritte su pareti e pavimento. Mi guardai intorno spaurita. Una strana sensazione mi pervase. Terminus era un luogo oscuro, maligno. Menzogne, non era un rifugio per tutti, non era una comunità. Chi lo raggiungeva, non sopravviveva, ma anzi, veniva derubato ed ucciso. Una stretta allo stomaco mi scaraventò il pensiero sugli altri del gruppo. Speravo che fossero riusciti a mettersi in salvo. Non potevamo finire così, non potevamo essere sopravvissuti per morire così da coglioni. Morire per mano di altri. Non l'avrei accettato.

-Che diavolo è questo posto? – domandò irato Daryl.

Never again. Never trust. We first, always.
I graffiti dicevano questo, ci stavano raccontando la loro storia. Doveva essere successo qualcosa a questa comunità. Si erano fidati delle persone sbagliate e probabilmente ne avevano pagate le conseguenze. Questo era il punto, questo li aveva portati ad agire così, a liberarsi prima delle minacce, di tutti, prima che potessero esserne feriti. Non erano più semplici uomini, si erano trasformati in belve pronte a cacciare costantemente. Attiravano nella tana i sopravvissuti, i bisognosi che di fronte a del cibo non avrebbero mai rifiutato l'ospitalità e la cordialità del luogo, firmando così inconsciamente la propria condanna a morte. Ma le persone chiuse nel container, mi diedero da pensare. Non uccidevano subito i forestieri. Chissà quale idiozia avevano orchestrato.

-Queste persone, non credo che vogliano ucciderci. – sottolineò Michonne.

-No, hanno mirato ai piedi. – confermò lo sceriffo.

D'istinto mi osservai gli anfibi, notando le scritte bianche posizionate in modo circolare sotto di noi. Nomi e cognomi.

-Dobbiamo trovare il modo di arrivare ai recinti. – suggerii.

-Impossibile, questi ci sparano non appena mettiamo la testa fuori. – disse Kioshi, passeggiando in avanti e dietro.

Rick corse verso una porta, ma questa fu chiusa dall'esterno. Continuavano a pilotarci, suggerendoci di passare da una seconda porta della stanza, contrassegnata con una A. Ci guardammo per farci forza ed attraversammo quel passaggio. Non potevamo certo restare lì in eterno. Appena fummo fuori, solito rituale. Spari, proiettili, e i nostri corpi seguivano le sollecitazioni. Non appena scorsi la recinzione, io e Daryl ci buttammo a capofitto in quella direzione, ma dal fogliame all'esterno spuntarono altri uomini armati. Ci bloccammo. Sconfitti. Eravamo circondati. Kioshi alzò subito le mani in alto, in segno di resa.

-Gettate la armi. – ordinò Gareth da un tetto.

Kioshi obbedì immediatamente. Mentre a noi servì un'altra esortazione, prima di abbandonare l'equipaggiamento. Posai a terra il mio arsenale, compreso il fucile di Drake. Lo fissavo, chiedendomi se in questo caso egli sarebbe mai stato poi così ottimista.

-Capo gruppo và alla tua sinistra. Al vagone, và.

Sul vagone era infissa la solita lettera della porta. Smistavano i mal capitati, rinchiudendoli. Non riuscivo a capire cosa ne volessero fare. Perché non ci uccidevano seduta stante? Rick non sembrò molto contento della proposta, ma Gareth lo convinse dicendo che Carl lo avrebbe seguito se avesse adempito all'ordine ricevuto. Nessuno sarebbe morto, se fossimo andati uno alla volta a quel dannato vagone bordeaux. Ci chiamò in ordine, lasciando il ragazzino per ultimo, quasi per voler infastidire lo sceriffo. Una volta messi in fila indiana davanti al portellone, notai alcune scatole e piatti di plastica. Tenevano cura dei prigionieri, li cibavano. Stranamente con del latte in polvere.

-Capogruppo, arciere, samurai, ricciola ed asiatico. In questo ordine. – comandò Gareth.

Carl era ancora laggiù immobile, a fissare gli occhi del padre.

-Mio figlio. – abbaiò Rick.

Gareth fu soddisfatto di vederlo arrabbiato, ed acconsentì affinchè il ragazzo ci raggiungesse.

-Capogruppo, apri il portellone ed entra. – continuò il bastardo.

Rick fu lento nell'azione, in modo da permettere che Carl fosse abbastanza vicino a noi. Non voleva perderlo di vista, temeva che non volessero farlo entrare assieme a noi, avendo notato tutto questo interesse per il ragazzino. Ma credo che Gareth volesse solamente divertirsi un poco, giocare con noi. Entrammo in quello stretto spazio buio. Il pavimento costituito da assi di legno, fece echeggiare i nostri passi incerti. Il portellone fu subito chiuso alle nostre spalle, permettendo all'oscurità di avvolgerci. Vedevamo a stento, solo alcuni flebili fasci di luce penetravano nel vagone. Un rumore dal fondo ci fece sobbalzare. C'erano altre persone.  Altre persone condannate al nostro stesso destino. Restammo immobili, udendo una delle altre vittime avvicinarsi lentamente.

-Rick? – risuonò una voce incerta.

Anche gli altri si mossero e si posizionarono sul raggio di luce, in modo che potessimo vederli. Noi facemmo lo stesso e non appena ci fu possibile scorgerci, rimasi stupefatta. Glenn e Maggie erano proprio lì, di fronte a noi, accompagnati da altre quattro persone. Un uomo alto e muscoloso, dalla capigliatura e baffettoni rossi scarlatti, una donna in shorts con delle code laterali, un altro uomo massiccio dal taglio mullet ed una seconda donna snella di colore. Poco dopo avanzò una terza donna, mora dai capelli corti e dal fisico robusto.

-Siete qui. – parlò incredulo lo sceriffo – Siete qui.

Non ci gettammo fra abbracci e frasi di felicità, sebbene fossimo gioiosi di apprendere che parte del gruppo fosse sano e salvo. Eravamo ancora sconvolti e scombussolati dall'accaduto, così come Glenn e gli altri. Ci limitammo a squadrarci, come se avessimo paura che si trattasse di un miraggio.

-Sono nostri amici. – spiegò Glenn.

-Ci hanno salvati. – aggiunse la sua ragazza.

Li guardai uno ad uno. Sembrava che fossero già affiatati e questo mi piacque.

-Ora sono anche amici nostri. – affermò l'arciere.

Fu piacevole sentire queste parole uscire dalla bocca di Daryl. Mi scappò un sorriso e il rosso lo notò.

-Ma non credo per molto tempo. – sottolineò affranto.

Poi fece per allontanarsi, ma Rick lo bloccò a parole.

-No. – dichiarò – Si sentiranno molto stupidi quando lo scopriranno.

Detto questo si avvicinò al portellone, cercando di osservare dalle fessure. Rimasi in silenzio, curiosa di sentire il resto. Rick aveva un piano forse.

-Quando scopriranno cosa? – chiese baffone.

Lo sceriffo si girò rabbioso in volto, il sangue gli ribolliva nelle vene. Era pronto a vendicarsi.

-Che hanno fatto incazzare le persone sbagliate.
 

*
 

Dopo la prima ora passata a presentarsi e a pianificare il resto delle azioni, concludemmo con l'organizzarci sugli armamenti. Essendo completamente disarmati, dovemmo reinventarci una risorsa. Utilizzammo tutto ciò che avevamo a nostra disposizione. Lacci delle scarpe, cinture, zip e pezzi di legno ricavati dal vagone stesso. Quando quei bastardi avrebbero aperto il portellone, avremmo tentato il tutto per tutto. Ora incombeva un silenzio frustante. Sebbene Rick fosse sicuro della nostra vittoria, non tutti erano dello stesso umore. Molti erano sconfortati nell'animo. Io stessa avevo dei dubbi al riguardo. Stavolta non sarebbe stato poi così semplice. Il coraggio non bastava. L'attesa era irritante. Non avevamo idea di quando ci avrebbero considerati, di quando qualcuno si sarebbe deciso ad aprire il vagone. Dovevamo semplicemente pazientare, far scorrere quell'interminabile tempo restando nell'oblio. Stavo cercando di staccare da un'asse un pezzo appuntito che potessi facilmente impugnare e piantare in qualche gola. Alcune dita mi sanguinavano, ormai piene di schegge, ma continuavo l'impresa senza lamentarmi. Anzi, quel dolore mi distraeva dalla nausea che stava pian piano aumentando. Guardai Kioshi seduto in un angolo, ormai aveva abbandonato le speranze. Mi asciugai la fronte e poggiai esausta la schiena alla parete di metallo. Udii Glenn bisbigliare qualcosa e poi si sedette al mio fianco.

-Stai bene? – chiese per intavolare un discorso.

-Non c'è male. – risposi osservandomi le mani.

-Non si direbbe.

Lo guardai stranita.

-Allora perché me lo hai chiesto?

Egli scrollò le spalle.

-Volevo vedere cos'avresti risposto. – terminò in un sorriso.

Mi era mancato Glenn. Era stato il primo a cui avevo parlato del mio passato. Il primo del gruppo con cui mi ero confidata. Aveva un bel carattere pacato, riusciva sempre a trasmettere serenità, anche ora, nonostante la merda in cui eravamo immersi. Osservai Maggie intenta ad ingegnarsi con una cintura.

-Lei, come sta? – domandai, pensando ad Hershel.

-Non ne abbiamo ancora parlato. Vedi, io e lei ci siamo ritrovati praticamente alle porte di Terminus. Era con Sasha, mentre io col resto. In tutti questi giorni, ripetevo a me stesso che avrei dovuto trovarla. Non mi davo per vinto e mi confortavo osservando una sua istantanea. Ma proprio quando la speranza mi stava lasciando, lungo i binari ho trovato un suo messaggio : Glenn, và a Terminus. Beh, non hai idea di cosa ho provato..

-Posso immaginare.. – risposi.

Maggie non aveva ancora avuto modo di parlare con Glenn di suo padre, dello shock subito. Ero sicura che se anche avessero avuto del tempo assieme, ella avrebbe comunque evitato l'argomento. Non sarebbe stato facile per lei parlarne come se niente fosse, sebbene fosse passato del tempo, non era ancora abbastanza.

-Beh, non so quanto possa essere di conforto.. – bisbigliai – .. ma ho seppellito Hersh. Insomma, quello che ne restava.

Glenn mi fissò per un poco e vidi lentamente formarsi un sorriso su quel liscio volto. Sebbene fosse buio pesto, giurerei di aver visto un lume nei suoi occhi. Mi abbracciò d'improvviso, cogliendomi di sorpresa. Era grato. Quando la felicità si attenuò, si staccò impacciato, vergognandosi dell'azione spontanea.

-Grazie, davvero. – sussurrò.

Hershel era stato quasi un padre per quel ragazzo, anzi, Hershel era stato un padre per tutti. Un uomo saggio, benevolo, sempre pronto a consigliare ed aiutare chiunque, persino me. Congedai Glenn con lo sguardo ed egli tornò dall'amata, cingendola per la vita. Erano un bella coppia. Il loro amore era puro. Mi rallegrarono l'animo. Rimuginando un poco su quel pezzo di legno, decisi di prendermi una pausa, e raggiunsi Kioshi che si era completamente isolato.

-Moriremo tutti. – sentenziò, prima che io potessi dire qualcosa.

-Mh probabile. Ma vale la pena provarci, non ti pare?

Mi guardò insicuro, non sapendo bene cosa dirmi. Sapevo che la pensava come me, ma in quel momento era giù di tono. Inoltre si sentiva in più e questo potevo ben comprenderlo.

-Kioshi, una volta fuori da qui.. sei il benvenuto fra noi, nel caso vorresti unirti.

-Ma se mi avete appena incontrato. – borbottò – E poi lo hai chiesto agli altri?

-Non ancora, ma sono certa che..

-Come immaginavo. – interruppe, dandomi le spalle.

Poggiai le mani sulle sua schiena, obbligandolo a voltarsi nuovamente.

-Ascoltami bene Kio, noi siamo una famiglia. Noi..

Mi zittii di colpo, rendendomi conto che avevo appena detto 'noi'. Rimasi impietrita. Il mio inconscio già pensava di esser parte della loro famiglia, dando per scontato che il passato non avesse alcuna rilevanza ormai. Forse era anche plausibile, ma non potevo averne la certezza. Sognavo solamente che un giorno ne avrei fatto parte sul serio.

-Scusami. – mi distrasse Kio – Non volevo essere antipatico. Solo che, tutto questo mi spaventa.

-Non preoccuparti, ti capisco.

Poi si strinse nei jeans, infilando le mani in tasca. Guardò in basso con fare triste, come se stesse ripensando a qualcosa.

-Dannazione. – proferì – Perché diavolo sono venuto qua? Quell'uomo con la benda sull'occhio aveva ragione.

Non appena udii le parole benda ed occhio, mi sentii gelare il sangue. Philip? No, non poteva essere. Era morto. Non poteva essere vivo, aveva perso troppo sangue. La ferita all'addome. Scossi la testa incredula, lasciando che l'ansia mi travolgesse come un treno in corsa. Spinsi d'istinto Kioshi verso la parete, attenta a non far alcun rumore. Egli non tentò di liberarsi, mi guardava spaventato e cercava aiuto alle mie spalle, sperando che qualcuno ci vedesse. Mi voltai indietro e vidi Rick parlare con Daryl. Quest'ultimo si alzò e mi raggiunse a grandi falcate.

-Cosa cazzo sta succedendo? – sibilò, non volendo attirare l'attenzione di altri.

Mollai la presa e feci un passo indietro. Non volevo che i nuovi membri mi ritenessero una pazza.

-Niente! – esclamò Kio – Ho parlato di un uomo con una benda ed è impazzita.

Appena terminò la frase, stavolta fu Daryl a scaraventarlo sulla parete.

-Che diamine di problema avete voi due? – domandò intimorito il giapponese.

Il rumore del contatto fra la schiena del ragazzo e il vagone, allarmò l'intero gruppo, il quale si voltò immediatamente a scrutarci. Rick fece per ammonire l'arciere, ma lo interruppi.

-Ha parlato di un uomo, un uomo con una benda all'occhio. – esclamai, affinchè tutti potessero udire.

I nuovi aggiunti guardarono Rick, non sapendo di cosa stessimo parlando. Lo sceriffo parve sbiancare. Michonne si fece spazio, in modo che potesse vedermi del tutto.

-Non è possibile! L'ho ucciso, l'ho trafitto.

Maggie rimase a terra col capo chino, tappandosi le orecchie con le mani. Glenn le restò vicina, accarezzandole la schiena, nel mentre mi implorava con lo sguardo di chiudere la questione.

-Descrivicelo. – ordinò Daryl.

Kioshi capì che non stavamo scherzando e dopo aver deglutito, parlò.

-Ecco, lui è.. è alto, castano.. l'occhio sano è azzurro.. aveva un barba molto folta..

Le mani mi fremevano. Poteva trattarsi di chiunque, non doveva essere per forza Philip. Ma vi erano troppe coincidenze. Stessi capelli nocciola, occhio ghiaccio, benda. A parte la barba, sembrava di udire la sua precisa descrizione. Phil odiava la barba lunga, ma non potevo aggrapparmi a questo dettaglio. Essendo stato costretto a vagare senza meta, non credo che avesse avuto il pensiero di radersi. Kioshi, vedendo che non ci bastava, continuò, dicendo le prime cose che gli affollavano la mente.

-Aveva un revolver.. era gentile, mi ha salvato. – disse balbettando – Cosa volete che vi dica?

Daryl non dava segno di allentare la presa e tutti sembravano esser tornati a quel ricordo, quasi stessero rivivendo quell'incubo.

-Il nome. – sentenziai. – Come si chiama?

Kioshi cercò di comprendere le nostre intenzioni, non riusciva a capire la nostra reazione. Ovviamente iniziò a sospettare che vi fosse un nesso affatto piacevole.

-Perché è così importante? – ribattè.

Daryl fece più forza, minacciandolo.

-Ti ha fatto una domanda. – precisò – Come si chiama?

-Brian! Brian per Dio! – si dimenò.

L'arciere lo lasciò libero ed egli scosse la maglia, odiandoci con gli occhi. Un senso di vergogna ci accumunò tutti, facendoci sentire degli idioti. Eravamo andati nel panico per nulla. Ciò stava a significare che il fantasma del Governatore non ci aveva mai abbandonati. Ognuno di noi portava ancora un amaro ricordo. Nessuno  aveva digerito tale faccenda. Brian. Che sciocca che ero stata. Perdere i nervi per niente.

-Beh?! – domandò incazzato Kio – Tutto qui? Ora non vi interessa più?

Nessuno gli rispose. Rick si accucciò nuovamente, tornando a lavorare. E così fecero gli altri.

-Tsk, che teste di cazzo. – aggiunse Kioshi.

-Sta zitto, piagnucolone. – sputò l'arciere – Mi sorprende non sentire puzzo di merda.

Kioshi fu sul procinto di esplodere e di rispondere a malo modo, ma lo bloccai pestandogli un piede.

-Basta voi due. Piantatela.

Daryl incrociò le braccia sul petto, non mollando Kioshi con occhi minacciosi. Non gli stava molto simpatico. Ed il ragazzo trattenne l'occhiata maligna. Si stavano sfidando in silenzio, come due bambini capricciosi. Mi sedetti ad indiana, aspettando che uno dei due ponesse termine alla competizione insensata. Ma qualcosa mi diceva che sarebbero andati per le lunghe.

-Ti prego Kioshi, non abbassarti al suo livello.

-Al mio livello? – ripetè Daryl.

Kioshi ci squadrò, prima di mettersi a ridere. Era parecchio lunatico il dottorino.

-Vi lascio a bisticciare, piccioncini. – disse, ormai lontano.

L'arciere sembrò volergli andare dietro e trattarlo da cane come suo solito, ma essendo chiusi in uno spazio stretto, non volle dare spettacolo. Quindi si sedette, lasciandosi cadere con fare da duro. Sorrisi, ma fortunatamente il buio lo nascose. Ci trovammo nuovamente spalla contro spalla, adagiati ad una parete affatto confortevole. Mi ricordò il garage, il gruppo di Joe. Adesso stavamo affrontando un altro pericolo. Cambiavano i dettagli, ma non la solfa.

-Ce la faremo? – chiesi, osservando gli altri darsi da fare con le armi rurali.

Daryl annuì, non aggiungendo altro. Non che mi aspettassi chissà quali paroloni da lui. Non era bravo a confortare le persone e questo lo avevo capito bene, a mie spese anche. Gli era più facile trattare di merda, col fine di esser schietto ed aiutarti ad apprendere la realtà dei fatti, sebbene a volte ci prendesse troppo la mano. Sputare sentenze sugli altri, era un atto liberatorio per egli. Ciò gli permetteva di gridare, di far lo stronzo, e di gettare tutto l'accumulo di stress su qualcun altro. Ultimamente però aveva fatto qualche passo indietro, da dopo la bevuta era tornato quello di una volta. Più bastardo che gentile. Ma ci avevo fatto l'abitudine ormai. Poi, come se il cervello avesse ingranato un pensiero, parlò in un sussurro.

-Noi ci siamo.. voglio dire, noi siamo sopravvissuti. In un modo o nell'altro, ce l'abbiamo sempre fatta. Non so se perché siamo cazzuti o perché abbiamo un dannato santino che ci para il culo ogni fottuta volta. Ma alla fine riusciamo sempre a venirne fuori. Non so quanto durerà questa storia, ma per ora, ci siamo ancora.

Drake? Fu come ricevere una pugnalata. Non potevo crederci. Daryl non poteva averlo detto.

Noi ci siamo ancora.
 

Angolo autrice

Buona sera lettori, eccomi tornata con un aggiornamento fresco di giornata. Prima di tutto, voglio ringraziarvi per continuare a seguire la storia e sopratutto per darmi molti consigli utili. Mi fa piacere vedere che ve ne interessate di cuore, anche per messaggi privati. Mi rallegrate le giornate. Mi è dispiaciuto constatare di aver dato l'impressione di aver lasciato la figura di Kendra in disparte, mettendola allo stesso pari di tutti. La mia idea era di lasciare un po' spazio anche agli altri personaggi della serie, pensando di aver incentrato troppo su di lei, ma a quanto pare mi sbagliavo! Ad ogni modo, ora siamo giunti ai capitoli cruciali del finale della quarta stagione e delle prime puntate della quinta, ci sarà da divertirsi dunque. Non aspettatevi grandi cose, ho cercato comunque di restare realista, pur modificando alcuni particolari u.u Maa non voglio dare anticipazioni al riguardo, quindi buona lettura miei cari e fatevi sentire nelle recensioni :D


 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 : Non si torna indietro ***


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Capitolo 23 : Non si torna indietro


Il sole scaldava terribilmente la gabbia di lamiera in cui eravamo rinchiusi, facendoci cuocere lentamente. Sebbene avessi ancora qualche linea di febbre, avvertivo comunque l'aria rarefatta e sempre più afosa. Alternavo brividi a gocce di sudore sulla fronte, costringendomi a scoprirmi e a ricoprirmi ogni poco. Sembravo non aver pace. Abraham stava raccontando al gruppo la loro storia, la loro missione. Washington, una speranza.  A dirla tutta mi pareva una cazzata, il piano era troppo semplice. Probabilmente non ero dell'umore adatto per credere a quella notizia, ma mi sembrava troppo facile come soluzione definitiva all'epidemia. Oltretutto, Eugene non mi dava molta affabilità. Non saprei dire se fosse per il suo modo di essere, di parlare, di muoversi o se fosse per la faccia affatto furba. Era un tipo, beh, diciamo particolare. Ma come diceva Rosita, i geni sono i più strambi, e in un certo senso aveva una logica.

-Sei troppo sicuro di te. – osservai – Qualcosa non mi convince.

Lo scienziato mi guardò stranito, non sapendo come ribattere su due piedi. Un'espressione tonta.

-Credi che rischierei la mia vita per una missione insensata? – brontolò il rosso.

-Dico solo che non ci state dicendo tutto. In cosa consiste la soluzione?

I tre si guardarono, prima di tornare a scrutare noi.

-E' top secret. – sentenziò Eugene.

Sorrisi incredula. Non potevano sbatterci in faccia una possibilità e poi non fornirci maggiori dettagli.

-Balle! – sputò Daryl.

Abraham sembrò adirarsi, ma Rosita lo trattenne per un braccio. Capii che era un tipo rabbioso, parecchio suscettibile ed incline all'ira. Avremmo dovuto prestare attenzione.

-Non è affatto necessario che lui vi sveli la missione. Più cose vengono dette e più domande sono poste. La questione è semplice, verrete o no a Washington? – dichiarò il sergente.

Rosita cercò di sfidarmi con lo sguardo, sperando che la mia curiosità mi spingesse a volerli affiancare. Lo sceriffo, nel mentre stava separando un pezzo affilato di legno da una trave con una catenella. Piegò la testa, azione che significava una riflessione spinosa e affatto superficiale. In quanto capo, la sua decisione avrebbe influenzato le sorti del gruppo. Ma la questione venne rimandata, quando udimmo alcuni uomini di Terminus avvicinarsi al vagone. Ci affrettammo ad armarci e a prendere posizione. L'adrenalina era alla stelle, compresa un'ansia incalcolabile, almeno per la sottoscritta. Daryl scrutò l'esterno da una fessura.

-Bene. – parlò – Stanno venendo qui quattro bastardi.

-Sapete cosa fare. – ricordò lo sceriffo – Puntate prima agli occhi, poi alla gola.

Per una manciata di secondi, trattenni il fiato, come per prendere coraggio. Aspettavo di veder scorrere il portellone, di essere abbagliata dalla luce del giorno, ma quello che si aprì, non fu la nostra tanto cara e desiderata porta principale, ma uno sportellino sopra le nostre teste. Una granata lacrimogena cadde ai nostri piedi. Subito, ci lanciammo agli estremi della carrozza, ma questo non bastò ad evitarla. Iniziai a tossire come una dannata e così gli altri. Affondai il volto nel lembo della canottiera, cercando di limitare la respirazione di quel gas. Era comunque troppo tardi, gli occhi mi bruciavano mostruosamente. Il fumo bianco si estese fitto come un banco di nebbia, rendendo impossibile la vista. Il portellone fu aperto di colpo e qualcuno mi aggrappò. Tentai inutilmente di divincolarmi, ma fui gettata a terra con rabbia, ed una seconda persona mi legò mani e piedi con delle fascette. Inoltre fui imbavagliata. Recuperai pian piano il campo visivo. Vedevo il pavimento muoversi sotto di me ed un rumore simile ad una sega elettrica mi riempì le orecchie. Non prometteva bene. Quando mi alzarono la testa e fui adagiata ad una vasca, simile ad una mangiatoia d'acciaio, potetti finalmente notare chi avevo al mio fianco. Ero l'ultima della fila. Accanto vi era Rick, seguito da Daryl e Glenn, e poi da altre persone a me sconosciute, altre persone dal destino comune. La testa mi girava vorticosamente, tutto quel trambusto non aveva giovato al mio stato influenzale, ma mi concentrai per rimanere lucida. Dovevo avere la situazione sottocontrollo, non potevo permettermi di tralasciare qualche particolare, qualche via d'uscita. Nell'angolo dell'edificio, due uomini vestiti da macellaio, adoperati quindi di un grembiule plastificato, stavano smembrato un corpo. Distolsi immediatamente lo sguardo. Non appena gli addetti al nostro trasporto si furono congedati, i due carnefici si adoperarono rispettivamente di una mazza da baseball e un coltellaccio.

-Iniziamo. – disse uno.

Si posizionarono in cima alla mangiatoia, alle spalle delle vittime. Il primo colpì alla nuca il malcapitato ed il secondo lo sgozzò con un taglio preciso. Il sangue sfociò copioso nella vasca, quasi fosse una sorgente. Avevano intenzione di sgozzarci come maiali. Ma che senso poteva avere? Guardai nuovamente il corpo ben diviso in parti su quel lettino da obitorio. Ed allora compresi, non ci stavano dissanguando come maiali, noi eravamo maiali. Noi eravamo la carne da macello, noi eravamo il loro cibo. Lo stesso cibo che il giorno prima ci avevano offerto. Un conato di vomito mi salì in gola, ma fortunatamente riuscii a trattenerlo. Altrimenti sarei soffocata nel mio stesso rigurgito, avendo la bocca occlusa dallo straccio. L'azione continuò ed altre tre persone furono uccise. Il prossimo era Glenn. Non c'era tempo da perdere, dovevamo pensare a qualcosa. Interrogai Rick con lo sguardo ed egli puntò gli occhi sulle sue gambe. Controllai in basso e vidi che stava cercando di estrarre qualcosa dagli stivali. Ottimo. Avrei improvvisato, qualcosa per distrarre l'attenzione. Non dovevano accorgersi di Rick.

-Ehi ragazzi. – chiamò Gareth, entrando in scena all'improvviso – Quanti proiettili avete usato?

-Trentotto. – rispose secco il battitore.

Ed il bastardo segnò l'annotazione su un quadernino.

-E tu quanti? – chiese allo sgozzino.

Questo titubò un poco, prima di rispondere.

-Merda amico, mi dispiace. Era la mia prima ronda.

Gareth storse la bocca.

-Finito qui, torna alla tua postazione e conta i bossoli.

Il capo fece qualche passo avanti, avvicinandosi. Dovevo distrarlo a tutti i costi. Iniziai a mugolare, chiedendo di essere ascoltata. Daryl tentò di rimproverarmi con gli occhi.

-Quattro dalla A e quattro dalla B? – domandò Gareth, ignorandomi.

Dopo la risposta positiva, insistetti, finchè egli non mi liberò le labbra, ormai scocciato.

-Che c'è? – domandò passivo.

-Non fatelo. – suggerii, dicendo le prime cose che mi venivano in mente – Possiamo rimediare.

-No. Non potete.

Pensai ad Abraham, ad Eugene.

-C'è una soluzione. – dichiarai – Possiamo porre fine a tutto questo. L'intera epidemia debellata. Se ci lasci andare, andremo a Washington. Abbiamo uno scienziato nel nostro gruppo, sa come risolvere tutto questa merda. Tutto tornerà come prima.

Ridacchiò, mostrandomi un sorrisino amaro.

-Non si torna indietro. – rispose.

Posizionò nuovamente lo straccio sulla mia bocca, ma sciolse quello dello sceriffo.

-Siete entrati nel bosco con un borsone e ne siete usciti senza. – chiarì Gareth – Cosa c'è dentro?

Rick non rispose, limitandosi a fissarlo con odio e disprezzo. Il bastardo non fece questioni, estrasse un pugnale e lo avvicinò al mio occhio.

-Armi. – non esitò – Una magnum, Ak – 47 , armi semiautomatiche, arco di precisione.. ed un machete dall'impugnatura rossa. Quello che userò per ucciderti.

Gareth scosse la testa, quasi per farci intendere quanto fossimo ingenui. Era sicuro che saremmo morti, che non avremmo potuto liberarci, eppure il destino parve essere per una seconda volta dalla nostra parte. Il pavimento vibrò. Alcuni spari echeggiarono in lontananza. Il capo abbandonò immediatamente il mattatoio ed uscì in strada. Un'esplosione. Qualcuno stava attaccando il rifugio. Era la nostra occasione. I due macellai corsero ad osservare dalle finestre cosa stesse avvenendo. Scorsi del denso fumo nero scorrere nell'aria. Rick si mosse lentamente, acquattandosi alle loro spalle. Pugnalò il primo ad un ginocchio, obbligandolo a cadere all'indietro. Così gli trafisse il cranio. Prima che il secondo sparasse allo sceriffo, Glenn aveva già impugnato l'arma della vittima, e colpì lo stronzo con la mazza. Un colpo preciso, tanto da lasciarlo steso a terra esamine. Gli spari aumentarono. Rick prese il coltellaccio e ci liberò dalle fasce.

-Cosa cazzo fanno in questo dannato posto? – domandò Daryl inorridito.

Glenn cercò di calmarsi, avendo sfiorato la morte, e borbottò qualcosa indicando il cadavere smembrato.

-Quell'uomo a pezzi.. prima dissanguano, poi smembrano .. ma non ha senso, non possono usarli per cibare i vaganti.. non credo che piacciamo senza sangue. – poi si voltò a guardarci, sbiancando in volto, come se avesse compreso l'orrida realtà.

Mi avvicinai al tavolo operatorio e ne rubai un'accetta.

-Le vittime non sono cibo per i putrefatti, ma sono le loro scorte. Noi siamo il cibo. Non attirano i sopravvissuti per derubarli, ma per avere la dispensa piena. – illustrai con una certa freddezza.

Rick si guardò intorno, quasi non volesse credere a quel dato di fatto, e si avvicinò ad una porta. Uscimmo dalla stanza ed attraversammo altri locali, adibiti proprio a quello che avevo intuito. Delle carcasse erano appese ad alcune catene, come carne da macello messa ad essiccare. Glenn continuava a non volerci credere. Era impensabile immaginare un luogo del genere. Come potevano essersi ridotti a tanto? Si cibavano di persone, semplici persone, alleandosi in questo modo coi putridi. Non vi era alcuna differenza. Si erano trasformati in cannibali.

-Non è possibile.. tutte queste carcasse.. cazzo. – commentò Daryl.

Rick osservò tutto quell'ammasso di carne, assumendo un'espressione da folle. Il suo corpo fremeva dalla voglia di compiere una strage, di vendicare tutte quelle persone. Non avrebbe mai permesso che qualcuno di loro sopravvivesse. Delle grida risuonarono nella strada. Dovevamo sbrigarci, liberare i nostri compagni e fuggire seduta stante. Una volta fuori dall'edificio, ci sporgemmo per osservare il caos che si presentò ai nostri occhi. L'aria era calda, pregna di fumo, tanto che mi irritava la gola. Delle altissime fiamme si liberavano in cielo ed un'orda di vaganti aveva invaso Terminus. I cannibali si erano sparsi per il rifugio, armati fino ai denti, sperando di contenere l'intero attacco. Una cisterna  di gas era esplosa, frantumando completamente la recinzione principale. Qualcuno li stava sabotando. Non appena un uomo apparve di fronte a noi, Daryl gli assestò un pugno nel muso, prima che questo potesse reagire. Lo sceriffo e l'arciere si armarono di un AK – 47 e di una pistola. Ci muovemmo a quadrato, posizionandoci ai vertici. In testa vi erano Rick e Daryl, equipaggiati da armi da fuoco, pronti ad abbattere qualsiasi cannibale, mentre io e Glenn sfoltivamo gli zombie che arrancavano nella nostra direzione. Alcuni di questi, nonostante fossero carbonizzati, continuavano ad avanzare affamati.

-Questi bastardi non mollano mai! – esclamò l'asiatico, spaccando il cranio ad uno.

L'accetta era pesante, ma riuscivo comunque a brandirla, decapitando facilmente quelle membra molli e marce.

-Laggiù. – gridai – Il nostro vagone.

-Muoviamoci, prima che i vaganti ci possano sopraffare! – consigliò lo sceriffo.

Corremmo al portellone ed io spaccai il grosso lucchetto. Il gruppo si scaraventò fuori, confuso ed allarmato allo stesso tempo.

-Che finimondo è questo? – osservò il rosso, notando la pila di cadaveri lungo le strade – Siete stati voi?

Michonne partì subito in quarta, evitando di chiedere cosa stesse avvenendo, e si occupò di alcuni vaganti, utilizzando la fodera della sua amata katana.

-No. – riposi secca – Non c'è tempo per le spiegazioni, dobbiamo andarcene.

-Frugate fra quei corpi ed armatevi. – ordinò Rick.

Kioshi mi guardava impaurito, ma non se lo fece ripetere due volte.

-Da che parte andiamo? – domandò Rosita, spostando un cadavere.

-Dobbiamo raggiungere l'entrata secondaria, così recuperiamo il borsone che abbiamo nascosto. Ci servono quelle armi. – risposi, scavalcando inconsciamente il ruolo di Rick.

Mi voltai infatti per notare se si fosse indispettito, ma egli parve d'accordo.

-Buona idea. – confermò – Stiamo compatti e muoviamoci velocemente.

Abraham annuì ed avanzammo vicini come una vera squadra. Maggie teneva la mano all'amato, impugnando con l'altra un coltello seghettato. Eugene seguiva il rosso quasi fosse la sua ombra. Essendo egli, colui che rappresentava la speranza, optammo per inserirlo in mezzo al gruppo. Nessuno avrebbe permesso che si ferisse. Diventammo i suoi scudi umani.

-Puntate alle gambe! – esclamò Daryl.

Chi era riuscito ad avere fra le mani delle armi da fuoco, eseguì all'istante quel suggerimento, non obiettando una virgola. Rick e l'arciere avevano pensato di utilizzare i cannibali come esche, facendo in modo che i vaganti si gettassero su quelle prede urlanti che si dimenavano dal dolore. Vederli divorare ancora in vita, mi turbava alquanto. Sebbene sapessi che si meritavano questa fine, quelle ruvide grida mi straziavano. Ciò non sfiorava minimamente Rick, il quale sembrava essere completamente a suo agio, appagato. Quando si trattava della sua famiglia, di porre vendetta, non aveva limiti. Correndo, passammo vicini ad alcuni edifici, riparandoci dai cecchini sui tetti. D'un tratto  notai una struttura in mattoni rossi con una saracinesca aperta. Quando la superammo, per una frazione di secondi potetti sbirciare al suo interno. Zaini, borse, indumenti, oggettistica varia. Quell'ammasso di cose apparentemente inutili, non erano altro che le lapidi del bestiame, delle vite perdute per pura cattiveria. Continuai a seguire il gruppo, ma ogni tanto guardavo indietro per capire quanto ci stessimo allontanando da quel magazzino. Era probabile, anzi, ero sicura che lì si trovassero anche i nostri affetti. Indi per cui, anche il mio zaino, le mie armi, e soprattutto il taccuino di Drake. Non potevo abbandonarlo lì, non potevo lasciare che questo si trasformasse in cenere. Rallentai, spingendomi alla coda del gruppo. Kioshi capì che avevo qualcosa in mente, forse a causa di un'espressione incerta ma determinata.

-Cosa vuoi fare? – chiese con affanno.

Lo guardai, invitandolo a non protestare.

-Devo tornare indietro. – parlai – Vi raggiungo dopo, non aspettatemi.

Prima che potessi alzare i tacchi, mi strattonò per la canotta.

-Sei matta? Non stai neppure bene.

-E' importante. Devo prendere una cosa – sentenziai - Non dire niente a loro, ma solo che mi hai persa di vista.

Detto questo, me ne separai. I putrefatti avevano occupato il viale da cui eravamo passati, quindi mi infilai in una traversa stretta. Da poco distante, scorsi il traguardo, ma quand'ecco che pensavo di esser ormai giunta, qualcosa mi colpì la spalla sinistra. Mi gettai immediatamente a terra, riparandomi dietro una pila di bancali di legno. Poggiai la mano sulla ferita, osservandone il sangue fuoriuscire con ingordigia. Bruciava da fare schifo, come al solito. Non ci si abituava mai al dolore dei bossoli. Mi sporsi per capire chi mi avesse sparato e notai Gareth sdraiato su un tetto, abbracciato ad un fucile di precisione. Fortuna che non aveva una buona mira. Vicino a me si trovava un cadavere mezzo morsicato, completamente pregno di linfa rossa. Fui costretta ad allungarmi un poco e a trascinarlo velocemente a me, prima che Gareth potesse far fuoco nuovamente.  Recuperai un M16 da sotto quello che restava del suo ventre. Non era un bottino molto adatto, essendo un fucile d'assalto garantiva fuoco di supporto fino ad una distanza di circa trecento metri, quindi sarebbe risultato poco preciso, ma sarebbe comunque bastato per distrarlo. Il mio piano era quello di scaricargli contro una bella raffica, costringendolo a ripararsi, e nel mentre spostarmi sull'altro lato della strada per raggiungere il mio obiettivo. Non appena premetti il grilletto, Gareth nascose quella sua testa di cazzo, ed io potetti correre al magazzino.

Come se non bastasse, quando ormai ero a pochi metri di distanza, vidi una granata scivolare ai miei piedi. D'istinto la calciai, senza badare a dove lanciassi quell'ordigno, e questo esplose violentemente, scaraventandomi al suolo. La terra tremò e delle impalcature del locale accanto caddero con voracità al suolo, ricoprendomi in parte. Dal rumore che avvertì, ma soprattutto, dalla terribile fitta che percepii, compresi che qualcosa mi aveva trafitto la gamba. Mi liberai da quell'ammasso di ferraglia, graffiandomi le braccia, e scrutai una grossa fetta di lamina conficcata nella carne della mia coscia destra. Sanguinavo, sanguinavo molto. Il dolore era così forte che il bruciore alla spalla scomparve. Riuscivo a percepire solo quella terribile fitta, quell'indescrivibile strazio. Indossando i jeans scuri, non capii subito se mi fossi lacerata un'arteria. Controllai allora l'asfalto, notando una pozza che si stava estendendo lentamente. Rosso scuro, quasi pece. Tirai, in un certo senso, un sospiro di sollievo. Si trattava di sangue venoso, quindi non ero in pericolo di un'emorragia grave, ma restava il fatto che la ferita fosse alquanto brutta. Provai a muovere la gamba, ma non appena l'alzai leggermente, un'ondata di dolore m'invase. Nessun tendine strappato, potevo ancora camminare. Finita la diagnosi, afferrai con entrambe le mani quel pezzo di lamiera, provando ad estrarlo. Ma ne uscii con un lamento atroce. Ero stordita, ferita, e fisicamente a pezzi. La febbre mi causava un giramento di testa continuo e l'esplosione mi aveva messa ancor di più in uno stato confusionale. Le orecchie mi fischiavano e di conseguenza i suoni mi giungevano ovattati, come se fossi immersa in acqua. Ero immobilizzata. Dovevo ad ogni costo separarmi da quell'affare. Tentai di nuovo nell'impresa, riuscendo a sollevarlo di qualche centimetro, ma nuovamente fui costretta a mollare la presa, digrignando i denti. Soffocai le grida. Il sangue continuava a scorrere indisturbato e mi resi conto di sentirmi sempre più fiacca. Quando mi accorsi di svenire, qualcuno mi afferrò alle spalle, prendendomi da sotto le braccia e trascinandomi all'indietro in qualche struttura. La vista si fece confusa, caratterizzata da qualche alone nero. L'ultima cosa che vidi fu la striscia di sangue che stavo lasciando e dei mattoni rossi. 
Il magazzino.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 : Niente è come sembra, perché niente è reale ***


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Angolo autrice

Buona sera miei cari, eccomi qui per fornirvi l'aggiornamento. Ho fatto a cazzotti coi libri per poter pubblicare questo capitolo, sappiate che non vi ho abbandonati. Anche quando non posso stare al pc, scrivo comunque qualcosa, ho una marea di fogli sparsi in un quaderno. Un caos da riordinare, e giusto per informarvi, sono già al 28 ahahah dovrete però pazientare, spero di metterli su word al più presto. Detto questo, vi abbraccio tutti, anzi vi stritolo. Vi ringrazio per i commenti e le belle parole, mi fa piacere notare che mi seguiate nonostante la lentezza di un bradipo nel pubblicare ahah Diciamo che adesso la storia si infittisce, ne vedremo delle belle da qui in avanti, ma non posso spoilerarvi niente u.u  Quindi, buona lettura! Ci sentiamo nelle recensioni, un bacio :D


Capitolo 24 : Niente è come sembra, perchè niente è reale


Un fischio seccante mi lacerava la testa, obbligandomi a stringere con forza gli occhi. Qualcuno mi adagiò alla parete ed una voce rimbombò fra le mie orecchie, pur restando distante. Non riuscivo a concentrarmi sulle parole. I miei pugni si chiusero all'improvviso, uno spasmo involontario. L'estraneo doveva aver toccato la ferita. Mi parve di sentire il mio nome, voleva che restassi cosciente. Non dovevo perdere i sensi, non in quella situazione poi. Provai lentamente ad aprire le palpebre, ma tutto era sfumato, opaco. Vidi delle mani sottili e sporche di melma tastarmi la gamba ferita. Legò stretto uno straccio sopra la lesione, rallentando così l'afflusso di sangue. Mi stava aiutando, non era un nemico. Le dita lunghe, ma minute. Una donna.

-Kendra! Andiamo su. – incitò – Resta sveglia. Mi senti?

Posò le sue mani sul mio volto, alzandolo in modo che potessi vedere il suo. Vidi una macchia marrone. La sua faccia era ricoperta di fango e sangue, sangue marcio. Cercai di focalizzarmi sui lineamenti, per quanto difficile mi risultasse. Scorsi l'azzurro degli occhi, gli zigomi pronunciati ed i capelli corti.

-Devo estrarti quella ferraglia. – mi informò – Non provare a svenire.

Carol. Carol si stava prendendo cura di me. Carol mi aveva portato proprio nel magazzino che volevo raggiungere. Notai intorno tutti gli oggetti vari delle vittime passate purtroppo per questo falso centro di rifugio. La vista si fece chiara e finalmente potetti osservare l'intera scena con lucidità. Afferrò la lamina con entrambe le mani, guardandomi con fare determinato.

-Al tre. – disse.

Storsi la bocca, sapendo quello che mi aspettava.

-Lo toglierai al due. – osservai.

Fu felice di vedermi pienamente cosciente e decise di approfittarne.

-Beh, tanto vale farlo subito! – esclamò, strappando via quel materiale dalla mia carne, prima che potessi dire qualcosa o rendermene conto.

La fitta di dolore che mi travolse fu terribile, ma non urlai. Strinsi la coscia fra le mie dita, come se questo mi aiutasse ad attenuare quel bruciore.

-Non è grave, ma poco ci manca. – semi rassicurò Carol – Ha lacerato il muscolo. Credo che finirai con lo zoppicare per mesi.

Per evitare ciò mi sarebbe servito un bravo chirurgo, ma il nostro gruppo non ne era fornito. Pace, ci avrei fatto l'abitudine. La ringraziai con gli occhi e lei annuì, porgendomi un braccio. L'afferrai con forza e mi ritrovai in piedi, poggiando tutto il peso sulla gamba sana. Notai allora il vestiario della donna, completamente protetto da una specie di mantellina zozza di quella sbobba, come il volto. Si era intrufolata a Terminus sfruttando l'orda dei putrefatti.

-Sei stata tu? – domandai.

Mi sorrise, affermando la mia ipotesi.

-Sei febbricitante. – tornò seria – E pallida. Hai perso molto sangue. Non sono sicura che riuscirai a raggiungere il bosco.

La sua oggettività fu un colpo basso, non era brava a dare false speranze. Preferiva essere schietta. Deglutii, percependo effettivamente la mia totale debolezza. La forza d'animo però era molta, non avrei mollato.

-Non preoccuparti. Ti starò al culo più di quanto tu possa immaginare.

Zoppicai fino al tavolo, mascherando il dolore di ogni singolo passo. Presi il mio zaino e lo riempii di scatole di munizioni, non facendo insospettire Carol. Vi misi anche due pistole, oltre al mio arsenale. Sulla spalla di lei vidi la balestra di Daryl. Quel bastardo era proprio fortunato, in un modo o nell'altro, gli tornava sempre. Mi affacciai alla finestra, squadrando il caos all'esterno.

-Hai un piano? – chiesi.

Caricò l'arma, un fucile semi automatico.

-Usciamo dal retro e ci lanciamo in quella specie di piazza. I cecchini sono tutti occupati sull'altro lato. Preoccupiamoci di quelli a terra. Ce ne sono parecchi, ma non dovremmo avere problemi.

Ero d'accordo, lo spiazzo era l'unica strada che ci permettesse di raggiungere gli altri. Fra putridi e cannibali, c'era da divertirsi. Spalancammo la porta e ci gettammo nell'area, sebbene il dolore fosse sempre più forte. Ci acquattammo dietro un muretto. L'idea iniziale aveva già preso un'altra piega. Era impossibile attraversare la zona senza del fuoco di copertura. Avremmo dovuto separarci e coprirci le spalle a vicenda. Scrutai il posto. Una di noi poteva facilmente raggiungere l'uscita secondaria, mentre l'altra avrebbe svoltato in un vicolo e sarebbe stata costretta a scavalcare la recinzione. Data la gamba, non potevo essere la prima. Questa avrebbe dovuto scattare velocemente e chiudere le porte, attirando l'ammasso di putridi per permettere alla seconda di attraversare quasi indisturbata la zona. Se ci avessi provato, i vaganti mi avrebbero sommerso all'istante. Lei, al contrario, era in ottima forma.

-Dobbiamo dividerci. – constatai a voce alta – Raggiungi i cancelli e sfoltiscimi l'orda, io penserò a coprirti ed una volta che sarai al di là della recinzione, troverò un'altra uscita. Passerò per quel vicolo.

Ella squadrò lo spiazzo, focalizzando la possibile scena. Sapeva bene che non c'erano altre soluzioni. Una di noi aveva la salvezza certa. E toccava a lei. Dopotutto, se il gruppo era salvo, il merito era soltanto suo.

-Appena avrò chiuso i cancelli, ti libero la strada col cecchino. Ma quando avrai imboccato il vicolo, non potrò più supportarti.

-Lo so. – risposi – Pensa a riunirti con gli altri. Saranno felici di sapere che sei ancora viva.

Detto ciò, mi sporsi e feci fuoco, abbattendo i primi putridi. Miravo alla testa, sperando di non sprecare munizioni. Un colpo e un morto. Carol mi guardò con disapprovazione. Avevo subito iniziato a sparare, evitando così che ella potesse contro ribattere o formulare una seconda proposta. Poi si fece scura in volto. Pensava che sarei morta lì, ne era certa.

-Ci vediamo fuori. – finse positività, prima di lanciarsi.

Sparai a quei bastardi, spappolando le loro cervella, e Carol si mosse agile fra quei mostri risorti. Appena chiuse il cancello, la folla di putridi, come previsto, si ammassò su quello, spingendo affamati. Dopo un'occhiata veloce fra noi due, partii in una corsa poco fluida, strascicata direi. Udii degli spari alle mie spalle. Imboccai il vicolo, fortunatamente vuoto, e ne attraversai altri. Mi parve di esser tornata al giorno precedente, quando Gareth e i suoi ci avevano direzionato al vagone. Finiti gli edifici, mi trovai dinanzi ad un altro enorme spiazzo, anch'esso decorato da cadaveri che si trascinavano a caso. Mi nascosi dietro dei vagoni e perlustrai la recinzione in cerca di qualche cedimento. Mi resi conto di star perdendo sensibilità alle mani. Sintomo di pressione bassa. Dovevo uscire al più presto, il mio corpo stava cedendo. Notai uno strappo nella maglia d'acciaio e lo allargai con fatica. Pur di scappare, mi strappai parte della canotta inferiore. Caddi nell'erba, fra la terra umida, sporcandomi. Ma mi aggrappai ad un albero e presi a correre. Zoppicavo come una matta, inoltrandomi sempre più nella radura. Volevo esser il più lontana possibile. Quel posto era l'inferno, non avrei rischiato di esser catturata una seconda volta. Poco importava se poi sarei stramazzata a terra o se avessi perso i sensi, mi premeva maggiormente mettermi in salvo. Arrancai fra quei tronchi, cercando di visualizzare quanto fossi distante dall'uscita secondaria. Abbastanza, in realtà. Voltandomi notai lo stesso scorcio di quando avevamo nascosto il borsone. Bene, pensai, avrei saputo orientarmi. Ma quando mi apprestai a raggiungere gli altri, fui spinta all'indietro. Qualcuno mi aveva afferrato violentemente per lo zaino.

-Per quale cazzo e stupido motivo sei tornata indietro? Ci provi gusto a tentare il suicidio? – abbaiò Daryl, senza mollare la presa.

Cercai di divincolarmi ed egli mi strappò via lo zaino. Ridacchiò incazzato, guardando l'oggetto di pelle.

-E' per questo? – domandò irato – Eh? Rispondimi dannazione!

-Non mi aspetto che tu capisca.

Aprì lo zaino e rovesciò il contenuto a terra nel fango. I primi a cadere furono il mio equipaggiamento e le altri armi, compresi poi le munizioni ed il taccuino. Si mise a frugare fra questi, scuotendo la testa. Sapeva bene che non potevo esser tornata indietro per delle stupide scatole di proiettili, ci doveva esser altro.

-Sei una stupida, cazzo. Sono stanco di vederti distruggere con le tue stesse mani. – gridò, rovistando.

-Al diavolo Daryl! Sto bene, lasciami in pace.

Afferrò il taccuino.

-Guardati! – sputò rabbioso – Come puoi credere a quello che dici?

Sfogliò in fretta le pagine imbrattandole, non capendo cosa potesse significare quel banale oggetto.

-Cos'è questo? – continuò più incazzato di prima – Sei tornata indietro per uno stupido pezzo di carta? Vuoi morire? E' questo quello che vuoi? Perché non ha un cazzo di senso.

Arrivò alle ultime pagine, notando il diverso tipo d'inchiostro. Aprii bocca allora, sperando di evitare che leggesse.

-Parli come se ti importasse! – brontolai.

-Mi importa! – ringhiò.

Lo guardai spaesata. Non mi stava facendo una semplice ramanzina, per quanto giusta potesse essere, ma stava mostrando la sua preoccupazione. Daryl, lo aveva ammesso. Gli era sfuggito, l'ira lo aveva fatto parlare. Abbassai la testa, sconfortata. Avevo rischiato ad agire così, ma quello era l'ultimo ricordo concreto di Drake che mi restava.

-La prossima volta che tenti il suicidio, fammi un fischio. Almeno evito rotture di coglioni.

-Non ho affatto bisogno del tuo aiuto, delle tue premure. Se ti faccio imbestialire, evitami e basta. Urlarmi in faccia non cambia la situazione. Ed ora restituisci le mie cose.

Si avvicinò nervoso, facendomi arretrare fino a scontrarmi contro un albero.

-Non fare l'eroina. – digrignò i denti – Se te la sei cavata finora è perché hai sempre avuto qualcuno alle spalle. Saresti morta da un pezzo, altrimenti.

Mi schiaffò il taccuino sul petto, odiandomi con lo sguardo.

-E non mi frega un cazzo se ti scopavi qualcuno che adesso è morto. Non fare stupidaggini, anche se può esser difficile per la tua testolina.

Lo spinsi via, allontanando quella sua brutta faccia dalla mia. Caddi in ginocchio, piegandomi sullo zaino. Raccolsi tutto e lo gettai al suo interno, compreso il quadernino.

-Sta zitto. – ordinai – Chiudi quella cazzo di fogna. Non sai un bel niente.

-Quella che deve star zitta sei tu! Non credo che tu abbia ben compreso la situazione, mocciosa.

Mi voltai inviperita. Ero stanca di sentirlo. Perché diavolo era venuto lui a recuperare il borsone?

-Non sono una mocciosa, smettila di chiamarmi così. Ne abbiamo già discusso. Che ti piaccia o no, so badare a me stessa.

Mi tirò su di peso, stringendomi per un braccio.

-Ah davvero? – chiese ironico – E dimmi, come la mettiamo con la gamba e la spalla, uh? Se Carol non fosse stata lì..

-Se non fossi tornata indietro, Carol non ne sarebbe uscita illesa.

-Non dire stronzate. Quella donna è molto più cazzuta di te.

La ferita tornò a pulsare. Lo straccio si era allentato.

-Ci godi almeno?

Mi lanciò un'occhiataccia, come se non avesse ben compreso.

-Dimmi, ci godi a trattarmi così o ti viene naturale?

Portò il suo viso vicino al mio, invadendo lo spazio personale. Percepivo il suo respiro alterato, la rabbia, e i suoi occhi cristallini continuavano a fissarmi con odio. Poi sfiorò la mia guancia, pizzicandomi con la barba, per sussurrarmi qualcosa all'orecchio. Mi sentivo leggermente a disagio. Tant'è che arrossii, nonostante avessi poco afflusso di sangue.

-Fottiti. – sibilò.

Mi discostai dal suo faccino soddisfatto. Il moccioso era lui, questo mi era chiaro. Ci godeva. Gli diedi le spalle e zoppicai fra gli alberi, in direzione del gruppo. La vista però tornò a farmi brutti scherzi, come mi aspettavo. Stavo per perdere i sensi, del tutto.

-Qualcosa non va.. – sbiascicai.

-E l'hai capito adesso? La tua testa è bacata da un po'. – obiettò.

-Ho perso troppo sangue. – dissi, guardando la ferita.

Poi svenni, afflosciandomi come un fiore appassito.

 

*
 

Bianco. Bianco immacolato. C'era solo questo. Uno spazio infinito e lucente. Il paradiso? Forse ero morta. Feci qualche passo e nessun rumore si estese in quel luogo. Scrutai il mio corpo e non vi era alcuna ferita. Cercai di ricordare cos'era successo e lentamente la memoria riaffiorò, presentandomi Terminus, la fuga e Daryl. Riuscivo a muovere la gamba. O stavo sognando, oppure ero morta. Non c'erano molte alternative. Se questo era l'aldilà, era alquanto noioso e monocromatico. Avanzavo senza motivo, come sperando di incrociare qualcosa o qualcuno. In lontananza notai un'ombra, un figura. Accelerai il passo, curiosa, e mi trovai di fronte ad un uomo di spalle. Camicia a scacchi, rossa e nera.

-Drake!

Questo si voltò, sorridendomi.

-Kendra, non mollare.

-Vuoi dire che ancora non sono morta? Che posto è questo?

I suoi occhi erano vuoti, come un fantasma.

-Dannazione, perché l'hai fatto?

Non capivo, le sue risposte non erano attinenti alle mie domande.

-Sono tornata indietro per te.

Il pavimento vibrò, cambiando aspetto all'intera atmosfera. Quando ogni cosa si materializzò, compresi di trovarmi nel campo fiorito, lo stesso in cui lo avevo baciato ed egli era morto. Lo stesso in cui avevamo seppellito Hershel ed io ero stata abusata. Lo stesso dannato campo fiorito.

-Sei una stupida. – continuò.

-Finirò col pensarlo anch'io.

Sapevo di non star parlando con Drake, né tantomeno col suo spirito. Forse era un'allucinazione.

-Perché pensi a chi non c'è più? – domandò.

Non risposi, aspettando una sua spiegazione.

-Dovresti pensare alle persone che hai accanto, ai vivi. Preoccuparti per chi hai perso, non ha alcun senso ormai. Non puoi fare più nulla per loro. Quando lo capirai? Quando capirai che non puoi rischiare la vita per questo?

Non capivo, forse stavo ragionando con la mia coscienza. Ero confusa.

-C'è forse modo e modo per rischiare la propria vita? Non credo ci siano giuste o sbagliate cause.

-Mi dispiace.

Mi avvicinai ancora, ma per quanto camminassi non lo raggiungevo mai.

-Ti dispiace per cosa? – chiesi agitata.

Stavo cominciando ad angosciarmi. Era tutto così strano, opprimente.

-Non sono quello di cui hai bisogno.

Cercai di raccogliere un fiore, ma la mia mano lo attraversò, quasi fosse un ologramma.

-Drake, non dire stupidaggini. Che posto è questo?

La sua fronte iniziò a sanguinare.

-Ho sbagliato tutto con te.

Mi diede le spalle.

-Drake, ti prego. Non andartene di nuovo.

Non seguì la mia preghiera, anzi, si allontanò pian piano, facendosi sempre più piccolo alla mia vista.

-Drake! – chiamai – Drake!

Tutto intorno si fece bianco come all'inizio, ma non mi arresi ed iniziai a correre, illudendomi del fatto che stavolta l'avrei raggiunto, che stavolta non l'avrei perso. Per qualche strano motivo, i miei passi divennero effettivi. Stavolta mi era concesso muovermi e lo spazio aveva assunto le regole reali.

-Drake! – urlai, afferrandogli la spalla.

Ma quando questo si voltò, una luce accecante mi invase.
 

*
 

Fu come riemergere dal mare, quando manca l'aria. La luce si attenuò lentamente fino a permettermi di capire dove mi trovassi. Pareti, mobili, un tetto, un letto comodo. Una casa. Un luogo sicuro. Ero viva. Dalla finestra filtrava un bagliore chiaro, tipico del mattino presto. Era passato un giorno da quando ero svenuta? Cercai di sollevarmi, di mettermi almeno a sedere per capire di più. Quando tentai l'azione, il letto cigolò.

-Kendra! – esclamò una voce – Dio, finalmente sei sveglia.

Spuntò nel mio campo visivo la faccia di Kioshi, con un mega sorriso.

-Cosa diavolo è successo?

Aggeggiò con una sacca da flebo e spostando lo sguardo, mi accorsi di essere collegata ad un'altra ormai vuota.

-Sono soluzioni saline. – spiegò, avendo notato il mio volto interrogativo – Per evitare che ti disidratassi. Questa era l'ultima, ma dato che hai ripreso coscienza, possiamo conservarla. Mh, probabilmente ti sentirai un po' confusa. Ho dovuto bombardarti di antidolorifici. Ogni volta che provavo ad aggiustarti la ferita, ti svegliavi dimenandoti come una pazza.

Sbarrai gli occhi, incredula. Non ricordavo nulla.

-Ah, buono a sapersi.

Rise, prendendosi gioco di me.

-E' stato divertente. – aggiunse. – Mh sei in questo stato da due giorni.

Avevo dormito per due giorni, eppure mi sentivo a pezzi.

-Dove ci troviamo?

-E' una chiesa. – rispose in fretta – Un prete ci ha ospitati. Non è granché, ma meglio di niente. Abbiamo già barricato l'esterno. Per ora è sicuro. Mh già, dopo che quella donna ci ha salvati, abbiamo incontrato un uomo, Tyreese. A quanto ho capito è il fratello di Sasha. E aveva una bambina bionda con sé.

Mi sporsi dal letto.

-Judith? La figlia di Rick? – chiesi speranzosa.

Annuì. Sorrisi e mi lasciai cadere nuovamente fra le coperte. Eravamo stati così fortunati. Tutti di nuovo riuniti. Poi, d'improvviso, la mente mi proiettò l'immagine di Beth.

-Che c'è? – domandò Kio.

-Beth! Manca Beth.

-Ah sì, scusa! C'era anche lei. – si massaggiò la nuca imbarazzato – Non mi ricordavo il nome.

Lo guardai apatica. Mi aveva fatto prendere un accidente. Mi sentivo un po' strana, fiacca ed indolenzita. Due giorni sdraiata, era del tutto normale. Provai a sollevare la gamba. Vi riuscii, non avvertivo dolore. Gli antidolorifici erano ancora in circolo. Chissà cos'avrei provato al loro dissolvimento.

-A proposito. – esclamò Kioshi, guardando la gamba – Meglio se ti cambio la fasciatura.

Sollevò il lenzuolo e mi accorsi di essere in mutande. Riaggrappai il lembo della coperta e lo tirai fino al collo.

-Che diavolo ti prende? – domandò con le bende in mano.

-Che ci faccio in mutande? Dove sono i miei pantaloni?

Rise.

-Abbiamo dovuto toglierteli, erano zuppi di fango e sangue. La ferita rischiava d'infettarsi, inoltre era molto più comodo così, per controllarti le bende ecc.

-Abbiamo?! – esclamai, arrossendo.

Si sedette vicino al letto, incredulo della mia reazione.

-Non sei poi così tosta come pensavo. Comunque sì, abbiamo. Daryl mi ha dato una mano.

Scossi la testa, rifiutando quelle parole. Approfittò della mia distrazione, per privarmi nuovamente del lenzuolo. Lo fulminai con lo sguardo.

-Ehi, sono un dottore. Lasciami fare il mio lavoro. Credo che sia solo per questa mia qualità se alla fine il tuo gruppo ha deciso di tenermi.

Lo lasciai fare, dopotutto aveva ragione. Inutile imbarazzarsi adesso, erano due giorni che mi vedeva in mutande. Lo rassicurai, dicendo che a mio avviso non era certo per quel motivo. Non tenevamo una persona perché utile, ma egli non sembrò esserne più di tanto sicuro. Mi raccontò come erano giunti alla chiesa, come avevano conosciuto Padre Gabriel. Glenn, Maggie, Eugene, Rosita ed Abraham erano partiti assieme per Washington. Rimasi interdetta, non mi aspettavo una loro partenza così tempestiva, soprattutto la decisione di Glenn e Maggie di accompagnare i nuovi nella missione. Rick non ne sarà stato felice. Mi medicò velocemente, facendo attenzione. Era bravo, devo ammetterlo.

-Non riesco a immaginare te e Daryl andare d'accordo. – affermai.

Egli fece spallucce.

-A quanto pare, trattandosi di te, si è sforzato.

Alzai gli occhi al cielo.

-Smettila di insinuare una relazione. Non c'è niente fra di noi. Rischi le botte.

Gettò via le vecchie bende.

-Da chi, da te o da lui? – ridacchiò.

-Non fare lo spiritoso. Se non fosse per la gamba, ti avrei già preso a calci in culo.

Si voltò confuso.

-Ti avevo chiesto di non dire niente agli altri, invece hai subito riferito all'arciere che ero tornata indietro per prendere qualcosa.

Abbassò lo sguardo, scusandosi.

-Beh, mi ha minacciato. Sai com'è.

Sì, sapevo com'era. Per questo non inferii contro Kioshi. Ci aveva provato. Mi bastava questo. Ora come ora, poi, m'importava solamente che fossimo tutti uniti come alla prigione. Il destino ci era stato favorevole, una volta tanto. Tornai a pensare a Daryl, alla scenata che mi aveva fatto.

-Quello stronzo.. – pensai ad alta voce.

-Quello stronzo, è stato tutto il tempo vicino a te. E giurerei che ti sussurrava roba.

Mi sedetti, massaggiandomi le tempie. Quello che stava dicendo non aveva senso. Daryl non era quel tipo.

-Poi però, quando hai iniziato a dire 'Drake' , se ne è uscito. – proferì – Non fraintendermi, ma com'è la situazione? Hai un fidanzato e lui è geloso?

Lo fulminai e Kio chiuse la bocca all'istante. La porta si aprì ed entrambi ci voltammo in quella direzione. Parli del diavolo. Daryl rimase fermo all'entrata, come se vedermi sveglia lo avesse sorpreso. Dovevo esser messa proprio male. Chissà quanto sangue avevo perso. Scrutò Kioshi, domandandosi se egli avesse riferito qualcosa. C'era una strana sensazione d'imbarazzo nell'aria. Kio si congedò, lasciandoci soli a mio malincuore. Ma l'arciere non si avvicinò, restando sulla porta.

-Ho sciacquato lo zaino. Era pieno di fango. Le munizioni sono state apprezzate, ci faranno comodo. Carol non aveva idea che tu ti fossi separata dal gruppo. Né Kioshi ha detto agli altri il motivo.

-Cosa vi siete inventati allora?

Guardò fuori dalla finestra.

-Che avevi visto l'armeria.

Non aggiunsi altro, limitandomi a fissarlo con un misto di odio e gratitudine. Non sapevo più come comportarmi con lui, sebbene mi ripetessi che ormai lo conoscevo bene e che era inutile prendersela per le sue sfuriate, per quanto potessero ferirmi.

-Senti. – disse poco dopo – Mi dispiace.

Quelle due parole provocarono in me una serie di flash, scaraventandomi in quella specie di sogno da cui ero emersa. I discorsi di Drake, le frasi disconnesse dalla mie domande. Se quello che Kioshi aveva detto era vero, allora quelle parole non erano altro che quelle che il mio cervello reperiva mentre ero addormentata. In realtà avevo udito Daryl.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 : Acacia ***


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Capitolo 25 : Acacia


Dei cinguettii arricchirono quel luogo immerso nella natura, simulando una realtà calma e del tutto normale, come se l'epidemia fosse stata solo un brutto sogno. Pregavo a volte di svegliarmi nel mio letto, di apprendere che questo fosse solamente frutto di una fervida immaginazione notturna. Si sa, dopotutto, che il tempo assume altre forme nel sonno. Poteva essere un'ipotesi azzardata ed assurda, eppure ogni tanto mi ci cadeva il pensiero. La gamba sembrava essere in buono stato, anche Kioshi mi aveva esposto il problema del muscolo. Ancora però non mi aveva concesso di alzarmi, preferiva che la tenessi al riposo, almeno per un altro giorno. Speravo di riuscire a camminare decentemente in futuro, non mi importava se sforzarla avrebbe ridotto questa possibilità, non potevo permettermi di zoppicare e rallentare il gruppo. Inoltre, era un peso anche per la mia incolumità.

Dopo quelle fantomatiche parole, Daryl se ne era uscito senza aggiungere altro, come se quello fosse stato uno sforzo disumano. Sasha, seppur non la conoscessi ancora, mi aveva portato dei pantaloni larghi di una tuta che avevano trovato in paese. Kioshi mi aveva concesso di indossarli. Mi era poi rimasta accanto, raccontandomi come avesse incontrato Glenn e gli altri nel cammino. Sembrava essere molto grata all'asiatico, a quanto pare l'aveva salvata da una brutta situazione nel bosco. Anch'ella aveva perso la famiglia, ma almeno le era rimasto il fratello. Sapevo bene cosa si provava, quasi tutti ormai lo sapevano. Restavano pochi casi, singole persone ancora baciate dalla fortuna, circondati dai familiari. Rick, ad esempio, aveva ancora con sé i suoi figli. Cosa rara. La ragazza aveva comunque un carattere forte, per quanto quei sorrisi fossero sforzati, ella ci stava provando. Stava andando avanti, e questo contava più di ogni altra cosa. Non si era persa d'animo. Non avevo ancora avuto modo di parlare con Tyreese, l'uomo che aveva aiutato Beth e la piccola per tutti questi giorni. Chissà quale sentimento di gratitudine provasse lo sceriffo nei suoi confronti. Gli altri nuovi membri, invece, erano partiti prima che potessi approfondire la loro conoscenza. Ma il fatto che Maggie e Glenn si fossero fidati, mi dava da pensare che in fondo fossero brave persone. Ero scettica su Eugene, sul loro piano. Preferivo non farmi strane illusioni. Cercai di sgranchirmi un poco, stare su quel letto stava cominciando ad essere irritante. Dal momento in cui mi trovavo sola, mi alzai per avvicinarmi ad uno specchio poggiato sul cassettone della parete di fronte. Zampettai sulla gamba sana, reggendomi ai mobili circostanti. La superficie vitrea era colma di polvere, perciò vi passai la manica della camicetta verde militare. Non appena mi fu possibile specchiarmi, rimasi inorridita dal mio corpo. Spalla fasciata, gamba andata, graffi e lividi sulle braccia. Non facevo in tempo a guarire da una ferita, che subito mi impegnavo per averne altre. Sull'addome erano presenti ancora dei vecchi ematomi. Sembravo un quadro di Pollock. Fortuna che la maggior parte di questi erano facilmente nascondibili. Anche i capelli morivano dal bisogno di essere lavati, ma date le circostanze, nessuno di noi era in vena di criticare i capelli altrui. Ero sicura che puzzassimo alla grande, ma ormai ci avevamo fatto così tanto l'abitudine, da non rendercene conto. La porta si spalancò e prima che potessi voltarmi, capii subito di esser stata beccata proprio dal dottorino, dato che partì una ramanzina lunga e fastidiosa sul benessere ecc. Alzai le mani in cielo, in segna di una tregua, ma egli continuò indicandomi il letto. Rassegnata, lo assecondai, tornando a sedere.

-Certo che vi siete proprio trovati! Non ce n'è uno che non sia un testone in questo gruppo. Mai una volta che qualcuno ascolta. No no, dovete sempre far di testa vostra. – borbottava.

Probabilmente aveva la luna storta.

-Chi ti ha risposto male stavolta? – domandai non guardandolo.

Kioshi si lanciò sull'angolo del letto, sdraiandosi ai piedi di questo con le gambe a penzoloni e le mani fra i capelli pece.

-Tu, tutti, nessuno. – ridacchiò sconfortato – Di là non fanno altro che discutere sul da farsi. Dove andare, con chi andare, partire, restare, aspettare. Credo sia una vostra abitudine, non è vero?

-Ne abbiamo, insomma, ne hanno passate molte. Non vogliono fare altri errori. – spiegai.

Sembrò capire.

-Ho detto a Rick che ti sentivi meglio, voleva parlarti. – mi informò – Lo chiamo?

Acconsentii ed egli abbandonò la stanza. Il gruppo faceva bene a scervellarsi sulle prossime azioni. Terminus era stato un terribile sbaglio. Diventava sempre più difficile restare ottimisti, ogni mossa poteva trasformarsi in una lama a doppio taglio. Ultimamente sembrava impossibile trovare una via di fuga, un luogo a noi adatto. Erano uniti fisicamente, ma divisi sulle scelte. Più teste, meno decisioni comuni. Anche se alla fine Rick avrebbe deciso per tutti. La fiducia non era andata perduta. Lo sceriffo si affacciò, mostrandomi ciò che teneva in braccio. Judith era bella come il sole. Si sedette accanto a me, coccolando quella creaturina. Forse ella riusciva a placargli l'animo.

-Come stai? – domandò, schiarendosi la voce – Kioshi mi ha detto che devi tenere la gamba a riposo ancora per un po'.

Gli occhi azzurri cielo della piccola si focalizzarono sui miei. Erano come quelli di Cassie.

-Sto bene, grazie. Mi piego, ma non mi spezzo. – risposi, facendo l'occhiolino.

Mi fece un mezzo sorriso e corrugò la fronte. Era pensieroso, qualcosa lo turbava.

-Qualcosa non va?

Accarezzò la minuscola mano della piccola.

-Non so cosa fare. – spiegò preoccupato – Non possiamo stare qua, questo è certo. Ma non posso nemmeno chiedere agli altri di buttarci a capofitto nell'ignoto. Ne siamo usciti per miracolo e non posso, non voglio metterli in pericolo di nuovo.

Capivo il suo stato d'animo. Tutto ricadeva sulle sue spalle, stava cominciando a sentirne il peso. Judith strinse il dito al padre.

-Ed ora che l'ho trovata, non voglio perderla. – concluse.

La piccola avrebbe frenato ogni sua decisione avventata. Rick sarebbe diventato più prudente. Meglio, dopotutto.

-Rick, quello che è successo non è colpa tua. Guardala da un altro punto di vista. Terminus ci ha concesso di riunirci. Se non fosse stato per quel mattatoio, a quest'ora stavamo ancora girovagando fra la boscaglia, chiedendoci se gli altri fossero vivi o meno. Siamo stati fortunati, forse hai ragione, è un miracolo. –  L'ipotesi del miracolo poteva essere azzeccata, dato il luogo in cui risedevamo – Ma non devi assolutamente colpevolizzarti. Logorarti così non porta a niente.

Mi guardò senza aggiungere altro, scrutandomi con quei suoi occhi cristallini. Judith non poteva essere di un altro, avevano le stesse iridi. Mi posò una mano sul ginocchio, ringraziandomi senza proferire parola. Quel contatto mi stupì. Solitamente non era affettuoso, ma la presenza di Judith probabilmente lo aveva addolcito.

-Quando ho visto Daryl corrermi incontro con te in braccio, ferita e sanguinate, ho temuto per il peggio. Kioshi è stato un altro miracolo.

Abbassai lo sguardo, fissando la sua mano rovinata dalla sopravvivenza forzata.

-Quella dell'armeria è una balla. Non voglio sapere, né mi importa il motivo per cui sei tornata indietro. Mi basta che tu prometta di non fare più una stupidaggine del genere.

Fu allora che strinse la presa, obbligandomi a guardarlo dritto in faccia.

-Hai fatto una cosa stupida. Spero che te ne sia resa conto, almeno. – illustrò serio – Kendra, promettimelo. Sono stanco di perdere persone. Non potrei sopportarlo.

Rimasi interdetta, impietrita dalle sue parole sofferte. Non mi aspettavo una confessione del genere, non mi aspettavo che Rick si sarebbe aperto con me un giorno. Invece era lì, bisognoso di una mia concessione positiva, di una promessa. Non mi capacitavo di ciò, il mio cervello prese a formulare tesi e teorie. Gli importava veramente di me? O si stava solo sfogando, pensando che uno dei suoi avrebbe potuto prendere il mio posto? Era possibile che egli avesse raffigurato la stessa scena con altri del gruppo, immaginandosi quanto ne avrebbe sofferto. Forse si sentiva in colpa per non essersi accorto del mio allontanamento. Forse mi stavo facendo solamente troppe paranoie. Magari ero solo io quella che ancora credeva di non far parte della famiglia.

-Io.. mi dispiace Rick. – sussurrai confusa – Te lo prometto.

Allentò la stretta, tornando ad essere pacato, come se le mie parole lo avessero tranquillizzato. Daryl entrò di corsa nella stanza, avendo forse qualcosa d'importante da riferire, ma appena vide la mano dello sceriffo su di me, si bloccò all'istante. Rick la ritrasse immediatamente e si alzò di scatto, aspettando di udire l'amico. L'arciere mi squadrò con quei suoi sottili occhi, nascosti dai capelli disordinati, e fece cenno a Rick di uscire.

-Abbiamo trovato tutto quello di cui avevamo bisogno giù in paese. – spiegò – Anche per la piccola spacca culi.

Rick mi salutò con un cenno e si apprestò a controllare i vari prodotti. Judith aveva bisogno di pannolini. Daryl, invece, restò immobile a fissarmi, come se fare ciò lo aiutasse a rispondere a qualche suo interrogativo. Poi, si mosse, posizionandosi di fronte a me. Sfilò qualcosa dalla tasca dei pantaloni e me lo porse.

-Ho fatto in modo che nessuno lo vedesse. – disse, mostrandomi il taccuino.

Avrei voluto ringraziarlo, ma d'istinto lo afferrai senza dire nulla, sfogliando le pagine per paura che si fosse rovinato. La carta aveva assorbito la melma, colorandosi di un marrone chiaro, quasi fossero macchie di caffè, ma le scritte erano visibili. Guardai quell'oggetto per cui avevo rischiato la vita, rendendomi conto di quanto fossi stata idiota. Il ricordo di Drake avrebbe sempre vissuto con me, poco importava se avessi dietro quel quadernino. Sospirai, stanca della mia irrazionalità passeggera. Poggiai quello al mio fianco e tornai ad osservare il volto dell'arciere, chiedendomi come avrei dovuto comportarmi ora che sapevo ciò che mi aveva sussurrato da svenuta. Non sono quello di cui hai bisogno. Quella frase mi rimbombava in mente. Cosa significava? Non mi sfiorò minimamente l'idea d'interessargli, ma era possibile che egli si fosse sentito in colpa.

-A che stai pensando? – chiese – Che sono uno stronzo?

Inarcai le sopracciglia.

-Ti risulta di esserlo stato?

Si poggiò con la schiena al mobile in legno, incrociando le braccia al petto.

-Forse. – sintetizzò.

-Mh, allora può darsi. – sbrigai.

Mi fulminò, ma divertito. Era felice di vedermi spiritosa, significava che stavo bene e che non ce l'avevo con lui, non più del solito almeno.

-So di essere stata stupida, perfino Rick me lo ha comunicato. – dissi – E ti ringrazio.

Mi guardò torvo, non comprendendo le mie intenzioni.

-Mi prendi in giro? – chiese borbottando – Non merito affatto un tuo grazie, anzi. Dovresti urlarmi contro, una volta tanto.

Feci forza sulla gamba buona e mi alzai, zoppicando verso di lui.

-Che stai facendo? – brontolò – Dovresti stare seduta, Kioshi ha detto che.. –

E lo abbracciai, adagiando delicatamente il mio volto al suo torace. Egli rimase distante in quel contatto, lasciando le braccia sospese in aria, come se non sapesse cosa fare. Né si mosse, né disse nulla.

-Non sei uno stronzo, Daryl Dixon. – bisbigliai – So che quello che fai, in fondo è per il mio bene. Forse ogni tanto sbagli i modi, ma è questo che ti caratterizza. Ed io, sento il dovere di ringraziarti. Anche se non ne capisci il motivo.

Ci fu un minuto abbondante di silenzio, d'imbarazzo. Pian piano mi resi conto di cosa avevo fatto, stupendomi di me stessa. Avevo agito d'istinto, senza ragionarci troppo su. Ne ero felice, sapevo di aver fatto la cosa giusta. Poi, d'un tratto, i suoi arti si posarono intorno alla mia schiena, rafforzando dolcemente quello scambio affettuoso e spontaneo. Mi parve insolito e strano non udire qualche battutina, qualche discorso che ironizzasse sulla situazione o che mi denigrasse per porre fine all'abbraccio, ma fu così.

 

*

 

Malgrado quanto avesse ordinato il nuovo dottorino privo di laurea, mi infilai un paio di jeans e raggiunsi gli altri, sparpagliati lungo le varie panchine. Sembravano molto stanchi e insicuri, indecisi su come muoversi l'indomani. Per me non avrebbe fatto alcuna differenza restare in chiesa, per il momento era sicura e poteva servirci per schiarire le idee, anche se all'apparenza sembrasse aver turbato maggiormente le loro menti. Non appena mi videro camminare, Kioshi scosse la testa rassegnato e finse di guardare altrove. Carl mi corse incontro con la piccola in braccio, sorridente più che mai.

-Allora ce la fai a stare in piedi. – osservò.

-Ovvio! – sottolineai – E' Kio che la fa più grossa di quanto sia in realtà.

Michonne sorrise, divertita dall'occhiataccia che Kioshi mi riservò. Carol mi fece l'occhiolino da lontano. A guardarla bene, notai che qualcosa in lei era cambiato. Mi parve più forte, più agguerrita di quanto non fosse alla prigione. Beth finì di legarsi i capelli in una coda e mi raggiunse radiosa.

-Sono felice di vederti. – le sorrisi.

-Sapevo che vi avrei ritrovato. Tyreese mi ha aiutato, è stato paziente a supportarmi. – spiegò, guardandolo con occhi dolci – Mi fa piacere vedere che stai bene.

Detto ciò, Ty si destò dai propri pensieri, richiamato dall'aver udito il proprio nome, e vedendomi, si avvicinò. Più si faceva vicino e più la sua figura si ingrossava. Un bestione.

-Non abbiamo avuto modo di presentarci. – parlò gentile.

-Colpa mia. – sorrisi – Io sono Kendra.

-Quella che si mette sempre nei casini. – esclamò Daryl, impegnato a scheggiare una panca.

Lo ignorammo. Ci stringemmo la mano, ma fu delicato, nonostante quelle dita massicce. Un gigante buono.

-Voi. – dissi, guardando anche Sasha – Eravate alla prigione quel giorno.

-Sì, il Governatore ci aveva accolti e reclutati per la missione, ma quando abbiamo capito che voleva compiere uno sterminio, ci siamo messi contro. – spiegò la sorella.

-E ti sei preso cura di Beth e della bambina, pur non conoscendole affatto. – conclusi.

Tyreese sgranò gli occhi.

-Come avrei potuto fare il contrario?

Sembrò stupito, ma non era una cosa spontanea. Insomma, non era da tutti agire così.

-Se solo tutti la pensassero in questo modo. – sostenni.

Baciati dalla fortuna. Ancora non me ne capacitavo. Riesaminando la cappella, notai che non vi era il parroco che ci aveva gentilmente ospitati. Vidi una seconda porta, dalle cui fessure filtrava un'ombra muoversi. Il tizio stava facendo avanti e indietro. Nervoso.

-Mr. 'questa è la casa del Signore, non voglio armi' è un po' su di giri. – parlò l'arciere, come se mi avesse letto nel pensiero – Non gli andiamo molto a genio.

Kioshi soffocò una risatina. Il giapponese era felice, mi faceva strano vederlo così. Avevo visto solo preoccupazione nel suo volto.

-Se sei stato l'ultimo a parlarci, è comprensibile. – risposi ironica.

Daryl affondò il pugnale nel legno ormai rovinato dal tempo e non mi diede soddisfazione. Lo sceriffo nascose un sorriso sotto la fitta barba e mi parlò, inclinando la testa come suo solito.

-A proposito, se volessi parlargli.. ci faresti un favore. – ammise.

-Io?! – esclamai, dubbiosa.

Michonne indicò la porta.

-Vedi, sei l'unica con cui non ha ancora avuto modo di confrontarsi. – espose la samurai – Noi ormai abbiamo già sbagliato l'approccio.

Beh, dopotutto era facile da immaginare. Si erano incontrati poco dopo l'uscita da Terminus. Non credo che fossero calmi e gentili in quel momento, né tantomeno non irritabili. Soprattutto alcuni soggetti.

-E cosa dovrei dirgli? – domandai incerta.

-Mh, tu prova a sembrare una credente che si fida ciecamente di noi. – consigliò Carl.

Feci spallucce, tanto valeva improvvisare e guardare come andava. Poggiai la mano sulla maniglia e mi voltai indietro, giusto per vedere Carol farmi il pollice in su. Bussai, pronunciando il suo nome, ed entrai lentamente, chiudendomi la porta alle spalle. Egli rimase a fissare l'esterno dalla finestra, con fare sospettoso. Indossava ancora gli indumenti da parroco. Era rimasto fedele al suo credo, nonostante la merda piovuta dal cielo. Ammirevole o stupido, dipende dai punti di vista.

-Padre Gabriel. – parlai dolce – Sono venuta a ringraziarla di persona per averci accolto, se non fosse stato per lei, probabilmente la mia ferita si sarebbe infettata.

Allora si voltò, mostrandomi i suoi lineamenti e gli occhi spauriti. Aveva paura. Non di noi, ma qualcosa lo turbava, e non poco. Mi fissò la gamba.

-Ho pregato affinchè il Signore non si dimenticasse di una sua pecorella ferita. Vedo con piacere che stai bene.

A dir la verità davo più merito al lavoro di Kioshi, ma dato le circostanze, non potevo mostrarmi in disaccordo.

-Beh, mi permetta di ringraziarla ancora allora.

La nebbia sfumò dalle sue pupille, tornando lucido e privo di paranoie. Mi sorrise. Forse ero davvero l'unica che si era posta gentilmente nei suoi confronti.

-Dammi pure del tu, siamo tutti fratelli e sorelle indistinti. – raccomandò – Conosci da molto queste persone?

Eccolo già giunto al nocciolo. Probabilmente gli ero sembrata diversa, meno pericolosa.

-E' brava gente. Non so cosa tu abbia visto, ma puoi fidarti. Pensa, che io ero un nemico per loro, eppure mi hanno accolta.

Sapeva che ero sincera, glielo si leggeva chiaramente dall'espressione, eppure non era ancora del tutto convinto. Forse, essendo egli esterno al gruppo, notava qualcosa che a noi ormai sfuggiva. Egli sembrava essersela passata bene, non aveva mai avuto la necessità di usare un'arma, di difendersi da putridi o da individui. Probabilmente vedeva in noi quella trasformazione a cui ci eravamo piegati per sopravvivere, forse eravamo diventati selvaggi, ottimi cacciatori. Cambiò atteggiamento, accortosi del fatto che lo stavo analizzando, fingendosi allegro e di buonumore.

-Bene, avevo bisogno di una conferma.

Guardai la bibbia posta su un tavolo, i vari ceri, ed il crocifisso sul muro.

-Kendra, ti affidi a Dio? – mi chiese, con fare interrogatorio.           

Non fui pronta a rispondere all'istante, in quanto quella domanda mi scaturì una serie di riflessioni sul tema posto. Non potevo negare di averci creduto in passato, o meglio, di non aver confutato l'ipotesi della sua esistenza. Mi ritenevo al di fuori di ciò, non mi premeva problematizzare sulla questione. Adesso, però, mi era impossibile pensare che potesse esservi qualcosa di superiore a cui andava a genio un'epidemia del genere.

-Sì. – affermai secca.

Sorrise, aggiustandosi il colletto. Mi chiesi come non facesse a morire di caldo con quegli abiti neri.

-A giudicare dall'esitazione nel rispondermi, presumo che tu abbia mentito.

Colpita ed affondata.

-Se non ti affidi al Signore, come fai a sopportare tutto questo? – interrogò.

In quel momento pensai alle persone che mi erano state accanto, che in un modo o nell'altro mi avevano aiutato ad andare avanti, o addirittura salvato da brutte situazioni. Come questo gruppo, ad esempio, a cui mi ero legata molto. Loro mi davano la forza di andare avanti. Ma non feci in tempo a rispondere, che egli parlò nuovamente.

-E non dirmi alla persone. – dichiarò – Ho saputo cosa fanno a Terminus.

Beh, messa così non aveva tutti i torti. Ma non era una regola generale, che si poteva applicare con leggerezza.

-Vi sono sempre le eccezioni. – sentenziai.

-E le eccezioni finiranno con lo sparire, sommerse dalle anime perdute.

Bene, non era un tipo ottimista. Gabriel stava cercando di farmi cambiare idea, di portarmi sulla retta via. Era dell'idea che le brave persone fossero destinare a soffrire, a morire. Spesso, purtroppo, si era rivelata un'ipotesi corretta.

-Un rischio che intendo correre. Padre, questa ormai è la realtà. La vita passata è solo un ricordo. Non abbiamo il tempo di pregare, di chiedere l'aiuto divino. Possiamo contare solo su noi stessi.

-Non c'è bisogno che tu mi renda partecipe del tuo pensiero, ho già capito la tua logica. – chiarì – Ma mi chiedo, in vero, se forse non stai cercando di convincere te stessa.

Scaltro, sapeva bene come rigirare i discorsi. Mi mandò in confusione.

-Stai insinuando che, sotto sotto, io sia credente?

-Se avessi ritenuto la mia supposizione un errore, l'avresti già smentita, invece di pormi una domanda.

Mi venne spontaneo sorridere. Era davvero bravo.

-Perché mi chiedi queste cose? – domandai – Cambierebbe qualcosa?

-Quando il ragazzo giapponese e quell'altro, il burbero, ti stavano pulendo l'escoriazioni sulle braccia, ho notato il polso, la cicatrice. Ho capito che hai vacillato, ma non sei andata fino in fondo. Perché? Mi sono chiesto se avessi mai preteso aiuto da Dio o se ti fossi mai accorta quanto in realtà Lui ti abbia accompagnato fin qua. Rick, il vostro capo, mi ha raccontato un paio di cose sul tuo conto. Pensi davvero sia solo fortuna?

Ridacchiai nervosa, spostandomi i ricci su una spalla. Il mio cervello andò in blackout. Non riuscivo a formulare una risposta adatta, qualcosa per chiudere immediatamente quel discorso. Come aveva osato a chiedere informazioni sul mio conto. E perché Rick me lo aveva taciuto? Mi aveva impietrita. La cicatrice. Chissà cosa gli aveva riferito lo sceriffo. Non volevo espormi.

-Scusami, non era mia intenzione essere invadente.

Abbandonai la stanza senza dire una parola, sconvolta dal suo discorso. Attraversai le panche in cerca di Rick, ignorando palesemente gli altri, i quali si domandarono cosa fosse successo. Probabilmente emanavo un nervosismo tale da elettrizzare l'aria. Spalancai il portone d'ingresso e scorsi lo sceriffo seduto sui gradini. Mi sedetti accanto, pronta ad esplodere. Ma quando l'impulso di sputargli addosso tutta la rabbia implose, ecco che vidi fra le sue braccia la piccola Judith dormire beatamente. Mi frenai, sospirando inquieta. Rick mi guardò interessato dal mio stato d'agitazione e bisbigliò, temendo di svegliare la creaturina.

-Non deve essere andata bene. – ipotizzò correttamente.

-Hai in mente anche il motivo? – risposi brusca.

Capì allora che il prete me ne aveva parlato. Forse non aveva pensato che sarebbe successo, dopotutto poteva tranquillamente tenerselo per sé.

-A proposito, Kendra.. – sussurrò – Non ho menzionato niente di personale. Sono rimasto vago. Lui mi ha parlato della cicatrice, non sapevo nemmeno della sua esistenza.

Mi ero dimenticata di quel particolare, di quel minuscolo errore. Dal momento che ne avevo parlato con Beth, Drake e Daryl, davo per scontato che tutti lo sapessero, come se mi fossi aperta col mondo.

-Permettimi di essere comunque arrabbiata.

Levò gli occhi al cielo in rassegna, era in torto.

-Te lo concedo. – ammise – Ho sbagliato a non parlartene. Che ne pensi di Gabriel?

-Non saprei, non mi piace molto quel tipo.

Già i preti mi andavano poco a genio, lui peggio. Un finto buono, ma finchè ci dava ospitalità, non potevamo certo sputare nel piatto. Rick sorrise guardando la piccola. Era curioso della mia opinione, ma se n'era già fatta una sua. Probabilmente concordante. Corrugò la fronte, dolorante.

-Ti va di prenderla un attimo? – propose – Cominciano a farmi male le braccia.

Mi discostai per ribattere, ma egli fu così veloce che mi ritrovai fra le mani quella bella addormentata. Non avevo la più pallida idea di come tenere una marmocchia. Mi limitai a fissarla, come se fare ciò mi potesse fornire un colpo di genio, un'illuminazione improvvisa. Lo sceriffo rise di me, sorpreso da quanto fossi impacciata.

-Eppure per voi donne dovrebbe essere naturale. – sghignazzò.

Lo incenerii con gli occhi e provai a cullare Judith, tuttavia egli posò le mani sulle mie braccia, mostrandomi i movimenti che avrei dovuto simulare. Pian piano il gesto divenne fluido, eliminando la goffaggine iniziale. Era la seconda volta che mi toccava. Appena si accorse che lo stavo osservando con serietà, si separò da me. Forse stavo esagerando, non era niente, eppure mi trasmetteva strane vibrazioni. Era diverso con me, non si era mai mostrato così affettuoso. Diedi la colpa alla piccola, era possibile che ella lo stesse influenzando, portando alla luce il suo lato tenero. Judith sembrava leggiadra come una piuma, invece era più pesante di quanto potessi immaginare. Tuttavia averla stretta a me, mi calmava, donandomi un senso di pace. Sarei stata ore in quella posizione.

-Come stai? – domandò.

-Bene, davvero. Non sento dolore grazie agli antidolorifici.

Fece scrocchiare le nocche, giocherellando nervosamente con le mani.

-No, dico sul serio. – insistette – Sicura di stare bene?

Mi agitai.

-Lo dici per via della cicatrice, non è così? Sto bene, dannazione Rick. Quel che è stato, è passato oramai.

Storse la bocca di lato, aggrottando la fronte.

-Sempre sulle difensive. – sottolineò – Non mi riferisco a quella. Dico in generale.

Non me la raccontava giusta, c'era qualcosa sotto.

-Perché me lo chiedi?

Sbuffò, iniziando a muovere compulsivamente la gamba sinistra.

-Perché io non sto bene. – disse bruscamente – Non sto bene per niente.

Strinsi a me la piccola, come se potesse rendersi conto che il padre fosse arrabbiato.

-Rick, spiegati.. – consigliai – Se può esserti d'aiuto parlarne.

Fissò un vagante impigliarsi in lontananza in una tagliola per orsi. Questo si accasciò al suolo, lamentandosi sebbene non provasse dolore. I soliti lamenti gutturali.

-Non mi do pace. – chiarì – Sapere che quei bastardi possono essere ancora vivi, mi fa impazzire.

Pensai a cosa avrei potuto dirgli, ma non vi erano frasi che potessero alleviare quel senso di vendetta ed odio. Lo capivo, fin troppo forse. Anch'io avrei desiderato tornare indietro e far piazza pulita. Scappare, aveva permesso loro di poter continuare con la farsa del rifugio per tutti. Ma non avevamo potuto agire diversamente.

-So bene cosa provi. – ammisi sincera – Fosse per me, avrei piantato loro un'accetta nel cranio senza batter ciglio. Uno ad uno, senza eccezioni.

Mi scrutò colto alla sprovvista, non si aspettava tale rivelazione.

-Un'altra persona qualsiasi mi avrebbe detto di accantonare l'odio, di guardare avanti, perché anche se mostri, quegli individui laggiù erano comunque persone, vite umane.

-Si da il caso che tu l'abbia chiesto a me, forse perché sapevi che non ti avrei dato quella banale risposta. Sbaglio?

Fece spallucce, comunque contento di apprendere di non essere l'unico pazzo.

-Avranno ciò che si meritano.

-Un giorno. – aggiunsi.

Sembrò più tranquillo, come se si fosse liberato di un peso. La sua gamba smise di muoversi freneticamente e i muscoli si rilassarono.

-Kendra.. – parlò – Ti chiedo scusa.

Spalancai gli occhi, sorridendo. Cos'aveva fatto adesso?

-Per quale assurdo motivo? – chiesi curiosa.

Si voltò, limitandosi a fissarmi negli occhi per qualche secondo, come se non avesse il coraggio di dirmi qualcosa. D'un tratto percepii il sangue raggelarsi. Non volevo crederci. Rimasi ferma nella mia posizione, come se mi fossi cementificata. Non avevo il coraggio di muovere un dito. Il suo volto si avvicinò lentamente al mio, fin tanto che potetti avvertire la sua barba ruvida sul mento. Le sue labbra carnose premettero quasi sulle mie, sfiorandole delicatamente con incertezza. Vedevo la scena a rallentatore, come se non potessi sottrarmi da quello che stava avvenendo. Poi, senza nemmeno rendermene conto, la mia bocca si spalancò, permettendo alle nostre lingue di abbracciarsi e gustarsi.

Angolo autrice

Buona sera, eccomi ufficialmente tornata. Mi scuso immensamente per la mia lunghissima sparizione improvvisa. Fra l'esame di maturità e lo studio per il test d'ingresso all'università, mi sono persa. Ho comunque dato spazio a questa storia, scribacchiando sul telefono, quaderno o post-it, insomma, qualsiasi cosa mi trovassi di fronte, in modo da non lasciare in sospeso la fan fiction. Ho mille idee per Alexandria e non vedo l'ora di arrivarci. Che dire, mi erano mancati questo sito e la sensazione di pubblicare qualcosa di mio, sebbene odi ogni cosa che scrivo. Spero che nessuno mi abbia abbandonata e, soprattutto, che il capitolo vi sia piaciuto. Non esitate a scrivermi e recensire, mi è mancato leggervi. Un abbraccio sincero.

P.s. Ho assegnato al capitolo il titolo "Acacia" , poichè il significato di tale fiore è : amore segreto.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 : Negazione ***


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Angolo autrice

Buon pomeriggio lettori! Eccovi un nuovo capitolo, strano vero? Per una volta nessuna lunga attesa. Avete avuto la fortuna / mia sfortuna / che mi ammalassi, quindi ho avuto il tempo per ricorreggerlo e pubblicarlo. Come al solito, spero sempre che sia di vostro gradimento, e ringrazio ognuno di voi  per il sostegno. E' stato davvero bello tornare qua a scrivere e vedervi ancora presi dalla storia, sebbene questo bacio vi abbia sorpreso ahaha
 Un abbraccio a tutti, anche a quelli zitti zitti che continuano a leggere e mettere nei preferiti senza commentare, e buona lettura!
Ci sentiamo nelle recensioni :D


Capitolo 26 : Negazione


Dicono che quando siamo vicini alla morte, tutta la vita scorre davanti agli occhi in una frazione di secondi, eppure, in quel momento, non ero in pericolo né stavo per abbandonare quel mondo, ma il passato si stava comunque proiettando a me come la riproduzione di svariate diapositive. Quel bacio avventato, quella sua azione improvvisa mi aveva completamente disorientata. Quel contatto aveva rievocato momenti, ricordi piacevoli e meno. Tutte le persone con cui mi ero legata, con cui avevo stretto un rapporto. Oltre ai ragazzini del liceo, di un compagno di squadra, le ultime immagini furono quelle di Philip e Drake. In modo del tutto differente, queste due figure mi erano state accanto nel momento del bisogno, aiutandomi a non perdermi d'animo. Mi avevano donato un motivo, un senso per continuare questa lotta infinita per la sopravvivenza. Rick non era niente di tutto questo, né lo ero io per lui. Proprio per questo non riuscivo a capacitarmi dell'accaduto. Cosa significava? Non capivo nemmeno me stessa, non avevo fatto niente per evitare il contatto, per sottrarmi a quel bacio. Come se in un certo senso, inconsciamente, lo avessi desiderato. Ma non avevo mai guardato Rick in modo differente da semplice amico o capo del gruppo, non mi ero mai soffermata sul suo aspetto fisico né avevo provato attrazione nei suoi riguardi. Mi era stato semplicemente indifferente per tutto questo tempo, persino ora che avevo il suo volto vicino al mio, tanto che avrei potuto immergermi nel mare dei suoi occhi. Egli mi guardava come se stesse cercando di afferrare i miei pensieri, di capire il mio stato d'animo. Non appena intesi che stava per dire qualcosa, poggiai immediatamente Judith fra le sua braccia, con fare quasi disgustato, come se volessi allontanarmi da loro. In quel momento udii un rumore alle mie spalle. Mi voltai e vidi la porta spalancarsi.

-Le provviste sono poche. – informò Daryl – Vado a caccia, sperando di trovare qualcosa. Altrimenti dobbiamo tornare in paese, cosa che vorrei evitare.

Mi alzai felice che qualcuno ci avesse disturbato e mi asciugai le mani sui pantaloni, avendo i palmi umidi.

-Bene, vengo con te allora. – dissi, con una certa naturalezza.

Lo sceriffo abbassò lo sguardo, fingendo di dover aggiustare Judith fra le mani. Avvicinandomi alla porta, intenzionata a prendere le armi in chiesa, Daryl tese il braccio, bloccando l'ingresso.

-Tu non vai da nessuna parte. – sentenziò brusco.

-Sono stata due giorni stesa in un letto. – ribattei offesa – Credo di aver bisogno di fare un poco di movimento.

Daryl non abbassò l'arto, continuando a guardarmi in cagnesco.

-Mi saresti solo di fastidio.

Mi abbassai per passare sotto all'arco che aveva creato, ignorandolo palesemente. Ma l'arciere mi trattenne per la maglia, allontanandomi dalla porta.

-Hai per caso le orecchie intasate di merda? – sbottò – Cos'è che non ti è chiaro, uh? Oltretutto, non puoi andartene a giro con quella gamba.

Sorrisi innervosita. C'era qualcosa in lui che stava nascondendo. La ragione doveva essere un'altra.

-Aah quindi il problema sarebbe la gamba eh? Non prendermi in giro.

Mi puntò l'indice addosso.

-Non fare la finta tonta. Kioshi ha detto che..

-Vuoi scherzare? Da quando in qua t'importa cosa dicono gli altri?! – interruppi.

Daryl aprì bocca per abbaiarmi contro, ma la piccola scoppiò in un pianto singhiozzato.

-La volete smettere voi due? – brontolò Rick. – Sembrate due bambini.

Ci superò, entrando senza problemi nella parrocchia, dal momento in cui Daryl abbassò il braccio sconfortato.

-Se non mi vuoi intorno, non raccontarmi cazzate. – gli sussurrai, lasciandolo solo.

Mi diressi incazzata in quella che si era definita la mia stanza, diciamo l'infermeria. Non appena Kioshi mi vide dirigermi in quella direzione, esultò pensando erroneamente che avessi deciso di seguire il suo consiglio, ovvero di riposare.

-Sia lodato Gesù Cristo!

Gli altri ridacchiarono, ad eccezione del parroco che si limitò a riservagli un'occhiata punitiva. Le urla della piccola echeggiavano in quelle vecchie mura, allarmando Beth, la babysitter ufficiale, che mi passò accanto per trarre in salvo il padre dalla creaturina piagnucolante. Mi chiusi alle spalle la porta, sbuffando. Avevo voglia di stare sola, di riflettere come al mio solito, sebbene si avvicinasse più ad una tortura mentale. Sedendomi nel letto, massaggiai con delicatezza la parte lesa. Se avessi continuato di questo passo, ben presto sarei finita mutilata. Solo su una cosa Daryl aveva sempre avuto ragione, riuscivo a mettermi costantemente nei guai. Certo, adesso non si trattava di una situazione pericolosa, quanto imbarazzante e complicata. Come se il Daryl che mi sussurra roba da svenuta non fosse abbastanza. Strinsi con rabbia il lenzuolo, liberando la tensione. Non ne potevo più di tutto questo stress. Mi dolevano maggiormente le persone, invece dei putrefatti. Era davvero incredibile. Tamburellai con le dita il materasso, cercando di riprendere lentamente la calma. Non potevo ignorare le persone nella stanza accanto, soprattutto ora che ci eravamo trovati. Non era certo mia intenzione fare la diva della situazione. Feci un respiro profondo ed attesi qualche minuto prima di prendere il coraggio per alzarmi. Quand'ecco che la maniglia in ottone si abbassò.

-Dobbiamo parlare. – spiegò lo sceriffo.

-Non ce n'è assolutamente bisogno.

Ma egli chiuse comunque la porta, insistendo implicitamente.

-Lascia che ti spieghi..

-Rick, sul serio, non ho bisogno di un discorso, di una spiegazione o di qualsiasi cosa tu abbia in mente. – parlai agitata.

Egli non si mosse dalla porta, dichiarando di non aver intenzione di lasciare correre la questione. Inspirai.

-Mi dispiace, okay? – disse nervoso – Non so nemmeno perché l'ho fatto. Ho agito d'istinto. Ad essere sinceri è da tempo che mi comporto così, come un animale. Non mi soffermo più a pensare alle possibili conseguenze. Agisco e basta.

Scossi la testa.

-Tu non puoi farmi questo, Rick. Io sono tutta incasinata, non posso farmi distrarre anche da queste situazioni insensate. Non puoi arrivare così, di punto in bianco, e baciarmi, chiedendomi scusa prima e dopo. Non mi importa se sei un animale, ti prego di starmi lontano.

Mi spiacque essere dura, volerlo distante a tutti i costi, ma la mia fragile mente sarebbe crollata altrimenti. Avevo bisogno di spazio. Non che non mi fidassi dello sceriffo, ma volevo evitare un'altra situazione del genere.

-Io sto impazzendo. – sibilò – Non mi riconosco nemmeno. Uccido nemici, seppur persone, sopravvissuti come noi, e non provo niente. Assolutamente niente, anzi, ne esco appagato. Come se mi piacesse vederli soffrire. Joe, gli ho morso la giugulare come una bestia inferocita. Nessuno ne ha fatto più parola, credete che sia stato giusto, che quello che faccio è per tenerci in salvo, ma mi sono perso. Kendra, questo non sono io. Non ero così. Tu mi hai conosciuto alla prigione e già ero cambiato. E so che non ha senso, ma quando parlo con te mi sento meglio, riesci a calmarmi.

Non sapevo più se essere arrabbiata o dispiaciuta. È vero, non sapevo che tipo fosse in passato, ma quello non aveva più importanza ormai. Rimasi sconcertata del fatto che io riuscissi a placarlo. Non facevo niente di speciale, anzi, parlavamo anche poco.

-Quello che eravamo un tempo, scordatelo. Non esistono più quelle persone, quel mondo. Adesso siamo così, contano solo le azioni, le parole, le situazioni presenti. Sì, sei un mostro, ma è necessario. Se tu fossi rimasto innocente come anni fa, pensi forse che saresti sopravvissuto? Rick, io non so cosa ti sia passato di mente poco fa, ma vediamo di fingere che non sia successo. Discuterne non ha senso.

Ci guardammo in silenzio, abbassando la guardia. La tensione fu spezzata, portando la tregua. Ci giungevano le voci degli altri, i quali sembravano dialogare tranquillamente. Perché non potevo stare così anch'io? Forse stavo esagerando, problematizzavo troppo, ma un bacio per me restava una cosa importante, niente di frivolo.

-Vedi? – confessò – Mi aiuta parlarti. Comunque, sono d'accordo, mettiamoci una pietra sopra. Parlarne adesso peggiorerebbe soltanto le cose.

Gli sorrisi, sebbene fosse forzato. Si fece serio, autoritario, come se fosse tornato nel ruolo di leader, ed abbandonò la stanza. Tirai un sospiro di sollievo. Speravo che le cose fra noi non cambiassero, non volevo sguardi imbarazzati, non volevo aver paura a parlare o a prendere decisioni nel gruppo. Ma se ci avremmo davvero messo una pietra sopra, forse tutto sarebbe rimasto com'era. Dopotutto, adesso dovevamo pensare ad altro. In teoria avevamo deciso di aspettare l'altra squadra, capeggiata da Abraham. Se avessero trovato problemi lungo la strada, sarebbero tornati indietro. Gli avevamo concesso un lasso di quattro giorni, anche perché gli intoppi si sarebbero presentati lungo la statale. Molte vie erano bloccate, ma speravo che trovassero una via d'accesso. A questo punto, se Eugene avesse davvero avuto le capacità per porre fino a tutto questo, tanto valeva incrociare le dita. Decisi di raggiungere gli altri, mi ero isolata anche troppo. Sasha parlava col fratello, sembravano tanti felici. Mi faceva piacere vedere due consanguinei ancora assieme. Beth dondolava la piccola, ormai sicura di sé. Nonostante la giovane età, sarebbe stata una buona madre. Rick le sedeva accanto, seguendo i suoi movimenti ondulatori. Judith era di nuovo con lui. Chissà quale gioia provasse un padre. Carl stavo commentando un fumetto che gli aveva prestato Michonne, ridendo e scherzando con lei. Kioshi, invece, stava sdraiato scomposto, senza curarsi degli altri, così come Carol, la quale sembrava assente. Decisi così di avvicinarmi a lei, dopotutto mi aveva salvato la vita a Terminus. Era seduta su una panchina infondo, isolata da tutti e tutto. Probabilmente non aveva voglia di essere disturbata, ma tentai comunque.

-Ehi – dissi cauta.

Mi guardò con quelle sue pupille brillanti, sorridendomi come per tirarmi su di morale.

-Non riesci proprio a stare ferma eh?

Spostai una ciocca di capelli, posizionandola dietro l'orecchio.

-Sai, non ti ho ancora ringraziato per quel problemuccio all'inferno.

-Figurati, avresti fatto lo stesso. Hai avuto fortuna che mi trovassi proprio in quel punto.

La fortuna si alternava con la sfiga troppo spesso, facendomi oscillare come una bambola di pezza. Ancora non sapevo bene quale etichetta affissarmi.

-Va tutto bene? – le domandai – Se è una richiesta stupida, non rispondermi.

Mi fece cenno di accomodarmi.

-È tutto apposto. – confermò – Sto solo aspettando.

Non le chiesi cosa, avevo già capito cosa intendesse. Stava attendendo il prossimo ostacolo, l'ennesima prova balorda. Non voleva rilassarsi, adagiarsi sul fatto che ci fossimo ritrovati. Abbassare la guardia ci aveva sempre spezzato.

-Singolare quel ragazzo. – affermò, indicando Kio – Dove lo avete pescato?

Guardai quella chioma mora pisolare senza ritegno.

-Lo abbiamo scovato io e Daryl davanti a Terminus. Sembra una brava persona, no? Mi ha rattoppato pure la coscia.

-Mh, è questo il punto. Sembra.

Mi voltai per guardarla bene in volto, lo stava scrutando come uno scanner.

-Dici che è pericoloso?

Era prudente, difficile da dire se fosse giusto o sbagliato. Se avesse voluto farci del male, ne avrebbe già approfittato.

-Questo ancora non lo so, ma si è già messo comodo.

Allora capì che le deva fastidio il suo atteggiamento, già faceva l'amicone con tutti. In soli due giorni si era integrato. Non solo, era più spavaldo ed estroverso. L'esatto contrario di quando lo avevo conosciuto. Mi mise la pulce nell'orecchio. Lo fissai un poco, cercando di ricordare i suoi movimenti, le parole, come se mi fosse possibile scovare un particolare che lo tradisse. Niente di eclatante apparve fra i ricordi sbiaditi. Mi appoggiai allo schienale in legno, come se volessi sprofondare in quell'oggetto e lasciarmi abbandonare da tutte le circostanze del caso. Lo sforzo che avevo compiuto a Terminus, la fuga, la gamba malandata, era come se tutto quello mi avesse sfinito. Era come se fossi arrivata all'apice della pazienza, quasi avessi terminato le speranze di scorta. La positività era svanita completamente, lasciando spazio ai più tetri sentimenti. Stanca, distrutta. Non avevo la minima voglia di dubitare di Kio o di pensare che anch'egli fosse un bastardo da cui stare alla larga.

Stavo cominciando a mollare, cosa che non avrei voluto accadesse di nuovo. Eppure, se mi avessero detto che a qualche miglio di distanza fosse esistito un qualche tipo di rifugio, una qualsiasi struttura che avesse potuto ospitarci, non avrei mosso il culo da quella panca. Beth sospirò forte, annunciando a tutti quanto si stesse annoiando. Ed effettivamente, a guardarci, sembravamo una combriccola di pensionati depressi. Eravamo tutti provati, nessun escluso. La ragazza si aggiustò la coda di cavallo alta, stringendo ulteriormente quei capelli dorati nel laccio, in quella morsa elastica, e si allontanò verso la porta, dopo aver restituito la piccola allo sceriffo. Aprì il portone con una certa indifferenza, ma Tyreese scattò immediatamente in piedi, come se temesse per ella. Lei si voltò immaginandosi la reazioni del bestione e con la mano gli fece cenno di sedersi e di non preoccuparsi, ponendo fine a questo dialogo muto. Odiava essere trattata come una bambina, sapeva di potersela cavare da sola. Ty si sedette a malincuore, scocciato. Mi fece piacere notare il buon legame che si era instaurato fra loro. Lasciai poggiare all'indietro la testa, osservando il soffitto nonostante la scomoda posizione. Non potevo evitare di pensare, la mia mente si accavallava fra un pensiero ed l'altro, senza nessun apparente ordine o senso logico. Ero completamente fusa. Inclinai un poco il capo, scrutando il cielo da uno spiraglio della finestra barricata, l'unico libero dalle tavole di legno che avevano rafforzato gli infissi. Guardai il cielo oscurarsi leggermente e il sole spostarsi lentamente, restando bloccata su quella panca, mentre tutto attorno a me si muoveva. Nessuno osò disturbarmi, né io mi interessai ai dialoghi altrui. Quando mi decisi a staccare il sedere ormai piatto da quella superficie, cercai fra i volti quello di Beth. Non era ancora rientrata. Tyreese spalancò la porta rumorosamente, facendomi capire che era uscito senza che me ne accorgessi. Era agitato. Rick mollò subito la piccola a Carl, avvicinandosi al bestione con volto interrogativo, sebbene avesse già capito.

-Non è nei paraggi.

Mi alzai fissando Michonne e Carol, aspettando una loro mossa. Lo sceriffo afferrò la magnum, pronto a scattare nella radura.

-Forse è con l'altro. – ipotizzò Sasha, cercando di evitare il panico generale.

Eppure, sebbene potesse essere un'ipotesi plausibile, i nostri istinti ci spingevano ad altro.

-Si sarà allontanata un poco. – insistette.

-Non lo avrebbe mai fatto. – obiettò Ty, come se la conoscesse da tempo.

Sasha storse la bocca, dichiarandosi contraria.

-È giovane, ma certamente non stupida. – sentenziò capelli argentati. – Non si sarebbe mai allontanata senza avvertire.

-Deve esserle successo qualcosa. – affermò samurai.

Tyreese guardava storto la sorella, aspettando il responso del capo. Questo ci scrutò velocemente prima di parlare.

-Sei una buona tiratrice, giusto? – domandò a Sasha.

Lei annuì, afferrando il fucile.

-Bene. Carl, Tyreese, Sasha e Carol voi restate qua di guardia. Gli altri con me.

Gabriel unì le mani in preghiera, sussurrando parole a Dio. Carl fece per ribattere, ma si zittì. Non aveva senso portarmi con sé, non ero affatto in ottima forma, anzi, li avrei rallentati nella perlustrazione. Ma non misi bocca nell'ordine dello sceriffo ed una volta equipaggiata, lo raggiunsi fuori. Kioshi sembrava meravigliato quanto me della scelta. Inoltre egli si sentiva il nuovo, il novellino della situazione. Non si aspettava di essere subito inserito nelle missioni.

-Ricapitolando. – disse Rick – Ci inoltriamo per un tratto assieme, dopo averlo contrassegnato ci divideremo circondando la zona. Quello sarà il nostro punto di ritrovo al calare del sole. Se troviamo qualche vagante, od utilizziamo le lame o li aggiriamo, non possiamo permetterci di sprecare proiettili. Intesi?

Annuimmo come burattini.

-Diamoci da fare. – esortò Michonne, incamminandosi.
 

*
 

Perlustravamo cauti, timorosi di attirare qualche putrido o di allarmare possibili nemici. Mi trascinavo in quella che doveva essere una passeggiata felina, ma facevo fatica a stare al loro pari. Non mi lamentavo però, anche se avrei volentieri tirato uno scapaccione allo sceriffo, ma dovetti realizzarlo solo nelle mie fantasie. Scrutando il cielo dai fitti rami intrecciati, potetti osservare qualche nuvola espandersi. Kioshi notò la difficoltà che avevo nel muovermi fluidamente e ammonì Rick con un'occhiata critica. Egli, pur non essendosene accorto, fu come colto da un senso di colpa e rallentò, affinchè potessi giungere nel punto esatto in cui si trovava. Mi guardò corrucciato, tenendo ben stretto la magnum.

-Non hai obiettato. – osservò a bassa voce.

Mi sfuggì un sorrisetto maligno.

-Beh, il fatto che non abbia discusso, non significa che non avrei voluto.

Mi infastidiva il suo sguardo, stava cercando di scavare nella mia psiche. Optai per una maschera di bronzo.

-Pensavo ci fossimo chiariti. – ricordò.

Era vero, ma d'altronde ne ero disturbata. Stargli accanto come se nulla fosse, mi faceva uno strano effetto.

-Sì Rick, abbiamo chiarito. – borbottai – Ma questo?

Controllò che Michonne e Kioshi fossero alla giusta distanza per non udire.

-Questo non ha niente a che fare con quello che è successo. – spiegò.

-E allora perché diavolo mi hai voluto con te? – osservai, indicandomi la coscia.

Si fece immediatamente serio, come se si fosse stupito della mia ignoranza al riguardo.

-Perché hai una buona testa, Kendra. – sibilò – Mi piace come pensi, come agisci nei momenti di pericolo. Sei sopravvissuta, non solo fisicamente. Dopotutto quello che è successo, sei ancora in piedi.

Capii a cosa si riferisse, oltre alla morte di Cassie, della perdita di tutti quelli che avevo conosciuto fino ad oggi, di Philip, di Drake, di Terminus.. lo stupro. Quello era stato un duro gradino da superare, un ostacolo che avrebbe potuto disintegrarmi facilmente. In quella merda, era un miracolo che non avessi tentato nuovamente il suicidio.

-Ho afferrato il concetto. – risposi brusca, come se il riaffiorare di quei ricordi mi avesse inacidita.

Michonne si bloccò, indicando un cumulo di fumo liberarsi nel grigio azzurro del cielo. Chiaro segno della presenza di persone. In fondo, speravo comunque che l'ipotesi di Sasha fosse plausibile. Magari Daryl e Beth si stavano gustando qualche scoiattolo alla brace.

-A questo punto direi di separarci, aggiriamo il falò. – propose samurai.

Il piano tutto sommato era adatto, avremmo coperto i lati circondando i possibili nemici.

-Sì, faremo così. – affermò lo sceriffo, incidendo un albero.

-Bene. – parlai frettolosa – Io vado con Kioshi.

Rick non protestò, anche perché non avrebbe avuto molto senso discutere. Ciò avrebbe mostrato chiaramente che qualcosa fra noi non andava. Kioshi esultò in silenzio. Era intimorito dalla spadaccina, sebbene adesso fosse priva della katana, perciò gli fu di sollievo apprendere la decisione. Prendemmo strade diverse, salutandoci con un cenno di capo. Mi trovavo in una scomoda posizione fra Rick e Daryl, anche se quest'ultimo non aveva ancora fatto niente di concreto. Potevo benissimo aver preso un abbaglio.

-E' uno stronzo. – ruppe il silenzio.

Feci spallucce, non avevo voglia di difenderlo in quel momento. Ero più concentrata su quel fumo lontano.

-Trascinarti qui con questa gamba. – continuò – Avrei dovuto oppormi io.

-Ma non volevi inimicartelo. – esposi.

Kio sospirò, sottolineando il fatto che avessi ragione.

-Non preoccuparti Kio, sto bene.

Un vagante mugolò rabbioso, facendoci voltare all'istante. Afferrai il pugnale, ma prima che potessi avventarmi su di lui, inciampai all'indietro in una radice, avendo indietreggiato per porre distanza fra me e lui. Kioshi tirò un calcio alle palle del putrefatto, come se egli potesse ancora provare dolore in quella zona. Non appena se ne rese conto, scacciò fugace una risata e affondò il machete nel petto di quello.

-Alla testa, dannazione. – gridai, semi divertita dalla scena.

La ridicola situazione, però, prese subito un'altra piega. Dei fruscii vicini, mi allarmarono. Altri putrefatti stavano giungendo alla carne fresca, cioè noi. Dovevamo darcela a gambe, in fretta anche. Mi sollevai veloce, estraendo dal petto la lama arrugginita, vedendo Kioshi in difficoltà, e la piantai nel cranio del vagante, tanto quanto bastava per notarlo afflosciarsi a terra. Ripreso il machete, cinsi con forza il polso di Kio, strattonandolo verso di me. Lo intimai a correre come un dannato ed egli non se lo fece ripetere due volte. La fuga era dolorosa, sofferente. Ad ogni passo che facevo, sentivo come strapparmi la pelle, come se la ferita al muscolo si stesse riaprendo. Una sensazione alquanto spiacevole. Finimmo infatti col ribaltare la scena, Kio correva trascinandomi dietro con sé. Quando fummo abbastanza lontani, chiesi pietà ed egli mollò subito la presa, come uscito da un effetto trance. Poggiai le mani alle ginocchia, piegandomi con la schiena in avanti. Annaspavo nel respiro spezzato dal fiatone. Kioshi ridacchiò con poco contegno, mettendosi una mano davanti alla bocca. Lo squadrai curiosa.

-Ceh, gli ho tirato un calcio nelle palle. – borbottò ridendo – Ma ci pensi?

Scossi la testa, tornando a respirare normalmente.

-Sei pazzo. – lo schernii – Sembrava quasi che tu non avessi la più pallida idea di cosa fare.

-Mi sono fatto prendere dal panico. – si difese – Tu piuttosto, come stai?

Poggiai le mani sui fianchi, come una madre pronta a sgridare il figlio.

-Non cambiare discorso, furbacchione. – insistetti, tornando a zoppicare in direzione del fumo.

Egli mi affiancò non appena mossi un piede, sollevando un mio braccio affinchè gli cingessi le spalle, e con la mano destra si posò sul mio fianco.

-Non voglio che tu sforzi la gamba, reggiti pure a me.

Apprezzai quel gesto. Non avrei mai ammesso d'aver bisogno d'aiuto, quindi ero felice che me lo avesse offerto di spontanea volontà.

-Dì un po' Kioshi, quanti vaganti hai ucciso?

Mi tornarono in mente le tre domande.

-Veramente pochi. – confessò – Ho sempre avuto persone che lo facevano per me. Sai, avevo un piccolo gruppetto prima.. io mi occupavo solo della salute, fasciature, medicinali. Al resto pensavano loro.

Era stato fortunato il dottorino, in un modo o nell'altro si era scansato le situazioni più rognose. Non gli chiesi cosa fosse successo, era fin troppo comprensibile.

-Allora, dimmi questo. Quante persone hai ucciso?

Sì distanziò col volto, giusto per porre un poco di distanza fra le nostre facce, in modo da potermi guardare bene negli occhi.

-Perché mai avrei dovuto uccidere delle persone?

-Non mentirmi Kio, è impossibile che tu non abbia trovato qualche bastardo. Soprattutto quando sei rimasto solo.

-Non sono un bugiardo. – disse, enfatizzando l'ultima parola – Sono rimasto solo per qualche giorno. Poi ho incontrato Brian, mi è stato di enorme aiuto. A dirla tutta, sono io che mi sono incollato a lui. Era un tipo piuttosto silenzioso, un lupo solitario.

In lontananza vidi il profilo di un edificio, eravamo molto vicini.

-Prima o poi dovrai dirmi più cose su questo individuo. – dissi ostinata.

-Dovete spiegarmi perché siete fissati con quest'uomo.

-Perché se è chi temo sia, è una persona orribile. – spiegai – Adesso non c'è tempo per altre chiacchiere, siamo arrivati.

Mi sciolsi da Kio e mi acquattai dietro ad un tronco, nascosto da alcuni possenti arbusti. Il dottore mi seguì, inginocchiandosi fra l'albero ed il cespuglio, restando ben nascosto. Vidi uno spiazzo cementificato ed una struttura a forma di L. Sembrava una scuola elementare, dati alcuni disegni affissati alle finestre. Un piccolo gruppo di persone ci davano le spalle, non permettendoci di osservarne i volti. Fra loro però non vidi Beth. Erano seduti a terra, occupati a mangiarsi della carne alla brace. Mi spostai lungo il perimetro, prestando attenzione a dove mettessi i piedi. Ma gli uomini si alzarono all'improvviso, brandendo le armi. Alcuni spari risuonarono nel bosco.

-Merda. – sussurrò Kioshi – E' saltata la copertura.

Le persone corsero in direzione degli spari, lasciando l'edificio scolastico sgombro.

-No, credo che Rick sia passato al piano B.

Era stato lui ad attirare la loro attenzione. Pensai alle varie ipotesi, scartando in fretta quelle meno probabili.

-E quale sarebbe? – chiese agitato.

Lo guardai seria.

-Non ne ho idea.

Tamburellò con le dita sulle ginocchia, nervoso più che mai, ripentendo a bassa voce più volte la parola 'cazzo'.

-Va'. – ordinai – Corri da loro, devi dargli supporto da un altro lato.

Prese la pistola con mani tremolanti.

-E tu? – domandò – Non posso andare da solo, non ne sono capace.

Lo strattonai, afferrandolo per il colletto della polo.

-Sì invece. Hanno bisogno di te adesso, fa' l'uomo dannazione. – lo spronai – Io non posso correre, non ce la faccio. Passa per la radura, io intanto vado a vedere il loro campo. Cerco di scoprire qualcosa.

Dopo aver deglutito, mi strinse in un abbraccio frettoloso ed si affrettò a raggiungere gli altri. Camminai quatta quatta verso il loro barbecue, osservando i loro oggetti. Non c'era niente di particolare, zainetti, qualche coltello, una bottiglia d'acqua. Non dovevano essere in viaggio da molto, poiché erano provvisti di poche cose. Come se non sapessero cosa significasse vivere all'aperto. Era rimasta qualche striscia di carne sulla grata, ma non sapevo distinguerne il tipo. Assaggiai un minuscolo pezzetto, ma prima che buttassi giù il boccone, notai fra alcuni fasci d'erba delle ossa a cui era rimasta ancora attaccata qualche lembo di carne. Subito un conato mi travolse, obbligandomi a vomitare le poche sostanze che avevo nello stomaco e a sputare quell'affare. Posai una mano all'altezza dello stomaco, come se mi aiutasse nell'atto. Rimisi, continuando a fissare quelle dannate ossa. Non appartenevano ad un animale, ma ad un essere umano. Tibia e perone. Avevo rischiato di inghiottire una fascio di muscolatura di un polpaccio. Fissai la chiazza di bile a terra, sputandoci sopra per togliermi dalla bocca il saporaccio e quella terribile sensazione. Le persone che avevamo visto, forse erano di Terminus, o forse era altra gente dallo stesso stile di vita. Poggiai il dorso della mano sulle labbra, come per evitare altri conati. Zoppicai per qualche metro, pensando di dover immediatamente ricongiungermi con gli altri. Erano individui pericolosi, avremmo dovuto occuparcene al più presto. Tentai di scacciare quel disgustoso pensiero che mi attanagliava la testa, ma una strisciata di sangue mi distrasse. Un corpo era stato trascinato ed adagiato dietro all'angolo della scuola. Probabilmente la stessa persona a cui era stata amputata parte della gamba. Tornai a fissare le ossa. Non molto spesse, né troppo lunghe. Appartenevano a qualcuno di giovane età, ma a quella distanza non potevo avere la certezza del sesso, non potevo sbilanciarmi. Alternai occhiate alle ossa e alla striscia di sangue, continuando a ripetere fra me e me la stessa identica frase: Ti prego, fa' che non sia lei. Ti prego, non lei. 
Mi adagiai al muro, trascinandomi quasi su di esso con fare cadaverico. Non volevo guardare, scoprire chi fosse la vittima, ma qualcosa mi diceva che avrei dovuto farlo. Forse, Rick aveva attirato l'attenzione di quelle persone proprio per permettere a me e a Kio di salvarla. Trattenni il respiro e dopo aver fissato a lungo la chiazza di sangue, mi affacciai.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 : Nessuna tregua ***


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Angolo autrice

Buonasera lettori! Here I am, again. In ritardo, ma non troppo. Fra Lucca Comics, Halloween ed università, non ho mai avuto modo di riguardare il capitolo. Ma, siccome vi voglio bene, sto sfruttando questi minuti per pubblicare, anche se.. probabilmente.. da questo aggiornamento in poi inizierete ad odiarmi. Non vi darò dettagli, capirete da soli. Ad ogni modo, vi ringrazio davvero per il sostegno. Per me scrivere è una liberazione, un modo per sfogarmi e dedicarmi a ciò che amo. Perciò, ricevere i vostri commenti, giudizi, ( perchè sì, a mio avviso non si tratta solo di banali recensioni ) mi riempie di gioia. Quindi, non badate a farvi sentire, sia che siano pareri positivi, sia che siano delle vere mazzate. Tra l'altro, ho recentemente riletto i primi capitoli, e mi sono resa conto quanto fossero scialbi, o meglio, non interessanti quanto lo erano nella mia mente. Una parte di me vorrebbe riscreverli, correggerli, ma l'altra mi dice di lasciarli così come sono, perchè, dopotutto, fanno parte anche di me, sarebbe come rinnegare quell'inizio. In sostanza, credo che non li toccherò. Perciò, a voi che magari state leggendo solo ora questa storia, iniziando così per curiosità da questo ultimo aggiornamento, please, non leggette quelli e fuggite subito, vi prometto che la storia è molto più interessante. Detto questo, vi auguro buona lettura e vi mando un abbraccio virtuale.
Ci sentiamo nelle recensioni :*

 


Capitolo 27 : Nessuna tregua

Il mondo mi crollò addosso. Una fitta al cuore mi travolse, bloccandomi il respiro per una frazione di secondi. La mano che era poggiata sulle labbra per impedire un secondo conato, prese immediatamente un altro compito: evitare i singhiozzi. Le lacrime cominciarono subito a solcarmi le gote e la gola si strinse in una morsa dolorosa. Beth era lì, proprio di fronte a me, mutilata e sporca del suo stesso sangue. Levò i suoi occhi azzurri su di me, urlanti di scuse. Oltre alla sofferenza, nelle sue iridi vi era richiesta di perdono. Si sentiva in colpa, si era allontanata pensando di essere al sicuro. Mi buttai a terra in ginocchio, immergendomi nella pozza di sangue arterioso. Aveva una fasciatura provvisoria, ma la ferita non era stata cauterizzata. A giudicare dal sangue intorno, ne aveva perso molto, troppo. La sua pelle era pallida, lunare. Avvolsi il suo volto fra le mani, cercando di darle un po' di forza. Le toccavo le guance, le spostavo i capelli dorati dal volto e la strinsi a me, come se cingessi una bambina. No Cassie, non di nuovo. Per quanto cercassi di scacciare quelle immagini, mia sorella continuava ad occuparmi la mente. Gli stessi occhi marini, gli stessi capelli grano, la stessa innocenza. Fu come rivivere quel terribile momento. Ma adesso, le cose sarebbero andate diversamente. Beth, potevo salvarla.

-Non sei sola, ti ho trovato Beth. Siamo venuti qui per te, non preoccuparti.. Andrà tutto bene, d'accordo? – le sussurrai – Fidati di me.

Ella acconsentì con lo sguardo, tanto era debole. Mi dava l'impressione che avrebbe perso i sensi da un momento all'altro. Mi posizionai di lato per afferrarla e portarla in braccio.

-Ti farà male, ma cerca di restare sveglia. Non svenire, ti prego.

Beth piangeva, sicura di morire a breve. Feci un grande respiro e la tirai su. Soffocò un urlo, poggiando la bocca fra il mio collo e la spalla.

-Ce la farai, non azzardarti a mollare. Tienimi compagnia fino alla chiesa, intesi? – le ordinai dolcemente – Canticchiami qualcosa, ma non chiudere gli occhi.

Intonò un flebile motivetto a labbra serrate, ma bastava per far si che non si addormentasse. Obbligata a passare per la foresta, sapevo che l'odore del sangue avrebbe attirato i putridi, ma non vi era altra via d'uscita. Ad ogni passo veloce, una fitta alla coscia mi faceva digrignare i denti. Avrei sopportato. Immersa nella natura, cercai di tornare al punto di raccolta che avevamo contrassegnato, ma non c'era nessuno ad aspettarmi. La foresta era silenziosa, non udivo alcun sparo. Scacciai il pensiero che fosse successo qualcosa ai miei compagni. Probabilmente avevano raggiunto direttamente la chiesa in ritirata, o forse erano stati costretti a prendere una deviazione. Mi feci forza, sebbene le braccia cominciassero a farsi deboli. Beth era magra e minuta, ma pareva un macigno. Non ricordavo di aver posta tanta distanza dalla parrocchia alla scuola, ma ahimè il percorso sembrava infinito. Camminavo con difficoltà a causa del dolore pulsante e fastidioso, e la radura si estendeva sempre più.  Temevo di non riuscire a raggiungere in tempo il rifugio, Beth necessitava di cure immediate. Di colpo la canzone terminò e la ragazza abbassò le palpebre. Adagiai con delicatezza il mento alla sua fronte, avvertendo una temperatura alterata. Le stava salendo la febbre, la ferita si era infettata. La scossi un poco, il giusto per permetterle di riaprire gli occhi.

-Non ce la faccio.. – si scusò con voce tremolante – Sento di dover chiudere gli occhi.

-Sì che ce la fai. – insistetti – Sei forte Beth. Ci siamo quasi, non mollare proprio adesso.

Percepivo la canotta umida, non aveva ancora smesso di piangere.

-Avrò una protesi come papà?  - chiese con un filo di speranza.

-Più bella. – la incoraggiai.

La sua voce mi aiutò a stringere i denti e a continuare a camminare. Se pensavo a quanto mi facesse male la coscia, mi ricredevo considerando il dolore che potesse provare Beth, priva di una parte della gamba. Tutto mi ricordava Cassie. Non avrei mai potuto superare un'altra perdita simile. Stavolta non avrei fallito, stavolta sarei stata migliore. Con questo obiettivo ben fissato in testa, continuai la maratona. Dopo un miglio, mi abbassai per passare sotto a un ramo e scorsi la chiesa, compresi alcuni del gruppo che stavano di guardia. Non appena sbucai dal verde, mi trovai una balestra puntata contro, la quale, però, crollò a terra all'istante. Daryl ci guardava impietrito, sconvolto in volto. Osservai gli altri e nessuno osò avvicinarsi, come se non volessero accettare quell'immagine. Eravamo entrambe ricoperte di sangue, provate, ed ella menomata. Dopo quella frazione di secondi che mi parvero minuti interminabili, Daryl prese Beth fra le braccia  e corse dentro con Kio, pronto a fare tutto il possibile. Tyreese tirò un pugno alla parete, incazzato con se stesso, e seguì i due uomini. Si sentiva responsabile. Carol era statuaria come al solito, i muscoli facciali non evidenziarono un'espressione addolorata, ma le sue iridi si fecero lucide. Il figlio dello sceriffo e Sasha erano all'interno, quindi non potetti osservare le loro reazioni emotive, a differenza di Michonne che aveva la testa china, ma le mani strette in pugni. Rabbiosa. Rick fissava l'ingresso della parrocchia, immobile come se si fosse spento. Dalla spalla sinistra gocciolavano alcune lacrime di sangue. Era stato attraversato da un proiettile. Mi avvicinai a lui, arrancando. Avrei dovuto sedermi, non sforzare ulteriormente quel povero arto leso, ma in quel preciso momento pensavo a tutt'altro. La preoccupazione era troppa. Senza che aprisse bocca, egli parlò come se interrogato, farfugliando fra la folta barba brizzolata.

-Non l'avevo nemmeno vista all'inizio, sai? La prima cosa che ho notato è stato il volto di Gareth. Lì non ci ho visto più ed ho fatto fuoco, lo volevo morto. Non potevo permettere che si avvicinasse alla chiesa. Poi da un angolo dell'edificio ho notato di traverso una chioma bionda, ma ho dovuto attirare il nemico lontano, per permettere a voi due di recuperarla. Pensavo.. io credevo che non le fosse successo ancora niente, che fossimo arrivati in tempo.

-Quel bastardo è ancora vivo. – pronunciò Michonne – Dobbiamo eliminare quella feccia.

Percepii il battito cardiaco accelerare, come se fino a quel momento mi fossi trovata sospesa in una specie di limbo. L'adrenalina scomparve, lasciandomi priva di difese. L'angoscia, la paura, la disperazione presero il sopravvento. Mi controllai le mani pregne di sangue e una precisa immagine apparve davanti ai miei occhi. La carne, la carne cotta che avevo rischiato di ingerire. La carne di Beth. Feci qualche passo avanti, volendo allontanarmi dai due per prendere un poco di fiato, ma crollai a terra a causa della gamba.

-Kendra! – chiamò lo sceriffo, affiancandomi all'istante.

Rimasi lì, inginocchiata nell'erba con lo sguardo assente. Fissai la scia rossa che Beth si era lasciata dietro, provocandomi continui flash di mia sorella. Strinsi le braccia inconsciamente, come se avessi lei in grembo. Di punto in bianco caddi in un pianto isterico privo di lacrime, caratterizzato unicamente da singhiozzi incontrollabili. Stavo rivivendo quella perdita e non riuscivo ad uscirne. Mi sembrava tutto così reale. Rick mi prese la testa fra le mani, cercando di farmi concentrare sul suo volto.

-Kendra, che ti prende? – parlò agitato – Non crollare, andrà tutto bene. Beth ce la farà, ne sono sicuro.

Michonne apparve alle sue spalle, restando in piedi a fissarmi come se mi studiasse. Abbassai lo sguardo, ricordando il corpicino di Cassie privo di vita.

-L'ho persa. – singhiozzai – Non sono riuscita a salvarla.

Lo sceriffo mi scosse, credendo di riportarmi alla realtà.

-Ehi, guardami dannazione. – insistette – L'hai salvata, capito? Kioshi si sta prendendo cura di lei.

Sentivo il peso di mia sorella, percepivo il suo sangue scorrermi addosso. Il suo ventre dilaniato, la pelle pallida.

-Cassie.. – sibilai.

Rick si voltò per scrutare samurai, come se ella potesse fornirgli indizi.

-Chi diavolo è Cassie? – interrogò la donna.

Lo sceriffo mosse la testa in segno di negazione, egli non sapeva niente al riguardo, e tornò a me. Mi fissava con occhi di rammarico, non conosceva la persona che avevo perso, ma ne capiva il dolore. Ad ogni modo, egli non sapeva come rassicurarmi o come bloccare quello stato di delirio.

-E' una crisi di nervi. – parlò, spiegando la propria ipotesi.

Michonne mi scrutò meglio, poggiando una mano sul fianco. Non sembrava esser d'accordo.

-Kendra, ti prego. Ascoltami. – supplicò Rick – Dobbiamo essere forti per poter affrontare tutto quello che verrà, se ci lasciamo prendere dalle emozioni.. moriamo, lo capisci questo? Sei riuscita a portare Beth qua, nonostante la gamba malandata. Significa che ne hai la capacità.

Quelle parole mi giungevano a tratti, confuse. Mi girava forte la testa e i flash continuavano a proiettarsi indisturbati, come se volessero torturarmi. Intorno a me non vedevo nemmeno più la chiesa o la foresta, ma unicamente quel maledetto garage, quel terribile angolo di mondo dove avevo perso una parte di me.

-E' più un attacco di panico. – disse brusca Michonne, spostando lo sceriffo di lato. – Lascia fare a me, ci penso io.

Mi afferrò per il collo della canotta, in modo da tirarmi su leggermente.

-Non c'è tempo per queste stronzate. – mi parlò scocciata.

-Michonne! – rimproverò Rick.

Ella gli lanciò un'occhiata e poi mi colpì senza ritegno, tirandomi uno schiaffo a pieno palmo sulla guancia sinistra. La mia testa scattò di lato e per un attimo tutto mi parve vibrare. L'allucinazione si fece man mano più sfumata, fino a scomparire.

-Non ti pare di aver esagerato? – brontolò il capo – Non era necessario.

La zona colpita prese a frizzare terribilmente. Mi aveva davvero presa bene. Michonne mollò la presa, soddisfatta del gesto compiuto. Ne aveva tutti i motivi, in fondo. Non la biasimai. Rick fece per aggiungere altro, ma lo precedetti.

-No, mi è servito. – ammisi – Grazie.

Rick rimase un poco interdetto, ma poi si avvicinò per aiutare ad alzarmi. Non riuscivo più a far peso sulla gamba, l'avevo praticamente distrutta. Egli mi cinse così come Kio aveva fatto nella radura e pian piano cercammo di raggiungere la parrocchia. Michonne mi fece un cenno con la testa, come per dire ' no problem '. Quando fummo abbastanza vicini, ma ancora ben lontani dalla porta, ecco che questa si spalancò. Daryl emerse da quelle quattro mura pulendosi le mani con uno straccio, cercando di levare via il sangue. Stava per dire qualcosa sulle condizioni di Beth, ma appena mi vide cambiò immediatamente soggetto.

-Cosa cazzo è successo? – abbaiò.

-Niente. – rispose secca samurai.

Egli gettò via lo straccio ed indicandomi il volto, continuò.

-Ah davvero? – chiese ironico – Cosa le avete fatto?

Sebbene fosse stata Michonne a rispondere, Daryl continuava a fissare lo sceriffo.

-Mi hanno dato una mano. – conclusi in fretta.

L'arciere non mollò.

-Lo vedo bene. – sottolineò, riferendosi alle cinque dita impresse sulla mia guancia. – Comunque Beth è stabile, per il momento.

Rick non riuscì a trattenere un sorriso.

-Kioshi, cosa ne pensa?

-Dice che ha perso molto sangue, che la ferita è infetta. – parlò serio – Ma potrebbe farcela, insomma.. noi non possiamo far altro che aspettare e sperare.

Feci cenno a Rick di andare. Percepivo la forte frenesia di accertarsi che ella fosse stabile, che Beth respirasse ancora, che non avesse fallito come leader, come protettore di questa gente, ormai un misero gruppo di sopravvissuti deteriorati. Michonne fece altrettanto, seguendo lo sceriffo quasi fosse la sua ombra. Daryl invece rimase lì immobile a guardarmi, come se avesse molto da dirmi, ma niente di davvero importante da confessare. Mi allungai con le braccia per toccare gli scalini, in modo da appoggiarmi su di essi e di non far leva sulla gamba dolente. L'arciere si sporse in avanti per aiutarmi, ma ignorai quel gesto e feci da sola, ritrovandomi finalmente col culo a terra.
In questi anni avevo avuto degli alti e bassi, ma ero sempre riuscita a non annegare nella depressione, o disperazione, quel che è. Adesso, invece, non riuscivo nemmeno a riconoscermi.

-Pensavo che ti avesse raggiunto..

-Lo avrei voluto. – assentì.

Rivolsi i palmi in modo tale da osservarne il sangue secco e appiccicoso. Mi sentivo sporca, bagnata della morte. Come se potesse provare quella sensazione, Daryl mi consigliò di entrare e cambiarmi.

-Dovresti toglierti quegli stracci di dosso, sciacquarti.. – affrettò – Riesci ad arrivare al bagno?

L'intento era presente, ma non dipendeva da me. Avrei preferito inciampare mille volte piuttosto che chiedergli per l'ennesima volta una mano. Per lui ero solamente una ragazza debole, bisognosa di avere costantemente qualcuno alle spalle che potesse prendersi cura della probabile vittima, in quanto capace di rifugiarsi sempre in situazioni pericolose. Non volevo più essere considerata tale, perciò mi alzai velocemente, seppur con cautela, e raggiunsi l'ingresso in silenzio. Una volta dentro, Carl mi venne incontro osservando smaniosamente le chiazze di sangue sui miei indumenti.

-Sei ferita?? – domandò preoccupato – Papà ha detto che l'hai portata tu, ma..

-Sto bene, davvero. – interruppi per rassicurarlo – Solo la gamba fa un po' di capricci.

Sospirò lentamente, abbassando lo sguardo ai propri piedi.

-Già, la gamba.. – disse, riferendosi non proprio a me.

Poggiai una mano sulla sua spalla.

-Andrà tutto bene, Carl. Anzi, vedi di recuperare del materiale.. C'è bisogno di una nuova protesi.

Il ragazzo non parve del tutto convinto, come dargli torto. Non voleva illudersi di un esito positivo, ultimamente per noi non ce ne erano proprio stati. Ad ogni modo, si sistemò il cappello e si allontanò per andare a rovistare fra gli oggetti accumulati in un angolo della parrocchia. Non appena spostai lo sguardo, notai il parroco fissare me e la striscia di sangue sul pavimento, impietrito come se tutto ciò lo turbasse violentemente. Sasha, al contrario, continuava a dondolare fra le braccia Judith, nel mentre Carol non la perdeva di vista. Attraversai la volta, superando Gabriel, tanto per permettermi di udire sussurri simili a preghiere, e mi chiusi alle spalle la porta del bagno. Fu allora che strinsi fra le dita la coscia, gemendo interiormente. Cazzo, cazzo, cazzo. Ripetevo fra me e me. I punti si erano aperti, nonostante la fasciatura ben stretta. Sfilai lentamente i pantaloni, cercando di non strusciare sulla zona lesa. La benda si era inzuppata di sangue. Era impossibile distinguere il mio da quello di Beth. Mi liberai dalla garza con delicatezza, come se ciò potesse limitarne il dolore. Quando staccai l'ultimo centimetro di quella pezza dalla mia pelle, la porta si mosse in seguito ad una bussata leggera.

-Kendra. – parlò piano Kio – Posso?

-No. – risposi scocciata.

Poggiai la benda sul lavandino e tentai di pulire la ferita.

-Bene, allora entro. – concluse.

La porta si spalancò immediatamente, senza darmi il tempo di ribattere.

-Cristo, Kioshi. – brontolai seccata.

Era la seconda volta che mi vedeva in mutande. Cominciava a darmi molto fastidio.

-Volevo solo vedere come era messa la gamba.

Sarò stupida, ma mi vergognavo a stare in intimo davanti a lui, sebbene fosse un dottore.

-E se stavo pisciando? – ipotizzai – Che diavolo, hai pure chiesto il permesso e poi hai fatto come ti è parso.

Ridacchiò.

-Non mi è sembrato di sentire il rumore di una pisciata. – punzecchiò – Non dirmi che sei imbarazzata!

Non capivo cosa ci fosse di sbagliato, dopotutto. Sì, il mondo che conoscevamo era finito a pezzi, ma ancora mi imbarazzavo per cose del genere. Ad ogni modo, lo ignorai. Egli allora tornò serio e si avvicinò per medicarmi nuovamente quella stupida coscia. Fissavo il soffitto, come volessi fingere che Kioshi non fosse così vicino e che fossi in mutande, proprio come quando si fa un vaccino e ci si gira per evitare di vedere l'ago penetrare la carne. Azioni sciocche, ma che aiutavano a non accettare certe situazioni. Per fingermi a mio agio, gli chiesi di Beth.

-Daryl ci ha informato che può farcela, è così? – domandai – Insomma, che è grave, ma che ha buone possibilità.

Mi rispose senza staccare gli occhi dalla ferita.

-Sì, è così.

Mi soprese. Rimasi interdetta da quella sentenza breve e fugace. Mi fece comprendere che non ne era affatto convinto. Beth non ce l'avrebbe fatta.

-Voglio la verità. – insistetti.

-E' quello che ti ho detto.

Lo spinsi, in modo da poterlo guardare negli occhi, ma ciò che vedi mi pietrificò. Stava piangendo.

-Cosa vuoi che ti dica, eh? – singhiozzò – Quella ragazza è spacciata, non sei stupida. Hai visto in che condizioni si trova, il sangue che ha perso..

Afferrai la sua maglietta, stringendo quella stoffa fra le mie dita.

-No, non è vero! – balbettai sconcertata – Tu hai detto agli altri che può farcela!

-Ho mentito, va bene? – spiegò, asciugandosi le lacrime – Daryl e Ty mi stavano addosso, mi fissavano come per dirmi che mi avrebbero ucciso se non avessi dato loro buone notizie. Sono un medico, è vero, ma non posso fare niente in questo caso. Le ho solo allungato le sofferenze per qualche ora, giorno.. non lo so nemmeno io.

Appoggiai la fronte al suo petto, scuotendo la testa come per negare quelle parole.

-Hai dato loro delle speranze. – dissi con voce tremante – Mi hai fatto credere che potesse salvarsi.

-Mi dispiace..

Lo allontanai, lasciando la presa.

-Come hai potuto? Non ha senso.. Io lo avrei detto subito. Loro meritano di sapere, di conoscere la realtà. Devi dirglielo. Ora.

Incrociò le braccia al petto, fissandosi i piedi. Sapevo che era un uomo debole, ma non avrei immaginato che sarebbe arrivato a tanto.

-Non so se posso farlo..

-Stai scherzando, vero? – mi incazzai – Questo non è un gioco. Dannazione, stiamo parlando di una persona, della vita di un ragazza. Perché mai devi tirarti indietro. Prenditi la responsabilità delle tue azioni e rimedia. Non sono certo qui per farti da madre. E' già tanto se non ti ho tirato un pugno, cazzo.

Kioshi mi fissava, stretto all'angolo dalle mie parole. Sapeva che avevo ragione, ma era troppo deluso da se stesso per rispondermi.

-Beth sta morendo e tu sei qui, a fingere che niente stia accadendo. – continuai – Non ho nessuna intenzione di starmene qua con te.

Indossai i jeans più in fretta che potei ed abbandonai quella stanza. Camminai velocemente fino a raggiungere il luogo in cui si trovava Beth, feci per aprire la porta, ma la mano non volle abbassare la maniglia. Il corpo non mi rispondeva, come se volesse dirmi che non era il caso di vederla subito, che rischiavo un altro stupido attacco di nervi. Mi vergognai di me stessa, ma tornai di nuovo fuori, evitando pure Carol, sebbene avessi notato che volesse parlarmi. Non appena il sole mi colpì, tirai un sospiro di sollievo. Ero così incazzata che temevo di esplodere.

-Non eri andata a cambiarti? – domandò l'arciere.

Era poggiato al muro della chiesa, con la balestra ben stretta fra le mani e gli occhi vigili, puntati sulla radura. Non mi ero nemmeno accorta della sua presenza. D'istinto mi controllai gli abiti, osservando il sangue. Mi ero così innervosita da essermi dimenticata di ciò.

-Cosa ci fai qua fuori? Perché non entri e..

-Sto di guardia. – interruppe – Nel caso quei bastarti si facessero vivi. Devono crepare, tutti.

I rami degli alberi ondeggiavano come piccole onde a causa del vento, seppur leggero. Daryl aveva ragione, quegli stronzi sarebbero sicuramente tornati. Dovevamo farci trovare pronti. Non potevamo permetterci di essere presi alla sprovvista. Ma ero sicura che Rick stesse già pensando ad un piano.

-Beth si è salvata per un pelo.. – continuò – ma non permetterò che quei schifosi facciano del male ad altre persone.

Sentii una stretta allo stomaco. Era davvero convinto che Beth avesse buone probabilità.

-Daryl, a tal proposito..

-Daryl, potresti entrare? – interruppe Kio, facendo capolino dal portone. – Ho bisogno di parlarti. Di parlare con tutti voi, in realtà.

Ci scambiammo un'occhiata. Aveva preso il coraggio per dare la notizia. Daryl comprese immediatamente che qualcosa non andava e non allungò ulteriormente il discorso. Vedendo che non avevo intenzione di seguirli, mi passò la balestra. Quell'arma pesante mi portò alla mente quei giorni dopo l'attacco del Governatore, quando mi portavo sulle spalle quell'oggetto. Era passato del tempo, ma mi sembrava ieri. Ero stanca di veder morire le persone, sia coloro che avevo vicino sia quelle che non conoscevo. In una parte remota del mio inconscio, sapevo di desiderare la morte. Occhio non vede, cuore non duole. Impugnai la balestra e mirai fra gli arbusti. Percepii un leggero scricchiolio, un passo pesante, strascicato. Si trattava sicuramente di un putrido. Mirai e scoccai. Un tonfo.

 

*
 

La notte era calata silenziosa e impercettibile su di noi, coprendoci come un manto magico. Le stelle si scorgevano appena, un accenno di luce qua e là nell'oscurità più profonda. Avrei voluto osservare tale bellezza in un altro più radioso contesto. La mia famiglia, i compagni dell'esercito, gli amici. Invece, mi ritrovavo lì, seduta su un bauletto rovinato, stringendo fra le mani le dita di Beth, ma con gli occhi rivolti al cielo, a quella finestra appena socchiusa. Non udivo alcun suono, se non l'impercettibile respiro debole della ragazza. A quanto diceva Kioshi, non le restava molto. Perciò, avevamo deciso di fare dei turni. Non volevamo lasciarla nemmeno per un istante. Ogni tanto riprendeva conoscenza, e ci sembrava giusto che potesse vedere al proprio fianco uno di noi, come per ricordarle che non fosse sola, che le volevamo bene. Credo che avesse capito, non parlava molto, ma mi bastava il suo sguardo. Noi ce la mettevamo tutta a non presentarci con volti cupi e rassegnati, ma le emozioni ci tradivano. Ci sentivamo tutti in colpa. Era successo, così, all'improvviso, senza che noi potessimo effettivamente fare qualcosa. Eppure, sentivamo di esserne responsabili.

-E' una bella notte per andarsene. – sospirò.

Mi voltai immediatamente, stringendo la presa.

-Beth, non dire sciocchezze.

Sorrise.

-Ehi, va tutto bene.. davvero. – Mi guardava con occhi stanchi – Sembrate più spaventati voi di quanto dovrei esserlo io.

Così giovane, ma più forte di quanto potessi immaginare.

-Beth, io avrei voluto insistere. – confessai – Avrei voluto dare ragione a Tyreese e proibirti di uscire.

-Stai scherzando, vero? Se non fosse stato per te, sarei rimasta laggiù.. come esca o spuntino per qualche schifoso vagante. E' grazie a te se sono qui.. se posso morire in questo letto, circondata dalle persone che amo. – parlò affaticata – Ammettilo, non esiste modo migliore.

Risultava alquanto difficile trattenere le lacrime, ma mi stavo aggrappando con tutta me stessa a quella minuscola probabilità. Non potevo crollare di fronte a lei. Oltretutto, aveva pure ragione. Aveva perso una gamba, aveva dovuto affrontare difficili sfide e situazioni altrettanto orribili, ma non poteva esistere scenario migliore. Le sorrisi e l'abbracciai, accarezzandola come se fosse mia sorella. Non le risposi, ma fu come se lo avessi fatto. La porta si aprì lentamente, rivelando che la persona all'altro lato non aveva intenzione di disturbare in alcun modo. Ma non appena vidi il volto di Beth illuminarsi, capii di chi si trattava. Ci sorridemmo e la lasciai in compagnia di quell'uomo che aveva sempre ammirato, Daryl. Non appena la porta si chiuse fui come colta da una valanga di emozioni. Era difficile restare impassibile. Cercai di nascondere le lacrime e mi affrettai a raggiungere le scale in legno di una piccola stanza sul retro, le quali portavano al tetto. Ogni qualvolta che mi trovavo in crisi, fuggivo sempre nell'altezza. Era un'azione che non mi avrebbe mai abbandonata. Non appena posai le ginocchia su quelle fredde tegole, notai, a malincuore, di non essere sola.

-Hai la gamba praticamente distrutta, ma ancora ti ostini a non startene buona e ferma da qualche parte. – proferì una voce rauca.

Mi avvicinai a Rick facendo attenzione a non scivolare.

-Non pensavo che avrei trovato qualcuno quassù.

-Nemmeno io. – ammise lo sceriffo – Ma da qui ho un'ottima visuale.

Feci un profondo respiro interiore, annaspando per trovare il coraggio di parlargli di ciò che era accaduto ultimamente fra noi. Avevamo finto di chiarire, ma in realtà avevamo peggiorato la cose, mettendo fra noi più tensione di quanto servisse.

-Rick, so che non è il momento giusto per discuterne..

-Ma vuoi farlo comunque. – finì la frase.

Confermai.

-Volevo chiederti scusa, tutto qui. So di aver reagito non male, malissimo. Ho fatto la bambina.

Fu allora che egli distolse lo sguardo dalla pece radura.

-Chi ha sbagliato non sei tu, ma io che non ho avuto riguardi nel baciarti. E ad esser sinceri, ancora non so perché l'ho fatto. Ad ogni modo, spero che questo non rovini il nostro rapporto. Stiamo passando un brutto periodo e c'è bisogno di essere coesi.

Aveva ragione su tutto il fronte, sebbene mi sentissi io quella in torto. Lo guardai come per confermare il suo discorso e sorrisi, felice di averci messo una pietra sopra. Ma come una sciocca, iniziai a piangere nuovamente. Fu una specie di sfogo. Non volevo accettare che Beth non sarebbe sopravvissuta, odiavo l'idea di dover scontrarci con i restanti di Terminus. Eravamo in bilico, nessun vero e proprio rifugio sicuro. Inoltre, ero sicura che Abraham e gli altri sarebbero tornati con brutte notizie. Mi sentivo come se anche tutti noi fossimo giunti alla fine. Quelle piccole gocce salate danzavano lungo le gote, solcandomi il volto senza esser accompagnate da gemiti o singhiozzi. Essendo completamento buio, non mi preoccupai molto di Rick. Davo per scontato che egli non potesse accorgersene. Invece, fui colta di sorpresa. Lo sceriffo allungò il braccio destro come per afferrarmi, ma questo rimase sospeso in aria, a mo' di invito. Agii d'istinto, senza problematizzare troppo su quel gesto, e mi avvicinai, adagiando la testa sulla sua spalla. Mi cinse e restammo lì a fissare quell'oceano erbaceo. Non mi vergognai di quel contatto, percepivo di sentirne il bisogno. E quando il dorso della mia mano si inumidì, compresi quanto egli stesso ne avesse davvero urgenza. In fondo, non ero l'unica a piangere in quella tragica notte. Ovviamente, se tutto fosse rimasto immutato, il fato o Dio non si sarebbero divertiti abbastanza. Un'improvvisa esplosione mi destò da quel sogno, da quell'effimero senso di pace. 
E adesso?

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 : Scacco Matto ***


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Capitolo 28 : Scacco Matto


L'aria si fece calda e la natura attorno a noi si accese. Un'alta fiamma si levò fra le fitte chiome, divampando pian piano. Qualcuno uscì dalla parrocchia e noi raggiungemmo gli altri, spezzando quell'abbraccio. Attraversammo di corsa la navata, ignorando le domande e le chiacchiere altrui. Tutti ci stavamo chiedendo cosa fosse successo, cosa potesse accadere laggiù, oltretutto non molto lontano da noi. Il sospetto ricadde immediatamente su Gareth e la sua banda. Il cuore mi prese a battere all'impazzata.

-Cosa cazzo sta succedendo? – chiese Michonne, come se qualcuno di noi ne avesse idea.

-Non lo so. – rispose preoccupato Rick – Ma dovremmo controllare.

Kioshi mi guardava impanicato.

-Sei sicuro? – domandò il dottorino – Forse dovremmo barricarci qui.

-Ed aspettare come topi in trappola? – ribatté Carol – Non se ne parla.

-Oltretutto, è pure possibile che qualcuno abbia bisogno d'aiuto. Non possiamo semplicemente restarcene qui a far niente. – aggiunsi.

Kio mi lanciò un'occhiataccia, arrabbiato che non gli avessi dato appoggio. Non era il momento di fare i vigliacchi.

-Kendra ha ragione, dobbiamo muoverci. – esortì Daryl, caricando la balestra.

Rick ci divise in due gruppi. Io, Daryl, Ty e Sasha saremmo andati in avanscoperta assieme a lui, mentre gli altri avrebbero difeso la parrocchia. Carl obiettò.

-Ma papà, voglio venire anch'io. – pregò – Posso darvi una mano.

-Ho bisogno che tu stia con tua sorella e con Beth, devi proteggerle e so che puoi riuscirci. Intesi?

Mi parve strano che non avesse voluto Michonne con sé, ma pensandoci un poco, era giusto così. Serviva qualcuno che fosse in grado di gestire la situazione in caso di vero pericolo, e lei ne era indubbiamente capace. Senza togliere niente a Carol che, effettivamente, a Terminus era stata disumana. Le dovevamo tutti la vita.

-Aspettate! – esclamò Kio – Forse qualcuno ha semplicemente lanciato una molotov e ci stiamo agitando per niente.

Daryl allora si mosse, finendo faccia a faccia con il giapponese.

-Credi davvero che un'esplosione del genere, con delle fiamme così alte, sia riconducibile ad una cazzo di molotov? – lo schernii – Ma non dovevano essere intelligenti gli asiatici?!

Ammonii Daryl con lo sguardo, sebbene non avesse tutti i torti. Kio si zittì e ci lasciò correre in pace. Camminavamo svelti e vigili attraverso i fitti alberi, attenti a non inciampare o incombere in qualche putrido. Decidemmo di dividerci ulteriormente, nel caso si fosse rivelata una trappola qualcuno doveva riuscire a far ritorno alla cappella per avvertire gli altri. Sasha e il fratello si separarono da noi, in modo tale da aggirare l'incendio. Non appena io, Rick e Daryl arrivammo al luogo dell'esplosione, notammo subito un camion ribaltato su una strada secondaria. Qualcuno aveva fatto detonare il mezzo di proposito. Poi, un'enorme mandria di zombie apparve lungo la strada, attratti dal grande baccano.

-E' una fottuta trappola. – urlò rabbioso l'arciere.

-Ci hanno voluti qui per un motivo preciso. – osservò Rick, guardandosi intorno.

Poi degli spari aleggiarono nelle vicinanze.

-Cazzo. – esclamai – Hanno voluto separarci per essere sicuri di abbatterci più facilmente. Dobbiamo immediatamente tornare indietro.

Non aspettammo un minuto di più ed iniziammo a correre come matti, cercando di raggiungere il più in fretta possibile la chiesa. Gli spari indicavano senza ombria di dubbio che Ty e Sasha avevano già avuto modo di scontrarsi coi cannibali. Non sentivo nessun dolore alla gamba, ma sapevo che era tutta colpa della botta di adrenalina. Non appena riemergemmo dal bosco, notammo Michonne correre incontro a Sasha, la quale si teneva il braccio sinistro con espressione dolorante. Era stata colpita.

-Sasha! Michonne! – gridò Rick – Tutto bene? Dov'è Tyreese?

Carl uscì dalla cappella affiancato da Carol, reggendo entrambi una pistola fra le mani.

-Cos'è successo? – urlò il ragazzino.

-Era una cazzo di trappola. – espose Daryl.

-Stanno arrivando. – esortì Sasha – Stavamo tenendo testa ad alcuni di loro, ma non appena abbiamo capito che altri stavano arrivando qui, abbiamo fatto retrofronte. Ty era proprio dietro di me. Io..

Vedevo dal suo sguardo quanto temesse per la vita del fratello, aveva paura che gli fosse successo qualcosa. Fatto da non escludere. Michonne la strattonò, evitando che quella decidesse di correre a cercarlo. Dovevamo metterci in posizione e farci trovare pronti. Un colpo di pistola echeggiò. Qualcuno aveva sparato in aria. Lo stesso qualcuno che stava avanzando verso di noi. Gareth.

-Ma che bel posticino. – disse ironico, procedendo spalleggiato dai suoi uomini – Non sarebbe bello se anche questo posto esplodesse e fosse avvolto da vaganti?

Era chiaro come il sole che si riferisse al loro maestoso rifugio da macellai. Ce l'aveva a morte con noi, avevano perso tutto. Non li avrei biasimati, se non fossero stati degli stronzi. Poi, quando furono più vicini e più visibili, scorsi il profilo di Tyreese. Il capo gli stava puntando una pistola alla nuca, sfidandoci. Sasha abbracciò immediatamente il fucile con l'intenzione di sparare, senza perdersi in inutili chiacchiere, ma Gareth la bloccò.

-Tu spari ed io faccio lo stesso. Non lo salveresti.

Ci scambiammo tutti delle occhiate, parlandoci senza aprir bocca. Era una situazione molto delicata, difficile da gestire.

-Cosa vuoi? – domandò sconfitto Rick – Possiamo trovare un accordo.

Mi voltai subito nella direzione dello sceriffo, incredula di aver udito tali parole. Gareth sorrise.

-Papà sei impazzito? – obiettò Carl.

Comprendevo il suo stupore, ma ero sicura che Rick avesse qualche sorta di piano in mente. Carol pareva fremere, avrebbe resisto ancora poco prima di far fuoco. Daryl, invece, era immobilizzato. Avrebbe voluto spaccare la faccia a quei mostri senz'anima, ma un'azione sprovveduta avrebbe dato una piega decisamente amara al contesto.

-Cosa voglio? Mi pare ovvio. – evidenziò – Vi voglio tutti morti.

Non feci in tempo a gridare di fermarsi, che un boato implose. Il proiettile uscì dalla canna e si conficcò nel cranio di Ty, il quale crollò in un battito di ciglia a terra, come una foglia secca d'autunno. Quel gesto diede il via alle danze. Sasha gridò, sparando colpi a caso fra i bastardi, come se avesse un mitra in mano. Michonne cercò di calmarla, ma, giustamente, c'era poco da fare. Rick si lanciò su Gareth, brandendo il machete. Un paio di loro caddero a terra, colpiti da i proiettili di Sasha. Corsi acquattata, cercando di evitare le pallottole, e li giustiziai. Penetrai la loro fronte con il mio bowie, colpendoli più di una volta. Mi avventavo su di loro, pugnalandoli con brutalità, come se volessi punirli di ogni vita di cui si erano appropriati ingiustamente. I carnefici divennero le vittime. Gabriel ci osservava inorridito dalla finestra. D'istinto mi guardai il corpo, tornando lucida per un istante. Ero a cavalcioni su un corpo ormai privo di vita, il bowie sgocciolava quel liquido ferroso ed io ero zuppa del loro sangue. Mi sollevai di scatto, scuotendo la testa come per negare ciò. Mi parve impossibile credere di avere così rabbia e frustrazione dentro di me. Mi guardai intorno, sperando che nessuno avesse assistito a quella mia scena, ma fui ironicamente tranquillizzata di tale preoccupazione. Non ero colei che aveva dato il peggio di sé. Gareth era morto, disteso a terra. Il suo corpo, il suo volto erano irriconoscibili. Rick lo stava ancora martoriando. La lotta era finita prima di quanto pensassi, ma nessuno di noi sembrava averlo capito. Ci stavamo sfogando su quei mostri, senza nemmeno renderci conto di cosa stessimo facendo, anzi, era liberatorio. Le mie mani colme di sangue iniziarono a tremare. Indietreggiai, allontanandomi da quella carcassa. Carl era pietrificato. Fissava il padre con sguardo glaciale. Non riuscivo a comprendere se ne fosse disgustato o appagato. Udii un pianto isterico e notai Sasha a terra fra l'erba umida. Abbracciava il fratello, cercando di pulire la ferita alla testa, come se fosse possibile salvarlo. Michonne e Carol accorsero. Avrei voluto raggiungerla, ma le mie gambe non si muovevano. Ero scioccata. Poi sentii un conato di vomito e scorsi Kio accovacciato accanto all'angolo della struttura. Mi sforzai e riuscii ad avvicinarmi, sebbene tutto mi appariva confuso.

-Kio, stai bene? – balbettai.

Ogni volta che mi trovavo di fronte ad una grande quantità di sangue, il mio cervello andava in tilt. Ero rimasta traumatizzata.

-Ti pare che stia bene? – disse fra uno sputo e l'altro – Cazzo, guardati. Guardali.

Non mi voltai per scrutare nuovamente quell'immagine, l'avevo già bene impressa in mente.

-Non capisco, non so cosa mi sia preso.

-Sei un mostro, come tutti loro. – grugnì, fuggendo dentro la chiesa.

Andai in iperventilazione. Tentai di gestire quella semi specie di attacco di panico, riprendendo pian piano il controllo del respiro. Rick lanciò il machete molto distante a sé e si lasciò cadere a terra, tenendosi la testa fra le mani imbrattate. Daryl recuperò i dardi e si guardò attorno soddisfatto. Quando però i nostri occhi si incrociarono, mi venne incontro.

-Sei ferita? – domandò, iniziando a tastarmi la maglietta bagnata.

Scacciai via le sue mani.

-Non è mio.

Corrugò la fronte.

-E allora cos'è questa faccia? – chiese innocentemente.

Mi innervosii. Come poteva essere così tranquillo?

-Cos'è questa faccia? Scherzi? – parlai seccata – Tyreese è morto, un'orda di vaganti è qua vicina e noi, noi abbiamo fatto questo.

Mi afferrò per la spalle, tentando di scuotermi.

-Abbiamo fatto quello che andava fatto, e lo sai bene. Non venirmi a dire che non ti è piaciuta la vendetta.

Abbassai lo sguardo ed egli se andò, aiutando Carol a far staccare Sasha dal corpo di Ty. Le parole di Daryl mi ronzavano in testa. I muscoli affermavano la sua supposizione, ma il cuore mi diceva che ciò mi aveva inorridito. Lasciai perdere tali pensieri e raggiunsi Rick. C'era bisogno di un piano. Non potevamo restare là ancora a lungo. Dovevamo spostarci e di corsa. Lo sceriffo fissava inespressivamente ciò che restava di Gareth, senza far caso alle mie parole. Lo afferrai per quei ricci umidi, bagnati sia di sudore che di liquido organico.

-Diamine Rick, ascoltami. – ripetei – Dobbiamo scappare, non possiamo restare qui.

L'odore di cenere e bruciato furono un'ulteriore prova di quanto fosse pericoloso restare. L'incendio stava avanzando.

-E' finita, è finita. – farfugliava.

-Dannazione Rick, non è il momento adatto per impazzire. Coraggio! – insistetti.

Inutile, non mi sentiva. Inspirai e lo colpii dritto in faccia, un bello schiaffo a mano tesa. Subito egli reagì, afferrandomi il polso e squadrandomi con odio.

-Mi hai costretta. – replicai.

Si sollevò come se si fosse appena svegliato da un incubo.

-Cazzo. – capì – Le fiamme sono vicine.

Buongiorno.

-Prendiamo ciò che possiamo e via, non c'è tempo da perdere.

Annuì.

-Carl! Va' a prendere tua sorella. Daryl, assicurati di prendere le scorte. Michonne, pensa alle munizioni. Carol, tira fuori da quel covo Gabriel e il dottore, e ..

Beth, Beth cazzo. Il panico. Non avevamo modo di spostare Beth, se non quella di prenderla in braccio. Ma sarebbe stato un enorme sforzo fisico sia per lei che per il volontario. Ci guardammo in cerca di una soluzione, quand'ecco che il rombo di un nuovo motore ci allarmò. Dalla radura spuntò un camion dei pompieri semi distrutto. Rick mirò, ma abbassò subito l'arma. Vidi Abraham alla guida. Eugene salì sul tetto del camion ed armeggiò con l'idrante, finché questo non riversò un enorme getto d'acqua. Alcuni alberi e vaganti si spensero. Mentre i due uomini si occupavano dell'incendio, Rosita, Tara, Maggie e Glenn scesero di corsa, per capire cosa stesse succedendo. Non appena scorsero la scia di cadaveri, fu facile farsi un'idea. Nessuno di noi osò dire nulla. Loro erano tornati, ma non avevano con sé buone notizie. Non c'era motivo di spiegarsi o di aggiungere altro, quand'ecco che Maggie pronunciò la frase che tutti noi temevamo.

-Dov'è mia sorella?
 

*
 

Le prime luci dell'alba si mischiarono fra il fumo che aleggiava ancora nell'aria. L'incendio era stato debellato e con esso anche gran parte dei putrefatti, i quali avevano preso fuoco, spengendosi come micce consumate di candele. Maggie si era chiusa in camera con la sorella e non aveva ancora lasciato la stanza. Glenn era molto provato, ma le lasciava i suoi spazi. A dirla tutta, noi tutti eravamo provati e distrutti. Senza parlare poi delle piccole tensioni che si erano create fra noi. Oltretutto, Abraham era stato preso in giro. Eugene non era chi diceva di essere. Non ne ero rimasta poi così tanto sorpresa, voglio dire, mi pareva quasi ovvio che avesse qualcosa di strano. Ad ogni modo, eravamo punto e a capo. Privi di speranze e privi di una meta. Avevamo deciso di spostarci, migrare come un branco. Stavamo solo aspettando che Beth riposasse, che finisse di soffrire. Ed era orribile starsene lì, credetemi. Buttai i panni ormai rovinati ed indossai la mia vecchia e cara camicetta verde militare, assieme ai jeans neri ormai sfiniti. Pulirmi di tutto quel sangue mi aveva alleggerita nel vero senso della parola, era come se mi fossi pulita anche della morte e del peccato commesso. Mi sciacquai il volto pallido e lasciai il bagno a Carol. Qualcuno mi picchiettò sulla spalla.

-Ehi. – disse Kio – Scusami, non intendevo di dire ciò che ..

-Ma lo hai fatto. – sostenni, scansandolo.

Egli rimase fermo come uno stoccafisso. Raccolsi in capelli in una coda lente e mi sdraiai su una delle panchine, fissando le travi del soffitto. Era orribile starsene con le mani in mano, angosciati dal non poter fare niente. Quella sensazione mi stava divorando dall'interno, si stava facendo spazio fra le viscere.

-Hai bisogno di parlare? – fece capolino Gabriel, oscurando le travi.

-No, grazie. – affrettai – Va' da qualcun altro.

Sasha, ad esempio. Aveva passato tutta la notte in un angolo della parrocchia, senza rivolgere parola a nessuno, sebbene a turni fossimo andati da lei. Come se avessi detto il contrario, si sedette ai miei piedi.

-Beh vedi, loro non sono proprio come te.

-No. – insistetti – Sono un mostro come loro.

Egli mi guardava con un'espressione indecifrabile, mettendomi a disagio.

-Ho visto cosa avete fatto e di certo non voglio negare la bestialità delle vostre azioni. Eravate demoni di fronte alla casa del Signore.

-Dove vuoi arrivare, parroco?

Egli inclinò leggermente la testa, offeso dal mio fare indisponente.

-Il fatto è che, a differenza degli altri, tu hai capito l'orrore.

Allora mi sedetti, arrabbiata.

-Credi forse che a loro sia piaciuto?

-Dico solo che loro lo hanno già accettato. Pensaci, non si stanno torturando come te. Dovresti andartene, finché sei in tempo. – replicò schietto, allontanandosi senza darmi occasione di rispondergli a tono.

Non avrei mai abbandonato queste persone, sebbene avessi dei legami precari con alcuni di loro, ormai restavano l'unica cosa che evitava di farmi spezzare. Erano la mia roccia, la mia nuova famiglia.

-Cosa voleva quello stronzo?

Daryl mi sorprese alle spalle.

-Niente di che. – mentii – E non chiamarlo così, in fondo è grazie a lui se adesso abbiamo un tetto.

Storse la bocca.

-Certo, perché aveva paura che lo uccidessimo.

Feci spallucce, non avevo voglia di discutere. Daryl era parecchio suscettibile e nervoso, a causa dell'intera situazione, ma soprattutto per Beth. Il suo solito modo per sfogarsi era litigare con mezzo mondo, ma stavolta non gli avrei dato motivo per farlo. Doveva imparare a gestire le emozioni. Non che io fossi una maestra in questo.

Si schiarì la voce.

-Insomma.. – indicò Rick con lo sguardo – Che intenzione hai con lui, eh?

Lo fulminai.

-Di cosa diavolo stai parlando?

In realtà, pregavo con tutta me stessa. Speravo che non avesse visto, né sapesse niente al riguardo.

-Credi che sia un'idiota? – disse irato – E poi ho visto come gli sei saltata addosso. Vedo che hai fatto in fretta a dimenticare questo famoso Drake.

Sghignazzava, soddisfatto di avermi sputtanata così. Che immaturo.

-Io gli sarei saltata addosso? E' lui che si è avventato su di me e..

Lì i suoi occhi si fecero d'improvviso freddi come la neve. Divenne serio, all'istante. Allora capii, era stata una furbata, una trappola per vedere se era effettivamente successo qualcosa fra me e lo sceriffo. Daryl aveva avuto solo dei sospetti, ora invece ne aveva la conferma.

-Accidenti, non ci posso davvero credere. – ironizzò – Non pensavo che tu fossi una..

Lasciò la frase in sospeso.

-Una cosa? – insistetti – Sentiamo.

Sapevo cosa stava per dire.

-Una così facile ragazza. – sorrise.

Avrei voluto colpirlo sul naso, ma mi trattenni. Non volevo attirare l'attenzione, né era il momento per bisticciare come bambini.

-Questo, è proprio tipico di te. Parli a vanvera, butti merda su chi ti pare, solo per non pensare a quanto sei incasinato dentro. Oggi però non ci casco, d'accordo? – parlai con calma – Piuttosto, evita di giudicare, visto che non sai nemmeno di cosa stai parlando. Così sembri solo geloso.

Si scostò i capelli dalla fronte, fingendosi a suo agio e affatto incazzato.

-Geloso di te? Figurati. Non ti fotterei neanche se tu fossi l'ultima donna rimasta.

Sorrisi, incanalando l'istinto omicida.

-Buono a sapersi. Almeno posso toglierti dalla lista. – dissi, fingendo di cancellare qualcosa in aria.

Ed egli mi mandò a fanculo con gli occhi. Mi alzai, gli avevo dato anche troppa corda. Ma non appena feci un passo, la porta si aprì e Maggie apparve in lacrime, tanto che cadde sulle proprie ginocchia, preda a gemiti e lamenti. Era successo. Beth se ne era andata. Tutti accorsero per sostenerla, per farle capire che non era sola, che potevamo farcela assieme, che avremmo affrontato qualsiasi cosa. Al contrario, restai immobile a distanza, guardando quella scena a rallentatore. Sapevo che tutte quelle persone, pur provando lei affetto e gratitudine per loro, non le erano effettivamente di conforto. Aveva perso l'ultimo membro di quella che un tempo era la sua vera famiglia. Così come Sasha. Ed essendoci passata io per prima, comprendevo entrambi i loro stati d'animo. Li avevo attraversati come se fossi stata su una giostra, delle montagne russe per esattezza. Ed era un vortice, un caos di emozioni, che non aveva mai fine. Ti faceva rimbalzare da una parte all'altra, sfinendoti pian piano, ma senza mai darti il colpo di grazia.
 

*
 

Il sole primeggiava centrale su quella distesa brillante e ricca di delicate nuvole bianche. Camminavamo da ore in silenzio ed ero stanca di fissarmi gli anfibi sporchi di fango. Né erano più interessanti gli alberi con i vaganti alle loro spalle. Un piccolo gruppetto di questi ci seguiva ad una velocità molto limitata, eravamo in vantaggio, perciò non avevamo motivo di allarmarci. Ce ne saremmo preoccupati più avanti, quando avremmo avuto bisogno di una pausa. Eravamo in cammino da giorni. Dovevamo conservare le energie il più possibile. Per questo motivo, mi trascinavo su quelle povere gambe, osservando il cielo, come per fingere che niente del genere fosse intorno a me. Come per rievocare quei momenti da piccola, quando mi sdraiavo in giardino al fianco di mia madre, e facevamo a gara a vedere più animali possibili in quei contorni sfumati e sbiaditi delle nuvole. Sasha e Maggie chiudevano la fila, avanzando come se fossero obbligate dal corpo. Glenn ogni tanto si voltava, cercava dei segnali che lo informassero di poter stare al fianco della donna amata, ma ella lo ignorava. Rick dominava in cima al gruppo, affiancato da un'agguerrita Michonne. Mentre Carl e Carol lo seguivano fiduciosi, sperando di trovare un luogo decente. Tara cercava di consolare Eugene, il quale fissava con rammarico Abraham, dispiaciuto che questo lo evitasse. Rosita, invece, cercava di farlo ragionare, sussurrando parole a me incomprensibili a tale distanza. Daryl andava e spariva di tanto in tanto, si gettava nella boscaglia e rispuntava dopo un miglio, per poi fare di nuovo la stessa cosa. Era quasi divertente immaginarsi da dove sarebbe sbucato la prossima volta. Kioshi era più avanti a me, ma ogni tanto mi chiedeva di parlare, ed io fingevo di non notarlo. Aveva funzionato per un bel lasso di tempo, ma la strategia era scaduta. Kio si proiettò al mio fianco, sforzando il volto in un sorriso più vero possibile.

-Bella giornata, eh? – provò.

Un facepalm ci stava tutto.

-Sul serio? – chiesi sbalordita – E' davvero la prima cosa che la tua testolina bacata ha consigliato di dire?

Sospirò sconfitto, abbassando lo sguardo.

-Sono qui per chiederti nuovamente scusa, non volevo dirlo. Giuro che non lo penso. Mi dispiace. Mi dispiace. – affrettò senza prendere fiato.

Gli afferrai il braccio, evitando che continuasse a ripetere quelle due parole all'infinito.

-Tranquillo, ok? – rassicurai – Mettiamoci una pietra sopra.

Annuì in silenzio, sorridendomi con sincerità. Notai Gabriel camminare lentamente, stringendo a sé la Bibbia. Ero sicura che stesse ripetendo qualche preghiera fra sé e sé, sebbene non vedessi le sue labbra muoversi. Fortunatamente, Kio sembrò essersi tolto un peso dalla coscienza, e non mi disturbò con altre futili chiacchiere, limitandosi a starsene vicino e zitto. Procedemmo per altre due ore buone, prima che quel senso di pace fosse distrutto da un'altra stronzata del giapponese.

-Ehi, ma cosa è successo al burbero? – bisbigliò – Lo hai fatto arrabbiare?

-Fammi capire, deve sempre essere colpa mia? – affrettai.

Daryl era appena riemerso dalla vegetazione con l'espressione più scorbutica che potesse mai assumere. Kioshi alzò le mani al cielo.

-E' il tuo fidanzato, mica il mio.

-Sei un masochista – affermai, squadrandolo con odio.

Egli si discostò con volto interrogativo.

-Tu vuoi essere picchiato di brutto. – continuai – Altrimenti la smetteresti di dire stronzate del genere.

-Ma a me pare..

-Non è il mio f-i-d-a-n-z-a-t-o. – sillabai con rabbia.

-Scusa, non volevo..

Inspirai afflitta, era insostenibile.

-Dio, smettila di chiedermi scusa ogni cinque secondi! – brontolai, affrettando il passo per lasciarlo solo.

Fortunatamente non mi seguì. Cominciava a darmi parecchio sui nervi. D'un tratto il gruppo si fermò, indicando una zona dove potevamo sostare per riprendere un po' le forze. Non appena posai le chiappe sull'erba, fui pervasa da una stanchezza spossante. Aprii lo zaino in cerca di acqua, ma la borraccia era praticamente vuota. Restavano un sorso o due. La ributtai dentro sconsolata e mi sdraiai, tornando a bearmi di quella vista azzurra. Nessuno di noi parlava o aveva voglia di scambiare due pareri sul da farsi. Che fossimo al limite? Forse. Eravamo stati costretti a dormire sotto un ponticello di pietra, poi su dei ciottoli, poi su qualche ramo. Avevo le ossa a pezzi, ma non ci davamo ancora per vinti. Anche se la tensione fra di noi era alle stelle. Inutile dire che eravamo tutti molto nervosi, pronti a scattare d'ira per un non nulla. Senza parlare poi di Abraham, che aveva trovato da qualche parte, forse addosso ad un putrido, una fiaschetta colma di whisky. Non colmava affatto il suo senso di sete, né lo aiutava a calmarsi. Anzi, noi tutti gli stavamo alla larga, temendo di farlo esplodere in qualche modo. Nessuno di noi lo voleva incazzato. Lo stomaco brontolò, ricordandomi che era passato un giorno dall'ultimo scoiattolo ingurgitato. Tra l'altro diviso con Carl. Riuscivo abbastanza bene a tenere a bada la fame, sebbene se ne avessi avuta l'occasione, avrei divorato un bue intero senza problemi. Ma, cercavo di tenere sotto controllo i miei bisogni primari, sperando di resistere fino a quando ce ne sarebbe stato bisogno. Dopo nemmeno dieci minuti, Rick si alzò, proseguendo lungo la strada. Quell'uomo ci stava sfinendo, ma nessuno di noi osava controbattere. Sapevamo che era per il nostro bene, tutto sommato. Mi sgranchii gli arti e ripresi la maratona, pur sapendo che non avremmo trovato nulla nemmeno questo giorno.

-Kendra. – disse dolcemente Glenn – Posso parlarti un attimo?

Mi parve strano che qualcuno dovesse chiedere il permesso per parlare, ma a giudicare dall'umore altrui, ne compresi il gesto.

-Certamente, dimmi pure. – lo rassicurai.

-So che può sembrarti una richiesta un po' strana. – ammise – Ma vedi, per quanto possa provare a parlare con Maggie, non credo di riuscire ad aiutarla a tutti gli effetti.

Iniziai a capire a cosa si riferisse.

-Insomma.. – continuò – Io non ho avuto modo di veder morire un fratello o una sorella minore, non so bene quali tasti toccare. Se non te la senti, non importa. Non ti sto costringendo, voglio che sia chiaro.

Ciò che mi stava chiedendo era molto. Solo il pensiero di dover scavare a fondo dentro il mio subconscio per far riaffiorare quelle terribili sensazioni, immagini e ricordi, era già doloroso di suo. Ma capivo benissimo lo stato d'animo di Glenn e non mi sarei mai tirata indietro per aiutarlo. Dopotutto, aveva ragione.

-Farò del mio meglio, non preoccuparti. – confortai – Ognuno di noi affronta queste tragedie a modo suo, non è detto che la mia chiacchierata le sia d'aiuto, anzi, magari le darà fastidio, ma voglio comunque provarci. Te lo devo.

Mi ringraziò con lo sguardo. Il suo volto, sebbene sporco, emanava una dolcezza pura. Era ovvio quanto amore provasse per quella ragazza. Doveva essere orribile sentirsi impotente. Oltretutto, mi sarebbe piaciuto parlare anche con Sasha, sebbene non avessi la minima confidenza con ella. Proprio mentre stavo per fermarmi, in modo tale da permettere a Maggie di raggiungermi, questa tossì piano, cercando di non farsi sentire. A giudicare dai movimenti fluidi della sua borraccia che penzolava dal fianco, capii quanto fosse vuota. Allora presi la mia.

-Ehi – gliela porsi – Vuoi un sorso?

Finsi naturalezza, come se il mio fosse un gesto del tutto innocente, cosa che era effettivamente, ma senza darle il sospetto che volessi parlarle ulteriormente. Lei scosse la testa, come mi aspettavo.

-No, tienila per te. Grazie comunque.

Dovetti insistere.

-Ne ho altra, non farti problemi. – mentii.

Ella allora ci ripensò, prendendomi delicatamente la borraccia dalle mani. Tenevo il suo passo senza proferir parola, sperando che fosse lei a fare il primo passo. Ero sicura che le ronzasse un qualsiasi pensiero fra la mente, ma non ero altrettanto sicura che volesse esporlo proprio a me.

-Kendra.. – sospirò, sorprendendomi – Vedi, ho parlato molto con Beth.. prima che..

Fece una pausa.

-E ha detto che sei stata tu a trovarla, a portarla nella chiesa..

Vidi la mascella irrigidirsi e gli occhi farsi umidi.

-Maggie, non importa.. – tentai di bloccarla, non volevo sforzarla.

-No. – rispose, un accenno di sorriso con labbra tremolanti – Ti volevo ringraziare..

Portò una mano vicino alla palpebre, asciugandosi le lacrime con la manica della camicia.

-Ho potuto salutarla.. – aggiunse.

Avrei voluto abbraccia, stringerla a me come se fosse stata una mia sorella maggiore. Ma cercai di essere dolce, pur restando discreta. Trovai il coraggio ed allungai la mano, sfiorai la sua credendo in un suo rifiuto, ma questo non vi fu, permettendomi allora di congiungerle.
Volevo farle capire che c'ero, che sapevo cosa provasse. Ero sicura che quando eravamo alla prigione, Glenn avesse riferito qualcosa di me, della mia storia. Si amavano così tanto che era impossibile pensare che potessero non dirsi tutto.

-Sai Maggie, non c'era bisogno che tu mi ringraziassi.. ma lo capisco. E poi non ero sola, Rick, Michonne, Kio.. siamo subito andati a cercarla. A parte questo, so che non hai bisogno, né vuoi sentirti dire uno di quei classici discorsi ormai etichettati "adatti" per queste situazioni. Perché non hanno valore, né mai hanno funzionato. Anzi, non so te, ma a me facevano stare peggio, senza contare poi che mi infuriavo come una iena.

Abbozzò un sorriso.

-Quindi. – continuai – Sarò schietta. Starai bene solo quando tu per prima l'avrai accettato. Non contano Glenn, Rick, Io o gli altri, ma solo tu. Nessun senso di colpa, nessun rammarico. Solo accettazione. Starai bene tu e sarà più felice lei. Io, purtroppo, l'ho capito troppo tardi.

Fu lei ad abbracciarmi, senza se e senza ma. Così, facendomi restare di stucco. Non le avevo detto chissà che cosa, avevo altre mille frasi in testa, ma quella parole mi erano venute dal cuore.

-Avrei solo voluto proteggerla, essere con lei. – sussurrò stringendomi – Ero la maggiore, era il mio compito. Ma ho fallito.

Si stava torturando, così come avevo e continuavo a fare io stessa.

-Io ero con lei.. – dissi, riferendomi a mia sorella – E niente è cambiato. Non abbiamo fallito, Maggie. Abbiamo fatto del nostro meglio e dobbiamo continuare a farlo. Per loro, ma anche per noi.

Guardai Glenn, mentre accarezzavo la schiena di Maggie e percepivo le sue lacrime sul collo. Era lontano, ma a giudicare dal movimento della labbra, distinsi un'unica parola: Grazie.
 

Angolo autrice
Beh, questo capitolo non è certamente uno dei più felici. Beth e Ty sono morti, è vero, ma ho cercato di 'regalare' alla ragazza una fine migliore. Non amo come hanno gestito la sua morte nella serie, freddata con i suoi cari alle spalle. Davvero crudele. Qui almeno ha avuto modo di avere tutti vicini e, soprattutto, di stare con sua sorella. Spero che, nonostante questa piega particolarmente triste, il capitolo sia comunque di vostro gradimento. Come sempre, vi mando un enorme abbraccio. Ci sentiamo nelle recensioni, non siate timidi :*

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 : Cielo ***


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Capitolo 29 : Cielo


Le gambe erano fiacche e rigide. Mi sembrava di trascinare sacchi pesanti quintali. La vista andava e veniva, annebbiandosi di tanto in tanto. Stropicciavo gli occhi, mi davo qualche pizzicotto. Facevo di tutto pur di restare vigile e sveglia. La pressione era al minimo. La gola asciutta, lo stomaco vuoto. Sicuramente ero disidratata e vicino allo svenimento, ma avrei resistito. Nessuno di noi era messo meglio. Ogni ruscello, laghetto o pozza che incrociavamo, era impura. Inoltre, non pioveva da giorni. L'aria era secca, molto arida. Il sole ci irradiava con quei fastidiosi raggi bollenti. Di giorno si sudava e di notte morivamo dal freddo. Accendere il fuoco era escluso, avrebbe attirato l'attenzione dei vaganti. Non facevamo altro che camminare, camminare e camminare. Rick non voleva arrendersi, come noi del resto, ma la situazione era più che critica. Il mio stomaco era così vuoto, che spesso avevo dei conati. Tutto dovuto alla quantità di succhi gastrici che avevo in corpo. Ogni poco alzavo il naso all'insù, sperando di intravedere qualche nuvolone grigio, ma a nostra sfortuna, il cielo era sempre di un limpido ed immacolato azzurro. Sasha mi stava alla larga, pensando che avessi voglia di psicanalizzare anche lei. Ma avrei agito contrariamente a quanto pensasse. Aveva un carattere completamente diverso da Maggie. Se le avessi fatto qualche sorta di discorso mi sarei ritrovata col culo a terra e il naso sanguinante. Avrei semplicemente aspettato che sbollisse prima da sola. Infatti, ciò che successe quando le passai accanto, mi diede completamente ragione, affermando la mia tesi.

-Non provarci nemmeno. – parlò brusca, mentre la superavo.

Le sorrisi, pur avendo il fiatone.

-Sarai tu a venire da me, se ne avrai voglia.

Sasha rimase interdetta, ma subito dopo assunse nuovamente un'espressione accigliata. Rick si fermò, guardandosi attorno come una lepre.

-Due a destra, due a sinistra in cerca di qualche animale. – disse, indicando il bosco – Noi altri ci occupiamo dei vaganti.

L'ordine fu chiaro e coinciso, ma eravamo tutti completamente stanchi e fradici di sudore. Ci guardammo, come per capire chi avesse davvero le forze per inoltrarsi nella vegetazione. Non avendo molta voglia di uccidere altri putrefatti, mi proposi. Daryl e Carol formarono una coppia, e si diressero a destra.

-Vengo io. – farfugliò Eugene.

Poteva andarmi peggio, pensai. Era stato uno stronzo, una bella faccia tosta a mentirci. Ma, stranamente, provavo un senso di pena e tenerezza nei suoi confronti. Almeno era buffo, forse mi avrebbe regalato dei minuti simpatici.

-No. – esclamò sbronzo Abraham – Vado io.

Rosita fece per rimbeccarlo, ma poi scosse la testa afflitta. Oramai Abraham non dava alcuna fiducia al finto scienziato, comprensibile in parte. Ma non è che facessi i salti di gioia a saperlo mio compagno di caccia. Ad ogni modo, lo seguii, inoltrandoci nella boscaglia. La sua andatura era molto vacillante e i movimenti scoordinati. Aveva solo alcool in circolo e ciò non prometteva affatto bene. Restai ad una buona distanza, evitando frasi o parole che potessero infastidirlo. Non dico che mi mettesse soggezione, ma mi dava l'idea di essere una vera furia da incazzato. Pur essendo stanca, cercavo di fare il meno rumore possibile e scrutavo la zona in cerca di possibili tracce. Al contrario, il rosso barcollava chiamando a sé gli scoiattoli, così come quando si richiama un gattino. Sospirai, lasciandolo fare. Speravo che Daryl avesse più fortuna con la caccia.

-Fanculo! – borbottò, buttandosi a terra.

-Abraham.. – dissi, come una madre esausta che vede il figlio fare i capricci.

-Lasciami qui e vattene – ordinò, gettando la bottiglietta lontano – E' finito tutto.

Presa dallo sfinimento, mi sedetti di fronte a lui.

-Il whisky sì, il mondo quasi. – replicai.

La sue gote erano più rosse dei capelli.

-No no, è finito pure quello. – borbottò – E noi con lui.

Dovevo alleggerire l'atmosfera, magari punzecchiandolo un poco. Tanto, irascibile com'era, avrei sbagliato a priori.

-Non ti facevo un tipo del genere..

-Che intendi? – obiettò sfidandomi.

Dovevo prepararmi mentalmente, avrei ricevuto un pugno a breve.

-Pensavo fossi un uomo di una certa stazza, invece stai facendo la vittima, il bambino piagnucolone e capriccioso della situazione.

-Brutta figlia di..

Mi alzai di scatto, pur rischiando di cadere all'indietro per lo sforzo. Egli invece si sporse, credendo di afferrarmi, ma i suoi movimenti furono lenti, come mi aspettavo.

-Guardati. – insistetti – Non hai le forze nemmeno per colpirmi.

Di risposta mi mandò a quel paese.

-Non credo che Rosita abbia bisogno di questa tua versione. Fai pena. Non riusciresti nemmeno a proteggerla.

Allora mi guardò con altra espressione, debellando la rabbia e facendo spazio alla razionalità.

-Tsk, non sono forte come pensi. Ho già perso mia moglie e mia figlia.

-E vuoi perdere anche lei?

Si aggrappò al tronco vicino e cercò di alzarsi, pur facendomi capire quanto gli girasse la testa.

-No. – rispose fiacco – Se sono qui ora, è grazie a lei.

-Bene. – sorrisi – Allora non fare lo stronzo e datti una svegliata.

Ridacchiò sotto quei baffi spessi.

-Tu vuoi proprio un pugno. – scherzò.

Dopo altri minuti inutili e futili di ricerca, decidemmo di tornare indietro. Non avendo udito alcun sparo, eravamo sicuri che si fossero sbarazzati di quei pochi vaganti senza troppi problemi, nonostante la spossatezza generale. Una volta ricongiunti, appurammo con delusione che pure Daryl e Carol avevano fatto cilecca. Lo sconforto era palpabile. Rick fece cenno di ripartire. Camminammo senza sosta per altre due o tre ore, bruciando su quell'asfalto rovente. Daryl si fermò, squadrandoci uno ad uno, come se si sentisse responsabile.

-Non mi arrendo. – sentenziò – Vado a cercare qualcosa.

Si avviò senza aspettare il parere di Rick, pur sapendo quanto egli amasse avere il controllo della situazione.

-Resta in zona. – ammonì lo sceriffo.

Daryl scomparve fra quella natura maligna e noi riprendemmo il viaggio, buttando ogni tanto un occhio alla radura intorno, sperando di veder spuntare l'arciere con qualche succoso bottino. Ma il tempo passava e le nostre bocche erano sempre asciutte. Mi voltai, notando quanto stessimo avanzando lentamente. Molti putridi ci erano alle calcagna e si muovevano con più rapidità. Ci avrebbero raggiunto a breve, questione di minuti. Eravamo così stanchi, da non esserci nemmeno accorti dei loro lamenti. Se avessimo continuato di questo passo, saremmo finiti a terra. Morti di fame e stenti. Dovevamo trovare una soluzione. Ad ogni modo, mi affrettai ad avvertirli del pericolo imminente. Ci posizionammo parallelamente in due file, distanziandoci di quanto bastasse per avere il controllo della 'pulizia'. Uno ad uno i vaganti si tuffavano in mezzo e poi barcollavano verso uno di noi. Stringevo il bowie, concentrandomi su quel movimento affatto fluido del putrido a me di fronte. Appena fu abbastanza vicino, lo infilzai dritto nella fronte. Il pugnale rimase attaccato al cranio, per quanto molle fosse. Non riuscivo ad estrarlo. Non ne avevo la forza. Mi aiutai con un piede, tirando un calcio al petto del putrefatto. La lama si sfilò, schizzandomi di cervella. D'un tratto, Sasha sbottò. Uscì dalla posizione che le era stata assegnata e si lanciò su di loro con furia. Tutto andò a pezzi. Rompemmo le righe ed affiancammo la pazza, cercando di contenere la mandria di vaganti. Loro erano tanti e noi eravamo a pezzi. Non riuscivamo a tenergli testa, essendo ormai praticamente circondati. Il braccio mi faceva male, lo sentivo intorpidito. Nonostante ciò, continuavo a conficcare il bowie nelle loro teste marce. Finché, uno di questi, ormai morto definitivamente, mi cadde addosso. Le mie gambe tremarono, ma non riuscendo a trattenere il peso, caddi anch'io con esso. La botta sull'asfalto fu dolorosa, ma non ebbi il tempo per lamentarmene, che subito altri schifosi si avventarono su di me. Vedevo le loro facce moltiplicarsi, oscurandomi quel cielo candido. Dannazione. Cercavo di allontanare le loro fauci spingendoli per il collo o il petto con la mano sinistra, mentre con la destra li pugnalavo con rabbia. Si addossavano su di me uno ad uno, limitando sempre di più i miei movimenti. Vidi Tara ed Abraham cercare di sfoltirli.

-Kendra! – gridò Michonne, spappolando un cranio.

Furono costretti a sparare. Udivo le raffiche di proiettili perforare quei morti viventi, percependo il rumore distinto dei loro corpi afflosciarsi a terra come fiori appassiti. Eugene e Rosita mi sfilavano di dosso quelle cose sanguinolente, cercando di alleggerire il peso affinché potessi liberarmi. Rick apparve alle mie spalle e, afferrandomi da sotto le braccia, mi trascinò fuori da quel cumolo. Iniziai a strusciarmi le braccia coi palmi delle mani, come per pulirmi di quel sangue fetido. Ne ero zuppa. Kioshi si accucciò su di me, esaminandomi in cerca di graffi o morsi.

-Stai bene? – chiese lo sceriffo ansimando – Sei stata morsa?

Ero sicura che a breve avrebbe avuto un infarto. Carl mi guardava, tenendo in braccio la piccola. Se non fossimo riusciti a fermarli, si sarebbe messa davvero male per tutti. Abraham si gettò su Sasha, iniziando ad urlarle contro.

-Cosa cazzo ti è preso, uh? – smanettò – Facci un fischio la prossima volta che vuoi ucciderci!

Lei respirava a fatica, un misto di stanchezza e ansia da attacco di panico.

-Sto bene, sto bene. – ripetei, come se ciò fosse d'aiuto alla loro convinzione.

-E' pulita. – affermò Kio, tendendomi il braccio per farmi alzare.

Una volta in piedi, vacillai un poco, ma, fortunatamente, riuscii a trovare l'equilibrio.

-Non sembra. – rispose lo sceriffo alla mia precedente affermazione.

In realtà mi sentivo completamente svuotata e la testa mi doleva, oltre che darmi un senso di vertigini fisse, forse dovute all'urto.

-Ci hai messo tutti in pericolo, Abraham ha ragione. – sottolineò con voce rauca – Provaci un'altra volta e sei fuori.

Sasha non rispose. L'avevamo scampata per un pelo. Poi mi guardai attorno, preoccupata.

-Daryl? – osservai – E' strano che non sia arrivato sentendo gli spari.

Rick si passò le mani fra i ricci zuppi di sudore. Michonne e Glenn si lanciarono da una parte della strada, inoltrandosi nel bosco. Guardai Rick, aspettando il consenso. Non appena incrociò il mio sguardo ed abbassò la testa annuendomi, mi feci forza e partii alla ricerca dell'arciere. La testa mi girava parecchio, ma allo stesso tempo sentivo una vocina che mi spronava a cercare quell'uomo, come un campanello d'allarme. Riuscivo difficilmente ad immaginarmelo in pericolo, ma temevo comunque che avesse potuto fare qualche stronzata delle sue. Era capace di mascherare benissimo il proprio malessere fisico, quindi era pure probabile che fosse svenuto da qualche parte. Nel terreno secco e frantumato, decorato da quelle linee e spaccature sottili, distinsi quelle che potevano essere ricondotte alle sue orme. Procedetti in quella direzione, sostenendomi a qualche ramo e sgattaiolando quatta alla vista di vaganti, finché non mi apparve in lontananza la sua figura. Sembrava star bene. Tirai un sospiro di sollievo, sebbene provassi ancora del risentimento nei suoi confronti. Adagiai le mani sui fianchi, annaspando nel fiatone. Vedevo la terra ondeggiare. La vista mi stava giocando brutti scherzi. Feci un passo in avanti, pestando un ramoscello secco. Daryl si voltò all'istante, mirandomi con la balestra. Alzai le braccia al cielo.

-Sono io. – annunciai, facendomi spazio fra gli arbusti.

Egli abbassò l'arma.

-Che diavolo hai combinato? – chiese senza muoversi – Stanno bene gli altri?

Feci spallucce.

-Sì, loro stanno bene. Abbiamo avuto solo qualche piccolo problemino con dei vaganti.

-Si vede. – schernì – Ci hai fatto il bagno.

Facevo abbastanza schifo, lo ammetto. Puzzavo terribilmente.

-Perché ti sei allontanato tanto? Rick .. – dissi, avanzando.

-Ferma! – ordinò, mostrandomi il palmo della mano.

Mi bloccai come una brava soldatina, pur non capendo la motivazione.

-Non lo senti? – bisbigliò, controllandosi attorno – C'è qualcosa qui.

Con la testa in quelle condizioni, era già tanto che non avessi le allucinazioni. Non distinguevo nessun suono preciso.

-Cosa c'è? – domandai innocentemente.

Egli mi squadrò.

-Shhh – sussurrò, accucciandosi e tastando il terreno a sé vicino.

Fu in quel momento che iniziai a notare qualcosa di strano sulla superficie, come se le foglie e la terra fossero state aggiunte in un secondo momento. Concentrandomi a fatica, udii dei gorgogli, dei lamenti distinti di un gruppo di putrefatti. Ma intorno non c'era nulla. Era così strano, come se provenissero da sotto terra. Non appena capii, lanciai un'occhiata a Daryl, notando che aveva avuto la stessa intuizione. Feci per parlare, ma vidi la sue espressione cambiare, come se stesse osservando qualcosa alle mie spalle. Allungò le braccia, gridando a qualcuno di fermarsi. Il tempo rallentò ai miei occhi. Vidi Kioshi superarmi di un passo. Un rumore secco, una rete che si stacca. Il suolo crollò ai suoi piedi. Il terrore nel suo volto. La sua mano che mi raggiunge, mi afferra. Cado assieme a lui in quella enorme fossa. Un dolore lancinante, pungente. Mi guardo la mano, il polso è slogato. Kio grida e cerca di strattonarmi. Lentamente, tutto torna a scorrere in modo naturale, tanto che persino i suoni mi giungono reali. Sono di nuovo a terra, sdraiata, e intorno a noi è pieno di putridi affamati. Alzo gli occhi al cielo, consapevole che sarà l'ultima volta che potrò farlo.

E' arrivato il mio momento, Cassie.


 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 : Neve ***


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Capitolo 30 : Neve



Sento. Sento la terra polverosa ed arida sotto di me. Sento i loro gemiti. Sento i loro movimenti. Sento Kio scalpitare, allontanandoli. Sento Daryl urlare il mio nome. Sento di non voler aprire gli occhi, non voglio che le loro facce decomposte siano il mio ultimo ricordo. Sento che sto per morire, sento che questa buca sarà una perfetta bara. Sento di volerlo, sento che il mio giorno è arrivato. Sento qualcosa di strano. Mi passano accanto, mi scavalcano, ma mi ignorano, come se non esistessi. Mi chiedo se non sia un incubo. Apro gli occhi e vedo i putrefatti ammassati in un angolo. Il mio odore è stato nascosto dalle loro stessa budella. Il bagno di sangue precedente mi stava salvando la vita. Tasto il terreno in cerca del bowie, l'ho perso e non riesco a trovarlo. Noto Kio in mezzo a loro tentare di scacciarli a mani nude. Scorgo il suo machete dietro i vaganti. Alzo lo sguardo in alto, giusto per scorgere Daryl scoccare un dardo ed abbattere uno di loro. Gli sorrido, come per salutarlo, come per concedergli un addio. Mi ordina di fermarmi, ma non ascolto. Afferro il machete con la mano sinistra e mi tuffo in mezzo ai vaganti. Non mi importa, non temo la morte. Voglio salvarlo, voglio morire provandoci. Mi faccio strada fra quei corpi putridi e puzzolenti, sguainando la lama quasi fosse una spada. Sento le loro mani agguantarmi, tirarmi verso le loro fauci, ma non mollo, anzi, tiro con più forza di loro. Mi divincolo, cercando di liberarmi da quella gabbia di morti. Sento un tonfo e poi altri, uno dietro l'altro. E allora capisco, Daryl si è lanciato dentro. Ne approfitto per spingere gli ultimi putrefatti che mi separano da Kio e mi paro di fronte a lui, decapitando chiunque si avvicinasse. Sento Kioshi lamentarsi alle mie spalle, sento il terreno umido con la mano slogata. Il liquido è denso e caldo. E' sangue. Vedo i pochi vaganti rimasti concentrarsi su Daryl, ma egli non pare avere problemi. E' una furia, una bestia. Mi volto e afferro Kio. E' ricoperto di sangue scarlatto. E' tutto suo.

-Mi hanno morso. – ripeteva impazzito fra un singhiozzo e l'altro – Il braccio, il braccio. Mi hanno morso.

Abbasso lo sguardo, sperando innocentemente che si stia sbagliando. La pelle, i tendini, i muscoli erano stati parzialmente esportati dalle ossa. Ciò che rimaneva di questi, restava a penzoloni. Si era difeso parandosi istintivamente con le braccia. Un senso di nausea mi investì in pieno, ma deglutii con forza.

-Non voglio trasformarmi. – gridava – Non voglio essere uno di loro.

Tastavo delicatamente ma con furia quell'arto, cercando di capire fino a che punto fosse stato morso e dove potessi tagliare.

-Possiamo ancora farcela, Kio. – incitai – Resisti, ti prego.

Piangeva.

-Andrà tutto bene. – insistetti – Te lo prometto.

Daryl apparve di fianco a me ed afferrò il braccio di Kio, tenendolo ben teso. Il giapponese gridava dal dolore, ma sapevo di non dover prestarci troppa attenzione. L'importante era rimuovere l'arto il prima possibile. Pulii il machete sui jeans e lo affondai nella carne rimasta. Un urlo straziante si levò in cielo. Ma non era ancora finita, il machete non aveva tagliato l'osso del tutto. L'arciere tappò la bocca a Kio, evitando così che altri vaganti potessero finire qua dentro. Mi guardava come per pregarmi di farlo. Ed io lo accontentai, conficcando nuovamente quella lama fra le sue membra. Egli svenne dal dolore e il sangue riprese a fuoriuscire copiosamente. Cercavo di contenere la ferita, tappandola con le mani come se fosse un tubo che perde acqua. Daryl si spogliò della maglietta a maniche lunghe, restando in una grigia canottiera. Ci apprestammo a fornirgli una medicazione precaria, in modo tale da evitare che perdesse troppo sangue. Dovevamo raggiungere urgentemente gli altri, i quali avevano lo zaino con tutti i medicinali e gli strumenti necessari.

-Dobbiamo sbrigarci. – ordinai.

-E' parecchio grave, non so se.. -  disse, lasciando in sospeso la frase.

Strappai una manica della camicetta e la utilizzai per fasciarmi il polso, sperando che questo allievasse un poco il dolore, tenendolo ben stretto e rigido.

-Ce la farà. – risposi brusca, agganciando il machete alla cintura.

Daryl si mosse ed esaminò la parete che ci separava dalla superficie. Era parecchio alta. Cercò di arrampicarsi, ma il terreno era così secco che si sbriciolava sotto le sue scarpe, facendolo scivolare. Scalarla era quindi impossibile. Mi guardai frettolosamente attorno. Nemmeno una radice dove aggrapparsi.

Bene. – sospirai agitata – Ti tiro su io.

Mi posizionai con la schiena alla parete, piegai le gambe e unii le mani, in modo tale da poterlo spingere su. Egli mi guardò dubbioso, non era sicuro che potessi riuscirvi.

-Facciamo il contrario. – consigliò.

-No. Con questa mano non avrei la forza per tenerti.

Non perse altro tempo e salì su di me. Il dolore mi pervase, partendo dalla gamba fino ad arrivare al polso. Sentivo il mio corpo completamente sfibrato, derubato di ogni più piccola briciola di forza, energia, ma sapevo di dover continuare a lottare. Lo alzai di poco, di quel che bastava a far sì che potesse aggrapparsi al bordo e tirarsi su. Una volta sopra, Daryl si sporse allungando le braccia. Cinsi Kio, cercando di alzarlo. Era pesantissimo. Ed il fatto che fosse svenuto non aiutava per niente. Lo trascinai fino al bordo, dove, non so come, riuscii a sollevarlo. Daryl lo prese, rischiando quasi di ricadere dentro. Poi toccò a me. Presi un poco di distanza, in modo tale da saltare più in alto con la rincorsa. Scattai e balzai, allungando la mano sana. Daryl mi afferrò al volo. Avrei voluto scolarmi un litro di acqua, avere il tempo di calmarmi e riprendermi dallo shock appena subito. Ero zuppa non solo del sangue dei vaganti, ma pure di quello di Kio. Non riuscivo ad accettarlo. Daryl prese sulle spalle il ragazzo ed iniziammo a correre. Camminavo più svelta che potessi, ripetendo a me stessa che Kio ce l'avrebbe fatta.

-Più svelti, dobbiamo essere più veloci. – farfugliavo.

-Kendra, non credo ce ne sia bisogno.

Scossi la testa, senza nemmeno voltarmi per controbattere.

-Zitto. Non dirlo nemmeno.

Percepivo il cuore pulsare all'impazzata, i polmoni contrarsi velocemente, ma non potevo fermarmi. Dovevo solo continuare, come sempre, andare avanti.

-Ascoltami. – insisteva Daryl – Non possiamo sprecare quei medicinali, ci serviranno per chi ne avrà davvero bisogno.

I miei piedi scattavano fra quelle foglie morte, ricordandomi ad ogni passo quanto fossimo distanti.

-Lui ne ha bisogno! – sbottai.

Sapevo cosa stava cercando di dirmi, per lui era spacciato, non c'era niente da fare. Ma io non volevo crederci, rifugiandomi in quell'amara ed improbabile speranza. Non poteva finire sempre così, non potevo promettere alle persone che ce l'avrebbero fatta e poi abbandonarle, vederle morire. Mi sentivo una bugiarda, una che non riusciva mai a salvare una vita. Ero stanca, stanca di veder morire le persone. Non ne avrei mai fatto l'abitudine.

-Kendra, dannazione. Ragiona. – provò nuovamente – E' stato morso più volte, è passato troppo tempo prima che tagliassimo il braccio. E sta perdendo troppo sangue.

-Non è vero, non è vero. – dissi, soffocando i singhiozzi.

Proprio mentre stavo per arrendermi alla spossatezza, scorsi dei putridi senza vita a terra. Eravamo vicini, ce l'avevamo fatta. Esultai, ma Daryl non si unì a me. Non appena sbucammo fuori dalla boscaglia, Rick accorse sgranando gli occhi come un lupo. Gli altri ci riempirono di domande. Mi feci spazio fra loro, ignorando i quesiti, lasciando così che fosse Daryl ad occuparsene. Non appena adagiò Kioshi sull'asfalto, mi cucciai su di lui. Liberai in fretta l'arto da quella misera fasciatura ed osservai le condizioni effettive della ferita alla luce del sole. Sentivo Daryl spiegare l'accaduto.

-Datemi una mano, presto! – esortai.

Di colpo tutti mi furono addosso, circondandomi. Vedevo le loro ombre puntarmi, ma nessuno muoversi per aiutarmi. Non riuscivo a crederci, anche loro la pensavano come Daryl. Lo avrebbero davvero lasciato morire?

-Che cavolo vi prende? – domandai in preda al panico – Aiutatemi.

Rick si abbassò, in modo tale da guardarmi negli occhi. I suoi erano dello stesso celeste del cielo. Mi poggiò una mano sulla spalla, nel frattempo che continuavo a premere pressione sulla parte lesa.

-Kendra.. – sussurrò.

-No, cazzo. – gridai, scacciandolo – Dov'è quel maledetto zaino?

Gattonai di corsa fino a raggiungere gli zaini, li svuotai di fretta, tastando i vari oggetti con mani tremolanti. Ce la posso fare, andrà tutto bene. Lo curerò, si salverà. Afferrai una boccetta d'alcool e delle garze, ma non appena fui su Kio, Daryl sbottò, strappandomi dalle mani la boccia.

-Perché? – chiesi, percependo le lacrime solcarmi il volto.

Alzai lo sguardo, notando una sfilza di espressioni vuote.

-E' morto. – rispose Rick. – Kendra, è morto.

Quella parola prese a rimbombarmi in testa, torturandomi. Non volevo crederci, non poteva assolutamente essere vero. Era solo svenuto, lui ce l'avrebbe fatta. Una promessa è una promessa.

-No. – ribattei – E' svenuto, ha perso molto sangue. Può ancora farcela.

Vidi il parroco fare il segno della croce, Eugene nascondere il mento tremolante. Fu allora che abbassai veramente lo sguardo sul volto di Kioshi. Era pallido, le labbra violacee. Era successo, era morto davvero. Avevo fallito, ancora. Per l'ennesima volta avevo le mani imbrattate del sangue di una persona cara. Portai le gambe al petto, in modo da poggiare la fronte sulle ginocchia. Gli occhi bruciavano come se avessi carboni ardenti, ma nessuna lacrima si faceva viva. Ero completamente disidratata. Daryl portò in disparte Rick, riferendogli della trappola in cui ci eravamo imbattuti. Ripensandoci ciò indicava che vi fossero altri tipi loschi e pericolosi. Lo sceriffo proibì di infiltrarci nella boscaglia, avremmo semplicemente proseguito lungo la strada. Maggie si sedette al mio fianco e mi accarezzava dolcemente la schiena. Non conoscevo da molto Kioshi, ma ero riuscita in qualche modo ad affezionarmici subito. Era simpatico, l'unico capace di farmi ridere davvero, dolce e timoroso. Aveva paura di esporsi, temeva il giudizio, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per noi. Si era persino preso cura di me, ma soprattutto di Beth. Ero un misto di emozioni, un vulcano pronto ad eruttare. Oltretutto mi sentivo svenire.

-Dobbiamo seppellirlo. – pronunciai, interrompendo Rick e Daryl.

Glenn sospirò.

-Non abbiamo nemmeno un pala con cui scavare una fossa.

Premetti gli occhi sull'avambraccio, sperando di allievare il bruciore. Poi mi alzai, avvicinandomi al ciglio della strada. Spostai coi piedi le foglie.

-Non importa. – sentenziai – Vorrà dire che scaverò con le mani.

Kio si meritava di essere seppellito, lo avevamo fatto con tutti. Non l'avrei mai lasciato lì su quella strada. Affondai le unghie in quel terreno duro come pietra. Scavavo in preda alla rabbia, alla disperazione e alla sconfitta. Sentivo di essere arrivata al limite. Se finora avevo resistito senza traumi eccessivamente forti, adesso si erano rigettati tutti su di me, come una valanga a cui è impossibile sfuggire. La mia completa emotività mi aveva letteralmente atterrata. Percepivo un peso gravarmi sulla schiena. Avevo sempre finto di star bene, di essere positiva in qualsiasi orribile situazione mi trovassi. Avevo tentato disperatamente di seguire i consigli di Drake, ma adesso era troppo dura, impossibile. E sia chiaro, non si tratta di un'arresa, ma soltanto di una presa di coscienza. Ci sono momenti della vita in cui è necessario essere sinceri con se stessi, e quel momento si era presentato più e più volte al mio cospetto, ma puntualmente ero stata capace di scacciarlo con qualche frase d'evenienza. Ora, al contrario, non vi erano parole che potessero giustificare l'inferno che stavamo passando, che stavo passando. La vita era sempre stata crudele, ma questo aveva superato di gran lunga il limite. Sentivo tutti i loro occhi puntati su di me, come a voler sottolineare quanto fossi impazzita.  Ma a dirla tutta, non mi importava.

-Kendra, non puoi fare sul serio.. – parlò Michonne, pensando di farmi ricredere.

Sapevo che Rick non avrebbe tollerato di star qui a perdere tempo, avrebbe insistito per riprendere il cammino. Scavare sarebbe stato uno spreco inutile di energie, a suo avviso.

-Non vi sto chiedendo di aiutarmi, andate pure. – sentenziai apatica – Non preoccupatevi, siete così lenti che non avrò problemi a raggiungervi.

Nessuno mi rispose, facendomi capire che si stessero scambiando opinioni con lo sguardo. Non temevo, né mi interessava il loro giudizio. Capivo le loro intenzioni e non li biasimavo, ma io non avrei mai permesso di lasciare il corpo di Kio sul ciglio di questa strada, come un oggetto dimenticato.  Non l'avrei abbandonato. D'un tratto vidi delle mani aggiungersi alle mie. Delle dita tozze e grassottelle. Mi sorprese vedere Eugene dalla mia parte, sporcarsi le mani per un uomo con cui aveva scambiato parola sì e no una volta. Non ci dicemmo nulla, limitandoci a scavare. Ma lo apprezzai moltissimo. Gli occhi continuavano a bruciarmi. Sapevo che, in un'altra situazione, avrei iniziato a piangere dalla gratitudine di sentire qualcuno vicino. Ma in quel momento non ne ero capace. Poi, vidi tutti inginocchiarsi uno ad uno e sporcarsi, senza proferir parola o mostrare stanchezza. Sapevo benissimo quanto fosse dura per loro faticare in quella maniera, sacrificando le ultime energie. Non ero sicura se lo stessero facendo per me o per Kioshi, ma mi piaceva pensare che fosse per lui. Non alzai la testa da quella buca abbozzata, continuando a lavorare come una formica operaia, ma percepivo scaldarmi il cuore. Quel loro gesto significa molto. Erano davvero queste le persone per cui mi sarei sacrificata ad occhi chiusi, non avevo dubbi. Rick allungò la mano, stringendo la mia per qualche secondo, come per ricordarmi che non ero sola, che avevo una vera famiglia al mio fianco. Ripensando a come tutto era iniziato, mi sentii davvero fortunata.

 

*


 

Immersi le mani in quell'acqua bollente. Il sole stava davvero surriscaldando questa porzione di mondo. Lavai via il fango e il sangue agglomerati sulla mia pelle, osservando i vaganti morti sull'altra sponda di quello che doveva essere una specie di laghetto. Purtroppo essendo l'acqua infetta, non potevamo far altro che utilizzarla per cose così, come lo sciacquarsi o lavare una maglia, facendo attenzione a non avere ferite aperte. Rick e gli altri stavano controllando il perimetro, aggiungendo qualche trappola che ci avrebbe avvertiti dell'arrivo di qualche putrido, avendo ormai deciso di sostarvi. Daryl, invece, mi era accanto, più taciturno del solito, impegnato a lavare i dardi rimasti. Apprezzavo il fatto che avesse deciso di farmi compagnia, sapevo quanto era dura per lui essere dolce. Ma proprio per questo motivo i suoi gesti avevano un peso maggiore. Mentre il sangue si disperdeva in quell'acqua torbida, la mia mente non faceva altro che proiettarmi quella fossa di vaganti. Ripensavo a come Daryl si fosse gettato al suo interno senza porsi problemi, come se fosse un'azione del tutto normale e spontanea. La realtà però era ben altra. Non tutti avrebbero deciso così inconsciamente di fare l'eroe, anzi, molti si sarebbero tirati indietro. Ma noi eravamo così, folli. Avremmo fatto di tutto pur di guardarci le spalle. Inoltre, osservando quel sangue, non potevo fare a meno di pensare a quanto fossi stata fortunata. Se solo non fossi inciampata sotto il peso di quel putrido, se solo gli altri vaganti non fossero caduti su di me. In quella fossa, sarei morta.

-Hai fatto tutto il possibile. – parlò Daryl, pensando che mi stessi arrovellando sulla morte di Kio.

Mi chiedevo se fosse vero, se avessi potuto fare di più.

-Gli ho procurato solo maggiore dolore. – dissi, riferendomi all'amputazione

Scosse le frecce, facendole sgocciolare ripetutamente.

-Hai fatto la cosa giusta. – rassicurò – La probabilità che potesse salvarsi era minima, ma andava presa al balzo. E tu non hai perso tempo.

Asciugai le mani sui jeans.

-Sai, l'ultima volta che gli ho parlato.. l'ho trattato male. E questo non riesco a mandarlo giù.

-E allora? – alzò le spalle – Tu tratti tutti male.

Lo guardai torva.

-Lo faccio solo con te.

Si posò la mano sul petto.

-Mi sento lusingato.

So che stava facendo lo spiritoso per non farmici pensare troppo, per evitare che mi sobbarcarsi di sensi di colpa, ma ciò non lo avrebbe evitato. Poi tossì, schierandosi la voce come se avesse qualcosa sulla coscienza da togliersi.

-Ehm.. – prese tempo - ..Comunque, volevo chiederti scusa per quella cosa che ho detto là nella parrocchia.

Lo guardai felice, contenta che ogni tanto si rendesse conto delle cattiverie che sputava.

-Sai, ultimamente mi stai chiedendo spesso scusa. – sottolineai.

-Fossi in te non glielo farei notare. – scherzò Maggie, spuntando alle nostre spalle.

Daryl si imbronciò, proprio come un bambino.

-Tsk. – se ne uscì l'arciere.

Continuai a fissarlo, rendendomi conto di quanto fosse un adulto ai miei occhi, ma piccolo dentro. Era come se non avesse mai abbandonato la sua parte adolescente, sfacciata e burbera. Senza aggiungere altro se ne andò, mostrando di dover parlare con Rick. Maggie si sedette al mio fianco, tirando fuori dalla tasca una garza elastica adatta alle contusioni. Mi prese la mano destra, liberandole il polso dalla manica in cui l'avevo stretta. La lasciai fare.

-Sicuramente è una domanda stupida. Ma come stai? – chiese sorridendomi.

Apprezzavo davvero che volesse starmi vicina, farmi sfogare così come avevo fatto io con lei. Ci conoscevamo da parecchio, ma sapevamo entrambe che eravamo come sconosciute. Era imbarazzante per me quanto per lei.

-Mentirei se ti dicessi che sto un po' meglio. – ammisi – Non faccio altro che pensare a quello che è successo.

Mi fasciò delicatamente il polso, pur sapendo che con le slogature c'è poco da fare.

-Andrà avanti per molto, vero? – domandò, riferendosi a se stessa.

Pensai a Cassie.

-Sarà un pallino fisso.

Osservai Glenn che ogni tanto ci guardava. Pareva felice del fatto che stessimo legando. Mi voltai e vidi che Maggie stava facendo lo stesso.

-So che ti ha mandato lui da me. – espose – Ma sono contenta che l'abbia fatto. Insomma, ci conosciamo dalla prigione ma non abbiamo mai effettivamente parlato se non per motivi organizzativi.

-Sai, non sono il massimo a farmi nuove amicizie. – arrossii.

Mi sorrise, pur avendo quei grandi verdi occhi tristi. Prese un ramoscello e lo immerse in parte nel laghetto, creando dei disegni curvilinei sulla superficie.

-Cosa ne pensi di quei vaganti con incisi quella lettera? Io credo che ci saranno guai in vista.

Non avevo idea di cosa stesse parlando.

-Quale lettera?

Si voltò di scatto, incredula.

-Quelli.. quelli nella fossa. Daryl ha detto che avevano una W incisa sulla fronte. – parlò, dispiaciuta di avermi ricordato quella immagine.

Mi focalizzai sul ricordi di essi.

-Non ci avevo proprio fatto caso. – dissi confusa – Quell'enorme fossa mi ha ricordato il Governatore. Anche se, lui le utilizzava per un altro motivo. Non erano nascoste, non erano trappole per le persone.

-E a cosa gli servivano?

-Catturava dei vaganti per i suoi spettacoli d'intrattenimento.

Strinse le gambe a sé, lasciando galleggiare il legnetto.

-Pensi che sia ancora vivo? Che la W sia per Woodbory? Che cerchi vendetta? – espose i suoi dubbi.

Sospirai, riflettendoci a fondo. Se temevo che fosse vivo? Sì. Mi odiavo per non aver mai approfondito la questione con Kioshi. Volevo sapere di più su questo Brian.

-Non lo so. È quasi impossibile che possa essersi salvato. E poi, la W.. non credo che sarebbe così melodrammatico.

Ridacchiammo, allentando la tensione. Capii quanto fossimo entrambe delle tipe ansiose. Il cielo si stava oscurando, portando con sé le prime folate di vento fredde come la morte. Notammo Rick e Abraham tentare di accendere il fuoco. Strano. Ci alzammo, decidendo di raggiungere il resto del gruppo. Mi ero isolata già abbastanza. Guardai Michonne, la quale mi sembrava allegra all'idea di avere una fiamma che potesse scaldarci durante la notte.

-Abbiamo piazzato alcune trappole sonore con i vari barattoli rimasti. – espose – Almeno possiamo tranquillamente accendere il fuoco e sapere se si avvicina qualcuno mentre dormiamo.

Era l'ora, pensai. Mi accoccolai vicino al fuoco come un gattino, perdendomi in quelle fiamme scoppiettanti. Quel calore mi faceva sentire viva, in qualche modo. Nessuno parlò di quanto fosse accaduto, né della mia crisi di nervi. Sapevo che ne avevano sicuramente discusso, ma ora che ero con loro avevano completamente cambiato discorso, credendo di proteggermi. Gliene fui grata. Osservando il falò, non potevo far altro che pensare alle notti in campeggio passate con la mia famiglia, ai marshmallow abbrustoliti, alle storie dell'orrore che, in confronto alla realtà di ora, erano delle stupide barzellette. Inoltre, mi trasmetteva un senso di fame. Gli arrosti, i barbecue. Già il mio stomaco non vedeva cibo da giorni. Era una tortura. Dopo poco, le chiacchiere giunsero al termine, sottolineando la stanchezza generale. Eravamo tutti in cerchio, illuminati unicamente dal fuoco. Ed era bello poterli guardare anche nelle loro debolezze e pensare sì, questa è la mia famiglia. Maggie posò la testa sulla spalla di Glenn, tenendosi pure per mano. Lui sapeva di non poterla aiutare molto, ma le sarebbe stato sempre vicino. Rosita accarezzava il braccio ad Abraham, stringendolo a sé quasi fosse un peluche. Michonne puliva la katana, soddisfatta di averla ritrovata. Uno degli scagnozzi di Gareth ce l'aveva praticamente consegnata. La piccola Judith pareva essersi appisolata fra le braccia di Carl, il quale si sentiva responsabile di quella minuscola creaturina, quasi il suo unico scopo fosse proteggerla. Rick era davvero fortunato ad averli ancora con sé. Nel frattempo, Daryl si allontanò per una decina di minuti, per quella che pensavo fosse un'urgenza fisiologica, invece tornò soddisfatto con qualcosa fra le mani.

-So che non è molto. – disse dispiaciuto – Ma è tutto ciò che ho trovato.

Non appena mostrò cosa avesse, tutti assumemmo un'espressione disgustata. Dei lombrichi si dimenavano energicamente, ammassandosi gli uni su gli altri.

-Non crederai che voglia mangiarli? – obiettò Sasha, storcendo la bocca.

-Beh forse non è il massimo. – dichiarò Rick – Ma sono ricchi di proteine, ci saranno utili.

Poi ne pescò due, ringraziando l'arciere. Carl non parve felice, anzi, sembrava riluttante all'idea di doverli inghiottire.

-Basta andare oltre all'aspetto. – spiegò Daryl – Sono ottimi.

Ed iniziò a distribuirli come fossero ostie. Non appena mi fu di fronte, presi coraggio e ne afferrai uno. Era viscido, umido e appiccicoso. Mi dava la nausea solo a guardarlo, ma non volevo essere l'unica a tirarsi indietro, né dare un motivo a mr. Balestra per prendermi in giro in futuro. Deglutii e lo gettai in bocca, dandogli una veloce masticata. Il sapore poteva anche essere passabile, era la consistenza il vero problema. Eugene mi fissava, come per farsi un parere sul sapore di quell'essere rosa. Gli mostrai il pollice, fingendo che mi fosse piaciuto. Di certo non aveva placato la nostra fame, ma almeno ci aveva concesso di assumere un minuscola percentuale di sostanze nutritive. Il parroco ci guardava disgustati, non che fosse diverso dal solito. Pian piano le palpebre si fecero sempre più pesanti, finché tutto non divenne buio.
 

*
 

Mi svegliai di soprassalto, interrompendo l'incubo che stavo vivendo. Stropicciai gli occhi e mi sgranchii la schiena. Ero ancora tutta dolorante. Tutti stavano dormendo pacatamente, trasmettendomi un senso di pace e sicurezza. Tutti, tranne una figura poco più distante. Guardandomi attorno notai che mancava solo Rick. Rassettai il fuoco, aggiungendo qualche ramoscello che avevamo raccolto e raggiunsi lo sceriffo, il quale mi pareva parecchio turbato.

-Non riesci a dormire? – chiesi sbadigliando.

Egli si passò la mano dietro il collo, come per massaggiare i muscoli doloranti.

-Non è facile.

-Troppi pensieri per la testa? – dissi, sedendomi al suo fianco.

-Credo che tu lo sappia bene. – rispose, riferendosi al fatto che anch'io fossi sveglia.

Sbuffai. In realtà mi sarebbe piaciuto dormire, regalare pace a questo corpo che mi aveva sostenuto. Purtroppo il mio subconscio non era della stessa opinione, dato che non appena chiudevo gli occhi, questo proiettava tutti i più atroci ricordi, facendomi rivivere ogni istante. Sapevo, invece, che Rick avesse altro sulle spalle. Ero stanca di vederlo arrancare per tutti i sensi di colpa, gli incarichi che egli stesso si prefissava, le punizioni mentali che si arrecava.

-Non puoi continuare così.

Mi guardò con volto interrogativo, sebbene sapevo che si immaginasse a cosa mi riferivo.

-Capisco che ti sia proclamato leader di questa gente, che ti senta responsabile di ogni loro singolo passo, ma non puoi tenere tutto questo sulle tue spalle. Finirai col crollare o con l'impazzire.

-Che differenza fa? – sospirò – Sono già pazzo.

Volevo rassicurarlo, ma con Rick pochi discorsi funzionavano.

-Beh, forse ogni tanto vacilli un pochino.. – sottolineai – Ma sei comunque un'ottima persona, Rick. Stai facendo del tuo meglio ed hai la fiducia completa di tutti loro. Non ti basta?

-Li voglio al sicuro. – disse, massaggiandosi il polso – Voglio Carl, mia figlia, te, Daryl e tutti loro al sicuro. E non mi darò pace finché non ci sarò riuscito.

Posai una mano sulla spalla, accarezzandolo un poco. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per noi.

-Okay, sceriffo! – sorrisi – Scommetto che quel giorno arriverà presto.

Egli non ne sembrò tanto convinto. Stava diventando un pessimista, proprio come Daryl. Non che io credessi davvero in ciò che avevo appena detto. Dopo tutto quello che era successo, non mi sarei più fatta ingannare. Non esistono buone giornate, non esistono colpi di fortuna. È tutto un gioco sadico di qualche divinità capricciosa o di un fato annoiato. Sentivo gli occhi pesanti. Avevo sonno, ma non volevo lasciare Rick in compagnia delle proprie paure, né volevo effettivamente addormentarmi. Preferivo stare alla larga da quegli incubi. Non era così che volevo ricordare Kio.

-Comunque. – proferì, interrompendo il mio pensiero – È la seconda volta che mi colpisci.

-Cosa?

-Alla chiesa. – spiegò – Guai se succede di nuovo. Intesi?

Mi sorprese il suo repentino cambio d'umore, ma non lo biasimai. Tentai di riportare alla mente le volte che lo avevo colpito. Alla chiesa era l'immagine certamente più fresca, quando lo avevo schiaffeggiato per farlo riprendere dopo l'uccisione bruta di Gareth. Ma la prima volta proprio non voleva venire a galla. Partii dal principio, dal primo giorno in cui l'avevo visto con l'obiettivo del fucile da cecchino, sulla collina di fronte alla prigione, rivivendo ogni giorno, finché la mia mente non si fermò a quel ricordo. Joe. Avevo colpito lo sceriffo per evitare che uccidesse un uomo, sebbene questo mi avesse stuprata, spogliata dell'unico frammento di vita che mi restava. Che stupida.

-Promesso.

Si stirò la schiena, mostrando l'intenzione di volersi sdraiare. Lo seguii, stendendomi al suo fianco, fissando il cielo nero come l'inchiostro. I nostri corpi erano impercettibilmente illuminati dalla fievole e debole luce del tremolante fuoco, che si dimenava scoppiettando fra i pezzi di legno secchi, quasi ridotti in brace. A breve si sarebbe spento del tutto. Potevo scorgere le limpidi iridi dello sceriffo scrutare quella distesa priva di astri, quasi volessero immergervisi.

-Non ci sono stelle. – sussurrò.

-Allora ci sono molte nuvole. – spiegai – Se saremo fortunati potrebbe anche piovere domani.

Borbottò qualcosa fra sé e sé, come se non volesse rendermi partecipe dei suoi pensieri negativi. Ad ogni modo ero al corrente di ciò che gli passava per la testa, sapevo benissimo che non eravamo fortunati da molto, anzi, forse non lo eravamo mai stati. Pian piano udii il suo respiro farsi più pesante. Ero felice che si fosse finalmente appisolato. Mi alzai, osservando il gruppo. Vidi Carl rabbrividire. Il fuoco si era quasi spento. Sfilai il machete dal mio zainetto e mi avvicinai a degli alberi poco distanti. Affondai la lama in quei rami, cercando di scacciare l'immagine dell'amputazione di Kio. Ad ogni colpo che sferzavo, mi sembrava di stare tagliando il braccio a Kioshi. Percepivo quasi il sangue sulle mani. D'un tratto dei barattoli tintinnarono. Un putrido vi inciampò, finendo a terra. Piantai la lama con disprezzo su quella testa decomposta. Non ne potevo più di questi esseri. Tornai al falò, facendo riprendere il fuoco. Soddisfatta, mi sedetti, allungando le mani vicino alle fiamme. Si congelava. E per quanto restassi di fronte a quella fonte di calore, mi sentivo fredda, vitrea come una lastra di ghiaccio. E allora mi chiesi chi fossero i veri morti fra noi e loro, non avendo alcun dubbio sulla risposta. Cosa eravamo noi se non fiocchi di neve in un inverno non troppo rigido? Fragili cristalli prossimi all'asfalto, dove ci saremmo sciolti una volta per tutte, svanendo.

Angolo autrice
Kioshi è morto e molti dei lettori saranno felici, anche se a me come personaggio interessava lol
Cosa ve ne pare fino ad ora della storia? :D

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 : Al posto mio ***


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Capitolo 31 : Al posto mio 

 
 

Le mie previsioni sembrarono avverarsi. Il cielo al nostro risveglio si colorò di un grigio antracite, ridondante d'acqua piovana. Le nuvole sembravano voler straripare da un momento all'altro, ma ancora nessuna goccia si frantumava al suolo. Camminando, buttavo lo sguardo in alto ogni poco, sperando di vedere peggiorare la situazione. Desideravo una burrasca, uno scroscio d'acqua ghiacciata, dissetante. Daryl mi stava vicino, come per farmi da spalla. Non sapevo cosa pensasse, ma era intenzionato a sorreggermi se ne avessi avuto bisogno, come se fosse al corrente del mio stato d'animo. Un tempo mi infastidiva quasi sapere che egli mi comprendesse al volo, come se fossi un libro aperto, ora invece, mi tranquillizzava. Non avevamo voglia di chiacchiere, né ci guardavamo. Semplicemente, eravamo lì. D'un tratto le persone davanti si fermarono, come se di fronte a loro ci fosse qualcosa che ostruisse il passaggio. Mi feci spazio fino a scorgere delle bottiglie colme d'acqua sull'asfalto. Vi era pure un biglietto, recitava: da un amico.
Abbracciamo tutti le armi, guardandoci attorno. Qualcuno ci stava seguendo, tenendo d'occhio. Abraham e Daryl setacciarono velocemente la zona, non trovando tracce.

-Cosa dovremmo fare? – domandò Glenn, indicando l'acqua.

Morivamo tutti di sete, la tentazione era molta. Sebbene la cosa fosse alquanto sospetta. Perché mai avremmo dovuto fidarci di qualche sconosciuto?

-Non mi piace per niente questa storia. – affermò lo sceriffo.

-Potrebbe essere avvelenata. – aggiunse Carol.

-Non ha senso lasciare le bottiglie qui. – sottolineò Tara – Se fosse una persona che voleva davvero aiutarci si sarebbe fatta vedere.

Continuavo a fissare quella limpida bevanda.

-Col cavolo che bevo questa robaccia. – esclamò l'arciere, gesticolando con la balestra.

Rick portò le braccia ai fianchi, corrugando la fronte. Poi, Eugene si mosse ed afferrò un bottiglia.

-Tanto vale provare. – balbettò, offrendosi volontario.

Non appena poggiò le labbra a quella superficie plastificata, Abraham colpì l'oggetto, scaraventando la bottiglia a terra. Questa rovesciò il suo contenuto sul suolo. Fu come una pugnalata. Sentivo che era uno spreco.

-Non fare il coglione, cazzo. – lo ammonì.

Eugene abbassò lo sguardo. Voleva solo rendersi utile, ma sbagliava sempre. Cercai comunque di sostenerlo.

-Non abbiamo la certezza che sia avvelenata, potrebbe anche essere buona dopotutto.

-Sì, ma non possiamo nemmeno rimetterci la pelle. – ribatté Rick, riferendosi all'atto del finto scienziato.

Scrollai le spalle. Non volevamo rischiare, perciò le avremmo semplicemente lasciate lì. D'improvviso un tuono rimbombò nell'aria circostante. Scorsi un lampo. E la pioggia cadde a scrosci, inondandoci. Quasi volesse essere un segnale. Il mondo ci stava offrendo dell'acqua per sopravvivere od ero solo un altro bieco scherzetto? Afferrammo tutti le nostre borracce, cercando di catturare quelle grosse gocce. In pochi secondi fummo tutti completamente bagnati. I vestiti si appiccicarono alla pelle, rinfrescandomi. Avevo sempre amato la pioggia, ed ora più che mai. Quest'evento atmosferico aveva portato con sé gioia, sorrisi e speranza. Ridevamo sollevati, aprendo la bocca al cielo. I capelli si inzupparono, risultando ancora più pesanti. Li legai in una crocchia provvisoria. Ci lavammo dalla polvere, dalla spossatezza generale e soprattutto dalla negatività. Carl si avvicinò, porgendomi la sorellina. Anch'egli voleva godersi il momento. A volte quasi mi dimenticavo che fosse solo un ragazzino. Presi in braccio Judith, coprendola dal getto d'acqua con il cappello da sceriffo. Pure la piccola ridacchiava. Era bellissima. Nonostante tutto l'orrore in cui era stata gettata, la sua pelle era pura e candida come porcellana. Sembrava provenire da un altro mondo.

-Avevi ragione. – ammise Rick, spuntando all'improvviso nel mio campo visivo.

I suoi mossi capelli scendevano delicati sulla fronte, facendo spiccare quegli occhi glaciali. La barba tratteneva ogni goccia, quasi si trattasse di brina mattutina. La maglia aderente sottolineava il suo corpo statuario, accentuando i muscoli. Non avevo mai fatto caso al suo fisico.

-E quando non ce l'ho? – gli sorrisi.

Mi guardava con occhi dolci e malinconici allo stesso tempo. Cullavo Judith delicatamente, ricordandomi della prima volta che presi in braccio Cassie. Mi trasmetteva delle strane sensazioni. Capivo lo stato d'animo dello sceriffo. Ogni qual volta che una donna teneva in grembo Judith, la sua mente gli trasmetteva tutti i ricordi di Lori. Doveva essere dura.

-Saresti una brava mamma.

-Chissà, in un'altra vita forse. – scherzai.

Non avevo nessuna intenzione di mettere su famiglia in un mondo del genere. Nemmeno se avessi trovato in futuro l'uomo perfetto. Ammiravo il coraggio dello sceriffo, egli non si era tirato indietro. Aveva deciso di dare alla luce questa scricciola, di dare un segno di speranza. Lori si era addirittura sacrificata. Ma io non ero il tipo, la mia missione era tutt'altra. La vita aveva sicuramente altro in serbo per me. Poggiò la mano sulla mia spalla, tamburellando per qualche istante, sorridendomi. La pioggia ci stava letteralmente inondando, eppure restavamo lì a fissarci come se niente fosse, fra le risate e le grida allegre degli altri. D'un tratto sentii il bisogno di voltarmi, come se sapessi che qualcuno ci stesse osservando. Fu in quel momento che incrociai lo sguardo di Daryl. Rick spezzò subito il contatto, lasciando cadere la mano lungo il fianco. L'arciere si voltò, come per fingere che non ci stesse guardando o che non gli avesse dato affatto fastidio. Eppure sentivo che qualcosa non andava. La situazione stava diventando ambigua. Cominciavo a pensare che Daryl provasse qualcosa nei miei confronti, ma Rick si era esposto maggiormente. Cercavo di fare chiarezza in me, sperando di capire le mie emozioni. Era come se fossi diventata apatica. Ma vedere Daryl scocciato, triste, mi faceva male. Mi dimenticai della pioggia, dell'evento fortuito appena avvenuto, del senso di sete appagato. Pensavo solo a lui. Rick si accorse di ciò e prese in braccio Judith, lasciandomi sola. Una volta che le borracce furono piene, riprendemmo il viaggio ignorando palesemente quelle bottiglie in mezzo alla strada. Passandoci accanto, l'istinto mi diceva di fidarmi. Rallentai il passo, restando in fondo alla coda e riempii lo zaino di qualche bottiglia. Eugene mi vide. Gli feci gesto di non farne parola ed egli si avvicinò, parlandomi a denti stretti in modo che gli altri non se ne accorgessero.

-Che intenzioni hai?

La sua faccia buffa mi metteva un poco di allegria.

-La penso come te. – spiegai, facendolo sentire importante – Va provata. Se fosse buona sarebbe un terribile spreco.

La pioggia continuava a scendere su di noi, non dando alcun segno di essere al termine.

-Ma se fosse avvelenata o contenesse qualche strano farmaco, tipo dei sonniferi? – sibilò.

-Ne berrò solo un minuscolo sorso. Dal sapore già dovrei capire se contiene qualcosa. Inoltre, l'effetto sarà minimo.

Dopo una riflessione con occhi persi nel vuoto, mi rispose.

-Effettivamente, chiunque abbia messo delle sostanze, puntava sul fatto che fossimo molto assetati. Questo vuol dire svuotare una bottiglia in pochi secondi, mandando immediatamente in circolo una grossa quantità del farmaco. Dovresti essere al sicuro.

Gli feci l'occhiolino.

-Esattamente, proprio quello che intendevo.

Sembrò soddisfatto.

-Bene. Ti terrò d'occhio compagna. – aggiunse, mostrandomi il pollice.

Ciò mi fece sorridere. Quello sarebbe diventato il nostro gesto.

-Grazie Eugene. E mi raccomando.. acqua in bocca! – dissi, ridendo della mia stessa battuta.

Ci separammo, senza comunque perdere il contatto visivo ogni poco. Non mi perdeva mai un attimo. Devo dire che fosse un poco sgamabile, ma tutti pensavano che fosse un tipo strano, quindi non ci facevano più caso del necessario. I tuoni e lampi si facevano sempre più forti, sempre più violenti. L'aria tutto d'un tratto si era palesemente congelata, facendoci rabbrividire ad ogni passo. Di male in peggio, pensai. L'acqua che avevo in circolo non mi aveva ancora dato problemi, ero sicura che fosse buona. Guardavo Daryl ignorarmi, passeggiare con la balestra sulle spalle. I capelli bagnati si erano appiccicati al volto, ero sicura che quella fosse la sua prima doccia. Volevo quasi avvicinarmi per sapere se profumasse di cane bagnato.

-La situazione sta peggiorando. – espose Michonne.

-Si sta per mettere male, me lo sento. – aggiunse Abraham.

Rick si passò le mani sul volto, cercando di privarsi dell'acqua in eccesso.

-Dobbiamo trovare un riparo.

Non appena lo sceriffo terminò la frase, mi sporsi d'istinto nella direzione della radura, volendo andare in avanscoperta.

-Restate nei paraggi. – ordinò brusco Rick – Non c'è bisogno che vi spieghi il motivo, visto quello che è successo.

Ciò mi provocò una stretta allo stomaco. Kioshi era una ferita fresca, non c'era motivo di doverlo portare come esempio. Non gli risposi, inoltrandomi nel bosco. Sentii altri spingersi nel lato opposto. Gli anfibi affondavano nella melma, il terreno che fino a qualche ora fa sembrava spezzarsi, adesso era mutato in una poltiglia densa. Facevo fatica a camminare nel fango alto, ma continuavo a muovermi aggrappandomi a qualche ramo per fare leva. Sotto quelle alte chiome, fortunatamente, la pioggia non riusciva a raggiungermi direttamente, smorzando il getto sulle foglie. Avevo tanto disperatamente desiderato un acquazzone, ma ne avevo già le palle piene. Udii alcuni passi dietro di me. Allora mi fermai, aspettando che chiunque fosse mi raggiungesse. A mio stupore fu proprio l'arciere. Finsi di non essere stupita da ciò e continuai a camminare.

-Come mai hai voluto seguirmi? So badare a me stessa.

-Dopo quello in cui ci siamo imbattuti, non credo proprio che sia una buona idea girovagare da queste parti. E poi diciamocelo, finisci sempre nei guai.

Sbuffai.

-Non mettertici anche tu.

Amava punzecchiarmi.

-Faresti prima ad ammetterlo. – sentenziò.

Risi sconfortata.

-Sei venuto per litigare o per dare una mano, sbruffone?

Non rispose subito, occupandosi prima di un vagante rimasto bloccato nel fango. Questo ci consentiva un bel vantaggio sui putridi.

-Insomma, Rick si sta dando da fare eh? – disse, pulendo il pugnale e facendomi gesti che rappresentavano un rapporto sessuale.

Rimasi interdetta da quanto fosse infantile, ogni volta me ne stupivo.

-Ma dico, fai sul serio? – mi innervosii, allungando il passo.

Scorsi un capanno, una struttura in legno che somigliava ad una stalla. Poteva andarci bene. Ci avvicinammo, volendo essere sicuri che fosse vuoto. Mi posizionai sul lato destro del portone e lui fece lo stesso col sinistro, in modo tale da scattare assieme nello stesso istante. Non appena aprì, portammo le lame in alto, pronte a conficcarle in qualche stronzo. Nessuno si parò di fronte a noi. Udivamo solo qualche lamento. All'interno trovammo infatti alcuni vaganti in pessime condizioni. Davano l'impressione di non mangiare da molto, data la loro scarsa reattività. Fu un gioco da ragazzi eliminarli. Il granaio non era messo benissimo, ma non era nemmeno in pessime condizioni. I punti da cui entravano assurdi spifferi erano parecchi e da un lato del tetto filtrava la pioggia, ma tutto sommato ci saremmo tranquillamente arrangiati. La tempesta aumentò di potenza, il vento che si alzò sembrava essere intenzionato a creare un uragano. Tentammo di raggiungere in fretta il gruppo, ma fummo bloccati da una decina di putrefatti aggressivi. Nonostante la difficoltà nel muoversi, ci avrebbero dato del filo da torcere, essendo anche noi stessi limitati. Sfoderai il machete, cercando di dare dei colpi netti e puliti, scaraventando a terra una testa dietro l'altra. Con la coda dell'occhio, vidi Daryl in difficoltà, attaccato da due lati. Cercava di tenere lontano da sé uno di quegli esseri, spingendolo per il busto, mentre tirava dei calci al secondo, sperando di farlo cadere. Il pugnale gli scivolò di mano, finendo nella melma. Accorsi in suo aiuto, abbattendo entrambi. Mentre mi occupavo di quelli rimasti, Daryl affondò le mani nel fango, in cerca della lama.

-Fanculo! – gridò, prima di conficcare il pugnale nell'ultimo vagante.

Agitava la mano destra, scrutandosi il palmo con faccia corrugata. Vidi del sangue scorrere lungo il braccio. Rimasi immobile a fissarlo, pensando al peggio.

-Non guardarmi in quel modo. – brontolò – Non sono stato morso.

Si doveva essere ferito col pugnale. Il cuore riprese a battere.

-Che cazzo, mi hai fatto prendere un colpo. – sospirai nel fiatone – Fammi dare un'occhiata.

-Nah, non ce n'è affatto bisogno. È solo un graffio. – tirò corto.

Ma a giudicare dalla quantità di sangue, la ferita doveva essere profonda. Feci per avvicinarmi e lui si discostò.

-Che c'è? – domandai innocentemente. – Voglio solo pulirti la ferita, hai le mani piene di fango.

Si poggiò ad un tronco, guardando altrove come per darmi il consenso implicitamente. Mi sfilai lo zaino dalle spalle, afferrando la borraccia d'acqua per pulire il palmo. Gliene versai un poco e sangue misto a terra scivolò al suolo. Presi un pezzo di garza e gli fasciai il palmo, cercando di non premere troppo sulla ferita. Non poteva ferirsi in posto peggiore, un taglio al palmo ci mette il doppio del tempo a rimarginare, data la mobilità della mano. Rischia di aprirsi molto spesso. Quando feci per riporgere la borraccia, egli mi afferrò il polso, strappandomi dalle mani lo zaino. Ne tirò fuori le bottiglie che avevo deciso di prendere di nascosto.

-Cosa cazzo ci fanno nel tuo zaino? – scandì ringhiando parola per parola.

Presa alla sprovvista, non seppi bene cosa dire.

-Io e Eugene pensavamo che..

-Tu e Eugene?! – ripeté, marcando l'ultimo nome.

Cercai di liberarmi dalla presa, ma egli strinse ancora di più la morsa, facendomi male al polso, oltretutto slogato.

-Senti, so che può sembrare una stupida idea..

-Non mi interessa! – ringhiò, interrompendomi.

Fece per lanciare via l'acqua, ma fu bloccato dalle mie parole.

-L'ho bevuta, è buona. È buona, Daryl! – confessai, colpendogli il petto con la mano sinistra stretta in un pugno.

-Tu cosa? – mi guardò torvo – Sei pazza.

Lasciò cadere a terra lo zaino, il quale sprofondò in parte nella melma. La pioggia continuava a schiantarsi su di noi, ma data la tensione, percepivo ogni goccia sulla pelle come piccoli dannati spilli. Mi afferrò con rabbia per le spalle, spingendomi con ferocia sul tronco dell'albero a lui vicino. Mi premette contro quella superficie rugosa con tutta la sua forza, poggiandosi pure su di me col suo corpo. I nostri petti fradici erano a contatto, tanto che lo sentivo fremere dal nervoso. Quella violenza improvvisa, quelle dita premute come fossero lame, mi facevano provare le stesse terribili emozioni che mi aveva scaturito Joe in quel famoso giorno. Ebbi la forza di non chiudere gli occhi, di mantenere il contatto visivo con quelle sue iridi vitree, più taglienti di qualsiasi diamante grezzo. Non capivo le sue intenzioni, tutta quella vicinanza. Non si trattava della solita ramanzina. Stare così a contatto mi metteva in imbarazzo, oltre che a disagio. Il muscolo cardiaco pulsava all'impazzata, bloccandomi il respiro. Strinse poi la mia mandibola con tutt'altro che delicatezza, obbligandomi ad aprire la bocca. Non appena compresi le sue intenzioni, bloccai d'istinto l'altra sua mano che si stava avvicinando al mio volto.

-Non osare infilarmi quelle tue schifose dita in gola. – minacciai, sforzando la mascella.

Percepivo il suo respiro frenetico su di me.

-Devi vomitare, prima che il tuo corpo assorba quella robaccia. – disse a denti stretti, senza mollare la presa o allontanarsi.

-Toglimi subito le mani di dosso. – gli tenni testa – Se fosse stata avvelenata, a quest'ora..

Mi spinse nuovamente contro il tronco, premendo maggiormente. Percepivo la corteccia escoriarmi la pelle bagnata attraverso la canotta zuppa.

-A quest'ora cosa, uh? – abbaiò – Saresti morta?

Non risposi, limitandomi a fissarlo. Aveva solo paura. La sua scenata, la rabbia, la violenza. Tutti aspetti dettati dal sentimento che lo legava a me. Temeva per la mia vita.

-È questo quello che vuoi, mocciosa? – gridò – Dimmelo. Vuoi crepare, vuoi buttarti così fregandotene di me, di loro, di tutti quelli che hanno cercato di mantenerti in vita? Se le cose stanno in questo modo, lasciatelo dire. Sei una vigliacca, una puttana egoista.

Lasciò la presa, come se all'improvviso fosse schifato da me. Rimasi senza parole, con un terribile senso di vuoto che si faceva spazio in me, provocandomi una serie di sentimenti contrastanti. Non stavo cercando la morte, non era mia intenzione sacrificarmi per delle stupide bottiglie d'acqua lasciate per strada, non volevo fare l'eroina della situazione, non pensavo di stare tanto a cuore all'arciere da tramutarlo in una bestia frustrata, non avevo desiderato niente di tutto questo. E allora, perché lo avevo fatto? Forse perché sono semplicemente una stupida, una inutile ragazza con la malsana idea di avere sempre ragione, di fidarsi ciecamente dall'istinto. Non avevo le forze e la testa per piangere in quel momento, ma il cielo lo stava facendo al posto mio. Lui era lì, immobile di fronte a me ad aspettare chissà quali parole, chissà quali gesti, con la consapevolezza che, in un modo o nell'altro, l'avrei comunque deluso.

-Forse do questa impressione, forse sembro solo un'idiota che scherza con la vita, che fa cose avventate senza un motivo preciso, che se ne strafrega di ogni consiglio. Sono questo, ma allo stesso tempo non lo sono. Agisco d'istinto, ma rifletto alla velocità della luce. Non faccio niente se non lo ritengo prima giusto od appropriato. Non sto cercando di ammazzarmi, a quest'ora sennò me ne sarei già andata da un pezzo. Io sto lottando, proprio come te e loro. Non azzardarti a chiamarmi vigliacca, non ne hai il diritto. Tu, tu che scappi dalle persone, dai conflitti, finendo con lo scoppiare di punto in bianco. Travolgi tutti come un tornando, fregandotene delle cicatrici che lasci. Ho fatto quel che ho fatto, perché sinceramente penso che il mondo sia allo stremo, che non esistano più persone buone, ma allo stesso tempo ho voluto rischiare, assaggiare quell'acqua per mostrare a me stessa che sbaglio, che qualcuno voglia davvero aiutarci. E forse hai ragione, sono pazza, ma è quello che sono e non posso cambiare, né vorrei farlo.

Parlai veloce restando senza fiato, gettando quelle parole su di lui come pietre. I suoi muscoli si rilassarono, pure il volto si addolcì, pur restando serio e distante. Sembrava avesse qualcosa da dire, da confessare, ma Glenn apparve nel panico, arrancando nel fango.

-Finalmente vi ho trovati. – disse con voce spezzata dalla fatica - Eravate gli unici a non essere tornati indietro.

Vide chiaramente che qualcosa non andava, la tensione era alta, ma finse di non farci caso, cercando di allentare il tutto.

-Ditemi che siete stati fortunati e che avete trovato qualcosa.

Gli mostrai il sorriso più finto che potessi sfoderare.

-Ci puoi scommettere.

Egli tirò un sospiro di sollievo. La tempesta stava peggiorando troppo velocemente, preannunciando una terribile tormenta, fra cicloni e tuoni. Lanciai un ultimo sguardo a Daryl e raccolsi lo zaino, scuotendolo affinché si liberasse in parte dalla poltiglia marrone.

-Andiamo a dare la buona notizia al resto del gruppo. – parlai a Glenn, tirandolo per mano.

 

*


 

Il vento scuoteva il capanno, il legno sembrava volersi spezzare da un momento all'altro. Il rumore della pioggia si faceva sempre più forte, rimbombando nelle orecchie quasi fosse una tortura cinese, ma a parte questo, almeno eravamo all'asciutto. Rick provò più volte ad accendere un fuoco, data la difficoltà di far bruciare quella legna umida. Dopo una mezzora buona, finalmente una minuscola fiamma apparve barcollando. Ci acquattammo tutti vicino a lei, soffiando ogni tanto per darle forza. Daryl fu l'unico a non sedere assieme a noi, restò al portone, facendo la guardia, osservando l'esterno attraverso le fessure delle travi. Rick ci scrutava entrambi, cercando di capire cosa fosse successo, ma non osò domandarmi nulla.

-Avete riempito tutte le vostre borracce? – domandò baffo rosso – Dopo una scrosciata del genere, mi aspetto un periodo di secca.

Annuimmo. Aveva ragione, ma non sarebbero bastate. Chissà quanto ancora sarebbe durato il nostro viaggio. Iniziavano tutti a pensare che non avremmo trovato nessun posto sicuro. Che saremmo finiti per morire di stenti. Avrei voluto rassicurare loro, fare qualche strano discorso rincuorante, ma non ne ero dell'umore adatto. Guardai Eugene intensamente ed egli mi fece cenno di no con la testa, cercando di non farsi notare. Ovviamente non gli diedi retta. Troppo testarda.

-Comunque. – sussurrai con malavoglia – L'acqua era buona.

Si voltarono tutti nella mia direzione, scrutandomi sperando che non avessi fatto chissà quale idiozia. Posai le varie bottigliette davanti a me, una ad una in silenzio. Strinsi a me le gambe, posando il mento sulle ginocchia.

-Cosa vorrebbe dire? – chiese nervosa Carol.

Maggie scosse la testa.

-Vuol dire che l'ho bevuta, che è buona e che qualcuno ci sta davvero aiutando.

-E ce lo dici così? – brontolò Rick – Come se niente fosse? Poteva essere..

-Beh non lo era. – sbottai.

Mi guardò in cagnesco. Glenn, al contrario, mi osservava con occhi tristi.

-Ne sembri quasi delusa. – sputò Abraham.

Lo fulminai.

-Cosa stai insinuando?

Alzò le spalle, rispondendomi mentre rassettava il fuoco, con fare saccente.

-Che ti sei arresa.

-Abraham. – interruppe Rick, sperando di zittirlo.

Ma chioma rossa continuò.

-Sì, penso che ti sia arresa. Che da quando è morto il tuo amichetto..

Rosita lo colpì sulla pancia, intimandogli di non aggiungere altro. Oramai però era troppo tardi, il sangue mi ribolliva. Scattai in piedi.

-Stai forse dicendo che ho bevuto quell'acqua sperando che fosse avvelenata?!

-Non è così, eh? – ringhiò, scattando anch'egli all'in piedi.

Gli piantai l'indice sul petto. Non mi importava che fosse più grosso di me, non avevo paura di quel bestione tutto muscoli e niente cervello. I suoi sospetti mi stavano facendo incazzare.

-Certo che non è così, idiota.

Eugene si tappò gli occhi.

-Sedetevi, adesso. – ordinò lo sceriffo, con voce chiara.

Lo ignorammo.

-Stronzate. – mi sussurrò in faccia, poggiando la fronte sulla mia con fare da duro.

Stava istigando una rissa. Voleva che lo colpissi. Non mi tirai indietro, mantenni il contatto, facendo ancora più forza.

-Per chi diavolo mi hai preso, sergente? – dissi, ironizzando sull'ultima parola. – Non sono io quella pappamolle in questo gruppo che si è scolata litri di whisky per attirare l'attenzione, proprio come avrebbe fatto un adolescente depresso.

Vidi una smorfia formarsi sul suo volto. Ero pronta. Si staccò velocemente da me, portando indietro il bracco teso.

-Figlia di puttana!

Avrei parato quel pugno, se solo Rick non si fosse alzato per mettersi in mezzo, distraendomi. Egli cambiò traiettoria e mi colpì in pieno volto, schiantandomi al suolo. Il parroco sussultò.

-Sei impazzito? – gridò lo sceriffo.

-Abraham, sei solo uno stronzo. – brontolò Rosita, correndo nella mia direzione.

Mi sollevai sulle ginocchia, strusciando il dorso della mano sulle labbra. Vidi una striscia di sangue. Sputai a terra un grumo rosso. Mi aveva spaccato il labbro. Ero fortunata che non mi fosse partito qualche dente. Rosita mi prese il braccio e se lo passò sopra il collo, aiutandomi a mettermi in piedi. La botta era stata forte, ero leggermente rintronata.

-È lei la stronza. – continuò il sergente, ignorando le minacce di Rick.

Lo guardai con odio.

-Che c'è eh? Non sei soddisfatta, ne vuoi un altro suicida del cazzo?

Gli sputai in faccia, schizzandolo col mio stesso sangue. Percepii la collera fremergli nelle vene.

-Smettetela tutti e due. – parlò  Glenn - Non è il momento per cercare di ammazzarsi fra di noi.

Rick intanto cercava di far ragionare il rosso, parandosi di fronte a lui. Voleva che lo guardasse negli occhi, ma egli non faceva altro che fissarmi con un'intensa furia omicida. Per quanto lo sceriffo fosse incazzato e lo minacciasse, Abraham era il doppio come fisico e forza, gli bastò spingerlo via con un braccio e fu di nuovo su di me. Mi afferrò per il collo della canotta, pensando di farmi paura. Rosita cercava di staccarlo da me, tirando il suo amato senza spostarlo di un centimetro.

-Abraham! – gridò Rick – Lasciala andare subito. Non lo ripeterò una seconda volta.

Judith scoppiò in un pianto isterico, costringendo Carl ad allontanarsi da noi. Carol e Michonne erano pronte a scattare se il sergente avesse dato un secondo segno di violenza. Speravano tutti che la cosa finisse pacificamente. Abraham mi stava letteralmente picchiando con le sue iridi infernali, percepivo senza problemi il suo odio. Gli sorrisi, sfidandolo. Ed egli non ci vide più. Il pugno si avvicinò in un istante.

-Prova a toccarla un'altra volta e sei morto. – ringhiò Daryl, mirandolo con la balestra.

Le sue dita erano praticamente in mezzo ai miei occhi ad un centimetro di distanza. Il suo pugno era sospeso in aria, come se qualcuno avesse messo in pausa la scena.

-Allontanati e porta subito il tuo dannato culo lentigginoso di merda a terra o giuro che ti freddo con un solo fottuto dardo. – abbaiò l'arciere.

Fui infastidita dal suo intervento, era l'ultima persona che poteva prendere le mie difese, dopo quello che aveva fatto nel bosco.

-La situazione sta degenerando. – esclamò Maggie – Diamoci tutti una calmata.

Rick allungò il braccio mostrando il palmo all'amico, come per calmarlo.

-Daryl, abbassa l'arma.

-Lo farò quando quel figlio di puttana le avrà tolto le mani di dosso. – latrò.

Il rosso allentò la presa, indietreggiando lentamente senza staccare gli occhi da me. Lanciò un'occhiata a Daryl e si sedette in un angolo della struttura, seguito subito dalla fidanzata che ringraziò l'arciere con un cenno. Rick abbassò la mano e Daryl ripose la balestra.

-È tutta colpa mia! – esplose Eugene – Sapevo che aveva bevuto l'acqua, ma la tenevo d'occhio io. Ci eravamo messi d'accordo, un sorso piccolo per capire se fosse effettivamente buona. Avrei dovuto dirvelo, scusate.

-Cosa stai dicendo? Qui nessuno ha una colpa. – spiegò Tara.

-Qui si tratta solo di essere incoscienti. – parlò Sasha, l'unica che era rimasta tranquilla accanto al fuoco.

Da che pulpito, pensai. Premetti il polso sul labbro, sperando che la pressione avrebbe fermato la fuoriuscita del sangue.

-Hai rischiato la tua vita per niente. – sussurrò arrabbiato Rick – Ancora una volta.

-L'ho rischiata per farti aprire gli occhi. – risposi scocciata – C'è davvero qualcuno che vuole aiutarci.

-E tu la vedi questa magica persona? – disse furiosa Carol.

Glenn sperava che lasciassi perdere.

-Verrà. Ne sono certa.

Sicuramente qualcuno ci stava tenendo d'occhio da tempo. Forse si trattava di una, due o al massimo tre persone che volevano prima accettarsi che fossimo brava gente. Insomma, io stessa avrei studiato un gruppo dall'esterno prima di buttarmici come se niente fosse. Il tutto aveva una sua logica.

-Ah certo. – schernì – Perché il tuo istinto ha sempre ragione.

-Mi ha portato fin qui. – dissi, risoluta.

Rick piegò la testa di lato, era stanco di tutte queste discussioni.

-Che c'è? – mi domandò avvilito – Vuoi litigare anche con Carol adesso?

Sospirai. Non ero certo io quella che aveva iniziato. Odiavo sentirmi dire che mi ero arresa, che Kio fosse il mio amichetto.. che cazzo, era una persona. È morto. E Carol perché mai mi stava dando addosso? Se non ci fosse stata quella diavolo di tempesta, a quest'ora mi sarei allontanata dall'intero gruppo. Mi davano tutti sui nervi.

-Dico solo ciò che penso. – ammisi, osservandomi la mano sporca.

Odiavo le ferite al labbro, seppur minuscole facevano fuoriuscire una grande quantità di sangue.

-Ah davvero? – domandò ironica Carol – Ora ti dico io ciò che penso. Grazie al tuo cavolo d'istinto, se a Terminus non mi fossi trovata in quell'edificio, saresti morta. E se proprio vuoi saperlo, il tuo magnifico istinto, è lo stesso che ti ha portato anche da quel pazzo del Governatore.

-Vuoi mettertici anche tu adesso? – brontolò Daryl, guardandola in cagnesco.

Mi leccai la ferita, assaporando quel gusto ferroso ed acuto. Frizzava da far schifo, ma non tanto quanto la rabbia che avevo in corpo.

-Grazie dell'esposizione accurata Carol, non pensavo che fossimo arrivati al punto in cui rinfacciavamo l'aver salvato la vita agli altri. – parlai pacata – Detto questo, il mio magnifico istinto è lo stesso che mi ha portato a difendervi, a lottare contro il Governatore, a lasciare quella che un tempo era stata la mia gente. Sempre lui, mi ha fatto sopravvivere dopo la caduta della prigione. E sono qui, per un motivo o l'altro, sono ancora qui come tutti voi. Non venirmi a spiegare come si vive.

Fece per ribattere, ma Rick la zittì con un semplice gesto. Non mi importava cosa pensasse, sapevo in cuor mio come stavano davvero le cose, ciò che ero stata costretta a subire e ad ingoiare. Me ne andai, allontanandomi da tutti loro. Daryl cercò di avvicinarsi, ma lo scansai. Le nostre spalle si scontrarono, ma lo ignorai. Mi aggrappai ad una scala semitorta di legno e raggiunsi quello che poteva essere definito il secondo piano, un soppalco colmo di fieno di secco. Mi gettai su di esso, finendo col fissare il soffitto, quelle travi di legno che stavano assorbendo ogni diavolo di goccia.  Avevo esagerato? Forse. Ma non me ne pentivo. Non ero il tipo di persona che se ne sta zitta sotto accusa ingiusta. Mi girai di lato, assumendo la tipica posizione fetale. Mi fissavo la mano sporca di sangue, chiedendomi quante altre volte l'avrei vista conciata così. Che fosse il mio, altrui o di vaganti, finivo sempre con l'avere le mani pregne di sangue. Passai più di un'ora in quello stato, senza nemmeno cambiare posizione, persa nei miei pensieri. Oramai era notte fonda, ma non riuscivo a prendere sonno. Sentivo giù qualcuno parlare a bassa voce, ma non riuscivo a capire chi fosse. Ad ogni modo sembravo non essere l'unica a soffrire d'insonnia. Per nostra fortuna Judith invece pisolava beatamente. Il suo pianto mi aveva dato alla testa. Percepii il legno scricchiolare sotto il passo di qualcuno. La scala si mosse. Sbuffai e finsi di dormire. Non volevo nessuno attorno. Chiunque fosse, si sdraiò accanto a me, incrociando le braccia sotto la testa.

-È inutile, so che sei sveglia. – sussurrò Daryl.

-Che palle.

Rise.

-Non c'era bisogno che ti mettessi in mezzo.. – sospirai.

-Tsk, al secondo cazzotto saresti crollata. Sei uno scricciolo in confronto ad Abraham.

Parlavamo senza guardarci, o meglio, cercavamo di fingere che non vi fosse della tensione fra di noi. Lui fissava le travi, scrutandole da dietro quei suoi capelli ormai troppo lunghi, ed io osservavo il suo profilo nella penombra. A dirla tutta era praticamente buio pesto, ma il fuoco filtrava da sotto illuminando quanto bastava.

-Nah, lo avrei preso di sprovvista. Un contrattacco. – spiegai a bassa voce – A volte dimentichi che ero nelle forze speciali.

Sorrise.

-È che non riesco proprio ad immaginarti.

Gli diedi un colpetto.

-Menomale, ero così sexy.

Soffocò una risata. Era bello vederlo sereno ogni tanto, sebbene sapessi che si stava sforzando. Come me del resto. Restammo poi in silenzio, fermi ad ascoltare la melodia di quell'acqua che cadeva dal cielo, di quelle gocce che si infrangevano al suolo, su ogni superficie possibile. Stavo bene con lui, nonostante avesse spesso dei momenti no. Ma era una delle poche persone con cui potevo essere me stessa. Odiavo ciò che mi aveva detto nella foresta, così come odiavo le parole di Abraham, ma sapevo che quelle di Daryl erano diverse. Sapevo che se avessi voluto l'arciere al mio fianco, avrei dovuto accettare ogni sua sfumatura, compresi i drammi, le tragedie e le litigate no sense, perché erano sfumature che facevano tutte parte del suo carattere. Un tuono lontano, un fulmine violaceo. Di colpo il capanno fu pervaso da una luce accecante e l'attimo dopo ricadde nell'oscurità. Tutt'ora non ne conosco il motivo, ma decisi di avvicinarmi all'uomo che avevo accanto. Poggiai la guancia sulla sua spalla e la mano sul petto. Non mi piaceva, anzi, non tolleravo affatto che gli altri mi vedessero in frangenti di debolezza, non volevo essere considerata una ragazzina incapace e bisognosa di conforto, ma in quel momento non mi importava. Volevo solo ricevere la consapevolezza di non essere sola, perché nonostante mi trovassi con queste persone, spesso era quello ciò che provavo: un grande senso di solitudine. Daryl non si discostò, nè fece una battuta amara, si limitò semplicemente ad abbassare il braccio e a cingermi la vita.

-Perché facciamo sempre così? – domandai, ascoltando il battito del suo cuore – Perché non facciamo altro che pugnalarci, se poi ci cerchiamo?

Posò il mento sulla mia folta capigliatura riccia.

-Non lo so.

Sarò sincera, avrei voluto addormentarmi in quella posizione, fra le sue braccia, come una bimba che ha bisogno di sentirsi al sicuro. D'un tratto però, udimmo degli strani rumori, come se qualcuno da fuori stesse spingendo il portone. Ci alzammo di scatto. Isolai pian piano il rumore della pioggia, concentrandomi unicamente sull'ingresso del granaio. Dei mugoli, dei versi raccapriccianti. Putridi.
Vidi Rick scattare ai portelloni, spingendo con tutta la forza in corpo.

-Presto! – gridò.

Accorremmo tutti, dimenticandoci i rancori, le parole, le botte. Facevamo forza su quelle assi zuppe di pioggia, cercando di puntellare i piedi nel terreno. Non avremmo permesso a nessuno di loro di sfondare quella barriera di legno. Ci spalleggiavamo, ci spronavamo a non mollare. Percepivo il respiro fetido di quelle bestie. Il portone vacillava di tanto in tanto, facendoci temere per il peggio. Quella diavolo di situazione durò per gran parte della notte. Ma c'era un piccolo e sbiadito dettaglio positivo: eravamo tutti lì, gli uni di fianco agli altri, tutti pronti a lottare per sopravvivere come una unica cosa.

 

Angolo autrice
Drammi a più non posso. I know ahah
Almeno c'è stata un po' di Kendryl, al di là delle discussioni :P

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 : Persone ***


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Capitolo 32 : Persone


Le prime luci dell'alba filtrarono attraverso le fessure del legno, confermandoci che eravamo stati svegli per tutta la notte. Sentivo il corpo indolenzito ed affaticato, non ero pronta per un'altra giornata di camminata estrema. Era da qualche ora che non percepivamo nessun rumore dall'esterno, ma ancora non avevamo deciso di aprire le porte, né ci eravamo allontanati da esse. Alcuni sdraiati a terra, altri in piedi ed altri a sedere, come me, con la schiena contro il legno. Sebbene durante la notte avessimo collaborato, Carol e Abraham non si risparmiavano nessuna occhiataccia alla sottoscritta. Fingevo di non accorgermene. Feci forza sulle gambe e decisi di alzarmi, sgranchendo un poco le ossa. Vidi Daryl osservare fuori, poggiando il volto ad un foro su una trave. Non appena incrociò il mio sguardo, fece cenno di raggiungerlo, agitando due dita come al suo solito. Attraverso di quello, vidi la radura attorno fatta a pezzi. Il gruppo di vaganti che aveva cercato di attaccarci era stato spazzato via con parte degli alberi, molti di loro infatti erano addirittura intrappolati sotto qualche tronco.

-Direi che madre natura si è data da fare. – osservò l'arciere.

-Ci ha risparmiato qualche scocciatura. – mi rilassai.

Daryl riferì che fuori era tutto sgombro, non c'era da preoccuparsi. Decidemmo di aprire i portelloni e la luce ci investì, obbligandoci a ripararci col palmo della mano. Sebbene l'immagine che si presentò ai nostri occhi non era delle più felici e rosee, quella desolazione ci fece tirare un sospiro di sollievo. Data la distruzione totale del posto, avevamo un bel vantaggio. Rick, dopo una veloce occhiata, concesse a Maggie e Sasha di farsi un giro. Avrebbero controllato la zona e magari, se fortunate, avrebbero trovato qualcosa da mettere sotto i denti. Con tutto quel trambusto qualche animale poteva essere rimasto ferito. Allungai le braccia in alto sulla testa, sciogliendo i muscoli del collo. La serata era stata un disastro, la notte un incubo, ma ora mi sentivo stranamente di buon umore, a differenza di tutti gli altri. Rick era palesemente nervoso, irascibile. Forse gli faceva male non dormire. Glenn stava organizzando le scorte d'acqua e qualche barattolo trovato nel capanno, cercando di capire per quanto a lungo sarebbero durate.


-Ho sbagliato di nuovo. – disse affranto Eugene.

-Non è vero. Forse sono stata un tantino irresponsabile, ma c'eri tu a tenermi d'occhio, no?

Il suo volto formò un broncio.

-Ma Abraham si è arrabbiato.

-Ma lui si arrabbia per tutto. – sbuffai – Non è una novità.

Mise in modo goffo le mani in tasca.

-Ha colpito anche me. Quando gli ho detto che non ero uno scienziato. Sono svenuto per la botta.

Avevo provato sulla mia stessa pelle la forza di quel bestione, ma con Eugene doveva esserci andato giù pesante.

-Che ci vuoi fare, manifesta così il suo affetto. – cercai di sdrammatizzare.

In realtà se avessi potuto, lo avrei menato di brutto. Ogni volta che mi passava vicino con quella sua faccia disgustata, sentivo la pazienza abbandonarmi briciolo per briciolo.

-Mh. – mugolò serio – E allora perché non picchia anche Rosita? Quando fanno sesso..

Lo bloccai, dandogli un colpetto sul fianco.

-Ma che stai dicendo? – sussurrai – E poi che ne sai.

Temevo che qualcuno lo sentisse, soprattutto lei.

-Ma è vero, li guardo sempre mentre fanno sesso. Certo, lui le dice cose sconce ma non ha mai alzato..

Lo colpii di nuovo, stavolta con un poco più di forza, facendogli cenno di zittirsi all'istante. Rosita incrociò le braccia al petto, fissandoci.

-Di cosa stavate parlando? – disse, alzando un sopracciglio.

Vidi con la coda dell'occhio la bocca di Eugene aprirsi, non potevo permettere che rispondesse. Quell'idiota era così ingenuo che avrebbe detto la verità.

-Niente di che eheh – risi, massaggiandomi i capelli.

Ma non ne parve convinta.

-Ti ho visto colpirlo per dirgli di stare zitto.

Posai una mano sulla spalla di Eugene, cercando di sorridere.

-Mi stava raccontando un'altra triste barzelletta.

-Ed è per questo che sei tutta rossa? – mi fulminò.


Mi toccai d'istinto le guance, assumendo un'espressione ebete. Non sapevo cos'altro inventarmi. Per nostra fortuna, Michonne chiamò la donna. Non appena fu lontana, mi sentii più leggera.

-Cazzo. – inspirai – Non dirmi più una cosa del genere, Eugene.

Mi guardava come se non capisse cosa avesse detto o fatto di sbagliato. Lo sceriffo ci scrutò uno per uno, capendo quanto fossimo effettivamente stanchi. Non aveva molto senso riprendere immediatamente la marcia, saremmo andati poco lontano. Meritavamo del sano riposo, soprattutto ora che la situazione era tranquilla.

-Ascoltate. – proferì - Possiamo restare qua per la mattinata. Abbiamo bisogno di energie.

Tutti mi parvero d'accordo. Forse saremmo riusciti a dormire. Tornammo dentro al capanno, chiudendo i portoni giusto per sicurezza. Maggie e Sasha erano ancora fuori a godersi l'alba. Mi sedetti a terra, adagiando la schiena ad una trave portante. Le parole di Eugene continuavano ad infastidirmi, rimbalzando da una parte all'altra nella mia testa. Guardando Rosita, non facevano altro che scorrermi davanti immagini imbarazzanti. Distolsi immediatamente lo sguardo, fissando il terreno. Daryl si sedette vicino, giocherellando con la balestra.

-Hai ancora il labbro molto gonfio. – disse, guardandomi con occhi sereni.

Mi tastai il labbro inferiore con delicatezza, faceva ancora male.

-Sembro una di quelle che si fanno di botulino, vero?

-Sei un disastro.

Feci spallucce, non c'era altro d'aggiungere. Ero conciata malissimo.

-Uh?

Notai una sorta di curiosità nei suoi occhi.

-Che c'è? – chiesi.

-Nah niente, hai solo un'espressione strana.

Mostrai tutti i denti in un sorriso forzatissimo, sottolineando il fatto che effettivamente c'era qualcosa. Strinse gli occhi come per capirmi meglio. Mi sporsi leggermente, il giusto per sussurragli all'orecchio senza che gli altri lo notassero.

-Si tratta di Eugene.. ha detto che guarda sempre quei due far sesso. – confessai, indicando Abraham e Rosita con lo sguardo.

Daryl trattenne quella che sarebbe stata una sonora risata, finendo in un finto colpo di tosse. Serrò poi la mascella, provando con tutto se stesso a non scoppiare.


-Quel pervertito. – parlò a ventriloquo.


Abbozzai un sorriso e spostai lo sguardo, notando Rick in fondo al capanno. I suoi occhi erano vuoti, fissavano il niente. La piccola era seduta vicino alle sue gambe, concentrata a seguire i movimenti del fratello che ordinava lo zaino. Percepivo una sorta di strano nervosismo nell'aria. D'un tratto, il portone si mosse e dietro di questo apparvero Maggie e Sasha, seguite da uno sconosciuto. Scattammo tutti all'in piedi, pronti a difenderci, ma gli occhi di quell'uomo erano buoni. Che fosse la stessa persona che aveva lasciato l'acqua? L'uomo in questione era magro, alto, capelli corti tendenti all'arancio ed occhi azzurri. Dato il fisico e l'andatura impacciata dava un'impressione debole. Era difficile immaginarselo solo a combattere contro ondate di vaganti. Doveva appartenere a qualche gruppo. I vestiti erano puliti, sembravano nuovi. Proveniva senza dubbio da un luogo sicuro.


-Lo abbiamo incontrato qua fuori. – annunciò Maggie – Era solo. Abbiamo preso le sue armi e tutta la sua roba.

Rick si posizionò al centro del capanno con Judith in braccio. Gli occhi erano puntati sullo sconosciuto. Non sembrava affatto interessato alle informazioni che stava esponendo Maggie. La parte selvaggia dello sceriffo stava prendendo il sopravvento. Non si fidava. Daryl si discostò da me e perquisì l'uomo, dando inoltre un'occhiata fugace all'esterno, come per accettarsi che quanto detto fosse vero. L'uomo portò le mani all'altezza del petto, sottolineando che fosse innocuo.


-Salve. – disse con voce tremolante.

Judith sfociò in un pianto, obbligando il padre a scaricarla nelle braccia di Carl.


-È un piacere conoscerti. – continuò lo sconosciuto, facendo un passo in avanti come per voler stringere la mano allo sceriffo.


Rick però rimase immobile, dichiarando di non aver alcuna intenzione di dialogare con quell'uomo. Lo ignorò.


-Aveva un'arma, giusto?

Maggie portò allo sceriffo la pistola che aveva sequestrato, tornando poi al suo posto. Rick la controllò e poi rivolse parola al nuovo arrivato, con fare affatto amichevole.


-Hai bisogno di qualcosa?


Guardai torva Rick. Comprendevo il suo essere diffidente, ma si vedeva quanto egli fosse una brava persona. Non aveva la stoffa per uccidere. Sasha rispose al posto suo.


-Ha un accampamento qua vicino. Vuole che facciamo un provino per diventarne membri.

L'uomo prese coraggio e parlò, posando gli occhi su ognuno di noi, come per convincerci tutti.


-Sarebbe bello se ci fosse un'altra parola per definirlo. Dicendo provino sembra che si tratti di una specie di compagnia di danza, ma noi balliamo solo il venerdì sera.


Sorrisi ed il gruppo mi ammonì senza aprir bocca. Bastarono i loro sguardi infuocati. Mi incenerirono in un secondo. Lo sconosciuto fu felice di vedere che avessi apprezzato la battuta, ma si ricompose, notando di essere stato inopportuno.

-E non si tratta di un accampamento. – spiegò calmo – È una comunità. Penso che tutti voi sareste delle valide aggiunte al nostro gruppo, ma questo non dipende da me. Il mio compito consiste nel convincervi a tornare a casa con me.


Gli altri non gli schiodavano gli occhi di dosso, analizzandolo. Nessuno però osava dire qualcosa, aspettavano tutti una mossa del leader.


-Sì lo so, se fossi in voi neanche io ci andrei. – rassicurò – Non prima di aver saputo in cosa mi stessi infilando.

Daryl continuava a guardare il tipo e Rick, passando da uno all'altro come un cane in attesa di ordini. Lo sceriffo, invece, continuava ad avere un atteggiamento da duro.


-Sasha, potresti dare il mio zaino a Rick? – chiese con fare gentile.

Vedevo quanto cercasse disperatamente di farci fidare, di mostrarsi amico. Non era una cattiva persona, più parlava e più ne ero convinta. Lei si mosse, liberandosi la schiena da un grosso zaino giallo, il quale porse a Rick.


-Nella tasca davanti c'è una busta. – spiegò.

Rick si abbassò ed estrasse l'oggetto, aprendolo.


-So che non potrei mai convincervi a venire con me parlandovi semplicemente della nostra comunità. – ammise – Quindi ho portato quelle.


Rick estrasse delle foto in bianco e nero.


-Mi scuso in anticipo per la scarsa qualità delle foto. – aggiunse – Abbiamo trovato un vecchio negozio di..

-Non ce ne frega un cazzo. – interruppe l'arciere.

-Daryl! – lo ammonii.

Odiavo quando faceva lo sgarbato. Il tipo aveva una bella parlantina, vero, ma cercava di metterci a nostro agio. Egli si voltò a guardare Daryl, finendo poi con l'abbassare la testa.


-No, ha assolutamente ragione. – disse – Volevo prima mostrarvi quelle foto perché nulla di ciò che posso dire riguardo la comunità avrà importanza, a meno che non sappiate che sia sicuro. Se vi unirete a noi, lo sarete.

Ci raggruppammo intorno a Rick, in modo tale da poter osservare le foto. La prima mostrava un cancello, una sorta di barricata apparentemente resistente.

-Ogni pannello di quel muro è una lastra di acciaio alta quattro metri e mezzo, larga tre e mezzo, ed è incorniciata da una trave di laminato a freddo ed una tubazione a filo. – spiegò nel dettaglio – Nessuno, vivo o morto che sia, può passare da quel muro senza il nostro permesso.

I membri del nostro gruppo iniziarono a lanciarsi delle occhiate. Sembravano quasi credere alle sue parole, pur sapendo che fosse una incognita. Era difficile avere nuovamente fiducia nel prossimo, e ciò era pienamente comprensibile. Ci portavamo appresso terribili cicatrici difficile da ignorare. Lo sconosciuto riprese a parlare. Era molto teso.

-Come ho già detto, la sicurezza è importante, ma c'è qualcosa di ancora più importante per la sopravvivenza della comunità: le persone. – dichiarò con sincerità.

Rick si alzò, muovendosi velocemente nella sua direzione. Socchiusi gli occhi, sapevo cosa sarebbe successo.

–Insieme siamo forti.. e voi potete renderci ancora più forti. – parlò tranquillamente, senza immaginare ciò che accadde.


Un pugno, un terribile pugno venne scagliato sul suo volto. L'uomo cadde inerme a terra. Sospirai. Era svenuto.
 

*
 

Inumidii un panno e lo premetti leggermente sulla tempia e lo zigomo dello sconosciuto, sperando di dargli un poco di sollievo. La sua camicetta a quadri, sebbene blu, mi ricordò quella di Drake. Non ero felice di come erano andate le cose, mi vergognavo del gesto di Rick. Non c'era nessun motivo per picchiarlo, era servito solo a se stesso come sfogo, così per liberarsi dalla tensione. Una soluzione passeggera però. Nel frattempo Carl vuotò lo zaino, non c'era niente di speciale a parte una pistola lanciarazzi. Rick ne fu subito attratto.

-Ci servono occhi in tutte le direzioni. – ordinò lo sceriffo – Stanno arrivando per noi, non sappiamo né come né quando, ma arriveranno.


Michonne raggiunse Rick, cercando di farlo ragionare.

-Giusto per chiarirci, quello sguardo stava per 'quel tipo mi sembra a posto' e non 'mandalo k.o.' !

-Non possiamo fidarci. – disse con voce graffiata.

Lo zigomo del poveraccio stava gonfiando. Sarebbe tornato a casa con un ematoma molto esteso.

-È arrivato da solo, si è fatto disarmare. È praticamente innocuo. Perché mai hai dovuto reagire così? – domandai schietta.


Rick mi sfidò con lo sguardo. Gli dava fastidio quando le persone si mettevano contro di lui, ma non potevamo essere sempre tutti dello stesso parere.

-Kendra ha ragione. – ammise Maggie – Io e Sasha non l'avevamo visto, avrebbe tranquillamente potuto attaccarci.

Il leader ignorò palesemente i nostri discorsi, tornando alla propria paranoia. Camminava su e giù per il capanno, dando un'occhiata agli altri che cercavano di scovare qualcosa all'esterno. Daryl era restio. Bastava che qualcuno o qualcosa scombussolasse l'equilibrio ed egli tornava il solito burbero diffidente.

-Vedete qualcosa? – chiese freneticamente Rick.

-Ci sono molti posti dove potersi nascondere. – osservò Glenn.


Vidi le palpebre dell'uomo muoversi, stava riprendendo conoscenza. Continuai a premere leggermente la garza bagnata sulla zona livida. Aprì gli occhi, assumendo un'espressione addolorata.


-Mi dispiace. – gli sussurrai – Ce la fai a sederti?

-Sta bene. – brontolò Rick – Tiralo su.

Lo aiutai a mettersi seduto. Intanto Daryl gli legò i polsi. Cercai di incrociare il suo sguardo, sperando di fargli cambiare idea, ma egli non mi guardò nemmeno di sbieco, come se lo sapesse.


-Hai un bel gancio destro Rick. – scherzò l'uomo – Volete essere cauti, lo capisco.

Lo sceriffo continuò a mantenere la parte del cattivo che non si fa convincere.

-Quanti altri ce ne sono là fuori? – domandò risoluto – Hai una pistola lanciarazzi, ti serve per mandare un segnale ai tuoi amici.

Lo sconosciuto scosse la testa.

-Ha qualche importanza?

-Sì, ce l'ha e come.

Era una situazione davvero delicata e nessuno di noi stava cercando di tenerla a bada.

-Sì, ovvio che ce l'ha, ma qualunque numero ti dica, non mi crederesti mai. – sbuffò – Otto? O forse trentadue, quattrocento.. o addirittura zero?


Rick corrugò la fronte, si sentiva preso in giro.

-Tsk, è difficile fidarsi di uno che sorride dopo essersi beccato un pugno in faccia.

-E di chi lascia delle bottiglie d'acqua per strada?

Vittoria, avevo ragione. Il mio istinto non aveva fatto cilecca. Guardai immediatamente Carol ed Abraham con un'espressione soddisfatta.

-Visto? Se avesse voluto minacciarci od ucciderci, non avrebbe certamente aspettato fino ad oggi. Ci sarebbero state tante altre buone occasioni.


Rick rimase zitto a fissarmi. Ero sicura che mi stesse maledicendo.

-Da quanto ci seguite tu e i tuoi amici? – interrogò Daryl.


-Da abbastanza tempo per capire che ignoravate un gruppo di vaganti che vi seguiva, che nonostante la mancanza di cibo ed acqua non vi siete mai rivoltati l'uno contro l'altro. – spiegò schietto – Siete dei sopravvissuti.. siete delle persone.


L'ultima parola mi colpì. Mi chiesi chissà quanta altra gente avesse incontrato prima di noi. Non tutti erano usciti indenni da questo inferno, anzi, molti si erano trasformati in belve più pericolose dei vaganti stessi. Noi ne avevamo avuto più di un assaggio. Sebbene i suoi discorsi mi arrivavano, Rick non sembrava provare lo stesso.

-Quanti ce ne sono là fuori? – ripeté.


-Uno. – rispose stanco.

Lo sceriffo scosse la testa lentamente, arricchendo il volto con una smorfia contrariata.


-Perché diavolo continui a fargli domande se tanto non credi nemmeno ad una sua parola? – borbottai.

L'uomo sospirò.

-Sapevo che non mi avresti creduto. Come posso convincervi? – chiese esausto – E se vi ci portassi? Se partiamo ora, arriveremo per pranzo.

Guardammo tutti il capo, sperando che arrivasse al nocciolo della questione. Era inutile stare a ragionare.

-Non so come faremo ad entrare nella macchina con cui siete venuti tu e il tuo amico. – sentenziò ironico.

Lo sconosciuto era visibilmente scocciato, ma non era intenzionato a mollare. Voleva davvero regalarci la pace?

-Siamo venuti separatamente. – dichiarò gentile – In caso avessimo trovato un gruppo, volevamo portarlo tutto da noi. C'è posto per tutti.

Fu allora che Carol si intromise nella conversazione. Fui stupita di constatare che iniziasse ad avere dei dubbi. Gli credeva.


-E avete lasciato le auto non molto lontano da qui?

-Esatto, ad un chilometro ad est. Volevamo avvicinarci di più, ma c'è stata la tempesta e la strada era bloccata.

Michonne annuì. Aveva intenzione di dare una possibilità all'uomo. Dopotutto era un'occasione a cui non potevamo certamente rinunciare così facilmente come se niente fosse. Quando mai sarebbe potuto capitare nuovamente? Era un rischio che valeva la pena di essere affrontato.

-Te la sei preparata proprio bene. – ridacchiò isterico Rick.

-Ma insomma, che prove vuoi? – chiesi nervosa – Ti costa tanto fare uno sforzo?

Si avvicinò a me come una furia, guardandomi dall'alto in basso.

-Possibile che sia solo io a preoccuparmi per noi, eh? Ne va delle nostre vite. Potrebbe essere una imboscata, tutte stronzate.

Michonne si mosse decisa, parlando senza tanti giri di parole.

-Vado a cercarle. – dichiarò, riferendosi alle auto.

-Non c'è nessuna macchina! – obiettò lo sceriffo.

Feci un passo in avanti, scrutando negli occhi Rick, come se non mi sentissi affatto minacciata dal suo atteggiamento aggressivo.


-C'è solo un modo per scoprirlo. – obiettai sorridendo.


-Non abbiamo bisogno di scoprirlo. – ribatté, continuando ad incenerirmi.

Sbottai.

-Non ne abbiamo bisogno? Scherzi? – farfugliai incredula – Guardaci. I nostri desideri sono stati espressi e tu vuoi gettare tutto nel cesso?

Michonne mi spalleggiò.

-Rick, avrai pure le tue ragioni, ma io non sono d'accordo. Vuoi davvero rinunciare ad un luogo dove potremmo vivere tranquilli? Dove Judith potrebbe crescere in sicurezza?


Lo sceriffo si guardò d'intorno, cercando di capire da quale parte stesse la maggioranza del gruppo. Era visibilmente in disaccordo con la nostra scelta, ma sentivamo tutti il bisogno di aggrapparci a quella rara possibilità. Rick formò un gruppo: Michonne, Abraham, Rosita e Glenn sarebbero andati a cercare le auto. Volevamo avere delle certezze. Mi sporsi per sapere se potessi andare con loro, non facevo i salti di gioia al dover restare in compagnia di Rick in quel diavolo di capanno, ma egli me lo vietò, come per punirmi.

-No, non ti muovi da qua. Intesi? – ordinò senza degnarmi di uno sguardo – Formate delle coppie e controllate il perimetro, trovate dei posti dove è possibile tenere bene d'occhio il capanno.

Fu così che, in un battito di ciglia, rimanemmo in tre. O meglio, in quattro, contando anche la piccola. Rick mi affidò la figlia, quasi gli fosse di impedimento. Alzò l'uomo di peso e lo legò ad una trave portante, immobilizzandolo. Lo guardai dispiaciuta, ma non dissi nulla per paura che Rick potesse arrabbiarsi ancora. La piccola giocava coi i miei riccioli, tirandoli a sé.

-Perché non mi hai permesso di andare? – domandai tranquilla.

-Ultimamente non mi sembri nelle condizioni adatte per prenderti cura di te stessa. Le tue scelte mi lasciano abbastanza basito.


Sbuffai, alzando gli occhi al cielo.

-Che stronzo.

Si pulì le mani sui jeans, liberandosi dalla polvere del terreno ormai già secco.

-Piantala di mettere in discussione ciò che dico. – attaccò.


Avendo Judith in braccio non volevo urlare, ne essere aggressiva. Quella piccola mi limitava e forse era una buona cosa. Risposi comunque a tono, pur evitando di fare una scenata.

-E perché mai? Ciò che dici è legge suprema?

-Ho altro a cui pensare adesso. – sbottò.

Lasciai perdere, concentrandomi sulla piccola. Sembrava affamata. Rick continuava a fissare lo sconosciuto, controllando ogni tanto la situazione all'esterno.

-Mi è capitato più volte di avere una pistola puntata, ma voi siete delle brave persone. Non ci ucciderete, come noi non uccideremo voi.

Senza degnarlo di uno sguardo, scrutando la radura attraverso le travi, rispose con una pacatezza disarmante.

-Il fatto che siamo brave persone, non implica che non vi uccideremo. Se quei cinque non saranno qui fra un'ora, ti pianto un coltello nel cranio.

L'uomo abbassò la testa facendo una smorfia. Non riuscivo a guardarlo in quelle condizioni. Colpito, legato e minacciato di morte. Capivo le azioni dello sceriffo, la sua diffidenza dopo quello che ci era capitato a Terminus, ma non poteva trattare tutti come assassini. Essere cauti era d'obbligo. Ma non bisognava superare dei limiti. Forse ero semplicemente matta, ma mi ispirava fiducia. Non emanava cattiveria o secondi fini.

-Come ti chiami? – sorrisi.

Alzò subito gli occhi su di me, abbozzando un sorriso.

-Aaron, grazie di averlo chiesto.

La piccola iniziò a piangere, dimenandosi come una matta. Quel minuscolo corpicino aveva una forza enorme. Impressionante. Rick cercò fra le provviste qualcosa che Judith potesse mangiare, ma non era avanzato niente.

-L'hai visto il vasetto di marmellata di mele nel mio zaino, vero?

Rick si bloccò, finendo con l'osservare l'oggetto in questione poggiato su un tavolino.

-Non ti voglio ingannare. – rassicurò Aaron – Non sto cercando di starti simpatico. È istinto di conservazione. Perché se i vaganti la sentono e vengono qua, so che sarò il primo a rimanerci.

Era un bravo oratore, forse troppo. Finiva sempre col parlare troppo, sebbene sapesse ponderare ogni singola parola affinché facesse sempre centro. Cullavo la piccola sperando di calmarla o almeno di ridurre il volume del pianto. Rick aprì il vasetto, immergendovi un cucchiaino che porse alle labbra di Aaron. Questo ne fu sconvolto.

-Pensi davvero che stia cercando di avvelenare tua figlia?

-È fissato col veleno. – commentai, beccandomi un'occhiatina affatto amichevole.

Rick non si mosse, facendo intendere che non avrebbe cambiato idea.

-Sono legato e hai già espresso la volontà di ficcarmi un coltello in testa. In che modo uccidere barbaramente tua figlia in tua presenza potrebbe aiutarmi?


-Già Rick, sono curiosa di saperlo anch'io.


Si voltò incazzato nero. Lo stavo torchiando. Odiavo che mi trattasse sempre coi guanti di velluto, mi sputava qualche parola infuocata e via, ma non mi faceva mai una vera partaccia. Volevo che mi trattasse come tutti gli altri.

-Magari non muore. – spiegò – Magari si ammala e lui è l'unico in grado di curarla, ed io perdo lo stesso.

-Sono l'unico che può aiutarla perché ho la marmellata. Vinciamo tutti. – sentenziò velocemente Aaron.

Rick insistette, avvicinando con rabbia il cucchiaino.

-Odio la marmellata di mele. – ammise l'uomo con faccia inorridita – L'ho portata solo per farvi vedere cha abbiamo degli alberi di mele.

Spinsi Rick senza troppa forza, sperando di allontanarlo da quel poveraccio.

-Adesso basta, smettila di torturalo. L'assaggio io.


Ma lo sceriffo non si spostò di un centimetro, continuando a tenere sospeso in aria quel boccone.


-Com'è che ultimamente ti piace fare da cavia?

Mentre stavo per mandarlo a quel paese, Aaron mangiò la marmellata, non risparmiandosi le smorfie di disgusto. Forse non ne poteva più di sentirci battibeccare. Soddisfatto, Rick riprese fra le braccia Judith, apprestandosi ad imboccarla. Si sedette nell'angolo del granaio, orgoglioso di come stesse gestendo la situazione.

-Ti restano 43 minuti. – comunicò.

Sospirai. Quando lo sceriffo era bloccato in questi stati emotivi paranoici, era davvero impossibile dialogarci. Aaron era terribilmente nervoso. Temeva che, per un motivo qualsiasi, la nostra gente ritardasse. C'era la sua vita in ballo. Incrociai le braccia e mi sedetti al suo fianco, sperando di farlo conversare per allentare la tensione.

-Allora, ancora convinto di volerci nella vostra comunità?

-Sì, senza dubbio. Quando la vedrete, capirete. Non posso lasciarvi in questo stato, a gironzolare per questi posti senza cibo ed acqua. Non potete sopravvivere in eterno.

Speravo con tutta me stessa che il luogo di cui tanto si vantava fosse davvero speciale, sicuro.

-Abbiamo la pelle dura, sai? – sorrisi – Comunque grazie dell'acqua


Rise, guardandomi con occhi ingenui. A tratti mi ricordava Kioshi.


-Forse non è stata una buona idea lasciarvela così, in mezzo alla strada con un bigliettino. Pensandoci nemmeno io mi sarei fidato, ma tu ci hai creduto.

Sollevai le spalle, serrando la mascella in un sorriso imbarazzato.

-Eheh è stato un azzardo. Per punizione mi sono beccata questo! – dissi, indicandogli la ferita e le condizioni del labbro.


Egli sgranò gli occhi, scrutandomi poi in cerca di qualche altra lesione.


-Tranquillo. – rassicurai – Non hanno mai alzato le mani, è stato solo un.. una discussione finita male, ecco.

Rick intanto mi teneva d'occhio.

-È stato..? – domandò, indicando con un cenno della testa lo sceriffo.

-No, assolutamente. È stato quello grosso, il rosso. Abraham per l'esattezza. Ha un bel caratterino.

Inspirò, abbassando la testa con fare sconsolato.

-Mi dispiace. Non volevo creare tensioni fra di voi.

Gli diedi una pacca sulla spalla.

-Figurati. Se non litigassimo ogni tanto, sai che noia?

Vidi i suoi occhi fissare un punto sul mio braccio. Abbassai lo sguardo e scorsi dei lividi che seguivano la curva dell'avambraccio, quasi fossero dei bracciali o dei tatuaggi tribali. Sollevando l'arto, le maniche rotte della camicetta erano state tirate indietro, mostrando i segni del litigio con Daryl.

-Anche quelle sono state fatte da lui? – chiese, cercando di riderci su, sebbene non approvasse affatto la violenza.


Lo fulminai, sperando che Rick non avesse sentito, ma questo adagiò immediatamente la piccola in quella che era stata organizzata come sua culla, e si avvicinò a noi molto velocemente. Tirai giù quello che restava delle maniche e gesticolai facendo finta di niente.

-Nah, solo un vagante con una bella presa.


Lo sceriffo fu su di me in attimo. Mi afferrò per un braccio, tirandomi su di peso, costringendomi a mettermi in piedi. Sollevò una manica, osservando alla luce quei lividi. Che cretina, si vedeva chiaramente che si trattava di impronte lasciate da una mano ancora capace di stringere con tale forza. Inoltre le dita stampate erano belle definite, e non dei semplici ossicini putrefatti. Cercai di divincolarmi, ma la sua presa era saldissima.

-Chi è stato?

-Rick, ti prego. Non è nulla. – dissi, tirando.


-Chi è stato? – ripeté.

-Non sono affari tuoi.

Puntellai i piedi nel terreno, sperando amaramente di riuscire a liberarmi della presa.

-Lo sono eccome. – grugnì.

La porta si spalancò ed io distolsi lo sguardo, fissando la parete opposta.

-Ah. – pronunciò Rick – Ovviamente.

Daryl interrogò lo sceriffo, cercando di capire cosa stesse succedendo.

-Dimmelo tu. – sbottò Rick, alzando più in alto il mio braccio, affinché anch'egli potesse notare gli ematomi.

-Messaggio ricevuto. – rispose amaramente – Adesso lasciala.

Egli però non rilassò affatto le dita.

-Dammi un motivo.

-Cosa? – domandai confusa.

-Dimmi il perché, dimmi che hai avuto un motivo valido e allora forse, e dico forse, posso accettarlo. – parlò schietto a Daryl.

L'arciere posò la balestra sulla spalla, incrociando poi le braccia al petto.

-Farebbe qualche differenza? Mi stai già giudicando, cowboy. – disse con fare altezzoso, avvicinandosi piano a noi – Fra l'altro, sei l'ultima persona che dovrebbe rifilarmi cazzate del genere.

Posò la mano sullo stesso braccio, sfidando Rick. Li guardavo immobile. Non avevo la più pallida idea di cosa dire o fare. Mi sentivo estremamente a disagio.

-Va dritto al punto, Daryl.

-Davvero vuoi farmi credere che tu sei quello che la protegge, che la tiene al sicuro, mentre io sono soltanto un violento del cazzo? Purtroppo hai dimenticato qualche piccolo dettaglio, fratello. Con chi era quando si è beccata uno schiaffo, chi è che ha permesso ad Abraham di colpirla, eh?! Se vuoi ti faccio un disegnino.

Rafforzò la morsa e mi liberò dalla presa di Rick. Questo indietreggiò, osservandomi con un'espressione completamente differente da quella di prima. Si sentiva in colpa? Il mio braccio era disteso lungo il fianco, ma non era del tutto libero. Daryl mi teneva per il polso, senza stringere. Continuava a fissare Rick, sperando forse in una discussione. Sapevo che per lui litigare poteva essere quasi definita un'esperienza piacevole, poiché lo svuotava di ogni pensiero o preoccupazione. Rick però era diverso da lui, quelle parole lo avevano scalfito. Si era messo in discussione. Feci un passo in avanti, intenzionata a rassicurare lo sceriffo. Non mi importava delle parole di Daryl, odiavo vedere Rick torturarsi e non potevo permettere che aggiungesse un altro motivo a questa inutile azione controproducente. Ma Daryl non me lo permise. Aaron ci guardava imbarazzato. Che figura.

Mi spostai all'indietro, facendo capire a l'arciere di non voler essere toccata.


-Perché sei venuto? – domandai, dopo qualche minuto di silenzio.

-Me lo chiedo anch'io. – borbottò, uscendo senza evitare di sbattere la porta come un adolescente infuriato.

Sospirai, chiudendo le palpebre per qualche secondo. Tutta questa tensione all'interno del gruppo cominciava a farsi pesante.

-Tadà! – sdrammatizzai – Spero ti sia spiaciuto lo spettacolo, Aaron.

Non mi rispose, ma mi fece cenno di parlare con Rick. Incrociai le braccia, tamburellando un poco con le dita. Non sapevo bene cosa dire, ero confusa dall'intera situazione. Feci qualche timido passo in avanti, parlando, sebbene egli mi desse le spalle.

-Rick, senti.. io, mi dispiace ok? – farfugliai – So che ti stavi soltanto preoccupando per me, avrei dovuto chiarire la cosa subito. Avremmo evitato questa stupida discussione.

Si massaggiò il collo, degnandomi di uno sguardo.

-Cerco di avere tutto sotto controllo, ma mi sto accorgendo che molte cose mi sono sfuggite di mano.

Parlava di me? Rimasi in silenzio, comprendendo il suo stato d'animo. Poi si voltò, tornando a fissare serio Aaron come se niente fosse successo.

-Ti resta mezz'ora. – concluse.
 

Angolo autrice
 I dialoghi originali della puntata sono stati mantenuti! Ovviamento con qualche eccezione per via di Kendra :P
Dite che si capisce il fatto che mi piacciano i drammi, scontri, ecc.? ahaha
Comunque ormai siamo praticamente ad Alexandria e lì sì che c'è lo spazio e il tempo per divertirsi u.u 

 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 : Aspettative ***


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Capitolo 33 : Aspettative



La notte era calata in fretta ed ora sfrecciavamo sull'auto di Aaron che il gruppo aveva trovato. L'uomo ci aveva detto la verità, lui e il suo amico erano arrivati separatamente, portandosi con sé una macchina ed un enorme camper pieno zeppo di cibo ed altre utili provviste. Nonostante ciò, Rick riteneva giusto non concedergli la fiducia all'istante. Voleva prima vedere con i suoi occhi la tanto acclamata comunità. Sebbene fosse stato più logico partire di primo mattino, lo sceriffo ci aveva imposto di attendere il calare del sole. In questo modo avremmo potuto osservare il posto passando inosservati. Se quello non ci avesse convinti, saremmo potuti fuggire senza dare nell'occhio. Era un vantaggio considerevole, dopotutto. Mi trovavo sul sedile posteriore, sul lato destro, accanto ad Aaron e Michonne. Davanti, invece, vi erano Rick e Glenn, quest'ultimo alla guida. Era buio pesto, ma riuscivo comunque a scorgere i deboli contorni degli alberi. Non mi sarebbero mancati affatto. Ero stanca di questa vita selvaggia, pregavo che il luogo in cui stessimo andando fosse davvero sicuro. Aaron mi aveva descritto nel dettaglio il posto, parlandomi di case, villette, prati, pannelli solari ecc. Tutto ciò che nel mondo passato era considerata la normalità. Sebbene egli ne parlasse con un enorme sorriso stampato in volto, io non potevo fare a meno di ritenerla una esagerazione, una possibile bugia. Insomma, non poteva essere vero. Non del tutto, almeno. Michonne continuava a sfogliare le foto, cercando di scorgerne ogni possibile sfumatura, quasi volesse trovare un difetto. Mi domandai cosa stesse facendo Daryl, a cosa stesse pensando. Come al solito mi aveva evitato dopo la discussione con lo sceriffo.

-Perché non ci sono persone in queste foto? – chiese confusa samurai.

Glenn ci osservò dallo specchietto.


-Ho sbagliato qualcosa con l'esposizione, avevo fatto una foto di gruppo, ma è venuta male. – tagliò corto.

Nessuno di noi parve convinto.

-Gli hai fatto le tre domande?

-No. – rispose Rick alla donna – Pensaci tu.

Mentre quella si occupava dell'interrogatorio, mi sporsi per vedere cosa stesse facendo lo sceriffo, dato un rumore metallico. Poggiai le mani sullo schienale del suo sedile e feci capolino sulla sua spalla, notando alcune targhe. Sembrava una collezione. Poi affondò le mani nel cruscotto e ne tirò fuori un registratore, dotato di tutta l'attrezzatura necessaria per catturare suoni pure da una buona distanza. Vidi i muscoli di Rick irrigidirsi.

-Ci stavate ascoltando?

-Sì, ve l'ho detto.. vi tenevamo d'occhio. – rispose di fretta.

Sbuffai, lasciandomi cadere sul mio sedile a gambe incrociate.

-Di che ti stupisci? – dissi ironica – In quella comunità hanno pure la macchinetta del caffè, il tostapane ed i videogiochi.


Mentre Rick stava per ribattere, l'auto sussultò rumorosamente. Vidi un corpo di un vagante sfracellarsi sul cofano, inondando di sangue il parabrezza. Dopo di lui, vi furono altri corpi. Viaggiavamo buttando giù un putrido dietro l'altro, quasi fossero birilli, lasciandoci dietro un scia di sangue granuloso e denso. L'auto sbandò a causa della poca aderenza delle gomme e Glenn perse il controllo di questa. Ruotammo di centottanta gradi, ritrovandoci immersi in una folla di vaganti eccitati. Cercai di scrutare le luci dei fanali del camper, ma non ve ne era traccia.

-Li abbiamo persi! – constatai.

Glenn cercava di rimettere in moto l'auto, ma il motore non voleva saperne. Il rumore dell'accensione non faceva che ripetersi e rimbombare in quella lamiera, offuscando i lamenti dei putridi. Rick era pronto a scattare, sapeva che da un momento all'altro ci saremmo trovati in mezzo a quei mostri. Un razzo segnalatore apparve in cielo, implodendo in un rosso acceso.

-Cazzo, cazzo! – gridò Aaron – È finita.

Gli chiesi di cosa stesse parlando, ma ormai il suo cervello era nel panico. Pur avendo le mani legate dietro la schiena, tirò un calcio alla portiera, spalancandola come fosse burro.

-Dobbiamo andarcene da qui, subito. – farfugliò agitato.

Senza pensarci due volte, uscimmo da quella latta e ci liberammo dei putridi a noi vicini. Aaron si gettò nella radura, correndo come un matto. Rick ordinò a l'uomo di fermarsi, ma egli non ubbidì.

-Meglio seguirlo. – consigliò Glenn – Qui non possiamo resistere a lungo, sono troppi.

-Dobbiamo cercare gli altri. – ribatté lo sceriffo.

Feci due conti veloci, controllando prima i vaganti e poi il razzo.

-L'unico modo per ritrovarli è raggiungere quel posto laggiù, dove è stato lanciato il segnale. – parlai, abbattendo un putrido – Penseranno che siamo stati noi.

Vidi Rick non indugiare oltre e acconsentì all'idea di seguire Aaron, rifugiandoci nella foresta. Corremmo scansando alberi e putridi, pur non vedendo niente. Più ci inoltravamo nella natura, più la nostra vista si faceva inutile. Attorno a noi vigeva una terribile oscurità, limitando ogni nostra azione. Scorgevo a malapena i contorni di Rick e Michonne, ma non vi era traccia degli altri due.

-Glenn, Glenn! – chiamò Rick.

Non gli importava dello sconosciuto, voleva soltanto assicurarsi che l'asiatico stesse bene. Ci fermammo un attimo, giusto per riprendere fiato ed eliminare qualche vagante.

-Deve essere qui vicino. – assicurò Michonne.

Udii qualcosa in lontananza e mi mossi in quella direzione, caricando la pistola.

-Non azzardarti a fare un solo passo! – mi riprese lo sceriffo, bloccandomi con un braccio teso a fare da sbarra.

-Potrebbe avere bisogno d'aiuto. – obiettai.

Intanto Michonne divise a metà un vagante, dissetando la katana.

-Non voglio averne due dispersi. – insistette Rick.

Sbuffai, rinfoderando l'arma.


-Non hai fiducia in me, eh? – bisbigliai.

Increspò le sopracciglia. Poi, dei passi si fecero sempre più vicini, alimentando in noi la speranza che si trattasse di Glenn. Esattamente dal lato in cui avevo udito provenire dei rumori, emersero Aaron e Glenn, annaspando nel fiato corto. Non avemmo tempo per esultare, altri vaganti ci stavano per raggiungere. Affrettammo il passo, correndo più veloce che potessimo. Chiunque avesse sparato il razzo, doveva essere in pericolo, inoltre ero sicura che si trattasse del compagno di Aaron, dato lo stato emotivo in cui egli si presentava. Dopo molti alberi, arbusti, putridi, proiettili, sudore e affanni vari, posammo i piedi nuovamente sull'asfalto. Notammo in lontananza il camper, parcheggiato su una stradina secondaria vicino ad una specie di fattoria fatiscente. Pregai che tutti stessero bene. Non appena vidi sbucare dalla via Daryl, sorrisi. Ci illuminò con una torcia, facendoci segno che era tutto a posto. Percepii i muscoli rilassarsi. Lo raggiungemmo a passo normale, stanchi dello sforzo fisico di prima.

-Cosa vi è successo? – ci interrogò.

Aaron non perse tempo e corse dentro, voglioso di assicurarsi che il suo amico stesse bene.

-Un fitto banco di vaganti. – rispose Glenn, guardandosi gli abiti sporchi.

Daryl ci illuminò uno ad uno, osservando le condizioni dei nostri vestiti.

-Lo noto. – rispose ironico.

-Chi ha lanciato il razzo? – domandò Rick, rinfoderando la colt – Ci avete pensato voi?

Michonne e Glenn entrarono nella casa, desiderosi di sedersi e conoscere il nuovo arrivato.

-Il compagno di teatro di quel chiacchierone. – disse con una smorfia, sottolineando la parola compagno.

Rick si asciugò la fronte con un lembo della maglia.

-Era rimasto bloccato, caviglia rotta, vaganti.. ed ha lanciato il segnale ad Aaron.

Lo sceriffo sbuffò. Credo non avesse voglia di avere a che fare con una seconda persona sconosciuta, ma oramai c'eravamo dentro.

-Bene, vado a parlarci. – parlò con malavoglia.


Era chiaro come il sole quanto Rick non credesse ad Aaron, era sicuro che la loro comunità sarebbe stata un buco nell'acqua, ma voleva comunque fingersi interessato per non distruggere la piccola fiamma di speranza che era nata in noi. Rick si incamminò lasciandoci soli. Sebbene entrambi facessero finta di niente, aleggiava nell'aria una leggera brezza di tensione.

-Quindi.. – dissi, lasciando in sospeso la parola per qualche secondo – È il fidanzato di Aaron?

-Non ci sono dubbi.


Doveva essere molto più delicato rispetto ad Aaron, se dava immediatamente l'impressione di essere omosessuale. Ad ogni modo ero felice che entrambi si stessero abbracciando in questo momento. Potevo immaginare il terrore che avesse provato Aaron a vedere espandersi in cielo quel razzo. Feci un passo in avanti, curiosa di fare amicizia con il nuovo ragazzo, ma egli mi bloccò.

-Che palle.. – sussurrai – Odio quando fate così.

-Che stai farneticando? – borbottò, puntandomi la torcia in faccia per infastidirmi.

Tappai la pila con il palmo, accecata da quella luce abbagliante.

-Tu e Rick avete questo orribile vizio di frenarmi sempre. – risposi brusca.

-Forse perché sei un danno per te stessa.

Incrociai le braccia al petto.

-Ne ho le palle piene di questa storia. Odio essere trattata come una mocciosa.

Si avvicinò al mio volto, come suo solito fare per deridermi o punzecchiarmi.

-Sei una mocciosa.

Gli feci la linguaccia, prendendolo di contropiede.

-Bene, se pensate che sia una mocciosa, tanto vale comportarsi come tale, no? – dissi, facendogli l'imitazione.

Egli si infuriò. Amava deridere, ma odiava essere preso di mira. Il moccioso rimaneva sempre e comunque l'arciere. Approfittai del suo stato nervoso per svignarmela, afferrando la maniglia della porta, pronta ad entrare nell'edificio, ma egli sussurrò qualcosa, dandomi le spalle.

-Volevo solo sapere se stavi bene.

Ciò mi impedì di terminare l'azione, di spalancare la porta e lasciarlo solo. Indietreggiai, facendo scivolare via la mano dal pomello.

-Riguardo a cosa, a Kio?


Mosse leggermente le spalle, come per dirmi che la domanda era generale. Fissavo il suo giacchetto di pelle, le ali cucite. Daryl era un angelo vestito da demone.

-Allora sto bene. – conclusi.

Egli ruotò leggermente la testa, il giusto per scorgermi con la coda dell'occhio ed annuire, come per darmi il permesso di andare. Al contrario, decisi di lasciare in sospeso la conoscenza dell'infortunato e mi avvicinai un poco all'arciere, pur restando alle sue spalle. Era più facile parlarci se i suoi occhi non erano posati su di me.

-E tu? – domandai, sperando che si aprisse.

-Tutto a posto.

Forse, se avessi risposto alla sua domanda con sincerità, egli avrebbe fatto lo stesso con me. Non ci avrebbe fatto male avvicinarci un poco, voglio dire, insieme ne avevamo passate tante e ci eravamo sempre aiutati l'un l'altra. Se non fosse stato per lui, avrei fatto una brutta fine con Joe. Gli dovevo molto, ma egli a volte aveva lo strano potere di farsi odiare. Bastavano due o tre parole ben studiate e ti mandava in bestia all'istante. Sapevo comunque che aveva un cuore tenero, lo aveva dimostrato più volte, sebbene amasse nascondere questa parte di sé.

-In realtà, mi manca. – ammisi – Certo, lo conoscevo da poco.. ma era divertente, a modo suo almeno.

Grugnì.

-A me dava solo sui nervi. Sfacciato, debole, ingenuo, incapace di difendersi, troppo fiducioso. Le persone come lui sono destinate a morire.

Non era proprio quello che mi aspettavo, ma almeno stavamo parlando.

-Me ne sto rendendo conto. Forse dovrei smetterla di fare amicizia, no? È uno spreco di tempo, dopotutto, alla fine, tutti se ne vanno.

Si voltò, puntando la torcia a terra in modo da non abbagliarmi, ma rendendo possibile vederci.

-Devi essere capace di non affezionarti. – consigliò - Così facendo fai male solo a te stessa.

Misi le mani in tasca, proteggendole dal freddo che si stava innalzando.

-Come ci riesci? Provo e riprovo ad isolare l'emotività, ma non faccio altro che ricascarci.

Assunse un'espressione dura, pur restando delicato.

-Kendra, niente dura in questo mondo. – disse, riferendosi alle persone.

Sfilai la mano dai jeans, ponendola sul suo petto all'altezza del cuore. Egli rimase immobile a fissarmi, rigido come una statua di marmo.

-Ma noi lo stiamo facendo, Daryl. Noi stiamo durando.

Mi alzai sulle punte dei piedi ed egli mi accarezzò una guancia, afferrandomi poi per la nuca, tirandomi a sé. Le nostre labbra però non si sfiorarono mai, restarono distanti di qualche millimetro, inappagate del desiderio che le infuocava. Le sue dita scivolarono via lungo i miei ricci ed io tornai a posare le suole a terra, cercando di nascondere l'imbarazzo.

-Perché noi siamo maledetti. – proferì.

Si incamminò verso l'edificio, piantandomi lì come una scema. Sorrisi amaramente, mi sentivo presa in giro.

-Cosa significa? – parlai arrabbiata.

-Di che parli? – borbottò.

-Non prendermi per il culo. Cosa c'è, hai paura ad avvicinarti ad una persona? Prevenire è meglio che soffrire poi, è questo il tuo stupido ragionamento?

Tornò su di me come un animale feroce, puntandomi l'indice sulla clavicola.

-Faresti meglio a chiudere quella bocca, a meno che tu non voglia farmi incazzare sul serio. – latrò.

-Sia mai che il povero Dixon si arrabbi. – ironizzai – Mi tremano le gambe al solo pensiero.

Afferrò la canotta, avvicinandomi nuovamente a sé, come se volesse vomitarmi addosso tutto il suo acido, la rabbia e la frustrazione che lo ingabbiavano. Mi trascinò sul retro della fattoria, evitando così occhi indiscreti.

-Cosa diavolo vuoi da me, uh? Sei solo un'idiota se pensi che io possa esserti d'aiuto, l'uomo che possa riempire i tuoi vuoti, esserti vicino, offrirti una spalla sulla quale piangere ecc. Guardati intorno, siamo immersi nella merda. Non è il momento di giocare a fare i fidanzatini, di tenersi per mano. Se è questo che vuoi, mi dispiace, ma non sono quel genere di persona. Né lo sarò mai.

-Non sai assolutamente niente di quello che penso, di ciò che voglio o desidero. Smettila di fare questi discorsi da stronzo ignorante. Cosa pensi che voglia da te, eh? Che mi prenda per mano, mangiare un gelato su una cazzo di panchina, passare la notte in un cinema? Sei completamente fuso.

-Non mi importa quali siano le tue cazzo di fantasie, non sarò io a fartele realizzare. Intesi? – abbaiò – Tornatene dal tuo caro sceriffo. O forse è questo il problema, non ti soddisfa abbastanza?

Scacciai la sua mano, afferrando il colletto del suo giubbotto di pelle.

-Mi stupisce quanto impegno tu ci metta per nascondere il fatto che anche tu abbia un cuore. Perché hai così tanta paura di esporti, cos'è che ti terrorizza realmente? – sibilai, guardandolo negli occhi – Mentirei se ti dicessi che le tue parole non mi feriscono, ma forse hai ragione te, sono solo una stupida. Quindi, ti prego, guardami negli occhi e dimmi che non ti interesso, che non provi niente nei miei confronti, che l'altra notte non avresti voluto dormire abbracciati. Dimmelo.

Le sue iridi vitree mi scaldavano il petto, sebbene stessimo discutendo.

-Non posso renderti felice. – confessò, fissandomi come se si sentisse in colpa di ciò.

-Non è quello che ti ho chiesto.

Udimmo una voce e subito ponemmo della distanza fra noi.


-Ah siete qui. – parlò Rick – La prossima volta gradirei essere informato dei vostri spostamenti.

Posò l'arma nella fodera e mi interrogò con lo sguardo, chiedendosi se era tutto ok.

-Hai ragione, ti chiedo scusa. – dissi, camminando nella sua direzione – È meglio rientrare.

Daryl non si mosse, anzi, abbracciò la balestra.

-Sto un po' di guardia. – ci informò.

-Bene. – disse Rick, poggiandomi una mano sulla schiena come per indirizzarmi in casa.

Costeggiammo l'edificio in silenzio, accompagnati solo dal rumore delle nostre scarpe a contatto con la ghiaia e i ciottoli presenti. Non riuscivo a formulare una spiegazione credibile, una motivazione per il mio comportamento "affettuoso" improvviso. Sapevo di essere un casino ultimamente, ma non riuscivo a capacitarmi di ciò che era appena avvenuto fra me e quel complicato di Daryl. Era come se mi fossi dichiarata, come se avessi capito di aver bisogno di lui non solo come semplice amico su cui contare, era come se mi fossi stancata del nostro tira e molla, e avessi deciso di darci un taglio. Volevo una risposta. Ma tutto questo non era da me, non mi sarei mai esposta tanto, eppure era appena successo, facendomi cadere in questo stato paranoico. L'arciere poi, non aveva negato le mie affermazioni, si era semplicemente defilato dalla domanda. Percepivo una stretta allo stomaco. Non sarei più riuscita a guardarlo in faccia.

-Parecchio su cui discutere? – chiese Rick, interrompendo il mio flusso di coscienza.

-Sì, cioè.. più o meno.

Arrivammo alla porta e non vedevo l'ora di lasciarmi tutto alle spalle, entrare, conoscere il compagno di Aaron, chiacchierare della loro comunità e fingere di non aver mai detto quelle parole a Daryl.

-Ad ogni modo, se hai bisogno di parlare.. voglio che tu sappia che io ci sono. Okay? – parlò gentile, sebbene fosse palpabile la tensione per questo viaggio enigmatico – Tienimi presente.

Lo ringraziai e finalmente fui dentro. L'interno non era tanto male, anzi, rispetto alle condizioni esteriori, ci era andata di lusso. Nonostante non avessimo avuto ancora conferme, vedevo tutti felici. Credevano davvero in questa comunità, non volevano affatto abbandonare la speranza, anzi, si erano attaccati all'idea che per una volta il destino si era fatto loro amico. Scorsi Aaron vicino ad un ragazzo mingherlino dai lineamenti lunghi, dava l'impressione di essere una vera frana negli scontri corpo a corpo. Ecco, non era certamente una di quelle persone che immagineresti bene in un'apocalisse zombie, eppure era lì. Questo mi fece capire che la loro casa era davvero sicura. Aaron stava raccontando qualche aneddoto, quando il compagno lo interruppe, sorridendomi amichevolmente.

-Eccola qua, l'unica che si è fidata! – si sporse per porgermi la mano – Io sono Eric, piacere di conoscerti.

Contraccambiai imbarazzata quel sorriso, notando le smorfie di Abraham e Carol. Allungai il braccio per stringere la sua mano delicata.


-Ho corso il rischio. – scherzai - Piacere mio, Kendra. Kendra Moore.

Rick mi superò, andando a poggiarsi su uno stipite di una porta.

-Quando io ed Aaron abbiamo visto che snobbavate l'acqua, ci è presa male. – disse, guardando lo sceriffo – Volevamo aiutarvi sul serio. Poi per fortuna, lei ha avuto fiducia e..

Mi sentivo gli occhi puntati addosso. Non era una bella sensazione.

-La fiducia non è una qualità positiva, oggigiorno. – sottolineò Rick, con una certa soddisfazione.

Eric si zittì, non aggiungendo altro.

-Perché mai? – domandò Aaron.

-Non porta mai a niente. – rispose secca Carol, spalleggiando lo sceriffo – Finisci solo col rimetterci la pelle.

Aaron posò una mano sulla schiena del compagno, come per fargli forza.

-Vi sbagliate. E ve lo dimostreremo.


Quei due non emanavano niente di negativo, anzi, più li guardavo e più si instaurava in me l'idea che stessimo facendo la cosa giusta. Valeva la pena seguire quei due uomini, credere alle loro parole. Rick ignorò il discorso di Aaron e ci ordinò di riposare. L'indomani saremmo partiti all'alba, era quindi necessario passare una notte immersa nei sogni. Judith dormiva già da molto, provocando in me un senso di gelosia. Ignorava ciò che aveva intorno. Ad ogni modo, i diversi componenti del gruppo si disposero all'interno della struttura, occupando i vari angoli della casa. Mi rannicchiai sotto la finestra, in modo da poter osservare il cielo. Ero sicura che avrei dormito poco, sarebbe stato difficile chiudere occhio con tutti i pensieri che mi frullavano per la testa. Daryl era ancora là fuori e sapevo che non aveva la minima idea di entrare. Avrebbe passato l'intera notte all'aperto, per poi poter sottolineare il fatto nel caso di discussioni od altro, tanto per passare dal tipo frustrato e selvaggio. Continuavo a pensare alla nostra chiacchierata, chiedendomi quali ripercussioni avrebbe avuto nel nostro rapporto. Temevo che le cose sarebbero cambiate, portandoci di nuovo a quello stadio iniziale, cioè agli antipodi del mondo. Era servito molto tempo per costruire quel poco che avevamo ed ora mi sembrava di averlo appena distrutto. Le mie relazioni all'interno del gruppo non stavano andando a gonfie vele ultimamente, anzi, erano nati parecchi battibecchi. Mi chiesi se fossi cambiata tanto, forse non riuscivo ad accorgermene. Udivo già qualche respiro farsi pesante. Avrei voluto dormire di gusto, impaziente com'ero di arrivare alla comunità, il tempo sarebbe passato così velocemente da non accorgermene. Invece ero lì, palpebre sbarrate e un enorme senso di colpa.

 

*


 

Non appena l'alba apparve timidamente, finsi di sbadigliare e di destarmi dal sonno, sperando che nessuno si fosse accorto della mia insonnia. Sebbene fisicamente, comunque, fossi riposata, la mente non lo era affatto. Almeno i muscoli erano in buone condizioni. Mi aggrappai alla finestra, tirandomi su lentamente per evitare rumori inopportuni che potessero svegliare gli altri. Per mia fortuna, chi avevo d'intorno era ancora nelle braccia di Morfeo. Daryl era sempre là fuori, intento a fumarsi una sigaretta. Era seduto su una grossa roccia, occhi puntati verso l'orizzonte e balestra al fianco. Aveva un'espressione cupa. Liberai i piedi dagli anfibi e mi mossi furtivamente fra i miei compagni, cercando di camminare nelle parti di pavimento più robuste, giusto per non sentire quel fastidioso scricchiolio tipico delle case dismesse. Non appena fui fuori, una leggera brezza mi investì facendomi rabbrividire. Calzai nuovamente gli anfibi, allacciandoli velocemente alla rinfusa. Raccolsi i capelli in una specie di chignon spettinato. Se tutto fosse andato come immaginavamo, fra qualche ora mi sarei fatta una doccia. Non appena girai l'angolo, una voce mi raggiunse.

-Te ne vai? – domandò Abraham ridacchiando – Senza nemmeno salutarmi?

-Beh, direi che saresti facilmente fra i miei pensieri ancora per qualche giorno. – replicai, indicandomi il labbro.

Si passò una mano lungo i baffi, seguendo la loro linea.

-Non ti ho ancora chiesto scusa per quello, eh? – parlò – Comunque, anche se non sembra, mi piaci Kendra.

Inarcai le sopracciglia, poggiando le mani ai fianchi.

-Hai proprio ragione, non si direbbe affatto sai?

Si avvicinò un poco.

-Dico sul serio. – sembrò sincero – Sei testarda, non hai paura di dire la tua, sai sporcarti le mani. Sono qualità che apprezzo.

Ridacchiai soffocando le risate ed egli mi guardò corrugando la fronte.

-Suvvia Abraham, non hai motivo di leccarmi il culo. – risposi secca – Vuoi qualcosa, non è così?

Si fece ancora più vicino.

-Solo che tu non faccia altre cazzate. – sussurrò acido – Quando saremo là, vedi di schierarti dalla giusta parte.

Mi stava avvertendo. Credeva che se le cose si fossero messe male, avrei cercato di mettermi in mezzo per evitare uno scontro armato, delle morti inutili. Sapeva che avrei cercato di difendere in qualche modo Aaron e la sua gente, facendo affidamento su qualche incomprensione. Mi aveva inquadrato davvero bene. Le persone a me intorno non facevano altro che morire, avrei fatto di tutto per evitare ciò, a meno che non fosse stato necessario, nessuno avrebbe dovuto puntare la pistola a qualcuno.

-Messaggio ricevuto, sergente. – dissi, senza sottomettermi a lui – Se permetti, andrei a pisciare adesso.

Alzò gli occhi al cielo e tornò dentro dopo essersi sgranchito la schiena, lasciandomi libera di agire come volessi. Sbuffai. Quell'uomo riusciva sempre a farmi agitare, mi innervosiva facilmente. Sentivo le farfalle nello stomaco all'idea di dover nuovamente parlare con Daryl, ma mi feci coraggio. Non appena udì dei passi alle sue spalle, sospirò sconsolato. Sapeva a priori che si trattava di me. Lo raggiunsi con calma in silenzio, sedendomi a lui vicino. Scorsi delle profonde occhiaie.

-Hai dormito?


Aspirò e la cima di quel veleno si colorò d'arancione vivo. La carta si consumava e il fumo divampava attorno ai nostri corpi, dando origine a varie forme astratte nell'aria circostante.

-Mh no. – tagliò corto.

Posai il mento sul dorso delle mie mani, avendo le ginocchia strette al petto.

-Almeno ci hai provato?

-Non avevo sonno. – sbrigò.

Annuii, fissando davanti a noi. Egli posò i suoi occhi su di me per un fugace istante, ma inaspettatamente incontrarono i miei. Imbarazzato, abbozzò un falso sorriso e tornò ad aspirare la sua droga preferita. M'isolai nei miei assurdi pensieri, lasciando che il silenzio più profondo ci avvolgesse. L' odore di fumo si permeava in me, ma tutto sommato non mi infastidiva. I minuti passavano e la sigaretta si stava consumando lentamente fra le sue dita. La cenere cadde ai suoi piedi e un'improvvisa folata di vento ci fece visita. Poi, sorrisi per le immagini che si proiettarono nella mia mente.

-Ti ricordi, alla prigione.. – parlai – ..quando mi facesti fumare una delle tue sigarette?

Vi fu una risata spontanea.

-La tua prima sigaretta, semmai.

Arrossii.

-Si notava così tanto?

Ricordai come stessi morendo per il bruciore alla gola, come lottavo con me stessa per bloccare la tosse.

-Eri inguardabile. – sottolineò divertito.

Bene, avevo sciolto il ghiaccio. O meglio, il primo strato almeno. La prigione sembrava così lontana nei ricordi.

-Ne è passato di tempo, eh?

Spense la cicca su un sasso antracite vicino a sé.

-Credo che questa comunità sarà una seconda prigione. – osservò con una smorfia.

Un sogno che diventa incubo, una possibilità da tenere in considerazione data la nostra particolare fortuna recente. Sospirai.

-Daryl, ascolta. Se ciò che ho detto ieri ti ha turbato, mi scuso. Non so nemmeno perché ho detto quelle cose o perché mi sono infuriata tanto..


-Invece lo sappiamo entrambi.

Mi lasciò lì come un soprammobile, una bambola di porcellana dagli occhi vuoti e vitrei, congedandosi con la scusa che era ora di svegliare il gruppo, di partire ed incamminarsi per questa nuova avventura. La sua ultima frase aveva peggiorato la situazione, mandandomi maggiormente in confusione. Era inutile tornare sull'argomento, io e Daryl avremmo sempre finto che non fosse mai avvenuto. Non era la scelta giusta, né quella sbagliata dopotutto. Tirai un calcio ad un sasso, facendolo roteare per qualche metro. Sbuffai nervosa ed aspettai fuori dalla porta, sperando che gli altri non ci mettessero troppo. Ero stufa di stare per strada, di avere continue discussioni con i componenti del gruppo. Desideravo la pace tanto vantata da Aaron. Dopo qualche minuto iniziammo a prendere posto sul camper. Nessuno parlava, tanta era l'ansia presente. Mi sedetti accanto a Michonne, poggiando lo zaino ai miei piedi. Il motore tossì un poco prima di accendersi del tutto. Rick era alla guida, concentrato più che mai sulla strada. Temeva che si presentasse una scena come la sera prima. Aaron ed Eric parlavano sottovoce, sorridendo. Eugene, invece, controllava maniacalmente fuori dal finestrino, come per osservare qualcosa che sfuggiva alla mia comprensione. Glenn e Maggie chiacchieravano con Rosita e Tara, ipotizzando varie teorie più o meno plausibili sulla comunità. Carl era seduto accanto al padre, con la piccola sulle gambe. Ero davvero incredula che stessimo affrontando questo viaggio. Chissà dove ci avrebbe portato questa scelta. Padre Gabriel sembrava abbastanza fiducioso. Borbottò qualcosa a Daryl, ma egli se ne uscì con un grugnito. Carol si intromise nel discorso ed Abraham si limitò ad ascoltarli senza metterci parola. Mossi le dita sul tavolo di legno, tamburellando compulsivamente su di esso.

-Eccitata? – chiese samurai.

Un poco lo ero, ma niente in confronto ad ella. Spruzzava gioia da tutti i pori, sebbene non avessimo ancora nessuna certezza, Michonne pareva averne ottenute.


-Non so proprio cosa aspettarmi.


-Io, non so perché, ma.. sento che sarà tutto perfetto. Ci troveremo bene, ne sono certa.

Le sorrisi, pregando con tutta me stessa che le sue sensazioni si avverassero.

-Spero proprio che tu abbia ragione.

Il camper cigolava ad ogni buca sull'asfalto, facendoci dondolare come statuette hawaiane. Non avevo mai sofferto il mal d'auto, ma tutto quel movimento ripetuto mi stava facendo venire il mal di mare. Era come essere in barca, sballottolati dalle violente onde salmastre. Cercai di concentrarmi su un punto, focalizzando un oggetto a caso all'interno dell'autovettura, in modo tale da isolare l'andatura affatto fluida del camper.

-Non sarà facile per noi integrarci. – commentò Carol.

-Aspetta a cantare vittoria. – obiettò Abraham – Non è ancora detto che ne faremo parte.

Una buca fece sussultare il camper, facendoci sollevare di qualche centimetro da terra.

-Se questa cazzo di scatola di latta non la smette di oscillare in questo modo, non ci arriverò nemmeno. – brontolò l'arciere – Morirò prima soffocato nel mio stesso vomito.

Rick si voltò a fulminarlo con lo sguardo, sottolineando che la colpa non fosse sua.

-Sto facendo di tutto per evitare queste dannate buche, ma la strada è un disastro.

Ero felice di sapere di non essere l'unica ad essere avvolta da un persistente senso di nausea. Daryl passò ad Aaron, rifacendosi su di egli.

-Spero che la tua comunità non sia una bella minchiata. – parlò bianco in volto – Non ho la minima intenzione di dover rifare questa strada.

Aaron era divertito dallo stato di salute dell'arciere. Non lo biasimavo. Faceva sempre uno strano effetto vedere qualcuno costantemente burbero e scontroso come Daryl mostrare un briciolo di umanità. Ti faceva credere che tutto sommato anch'egli non fosse poi tanto diverso da noi, che andava oltre all'immagine di selvaggio che tanto voleva far trasparire.

-Sarà come un sogno per voi. Lo capirete non appena saremo lì.

Rick strinse con forza il volante, contraendo i muscoli delle braccia.

-Staremo a vedere. Manca poco. – concluse accigliato.
 

Angolo autrice
Buon pomeriggio lettori :3 
Kendra e Daryl sono un bel pasticcio assieme, non trovate?
Peggio di cane e gatto u.u
Spero che come trama riesca sempre a coinvolgervi, e se così fosse, aspettate di leggere i prossimi capitoli.
Non voglio creare aspettative troppo alte, ma ne vedremmo delle belle, questo è sicuro.
Ringrazio tutti per l'appoggio e i commenti, vi stritolo in un abbraccio virtuale.
Ci sentiamo nelle recensioni walkers, non fatemi crogiolare nell'attesa :*

 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 : Tormenta ***


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Capitolo 34 : Tormenta


Il sole oramai primeggiava su di noi alto in cielo. Il motore si spense e i nostri corpi si mossero a formare una fila. Scendevamo uno alla volta, piano come se non volessimo crederci, come se avessimo paura di vedere dove eravamo arrivati, dove avremmo vissuto, forse. Un enorme cancello si innalzava di fronte a noi, spesso e ben saldo, arricchito da qualche macchia di ruggine. Da quel profondo e agghiacciante silenzio, emersero dei suoni lontani, delle voci. Risate. Quelle erano risate di bambini. Rick si guardò indietro, osservando ognuno di noi. Il suo volto non era corrucciato come al solito, ma disteso. I suoi occhi blu erano più profondi del normale. Egli credeva, finalmente credeva in questo posto. Aaron si avvicinò al cancello, chiamando qualcuno di nome Nicholas. Non appena questo apparve dietro alle sbarre di metallo, un opossum corse in mezzo alle nostre gambe. Daryl scoccò un dardo, abbattendolo all'istante. La guardia aprì il cancello, scrutandoci perplesso. Doveva essere strano vedere gente come noi. Ai loro occhi saremmo sembrati pazzi selvaggi senza regole. L'arciere afferrò l'animale per la coda, facendolo dondolare. Incrociò lo sguardo del tizio.

-Abbiamo portato la cena. – disse.

Sorrisi a Nicholas, sforzandomi di sembrare tranquilla. In realtà, ero terribilmente agitata. Temevo di non superare il test, che dopo poco tempo ci avrebbero ributtati in strada. Speravo con tutta me stessa che i soggetti più altalenanti si comportassero bene, quali Daryl ed Abraham. Aaron ci fece segno di seguirlo ed entrammo nella comunità, silenziosi come felini. Ci guardavamo attorno intenzionati a cogliere ogni minuzioso particolare, come se tutto ciò ci fosse utile. Il cancello si chiuse alla nostre spalle. Eravamo in trappola, nel loro territorio. Pregavo soltanto che il mio istinto avesse ragione.

-Prima di proseguire, dovete consegnare le armi. Se volete restare.. – informò Nicholas.

Rick obiettò subito. Stavolta non avrei messo bocca sulle decisioni dello sceriffo, a meno che non fossero state del tutto sbagliate od avventate. Non volevo più mostrarmi ostile nei confronti del gruppo. Non avrei ostacolato nessuno.

-Non sappiamo se vogliamo restare.

Aaron comprese la situazione e rassicurò il suo amico. Questo non parve molto convinto, ma comunque non insistette.

-Prima facciamoli parlare con Deanna. – disse ad Aaron.

Egli annuì.

-Chi è Deanna? – domandai curiosa.

-Colei che sa tutto quello che potreste voler sapere su questo posto. – mi rispose Aaron – Rick, che ne diresti di andare per primo?

Lo sceriffo si voltò per capire le nostre intenzioni, se ci andava bene o meno la cosa. Poi si concentrò su qualcosa di lontano, qualcosa alle spalle di Sasha. Fece il suo nome ed ella roteò su se stessa abbracciando il fucile. Mirò ed abbatté un vagante vicino al camper.

-Menomale che siamo arrivati noi. – proferì Rick, avanzando.

Come primo approccio non eravamo molto amichevoli, ma speravo che i componenti di questa comunità lo potessero comprendere ed accettare. Sarebbe stato molto difficile ambientarsi. Nicholas accompagnò Rick dalla donna ed Aaron ci mostrò due villette, una di fianco all'altra. Il vialetto privato, l'erba curata, l'intonaco perfetto. Sembravano appena uscite da un catalogo. Era come se questo pezzo di mondo non fosse mai stato contaminato dalla distruzione che andava divampando. Oltretutto, mi ricordavano casa.

-Queste sono vostre, dentro c'è tutto il necessario. Organizzatevi come meglio credete. – parlò come un agente immobiliare – Date pure un'occhiata, coraggio.

Nicholas sarebbe tornato a prendere uno di noi. Deanna aveva espresso il volere di volerci conoscere uno per uno. Michonne e Maggie si guardarono entusiaste e furono le prime a varcare la soglia. Tutti le seguirono, dividendosi casualmente fra le due strutture. Rimanemmo fuori soltanto io e Daryl, col naso all'insù di fronte a quel cartongesso. Egli stringeva ancora la bestia per la coda.

-Riesci a crederci?

-Non lo so. – sbuffò – La cosa mi puzza.


Diedi un'occhiata veloce al quartiere. Era così luminoso, colorato, vivo. I fiori addobbavano i vialetti, gli alberi erano colmi di frutti. Le finestre non avevano un bricio di polvere. Una signora stava addirittura portando a spasso il cane.

-Sai, qua l'unica cosa che puzza siamo noi.

Entrai nella casa sulla sinistra. Fu uno shock. Le stanze erano perfettamente arredate, lussuose e pulite. Non vedevo roba del genere da anni. Non riuscivo a capacitarmene. La cucina era immensa, con un frigorifero a doppia anta e il dispenser del ghiaccio. Dal rubinetto gocciolava dell'acqua trasparente, potabile. Sulle pareti vi erano quadretti, cornici vuote che avremmo dovuto riempire noi con i nostri ricordi, e vari dipinti. Insomma, non mancava assolutamente nulla. Qualsiasi cosa avessi potuto immaginare, anche la più banale, lì già c'era. Salii le scale curiosa di vedere il resto. Le camere erano di un confort indescrivibile. Cuscini, lenzuola e coperte morbide e profumate. Questo era il paradiso. Corsi in bagno, desiderosa di osservare la doccia. Da questo vi uscì Michonne con in mano uno spazzolino. Si lavava i denti energicamente, come per cancellare mesi di astinenza. Avendo la bocca piena di schiuma, mi indicò con un dito il lavandino. Su di esso vi erano varie confezioni con le più svariate tipologie di spazzolino. Lei sorrideva, facendo colare un poco di dentifricio sulla canotta. Ma non le importava, i suoi occhi erano così brillanti, era felice. Era davvero felice. Aprii una scatola a caso, ritrovandomi con uno spazzolino bianco e viola con setole sia blu che azzurre, di dimensioni differenti. Ci spalmai più dentifricio del necessario ed iniziai a sfregarlo sui denti, percependo quella freschezza data dal fluoro e dalla menta. Ridevamo guardandoci allo specchio, sembravamo due bambine alle prese con un pigiama party. Poi, Carl chiamò Michonne a gran voce, sventolando qualcosa di carta fra le mani. Sputò nel lavandino e lo raggiunse in una camera ricavata dal sottotetto. Probabilmente quella sarebbe diventata la sua stanza. Ero sicura che avesse trovato qualche bel fumetto. Mi sciacquai le labbra e rimisi il tappo allo spazzolino. Aprii la finestra del bagno e mi affacciai all'esterno. La vista era mozzafiato. Tante casette una accanto all'altra. Tante famiglie al sicuro. Spazi verdi, una chiesa, mura e torrette di guardia. Non mancava davvero nulla. Vidi una donna parecchio in carne avvicinarsi alla nostra casa, con un carrello grosso carico di armi. Aaron le andò in contro. Probabilmente era l'ora di consegnare il nostro equipaggiamento. Speravano che avendo osservato il posto, potessimo avere più fiducia in loro. Presi la pistola fra le mani. Avrebbe fatto uno strano effetto non averla più al mia fianco. Mi ero completamente dimenticata come si vivesse prima. Nessuna cintura con borselli per i proiettili, nessuna fodera, nessuno zaino colmo di armamenti. Corsi giù per le scale ed uscii sul vialetto, riaggregandomi al gruppo. La donna indicò il carrello, facendoci segno di riponervi le armi.

-Non preoccupatevi, queste restano comunque le vostre armi. Le potete prendere quando volete, ma ora non servono. Le porto solamente al nostro magazzino.

Aaron ci fece segno di ascoltarla.

-Lei è l'addetta al magazzino. Abbiamo ogni genere di rifornimento, armi, coperte, cibo. Segna ogni cosa che viene aggiunta e rimossa.

Volevo aspettare che qualcuno facesse la prima mossa, ma a quanto pareva nessuno sembrava effettivamente convinto della cosa. Mi liberai dello zaino e lo privai dell'equipaggiamento, tra cui il fucile di Drake. Posizionai tutto su quella specie ti tavolino con rotelle, indietreggiando poi con un falso sorrisetto, come se la cosa non mi infastidisse affatto. In realtà, quasi odiavo sentirmi così leggera. Non mi ero mai resa conto di quanta sicurezza mi trasmettessero quelle armi. Il solo pensiero di averle in vita, mi trasformavano in una donna coraggiosa pronta a tutto. Ora come ora, invece, mi sentivo spogliata della mia sicurezza. Dopo di me, anche Michonne vi adagiò la katana. Al contrario però, ella sembrava davvero soddisfatta. L'ultima a lasciare il fucile d'assalto fu Carol, recitando la parte della donna debole ed incapace con le armi. Si sfilò con fatica il fucile dalle spalle, facendo sembrare l'oggetto più pesante di quanto fosse. La donna del magazzino non riuscì a trattenere un sorriso. Le faceva pena. Carol era già entrata nella parte della casalinga perfetta, aveva già pensato a cosa dire e fare per guadagnarsi la fiducia dei residenti. Era così dannatamente subdola e furba.

-Forse avrebbe dovuto portarla qualcun altro. – disse la donna, andandosene con le nostre armi.

Aaron si passò una mano fra i capelli. Era un po' imbarazzato, non sapeva come relazionarsi a noi, data la delicatezza della situazione.


-Esplorate, date un'occhiata in giro. Ispezionate insomma. Sono sicuro che sarà tutto di vostro gradimento.

Maggie e Glenn si presero per mano e si incamminarono per la stradina principale, osservando le varie case e strutture presenti. Michonne, invece, tornò in casa. Si sarebbe fatta una doccia. Carol si strinse nella spolverina che aveva sulle spalle e finse di camminare a casaccio, ma sapevo che stava ripercorrendo la stessa strada della donna addetta al magazzino. Daryl si sedette a terra accanto alla staccionata, intento a girarsi l'opossum fra le mani. Il gruppo di Abraham invece tornò dentro, con l'intenzione di attendere il proprio turno con Deanna. Mi guardai un poco attorno, dubbiosa sul da farsi. Quand'ecco che Aaron si avvicinò.

-Piaciuta la casa?

-E me lo domandi pure? – scherzai – Questi posto è davvero fantastico, Aaron. Sono felice per voi.

-Dovresti esserlo anche per te stessa. D'ora in avanti vivrai qui. – commentò.

-Beh si, immagino di sì. Ma devi capire che siete stati lontani da tutto, non avete dovuto affrontare niente di ciò che è capitato a noi, o semplicemente di ciò che c'è là fuori. – parlai guardando i cancelli – Credo voi siate le persone più fortunate di questa terra.

Rise un poco, guardandomi serio. Sapeva quanto avessi ragione, ma era difficile da immaginare quante atrocità avessero scansato.

-Comunque, grazie.

Posò una mano sulla mia spalla, sorridendomi.

-Non devi ringraziarmi.

-Eccome se devo. – insistetti – Grazie per aver creduto in noi, per averci portato nella tua comunità. Non vi deluderemo.

Daryl sputò a terra. Sottolineando quanto odiasse queste smancerie. Vidi Aaron assumere una strana smorfia e salutarmi, indietreggiando con un finto sorriso. Mi voltai sconfortata e scorsi Daryl scuoiare l'animale. Lo aveva aperto in due e ne stava estraendo le viscere, cibandosi di quelle. Le mani, la bocca, erano zuppe di sangue.

-Che c'è? – biascicò, sentendosi osservato.

-Ti sembra il modo? – domandai perplessa – Dovremmo fargli buona impressione. Non tutte le persone qua sanno come si vive là fuori, non puoi cibarti come un animale qua davanti a tutti.

Ignorò le mie parole, masticando qualche altro boccone.

-Non mi frega proprio un bel niente. – borbottò – E di certo non voglio sprecarlo.

Sbuffai.

-Almeno fatti una doccia dopo. 

-E perché dovrei? – domandò, impegnato nell'affondare le dita nel ventre dell'opossum.

Mi abbassai, piegandomi in avanti per creare un contatto visivo con quei suoi occhi taglienti.

-Hanno il sapone, hanno l'acqua calda. Hanno un fottuto cesso con la carta igienica. Ti è chiaro o devo spiegartelo meglio? – dissi franca – E poi, vorrai presentarti in condizioni accettabili, spero.

-E per cosa? – brontolò fulminandomi – Per fare bella impressione a quella donna? Credi che me ne fotta qualcosa?

Strappò con forza altre viscere, addentandole con foga. Non capivo se fosse solamente nervoso od incazzato per qualche motivo preciso.

-Se non vuoi farlo per te, fallo almeno per noi. Per Judith, Carl. – dissi con sconforto – Me.

Egli mi squadrò con la coda dell'occhio e non aggiunse altro, limitandosi a leccare le dita insanguinate. Gli diedi le spalle e mi incamminai per il vialetto, osservandomi intorno. Non incrociai persone, tutti erano nelle proprie case a scrutarci da dietro le tende. Dovevamo avere un aspetto selvaggio. Non mi spiacque però la cosa, preferivo camminare indisturbata, esaminare il luogo senza essere sopraffatta da persone, domande e richieste di spiegazioni. Preferivo gironzolare nel silenzio.
Mi ritrovai di fronte alla parete del muro di lamiere che ci separava dall'esterno. Vi adagiai l'orecchio e non udii nessun particolare suono. Più avanti scorsi una postazione di guardia vuota. Salii sulle scale ed osservai la natura a noi attorno. Il sole illuminava il circondario, dando nutrimento alle piante e surriscaldando l'asfalto della strada, creando quei tipici giochi ottici. Un vagante si trascinava in lontananza sulle proprie gambe, barcollando con le fauci aperte. Sembrava debole, affamato. Mi chiesi se davvero mai nessuno di quegli esseri sarebbe riuscito ad invaderci. Era davvero così sicura Alexandria? Speravo che il colloquio fra Deanna e Rick andasse a buon fine. Lo sceriffo aveva bisogno di fidarsi nuovamente delle persone, sarebbe stato un percorso lungo e faticoso, ma sapevo che ne sarebbe prima o poi uscito vincitore. Rimasi lì immobile a fissare quel putrido arrancare senza meta, osservandolo con sguardo vuoto ed impassibile, tanto che sobbalzai all'udire una voce alle mie spalle.

-Non dirmi che già ti mancano.

Mi voltai all'istante, sconvolta del fatto che non avessi sentito nessuno avvicinarsi. Un ragazzo alto, moro, un accenno di barba abbozzata. Un fucile da cecchino fra le mani ed un sorriso sfavillante. Era l'addetto alla postazione. Mi scansai come se volessi lasciargli il posto, ma egli mi tese la mano.

-Io sono Spencer. Te devi far parte del nuovo gruppo di cui mi ha parlato Aaron. – disse, prima guadandomi in volto e poi scrutandomi i vestiti vissuti e finiti.

Strinsi la sua mano, sforzando un sorriso. Continuava a farmi uno strano effetto vedere gente linda e pulita, con nessun segno di preoccupazione addosso o paura negli occhi.

-Si nota, eh? – risposi indicandomi dalla testa ai piedi – Kendra, piacere.

Si avvicinò alla lamiera, sporgendosi un poco.

-Odio quei cosi. – parlò fissando il vagante che io stessa avevo preso di mira – E li vedo solo a qualche spedizione qua attorno. Non riesco proprio ad immaginare come sia vivere costantemente là fuori.

Egli sembrava apparentemente tranquillo e a suo agio. Al suo posto io avrei avuto un occhio di riserva. Certo, ero disarmata e lui aveva un fucile. Ero sicuramente innocua, ma non avrei mai socializzato con così spontanea pacatezza. Probabilmente si fidava del giudizio di Aaron o non gli ero sembrata una ragazza pericolosa con la quale stare in allerta.

-Tutt'altro che piacevole.

Sospirò continuando a fissare il putrefatto.

-Beh, comunque stasera molto probabilmente organizzeremo un festa per darvi il benvenuto. Niente di che eh, giusto un poco di musica, birra. Sai, per fare conoscenza.


Rimasi interdetta, stupita. Mi guardò con fronte corrugata.

-Ho detto qualcosa di sbagliato?

-No, scusami. E' che tutto questo.. – dissi, gesticolando – E' tutto nuovo per noi. Stai parlando di una festa, di musica, gente pronta a fare conoscenza.. come se fosse del tutto normale, insomma, come se tutto fosse rimasto come una volta. Sono solo incredula.

Si grattò il collo, assumendo un'espressione imbarazzata.

-Oh. – esclamò – Forse non sono stato abbastanza delicato, mi dispiace. Non ci ho pensato, ecco. Tra l'altro non siete costretti a venire, insomma, è solo un invito. Siete liberi di fare come volete. Comunque passeremo più tardi, io o Aaron ad informarvi della cosa.

Misi le mani avanti.

-Figurati, non devi scusarti. Sono solo confusa da questa nuova atmosfera. Non so se alcuni del mio gruppo verranno, ma spero che tutti riescano ad ambientarsi.

Ci scambiammo un sorriso e il silenziò piombò fra noi. Non mi aveva mai dato fastidio non dialogare con qualcuno, ma in quel momento percepivo l'imbarazzo scorrermi nelle vene. Probabilmente era dovuto dall'enorme difficoltà nel realizzare ciò in cui eravamo stati catapultati.

-Comunque, adesso devo andare.. vorrei farmi una doccia prima di incontrare Deanna.

Ovviamente comprese il mio bisogno e mi congedò, senza troppe chiacchiere inutili. Camminavo veloce in direzione di quella che d'ora in avanti sarebbe stata la nostra casa. Provavo una strana sensazione, un perverso senso di inquietudine. Ero felice di aver già fatto la conoscenza di un altro membro della comunità, ma tutto mi pareva così strano ed offuscato ai miei occhi. C'era troppa gentilezza nell'aria, Spencer ad esempio non aveva battuto ciglio nel vedermi in questo stato pietoso. D'improvviso iniziai a dubitare di questo luogo, senza nemmeno saperne il motivo preciso. Speravo solo che quel malsano dubbio in me insinuato, potesse svanire così come era arrivato. Una volta giunta davanti alla porta, incrociai lo sguardo di Carol, la quale si trovava in fondo alla strada. Ricevetti soltanto uno sguardo maligno e fugace. Le stavo davvero sulle palle. Entrai di fretta, sospirando. Odiavo sentirmi la pecora nera del gruppo. Nessuno era ancora rientrato e Michonne doveva essere uscita, dal momento in cui non udivo alcun rumore provenire dal bagno. Attraversai il soggiorno, trascinandomi come se fossi stanca, sconfitta da queste situazioni spinose, e mi bloccai di fronte alla finestra che dava sul giardino. Quella vista non faceva altro che riportarmi alla mente il mio passato. Sarebbe stata dura convivere col gruppo. Non che finora non lo avessi già fatto, ma adesso le cose avevano preso improvvisamente una piega diversa. Avevo sempre saputo che alcuni di loro covavano ancora dei risentimenti nei miei confronti, sebbene mi fossi sempre mostrata disponibile e pronta a tutto, ma da quando avevo provato l'acqua, da quando avevo cominciato a dire chiaro e tondo come la pensavo su differenti situazioni, queste riserve erano tornate a galla. In cuor mio, ero cosciente del fatto che non avrei fatto la lecchina, né avrei provato a far cambiare loro idea con falsità, mai avrei rinunciato ad essere me stessa. Comunque, la questione mi feriva. Sentii la porta scricchiolare e mi voltai in quella direzione, pregando che non si trattasse di Carol. Per mia fortuna incrociai quegli occhi freddi e profondi.

-Ehi. – salutò Rick, chiudendosi la porta alle spalle – Gli altri sono sempre a giro?

Annuii, tornando a fissare il giardino perfettamente curato ed immacolato.

-Non sei uscita?

Si avvicinò a me, affacciandosi anch'egli alla finestra.

-Sono appena rincasata. – sorrisi, sorpresa del termine – Ho scambiato due parole con un uomo. Sembrava un tipo a posto. Ma volevo farmi una doccia prima di parlare con Deanna.

Il suo volto non era ancora del tutto disteso, rilassato o sollevato da qualche pena. Aveva ancora dei pressanti dubbi sulla comunità.

-Beh, anche Deanna non sembra male. Dopotutto mi ha fatto una bella impressione. – disse serio, fissando l'erba.

-Ma?

Corrugò la fronte.

-Ma mi sembrano tutti troppo sicuri dell'impenetrabilità di questo posto.

Come dargli torto, per noi era una costante. Niente alla fine restava vergine, tutto veniva corroso da questa piaga.

-Cosa ne pensi? – domandò dopo qualche minuto di silenzio – Di questo posto, delle persone.

Misi le mani in tasca.

-Perché me lo chiedi?

Egli mi guardò con punto interrogativo in volto.

-Perché mi interessa la tua opinione. – rispose, come se fosse ovvio.

Storsi le labbra di lato.

-Ah. Ultimamente non sembrava..

Incrociò le braccia al petto, mettendo in evidenza i muscoli.

-Spiegati.

Feci per andarmene, mi ero pentita di aver detto ciò che pensavo, ma egli mi afferrò il braccio, seppur delicatamente.

-Parliamone. – insistette.

Mi tirò a sé.

-Non voglio sembrarti una bambina, ma ho come l'idea che buona parte del gruppo, se non tutti, abbia delle riserve nei miei confronti.

Scosse la testa, sorridendomi.

-Questo non è assolutamente vero. So a cosa ti riferisci, ma non devi dare retta a Abraham o a Carol. Dovresti sapere che tipo di carattere hanno.

Sapevo già ciò, ma non era così semplice. Potevo anche chiudere un occhio con Abraham, ma con Carol tutto era diverso.

-E cosa mi dici di te? – lo interrogai, voltandomi nuovamente verso il giardino per fuggire al suo sguardo.

Egli rimase sorpreso dalla domanda. Restò in silenzio assorto nei suoi pensieri per una manciata di secondi, quasi stesse ripercorrendo tutte le nostre discussioni. Poi, si mosse avvicinandosi lentamente alle mie spalle.

-Mi fido ciecamente di te. – parlò rauco, abbracciandomi da dietro – E se a volte mi arrabbio, è perché stai facendo del male a te stessa.

Mi impietrii di fronte a quell'innocente e tanto desiderato contatto. Il cuore prese a sobbalzare, scalciando imperterrito nel mio petto. Ero davvero così tanto disperata da desiderare così ardentemente un semplice abbraccio? Quella nostra piccola unione mi rassicurava più di tante altre parole. Contraccambiai quel gesto, accarezzando delicatamente quelle braccia che mi stavano avvolgendo come un manto. Chiusi gli occhi, come per imprimere quella sensazione di pace sulla mia pelle. Eppure, sapevamo entrambi che c'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò. Ci sciogliemmo come un fiocco di raso, in fretta, ma con una strana morbidezza nel gesto. Sorrisi impacciata e mi toccai i capelli.

-Beh, questi riccioli non ne possono più.

Rise, massaggiandosi la barba.

-Anch'io avrei bisogno di una scrosciata d'acqua calda. Credo che andrò a farla nella casa accanto.

Mi avvicinai alle scale e salii qualche gradino, ricordandomi dell'invito di Spencer.

-Rick! – rimase con il pomello della porta fra le mani, quasi desiderasse che gli chiedessi di restare – Quasi dimenticavo. Quell'uomo ha detto che forse stasera ci sarà una festa, insomma, una serata tranquilla dove fare conoscenza. Forse Deanna te ne ha già parlato..

Abbassò lo sguardo, quasi deluso, e mi rispose uscendo.

-Giusto un accenno, ma dovrebbero farci sapere. – parlò con tono netto – Ma grazie di avermelo ricordato.

La porta si chiuse ed io rimasi lì come uno stoccafisso, immobile a vederlo allontanarsi. Percepivo in me una sensazione contrastante, era come se stessi sbagliando qualcosa, come se mi stesse sfuggendo un fattore fondamentale. Nah, fanculo. Borbottai fra me e me. Non avevo voglia né tempo per queste stronzate. Dovevo smetterla di pensare, riflettere su ogni minuscola cosa, finivo solo col tormentarmi e restare a mani vuote. Sbattei forte la porta del bagno e feci scorrere l'acqua della doccia finché non divenne quasi bollente. Mi spogliai velocemente, desiderosa di immergermi in quel calore avvolgente. Di fronte a me, uno specchio a parete rifletteva la mia immagine nella sua totalità. Il mio corpo emaciato, ferito, denutrito. Mi avvicinai lentamente, scorgendo ad ogni passo una cicatrice o ferita fresca. Le costole facevano capolino, le scapole non lasciavano spazio all'immaginazione. Sapevo di essere magra, ma vedermi così nero su bianco faceva un effetto peggiore. Passavo delicatamente le dita su ogni osso, percependone amaramente la sporgenza. La ferita alla gamba era orribile, si era mezza cicatrizzata lasciando uno squarcio accicciato di dieci centimetri sulla coscia. Il dolore non era mai svanito del tutto, ma avevo deciso di nasconderlo. Simulavo una camminata normale, non avevo più fatto parola di ciò e tutti sembravano aver abboccato all'amo. Distolsi lo sguardo da quello sgorbio, ritrovandomi a fissare il labbro ormai sgonfiato. Era rimasto solo un taglio ad esso perpendicolare. Nel complesso, facevo dannatamente schifo. Certo, non avevo mai avuto una grande autostima di me come persona, in generale, e del mio corpo nel suo complesso, ma adesso poi, mi vergognavo del mio aspetto. Gettai su quella superficie vitrea un grande asciugamano, in modo che la coprisse del tutto, ed entrai in doccia, ritrovandomi dopo poco tempo a sedere. L'acqua scorreva imperterrita donando pace alle mie membra, ma percepivo in me un senso profondo di vuoto angosciante.

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 : A nudo ***


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Capitolo 35 : A nudo


Rovistavo nella cesta di vestiti che ci era stata data, sperando di trovare qualcosa di semplice che potesse sia piacermi che coprire le ferite e gli ematomi. Pescai un jeans nero, simile ai miei amati pantaloni, e una camicia verde militare. Il taglio era maschile, ma non mi importava. Anzi, avrebbe nascosto la magrezza. C'erano persino mutande e reggiseni nuovi. Non potete capire la gioia che si può provare alla vista di un intimo profumato e pulito. L'indolenzimento generale era svanito con l'effetto rigenerante della doccia temprata e i miei capelli se ne erano usciti di una morbidezza tale che erano quasi irriconoscibili. I riccioli erano definiti, affatto crespi, e scendevano leggeri lungo la schiena. Oramai arrivavano quasi al fondo schiena, forse avrei dovuto dargli una spuntatina. Passai in bagno a raccogliere gli asciugamani che avevo utilizzato per metterli in una camera a caso, la camera che forse sarebbe diventata la mia. Suonava strano, stentavo a crederci. Non appena presi l'asciugamano grande, liberando lo specchio, mi trovai nuovamente a confronto con la mia immagine, ma stavolta l'effetto era diverso, piacevole. La camicia nascondeva ogni difetto del mio corpo, facendomi sentire più a mio agio. Il polso slogato era ancora un poco dolorante, ma oramai il fastidio era quasi impercettibile. Non avevo più bisogno di una fascia. Mi sentivo libera, leggera, nuova, quasi fossi rinata. Scesi giù per le scale ed incrociai in cucina Michonne alle prese con la credenza. Anch'ella indossava abiti nuovi, era bello vederla allegra. Sebbene fossimo arrivati da poche ore, già si sentiva a casa. Era più tranquilla, meno sospettosa. Doveva aver già parlato con Deanna. Sorrisi al sentire che canticchiava fra sé e sé, controllando ogni tipo di alimento che avevamo a disposizione. Non appena si accorse della mia presenza, mi accolse con un sorriso raggiante.

-Ehi, ma come siamo belle!

Arrossii presa alla sprovvista. Ella arricciò il naso, divertita della mia reazione, e afferrò una pesca, mettendosi poi a sedere sul piano isola della cucina.

-Ma ci pensi? – domandò fra un boccone e l'altro – È casa nostra.

Stentavo a crederci.

-Pare impossibile da elaborare. – risposi, allargando le braccia come per indicare l'intera struttura.

Mi fece cenno di sedermi al suo fianco, allungandomi pure una pesca.

-Non ci credo che tu non abbia fame. – sbiascicò – Su mangia questa.

Non feci complimenti e la presi volentieri, affiancandola. Addentai quella succosa polpa dolce, fintanto da inebriarmi di quel sapore.

-Molto meglio dei vermi dell'ultima volta. – dissi ridacchiando.

Michonne sospirò, ricadendo nei ricordi dell'esterno. Per un attimo il volto si rabbuiò, ma poi il suo sguardo tornò più luminoso di prima, sebbene le sue iridi fossero di un nero profondo.

-Quello è il passato. Farò di tutto per mantenere questa comunità al sicuro.

Masticavo un grosso boccone di quel frutto, gustandone la dolcezza e il senso di appagamento che mi giungeva dallo stomaco ormai intorpidito dal tempo.

-Questo è il nostro miracolo. – dissi, guardandola negli occhi – E tutti noi lotteremo per mantenerlo vivo.

Annuì sorridendomi, felice di sentire ciò. Si leccò le dita, non volendo sprecare una goccia di quel succo paragonabile all'ambrosia per noi, e scese dal ripiano per raggiungere il lavandino dove sciacquarsi le mani. Anche quel semplice gesto, era come un lusso.

-Sai. – parlò – Sei una ragazza in gamba, Kendra. Rick fece proprio bene ad accoglierti quel giorno alla prigione.

Mi voltai di scatto, incredula di udire tali parole.

-Lo pensi sul serio? – chiesi timida – O lo dici soltanto per farmi sentire accettata?

Mi guardò confusa, forse non immaginava quante paranoie mi facessi notte e giorno.


-Scherzi spero. – rispose sincera – Credo senza dubbio che tu sia un qualificato membro del gruppo. Mi sei sempre piaciuta fin dall'inizio. Ti ricordi la nostra prima spedizione?


E come dimenticarla. Lottavo con me stessa, cercavo di non cedere al desiderio di ucciderla. Eravamo sole nel bosco, poi nuovamente sole in quella cittadina. Sarebbe stato il momento perfetto.

-Non ero molto loquace, lo ammetto. – continuò – Ero più impegnata a studiarti, ma mi sono divertita. In quella farmacia poi, mi hai fatto schiantare con i due tizi.

Finsi un sorriso, ma in realtà fui investita da una fitta al cuore. Uno di quegli uomini era Drake.

-È vero, fu una spedizione molto silenziosa, ma divertente. – ammisi – Ma ti devo confessare una cosa.

Inarcò le sopracciglia, capendo che si trattasse di qualcosa di serio.

-All'inizio, non riuscivo a starti vicino. – confessai – Ti odiavo. Quando parlavi, ridevi o facevi qualcosa, non riuscivo a fare altro che immaginarti uccidere Penny, la figlia di Philip.

Storse la bocca di lato in una smorfia accondiscendente. Capiva benissimo la mia posizione.

-Beh, effettivamente posso immaginare come sia stata dura stare in mezzo a noi se schierata dalla parte del Governatore.

Lì mi resi conto che ero l'unica che continuasse a chiamarlo per nome. Per me Philip restava un grande stronzo, ma non riuscivo a chiamarlo con l'appellativo di Governatore, come se ciò potesse convergere solo i suoi lati ed azioni negativi, tralasciando i gesti e le premure che comunque aveva mostrato e dato a molte persone, me per prima.. sebbene poi avesse tentato di uccidermi.

-Ma adesso, sono felice di aver scelto voi. – affermai.

Buttai il nocciolo del frutto nel cestino e abbracciai samurai, quella donna che si era sempre mostrata rigida nei miei confronti, la stessa donna che avrei dovuto uccidere a sangue freddo, la donna che ora come ora rappresentava il mio cambiamento. Ella mi guardò sorpresa, non si aspettava tale improvvisa confidenza, ma ricambiò comunque il gesto. La ringraziai tralasciando la motivazione ed uscii in strada, sospirando come se mi fossi tolta un peso allo stomaco. Mi guardai intorno e vidi una donna bionda di spalle allontanarsi dal nostro vialetto, la quale salutava timidamente qualcuno nella casa accanto. Scorsi Rick appoggiato alla porta contraccambiare il saluto. Non riuscivo a guardarlo in faccia poiché anch'egli mi dava la schiena, ma non potetti fare a meno di notare come lo sceriffo restasse imbambolato ad osservare quella figura femminile farsi sempre più distante. Mi sorprese, facendomi restare di stucco. Egli poi si voltò per chiudere la porta e incrociò il mio sguardo. Fu allora che mi accorsi che non era più il Rick che avevo conosciuto. Scrollò le spalle, come per dirmi in silenzio che non poteva farci niente, come se oramai fosse troppo tardi. Ed aveva ragione. Lo raggiunsi a grandi falcate, curiosa di scrutare il suo volto da vicino. Non appena gli fui di fronte, egli mi sorrise quasi imbarazzato, senza però distogliere lo sguardo dai miei occhi verdi muschio. Posai entrambe le mani sull'incavo fra collo e mento, accarezzandolo leggermente con i pollici. La barba era scomparsa, lasciando il posto ad un volto pulito, delicato e sereno. Il celeste dei suoi occhi spiccava ancora di più, ora che era privato da quell'ammasso grigio che distoglieva l'attenzione. Anche i capelli erano stati accorciati, sistemati. Era una nuova persona. Quella trasformazione inaspettata, mi riempì il cuore di gioia.

-Wow. – esclamai, come una bimba davanti a un negozio di dolci.

-Wow? – ripeté sorridendo.

Portai immediatamente le mani sui fianchi, lasciando libera la sua mascella scolpita e morbida. Si accarezzò incredulo il mento, constatando sempre più quanto la barba fosse effettivamente svanita.

-Beh, non so cosa dire. Sei.. sei diverso.

In quel momento nei suoi occhi scorgevo solamente imbarazzo, felicità e sollievo. Non credo che avesse già accettato il luogo, ma probabilmente stava evitando di pensarci.

-Spero un diverso positivo. – ridacchiò.

Non ne capivo il motivo, ma sembravamo più collegiali infatuati che adulti occupati in un sano dialogo.

-Sai, non ti avevo mai visto così. Capelli corti, zero barba. – gesticolai – Ma stai davvero bene.

Mi sorrise, mettendo in risalto gli zigomi.

-Anche tu sei..

-Kendra! – chiamò Aaron, lasciando in sospeso la frase dello sceriffo – Ti stavo cercando.

Mi voltai dispiaciuta.

-Dimmi..

Rimase ai piedi dei due scalini, lasciando quella giusta distanza fra noi quasi volesse sottolineare l'intenzione di non voler invadere i nostri spazi. Le sue labbra raggiunsero la massima estensione in un sorriso stupito.

-Siete una favola così ripuliti. – esclamò di getto, prima di ricomporsi – Deanna ha quasi finito, ti va di andare?

Fui felice di sentire di essere, non dico bella, ma frizzante, piacevole alla vista. Dopotutto ero una donna e ogni tanto qualche complimento era ben accetto, anche se gran parte del suo stupore era stato infiammato dalla trasformazione di Rick. Al tempo stesso, però, ero nervosa di dover fare la conoscenza di questa tanto rinomata donna.

-Ma certo, non è un problema. – mentii.

Mentre scendevo gli scalini, lasciandomi alle spalle lo sceriffo, Aaron disse di voler parlare con egli, ma non appena fui in strada, mi resi conto di non sapere dove andare.

-Aaron, scusami, ma non ho la più pallida idea di dove stia Deanna.

Si tirò una pacca leggera sulla fronte, ridendo della sua stessa dimenticanza. Aveva dato per scontato che conoscessi la sua ubicazione. Fece per voltarsi e raggiungermi, quasi volesse accompagnarmi fino a destinazione invece di rifilarmi una semplice indicazione, ma Rick lo precedette.

-Ti porto io. – sostenne – Tu Aaron aspettami pure qui, ci metto un attimo e dopo parliamo. Okay?

Il rosso annuì squadrandoci e si lasciò cadere sulla panchina, fingendo indifferenza. Effettivamente, anch'io non mi aspettavo di essere scortata fino alla casa del leader di Alexandria, soprattutto da Rick, ma a quanto pare le cose avevano preso questa piega. Non che fosse qualcosa di strano e fuori dal comune, ma stare sul portico era già stato abbastanza imbarazzante. Non mi aveva mai dato fastidio restare accanto a Rick, ma mentre percorrevamo quella strada curata, mi resi conto di quanto la sua sola presenza mi mettesse a disagio. Mi avvolgevo di quel silenzio orticante, cercando comunque di apprezzare ogni millimetro di mondo che avevo attorno in quel momento. Alexandria sarebbe diventata la mia nuova zona sicura. In lontananza apparve una figura farsi sempre più distinta, data la velocità con cui essa si muoveva. Non appena mi fu possibile scorgere il volto di Daryl, abbozzai un sorriso, ma egli ci superò ignorandoci con un ghigno, tirandomi pure una spallata. Rick restò impassibile, come se la presenza dell'arciere non lo avesse turbato affatto, quasi non fosse nemmeno esistito. Mi sorprese tutta quella indifferenza, ma non fiatai. Lo sceriffo si fermò, indicandomi la casa al nostro fianco. Dalla porta di questa spuntò una donna bassa, dall'aria autoritaria e dal volto segnato dagli anni. Percepivo una strana energia diffondersi da quella donna tanto minuta quanto attenta. I suoi occhi limpidi come l'acqua più vergine mi scrutavano, scavando dentro il mio essere. Per una frazione di secondi, mi parve di essere in presenza di un dissenatore, ma al contrario di questo, ero sicura che ella fosse una creatura benevola. I due leader si scambiarono un'occhiata e Deanna mi invitò ad entrare. La casa era come immaginavo ognuna delle presenti in questa comunità: viva. Quelle mura parlavano di lei, della sua famiglia, emanavano calore e serenità. Controllavo smaniosamente e fugacemente ogni dettaglio. Percorremmo un corridoio fino ad accomodarci in un salotto ampio e ben arredato.

-Spero non ti dia fastidio. – parlò, accarezzando una videocamera.

Feci cenno di no e mi accomodai sul divanetto posizionato di fronte alla poltrona a lei destinata.

-Allora, Kendra.. – bene, già conosceva il mio nome - .. diciamo che di te so già abbastanza, o almeno le cose più importanti..credo.

La fissavo negli occhi cercando di captare le possibili informazioni in suo possesso.

-Beh, considerando quanto Rick sia un chiacchierone, direi di sì.

Sorrise, affermando il mio sospetto.

-Sai, sono stata felicemente sorpresa quando ho saputo da Aaron che ti sei fidata subito ed hai bevuto l'acqua.

Feci spallucce.

-Il mio gruppo ha reagito diversamente.

-Perché? – domandò, con voce profonda.

-Perché poteva essere una trappola, perché..

-No. – interruppe la mia sfilzata di motivazioni – Perché l'hai bevuta?

-Perché avevo sete. – risposi secca.

Deanna rimase in silenzio a fissarmi. Quella risposta non le bastava, sapeva chiaramente che era una menzogna. Odiavo quel suo atteggiamento rilassato, quella dannata videocamere accesa.


-Cosa sei, una psicologa od è solo un hobby?

Accavallò le gambe.


-Diciamo che mi sarebbe piaciuto esserlo, credo di esserci portata.

Imbronciai le labbra, come per farle capire che non ero molto d'accordo. In realtà, stavo cercando di infastidirla, volevo sapere e conoscere più di lei, del suo carattere, della sua posizione. Mi guardai attorno, aspettando di udire qualsiasi suo discorso. Le tende che incorniciavano l'ampia finestra alle mie spalle non erano del tutto immacolate. Una strisciata breve di un rosso marrone spiccava su un lembo. Si trattava sicuramente di una traccia di Daryl. Aveva il vizio di scrutare al di là di qualsiasi vetro. Davo pure per scontato che non si fosse nemmeno seduto durante il colloquio. Quello stronzo non si era neppure lavato.

-Comincia ad essermi tutto più chiaro. – rise.

La guardai torva. Odiavo questa situazione, mi ricordava troppo tutte quelle sedute obbligatorie con lo psicologo della squadra speciale.

-Adesso inizierai a fare una serie di considerazioni che, una qualsiasi persona spiccata potrebbe facilmente captare, un po' come fanno le medium per strada. – la sfottei.

Abbozzò un sorriso, come per accettare la sfida. Sapevo che era diversa, ma volevo vedere fino a che punto si sarebbe spinta.

-Sei sulla difensiva, Kendra. – parlò unendo le mani – Credo tu faccia piccoli gesti di cui nemmeno ti accorgi.

-Ad esempio?

-Ti stai toccando il polso. E' da quando sei entrata che lo stai maneggiando. Penso sia un movimento che attivi solo quando ti senti alle strette.

Mi bloccai immediatamente, ritrovandomi a fissare il polso decorato da quella rossa fascia. Aveva ragione, quella donna aveva fottutamente ragione. Quando ero sul punto di ribattere, ella tornò all'attacco.

-Hai un problema alla gamba. Una ferita mal guarita, suppongo. Ti fa male, parecchio male, ma lo nascondi. Simili una camminata naturale, non ti piace essere al centro dell'attenzione, non vuoi sembrare debole, non vuoi che qualcuno si preoccupi per te, per la tua salute.

Rimasi zitta a bocca socchiusa, quasi volessi controbattere ma non ne avessi la forza.

-Hai percorso con gli occhi tutti i movimenti che ha fatto Daryl qualche minuto fa. Significa che lo conosci bene, che come me sai osservare tutto e tutti, eppure hai difficoltà a relazionarti con alcuni del tuo gruppo. Perché?

-Perché non hanno fiducia in me, perché mi sento in più. Perché sono una maledetta cogliona che non riesce a fare niente di buono, per quanto mi sforzi e finga di essere ottimista, mi ritrovo fra le mani solo merda. E puzza questa merda, capisci? Pesa pure. – sputai, rimanendo senza fiato.

Rilassò i muscoli, a differenza mia, felice di essere arrivata al mio cuore, quasi fosse la noce di un frutto, l'interno più profondo.

-Forse, provi tutto questo solo perché ti sforzi di essere ciò che non sei. Loro ti accetteranno, ma permettigli di conoscere la vera Kendra.

Inspirai, cercando di calmarmi. Deanna mi aveva praticamente eviscerato.

-E per quanto riguarda la coscia, abbiamo un chirurgo.

Sarebbe come ammettere il problema, pensai, ma l'idea di evitarmi altro atroce dolore gratuito mi solleticava la coscienza. Incrociai le braccia.

-Sei bella tosta, Deanna. – dissi, sebbene mi irritasse.

-Siamo simili Kendra. – sentenziò col sorriso – Per questo ti sto già sulle scatole.

Aveva pienamente ragione, sebbene ella fosse probabilmente più matura su alcuni aspetti, io sapevo cacciar, sparare, ma soprattutto sopravvivere. Ero in vantaggio.

-Cosa ti preoccupa? – parlò, indicando le mie sopracciglia aggrottate.

Mi sporsi, come per avvicinarmi alla sua figura.

-So cos'è questo posto, cosa rappresenta. Desidero solo che nessuno di noi faccia qualcosa di sbagliato. Basta un'azione istintiva per distruggere tutto.

Parlavo di Rick, di Daryl, Abraham, Sasha.. bastava un loro attimo di follia per spezzare la fiducia appena donataci, ed io non avevo intenzione di muovermi da questo angolo di paradiso.

-Molto probabilmente accadrà, ma l'ho già messo in conto. – rispose, fingendosi tranquilla.

Sospirai. Parlammo poi della mia famiglia, di come erano andati gli eventi fino ad oggi, volendo conoscere il mio punto di vista su tutto. Poi, ad un certo punto ella si alzò, dirigendosi alla videocamera. La luce rossa fissa scomparve. Bene, avevamo finito la bellissima seduta, anche se continuavo ad arrovellarmi il cervello, chiedendomi per quale motivo ella non avesse voluto domandare nulla riguardo a Woodbury, al fatto che avrei dovuto ucciderli ecc. . Possibile che Rick avesse trascurato questo dettaglio?

Mi alzai, strusciando le mani sui pantaloni per privarmi dell'umidità dovuta al sudore dettato dall'ansia.

-Ah, non so se ti hanno accennato della festa.

-Sì. – la interruppi, desiderosa di uscire da quella casa – Me ne ha parlato Spencer.

Sorrise e ci incamminammo verso la porta.

-Oh, bene. – esclamò – Hai già fatto amicizia.

Mi pareva di essere considerata come una bambina.

-Sembra un tipo a posto.

Posò la mano sulla maniglia.

-Comunque. – continuò – Programmavo di farla qua. Non tutti mi sono sembrati felici all'idea, ma gradirei la presenza di voi tutti.

-E' giusto. – risposi secca – Dobbiamo fare buona figura. Vedrò di insistere.

Mi guardò senza aggiungere altro, aprendomi la porta con espressione seria. Varcai la soglia, percependo l'animo farsi più leggero. Odiavo essere esaminata così a fondo, ma il mio essere non era ancora del tutto libero.

-Kendra. – sussurrò, appoggiata alla porta. – Non so bene quale tipo di relazione leghi te, Rick e Daryl, ma credo tu debba sapere cos'ha detto quest'ultimo.

Rimasi immobile a fissarla, interdetta e angosciata allo stesso tempo. Le era bastata un'occhiata, uno sguardo fugace al mio arrivo con Rick, alla spallata di Daryl, alle frecciatine scambiate, ed alla aveva già intuito qualcosa di più profondo.

-Non voglio saperlo. – sbottai, entrando in strada.

Non voglio saperlo, ripetei a me stessa.

 

               *


 

Il pomeriggio era passato in fretta, fra girate nella comunità, riflessioni e considerazioni varie su tutto e tutti. I discorsi di Deanna mi avevano disturbato, mettendomi in subbuglio perfino lo stomaco, tanto da avermi messo in uno stato di solitudine. Rientrai in casa, beccandomi Carol alla prese con dei biscotti e Maggie e Sasha con della pasta al forno. L'odore era inebriante. Tutti gli altri erano in sala, stravaccati su divani e sedie in attesa spasimante della cena. Li salutai con un cenno e salii al piano superiore, sbuffando. Non avevo voglia di compagnia, ma la pancia brontolava rumorosamente. Mi gettai sul letto della camera dove avevo lasciato le mie cose, godendo di quel materasso confortevole, morbido e comodo. Una nuvola. Abbracciai il cuscino, chiudendo gli occhi per qualche istante. Ero felice di aver una stanza tutta mia, dove potermi rifugiare o sfogare. Cominciava ad essere pesante la convivenza forzata, soprattutto con alcuni membri del gruppo.
La porta che avevo lasciato socchiusa si aprì delicatamente, quasi la persona all'altro lato non volesse essere troppo di disturbo. Sebbene lo fosse eccome.

-Posso? – udii una voce rauca.

Stessa voce che mi rivelò la persona alle mie spalle. Annuii, osservando l'ombra di Rick farsi più vicina. Mise le mani sui fianchi e si guardò attorno, prima di sedersi sul letto, dandomi leggermente la schiena.

-Sarà la tua stanza? – chiese, come per intavolare un discorso.

-Boh, è la prima che ho visto e la prima in cui ho buttato la mia roba.

Imbronciò le labbra.

-Vuoi sapere com'è andata con Deanna, non è vero? – sospirai, affondando la faccia nel cuscino.

Ridacchiò, essendo stato scoperto.

-Da dopo l'incontro con Deanna, sei sparita.

-Quella donna è leggermente inquietante.

Sorrise, dandomi ragione. Lasciai il cuscino, avvicinandomi a Rick, in modo tale da poter vedere pienamente il suo volto.

-Non le hai detto tutto, vero?

Mi guardò inarcando le sopracciglia.

-Non tutto.

-Perché? – avevo bisogno di sapere.

-Perché non c'era bisogno di rivelarle tutto sul tuo passato.

-Si tratta di questo e basta? – insistetti.

-Kendra, io mi fido di te, e non rimpiango il giorno di averti permesso di varcare quella recinzione.

Temevo..temevo che non ne avesse parlato con Deanna per paura che lei e la sua gente avessero avuto occhi di riguardo nei nostri, ma soprattutto nei miei confronti.

-Cosa stai cercando di dirmi?

-Che per me hai sempre fatto parte del nostro gruppo, anche se ti abbiamo incontrata più tardi, anche se eri teoricamente nostra nemica. Ho soltanto omesso qualche particolare al racconto.

Lo abbracciai d'istinto, dopo qualche manciata di secondi passati completamente nel silenzio. Non m'importava cosa avesse potuto dire Daryl al suo colloquio, era questo ciò di cui avevo bisogno. Mi avvolse con quelle braccia muscolose e calde, facendo sciogliere l'apatia che mi ingabbiava. Posò una mano sulla mia testa riccioluta, stringendomi ancora di più a sé. Restammo in quella posizione per un minuto buono, un minuto che parve interminabile. Ci slegammo poi da quel contatto affettivo, guardandoci senza dire nulla, ma le nostre mani rimasero vicine sul materasso, tanto che lo nostre dita si intrecciarono.

-Ti va di scendere? – chiese, inclinando la testa.

Mi alzai sorridendo, separando le mani a mio dispiacere. Rick ne fu felice e raggiungemmo gli altri, sedendoci in due punti opposti del salotto. Daryl era seduto a terra sul tappeto, con la schiena poggiata al divano. Giocherellava con un coltello, quasi sentisse la mancanza del proprio. Sasha poggiò la teglia fumante sul tavolo da caffè al centro della stanza e Maggie servì i piatti. In un battito di ciglia il silenzio verbale piombò in quelle mura, tanto eravamo occupati col cibo. Gli unici suoni udibili erano dati dalle forchette che raschiavano il fondo delle scodelle. Mangiavo un fusillo alla volta, cercando di far durare più a lungo quella bontà. Quella pasta era la cosa più buona che avessi messo sotto i denti da anni. Sapeva di casa.
 

Angolo autrice
Buona sera walkers! So che mi odiate per le luuuunghissime attese che vi tocca sorbire ad ogni capitolo, ma giuro che non è mia intenzione, fosse per me sarei sempre a scrivere e pubblicare storie di ogni qual genere. Sono felice di aver visto che non siete spariti del tutto, anzi, qualche lettore si è aggiunto. Vi ringrazio tantissimo. Chiedo perdono per la mia assenza, ma come sapete l'università prosciuga l'anima. Ci tenevo a dirvi che mi sono da poco, più precisamente da ieri, aggiunta al mondo di Wattpad, anche se per ora ci capisco poco e nulla.

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 : Champagne ***


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Angolo autrice
Miracolo gente, sono resuscitata dal regno dei morti! Ho aggiustato tutti i codici dei precedenti capitoli, apportato qualche modifica e correzione, ed ora eccomi qui con un nuovo capitolo. Chi l'avrebbe mai detto? :P Siccome è passato un secolo, diciamo che ho avuto molto, ma molto tempo per scrivere. Di fatto sono già pronti una sfilzata di capitoli *^* Aggiornerò, quindi, in modo abbastanza frequente. A questo punto non so quanti vecchi lettori torneranno a seguirmi, ma nel caso vi stritolo in un abbraccio. Mi siete mancati tutti! Altrimenti, do il benvenuto ai nuovi che si aggiungeranno u.u
 

 

Capitolo 36 : Champagne


Notte. Luna. Stelle. Il cielo era l'unica cosa a non essere mai cambiata. Tutto quello che ci circondava si era trasformato con noi, seguendo una lenta ma precisa metamorfosi. Mutazione che non ha portato solo a farfalle o a stadi perfetti, ma anche a incidenti di percorso, mostri e atrocità. Eppure, nonostante l'orrore di giorno in giorno, quella dannata macchia blu cobalto ne era rimasta immune. Fissavo quel manto stellato, chiedendomi se mai sarebbe tornata la pace. Oramai i vaganti, i banditi, i cannibali, o quant'altro, erano la nostra normalità. Ma mi domandavo se mai li avremmo debellati, se mai ci saremmo riappropriati della nostra Terra. Sbuffai, costringendo i riccioli in una pinza nera. Fissavo il letto ricoperto da vari indumenti, cercando di capire quale meglio si adattasse alla serata a casa di Deanna. Alcuni del gruppo già erano alla festa, compresi Rick, Abraham e co. Soltanto Michonne era in crisi come me sull'outfit da indossare. Non eravamo tipe molto femminili, non ci piacevano vestiti e tacchi, ma tutti si erano agghindati per apparire al meglio. Odiavo le feste, le avevo sempre odiate anche al liceo. Ero in intimo e continuavo a fissare il mio corpo allo specchio a parete. Dovevo assolutamente coprire i lividi e le ferite. Quindi, scartai a priori gli abiti troppo corti. Gettai da una parte anche tutto ciò che avesse una minima scollatura ampia. Scartai infine tutti gli abiti dai colori sgargianti, non facevano per me. Sul materasso restò poco o nulla, tutto comunato da tinte scure o bianco. Diciamo che era rimasta una scala di grigi, alternata da qualche oggetto nero e bianco qua e là. Forse ero troppo tetra. Un rumore mi distrasse, facendomi sussultare. Qualcuno aveva bussato alla porta.

-Kendra, sono io. – parlò Michonne – Posso?

Afferrai l'asciugamano poggiato sulla sedia e lo rinvolsi all'altezza del seno.

-Vieni pure.

Entrò scalza sorridendo imbarazzata. 

-Che ne dici? – chiese, facendo una piroetta.

Indossava un vestito scuro decorato da righe sottili orizzontali. Il tessuto era così morbido che le scendeva in vita con una leggerezza tale da mettere in risalto ogni centimetro della sua figura. Era bellissima.

-Cazzo, hai proprio un corpo mozzafiato. – risposi spontanea.

Samurai scoppiò in una risata, tappandosi poi la bocca come per contenersi. Si guardò allo specchio, più imbarazzata che mai. Non era abituata a vedersi in queste vesti. Ma era davvero un incanto. Poi si voltò, come se si fosse accorta d'improvviso che non ero ancora pronta.

-Allora? – brontolò – Non hai ancora trovato nulla che ti piace?

Feci spallucce, storcendo le labbra di lato.
Portò le mani sui fianchi e si guardò attorno, notando i vari abiti sparsi a casaccio nella camera.

-Beh, almeno hai fatto una cernita. – sospirò.

-Sì, più o meno.

Si sedette sul letto, controllando ciò che era rimasto.

-Che ne dici di questo? – disse ammiccando – Questo tubino è molto sexy.

Scossi la testa in segno di disapprovazione.

-Nah, non fa per me. Troppo aderente.

Mi guardò come se fosse già esausta e lanciò alle spalle il tubino. Mi venne da ridere pensando a mia madre. Lei sì che aveva dovuto sopportare tutte le mie crisi adolescenziali. Ricordavo i pomeriggi interi passati di fronte all'armadio. 

-Uh questa! – esultò porgendomi una gonna nera. 

La poggiai sulle gambe. La lunghezza era quella giusta, né troppo corta, né troppo lunga. Inoltre copriva quell'orrida ferita. Probabilmente non avevo un'espressione molto convinta, perché ella tossì affranta.

-Che c'è adesso?

-Mh, è solo che.. – farfugliai indicando le gambe - ..si vedranno i lividi.

Ci pensò su fissando gli ematomi che mi decoravano e scavò fra gli indumenti rimasti.

-Potresti mettere queste. – spiegò sorridente – Le calze nere dovrebbero essere abbastanza coprenti.

-E magari quella camicetta bianca..

Scattò in piedi a braccia spalancate, come per esigere un applauso. Risi.

-Vaa bene! Ti assumo come consulente di moda. 

Mi lanciò gli indumenti scelti, costringendomi a correre per tutta la camera. Tutta quella leggerezza era così strana da digerire. Mi sembrava ancora impossibile che stessimo ridendo e scherzando come delle ragazzine. 

-Ora che il mio lavoro è compiuto, mi congedo. – annunciò Michonne – Per caso vuoi che ti aspetti?

Feci cenno di no. Non volevo trattenerla ancora molto. Mi salutò e chiuse la porta. Sfilai l'asciugamano di spugna e cercai di indossare con delicatezza le calze, sperando di non distruggerle come mio solito. Per la sottoscritta era una sfida ardua, ma fortunatamente riuscii nell'impresa. Controllai minuziosamente polpacci e ginocchia, notando che tutto sommato i lividi erano appena visibili. Mi sentii davvero sollevata. Indossata la gonna, però, fui davvero soddisfatta. Zero ferite, zero cicatrici. Non sembravo un rifiuto ambulante. Infilai le braccia in quelle maniche lisce come seta. Il look completo tutto sommato poteva andare, né esageratamente ricercata, né stile barbone. Decisi di lasciare i capelli raccolti, acconciandoli a mo' di chignon, lasciando però qualche ciocca libera a contornarmi il volto. Okay, ce la posso fare. E' solo una stupida festa. Vai lì, saluti, sorridi e bevi. Non è poi così difficile. Voglio dire, ho affrontato ben altro. Uscii in corridoio sebbene mi tremassero le gambe e andai a cercare un paio di scarpe adatte. In una cabina armadio ci erano state fornite nuove paia. I due tacchi presenti neanche li degnai di uno sguardo. Optai per un paio di stivaletti bassi, ma con una suola bella pronunciata. Mi avrebbero aiutato a rubare qualche centimetro e a sembrare più slanciata. Scesi le scale di corsa essendo ormai in ritardo. In casa non doveva esserci nessuno, dato che non udivo alcun suono. Ma non appena raggiunsi il piano inferiore, notai Daryl stravaccato sul divano. 

-Non vieni? – domandai come se niente fosse.

Sapevo che era ancora arrabbiato per qualche suo assurdo motivo, ma speravo che gli fosse passata. 

-Ancora non lo so. – grugnì.

Lo guardai meglio. Nonostante fosse chiaro come il sole la sua totalità assenza di gioia e voglia di far festa, almeno si era cambiato e lavato. Come biasimarlo, dopotutto nemmeno io avevo la benché minima intenzione di starmene in mezzo a gente sconosciuta, di fingere di star bene, di sfoderare sorrisi gratis a destra e manca, ma per questa comunità avrei fatto di tutto. Almeno, adesso, i suoi capelli castani erano morbidi e vaporosi sulla fronte. Sempre spettinati, ma profumati.

-Intanto ti sei lavato. – constatai – E' già qualcosa.

Fece una smorfia e non rispose. Aprii la porta e non appena misi piede fuori, urlò.

-Fai schifo vestita così, sembri una segretaria squattrinata. 

Chiusi la porta alle mie spalle, abbozzando un sorriso. Fin tanto che sparava cattiverie, significava che stava bene.

-Spero di vederti arrivare. – gridai, allontanandomi.

Camminavo veloce sperando di non essere terribilmente in ritardo, ma ormai potevo farci poco. L'aria gelida mi investì facendomi rabbrividire. Menomale siamo in estate, pensai. Non appena scorsi la casa di Deanna, mi bloccai ad osservarla. Dalle mura giungeva una melodia. Stavano ascoltando della musica e dalle finestre mi parve vedere qualcuno ballare. Forse non sarebbe stata una serata poi così tanto spiacevole. Mi feci coraggio e bussai alla porta.

-Oh eccoti!

Deanna apparve raggiante con un bicchiere di champagne nella mano sinistra.

-Cominciavo a credere che non saresti mai arrivata.

-Cominciavo a pensarlo pure io. – risposi in un sorriso impacciato.

Contraccambiò il sorriso e mi contornò la spalle con un braccio, direzionandomi al soggiorno. Con un cenno salutai tutti i presenti. Notai con piacere che tutto il gruppo aveva partecipato. Mancava solo una persona. Ci fermammo davanti ad un uomo dalla capigliatura grigia e dalla montatura degli occhiali squadrata.

-Lui è Reg, mio marito.

Ci scambiammo una solida stretta di mano.

-Che presa ha la ragazza! – esclamò, porgendomi un bicchiere.

Sorrisi ed afferrai l'oggetto. Vi adagiai le labbra, il giusto per farmi solleticare da quelle aspre bollicine. Aveva un ottimo odore e sapore. Poi, Deanna indicò un ragazzo alle prese con una chiacchierata con quella scontrosa di Sasha.

-Lui è mio figlio Aiden, il minore. – informò.

Spencer si avvicinò a noi.

-Eh beh, lui è il maggiore. Ma dovreste già conoscervi.

Rimasi sorpresa. Non avevo idea che fosse suo figlio. 

-Sì, abbiamo già avuto modo di conoscerci. – disse, affermando l'appunto della madre. 

Annuii e sorrisi, sperando di nascondere l'enorme imbarazzo che provavo in quel momento.

-Permettimi di dirti, che ti trovo bellissima stasera. – aggiunse poi, prendendomi di contropiede.

Percepii le gote infiammarsi. 
Deanna e Reg risero, congedandosi in modo da lasciarci soli. Rimasi zitta a vederli allontanare, pregando che cambiassero idea. Spencer si versò un ottimo whisky.

-Scusami, non era mia intenzione metterti a disagio.

Tracannai lo champagne.

-No figurati, è solo che è passato davvero molto tempo dall'ultimo complimento ricevuto. 

Cercai di scherzarci su ed egli sembrò abboccare, ridendo.

-Allora, che te ne pare? – domandò sorseggiando.

L'atmosfera era davvero piacevole. Tutti sembravano divertirsi. Perfino Rick stava parlando e ridendo con alcuni abitanti del posto. Sembrava un sogno.

-E' tutto davvero molto carino. – ammisi, guardandomi intorno.

Si versò un secondo bicchiere.

-Non intendevo la festa. – rise – Dicevo in generale. 

-Beh, vale sempre la prima risposta. – scherzai – Non è che mi faresti assaggiare quel whisky? Sembra buono.

Mi mostrò i denti in un sorriso gioioso.

-Uh abbiamo una buon gustaia allora.

Mi passò un bicchiere di cristallo squadrato. Il colore dell'alcolico era davvero intenso. Soltanto l'odore riportò alla memoria la bevuta esagerata fatta con Rick e Daryl poco prima di Terminus. Un senso di nausea si ripercosse lungo le membra. Non avrei ripetuto quella notte passata a vomitare e litigare con l'arciere. Assaggiai il liquore, trovandolo stranamente molto piacevole.

-E' buonissimo.

-Io lo adoro. – ammise guardando la bottiglia – Questo gioiello è invecchiato venti anni.

Continuai a sorseggiare il whisky, osservando Abraham tracannare litri di lattine di birra. Il rosso e la sua donna mi sembravano già abbastanza alticci, ma almeno si stavano divertendo. Michonne parlava con Glenn e Maggie, la quale era davvero stupenda. Rick, invece, era alla prese con una donna bionda. Mi parve la stessa di stamattina. 

-Vado a prendere uno stuzzichino. – informò Spencer – Tu vuoi qualcosa?

-No grazie, sono a posto.

Rimasi lì imbambolata a gustarmi il liquore, sperando che Spencer tornasse in fretta. Anche se ero un po' a disagio, preferivo parlare con qualcuno anziché fare il palo muto. Ma quello fu bloccato da suo fratello, che mi rapì il compagno di festa. Sbuffai annoiata, cercando qualcuno a cui accollarmi. Non appena feci un passo, però, un uomo mi bloccò il passaggio. Alzai lo sguardo e vidi un volto mai incrociato. Biondo, occhi azzurri incorniciati da scure borse, e barbetta ispida abbozzata. 

-Io sono Pete. – mi tese la mano – Lieto di fare la conoscenza di?

-Kendra. – strinsi la mano.

La stretta mi trasmise strane vibrazioni.

-Ah. – esclamò – Quindi saresti tu la ragazza di cui dovrei occuparmi.

Spostai una ciocca di riccioli, fermandoli dietro l'orecchio.

-Bene, Deanna ti ha già informato allora. – dissi, capendo di avere davanti il chirurgo della comunità.

-Sì, non ha perso tempo. E' fatta così quella donna.

Mi pareva turbato. Era come se avesse voluto intavolare un discorso per arrivare ad altro. Notai che non faceva altro che lanciare occhiate fugaci a Rick e la ragazza in sua compagnia.

-Domani pomeriggio potrei darti un'occhiata.

-Tanto non ho niente da fare. – affermai, riempiendomi il bicchiere.

Mi sorrise e feci altrettanto. Sebbene avessi bevuto poco o nulla, sentivo già scorrermi l'alcool in corpo. Doveva essere davvero molto debole se già reagiva a quella minuscola quantità alcolica nel sangue. 

-Quello è il tuo uomo? – domandò, dando per scontato di chi parlasse.

-Chi, Rick? – chiesi dubbiosa, sperando di aver intuito. 

Si massaggiò il collo.

-Ah è così che si chiama. – farfugliò bevendo.

-Comunque no, assolutamente. Perché?

Avevo già finito il whisky. Forse dovevo andarci piano.

-Mi è sembrato che lo stessi fissando. 

-Cosa? – dissi sbalordita, semmai era il contrario. 

-Perché vuoi dirmi che non lo stavi facendo? – insistette.

Mi versai l'ultimo goccio.

-L'avrò guardato si e no due volte.

Non mi parve convinto. Pete continuava ad insinuare che ci fosse qualcosa.

-Eppure mi sembravi infastidita. 

-Ti sbagli. – risposi secca.

Lanciai uno sguardo a quei due. Non mi dava fastidio. Non capivo perché avrebbe dovuto.

-Quindi non sei gelosa?

-No.

Li guardai di nuovo. Forse, forse un pochino mi infastidiva. Sembravano molto vicini.

-L'unico infastidito qua sei tu. – replicai scocciata. 

-Lo sono eccome. – disse rabbioso.

Stringeva il bicchiere con forza. Temevo quasi che il vetro si frantumasse fra le sue dita.

-E' mia moglie quella.

Ops, pensai, Rick sei ne guai

-Speravo che almeno fosse fidanzato o sposato. – aggiunse.

-Beh, lo era. Sua moglie non ce l'ha fatta. Gli sono rimasti i due figli.. – lo informai - ..ma sta tranquillo, non credo voglia flirtare con la tua donna.

O almeno lo speravo. Insomma, la biondina la fede al dito l'aveva. A giudicare dagli sguardi che si scambiavano, effettivamente cominciavo ad avere il dubbio che Pete non ci avesse visto male. 

-Forse. – ipotizzai – Ti basterebbe andarli ad interrompere, no?

Non mi rispose. Si scolò prima un'intera lattina di birra e poi se ne andò, raggiungendoli velocemente. Mi spiaceva per Rick, ma almeno me lo ero levato di torno. La sua presenza mi metteva in soggezione. Osservai Pete mettersi in mezzo fra i due, borbottando qualcosa. La donna non ne sembrò felice. Non credo che il loro fosse un gioioso matrimonio. Mi avvicinai al tavolo per prendere una lattina. Vidi Rick innervosirsi. In realtà un po' ne ero felice. Scossi la testa, come per rimangiarmi quel pensiero. Non potevo essere davvero gelosa. Abraham mi affiancò con Rosita. 

-Perché non ti unisci a noi? – disse bello allegrotto.

Alle sue spalle vidi Michonne e Tara farmi segno di raggiungerle. Glenn, Maggie e Eugene erano lì con loro. Staccai la linguetta d'alluminio e ne bevvi un sorso, annuendo. I piccioncini mi scortarono al loro tavolo e passai così parte della serata in compagnia del gruppo, fra risate, burla, scherzi ed idiozie, bevendo tutti a più non posso. Ogni tanto davo un'occhiata alla porta, sperando che Daryl varcasse la soglia, ma questo non avvenne mai. Perciò mi arresi e lasciai che le risate mi trasportassero.

 

Angolo autrice pt 2  
La festa ancora non è finita, don't worry. Ho dovuto tagliare il capitolo perché il prossimo adesso è già di 5mila parole. Vi dico solo una cosa, sarà parecchio movimentato muahahah 
E nulla, io spero di leggervi nelle recensioni <3

 

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 : Frida Kahlo ***


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Capitolo 37 : Frida Kahlo



Riuscivo a fatica a tenere gli occhi aperti. Abraham continuava a riempirci i bicchieri quasi fosse acqua. Nessuno osava fermarlo, ormai eravamo partiti tutti per la tangenziale. Un fastidioso cerchio alla testa continuava ad insistere affinché ponessi un freno a tutto ciò, eppure una piccola parte di me voleva continuare a divertirsi. Per una volta dopo mesi, mi stavo divertendo con tutti senza bisticciare. Perfino il rosso sembrava a suo agio con me accanto. Insomma, valeva la pena approfittarne. Dopo poco però, percepii dei crampi allo stomaco. Avevo bevuto troppo, questo era ovvio. Mi tirai su a fatica, poggiando le mani al tavolo come per trovare il giusto equilibrio. Michonne mi strattonò, pregandomi di non andare. Ricaddi sulla sedia. E inutile dirvi che continuai per un'altra oretta. Quando mi fu versato l'ennesimo bicchiere, capii di essere arrivata davvero al limite, dato che non riuscii nemmeno ad arrivare alla bocca che lo rovesciai addosso. Ridemmo tutti fino a piangere, trattenendoci la pancia dal dolore. Rick si voltò nella nostra direzione, occupato com'era a parlare con Deanna, e scosse la testa sorridendo. Penso fosse contento di vedere i suoi amici ubriachi ma felici. Dato comunque il macello e l'alcool ghiacciato addosso, decisi di salutarli sul serio. Glenn mi fece il broncio, mentre Tara era già k.o. stesa sul tavolo. 

-Mi dispiace, ma se non smetto finisco in coma etilico. – sbiascicai.

Abraham mi guardò stringendo gli occhi come per focalizzarmi.

-Ma se siamo solo all'inizio. – obiettò, ruttando.

Al suono del rutto tutti scoppiarono di nuovo a ridere. Eravamo ridicoli, ma era troppo divertente. Non seppi resistere. Comunque ormai avevo preso la mia decisione e li salutai, cercando di non ribaltarmi. Poggiai una mano alla parete, sperando di non cadere, e camminai lentamente verso la porta. Probabilmente barcollavo terribilmente, perché con la coda dell'occhio vidi Maggie scompisciarsi. Tsk, voglio vedere voi dopo. Ero quasi alla porta quando qualcuno mi afferrò per il girovita, facendomi roteare. La testa vibrò come se fossi stata gettata in una centrifuga.

-Sicura di farcela? – domandò Spencer sorreggendomi.

Annuii con un sorrisino ebete, muovendo la mano come se stessi scacciando un mosca a rallentatore.

-Lo prendo per un no. – confessò.

Risi ed egli mi accompagnò fuori. Il ghiaccio esterno mi diede uno schiaffo al volto, fu quasi utile per riprendersi un poco. All'improvviso era diventato davvero freddo fuori. Spencer mi guardò rabbrividire e corse in casa lasciandomi lì come una beota. Feci qualche passo, stringendomi nella camicetta. Udii alcuni passi, era tornato.

-Tieni questo. – disse, mettendomi sulle spalle un giacchetto.

Rimasi stupita di quel gesto.

-Grazie. – balbettai.

Mi sorrise e continuò a starmi vicino nel caso avessi bisogno.

-Divertita?

-Molto. – ammisi.

Se fossi stata ancora meno coscienziosa, avrei continuato a bere col gruppo.

-Bene, ne sono felice. – affermò sempre sorridente – Mi sarebbe piaciuto unirmi, ma temevo di essere di disturbo. Eravate un bel quadretto.

Rise. Probabilmente eravamo stati molto chiassosi. Per il resto del tragitto però restammo in silenzio e quando giungemmo di fronte alla casa, mi sentii in colpa di aver lasciato la festa. 

-Da qui in poi posso sbrigarmela da sola. – dissi, gesticolando. 

Si scompigliò i capelli alla nuca, sforzandosi di credermi. Doveva vedermi proprio in pessimo stato. Levò comunque le mani al cielo in segno di resa.

-D'accordo Kendra, mi fido! – esclamò, facendo retrofronte.

Fui grata che non avesse insistito. Feci un sospiro, cercando di riprendere il controllo del mio corpo, ma la strada sembrava ondeggiare sotto i miei piedi. In un modo o nell'altro, riuscii lo stesso ad arrivare alla porta sana e salva. Gran parte del percorso era stato fatto e ne ero uscita per il momento incolume. Stavolta non avrei vomitato, stavolta avrei vinto. Però, forse, qualcosa di caldo prima di andare a letto mi avrebbe fatto bene. Girai il pomello e richiusi la porta alle mie spalle, notando con tristezza che l'interno era completamente buio. Chissà dove si era cacciato quel coglione di Daryl. Adagiai la mano sulla parete alla mia destra, cercando di trovare l'interruttore della luce, ma ogni mio sforzo fu vano. Sbuffai arrancando fino alla cucina, sperando di trovare almeno quello della canna fumaria sopra i fornelli. Tastai i mobili in cerca del piano cottura, fungendomi questi pure da sostegno. Più camminavo e più mi sentivo fiacca. Bingo. Accessi la luce e fui accecata da quel bagliore intenso bianco neon, tanto che mi tappai gli occhi guaendo. Gli occhi mi bruciavano da far schifo. Non era poi stata una buona idea. 

-Porca puttana! 

Un urlo mi fece sobbalzare.

-Vuoi spegnere quella fottuta luce del cazzo? – ordinò Daryl.

Mi voltai cercando di capire dove fosse, sebbene le mie pupille vedessero al momento sfocato. Scorsi la figura di Daryl fare capolino dallo schienale del divano. Aveva qualcosa in mano, una bottiglia. Sembrava vino. Con l'altra invece si copriva gli occhi.

-Cazzo Daryl! – brontolai farfugliando – Mi hai fatto prendere un accidente. 

Cercai di tappare quella cavolo di luce, ma mi serviva per fare la camomilla. Lo stomaco stava praticamente implorando.

-Tipo che ne so, dire : ciao Kendra, sono qui. Non spaventarti se all'improvviso urlo. – continuai.

Egli sbuffò, facendomi il verso.

-Mi ero appisolato. Scusa se non ti ho salutato, principessina. – borbottò, attaccandosi alla bottiglia.

Gettai il giacchetto sulla canna, in modo da impedire che la luce si propagasse per tutto il soggiorno. Così facendo illuminava lo stretto necessario in cucina.

-Contento? 

-Ci puoi giurare. – disse ancora infastidito.

Aprii più sportelli prima di trovare una brocca ed una bustina. Purtroppo della camomilla non vi era traccia, perciò mi accontentai di un Earl Grey. Certo, la teina mi avrebbe tenuto sveglia, ma almeno avrebbe dato agio al corpo. Versai l'acqua nella brocca e accesi il fornello, sperando che il liquido si riscaldasse in fretta. Poggiai il dorso della mano sulla fronte. Stavo sudando freddo. Proprio un buon segno. Nell'intento di lavarmi le mani, mancò poco che finissi col cadere a terra. Daryl soffocò in una risata.

-Sei ubriaca. – disse, affermando l'ovvio.

Ma il fatto che se ne fosse accorto soltanto adesso, mi diede da pensare. Lo guardai meglio e a giudicare dalla sua espressione affatto sveglia, capii che anch'egli ci era andato giù pesante. 

-Lo sei anche tu.

-Nah non è vero. – replicò, stropicciandosi gli occhi.

-Lo sei eccome. – insistetti.

-Ti ho detto di no, rompiballe. 

Pure le parole erano strascicate. Fra tutti e due non sapevo proprio chi fosse messo meglio.

-Dimostralo.

Mi guardò in cagnesco. Sapeva che se si sarebbe rifiutato, avrebbe ammesso di essere ubriaco fradicio. Perciò, tanto valeva provarci e mostrarmi il contrario. Dopotutto sapeva reggere l'alcool molto meglio di me, quindi era pure possibile che sarebbe rimasto in piedi senza problemi. Ma la scena che mi si presentò, mi lasciò abbastanza di stucco. Invece che scendere tranquillamente dal divano, voleva raggiungermi scavalcando lo schienale. Rimasi zitta a fissarlo. Si aggrappò affondando le dita nella stoffa, tenendo la bottiglia in bocca per il collo di questa. Incrociai le braccia come per godermi quella scena ridicola. Si sporse in avanti, cercando di allungare una gamba per scavalcare, ma non appena l'ebbe sollevata, si ribaltò tornando al punto di partenza. Non ricordo bene quanti altri tentativi dovetti sorbirmi, ma alla fine si catapultò dall'altro lato, ritrovandosi seduto a terra con la braccia spalancate, come se fosse soddisfatto della prestazione.

-Wow, non ho parole. – dissi applaudendo.

Daryl borbottò qualcosa, ma avendo ancora il fiasco serrato fra i denti, mi fu impossibile capire. Camminò carponi fino ad una sedia che utilizzò come appoggio. Finalmente era in piedi. Forse era messo un poco peggio di me. Risi, guardandolo come se fosse la cosa più buffa al mondo. Riattaccò a bere. 

-Per essere conciata in quel modo ti devi essere divertita alla festa. – osservò, come se lui fosse lucido.

Controllai l'acqua sul fuoco, ma ancora non era abbastanza calda.

-All'inizio insomma, poi bevendo.. sai com'è. – risposi sbrigativa.

Non volevo che si sentisse in colpa per non essere venuto.

-Niente di che, davvero. – farfugliai – Te invece, alla fine cos'hai fatto?

Si pulì la bocca con la mano, essendosi rovesciato un poco di vino addosso.

-Ho mangiato spaghetti.

Notai infatti una chiazza di pomodoro sulla camicia blu notte. Quel colore gli donava molto. Effettivamente faceva uno strano effetto vederlo tutto tirato e ben vestito, anche se l'atteggiamento a burbero era sempre lo stesso. Non sarebbe mai cambiato.

-Non pensavo sapessi cucinare. – lo punzecchiai. 

-Che stronza. – sbottò – E non ho cucinato io. 

Lo guardai curiosa, sperando che continuasse a raccontarmi la sua serata. I suoi occhi mi stavano studiando, era come se non fosse del tutto convinto di dirmi qualcosa, ma cercai di fare un'espressione impassibile.

-Aaron mi ha invitato a cena.

Mi venne da ridere. Spaghetti e vino sapevano molto di appuntamento romantico. 

-Uh. – smorzai un sorriso – E' stato gentile.

Continuò a bere.

-Sì. – ammise – C'era anche Eric.

Lì non seppi trattenermi e scoppiai a ridere. Mi vedevo troppo la scenetta romantica a lume di candela. Aaron ed Eric composti a godersi la cena, e Daryl quasi sdraiato sul piatto a rimpinzarsi come un cafone. Un bel triangolo romantico. La mia risata però fu interrotta dalla sua reazione. Scattò in piedi con forza, facendo cadere a terra la sedia di legno. 

-Cosa hai da ridere, eh? – urlò sbraitando – Sentiamo. 

Cercai di ricompormi, tappando la bocca ogni qual volta che mi tornava da ridere. Ma sarò sincera, l'ubriacatura non aiutava affatto.

-Niente, assolutamente niente. – risposi gesticolando.

Ma egli si incazzò maggiormente, vedendo che non lo prendevo sul serio. 

-Pensi che sia gay? – abbaiò agitando il vino.

Scossi la testa velocemente, ma egli continuò.

-Rispondimi mocciosa. Pensi che sia gay? 

Per quanto mi sforzassi di stare seria, sentivo i crampi alla pancia tanto volevo ridere.

-Questo lo stai dicendo tu. – replicai. 

La risposta non lo soddisfò. Scaraventò la bottiglia alla parete dietro le mie spalle. Il vino si riversò sul muro e i frammenti di vetro si sparpagliarono sul piano cucina e sul pavimento, dividendosi in altrettanti frammenti verde oliva. Il rumore dello schianto fu così forte e inaspettato, che sobbalzai tappando le orecchie e abbassandomi poi d'istinto, come per scansare quel vetro tagliente. Daryl era proprio come quei cocci, appuntito e affilato. Bastava una parola, uno sguardo per ferirti, per ritrovarti ricoperta di cicatrici indelebili. Avanzò lungo la cucina con fare minaccioso, sebbene i suoi passi non fossero del tutto stabili. Indietreggiai lentamente fino a toccare il mobile, ma egli non parve affatto intenzionato a fermarsi. Portai le mani in avanti, sperando di bloccarlo, ma quando fu abbastanza vicino da farvi aderire il petto, premette fino a farci ritrovare faccia a faccia. Le nostre fronti sudate erano unite ed egli faceva pure forza. Spingeva come un matto, ma anch'io feci lo stesso, sebbene fossi abbastanza spaventata. Non era la prima volta che faceva scenate del genere, ma stavolta nel suo sguardo c'era qualcosa di diverso, qualcosa che non avevo mai visto. 

-Non hai ancora risposto. – sottolineò, scandendo lettera per lettera.

Il suo respiro frenetico e caldo. I nostri corpi uniti. Il suo petto di marmo, le spalle larghe. Le sue labbra così vicine. Il cuore scalciava, i muscoli tremavano. Ero in trappola, eppure mi sentivo stranamente eccitata ed imbarazzata allo stesso tempo. La sua vita premette con più forza sulla mia, permettendomi di sentire un rigonfiamento. 

-Daryl io.. –

Provai a dire, prima che quello mi cingesse con rabbia il collo e mi tirasse a sé, facendo scontrare le nostre labbra con ingordigia. Non fu un bacio sentito, non fu un bacio dolce, gentile e delicato, tutt'altro. Fu un bacio rabbioso, violento e insaziabile. Le nostre lingue danzavano intrecciandosi e scacciandosi fra loro, quasi avessero molto da dirsi, quasi avessero lasciato in sospeso svariati momenti e molteplici occasioni. Ci assaporammo, ci nutrimmo di quell'attimo infinito. Era bello e doloroso allo stesso tempo, era come stringere fra le mani una rosa per odorarne i petali, ma sanguinare a causa delle spine. Era come se il tempo a noi attorno si fosse bloccato, era come se esistessimo noi e noi due soltanto. Il ticchettio dell'orologio in sala finì con l'affievolirsi fino a svanire, il rumore del gas acceso fece lo stesso, e così tutti gli oggetti o i suoni all'interno di quella stanza. Percepivo unicamente i nostri cuori, i loro battiti accelerati, i loro desideri. Non avrei mai voluto staccarmi da quelle labbra sottili eppure morbide e aspri. Non avrei voluto sciogliere le nostre lingue, ma anzi, inebriarmi del suo sapore quasi fosse ambrosia. Non avrei voluto spingere via il suo volto, allontanarmi da quella barbetta che mi pizzicava il mento. Non avrei voluto, eppure lo feci, costretta dal mio stesso corpo, costretta dal bisogno incessante di prendere aria.

Annaspai quasi, una volta liberata da quella sua morsa letale, riempendomi i polmoni d'ossigeno fino alla loro massima estensione. Daryl si leccò le labbra, come se volesse sedurmi, come se pensasse di non esserci già riuscito. I nostri corpi erano ancora costretti l'uno sull'altro, quasi non avessero intenzione di lasciare un benchè millimetrico spazio. Fissavo quei suoi occhi diabolici col fiatone, cercando di capire se tutto questo fosse stato soltanto un gioco, soltanto un modo per umiliarmi poi o sprezzarmi con qualche sua solita frase. Invece mi afferrò per i fianchi, sollevandomi fino a farmi sedere sul piano di lavoro. Non fu delicato nemmeno in quell'azione, tanto che mi fece sbattere la testa contro i pensili della cucina. Ridacchiò e si tuffò nuovamente sulle mie labbra, allargandomi le gambe con una mano affinché potessi avvolgerlo. Intrecciai queste lungo i suoi fianchi ed egli spinse maggiormente. La gonna però lo infastidiva. Le sue dita percorrevano i miei polpacci, fino a giungere alle ginocchia e alle cosce, riempiendomi di brividi lungo la spina dorsale. Daryl se ne accorse e ne parve divertito. All'improvviso mi morse il labbro inferiore facendomi sussultare e con uno scatto veloce mi tirò su la gonna, la quale, a mo' di fisarmonica, andò a piegarsi su se stessa in vita. Fu allora che mi spalancò le gambe con brama, tirandomi verso di sé come se volesse ingabbiarmi. Nel frattempo tenevo in pugno i suoi capelli, intrecciandoli fra le dita in modo da seguire o pilotare i suoi movimenti durante quel bacio selvaggio. Di nuovo le nostre labbra si separarono e di nuovo i nostri polmoni si ripresero ciò che spettava loro, ignorando i nostri istinti. Accarezzandomi, passò a giocherellare con la lingua lungo il collo, facendomi fremere. Mordicchiò il lobo dell'orecchio, sussurrandomi poi a questo.

-Allora segretaria, credi ancora che sia gay?

-Non l'ho mai pensato. – risposi, premendo delicatamente le labbra alle sue in un innocente bacio a stampo.

Mi sorrise e poggiò le mani all'anta alle mie spalle, incorniciando praticamente il mio volto con le sue braccia. Il respiro era corto e il suo amichetto faceva di tutto pur di farsi notare. Ormai si era formato un rigonfiamento più che notevole. Notò che gli stavo fissando il pacco e non ebbe ripensamenti. Si gettò un'altra volta su di me, cercando di sbottonarmi la camicia di fretta e furia. Ad ogni bottone che incrociava, imprecava a bassa voce, non riuscendo a liberarli del tutto. Avvolsi le sue calde mani, fermandolo. Mi guardò serio.

-Daryl, siamo ubriachi.

Ma egli riprese l'azione, ignorandomi.

-Daryl, ce ne pentiremo. – insistetti, afferrando nuovamente le sue grandi mani.

Si fermò, accarezzando le mie dita che sembravano minuscole in confronto alle sue.

-Sì. – disse ansimante – Mi pentirei se domattina mi svegliassi da solo nel letto, capendo di non aver approfittato di questa notte.

Non appena ebbe terminato la frase, riprese a sbottonarmi la camicia con più impegno, ridendo quasi ad ogni piccolo bottone. Mi guardava da dietro quei ciuffi nocciola, come se avesse paura che potessi avere dei ripensamenti. Ed effettivamente, era così. Non riuscivo a capire bene cosa volessi. La testa mi girava vorticosamente, eppure il mio corpo sembrava desiderarlo. Per una volta, per una volta volli agire senza pensare, volli lasciarmi guidare dall'istinto, dagli impulsi. Non sapevo se il nostro fosse amore od una semplice avventura, ma non aveva importanza, perché in quel momento non desideravo altro che avvolgermi del suo corpo bollente e statuario. 

L'amore? Non so.

Se include tutto,

anche le contraddizioni e i superamenti di sé stessi,

allora sì, vada per l'amore.

Altrimenti no.
 

Diceva Frida Kahlo. E quella notte volli seguire il suo consiglio. Finalmente riuscii a liberarmi della camicetta ed egli se ne compiacque, ritrovandosi ad osservare il mio seno ancora costretto nel reggipetto. Ero leggermente in imbarazzo, ma la luce era fioca, debole, e questo mi aiutò a non vergognarmi delle mie forme. Mi baciò delicatamente fra l'incavo di questo, ma poi premette con forza le labbra, mordicchiando e succhiando allo stesso tempo. Mi scappò un gemito ed egli non mollò la presa, anzi, morse con più forza. Gli tirai uno scappellotto ed egli si staccò con un ghigno soddisfatto, pulendosi la bocca dalla bava con il dorso della mano. Il petto frizzava da morire. Osservai l'attacco dei seni e vi notai una macchia violacea e rossastra apparire pian piano. Era il succhiotto più doloroso e grosso che mi fosse mai stato fatto. 

-Che c'è? – domandò eccitato – Ho fatto male alla tua pelle tanto delicata?

Non risposi, guardandolo come se fosse la cosa più bella a questo mondo. Sì, il petto mi faceva male. Sì, i contorni di Daryl erano mezzi sfocati. Sì, ero ubriaca fradicia. Ma sapete una cosa? Avrei voluto che quella notte non fosse mai terminata. Non mi importava se il mattino seguente avessi dovuto lottare con dei terribili postumi da sbornia, desideravo godermi ogni singolo secondo in sua compagnia. L'acqua del thè ormai stava uscendo dalla brocca, bagnando le stesse fiamme che la scaldavano. Daryl allungò una mano per spengere il gas e poi si sfilò la camicia, sfoggiando quel petto ai miei occhi perfetto. Le sue braccia muscolose si contrassero nell'azione, facendomi quasi avvampare. Era dannatamente sexy, inutile mentire. Si avvicinò di nuovo, sfiorando delicatamente il succhiotto con l'indice.

-E questo non è niente. – disse, ridacchiando. 

-Sei uno stupido, Daryl Dixon. – esclamai, accarezzando l'abbozzo dei suoi addominali.

Mi afferrò con forza, lasciandomi a penzoloni sulla sua spalla destra. Mi ritrovai a faccia in giù ad occhi chiusi, sforzandomi di non vomitargli addosso. Sapevo benissimo cos'aveva in mente, ma al tempo stesso non avevo idea se fossi riuscita a trattenermi lungo le scale. Cercava di salire i gradini velocemente, ma le gambe non sembravano volergli dare molto ascolto. Ci mise più del necessario, fermandosi più volte e reggendosi al corrimano. Oltre che vomitare, adesso temevo anche di capitolare giù per le scale. Percepii lo stomaco incendiarsi. Portai immediatamente le mani alla bocca, sforzandomi con tutta me stessa.

-Ti prego. – parlai a denti stretti – Mettimi giù.

Rise e spalancò la porta della prima camera che dava proprio sulle scale, evitando così di dover fare altri metri lungo il corridoio. Mi lanciò sul letto quasi fossi un sacco di patate, facendomi rimbalzare. La nausea si affievolì, ma la testa peggiorò a causa della velocità con cui ero stata scagliata. 

-Contenta adesso? – sussurrò, curvandosi su di me. 

Allungò poi il braccio per accendere la luce del comodino, ma mi coprii immediatamente gli occhi. Non perché fosse forte od accecante, quanto perché non volevo vedere il mio corpo livido e magro.

-Potresti spengerla? – pregai arrossendo.

-No. – rispose baciandomi il seno – Mi sono sempre chiesto cosa ci fosse qua sotto.

Afferrò le calze in procinto di sfilarmele, ma controbattei sempre coprendomi il volto.

-Cosa vuoi che ci sia? 

-Stupida. – borbottò – Intendevo il tuo corpo. Ho sempre voluto vederti nuda, accarezzarti..

Mentre mi spiegava cosa avesse sempre voluto farne del mio corpo, sfilava pian piano le calze, baciando ogni centimetro di pelle che liberava. Era una sensazione bella, piacevole, eppure tanto imbarazzante. Continuavo a tenere chiusi gli occhi sotto i miei palmi, sperando che l'ansia e i timori scomparissero il più velocemente possibile. Non mi biasimavo, dopotutto questo sarebbe stato il primo rapporto dopo lo stupro subito dal gruppo dei claimers. Perciò mi sentivo molto a disagio, tanto da percepire i muscoli tesi ed affatto rilassati. Daryl gettò le calze dietro alle sue spalle, finendo queste nel pianerottolo fuori dalla stanza. L'arciere non aveva nemmeno chiuso la porta. Mi baciò la caviglia e poi mi guardò finalmente in faccia, accorgendosi che avevo ancora il volto nascosto fra le mani. Salì su di me, adagiandosi delicatamente in modo che il suo peso non gravasse sul mio esile corpo. 

-Guardami. – bisbigliò, adagiando le mani sulle mie – Va tutto bene. 

Sapevo quanto si stesse impegnando per apparire sobrio e dolce, ma il suo sguardo lo tradiva. Levai comunque la mani, immergendomi nelle sue iridi glaciali. 

-Sei bellissimo. – dissi, distogliendo lo sguardo.

Egli sorrise.

-Menomale, pensavo ti coprissi per non guardare la mia orrida faccia. – scherzò. 

Riuscì a farmi ridere, mettendomi stranamente a mio agio. La tensione era quasi scomparsa. Mi baciò e tornò nuovamente alle mie gambe. Mi morsi leggermente le labbra, percependo il suo sapore su di esse. Era avvolgente. Poi mi accorsi che stava fissando la cicatrice alla coscia.

-La odio. 

-Per me è affascinante. – disapprovò. 

Lo fulminai. Odiavo essere presa in giro. Ma Daryl inarcò le sopracciglia, come se mi stesse sfidando. Lo guardai inespressiva, non avevo capito dove volesse arrivare. Ridacchiò e leccò fugacemente la ferita, mordendo accanto a questa. Una fitta dolorosa mi pervase, tanto da costringermi a mordermi la base dell'indice per soffocare un gemito. 

-Sei uno stronzo. – replicai.

Egli fece spallucce ed agguantò le mutande, sfilandole così lentamente per provocarmi e darmi fastidio.

-Forse, solo un pochino. – disse con una smorfia – Kendra Moore.

Non fissava nemmeno cosa vi fosse sotto, restava con le pupille puntate sulle mie, sorridendo come se la scena fosse divertente. Anche quelle finirono fuori dalla stanza, ma le vidi sparire cadendo per le scale. Mi tirai su a sedere, poggiando una mano sulla sua spalla. 

-Potrebbe arrivare qualcuno. – osservai impanicandomi.

Ma Daryl adagiò un dito sulle mia labbra.

-Shhh. – sussurrò – Sono ancora tutti a quella inutile festa. Non saranno qua prima di qualche ora. Abbiamo un sacco di tempo per divertirci. 

Mi rassicurò e la passione si riaccese. Vederlo così vicino a me, così sicuro di sé e di noi, mi eccitava. Leccai quel dito osservandolo con occhi lascivi ed egli si infuocò tuffandosi fra le mie labbra con foga. Poi mi spinse, costringendomi a restare sdraiata. Stringeva i miei polsi sopra la mia testa con una sola mano, mentre con quell'altra sganciava il reggiseno. Quello cadde sul pavimento e Daryl leccò un capezzolo fino a farlo irrigidire. Si alzò sulle ginocchia, restando sempre sopra di me, e gli sbottonai i jeans scuri. Scivolò al mio fianco, sfilandosi i pantaloni di fretta, quasi non avesse intenzione di indugiare ancora. Come dargli torto, anch'io non riuscivo più a trattenermi. Avrei voluto saltargli addosso, ma avevo notato che gli piaceva condurre il gioco, quindi aspettai che fosse lui a fare la prima mossa. Ero lì, stesa su quel materasso nuda come un verme, ricoperta di lividi e speranze, mentre lui era tornato sopra di me. Respirava rumorosamente, come se la belva in lui stesse per esplodere ed uscire. Indossava ancora i boxer scuri, ma questi erano diventati così aderenti da mettere in bella mostra la rigidità e possenza del suo membro. Eppure, se non se li era ancora sfilati, aveva in mente qualcos'altro. Scese infatti all'altezza dell'ombelico, riempiendomi di baci alternati a morsi. Mi allargò le gambe affatto delicatamente, tirandole su per farsi spazio. Affondai le dita nel materasso, già sapendo cosa sarebbe avvenuto. La sua lingua si insinuò con ingordigia fra le mie membra, bagnandomi e stimolandomi. Un calore mi pervase il basso ventre, facendosi spazio fino a raggiungermi il cuore. Quel muscolo impazzì, accelerando quasi stesse per implodere. Cercavo di trattenere i gemiti, ma più mi impegnavo, più l'arciere solleticava il clitoride con la punta della lingua, rendendo inutili tutti i miei sforzi. 

-Perché ti trattieni? – domandò riemergendo per prendere fiato.

-Non lo so. – ansimai. 

Scivolò sul mio corpo, per tornare alle mie principali labbra.

-Non c'è nessuno qui. – spiegò – Nessuno può sentirci. 

Lasciai perdere le lenzuola ed accarezzai la sua liscia schiena. Una sua mano scese fra le mie cosce, addentrandosi fra altre calde labbra. Conficcai le unghie nelle sue spalle, all'altezza delle scapole. Lo graffiai seguendo i comandi del mio corpo dettati dall'eccitamento di quel momento, dai brividi che Daryl mi creava. Mugolò ed io con lui, sebbene tentassi ancora di reprimere il suono.

-Fammi sentire la tua voce. – sussurrava intanto, mentre mi baciava l'incavo del collo – Sono così belli i tuoi gemiti. 

Lo accontentai ed egli se ne appagò. Sfilò le dita mostrandomele. Erano bagnate e non poco. Tentai di scacciare via quella mano, non c'era bisogno che guardasse quelle dita con fierezza, ma Daryl mi bloccò il polso e le assaporò. Non me lo ero mai immaginato così perverso, ma a conti fatti ancora non lo conoscevo del tutto. Poi mi baciò con forza, costringendomi ad assaggiare il mio stesso sapore. Ero giunta al limite, non avrei resisto un attimo di più. Afferrai i suoi boxer e vi lasciai entrare una mano, mentre con l'altra li spostavo lentamente. Egli mi guardava voglioso, ma non muoveva un dito. Fissava il mio volto, socchiudendo gli occhi per il piacere. Lo percepivo farsi sempre più duro contro il mio palmo, finché non si fu stancato di quello. Voleva di più, come me tutto sommato. Si sedette e mi sollevò bramoso, avido e ansimante. Mi adagiò su di sé ed intrecciai le gambe dietro la sua schiena. Eravamo faccia a faccia, labbra contro labbra, fronte contro fronte, già sudati e pronti per consumare fino in fondo quel rapporto carnale. Una sua mano si posò sul mio fondoschiena, mentre l'altra mi stringeva la nuca, intrecciandosi fra i riccioli, in modo tale da accompagnarmi nei movimenti. Mi alzavo e mi abbassavo a suo comando, era sempre lui a condurre il gioco, ma non mi importava. Fin tanto che entrambi godevamo del momento, ne ero appagata e felice. Mi sciolse i capelli, liberandoli dallo chignon. I riccioli rimbalzavano sui miei seni a ritmo delle nostre oscillazioni ritmate. Ci guardavamo entrambi negli occhi, quasi non curanti dei nostri corpi sudati, come se volessimo imprimere nella mente quell'immagine, quel ricordo. Mi fissava a bocca aperta, ansimante e sorridente allo stesso tempo.

Era magico, lui, noi. Il suo profumo, il suo odore. Mi sarebbe impossibile compararlo a qualcosa. Per me era il profumo più buono, dolce ed aspro che avessi mai sentito. Ma avendo ognuno di noi gusti differenti, provate a pensare all'odore per voi più bello, al suo ricordo. Ecco, Daryl era quello. Daryl era semplicemente se stesso. Non sapevo se egli provasse le stesse cose che percepivo io, se si trattava soltanto di una cotta o di un'infatuazione passeggera, ma per me era molto di più. Mi sembrava quasi di amarlo. Eravamo complicità, ferite ancora aperte, segreti da condividere. Un dolce sfiorarsi, un violento sentirsi, un delicato cullarsi. Un continuo cercarsi, nella paura di trovarsi, e il desiderio d'intrecciarsi nell'impossibilità di trattenersi. Con un colpo di reni poi, mi fece sdraiare ed egli si avvinghiò su di me ancora voglioso. Ci muovevamo simultaneamente, scandendo un ritmo che divenne man mano più veloce. I respiri si fecero più profondi, spezzati dai nostri stessi gemiti. Percepii il suo ventre contrarsi. Urlai di piacere ed egli venne, serrando poi di scatto la mascella. Posò con delicatezza la fronte alla mia, baciandomi esausto. Pian piano il mio respiro tornò normale, sebbene il mio corpo fosse ancora terribilmente eccitato. Ma la mia testa era in fiamme, non avrei sopportato altro movimento e a quanto pare, anch'egli sembrava provare lo stesso. Si sdraiò al mio fianco, abbracciandomi di lato. Adagiò una guancia al mio seno sinistro, che utilizzò come cuscino. Accarezzavo i suoi capelli, stringendolo a me, quasi temessi che potesse scappare, abbandonarmi. Restammo così, muti nel nostro silenzio, parlando di noi.


 

Angolo autrice
Questa parte è stata un vero e proprio parto, l'avevo modificata mille volte.. ma alla fine ho lasciato la versione originale.
Spero sia stato di vostro gradimento, incrocio le dita ^^'
Mi raccomando, ditemi tutto ciò che pensate!
E grazie mille a chi ha cominciato a leggere questa storia, a chi l'ha aggiunta fra i preferiti o fra le seguite.
Pensavo che nessuno mi avrebbe più considerata lol
un mega abbraccio, spero di leggervi fra le recensioni :*

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