Quando vedrai solo roccia

di CrisBo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bilbo lo detesta ***
Capitolo 2: *** Neanche cinque minuti ***
Capitolo 3: *** Le buone idee fanno buone occasioni ***
Capitolo 4: *** Andiamo a vedere gli elfi ***
Capitolo 5: *** Quando vedrai solo roccia ***
Capitolo 6: *** Tutta la fortuna di questo mondo ***
Capitolo 7: *** Dalla padella... ***
Capitolo 8: *** Un grazie alle Aquile ***
Capitolo 9: *** Più dell'aria stessa ***
Capitolo 10: *** L'ultima buona dormita ***
Capitolo 11: *** Non uscire di senno ***
Capitolo 12: *** Non prendere in giro i ragni ***
Capitolo 13: *** In cella ***
Capitolo 14: *** La ballata del Giorno Antico ***
Capitolo 15: *** Un Re meno saggio ***
Capitolo 16: *** Non possiamo andare ***
Capitolo 17: *** Orchi e botti ***
Capitolo 18: *** Perdonami ***
Capitolo 19: *** Verso Esgaroth ***
Capitolo 20: *** I non benvenuti ***
Capitolo 21: *** Vi piacciono le scommesse? ***
Capitolo 22: *** La fortuna ce la creiamo ***
Capitolo 23: *** Il Vecchio Torchio ***
Capitolo 24: *** Riposo ***
Capitolo 25: *** La casa non è mura di pietra ***
Capitolo 26: *** Siete orgogliosi, ma leali ***
Capitolo 27: *** La domanda essenziale ***
Capitolo 28: *** Le parole salvano e annientano ***
Capitolo 29: *** Un buon auspicio per il Re degli antri ***
Capitolo 30: *** La nostra partenza ***
Capitolo 31: *** Un giorno come un altro ***
Capitolo 32: *** La malattia del Drago ***
Capitolo 33: *** Come finisce la storia? ***
Capitolo 34: *** Famiglia ***
Capitolo 35: *** Quello che vedi ***
Capitolo 36: *** C'è un Tesoro in ogni dove ***
Capitolo 37: *** Tradimento ***
Capitolo 38: *** Smettila di nasconderti ***
Capitolo 39: *** Solo tu ***
Capitolo 40: *** Un giorno ho conosciuto un nano ***
Capitolo 41: *** Ritrova ciò che hai perso ***
Capitolo 42: *** Du bekar! ***
Capitolo 43: *** L'elemento più importante ***
Capitolo 44: *** Quarantadue ***
Capitolo 45: *** Perdere o vincere? ***
Capitolo 46: *** Tutto si ferma ***
Capitolo 47: *** Chi è veramente morto? ***
Capitolo 48: *** Quando chiudi gli occhi ***
Capitolo 49: *** Svegliati ***



Capitolo 1
*** Bilbo lo detesta ***


Capitolo 1.
Bilbo lo detesta 




Il tavolo era imbandito di pietanze di ogni tipo.
Una varietà di legumi e ortaggi erano stati disposti sopra i piatti, s'affollavano i formaggi e le piante verdi del vecchio contadino del decumano ovest, colui che coltivava le migliori carote di Hobbivile (il più quotato tra le hobbittesse, perbacco!
Volavano i piatti e s'infrangevano nel fumo dell'erba pipa di Gandalf, spargendo i vapori di quell'odore per tutta la sala da pranzo. 
Bofur e Dwalin suonavano allegri, seguiti da Dori, i loro busti ondeggiavano a ritmo e con le braccia facevano saltare le stoviglie.
C'erano alcuni dei nani chiamati per la spedizione di Scudodiquercia, persino quelli che non discendevano dai Durin. 
La chiamata per la salvezza di Erebor e il suo tesoro era arrivata e loro avevano risposto; una squadriglia di nani volenterosi e leali, non per forza guerrieri, a giudicare dalla prestanza di alcuni di essi.
Ma ciò non toglieva l'onore e la lealtà di cui erano pregni, perchè nulla è più roccioso della fedeltà di un figlio di Aule. 
Era facile, per loro, donarsi a quell'ultimo atto di goliardia, bevendo boccali di birra e sorridendo a ritmo di una canzone improvvisata. 
Ballavano tutti, noncuranti dell'inamovibile rifiuto di festeggiare del signor Baggins.
Non c'era festa nel suo sguardo ma solo un'innata preoccupazione per tutta la sua mobilia così tenuta accuratamente per secoli dai suoi antenati di famiglia: ora le sue ceramiche stavano letteralmente volando per la sala da pranzo e la cosa non gli piaceva per niente. 
Per poco non gli saltò il cuore in gola quando Berit, una nana dai capelli intrecciati, si issò sul tavolo, intenta a fare strani gesti col proprio boccale di birra, innalzandolo per brindare alla loro buonasorte. 
Tra tutti i nani, l'unico che le andò dietro sul tavolo fu Bofur.  Saltò lì sopra insieme alla nana, muovendo le dita veloci sul suo flauto.
«Per favore, lì ci mangio tutti i giorni.»
Bilbo ci provò ad alzare la voce per farsi sentire ma l'unica risposta che ebbe fu un tonfo sordo per via dei boccali che venivano cozzati tra loro, facendo spargere la spuma di birra sul legno; l’odore si legò al profumino del cibo sul tavolo, confondendosi  nel  continuo fumare dello Stregone Grigio. 
E ridevano, ridevano tutti quanti.
«Sentito?  Lì ci mangia tutti i giorni.» Intervenne Dwalin con una risata rauca, sollevando una salsiccia e mozzandola a metà con un morso.
«Anche io mangio tutti i giorni, anche sei volte al giorno.» Disse Nori.
«Cosa? Il pesce è cotto sul fondo?» Disse Oin, piantando la sua tromba nel timpano. Non ci sentiva per niente, neanche con quel buffo aggeggio.
«Qualcuno mi può dire gentilmente dove trovo la teiera?» Intervenne Dori, ruotando su sè stesso. Sulla barba grigia e intrecciata c'erano i luccichii della birra appena bevuta. 
Era giusto dire che fu più quella rovesciata sulle loro barbe che nelle loro gole.
«Bombur da qua!» questa volta fu Fili a levare il piatto da davanti al naso di un nano molto grassoccio, lanciandolo verso Berit che lo colpì col proprio
boccale.
Il piatto cadde su quello di Balin, facendolo saltellare dietro le sue vecchie spalle. 
Bilbo continuava a far volteggiare lo sguardo stralunato su tutte le sue stoviglie, boccheggiando frasi sconclusionate.
I nani continuavano a lanciarsele senza ritegno e vide che anche alcuni suoi cibi da dispensa cominciavano a sparire dal tavolo; il salame, i peperoni, le carote, del formaggio addentato.
Volle alzare di più la voce ma scoprì ben presto che gli si era strozzata in gola.
«Kili, hai dell'insalata sulla testa.» Berit puntò un indice alla volta del giovane nano bruno, sogghignando.
«Cosa?»
«Edera regaleee! Kili non si lava e gli crescono gli ortaggi tra i capelli. Che testa insidiosa.» Cantilenò la nana sul tavolo, dando una spallata a Bofur - che fu una vera e propria spinta di affetto - infatti il nano cadde da un lato, rovinando sulla sedia vicino a Dwalin che gli imprecò addosso qualche maledizione in khuzdul. Cominciò una piccola rissa che coinvolse anche Gloin, intento a frustare Dori sulle chiappe per levarselo da davanti al naso.
Lui e il suo vino fruttato.
«Per favore..potete smetterla? Quel cucchiaio apparteneva a mio nonno, è un grande cim-» Ci provò di nuovo Bilbo.
«Kili io ti ammazzo!» Fili interruppe qualsiasi supplica di Bilbo, travolgendolo con la sua stazza, per lanciare addosso al fratello un grosso tocco di pane.
«Non è colpa mia, è risaputo che il biondo è femminile.»
«Avete visto il mio flauto?» Interruppe Bofur, voltandosi da tutte le parti.
«Prova a guardare nel  tuo se-» rimbeccò Fili, già adirato, prima che la sua frase venne spezzata da dei tonfi potenti alla porta di Bilbo.
E così la calma tornò sovrana in un mormorio sommesso e Bilbo sospirò di gran lunga rasserenato e inquieto insieme. Bussavano alla porta.
Di nuovo.
Era così semplice zittire questi buzzurri?  
Eppure, poco prima di ruotare il volto verso la porta d'ingresso si rese conto che tutte le sue stoviglie erano stato accuratamente impilate l'una sull'altra. Nessuna ammaccatura, come si erano divertiti a cantare fino a quel momento.
Il tavolo sembrava essere tornato alla normalità, se non fosse per alcune piedate di stivali fangosi sopra di esso.
Era proprio vero che i nani erano dei visitatori alquanto molesti, Gandalf s'era dimenticato di informarlo di quel piccolo particolare.
Anzi, diciamo che Gandalf si era dimenticato di informarlo su tante cose. 
Erano tredici nani.
Ben tredici nani, barbuti, grossi, rozzi, rumorosi e maldestri e avevano invaso casa sua con la loro presenza senza che fosse riuscito a fare niente per impedirlo.
E in quegli aggettivi affettuosi avrebbe inserito anche l'unica nana femmina della compagnia.
Berit.
Non era per niente dedito a ricevere visite femminili nella sua modesta casa sotto al Colle, ma conosceva alcune Hobbit della Contea. Ragazze di bocca buona, dai capelli ricci che lasciavano fragranze fiorite e l’odore di pane e sapone ad accompagnarle quando sorridevano al mercato o si fermavano a piantare ortaggi nei campi. Non eccellevano in bellezza - anche se molte vantavano un bellissimo visetto rosato - ma erano molto dolci e soprattutto alquanto normali, assolutamente perfette per dei giovani hobbit.
Ma Berit era quanto più lontana dal termine normale di quanto lui stesso provasse a immaginare. Non aveva mai visto nè sentito una donna, mezza o intera che fosse, così tanto rumorosa e bislacca. Era giovane, almeno così appariva e l'aspetto ingannava quel vulcano caratteriale che si trovava stretto in quel corpo nanico.
E poi c'erano gli altri dodici nani. Gloin, un nano rosso e nerboruto, non faceva che fargli vedere le foto di sua moglie. Bombur, il più grasso di tutti - l'aveva visto afferrare un tocco di formaggio con la bocca, neanche Bilbo sarebbe riuscito probabilmente - lanciato da suo fratello Bofur, un altro pezzo alquanto bizzarro con quel suo aspetto buffo e quel cappello di pelliccia.
Dori e quella sua strana delicata propensione a trovare  i retrogusti nei cibi; Nori che - Bilbo ne era sicuro fino al midollo -  gli avesse rubato un candelabro in metallo donatogli da uno zio lontano. E poi Ori, che era anche il preferito di Bilbo fin'ora, così beneducato se non fosse per quella melodia rigurgitale che gli aveva fatto vibrare il tavolo poco prima. Dwalin, tatuato e scontroso, aveva parlato solamente a borbottii, cosa che invece non faceva Bifur, con un pezzo d'ascia conficcato in testa e quel suo modo di parlare che.. non parlava, faceva versi e gesti cavernicoli. Sembravano insulti in lingue arcane. E poi c'era Oin che continuava a non sentire nulla di quello che Bilbo diceva, nemmeno con quel suo aggeggio a tromba piantato dentro il padiglione. E ultimi, ma non realmente ultimi c'erano Fili e Kili: sembravano i più giovani e con una certa vitalità in corpo che, di certo, in Balin non appariva. Lui era il più anziano dei nani lì presenti, con una folta barba bianca e il naso rosso come il pomodoro più maturo coltivato dal vecchio Gaffiere.
Gandalf non aveva bisogno di presentazioni.
Era uno stregone e come uno stregone che si rispetti era una figura ammantata di grigio e possente dentro quella stanza fatta di gente bassa, copriva completamente tutto l'angolo della sala da pranzo, costretto a tenersi ingobbito contro la parete e non faceva che fumare, ridere e fermarsi a guardarli con aria pensierosa e tacita. Parve illuminarsi quando sentì battere quei tonfi e fu il primo ad acciuffare Bilbo per il colletto per avvicinarsi all'uscio e aprire la porta rotonda . Davanti a questo vi trovò un nano austero ma dall'aspetto regale e sontuoso, dai lunghi capelli scuri e la barba dello stesso colore. Non vestiva come la maggior parte degli altri, le sue stoffe non erano grezze; si racchiudeva in scaglie di metallo e una pelliccia, affinata da un velluto trapuntato e scuro. Ma gli occhi erano chiari e brillavano di una potente determinazione, riuscendo a lasciare ammutolito lo hobbit.
Gli altri nani salutarono Thorin Scudodiquercia con rispetto e lo attesero intorno al tavolo, in silenzio.
La luce s'affievolì e cominciarono le discussioni per la partenza verso la Montagna Solitaria.
Smaug, il drago che li aveva portati alla rovina, non veniva avvistato da più di sessant’anni e la riconquista della loro terra era ormai prossima.  
Alcuni discendenti di Durin si erano tirati indietro e solo quel pugno di minatori e giocattolai si erano riuniti per riprendersi ciò che gli era stato portato via.

 

Bofur tossì e uscì da sotto al tavolo, rotolando da un lato per evitare che  il crollo del soffitto gli rovinasse addosso.
C'era caldo lì intorno e l'aria era velenosa e soffocante, alzando un fumo grigio che s'attaccava alla pelle.
Le fiamme stavano inghiottendo completamente la casa di Bard e in un angolo le loro figlie urlavano, terrorizzate. Bain non si vedeva da nessuna parte e Tauriel stava cercando di issare Kili dal tavolo, ancora moribondo. Non riusciva a vedere nulla che non fosse completamente ovattato, sentiva le urla della gente e il riverbero di un battito d'ali imponente.
Una fornace con le ali.
Era quello che aveva detto a Bilbo quella sera, davanti al tavolo, parlando del drago prima che lo hobbit svenisse ai piedi di tutti. Berit aveva riso, buttando in faccia al povero malcapitato della birra, per farlo riprendere. Bofur aveva riso fino a farsi venire le lacrime agli occhi e ora le lacrime scendevano per il fumo, per l'angoscia, per l'urlo disperato che lanciò Sigrid mentre stringeva sua sorella Tilda, prima che il pavimento crollasse.





NA: 
Ed eccomi qua con la mia primissima ff.
Innanzi tutto chiedo scusa per la intro ma non sono proprio in grado a scriverle ç_ç
Non avevo la minima idea di come impostare la mia storia e alla fine ho optato che partirà dal viaggio di Thorin (con sequenze lasciate un po' al caso) fino alla Battaglia finale ( e anche oltre - non temete ho un piano per tutto! ) il tutto spezzato daciò che, invece, sta avvenendo dopo l'arrivo di Smaug. Come avrete capito, è una rivisitazione “mia” di ciò che succede all’inizio del terzo film. Ovviamente non intendo offendere i personaggi di Tolkien e spero di non uscire fuori dalle caratterizzazioni che emergono dai film di PJ. E ho inserito una nana che conoscerete meglio grazie ai vari capitoli che inserirò ( spero almeno, non sono brava con queste cose! ). So che il "personaggio in più" è storia trita e ritrita, me ne rendo conto, ma è un pallino che ho in testa e proprio non ce la faccio a togliermelo :D mi piacciono le storie con nuovi personaggi. Non ho ancora idea di come si evolverà il tutto, mi sono presa molte libertà lo ammetto, probabilmente legherò molte cose del libro e del film insieme e alcune cose saranno inventate di sana pianta, giusto per romanzare la storia ancora di più eee niente, per ora la smetto... accetto ogni tipo di commento, sul serio, perciò recensite tutto ciò che vi piace e che non vi piace! Sicuramente sarò molto autocritica quindi mi farà schifo tutto ma spero che voi qualcosina ina ina di buono ci troverete.
Al prossimo capitolo :)
Piccolo appunto: sto modificando alcuni capitoli e correggendo alcune cose.

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Capitolo 2
*** Neanche cinque minuti ***


Capitolo 2.
Neanche cinque minuti

Il mezzodì faceva brillare le pianure erbose e i colli verdeggiavano imponenti sotto la luce del sole. Si sentiva l'odore, di quel verde, talmente spiccava, accompagnato dalle pietanze che gli hobbit lasciavano fiorire nei campi. Il rumore dei ruscelli si propagavano creando una buona freschezza tutt’intorno. I nani non erano abituati a quelle libertà di spazio, incapaci di trovare un equilibrio solido al di fuori dei luoghi coperti. Si erano persi più volte prima di trovare la casa di Bilbo e per raggiungere la Locanda del Drago Verde, a  Lungacque, si erano ritrovati a discutere con un hobbit grasso e ozioso davanti ai cancelli di una casetta fumante, chiedendo indicazioni. Quello non era propenso a voler spartire le sue conoscenze geografiche con loro e aveva guardato Bombur, convinto che si fosse sgraffignato i suoi funghi; Bifur, per pura cortesia, prese a lanciargli contro alcuni rametti rachitici e si era creato un po' di trambusto. Se non fosse stato per i giri di parole di Gandalf – bravissimo a far perdere il filo del discorso e a far ricadere la colpa altrove - sarebbero stati ancora lì a litigare con quel mezzuomo, invece che aspettare Bilbo nei pressi del sentiero che si diramava verso ovest, davanti ad un boschetto curato.
«Se è svenuto di nuovo? So di per certo che, in questi casi, è bene che il panico non incalzi o non gli permetterà di raggiungerci. Povero Bilbo.» Intervenne Berit, già impietosita dalle sue supposizioni sul conto di Bilbo, mentre lanciava una castagna a Kili, che la prese con una rapidità eccelsa. I nani non erano molto veloci ma come scattisti erano imbattibili, specialmente quelli più giovani. Ma anche quelli più anziani, in fondo. Fili lo sgomitò così forte che quello quasi smise di respirare per un paio di secondi. Bombur continuava a ciondolare dal suo pony e Dori era immerso in una conversazione naturalistica con Ori che, a quanto pareva, non ne poteva più; dovette ammettere che grazie a Dori sapeva distinguere una ghianda dalla gallama dovette convenire che non era proprio di suo interesse saperlo, in fondo.
 «..io ne punto cinquanta.» La voce di Bofur si sparse in mezzo ad un chiacchiericcio energico, sfoderando un bel sorriso che finiva in due fossette gioviali.
Berit gli sorrise e annuì, con aria complice.
«Quel presunto Scassinatore non verrà. Andiamocene.» Borbottò Dwalin, guardando torvo verso lo Stregone grigio, che restava fermo e impaziente puntando lo sguardo azzurro sul sentiero che s'apriva a sud-est. Sapeva bene che quella compagnia era divisa in due: chi dubitava delle capacità dello hobbit e chi, invece, sembrava fidarsi. Non amava quel particolare distacco ma Bilbo non gli rendeva facile il compito.
Era il primo critico di sé stesso.
«Verrà. C'è sangue Tuc in quel piccolo uomo, non dubitate delle mie parole.» Disse lo Stregone, risoluto.
Non lo avevano fatto la sera prima, nonostante si ritrovarono immersi in uno scambio fiorito di insulti per colpa della loro diffidenza. 
Bilbo Baggins era quello che si soleva dire un classico abitudinario. Non era dedito a battaglie nè tantomeno ad avventure, era un semplicissimo hobbit da salotto dai piedi grandi e pelosi, conscio della sua pochezza in qualsiasi ambito che non comprendesse andare al mercato e rifocillare lo stomaco; naturalmente anche oziare con la sua amata erba pipa, davanti alla porta di casa. La sera prima era stato più riluttante che mai a firmare il contratto che preveda la sua partecipazione a quel viaggio.
Thorin era rimasto impassibile davanti al suo continuo diniego, nonostante si sentisse sopraffatto da mille pensieri. Gandalf aveva donato a lui - Re sotto la Montagna -  la mappa e la chiave di Erebor e il viaggio che lo attendeva gli sembrava lungo e insidioso. I suoi compagni non erano grandi guerrieri ma avevano risposto all'appello e questo bastava a rinvigorirlo.
A crederci, sul serio, nonostante tutto.
Gli volò davanti un sacchetto di monete e si sentì Bofur ridacchiare quando vide un esserino infagottato correre a perdifiato lungo il sentiero, con in mano la pergamena. Era più lungo di lui, quel papiro.
«Aspettatemi!» Urlò lo hobbit, scarpagnando** lungo il sentierino che si dipanava. 
«Ehi, non è svenuto. Ma guarda un po’.» Rimbeccò Berit guardando un Nori sbuffante, sorridendo di grazia all'hobbit che, trafelato, li raggiungeva.
Sembrava del tutto sereno eppure per niente in pace con sé stesso; come suddiviso in due categorie contrastanti. Il sangue Tuc si mescolava ai saldi principi dei Baggins, probabilmente s'era arrovellato tutta la mattina se raggiungere o no i nani. Aveva prevalso il suo lato avventuroso, cosa di cui Gandalf non aveva dubitato neanche per un secondo.
Vedendolo correre a perdifiato per il colle alcuni hobbit pensavano che fosse impazzito. 
Forse troppa erba pipa di Pianilungone.
Thorin fece cenno loro di proseguire e presero Bilbo di peso per posarlo su un pony, contro ogni suo volontà. Arrivò anche l'ultimo sacchetto di monete a Gandalf, che sorrideva soddisfatto. Bilbo non sapeva se esserne contento o no quando sentì che avevano scommesso sulla sua venuta.Venne sovrastato dalla presenza di altri due pony, rispettivamente su entrambi i lati e si ritrovò due nani che lo guardavano con un sorriso alquanto inquietante. Un nano col cappello e dai baffi lunghi e una nana dai capelli arruffati, racchiusi in una treccia, scuri a differenza dei suoi occhi: d'un bel grigio pietra.
«Ci stavamo chiedendo, signor Scassinatore, se prediligi una burrascosa tempesta dentro la tua umile casa o una bella giornata soleggiata ai pendii d'una montagna imponente.» Cominciò Bofur, restando a guardarlo.
Bilbo era rimasto senza parole.
Quel pony aveva preso ad agitare la criniera, gli veniva da starnutire e la pancia gli brontolava visto che aveva mancato la sua sapiente prima colazione. 
I nani lì intorno non facevano che parlottare a bassa voce e solo Thorin troneggiava la fila senza dire una parola. Gandalf sorrideva, questo solo gli permise di non irritarsi inizialmente per quella domanda, per quanto lo ritenesse responsabile di tutto quel trambusto nella sua testa riusciva a rimanere piuttosto rilassato vicino alla sua presenza.
«Questa domanda è alquanto fuorviante, mastro Nan-»
«Non lo è. È fuorviante solo nel caso ti trovassi perduto in due risposte differenti e questo, caro mezzuomo, è alquanto disdicevole per un piccolo hobbit che non predilige i cambiamenti.» Rimbeccò Berit con un tono volutamente altezzoso. L'aspetto ingannava molto quei suoi modi di fare, non riusciva a mostrarsi altolocata neanche per errore.
«Ma di che cosa state parlando?» Bilbo domandò alla fine di uno starnuto. Si mise a cercare un fazzoletto nelle tasche e già mostrava panico da tutti i pori.
Ed erano in viaggio neanche da cinque minuti.
«Le risposte sono semplici, non bisogna soffermarsi sui se e sui ma. Basta capire cosa si vuole davvero.» Intervenne Bofur.
«Ma..che c-c-c..?» un altro starnuto e gli occhi che subito gli lacrimarono. «Oh no, no no no. No.»
«No? Non è una risposta.» Borbottò Berit, alquanto delusa.
«No, ho dimenticato il mio fazzoletto. Bisogna tornare indietro.»
«Ha detto che s'è fatto male al di dietro?» interruppe Oin, voltandosi verso gli altri. Anche lui teneva in mano un sacchetto di monete sonanti.
«Tieni. Prendi questo.» Bofur si strappò dalla tasca un pezzo di stoffa sozzo e dall'aspetto consunto e lo lanciò alla volta dello hobbit. Bilbo lo afferrò tra le dita ma avrebbe preferito non farlo. Gli si dipinse uno sguardo disgustato: ma in quella compagnia ce n'era uno normale?
«Ehi, Bofur: cosa ci hai fatto con quello?» Kili avanzò facendo trottare il pony. Guardava il fazzoletto nelle mani di Bilbo con un’aria sorniona.
«Oh, niente di strano. L’ho usato per quel gioco che ho inventato. Si chiama: acchiappa il fango.»
«Dissento. Acchiappa il fango l’ho inventato io.» Intervenne Berit, tentando uno scappellotto alla nuca di Bofur. Quello si mise a sogghignare le schiaffeggiò una mano con un altro fazzoletto di tal fattura, tirato fuori da chissà dove.
«Veramente quello è: spolpa il pompelmo. Kili lo ha provato su Ori due lune fa.» Fili s’era accostato a Berit e sorrideva come il suo fratello minore.
Bilbo si sentiva leggermente schiacciato da tutti questi nani, non aveva idea di dove mettere quel coso che gli aveva dato Bofur e non riusciva a seguire i loro discorsi. Di solito amava i giochi, specie quelli che prevedevano il "lanciare piccoli oggetti" ma non era proprio il momento opportuno per pensarci. Il cavallo nitriva e gli sventolava la criniera sotto al naso. A furia di muoverlo per il fastidio sembrava un coniglio. 
«Non l’ha provato su di me. Io l’ho provato su di lui.» Ori allungò il collo per osservarli da davanti. La sua voce non era molto convincente e tutti si misero a guardarlo con aria un po' scettica. Dori, affianco a lui, non si era neanche accorto che mentre parlava della famiglia delle Fagacea, suo fratello aveva già smesso di ascoltarlo.
 «Un dì Ori discese e si prese uno spavento...» Cominciò Bofur, sorridendo pieno.
«…ché Kili lo colpì al petto veloce come il vento.» Finì Berit.
Due menti in uno, come al solito. Bilbo non aveva più espressioni facciali per delineare il disturbo emotivo di quella conversazione.
«Per tutte le trippe e le barbe dei nani, volete fare silenzio?» Dwalin borbottò al gruppo dietro e intervenne Balin con un
«suvvia, sono ragazzi» che venne preso con un grugnito secco da parte del nano di Durin. Quel viaggio stava cominciando molto male. Bilbo era abituato ad un altro tipo di socialità, nella Contea.
Come poteva proprio pensare di -
Venne distratto da una corrente d’aria che creò Bombur: il nano si ritrovò a saettare in avanti perché il pony s’era imbizzarrito. Bofur subito fece uno scatto con le redini per andarlo a recuperare, trottando dietro di lui a discreta velocità. 
«Vai così Bombur. Coorriii finchè sei in tempo! Corrriiiiiii!» Gli urlò dietro Berit, portandosi una mano alle labbra. Fili le diede manforte e presero a ridere energicamente, facendo unire Kili al quadretto. Anche Ori e Nori non riuscirono a trattenersi. 
Un altro sacchetto di soldi, partito da un punto imprecisato della Compagnia, volò in testa a Bofur che stava trattenendo il pony del fratello per la coda.
Per poco non ruzzolarono giù dalla loro cavalcatura per le risate, quelli dietro. Anche Gandalf tossiva e rideva, spargendo fumi d’erba pipa  dappertutto.
Bilbo constatò una cosa veramente preoccupante: quelli avevano la propensione a ridere delle disgrazie altrui,non c’era da stare tranquilli.
 
Il pavimento cadde e si ritrovarono in acqua tutti quanti, piombando nell'oscurità con un tonfo. Bofur non riusciva a vedere i suoi compagni né tantomeno le figlie di Bard. Salivano ancora le grida della gente e li sentiva nella testa nonostante l'acqua attutisse il dolore. Annaspò fino alla superficie con fatica, aggrappandosi al bordo d'una barca abbandonata con una pesantezza disumana. Ci si arrampicò fino a rotolare dentro, scontrandosi con delle botti legnose che rotolarono via.
Non si fermò a respirare, sputava acqua ed era completamente fradicio, cosa che gli rallentava ogni mossa. Arrancò fino al bordo e s'affaccio verso la città di Esgaroth e il fiato gli si spezzò.
Non c'era più niente, le palafitte bruciavano e le persone cadevano dalle loro abitazioni, si buttavano sulle imbarcazioni e riempivano l'aria di urla. Smaug cadeva su di loro con ferocia, aprendo le fauci brucianti e sbattendo le ali che rimbombavano in un turbine, provocando uragani d’urto. 
Tremava il suolo, l'acqua e il cuore al suo passaggio. Si mise a cercare i suoi amici, ricacciando indietro le lacrime, urlando i loro nomi con tutta la voce che aveva in gola. Intravide le due figlie di Bard sui pioli di un ponte rimasto integro, piangenti e tremanti. Accanto a loro Fili che issava Kili di peso dall'acqua.
Non vedeva l'elfa silvana dai capelli rossi e la cercò con lo sguardo, cercando di richiamare l'attenzione dei ragazzi. Tutto scorreva a rallentatore e il solo suono che sentiva era il crepitio delle fiame. La Montagna Solitaria era annebbiata dal fumo e remò con tutte le forze che aveva, evitando di pensare.


 



* galla = è una malformazione batterica che cresce sulle piante, viene scambiata per un frutto "strano" alle volte.
** scarpagnare= correre a saltelli, un tipo di corsa che di solito si pratica su un dislivello. È un termine ideato da Stefano Benni nel suo libro "Saltatempo" , gliel'ho brutalmente rubato perchè lo trovo bellissimo.

   

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Capitolo 3
*** Le buone idee fanno buone occasioni ***


Capitolo 3.
Le buone idee fanno buone occasioni




Erano stati giorni di immenso cammino tra le lande.
I viveri stavano scarseggiando e Bilbo non faceva che pensare a quanto gli mancasse casa propria, un pensiero che tornava spesso. La convivenza con quei nani stava diventando qualcosa di insopportabile per la sua piccola mole e la freddezza che Thorin gli riservava non aiutava per nulla. Gli altri nani non lo trattavano come un estraneo, almeno.
Berit e Bofur non facevano che tormentarlo con domande senza senso e Bombur aveva la gentilezza di preparargli dei buonissimi stufati caldi, intorno al fuoco.
Balin non era da meno, tentava un approccio meno indiretto con Bilbo e ciò lo rasserenava quel tanto che bastava per non farlo tornare a casa di corsa. Gli mancava parecchio, il suo piccolo buco hobbit. Il calore del camino e le sue due sapienti colazioni. Persino gli mancava parlottare male dei Sackville-Baggins quando li incrociava nei sentieri, al mercato e ancor di più gli mancava l'aria fresca della Contea. Quella che respirava adesso non era fresca: era gelida.
I rumori della foresta non aiutavano la sua mente affollata di brutti pensieri e spesso si ritrovava a starsene in silenzio, sia mentre viaggiavano che nei momenti di ristoro, a osservare i suoi Compagni con attenzione. 
Aveva scoperto in Fili e Kili un certo calore fraterno che li aveva resi subito simpatici ai suoi occhi. Erano molto legati ed era una cosa che Bilbo gli invidiava.
Lui non aveva mai avuto alcun consanguineo con cui parlare così apertamente (togliendo i suoi adorati genitori), probabilmente era qualcosa che non avrebbe mai capito sul serio. Ma Fili e Kili non mancavano di renderlo partecipe dei loro pensieri, nonostante fossero avvezzi a scherzi quanto quegli altri due fuori di testa. Fu per colpa della loro testardaggine che si ritrovò in quel circolo vizioso coi Troll. Non stava cominciando proprio bene quest'avventura, gli mancava casa. Un pensiero che tornava spesso
«Oh, non mangiateli. I nani sono disgustosi. Hanno la pelle dura, le ossa scheggiate; voi meritate di meglio.» Si ritrovò a parlare così Bilbo dei loro amici. Alcuni erano chiusi in sacchi stretti, lasciati a terra vicino alla legna e gli altri erano legati allo spiedo, fatti letteralmente girare sul fuoco. 
Bofur, Ori, Nori e Bifur erano gli sfortunati rosolati. 
Erano stati fatti prigionieri da tre Troll di Montagna: Berto, Maso e Guglielmo, i loro nomi li ripetavano spesso come molte altre cosette poco o più interessanti e Bilbo si prese la briga di ascoltarli il più possibile, pronto a scattare per qualche passo falso. 
Erano grossi, orrendi e puzzolenti esseri stupidi che avevano rubato loro due pony e questo aveva dato inizio a quella spiacevole situazione. Bilbo era riuscito, senza alcuna sorpresa da parte sua, a venire catturato da uno dei tre poco prima che gli altri nani incombessero su di loro con le armi sguainate. C’era stata una battaglia rumorosa e assordante, con lame e martelli che fendevano sui loro corpi massicci. Ma nulla era valso e nessuno dei tre cadde. Erano stupidi ma tremendamente resistenti, quei tre.
«Ha detto che siamo meglio nudi?» biascicò Oin, ruotando il viso alla ricerca di quello dei suoi amici.
«Perchè ci fai questo, Bilbo?» Lagnò Ori, annaspando per il calore immenso del fuoco. Avevano ormai la pelle madida di sudore e gli occhi bruciavano all'inverosimile.
«Sarai tu disgustoso, razza di giardinaio.» Grugnì Dwalin, sputando via dei rami di terra dalla bocca, ringhiando parole in nanesco tra i denti alla volta di Bilbo.
Erano tutti esausti, avevano combattuto fino a che Bilbo non era stato catturato per la seconda volta. I Troll avevano preso la preda all'amo e li avevano ricattati, finendo col legarli tutti quanti senza che potessero controbattere. Bilbo non se lo aspettava, a dirla tutta.
Erano molto scettici sulla sua presenza in quella Compagnia, specialmente il Re sotto la Montagna. Gli erano passati diversi tormentosi pensieri quando lo avevano preso con gambe e braccia, pronti a strappargliele via come ali di mosca.
Ora mi lasceranno qui a morire…un pensiero in meno per loro, chi potrebbe dargli mai torto? Morirò come una piccola foglia strappata dal suo ramo, spezzato come un legnetto, lontano dal suo bel lettuccio caldo...
Ma smise ben presto con la melodrammaticità dei suoi pensieri quando vide Thorin gettare per primo l’arma a terra, seguito da tutti gli altri, sorprendendo l’hobbit per quella lealtà così improvvisa che gli dimostravano: un nano poteva essere molto cocciuto e diffidente ma era leale fino all'ultimo osso del mignolo
Ci restò bene
, per quanto in quella situazione ci si potesse sentire bene e la sua mente era riuscita a elaborare il piano più semplice e banale del mondo.
Prendere tempo. E così aveva cominciato a insultare i suoi amici, una volta che furono tutti stretti e legati. Quelli sullo spiedo erano alquanto impazienti e irritati, se non avessero avuto la pellaccia dura - com'era solito nei nani -  sicuramente avrebbero già lagnato ustioni su tutto il corpo. 
«Ma cosa stai blaterando, moscerino? Questi nani me li mangio in un sol boccone. Crudi e croccanti.» Berto strinse Bombur, che teneva tra le grinfie, con una stretta fin troppo ferrea per quel povero nano cicciotto. Quello era diventato più rosso della sua stessa barba intrecciata, cercando di guardare verso il fratello con sguardo allarmato.
«Non temere Bombur, ci penso io a salvarti.» Incalzò Bofur, divincolandosi dalla stretta dello spiedo. Non riuscì ad allentare le corde neanche un po'. Non aveva il suo cappello in testa e i capelli bruni penzolavano via dalle trecce. 
«Qui nessuno salverà nessuno. Presto vi ritroverete al caldo dentro la mia pancia.» E Guglielmo tirò indietro la testa, aprì le fauci e la gola grattò una risata malvagia che risuonò per tutta la foresta. La sua pancia grassa ballonzolava davanti a tutti quei movimenti, faceva venire il voltastomaco.
Pensa Bilbo, pensa ancora. Ci sarà qualcosa che puoi fare. Pensa. Pensa.
«Io non lo farei, se fossi in te. Quel nano che tieni in braccio..ha le piattole. È molto malato.» Incalzò lo hobbit. Bombur stava mugolando qualcosa, tra le mani del troll e Kili e Fili per poco non saltarono fuori dai loro sacchi.
«Cosa? Ehi. Avrai tu le piattole, ma senti un po' questo. Pensavamo fossi una persona buona!» Esclamò Kili tutto contrito.
«Ma cosa ti abbiamo fatto?» Piagnucolò Bofur sullo spiedo che continuava a roteare sul fuoco danzante. Spostò lo sguardo da Bombur ai Nani sdraiati a terra, continuando a divincolarsi. Tutto quel caldo stava cominciando a farli soffocare e tossire.
Berit era distesa dentro un sacco, vicino a Kili e a Balin. Guardava nella direzione dello spiedo con aria allarmata. Il cuore le batteva come impazzito e non faceva altro che pensare a piani del tutto privi di consistenza per ribaltare a loro favore quella situazione. 
Rotolare fino al fuoco e spegnerlo..sputando? 
Tentare di usare Dwalin come trampolo e lanciarmi di testa sulla pancia di quell’ammasso di grasso?
Fare il morto?

No, quello funzionava solo con gli orsi.
Non riusciva a capire dove volesse arrivare Bilbo con quelle offese così colorite, era ovvio che nessuno di loro si sarebbe salvato dall'essere la cena per quei tre bitorzoluti ma allora perchè continuava? Si ritrovò a fissare Thorin cercando nel suo volto qualcosa che non fosse sgomento e rabbia ma era proprio ciò che lesse quando incrociò il suo sguardo e si sentì sprofondare in uno sconforto violento. Fili e Kili accanto a lei si dimenavano come vermicelli dentro il sacco e quelli sul fuoco continuavano a tossire. 
«...perchè appunto nelle stagioni più calde, questi parassiti entrano sotto la pelle e rimangono invisibili agli occhi, cosa che rende il povero disgraziato una preda del tutto ignara ma dentro...il corpo brulicano e infatti creano proprio vere e numerose comunità, perchè sono anche disposte di intelligenza propria e..» Bilbo incalzava con discorsi su parassiti e piattole e i tre Troll sembravano davvero presi da quelle descrizioni così intense. Berit riuscì a capire le intenzioni di Bilbo giusto un secondo prima che lui cominciasse a descrivere la forma dei parassiti e la loro grandezza. 
Dette quasi una testata a Kili dopo il suo ennesimo lamento, tentando di rotolare ai piedi di Bilbo. Era l'unico in piedi quindi non gli fu difficile piantare gli occhi contro il suo mento glabro. Allargò lo sguardo e poi lo puntò sui tre Troll vicino al fuoco.
«Proprio così. Questo mezzuomo ha ragione. Siamo molto malati, una volta un mannaro ci ha assaggiati e non avete idea. Non respirava più. Dovevate sentire che puzza: fuochi d'artificio dal deretano e poi..puf. A terra. Raggrinzito quanto una verruca, morto stecchito. Era ricoperto di vermi, uno spettacolo tremendo.»
Tutti rimasero attoniti dal fatto che fu lei, ora, a ricalcare quell'assurda storia e Bilbo ricambiò il suo sguardo con un sollievo che lo fece addirittura sorridere.
Poi tornò sui Troll e si mise ad annuire, con un vigore più intenso. 
«...Ed era anche diventato verde.»
Fu allora che Thorin capì quello che capì qualche secondo prima Berit e si ritrovò a spintonare gli altri nani con il fianco fino a comunicare loro con il solo sguardo. Fili e Kili furono i primi a intuire e così seguiti da Dwalin e Balin. Thorin non disse una parola, gettò su Bilbo uno sguardo diverso e si sentì rinvigorito da una forza nuova quando i suoi compagni stettero al gioco dello hobbit. 
«Brutte malattie genetiche. Nessuno si salva.» Incalzò Kili.
«Appena ci toccano provochiamo allergie che durano per anni. Bitorzoli così grossi che a stento si vede la faccia.» Proseguì Fili, fiancheggiando il fratello.
«E parassiti enormi, viscidi, che scoppiano sotto la pelle e si nutrono del nostro sangue!» Dori e Bofur si ritrovarono a parlare dei loro parassiti interni con grandissima enfasi, avrebbero addirittura gesticolato se avessero avuto le mani libere. Dori, dalla descrizione dettagliata, stava facendo schifare il povero Ori che non riusciva proprio a descrivere sapientemente alcun essere schifoso, sperava che sarebbero bastati gli altri. 
I tre Troll si scambiarono delle occhiate spaventate e buttarono a terra Bombur con aria indignata.  Quello rotolò come un bruco nel bozzolo, scontrandosi contro Gloin che faceva versi disumani: non si capiva cosa stesse imitando, ma lo stava imitando bene
Finalmente Bilbo riuscì a tirare un sospiro di sollievo e tornò a guardare i Nani che ora lo stavano fissando con un sorriso riconoscente. Berit stava per rotolare alla volta dello spiedo - dimenticando la pericolosità di un gesto tanto avventato - ma si bloccò ben presto perchè Bilbo si era chinato verso di lei, continuando a lanciare occhiate ai tre Troll. 

«Questa è tutta colpa tua, che vuoi mangiare qualsiasi cosa ti capiti a tiro.» Incalzò uno dei troll, tirando un pugno ad uno dei fratelli.
«Sei tu il mentecatto qui.» Bofonchiò una voce dal nulla e Berto si girò di scatto verso Maso. Era furioso a dir poco.
Intanto Bilbo si liberò dai legamenti e tentava di fare lo stesso con tutti i suoi compagni, stando ben attento a ciò che intravide dentro la fitta vegetazione intorno a loro. Era una vera fortuna che quei tre fossero suscettibili alle cose "schifose" che destavano disgusto in tutti gli esseri; quando si tratta di cibo tutti si vogliono sempre trattare bene e come dar loro torto, in fondo.

«Cos'hai detto? Ripetilo, razza di ingrato.» Incalzò di nuovo Berto. 
«Cosa? Io non ho parlato. È stato sicuro Guglielmo.» Disse Maso, voltandosi verso l'altro Troll.
«Sei pure diventato sordo? Siamo messi proprio bene allora.» La voce di nuovo arrivò dal nulla ma Berto si voltò su Guglielmo. Gli occhi fuori dalle orbite e i pugni serrati in due morse talmente strette da indurire gli arti.
«Che cosa hai detto?»
«Io non ho detto niente, cosa vuoi da me? Sarà stato quel buono a nulla di Maso.» Disse Guglielmo, spingendo Maso con una manata possente.
«Hai sentito bene, rincitrullito.» Quella fu l'ultima goccia. I tre presero a picchiarsi selvaggiamente, affondando pugni e schiaffi potenti, tanto da rotolare a terra e dimenticarsi del tutto dei nani abbandonati alle loro sorti. Fu allora che Gandalf balzò allo scoperto, picchiò col bastone sul masso su cui era salito e quello si frantumò perfettamente a metà, scivolando via e liberando la luce albeggiante che era stata ostruita dalla massa rocciosa.
I raggi del primo sole del mattino, per quanto fossero un sollievo per tutti, non lo erano per i tre Troll. Cominciarono a urlare pieni di sgomento e angoscia mentre la loro pelle si trasformava, diventando dura e grigia; in pochi secondi divennero di pietra, bloccati nelle più doloranti espressioni che potessero avere. 
I nani si sciolsero dagli ultimi legacci e sospirarono di pura gioia quando videro lo spettacolo. Diciamo pure che se lo godettero appieno. Tutti festeggiarono l'arrivo di Gandalf e più di tutti Bilbo, ritrovando finalmente una sicurezza nuova. Lo Stregone era propenso ad allontanarsi dal gruppo e tornare, non era una cosa assai piacevole ma almeno ricompariva nei momenti più opportuni. Era stato proprio lui ad aizzarli gli uni contro gli altri, aiutato da quell'idea improvvisata di Bilbo dopo che i tre Troll avevano  - erroneamente per loro - fatto sapere che la luce del giorno li avrebbe trasformati in pietra.
Berit, intanto, liberandosi dal sacco con un ultimo calcio s'era precipitata verso Bofur col suo cappello in mano, glielo aveva infilato in testa e lo stava obbligando a ballare allegramente davanti ai tre massi pietrificati, canticchiando con gioia. Fili e Kili li raggiunsero dopo pochi secondi, esultando con aria vittoriosa. Anche Ori si ritrovò immerso in quel momento felice, in mezzo a pacche e sbuffi affettuosi. 
«Ma si può che quei quattro ballano sempre?» Thorin si sciolse dal suo sacco e recuperò le sue armi, cosa che fecero anche gli altri. Guardò Bilbo con un rapido cenno di gratitudine e quello ricambiò lo stesso sguardo. Forse non sarebbe stato un viaggio così tanto malvagio sapendo che erano pronti ad aiutarsi gli uni con gli altri, anche se con riflessi più combattivi che ingegnosi. Non si dissero niente, si voltarono a guardare Gandalf che li osservava con un pacato sorriso sul volto.
«Sei tornato.» Disse Thorin, ripiegando il capo.
«Ehi, ma qui c'è un sacco di cibo.» I loro discorsi furono interrotti da Bombur, che si incaponì verso qualcosa. Tutti lo seguirono poco dopo, riprendendo armi e pony. Non c'era solo cibo, quando trovarono il nascondiglio dei Troll. C'era un tesoro e qualcosa di molto utile.


Ori si stava riempiendo le tasche di sassi e Bilbo parlava con Gandalf.
Lo Stregone gli stava consegnando una spada dalla misura piuttosto ridotta, ottima per un piccolo uomo. Thorin, Dwalin e Balin erano immersi in una conversazione organizzativa e Nori continuava ad andare avanti e indietro dalla grotta, tintinnando ad ogni passo. Bofur e Berit erano immersi in uno stato contemplativo di un fungo dall’aria molto malconcia. Piegati sulle ginocchia, s’erano estraniati dal resto del gruppo. Solo Fili, mentre il fratello gli parlava, lanciava loro occhiate indiscrete alle loro spalle.
«Io dico che vedi lucertole con le ali d’alabastro.» Ruppe quel silenzio Berit, guardando di sbieco l’amico. Il nano col cappello storse il naso arrossato e la guardò con aria pensierosa. Non c'era stato modo di covare la loro passione per le sfide da quando avevano scommesso su Bilbo e la cosa sembrava mancargli parecchio. Non tutti i nani erano soliti sprecare denaro per delle scommesse, i più tirchi si vedevano bene dal non immergersi in queste situazioni, ma d'altronde ogni scommessa era ben conscia e non lasciava spazio ad interpretazioni: i nani puntavano denaro sulla propria parola per la sicurezza con cui rimanevano nelle proprie convinzioni, era un compito assai arduo districare un figlio di Aule da ciò di cui erano sicuri. Molto testardi i nani, erano una cosa che gli Umani e gli Elfi avevano ben appurato.
«Troppo comuni. Pensa più a fondo: farfalle d’orate con stivali in ferro.»
«Sì certo, che entrano in una Locanda e ordinano una pinta. Anzi: due pinte!» Berit indicò il numero due con le dita e Bofur sorrise. Subito le fossette gli comparvero ai lati delle guance. Berit rimase a guardagliele per un po’ e si ritrovò a sorridere di rimando. Anche a lei comparivano, a dir la verità, solo che non lo sapeva.
«Ma il locandiere ha la testa a forma di martello con gli spuntoni alle estremità. E parla con la voce di Ori.» Continuò Bofur.
«E ha una moglie Locandiera che in realtà è un arazzo, e ha i capelli di Gloin.»
«Sì ma la Locandiera deve avere la barba.» Incalzò il nano, alzando le sopracciglia.
«Non ha la barba, è un arazzo. La barba ce l’ha la figlia: una nana che al posto delle mani ha due fornaci. Una di quelle che dà carezze molto calorose.» Berit ridacchiò e Bofur lo fece di rimando. Fili dietro di loro continuava a sbirciare e dai movimenti delle loro labbra non riusciva a capire nulla. La cosa sembrava irrigidirlo e Kili, lesto come una faina, non ci mise molto a notarlo, gettando l’attenzione sui due nani che il fratello stava guardando. Non disse nulla, ma cercò di destare la sua attenzione stringendogli il braccio, tentando di tirarlo verso la postazione di Thorin.
«..se mai dovessi sposarmi vorrei proprio un arazzo come moglie.» Disse Bofur con risolutezza.
«Ottima scelta. Che ti prepari il maiale salato, però!»
«Oh per la barba bianca di Durin, assolutamente.»
«In inverno non devi preoccuparti neanche del fuoco, viste le mani a fornace, fai davvero un grosso affare.»
Dopo quell’ultima constatazione di Berit l’altro nano si decise finalmente a prendere il fungo nascosto dal cespuglio e se lo mise nella scarsella di cuoio al fianco. Subito puntò gli occhi sull’amica e sorrise pienamente.
«Allora è andata. Se vedo l’arazzo sono sessanta monete.» 
Berit non fece in tempo a rispondere perché venne preceduta da Thorin che disse loro di riprendere il cammino in tutta fretta, già avanzando lungo il sentiero, tra gli alberi. Non si erano resi conto che erano rimasti almeno dieci minuti buoni a fare congetture inusuali sulla presunta assunzione di un fungo marcito, provando a immaginarne gli effetti. Come al solito ne era uscita una conversazione alquanto stramba.
La nana, prima di issarsi, tese il volto verso Bofur e quello trattenne il respiro per un tempo che gli parve infinito. Non era mai pronto ad una troppa vicinanza con Berit, anche se spesso si erano ritrovati in situazioni piuttosto ambigue o imbarazzanti. Lei, poi, non sembrava trasmettere lo stesso disagio e questo lo rendeva ancora più imbarazzato. 
«Non devi scommettere contro di me, io vinco sempre.» Sussurrò al suo orecchio prima di ritrarsi con un sorriso buffo e del tutto smaliziato, correndo dietro a Bilbo e Gandalf. Fili, per fortuna, era già scattato dietro allo zio col fratello e non vide Bofur diventare rosso quanto una lama incandescente.
Il drago non faceva che volare sulle loro teste e soffiare fiamme sulle poche case rimaste ancora in piedi. Era del tutto inutile sfuggirgli, Bofur lo sapeva. Tauriel era ricomparsa poco dopo con una barca, obbligandoli a salire. Lanciò letteralmente i nani dentro, tranne Kili, che maneggiò con cura, e aspettò che salissero anche le ragazze di Bard. Del loro fratello non c'erano tracce e la cosa stava innervosendo tutti. Ma poi Bofur lo vide, sulla torre e con l'arco proteso in direzione di Smaug.
Bard
 era in piedi davanti ad una lunga freccia nera, tenuta contro la spalla del figlio a far da mira verso la corazza smussata del drago. Smaug era a lui che si rivolgeva con quella voce pesante, arrugginita dal ferro, dal fuoco. Faceva tremare le ossa e innalzava una paura scomposta nelle menti di tutti quanti.
«Ma che cosa sta cercando di fare?..Morirà.» Tauriel trattenne lo sguardo verso la torre e le due figlie di Bard, abbracciate, non facevano che urlare, cercando di richiamare l’attenzione del padre. Fili non pensava a nient'altro, invece. Tratteneva le mani su quelle di Kili e lo guardava, controllando la sua respirazione, la ferita, i suoi tremori. Bofur si mise dietro le ragazzine e cercò di posare loro una mano sulle spalle, trattenendole al riparo sulla barca. E poi chiuse gli occhi. 
Aveva ripensato a quanto le piacesse ballare davanti alle sue vittorie, avrebbe cantato di quelle gesta. 
Lo avrebbe fatto. Eccome se lo avrebbe fatto se quella calamità fosse stata finalmente sterminata.



NA. 
Due capitoli in una botta sola perchè sono quelli che mi sono piaciuti di meno! Ho seguito le vicende che conosciamo tutti e ho cercato di far fiorire qualcosa di più, specialmente su Berit. Ma per lei non è ancora il momento perciò rimango cauta.. anche perchè prevedo molti capitoli, ahimèèè, in cosa mi sono ficcata! xD Comunque, se non s'era capito, Berit e Bofur saranno un po' i protagonisti per eccellenza, insieme a quell'adorabile hobbit di Bilbo. Ma cercherò di dare a tutti, o comunque quasi tutti, un loro spazio. Bombur specialmente, un nano che secondo me è fortissimo e meraviglioso *_* E niente, per chiunque sia arrivato fin qui: GRAZIE. So che sono capitoli luuunghi e noiosi... purtroppo non riesco a scrivere di meno ç_ç

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Capitolo 4
*** Andiamo a vedere gli elfi ***


Capitolo 4.
Andiamo a vedere gli Elfi




Quanto tempo era passato da che non vedevano tutto quel cibo?
Troppo. Decisamente troppo.
Mancava la carne e c'erano fin troppi cibi salutari e verdi nei loro piatti raffinati ma, in quel momento, quelle mancanze passaron in secondo piano.
Quando avevano incontrato Elrond, alla casa degli elfi, Thorin s'era opposto energicamente. Odiava chiedere aiuto ad una razza così superficiale e altezzosa, coloro che avevano rifiutato di aiutarlo nei momenti più bisognosi per la salvezza di Erebor. Gandalf non ammise repliche e Thorin, suo malgrado, aveva dovuto accettare.
I suoi compagni avevano bisogno di riprendere le forze, di mangiare e..lavarsi.  Assolutamente quella era una delle priorità assolute.  Ed ora erano lì, tra le musiche degli elfi e il cibo, già meno provati dopo che avevano corso sulla Grande Via Est per sfuggire ad un agguato di orchi e mannari. Avevano imboccato per pura fortuna un passaggio nascosto che li aveva portati direttamente davanti all’Ultima Casa Accogliente. Che, forse, fortuna non lo era come d'altronde poteva trattarsi di una coincidenza; Gandalf aveva già proposto di fermarsi a Gran Burrone e - guarda caso - erano proprio a Gran Burrone. Che Thorin lo volesse oppure no avevano bisogno di rifocillarsi e Elrond era stato magnanimo nei loro confronti, non una cosa da poco.
Balin, Gandalf, Bilbo e Thorin stavano parlando proprio con l'Elfo. Il Signore di gran Burrone mostrava interesse per alcune spade recuperate dal bottino dei Troll di Montagna. Spade antiche, forgiate dai vecchi Elfi dell’ovest; Orcrist la Fendiorchi e Glamdring la BattinemiciDiscorsi sol per loro, al di fuori di ciò che stava succedendo nei bordi del tavolo vicino, probabilmente Bilbo non ci pensò ma era stata una buona fortuna per lui che fosse posto vicino a Balin, era tranquillo e gli piaceva chiacchierare con lui. Gli altri, invece, non avevano abbandonato la loro ingordigia. 
Kili stava occhieggiando l'elfa musicante e Dwalin e Bofur non si fecero mancare degli sguardi allusivi. Kili se ne accorse dopo un occhiolino di troppo - che l'Elfa non ricambiò - prima di notare che Dwalin lo stava fissando senza alcuna espressione in volto. Anche Berit era intenta in quell'azione con aria divertita mentre mangiava, stranamente in silenzio. 
«Guardate che non mi piacciono.» Kili s'intrufolò nel discorso visto tutti quegli occhi puntati, giustificandosi senza credibilità alcuna.
Bofur continuava a sorridere come un ebete, guardandolo e annuendo.
«Sono troppo cremose. Troppo..eleganti, con questi zigomi alti. E poi non hanno abbastanza peli sul viso.»
Detto questo Berit si mise a ridere, alzando di poco il mento: se lo sfiorò coi polpastrelli, arricciando il naso in una smorfia diverita.
«Magari se la radono, come me.» Ecco un'altra leggenda mai sfatata: nessuno sapeva se Berit aveva la barba e quando le veniva chiesto lei si lagnava che doveva raderla. Aveva già troppi capelli da intrecciare, non aveva tempo e praticità per queste cose. Che fosse vero non era mai stato provato, anche se Bofur l'aveva beccata spesso a passarsi il pugnale sul mento. 
Kili cambiò subito attenggiamento, insinuando la sua aria da nano spavaldo. «Ma tu saresti bellissima anche con la barba, le donne barbute ci piacciono.» Incalzò lui con sguardi solo per Berit. Aveva sempre saputo come trattare le donne, che fossero barbute o meno; era un'arma a doppio taglio la sua bellezza giovanile.
Aveva ammaliato tanti cuori e ne aveva spezzati altrettanto ma lui si reputava un guerriero: non aveva tempo per l'amore, aveva tempo solo per le avventureFocose, passionali, brevi e intense avventure.
Berit aveva smesso di guardarlo e di ascoltarlo già da tempo, intenta a sezionare il suo pomodoro.
«Credo che questo pomodoro stia sanguinando.» Mormorò lei, sovrappensiero, infilzando con una forchetta il pomodoro sanguinante. Bofur era rimasto a fissarla per tutto quel tempo e non si scompose troppo quando sentì Kili schiarirsi la voce, con aria offesa. Stranamente non gli aveva dato manforte con i suoi cenni in quel brevissimo complimento per Berit, alternava ora lo sguardo tra lei e Kili con indifferenza studiata, afferrando il suo boccale di sidro. Finì pure per alzarsi e puntare un tocco di pane davanti al giovane nano, un gesto di puro infastidimento. Quello fu costretto a ritrarsi col busto, cosa che gli permise di ruotare il volto verso l'ennesima elfa che gli passò alle spalle. Ammirò i suoi lunghi capelli bruni e il suo fisico così aggraziato. Poi si voltò verso Dwalin, sicuro come una fiera.
«Questa però non è affatto male.»
«Questo non è un'elfa.» Dwalin s'affacciò verso di lui con lo sguardo fermo.
Quando il giovane nano tornò a guardare l'elfa, si rese conto che era.. un dannato elfo.
Subito si voltò verso gli amici con sguardo attonito, imbarazzato e deluso. Lì piombò una risata collettiva che prese persino Bombur e Bifur che, probabilmente, non stavano neanche ascoltando. Bofur prese a sgomitarlo e Berit, ripresasi dal suo sezionamento vegetale, per poco non ruzzolò giù dalla sedia dalle risate, spingendosi all'indietro col busto. Venne tenuta salda da Ori, che le prese il piatto dalle mani con una certa apprensione.
«Oh per la barba bianca di Durin, non facciamo casino. Siamo dagli elfi, non possiamo sempre farci riconoscere.»
«Non è che piacciono anche a te, mandrillone?» Scherzò la nana, infilandogli un braccio tra le spalle e portandolo verso di sè. Quello stava già per arrossire fino alle orecchie, finchè non sentì le nocche dure di lei sul cranio. Gli stava distruggendo l'epidermide con quel gioco stupido e arruffandogli tutti i capelli chiari. 
«Nooo, Berit, lo sai che mi da fastidiooo.» Si lagnò Ori, tentando di spintonarla con qualche manata per aria.
«Come? Hai detto che ti piace?» Quella continuò tutta divertita, finendo per non riuscire più a reggersi per davvero.
Rotolò all'indietro sulla sedia elfica e si portò dietro anche Ori. Per poco non tirarono giù l'intera tovaglia di pietanze. Bofur subito s'affacciò con aria guardinga e si risedette con uno sbuffo sonoro che prese in contropiede Kili, intento a rumoreggiare con le posate per smorzare l'imbarazzo che ancora lo attanagliava.
«Cosa c'è?» Kili sbirciò Bofur di sbieco, lasciando il volto piegato in avanti.
«Nulla.» Bofur  bloccò subito qualsiasi sbocco ad un’altra possibile domanda. Non gli andava di spiegare il motivo dei suoi rapidi sbalzi d'espressione, in fondo non era mica di cattivo umore. Come si poteva essere di cattivo umore mentre si mangiava? 
Fili, dall'altra parte del tavolo, tirò qualche calcio alle chiappe di Ori ancora a terra. Stava ridendo, insieme a Gloin che ingurgitava vino elfico con la stessa grazia di un Troll. Subito Berit scattò e tirò su la sua sedia, riprendendo posto. Aveva abbandonato Ori alla sua sorte - quello stava cercando di issarsi da terra, aveva un pezzo di insalata sui capelli - e si era impuntata a guardare Bofur senza fiatare, non ce n'era bisogno. Quello ricambiò lo sguardo e allungò la forchetta per picchiarla contro quella di Berit.
Kili, intanto, tirò l'ennesimo sospiro, guardando il suo piatto. 
Nori, da canto suo, si intascò una posata sotto la giacca di pelliccia e continuò a mangiare, alzando gli occhi al cielo all'ennesimo pizzicamento dell'arpa alle sue spalle.
«Non ce la faccio più. Si può cambiare questa musica? Non è mica morto nessuno.»
«Chi è morto?» Incalzò Oin. Aveva infilato un fazzoletto dentro la sua tromba uditiva per ovattare quella soave melodia. Sentiva ancora peggio di prima ma almeno riusciva a mangiare senza sentirsi ad un funerale. 
Berit fece un cenno col volto a Bofur e ricambiò il colpo con la forchetta e quello - come svegliato d'un tratto - si voltò verso gli altri nani con aria allegra.

«D’accordo ragazzi, c'è solo una cosa da fare.» Il minatore saltò in piedì e arrancò sopra il tavolo, arrivando a fermarsi su un pezzo di pietra che si stanziava  tra i vari tavoli suddivisi. Tutti alzarono lo sguardo verso di lui e lui allungò una mano inguantata verso Elrond e Gandalf. Thorin non era più alla sua postazione, ora stava in piedi dietro i loro Compagni a gustarsi la scena. Fu allora che Bofur cominciò a intonare una canzone, con voce bassa e rocciosa. 
Una canzone del tutto fuori luogo per quei posti così luminosi, dove l'antichità dei pregi incantava gli occhi di ogni viaggiatore. I nani alimentarono la sua voce con schiamazzi e tambureggiando con i boccali e le posate. Bifur tentò d'accompagnarlo picchiandosi le forchette sul cranio già malmesso e i rumori dei suoi compagni si confusero insieme alle parole della canzone. Berit sola si ritrovava a cantare con voce più femminile, nonostante facesse più rumore lei con posate e piedi, rispetto a tutti i suoi compagni nani.
Per condire l'atmosfera non si fecero mancare un tocco di goliardia nanica. Ci fu una vera guerra; di cibo, di tovaglie, di qualche bicchiere, posate.
Kili per poco non centrò in faccia un giovane elfo dall'aria esterrefatta e Berit tentò di spintonare Ori contro l'elfa che fino a prima stava suonando l'arpa e ora li guardava con aria disgustata. Sì, quello era il termine giusto.
Ori stava diventando paonazzo, aveva ancora l'insalata tra i capelli e s'aggrappò al collo di Nori con quanta forza aveva in corpo, sfuggendo dalle grinfie dell'amica.
Lei prese a lanciargli contro il suo pomodoro spappolato, centrandolo in pieno petto. «Cento punti per il cuore!» Urlò vittoriosa, alzando in aria due forchette biforcute fino a intrecciarle tra loro. Anche Bombur, Bifur e Kili si misero a esultare per quel colpo mirato. 

«Qui si sta uscendo di senno.» Mormorò timidamente Ori, scuotendo il capo con aria rassegnata. 
«No, niente bagno dopo mangiato Ori.» Il commento di Oin alimentò una risata rudimentale tra tutti da far vibrare i tavoli.



Erano seduti tutti davanti ad un piccolo falò e stavano mangiando della carne vera.
Bofur e Berit se ne stavano vicini, senza parlare, arrostendo una salsiccia per uno. Bombur era seduto spaparanzato sopra un tavolo fin troppo delicato per il suo peso e Fili e Kili fumavano e ridevano tra loro, aizzando qualche borbottìo di Dwalin lì vicino. Bilbo era tornato dai loro compagni con una faccia alquanto strana.
Curiosa, a dire il vero, com'era stato curioso per tutto il tempo che rimasero lì. Non si era trovato per niente male da questi Elfi, si respirava aria buona e c'era una tale armonia e pace in quelle mura che si ritrovò bendisposto a passare un po' di tempo insieme ai suoi Compagni, quella sera. 
Si mise vicino a Berit e Bofur e rimase a guardarli, rimanendo in silenzio nei suoi pensieri. Per quanto fossero del tutto fuori di testa e fin troppo rumorosi, quei due nani avevano qualcosa di solo loro e la cosa li rendeva simpaticiC'era un'alchimia profonda in ciò che sentiva quando entrambi si trovavano nello stesso posto.
Bastava un solo sguardo per far intuire agli altri una cosa essenziale quanto semplice e bella: non avevano bisogno di parlare per capirsi. Gli bastava uno sguardo ed era già sicuro cosa l'altro stava pensando. Aveva riscontrato lo stesso legame tra Fili e Kili, durante il viaggio, ma loro due non erano legati dal sangue quindi la cosa la rendeva ancora più...unicaSolo in quel momento Bilbo si rese conto di non sapere assolutamente niente di loro.
Non discendevano dai Durin, ne era sicuro, ma allora cosa ci facevano lì? Cosa li aveva spinti in questo folle viaggio?
«Per denaro, è ovvio.» Rispose Berit alla domanda, spiazzando del tutto l'hobbit che la guardò incredulo. Quella afferrò la sua salsiccia e si mise a ridere, facendosi sgomitare da Bofur lì di fianco.
«Ma non starla a sentire. Non è mica per denaro.»
Bilbo prese a sospirare. Non gli piaceva smentirsi in un arco di tempo così breve come dieci secondi, dopo tutti quei bei pensieri su di loro.
«Lo fa per la gloria.»
Di nuovo gli occhi a palla di Bilbo si fissarono su Berit, corrugando la fronte fino a che le rughe d'espressione non poterono più nascondere la delusione del mezzuomo. Berit riprese a ridere divertita e Bofur non era da meno. Quei due stavano giocando, di nuovo. E con lui.
A Bilbo stavano simpatici sul serio?
«Lo faccio per la fama, la gloria, il denaro, il sangue, il cibo, per tutti quegli orchi che sbudellerò fino alle oss-» si fermò perchè vide Bilbo diventare bianco.
Aveva ripreso a respirare male, come aveva fatto a casa Baggins prima di svenire. Subito Berit s'alzo in piedi di scatto.
«Vino amici miei! Bilbo sta per svenire di nuovo!» Detto questo prese a correre verso Kili e Fili, lasciando l'hobbit alle prese con un Bofur divertito.
Quel nano aveva una bella risata, gli piaceva il modo in cui il viso diventava fanciullesco quando gli comparivano quelle fossette: gli dava un senso di tranquillità e dolcezza insieme, doti che mettevano in risalto ciò che Bilbo era sicuro che lui possedesse, un buon cuore.
«Perchè si diverte a fare così? Non riesco a capire cosa pensi davvero.» Piagnucolò Bilbo, sventolandosi l'aria con il pezzo di salsiccia che Bofur gli mise in mano.
Non funzionava tanto, era parecchio viscido e emanava solo odori arrostiti.
«Nessuno sa cosa pensi Berit sul serio. È una nana particolare, si comporta poco da..femmina.» Sussurrò quella parola, allungando il collo verso Bilbo in estrema confidenza. Sorrise di nuovo mentre infilzava un'altra salsiccia dentro lo spiedo in metallo.
«Ho notato. Non ha un minimo di..tatto. O grazia. Ah, alla Contea una hobbit così avrebbe causato solo problemi. Sarebbe stata messa subito allo..» sfumò ben presto la frase quando si ritrovò lo sguardo di Bofur piantato addosso.
Non era per niente affettuoso come poco prima, era serio e questo lo aveva subito messo a disagio. 
«Allo?» Incalzò il nano. Bilbo aveva sentito una nota d'arroganza in quella voce che lo fece pentire di aver intrapreso quella conversazione.
«Non hai idea di cosa abbia passato Berit, non hai idea di che cosa abbia passato ognuno di noi. Capisco che sei un hobbit della Contea, Bilbo; dove la vita è soffice quanto il fieno e ci si preoccupa di quante zollette di zucchero mettere nel tè. Ma questo non ti da il diritto di parlare a vanvera.» Bofur era diventato estremamente fiero e serioso in quel suo ammonimento. Bilbo ne era rimasto colpito.
«Sono sempre stato dalla tua parte, nonostante molti abbiano pensato che tu non fossi in grado di resistere ad un viaggio del genere. Non voglio pensare che ho dato fiducia ad una persona che non vede realmente al di là del suo naso.»
Bilbo non aveva più parole. Stava boccheggiando e guardava con aria fissa Bofur. Non si era di certo mai preoccupato di spartire giudizi, specie verso i meno rispettabili, alla Contea alle volte si esagerava con le storielle ma era una cosa alquanto comune tra la loro gente. 
Bofur rimase in silenzio per un tempo indefinito e alla fine si limitò ad abbozzare un sorriso talmente effimero da risultare solo un gioco d'ombre dettato dal fuoco.
«Non fare quella faccia e mangia  quella salsiccia, non è mica un ventaglio.»
Bilbo si era del tutto dimenticato di avere usato la salsiccia come un fazzoletto per farsi aria e tornò a guardarlo con aria sommessa. S'era sentito estremamente in torto dopo le parole di Bofur. Era vero, Berit era molto irruenta e forse al di fuori delle righe, ma non s'era mai permessa di offendere il carattere di Bilbo. L'aveva vista, addirittura, prendere il suo sacchetto di monete per la scommessa. Così come Bofur, anche se lui l'aveva presa in testa.
Non avevano dubitato... e poi, da Belladonna, aveva imparato che mai si giudica un libro solo dalla cop-
«Uaaaaaaaaaa!» un urlo lo fece sobbalzare perchè si ritrovò sommerso dalla nana a cui stava pensando, che gli rimbalzò addosso. Bilbo cadde di lato e lei si ritirò su come una scheggia, pienamente soddisfatta e contenta.
«Oh scusami Bilbo. Avevi un'aria così assorta che proprio non sono riuscita a resistere.» Lo schernì lei con quel sorriso allegro.
«Ah, ti ho anche portato il vino. Per riprenderti. Sembra faccia effetti particolari.» Aggiunse mentre lanciava eloquenti gesti col capo verso Bifur. Il cugino di Bofur ciondolava col busto, rosso in viso, vicino al fuoco e una brocca di vino semivuota al suo fianco.
Per la prima volta, con la salsiccia che gli si era conficcata in un occhio, Bilbo prese a ridere. Rise proprio, di gusto, rialzandosi dritto con la schiena e facendo sussultare le spalle esili. Ovviamente anche gli altri lo seguirono con quella gioia cristallina, Berit gli lasciò il bicchiere poco prima di sovrastare le spalle di Bofur, legandogli le braccia intorno al collo.
All'inizio Bilbo pensò volesse strozzarlo ma poi lei scoccò un bacio sulla guancia al suo amico e ruzzolò di nuovo via. Berit forse non lo vide ma lui lo vide eccome, mentre ancora soffocava le ultime risate. Bofur era diventato rosso come il fuoco e stava guardando la salsiccia. Bilbo pensò che avesse spento il cervello visto quel sorrisino beato che gli era rimasto sul volto. Stava quasi per prendersi una rivincita e prenderlo in giro, quando lo vide afferrare la salsiccia e guardare verso il nano grasso che ancora mangiava, incurante di tutto.
«Bombur!» Bofur gli lanciò la salsiccia cotta. Bombur lo prese ma lo scatto fece scricchiolare qualcosa in quel tavolo elfico. Le gambe si spezzarono e il nano cadde come una pera cotta a terra, con tutto il piatto di viveri addosso. Scoppiò una risata generale che sovrastò qualsiasi altra cosa. Bofur si cappottò completamente, rotolando accanto all'hobbit.
Quei nani erano fuori di testa.
La freccia venne scoccata e ci furono dei secondi di silenzio. Bofur non guardava la scena, aveva gli occhi chiusi e sentiva solamente il tonfo del suo cuore nel petto. Non faceva altro che sentire una voce, nella testa, una sola voce. Strinse le spalle delle due figlie di Bard che non smettevano di piangere e percepì l'elfa silvana avvicinarsi a Kili e a Fili con una grazia che a loro non competeva. La freccia era stata scoccata e non sentiva null'altro che le urla della gente e Smaug che fece vibrare le ali, ringhiando un urlo meccanico che sprigionò un dolore profondo.
Tum.
Era agghiacciante. Una lama infuocata che perforava il timpano. Lo sentì farsi lontano, lo sentì gridare, lo sentì fin dentro le ossa.
Tum.
Berit avrebbe ballato davanti al corpo di Smaug morto, avrebbe riso, lo avrebbe obbligato a suonare il flauto.
Tum.
Sentì il rumore della legna che bruciava, la torre che perdeva la resistenza nei cardini e la voce di Bard che urlava. E pensò a Berit...che ballava.
Tum.
Fili urlò. Ma non di morte, non di dolore. Era gioia, sentì il tonfo poco dopo. Era un tonfo sordo e oscuro che creò un enorme onda che li fece ballonzolare a largo, lontano dalle palafitte brucianti. Smaug era caduto. Smaug era morto.
Aprì gli occhi.



 

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Capitolo 5
*** Quando vedrai solo roccia ***


Capitolo 5.
Quando vedrai solo roccia




Erano rimasti molti giorni a Gran Burrone a discapito di ciò che Thorin voleva.
Aveva trovato in Elrond una saggezza diversa rispetto all'elfo che gli aveva voltato le spalle, ai piedi di Erebor. Non si era ricreduto sugli elfi ma aveva smesso di sfinire Gandalf con la sua insistenza sul proseguire nel viaggio, subito. I nani si stavano riprendendo appieno, avevano fatto scorte di provviste ed erano pronti a lasciare la casa degli elfi dopo che Elrond tradusse la mappa di Thrain, facendo brillare le rune lunari così che diedero loro una risposta:

Sta accanto alla pietra grigia,
quando il tordo picchia e il sole che scende con l'ultimo
raggio nel giorno di Durin risplenderà sulla serratura.
*

Di molte cose Gandlalf  discusse col Bianco Consiglio, alla luce della mezzanotte crescente dopo che i Nani e Bilbo furono stati congedati.
I nani non lo seppero e Gandalf non si premurò di avvertirli di quegli infausti presagi provenienti dalla Fortezza e far incombere nelle loro menti altre preoccupazioni. Gli elfi non erano d’accordo del loro viaggio e ciò che premurava Gandalf era che si convincessero. O tantomeno che non gli impedissero di raggiungere Erebor.
Solo qualche sera precedente trovò i nani immersi nelle acque limpide della fontana di Gran Burrone, intenti a tuffarsi e a lottare tra loro con aria spensierata.
Rise quando Bombur creò un'onda d'urto immensa con un suo tuffo, sovrastando il povero Dori che scomparve sotto l'acqua. Thorin e Gloin erano entrambi seduti su una montagna di nani, combattendo a mani nude - e nude non erano solo quelle - mentre Kili e Fili scivolavano in delle conchiglie di pietra. Si stavano divertendo e non aveva cuore di rovinare una sera così tranquilla. 
Trovò Bilbo rimuginare seduto su una panca, accanto a Berit. Lei era intenta a disegnare qualcosa su un papiro stropicciato mentre Bilbo fumava.
Non tentava di sbirciare cosa stesse facendo la nana. Ci aveva provato e lei gli aveva rubato la pipa. 
«Perchè non vi state divertendo insieme ai vostri compagni di viaggio?» lo stregone interruppe quel mortorio, sorridendo con la sua solita cordialità. 
«Mh? Oh…Io, bè, Gandalf…  Finalmente un attimo di pace, lontano dagli..schiamazzi.» Sorrise Bilbo con tono imbarazzato.
Lo Stregone si sentì profondamente intenerito da quella semplicità, cosa che fece sorridere la stessa Berit che non alzò lo sguardo. Era una nana giovane, i soliti capelli scuri e crespi racchiusi in una treccia che scivolava di lato sulla spalla sinistra e lo sguardo perso nel suo papiro ingiallito.
«Bilbo questo lo detesta.» Cantilenò lei, sentendosi gli occhi dello stregone addosso. Bilbo fece un grugnito, sbuffando un cerchio di fumo dalla conca della pipa oblunga. Berit trovava sempre parole inconsuete per chiudere la conversazione.
«Perchè non provate a fare amicizia, mh?» Incalzò lo stregone, guardandoli dall'alto. Appoggiato al suo bastone spento sembrava solo un vecchio signore dal cappello a punta. E la lunga barba: in quel viaggio le barbe non mancavano proprio.
«Stiamo facendo amicizia.» Disse Bilbo con un'intensità tale da crederci sul serio e, a sua sorpresa, Berit alzò lo sguardo.
«Assolutamente.» Era perenne il suo tono e lo Stregone fece un borbottio senza senso. Alzò le sopracciglia e strusciò di lato. Non era uno che perdeva tempo a cambiare la testaccia dei suoi amici, piuttosto ci conviveva. 
«Vi lascio a fare amicizia, allora, giovani amici. Molto presto ci spetta un lungo viaggio perciò vado a riposare le mie stanche membra. Fate altrettanto dopo che..» lanciò uno sguardo ai nani nella vasca. Bofur stava inseguendo Bombur a perdifiato nell’acqua, urlandogli qualcosa contro «..bè dopo il bagno. Buonanotte.»
Bilbo sorrise e Berit tornò a estraniarsi anche dall'hobbit. Il mezz'uomo tornò a fumare in silenzio, provando a sbirciare di nuovo verso il papiro. Lei non parlava e lui aveva seriamente paura a farle domande.
Rispondeva sempre in modo sconclusionato. 
Si chiese come faceva Bofur a capirla... così. Probabilmente avevano un loro linguaggio segreto, chi lo sa.
«Tieni, hobbit sotto il colle.» I suoi pensieri furono scossi quando lei gli sventolò davanti il papiro ingiallito. Non si capiva assolutamente niente di ciò che v'era disegnato sopra visto che lei non faceva che agitare il polso.
«Posso...per favore, ferma la..» quella lasciò andare il foglio e Bilbo sospirò, facendo uscire il fumo dalla pipa «...mano. Grazie.» E puntò gli occhi sulla pergamena una volta che la tese davanti al naso.
Rimase senza parole.

Era una mappa della sua Contea. Dettagliata, per quanto possa esserlo una semplice mappa. Il sentiero che costeggiava il fiume e i colli che chiudevano le rotonde porte delle case. I carri del mercato che brulicavano la piazza sotto i viali, nello spazio adibito alle fiere e la locanda ad est. Aveva disegnato il campo d'ortaggi e poi... casa BagginsCi aveva dedicato tutto lo spazio in alto a destra. Era stata disegnata dall'interno, le stanze che si aprivano in archi semi-chiusi e la sala da pranzo. Aveva disegnato cibo. I letti a baldacchino sparsi per le stanze. Il camino acceso. Le finestrelle agli angoli della porta e la sua poltrona. La sua cucina. La sua dispensa. Bilbo aveva il cuore in subbuglio, guardava la sua Hobbiville con gli occhi lucidi e mai gli era mancata tanto quanto allora.
Un pensiero che tornava spesso.
Puntò gli occhi su Berit e questa volta lei ricambiò lo sguardo. Non aveva parole per descrivere ciò che stava provando. Sorpresa, nostalgia.. no, non era quello. Era gratitudine. Gli occhi della nana trasmettevano una profonda serenità placida. Sorrideva per lui, e Bilbo si soffermò a inquadrarle il volto. Anche lei aveva le fossette sulle guance, ma gli occhi erano più belli di quelli di Bofur. 
«Ma è...» cominciò lui.
«La tua splendida casa. Accogliente, un po' piccola, umile, ma comoda..casa.» Fece lei, ricordando alcune parole dello stesso hobbit. Bilbo sorrise in un soffio e per poco non si ritrovò a tirare su col naso. Lo fece, in realtà, smuovendolo appena.
«E non soffiarti il naso nel fazzoletto di Bofur. Fidati di me.» Consigliò l'altra, sorridendo. C'era molta trasparenza in quella semplice incurvatura. Bilbo lo capì e capì perchè Bofur vedeva. Vedeva perchè lei aveva deciso di mostrarsi e stava facendo lo stesso con lui.
«Io non so..cosa dire, Berit..davvero è-è...»
«Se provi a insudiciarmi il foglio di lacrime me lo riprendo.» Non c'era cattiveria nel tono, solo un riflesso di carattere da montagna. Duro e senza troppi convenevoli smancerie.
«Grazie. Mi mancava così tanto e.. ora la sento più vicina.»
«So che ti mancava. Lo vedo. Anche se non sembra io sono un'ottima osservatrice, piccolo hobbit della Contea.» Questa volta s'alzò in piedi e tentò di dare una pacca alla testa di Bilbo. Poteva essere una carezza nanica, forse, ma Bilbo sentì la testa cozzare per un secondo e fece una smorfia.
La tramutò in un sorriso, però. «Non so proprio come..»
Berit aveva smesso di guardarlo. Aveva alzato gli occhi verso la fontana. I nani erano ancora intenti a ridere in lontananza. Erano tutti nudi eppure lei non sembrò trovare imbarazzo in quella visuale. Bilbo evitava accuratamente di guardare alle sue spalle.
Ci mancava solo un bel paio di chiappe naniche a rendere ancora più brutti i suoi sogni.
«Ti ho visto mentre parlavi con Bofur, l'altra sera.» Disse Berit. Non sembrava rimbeccarlo, tornò a guardarlo con uno sguardo serioso. Fin troppo serioso per una come lei. Aveva provato la stessa sensazione con Bofur davanti al fuoco. Bilbo si sentì le guance avvampare e già stava per balbettare una miriade di scuse per le parole che gli erano sfuggite su di lei.
"Non sapevo. Ero nervoso. Il viaggio sai..E poi non ero abituato a tutta quella goliardia. Non sapevo cosa dicevo. Troppa erba pipa del decumano sud."
«Gli stai molto simpatico e io sono davvero contenta che tu sia venuto con noi.»
Bilbo di nuovo rimase senza parole. C'era una sorta di cortesia genuina in quella frase, si sentì molto a suo agio. Fu in quel momento che Berit s'avvicinò a lui e l'aria che aveva era tutt'altro che dolce. Alzò un indice, sbucato da sotto i guanti smezzati. Il suo sguardo era acceso e tagliente, sembrò infuocarsi d'un antico orgoglio che si estese alle parole stesse.
«Non togliere mai più il sorriso a Bofur.» E detto questo si drizzò all'indietro, ampliando le labbra in una naturale curva sul volto. Tornò tutto alla normalità.
«Andiamo a bere vino Bilbo. Ti farò ubriacare: o stasera o mai più.» E senza che Bilbo potesse anche solo pensare di ribattere a quella lieve minaccia,
gli aveva fatto raggelare il sangue
si sentì trascinato per un braccio. Sciolse i nodi nervosi che gli si erano arrampicati sul collo e si ritrovò a seguirla verso lo spazio esterno adibito per gli ospiti.


Quando gli altri tornarono Bilbo stava ronfando su dei cuscini, vicino alla panca che Bombur aveva distrutto col suo peso.
Pareva molto rilassato nel suo sonno, aveva le labbra sporche di vino e un bicchiere quasi vuoto lì di fianco. Tra le mani stringeva la sua mappa della Contea. Era crollato dopo pochi sorsi. Aveva bevuto, aveva riso, aveva cantato, aveva fatto una strana danza, aveva provato a confidare a Berit qualche segreto della sua anima (era riuscito a paragonare quei..Racchi-Baggins - le pareva così che si chiamassero - alla pappagorgia dei Troll rimasti impietriti sotto la luna) e poi caduto, nei più profondi onirici sogni di morfeo. Bofur era tentato di disegnargli dei baffi con la marmellata di lampone ma Ori lo desistette. Fili e Kili stavano già infilandogli chicchi d'uva tra i capelli. Emanavano tutti un buon profumo, solamente Berit aveva ancora i vestiti sporchi e i capelli arruffati.  Era sporca di terra dalla testa ai piedi.
«Vatti a lavare, l'acqua è caldissima.» La rimbeccò Bofur, andandole davanti. Le diete una spinta col piede nudo. Era vestito ma aveva ancora i capelli sciolti e fradici che gli ricadevano sulle spalle. Il cappello era rimasto salvo e asciutto nelle stanze. 
Quella si piegò di lato con un grugnito poco delicato, spintonandolo via con una manata. Non era brilla ma il vino l'aveva rilassata, stava guardando verso il crepuscolo e cantilenava. Vide Nori passargli accanto mentre nascondeva un'ampolla d'orata dentro la blusa e Gloin rubare l'ultimo sorso di vino di Bilbo.
«Daaaaai..lavati lavati lavati lavat-» Berit, questa volta, spinse il piede molesto di Bofur con foga e questo cadde con un tonfo a terra, imprecando. Berit già rideva e dovette piazzarsi una mano sulle labbra per evitare l'effetto cagnara.
«..non i cucchiai..mesgera..» Bilbo biascicò nel sonno e si girò dall'altra parte, facendo scivolare un braccio e la sua mappa scivolò di lato. Bofur, intanto, si drizzò con la schiena e volse a Bilbo tutta la sua attenzione. Notò con piacere la mappa e abbassò lo sguardo per sbirciarla.
«Alla fine gliel'hai disegnata sul serio.»
«No ma va, è una tua allucinazione.» Rimbeccò lei con un sorriso divertito. Quello le pizzicò una gamba e lei fece una smorfia.
«Sei stata..carina a farlo. Aveva bisogno di sentirsi a casa, vicino alla sua gente.» Bofur la sbirciò, con la testa ripiegata in avanti e si soffermò a guardarla.
Vide un leggerissimo lampo nel suo sguardo ma nulla di più consistente. Lei rideva, scherzava, rimaneva stoica e mai nessuno capiva realmente cosa pensasse.
Aveva l’abilità di cambiare umore come una scheggia, una strana somiglianza con Thorin da quel lato. Con Bofur era stato diverso fin dal primo istante e ne era nata un'amicizia molto solida. Non s’offendeva per i suoi commenti né tantomeno per gli scherzi: lei era così e non lo era insieme. Non avevano bisogno di troppe spiegazioni e forse era questo il motivo per cui erano così inseparabili. Neanche con Fili e Kili c’era una tale armonia, nonostante lei li conoscesse da più tempo.
Ori, sotto consiglio del saggio Balin, aveva tentato più volte di placarla ad una vita più tradizionalista. Parlavano sempre molto delle loro origini; riuscivano a interloquire per ore senza che lei si mettesse a tirargli il naso o a elencare una sfilza di dubbi pensieri sulla vita dei tordi. Ma se c’era una cosa sicura nella vita di Berit era che, per quanto ne fosse distante, tornava sempre da Bofur. O lui tornava da lei. Nemmeno quel viaggio avrebbe potuto interrompere quel ciclo.
 «Ha pianto, non è vero?» Lui già gongolava in una risata che gli aveva arrossato le guance e lei sorrideva altrettanto gongolante.
«No, razza di mollaccione, l'ho minacciato di non farlo.»
«Sei crudele.»
«Hai fatto bene a non scommettere con me, ti ripeto che io vinco sempre.» Rimbeccò lei, alzandosi. Questa volta Bofur le fece uno sgambetto voluto. Quella ruzzolò a terra e lui la cinse per i fianchi, tirandosela appresso. 
«Boffy..non ci provare.» Ringhiò lei, mentre lui le arpionava le braccia. La stava letteralmente imprigionando con le braccia dietro la schiena.
«Tu non chiamarmi Boffy e poi vedremo.»
«Tu lasciami e io non ti chiamo Boffy.»
«Tu non chiamarmi Boffy e io ti lascio.»
«Io dico a Kili di chiamarti Boffy e la tua era da Bofur sarà finita per sempre.»
Questa volta Bofur ringhiò qualcosa e la lasciò andare. Il nano era forte ma lei lo era altrettanto, le braccia le rimasero indolenzite solo per poco. Si volto versò di lui con uno scatto e lo atterrò con uno slancio del busto. Gli piazzò la mano alla gola e spiaccicò tutto il suo peso sul corpo del nano. Bofur soffermò lo sguardo su quello di lei e lei lo distolse, facendolo scorrere sui suoi capelli sciolti.
«Berit..se Bilbo si sveglia e ci vede così lo traumatizziamo.» Stava evitando di arrossire davanti al suo naso ma lo sguardo continuava a cadere in punti dove non doveva cadere. Sentiva il suo corpo sopra al proprio e si sorprese di quanto fosse caldo. Rovente, a dire il vero. Eppure la notte era fresca. Lei si mise a sorridere fino a scoprire i denti e lui trovò molto complicato distogliere l'attenzione dalle sue labbra.
«Mi è venuta un'idea. Facciamoci perdonare.»
 

Bilbo si svegliò con un grugnito più profondo che lo fece destare quasi di scatto.
Aprì stancamente gli occhi. Aveva la testa che gli ronzava e sentiva il rumore cristallino degli uccellini danzanti sulla sua testa. Il sole era ancora dormiente, dietro le montagne, ma una luce arancione si stava innalzando a est. Tentò di allungare la mano ma non riuscì, si sentiva frastornato.
«G..andalf?»
Chiamò lo stregone con voce roca ma nessuno rispose. Con una spinta più ferrea decise di rotolare giù dai quei cuscini e ...sbattè contro una quercia. Quella botta lo fece alzare di soprassalto, issandosi su in malo modo. Gli salì una nausea violenta ma riuscì a trattenersi dal rigettare tutto quando si rese conto di dove si trovava.
Era il giardino degli elfi. Le cascate scivolavano su un precipizio che s'apriva su una vegetazione piena, dagli sbocchi nascosti.
I colori della vegetazione illuminavano lo spazio mentre i canti degli elfi salivano melodiosi dai portici sottostanti. Quella luce calda irradiava il cielo e il suo stesso corpo, respirando aria di bosco e d'incanto. Non capiva perchè era lì ma poco ci volle prima che s'accorse dei due nani addormentati profondamente dietro di lui.
Berit e Bofur. Non erano distanti dalla veranda ma da lì la vista era sensazionale. L'avevano portato fin lì..perchè? Si voltò ancora e notò il papiro a terra, sull’erba.
La mappa di Berit era stata tenuta aperta da un sasso, vicino ai cuscini. Erano state vergate poche parole nuove, imbrattavano solo la parte sinistra in alto.
Quando le lesse le lacrime tornarono a pizzicargli gli occhi eppure sorrideva. Sorrideva perchè forse sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe fatto, sul serio.
"Sentiti un po' a casa, Bilbo Baggins, perchè questo lo sognerai quando vedrai solo roccia."
 
Non aveva più alcuna intenzione di rimanere lì.
Dovevano raggiungere la Montagna Solitaria al più presto, il cuore di Erebor era stato liberato e non aveva più le forze di ascoltare le urla della gente di Esgaroth in preda a lutti troppo recenti o alla ricerca delle genti scomparse. Il giorno era giunto portando la luce nell’Anno Nuovo dei Nani e solo Aule in persona sapeva quanto avesse bisogno di ricongiungersi alla sua Compagnia. Bard era stato acclamato come un eroe dal popolo e il Governatore di Esgaroth aveva percorso il grande fiume con tutto il tesoro del villaggio che è riuscito a trasportare, sparendo come un vigliacco. Senza un minimo di ritegno aveva spintonato Alfrid, il suo vice, giù dalla barca. Cosa che avrebbe fatto ridere Bofur fino allo sfinimento se solo lo avesse visto coi propri occhi.
E poi dicono che i Nani sono avidi.
Tilda, Sigrid e Bain erano riusciti a ricongiungersi e Fili e Oin stavano armeggiando la barca per attraversare il Fiume. Bofur cercava di aiutarli il più velocemente possibile ma quell’altro rampollo reale, che altro non era che Kili, non riusciva a distogliersi da Tauriel. Non era stata proprio una sorpresa scoprire che Kili si era preso una grande sbandata per quella Silvana. Da Elrond le elfe gli erano piaciute subito. Rideva ancora se ripensava all’ammiccamento e a quella meravigliosa figura da fagiolo che aveva fatto durante il pranzo. Era sempre stato sicuro che, alla fine di quell’avventura, Kili sarebbe tornato col cuore più pieno.
Non era un esperto di ciò che i nani covassero dentro il loro cuore ma Fili e Kili erano fin troppo giovani per calibrare un amore radicato quanto la pietra stessa.
Kili, in particolare, mal sopportava l’idea di assorbirsi responsabilità matrimoniali e mettere un freno al suo lato da guerrafondaio.  
Sapeva di essere molto bendisposto per le giovani nane degli Ered Luin, eppure Bofur era convinto che, segretamente, puntasse a qualcosa di molto più rocambolesco da gestire, era per questo che aspettava. In fondo, l’amore era la cosa più difficile dopo la guerra.
Vedere Kili e Tauriel che si guardavano in quel modo era l’unica nota positiva di tutto quel frastuono e mal sopportava quell’altro glabro biondo dalla gamba slanciata. Li aveva fatti congedare con una tale freddezza che a Bofur spezzò il cuore. Aveva sperato che lei li accompagnasse così da permettere a Kili di lottare contro la sua stessa guarigione con un trasporto diverso e invece si dovette accontentare di un sorriso debole che quello gli sganciò una volta salito sulla barca.
«Sto bene.» Mormorò, notando lo sguardo dell’altro. Fili sembrava riflettere la sua stessa mestizia. Oin non faceva che guardare Erebor, che si stagliava oltre una coltre di nuvole basse. La cima era quasi invisibile da quella visuale e i lineamenti della Montagna sembravano fortificarsi insieme al cielo grigio.
«Kili..quando arriveremo a Erebor non credo che sarà facile..poi..»
«Bofur.» Quello ribattè con più forza. Era provato, gli occhi ombreggiati da due occhiaie scure e ancora il colorito troppo pallido e stanco. «Ho detto che sto bene.»
L’altro annuì e Fili sospirò fino ad abbassare lo sguardo. La barca ondeggiava placida mentre la costa s’avvicinava.
Non avevano idea di dove fossero gli altri. Erano ancora vivi?
Per la trippa di Durin il Senzamorte, fa che siano vivi. Bombur, Bifur...fa che lei sia viva.



* preso pari pari da "Lo Hobbit".



 

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Capitolo 6
*** Tutta la fortuna di questo mondo ***


Capitolo 6.
Tutta la fortuna di questo mondo




Pietra ovunque.
Rocce scivolose, rocce appuntite, rocce friabili. Avevano lasciato Gran Burrone da pochi giorni e Bilbo se n’era pentito almeno una ventina di volte.
Avevano varcato i limiti delle Terre Selvagge e pian piano l’odore del verde e dell’acqua limpida aveva fatto spazio ad una prorompente desolazione. Pioveva a scrosci e rendeva il viaggio ancora più indigesto di quanto non fosse. Per non farsi mancare niente c’era stato un momento di puro panico mentre attraversavano le Montagne Nebbiose, con la schiena plasmata contro la roccia.
I Giganti di pietra delle leggende - Bofur ne era rimasto impressionato - erano stati gli artefici di una breve ma spaventosa separazione della Compagnia. Si lanciavano rocce giganti in una lotta che rimbombava nell’eco della montagna. I massi si spaccavano e i macigni venivano giù verso di loro, riducendoli a saltare e pigiarsi ancora di più nei rientri della roccia. Kili e Fili si guardarono impietriti quando la montagna si divise, separando i due gruppi.
Da una parte Thorin, Fili, Balin, Gloin, Bifur, Oin e Berit erano rimasti a guardare inermi gli amici che scivolavano via, contro la pietra, venendo schiacciati al muro.
Berit e Fili si strinsero fra loro e cercarono di non scivolare nel precipizio ma l’urlo di Thorin distrusse quel raffinato lavoro di autocontrollo che stavano cercando di tenere saldo. Il gigante si schiantò contro la roccia prima di piombare nel vuoto e la possibilità che gli altri fossero ancora vivi, dopo quell’impatto, erano assai minime. Riuscirono a raggiungere il punto di scontro e a scorgere il gruppo di nani doloranti ma vivi, ammassati l’uno sull’altro.
L’intoppo aveva portato uno spavento iniziale da lasciarli storditi ma anche un piccolo cenno di fortuna. Avevano scorto una rientranza in cui Fili si fiondò per perlustrarla con velocità prima di lasciar entrare i Compagni.
«Non saresti mai dovuto venire qui.»
Questo è quello che Bilbo continuava a pensare, estraniato in un angolo della grotta buia. Stava per morire là fuori. Aveva perso il controllo quando la roccia si schiantò ed era scivolato, riuscendo ad aggrapparsi all’ultimo momento. Sentì Bofur che urlava il suo nome e poi tutti gli altri accorsero, cercando di aiutarlo. Fu Thorin a sollevarlo, rischiando di cadere lui stesso.Era avvenuto talmente in fretta che il cuore ancora gli faceva male per quanto aveva battuto contro il petto.
L’ennesima paura da aggiungere alla lista del suo viaggio avventuroso: i Troll, la corsa nella Grande via Est con gli Orchi e i lupi mannari. E ora questo. Credeva di non farcela davvero. 
Se ne stava stretto nella sua veste colorata, tremando da capo a piedi, guardando il disegno della Contea. Rilesse la frase sul papiro ingiallito e gli venne da sospirare.  
Thorin aveva proibito loro di accendere un fuoco, sarebbero partiti molto presto, quel tipo di grotte non erano sicure…ma cosa era veramente sicuro, ormai?
Gandalf non era partito da Gran Burrone con loro e Thorin aveva cambiato il piano riguardo al loro incontro, tra le montagne. Bilbo sperava di vederlo comparire, da un momento all’altro. Senza di lui cominciava a sentirsi più che un peso per quei nani. Si mise a guardare Kili e Fili, intenti a parlare tra loro in confidenza.
Cercò Bofur e Berit ma li vide separati: il primo s’era appena giudicato la prima guardia notturna -non sorrideva tanto- e la seconda stava sistemando Bombur dentro un mantello gigante. Gli venne da sorridere amaramente.
«Mi dispiace disturbarti, signor Bilbo, ma posso coricarmi in questo angolo? Di solito Nori nel sonno si gira troppo e mi schiaccia sempre, qui starei più comodo.»
Bilbo si distrasse dai propri pensieri quando intravide Ori con in mano una mantella tutta sgualcita.
Era molto giovane, come nano, forse addirittura il più piccolo. Anche la stazza era più esile rispetto agli altri, forse persino di quella di Berit, per quanto fosse possibile considerarla “esile”.
«Certo. Certo sì. Io credo che mi sposterò di qua, sono piccolo…non ho bisogno di tanto spazio.»
«Grazie, sei molto gentile.»
Così beneducato. Chissà da chi aveva preso quel carattere così docile. Anche suo fratello Dori era, come si suol dire, un nano galante, ma aveva la lingua troppo lunga. Bofur li raggiunse, sedendosi fiaccamente al lato di Ori, borbottando qualcosa che Bilbo non comprese. Aveva le trecce sfatte ma quel cappello di pelliccia ben saldo sul capo.
«Riposa Bilbo, credo che Thorin ci farà marciare all’alba.» Mormorò Bofur, guardandolo. Ori già si stava coricando, accanto a Dori e a Nori. L’ultimo, mentre si sistemava contro la roccia, tintinnò. Era una caratteristica di Nori, facilitava il compito di trovarlo se si perdeva, almeno. Bombur si era già addormentato mentre Berit lo appoggiava ad una parete e venne raggiunta da Fili.
«Come mai indossi sempre quel cappello?» domandò d’improvviso Bilbo, torcendo il collo per fissare il cappello di Bofur. Era strano come copricapo, i due lati sulle orecchie sembravano due ali che prendevano il volo. Per quanto fosse buffo lo trovava estremamente caratteristico. 
«Potrei farti la stessa domanda per il tuo gilet.» Bofur indicò il vestiario tipico dell’hobbit.
«Bè..tiene caldo. È comodo e mi fa sentire a casa.»
«Credo che, allora, tu ti sia risposto da solo.» Bofur sorrise e appoggiò la nuca contro la parete. Bilbo s’accorse che si era messo a fissare Berit e Fili che parlavano e scivolò lentamente verso di lui, giusto per sedersi poco distante. Fili aveva allungato una mano verso la spalla di Berit e sentì Bofur irrigidirsi ancor di più contro la parete.  Lui non era sicuro di sapere cosa fosse la gelosia - non l'aveva mai provata per un'altra persona - ma sapeva abbastanza sull'argomento, decise di azzardare a fare qualche domanda. 
«Bofur… tu e Berit siete…marito e moglie?»
Bofur si voltò di scatto verso Bilbo con aria stralunata. Non rispose subito e Bilbo riflesse un disagio tipico di quando non ti danno subito una risposta. Quando il nano cominciò a ridere prese a dargli delle grandi pacche sulla testa ricciuta.
Le pacche dei Nani sono la cosa più dolorosa del mondo, pensò con una smorfia.
«Siamo solo amici. Buoni amici.»
«Non volevo risultare indiscreto ma… sento un legame così… insomma, penso che un’avventura del genere rinforzi molto i rapporti.» Bilbo tentò di sorridere ma non ce la fece. Che ne poteva sapere lui, di rapporti? Non sapeva nemmeno perché stava ancora lì a parlarne.
«Io e Berit ci siamo conosciuti negli Ered Luin. Ma lei conosce fin dall’infanzia gli eredi di Durin. La sua casa è a Erebor, come tutti gli altri...» Indicò Fili con un cenno del mento e così anche Kili, che già si coricava a pochi passi dal fratello.
«Ah  quindi sono…loro che sono…insomma…»
«Oh, per la mia barba Bilbo, vedi coppie tutt’intorno, eh? Non è che sei geloso?» 
Bilbo arrossì e scostò subito lo sguardo, scuotendo il capo ricciuto. «Certo che no. Ero solo..curioso. Non conosco le tradizioni dei nani e volevo solamente-»
«Comunque sia» Bofur già lo stava interrompendo, tirando fuori una pipa oblunga dalla scarsella. Grattò dentro la conca, pulendola dallo sporco «esistono solide amicizie tra Nani e Nane. I vecchi tradizionalisti non vedono di buon’occhio niente ma nelle Montagne Azzurre anche le donne imparano a maneggiar le armi e a forgiarne di proprie. Delle forti braccia sono sempre utili. Berit l’ho conosciuta così: lavorando nelle fucine.»
«Oh. Dev’essere stato alquanto… strano.» Nella sua Contea le donne erano locandiere o lavoravano la terra. Vedere un’ hobbittessa vangare l’orto con un’ascia bipenne sarebbe stato curioso, in effetti.
«No strano direi di no. Per colpa di una svista una notte ci fu un incidente e un intaglio prese fuoco, le Lunghebarbe non la presero per niente bene.» La voce di Bofur si mantenne pacata, nonostante tutto, e Bilbo si girò a guardarlo di nuovo. «I giovani dovevano essere controllati ma...»
«Ma davvero?» A Bilbo venne da ridere, in realtà.
Quei due raccontavano sempre storie particolari ed era strano il fatto che tutto ciò che riguardasse il loro passato sembrasse un’accozzaglia di vicende poco tranquille.
A dire il vero neanche il presente era molto tranquillo.
«Morì un nano, in quell’incendio.»
Bilbo per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. Strinse gli occhi e tornò a guardare Berit. Lei sorrideva mentre prendeva in giro i capelli di Kili addormentato, legandoli in una treccia sbilenca insieme a Fili.
«...mi..mi dispiace molto, non volevo..scusami.»
Bofur sospirò dal naso e sorrise di nuovo. Era bello che lo facesse, capiva perché Berit lo aveva minacciato a Gran Burrone, per quella cosa.
«Oh bè, ormai è passato. Basta parlare di cose tristi. Vai pure a dormire Bilbo, almeno tu che puoi.» Mormorò Bofur, guardandolo. Bilbo annuì e gattonò fino alla sua postazione per dormire. Sarebbe stato meglio se non avesse intrapreso quella conversazione con Bofur. I Nani erano predisposti a morire in battaglia, tra il fuoco della forgia e, che fosse per sbaglio o per onore, continuavano imperterriti la loro marcia.
Cosa potevano farsene di uno come lui?



«Ma quindi lei era la numero otto? O la nove?»
«La nove e io dico: ‘perché ti vuoi così tanto male?’ Ma evidentemente era pura e semplice attrazione. Sai che le nane sono brute quando vogliono qualcosa.» Fili era appoggiato alla parete, accanto all’amica e guardavano Kili dormire. Lei controllava Bombur che pendeva tutto a sinistra. Doveva agganciarlo alle dita per rizzarlo, cosa molto complicata visto la stazza di quel nano.
«Quelle che si sceglie Kili sono brute quanto Ori, per favore.» Disse lei, alzando le sopracciglia. Di tanto in tanto spostava lo sguardo su Bofur e Bilbo dall’altra parte ma niente di troppo insistente. Notò che Bofur non sembrava incupito: almeno non doveva uccidere Bilbo. Quel pensiero gli provocò un sorriso a fior di labbra che Fili notò subito. Sorrise di rimando, avvicinandosi con la propria spalla a quella di lei.
«Ti ricordi quando uscì con la sottana di Merialea? Quella le lanciò dietro pure la sedia dello zio quando scoprì delle altre.»
Berit prese a ridere, stracciando con un suono secco un pezzo di lembo della camicia che fuoriusciva dalla giacca pesante.
«Potrei suonare di leggende e canti con la grazia con cui è riuscita a descrivere Kili con tutte quelle parole. Quando finì con quel: ‘sei un'opera incompiuta della Creazione di Mahal’, ci mancò poco che feci cozzare il boccale*. Che arguzia di nana, eh?» Berit sganciò un’altra risata strozzata, pulendosi il volto dalla pioggia con quel pezzo di straccio. Finì col sporcarselo ulteriormente.
«Lo aveva paragonato ad una ‘una danza di clarinetti malevoli’, che ricordi.» Sospirò Fili. 
«Lei era la numero..sette?» Scoccò al nano un’occhiata. Si passò quello stesso straccio tra i capelli. Aveva disfatto la treccia e stava strizzando i capelli. Colava terra e pioggia sulla pietra. 
«No la sei, la sei. La sette era quelle delle capre.» Rispose Fili sicuro.
«Oh per Mahal, quella delle capre. Quella era fissata con i presagi, come Oin.» Berit però rideva con lo sguardo. Era bello tornare a quando erano più giovani, quando i pensieri funesti interessavano solo i Nani più anziani. Prima di tutta la sofferenza.
«
Oooh, fiul Kili, donatemi il vostro latte che io verserò per voi il mioooo. Sarà una primavera fioriuuuta!» Fili cercò di imitarla con lo stesso accento ma gli uscì qualcosa di oscenamente divertente. Kili, come disturbato nel sonno, grugnì qualcosa e si volse dall’altra parte.
«Fili ti prego…quella era venuta nella Tenda a donarmi il vitello per buon auspicio. La sera in cui facemmo la gara nei sacchi, io e te.»
Fili sorrise con aria addolcita, volgendo verso di lei lo sguardo. Ricordava bene la serata dei sacchi e, sebbene si era promesso di non farlo, fu contento di aver riportato a galla qualcosa che avevano condiviso entrambi, in passato. Stava già per allungare la mano verso la sua, azzardando un gesto fin troppo affettuoso, ma quando quella corrucciò lo sguardo smise di allungare le dita, rimanendo a guardarla.
Troppo azzardato, Fili.
«Quella stessa settimana ci fu l'incidente.» Mormorò lei e a Fili gli si spezzò il respiro e ruotò il capo altrove. Quell’aria dolce lo aveva abbandonato all’istante. Non aveva dimenticato quel giorno, ma aveva dimenticato quanto i ricordi più belli fossero così vicini a quelli oscuri del loro passato. Fu proibito ai giovani nani di avanzare pretese, da quel giorno, per quanto riguardasse la forgia. Thorin non li fece lavorare nelle miniere per diverse lune e quando vennero ritenuti pronti dovettero essere guidati dagli Anziani più esperti.
Più hai la barba corta più c’è pericolo che prenda fuoco.
Era un detto che non aveva mai capito, ma c’era tempo per le risposte. Glielo dicevano sempre tutti. Berit fu costretta a imparare l’artigianato e l’intaglio dei gioielli, a detta sua una noia che neanche l’oratore AsciaD’Acciaio faceva raggiungere ai poveri disgraziati che dovevano sorbirsi il suo ciarlare sugli elfi dell’Ovest.
«Buon auspicio un corno, maledetta capra.» Sbottò lei con enfasi, colpendosi le ginocchia con una manata.
Quando lui si voltò a guardarla notò che lo stava guardando con un sorriso convinto. Lui rimase basito, interdetto e rapito nello stesso istante. Fece per ricambiare ma quella s’alzò in tutta fretta, buttandogli lo straccio addosso. Non capiva se era un invito a pulirsi o semplicemente un dono. 
«Vado dal cappellaio che già lo vedo con l’occhio sopito.»
Fili non fece in tempo a ribattere niente. La vide raggiungere Bofur e calargli una pacca sul cappello. I due si misero a ridere per qualcosa che Fili non riuscì a sentire e sospirò amareggiato. Non era un segreto che Berit e Bofur fossero, come si suol dire, Ascia e Nano insieme eppure non poteva fare a meno di sentirsi da meno.
Kili glielo diceva sempre “Fratellone, lei non ha bisogno di quei sentimenti strani che vorresti avere…tu. Quindi lasciale i suoi spazi.” Lui non aveva problemi a lasciarle i suoi spazi. Aveva problemi solo quando i suoi spazi erano gli stessi di Bofur. La cosa gli provocò un moto di gelosia che lo pervase e la cosa non gli piacque per niente. S’affrettò a coricarsi insieme al fratello, faticando a prendere sonno.



Erano passate tre, quattro ore probabilmente. Bofur era ancora sveglio, con la nuca rivolta alla parete e Berit che dormiva con la guancia sulla sua spalla.
Era bello che avesse preferito dormire lì.
Avevano parlato pochissimo. S’erano lasciati bastare un “meno male che sei vivo, quelle sessanta monete le voglio” risposto da un “la scommessa la perdi questa volta, razza di avida”. Poi lei prese a fare strane mappe col carboncino prima che il sonno la prendesse. Bofur avrebbe voluto poggiare la propria guancia sul suo capo ma fu una cosa che evitò accuratamente di fare. Non era un gesto sensato, non adesso e non cosìE poi non doveva abbassare la guardia, quelle grotte non gli piacevano per niente. 
Bilbo sfilò davanti a lui in silenzio e per poco non fece ruzzolare a terra Berit come una pera  per lo scatto improvviso che fece.
«Dove credi di andare?» Sussurrò il nano, posando la nana a terra con calma e issandosi per andare verso lo hobbit.
«Io torno a Gran Burrone.»
«No. Tu fai parte della Compagnia, non puoi andartene.»
«Davvero? Davvero ne faccio parte? A...Avanti Bofur, lo sai. Sai che sono solo un semplice hobbit. Non so combattere e non so prendermi cura di me stesso nelle Terre Selvagge. Thorin ha ragione io…io non sono fatto per questo. Sarei dovuto rimanere con Elrond.»
«Ma noi stiamo combattendo per qualcosa di giusto..capisco che hai nostalgia di casa, davvero io…»
«No, tu non capisci. Non puoi. Nessuno di voi può, siete..siete dei Nani. Non avete una vostra casa, non appartenete a niente.»
Bofur smise ben preso di trattenere quel sorriso solidale verso Bilbo e lo hobbit sentì il peso di quello sguardo nello stomaco. Di nuovo quell’espressione dura, da vero nano di Montagna. 
Non togliere mai più il sorriso a Bofur.
Si sentì sovraccarico di una tensione pesante. Qualche ora prima Bofur gli aveva fatto dono di alcuni pensieri e lui li stava letteralmente pestando con brutalità sotto i piedi. Non era un classico comportamento da Baggins, ma era troppo stanco anche per mantenere il controllo.
«Scusami..io…dopo tutto quello che…sono stato una carogna, non volev-»
«Sapevo che qualcosa non andava, prima. I Nani riconoscono quel tipo di sguardo…quando qualcosa ci manca tendiamo a portarlo come un’incisione sul volto. Abbiamo provato a risollevarti un po’ il morale ma…» Fece una minima pausa, guardando verso i suoi compagni. «Tu hai ragione.. non apparteniamo a niente.» Prese un sospiro che lo portò a sorridere di nuovo. Ma era un sorriso triste. A Bilbo gli si spezzò il cuore. Avrebbe preferito qualsiasi altro Nano al posto di Bofur, in quel momento. Non sarebbe stato così difficile.
«Ti auguro tutta la fortuna del mondo. Dico davvero.» Il nano gli accarezzò la spalla e Bilbo gli sorrise. Lo fece con tutta la solidarietà di cui quel piccolo corpo era capace. Fu una cosa di pochi secondi. La spada nella fondina dello hobbit aveva preso a riflettere una luce blu. Bofur se ne accorse per primo. Quando Bilbo la sfilò quella spada stava illuminando tutta la grotta. Fu allora che la terrà cominciò a tremare, spaccandosi a metà. Thorin fu il primo a scattare con la schiena, alzandosi, ma non fece in tempo a svegliare i nani che si ritrovarono a scivolare dentro la crepa, sparendo nel buio.

 
Bilbo era ai piedi della roccia, guardava verso il fiume a sud mentre da lontano le fiamme di Smaug creavano una  piccola torcia radicata sulle palafitte.
La città di Esgaroth stava bruciando e i Nani rimastia Erebor stavano fissando la scena col fiato in gola. Erano sporchi di terra e fuliggine, ansimanti e la
pelle lucida s’impallidiva al chiarore della luna. Thorin era l’unico rimasto in disparte, lo sguardo rivolto dall’altra parte, verso la Sala oltre la porta principale.
«Dobbiamo andarli a salvare. È colpa nostra..solo colpa nostra. Noi…dobbiamo fare qualcosa.» Balbettò Bilbo, finendo in mezzo agli altri che lo guardavano sgomenti.
L’hobbit non vedeva più gli occhi coraggiosi dei compagni di viaggio. Gli sembrarono spenti e arrendevoli. La cosa non gli piaceva per niente. Con un’irruenza poco tipica per uno hobbit s’avvicinò a Berit. Era una di quelli messi peggio, del sangue raffermo le aveva sporcato la fronte ed era convinto si fosse rotta un braccio. Lei era l’unica che non si era voltata a guardarlo mentre parlava.
«Ci sono i nostri amici lì…e tutta quella gente. È grazie a loro se siamo qui, non possiamo abbandonarli. Non è un comportamento onorevole. Non- sapete che non lo è.»
I Nani borbottarono qualcosa. Balin si voltò verso Thorin e sospirò affranto, abbassando il capo bianco. Non era più tanto bianco dopo tutto quel fumo.
«Vi..prego.» Continuò Bilbo, fissandosi su Dwalin e Balin.
«Bilbo.» Berit adesso parlò, spostando lo sguardo sullo hobbit. La vide annuire con fermezza nonostante lo sguardo cupo e lucido. «Ci stiamo. Partiamo.»
Bilbo annuì di rimando, alzando il mento verso la città bruciante. Quelle stesse parole le aveva usate Bofur, quando Thorin aveva accettato la presenza dello hobbit nel contratto.
Che strani ricordi improvvisi che vengono in mente quando la paura divampa.



* una sorta di "le avrei fatto un applauso" in versione nanica.


 

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Capitolo 7
*** Dalla padella... ***


Capitolo 7.
Dalla padella...




Erano tutti raggruppati stretti da un branco di Goblin e Orchetti e schifezze di quel genere mentre quella specie di Grande Orco con la pappagorgia – davvero orrorifico – cantava una canzone con aria allegra. Per quanto potesse sembrare allegro un essere talmente malevolo.
Dopo una scivolata senza fine erano atterrati nella Città degli Orchi, uno sopra l’altro, tanto che quando vennero caricati di peso da quella flotta maleodorante e putrida non riuscirono a controbattere al massimo delle loro forze. Gli avevano rubato tutte le armi e, con un “tante grazie Nori”, pure dei gioielli elfici, classificandoli come amici delle Orecchieapunta. Berit non riusciva più a vedere Bilbo da nessuna parte ed era rimasta vicino a Bofur nonostante fosse Fili a tenerla per un braccio. Quel posto era immenso, pieno di ponteggi in legno. Migliaia di goblin erano appesi ovunque, sulle pareti rocciose, lavorando e strillando con fare molto più rumoroso di un qualsiasi Nano. Nell’aria c’era un odore marcio, niente a che vedere con le miniere scavate dai loro avi.
«Vi prego, qualcuno faccia finire questa oscenità…» Kili digrignò i denti in una smorfia.
«Magari se continua a cantare si strozza.» Azzardò Berit, subito pungolata da un essere minuscolo con i denti acuminati
«Se fa un altro passo di danza il ponte crolla, io ve lo dico.» Borbottò Bofur, disincastrandosi dalla pancia di Bombur, dopo che un orco li spinse entrambi in avanti.
Senza rendersene conto cercò a tentoni la mano di Berit, costringendola a seguirlo in quella spinta. Non si erano neanche guardati eppure entrambi intrecciarono le dita tra loro in una presa salda. Furono addosso a Thorin e a Balin in un attimo, dopo che vennero spintonati in avanti. Oin aveva appena assistito all’omicidio della sua tromba per sentire.
«Cosa ci fate voi quaggiù, nel mio regno? Parlate in fretta e cercate di dirmi la verità, feccia nanica.» Grugnì il Grande Orco.  Aveva smesso di cantare e si era seduto su un trono che aveva tutto l’aspetto di non reggerlo pienamente. Aveva pure un bastone come scettro, mica robetta.
«Devi alzare la voce se vuoi delle risposte. I tuoi mi hanno rotto la tromba.» Oin s’era messo davanti al gruppo e guardava l’Orco senza un minimo di paura, impettendosi. In mano teneva la sua tromba appiattita.Il padrone di casa non era dedito a troppe cordialità. Piantò il bastone a terra e scivolò giù dal suo trono con un passo pesante e la voce cavernicola.
«Romperò ben altro che la tua tromba!» Sbraitò quello, dando una manata all’aria e avvicinandosi ai Nani con irruenza. Subito Bofur si staccò dalla mano di Berit e si ritrovò davanti ad Oin, capeggiando la fila.
«Se sono delle risposte che vuoi allora io posso dartele. Concise. Chiarissime.» Bofur azzardò, stringendo le dita in due pugni ferrati. 
Berit trattene il fiato e fece per scattare in avanti per fiancheggiare l’amico ma Fili la trattenne per il braccio. S’accorse solo ora che il Nano biondo s’era appeso a quella morsa con una presa salda.  Si voltò a guardarlo con aria smarrita e lui rimase per un attimo a soppesarla prima di avvicinarsi al suo orecchio.
«Non mostrare mai le tue debolezze.» Sussurrò quello, evitando di farsi vedere dai Goblin. «Potrebbero notarlo e sfruttarlo a loro vantaggio.»
Berit annuì in silenzio e ritornò a guardare la schiena di Bofur con prepotenza. Stessa espressione che mantenne verso l’Orco che fissava il nano in attesa di un suo avvincente racconto.
"Per Aule, quegli occhi te li strappo."
Uno di quegli esseri marroni continuava a spintonarla contro Fili e si ritrovarono schiacciati contro Kili. Quello era spintonato da un altro Orco così che erano tutti stretti , costringendoli a movimenti minimi. Stava diventando fastidiosa questa cosa. Ori strinse l’altro braccio libero di Berit e Dori fece altrettanto con quello di Ori.
Intanto il grande Orco era ritornato a sedersi.  Si era lasciato andare ad una posa da far invidia ad un adone, lasciando distesa una gamba tozza.
«Allora eravamo su questa strada. Più che una strada era un sentiero.» Bofur cominciò, perdendosi a guardare qualcosa di indefinito. Berit aveva chiuso gli occh,
Dwalin e Balin lo guardavano con aria scettica.
«Anzi diciamo un viottolo. Quindi eravamo su questa strada, tipo sentiero, tipo viottolo e…poi non c’eravamo. E questo è un problema perché dovevamo trovarci a Dunland giorni fa..*» sfumò la frase quando vide l’Orco grugnire con sibili sinistri.
«A trovare dei parenti, sì.» Intervenne Dori per dargli manforte, spuntando fuori dalla bolgia.
Berit non sapeva se ridere o piangere. Un pensiero che stava attraversando anche la mente di Thorin, in quel momento.
«Endogamici. Da parte di mamm-» non riuscì a finire la frase che subito l’Orco ritornò a far vibrare il ponte con un tonfo secco, avanzando verso di loro con rabbia. Quei pioli tremavano tremendamente.
«Fate silenzio! Sono stufo! Ora vi-»
«Aspetta.» La voce di Thorin tuonò da dietro i suoi compagni e si mostrò alla volta del Grande Orco.Il Re sotto la Montagna, per quanto fosse piccolo come gli altri si ergeva dinnanzi alla Compagnia con una fermezza solida. La stessa che mantenne quando l’Orco lo riconobbe, mostrando una visibile contentezza per la presenza di quel Nano.
Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror… il nemico giurato dell’Orco PallidoUn Orco che Thorin sapeva essere morto nella battaglia per la salvezza di Moria.
Ma quando il Grande Orco smentì quella convinzione Thorin finì per cedere quella maschera stoica per un secondo e l’Orco mandò via un messaggero ghignante.
Due ombre scure dilaniarono lo sguardo del Re sotto la Montagna, il corpo si era riggidito in una morsa di nodi. Gli Orchi che aveva intorno lo pungalorono fino a piegargli le spalle.
Azog, l’Orco Pallido, avrebbe pagato un buon prezzo per avere la testa di Thorin Scudodiquercia: colui che lo aveva dilaniato in battaglia dopo che questo aveva ucciso Thron, suo nonno.
Mai mostrare le tue debolezze.
"Fili, quando hai ragione, hai ragione", pensò Berit, ritrovandosi ad artigliare Bofur per un polso e tirarselo indietro. Quello la guardò per un attimo prima che le parole dell’Orco infierissero maggiormente su Thorin. Strinse la stoffa della veste di Bofur e rimase a guardare il volto di quella bestia immonda con una riluttanza e una ferocia che le affilava lo sguardo. Erano tutti disgustati. Non v'era alcun onore nelle gesta degli Orchi e ancor peggio, erano risoluti a mantenere salda una ferocia che non dava adito alla benevolenza. Non se ne stupirono, ovviamente. Gli Orchi erano i peggiori nemici dei Nani, molto più di qualsiasi altra razza.
Tutti quei goblin non facevano che urlare contenti mentre li spingevano e li pungolavano da una parte all’altra. Bombur riuscì a farne cadere uno con un colpo di reni, neanche voluto. Gloin continuava a borbottare in khuzdul, spintonando via gli orchi che lo tiravano per la barba rossa.
Fu allora che l’Orco riprese – con grande orrore di tutti – a ballare e a cantare.
«Dobbiamo fare qualcosa.» Incalzò Kili, avvicinandosi di più a Berit. Soffiava aria dal naso per il nervoso. Fili lo affiancò e portò lo sguardo verso le loro armi ai piedi del trono di vostra Malevolenza.
«Se proviamo  a spingerli di lato…?»
«Rischiamo di cadere noi stessi.» Ori guardò gli amici e Oin gli venne dietro.
«Dobbiamo riprenderci le armi, in qualche modo.»
«Se riuscissi ad andare avanti, magari…» intervenne Nori.
«Ehi voi! Cosa state confabulando, con le vostre cespugliose barbe, mh?» Uno di quegli esseri prese a tirare per la tunica Bofur e Berit gli diede una gomitata in faccia. Fu subito assalita da un altro goblin bitorzoluto, che la tirò per i capelli. Bofur stava per colpirlo ma l'Orco la spinse via e Berit finì addosso a Fili.
Il Nano biondo la cinse con le braccia, trattenendola ferma. Bofur si ritrovò a spostare lo sguardo tra quella scena e ciò che stava succedendo con il Grande Orco perché quello, insieme alla sua truppa reverenziale, si misero a urlare come un matti, disturbati da qualcosa. L’Orco grande si rintanò sopra il suo trono, spaventato.
«È una Fendiorchi quella!» Sbraitò, indicando la spada elfica che giaceva a terra.
«Uccideteli! Uccideteli tutti! Decapitateli! Dilaniateli! Fate fuori questa feccia di Nani! Rinchiudeteli nell'oscurità e fateli marcire tutti quanti!»
E lì le urla stridule si legarono ai colpi delle corde che scoccavano nell’aria.
Gli orchi furono subito addosso ai Nani e quelli tentarono di sgusciare dalle loro grinfie come poterono; i maledetti avevano sciabole e bastoni per colpirli.
Thorin era stato atterrato da un gruppo di orchi proprio davanti alla Compagnia e Berit spinse via Fili – l’unico che ancora l’arpionava in una morsa – tentando di scavalcare un Orco. Dwalin grugnì qualcosa di poco carino, tirandole via di dosso due di quegli essei ma lei aveva lo sguardo allarmato.
«No no, Thorin!» Quell’urlo richiamò Balin, e Dwalin arrancò su un altro Orco. Il nano lo colpì con una testata ma l'urto lo fece  arretrare. Non c'era spazio per una lotta né tantomeno per una via di fuga. Ori si rintanò dietro Dori ma venne colpito più volte alla schiena. Berit tornò vicina a Bofur, trattenendo il respiro, ma qualcuno li spintonò via. Ruzzolarono a terra e poi non videro più nulla.
Una potente luce verde si sprigionò da un punto della grotta facendo cadere tutti a terra. Alcuni Orchi vennero spazzati via come un pugno di piume. Il rimbombo del suono ovattò tutto il resto, portando uno stordimento generale. I Nani ripresero lucidità quasi subito e Thorin fu il primo a guardare nell'ombra.
La figura delineata dello Stregone sarebbe stata riconoscibile ovunque.
Avanzò verso di loro mentre la luce del suo bastone cominciava a diramarsi del tutto. Gli Orchi erano ancora spaesati quando Gandalf urlò.
«Prendete le armi! Combattete!»


Stavano correndo a perdifiato per i ponti in legno traballanti, discendendo il  tunnel. Gandalf in testa, seguito da tutti i Nani e dagli Orchi dietro di loro.
Il rumore dei loro passi non smorzò le urla che quelle bestie rigettavano, rimbombando nella roccia. Infastidivano l'udito ma quel suono stridulo manteneva alta una determinazione valorosa nei cuori dei Nani.Non sarebbe stato l'ultimo suono che avrebbero udito, per tutto l'oro della terra di mezzo.
Avevano ripreso le loro armi - lanciate con grazia da Nori e Bofur - e ora colpivano e combattevano senza un attimo di tregua. Berit tratteneva il suo martello a due mani, spaccando il cranio degli orchi con colpi obliqui e fendenti. Ansimava per la corsa e le mani cominciarono a sudarle. Riuscì a colpire un orco sul capo prima che questo saltasse addosso a Bofur e lei stessa venne salvata da Kili che aveva incastrato un bel quantitativo di Orchi con una scala, spingendoli fuori dai bordi.
Persino Ori aveva depistato alcuni di loro fiondandoli con sassi e qualsiasi oggetto di cui disponeva. Dwalin e Dori gli stavano di fianco, colpendo quanti più Orchi possibili.
Gandalf, con un colpo del suo bastone, riuscì a staccare un pezzo di roccia che rotolò davanti a loro, schiacciando i goblin che gli ostacolavano la strada.
In tutto ciò Berit continuava a essere circondata da Fili, in preda da attacchi fin troppo eroici. Lo vedeva saltare per colpire gli orchi prima di lei, ad uno lo pugnalò proprio davanti al suo volto. La prendeva per un braccio quando la vedeva restare indietro.Sembrava risaldasse la presa quando Bofur si girava per cercarla con lo sguardo. Che cosa stesse facendo non era chiaro ma i movimenti cominciavano a essere troppo scoordinati e lenti, i riflessi stavano venendo meno.
«Fili!» quella urlò appena in tempo.
Per colpa di una sua distrazione un Orco lo aveva placcato, il fatto che lui la tenesse per un braccio non aiutò entrambi con l’equilibrio, quindi ruzzolarono da un lato proprio mentre Bombur – rivestito di orchi -  decise di cadere sul ponte con un tuffo a pallaIl legnò si spezzo e piombarono sugli orchi di sotto, rialzandosi con una fatica disumana. Alcuni erano rimasti offesi grazie alla mole di Bombur, altri erano addirittura scivolati dai bordi. 
Kili corse loro dietro, afferrando Fili per la tunica. «State bene ragazzi?! Dobbiamo andare, muoviamoci!»
Ma Berit aveva afferrato le armi cadute, avvicinandosi a Fili con passo pesante. Era rossa in volto e respirava malissimo.
«Ma sei diventato un mentecatto di colpo? Mahal, che gran casino, per la barba di Balin!» Riuscì a dire un secondo prima di spingere la spada del Principe contro il  suo petto con irruenza. Subito dopo rinsaldò la presa sulla sua arma. «Stupido biondo, devi tenere gli occhi aperti non solo per sfarfallarli.» Gli smollò un sorriso sul finale prima di riprendere a correre dietro il gruppo.
«Dai - dai Fili andiamo.» Incalzò il fratello minore, rosso in volto, tirandolo per il braccio. Colpì un paio di Orchi con un bastone, facendoli cadere di sotto. Fili si sentiva scosso e acciaccato. Ma la testa cosa gli aveva preso? Troppo attento a controllare che Berit le restasse accanto che stavano per morire entrambi.
Non poteva fare passi falsi, non lì, non in questo assurdo modo. Insieme agli altri erano riusciti a raggiungere un ponte, uccidendo e spingendo via l’ultima feccia, seminando gli altri nemici dietro di loro prima nell’incurvatura che il Grande Capo spuntò da sotto il legno, bloccandogli la strada.
La sua mole copriva ogni possibile passaggio di fuga.

«Oh bene bene bene. Dove credete di andare, Nani?»
Lo Stregone non se lo fece ripetere due volte. Lo colpì col bastone e con la spada, aprendogli la pancia. Con grande sollievo dei Nani non fuoriuscirono le budella quando quello si spappolò a terra, esanime. Il legno prese vertiginosamente a scricchiolare, piegandosi.
«E dì addio alle tue danze abominev-» ma Bofur non fece in tempo a finire quella frase a effetto che il ponte si staccò dai cardini e cadde nel vuoto.
Fu una caduta piuttosto lunga e difficoltosa. Il ponte scivolava sulla roccia, facendo partire schegge di legno ovunque. Erano rimasti aggrappati a tutto ciò che c’era su cui tenersi, fino a che la struttura non si incastrò su delle pietre, nel fondo della Montagna. Si levarono dei lamenti considerevoli viste le posizioni improbabili in cui caddero. Nessuno sembrava lamentarsi di qualche osso rotto, almeno.
«Poteva andare peggio.» Appena Bofur finì la seconda massima della giornata, il Grande Orco crollò su di loro, schiacciandoli a terra con tutto il suo peso.
«Bofur, ti prego, non dire più una parola.» Si lagnò Fili, scivolando fuori dal legno
I nani più a fondo rimasero incastrati sotto le macerie, riuscendo a liberarsi solo con l’aiuto di Gandalf, condendo di insulti fioriti quella particolare situazione.
Fu Kili a dare l’allarme, guardando verso l’alto. La schiera di Orchi – troppi, veramente troppi -  stava imperversando su di loro in massa.
Gandalf riuscì a ripescarli tutti e a farli fuggire dall’apertura che s’apriva dinnanzi a loro. Uno spiraglio di luce rinfrescava l’aria indigesta che continuavano a respirare
«Berit? Berit, stai bene?» Bofur prese Berit e cercò di trascinarla via per un braccio ma lei si discostò con uno strattone, afferrando meglio il martello. Non riusciva più a correre e il braccio le faceva male.
«Oggi ce l’avete tutti con queste mani, eh?» Rimbeccò senza più fiato nei polmoni, asciugandosi il sudore con il dorso del guanto. Sgusciò fuori dall’apertura, seguendo Gloin prima di lei, verso la luce del sole.
Bofur rimase senza parole a fissarla, ombreggiando il volto in una smorfia dispiaciuta. Corse fuori insieme agli altri, seminando i Goblin nel loro buio.
Proprio una splendida giornata.
Stavano per ridiscendere dalla roccia, aguzzando la vista verso la barca che galleggiava sulla superficie del fiume.
La luna regalava un'atmosfera macabra mentre l'acqua veniva scossa a riva, cozzando col legno della barca. 
Ma Thorin fu categorico nella sua posizione. Il volto pallido si era oscurato di un'ombra diversa. Bilbo non riconosceva più la brillantezza dei suoi occhi. Vedeva il tormento di un cuore che stava perdendo tutto. Di nuovoNon venne scosso nemmeno dalle lacrime dei suoi Compagni, il loro cuore lacerante traboccava di un cordoglio silenzioso. Alternavano gli sguardi tra le fiamme in lontananza e l'entrata di Erebor. Due luoghi così distinti, chi nella fierezza di una stirpe perduta, chi nella speranza di una nuova salvezza e loro erano nel mezzo di una strada che non prevedeva cambiamenti. Era avanti o indietro, il sentiero, non c'erano scelte.
«Nessuno si muove da qui.»
Il Re aveva parlato.



* preso dalla versione estesa del primo film. Paripari.

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Capitolo 8
*** Un grazie alle Aquile ***


Capitolo 8.
Un grazie alle Aquile




Bilbo era stato graziato.
Il pensiero di aver lasciato la Contea con troppa impulsività lo tormentava ogni giorno sempre di più e si maledisse più volte per non essere riuscito ad andarsene dalla grotta poco prima che il terreno cedesse. Se non avesse incontrato Bofur, probabilmente, sarebbe stato tutto più semplice.
Eppure non faceva che ripensare alle sue parole e per quanto quelle di Thorin capeggiavano nella sua mente affollata, si domandò più volte se l'avrebbe fatto sul serio.
Avrebbe abbandonato la Compagnia di Thorin Scudodiquercia?
Sarebbe potuto tornare a Gran Burrone senza che il senso di colpa lo attanagliasse?
Poco tempo fa ne era più che sicuro. Elrond gli aveva proposto di restare nell'Ultima Casa Accogliente poco prima che fuggissero dalle loro mura senza farsi vedere.
Non lo aveva fatto per due motivi inizialmente: Berit e Bofur lo avevano preso in contropiede con un risveglio al di fuori delle sue più umili aspettative e, secondo, perchè aveva sentito Elrond parlare di Thorin e della maledizione dell'oro di Erebor. Una potente malattia fluiva nel sangue dei Durin, una malattia che aveva portato Thron alla follia. Thorin era alle sue spalle e se quella conversazione mise a disagio lui stesso, non osò immaginare il cuore del Re cosa stesse provando.
Si era deciso che quella era la decisione giusta ma quando Thorin sibilò quelle parole non fu più sicuro di nulla.
«Non saresti mai dovuto venire.»
E lo pensò mentre cadeva nelle profondità della Montagna. Lo pensò quando si ritrovò a sfuggire alla presa dei Goblin e lo pensò quando cadde di nuovo, più a fondo, fino ad una sorgente d'acqua racchiusa nella roccia. E mai, più di allora, lo pensò quando incontrò l'essere che vi abitava.  
Lo aveva visto cibarsi dell'Orco con cui Bilbo era caduto, spappolandogli il cranio con una roccia e parlava, graffiando la gola con quei suoni osceni che tormentavano le orecchie. Erano in due che parlavano in un solo corpo e sembravano riferirsi - entrambi - ad un unico tesoro.
Aveva trovato qualcos’altro, lì sotto, oltre la presenza di quella figura ingobbita e grigia.
Un anello. Un anello pesante e prezioso. Era stato trattato con cura dal suo padrone originario. Quel Gollum.
L'anello era caduto da una rientranza dell'unico indumento smunto che gli lambiva i fianchi. Non sapeva perchè lo aveva preso ma era stato un gesto istintivo.
Il secondo gesto istintivo fu cercar con lo sguardo una via d'uscita ma quelle grotte erano buie e non trovava sbocchi d'aria.
Non ci volle molto prima che Gollum lo vedesse
Dall'aspetto non sembrava tanto più grosso di Bilbo ma il corpo era gobbo e camminava a carponi. La pelle era attaccata alle ossa che sporgevano come stecchi, rachitico e smilzo. La testa era grossa, così come gli occhi. Non aveva molti denti e pochi fili di capelli gli pendevano dalle orecchie appuntite.
Non si soffermò troppo a pensare su cosa potesse essere quello sgorbio perchè si ritrovò a combattere per la sua vita con una...gara di indovinelli. 
Indovinelli, proprio quelli.
Bilbo aveva preso in contropiede la voce che lo stava a sentire - l'altra che parlava non era per niente socievole - e aveva tentato di aggrapparsi a quell'unica speranza. Se avesse vinto, Gollum sarebbe stato costretto a mostrargli la via d'uscita. In caso contrario sarebbe stato mangiato.
Un accordo proprio equo e solidale, pensò Bilbo.
Aveva vinto grazie a quell'anello, tenuto ben nascosto nella tasca della giacca. E aveva corso a perdifiato tra le aperture strette della roccia, sfuggendo all'ira di quell'essere quando aveva "capito" che qualcosa in tasca ce l'aveva sul serio. Qualcosa che apparteneva a lui. Qualcosa di molto prezioso.
Il suo tesoro.
E fu durante la fuga che scoprì il perchè era tanto caro all’enigmatico Gollum. Lo infilò per pura casualità, scivolando a terra e quando l'anello aderì al suo dito tozzo...Bilbo scomparve. Non si rese conto subito, in realtà. Il mondo c'era, le rocce erano sempre quelle e la voce di Gollum lo torturava da dietro le spalle.
Ma era tutto diverso. Appariva sfocato, come un sogno nebbioso che fatichi a ricordare da sveglio. 
Quell'anello era magico e solo uno sciocco non avrebbe approfittato di quell'occasione. Successe piuttosto in fretta la sua uscita dalla Montagna.
Evitò di approfittare della sua invisibilità per uccidere Gollum - quello sguardo mancante- così lo aveva chiamato Bofur nella grotta, lo aveva inciso sul volto come un marchio. Non era riuscito a levargli il respiro, nonostante gli puntasse la lama alla gola. Quello sguardo lo desistette. Aveva tolto a quell'essere l'unica cosa che avesse mai veramente amato.
L'unica cosa che avrebbe mai potuto dargli un minimo di sollievo. Non credeva che vivere nelle profondità umide, nascosto dai Goblin, potesse mai portare sollievo.
Neanche a Gollum. Lo scavalcò con un salto quando intravide i suoi amici fuggire dall'apertura della Montagna e corse via. Non si voltò indietro quando Gollum urlò straziante tutto il suo dolore. La sua rabbia.
L'odio per Bilbo Baggins. 


«Bilbo reggiti!»
Urlò Berit da un lato mentre l'aquila planava nel cielo, trattenendo le ali piatte e perpendicolari. Scivolò sotto quella di Bilbo e si stagliò tra le nuvole. Le altre quindici aquile volavano intorno alla sua e trasportavano i suoi amici. Una di loro reggeva Thorin tra le zampe, rimasto ferito dall'attacco di Azog. Era successo il finimondo dopo che riuscì a fuggire dalla porta della Montagna. Aveva ritrovato i suoi compagni di viaggio, poco dopo averli sentiti parlare di lui. Ciò che pensava Thorin della sua presenza nella Compagnia non era cosa nuova. Sospettava che Bilbo fosse scappato come un codardo e la cosa peggiore è che ci mancava davvero poco che lo facesse davvero. Ma non era più il momento di ripensare a Casa Baggins. L'incontro con Gollum gli aveva aperto gli occhi.
Non poteva capire cosa celasse il cuore di qualcuno quando veniva privato da un tesoro immenso. Quei Nani erano stati privati della loro casa, della loro stirpe. Doveva aiutarli, ora ne era sicuro più che mai. Non importava se Thorin non ne era convinto. Gli era bastato il sorriso sul volto degli altri Nani quando era riapparso dal nulla. Non aveva detto loro dell'anello, neanche a Gandalf, non era importante. Non quanto gli ululati che sentirono poco dopo.
Si erano ritrovati a fuggire verso l’alta vegetazione, ritrovandosi in un vicolo cieco. Alcuni alberi costeggiavano il bordo della roccia che cadeva in un dirupo ed erano stati costretti a salire sui rami spogli. Quando i mannari arrivarono ci fu il tormento. Quelle bestie spingevano i tronchi fino a piegarli sulle loro stesse radici.
Azog fu il colpo di grazia.
L'Orco Pallido era ciò che di più brutto Bilbo avesse mai visto. E aveva appena visto Gollum quindi ne sapeva abbastanza. Bianco e grosso, mutilato al braccio sinistro sostituito da della ferraglia che non gli rendeva per niente grazia. Parlava con voce profonda e oscura; una lingua che lo hobbit non aveva mai sentito in vita sua.
Era lì per Thorin e lo sapevano tutti.
Gandalf riuscì a prendere tempo cominciando a bruciare delle pigne per lanciarle contro i mannari che gli Orchi cavalcavano. Si fece aiutare dagli altri Nani ma il gioco stava prendendo una brutta piega. Gli alberi erano ceduti e solo l'ultimo era riuscito a rimanere immerso nel terreno. Erano tutti lì, con l'albero che si piegava alla forza delle bestie e fu allora che Thorin discese per fronteggiare Azog. Se non fosse stato per Bilbo - armato d'un coraggio nuovo, non c'è che dire - Thorin sarebbe morto tra le grinfie di quell'essere. Fili e Kili tentarono di aiutarlo, sfuggendo dai rami per andare incontro ad un combattimento diretto. Gli altri Nani non facevano altro che lanciare le pigne infuocate di Gandalf, isolando gli animali al di là delle fiamme. Ori e Dori erano scivolati e stavano per cadere nel vuoto; lo Stregone era riuscito a riacciuffarli in tempo. Berit e Bofur si prodigavano in insulti da battaglia mentre lanciavano le pigne alla volta dei mannari, Bofur aveva rischiato di cadere giù dal ramo per colpa di un passo falso di Bombur ma erano riusciti a rimanere tutti in equilibrio. Le fiamme mangiavano quella poca vegetazione rimasta e Bilbo aspettò che la fine arrivasse per tutti. Ma poi qualcosa nell'aria scivolò dai cieli e la situazione si ribaltò.
Un suono acuto risuonò nella valle e dai cieli ingrigiti scesero come uno stormo, volteggiando nell'aria.
Aquile. Grandissime aquile che planavano su di loro.
Presero i mannari tra le grinfie e li buttarono giù nel precipizio. Poi arrivò la salvezza per i Nani tra i loro artigli. Bilbo fu uno degli ultimi a essere portato in salvo. Non durò molto quella convivenza perchè fu subito gettato sul dorso di un'altra Aquila. Vedeva la roccia farsi sempre più lontana, ma il suo sguardo era solo per Thorin ora. Non dava segni di vita, tra le zampe dell'Aquila primaria.
Non se ne rese conto fino a quel momento, ma sperò con tutto il suo cuore che fosse ancora vivo. Era buffo il bisogno di certezze, quando si aveva paura.





Avevano acceso un fuoco per la notte e si erano tutti appollaiati sopra la roccia, stringendosi nelle vesti. Le Aquile gli avevano portato della selvaggina che avevano cotto e mangiato con appetito. I loro salvatori li avevano liberati in quello spiazzo qualche ora prima e Bilbo si chiese come mai non fossero stati lasciati in un posto più comodo da cui scendere, ma Gandalf gli rifilò un «non tutte le domande devono avere risposta, caro Bilbo» e aveva smesso di fargliene.
Thorin era sopravvissuto grazie all'aiuto di Gandalf ma la cosa assai più sorprendente è che aveva ringraziato Bilbo di avergli salvato la vita. Si erano stretti in un abbraccio che stava per far commuovere lo Stregone stesso e ora l'umore dei Nani era salito alquanto. Mancava ancora un lungo viaggio per raggiungere la Montagna Solitaria ma sapevano che ce l'avrebbero fatta. Forse c'era fin troppo ottimismo in quel particolare momento ma notarono che era piacevole viziarsi con quella sensazione, così si riposarono per quella sera, decidendo di riprendere il viaggio il mattino seguente.
Bofur stava staccando un pezzo di carne da un rametto, rimasto seduto da un lato. Bombur era di fianco a lui, intento a spilucchiare un coniglio. Nonostante mangiasse di tutto, controllava sempre che il suo cibo fosse cotto al punto giusto. Amava la cucina buona e come dargli torto.
«Bofur.» Berit era in piedi davanti a Bofur. Teneva un bastone in mano e aveva l'aspetto di una che aveva appena lottato contro un branco di cani inferociti.
Aveva dei graffi sul volto e i capelli sporchi di terra, eppure sorrideva con aria allegra. L'altro si limitò a rimanere silenzioso, nonostante le sorrise in risposta.
Non c'era stato modo di fare molta conversazione, vista tutta la baronda che era successa, ma ancora serpeggiava nella sua testa quel piccolo particolare
che aveva condito quell'infinita giornata con qualcosa di fastidioso. 
«Posso deliziarvi con la mia presenza, fratellini?» Incalzò quella, guardando sia lui che Bombur.
Il nano rosso e panzuto annuì con gioia, picchiando sul masso con una mano. «Stavo giusto per andarmi a prendere un altro pezzo di coniglio, siediti pure qui.»
«Oh Bombur. Me l'hai tenuto al caldo: sei un vero amico.» Scherzò quella con aria bonaria. Quello, in risposta, le diede una carezza sulla spalla - diciamo che la carezza sembrava più una pacca ben assestata - e s'avvicinò al fuoco. Lì intorno c'erano Ori e Dori che parlottavano con aria allegra. Fili non si vedeva da nessuna parte e Kili era intento in una conversazione tutta concitata mentre Bilbo e Thorin lo osservavano con interesse.
Gandalf se ne stava dietro le spalle dei Nani a fumare con aria serena, ridacchiando nei punti giusti, silenzioso ma attento come un buon vigilante. 
«Pensavo...fossi arrabbiata.» Mormorò Bofur, riabbassando lo sguardo. Quando quella gli si sedette di fianco sentì forte l'odore della terra. A lui piaceva quell'odore, non amava particolarmente le fragranze dei fiori o degli oli profumati. Era strano pensare che vi fossero razze che, di quei profumi, ne facevano una dottrina, non ne vedeva il bisogno. 
«Arrabbiata?» L'altra si voltò verso di lui con sguardo perplesso. Prese un pezzo di carne dal rilievo della roccia e appoggiò il suo bastone a lato.
«Sì sai, nella... »
«Accidenti se è buona! Quelle Aquile sanno il fatto loro.» Lo interruppe lei, staccando un pezzo di carne coi denti. Bofur allargò lo sguardo scuro su di lei. Berit non aveva molta grazia nel mangiare, questo lo sapeva, eppure quella sera sembrava si degustasse il cibo in maniera diversa. Ci riprovò a ricalcare il discorso, quando Berit interrompeva una frase voleva dire solo una cosa e Bofur la conosceva troppo bene per non saperlo.
«Se ti ha..dato fastidio qualcosa me ne dispia-» fece per dire lui ma quella gli bloccò la bocca le dita sozze di brace. Fu una cosa talmente veloce che Bofur non se lo aspettò. Lei le si avvicinò col volto, prima di liberargli le labbra. Si guardarono fissi, come due gufi. E lui, di nuovo, venne invaso da un calore che gli fece avvampare il volto. Sperò con tutto il cuore che lei non lo notasse. 
«Smettila di fare lo scemo, Bofur.» Sorrideva lei, con quell'aria talmente naturale che a Bofur venne da sorridere di rimando. «Eravamo inseguiti dai Goblin dopo aver corso per tunnel putridi ed essere caduti nel vuoto su un ponte marcio. Ero un po' stanca. Giusto un po'.» Cominciò lei con aria sorridente. Era strano come il suo sguardo non sorridesse con le labbra, in quel particolare momento. «Ah, e diciamo che la danza di quell'essere non aveva aiutato mentalmente a sopportare poi tutto il resto.»
Bofur si mise a ridere, aprendo le labbra. Ormai il cuore aveva preso a ballare una danza tutta sua, alimentando il calore con lo stesso fuoco che brillava sulla legna vicino. «Per non parlare di quando ha prontamente finito la sua caduta sopra di noi.» Riuscì a dire lui, riprendendo fiato. 
«Sì insomma, sono cose che sconvolgono.» Berit si ficcò un altro pezzo di carne in bocca e Bofur smorzò l'ultimo attacco di risa per rimanere a sbirciarla, in silenzio. «Anche se lì è stata colpa tua che ce le tiri sempre.» Accodò lei con finto rincrescimento, ghignando con aria furba per quella frecciata studiata. 
Bofur grugnì qualcosa che assomigliava ad un «nonèveroiononinsommaoh» e l'amica gli appoggiò un braccio alla spalla. Ci si appoggiò sopra con una grazia pari a quella di un elefante.
Non celò un sospiro appesantito, trattenendo a stento il sorriso sul volto. 
«E tu devi smetterla di delirare davanti alle cose sbagliate. Passi quando lo fai con me, ma quello avrebbe potuto ucciderti.» Disse lei, guardando tra le rocce.
Bofur, questa volta, si voltò di scatto verso di lei e la fissò con insistenza. Il cuore di nuovo stava martellando irruento nel petto e, non trovando il suo sguardo, decide di fare un passo successivo; 
cercò la sua mano e lasciò che le dita si intrecciassero a quelle di lei. Non aveva paura che non ricambiasse o si infastidesse e quando lei strinse sulla presa gli venne da sorridere pienamente. Averlo fatto, là sotto, aveva reso meno schifosa quella loro situazione. Giusto un po’.
«Hai ragione.» Bofur si crogiolò in quella morsa e si ritrovò a carezzarle il dorso della mano col pollice. 
«Ma dovevo prendere tempo, è una cosa che ho imparato da Bilbo.»
Lei fece un sorriso amaro tanto che gli si arricciò il naso. Non voleva replicare, avevano scoperto che prendere tempo salvava le vite, non era una cosa da sottovalutare. Ma lo stesso impulso improvviso aveva preso anche lei, tanto che stava per fiancheggiarlo senza timore. Non era solita ragionare, in situazioni pericolose, ma odiava non farlo quando nelle situazioni pericolose si immergeva Bofur. Tra l'altro - a discapito di tutto - aveva faticato sul serio a non ridere per la storiella di Dunland, questa era una cosa che non poteva assolutamente fargli sapere. 

«Ho avuto paura lì sotto.» Lei riprese il discorso con un sospiro e rimase fissa a guardare in basso. Bofur sentì la presa, in quell'intreccio di dita, farsi più salda e tendò di rinsaldare la propria; un semplice gesto poteva dire molto più delle parole stesse. Non v'erano canti e ballate che descrivevano la paura reale, quella che ti prende e ti ingloba in una morsa talmente stretta da non lasciarti più respirare. C'era sempre, anche quando fingevano che non ci fosse, perchè perdere ancora qualcosa di importante non sarebbe stato più sopportabile.
«Lo so.»
Lo sguardo di lei vagò sulle loro mani strette, ora, e quando si voltò  a guardarlo vide che lui la stava fissando con aria sorridente. 
Quegli occhi erano troppo da sopportare.
«Bofur stavo scherzando, io non ho mai paura!» E lo spintonò con una pacca più irruenta, sciogliendosi da quel contatto. Bofur si ritrovò a ciondolare da un lato e la spinse di rimando, facendola rotolare dal lato opposto. «Ma piantala, che sei una fifona vivente.»
Non si erano accorti, in quel momento, che Fili si era avvicinato a loro. Non si sapeva da quanto era lì ma li guardava con aria seriosa, i capelli biondi illuminati dal riverbero del fuoco sembravano infuocarsi. 
«Berit, posso parlarti?»
I due smisero subito di tirarsi le rispettive giacche - Berit lo stava quasi strozzando con un avambraccio sul collo - e si voltarono verso Fili. Bofur si distaccò da Berit con una velocità invidiabile, lei meno velocemente ma riprese a drizzarsi con la schiena, sedendosi comoda. Lo sguardo di Fili non diceva niente di buono, di solito glielo vedeva quando Kili faceva qualcosa di irresponsabile e quello doveva prepararsi ad una potente quanto severa lezione di vita. Poi finivano per ridere e bersi una pinta; solo che adesso pinte non ce n'erano. 
«Perchè mi chiedi il permesso per parlarti? Piuttosto offrimi dell'oro, promettimi montagne di coppe d'argento, costruiscimi una fortezza d'acciaio.» Scherzò lei con un sorriso, stringendo un pugno stretto come un valoroso guerriero,  ma quando vide che Fili non sorrideva abbandonò quella tattica e si alzò in piedi con un sospiro.  
Bofur rimase silenzioso per tutto il tempo, tornando a mangiare la sua cena.  Evitò accuratamente di fissarli quando Fili gli lanciò un'occhiata veloce.  Berit strinse il biondo per un braccio e lo trascinò lontano da Bofur.
«Dai vieni, biondo. Accompagnami a prendere la carne.»
Balin tentò di fermarla per un braccio e ci riuscì solo con l'aiuto di Dwalin. La Nana stava arrancando verso il Re. Non aveva armi in mano e un braccio era trattenuto piegato sullo sterno. Quando Dwalin l'afferrò per la spalla fece un ringhio di dolore, le ginocchia quasi le crollarono.
«Vuoi davvero lasciarli morire da soli?»
«La nostra fortezza ha bisogno di essere tenuta al sicuro. Nessuno di noi lascerà questo posto.»
«Ah allora scusa, mio Re. Sia mai che possiamo fare un tale affronto.» Con uno strattone si liberò dalla presa dei due Nani. Le ginocchia cedettero fino a cozzare sulla roccia e Balin si piegò per arrivarle alla spalla. Quando lei lo guardò notò gli occhi lucidi dell'Anziano e fece un cenno con la testa. Bilbo le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla. Non parlava più nessuno, si erano voltati verso il loro Re ma loro era tornato a fissare la sua Montagna. Thorin  stava dando le spalle al suo stesso sangue, alla lealtà della sua gente. Avanzò lungo l’ingresso principale. I suoi capelli scuri ondeggiavano come mare in tempesta.
Bilbo fu il primo a ostacolare il suo passaggio, stringendo i pugni ai fianchi. «Allora dovrai passare su di me.»


 

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Capitolo 9
*** Più dell'aria stessa ***


Capitolo 9.
Più dell'aria stessa




Non era passato molto da quando le Aquile li avevano riportati sul sentiero.
Si stavano dirigendo lontano dal Valico e la spossatezza riprese a ghermirli con irruenza. Le provviste non erano molte, gli era rimasta poca selvaggina e ormai l'acqua non era che un bel ricordo. La vegetazione lì intorno aveva un aspetto cupo, sembrava aspettasse l'arrivo di uno spiraglio estivo che non riusciva a soffiare via l'inverno.Non potevano fermarsi a lungo per riposarsi: gli Orchi li seguivano e i mannari erano troppo veloci per poterli depistare ancora a lungo.
Bilbo aveva perso il disegno di Berit nella Città dei Goblin. Se ne rese conto troppo tardi e non aveva cuore di dirlo alla Nana, nonostante fosse ovvio che non si trattava di una scusa. Aveva provato più volte a introdurre il discorso ma Berit, in quei giorni, era ancora più ingestibile del solito e non era il caso di incaponirsi per una stupida richiesta, alimentando pensieri inutili.
«Bilbo!» Quella gli rifilò una manata sul collo che se non se lo ruppe fu un miracolo. Aveva il potere di interrompere ogni volta i suoi pensieri con troppo vigore.
«Per i giorni celesti Berit, così mi spezzi il collo.» Quello si scostò da lei con una smorfia dolorante. Si passò le dita sul punto colpito, era tutto arrossato.
«C'è motivo per cui debba farlo?» Incalzò lei con aria indagatoria. 

Bilbo sgranò gli occhi. «No certo che no!»
«Bene allora! Non devi preoccupartene, hai le ossa resistenti caro amico.» Quella sorrise e tirò un calcio distratto ad un sasso. Bilbo notò che la cinta che le cingeva i fianchi ciondolava storta, probabilmente era dimagrita da quando erano partiti dalla Contea e l'arma appesa la tirava verso il basso.
Rimase a fissarla a lungo, senza preoccuparsi dell'indiscrezione: gli pareva di non averla mai vista pulita, nemmeno da Elrond.
«Credo di non avertelo mai chiesto, Bilbo: hai qualche bella hobbit che t'attende a casa?» Disse lei d'un tratto, guardandolo con un sorriso.
Bilbo arrossì e si strinse nella giacca. Inconsciamente aveva controllato che l'anello fosse ancora al suo posto, in tasca
«No direi di no. Vivo da solo, come hai potuto vede-»
«Nessuno con una dispensa del genere dovrebbe mai riposare sugli allori. Mi stupisce che nessun cuore si sia mai sciolto davanti a tutto quel formaggio.» Lei aveva preso a gesticolare, guardando avanti. Pareva crederci con serietà a quanto detto.
Bilbo stava boccheggiando e le orecchie gli erano diventato rosse e pulsanti. «Noi hobbit siamo molto scrupolosi. Scegliamo con cura chi amare, non- insomma non andiamo solo con chi ha una buona dispensa.»
«Ah bè, allora.» Quella scrollò le spalle come rassegnata. «Sceglierai bene quando tornerai a casa, mastro Baggins, ma ricorda: se non le piace l'arrosto allora non è quella giusta.»
Quando tornerai a casa. Quelle parole avevano un sapore così dolce nella sua testa che gli venne da sorridere.
«Si vedrà, si vedrà.» E forse lo avrebbe visto sul serio, chi poteva mai dirlo. Non aveva mai pensato a sposarsi o mettere su famiglia, non che non gli interessasse ma era molto scrupoloso e trovare una buona hobbittessa era un complito difficile. Molto più difficile che scegliere la mela più matura al mercato o trattare sul buon prezzo col vecchio Gaffiere. 
Berit, intanto, gli diede un'altra pacca sulla spalla. Questa volta Bilbo non fu colto impreparato, con una mossa lesta si spostò appena in tempo per essere preso di sguincio.
«Non ascoltare una parola di Berit, tende a minimizzare ogni cosa.» Bofur spuntò sull'altro fianco dello hobbit, calandosi meglio il cappello sulla fronte.
«Io dissento.» Disse lei, già alzando un indice. Il petto le si era gonfiato per la finta indignazione che ostentava. 
«Oh ma piantala!» Anche Dori era uscito allo scoperto. «Il povero Bilbo non può ritrovarsi una scimmia affamata come moglie. Nell'arte culinaria serve una mano delicata.»
«Dori tu devi smetterla di far commercio con gli Umani, sei diventato indigesto da quando parli come loro.» Incalzò la Nana, spintonandolo da un lato. Quello sbuffò con aria supponente ma Ori intervenne in risposta.
«Io glielo dico sempre. Meno trecce alla barba e più pinte, fratello. O qui ci ritroviamo a cader sulle chiappette per uno starnuto a forza di molleggiare sui talloni.»
«Oooh, Ori, ma che linguaggio ardito! Mi stupisco di te.» Bofur gli mise una mano sulle spalle e se lo tirò davanti.
«Ah, se Gimli mi cresce senza un po' di ferro sulla barba non renderà giustizia a quella madre barbuta che si ritrova. Per lui solo donne fiere e forti, dal mestolo pronto!» Intervenne Gloin, sfoderando il suo quadernetto. Nori trottò davanti, facendo tintinnare i fianchi.
Questa volta Bilbo non si scompose per quei discorsi. Sorrideva respirando a pieni polmoni l'aria che aleggiava sulle teste dei suoi Compagni. Erano affamati e stanchi eppure non mancavano mai quei piccoli quadretti sereni come quello. Se all'inizio la cosa gli procurava fastidio, ora ne sentiva il bisogno più dell'aria stessa.
Sembrava meno brutto, il viaggio, se non si scordavano di essere ciò che erano.
Thorin e Dwalin si voltarono verso gli altri con occhiate scrupolose e Balin si ritrovò in mezzo alla baraonda dei suoi compagni. Portò una mano sulla spalla di Bilbo.
L'hobbit ringraziò sollevato per la delicatezza con cui lo fece.
«Oh non sono tutti così i Nani, sai? C'è una lunga tradizione che si amplia in sfumature e leggende. Alcuni Nani si sono visti anche girare con gli elfi. Vi sono segreti molto più profondi della terra stessa.» Oin si avvicinò loro con la tromba appiattita nell'orecchio. Continuava a guardarli senza fiatare; Bilbo era convinto che non stesse sentendo una sola parola. Dwalin sputò per terra alla parola "Elfi" e Thorin fece un ghigno che gli altri non poterono vedere.
«Kili non vorrai mica abbandonare la tradizione.» Fu Berit a parlare, tirando in ballo gli unici due della Compagnia rimasti in disparte fino ad adesso.
«Cosa?» Rallentò il passo e Fili con lui. Il maggiore si fermò a guardare Berit per poco prima di tornare a camminare di fianco al fratello. Già stava sogghignando.

«Ho detto che a me non piacciono gli Elfi.» Rimbeccò il fratello minore con la voce già impastata dall'imbarazzo. 
«Oh io dico che gli Elfi sono immortali perché così possono perdere tempo a pettinarsi quei quattro peli che hanno in testa.» Tutti si misero a ridere per la frase di Gloin, dimenticando ben presto di infierire su Kili. Ci pensò il biondo a sgomitarlo con aria divertita.
Bombur s'affrettò a fiancheggiare Berit, affacciandosi verso lo hobbit. «Una donna formosa, poi, è quanto di più bello su cui-»
«Bombur ti prego. Puoi risparmiarci?» S’affrettò a interromperlo Bofur, allargando lo sguardo con aria schifata.
«Oh suvvia, come se voi foste tutti dei puritani. Sappiamo tutti che i balli con le donnine pelose fanno gol-»
Berit lo prese a braccetto interrompendo ogni suo dire, alzando un braccio per aria, tirandoselo dietro. «Bombur parlami un po’ di come fai a intrecciare la..» La frase sfumò prima che Bilbo riuscisse a sentirne il finale, si ritrovò un’altra mano sulla spalla opposta. Era Nori questa volta.
«Qualsiasi cosa, ma non innamorarti mai di una Gambelunghe, ragazzo. Quelle hanno dei lunedì storti che non ti dico.» Aggiunse il Nano con una certa prestanza.
Avevano consigli proprio per tutto.
«Ma io non intendo-»
«FERMI!» Thorin tuonò, fermando di colpo il passo. Solo allora Gandalf attraversò la strada che lo distanziava dal Re, prendendo finalmente parola.
«Orchi?»
Thorin fece un cenno con la testa. «Quest'area non è sicura Gandalf. Stiamo per attraversare un passo troppo desolato. Non mi fido a varcare un sentiero così scoperto.»
Gandalf sospirò con aria pesante, stringendo il bastone. «Fidatevi di me. So dove stiamo andando. In queste terre abita qualcuno che potrebbe darci una mano.»
«Gandalf, sei sicuro?» Thorin non si era mosso di un passo. Gli altri Nani erano rimasti dietro le sue spalle e guardavano lo Stregone con aria attenta. Solo Bilbo sembrava incauto.
«Non vi è concesso dubitare ancora di me, Mastri Nani. Sono più che sicuro, andiamo.»
Si trovavano nei bordi di una collina spianata in cui fiorivano dei gradini in pietra che portavano dabbasso. Gli alti alberi circondavano il guado sul fondo, regalando uno sprazzo luminoso confortato dalla luce del sole. Non v'era stata pioggia in quei giorni e la cosa aveva reso assai più sopportabile l'assenza di tutto il resto.
Camminando sull'erba indirizzarono i loro passi verso la ghiaia che si stendeva sotto una Grotta.

 
Si fermarono nei pressi del fiume, riprendendo fiato. Avevano deciso tutti di farsi un bagno veloce ad eccezione di Gandalf. Il fiume era basso e la corrente non si fortificava per via dei sassi che bloccavano il flusso dell'acqua. Bilbo era rimasto vicino alla costa mentre Fili e Kili continuavano a tuffarsi da un grande masso.
Li sentiva lamentarsi di dolore ogni volta che cozzavano contro le pietre ma questo non li desistette dal farlo più volte. Bofur stava maneggiando qualcosa seduto a riva mentre Ori e Berit erano rimasti poco distanti dallo Stregone, comodi su uno spiazzo erboso. Nell'aria si spargeva l'odore della sua erba pipa, un'atmosfera piacevole. Dwalin s'era svestito dai rivestimenti di cuoio e si rinfrescava la pelle lasciata scoperta. Le sue rune tatuate brillavano di un colore lunare anche alla luce del sole. Ori stava disegnando qualcosa su un quaderno in pelle, di tanto in tanto faceva pause per raccogliere dei sassi dalla forma bitorzoluta. Berit era intenta a fissare Fili e Kili in silenzio. Un cipiglio pensieroso comparve tra le sopracciglia e s'abbandonò sull'erba, intrecciando le braccia dietro la nuca.

«Non puoi farmi queste facce serie, Fili. Mi fai preoccupare.» Berit stava trascinando il Nano verso il fuoco ma lui la fermò poco prima che s'avvicinasse a Bombur. 
Impuntò il passo nell'erba e alzò il mento barbuto. Lei gli lasciò il braccio e si trovò costretta a fronteggiarlo. Era più bassa di lui di qualche centimetro ed era costretta ad alzare il mento per guardarlo negli occhi. 
«D'accordo se non vuoi mangiare, farò finta che la cosa non mi procuri problemi di stomaco.»

«Volevo chiederti scusa per prima. Ho perso il controllo della situazione.» Fili prese finalmente parola, sembrò liberarsi di un immenso peso.  Berit non rispose, corrugò la fronte sporca e prese a ciondolare sui talloni.  Persino le labbra si strinsero in una strana smorfia.
 «Non sono stato addestrato per simili errori. Non volevo metterti in pericolo e..» Continuò lui ma quella ancora non fiatava. Aveva piegato di lato la testa e lo fissava.  Era un tipico comportamento di chi non voleva assumersi le responsabilità di una risposta. A volte la saggezza stava proprio nell'evitare di dar fiato ai pensieri.
«E se continui a fissarmi così senza dire una parola mi sentirò ancora più stupido di quanto già non mi senta.»

«Il controllo della situazione l'abbiamo perso da un bel pezzo, Fili.» Spiegò lei con calma, arrovellandosi le dita tra i guanti spezzati, fermando quel suo ciondolare. «Non chiedermi scusa. L’impulso è sempre stato un gran difetto dei Nani, dico bene? Non sarà l'ultima volta che commetteremo errori in questo viaggio.»  E sorrise, alzando le spalle.
«Sì ma-»
«Tipo in questo momento avrei voglia di dire qualcosa che ti tolga quella faccia da pesce lesso ma mi vengono in mente solo frasi che hanno a che fare con le Aquile, quindi...» Gli diede una pacca sulla spalla e quello finalmente sorrise. Vedere Berit innervosita per causa sua non gli piacque per niente, nella città dei Goblin, a prescindere dal motivo per cui lo fosse. Ma Berit non era una nana particolarmente rancorosa; per quanto fosse avvezza a cambiare umore piuttosto velocemente non di certo si commiserava in sentimenti contrastanti. Era una cosa onorevole, che lui stesso le invidiava, riusciva a mettere da parte ogni orgoglio ed era pronta a farsi una bella risata. Assomigliava moltissimo a Kili da quel lato.

«Dai andiamo a mangiare che stai perdendo colpi.» Disse lui, facendo un cenno, prendendola a braccetto. 
«Oh grazie ad Aule.» Lei subito sospirò di sollievo e fece un paio di saltelli verso Bombur, avvicinandosi al fuoco.
 
«Berit?»
Quando lei aprì gli occhi vide Bofur affacciato che la fissava, sgocciolava dalle trecce e tutta l'acqua le stava finendo sul viso. Quella fece una smorfia, ruotando il volto da un lato. Si era appisolata per cinque minuti e che si scampi da un Nano che viene disturbato nel sonno. Quel viaggio aveva cambiato molte tradizioni giornaliere, in effetti.
«Mi copri il sole.»
«Oh non direi, non sono così grosso.»
Quella si mise una mano sulla fronte e strizzò gli occhi per guardarlo. Lo vedeva in controluce; il suo cappello, da quella prospettiva, somigliava ad un barbagianni che stava per scattare il volo. Tutte quelle gocce non aiutavano la visuale e si ritrovò a puntare i gomiti sull’erba fredda, pulendosi il volto con una mano.
«Perchè sei venuto a disturbare il mio sonno, Nano?» Quella incalzò con una voce burbera e roca. Stava imitando Dwalin e lo stava facendo male.
«Volevo avvisarti che stiamo per muoverci, non vorrei lasciarti qui tra le margherite.»
Quella si issò con una fatica disumana, portandosi dietro i filamenti erbosi che si impigliarono alle vesti. Bofur fece un passo indietro e le tese la mano.
«Poi mi devi spiegare dove hai visto le margherite.» Disse lei mentre gli prendeva la mano lasciandosi aiutare, con un sorriso. Si drizzò in piedi con una stanchezza fin troppo enfatica.  

«Io vedo cose che tu non immagini.» Rispose Bofur con fierezza e una voce profonda - alterata apposta - prima di passargli un braccio sulle spalle e avvicinarsi al resto del gruppo. Gli altri si stavano già muovendo verso il Sentiero, la notte stava calando e la brezza serale s'innalzava leggera fino a muovere le fronde.
Fu allora che Bilbo vide l'Orso.
Il Fiume Fluente era placido e il sole stava per nascondersi oltre le Montagne, a Ovest, lasciando striate di rosa e giallo nel cielo terso. La barca navigava piano, Oin e Bofur remavano in silenzio e lo sguardo rivolto verso la Montagna.La cima non era ombreggiata dalle nuvole, s’ergeva come una solida fortezza nella roccia. La desolazione di Smaug non poteva nulla contro ciò che sarebbero stati disposti a fare per dare di nuovo vita a Erebor. Kili stava riposando, il colorito della sua pelle era ancora troppo pallido e Fili gli bagnò la fronte con una garza imbevuta d’acqua. Di tanto in tanto lanciava occhiate sporadiche ai due che remavano, soffermandosi su Bofur in particolare. I pensieri che affollarono quel momento furono molti.  Si alzò lentamente quando la costa si fece più vicina. Fece qualche passo e rimase a fissare dritto davanti a lui. Bofur intravide il suo profilo fiero; v’era molta somiglianza con Thorin Scudodiquercia, era un pensiero innegabile.
«So che sono vivi.» Spezzò il silenzio il Nano biondo voltandosi verso gli altri due. Sorrise facendo un cenno con il mento.  «Quando arriveremo troveremo il nostro tesoro e le nostre sale. Tutto tornerà come prima e regnerà la pace tra i Regni.»
Mai una speranza fu così tanto condivisa come quella.


 

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Capitolo 10
*** L'ultima buona dormita ***


Capitolo 10.
L'ultima buona dormita




Per ordinare i pensieri in quella mattina di fine estate c’era voluto più tempo del previsto.
Bilbo stava rintanato nei pressi di un pagliaio, coricato sotto un carretto agricolo in legno. I suoi compagni ronfavano ancora spensierati attorno a lui, avvolti dai mantelli pesanti. Solo il russare di Bombur tormentava la quiete che aleggiava nella stanza. Alcuni animali gironzolavano lì intorno, picchiettando con le zampette.
Le api giganti, per fortuna, erano tenute nelle arnie a campana poste nel cortile adiacente.  Come al solito, era stata una giornata intensaIl giorno prima avevano trovato la casa della presunta buon’anima di cui Gandalf millantava durante il tragitto. Si stagliava nei pressi di una siepe, nascosta da un grande cancello di legno.
Il cortile era immenso, portava all’ingresso dell’abitazione di legno tramite un grande viottolo di pietra. Dopo un’estenuante corsa per sfuggire alle grinfie di un Orso gigantesco si erano rintanati dentro la casa, richiudendo la porta con una non poca fatica. Bombur, a discapito di tutte le aspettative, era scattato in avanti arrivando per primoS’addormentarono stanchi e provati, evitando di rabbrividire al pensiero di quella bestia che grattava sulla porta e ringhiava con suono gutturale.
A Bilbo era parso di sentire altro là fuori ma quando la mattina si svegliò non v’era niente che facesse alludere a qualcosa di pericoloso.
L’Orso non c’era, in compenso fuori dalla finestra v’era un uomo molto alto, dall’aspetto bruto e la pelle ambrata. Una chioma crespa gli scivolava dal capo scendendo fin sotto le scapole. Non v’era traccia di solidarietà nel suo sguardo e Bilbo temette per il suo collo quando lo vide tagliare un tronco con una potente accettata, spaccandolo in due.
«Che facciamo, quindi?» Incalzò Dori, stringendosi nella sua veste vellutata. Nonostante la scarsità d’igiene di quel viaggio la sua barba era sempre perfettamente intrecciata al mento.
«Io dico di scappare dalla finestra sul retro e tanti cari saluti a questo posto.»
Dwalin prese Nori per il colletto, spintonandolo subito dopo. «Io non scappo da nessuna parte, intesi?»
«Se fosse irritato, ragazzi, sarebbe meglio darsela a gambe. E non mi toccare!» Nori spintonò Dwalin con un borbottio.
«Smettetela con questo chiasso. Beorn ha un carattere molto irascibile, non sarebbe saggio spazientirlo senza neanche essersi presentati, dico bene?»
«Oh bè, Gandalf, potevi portarci da qualcuno con un carattere molto più ragionevole.» Intervenne Dori.
«Di certo per te nessuno è più ragionevole, mollaccione.» Gloin diede una spintarella all’altro Nano, facendolo cozzare contro Ori.
«Mollaccione io? Ti sfido a ripeterlo! Io mi preoccupo della nostra testa!» Dori già stava sventolando un indice per aria, rosso in volto.
«Oh per la mia barba…» Dwalin aveva ripreso a spintonare Nori e alcuni Nani cominciarono a borbottare insieme, spintonandosi a vicenda.
«Basta ora!» Fu Thorin questa volta a mettersi in mezzo, cercando di mantenere un tono quanto più basso possibile. Kili, Fili e Berit erano rimasti in disparte e guardare con aria stanca gli altri Nani. Oin continuava a sistemare la sua tromba. Bofur era immerso in una contemplazione silenziosa alla finestra. Non era una rarità che scoppiassero litigi e insulti, fra di loro, purtroppo era una prerogativa di caratteri così forti e risoluti. I Nani più giovani riuscivano a conviverci senza darsi troppo pensiero, Gandalf - da canto suo - mal sopportava quella testardaggine, ma era uno Stregone ed era armato della più potente delle magie di cui disponeva: un'imprescindibile pazienza
«Volete liberarvi di questa futile rabbia? Vi ricordo che siamo qui per la nostra stessa sopravvivenza. Non ce la caveremo facilmente senza Beorn . Non abbiamo né cibo né cavalcature e non sarebbe affatto saggio procedere in queste condizioni, o sbaglio?.»
Gli altri borbottarono qualcosa ma smisero di punzecchiarsi. Bombur stava finendo di mangiare una patata, Bifur gli stava affianco facendo gesti sconclusionati.
«Usciamo prima io e Bilbo. Poi mi seguirete voialtri. Due per volta, mi raccomando. Non fate gesti avventati, non fate baldoria e per l’amor del cielo, Bombur, evita di mangiare il suo cibo davanti al suo naso senza che ti abbia invitato lui stesso a farlo. Non so ancora come reagirà nello scoprire di questa improvvisata accoglienza. E.. Bombur sì ancora tu, tu sarai ultimo ad uscire.» Bombur fece un grugnito rassegnato.
«Mi raccomando: due per volta. Al mio segnale, non prima. E che il cielo ce la mandi buona.» Detto questo prese Bilbo per un braccio e lo trascinò fuori dalla porta.
«Qual è il segnale?» Bofur si girò di scatto ma lo Stregone era già uscito.


«Sta sorridendo, è un buon segno.»
Bofur era ancora sollevato sul rialzamento che gli permetteva una buona visuale. Vedeva Beorn poggiarsi sull’accetta, Gandalf parlava molto e Bilbo non si capiva se era agitato o rasserenato. Lo vide inchinarsi, almeno. Forse quell’uomo apprezzava le buone maniere.
«Sei sicuro che sia un sorriso?» Berit era lì di sotto che lo fissava.Dwalin e Balin erano già protesi verso la porta d’ingresso, aspettando il loro turno.
«Di solito quando le labbra vanno in su significa che va tutto bene.»
«Ah non lo so. Ti ricordi mio cugino Drane? Aveva disimparato a starnutire correttamente e s’era ritrovato la mascella scomposta. Se non fosse stato per la barba sarebbe sembrato sempre così.» E Berit fece un sorriso talmente brutto che Kili si dovette strozzare con la saliva per non ridere.  «Quando era arrabbiato non si capiva mai…»
«Berit, sta sorridendo. Sembrano in sintonia. Gandalf muove solo le mani.»
«Come muove le mani? È il segnale?» Dwalin già si stava irritando, era già in posizione, Balin almeno sembrava più composto.
«Non credo. Aspetta forse…no
«Sì o no?»
«Non lo so,  Gandalf gesticola troppo
Si sentì Fili sbuffare e Kili s’era appoggiato alla spalla del fratello con aria stanca. Bombur continuava a gironzolare da un tavolo all’altro, al collo aveva incastrato un tovagliolo che gli copriva tutto il busto.
«Io dico che non sorride.» Riprese Berit, gesticolando per aria.
«Ti dico che si stanno divertendo, là fuori.» Rispose Bofur, mantenendo la voce sottile.
«Finchè non ballano io rimango scettica.»
«Il segnale! Eccolo! Andate!» E Bofur prese a muovere un braccio. 
Gandalf, nel frattempo, aveva gesticolato un po’ troppo concitato mentre raccontava, ma la discussione non stava prendendo le pieghe desiderate e quando Dwalin e Balin arrivarono fuori, Beorn scattò sull’attenti e alzò l’accetta tra le mani.
«Come sta andando?» Bisbigliò Ori.
«Ah non lo so. Qua nessuno mi dice mai niente.» Rispose Dori stizzito, sistemandosi dentro la blusa di velluto. 
«Sssh. Beorn mi sembra bendisposto.» Bofur alzò un indice, allungando il braccio all’indietro. Ci fu un secondo di silenzio prima di continuare. «Ha abbassato l’accetta.»
«Ah, allora siamo a cavallo!» Berit si mise a ridere e si mise alle spalle di Gloin e Oin. Su quest’ultimo pigiò le mani sulla schiena.
«Via!» Sussurrò Bofur.
Berit spintonò fuori i due Nani evitando accuratamente di urlare un incitamento da guerra proprio in quel momento. I due non furono sciolti come gli altri due Nani prima di loro, ma fecero riverenze e inchini tanti quanti i peli di Gloin in faccia.
«Sono ancora tutti vivi, spero.» Ori si strinse nelle spalle e alzò gli occhi al cielo.
«Sì certo! Forse Bilbo sta per svenire.» Rispose Bofur.
«Di nuovo?» Berit fece un sospiro. Fili e Kili si staccarono dalla trave e s’avvicinarono al fianco della Nana. Fili, in particolare, sembrava piuttosto impaziente.
«Quando tocca a noi?»
«Fermi tutti. Aspetta. Gandalf ride: andate, andate, andate!» Bofur prese a gesticolare veloce. Uscirono Ori e Dori prima dei due Prinicipi.
Bombur passò loro davanti con un gran tocco di formaggio. Fu allora che Berit perse del tutto interesse per ciò che stava guardando Bofur. S’indispose, ergendo il petto con un respiro da far allargare le narici.
«Ehi quello è mio!» La Nana prese  a inseguirlo fino ad un tavolo di legno e gli si lanciò letteralmente sopra la schiena, stringendogli il collo con le braccia.
«Berit lasciamiiiii!» Bombur  si agitava con la Nana in groppa. Quella stava già allungando una mano per rubargli il pezzo di formaggio dalle mani. Si trovarono immersi in una lotta fatta di borbottii e azzanni. Fili diete una gomitata al fratello, roteando gli occhi e Kili fece un sospiro e s’avvicinò ai quei due, cercando di tirare via la Nana dalla schiena di Bombur. Toccava sempre a lui il lavoro duro.
«Kili lasciami, quel pezzo era il mio! Lo stavo conservando!»
«Stai facendo un casino atroce! Quel Gambelunghe ci uccide! E Gandalf prima di lui.» Rispose secco Kili.
«La volete finire voi due? Non dobbiamo fare rumore.» Thorin non aveva ancora detto una parola prima di allora, lanciando occhiate veloci alla volta di Bofur. Non gli piaceva dover attendere senza avere la sicurezza che sarebbe andato tutto bene, continuava a diffidare degli amici di Gandalf, nonostante tutto. 
Kili e Berit gli passarono davanti, quella scalciava e Kili stava facendo fatica a tenerla. Non si capiva bene come ma si stavano tirando i capelli; finirono per scontrarsi contro al tavolo e cadere a terra con un tonfo secco.
«Mênu!*» Bifur si diede una pacca sulla tempia.
«Ti sei lasciato atterrare da una femmina?» Fili osservava i due, alzando le sopracciglia.
«Questa non è una femmina. È un essere maligno! Mi ha morso l’orecchio.»
Fili non era convinto di voler rispondere a quella replica senza lasciar intendere strani pensieri e si limitò ad alzare le spalle. Bofur si voltò verso gli altri, grugnendo un «Ora!» e muovendo il braccio.
Fili afferrò Kili per il colletto e se lo trascinò fuori con passo fermo.Erano due Principi ma l’aspetto del più giovane ingannava anche l’occhio più esperto. E pareva gli sanguinasse l’orecchio, in effetti.
«Bombur questa me la paghi.» Sibilò Berit, piantandosi con aria imbronciata davanti a lui. Non era molto minacciosa, non più di quanto lo potesse essere Bombur stesso. 
«Non c’era scritto sopra ‘E’ di Berit, non mangiarmi’.»
«Occhio Bombur, occhio.» Aggiunse quella, sporgendo il labbro inferiore. Aveva fieno sui capelli e tirò su col naso con poca grazia. Ritornò a grandi falcate – per quanto potessero essere grandi le sue falcate - ai piedi di Bofur e lo guardava con impazienza.
«Cosa succede?»
«Non lo so. Gandalf sta spiegando qualcosa. Credo che gli stia raccontando una storia.»
«E quale? Quella dei tre Lupi di Montagna?» Incalzò lei. «O o quella degli elfi spiantati?»  
«Credo che stia raccontando la nostra…di storia.»
«Oh bè sì, ha più senso.»
«Ora, andiamo. Fa segni.» E detto questo Bofur ruzzolò giù dal tavolino su cui era salito.
Prese Bombur e Berit per un braccio e li trascinò fuori. Bifur li seguì facendo gesti ai propri polsini di cuoio. L’aria profumata del cortile aveva invaso le narici di tutti, erano rimasti in fila a guardare verso Beorn con aria serena. Non erano mancati altri inchini, altre riverenze, altre cenni col capo con tanto di mano che volteggiava – Dori si faceva sempre riconoscere – e sorrisi che a stento spendevano per le loro mogli.
«Sono tutti o hai qualche altra sorpresa, Stregone Grigio?» Beorn aveva una voce molto profonda, come d’una bestia che aveva imparato l’uso della parola.
Fu allora che Thorin uscì, ritrovandosi vicino a Bombur, appoggiato allo stipite della porta. Beorn non disse più una parola dopo che incrociò lo sguardo del Re. 
Se c’era una cosa che faceva più paura dell’accetta di Beorn era sicuramente il suo sguardo. Sembrava varcasse l’anima stessa.


La cena fu di quanto più piacevole si potessero mai aspettare.
Niente carne, questo è vero, ma v’era una gran quantità di leccornie a cui attingere che riempivano la lunga tavolata posta al centro della stanza.
Erano tutti seduti su dei tronchetti di legno lucidati e levigati per l’occasione, il camino scoppiettava allegro proprio davanti a loro e nonostante il tempo portasse pochi sprazzi della calura estiva erano a dir poco contenti di quel soave tepore. Si rifocillarono tanto quanto parlarono e cantarono spensierati, lasciando Beorn e Gandalf alle prese con una buona bevuta di fermento pregiato, l’idromele.
Bilbo si incantò a rimirare gli intagli con cui il mutapelle aveva ornato l’abitazione. C’era una piccola apertura sul soffitto che lasciava fuoriuscire il fumo della brace e l’odore del giardino che s’affacciava sulla veranda portava i ricordi lontani della sua Contea.
Ripensò a quanto gli piaceva rimanere sulla panchina vicino alla cassetta della posta a guardare il tramonto che spezzava il paesaggio con quei colori caldi. I contadini pascolavano e le donne ritornavano all’ovile con i cesti del panettiere. Chiuse gli occhi e si perse in quei ricordi, mentre la voce dei suoi Compagni di viaggio si spargeva in sottofondo. Sentì di nuovo la canzone della Montagna Solitaria che avevano intonato davanti al suo, di camino, la sera prima che partissero.
V’era uno strano tormento in quelle parole e la nostalgia di casa lo attanagliò ancora per molto. Per fortuna Berit lo costrinse a bere più di un solo boccale durante la serata, cosa che stava prendendo una piega inaspettata.
«Io punto cento pezzi, crolla al prossimo sorso.»
«Io ne punto centocinquanta.»
«Bofur non fare lo spavaldo.» Incalzò Berit, stringendo il boccale. Aveva gli occhi lucidi e le guance arrossate. Stessa cosa Bofur e anche Bombur, già nella sua fase sonnolenta. 
«Facciamo duecento e dico che crolla appena comincia il terzo.»
«Ehi, non scommette..te su di me. Io sono..un hobbit..di casa..Bagginho..hobbit.» Bilbo tirò su indice ma il busto prese a ciondolare. Berit e Bofur scoppiarono a ridere come due galline starnazzanti.
«Se me lo tenete fermo provo a disegnare questo momento, ragazzi.» Incalzò Ori che di certo non aveva assunto mento vino del povero malcapitato della Contea.
«Se mi dai il tuo pezzo di pomodoro giuro che te lo tengo fermo.»
«No. Lo vuoi solo per lanciarmelo.» Incalzò il giovane Nano, alzando le spalle. Dori alle sue spalle aveva trattenuto Balin in una conversazione sulla bacche e le sue varianti tipicheCon liquidi diversi dall’acqua, in corpo, quel Nano diventava ancora più logorroico. Il che non era un bene proprio per tutti.
«Ma non è vero.» Berit si reclinò tutta d’un lato che per poco non cozzò contro la testa di Bofur. Quello la tenne dritta per un braccio.
«Sì che è vero. Ci scommetto il tuo naso.»
«Non scommettere contro di me. Quante volte ve lo devo dire che vinco sempreee!» E s’era messa a coprirsi il proprio naso, sia mai che un uccellaccio della malora arrivasse a rubarglielo per via della scommessa di un povero stolto. Passarono alcune ore a graziarsi tra le risate e il buon cibo.
Alcuni di loro crollarono prima del previsto e l'idromele mantenne in equilibrio solo alcuni reduci. I più giovani in effetti.
«Ma dov’è finito il nostro Anfitrione?» Kili uscì dal suo stato d’ebbrezza per guardare vicino Gandalf.
Beorn non era più presente - chissà da quanto -  alcuni Nani avevano preso a ronfare da seduti e Gandalf stava rimuginando in silenzio davanti alle fiamme scoppiettanti del camino.
«Vi conviene riposarvi per questa notte e rimanere ben al sicuro dentro i vostri letti. Domani lasceremo la casa del nostro salvatore e gli Dei solo sanno quando dormiremo ancora in letti così comodi, giovani amici. Non preoccupatevi di Beorn, ha il suo da fare come noi abbiamo il nostro.»
Bilbo per poco non ruzzolò all’indietro, ormai completamente inebriato. Bofur stava già dormendo appoggiato fiaccamente alla spalla di Berit. Ori solo sembrava ancora arzillo, intento a disegnare su un papiro ingiallito guardando nel punto esatto in cui Bilbo stava scomparendo sotto al tavolo.
Fili, prima di scostarsi dalla tavolata, si soffermò a guardare Berit e Bofur per qualche secondo.
Kili lo dovette trascinare via per un braccio, evitando che i pensieri fin troppo veritieri prendessero parola, in uno stato alticcio come quello.
Fu una bella notte la loro a discapito dei pensieri, non dormirono mai più così bene come quella sera, rilassati nel calore del fuoco e la luce delle stelle che filtrava dall’apertura in alto. I suoni della foresta sembravano quanto più lontani possibili.
Avevano ormeggiato la barca ma non si erano ancora messi in marcia per raggiunge il sentiero principale per Erebor. Avevano lasciato Kili riposare ancora un po’ e il freddo dell’inverno li aveva costretti ad accendere un fuoco per scaldarsi. Oin era andato in perlustrazione. Fili e Bofur stavano arrostendo un pesce. Non avevano ancora aperto bocca, entrambi immersi in pensieri ben più profondi e segreti. Ma Fili fu il primo a parlare, corrugando appena la fronte.
Bofur notò che si costringeva a non guardare verso il fratello ma era un impulso troppo grande anche per lui. Kili sembrava sereno, nel suo sogno, e la cosa gli procurò un debole sorriso.
«Quando finirà tutto, credo che dovrò darti delle scuse.» Cominciò Fili con voce bassa. 
Bofur evitò di guardarlo ma lo sguardo si fece sgranato. Era scuro, niente a che vedere con quei pozzi di cielo nel volto giovane del Principe di Erebor.
«Scuse? Per cosa?» Rispose Bofur. 
«Lo sai per cosa.»
Bofur non ci provò nemmeno a fare l’indifferente. Si sentì lo sguardo dell’altro addosso e sospirò pesantemente, piegando di più la schiena in avanti. Non amava quel tipo di conversazione e non voleva ricordare il girno prima che gli altri partissero per la Montagna. Aveva notato in Fili una certa predisposizione a doversi chiarire per troppe cose, forse ripulire la mente da pensieri grigi gli giovava più di quanto lui stesso credeva.
Bofur non poteva capire appieno, Fili era un erede di Durin. Ogni suo gesto era soppesato, controllato, non poteva permettersi incaponimenti né impulsi sciocchi.
Un vero Re deve imparare a controllare ogni cosa, più di tutto il proprio carattere. Kili era fortunato: poteva rimanere libero da questo ancora a lungo.  
«Io sono qui per la nostra missione, Fili. Ho seguito Thorin fin qui e lo seguirei ancora. Continuerò a farlo fino alla fine del suo Regno. E sarò a servizio di chi lo succederà.» Bofur s’era tutto impettito, trapelava serietà dal viso stanco. «So per cosa mi vuoi chiedere scusa ma io ti dico che non è necessario. Voglio solo varcare l’ingresso di Erebor e trovare gli altri sani e salvi. Tutto il resto è stato solo un passaggio, non serve neanche parlarne.»
Fili rimase a guardarlo a lungo mentre le luci del fuoco illuminavano la pelle chiara.
Poi, a grande sorpresa, si mise a ridere. Non rideva così da molti giorni, erano proprio finite quelle assurde conversazioni con cui si divertivano a tormentare Bilbo.
«Vederti così serio mi fa sempre un certo effetto.» Quello gli passò un pezzo di pesce. Oin stava tornando vicino al fuoco, intanto. «Non volevo ridere di te, credo ad ogni parola che hai detto. Ma ti prego, non cercare più di imitare Dwalin
Bofur questa volta rise in risposta, afferrando il pesce e portandolo alle labbra con un morso da far invidia a Bombur e ai suoi tocchi. «Mi sembrava un buon momento per fare il serio.»


 
Voi: in khuzdul.

NA.
Sì, mi sono lasciata andare con queste scenette spensierate perché mi piace scriverle e perché con la drammaticità ci arriverò poi. Intanto volevo ringraziare tantissimo tutti quelli che stanno leggendo (o che capitano ancora solo sulla storia per sbaglio, tipo!) e le ragazze che mi hanno recensito – ho provato tantissimo amore – e quelle che mi hanno inserito nelle storie seguite: idrilcelebrindal e zebraapois91. Spero davvero di non deludere alcuna aspettativa, sta storia è un mistero anche per me x°D i personaggi mi prendono in contropiede alle volte. Al prossimo capitolo :)

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Capitolo 11
*** Non uscire di senno ***


Capitolo 11.
Non uscire di senno




Premessa: ho giocato molto con il lato della Foresta che crea allucinazioni e fa fare sogni brutti brutti brutti, quindi l'ho reso un po' più macabro di quello che in realtà è. Mi piaceva come cosa e così ci ho provato. Chiedo perdono se non piace ed è troppo...troppo. Vi dico subito che nemmeno io ho la più pallida idea di cos'ho scritto ( cominciamo proprio bene, uahah ) spero comunque di aver fatto emergere qualcosa da tutto ciò.   


Alle porte di Bosco Atro l’aria s’era fatta densa.
Gli animali avevano smesso di comparire lungo il sentiero già da qualche ora e gli uccellini non inebriavano la pace dei sensi con i loro canti della stagione.
Non v’erano stati ruscelli d’acqua o cespugli di bacche a rendere limpido quel posto. Erano stati costretti a riempire gli otri vuoti donati da Beorn e a lasciar liberi i pony, con non pochi borbottii da parte di tutti. Gandalf aveva annunciato un suo ritiro verso strade che a loro non competevano; Bilbo lo aveva visto parlare con Beorn poco prima di lasciare casa sua, nulla di buono a giudicare dall’espressioni che entrambi portavano sul volto.
Aveva preso il suo cavallo ed aveva marciato verso il sentiero appena scorto, salutando i suoi Compagni di viaggio senza indurli a pensare ad un addio definitivo.
Bilbo si sentì svuotato dentro. Odiava separarsi da Gandalf. Senza di lui le cose andavano male, era appurato. Non erano state molto buone le raccomandazioni del Mutapelle riguardo la foresta di Bosco Atro. Non s’aspettava certo di veder saltellare le fate e vedere danzare gli gnomi, ma di certo non poteva proprio pensare che una Foresta di tal fatta potesse ammalare chiunque ne varcasse i tronchi nodosi. Non era rigogliosa di foglie verdi o profumi di legna e resina, l’aspetto era malevolo e trasandato, aleggiava una nebbiolina che trapassava le radici delle querce. Aveva sperato di aggirarlo ma Gandalf era stato categorico e il viaggio non permetteva altre perdite di tempo inutili: nessuno sapeva quanto ci sarebbe voluto ad attraversarla fino a raggiungere il Fiume.
Non abbandonate il sentiero per nessun motivo.
Gandalf aveva ripetuto quella frase più volte e Bilbo si chiese per quale motivo dovesse sentire il bisogno di abbandonare un sentiero proprio dentro una foresta del genere.
Dovrei proprio uscire di senno, pensò.
Ebbene era ciò che la Foresta malata si prodigava a fare vesto i suoi sventurati viaggiatori. Faceva perdere il senno. Creava allucinazioni. Niente che cresceva lì dentro vantava un buon sapore. Oscure presenze s’annidavano nell’ombra dei rami, tra le foglie, uccelli neri che incombevano a disturbare il sonno e la quiete.
Oltretutto aveva anche vietato l’oro di abbeverarsi o bagnarsi nel lago scuro che scorreva all'interno della Foresta. Non avevano nessuna intenzione di ingerire niente che non avesse la trasparenza dell’acqua di montagna o un cibo che non avesse l’aspetto di un buon coniglio panciuto. Ma i viveri non erano eterni e le otre d’acqua pesavano alquanto. Persino Bilbo era stato costretto ad aiutare i suoi compagni, cosa che rallentò parecchio il suo passo.
All’inizio il sentiero non era ostacolato da niente. La luce del sole filtrava debole tra le foglie e l’aria cominciava a diventare pesante.
I Nani non erano grandi stimatori delle zone aperte ma di certo preferivano una bella collina della Contea a quella fitta vegetazione che ombreggiava le loro sagome come filamenti lugubri. La prima notte s’accorsero di come i pipistrelli amassero la luce del fuoco. Frullava le ali sulle loro teste, strillando nel buio.
Dovettero riposarsi senza luce e al freddo, tanto che non vedevano ad un solo palmo dal naso. Dopo qualche giorno di cammino il cibo era quasi finito. L’acqua era un ricordo assai ben più lontano del cibo stesso e il sentiero era stato perso più volte e ritrovato con indubbia fortuna. La luce del sole aveva smesso di filtrare e l'unica luce presente non era certo rigogliosa. 
La loro mente non ragionava più lucidamente e avevano appurato che gli animaletti della zona avevano il sapore stantio e marcio della stessa foresta che li forgiava.
Con grande sfortuna avevano trovato il lago nero e ringraziarono Gandalf per il suo consiglio o si sarebbero abbeverati da esso, in barba al colore scuro che lo macchiava. Nessuno riusciva più neanche a ridere o a scherzare.
Tantomeno parlavano, specialmente dopo che Bombur cadde dentro le acque di quel lago e si addormentò profondamente, senza più risvegliarsi.
Furono costretti a trasportarlo per giorni, facendo a turno, stanchi e affamati come non mai. La foresta stava privando loro non solo del lume della ragione ma dell’aria stessa. Il respiro sembrava mancare dal petto e la testa vorticava in brutte e oniriche visioni.


Bofur si attaccò ad una quercia e posò la schiena contro di essa. Si erano persi di nuovo, il sentiero non si trovava e delle canzoni sconosciute e melodiose sembravano alleggerire l’aria. Qualcuno rideva, da lontano, una luce li richiamava ma non era altro che un rumore illusorio. Era il turbamento di una mente infinita, sentiva occhi su di sé e il freddo filtrava fin dentro le ossa, bloccandogli ogni movimento. Non riusciva più a fumare la sua amata pipa. A malapena parlava. A malapena deglutiva, la gola era arsa e bruciava. Brutti pensieri gli affollavano la testa e quelle voci in lontananza non aiutavano.
Sentiva i suoi amici ridere e scherzare ma quando apriva gli occhi non erano che punti dispersi vicino agli alberi. E nessuno rideva. Forse piangevano?
Vide Thorin reggersi a malapena su un tronco e Balin camminare avanti e indietro su uno spiazzo roccioso. I cespugli non portavano che foglie appuntite e stecchi.
Nessuna bacca, di nessun colore. Bombur continuava a dormire, disteso sul telo di legno. Quanto avrebbe voluto dormire come lui.
Dormire per sempre e non svegliarsi più, lasciare che quella sensazione lo abbandonasse. 
Aveva bisogno di respirare. Riuscì ad alzarsi e arrancò verso un altro albero. Kili era seduto sotto di questo e picchiava con la mano su una roccia.
Non era convinto di sapere cosa stesse facendo ma non riusciva ad aprire la bocca e chiedergli di fermarsi.
Voltò di nuovo la testa e vide Berit e Fili che stavano…ridendo. Ridevano per qualcosa, avevano i capelli illuminati dal sole e lei sembrava così felice.
Sembravano così felici.
Erano vestiti di velluto pregiato e i capelli erano intrecciati, pettinati bene, puliti. Ma Berit odiava farsi il bagno e questa foresta non poteva avere una pozza d’acqua limpida. Dove l’avevano trovata? Perché ridevano?
Arrancò ancora in avanti e si bloccò poco prima di alzare lo sguardo di nuovo. Si stavano baciando.
Fili stava incastrando le dita tra i capelli di Berit e la spingeva contro una quercia nodosa. Sorridevano mentre si baciavano, alleggerendo l’aria di sospiri felici.
Ma intorno a Bofur l’aria era fetida e avvelenata. Non sorrideva e gli occhi furono avvolti da una patina lucida e fastidiosa. Sentiva le gambe tremare e il respiro venire meno. La sensazione che qualcuno gli avesse squarciato il petto e stritolato il cuore si insinuò così a fondo che si sentì bruciare.
Non riusciva a distogliere lo sguardo e provò a fare qualche passo verso di loro, arrancando sulle foglie secche. Il rumore dei suoi passi era troppo pesante, quei due non potevano non sentirlo. Ma non lo degnavano di uno sguardo e ben presto si presero per mano.
Si strinsero le dita – come aveva fatto lui stesso con lei davanti agli Orchi – e Fili sussurrò qualcosa nell’orecchio di Berit.
V’era malizia nel suo sguardo e Bofur provò un’ondata di rabbia che gli fece piegare le dita in due pugni stretti. Non ci volle molto prima che i due scivolassero via dal tronco e sparissero dentro la foresta. Bofur voleva urlare ma dalla gola non usciva niente. Sentì le gambe cedere e il cuore perdere alcuni battiti prima di venire ostacolato da un’ombra di falene gigantesche. Battevano le ali all’impazzata, davanti al suo viso, portandolo a indietreggiare di scatto.
Le mani tentarono di liberarsi da quell’agonia, sentiva il frullare delle loro ali e la voce non riusciva a chiedere aiuto. Ma poi ci fu un fischio acuto e le falene scomparvero nel nulla.
Ma Bofur era già agghiacciato, guardando dritto davanti a sé. C’era Berit davanti a lui. Ma era diversa. Un’ombra scura le scavava il volto. Non sorrideva, i suoi capelli erano sporchi di terra. O era sangue? Aveva i vestiti logori e la pelle sudata.
«È stata tutta colpa tua!» Tuonò lei spingendolo verso il tronco;  non riconobbe la sua voce. Gli occhi gli bruciavano. Gli facevano male le mani. Sentì la schiena graffiarsi per colpa della botta. Berit tirò fuori la lama e gliela puntò contro il petto. «Ora mi seguirai nell’oltretomba e non avrai più pace.» Ringhiò con voce metallica. Alzò il braccio e Bofur non fece in tempo a difendersi che la lama gli trapassò il petto. Un dolore atroce gli annebbiò la vista, riversandolo a terra.


Bilbo era seduto su una pietra e il busto gli ciondolava in avanti. Berit era ferma ad osservare il piccolo hobbit con aria annebbiata. Le occhiaie intorno allo sguardo grigio creavano due solchi profondi, scavando sul volto martoriato da dei graffi stantii. Bilbo non s’accorse della presenza della Nana perché lei non disse una parola. 
Berit sapeva. Berit sapeva quello che lui stava nascondendo. Lo aveva visto, nell’ombra, celato dagli sguardi degli altri. Ma non aveva forze per avvicinarsi e farsi dire la verità. Non era sicura nemmeno di che giorno fosse, non sapeva se quel Bilbo era il reale hobbit che aveva lasciato la Contea con loro.
Si ritrovò a camminare all’indietro, andando a sbattere contro Bombur addormentato. Cadde a terra con un tonfo e sbattè pesantemente la testa contro il tronco di un albero. Sentiva gli sguardi degli altri addosso e le loro risate. Stavano ridendo di lei.
Le puntavano gli indici contro, gracchiando latrati di risa scomposti e inquietanti. Non riusciva a inquadrare le loro facce ma quel suono presto si tramutò in un fischio acuto che la costrinse a tapparsi le orecchie. La testa le pulsava dal dolore e strinse gli occhi, mettendosi in piedi col busto.
Anche Bombur stava ridendo, mentre dormiva.
Quando riaprì lo sguardo s’accorse che gli altri stavano banchettando posti in cerchio, avevano acceso un fuoco e non permettevano alla luce di filtrare oltre i loro corpi. Erano come una barriera.
Perché l’avevano tenuta fuori dal cerchio? Si sentiva estremamente pesante mentre provò ad alzarsi. Era sicura che avesse ciondolato più volte, forse stava per svenire. Non sapeva che sensazione si provasse, ma qualsiasi cosa fosse era fastidiosa. Era terribile.
Gli altri stavano ridendo e scherzando, avevano voltato le spalle alla Nana e vedeva solo le loro sagome smussate, i capelli ombreggiati dall’oscurità. Attorno un’aurea di luce che delineava i corpi. Riusciva a riconoscerli ma le loro voci sembravano diverse. Provò ad avvicinarsi a quello col cappello.
Bofur non poteva lasciarla da sola, non era così che funzionava tra loro. Lui era la sua ancora, tornavano sempre l'una dall'altro, era un ciclo che non veniva mai interrotto. Quando provò a toccarlo fu Kili che scattò con la schiena, ritrovandoselo davanti come una presenza massiccia.
La spintonò via, piantandogli le mani sulle spalle. Il suo sguardo era buio, il volto era pallido e aveva le labbra crespe e viola. 
«Ki..li. Sono io. Aspetta.» Ma bastò un solo secondo in cui guardò dove stava mettendo i piedi.
Era scivolata da un lato e s’accorse che pochi metri più avanti la roccia finiva in uno strapiombo. Era molto alto.
Non si chiese come fosse possibile che ci fosse uno strapiombo in una foresta perché si ritrovò afferrata per le spalle. Questa volta era Bofur.
Il suo Bofur. 
Quello prese a scuoterla con violenza e apriva la bocca, parlando. Sembrava urlasse ma lei non riusciva a sentire niente. 
Quella, per sua sfortuna, non fu la cosa peggiore: il volto di Bofur stava perdendo consistenza. Si stava sciogliendo davanti a lei. Dal roseo che era stava raggrinzendo, diventando grigio e pallido. Come cenere.
Lo spintonò via con tutta la forza che aveva e perse attrito, finendo a barcollare di nuovo all’indietro. Cadde rotolando giù in un pendio malmesso, riuscendo a fermarsi grazie a dei cespugli piantati sul fondo. Quando aprì gli occhi vide Nori che le tese la mano, tirandola a sedere. Non aveva il solito tintinnio di sottofondo.
«Berit, stai bene?»

 


«Fili!»
Kili stava richiamando suo fratello con tutto il fiato che aveva in gola. Non aveva perso del tutto la ragione.  Riusciva ancora a respirare, riusciva ancora a pensare. Se solo quelle voci gli avessero dato pace, dentro la testa. Si sbattè le mani più volte contro le tempie prima di ringhiare con rabbia e avanzare velocemente verso uno spiazzo pieno di tronchi aggrovigliati tra loro. Vedeva Fili in piedi su una radice sporgente. Stava guardando verso sud, i capelli biondi sembravano grigi e pallidi sotto la poca luce che filtrava tra le fronde malate. Kili dovette stringerre le palpebre per focalizzare la figura del fratello. Gli facevano male gli occhi, aveva sete. Stava morendo di sete.
«Fili..dobbiamo..andare dagli altri.»
«Vattene via!» Fili ripiegò le spalle in avanti e fece un passo indietro. Stringeva tra le dita qualcosa e lo sguardo era rabbuiato d’un antico dolore. Kili si ritrovò a guardare il riflesso di suo fratello come un estraneo. Nei suoi occhi c’era l’ombra di un Nano di cui non ricordava più il viso. Il fantasma di un Guerriero morto in battaglia, oltre il clangore delle lame. Vide suo padre in Fili e la cosa lo bloccò a metà strada. Fili fece qualche passo verso di lui e notò lui che stava piangendo. Lacrime silenziose che gli rigavano le guance.
«Fi..li. Dobbiamo..ascoltami!»
«Non torneremo più indietro. Gli occhi ci osservano, Kili. Erebor è distrutta. Non sarò mai Re di una stirpe che fu spezzata.»
«Fili dobbiamo andare.»
Kili azzardò una presa più salda con il braccio di suo fratello ma quello lo spinse via. Lo colpì, subito dopo, con un pugno stretto, centrando lo stomaco. «Non..puoi cambiare il destino. Non puoi farlo!»
«Fi..» Kili strinse gli occhi per il dolore e atterrò suo fratello con una spinta, facendolo cadere a terra.
Col corpo provò a fermarlo, bloccandogli le mani. Dietro di lui arrivarono Dwalin e Balin, separando i due fratelli con un po’ di fatica. Kili non era convinto che fossero veramente loro, si ritrovò a dubitare della sua mente. Della voce di Balin. Si ritrovò a dubitare di  stesso.
«È questa dannata foresta. Dov’è Thorin?» Urlò Balin, allontanando via Kili. Fili continuava a piangere, stretto da Dwalin che lo teneva fermo.
«NON PUOI CAMBIARE IL DESTINO!» Urlò il biondo, scalciando con rabbia.


Bofur si svegliò di soprassalto e si ritrovò Berit che gli arpionava le mani. S’accorse che le stava agitando davanti alla faccia con rabbia, scacciando via qualcosa di invisibile. Quella aveva gli occhi lucidi, era scarna in volto ma tentava di sorridere. O almeno era quello che sembrava l’incurvatura delle labbra sul suo volto.
«Berit, Be..sei tu?» Bofur sembrava sconvolto. 
«Non lo so. C-credo di sì. Spero di essere io..» Rispose lei, tirandosi indietro con la schiena. «Fermati, stai calmo.» Si ritrovò i polsi stretti nelle mani di Berit, lo sguardo di lei indugiò a lungo su quello di lui.
«Cosa..Cos’hai visto?» Domandò lei, respirando a fatica. 
«Tante cose…Non lo so. Non ricordo bene.» Mormorò lui, ruotando il volto da un lato. Gli altri erano ancora lì intorno. 
«I sogni qui dentro sono così...così...»
«Lo so.» Sospirò lei con voce tremante, alzando gli occhi verso i rami. Appiattì le labbra in una smorfia, sembrava che stesse per piangere da un momento all'altro. «Non sono neanche sicura..che siano sogni, Bofur.»

Lui non rispose, cercò di issarsi con la schiena e puntò lo sguardo altrove. Notò con la coda dell’occhio Bilbo che s’arrampicava su un albero. Thorin stava ciondolando pericolosamente, vide alcuni di loro discutere in un litigio che non capiva.
«Dove..s-siamo?»
«Non a Gran Burrone.» Ansimò Berit, sedendosi di fianco a Bofur. Si prese la testa tra le mani dopo aver lasciate quelle dell’amico e si accucciò per il freddo, ciondolando con tutto il corpo. Quello s'affrettò a tastarsi il petto, ricordando improvvisamente. Non faceva male, non c'era sangue. Il suo cuore era a posto. O almeno sperava che lo fosse. Quando si voltò di nuovo verso Berit si ritrovò a fissarla con insistenza, controllando i suoi capelli, il suo profilo, persino se il suo odore era lo stesso.
«Dobbiamo uscire di qui. Il buio ci sta inghiottendo...non riesco più a capire cosa è..reale.» Berit lo portò via da quei pensieri. Lasciò che le mani tornassero a cadere sull'erba e si voltò a guardarlo.
«Forse niente più lo è.» Sussurrò lui, incrociando il suo sguardo. Ma lei lo scostò in fretta, puntandolo verso il centro della foresta, al di là del sentiero.
«Guarda Bofur. Ci sono gli elfi.» Mormorò lei, indicando un punto lontano tra gli alberi.
Bofur spostò subito lo sguardo verso il punto tra gli alberi ma non vide nulla, stava per rispondere a Berit quando s'accorse che era sparita.
Non l’aveva sentita allontanarsi e quando guardò in tutte le direzioni non la vide da nessuna parte. Si alzò di scatto, appiattendosi contro la corteccia.
Si pigiò una mano sul volto e strizzò gli occhi.


Bombur russò ancora più forte e aprì gli occhi di scatto, respirando a fatica. Quando alzò la testa per controllare dove fossero gli altri non vide nessuno. Eppure gli era parso di sentirne le voci, mentre sognava. Ma la foresta era lugubre e la nebbia si stava alzando di nuovo. Non avrebbe voluto risvegliarsi da quei meravigliosi sogni, ora che aveva scoperto quanto la realtà fosse lugubre e spenta. 
«Bofur? Bi..fur?» Chiamò, balbettando appena.
Si strinse nella mantella che aveva legato al busto e si issò in piedi. Non v’era traccia di nessuno di loro. Si guardò intorno e prese a respirare più forte. Il cuore pulsò a lungo per la paura. Ma poi vide qualcosa, nell’ombra. Sembrava Thorin, ciondolava davanti al tronco d’un albero e aveva in mano…la chiave.
Non riuscì ad alzarsi in tempo. Aveva una gran fame e si sentiva ancora più stanco di prima, le gambe a malapena si muovevano. «Thorin? Thorin, che stai facendo? Dove sono gli altri?»
«Altri?...Quali altri?» Ma non fu Thorin a parlare. Non era nemmeno sicuro di aver sentito una risposta. Quando ruotò lo sguardo era troppo tardi anche per gridare.

Bilbo continuava a picchiettarsi l'indice contro la fronte, se ne stava seduto sulla scalinata di pietra.
Tutto l'oro di Erebor era lì sotto. Onde dorate che, sinuose, si sperdevano all'infinito. Non credeva di riuscire a vederne il finale. Thorin era lì sotto, una figura scura che si ergeva sopra tutta quella magnificenza. Gli dava le spalle e guardava a ridosso di una piccola collinetta creata da delle coppe intagliate. Lì sotto alcuni degli altri stavano spostando l'oro e scavando.
«Pensa Bilbo, pensa. Pensa.»
Si ripeteva lo hobbit, prendendo un respiro profondo. Cercò con lo sguardo Balin ma si trovò a incrociare quello di Dwalin. Non credeva di averlo mai visto così atterrito in tutto quel viaggio. Lui così fiero e orgoglioso.  Prese un altro respiro profondo e ripiegò la mano contro il petto. Tastò qualcosa al di sotto e chiuse gli occhi.
«Pensa.»
Thorin era riuscito a scansarlo qualche ora prima, non era riuscito a fare molto davanti a quell'irruenza; per quanto fosse risoluto e avesse avuto il coraggio di fronteggiarlo, era sempre un piccolo hobbit. Sapeva che Thorin bruciava di una ferita che non poteva comprendere.
Non era fisica, era nell'anima. La peggiore malattia che un Nano potesse mai avere. L'anima lacerata non si ricuce. L'anima lacerata rimane rotta per sempre.

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Capitolo 12
*** Non prendere in giro i ragni ***


Capitolo 12.
Non prendere in giro i ragni




Bilbo riprese a respirare una volta che il capo ricciuto sbucò dalle fronde degli alberi, liberandogli la vista.
Si stava reggendo su uno dei rami più leggeri della cima di un’alta quercia secolare.  Le foglie si erano smosse e alcune farfalle dalle ali scure si erano disperse sopra la sua testa ,colorate da un bagliore arancione che riscaldava la pelle stessa dello hobbit. La luce del sole al tramonto non era mai stata così bella. Sentiva il suo calore e gli parve di percepire il suono dello stesso vento sferzargli il volto. Tutta l’ombra accumulata dal veleno della Foresta era evaporato come l’acqua bollente, scivolandogli via dalle membra in un soffio. Quasi non ricordava i pensieri che gli avevano affollato la mente in quei momenti, i sogni che lo avevano tormentato e la morsa della fame e della sete.
Era un piccolo hobbit, in fondo.
Non era solito digiunare o essere invaso da macabre paranoie, tantomeno di rado gli era capitato di dover perdere la strada.
A casa sua la strada era un unico sentiero, persino tra i ruscelli era facile ritrovarlo. 
Ma quella Foresta non era casa sua, era un mostro con i rami irsuti e il colore del buio.
Respirare di nuovo l’aria pulita del mondo lo aveva pervaso e l’idea di dover scendere di nuovo lì sotto a cercare i suoi amici lo fece deprimere con non poco sconforto. 
Ma doveva farlo. 
Perdendosi a respirare aria nuova aveva visto il Fiume. Non era distante, il rumore dello scroscio dell’acqua era impercettibile ma lo sentiva come un forte richiamo. Avrebbe voluto bagnarvisi con tutto il corpo e bere la sua acqua fino all’ultima stilla. Raggiungerlo era una questione primaria e giusto questo gli fece tornare il coraggio di muoversi, spostando lo sguardo per tornare a guardare in basso. I rami erano talmente intrecciati che vedere il terreno al di sotto gli sembrò impossibile.
Non vedeva i Nani e non li sentiva più da diverso tempo; ma l’altezza, si sa, fa brutti scherzi.
«Ragazzi? Ho trovato il fiume! C’è un fiume più avanti. Dobbiamo andare..dobbiamo..» non ci volle molto prima che la sua stessa voce venne meno. I rami si muovevano, in lontananza. Le foglie erano disturbate da qualcosa che lui non riuscì a scorgere, standogli al di sopra. Qualunque cosa fosse si muoveva e si muoveva veloce. 
Troppo veloce. 
Si chinò con la schiena e ridiscese dai rami, ritrovandosi di nuovo avvolto in quel mondo lugubre. Come se non avesse trovato conforto in quel momento di depurazione, si ritrovò ad annaspare, sentendo il petto appesantirsi. Ma non aveva tempo per pensare al suo nuovo sconforto per quelle sensazioni perché quello che vide trafisse ogni suo altro pensiero.
Ragni.
​Una schiera di ragni giganteschi stavano muovendosi tra le ragnatele tese, picchiettando con le loro zampette sottili e gli occhi sanguigni. Stavano puntando il luogo in cui si trovavano i suoi amici, doveva fare qualcosa. Ma non fece in tempo a pensare ad una strategia valida. Agì d'impulso e sguainò la spada elfica poco prima che un ragno gli fu addosso e cadde all’indietro. Poi qualcosa gli si appiccicò nel corpo e vide solo bianco.





 

Thorin non vedeva più i suoi amici e la cosa non sembrava importargli. 
Teneva stretta la chiave di Erebor, le dita la stringevano e lo sguardo non faceva che fissarla con insistenza. Era malcelato il panico che scaturiva da quegli occhi chiari, ombreggiati da pensieri che non avevano forma. A differenza di tutti i suoi Compagni lui non sentiva alcuna voce nell’aria e gli sguardi rossi che li fissavano dai rami non lo disturbarono alquanto. Si trovava immerso dentro un cerchio d’erba, circondato da dei folti arbusti che si piegavano come artigli diramati. Osservava la sua chiave, quel cuore di ferro così gelido al tatto ma così caldo alla vista. Il busto ondeggiava avanti e indietro mentre allungava la mano libera per sfiorare il tronco ruvido della quercia. Ma non sentiva ciò al tatto: sentiva la fredda roccia della sua stirpe, il muro di una fortezza mai dimenticata. Poteva sentirne la pregiata fattura, scavata dai suoi avi e perpetuata nei secoli. 
Una luce solare abbagliava quel muro di pietra e la chiave rimaneva in bilico tra la sua mano e la serratura di quella porta. Erebor era sua, com’era suo il diritto di aprire quel passaggio segreto.  Il tesoro sarebbe stato ancora all’interno? Ne era sicuro. Il drago giaceva sull’oro accumulato e quell’oro illuminava le sue stanze.
Nessuna puzza di quell’immonda calamità avrebbe potuto farlo desistere da quel gesto. Inserì la chiave nella serratura, ma la porta rimase bloccata.
 Il Re trattenne il respiro, chiudendo gli occhi.
«Non è nel destino dei Durin, Thorin. Abbiamo tentato, ma abbiamo fallito.» La voce di Balin gli risuonava nelle orecchie. Fece una smorfia di rabbia ma rimase in silenzio, appoggiando la fronte al tronco dell’albero.
«Continuerò a servirvi, mio Re, anche senza la vostra Montagna.» Vide Dwalin stringere l’ascia, sicuro come solo una roccia nanica può essere. Thorin provò a guardarlo ma non vi riuscì.
«Io dico che se la giriamo insieme possiamo farcela, Thorin.» Era Ori. Ori e quella sua impareggiabile vena ottimista.
«Non dire sciocchezze Ori. Finiresti bruciato prima di riuscire a sbattere le palpebre.» Rispose Dori.
«Zio, possiamo farcela. Fai provare me
«Provo con te, fratello. Lascia che siano le mani dei Durin a trovare la via.» Fili e Kili si guardarono con una sicurezza brillante nello sguardo.
Erano vestiti pregiati quelli che indossavano, vestiti forgiati dai tessuti della loro casa.
«Fate come vi dico, non v’è salvezza qui. Dobbiamo salire sugli alberi
«Quali alberi, Bilbo? Non vedi che è solo roccia?» Quella era Berit, la riconobbe. Vicino a lei c’era Bofur, stava fumando con la sua solita aria sciolta.
«Ah Bilbo, gli alberi non fanno per noi. Le bacche e le fragole le lasciamo a voi hobbit.»
«Bisogna trovare il sentiero, non capite?» Incalzò lo hobbit, agitava il braccio verso i rami fronduti. 
«Basta. Basta..» Thorin strusciava la fronte sul tronco. Quelle voci lo circondavano, non sentiva nemmeno più la chiave tra le dita. Il suono della sua stessa voce gli sembrava così lontano. «..Basta! Fate silenzio! SILENZIO!»
E si staccò di scatto, guardando a destra e a sinistra con aria smarrita. Non c’era nessuno lì intorno e le voci sfumarono via così com’erano giunte.
Non fece in tempo a rendersi conto della chiave caduta tra le foglie che una freccia gli venne puntata alla gola.
Non riuscì a far muovere i suoi riflessi in tempo, ritrovandosi circondato in poco tempo. Una schiera di uomini dal fisico slanciato e agile lo guardavano dall’alto. Tutti con occhi chiari e la pelle candida, lunghi capelli lisci che superavano le spalle come fili di seta. Orecchie a punta.
I suoi cari amici elfi Silvani.
Erano tutti armati e tutti lo stavano fissando.
«Cosa ci fai nelle terre del Re?»
Thorin non riuscì a rispondere. Fece uno scatto per tentare di sgusciare via di lato ma venne preso e trattenuto per le braccia. Uno di loro gli coprì gli occhi con una benda, ad una velocità così fluida che neanche se ne rese conto. Scalciò e si dimenò più di quanto avesse intenzione di fare, una paura silenziosa si insinuò nelle sue vene, ringhiando parole in khuzdul con rabbia. Ma fu una chiara fortuna la disattenzione degli Elfi quando lo trascinarono via, in sentieri sconosciuti. 
Non notarono qualcosa di grigio e pesante, rimasto nascosto tra le foglie. 




 

Gli altri non furono altrettanto fortunati, erano spaiati quando i ragni si fondarono su di loro con irruenza. Non li sentirono nemmeno, la mente era affollata da troppi rumori illusori per distinguere un suono reale. Fu Bombur il primo ad essere invaso da quel filamento stretto e appiccicoso, come una corda sottile dal colore perlato. Si ritrovò gambe e braccia avvolte in un unico bozzolo bianco prima di perdere i sensi, di nuovo. Il veleno dei ragni era assai annichilente per le sue vittime, sia di fattura animale che di qualsiasi altra forma. Fu trascinato nel terreno fino a che il suo corpo nerboruto si ritrovò a penzolare su un ramo. Non potè accorgersi della sorte degli altri suoi Compagni di viaggio. Alcuni non erano presenti, altri già ciondolavano come lombrichi avvolti da una ragnatela fitta. I ragni si muovevano come branchi di aracnidi normali se non fosse per la grandezza dei loro corpi e di quelle disgustose zampe rachitiche. 
Oh ssssì. Li mangeremo tutti ssssì. Sono buoni, ssssono nostri.
Quello che dicevano davanti alle loro prede non era di certo udibile da menti normali. Ma per Bilbo fu una sgradevole sorpresa. Era riuscito a colpirne uno con la spada. Lo trafisse proprio sotto il corpo peloso, prima che quello potesse sopraffarlo una volta avvolto nella sua ragnatela. Si stava apprestando ad iniettargli il suo veleno quando lo hobbit - che di certo aveva davvero trovato coraggio dai tunnel degli Orchi -  lo uccise senza esitazione. Riuscì a liberarsi da quella gabbia filamentosa e non ci pensò due volte. Tirò fuori l’anello dalla tasca e se lo infilò.
Scomparve subito e la Foresta gli si parò davanti con la stessa visuale aveva visto nella città dei Goblin. Gli alberi diventarono quasi inconsistenti e i suoi amici penzolanti sembravano fantasmi che fluttuavano sui rami secchi. Ma quel che fu peggio furono le voci di quegli esseri. Sibili, sottili e stridenti, disgustosi nelle loro voci così come nel loro aspetto. Tentò di canzonarli, di nascosto, rifugiandosi in un punto sicuro.
«Oh ma quante ragni fetidi che ci sono qui. Perché non mi trovate e giocate un po’ con me, o forse la vostra stupidità si appanna quando siete in gruppo?» 
A ciò i ragni non erano proprio abituati. Chi si stava prendendo gioco di loro?  
Subito vennero smossi da un orgoglio stupido e si raggrupparono per raggiungere il punto da cui avevano sentito la voce. Ma Bilbo fu più furbo di loro e si spostò giusto in tempo. Per facilitare ancora più le cose lanciò lontano un sasso, creando un rumore che subito i ragni trovarono curioso e allettante.
Oh ssssììì ti abbiamo trovato. Cosa ssssei? Cosa ssssei, che ti celi? Ti pungoliamo. Ti pungoliamo.
Bilbo si tolse l’anello dal dito e fece un profondo respiro, arrampicandosi sul ramo più basso. Tirò indietro uno dei bozzoli appesi e scorticò via tutti quei filamenti stretti. Da dentro uscì una voce impastata ma carica di gratitudine.
«…Signor Boggins, sei salvo..che sorpresa..» era Kili, un po’ svampito per il veleno dei ragni, alimentato da tutto ciò che la Foresta continuava a fare loro. 
Riuscì appena in tempo a liberarlo che uno dei ragni, rimasto troppo in alto affinchè Bilbo potesse vederlo, scivolò davanti a lui. Le zanne si aprivano e si chiudevano come pinze e Bilbo cacciò un urlo, prima di spintonare via Kili. Entrambi caddero dal ramo e Kili grugnì di dolore, riuscendo a rotolare via dall’aracnide gigante prima che questo piombasse su di loro. Non vedeva più Bilbo e alzò gli occhi giusto in tempo per osservare la bestia nera agitarsi come un forsennato. Stava morendo. 
Stava morendo? 
Non capiva cosa stesse succedendo ma non venne scombussolato troppo da quel pensiero. I ragni sentono gli altri ragni, probabilmente. Gli altri stavano tornando e non erano per niente contenti. 
«Oh porc…» 
Bilbo sbucò dal nulla e a quello quasi gli venne un colpo. 
«Kili vai a liberare gli altri. Ora!» Lo hobbit non credeva alle sue stesse parole, stava davvero dando ordini a Kili? «E se per caso mi vedi scomparire…non preoccuparti

Berit lanciò via un altro pezzo d’oro e si ritrovò ad affondare gli stivali, scivolando giù da un accumulo di monete.
Quelle vibrarono sotto al suo passo e scivolarono via, facendola cadere di schiena. Di fianco a lei c’era Ori, subito allungò una mano per afferrarle il braccio non fasciato e aiutarla a rialzarsi. Quella grugnì un grazie ma non strattonò la presa, si limitò a fissare il Nano con sguardo nervoso.
Non c’era bisogno di capire perché fosse nervosa ma Ori tentò lo stesso di sorriderle.  Non funzionò, lei aveva smesso di guardarlo.
Thorin dietro di loro li osservava con aria attenta e guardinga. Ma non li stava veramente vedendo e ciò gli fece appesantire lo stomaco di un brutto pensiero.
Lo sguardo vagava continuamente tra le ricchezze ai suoi piedi. 
«Ori?»
Ori si voltò a guardare la Nana e notò che lei era ferma, con una coppa d'oro stretta tra le dita, che lo guardava.
«Sì? Dimmi Berit.»
«Se trovi l'Arkengemma, vai da Balin.» Piegò la testa da un lato, parlando a bassa voce. Ori guardò verso Thorin. Lui aveva dato le spalle a tutti quanti.
«Hai paura che possa succedere qualcosa?»
«Qualcosa è già successo.» Lei gli si avvicinò, guardandolo fisso. Notò che non si era pulita bene il sangue raggrumato sulla fronte.
«Quando arriveranno gli altri bisogna fare qualcosa
Ori piegò le labbra e si lasciò andare ad un sospiro sommesso. «Ma tu pensi che siano ancora vivi?»
Il fuoco di Smaug non era famoso per lasciare vita laddove v'era solo morte. Sperava con tutto il cuore che io suoi amici fossero vivi ma non stava covando molte speranze. Di solito era il più ottimista del gruppo - alla stessa stregua di Bofur e Berit, d'altronde - ma ora Bofur non c'era e non era sicuro che lo avrebbe mai più rivisto. La cosa faceva male, fin troppo male.
«Sono vivi. Sono guerrieri di Erebor, non si fanno sopraffarre facilmente.» Rispose lei con sicurezza. E poi sorrise. Non sorrideva più come una volta, v'era ormai una cupezza nello sguardo che lo rendeva più scuro del normale. «E se quell'idiota di Bofur non s'è svegliato in tempo per rischiare la morte, giuro che lo vado a prendere e lo ammazzo con le mie mani.»

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Capitolo 13
*** In cella ***


Capitolo 13.
In cella




Nel bene e nel male riuscirono a liberarsi tutti.
Ci fu una lotta veloce ma intensa. Le armi erano state quasi tutte perse, non avevano alcuna corazza a difendere la pelle dura e mai, come adesso, trovarono assolutamente efficace la tecnica di battaglia di Ori. 
Sassi come se piovesse, da depistarli e ferirli.
Erano ancora incapaci di usufruire dei propri riflessi per via del veleno dei ragni che fluiva nel sangue. Fili e Kili sembrarono quelli meno sconquassati mentalmente. Gli altri si dovettero adeguare come meglio poterono per non venire schiacciati da quelle bestie. Bofur vagava come una pedina impazzita; Ori lanciava sassi senza neanche prendere la mira; Balin aveva arpionato un bastone e riuscì ad allontanare un ragno da Gloin, rimasto incastrato ad un ramo. Non ce l'avrebbero mai fatta. Erano troppo pochi e stanchi e i ragni erano troppo veloci e scaltri.
Bilbo non fu più visto da nessuno - Kili continuava a domandarsi come facesse a scomparire così in fretta - e Berit si ritrovò schiena contro schiena a Bombur.
Ma fu proprio questo che venne atterrato da un ragno, riuscendo a spintonare via la nana appena in tempo. Con la poca forza che avevano non potevano fare molto, ma i Nani sanno lavorare di squadra. Una forza invincibile che poche razze potevano vantare, addirittura più degli uomini stessi. Presero tutti le zampe del ragno addosso a Bombur e tirarono, così da staccargliele con uno scatto secco.
«Dov'è Thorin? Qualcuno lo vede?» urlò Dwalin, piazzandosi davanti ad Ori.
«Non c'è più nessuno sull'albero!» Urlò Fili, alzando di scatto gli occhi.
Non riusciva a vedere a fondo cosa si nascondeva fino all'estremità dell'alto albero. Vedeva sfocato e sentiva la testa girargli.
«Dov'è? Dov'è? Dov'è? Dov'è?» Bofur continuava a girare in tondo, sfuggendo così alle prese di un ragno che lo stava inseguendo. Fu un vero miracolo di Aule che il suo piede colpì un masso e inciampò nell'esatto momento in cui il ragno si preparava al balzo. Ma il salto di quell'essere non trovò un impatto piacevole perchè una freccia lo colpì in pieno. Fu la prima di molte. Uno stormo di frecce si precipitò dalle fronde degli alberi e colpì gli esseri dalle mille zampe.
I Nani non fecero in tempo a rendersi conto di cosa stesse succedendo che si ritrovarono circondati dagli elfi. Un'armata di elfi dall'aspetto del bosco verde e i capelli lunghi stavano davanti a loro con gli archi protesi. Gli altri si ritrovarono stretti in gruppo in mezzo a loro, avevano ancora filamenti di ragnatele fra i capelli e la pelle sporca di sudore e terra.
«Ma guarda un po'. Spie.» Un elfo dall'aspetto biondo, alto e gli occhi azzurri li fissava con disgusto.
Se ne stava dritto davanti a Gloin. Era riuscito a scivolare dai tronchi con una grazia poco tipica per i Nani, uccidendo molte di quelle bestie al suo passaggio.
«Non siamo spie.» Incalzò il nano dalla barba rossa. 
«Fate silenzio!» L'elfo guardò uno degli uomini elfici e fece un cenno. Subito si ritrovarono le loro mani addosso che presero a spogliarli dalle poche armi che gli erano rimaste. Il più difficoltoso da "spogliare" fu Fili; aveva pugnali nascosti in più punti. Era curioso come un piccolo corpo avesse così tanti nascondigli.
«E questo cos'è?» Legolas - così si chiamava l'elfo biondo e slanciato - tratteneva il quadernetto di Gloin con i ritratti della moglie e del figlio. «Tuo fratello
«Quella è mia moglie.» Gloin era diventato paonazzo, rosso quanto la sua barba.
«E cos'è quest'orrida creatura? Un orco mutante?»
«Quello è il mio piccolino: Gimli.»
Legolas inarcò un sopracciglio con aria scettica. Gli elfi consideravano i Nani degli essere orrendi e tarchiati, non v'era alcuna bellezza ai loro occhi. Ma questo si poteva estendere alla stessa prospettiva dei Nani riguardo le Orecchie a punta. Si trovavano repellenti a vicenda e la cosa li portava - involontariamente - ad avere uno strano equilibrio sulla faccenda. 
«Portateli dal Re. E bendategli gli occhi.» Incalzò l'elfo verso gli altri uomini.
Quelli annuirono con la classica aria militare. Composti e puliti; solo loro potevano uscire da una lotta con dei mostri senza mostrarne i segni. Ed in quel momento si sentì un urlo provenire da poco distante. Fili fu il primo a girarsi, allarmato.
«Kili!!!» Urlò.


 

«Dove ci staranno portando?» Sussurrò Berit verso quello che aveva al suo fianco. Sperava fosse Bofur e non uno degli elfi, prima di tutto. Ma i bendaggi dei silvani non erano imperfetti, se non volevano che si vedesse niente, niente si vedeva.
«Se ci portassero ad una tavola imbandita non mi dispiacerebbe.» Rispose Bofur, per sua fortuna era lui quello al suo fianco. 
«Gli elfi mangiano troppa insalata, non ricordi?» Ori si intromise in quei sussurri. Doveva essere vicino a loro, forse era proprio quello che continuava a pestare i piedi alla Nana.
«Non mangiamo da giorni, mi accontento anche della muffa.» Bisbigliò Bofur in risposta.
«Silenzio Nani!» La voce di una delle guardie elfiche interruppe le loro parole. Era inasprita, si chiesero se fossero tutti così gentili questi Elfi Silvani.
Berit sentì Bofur finirgli addosso per colpa di una spinta. L'elfo non capì l'insulto tra i denti che ringhiò l'amico in khuzdul e lei si dovette trattenere per non ridere.
Per quanto fossero in una brutta situazione non poteva fare a meno di sentirsi sollevata. Gli elfi non erano come gli orchi e di certo non gli avrebbero proibito del cibo - non aveva senso catturarli per farli morire di fame - e il veleno di quella Foresta si stava dipanando ad ogni passo che compivano. Persino l'odore delle piante sembrava diverso e il vociare degli Elfi, per quanto troppo soave e cremoso, era una delizia in confronto agli striduli e ai fischi che erano stati costretti a sentire in quei giorni. Non ricordava quasi più nulla di tutte le brutte allucinazioni, pensò che fosse merito di quella disintosiccazione. Ma l'animo, per quanto più quieto, continuava a domandarsi un paio di cose molto importanti:
Dov'erano finiti Bilbo e Thorin?
Sarebbero mai usciti da quella Foresta?
Non lo sapeva e la fame e la sete annebbiavano in modo potente la razionalità di non fidarsi di quegli Elfi, comunque. Dovevano assolutamente riposarsi o non sarebbero riusciti a fare più un solo passo, lì dentro, senza finire morti per disidratazione. Svoltarono in un sentiero che aveva una consistenza diversa sotto gli sitvali. Sembrava una pavimentazione più liscia, addirittura lavorata e l'aria era respirabile. Sentivano la voce degli elfi farsi più intensa e persino attraverso la benda le luci sembravano diverse.  Si percepiva una confortante pace interiore che annullò completamente l'effetto di tutto quel veleno.
«..Se potessimo parlare con-» Balin non fece in tempo a finire la frase che tutti si bloccarono di colpo.
Avevano camminato in un sentiero stretto, non s'inoltrava fin negli antri della terra com'avevano dovuto fare con gli Orchi. Quando i loro occhi vennero liberati si trovarono tutti davanti a delle celle aperte. Vennero spinti dentro, chi a due a due, chi invece singolarmente.
L'elfo davanti a Fili, prima di spintonarlo dentro, gli confiscò un'altra lama da chissà dove. 
Kili, invece, era stato il più fortunato. Dopo una brutta avventura con un ragno singolo fu salvato dall'unica elfa Silvana di quella combriccola di gente alta.
Era bella, rossa di capelli, dai lineamenti sottili e dolci. Nulla a che vedere con l'elfo biondo dalla battuta facile e la Gamba Aperta - così si divertì a soprannominarlo Berit, cosa che faceva ridere molto Nori - e il giovane Nano non perse occasione per cambiare la sua espressione che diventò subito spavalda.
Lo faceva quando era sicuro di poter vincere con una delle armi più imbattilbili che avesse: il fascino.
Di solito i giovani Nani potevano vantare di questo piccolo particolare, se avevano avuto la fortuna di nascere con un bel viso. Poca barba, volto fresco e un fisico che - per quanto fosse basso - era prestante e poco avvezzo alle rotondità trattenute dalla birra e dal buon cibo.
«Non vuoi perquisirmi? Potrei avere di tutto nei pantaloni.» disse il sicurissimo Kili.
«O niente.» E Tauriel, l'elfa, chiuse la cella con uno scatto secco prima di allontanarsi. Si portava dietro il profumo del bosco, un odore che Kili inspirò totalmente per quell'attimo in cui lo percepì.
«Non posso credere che tu abbia detto una cosa del genere.» Berit strinse le sbarre della celle, facendo sbucare il viso. Era finita in cella con Bofur. Nella sfortuna non era andata tanto male. 
«Potrei avere un sacco di armi, qui sotto.» Rispose quello, alzando le spalle, con totale ovvietà. 
«Quanto ci terranno qui, secondo voi?» Spuntò anche Gloin. Lui era in cella col fratello Oin. Erano tutti sorpresi dal fatto che non avesse ancora perso la sua tromba per l'udito; sarà che ormai era appiattita e inutile, aveva perso il suo fascino originario. 
«Ci stanno già tenendo troppo.» Dwalin grugnì e Balin tirò un sospiro sommesso. «E chissà Thorin e Bilbo dove sono, dannazione.»
Dopo quella frase si zittirono tutti, guardandosi intorno. I cunicoli per le celle erano luminosi e profumati, ma per arrivare fin lì non v'era dubbio che fosse complicato, se non impossibile. Ovunque fossero Thorin e Bilbo non erano sicuro che li avrebbero rivisti facilmente e la cosa portò un grande silenzio, addirittura tra loro.
Quando arrivò il cibo il loro sconforto riuscì a diminuire leggermente - mangiarono con un appetito invidiabile, ripulendo tutti i piatti.

Kili si svegliò nel sonno.
Non aveva idea di quanti giorni fossero passati ma non erano molto distanti dalle rovine Dale. Ne vedeva i massi bruciati e la torre di Collecorvo si ergeva dinnanzi a loro come una figura solitaria e grigia. Il suo primo pensiero, appena aprì gli occhi, fu una sensazione piacevole, per quanto la gamba gli dolesse ancora.
Ripensava a Tauriel. Ai suoi occhi chiari e a quella bellezza candida che lasciava senza fiato. Le aveva lasciato la sua runa, una promessa sincera e Mahal solo sapeva quanto volesse mantenerla.
Si poteva sorridere come degli ebeti al pensiero di un volto che sembrava un sogno? 
Non era ancora sicuro che tutto quello fosse reale eppure aveva ancora la sensazione del tocco delle sue dita. Quella piacevole sensazione al petto venne bruscamente interrotta dallo stomaco stretto: si sentiva affamato. Almeno la stanchezza era scomparsa dopo tutto quel riposo. Vide Bofur e Oin dormire vicino al fuoco ormai spento, erano avvolti dai mantelli pesanti. Fili era sveglio ma non lo guardava, dava le spalle a tutto e guardava verso Esgaroth. Di quella città non si vedeva più nulla se non le palafitte bruciate rimaste dalla desolazione. 
«Fi?»
Quello si voltò quasi di scatto, guardando verso il fratello. Sorrise pienamente contento quando incrociò il suo sguardo. «Buongiorno fratellino.»
Kili gli sorrise e scivolò via dalla sua postazione per raggiungere il fratello sopra lo spiazzo su cui era seduto. Non v'era un solo punto morbido in quel luogo.
«Cosa ci fai sveglio a quest'ora?» Domandò Kili, gli diede una spintarella sedendosi lì vicino.
«Pensavo.» Rispose l'altro, facendo spallucce.
«Non sapevo che sapessi farlo.»
Fili evitò di dargli una gomitata, per quanto scherzosa, ma lo sguardò con aria scettica. Durò poco prima di sospirare. 
«Pensavo a cosa troveremo una volta lì. Mi chiedo perchè non abbiamo visto gli altri venirci incontro, nessuno di loro. Ho paura che...»
«Fili piantala.» Il fratello gli mise una mano sulla spalla, stringendogliela appena. Odiava vederlo così sopraffatto dai suoi stessi pensieri, non era mai piacevole per nessuno. «Sei troppo paranoico ultimamente.»
«Credo di aver preso dal ramo brutto della famiglia.» Fili tirò un sospiro e tornò a guardare verso il Fiume.
Bofur fece una russata nel sonno. Una sola, poi di nuovo silenzio.
«No, tu sei solo brutto fuori. Se non ci fossi io che ti tiro su il morale cosa faresti?»
Fili rimase a pensarci ma non gli rispose. Non avrebbe fatto granchè, senza Kili. Non era nemmeno sicuro che sarebbe riuscito a cavare un solo pensiero felice in quel trambusto che era la sua testa. Era un difetto che aveva ereditato da suo zio; non era capace alla spensieratezza del fratello nei momenti più difficoltosi, se non vi fosse lui probabilmente sarebbe rimasto cupo e silenzioso, incapace di tirarsene fuori da solo.
«Di sicuro avrei più fama tra le figlie della Montagna.»
Kili rise e gli diede una spintarella con la spalla. «Sei troppo ottimista, fratello .»
Questa volta Bofur interruppe i loro discorsi con un altro verso strano. Si svegliò di soprassalto e dalle parole sconclusionate emerse solamente un nome.  





 

 

N.A.
Sono già arrivata fin qui e non so come ho fatto! Olè.Ringrazio ancora chi mi legge, chi mi segue, chi passa qui per sbaglio o volutamente. Insomma, TUTTI. Vi anticipo che molto presto i capitoli saranno un po’ diversi ma per ora continuo così perché mi serve farlo per arrivare ad un punto ( che punto? Domande troppo difficili! ). Faccio un piccolo appunto per quanto riguarda Fili e Kili. Io amo molto il rapporto che hanno nel film e spero di riuscire a trasmetterlo nella mia storia. Ho provato a vedere Fili come un personaggio che, per quanto sia simile a Kili, abbia un’anima più..responsabile. Diciamo che Kili è l’impulso mentre Fili è la mente. Forse sono andata un po’ OC per lui, sinceramente non lo so, ma mi serviva farlo per differenziarlo dal fratello che vedo molto più spensierato rispetto a lui.  Comunque niente, volevo sottolinearlo perché so che molti amano questi due bei giovani nanetti e spero di non aver deluso nessuno. Con questo vi saluto e al prossimo capitolo, a presto :) 

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Capitolo 14
*** La ballata del Giorno Antico ***


Capitolo 14.
La ballata del Giorno Antico




Era notte fonda e la luce della luna illuminava a malapena i cunicoli attraverso un'entrata più aperta.
Da quella posizione potevano sentire i canti degli elfi e le loro risa, sembrava si stessero divertendo. Era passato un intero giorno senza che avessero avuto notizie di Bilbo o di Thorin - neanche gli elfi che passarono a portargli il cibo parlavano granchè, se non in elfico e sicuramente in modo malevolo dei Nani presenti - e loro non erano disposti a fare domande. Non di certo perchè non volessero ma Balin aveva detto loro di evitare di parlare troppo o gli elfi stessi avrebbero preteso di poter fare domande sulla loro presenza nelle loro terre. Non erano di certo i migliori a cui donare notizie del viaggio. Non senza sapere dove fosse finito Thorin, per lo meno.
Fili stava sbirciando dalla sua cella in cerca di qualcosa. Fissava con estrema insistenza in quella di Berit e Bofur ma non riusciva a inquadrare nulla, da quella posizione riusciva a vedere bene solo Gloin, Oin e Kili.
La stessa gelosia che lo prese nelle grotte degli Orchi si instaurò in lui anche in quel momento. Da un lato fu contento che la Foresta non gli avesse giocato quello scherzo - cosa mai avrebbe potuto combinare, in quello stato? - ma dall'altro lo faceva impazzire provare una rabbia simile verso un suo amico. Era annebbiato da troppe preoccupazioni e lui si stava infossando nell'unica e viscida sensazione che fluiva al petto senza che potesse fermarla. Aveva paura per Thorin e Bilbo e, quel che era peggio, si sentiva un verme per ciò che era successo con Kili. Non aveva tempo per pensare anche a Berit.
Non lo voleva, il tempo, per pensare a quello.
«Fratellino?»
Kili non rispose ma s'affacciò alla sua cella, posando la fronte sulle sbarre. Riusciva a vederlo nonostante la penombra e gli sorrise con affetto.
«Non ti sei fatto male, vero?» Domandò il biondo, stringendo con fare convulso il ferro.
«No. Sono di ferro Fi, se quei ragni ci avessero provato ora starebbero ancora urlando di dolore.» Kili sorrise sghembo. Non era tipo da commiserarsi, aveva proprio l'animo di un guerriero orgoglioso.
«Non parlo dei ragni.»
Si guardarono fissi per molti secondi e non ci fu bisogno di parlare. Quello che aveva fatto loro la Foresta era rimasto nella mente del fratello maggiore con insistenza,
nonostante il veleno dell'oscurità era scivolato via del tutto una volta raggiunta la dimora degli Elfi. Non ricordava le esatte parole di ciò che gli disse ma si ricordava del pugno. Non era stato un sogno, su quello ne era certo, perchè sentiva ancora le nocche dolere per la rabbia provata e l'epressione di Kili che si ripiegava su sè stesso, per il colpo. Non si erano mai picchiati, se non per scherzo, neanche quando litigavano fra loro. Si era promesso che mai la sua forza, la sua frustrazione, l'avrebbe riversata su di lui. Aveva detto a sua madre che si sarebbe preso cura di Kili durante quel viaggio ed era sicuro che Dìs aveva chiesto lo stesso a Kili.
Farsi sopraffarre da una foresta malata non era proprio quello che ci voleva; sapeva che non era sua la colpa ma era troppo facile lavarsene le mani.
Non era stato cresciuto così, era orgoglioso ma si sarebbe ucciso piuttosto che ferire il sangue del suo sangue.
«Prima che tu possa farmi male, Fili, devono passare almeno cento anni. E non sono neanche sicuro che basterebbero.» 
Quello aveva messo fine ai suoi pensieri e si ritrovò a sorridere alla volta del fratello con più trasporto. Non stava andando per niente bene la loro avventura ma, per quanto fosse veramente poco opportuno, era contento. Kili era il solito Kili, quel viaggio non lo stava cambiando e la cosa era quanto di più piacevole potesse pensare in una sera così silenziosa.



 

Berit e Bofur erano seduti l'uno accanto all'altro dentro la loro cella.
Non avevano per niente parlato di ciò che la Foresta aveva mostrato loro e nessuno dei due sembrò voler introdurre il discorso. Non c'era bisogno di dare voce a ciò che li turbava, quando si trattava di loro, ma per quanto fossero bravi a capirsi non potevano leggersi nella mente. Sapevano che qualcosa non era stato piacevole, per niente, ma nessuno dei due si intromise nei pensieri dell'altro; se mai ci fosse stato il momento opportuno avrebbero parlato. 
Berit se ne stava con la guancia appoggiata al braccio dell'amico e lui era appoggiato al suo capo con la propria. Respiravano all'unisono e rimasero in silenzio a lungo. I canti degli elfi furono la sola cosa che si intromise al silenzio - percependo come un suono lontano anche la voce degli altri Nani che parlavano tra loro - ma le celle sembravano rimanere solitarie nonostante la vicinanza l'una con l'altra. Forse uno dei trucchi degli elfi, per evitare il trambusto tra i prigionieri.
«Ti ricordi la ballata del Giorno Antico?» Berit alzò la testa per guardarlo e quello evitò di farlo.
Era rigido come un tronco di legno e non certo per il fastidio. «Perchè non dovrei ricordarmela?»
«Perchè tu non ti ricordi mai di niente.»
Quello sbuffò ma non si lasciò sfuggire un sorriso e si voltò a guardarla. Aveva gli occhi lucidi per la stanchezza e la pelle sporca di terra. «Questa me la segno.»
«Ti scorderai anche di fare questo.» Era partita con la sua solita manfrina di battute per sminuirlo. Di solito succedeva quando era stanca, quando era arrabbiata, quando era triste. Nulla che avesse alcuna radice di pensiero piacevole. Erano rimasti ancora in silenzio e lei si era accomodata meglio addosso a lui.
Berit non era avvezza ad una vicinanza troppo affettuosa, lui stesso l'aveva scoperto quando tentò di abbracciarla, una volta. Lei non se lo aspettò e gli diede una gomitata nello stomaco. Ma qualche volta lo stupiva, faceva crollare un po' le difese e si lasciava andare a gesti semplici e di puro affetto.
Non glieli vedeva compiere spesso ma durante quel viaggio, evidentemente, sentiva il bisogno di farlo lei stessa. Lui era sicuramente il favorito di quelle attenzioni e la cosa gli fece spuntare un sorriso istintivo. «Quando dividerò la mia birra con te, allora comincia a preoccuparti.» Aveva detto lei un giorno.
Quello era il massimo a cui poteva aspirare il suo incommensurabile amore. Ma intanto quella vicinanza stava mettendo a dura prova l'autocontrollo di Bofur.
Ad ogni sospiro che lei emetteva la sua mente tornava al bacio che aveva visto, dentro la foresta. Se lo ricordava come un sogno sfocato eppure la sensazione di vuoto era stata così reale da fargli mancare il respiro. Non voleva pensare a quel piccolo particolare, in realtà, ma non v'era molta scelta. Fece mente locale e provò a sgombrare quei suoi pensieri con qualcosa di più piacevole. 
Passò dal pollo arrosto, alla Montagna, alla sua arma di ferro nanico, ai banchetti delle nozze di Famiglia, al suono del suo flauto, alla birra scura, al fumo della sua pipa, a Berit che si divertiva a rubargli il cappello e a imitarlo, a Berit che quando era seduta su una sedia e rideva non c'era volta che non cadesse per una spinta di troppo, a Berit che quando cantava la sentivano fino ai Colli Ferrosi, a Berit che ballava davanti alle sue vittorie, a Berit che baciava Fili...
No dannazione!
«La smetti di infangarti?» Berit gli diede una pacca sulla fronte. Non era la sua solita pacca, fu piuttosto scialba. La cosa non lo disturbò alquanto.
«Cosa?» 
«Non infangarti.» Ripetè lei.
«Infangarmi?»
«Sai quando ti fissi su dei pensieri e non ne esci più? Come quando Bombur ha perso la sua grazia non appena ha varcato la soglia delle cucine di Dìs. Ci vollero ben tre quarti d'ora per renderlo partecipe a qualsiasi conversazione.»
Bofur si riprese da un momento di panico - era impensabile che lei potesse alludere ai suoi pensieri, non era mica Gandalf - e si mise a ridere sotto i baffi.
«Bombur basta che vede una salsiccia ed è finita.»
«Te la ricordi, allora, la ballata?» Lei riprese quel discorso e lui si mise a fissarla. Se la ricordava, l'aveva sentita durante il funerale, poco dopo l'incidente delle fucine. L'aveva cantata Thorin durante un falò nei pressi dell'accampamento delle Montagne Azzurre. Di certo non era un ricordo molto felice, per quei momenti, eppure a ripensarci gli salì una sorta di nostalgia. Non aveva voglia di ballare, questa volta. Gli Elfi Silvani non si meritavano una sua esibizione come quelli dell'Ultima Casa , troppo tronfi spocchiosi per i suoi gusti. 
«Fluttuano nell'ombra di un crepuscolo scuro,
i vecchi arazzi di un Giorno Antico,
lievi parole in un cuore sicuro,
nebbiosi Monti d'un suono profetico.
Nella notte stellare la voce di pietra,
ricorda gli anziani della scure grigia..
Mentre lui parlava a bassavoce, canticchiando quella ballata in rima, sentì la mano di lei cercare la propria. Non lo percepì subito, finchè non la vide infilare le falangi in un incastro stretto con quelle di Bofur. Gli strinse le dita con forza e Bofur fermò la voce per qualche attimo prima di continuare.
«..n-nascono incanti nella luce tetra,
che dal fuoco s'innalza forte la forgia. »
Non gli era mai battuto il cuore così forte, aveva paura che potesse distruggergli il petto.
Un piacevole dolore che poteva sopportare.
Poi ci mancò poco che la voce gli morisse in gola. Sentì le sue labbra sulla guancia - un bacio dato con naturalezza e una leggera pressione - e la pelle gli divenne così rovente per l'imbarazzo da fare invidia al focolare più caldo di tutta la terra di mezzo. Quando si voltò per guardarla lei aveva già ripreso la postazione di poco prima e aveva chiuso gli occhi gonfi. Rimase con insistenza sul suo profilo, catturando quanti più dettagli possibili.
Aveva i capelli tutti arruffati, la treccia non esisteva più, annodata scomposta sul fondo. L'avrebbe paragonata ad un cespuglio che aveva visto troppi venti dell'Ovest. O ad un rovo bruno che era stato sconquassato dalle fauci di due Mannari con la rabbia. Eppure non gli era mai sembrata così bella come in quel momento.
«Buonanotte Bofur.» Sussurrò lei, stringendogli le dita.
«Buonanotte..Berit.» Rispose con un sospiro, socchiudendo le palpebre. 
Come poteva prendere sonno con tutte quelle farfalle a ballare danze scoordinate dentro al suo stomaco?  

Berit era distesa nella zona esterna della Montagna.
Alcuni piloni scendevano imponenti fino a terra, gli intagli delle statue in pietra rappresentati i vecchi Nani di Erebor erano illuminati con una luce fredda, d'inizio inverno. Fissavano davanti allo spiazzo desolato. La Nana aveva disteso una coperta pesante e s'era ritagliata un suo angolo solitario. Stava guardando la notte scura, il cielo era coperto di stelle lontane che illuminavano quel manto nero. La luna era offuscata da nuvole grigie ma poco consistenti; dei batuffoli piccoli e lontani, incapaci di ostacolare la sua luce pallida. Chiuse gli occhi e rimase a pensare.
Sentiva Bilbo non molto distante, stava dormendo e tratteneva la sua giacchetta ben chiusa per il freddo gelido. Gli aveva proposto di rientrare dentro a riposare ma lui non ne volle sapere. Quel piccolo testardo stava cominciando a prendere le caratteristiche dei suoi Compagni - ma l'avrebbe mai scommesso?
Oh sì. Lo avrebbe fatto. E avrebbe vinto perchè lei vinceva sempre le scommesse.
Ma quella notte aveva paura a formulare i pensieri. Gli mancavano i suoi amici, non aveva idea di dove fossero e, ancor più terribile, era il pensiero che non ce l'avessero fatta. A stento loro erano sopravvissuti all'ira di Smaug, perchè i suoi amici avrebbero dovuto essere più fortunati?
Odiava quel pensiero. Non voleva arrovellarcisi, non era mai scivolata nel classico declino della mestizia. Persino nei posti più angusti era sempre riuscita a trovare la luce, quel piccolo raggio di una speranza che bruciava come una fiaccola sicura. Non riuscire a trovarla, questa volta, era una sconfitta per sè stessa.
Odiava Thorin per aver proibito loro di andarli a cercare e al tempo stesso lo comprendeva, in un ciclo di sensazioni incoerenti che lei stessa non riusciva a ordinare. 
Avrebbe potuto lasciar perdere tutto e fuggire da lì ma forse la bloccava qualcos'altro. La paura stessa di una scoperta che non avrebbe voluto fare.
Voltò lo sguardo per cercare la figura di Bilbo. Lo vide di spalle e respirava piano, avvolto come un piccolo bozzolo colorato in tutto quel grigio.
Si sentì in colpa e un peso angoscioso gli serrò la gola. Il problema era solo uno, senza troppo girarci intorno come una trottola.
Guardare Bilbo dormire non aiutava: non aiutava vederlo coricato tra la roccia distrutta, senza cascate, senza l'erba soffice, senza il suono dei canti.
Fece una lieve smorfia e chiuse di nuovo gli occhi; vide quelle maledette fossette.
Gli mancava. Terribilmente.
lo odiava. Terribilmente.




 

 

  NA.
Capitolo un po’ più romantico (????) del solito perché mi accorgo che io ho ficcato il tratto -sentimentale- nella storia ma non sono per niente brava con tutti sti sentimenti’d’Amur. Alla fine non faccio mai succedere niente di rilevante, me ne rendo conto, ma chi va piano va sano va lontano anche se la pazienza è un brutto fardello da portare. Persino per ME, mi odio quando ho queste trovate. Comunque sia io continuo a ringraziarvi per essere giunti fin qui, molto presto darò più spazio alla fantasia e pian piano arriveremo al punto CLU della storia. Ah, alla fine, so come finirà tutto ciò, ieri mi sono impuntata per trovare un finale “a effetto” e credo di averlo trovato. Forse. Non lo so. Comunque sia: pancia fatti capanna e al prossimo capitolo :) buona domenica a tutti.
p.s. La ballata m'è venuta di getto, a caso, ho provato anche a canticchiarla. Fa schifo, me ne rendo conto, ma volevo provarci a creare cose in rima. Tolkien rimane il mio ispiratore indiscusso.

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Capitolo 15
*** Un Re meno saggio ***


Capitolo 15.
Un Re meno saggio




Bilbo era riuscito a seminare qualche ragno non appena era scomparso alla vista di Kili.
Si separò dal resto dei suoi Compagni proprio mentre stava affondando la lama nel corpo scuro della bestia ma, per colpa di un colpo troppo irruente, l'anello gli si sfilò dal dito e cadde sul terreno. Quando il ragno vide finalmente il suo nemico si mosse contro di lui con ferocia. Bilbo riuscì a ucciderlo con non poca fortuna, trafiggendolo grazie ad un passo veloce che lo portò dietro il ragno. Un hobbit poteva vagare alla luce, non visto, se solo avesse voluto. Ma i ragni erano abituati alla luce lugubre di quella Foresta e Bilbo non era appieno delle sue facoltà mentali. Fu grazie all'anello che riuscì a depistare la bestia in maniera quasi impeccabile, senza quello non era sicuro che ce l'avrebbe mai potuta fare. Si ritrovò a rotolare tra il fogliame secco, non troppo distante dai suoi amici Nani.
Aveva sentito che v'era qualcun'altro, insieme a loro e aveva deciso di rimanere nascosto nel suo angolo, almeno finchè non avesse ritrovato il suo piccolo tesoro.
Gli era caduto mentre rotolava via nella lotta e si ritrovò a carponi, cercando come un forsennato nel sentiero.
Spostò foglie, rami secchi, tronchi ormai marciti ma non riusciva a vederlo da nessuna parte.
Si fermò giusto un secondo per riprendere fiato. La mente si stava annebbiando di nuovo e una paura vorace gli trafisse il petto. Se lo dovette stringere, chiudendo gli occhi. Non amava il disordine. Tantomeno quello dentro la sua testa. Troppi pensieri lo facevano sentire vulnerabile e mai s'era sentito così prima di quel viaggio.
Neanche quando i Sackville-Baggins lo minacciarono di rovinare la sua reputazione nella Contea, per gli sciocchi racconti che il suo vecchio cugino si divertiva a divulgare. Ma per colpa di quel viaggio tutto stava diventando caotico e lo odiava.
Lo odiava.
Una rabbia inconsueta per un piccolo uomo della Contea lo pervase fino a fargli accaldare la pelle. Tratteneva ancora la mano sul petto e si strinse la stoffa al di sopra, respirando pesantemente. Se non fosse stato per Gandalf ora non sarebbe in quella situazione. Non avrebbe rischiato la vita e avrebbe lo stomaco pieno, starebbe sonnecchiando sul baldacchino morbido e trapuntato, ascoltando il fuoco del camino acceso che gli scaldava il corpo in un soave tepore.
Perchè aveva firmato quel contratto? Perchè quello stupido di Bofur aveva dovuto fermarlo, quel giorno, alle caverne? Avrebbe dovuto guardare oltre, smetterla di farsi sopraffarre da un senso del dovere che non gli competeva. Lui non era un Nano. Era un hobbit. Non avrebbero dovuto pretendere nulla da lui, lui non aveva perso nessuna casa. Lui la sua casa ce l'aveva e non aveva alcuna intenzione di lasciarla.
Stupidi Nani. Stupido io che ci sono cascato con tutti e due i piedi. Stupido stupido stupi...
Interruppe le parole non appena lo sguardo si puntò in un punto isolato vicino agli alberi, s'accorse di qualcosa che brillava, a ridosso di un cumulo di terra. La rabbia scivolò via così come era apparsa e un meraviglioso sollievo gli riempì il cuore. 
Lo aveva trovato. Il suo anello. Non l'aveva perso.
Subito scattò verso questo, prendendole con le piccole dita tozze. Ammirò la sua lucentezza e quasi non sentì il peso dello stesso metallo in cui era forgiato.
Gli occhi gli brillarono di una gioia tutta nuova e strinse l'Anello al petto, chiudendo le dita. Ma qualcosa giaceva vicino all'albero più vicino, attirò la sua attenzione per la consistenza grigia e rocciosa. Spostò alcune foglie e allargò lo sguardo con orrore e stupore prima di sentire un rumore davanti a sè. Fu allora che si accorse che v'era una grotta che s'apriva in un buco del terreno. Era una tana scura, non l'aveva notata poco prima e, tantomeno, aveva avuto il buonsenso ad allontanarsene il più possibile. In quella foresta tutto ciò che era celato alla vista non nascondeva niente di buono e l'aveva ben appurato.
Un altro ragno strusciò tra le foglie e uscì allo scoperto, guardava Bilbo con occhi piccoli e scuri. Due pozzi neri come i più oscuri precipizi. Bilbo sguainò di nuovo la spada e si issò in piedi. Questa volta dalla gola gli uscì un urlo di rabbia mentre s'avventava sulla bestia.



Thorin venne spinto dagli elfi proprio dinnanzi al trono del Re di quel Regno.
Non aveva idea di quanto avesse camminato ma si sentiva stanco e spossato nonostante la mente aveva smesso di girargli.
Un'angoscia più oscura gli attanagliava il petto, adesso e di certo la sua presenza in quel covo Elfico non aiutava quello sconforto dilaniante.
Sapeva di aver perso la chiave. La Foresta era stata infida, non aveva trattenuto il suo impulso e questi, come uno stupido, s'era lasciato fregare senza onore.
Si maledì così tante volte mentre oltrepassava i sentieri boscosi, ostacolato alla vista. Il Re degli elfi si differenziava dall'aspetto delle sue guardie. Aveva lunghi capelli chiari e lisci, gli occhi di un blu intenso e luminoso e una corona di legno a impreziosirgli la fronte. Una lunga veste ricamata da velluti e tessuti pregiati gli copriva il corpo slanciato e alto. Una fierezza austera delineava il suo volto chiaro. Si portava dietro un segreto secolare e la ruvidezza di una quercia che ha visto molti inverni .
Thranduil, colui che aveva voltato le spalle ai Nani durante la sconfitta di Erebor.
Offeso dall'avidità degli stessi quando gli furono negate le gemme bianche che avevano onestamente pagato. Ma il nonno di Thorin, Thron, era già accecato da una potente malattia che non lasciava scampo. Una malattia che s'insinuava nell'anima e scorreva fino a portare alla pazzia. Thorin lo guardò con disgusto, i suoi capelli scuri e sporchi cadevano oltre il viso barbuto. Aveva ripreso a respirare normalmente ma l'ombra nel suo volto non si dissipò nemmeno in quelle mura protette.
Due Re di una prestanza più unica che rara, si guardarono a lungo prima che l'Elfo spezzò il silenzio con la sua voce. Era calma ma stoica, alcuna emozione la impregnava.
«I miei uomini mi hanno riferito della vostra presenza nel mio Reame, Nano. Mi chiedo cosa ha spinto te e i tuoi amici a varcare i miei luoghi con così tanta negligenza.»
Thorin non rispose, strinse i pugni e si erse col corpo. Per quanto fosse basso rispetto al suo interlocutore, riuscì a instillare in Thranduil una sorta di equità.
Ma un Re degli Elfi non s'abbasserebbe mai alla stregua di un Nano, neanche di uno potente come un Durin.
«Devo parlare più lentamente, per caso? O la Foresta ti ha tagliato la lingua?»
Di nuovo silenzio. Thorin non aveva alcuna intenzione di rispondere ad una sola domanda. Sapeva che avevano trovato i suoi Compagni e questo gli bastava.
Non sapeva se erano stati trovati proprio tutti, forse la risposta sarebbe venuta da sola. Thranduil camminò adagio davanti al Nano, girandogli intorno con la stessa grazia con cui parlava. Teneva le mani dietro la schiena e lo guardava con la coda dell'occhio. Non si sarebbe nemmeno abbassato a piegare il capo per posargli lo sguardo addosso.
«Volevate derubare il mio Regno? Carpire i segreti degli Elfi?»
Silenzio.
Thranduil stava perdendo la pazienza e una luce diversa annebbiò il suo sguardo cobalto. Disintrecciò le mani e piegò la schiena per arrivare alla stessa altezza di Thorin. Lui non faceva che fissarlo con un disgusto reciproco.
«Thorin Scudodiquercia. Il Re sotto la Montagna. Pensavo che ormai voi Nani aveste abbandonato le strade per raggiungere Erebor e la sua desolazione. Non v'appagava più rifocillarvi lo stomaco con la birra e il fumo dell'erba pipa nei vostri Colli Azzurri?»
Questa volta Thorin spostò lo sguardo e assimilò ciò che intorno impreziosiva quel rialzo. Il trono di Thranduil si ergeva su degli scalini e impadroniva la scena con la sua maestosità. Non c'era lo stesso incanto delicato di Gran Burrone; il loro stile era più vicino alla terra stessa, lo notava dagli intrecci dei loro legni e dalla movenza degli stessi Elfi. Si muovevano come radici, flessuosi e indomabili.
«Mi riconosci, allora. Pensavo fosse difficile ricordare un volto quando si è intenti a dare le spalle.» Rnghiò il Re sotto la Montagna, alzando il mento.
«Non giudicare me, Nano, quando dai voi non c'è mai stata parsimonia.» Thranduil si stava innervosendo ma era difficile constatarlo; sembrava nervoso anche quando non lo era.
«Voi avete tradito la mia stirpe. C'era un'Allenza e ci avete abbandonato all'ira del Drago senza fare nulla.» Thorin digrignò i denti e il dolore di quell'evento gli infiammò lo sguardo stesso. «Non dirò Voi una parola, o vile Re della Foresta, non m'abbaserò mai al vostro infido livello. Ishkhaqwi ai durugnul *
Thranduil tornò a serpeggiare davanti alla faccia di Thorin col volto iroso. Il volto si decompose e una cicatrice sanguigna e filamentosa martoriò la pelle perfetta dell'Elfo, scavando a fondo fino a coprire tutto il lato sinistro del volto. Il bulbo divenne completamente bianco e questo portò l'Elfo a indietreggiare con lo stesso scatto fluido di poco prima.
«Non venire a parlare a me dell'ira del Drago, quando non sai niente.»
«Niente? Io conosco quello che vedo e ciò che vedo è solamente feccia, ai miei occhi.» Sibilò ringhiante il Nano. 
Thranduil riprese a camminare verso la sua postazione onorifica Salì le scale con lentezza, dando le spalle a Thorin, almeno finchè non s'adagiò nel suo trono. 
Parve rilassato, un flebile sorriso gli increspò il volto perfetto e lo sguardo tornò a illuminarsi. «Voglio fare un accordo con te, Thorin Scudodiquercia, Re sotto la Montagna. Puoi ascoltarmi?»
Thorin chiuse gli occhi per la rabbia e di nuovo un dolore profondo si conficcò nel petto.


Quando gli Elfi riportarono indietro Thorin oltrepassarono dei cunicoli luminosi, discendendo un piccolo sentiero di pietra.
L'ora di quel tempo non gli era più nota ormai, guardava attraverso i pochi riverberi di luce che filtravano dall'alto e scorse un bagliore lunare che lo fece sospirare appena. Quando superò una curva si ritrovò davanti ad una schiera di celle. Alcune erano più basse e altre più alte, ma tutte erano piene. Il primo che vide fu Balin e, per quanto fosse distrutto, non riuscì a trattenere il sorriso.
«Thorin.» Sussurrò il vecchio Nano con una luce di speranza negli occhi e dalle sbarre comparvero, improvvisamente, tutte le mani dei suoi amici.
Si arpionarono alle celle e guardarono fuori mentre Thorin veniva portato in una delle celle libere, più in basso. Quando passò accanto a loro fece cenno di non fiatare - gli bastò un solo sguardo - e quelli obbedirono. Fu sollevato dal vedere tutti i Nani lì anche se la conta non aveva dato i risultati sperati; mancava un membro della Compagnia e un senso di paura gli trafisse di nuovo il petto.   Passarono in rassegna la sua camminata fino a che l'elfo silvano non lo spinse dentro la cella e la richiuse con un tonfo. Aspettarono di vederlo allontanarsi prima di affacciarsi, per quanto poterono, nella loro progionia.
«Thorin, grazie ad Aule sei vivo. Come ti hanno trovato?» Chiese Dwalin.
«Non lo so. Ero nella Foresta, non vedevo più nessuno di voi e..» chiuse gli occhi ripensando al tonfo che fece la chiave quando gli scivolò dalle dita, maledetto lui che aveva permesso una cosa del genere. «...e poi sono stato circondato dagli Elfi. Mi hanno portato qui e mi hanno tenuto in una cella buia per un giorno. Sono stato al cospetto del loro Re.»
«Ma che fortunato.» Borbottò Balin senza un minimo di ironia nel tono. Appoggiò la fronte chiara alle sbarre. Nella sua cella, Thorin, aveva preso a camminare avanti e indietro.
«Cos'è successo? Ci lasceranno andare? Gli hai detto qualcosa?» Incalzò il vecchio Nano.
Thorin rimase in silenzio per un po'. Nessuno di loro si permise di spezzare quella pausa, neanche con domande inconsuete e borbottii d'affronto e Thorin picchiò con forza contro le sbarre. Il rumore rimbombò nei cunicoli.
«Re Thranduil non ci aiuterà. Non ho detto nulla ma gli Elfi sono scaltri e hanno uccellini che cantano troppo. Mi ha chiesto di contrattare con lui per la liberazione, donandogli la loro parte del tesoro una volta giunti a Erebor. Le antiche gemme bianche che mio nonno aveva promesso loro.»
«E poi dicono che i Nani sono avidi, maledetti taccagni dei miei stivali.» Borbottò Gloin, da una cella più in alto.
«Thorin cosa gli hai detto?» Continuò Balin, trattenendo lo sguardo su di lui.
«Gli ho detto che ishkhaqwi ai durugnul.»
«Oh per la mia barba.» Balin scosse il capo sconfortato.
Berit, a discapito di tutto, si era messa a ridere insieme all'altro compare. Non fu presa bene da Dwalin che grugnì qualcosa di incomprensibile.
«Era la nostra unica fonte di salvezza, Thorin.» Continuò Balin, ormai posatosi contro il muro della propria cella.
«Vi siete dimenticati che non hanno preso tutti.» Incalzò Bofur, guardando verso tutte le celle. «Sono sicuro che il nostro Scassinatore ci riserverà una sorpresa.»
«Esatto. Non era l'unica fonte, Balin. Non ancora.» A Thorin comparve un sorriso e guardò verso l'entrata.
Bilbo era vivo, ne era sicuro. 

«C'è nessuno? Ragazzi»
Erano arrivati e ciò che trovarono all'entrata li lasciò sgomenti per un attimo.
La porta di pietra era stata distrutta da qualcosa di potente e vigoroso, tutte le pietre erano sparse davanti al sentiero di roccia che portava all'interno della Montagna.
Non c'era nessuno degli altri nei pressi e quando camminarono nelle grandi Sale dellla fortezza. Tutti rimasero incantati dalla magnificenza di quelle sale, così grandi e enormi, dove il suono degli stessi passi non rieccheggiava tra le pareti e i pilastri. Camminarono all'interno con titubanza, guardandosi intorno con l'apprensione che cresceva a dismisura.
«Thorin? Balin?» Urlò Kili con tutta la voce che aveva in gola e l'eco delle sue parole si dispersero fino al soffitto.
Nessuno rispose e continuarono ad avanzare, arrivando alle scale che portavano aille stanze dell'oro. Questa volta anche Bofur avanzò con passo più frettoloso.
La testa gli stava girando perchè il cuore non faceva che rimbombare fin dentro le orecchie. Aveva paura di cosa avrebbero trovato lì sotto.
L'oro? O i corpi dei loro amici? Di...?
«C'è nessuno?!» Urlò e stava facendo fatica a respirare. Fili e Kili lo affiancorono, urlando a loro volta e quando una voce risuonò da lì sotto per poco il cuore non sobbalzò per la gioia.
«Ragazzi! Sto arrivando! Fermi fermi!» Bilbo. Fu Bilbo che rispose loro mentre, probabilmente, stava salendo le scale a due a due con velocità. Gli altri subito gli corsero intorno e per poco non lo sovrastarono per la felicità.
«Bilbo! Sei vivo! Siete vivi!» Bofur tentò un abbraccio. Stessa cosa che fecero anche Fili e Kili. E infine anche Oin. Per poco Bilbo non soffocò immerso in tutte quelle braccia.
«State tutti bene? Dove sono gli altri? Dove..»
«Dobbiamo andarcene di qui. Tutti quanti. Eh sì, stanno tutti bene e vedo anche voi per fortuna, grazie al cielo..»
Quando lo lasciarono rimasero a guardarlo con aria perplessa. Si guardarono per qualche istante prima di avanzare ancora verso i gradini. Erano così intenti a cercarli che non avevano realmente guardato.
Tutto l'oro sotto di loro si estendeva come un mare lucente e Thorin, lì sotto, vagava con lentezza. Non ebbero in tempo a dire o fare niente, rimasero a guardare il loro Re che gli dava il benvenuto davanti al tesoro di Erebor.

«Bilbo dove sono gli altri?»
Bofur lo guardò con aria insistente. Fili e Kili non erano da meno e lo hobbit si sentì sollevato. Finalmente un'emozione che non fosse dettata dalla rabbia o dallo sconforto, lontano dall'ingordigia dell'oro. Sorrise perchè sentì la speranza, rivide negli occhi dei loro compagni una grande felicità che - almeno per un attimo - copriva tutta la tristezza che s'annidava nei loro pensieri.
«Sono di sopra, stanno conteggiando l'oro. Quanto..oh quanto saranno felici di vedervi. Non avete idea.»
Sorrisero tutti e quattro e si misero a correre verso le stanze superiori. Riuscirono a superare immensi varchi e alle orecchie dei Nani intenti a sistemare e impilare tesori giunsero i passi veloci e scoordinati di qualcuno che si avvicinava veloce. Si guardarono tutti e si voltarono verso l'apertura della stanza - era assai facile guardare attraverso questa, visto i pilastri distrutti dal Smaug che giacevano rotti sul pavimento - e videro Bilbo e quattro Nani avvicinarsi di corsa.
Berit si alzò di scatto e per poco non gli mancò il respiro mentre faceva cadere un sacchetto a terra, avanzando piano verso le quattro sagome.
Li guardò uno per uno - i suoi due Principi - e sorrise piena di gioia.
Oin, quel piccolo guaritore dalla tromba appiattita, ce l'avevano fatta entrambi; l'oggetto pià fortunato del mondo era, altrochè.
Sentiva gli altri attorno a lei urlare e ridere di piena contentezza mentre s'avvicinavano verso i loro Fratelli e Compagni. 
Lei si era fermata e guardava gli altri superarla, andando ad abbracciarli tutti.
Quando posò gli occhi su Bofur il tempo si fermò.

 



* significa leteralmente = sputerò sulla tua tomba. Nel doppiaggio italiano questa cosa s'è un po' persa, forse per far sembrare la frase più simpatica, chissà. 
 

NA:
Questa parte non da molti spunti nuovi lo so, ma nel film l'ho amata e quindi niente ci ho messo un po' del mio e bom. Spero comunque vi piaccia, presto arriveremo al punto che più preferisco ossia la fuga delle Botti *___* che mi uscirà una schifezza illeggibile a confronto ma ormai mi sono ficcata in questa situazione e non me ne tirerò fuori, BWHUAH.. Ah, questo sarà l'ultimo capitolo scritto con la tecnica del "prima" e del "dopo" finale. M'è servito fare questo lavoro per non rendere la storia infinita, quindi dal prossimo ci sarà solamente la storia lineare, o comunque qualche flash-back a caso, adesso vedo v_v ogni giorno cambio idea su qualcosa perciò non so mai niente (come Jon Snow!). Intanto grazie come al solito per essere giunti fin qui, ringrazierò sempre all'infinito.

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Capitolo 16
*** Non possiamo andare ***


Capitolo 16.
Non possiamo andare




Come finirono nelle botti ci sarebbe da scriverci un tomo intero fatto di: sensazioni, allerta, panico, allerta, altro panico e una buona scorpacciata di rabbia.
Passarono diversi giorni prima che Bilbo li trovasse e lo sconforto li aveva presi tutti, tanto più Berit e Bofur che – costretti a vivere nella stessa cella – aveva cominciato un delirio fatto di storie sconclusionate senza né capo né coda; si divertivano a inventare un finale alternativo a quella loro avventura e tutto prevedeva morte, distruzione, luccichio di speranza, altra morte e spade sguainate al momento opportuno. Dwalin fu molto contento di non essere nella loro cella o avrebbe sbattuto loro il cranio così forte da fargli dimenticare persino il khuzdul. Fili era quanto più intrattabile possibile in quei giorni e Kili, invece, sembrava al settimo cielo. Infatti, Tauriel, la graziosa Elfa Silvana dai capelli rossi, veniva a fargli visita spesso.
Si soffermavano a parlare di Luna e di Stelle e lei gli raccontava dei balli degli Elfi e delle feste dei Grandi Inverni o le vallate ad Ovest, dove la natura cresceva rigogliosa. Lui, invece, abbandonò quasi da subito la sua indole fascinosa e si ritrovò a comunicare con lei come non faceva da tanto tempo con una  persona di sesso femminile – Berit era considerata “femmina” quanto lo era lui – gli mostrò il talismano della madre, lo stesso che Fili tratteneva tra le dita nei momenti di sconforto e gli raccontò della Luna di Fuoco. Legolas, la Gamba Aperta – Nori proprio rideva fino allo stremo – non era molto contento di quelle visite ed erano costretti a sorbirselo quando giungeva con la sua chioma fluente a far rapporto al Capitano.
Ovviamente Kili dovette sottostare ai commenti poco carini e sornioni dei Compagni riguardo l'amicizia che si stava instaurando tra lui e l'Elfa Silvana ma era unsopportabile fardello da pagare, in fondo. Furono molto contenti che il Re non era avvezzo alle formalità e non comparisse che di rado in quei cunicoli.
Balin e Thorin avevano cominciato a pensare dei piani, s'erano convertiti ad uno stato più ragionevole e stavano seriamente pensando di trattare col Re degli Elfi una volta per tutte. Nessuno era d'accordo con loro, nemmeno Bombur, che in fin dei conti non si trovò così male dagli Elfi; mangiava e dormiva e, cosa assai molto importante, non camminava. Non giovava sul suo snellimento fisico ma almeno non era più stanco come i giorni addietro.
Thorin non aveva ancora informato loro della perdita della chiave e, di tanto in tanto, se ne rimaneva zitto e all'ombra della sua cella, senza proferir parole per ore.
Balin sapeva che qualcosa non andava ma non s'azzardò a farne un problema di stato proprio in quel momento. Sperava, mentre guardava nell'apertura dei cunicoli stretti, di intravedere una piccola creatura dai piedi pelosi che giungeva verso di loro per salvarli. Ma – ahimè – Bilbo non si faceva vedere e stavano seriamente pensando che la Foresta lo avesse inghiottito tra le sue spore velenose. Questo pensiero non allietava di certo le loro monotone giornate, nonostante ormai l'ombra scura della Foresta non era che un lontano ricordo e la fame stessa insieme a lei.
Bilbo mancava a tutti e spesso si maledissero per non essere stati più accorti nel tenerlo d'occhio. Kili aveva detto loro della sua presunta scomparsa prima dell'arrivo degli Elfi e tutti speravano che i ragni non avessero fatto di lui il loro pranzo prelibato.
«Gli stacco quelle zampe e le uso per suonare la marimba, lo giuro, se hanno osato.»
Aveva minacciato Berit con un pugno chiuso e Bofur già s'era additato come volontario per scriverne una ballata che avrebbe mostrato Bilbo come vincitore. Dwalin avrebbe scontrato loro la testa di nuovo, molto volentieriMa Bilbo non era stato ucciso né assaporato come pranzo di stagione. Aveva vagato per la dimora degli Elfi in gran segreto in tutti quei giorni, con l'anello al dito, invisibile come l'aria stessa. Erano stati giorni terribili anche per il piccolo uomo della Contea – costretto a rubare cibo e bevande ogni qualvolta gli Elfi se ne dimenticavano sui tavoli dopo le loro grandi abbuffate – ed era assai contento che quelli fossero dei gran mangiatori e bevitori di vino. Per quest'ultimo, poi, avevano una grande ammirazione e aveva scoperto che lo reggevano ancor peggio di lui.
Spesso si intrufolava nelle cantine per cercare qualcosa che potesse aiutarlo a far fuggire i suoi amici, trovati dopo un lungo girovagare.
Non voleva mostrarsi, non prima di aver trovato una via d'uscita da quella situazione.
Stavano perdendo momenti preziosi e quei luoghi brulicavano di Elfi in ogni dove – Bilbo dovette convenire che ce n'erano di più che a Gran Burrone e che, purtroppo per lui, erano spesso armati – ma grazie alla loro indole più festaiola era facile raggirarli senza essere scontrato per sbaglio ma, specialmente, visto.
Una sera si era ritrovato dietro delle botti vuote. Da quello che aveva potuto capire da una discussione tra un Capitano della Guardia – un'elfa molto graziosa – e un altro suddito dai capelli biondi quelle botti facevano avanti e indietro lungo il Fiume Selva per scambiar commercio con gli abitanti di Pontelagolungo. Tornavano piene e uscivano vuote, venivano fatte scivolare attraverso una botola che s'apriva sul pavimento e fatti cadere nel fiumiciattolo che li spingeva lungo un promontorio più distante e, da lì, seguivano la scia della corrente fino a raggiungere la città degli Uomini.
Ma forse questa volta non sarebbero uscite proprio vuote.
«Mi raccomando, non finire tutto il sidro di Re Thranduil questa volta. L'ultima per poco non proibì a tutti di festeggiare il solstizio, per colpa della tua bravata.»
«Non noterà per niente l'assenza di un solo calice, mi sono fatto furbo. Questo vino è il più pregiato, come posso dirgli di no? Un sorso giusto per rinfrescare la mente e la gola durante il turno di guardia, mio Capitano.»
Tauriel guardò l'elfo con sguardo tagliente. Era austera nel portamento e vigile, ma al tempo stesso tradiva una certa irrequietezza, come se non fosse davvero convinta di essere nel posto in cui desiderava.
«Per favore, Amlach, potresti evitare?»
Amlach, invece, non faceva nemmeno finta che quel ruolo gli si addicesse.
Era un bell'elfo, biondo e dagli occhi chiari come un ruscello , ma persino il suo snodare e il modo in cui parlava non lo additava come servo devoto e ligio.
«Sì, potrei.»
Tauriel sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Per favore. Devi solo riversare le botti all'ora prestabilita e ritirare quelle mancanti. Per favore, non come l'ultima volta.»
«L'ultima volta, ripeto, la botte si era incastrata al guado. Non è stata di certo colpa mia.»
«Mancavano le spezie. Casualmente.» Disse Tauriel. Amlach affilò lo sguardo chiaro.
«Nessuno ha mai pensato che, magari, sono stati proprio gli Uomini a dimenticarsi di metterle? Si sa che quella gente è molto distratta. Il Governatore, poi, dopo che si siede a tavola e ingurgita tutto il vino.»
«Sei consapevole che tu non ti distanzi molto da questa descrizione, sì?»
«Capitano» Amlach le si avvicinò con passo spavaldo, stava giocando la sua carta migliore. «Non posso proprio paragonarmi a quell'energumeno stolto.»
«Non ti conviene parlare così di chi ci aiuta col commercio di vino e pietanze per i nostri banchetti.»
Tauriel fece un passo indietro e Amlach ne fece uno avanti. Uno sguardo malizioso si impadronì del suo volto affilato, le labbra si stesero in un sorriso compiaciuto.
«Finchè non mi sente non faccio torto a nessuno, no?» Amlach sorrise e di nuovo ci fu un altro passo indietro da parte di Tauriel. Lei non provò nemmeno a servirsi della propria bellezza in maniera lasciva. Non le divertivano per niente quegli stupidi giochi. E neanche a Bilbo, costretto a sorbirsi quella danza d'espressioni.
«Amlach se ti vedo sorseggiare un solo goccio di vino farai meglio a trovarti una buona scusa, questa volta.» Tauriel prese a percorrere le scale che portavano di sopra. «Thranduil non è mai stato famoso per la sua misericordia.»
Lei svanì al di sopra e Amlach cambiò improvvisamente espressione del volto. S'affrettò a raggiungere il tavolo e tirò fuori da sotto questo una caraffa bella piena.
«Stupida. È facile fare la grande quando hai gli occhi del figlio del Re addosso.» Borbottò con arroganza.
Altri rumori di scale e per poco non sputò di getto il vino; cosa assai poco graziosa per un Elfo, anche se Silvano, ma quello che spuntò era un altro Elfo e Amlach abbassò le spalle, sollevato. Il nuovo arrivato era scuro di capelli, dall'aspetto più gioviale. Sembrava più giovane, anche se lì tutti sembravano giovani. Ma cosa assai importante, v'erano legate delle chiavi alla sua cinta di cuoio.
«Amlach, è arrivato?»
«Sì. Non parlare a voce alta, caro amico. I nostri ospiti sono ancora tutti vivi?» Fece ciondolare la caraffa prima di sedersi dietro al tavolo. Lì sopra non v'era solo il vino, ma frutta e ortaggi di ogni tipo.
Avevano un bel colore; Bilbo ripensò improvvisamente all'ultima cena che imbandì casa sua prima della partenza. Il profumo era diverso allora, era più buono.
«Sì. Parlano e borbottano, se fossero morti me ne accorgerei.» Sospirò con aria infastidita. «Sarà una serata di guardia interessante, almeno, stasera. I barili sono pronti? So che alla fine toccherà a me sistemarli, mentre gli altri fan festa.» E alla parola altri puntò con lo sguardo l'Elfo biondo. Quello alzò le spalle.
Bilbo si voltò e notò che erano impilati più di una dozzina di barili vuoti sopra una lastra di legno. Alcuni erano barili piccoli, altri sembravano molto capienti. Si mise a pensare e niente c'era di più scaltro di un Baggins che si mette a pensare quando si sente al sicuro.
«Certo che sono pronti. Vieni a farmi compagnia, prendi un altro boccale fratello.»
Dovette aspettare poco tempo, in realtà, a discapito di ciò che pensava. Quando i due furono abbastanza ubriachi da crollare col volto sul tavolo sgusciò attraverso le gambe di questo, sfilò via le chiavi dalla cinta dell'Elfo bruno e si precipitò sulle scale.
 
 




«Bilbo a rapporto, miei cari amici.»
Bilbo s'era tolto l'anello e stava sventolando le chiavi, che tintinnarono. Era davanti alla cella di Gloin e sorrideva contento. Il suo sussurro fece sobbalzare tutti quanti. Bombur fece un gridolino di sorpresa e ogni Nano si arpionò alle sbarre, puntando il naso fuori. Non urlarono di gioia alla vista di Bilbo solo per paura di essere sentiti dalle Orecchie a Punta, ma sicuramente dentro fecero molte capriole e tanti balli.
«Signor Boggins, sapevo che non eri stato ucciso dai ragni.» disse Kili, tutto concitato.
«Io ho anche scritto delle canzoni in tuo onore.» Bofur stava sorridendo, proprio come Berit di fianco a lui.
«E il mio quattordicesimo finale diceva che tu saresti stato l'eroe di tutta l'avventura! E saresti diventato ricco!»
«Presto liberaci Bilbo, dove sei stato fino ad adesso? Non mi sembri ferito.» Thorin fece scivolare lo sguardo su tutto il fisico dello hobbit mentre quello già s'apprestava ad aprire le prime celle.
«Vi spiegherò tutto dopo, ora dobbiamo sbrigarci. Ho un piano ma..» aprì la cella di Gloin e quello gli diede una pacca sulla testa. Solito male, strizzò gli occhi. «..ma dobbiamo sbrigarci e fare silenzio. Silenzio assoluto, vi scongiuro.»
«Per chi ci hai preso? Siamo silenziosi come la notte noi.» S'offese Bofur, scivolando davanti allo hobbit.
Stava trascinando Berit per un polso visto che lei s'era persa a inchinarsi e a dare pacche affettuose a Bilbo, già propensa a voler “cantare” qualcosa davanti a lui. Per fortuna non lo fece – fu costretta a seguire l'amico – e dietro di lei sfilarono Fili, Kili, Oin, Ori e Dori.
«Bilbo, sei il miglior Scassinatore che potessimo trovare.» Sussurrò Bombur una volta fuori, seguito da Nori.
«Il migliore dei migliori, senza dubbi alcuni.» Alzò un indice Balin. E intanto lui e Thorin furono liberati, insieme a Dwalin.
Finalmente erano tutti fuori da quei piccoli buchi elfici e Bilbo prese a camminare velocemente e silenzioso, oltrepassando tutti i cunicoli. Non fecero esattamente il silenzio che Bilbo sperava ma quando arrivarono nelle cantine ringraziò Dei, Elfi, Gandalf stesso – che era sempre nei suoi pensieri - che i Silvani ancora ronfavano inebriati dai vapori dell'alcol degli Umani. Quando mise i Nani davanti ai barili ci fu quello che lui – più avanti – definì come la più vasta e rigogliosa offesa alla sua persona. I suoi compagni non avevano più armi né tantomeno i loro mantelli e le loro giacche.
Nori nemmeno tintinnava più quando camminava. Erano completamente vulnerabili cosa che, probabilmente, alimentò non poco quel particolare momento.
Almeno si presero l'accortezza di sussurrare.
«Tu sei tutto suonato.» Disse Dori, sventolando davanti al volto una mano libera.
«Signor Bilbo, mi spiace dover andare contro la tua persona, ma credo che mio fratello questa volta ci abbia visto giusto. Non ha proprio senso imprigionarci qui.» Questo era Ori.
«E passi il fatto che ci hai fatto venire quaggiù con quei due che stanno russando peggio di Bombur» incalzò Bofur, con un indice ballerino davanti al naso «ma prima o poi quei due ci scopriranno, non credi?»
«Sì ma dovete-» Bilbo ci provò a giustificarsi.
«Sssh!» Bofur lo zittì. Berit si intromise, passandosi entrambe le mani sulle guance. Se le tirò giù.
«Bilbo che cosa t'è successo? Quei ragni devono averti fritto la testa con tutte quelle ragnatele.»
«E dicci, per tutti i boccali, come dannazione pensi che possiamo fuggire infilandoci qua dentro? Pensavo che fossi più sveglio.» Borbottò Gloin.
«Se solo faceste come vi dico invece di lamentarvi per ogni minima mosca che vola per aria magari, poi, avreste motivo se rimanere scettici o meno riguardo la mia idea, non credete? Ma se preferite ritornare nelle vostre celle elfiche fate pure. Ah-ah-» rise nervosamente, agitando le dita «non ho mica l'aria di un citrullo qualsiasi. So benissimo quello che sto dicendo.»
Momento di silenzio che durò un paio di secondi. Tutti si osservarono tra loro – Berit e Bofur stavano sorridendo - poi Dwalin gli si piazzò davanti.
«Senti piccoletto, questa è l'idea più stupida che tu potessi mai-»
«Oh insomma, Bilbo ci ha salvati, perchè non seguiamo il suo consiglio e la smettiamo di fare i vecchi brontoloni?» Balin fu l'unico sospiro di speranza in mezzo a tutti quegli scettici. Si era già infilato dentro uno dei barili, da dietro Oin lo stava spingendo.
«Bilbo io sono troppo grosso, ci rimango incastrato qui dentro.» Si lagnò Bombur.
«Se sei così grasso non è certo colpa di Bilbo.» Questa volta s'intromise Thorin che fece un passo verso i barili e si portò dietro Fili e Kili intenti a osservare quelli più piccoli.
«Oh ma ins..f...» Bombur stava borbottando e Bifur gli diede una pacca sulle terga, che voleva assomigliare ad una spinta affettuosa.
Thorin non guardava nessuno, sembrava pensieroso mentre osservava le varie botti. Il russare dei due elfi creavano un fastidioso sottofondo alle parole dei Nani e ai suoi stessi pensieri.
Non poteva più tacere ormai, c'era un problema.
«Non possiamo andare.» Thorin riprese e Bilbo rimase interdetto, voltandosi verso di lui. C'era qualcosa che il Re non aveva detto ai suoi compagni e ora il momento era arrivato.
«Thorin dovete fidarvi di me, per favore. Tra poco potrebbero svegliarsi e accorgersi della vostra scomparsa e-»
«No Bilbo, tu non comprendi. Non possiamo andare. Non possiamo lasciare Bosco Atro.» Questa volte la voce di Thorin s'incrinò cosa che destò non poca preoccupazione alla volta dei Nani. Tutti si fermarono, erano ancora fuori dai barili eccetto Balin; di lui sbucava solo la testa bianca dall'apertura circolare.
«Ma di che stai parlando?» Dwalin si voltò a guardarlo, Fili e Kili si guardarono preoccupati.
Bilbo continuava a guardare verso le scale, non c'era più tempo da perdere. «Per favore ragazzi, entrate nei barili.»
«Perchè dici che non possiamo andare, mh? Thorin, cosa ci tieni nascosto?» Questa volta fu Balin a parlare e Thorin sospirò con aria appesantita. Si erano raggruppati dietro le botti e continuavano a sussurrare nonostante la voce dei Nani cominciò a farsi più aspra. Thorin era sull'orlo di un momento di pura agonia. Non poteva più mentire ai suoi amici, alla sua Famiglia.
Come poteva dire loro che aveva perso la chiave di Erebor?
Che la Foresta gliel'aveva rubata con i suoi oscuri incantesimi?
Posò una mano sul barile e Fili gli andò vicino, guardandolo con aria grave.
«Ci stai nascondendo qualcosa?» Il tono era risoluto.
Odiava vedere Fili così serioso, sembrava sobbarcarsi di un impegno ancora maggiore sulle spalle ogni volta che perdeva il sorriso. Thorin vide sé stesso riflesso nello sguardo del nipote e sospirò di nuovo, stringendo il legno della botte fino a sbiancare le nocche.
«Thorin, per favore, fidatevi di m-»
«NO ho detto! Non possiamo andare!» Thorin, questa volta, alzò la voce e il russare degli elfi diventò un lamento sordo che fece sbiancare tutti quanti.
Ma, seppure la preoccupazione di far troppo rumore e venire scoperti era alta, nessuno spostò lo sguardo da Thorin. Bilbo si bloccò proprio alla curva delle botti, guardando verso il Re. Non era stupido, aveva ben compreso ciò che il Nano stava cercando di tenere nascosto nello sguardo. Ma non era il momento per prendere in mano quel discorso. Non così e non davanti agli altri Nani. Gli Elfi avevano l'orecchio fino persino più degli hobbit, questo lo sapeva, e di certo la cosa non poteva che andare a suo vantaggio, da un lato. Gli venne, così, un’idea. Strinse i pugni e si riempì di tutto il coraggio che aveva guadagnato durante quel viaggio, ritrovandosi davanti a Thorin con uno sguardo fin troppo risoluto.
«Ora basta!» Urlò di rimando, guardando fisso il Re. «Cosa..cosa pensi che io sia qua a far volteggiare le farfalle? Eh? Mi avevi chiesto se avessi mai impugnato una spada o un'ascia, a casa mia» si auto-indicò, guardando velocemente anche gli altri Nani «e io ti risposi di no. Bravo solo a tira castagna, di cui ancora mi vanto per i punteggi! Ma non siamo qui a parlare di questo, no. Se non fosse stato per me voi stareste ancora dentro quelle celle a ingrassarvi col cibo elfico e a cantare canzoni dai finali a sorpresa» Berit e Bofur si sentirono presi in causa e la cosa li fece scattare sull'attenti ancora di più «ho provato ad allontanarvi i Ragni mentre voi eravate chiusi nei bozzoli di ragnatele e sono riuscito a non farvi mangiare dai Troll stessi quando questi vi hanno appallottolato come salami. E pensare che sarei potuto tornare a casa mia tante di quelle volte che, ah-ah, proprio non avete idea. Ma sono qui, ho passato giorni nascosto a mangiare gli avanzi degli Elfi e a cercare una soluzione per farvi uscire da qui perchè ho fatto a voi una promessa e intendo mantenerla fino alla fine. Quindi non accetto» Thorin lo stava guardando con occhi di fuoco e Bilbo sentì la propria voce incrinarsi «n-non...non accetto insulti e scetticismo verso la me medesima persona che vi sta, di nuovo, salvando la vita. E lo sto facendo con piacere, perchè siamo una Compagnia, e nonostante sia un piccolo hobbit questo non fa di me il più insignificante qui dentro quindi esigo che almeno mi diate retta.» Bilbo era diventato tutto rosso. Nessuno di loro s'era messo a fiatare né s'era azzardato a interromperlo. «Forse non avrò mai combattuto né ucciso Orchi e Mannari quanto voi ma sono l'unico, qui, che ha avuto il buonsenso di usare la testa invece delle armi quindi entrate in questi barili e chiudete..la bocca!»
Ovviamente l'intero discorso di Bilbo, oltre che dai Nani stessi, fu sentito da una bella flotta di Elfi che non avevano il sangue intriso di vino.
Bilbo aveva consapevolmente trattenuto la voce alta e i passi degli Elfi furono captati quasi subito.
«Stanno arrivando! Muovetevi, dentro le botti!»
Non fecero in tempo a dire niente, subito si intrufolarono dentro le botti con spintoni, qualche insulto, qualche “ahio, Berit fai piano” e qualche “Oh per la mia..io qua dentro ci rimango secco” ma almeno sparirono da davanti il piccolo corridoio. Thorin fu il più restio a infilarsi dentro un barile. Continuava a fissare Bilbo con sguardo stralunato e oscuro ma non potè fare altrimenti. Gli Elfi stavano arrivando e non aveva alcuna intenzione di finire di nuovo dentro quelle celle, usato come pedina del divertimento di Thranduil. Guardò Bilbo un'ultima volta ma nel suo sguardo non c’era alcuna sorta di riconoscimento. Bilbo lo aveva già visto così, era lo stesso che aveva assunto poco prima di colpirlo con quella frase.
Non saresti mai dovuto venire qui.
«Bilbo, la prossima volta prendi un po' di fiato, mi raccomando.» Fili borbottò quelle parole da dentro un barile vicino a quello di Kili e Ori.
«Non lo ascoltare, Boggins. È stato illuminante.»
Bilbo sentiva un gran trambusto da lì sotto e non riuscì a rispondere a Kili nel modo appropriato in cui avrebbe voluto.
«E ora che facciamo?» Bofur s'era affacciato. Tutti gli altri lo imitarono un secondo dopo.
«Trattenete il fiato.»
E Bilbo tirò una leva. 
Subito i barili cominciarono a scivolare lungo la botola che s'era aperta nel pavimento, cadendo come un tonfo nel fiume sottostante. Quando tutti furono scomparsi sotto la botola s'affrettò con passo veloce e sicuro a rimettere le chiavi apposto, alla cinta dell'Elfo che ancora dormiva – per sua grande fortuna, visto il baccano che aveva fatto poco prima -  non aveva cuore di creargli più problemi di quelli che avrebbe già avuto. Gli altri si stavano avvicinando, li sentiva correre nel rimombo sulle pareti delle scalinate. Sentì qualcuno urlare qualcosa in elfico e qualcun'altro rispondergli con tono non propriamente amichevole. Ritornò di nuovo nel punto della botola e si piantò lì come uno stoccafisso.
E ora come faccio io a scendere da qua?
Non ci aveva pensato. Se solo quei Nani non si fossero lamentati per tutto il tempo magari avrebbe avuto modo di pensarci ma ormai il danno era stato fatto. Le ombre che si stagliavano dalle scale cominciarono a farlo sentire in panico. Pensò di infilarsi l'anello ma, proprio durante quel pensiero, sentì il pavimento sotto i suo piedi inclinarsi. Infatti, mentre pensava, s'era ritrovato a indietreggiare sopra la botola e quella non aveva retto il suo modesto peso. Scivolò all'indietro nel momento in cui vide l'Elfa dai capelli rossi correre sotto le cantine, ma lei non lo vide. Un plof nell'acqua gelida e riemerse, annaspando a tentoni.
Ce l'aveva fatta.

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Capitolo 17
*** Orchi e botti ***


Capitolo 17.
Orchi e botti




Fu uno dei viaggio più terribili, scombussolati e umidi di sempre.
Non appena Bilbo era caduto come una per cotta nell'acqua scura s'era ritrovato a nuotare, non proprio come un pesce, verso le botti dei suoi amici.
I Nani, almeno, avevano avuto l'accortezza di aspettarlo sullo sbocco che portava la corrente verso un piccolo cancello che faceva uscire le botti dal flusso del Reame Boscoso. Si era aggrappato alla botte di Nori, tutto infreddolito e fradicio, e aveva aspettato che la corrente li trasportasse. Grazie all'aria fresca di quel posto e all'idea di libertà i Nani lo avevano riempito di ringraziamenti non appena lo avevano visto riapparire.
Erano davvero strani, i Nani.
Un attimo prima ti riempivano di insulti e ti facevano sentire inadeguato verso ogni cosa e quello dopo erano pronti a donarti la loro vita stessa pur di ricambiare l'onore di un tuo aiuto. Non era una cosa tanto male, ma preferiva di gran lunga che diventasse definitiva solo la seconda parte di quella loro caratteristica. Si ritrovò agguantato per il colletto da Fili, ad un certo punto, sentendo i barili schiacciarsi tra loro con dei tonfi sordi.
«Tieniti Bilbo, ora credo che si ballerà un po'.» Non fece in tempo a finire la frase che sentì l'urlo di un elfo biondo, spuntato tra gli ammassi di roccia. Era quello della Gamba ApertaSubito si voltò di scatto, ritrovandosi un gruppo di Elfi intenti a tendere l'arco, scivolando sui massi con salti e acrobazie degne di quei figli del Bosco.
«Maledizione a loro e a loro gambe scattiste!» Ringhiò il principe biondo, cercando di far scivolare il barile verso destra. Bilbo si ritrovò incastrato tra il suo e quello di Nori ma un'altra mano gli afferrò un braccio, spingendolo via da lì.
«Ma che bel pesciolino che c'è qui.» Era Berit, lo fissava con aria piuttosto sorridente mentre il barile che la conteneva stava faticando a tenersi in equilibrio sull'acqua. Bilbo sorrise di rimando anche se avrebbe voluto fare ben altro che sorridere, in quel particolare momento. Berit lo fece arpionare al proprio barile e si accucciò meglio dentro, stringendo i bordi. Stavano tutti scivolando lungo la corrente, trattenendo i barili in equilibrio come meglio poterono. Gli Elfi continuavano a seguirli lungo il sentiero roccioso, non perdendoli di vista. Legolas ordinò qualcosa in elfico verso un gruppo di soldati posti sopra la piccola muraglia che si stanziava dal cancello tenuto aperto. Non ci voleva per forza un cervello sveglio per capire cosa avesse ordinato di fare. Bilbo per poco non scivolò di lato, sentendo l'acqua salirgli su per il naso. Stava morendo di freddo e pensava di avere i polmoni pieni zeppi d'acqua.
«Bilbo tieniti!» Era Berit, che ancora lo teneva per un braccio.
Tentava di trattenerlo saldo nonostante il barile continuava a ruotare come una trottola impazzita nell'acqua. «Oooh ma che simpatici questi Elfi che ci seguono, non vogliono proprio fare a meno della nostra compagnia.»
«Ber..il cancel..si sta chiudendo!» Riuscì ad annaspare Bilbo con sguardo sconvolto.
Thorin fu il primo a raggiungere la piccola rientranza sotto il ponte, scontrandosi contro l'ostacolo. Tutti gli altri si ammucchiarono proprio dietro di lui, cozzando e stringendosi. Erano già piuttosto bagnati, l'acqua sgorgava dall'imbocco delle botti lasciate aperte ed ogni sbalzo delle onde del fiume era una lavata in più.
Ma di certo quello messo peggio di tutti era Bilbo e il suo continuo tremare non faceva che appurare il suo stato.
«Che facciamo? Cosa-» Dori si bloccò non appena sentì un verso gutturale provenire dalle sue spalle.
Una freccia colpì il barile di Fili, giusto mezzo millimetro più sotto del bordo, prima che videro un Elfo cadere in acqua con un tonfo sordo, colpito da qualcosa.
Gli Elfi avevano improvvisamente smesso di dare importanza ai fuggitivi perchè, da sotto le rocce, emersero gli Orchi. Non v'era Azog il Profanatore a capeggiare la squadra di quegli esseri rivoltanti ma un altro Orco dall'aspetto molto simile al Pallido; infatti aveva la pelle bianca e la pelle deturpata da dei marchi profondi e scuri che rovinavano ancor di più il suo aspetto. Ed era parecchio grosso. Ordinò qualcosa in Linguaggio Nero ai suoi sudditi e quelli cominciarono a colpire tutti gli Elfi presenti sopra al guado. Legolas danzava con salti più lunghi, tendendo l'arco e colpendo qualcuno di quegli esseri con una velocità fluida.
Il cancello, intanto, continuava a rimanere chiuso e i Nani erano rimasti ammassati sotto al ponte roccioso, incapaci di poter fare altro.
«Siamo intrappolati, ci lasciamo le penne qui.» Piagnucolò Ori, mentre suo fratello gli tendeva un braccio.
Bilbo non vide granchè, continuava a stare arpionato al barile di Berit e quella stava evitando di farlo schiacciare contro il muro.
«Fili, attento!» Urlò qualcuno nel gruppo, poco prima di vedere un Orco saltare verso di loro con la sciabola sguainata.
Fili riuscì ad abbassarsi appena in tempo, colpendo con un pugno l'essere, spintonandolo via. Kili lo aiutò, tirandogli un cazzotto in pieno volto. Non fecero in tempo a sollevarsi l'animo che un altro paio di Orchi li presero di mira. Uno di loro biascicò qualcosa e l'altro fece un ringhio gutturale, prima di saltare sui barili dei Nani. Stava puntando Bofur, questa volta.
«Dobbiamo..aprire il cancello!» Thorin continuava a guardarsi intorno con aria allarmata, stringendo tra le dita le sbarre di ferro.
Solo Kili, rimasto più indietro coi barili, riuscì ad individuare la leva posta sopra al ponte. L'Elfo che la stava tenendo d'occhio era caduto in acqua poco prima e l'altro Elfo era intento a infilzare un Orco con una spada. Legolas, poi, era distante dalla riva ed era alquanto occupato a colpire un paio di esseri proprio dietro di lui.
L'Orco che si era azzardato a saltare su Bofur era stato preso per il collo da Bombur, gli stava letteralmente trattenendo la testa nell'acqua.
Quell'essere s'agitava come un pesce ma Berit lo colpì con un pugnale proprio in mezzo alle gambe, mettendo fine al suo infausto dolore.
Lo spintonarono via, addosso ad un altro Orco intento a saltare come un grillo.
«Ma perchè non ci lasciano in pace questi cosi orribili?» Incalzò Bofur, sistemandosi meglio il cappello in testa.
«Forse perchè sono attratti dalla nostra bellezza.» Azzardò Berit con un grugnito, Balin sputò via dell'acqua e per poco il suo barile non cozzò contro Bilbo stesso. «Dobbiamo fare qualcosa. Bilbo..forse Bilbo riesce a tirare la leva...» Si dovette abbassare di scatto per evitare una freccia, che si conficcò nella parete dietro di lui.
Kili approfittò di quel momento per arrampicarsi sul proprio barile e saltare sopra al ponte di pietra.
Fili tentò di acciuffarlo per una gampa, urlandogli dietro un «Kili sei impazzito?» ma quello non lo stette a sentire, sgusciando via dalla sua presa.
Non appena si rialzò, proprio accanto alla leva, dovette riabbassarsi immediatamente per sfuggire ad una sciabolata. Davanti a lui c'erano due Orchi, l'altro era armato con una semplice bastarda. Di nuovo s'abbassò, colpendo i due alle gambe con dei calci ben assestati prima di afferrare la leva e tirarla. Uno dei due Orchi lo aveva afferrato per lo stivale ma, prima che potesse trascinarlo via, l'essere venne colpito proprio in mezzo alla fronte da una freccia.
Kili riuscì a voltarsi appena in tempo per guardare Tauriel comparire da dietro la fitta vegetazione, brandendo l'arco e tendendo la freccia verso l'altro Orco. Si guardarono per pochi istanti, lui e l'Elfa, prima che un altro branco di Orchi spuntassero come margherite dietro le spalle degli Elfi.
Lei si voltò giusto per ucciderne un altro paio e Kili già si stava apprestando a risaltare dentro i barili.
Il cancello si era aperto quando il Nano aveva smosso la leva, l'acqua aveva ripreso a scorrere in una corrente più vigorosa e i primi barili erano già stati trascinati via dalla corrente, portandoli lontano dal Reame Boscoso.
«Kili! Scendi da lì, muoviti!» Fili gli stava ancora urlando contro, non aveva distolto lo sguardo da lui neanche per un secondo.
Era assai difficile mantenere un contatto visivo visto che le frecce avevano cominciato a colpire svariati punti del fiume. 
I versi degli Orchi facevano da sottofondo alle urla degli Elfi e l'acqua attutiva ogni altro rumore.

«Arrivo! Tienimi il barile fer-» non fece in tempo a finire la frase che una freccia nera gli si conficcò nella gamba.
«KILI!» Urlò Fili.
Kili sentì un dolore acuto salirgli dalla gamba e dovette piegarsi per evitare di cadere dentro il fiume. Un altro Orco già stava per infierire, saltando sulla roccia sporgente, brandendo una scimitarra sgangherata.
«Morirai piccolo verme!» Sibilò l'essere prima che questo, di nuovo, fu colpito da una freccia Elfica.
Di nuovo Tauriel, che ora guardava il Nano con sguardo acceso e attento. Kili tentò di dire qualcosa ma il dolore alla gamba glielo impedì, riuscì a rotolare da un lato e buttarsi dentro il proprio barile rimasto vuoto lì sotto. Il tonfo della botta gli fece scucire una smorfia dolorante e dovette aggrapparsi al bordo di legno per tenersi saldo.
«Kili, stai bene? Fratellino..» Fili tentò di arpionare il barile dell'altro con una presa salda ma la corrente li spinse giù per il corso d'acqua e finirono per dividersi.
Berit e Bombur erano rimasti indietro con Fili, schiacciati ancora contro la parete rocciosa e la Nana teneva arpionato Bilbo per quanto riuscisse.
Le dita bagnate non vantavano una presa ferrea e dovette faticare non poco a stringerlo quando la corrente cominciò a farli fluire velocemente lungo le rapide.
Gli Orchi aveva cominciato a seguirli lungo il sentiero e Legolas dietro di loro tentava di fermarli, aiutato da Tauriel.
Il fiume scorreva veloce e trasportava le botti lungo tutto il letto acquoso, dovettero evitare massi rocciosi sporgenti e curve strette, trattenendosi in equilibrio quando i barili decidevano di rotolare su loro stessi. Non fu per niente facile, specie quando le frecce degli Orchi ripresero a scoccare verso di loro.
Quegli esseri saltavano e li rincorrevano senza stancarsi, cosa che loro non potevano di certo vantare.
Erano infreddoliti e stanchi, trattenere in bilico i barili era un lavoro altamente faticoso per una razza così poco avvezza all'acqua. Bilbo, intanto, stava ingoiando acqua più dell'ossigeno stesso.
«Non ce..la faccio più.» Ansimò quello, arpionandosi come meglio poteva.
Berit tentò di issarlo ancora di più ma un'altra ondata d'acqua li fece sballottare e perse la presa con Bilbo. Subito tentò di riprenderla, prima di sentire il contrappeso di un colpo abbassare ancora di più il barile dentro l'acqua. Un Orco era appeso al bordo, brandendo un'ascia.
«Oh porca
Riuscì ad abbassarsi appena prima che Fili colpisse l'Orco con un pugnale, lanciato dalla sua postazione. 
Quando Berit si voltò a guardarlo vide che sorrideva con una strana ansia addosso.

«Gli Elfi non hanno trovato Meriòl.» Urlò la Nana, riuscendo a tirare su Bilbo con una presa più stretta. Meriòl era uno dei pugnali di Fili, sapeva quanto lui amasse dare loro dei nomi, erano speciali come piccoli amici taglienti.
«Gli Elfi non hanno guardato nei punti giusti.» Urlò il Principe di rimando, prima di abbassarsi di nuovo, evitando l'ennesima freccia.
Il barile di Kili era scivolato più avanti, era tenuto in bilico da Dori e Nori. Berit cercò Bofur con lo sguardo ma la corrente era troppo forte e non lo vide da nessuna parte. Non vide neanche Thorin e Dwalin ma intravide Balin rotolare col barile poco prima che un Orco gli cadesse vicino con un tonfo.
La Gampa Aperta di Legolas stava dando buoni frutti, almeno; le sue frecce colpivano gli Orchi senza errori e Tauriel li stava massacrando con pugnali e frecce scoccate con una grazia davvero veloce. Era una caratteristica invidiabile, quella, riuscivano a fendere i loro nemici senza sbagliare un colpo.
Aveva visto l'Elfo biondo, addirittura, farsi strada saltando sulle teste dei Nani. Se fosse stata in una situazione più consona non si sarebbe fatta sfuggire una battuta, ne era sicura.
«Bilbo stai bene?»
«N-no..no, sto..non riesco più a tenermi.»
«Sì lo so era una domanda stupida..» borbottò quella, stringendolo per gli avambracci con tutta la forza che le era rimasta. Era in una posizione troppo scomoda per permettersi di vantare una resistenza, odiava l'acqua e odiava sentirsi fradicia dalla testa ai piedi. I movimenti erano rallentati e non riusciva a trattenere Bilbo come voleva.
«..sto cercando di tenerti Bilbo, devi resistere!» Incalzò lei con il fiatone. Di nuovo un'altra ondata d'acqua li fece annaspare e lei si ritrovò a sputare acqua e tossire. Una curva li fece sbandare e il barile riprese a volteggiare impazzito.
«Ora..vomito.» Si lagnò lei e Bilbo non era da meno.
Bombur, intanto, era riuscito a superare Fili e a evitare che questo venisse infilzato da una sciabola Orchetta. Stavano diventando sempre più molesti, quegli Orchi, e intanto il loro capo non faceva che urlare parole in Lingua sconosciuta e Legolas tentò più volte di infilzarlo senza riuscirci.
Uno di loro piombò sul barile di Bombur, brandiva una lancia che – suo malgrado - si conficcò in un tronco nodoso che spezzava il paesaggio.
Un errore fatale, per quell'orrido e puzzolente Orco, quando s'accorse che il contrappeso aveva fatto rialzare il barile del Nano cicciotto.
Bombur, infatti, si ritrovò fuori dall'acqua e la sua botte scivolò di lato lungo il sentiero che costeggiava il fiume.
Rimasero tutti a bocca aperta - Berit e Bilbo non sapevano se riderne o no - e Fili lanciò un altro pugnale addosso ad un Orco che stava per infilzare Gloin poco più avanti prima che venne rapito da quella scena, come gli altri due lì di fianco.
Bombur stava rotolando sopra - anche se sarebbe stato meglio dire sterminando - una manica di Orchi.
Li schiacciava col proprio barile senza che potesse fermare la sua veloce caduta libera. Rotolava e schiacciava e intanto rimbalzava, seguendo la scia del sentiero. Berit, a conti fatti, pensò che con quella sua caduta di stile riuscì a farne secchi più di quanti ne aveva fatti secchi l'Elfo biondo e la cosa la portò a esultare con poca grazia, trattenendo ancora Bilbo per le braccia. E poi il barile di Bombur si fermò ai piedi di un albero, dove il sentiero si faceva piano.
Quel nano grassoccio - propenso a dormire sempre nei punti salienti della sua traversata verso Erebor- era riuscito a impadronirsi di un paio di asce poco prima di venire sbalzato fuori dalla corrente del fiume. Balzò in piedi come una scheggia e spaccò i lati del proprio barile con i pugni, tirando fuori solamente le armi.
Non gli si vedeva neanche la testa, ma solo le gambe tozze che spuntavano da sotto di questo. Gli Orchi attorno a lui tentarono subito un assalto ma lui era ben corazzato - barili da Bosco Fronzuto, mica robetta - e prese a vorticare su sé stesso come un folle, colpendo quanto più Orchi possibili.
«Bombur è pericolosissimo.» Riuscì ad ansimare Bilbo prima di stringersi maggiormente al braccio di Berit. Coi piedi tentava di tenersi saldo sul baule ma continuava a scivolare all'indietro.
«Oh s..sì» Berit sputò dell'acqua, strizzando gli occhi «..guai a rubargli l'ultimo pezzo di..» ma non finì la frase, un'altra ondata della corrente li fece cappottare, proprio quando Bombur sferrò l'ultimo attacco, decapitando uno degli Orchi con un tondo roverso, e slittare via da lì, liberandosi dal suo barile ormai diroccato.
Non erano rimasti Orchi vivi in quella frazione di spazio e quando saltò dentro un barile vuoto, più avanti, per poco non si cappottò anche lui.
Fu tenuto saldo da Nori e Bifur, che riuscirono a schivare l'ennesimo masso roccioso. Non riuscivano più a stare dritti lì dentro, erano stanchi ma almeno gli Orchi cominciavano a rimanere indietro. Legolas continuava a ballare da una parte all'altra della costa con dei salti leggiadri e l'arco proteso. Molti di quegli esseri caddero dietro di loro e all'ennesima curva persero la visuale con la costa. Intravidero Legolas fermarsi a ridosso di un masso ma non si fecero ulteriori domande.
Berit riuscì a ritornare dritta con non poca fatica e quando puntò le mani contro il bordo per poco non sentì il cuore salirgli in gola. 
Bilbo non c'era. Non lo sentiva più.
S'affacciò verso il fiume e cominciò a colpire a tastoni la parte ruvida dei barili. Si girò su sè stessa almeno tre volte, mentre guardava allarmata la corrente.
«No no no no...Bilbo non farmi questo, non scherziamo, non..» strizzò gli occhi quando il barile vene scosso di nuovo, ritrovandosi vicino a quello di Fili che si stava reggendo a malapena lì dentro.
«Fili!» Urlò lei, facendo voltare il biondo in sua direzione con aria allarmata. La sentirono anche Dori e Nori non molto distanti.
«Ho perso Bilbo! Bilbo è scomparso!» Berit era ancora intenta a schiaffeggiare l'acqua, increspandola ancora di più. «Non lo trovo.» 

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Capitolo 18
*** Perdonami ***


Capitolo 18.
Perdonami




Quando la corrente si diramò, perdendosi in uno spiazzo più calmo e appiattito, i Nani erano più moribondi che altro.
Erano riusciti a seminare gli Orchi ma i loro barili era ridotti male e non avevano più fiato in corpo. L'aria fredda sferzava su di loro facendoli tremare fin dentro le ossa. Non arrivarono tutti all'incurvatura del fiume nello stesso momento, i primi fortunati furono Dwalin e Ori, ritrovandosi davanti ad un letto d'acqua più calmo.
Le rocce si innalzavano creando delle deboli collinette circondate dal verde ma il paesaggio non rendeva giustizia se non si superava il sentiero che portava verso il Lago Lungo: il grande ripiano d'acqua scura in cui sfociava il Fiume, Bilbo ne aveva sentito parlare nelle cantine degli Elfi. Ma lo hobbit non poteva pensare a quello, era leggermente impossibilitato. Non appena aveva perso la presa con il barile di Berit sentì l'acqua sovrastarlo, facendolo roteare in un turbine. Aveva tentato di allungare le mani per ritrovare la presa ma non riuscì a sentire nient'altro che...acqua
I polmoni stavano scoppiando e il gelo non riusciva a farlo ragionare. Provò a nuotare a tentoni issandosi verso la superficie. Non appena fece spuntare fuori la testa un'ondata d'acqua lo travolse, spintonandolo all'indietro. Strizzò gli occhi e ci vollero diversi secondi prima di riuscire a ritrovare la forza di sgambettare per raggiungere il pelo della superficie. La seconda volta che ci provò si ritrovò spintonato dalla corrente lungo una piccola cascata che faceva cadere su un sentiero d'acqua più stretto. Non vedeva più alcun barile e la cosa gli provocò una profonda paura.
Non sarebbe stato per niente carino morire in quella maniera, anche perchè aveva sempre amato l'acqua; gli piaceva pescare e bagnarsi i piedi lungo i ruscelli che fluivano nella Contea. Non poteva aver superato mostri e bestie per lasciarsi sopraffare dalla semplice maestosità della natura, avrebbe fatto ridere i polli una morte del genere.
Tentò di nuotare, mantenendosi sempre a galla, ma la corrente non faceva che tirarlo, portandolo a resistere a malapena. Gli facevano male le gambe e le dita, sentiva che le forze stavano venendo meno una volta per tutte. Il punto in cui Berit lo aveva tenuto fino ad adesso gli faceva male, la Nana aveva stretto fin troppo forte per tenerlo aggrappato al suo barile. Non voleva pensarci, in realtà, perchè sentiva le lacrime salirgli di nuovo per lo sconforto. Ma non ci fu tempo per adagiarsi su quei brutti pensieri, sentì una mano prenderlo per il colletto e issarlo con vigore. Subito sentì l'aria fredda colpirgli il corpo bagnato e quando si ritrovò appeso ad un barile gli venne da sorridere di pieno sollievo. La mano era di Thorin, quello non lo stava fissando ma lo tratteneva fermo al bordo del proprio barile.
«Reggiti Bilbo, credo che ci siamo.» Borbottò quello con voce roca e Bilbo si strinse nel barile, puntando lo sguardo dietro di loro.
La corrente stava facendo scivolare anche i barili degli altri nani. Ritrovò Oin, Gloin, Kili e anche Bofur, che stava smanacciando contro l'aria colpendo chissà cosa.
Non fece in tempo a chiederselo perchè finalmente la corrente stava smettendo di influire negativamente su di loro, sperdendosi altrove. Si voltò giusto per vedere Dwalin e Ori che già galleggiavano verso la costa adiacente. Sospirò di sollievo e chiuse gli occhi.
«Gli altri..sono rimasti indietro? Dove sono?» Ansimò lo hobbit.
Kili e Bofur stavano nuotando con le braccia verso la riva, trasportando i loro barili, ma il Nano più giovane stava facendo una fatica disumana. La ferita alla gamba non giovava per niente ai suoi movimenti, già di per sè resi difficoltosi dal freddo che penetrava le vesti bagnate.
«Mio fratello è..» Kili iniziò, facendo un'altra smorfia.
Gli altri intanto stavano rotolando via fuori dai barili. «Dov'è Berit?» Questo era Bofur, che ruzzolò via dalla botte dopo l'ennesima scivolata, sputava acqua in continuazione.
«Sono scivolato dalla sua botte, devono..essere rimasti indietro.»
«Arriveranno, non temere.» Incalzò Thorin senza guardare Bilbo. Non fu una sorpresa sentirlo parlare con quel tono freddo. Gli aveva salvato di nuovo la vita e, ogni volta che accadeva, Thorin sembrava colorarsi di nuovo della sua solita freddezza. Ma Bilbo sapeva bene a cos'era dovuta e non lasciò alimentare quel momento.
Si staccò dal barile non appena sentì i sassi sotto ai piedi e si voltò verso il promontorio che divideva quello spiazzo d'acqua dalla corrente.
Il primo che vide sbucare fu Bombur, o almeno quello che vide furono i suoi piedi ballonzolanti da dentro il proprio barile. Dietro di lui Bifur lo stava insultando; Bilbo ne era convinto anche se non capiva una sola parola.
«Eccoli!» Incalzò lo hobbit ma non fece in tempo a crogiolarsi troppo in quella visuale che si ritrovò afferrato per un braccio.
Era Thorin e non aveva per niente una bella faccia.
Lo hobbit non aveva mai temuto per la sua vita in sua presenza ma quello sguardo gli aveva fatto tremare le gambe - le ginocchia per poco non fecero giacomo giacomo - ma riuscì a stare dietro al Re sotto la Montagna quando questo lo tirò, allontanandosi dal resto del gruppo. Si fermarono a ridosso della vegetazione e quando Bilbo soffermò lo sguardo su di lui notò subito l'ombra scura che gli era calata sul volto. Era fradicio e lo vedeva tremare, cosa che era sicuro stesse facendo anche lui, ma non riusciva a distogliere lo sguardo da quello di Thorin.
«Tu.» Sibilò quello, scuotendo il capo bruno. I capelli sembravano ragnatele scure, appiccicate al suo viso barbuto. «Ti avevo detto che non potevamo lasciare Bosco Atro e ci hai cacciato in questo casino. Hai idea di che cosa hai fatto, Bilbo?» Quello incalzò con lo stesso ringhio sibilante. «No che non hai idea. So bene quello che pensi di noi Nani, pensi di sapere tutte le risposte, di avere in mano la situazione solo perchè ti reputi più furbo di noi.» Thorin strinse i pugni per la rabbia e Bilbo si ritrovò a indietreggiare, standosene rigido per la paura.
Non aveva mai visto Thorin così arrabbiato. E pensare che Bilbo aveva aspettato solo per lui. Non voleva che gli altri sapessero e l'unico modo per evitarlo era costringerli ad entrare in quelle botti.
«Ti ho ringraziato per avermi salvato la vita più volte, Bilbo, ma non posso dimenticare questo. Quello che hai fatto dagli Elfi, non posso...hai fatto un grave errore...» e Thorin fece un passo in avanti, riempiendo il petto d'orgoglio. Ma non riuscì ad avanzare ulteriormente. Bilbo lo stava tenendo fermo, con le mani appoggiate al suo sterno e lo sguardo pieno puntato su quello di Thorin. Gli altri Nani, da lì, non potevano vederli ma Bilbo li sentiva parlare lungo la costa.
Non avrebbe attirato la loro attenzione, per l'ennesima volta doveva cavarsela da solo.
«Thorin!» Bilbo lo richiamò con una risolutezza voluta, di nuovo quel coraggio di farsi grande davanti a Re. «Thorin.» Di nuovo, con più calma.
Non gli ci vollero altre parole prima che il Nano notasse.
Bilbo stava trattenendo le mani contro il suo petto ma non fu quello a fermarlo, destando la sua completa attenzione; lo hobbit tratteneva la Chiave di Erebor, stretta tra palmo e la maglia bagnata del Nano. 
Per poco a Thorin non mancò un battito e si ritrovò a far salire la destra per toccare la Chiave. 
Non era una visione della Foresta, non era un trucco. Era reale, di nuovo lì, tra le sue dita. Bilbo l'aveva trovata.
«La..» Thorin non aveva più parole e Bilbo abbassò le mani quando il Re prese la chiave tra le proprie.
Il suo sguardo era cambiato radicalmente, di nuovo intriso di speranza e gratitudine.
Quel piccolo hobbit aveva il potere di trasformare la sua durezza in un'espressione morbida e piena di onore, tant'è che le sue labbra sorrisero. Sorrisero pienamente, quando ritornò a guardare verso Bilbo.
Lo hobbit se ne stava tremante, davanti a lui, guardandolo con occhi fieri. Ma sorrise di rimando, senza dire niente. Non avevano bisogno di giustificarsi. Bilbo gli stava donando la Chiave che lui aveva perso e i loro Compagni non erano costretti a saperlo; negli occhi di Thorin lampeggiò un rincrescimento doloroso, che lo portò a posare una mano sulla spalla di Bilbo. Si voltò verso gli altri per un secondo e poi tornò a guardare il suo piccolo amico.
«Mi..mi dispiace Bilbo. Sono stato di nuovo...non ho parole per descrivere il mio rammarico. Pensavo fosse perduta per sempre...»
Bilbo sorrise con più naturalezza e scosse il capo riccio e bagnato, stringendosi nelle spalle esili.
«Avevi tutto il diritto di arrabbiarti. Avrei dovuto dirtelo subito ma...»
«Lo so. E ti ringrazio. Di nuovo.»
Rimasero a guardarsi per un po' con aria sorridente prima che Thorin fece scivolare via la mano dalla spalla dello hobbit.
La fece passare sul suo capo riccio e bagnato. Non era una delle solite pacche dolorose dei Nani e Bilbo ne fu contento.
«Andiamo dagli altri, dobbiamo muoverci a lasciare questo posto.»


Gli altri, intanto, si stavano riprendendo dalle difficoltà di quel piacevole viaggio tra le rapide.
Kili era seduto su un masso e tentava di pulirsi la ferita alla gamba con dell'acqua del Fiume, Fili era lì di fianco a lui che lo guardava con aria preoccupata.
Durante il viaggio sulle botti aveva evitato di pensarci ma ora che il fatto ce l'aveva ben davanti al naso non riuscì a nascondere l'apprensione.
Non riusciva mai a evitare che Kili si facesse del male, odiava quando il fratello agiva impulsivamente senza pensare.
«Fili levati quello sguardo da triglia. Ti ho detto che sto bene.»
«Io ti dovrei dare un sacco di testate, altroché. Dammaz.*» Borbottò il fratello maggiore, strappandosi un lembo della sua maglia per tamponare la ferita del fratello.
Gli altri Nani erano sparsi intorno a loro: Bombur non riusciva a rimettersi in piedi e Bifur lo teneva saldo; Ori e Dori si stavano asciugando, strizzando gli abiti sulle rocce; Dwalin e Balin stavano controllando la zona con attenzione, in allerta.
Il vociare era basso, attutito dal rumore del fiume più distante. Bofur e Berit erano lì davanti, ai piedi dei due eredi di Erebor, sgocciolanti e con sguardo stanco.
Non appena si erano ritrovati c'era stata una strana e intensa gara a chi “affogava” e spintonava per primo l'altro; era il loro modo per enfatizzare l'apprensione che li aveva colti durante quel viaggio. Aveva vinto Bofur, in quello era più bravo. Erano davanti al ferito; Bofur che teneva un braccio sulle spalle di Berit e lei che lo stringeva per la vita.
Un essere a due teste, così li aveva chiamati Nori quando li aveva visti arrancare sulla roccia in quel modo.
«Dai, lascialo in pace Fili, ci ha fatti uscire da lì.» Bofur tentò di sorridere verso i due. Intanto Kili rispose con un'altra smorfia quando Fili gli strinse lo straccio intorno alla ferita con più forza. Fili non ci provò nemmeno, a sorridere.
«L'ha fatto per farsi bello per l'Elfa delle Stelle.» Berit scanzonò Kili con un sorriso bonario, sfilando via da quell'abbraccio con Bofur e posando una mano sulla testa del giovane Nano bruno. Quello, in risposta, grugnì qualcosa che assomigliava ad un «non è vero» imbarazzato.
Fili questa volta strinse con più forza il secondo nodo e si drizzò dritto, con sguardo furente.
Era davanti a Berit e soffiava aria fredda dal naso. I suoi bei capelli biondi erano tutti increspati e umidi sul cranio, le trecce inanellate dai gioielli di Durin erano quasi tutte sfatte. Berit fece una smorfia sommessa nel vederlo così. Fili non era come Kili, se la prendeva con troppa angoscia, una delle svariate sfaccettature del suo carattere.
«Rischiare la propria vita per un'Elfa è l'ultima cosa che mio fratello dovrebbe fare e scherzarci sopra non lo aiuta a renderlo più responsabile.» Ringhiò quello, affilando lo sguardo chiaro.
Kili sospirò, roteando di poco gli occhi.  Ecco che il Fili premuroso, il Fili nipote di Thorin, veniva a galla.
Kili non voleva dargli torto, sapeva che quella rabbia incalzava quando era preoccupato, ma odiava quando lo trattava in quel modo. E Fili odiava trattarlo in quel modo. Gli ritornò in mente una frase che aveva detto Berit tempo addietro: "Non sarà l'ultima volta che commetteremo errori durante il viaggio." 
Kili ne aveva fatto uno restando allo scoperto sopra quel ponte, salvando così la vita a tutti, poteva davvero chiamarlo errore?
«Kili ci ha aperto il cancello per farci fuggire. Non credo che lo abbia fatto per un'Elfa, Fili, stiamo solo scherzando.» Berit aveva sfilato via la mano dai capelli di Kili e guardava Fili con aria sorridente. Fili no, niente sorrisi, aveva il volto ancora arrossato di rabbia.
«Quell'Elfa mi ha salva...ci ha salvato la vita, Fili.» Kili azzardò con voce rauca e alzò lo sguardo sul fratello. Quello lo ricambiò ma era severo in volto.
Il Nano bruno non aveva cuore di litigare con lui, gli sembrava del tutto stupido e insensato aggiungere preoccupazioni inutili.
Era sempre così con lui: niente più lo tramortiva quanto il suo non essere in grado di salvare Kili. Da qualsiasi cosa, che fosse una ferita o un cuore infranto.
Fili di nuovo si limitò a rimanere in silenzio, spostando lo sguardo tra tutti e tre i Nani lì vicino.
Come potevano non capirlo, gli altri?
Ci scherzavano sopra quando non c'era niente da scherzare, non adesso. Il viaggio era ancora lungo e avere Kili ferito non aiutava per niente. Avrebbero dovuto affrontare un Drago probabilmente, non una lucertola con le ali.
«Dai Fili, vedrai che un po' di riposo lo farà stare meglio. Sappiamo con certezza che Kili ci seppellirà tutti, alla fine.» Berit sorrise di nuovo e provò a posare una mano sulla spalla di Fili.
Questo fu il colpo di grazia. Lei e quel suo dannato sorriso, quelle sue parole sempre pronte a bruciargli nella testa, senza che si preoccupasse mai delle conseguenze.
Sfilò da quella presa e si scostò con irruenza, facendosi scontroso.
«No
«Fili...» Kili lo rimbeccò con rassegnazione mentre Berit abbassò la mano, con aria contrita.
«Scusa...» Lei provò a giustificarsi ma chiuse ben presto la bocca, abbassando velocemente la mano. Guardò per un secondo Bofur prima di allungare lo sguardo altrove. «...s-su forza e coraggio, vedrete che andrà meglio adesso.» Fece un sorriso breve verso Kili, cosa che protese anche a Fili.
Bofur non faceva che alternare lo sguardo tra tutti, rimanendo piegato sulle ginocchia, stava evitando che la rabbia che gli era salita improvvisa incombesse con invadenza. Ma non riusciva a tenere la bocca chiusa; stava per dire qualcosa a Fili ma fu interrotto dallo scatto che fece Berit, allontanandosi da lì.
Lei sgusciò via con l'aria più rasserenata - aveva completamente cambiato espressione - arrancando verso Thorin e Bilbo che si stavano avvicinando.
Nella sua traversata sulle rocce scivolò di sedere un paio di volte mentre avanzava e per poco non si spaccò il naso in una caduta più brusca, prima di raggiungere Bilbo. Quello sorrise contento quando la vide.
«Maledetto mascalzone che non sei altro, pensavo fossi morto per sempre!» E lo strinse in una morsa stretta, stringendogli il capo contro il petto in una sottospecie di abbraccio.
«Ber..non respir..» Bilbo agitò le mani e quella lo lasciò libero. Sorrideva contenta anche se stava tremando per il freddo.
«Thorin mi ha salvato. Non potevo certo..morire così, insomma.» Disse Bilbo.
«Ah no, che vergogna proprio. Avrei dovuto far valere uno dei miei finali per le ballate, a nessuno piace ricordare uno hobbit morto annegato.»
«Per l'appunto eh.» Bilbo ridacchiò. Thorin, lì di fianco, accarezzò la spalla della Nana con un sorriso, dandole un paio di pacche.
«Thorin. Vecchia volpe.» Fece lei con un cenno di riverenza, ricambiando il sorriso. Quello gli strinse la presa sulla spalla prima di sfilare via da lì e avvicinarsi agli altri.
«Un minuto e partiamo, state pronti.»
Riuscì a impartire quell'ordine, avvicinandosi a Kili, quando qualcosa alle sue spalle fece allarmare tutti; un uomo era in piedi sull'ammasso di roccia, con l'arco proteso e una freccia puntata contro di loro.
«Muovetevi e siete morti

 

* Maledizione.


NA:
Inanzitutto infinite GRAZIE come al solito, finalmente mi son lasciata alle spalle i dannati barili ( nel film amo quella scena, ma da raccontare..NO!), ci ho messo la mia versione perché ho scoperto che mi piace scrivere di Bilbo e Berit ( mi sono resa conto solo adesso che qua ci sono un sacco di nomi che cominciano con la lettera B. Coincidenze? Io non credo…) e quindi gli ho fatto fare sto bel viaggio insieme. Finalmente stiamo per arrivare al punto che taaanto mi premeva: Pontelagolungo. Ho delle idee malsane su ciò che succederà lì, finalmente mi distanzierò un po’ dalla storia originale. Premetto che prenderò spunto, in termini di tempo, dal libro. I Nani rimangono a Pontelagolungo per un bel po’ di giorni ( come del resto..ovunque! Sti nani se la prendevano comoda) quindi allungherò un po’ la loro permanenza. Ah non me ne volete per sto Fili un po' angosciato dalla vita, ma giuro che lo farò riscattare! Intanto saluto le ragazze che mi seguono (Lady_Daffodil bengiuntaa *_* )mi emoziona la cosa, spero tanto di non deludere nessuno. A prestissimo.

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Capitolo 19
*** Verso Esgaroth ***


Capitolo 19.
Verso Esgaroth




L'arciere si presentò col nome di Bard e scoprirono ben presto che era un uomo di Pontelagolungo.
Era un chiattaiolo e solo dei citrulli non avrebbero potuto sfruttare la cosa a loro vantaggio, e poi qualsiasi aiuto risultava un ottimo compromesso dopo quelle dannate botti elfiche. Lo avevano convinto a traghettarli verso Esgaroth senza farsi fare troppe domande, ovviamente pagandolo profumatamente.
Una cosa che aveva fatto storcere il naso a Gloin; era famoso per essere il più tirchio della Compagnia, guai a fargli sfilare via il sacchetto di monete.
Neanche le scommesse lo fermentavano. Avevano ammassato le botti di Thranduil sulla chiatta e ora stavano viaggiando lungo il Lago, superando ammassi di roccia bruciata e increspandone l'acqua scura. Le loro voci rimasero basse, erano tutti immersi in uno stato contemplativo della zona.
La chiatta era lunga e larga per loro, non riuscivano a vedere molto bene oltre il bordo di questa ma non fu una cosa a cui diedero importanza.
Bard li fissava con attenzione, era un uomo alto e dal bell'aspetto per essere un Umano. Non portava abiti pregiati, sicuramente era un popolano che si guadagnava da vivere con poche monete recuperate da lavori onesti e umili, ma aveva nello sguardo una certa fierezza, la stessa che aleggiava negli animi indomiti, di chi ha sofferto molto e perso molto. Thorin si ritrovò a guardarlo con interesse, stretto nel suo angolo, in silenzio.
Balin lì vicino stava conteggiando le monete che era riuscito a recuperare.
«Thorin..non abbiamo più avuto modo di parlare di quello che è successo a Bosco Atro.» Intervenne il Nano anziano, parlando sottovoce.
Thorin spostò lo sguardo e lo puntò sul vecchio amico. Il volto riusciva benissimo a nascondere l'inadeguatezza che gli convulse il petto.
Strinse le labbra e spostò velocemente lo sguardo su Bilbo, poco distante. Lo hobbit era immerso in una chiacchierata pacata con Kili, quindi tornò a fissare Balin. «Amico mio..a Bosco Atro non ero me stesso. Avevo paura che il viaggio fosse concluso, l'essere stato imprigionato dagli Elfi, la Foresta e l'assenza di aria mi hanno..insomma, mi hanno fatto perdere il lume della ragione, ma è tutto a posto ora. Non devi temere, non vi deluderò.» Thorin sorrise e, nel farlo, s'accarezzo il punto in cui la Chiave di Erebor se ne stava adagiata, vicino alla cinta.
Se Bilbo non l'avesse trovata a quest'ora sarebbe stato vano qualsiasi tentativo di raggiungere Erebor. Non sarebbero potuti mai entrare dentro la Montagna senza questa e non poteva deludere così i suoi Compagni, non dopo tutto quello che avevano passato. Sapeva di non averli obbligati a vivere quell'avventura, loro avevano scelto di loro spontanea volontà, ma si sentiva comunque responsabile per ogni singola anima che popolava quella chiatta.
Tranne quella di Bard, in fondo era solo un estraneo.
Era inutile dare loro questa preoccupazione ora che le cose si erano risolte in silenzio, la verità la sapevano solo lui e Bilbo e questo bastava. Era grato a quello hobbit più di quanto credesse il suo cuore. Non solo gli aveva salvato la vita, ma aveva salvato la sua dignità, la sua missione, la sua speranza. Non aveva usato la Chiave per ricattarlo o umiliarlo davanti ai suoi Compagni. Si era comportato da amico e questo non lo avrebbe più dimenticato. Mai più.
«Oh bè ragazzo, per fermare un Nano lo sai che ci vuole ben più di qualche Elfo slanciato e dei ragni macabri.» Ridacchiò Balin. «Non potrai mai deluderci, Thorin.»
Thorin sorrise con gratitudine alle parole del Nano anziano e sospirò di sollievo. Dwalin arrancò verso di loro, poggiandosi malamente contro il bordo della chiatta. Non sembrava aver colto la discussione in corso.
«Io non so voi ma non mi fido di quell'uomo.» Grugnì il Nano.
Thorin e Balin si voltarono verso Bard, lui li stava ancora fissando e non fece alcuna smorfia nel ricambiare il loro. Anzi: sembrò quasi sfidarli.
«Bè?» Incalzò l'Uomo, affilando lo sguardo. Stava guardando Dwalin, fra tutti.
«Bè cosa? Non posso guardare?» Borbottò il Nano, stringendosi le braccia al petto.
«Non mi metterò a giudicare i tuoi gusti, Nano, se questo ti preoccupa.» Bard spostò lo sguardo, sospirando.
«Dammazat runt..*» Dwalin stava già ringhiando quando Thorin si intromise, parlando piano.
«Non abbiamo altra scelta, non possiamo fare niente senza armi e tra poco moriremo di fame e di sete. A Erebor non possiamo arrivare come fantasmi.» Thorin guardò Dwalin e quello fece uno sbuffo contrito, zittendosi e portando lo sguardo altrove.
«Non mi piace lo stesso.»
«Non ci deve piacere, basta che lo paghiamo.» Balin sospirò e riprese a contare.
Poco distanti da loro Bilbo lanciava qualche occhiata agli altri Nani. Aveva sentito la chiacchierata tra Thorin e Balin ma non voleva farne parte neanche con lo sguardo stesso, non c'era più motivo di rivangare il passato ora, stavano andando avanti e ormai la strada era solo in discesa. Kili era lì di fianco a lui, seduto e con la gamba ferita tenuta distesa. Il suo colorito era diventato un po' pallido ma Bilbo pensò che fosse per colpa del freddo.
«Poi me lo spieghi il tuo trucco, vero Bilbo?» Disse Kili, appoggiando la testa contro il legno.
«Che trucco?»
«Come hai fatto a sparire.» Sussurrò l'altro. Lo stava fissando e Bilbo strinse le labbra in una smorfia, senza dire una parola.
Si accarezzò il taschino del panciotto e sentì benissimo la curva dell'anello. Sospirò con aria pesante, scostando lo sguardo.
«Kili non so proprio di cosa stai parlando. Io sono uno hobbit, forse sono troppo veloce per i tuoi occhi.»
«Non ci provare, signor Boggins. Mi ricordo bene cosa mi dicesti nella Foresta..”se sparisco, non preoccuparti”» e quello aprì e chiuse le dita della mano, allargando lo sguardo «e puf, sparito. Tempo di aprire e chiudere gli occhi. So che sei silenzioso ma addirittura diventare invis..»
«Oh sciocchezze.» Bilbo rise ma era nervoso fino alla punta dei capelli. «La Foresta deve averti fatto qualche gioco strano con la testa.»
«Sarà..» Kili alzò le spalle e cominciò a sorridere con aria sorniona. Non stava più gurdando Bilbo, guardava un punto dietro la sua testa ricciuta.
«Perchè...sorridi in quel modo?»
«Io non sto sorridendo.» Ma Kili sorrideva eccome. «La chiatta deve averti fatto qualche gioco strano con la testa
Bilbo non fece in tempo a ribattere che si ritrovò due mani piazzate davanti agli occhi. La cosa lo fece sobbalzare, si ritrovò a cozzare contro il busto di qualcuno. Provò a indovinare chi fosse, non era tanto difficile.
«So chi sei.»
«Non lo sai.»
E fu sorpreso di non saperlo sul serio.
Era Ori. Ori!
Quello sgusciò lì di fianco e si ritrovò a sedere proprio in mezzo tra Kili e Bilbo. Lo hobbit lo guardò con aria sorpresa, sbatacchiando le palpebre.
«Mi hanno detto che se lo facevo mi avrebbero dato una moneta.» Ori era tutto orgoglioso di quel traguardo e Bilbo si voltò giusto per guardare Berit e Bofur che se la ridevano divertiti.
Quei due maledetti...
Ma la cosa lo fece sorridere e riprese a guardare verso il paesaggio desolato lì intorno. Aveva ancora freddo ma gli abiti si stavano asciugando.
Era in navigazione già da qualche ora ed era in fremito per l'impazienza di raggiungere la città. Non aveva idea di quello che avrebbero potuto trovare a Esgaroth, in fondo l'unico posto dove si era trovato bene fu la casa degli Elfi a Gran Burrone, ma qualcosa nella sua testa gli disse che poteva fidarsi di quell'uomo.
Bard. Aveva scoperto di lui che viveva con tre figli ma era vedovo. A Bilbo i bambini piacevano, anche se non sapeva se i bambini degli Uomini potevano assomigliare a quelli degli Hobbit. Sapeva che avevano ancora molti giorni prima che il giorno di Durin arrivasse e sperava di poter restare a riposarsi a Esgaroth per qualche giorno; era davvero curioso di saggiare con mano come sarebbe stata quella convivenza. Avevano seminato gli Orchi e non v'erano molte probabilità che li trovassero proprio lì, in fondo, quindi il pensiero non lo preoccupò. 
Aveva una mente semplice, una cosa che alcun male aveva intaccato, perchè non poteva ancora sperare nel cuore buono della gente e in una cena come si deve?
Magari un buon riposo avrebbe calmato anche i suoi Compagni.  Lo sperava, i Nani erano ancor più diffidenti degli hobbit stessi, sempre in guardia. Ma questa volta sarebbero stati costretti a fermarsi se volevano far riprendere Kili dalla ferita.
«Guarda che il discorso lo riprendiamo.» Kili interruppe i suoi pensieri, issandosi con la schiena.
«Che discorso?» Ori alzò le spalle curioso. Si era stretto nella sua veste e guardava i due con aria ingenua.
«Oh niente che puoi capire Ori.» Kili lo guardò con aria maliziosa, alzando le sopracciglia. «Donne
«Posso capire eccome, ne ho a destra e a manca di donne io.»
Kili si mise a ridere e Bilbo fece altrettanto. Era contento che il giovane Nano non fosse un pettegolo. Forse erano ancora troppo rumorosi per i suoi gusti ma almeno sapevano mantenere i segreti, di qualsiasi natura essi fossero.

 





Fili era rimasto in disparte e da solo per tutto il tempo.
La mente affollata dai soliti pensieri e lo sguardo che vagava verso sud. Una fitta nebbia comprometteva la visuale dell'intero paesaggio e l'aria fredda penetrava le vesti. Aveva ancora i vestiti umidi e dovette stringersi in una posizione fetale per smettere di tremare. Stava evitando di guardare verso la zona dov'era presente Berit, a dir la verità, ma era più forte di lui. La vide parlottare con Bofur e la vide guardare verso di lui con aria che non riuscì a decifrare – una cosa poco rara d'altronde – e grugnì dentro la sua testa diverse imprecazioni per essere stato tanto stupido prima.
Come aveva potuto irritarsi così davanti a loro?
Tutti si preoccupavano per Kili, era stato un egoista a riversare su di loro la sua frustrazione. Doveva smetterla di farsi possedere da quei moti invadenti e impulsivi. Era già successo nella Città dei Goblin e ora questo. Non poteva accettarlo, doveva essere più forte, lo doveva per Kili principalmente.
Il suo fratellino non aveva bisogno di un peso, aveva bisogno solo di qualcuno che gli guardasse le spalle. E poi era una stupida ferita, quella alla gamba, niente di irrecuperabile. Quante volte Kili era tornato a casa con la testa sanguinante e qualche osso rotto? Oh, aveva perso il conto. Una freccia non avrebbe di certo messo in crisi la sua vita.
«Tieni.»
Bruscamente si risvegliò da tutti quei pensieri quando sentì sulla testa piombargli qualcosa di asciutto. Di molto asciutto. Subito sbucò con la testa bionda e s'accorse che era una lembo di una coperta di lana, probabilmente già presente sulla chiatta. Davanti a lui era piegata sulle ginocchia Berit, intenta a guardarlo con aria da tonno.
«G..grazie.» Balbettò quello, appoggiandosi la coperta addosso.
Smise immediatamente di tremare, era un tepore talmente bello che si lasciò cullare da quel caldo con più sollievo. Finalmente sollevò le labbra in un sorriso.
«Perchè stai qui a fare la principessa da sola?» Berit le sorrise e lui cercò di evitare di guardarla.
«Berit..ti prego, non sono in vena oggi...»
«Mi spiace che tu abbia perso il tuo senso dell'umorismo, biondo.» Quella gli scivolò di fianco e si voltò a guardarlo. «Prima non volevo sminuire la tua preoccupazione, sono stata una stupida. Ti chiedo scusa.»
Fili chiuse gli occhi e strinse le labbra tra loro. Ecco di nuovo che rimontava nel petto quella sensazione di calore che lo avvolse fino al volto. Com'era possibile che quella Nana riuscisse a farlo sentire così? Voleva odiarla, in realtà.
«Non chiedermi scusa. Sono stato io che non dovevo prendermela così tanto...è che mi sono preoccupato, sono sempre preoccupato quando riguarda lui.»
«Lo so. Kili è impulsivo, fa quello che crede giusto e non pensa. Tu sei uguale a lui, stesso sangue non mente.» Berit gli dette una spintarella con il braccio e quello si voltò di scatto.
«Io non sono come lui. Io..io ragiono su quello che faccio.»
«Ah davvero?» Berit sorrideva. Solo ora Fili rimase a osservarla con più attenzione. Aveva il viso raggrinzito per il freddo, spelacchiato sul naso e i capelli non avevano una forma propria, cadevano ribelli sulle spalle. I vestiti le stavano larghi e scivolavano malamente sul suo corpo, tutti sgualciti. «Ti devo ricordare di quella volta che hai lanciato un sasso in testa a Dàin perchè aveva chiamato Thorin “caprone”? O quella volta che hai volontariamente sgambettato Dwalin dopo che aveva detto a tua madre che cucinava delle ottime crostate?»
Fili stava boccheggiando, imbarazzato.
«...e quella volta che hai detto di non aver mai fatto niente di impulsivo nella tua vita e poi io ti ho ricordato che non era vero?»
«Ma..questo sta succedendo adesso
«Esatto!» Incalzò quella e gli diede una pacca sulla coscia. «Dai Fili lo sai, siete fatti così. Solo che tu te la prendi troppo perchè sei un po' pescio.»
«Io non sono pescio.» Fili s'offese – anche se non aveva la minima idea di che insulto fosse quello - e le rifilò una spintarella lieve. «Io mi preoccupo, è diverso. Devo tenerlo d'occhio perchè..è il mio fratellino. Faccio lo stesso con te. Lo faccio con Thorin. Con Ori. Con tutti. E' nella mia indole, non posso farci niente. Ho sempre paura di non riuscire a fare il necessario per...salvarvi
«Tu lo fai il necessario Fili, è solo che pensi di non farlo.» Lei gli sorrise e lui si sentì improvvisamente sollevato. 
«Ti confido un segreto ora.»
Fili sgranò gli occhi e li puntò su quelli di Berit. Lei questa volta distolse lo sguardo e lo puntò verso il punto della chiatta occupata da Bombur e Bofur. Il primo stava per cadere da un lato in preda ad una narcolessia improvvisa, l'altro s'era affacciato dal bordo della chiatta, con tanto di piedi leggermente sollevati.
«Secondo te cosa sta facendo quel pazzo incosciente lì?» E con un cenno del mento indicò Bofur. Fili spostò lo sguardo e corrugò la fronte.
«Mh...sta controllando che la chiatta non abbia punti molli? Che non vi siano buchi, così che l'acqua non entri e faccia affondare l'imbarcazione.»
«Tu sei responsabile anche nelle tue supposizioni.» Incalzò lei con un sorriso bonario e scosse la testa. «Visto che conosco i miei polli, sono sicuro che sta tentando di vedere se riesce a riflettersi nonostante l'acqua sia scura. Una volta ha provato a fare lo stesso mestiere in una palude, non è finita per niente bene.»
Fili riportò lo sguardo su di lei e rimase a fissarla. Aveva un modo di guardare Bofur che la rendeva diversa, probabilmente non se ne rendeva conto.
Il profilo era delineato da una condiscendenza più matura, il suo sguardo era attento, sembrava volergli evitare brutti imprevisti avvalendosi del solo sguardo.
«Davvero?» Disse Fili.
«Vuoi scommettere?» Quella si girò e incrociò i suoi occhi. Lui per poco non arrossì di botto, scuotendo il capo. «Non ci penso neanche a scommettere contro di te.»
«Bravo, perchè perderesti.» Quella rise ironica ma ritornò seria subito dopo. Seria era una parola molto grossa, in realtà. Diciamo che tornò sorridente.
«In verità anche io sto molto attenta agli altri, come te. Ci provo almeno, controllo che non facciano gesti irresponsabili. Il problema è che gesti del genere alle volte sono necessari.» Fece una breve pausa e spostò lo sguardo verso Nori, Dori e Bifur poco più distanti. «E alle volte sono tremendamente divertenti. Come dice sempre Thorin, amico mio, la fortuna ce la creiamo da soli. Alle volte bisogna rischiare un po', quindi farsi deviare dalle cattive idee non è poi così male. Non si diventa qualcuno stando adagiati in campana, quindi dì arrivederci e buonanotte a questo vecchio macigno.» Gli diede una pacca sulla fronte e si slanciò con la schiena, portandosi a fronteggiare Fili.
Il Nano biondo si prese il suo colpetto sulla fronte e dovette evitare di cedere all'impulso anche questa volta.
«Sai di aver appena confermato di essere un'incosciente anche tu, vero?»
«Non l'ho fatto, devi averlo sognato.» Quella rise di gusto, tendendogli la mano. Era rimasta a molleggiare sui talloni proprio davanti al volto dell'amico.
Lo sguardo di Fili scivolava sulle sue labbra in modo violento – non poteva proprio cadere in un tranello del genere – per tutto il potere di Aule.
«Andiamo a prendere in giro Kili e a dirgli che è un baccante delle elfe.» Lei gli tese la mano e lui rimase a guardarla per diversi istanti prima di sospirare.
Sembrava rassegnato da qualcosa.
«Ti piace davvero, eh?»
Berit, questa volta, cambiò espressione. Si fece perplessa tanto da corrugare la fronte. «Mi piace cosa?»
Bofur. Ecco cosa. Diglielo Fili, conferma questi dannati dubbi.
«Prendere in giro mio fratello, ovvio!»
Complimenti per il coraggio dimostrato.
«Oh non sai quanto.» E quello gli strinse la mano, facendosi trascinare via da quel suo angolino.

 





Erano tutti raggruppati vicino a Balin e alla montagnola di monete posate su un cassone in legno.
Solo Bard era distanziato dai Nani e dallo hobbit, guidava la chiatta e ruotava la leva per evitare di scontrarsi con i massi che martoriavano l'acqua. Il gruppetto vicino a Kili stava ridendo e v'era una leggera aria spensierata che rendeva persino Thorin e Dwalin meno inquieti. Anche se il nano brontolone non faceva che lanciare sguardi di fuoco alla volta dell'Umano. Bard ricambiava senza paura il suo sguardo e la cosa innervosiva Dwalin ulteriormente, dovette concentrarsi sui discorsi degli altri per evitare di agire d'impulso e buttarlo giù dall'imbarcazione.
«Nori, che cos'è?» Dori gli diede una pacca sulla nuca, proprio mentre il fratello imboscava dentro la maglia un semplicissimo boccale impreziosito da un metallo sul bordo. «Non guadagnerai neanche 2 monete con quello, perchè fai l'uccellino dei poveri?»
«Cosa accidenti è un uccellino dei poveri?» Incalzò quello. Non aveva più la sua prestigiosa acconciatura, ora i capelli rossicci gli scivolavano come paglia sulle spalle. Alcune trecce erano si erano salvate, però gli conferivano un aspetto molto meno furbo di quanto non fosse in realtà.
«Uno che ruba anche le molliche a chi non ha il pane.»
«Fino a prova contraria quelli poveri siamo noi, adesso.» Incalzò Nori tutto impettito e Dori fece uno sbuffo, alzando gli occhi al cielo.
Ori si mise in mezzo, allungando il collo. Il suo naso arrivò prima della sua testa; dei suoi fratelli era quello con il rilievo facciale più imponente.
«Nori non sta bene parlare di povertà davanti agli Umani. Balin mi ha sempre detto che sono così..suscettibili.»
«Non è un problema nostro, questo.» Borbottò Dwalin, stringendo ancora di più le braccia intorno al petto.
«Mancano altre dieci monete. Chi non ha messo la sua parte?» Balin interruppe quei discorsi profondi voltandosi verso gli altri. Non si misero neanche a pensare, si voltarono tutti verso Gloin che era stato stranamente zitto e silenzioso per tutto il viaggio.  Persino Bifur era riuscito a farsi sentire più di lui.
«Oh per la barba di mia moglie, Gloin non cominciare.» Suo fratello Oin gli dette una spintarella.
Aveva ancora la sua tromba vicino all'orecchio, anche se appiattita e rovinata dall'acqua.
«No no no no, io non comincio» intervenne Gloin con un dito già rialzato «avete idea di quanto ho dovuto sudare in questo viaggio? Mh? Mia moglie mi additerà come lo zimbello di tutti se torno a casa più povero di prima.» Borbottò, stringendosi nelle spalle. Non guardava nessuno ma tutti guardavano lui.
Berit e Bofur stavano lì in piedi a fissarlo con aria mortificata.
«Ci riprenderemo Erebor, non potresti mai tornare più povero di prima.» Incalzò il Nano col cappello. «Insomma potresti se tu effettivamente perdessi tutto l'oro conquistato, chessò, scivolando in un precipizio. O se incontrassi dei malati per l'oro e quelli tentassero di ucciderti e derubarti. O se donassi tutto il tuo oro per le cause minori. O se-» Berit gli diede una gomitata e Bofur si cucì le labbra. Gloin non si scompose più di troppo.
«Io sono stato dissanguato da questa missione. Non sgancerò più una sola solissima moneta, no no no Thorin non guardarmi così, sono stato fin troppo indulgente.»
Thorin lo stava guardando così, infatti, sospirando con aria grave. Dwalin già stava per condire quella tensione con toni aspri quando si bloccò poco prima di prendere aria. Alzarono tutti lo sguardo oltre il bordo della chiatta e rimasero con lo sguardo allargato, schiudendo le labbra come dei pesci fuori dall'acqua.
Persino Bilbo si ritrovò a seguire la loro attenzione, portandosi coi piedi a farsi più alto, allungando il naso per poter vedere meglio oltre il bordo.
La Montagna Solitaria si ergeva davanti a loro, così vicina e così lontana insieme, nascosta da una nuvola di nebbia che smorzava la linea della cima stessa.
Si respirava un'aria più pulita, in quell'acqua, e la magnificenza di quell'ammasso di roccia rendeva il paesaggio maestoso.
Era bellissima, anche se non poteva delineare il suo profilo con sicurezza. Emanava una vera grandezza, sentiva il cuore dei Nani espandersi e quando spostò lo sguardo su di loro gli venne da sorridere. Era ciò che sperava di leggere nei loro occhi, un giorno, perchè era la sensazione più bella e intima dell'intera Terra: ciò che sentiva ogni volta che varcava la porta di casa sua e inspirava l'odore dei salumi e del fuoco acceso. Ogni volta che si versava una tazza di tè o si coricava sulle sue trapunte calde.
Casa. Semplicemente casa.
Gloin si voltò insieme a loro quando notò che non lo stavano più fissando e per poco non pianse tutte le sue lacrime, tirando fuori dalla blusa un sacchetto di monete sonanti.
«Ecco prendete. Prendete tutto.» Balin fece appena in tempo a recuperare il sacchetto che vide Bard avvicinarsi.
«Datemi subito le monete. Tra poco scopriremo se sarete i benvenuti.»


 

* Brutto deforme.

 


Piccola nota finale: sia in questo che in quello precedente ho utilizzato dei termini "nanici" che ho preso da un dizionario di lingua nanica creato da un veterano dei gdr di questa razza. Purtroppo riuscire a tradurre di mia spontanea volontà i termini in khuzdul mi porterebbe via tipo..trentanni di vita, letteralmente, quindi mi avvalgo di questo dizionario sperando di non aver messo giù lettere a caso. In caso contrario chiedo scusa a tutti, a Tolkien in primis prima che si rivolta nella tomba.

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Capitolo 20
*** I non benvenuti ***


Capitolo 20.
I non benvenuti




Bilbo non aveva più parole per esprimere il suo malcontento.
Aveva il naso arrossato, gli occhi lucidi ed era stufo di avere i vestiti fradici. Era piuttosto sicuro di essersi preso un bel raffreddore per colpa di tutti quegli sbalzi d'aria e non era proprio a suo agio seduto su quella grande tavolata di legno, stretto in una coperta colorata, a guardare con aria contrita una bambina dagli occhi chiari. Quella lo fissava come si poteva fissare un folletto pieno di doni. Gli altri Nani non erano da meno nel malcelare la loro frustrazione, alcuni erano seduti intorno a lui mentre altri borbottavano distanti, circondando le finestre. Il fuocherello del camino era acceso e, oltre a scaldare l'aria, creava una piacevole atmosfera che non si rapportava bene all'affollamento che ora disturbava la locazione.
Erano nella dimora di Bard ed era assai ridicolo il modo in cui erano stati costretti a raggiungerla senza essere visti da gente indesiderata. A Bilbo salivano le lacrime agli occhi se si ritrovava a pensarci. Nessun hobbit della Contea dovrebbe essere messo in situazioni del genere, con quale arroganza adesso avrebbe più potuto dare dei buzzurri ai Sackville-Baggins se proprio lui entrava nelle case altrui passando dalle latrine?
Se lo avesse raccontato alla cittadella lo avrebbero deriso da lì a Frogmorton*.
Il motivo di tutto questo era tanto stupido quanto prevedibile: non erano approdati a Pontelagolungo proprio come cittadini desiderati, ma in fondo il prezzo dell'oro aveva comprato la loro discrezione nell'essere non-visti. Bard li aveva infilati nelle botti – riempiti di profumatissimi pesci appena pescati – e li aveva tenuti nascosti mentre superavano i confini della città. Non avevano amato particolarmente dover tornare lì dentro e ci fu una sequenza di dubbi e astio nei confronti dell'Uomo fino a quando le sue intenzioni non furono chiare all'intera Compagnia. Per non parlare dell'intoppo avuto al limite della dogana di Pontelagolungo, non erano stati scoperti per un pelo, ma - ahimè - la loro venuta non fu proprio disinteressata come avrebbero sperato.
Non era solito per quelle genti vedere ben quattordici Nani e un mezz'uomo attraversare le strade di Esgaroth, così che dovettero incedere accompagnati da occhiate sporadiche e mormorii bassi. L'agguato delle Guardie del Governatore, poi, fu un contrattempo spiacevole e dovettero avvalersi di una buona dose di riflessi pronti per seminarli.
Quel Bard sapeva il fatto suo almeno, era preparato e aveva la mente pronta e in un modo del tutto burrascoso erano riusciti a sfuggire da qualsiasi eventuale cattura – non credevano nemmeno di essere stati realmente visti dalle Guardie - ma la casa del loro chiattaiolo di fiducia era stata messa sotto sorveglianza ( si nutriva simpatia pura per questo Bard, mh? ) e quindi niente avrebbe impedito loro di raggiungere l'abitazione dopo una bella nuotata nelle fogne.
Bilbo aveva bisogno di farsi un bagno, ancor più che di mangiare, un pensiero alquanto insolito per uno come lui; sottolineava il suo grado di disperazione.
Tilda – così si chiamava la bambina che lo fissava – gli spinse davanti al naso una scodella di stufato caldo, sorridendo.
Era una bella bambina, aveva dei modi dolci ma gli occhi non assomigliavano a quelli di suo padre, probabilmente aveva preso dalla madre. Gli venne l'impulso di iniziare una conversazione, di qualsiasi natura, ma si limitò a sorridere, smuovendo la punta del naso che pizzicava per il raffreddore.
«Tu mangi di meno perchè sei più piccolo, giusto?» Domandò la bambina, guardandolo.
«Bè veramente...»
«Tilda non è cortese fare queste domande.» La rimbeccò Sigrid, una ragazza molto simile alla piccola bambina, ma alta e slanciata.
Era considerabile ancora molto giovane, nonostante fosse più grande della piccolina.
«Oh bè, non importa. Può capitare che non si sappia proprio tutto, in fondo io stesso non saprei calcolare il quantitativo di cibo da dare a persone come Voi.» Dopo quella risposta Bilbo s'affrettò a zittirsi, non convinto di aver usato le parole giuste, e si ritrovò a fissare i Nani intorno a lui. C'erano Dori e Nori avvolti in delle vesti molto larghe, sembravano dei bambini un po' tozzi e pelosi. «Scommetto che non mangiate più dei Nani almeno, mi sono ritrovato con la dispensa vuota dopo una sola cena con tutti loro.» Sorrise con aria vagamente imbarazzata, indicando con un indice gli altri.
Ori starnutì e strinse gli occhi; Dori continuava a fissarsi intorno con aria alquanto irrequieta. Solo Berit ascoltava con attenzione ogni parola dello hobbit, lanciando occhiate attente alle due figlie di Bard. Era strano che non avesse ancora interrotto il suo dire, era piuttosto quieta e docile anche nella postura. Se ne stava stretta in una coperta e ciondolava appena col busto. Non era circondata da Bofur, però. L'altro nano era rimasto seduto davanti al caminetto, con le mani inguantate rivolte verso le fiammelle scintillanti.
«Quindi i Nani mangiano tanto?» Azzardò a domandare Sigrid. La ragazza bionda spostò lo sguardo verso Kili e Fili principalmente, corrugò appena la fronte. «Noi purtroppo non possiamo...insomma non abbiamo molto da..»
«Non ti preoccupare. Il mio caro amico Bilbo è un gran chiacchierone, esagera sempre con le storie. A noi basta giusto un pezzo di pane e una sola scodella di stufato e potremmo campare tutto un intero giorno di marcia senza sentire gli effetti della stanchezza. » Berit sorrise alla volta di Sigrid e ampliò le labbra quando portò l'attenzione su Tilda. Stava arricciando il naso; sembrava ancora più buffa del solito, con quei suoi capelli scarmigliati. Bilbo per poco non ruzzolò giù dalla sedia per quella cantonata; che Berit deviasse l'attenzione delle sue colpe su altro era cosa ormai nota, ma che mentisse su quanto cibo mangiasse realmente era un vero azzardo. Non riusciva a capire a che gioco stesse giocando e cominciò a fissarla con occhi sgranati. Berit se ne accorse e lo guardò con sguardo altrettanto da gufo. Forse aveva capito cosa gli stesse comunicando con lo sguardo.
Non erano genti ricche, parlare di dispense piene di cibo avrebbe potuto farle sentire a disagio visto che loro non potevano vantarsi di tali prelibatezze, era già stato fin troppo generoso da parte loro offrire quel poco che avevano a quindici individui sconosciuti che ora occupavano la loro cucina.
«Meno male allora, prego servitevi pure. Non fatevi problemi. Di solito non siamo abituati alle visite...così improvvise, quindi perdonateci per il disordine.» Sigrid allargò le braccia con aria sorridente ma subito le richiuse, andando a sprimacciarsi le dita. Era nervosa e si evinceva dai gesti, dalla postura, anche dal sorriso che continuava a trattenere sul volto.
«Non devi preoccupartene, siete stati molto gentili.» Sorrise Bilbo, con un impeto diverso e Berit sorrise di rimando, annuendo.
Bain, l'unico figlio maschio di Bard, era rimasto seduto al tavolo e stava controllando i Nani in silenzio. Suo padre gli aveva detto di tenerli d'occhio, era uscito in tutta fretta dopo che Thorin e Balin avevano parlato della profezia, di ciò che successe a Dale quando il drago Smaug era arrivato e aveva bruciato la città, uccidendo un'intera popolazione, stanziandosi sopra l'oro della Montagna. Non erano riusciti a ucciderlo ma lui sapeva bene cosa diceva la leggenda: la corazza del Drago fu smussata grazie ai colpi delle due frecce nere di Girion, signore di Dale. Se solo l'ultima fosse stata scoccata...
«Figliolo, hai idea di quanto tempo ci metterà vostro padre a tornare?» Incalzò Balin, stringendosi in una vestaglia lunghissima.
La trascinava per terra ad ogni passo; di solito ci stava bene nelle sue bluse oblunghe, ma non così tanto, a stento inciampava.
«Di solito per cena torna sempre a casa, non s'azzarda mai a stare fuori fino a dopo il crepuscolo.» Rispose Bain mantenendo un tono tranquillo, guardando lui e tutti gli altri. Si soffermò a lungo su Dwalin e Thorin, immersi in una conversazione a bassa voce, vicino alla finestra. Non si fidava di quei Nani, erano diffidenti e aveva paura che la loro determinazione avrebbe messo in pericolo il padre. Non era un segreto che in quella cittadina gli alti ranghi trovassero Bard una seccatura, era benvoluto dalla sua gente e il popolo lo ammirava per la sua generosità. Dopo la morte della moglie non aveva voluto alcuno aiuto da parte di nessuno, aveva combattuto le sue battaglie da solo e combatteva anche contro i soprusi verso la sua gente da parte del Governatore e quel lecchino viscido di Alfrid. Ovviamente ingigantiti dal loro invidiabile esercito di Guardie, uomini senza personalità e con un solo cervello in comune. Di certo non servivano altri problemi e aveva paura che quei Nani lo fossero. Doveva fare di tutto pur di tenerli d'occhio, a costo di combattere lui stesso.
«E quindi cucini sempre tu?» La conversazione sul cibo aveva acceso Berit come una torcia, continuava a seguire Sigrid ovunque lei si muovesse. La cosa non sembrava infastidire la giovane ma si ritrovava spesso a voltarsi e a trovarsela lì di fronte, bassa e immersa in un fagotto di stoffa.
«Sì. Tilda mi aiuta molto però, sta imparando a...pelare le patate e a tagliare gli ortaggi. Bain mi procura il pesce di tanto in tanto.»
«Oh.»
Silenzio da parte di entrambe. Berit sorrideva e annuiva mentre Sigrid tentava di guardarsi attorno senza risultare offensiva, non sapeva bene come comportarsi. Aveva appena messo a posto delle ciotole sporche e aveva preso in mano il tagliere.
«Vuoi..vuoi aiutarmi a preparare la cena per mio padre?» Domandò la ragazza, fissando la nana.
«Oh non potrei mai.» Berit scosse la testa e sembrava, addirittura, intimidita davanti a quella proposta.
Di nuovo silenzio. Sigrid appiattì le labbra in un sorriso e Tilda nascose le labbra tra le dita, ridacchiando con aria divertita. La piccola era ancora nella fase dell'infanzia dove ogni cosa fuori dall'ordinario è divertente e buffo, quei nani le piacevano e non riusciva a nutrire la stessa diffidenza del fratello maggiore; in fondo era cresciuta con le storie di leggende e favole, ma mai in vita sua aveva visto alcun essere di altre razze. Nemmeno gli Elfi, nonostante fossero così vicini di casa.
«Vuoi...mh, vuoi che ti mostro come si fa a fare lo stufato?» Provò Sigrid, questa volta, sventolando per aria il mestolo che aveva appena preso.
«Non vorrei risultare indiscreta ma ..sì.» Berit fece un ultimo cenno e trattenne il respiro.
Bilbo non riusciva a credere ai suoi occhi. Tutta quell'acqua doveva aver fatto male a Berit, o forse era colpa di quella cittadella sulle palafitte, o magari il pesce dentro le botti era avariato e ora si stavano vedendo i suoi effetti. Non poteva credere che quel turbine nanico fosse così bendisposta e cortese alla volta delle due fanciulle, gli sembrava di vedere un'altra Nana davanti ai suoi occhi.
Risultare indiscreta, poi?
Ma quando mai Berit si preoccupava di risultare indiscreta?
Una che era salita sopra al suo tavolo e aveva preso a calci le sue stoviglie e le sue ceramiche continuando a rubargli cibo dalla dispensa.
Il mondo stava andando sottosopra, per caso?
Scese dal suo sgabello dopo aver finito il suo stufato, avvicinandosi a Bofur di soppiatto. Non s'era ancora azzardato a dire qualcosa. Si era ripreso da quel momento giusto per guardare alla volta di Fili e Kili, dall'altra parte della stanza. Kili era sempre più pallido, forse tutto il freddo lo stava facendo ammalare e di certo la ferita non aiutava. Gliel'avevano ripulita ma non avevano medicinali adeguati e di certo non potevano gironzolare per la cittadina come se niente fosse. Intanto Thorin e Balin parlottavano in segreto vicino alla finestra, si chiese per un secondo cosa stessero confabulando, prima di venire interrotto da un esulto di Berit dalla zona cucina.
Si voltò a guardarla e la trovò intenta a trionfare con una cipolla in mano, era in piedi su una sedia e guardava con aria assorta ciò che Sigrid spezzettava dentro al pentolame di bronzo. Tilda si era avvicinata alle due e passava carote e sedani alla volta della sorella maggiore. Sembravano un bel trio, a guardarle senza pensieri, come osservare una mamma che insegna alle proprie figlie come preparare un buon pranzetto.
«Non sapevo che Berit ammirasse così tanto la cucina. Nel senso, oltre che mangiarla.»
Bofur, di fianco a lui, distolse lo sguardo dal fuoco e lo allungò verso le tre più distanti. Berit stava tagliuzzando la cipolla e stava piangendo come una lavandaia che s'era appena sfregata gli occhi col sapone.
«Non credo che le piaccia cucinare, in realtà. Non credo neanche che lo sappia fare. Ora che ci penso non gliel'ho mai chiesto; di solito mangiamo ciò che ci cucina Bombur. O Dori, quando è in vena.»
«Ma guardala: sembra così felice. Come se avesse scoperto un mondo nuovo. Poteva chiedermelo a me, quella sera, sarei stato molto felice di cucinarle un pesce piuttosto che vederla staccare a morsi tutto il salame.» Borbottò lo hobbit, stringendosi nella sua coperta di lana. Era piccola, probabilmente era di Tilda, anche perchè aveva un bel colorito sgargiante. Era contento che i bambini lì indossassero colori fruttati, amava la vivacità della stoffa.
«Ma tu sei un piccolo hobbit e sei un piccolo hobbit maschio, Bilbo.» Spiegò Bofur.
Bilbo decise di sentirsi offeso da quella constatazione e si mise a sbuffare contrariato. Sapeva bene di non essere una donna, insomma, ma non per questo era incapace di fare le cose che – principalmente – facevano le hobbittesse. O qualsivoglia donna, in casa.
«Berit è cresciuta in un ambiente prettamente maschile, sulle Montagne Azzurre. Ti avevo già raccontato che molte Nane che si trovano lì non pensano solo alla casa o al matrimonio. Alcune addirittura non si sposano perchè si incaponiscono su un guerriero che magari non le vuole, pensa un po'.» Bofur piegò di lato la testa e si grattò un orecchio, facendo una smorfia di fastidio. «Lei non è mai stata una grande amante dei concetti tradizionalisti, in fondo avere Dwalin e Balin come maestri di comportamento ti forgia più come guerriero che come sposa. Ma questo non vuol dire che non le interessi imparare a fare...queste cose. Almeno credo, in fondo chi lo sa cosa pensa sul serio.» Ridacchiò il Nano, riprendendo a rimirare il fuoco.
«Quindi dici che fa così...perchè vuole assomigliare ad una donna? » Bilbo ci provò a risultare discreto ma non gli venne bene, questa volta.
«Non è per quello.» Bofur alzò lo sguardo di nuovo su Berit e gli venne da sorridere. Lei si stava sfregando le dita sugli occhi piangenti. Vide Sigrid fermarla con uno scatto, allarmata. «Credo più che sia la presenza di una donna che sappia insegnarle qualcosa, che le piace. Ha sempre sentito la mancanza di una guida femminile; per esempio con Dìs va molto d'accordo. Anche dopo che le ha ricoperto il pavimento di calcestruzzo.» Bofur fece una smorfia divertita. «Lei e Kili gliene hanno sempre combinate tante, inconsciamente. Dopo che avevano usato la pirica di Balin per una torta di compleanno Dìs li ha inseguiti per il giardino con una vanga in mano. È stato il più bel banchetto da festa che Fili abbia mai fatto, questo te lo assicuro.»
Bilbo si mise a ridere divertito per il racconto, anche se gli venne da riflettere, avendo captato un nome sconosciuto.
«Chi è Dìs?»
«La madre di Fili e Kili. La sorella di Thorin. Una gran brava donna, non assomiglia molto a Thorin ed è più compassionevole. Però ha il sangue dei Durin nelle vene, perciò guai a farla arrabbiare.»
«Ah, quindi è una sorta di madre anche per Berit?»
Bofur si mise ad annuire e a Bilbo venne l'impulso di chiedergli se Berit, una mamma tutta sua, ce l'avesse. Non le aveva mai chiesto niente del suo passato, in effetti, ogni volta che Bofur ne parlava c'era sempre qualche tragedia in agguato. Non si soffermava mai su punti più intimi, da un lato la cosa la trovava molto rispettosa ma dall'altro gli accendeva discrete curiosità. Sapeva che abitavano tutti nelle Montagne in esilio, ma non sapeva nulla di loro. Ora che aveva scoperto di questa sorella di Thorin gli venne da chiedersi se anche gli altri avevano lasciato a casa qualcuno. Apparte Gloin, lui lo diceva continuamente. Magari la loro famiglia li stava aspettando o magari alcuni non avevano nulla, che attendevano solo la riconquista della loro Montagna senza guardarsi più indietro. Forse alcuni avevano perso il cuore, con l'arrivo del Drago, o dei figli, dei parenti. Il pensiero gli annebbiò lo sguardo.
«Comunque dovresti chiederglielo, sai? Se vuole imparare a cucinare il pesce fritto.» Bofur tornò a fissare il fuoco.
«Oh no, per carità...» Bilbo scosse la testa velocemente, riprendendosi da quei pensieri «...mi farebbe uscire matto.»
Bofur si mise a ridere con più allegria, picchiando una mano sulla testa di Bilbo, scombinandogli i ricci.
«Cominci a conoscerla, allora. Ma mai dire mai nella vita, chi lo sa, potresti rimanerne sorpreso.» Detto questo si sgranchì le gambe e si issò, andando a raggiungere suo fratello e suo cugino ai lati del tavolo.
Bilbo lo seguì con lo sguardo per qualche attimo e prese a sospirare; gli mancava dannatamente casa sua, non poteva fare a meno di pensarci.
Non gli dispiaceva essere in una casa comune, di gente comune, erano le persone che Bilbo preferiva in assoluto, quelle che non bramavano potere e non lo usavano contro di lui, però lì dentro l'aria era stretta, si sentiva sempre a disagio per qualcosa e – quel che è peggio – agli altri questo Bard non piaceva, nonostante il suo aiuto. C'erano ancora le armi sgangherate che l'Uomo era riuscito a procurargli abbandonate sul tavolo, ovviamente ai Nani gli si può mentire su molte cose ma di certo non sulla qualità del metallo. Forgiatori di ferro e mithril, di acciaio e oro, non potevano accontentarsi di mazzapicchi, martelli da fabbro e gaffe per affrontare un Drago. Non se avevano pagato, per giunta.
Bilbo ci provò a mettersi nei loro panni, questa volta, ma non riusciva a pensare serenamente. Lui si era sempre arrangiato con poco sì, ma lui non aveva mai dovuto combattere per riavere casa propria. 
Si trovò, senza pensarci, a carezzare l'anello che aveva in tasca. Era salita al petto l'improvvisa voglia di sentirlo tra le dita, come se il suo semplice tocco potesse schiarirgli l'animo con una sicurezza diversa. Aveva chiuso gli occhi e sentiva una strana leggerezza mentre quei pensieri lo abbandonavano. Le voci degli altri divennero, per un istante, qualcosa di leggiadro e lontano. Avvertì Sigrid urlare qualcosa e Tilda forse stava ridendo. Gli venne da pensare a Gran Burrone, senza un reale motivo. Chissà se le cascate ancora scendevano lungo i pendii delle montagne, chissà se gli Elfi cantavano ancora, al sole del mattino. Ripensò al suo ultimo risveglio, nel giardino di Elrond, col sole arancione a scaldarlo. Se solo avesse avuto ancora la mappa di Berit l'avrebbe guardata fino allo sfinimento, cercava di ricordarsela.
I viottoli, le case, il mercato..
«Bilbo?»
Bilbo aprì gli occhi di scatto, ritrovandosi davanti al naso Berit. Per poco non ruzzolò all'indietro per lo spavento. Lei aveva gli occhi completamente arrossati, gonfissimi, lacrimavano e la punta del naso sembrava un piccolo pomodoro tanto era rosso. Eppure sorrideva fino a far splendere il volto.
«Ho appena infilato la mia prima carota dentro lo stufato.»
Quella frase non era proprio adatta ad una signora, se bisognava guardare il pelo nell'uovo, ma a Bilbo venne da sorridere. In realtà comincio ben presto a ridere, facendo vibrare tutto il petto. «Ma che cos'hai fatto alla faccia Berit? Sembra che tu abbia appena sbattuto il naso contro il muro!»
«Ho spezzettato del peperoncino e mi sono dimenticata che non è indicato, poi, strofinarsi gli occhi.» Infatti li teneva chiusi e li strizzava in continuazione. In quel momento Sigrid arrivò da lei con un panno e una ciotola d'aceto e latte. Era completamente sconvolta.
Tilda invece seguiva la vicenda con aria divertita, seguendo la sorella più grande.
«Oh Berit, te l'avevo detto di stare attenta.» Incalzò lei con aria mortificata, imbevendo il panno nel liquido. Cominciò a tamponare gli occhi della malcapitata, quella era ferma e rigida come una scopa, con la faccia tutta rincagnata. «Non ti farà passare il bruciore ma ti darà sollievo. Tilda per favore..mi passi i semi di grano?»
Tilda continuava a ridacchiare mentre s'accingeva a prendere una ciotolina dal tavolo e Berit rideva con lei. Rideva e piangeva.
«Tilda non ridere, non è educato.» La rimbeccò Sigrid.
«Ma Sigrid, è così buffa.»
«Tilda!» Sigrid allargò gli occhi.
«E così sono ancora più buffa.» Detto questo fece una linguaccia alla volta di Tilda, mentre Sigrid imbeveva ancora il panno, provocando un moto d'ilarità alla volta della piccola bambina. Anche a Sigrid venne da ridere, anche perchè Bilbo – in tutto ciò – non aveva smesso un secondo.
«Io lo posso essere di più.» Tilda raggrinzì tutto il volto fino a fare una smorfia che, più che buffa, era tenera. Berit non riusciva più a vederla quindi dovette avvalersi della sua colorita fantasia per immaginare che tipo di smorfia avesse fatto.
«Non vale fare quella faccia lì.» Grugnì Berit, stando al gioco, sogghignando divertita. Alzò un dito e si pinzò il naso, tirandolo in alto. Ora aveva l'aspetto di un maialino piangente. «Ecco così.» La sua voce divenne nasale subito.
«Berit, per favore, non riesco a...pulirti gli occhi.» Sigrid tentava di non ridere ma quel compito stava diventando difficoltoso.
«Aspettate.» Fu Bilbo questa volta a parlare, intromettendosi. Prese le mani di Berit e gliele tenne ferme, rovinandole il gioco. «Ecco, procedi pure.»
Sigrid ringraziò con un cenno del capo e Berit sbuffò altamente contrita. Lei poteva benissimo districarsi - se solo avesse voluto -  ma non lo fece. «Bilbo, mi chiedo se sei uno che viene invitato alle feste, nella tua cittadella, razza di spergiuro.» La nana sporse le labbra all'infuori, quell'espressione sembrava renderla una bambina a cui era stato tolto il gioco preferito. «Stavo vincendo, sei proprio un guastatore!»
«No no, ti giuro che stava vincendo la piccolina qua. Tu non ti stavi neanche avvicinando a tali smorfie.» Bilbo continuava a sorridere, divertito.
«Ooooh, disonore Bilbo! Su di te e sulle tue barbabietole!» Berit fece ciondolare il capo con fare teatrale e Sigrid faticò a starle dietro, non riuscendo più a soffocare le risate. Anche Tilda stava ridendo di pieno gusto, alzando le spalle. Sigrid rimase con il sorriso per tutto il tempo; era da tanto che sua sorella non rideva così, non passavano mai giornate facili, tra litigate, preoccupazioni e le sentinelle del Governatore a gironzolare intorno alla casa. Non potevano quasi mai uscire da sole, se non per andare al mercato, quindi non c'era molto da rimanere allegri.
«Appena mia sorella finisce di curarti gli occhi finiamo la gara, va bene?» Domandò Tilda, battendo le mani tra loro.
«Certo che la finiamo! Facciamo gareggiare anche Bilbo così vediamo quanto fa il gradasso poi.»
«Sì sì sì, facciamo gareggiare anche Bilbo.» Esclamò la bimba tutta contenta.
«No no no, io non posso di certo competere.» Ci provò a tirarsene fuori Bilbo ma - alla fine - se l'era cercata. Berit gli fece il verso e lui sbuffò, gonfiando le guance.
«Ahi no, non fatelo.» Dal nulla era spuntato Fili, che guardava con aria sorridente le due fanciulle. Si soffermò a guardare Sigrid e la ragazza fece altrettanto con lui, abbozzando un sorriso più timido. «Non fate gare con lei, è una bara.»
Fili non si beccò un pugno dalla Nana solo perchè Bilbo ancora gliele teneva strette, e poi non riusciva a vedere dove colpire.



Se da una parte l'atmosfera era buona, dall'altra incalzava una certa impazienza.
Si evinceva dallo sguardo di Thorin, che non faceva altro che fissare di soppiatto il figlio di Bard. Non gli piaceva il modo in cui lo fissava quel ragazzino e ancor di più non gli piaceva ritrovarsi in quella casa senza che potesse uscirne. Bard aveva detto loro di restare fino al calar del sole, il buio era un ottimo alleato per fuggire senza essere visti, gli Umani non vantavano di ottima vista e questo andava a loro vantaggio. Non voleva scappare come un ladro e stare lì dentro cominciava a farlo sentire stretto. Poi c'era quel piccolo particolare che vorticava nella sua testa come un turbine impazzito; l'Arciere era uscito in tutta fretta dopo che Balin aveva fatto il nome di Thorin. L'Uomo conosceva molto bene la storia dell'arrivo di Smaug e quel suo ultimo sguardo non gli era piaciuto.
Non riusciva a fidarsi, nonostante i suoi figli li avessero sfamati e gli avevano donato abiti caldi; sapeva bene che il sentimento era reciproco da parte del chiattaiolo.
«Aspettiamo un momento di distrazione e ripercorriamo le latrine. So che non è piacevole ma almeno possiamo raggiungere l'armeria e pensare ad un piano.» Sussurrò a Balin, guardando fuori dalla finestra. V'erano degli uomini che pescavano in barca proprio lì sotto. Immobili e silenziosi. «Sono ragazzini, non sarà difficile seminarli. Anche se il ragazzo continua a tenerci d'occhio...»
Balin aveva lo sguardo che vagava per il resto della stanza. Non provava la stessa diffidenza nei confronti di Bard, non gli dispiaceva come Uomo e si sentiva riconoscente nei suoi confronti per l'aiuto che gli aveva dato. Ma non voleva andare contro Thorin, sapeva che il Re si stava solo preoccupando di tutti loro e della loro missione. Eppure non riusciva a essere d'accordo con l'idea che turbava la mente del Re, né tantomeno voleva rischiare di scappare per essere catturati in seguito da gente meno benevola dell'Arciere. Senza contare il fatto che Kili era diventato una preoccupazione per tutti loro; la ferita poteva infettarsi e il suo colorito faceva alludere che fosse già successo, per loro disgrazia. Oin era riuscito a pulirgliela meglio che poteva e controllava le sua condizioni, ogni tanto, sperando che il rischio non si alimentasse ulteriormente.
«Thorin...capisco che sei preoccupato, ma non possiamo rischiare di venire catturati. Kili ha bisogno ancora di riposo e il dì di Durin è ancora a qualche giorno da noi, possiamo pensare a riprendere le forze.»
«Non voglio riprendere le forze in casa di un Uomo che non ci vuole qui.» Sussurrò il Re, guardandolo fisso. Balin si sorprese di quanto lo vedesse stanco e provato. Il loro viaggio stava giungendo quasi alla fine, ormai, ma aveva paura che - alla fine di tutto - la stanchezza sarebbe stata la loro nemica principale. I Nani potevano essere molto forti nel pieno delle forze, ma loro non potevano vantare quelle forza già da un bel po' di tempo. 
«Ci ha dato una mano, per quanto possibile e gli altri hanno bisogno di riposarsi. Tu ne hai bisogno.»
«Io sto benissimo.» Sibilò Thorin, stringendo i pugni. Guardò verso Kili con aria grave e mortificata prima di alzare la destra e stringere la spalla del vecchio Anziano. «Possiamo riposarci quando supereremo il Fiume Fluente e lasciare che Kili riprenda le forze ai piedi della scala di Erebor. Troviamo le armi e le erbe, se raggiungiamo Erebor prima dell'ultimo giorno d'autunno avremo più possibilità di pensare ad un piano.»
Balin sospirò e chiuse gli occhi. Thorin aveva sempre le parole per tutto, era un grande Re e lo avrebbe seguito in ogni dove, senza mai dubitare della sua risolutezza, ma questa volta c'era qualcosa che lo turbava. Non riusciva a capire cosa fosse - una sensazione nata dalla fuga di Bosco Atro - se Thorin avesse perso di nuovo il controllo sarebbe stato facile uscirne, questa volta?
«Thorin io..» ma Balin non fece in tempo a rispondere che dei tonfi alla porta li fecero irrigidire tutti.
I Nani scattarono per guardare verso questa e i più vicino al tavolo balzarono in piedi, ritrovandosi ad arpionare i mazzapicchi e le mazze che prima avevano schifato con tanto ardore. Bain guardò allarmato le sorelle e loro fecero altrettanto con lui.
«Nascondetevi, presto.» Sussurrò il ragazzo guardando verso il Re e questo subito fece scivolare via dosso la coperta e fece cenno agli altri di seguirlo. I Nani presto si mossero dietro di lui, anche se Bombur per poco non fece ruzzolare una sedia sul pavimento quando venne tirato da Bofur; quello subito si voltò verso la zona dov'erano Berit e Bilbo.
Lei, ancora cieca e odorante di aceto, stava venendo trascinata dallo hobbit e Fili era subito corso ad afferrare Kili per le spalle, aiutandolo a rialzarsi dalla sua postazione, insieme a Oin.
«Ch-chi è?» Incalzò Sigrid, asciugandolo le mani nel panno agganciato alla gonna. Trattenne il respiro e si mise davanti alla sorellina che, ora, si reggeva contro di lei. Bain aveva spalmato la schiena vicino allo stipite e stava reggendo in mano una mazza di legno. Guardò la sorella più grande e fece un cenno, deglutendo a fatica.
Tutti i pensieri peggiori gli stavano annebbiando la mente. Le guardie avevano visto i Nani ed erano venuti a prenderli? O peggio, arrestarli? Magari loro padre era già dietro una cella e ora sarebbe toccato a loro. Avrebbero perso tutto, magari sarebbero stati esiliati per sempre per aver dato assistenza a degli stranieri senza avvertire nessuno.
No, non poteva permetterlo.
Avrebbe protetto la loro casa e le sue sorelle, non avrebbe mai permesso che qualcosa di male accadesse loro, lo aveva promesso a sua madre al suo capezzale. Avrebbe sempre protetto la sua famiglia da ogni insidia, anche se l'insidia era il Governatore della loro stessa cittadina.
«Siamo Meryl e Halder, tranquilli ragazzi.»
Bain sospirò e quasi gli cedettero le gambe per il sollievo di sentire quelle voci. Stessa cosa fecero Sigrid e Tilda.
Meryl e Halder erano amici di suo padre, abitavano nella via est di Pontelagolungo e spesso aiutavano i ragazzi con la merce e qualche lavoretto per abbondare col guadagno mensile.
«Abbiamo detto alle guardie che siamo venuti a portarvi il pane.» Accodò Halder poco prima che la porta venisse aperta.
Meryl era una donna di mezza età, dai capelli crespi e rossicci ma un bel viso e lo sguardo sicuro. Non era molto in carne nonostante indossasse sempre vestiti troppo larghi per il suo fisico. Halder era un ragazzo più giovane, biondo e con delle chiarissime efelidi sul viso chiaro. Aveva un bel sorriso e lo sguardo verde come il bosco a Primavera. Era il nipote di Meryl ed era un ottimo artigiano, era suo il merito di ogni mobilia aggiustata in quella casa.
«Pensavamo fossero loro. Cosa ci fate qui?» Disse Bain, chiudendo subito la porta. Si premurò che nessun Nano fosse più visibile e poggiò sul tavolo la mazza. Con velocità portò i lembi della stoffa a nascondere il resto delle armi rimaste lì sopra.
«Non possiamo stare molto o avvertiranno quel verme di Alfrid. Intanto tenete, il pane lo abbiamo sul serio.» Meryl diede a Sigrid una cesta di vimini e lei le sorrise di rimando. Intanto Halder aveva preso in braccio Tilda, salutandola con affetto. Andavano molto d'accordo, Halder amava i bambini – pensava che ogni persona avesse bisogno di circondarsi della fanciullezza per ritrovare la spensieratezza interiore, tipica di un bambino. 
«Siamo venuti a vedere se vostro padre stava bene, dopo quello che è successo al mercato.» Domandò Meryl, allargando lo sguardo.
«Al..al Mercato? Cosa..cos'è successo al mercato?» Sigrid guardò suo fratello velocemente e sperò con tutto il cuore che sul viso non gli si leggesse nulla di inappropriato.
«Ma non ve lo ha detto?» Solo ora Halder si guardò intorno. Notò il bozzolo di stoffa sul tavolo e svariate ciotole sparse in giro per la stanza. Alcune coperte erano aggrovigliate sul pavimento e c'era un forte odore di aceto. «Dei..nani
«Nani dite?!» Tutti e tre esclamarono insieme, allargando ancora di più lo sguardo. Non erano i più esperti mentitori che si fossero visti a Pontelagolungo ma di certo erano bravi a esternare una certa drammaticità. Tante volte si erano trovati a cavarsela per conto loro col solo aiuto della furbizia, loro padre aveva gli aveva insegnato ad essere scaltri per uscire fuori dai guai. O dissimulare i pensieri altrove.
«Nani, esattamente. Bassi e barbuti, non ne avevo mai visti così tanti insieme.» Disse Halder tutto concitato, stringendo in braccio Tilda. «A dire la verità non credo di averne mai visti, di Nani. Se non negli arazzi o nelle illustrazioni. Pensavo fossero più alti.»
«Speravamo che vostro padre non fosse incappato in qualche pericolo.» Aggiunse Meryl di rimando.
«Oh no, nostro padre sta benissimo. È uscito per andare a recuperare alcune merci giù al Fiume ma sarà di ritorno presto, se volete gli dico che siete passati.» Bain sorrise, spostando l'attenzione verso lo stanzino che s'apriva sulle latrine. Non era sicuro di aver fatto un'azione giusta lasciando il permesso ai nani di nascondesi lì dentro ma aveva dovuto agire d'impulso e quando il cuore rintocca per la paura la mente fa lo scherzo di non pensare con raziocinio.
«Oh sì grazie, ditegli che passeremo di nuovo uno di questi giorni, sperando che le guardie non decidano di farci la pelle per tutte queste visite.» Rispose con acidità Meryl. «Si può che per venire a trovare un amico devo chiedere il permesso al Governatore? Quell'uomo sta giocando con la nostra pazienza.»
Un rumore forte proveniente dallo stanzino fece voltare tutti di scatto e i tre figli di Bard per poco non si fecero scappare un gemito.
Sigrid guardò Bain con aria allarmata – per quanto potesse farlo, vista la situazione – ma poi subito si armò di un bel sorriso, guardando i due.
Halder, intanto, mise a terra Tilda che tentava di nascondere il più possibile ogni emozione. Non facile per una piccola infante nel cuore di una giornata piena di imprevisti.
«Cos'è stato?» Chiese il ragazzo, corrugando la fronte. Aveva captato qualcosa di strano e, d'altronde, tutto quel disordine non era una normalità in quella casa. Sigrid era sempre stata molto meticolosa nel tenerla pulita e accogliente.
«Oh- oh, niente, oggi abbiamo avuto un po' di problemi con la latrina, pare che delle tubature si siano otturate ma-»
«Ma perchè non me lo avete detto? Vado subito a vedere. Sapete che non dovete fare altro che chiedere, accidenti. Non mi dovete una sola moneta – magari un invito a cena, che mi piacciono tanto i tuoi stufati!» Halder stava già per incamminarsi quando Sigrid si ritrovò a fermarlo per un braccio.
«No. No, no Halder non ce n'è bisogno, abbiamo fatto da noi, era veramente una..sciocchezza.»
«Sì. Un topo, si era incastrato e abbiamo faticato un po' per liberarlo. Ha creato un po' di problemi.» S'aggiunse Bain che si era messo davanti alla donna, sorridendo con un po' di forzatura.
Sentirono un altro tonfo da lì dentro e Bain si maledì mentalmente un'altra volta. . Era sicuro che quei maledetti nani stavano scappando.
«V-vado...vado giusto a controllare per vedere se non è successo di nuovo. Questi topolini sono proprio dei piccoli ribelli. Magari è una famigliola, sapete com'è...fanno le tane, le buche, una cosa impossibile.» Rise forzatamente, già sgusciando via per infilarsi dentro lo stanzino.
Un altro tonfo fece scattare tutti e Sigrid si ritrovò a sperare che quei due non fossero avvezzi a curiosare troppo. Per quanto si fidasse di loro non potevano far sapere a nessuno della presenza di quei nani, era pericoloso per tutti, non potevano metterli in mezzo in questo.
«Speriamo che non cada nella latrina come stamattina. Eh-eh.» La ragazza ci provò davvero a ridere ma le parve di sentire un suono strozzato uscire dalla gola.

«Oh per la miseria, digli di stare attento. Quel ragazzino è proprio un temerario, come suo padre.» Meryl, intanto, prese il nipote per un braccio. «Heldor dobbiamo andare, credo che quei due tronfi esibizionisti là fuori si stiano segnando i minuti che abbiamo perso stando qui dentro.» Fece una smorfia di disapprovazione. «Ci sarebbe piaciuto rimanere, care, ma non vogliamo crearvi problemi inutili.»
«Non preoccupatevi, capiamo perfettamente. Anzi...siete stati molto gentili a passare, davvero. Ci fa sempre piacere.» Sigrid sorrise ma quando sentirono l'ennesimo tonfo dall'altra stanza si allarmò ancora.  
Halder sorrise di rimando e si avviò verso la porta con la zia. «Tuo fratello sa il fatto suo. Ma se non si sistema venite a chiamarmi Sigry, lo sai che non ho problemi. Mi basta uno stufato. Con te. Sono un tipo magnanimo lo sai.»
Sigrid sorrise piena di imbarazzo. «D-d'accordo, lo faremo, davvero. Grazie.»
Una volta che la porta fu chiusa alle loro spalle, Halder e Meryl fecero di tutto per non insultare le due sentinelle che avevano alzato lo sguardo su di loro. Pescavano con una serietà in corpo che faceva venire la noia solo a guardarli. La donna prese a braccetto il nipote mentre scendevano le scalette di legno, allontanandosi dall'abitazione.
«Zia, l'hai notato vero?»
Meryl si accovacciò meglio vicino al volto del giovane, infilandosi con lui nella mischia di gente che popolava le palafitte, diretti verso il mercato centrale. 

«Certo che l'ho notato. Ci stavano nascondendo qualcosa e sono del tutto sicura che Bard abbia qualcosa a che fare con la presenza di quei Nani.»
«Per la profezia? Quella che canta sempre il nonno?» Sussurrò il ragazzo. Conosceva bene la storia di Thror e del tesoro dei Nani. Erano famose le loro gesta a Esgaroth e mai avrebbe sperato che ciò che raccontavano le ballate poteva avverarsi proprio nell'Era della sua nascita. Gli venne da sorridere tutto gongolante.
«Halder non una parola con nessuno, finchè non troviamo Bard. Sono sicura che non è al fiume come dicono i ragazzi.» Meryl svoltò in un viottolo, portandosi il ragazzo dietro. Quello fece il giuramento, facendosi un segno sul cuore con i polpastrelli. 
«Dopo questa storia Sigrid mi dovrà un appuntamento coi fiocchi, però.»

 





il nome originale della località Chianarana, nella Contea.

NA.
Ciao a tutti. Questo è stato un capitolo difficilissimo da scrivere e il perchè non lo so neanche io, infatti non mi piace per niente. Ho provato a far emergere un po' i figli di Bard e l'introduzione di due personaggi che, ridendo e scherzando, probabilmente mi serviranno per un futuro prossimo, anche se cambio idea ogni cinque minuti sul continuo della mia storia ah-ah-ah. Comunque sia rinnovo sempre i miei millemillissimi grazie a chiunque mi stia leggendo-seguendo. Prossimamente capiteranno cose del tutto fuori programma quindi sarò imparanoiata al massimo su come fare per renderle al meglio, già lo so! A prestissimo :)

 

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Capitolo 21
*** Vi piacciono le scommesse? ***


Capitolo 21.
Vi piacciono le scommesse?




Mentre Bilbo sguazzava nelle acque torbide - per la seconda volta nel giro di poche ore - fu assalito da un pensiero nebbioso, procurandogli l'ennesimo malcontento della giornata, o del viaggio che dir si voglia. Presupponeva che una forte disgrazia si stesse abbattendo su di loro, data questa immensa sfortuna e se il piccolo hobbit fosse stato un gran accanito dei presagi – Oin e Gloin lo erano e proprio non ci pensava a rivelare loro tali pensieri – niente lo avrebbe desistito dal rinunciare a quel viaggio. Dopo Gran Burrone e il varco del limite delle Terre Selvagge ogni loro scelta pareva un'insidia.
Gli era dispiaciuto lasciare la casa di Bard, si stava divertendo insieme a Berit e a Fili e le due figlie del chiattaiolo avevano una bella risata e il cuore grande, ma Thorin era stato risoluto dentro lo stanzino e, così, era stato infilato dentro la latrina e di nuovo si era ritrovato coi vestiti fradici e sporchi.
Gli altri nani lo avevano seguito uno dopo l'altro e ora stavano nuotando lontani dal buco, facendosi largo a tentoni nell'acqua, evitando il più minimo rumore.
Erano riusciti a raggiungere un ponticello nascosto, sotto un porticato malridotto e il primo che fu issato sopra fu proprio Bilbo.
Dovette trattenere l'ennesimo starnuto quando si ritrovò sferzato dall'aria fredda dell'autunno piovoso. Il cielo non era per niente terso, portava da est delle cupe nuvole condensate, oscurando la poca luce che vi filtrava attraverso. L'inverno era incalzante, ormai e l'aria odorava di pioggia e di legno. Le voci dei passanti creavano un sottile riverbero legato allo scroscio dell'acqua del Lago e, per fortuna, i loro movimenti non crebbero sospetti nelle vicinanze.
Quando Bilbo si voltò verso gli altri si soffermò a squadrarli uno per uno, stringendosi tremante dentro la sua giacchetta. Aveva avuto il buon senso di lasciare la copertina di Tilda prima di immergersi ma ora questa scelta non la trovò così tanto sensata.
Vide che Berit aveva ancora gli occhi gonfi e non era sicuro che riuscisse a vedere ad un palmo dal naso, in realtà. Bofur – dietro di lei – continuava a tenerla a galla, costretto a fare lo stesso mestiere con Bombur. La loro fortuna era che l'acqua, in quel punto, non era pressochè profonda; Bilbo non toccava ma i nani riuscivano ad arrancare con le punte degli stivali. Dwalin emise un grugnito scontroso quando si issò sul ponte, stringendo in mano il mazzapicchio. Non era per niente solida, come arma, ma meglio delle proprie mani nude per difendersi. 
Balin stava conteggiandoli velocemente.
«..nove, dieci..» muoveva il dito tozzo sopra le teste bagnate di tutti e ben presto smise di farlo, allargando gli occhi. Si volse verso Thorin con aria allarmata. «Non siamo in quindici. Ne manca uno.»
Questa volta fu Dori a voltarsi di scatto, non gli era parso di sentire il suo fratellino in quell'angusta traversata e cominciò a guardarsi in giro velocemente. Non poteva averlo perso, lui stava sempre attento che Ori gli stesse attaccato alle terga; era sempre colto dal senso che il fratello, senza di lui, non sarebbe riuscito a cavarsela. Forse un pensiero troppo maniacale e protettivo, ma Ori non era un guerriero ed era armato solo di fionda e un discreto senso pratico, non poteva adagiarsi e sperare che se la cavasse da solo. Fece bene a non farlo; Ori non era alle sue spalle.
Quando si voltò verso Nori s'accorse che stava delineando la zona con lo stesso sguardo apprensivo, quindi tirò uno sbuffo tremante.
«Dobbiamo tornare indietro. Ori non c'è! Dev'essere rimasto nella casa dell'Umano.» Incalzò Dori già immergendosi di nuovo nell'acqua scura del lago. Questa volta fu Dwalin a precederlo, fermandolo subito dopo.
«Fermo tu. Vado io. Se per caso lo stanno trattenendo è meglio che sia io a sistemare la situazione.» E strinse il manico del mazzapicchio, mostrando un lieve ringhio.
«Per carità Dwalin, non devi fare del male ai ragazzi. Bisogna solo ragionare con le buone.»
«Io ragiono con le buone, ma se per caso non vogliono capire...» Dwalin fece scattare lo sguardo su Thorin e quello gli fece un leggero cenno con la testa. Dori tirò un sospiro e ritornò verso Nori, issandosi sul ponticello.
«Aspetteremo qui, ma fate in fretta. Non possiamo rischiare di essere visti e dobbiamo raggiungere l'armeria.» Il Re diede quel leggero ordine e richiamò gli altri per nascondersi dentro al porticato, nell'ombra. Non era una strada molto trafficata, quella, ma avevano visto svoltare dei viandanti più volte, nei viottoli. Il buio era quasi alle porte ma il sole ancora filtrava pochi raggi sfuggiti alle nuvole, quindi si trovarono schiacciati contro la parete, infreddoliti e tremanti, con lo sguardo puntato verso il punto in cui Dwalin era appena sparito.





«Non capisci, io devo andare. Non faremo male a nessuno, è il nostro viaggio e non puoi impedirci di proseguire.»
Ori se ne stava tutto stretto contro l'angolo dello stanzino, impettito e sicuro mentre dallo sguardo brillava una forte risolutezza. Stringeva i pugni dentro i suoi guanti spezzati e ancora penzolava dalle spalle la coperta troppo larga, i capelli biondi erano tutti arruffati sul capo e ciò gli conferiva un'aria più giovane; se non avesse avuto la barba, Bain avrebbe fatto fatica a delinearlo in un'età specifica. Il giovane figlio di Bard se ne stava dritto davanti a lui con l'aria irosa, stringendo lui stesso i pugni e respirando piano. Gli erano sfuggiti tutti, proprio sotto al naso, senza che potesse fare nulla per evitarlo. Si malediva ancora per non aver detto ad Halder e Meryl dei nani, avrebbero avuto ben quattro braccia in più per tenerli a casa prima dell'arrivo di Bard.
Non era solito agire d'impulso, suo padre gli diceva di ragionare sempre riguardo i contrattempi, chi meglio di loro potevano vantarne così tanti poi. Ma, quella volta, era stato preso fin troppo in contropiede e gli venne da fare l'unica cosa sensata che gli passò in mente: nascondere i nani. La scelta più sbagliata che mai avesse potuto fare – col senno di poi – era ovvio che quelli sarebbero fuggiti. Non c'era neanche da sperare che potesse non accadere, li aveva visti confabulare per ore davanti alle finestre e di certo non stavano parlando di quanto buono fosse lo stufato.
Almeno uno di loro era riuscito a fermarlo e, se i nani erano leali e fedeli come vantavano le ballate, di certo sarebbero tornati a prenderlo.
«Non andrai da nessuna parte. Tu resti qui finchè non torna mio padre.» Il ragazzo parlava ancora a bassa voce, non riusciva a sentire se dall'altra parte gli ospiti se ne fossero già andati e non gli andava di rischiare, ormai era tardi anche per questo.
«Cosa credi che si risolverà? Tuo padre è solo uno.»
«Anche tu.» La voce di Bain si incrinò, non sicuro delle parole dette. Gli venne da guardare verso la latrina con sguardo rapido, sospirando con aria pesante.
Ori si ammutolì all'istante ma non abbondò quell'espressione incisa sul volto. Finora non era mai rimasto solo, nemmeno a Bosco Atro; seppure non si ricordasse per nulla le sensazioni provate nel fronzuto era sicuro di non essersi mai separato da Dori. Magari v'era stato qualche litigio e, sicuramente, aveva partecipato ad una rissa in mezzo ai rami scheletrici ma non si era mai ritrovato da solo a confrontarsi col mondo. Il mondo dei nani sapeva gestirlo anche senza bisogno di un martello tra le dita ma il mondo degli Uomini era imprevedibile e suo fratello non mancava di rivangarlo, di certo. Guardò lui stesso verso la latrina, sperando di veder sbucare la sua chioma grigia dal buco circolare, ma c'era solo il rumore dell'acqua e il grattare delle tubature.
«Per favore... per favore lasciami andare. Devo raggiungere i miei compagni, non sai quello che stai facendo nel trattenermi qui.»
«Finchè non torna mio padre tu da qui non ti muovi.» Incalzò Bain, accostandosi alla porta. Poggiò l'orecchio contro il legno e rimase in silenzio diversi secondi prima di allungare la mano per afferrare il braccio di Ori. Quello si divincolò con forza, spingendo via il ragazzo.
«Non mi toccare!» Ringhiò il nano, sgusciando via di lato e facendo cadere la coperta.
Bain fece un altro scatto e tentò di afferrarlo di nuovo, evitando di fare rumore. Ma Ori cozzò contro l'altro lato della parete e un tonfo si sparse tra le assi di legno. Bain si bloccò per un secondo prima di lanciarsi su di lui, con le mani protese. «Smettila di fare rumore, o ti scopriranno.»
«E allora tu lasciami andare
«Ma non lo capisci? Se vi prendono cosa credete che succederà? Che ve ne andrete in giro come se niente fosse? No! Voi non conoscete il Governatore, a lui interessano solo due cose e nessuna delle due è la vita di quattordici nani e quello strano gnomo che vi siete portati dietro.»
«Neanche restare segregati in casa vostra ci aiuterà ad andarcene, se è per questo!» Ori riuscì a finire la frase poco prima che Bain lo prese per la blusa, tirandolo verso di lui. Il nano provò a divincolarsi ancora ma Bain gli ficcò una mano davanti alla bocca, trattenendolo fermo contro il petto. Era una vera fortuna che quel nano non fosse troppo nerboruto – come alcuni della Compagnia – ma dovette ammettere che era altrettanto forte, a modo suo. Fece una fatica disumana a trattenerlo fermo, pigiandosi contro la parete per tendere ancora l'orecchio. Da dietro sentì la voce flebile di Sigrid.
«Bain? Sono andati via, cos'è
«Sono scappati Sigrid. Chiudi la porta, sono riuscito a trattenerne uno.»
«Pà non sarà contento.» Sentì Tilda dire. I loro passi erano frettolosi dietro la porta e Bain si spostò dalla propria.
«Tu stai bene vero? Non ti hanno fatto del male?» Chiese lei, sentendola ancora ovattata.
«Sto bene, tranquilla. Aiutami, questo si divincola come un forsennato.»
Ed era vero; Ori non smetteva di muoversi tra le grinfie del ragazzo e Bain stava faticando a tenerlo saldo. Non era forte, non come suo padre almeno, e i muscoli cominciavano a ledergli per la forza con cui stava pressando il nano. Aveva ancora la mano davanti alla sua bocca quando sentì un dolore fortissimo proprio al palmo.
«Aaaaah!» Non riuscì a trattenere il nano e quello lo spintonò con la schiena, sporgendosi in avanti. Ori lo aveva morso. «Maledetto
«Bain?! Che succede?! Stai bene?» Sigrid era entrata di fretta e vide suo fratello lanciarsi verso la latrina per afferrare di nuovo il nano. Lo tirò indietro ma quello continuava a dimenarsi con mani e gambe.
«Sigrid ti prego aiutami, non ce la faccio più!» Supplicò Bain, tirandolo indietro.
Sigrid tenne Tilda dietro di sé, impedendole di avvicinarsi e s'affrettò a raggiungere il fratello. Le fu complicato tentare di arpionarsi ad uno dei bracci del nano, trattenendolo fermo. Era resistente, per essere esile, e la ragazza notò che aveva lo sguardo lucido e il volto arrossato. Gli dispiacque per lui, in quel momento, ma quella situazione non prevedeva troppe scelte di spirito. Non riusciva a ragionare prontamente e capì che anche Bain non era da meno; l'unica loro speranza era che il padre si sarebbe affrettato a tornare.
«Lasciatelo immediatamente
Dal nulla una voce ruppe i lamenti e mugolii stanchi dei tre, tutti si voltarono verso la latrina. Da questa stava sbucando Dwalin, armato di mazzapicchio e dello sguardo più furente che Ori gli avesse mai visto sul volto. Gli venne da sorridere di pieno sollievo, smettendo improvvisamente di muoversi come un ragno impazzito. Non lo avevano lasciato al suo destino, erano venuti a prenderlo. Il cuore gli gioì come mai gli era successo, ritrovandosi a guardare Dwalin con insistenza.
«No! Mio padre vi ha aiutato e vi ha suggerito di prendere il cammino a tarda notte, ci metterete tutti nei guai con le vostre scelte da capoccioni. Non vi- ...lasceremo andare.» Bain era stravolto, respirava con affanno e la presa su Ori era diventata poco più che una gabbia molle di braccia. Persino Sigrid si ritrovò spiazzata, alternando lo sguardo tra i nani e il fratello stesso.
«Tuo padre non decide per noi, ragazzo.» Dwalin era davanti a loro, ora, sgocciolante e con l'arma impugnata. Fissò Ori per un secondo – in cui un bagliore di fratellanza illuminò i suoi piccoli occhi scuri – prima di farsi avanti, stringendo convulsamente il manico. «Ora lasciatelo andare, prima che io mi spazientisca e – credetemi – non è mai bello quando succede.»
Sigrid fece uno strano mugolio ma la presa attorno al braccio di Ori venne meno. Solo Bain ancora lo tratteneva, respirando pesantemente. Continuava a guardare Dwalin e la sorella, incapace di reagire. Non poteva cedere alla minaccia di un nano ma quello era armato e non sarebbe mai riuscito a fermarlo. Lui non era un guerriero, era solo un ragazzo.
«N..no.» Imperterrito. Sentì Tilda, vicino alla porta, fare un verso di paura e sua sorella subito le corse incontro.
«Bain...lascialo andare. Pà capirà, non possiamo trattenerli, sono numerosi e sono..armati. Non- non mi sono parsi cattivi, non tutti almeno, è meglio..meglio che fai come dice.» Sua sorella interruppe timidamente i pensieri del fratello e quello si voltò a guardarlo con aria sommessa.
Odiava dover dare delusione a suo padre ma Sigrid aveva ragione, non poteva niente contro di loro. Pian piano allentò la presa sul corpo di Ori fino a lasciarlo del tutto libero. Il nano corse subito dietro Dwalin, arrampicandosi sul ripiano della latrina. Quello gli posò una mano sulla spalla, stringendola con sicurezza.
«Non un passo falso ragazzini. Sarà come se voi non ci aveste mai incontrato, non temete.» Dwalin grugnì quelle parole un secondo prima di calarsi nel buco, dopo aver sentito il rumore dell'acqua provocato dalla caduta di Ori.
I tre figli di Bard rimasero a guardare il buco da cui erano spariti, ancora storditi e stanchi, con la mente in subbuglio. L'ultima frase di Dwalin veleggiava dentro le orecchie, come un rimbombo sordo.
Il problema era che temevano, più di quanto credessero.


 

Dwalin era appena sparito da qualche minuto quando delle voci piombarono da dietro l'angolo, seguiti da dei passi frettolosi che fecero scricchiolare le assi. I nani tentarono di pigiarsi quanto più poterono contro il muro del porticato, restando nascosti nell'ombra – ma di ombra ve n'era poca - e l'unica loro speranza era che quelli fossero troppo di fretta per accorgersi di un gruppo di nani fradici e sporchi, con degli strumenti da fabbro come armi.
Thorin fissò tutti intimando al silenzio e ognuno di loro non fece volare una mosca dalle labbra, attendendo il passaggio dei personaggi misteriosi.
Le voci sconosciute cominciavano a farsi più intense e i nani riuscirono a captare alcune parole; era una conversazione tra due uomini di dubbia età, da quel che pareva. Non s'azzardarono ad affacciarsi per confermare le ipotesi ma non ce ne fu bisogno. Dall'angolo sbucarono le loro figure dinoccolate, ciondolanti sulle assi, portandosi dietro l'odore di chiuso e di alcol. Tutti smisero persino di respirare, pregando Aule di mantenere la loro invisibilità, ma un soffio di vento rovinò quella portentosa padronanza, portandosi dietro alcuni sbuffi di polvere.
Bilbo si dovette pigiare la mano contro il viso, sentendo il naso pizzicare. Strizzò gli occhi e richiamò l'attenzione del nano che aveva di fianco: Bofur. Quello si voltò appena in tempo per rendersi conto del pericolo. Scosse violentemente il capo e  posò il palmo su quello di Bilbo stesso, praticamente bloccandogli ogni tipo di respirazione. Non era proprio saggio starnutire in quell'esatto momento, questa era sfortuna bell'e buona.
Quei due avevano quasi raggiunto il passaggio che portava a sud-ovest della strada quando Bilbo cominciò a rasserenarsi, il prurito al naso era passato così come venuto e fece cenni affermativi a Bofur. Il nano sospirò di sollievo, togliendogli la mano da davanti al naso e sprimacciandosi il viso col palmo.
E fu in quel momento che Bilbo starnutì.
Un piccolo, debole starnuto, simile allo squittio di uno scoiattolo, incapace di provocare curiosità negli avventori lontani. Sarebbe stato inudibile ai due se solo avessero svoltato l'angolo giusto un secondo prima. Ma così non fu – entrambi si voltarono di scatto - disturbati da quel rumorino proveniente dall'oscurità, focalizzando le sagome scure che lì sotto vi dimoravano.
Thorin imprecò in tutte le lingue conosciute dentro la sua testa, andando a guardare Bilbo che – ora – aveva entrambe le mani sul viso e strizzava gli occhi in pieno senso di colpa. Bofur lo fissava con occhi sgranati, stessi che protese ai due quando li vide avvicinare con curiosità.
«Oh, ma buon salve, cari concittadini. Perchè vi celate nell'ombra del portico? V'è ancora luce che filtra dalle nuvole e nessuno si nasconde da essa, qui a Pontelagolungo.» Uno dei due uomini sorrise. Era alto, magro e indossava una lunga tunica marrone e logora. Non era pulito e i capelli scuri gli ricadevano ondulati sulle spalle. Aveva gli occhi chiari ma un brutto sorriso – era meglio se la bocca l'avesse tenuta chiusa –  non sembrava particolarmente sorpreso dalla loro presenza. Si posò fiaccamente al pilastro di legno e guardò verso l'amico.
L'altro uomo sembrava più giovane di qualche anno, era più basso di pochi centimetri e portava un cappello di lana che gli copriva gran parte dei capelli. Era meno sporco dell'amico ma il suo odore era pregno di birra e vino, lo sguardo lucido e le gote arrossate delineavano il suo stato non proprio lucido.
«Ben detto, caro amico. Solo i peccatori si nascondono, o chi si indebita con le persone sbagliate.»
Il Re sotto la Montagna non era avvezzo alle cordialità più di prima ma si ritrovò a impostare il tono, non voleva che i due si intromettessero. Avevano già causato troppo rumore con la loro venuta, non potevano far scendere su di loro altre attenzioni, si era stancato di chiunque non avesse sangue nanico nelle vene, con Bilbo come eccezione. 
«Non siamo né l'uno né l'altro. Stiamo solamente aspettando il calar del sole per continuare il nostro cammino, non ci fermeremo a lungo.» Rispose lui, con un lieve cenno. I nani smisero di rimanere impostati, stessa cosa che fece Thorin, sperando di non avanzare in loro una curiosità eccessiva.
«E perchè, di grazia? Non vi piace la nostra ridente cittadina?» Incalzò il più vecchio, digrignando i denti in quello che lui avrebbe comunemente chiamato sorriso.
Nessuno dei nani riuscì a nascondere una nota di disgusto, si guardarono tutti gli uni con gli altri. Kili ciondolava pericolante tra le braccia di Fili, che ancora lo reggeva, continuava ad avere un brutto aspetto ed era rimasto silenzioso. Bofur si ritrovò a cercare la manica della blusa di Berit, stringendola con forza. Quella aveva ancora gli occhi lucidi e gonfi, non vedeva le facce dei due sconosciuti e si ritrovò a martoriarsi le palpebre, stranamente in silenzio.
«Non ho detto questo.» Intervenne, di nuovo, Thorin, accennando lo spazientirsi della sua voce.
«A me è sembrato che dicesse proprio questo, vero Seryon?» Quello più giovane guardò l'amico, alzando le spalle. Era appoggiato al pilastro opposto, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo annebbiato dall'alcol. La sua voce era impastata e biascicava quando era costretto a dire la lettera esse.
«Già, ma forse potrebbero farci intendere che abbiamo capito male, chissà.» Detto questo, Seryon, fece un passo avanti. Si soffermò su Thorin, guardandolo dall'alto. Lo sguardo scivolò sulle vesti del Re, nulla di pregiato era rimasto se non gli anelli e i gioielli d Erebor tra le dita e i capelli intrecciati e nodosi.
«Vi consiglio di proseguire per la vostra strada, signori, non abbiamo nulla da offrirvi.» Lo sguardo di Thorin vaccillò su Seryon e l'altro uomo col cappello. Quello sghignazzò divertito e s'avvicinò anch'esso.
«Credo che potreste offrirci molto, invece. Abbiamo giusto un piccolo e curioso affare, tra le mani e scommetto che voi potreste esserne interessati.» Seryon sorrise, controllando con assoluta minuzia i simboli nanici sui gingilli. Spostò lo sguardo sugli altri Nani. Si soffermò su Kili e Fili in particolare, prima di inquadrare Dori e Nori. Su quest'ultimo soffermò lo sguardo, ritrovandosi a fronteggiarlo poco dopo.
«Cosa ne dite? Ho notato che vi portate dietro piccoli gioielli. Io potrei farli diventare molti di più, vero Jonel
«Oh avanti Seryon, non essere modesto. Molti è così riduttivo.» Rispose Jonel con un sorriso guardingo. Di nuovo si spostarono entrambi, facendo un passo indietro. Nessuno di loro aveva preso parola e Thorin continuava a lanciare occhiate verso la pozza d'acqua nei momenti in cui i due abbandonavano lo sguardo.
«Ho sempre saputo che i Nani sono degli ottimi scommettitori, avvezzi alla...magnificenza dell'oro. Non raccontano questo le ballate e i canti? Non è questo che avete perduto, nell'antichità della gloria?» Incalzò Seryon, gesticolando per aria. Jonel si mise a ridere, annuendo con compiacenza.
«Quanto vorreste nuotare nell'oro, ancora una volta? Vi basti accettare solamente una proposta.» Jonel chiuse gli occhi, appoggiandosi malamente al pilastro.
In tutto ciò, Nori non s'era perso una sola parola. Se Dori non fosse stato così occupato a controllare che la venuta del fratello minore giungesse se ne sarebbe accorto, ma ora non era dedito alle sue solite attenzioni vista la preoccupazione che lo attanagliava. Bilbo era rimasto appiccicato alla spalla di Bofur e quello stringeva la stoffa di Berit in una morsa convulsa. Si ritrovarono a guardarsi per un secondo, prima che Berit venisse sgomitata da Nori.
Lei voltò piano il volto, evitando di destare attenzioni. Non c'era bisogno di parlare per comprendere i pensieri; una bisca clandestina era il più grande difetto in cui Nori potesse mai cadere con tutti e due i piedi e Berit era stata spesso deviata dall'amico, vista la propensione a scommettere sulle puntate vincenti. Molte volte erano tornati nelle loro dimore con le tasche tintinnanti o oggetti che Nori rubava a poveri ignari. Era un comportamento vile che non piaceva ad alcuni tradizionalisti, ma finchè si peccava con i propri consanguinei era un conto sopportabile.
«Noi non accettiamo offerte. Non siamo qui per comprare o vincere il vostro oro, quindi vi conviene allontanarvi se non volete dei guai.»
«Guai?» Incalzò Seryon, ergendosi col petto in fuori. Sembrò irritarsi nonostante quel sorriso marcio non abbandonò il suo viso neanche in quel preciso momento. «Ci stai minacciando, nano?»
«Mi pare proprio di sì. Piglialo, Seryon. Vediamo al Vecchio Torchio quanto riuscirà a fare il gradasso, nella sua invidiabile altezza.» Ironizzò Jonel, gesticolando per aria.
Seryon fece uno scatto per afferrare il braccio di Thorin ma quello lo spinse via. Subito gli altri nani si avventarono sui due, colpendo con le mazze rubate da Bard e la sola forza dei loro pugni. Bombur spintonò Seryon con uno scatto di reni, successivamente colpito in testa da una mazzata di Bofur. L'unico rimasto attaccato al muro fu Bilbo, che ancora si sfregava il naso arrossato; notò che Berit stava agitando le mani verso un punto imprecisato, colpendo l'aria. Se la situazione glielo avesse permesso avrebbe riso di una simile scena.
«Siete tutti maledetti, Nani, tutti!» Ringhiò Seryon, ruzzolando a terra. Jonel era stato spinto con una pedata nel fondoschiena da Bifur e colpito, successivamente, al viso dallo stesso calcio. Ora grondava sangue dal naso e biascicava ancora peggio di prima.
«Huesta la hagherete hara, vedrete.» Jonel si pulì con il dorso il naso e si issò in piedi con fatica, mentre i nani si misero spalla contro spalla, guardandoli in modo torvo.
«Se tornate sarete voi a pagarla cara, vedrete.» Rispose Balin con un sospiro pesante. Quei due si misero a correre oltre il ponticello, sparendo nella curva del ponteggio. Fu in quel momento che, dall'acqua, si elevò la voce di Ori.
Sputacchiante, fradicio ma piuttosto rasserenato. «Non vi smentite mai voi, per tutte le papere




NA.
Capitolo super mega iper brutto ma mi serviva per arrivare ad un altro punto che prenderà il "via" nel prossimo capitolo, perchè se non faccio imparanoiare un po' tutti non sono mai contenta. Altri due personaggi introdotti che mi servivano per... PER cose. Lo spunto caratteriale - quello fisico no ovviamente - l'ho preso molto da il Gatto e la Volpe di Pinocchio,  anche se rivisto da me. Mi servivano due tipi loschi che trovano persone (o nani) per strada e li invogliano ad accettare affari e chi meglio di loro da cui prendere spunto! Comunque sia spero di non avervi annoiatissimo, il prossimo capitolo spero di pubblicarlo a breve, sono in una fase di trasloco/viaggio quindi non riesco a concentrarmi per bene sulle altre cose ç_ç Ringrazio intanto aubry di aver aggiunto la storia alle seguite *-* quando succede non me ne capacito mai, uaha. A prestissimo!
Piccola curiosità: non mi sono mai interessata cosa volesse significare Berit come nome, mi piaceva e l'ho usato. Oggi sono andata a cercarlo per pura curiosità e so che deriva da una forma anglosassone, letteralmente “exalted one” che credo voglia significare eccelso oppure esaltato, I don't know. Era il nome della figlia del dio Dagda, dea del fuoco, la poesia e la saggezza (← proprio come il mio personaggio và XD ). Questo Dagda “dio buono” era una divinità celtica associata alla guerra, paragonabile al Giove romano insomma, quindi un tipo tosto

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Capitolo 22
*** La fortuna ce la creiamo ***


Capitolo 22.
La fortuna ce la creiamo




La notte era scesa con puntualità nella cittadina sul Lago e presto l'ombra della sera aveva delineato le palafitte come oscure abitazioni in legno, immerse in uno scenario quasi lugubre, illuminate dal pallido raggio della luna. Le stelle illuminavano il cielo ma le nuvole ne coprivano il manto bluastro, spezzando quella debole magia. I nani non erano preoccupati per questo; erano riusciti a raggiungere l'armeria con non poca pazienza. Non si erano più imbattuti in figuri loschi né tantomeno da gente dagli sguardi indiscreti, riuscirono a girovagare indisturbati nascosti dai ponteggi, nonostante la strada fu perduta diverse volte. Se non fossero stati tanto impegnati ad evitare schiamazzi avrebbero – com'era tradizione, ormai – litigato fra loro. Balin insisteva che l'armeria era nell'abitacolo delle guardie stesse ma Dori non era d'accordo, dicendo che era nei pressi del mercato centrale. Nessuno scommise su chi avesse torto o ragione, poiché la prima scelta – quella di seguire la strada di Balin – alla fine si rivelò la scelta giusta. Il buio li copriva ma non abbastanza, erano costretti a non fare il minimo rumore visto che le guardie pattugliavano in coppia i ponti. Berit e Nori erano rimasti in fondo alla fila, gli altri si erano acquattati con la schiena piegata in avanti, procedendo con profilo basso. Bofur, di tanto in tanto, veniva costretto a voltarsi verso i due nel fondo. Li vedeva parlottare già dal tramonto e la cosa non gli piaceva per niente; non la poteva chiamare gelosia, questa. Si trattava di qualcosa che andava ben oltre quel semplice fastidio, le buone sensazioni a riguardo erano assenti. Fili stesso se ne accorse ma non si lasciò deviare da nessuna supposizione, rimaneva impegnato a controllare Kili come meglio poteva. Il suo zoppicare stava peggiorando ma il fratellino continuava a insistere che la ferita era cosa da niente, solamente la conseguenza fastidiosa di un colpo effimero. Si chiese se fosse stata la scelta migliore, quella di lasciare la casa del chiattaiolo.
Forse quella ragazza – Sigrid – avrebbe potuto fare qualcosa.
Aveva curato gli occhi di Berit, quindi perchè non poteva saperne su ferite o piante che alleviavano il dolore? 
Avere Kili ferito non giovava a nessuno e lui non era attento a nient'altro che non fosse la sua salute; il suo perenne punto debole.
Kili, da canto suo, cercava di tergiversare come meglio poteva. La gamba gli doleva in profondità, sentiva che non era una semplice ferita, v'era dell'altro che s'era insinuato nel sangue. Bruciava e fluiva, facendogli dolere le ossa e la pelle. Si sentiva febbricitante e molto più debole del normale, eppure la sua testardaggine non compensava per niente tali pensieri. Non aveva alcuna intenzione di essere l'ultima ruota del carro, sarebbe andato avanti a qualunque costo.
Qualunque.
Ma si sarebbe tagliato la gamba pur di non dover più guardare quell'espressione di Fili sul volto. Era preoccupato e lo sentiva senza bisogno che glielo dicesse, avrebbe voluto che non lo fosse ma, d'altronde, cosa poteva aspettarsi di diverso?
«Fi, prendo io le armi.»
«Sei sicuro?» Il biondo lo guardò con insistenza, facendo sgusciare lo sguardo sulla ferita alla gamba. La stoffa continuava a impregnarsi di sangue, era una visione che gli sovrastò il petto.
«Sai che sono sicuro.» Kili sorrise e Fili riconobbe il suo solito sorriso, dietro tutto quel pallore. Annuì senza proferire parola, lasciandogli una mano sul volto in una presa ferrea e affettuosa, in egual modo.
«Io ti aspetterò fuori, fratellino.» Rispose il biondo, piegandosi ancora dietro un carretto di legno. Erano quasi giunti davanti all'edificio dell'armeria. Non c'era nessuna porta lasciata aperta se non per una finestrella ad altezza fastidiosa, che si apriva sopra una piccola tettoia.
«Nori, lascia che ti liberi da tutta la segatura che hai dentro il capo,» Sussurrò Berit per l'ennesima volta, piegandosi proprio dietro alla schiena di Dori. Quello si voltò per un secondo e lei si limitò a sorridere con aria colpevole, prima di tornare a guardare Nori. «Mi fa piacere che hai pensato a me per una simile malefatta, ma non c'è tempo.» Continuò lei, avanzando piano. Ormai erano accostati alla parete, al riparo da qualsiasi occhio indiscreto.
Prima che Nori potesse procedere si ritrovò preso per il braccio. Berit lo stava trattenendo indietro, non s'accorse dell'occhiata che gli riservò Bofur quando si girò verso di loro. Lei aveva spinto il nano contro il muro, stringendogli il polso.
«Aio Berit, mi fai male.»
«Nori, lo conosco quello sguardo. Non farci finire nei guai. Per colpa tua siamo stati visti come amici degli Elfi, questa ancora non so se te la voglio perdonare.» Rimbeccò lei, lasciandogli la presa con una leggera spinta. Socchiuse le palpebre, scuotendo il capo. «Non ne vale la pena, lo sai.»
«No invece. Non lo so. Nessuno lo sa.» Sussurrò quello di rimando, avvicinandosi col volto a quello della nana. Il tono era volutamente basso, s'accorsero in quel momento che Kili aveva preso a salire sulle schiene dei suoi compagni per arrampicarsi sulla finestra. «Siamo ancora in tempo per donarci una piccola distrazione. Recuperiamo le monete lasciate al chiattaiolo, potrebbe essere una ricompensa che ci salverà la vita. Non sappiamo cosa troveremo una volta raggiunta la cima della Montagna, io voglio solamente avere una sicurezza in più. Lo faccio per il bene di tutti e dovresti farlo anche tu.»
Questa volta Berit gli lasciò la presa, puntando lo sguardo verso il resto dei suoi compagni. Li vedeva tutti piegati in avanti con le schiene protese, Bilbo era appena poco davanti e di fianco a lui Thorin gli stava parlando.
Non riuscì a vedere la scalata dello hobbit perchè si ritrovò di nuovo Nori davanti al naso e le venne da contrirsi nei propri pensieri.
Era stato proprio molto maturo il suo discorso con Fili, sulla chiatta di Bard, quando aveva detto lui del suo senso pratico e responsabile di controllare che gli altri non facessero gesti avventati. Nori, fra tutti, era sempre stato il nano dalle conseguenze fasulle; nel bene o nel male, riusciva sempre a cavarsela. Non si preoccupava di fare la scelta sbagliata nel momento sbagliato e ciò – a Berit – era una cosa che di lui le piaceva molto. Non che odiasse le scelte impostate, lei stessa pensava che avere testa e controllo per determinate situazioni era saggio ma, allo stesso tempo, correre il rischio di una scelta azzardata era sempre una piacevole sensazione. Se poi riguardava le scommesse la cosa prendeva una piega talmente esaltante da rendere difficile evitarlo.
Alla fine Thorin lo diceva sempe: “la fortuna ce la creiamo da soli.”
«Rubiamo solamente un'ora di clessidra, nulla di più. Gli uomini ebbri di alcol non sono in grado di poter competere con un nano.» Sussurrò Nori, guardandola.
Lei ancora non aveva risposto, aveva spostato lo sguardo su Bofur e provò una spiacevole fitta allo stomaco. Era lui la sua anima gemella per le scommesse, non le piaceva imbattersi in questo senza il suo fido socio in affari. Ma, d'altro canto, se Thorin li avesse scoperti non avrebbe gioito di felicità e tenerlo lontano da queste brutte idee non era poi così poco saggio.
«Tu lo sai che se rallentiamo la Compagnia rischiamo di non raggiungere Erebor, vero?»
«Lo so, ma non succederà. Devi fidarti di me.» Nori era più che risoluto in quella sua convinzione.
«L'ultima volta che me lo hai detto abbiamo rischiato che ti tagliassero una mano, durante il commercio coi popoli nordici.» La gravità della cosa non impregnò la voce di Berit, rimasta vagamente pacata, se non seccata a dirla tutta.
«Ma non è successo, guarda un po'» Nori alzò entrambe le mani, smuovendo le dita «ho ancora entrambe le mani. Non è un caso.»
«Non è un caso, è un azzardo. Ci farai impiccare, già lo so.» Soffiò Berit con una nota di rassegnazione. In cuor suo non era veramente propensa a voler fermare la piega che stava prendendo quella conversazione. Si guardarono per pochi secondi prima che Thorin si parò davanti ad entrambi.
Per poco, dai loro sguardi, non traboccò un senso di paura e pallore. Si bloccarono col busto e guardarono il Re con sguardo allarmato, ma Thorin – per loro fortuna – non aveva sentito una sola parola. Era troppo impegnato a pensare al suo piano e a controllare la zona. Prese Nori per un braccio e lo trascinò più avanti.
«Ci servi anche tu, al mio via.» Disse il Re.
Lo piazzò fermo dietro la schiena di Balin e quello si dovette arrampicare con velocità per risalire il muro. Berit rimase dietro a Dori, in disparte, stringendosi nelle spalle. Forse il tempo giocava sulla loro buona sorte, in fondo; meno ne avevano e meno potevano essere deviati dall'utilizzarlo in maniera sbagliata. Non si accorse di Bofur che si stava avvicinando e quando se lo trovò davanti faticò a trattenere il volto placido, senza sfumature di colpevolezza.
«Amica.» Disse lui.
«Amico.» Rispose Berit.
Si guardarono in silenzio per diversi secondi e Berit si ritrovò a sorridergli, lui rispose a malapena. Per quanto Berit si sforzasse aveva tralasciato un pensiero essenziale che riguardava il suo caro amico Bofur: quel nano non era stupido. Bofur riusciva a comprendere le diverse sfumature dell'espressioni di Berit e il suo sguardo non era limpido, capiva quando tentava di nascondergli qualcosa. Evitava il tutto con quel sorriso, come se le labbra incurvate desistessero dal porre domande indiscrete. Il nano si ritrovò ad allungare le dita tozze verso quelle di Berit. Lei lo percepì ma non avanzò pretese, rimase a guardarlo trattenendo il sorriso sul volto.
«Evita di muoverti come un orso, lì dentro. Posso fare un'ordinazione personale o pensi che mi dovrò accontentare di quello che sarai in grado di trasportare?» Sussurrò lei, smorzando quel silenzio pesante. Fare finta di niente era sempre un mossa abbastanza intelligente, nella maggioranza dei casi.
Lui guardò verso Thorin e quello gli fece un cenno col capo. Per un secondo rimase proteso con le dita verso quelle della nana ma evitò di toccarle, tornò a guardarla e si soffermò sul suo sguardo reso scuro dall'assenza di luce. Non era difficile capire che Berit covasse qualcosa.
Sperava che lei dicesse qualcos'altro, qualsiasi cosa in quel secondo di tempo ma le sue labbra non si mossero e lo sguardo si incupì leggermente. Niente di grave, ma quel macigno Berit se lo portò nel proprio sguardo come un fardello pesante.
«Io sono leggiadro come un elfo, guarda un po'. Comunque puoi ordinare un'ascia, un martello e una mazza, nel caso. Se hai tempo di attendere un quarto di luna posso forgiartene una io stesso, sai?» Rispose lui, prima di chinarsi su di lei col volto e lasciarle una piccola carezza sulla testa crespa.
«Tu sai forgiare giocattoli ingioellati Bofur, non fare passi più lunghi della gamba.» Lei arricciò il naso e lo fissò dal basso. Lui ebbe la decenza di evitare di rispondere a quella frecciatina per via dell'ennesimo cenno di Thorin e sfilò via da lì guardandola per un'ultima volta.
Lei rimase a osservarlo in silenzio mentre avanzava dietro la schiena di Dori. Lo guardò mentre risaliva verso la finestrella e non spostò lo sguardo fino a quando non lo vide sparire dentro. Thorin seguì Bofur con passo felpato, fino a scomparire nella stessa finestrella.
Tutti rimasero pigiati contro il muro, acquattati e silenziosi, guardandosi intorno con cautela.
Non era passata più nessuna guardia da quando avevano cominciato ad entrare nell'armeria ma erano rimasti in allerta per tutto il tempo. Berit rimase leggermente in disparte sul retro, stringendosi le dita tra loro. Non era per niente una buona idea quella di Nori ma non riusciva a trovare una buona scusa per non farlo.
Ce n'erano mille, di buone scuse, a ben pensarci ma – in quel particolare momento – le sembravano tutte pensate per giustificarsi. D'altronde era sicura che non avrebbero avuto modo di proseguire con quel piano se fossero usciti dall'armeria con le buone armi.
Thorin avrebbe detto loro di cercare un'imbarcazione e navigare fino alle coste del Fiume Fluente, sarebbe stato impossibile staccarsi dalla Compagnia passando inosservati. Senza contare Bofur; sarebbe stato il primo ad accorgersi, lui lo notava sempre quando lei non era nelle vicinanze.
Poteva pensare al volto di Bofur quanto voleva – una sua potenziale delusione nel scoprirlo – ma l'impulso andava oltre il pensiero stesso. Non aveva avuto il coraggio di dirglielo e questo, forse, era ancora peggio di qualsiasi menzogna avesse potuto orchestrare per raggirare il fatto.
Non rendendosene conto si ritrovò Dori di fianco che la fissava con aria grave, lei si ritrovò a schiacciare la schiena contro la parete e guardarlo.
Fu molto più facile, con lui, non lasciar trasparire i suoi pensieri.
«Cosa stai confabulando con Nori?»
Questo era molto prevedibile, ora che Ori era stato tratto in salvo adesso – per Dori – era molto più semplice controllare le movenze del suo altro fratello.
«Niente.»
«Berit.» Incalzò lui con una nota d'ammonimento. Lei strinse le labbra tra loro e cercò di sorridergli il più naturalmente possibile.
«Dori lo sai com'è fatto tuo fratello, ha provato ad immaginare che tipo di metallurgia poteva esserci qui dentro. Sai che non riesce proprio a lasciare un posto senza conservarne un ricordo.» Berit e la sua prontissima scusa, quasi si vergognava di sé stessa.
Dori rimase a fissarla per un tempo indefinito, alzando il suo mento barbuto e affilando lo sguardo chiaro. Nori era il ladruncolo e Berit la scommettitrice, di solito non legavano queste due cose insieme senza trovare un vantaggio per entrambi. Molte volte avevano scampato punizioni dalle barbe lunghe per questa loro audacia. Dori lo sapeva bene; si era sempre ritrovato a elargire scuse col suo altolocato gergo. Berit aveva smesso di scommettere sugli oggetti rubati di Nori e aveva cominciato a crear scommesse con Bofur e altri nani. Nori rubava molto meno, anche se nei posti meno propensi. Odiava il vizio del fratello ma non poteva sperare in niente di meno; Nori era bravo a non farsi beccare con le mani nel sacco e la cella non l'aveva mai vista se non da lontano.
«Casualmente avete cominciato a parlare non visti dopo l'incontro con quei due uomini disgustosi. Berit...» Dori fece un passo avanti e lei si ritrovò schiacciata contro il muro. Notò che Fili li stava fissando con aria guardinga ma non gli fece alcun cenno per farlo avvicinare. Ci mancava solamente il biondo, non poteva destargli altre preoccupazioni, non con Kili in quelle condizioni. «...se avete in mento quello che penso non fatelo. Tu hai più buonsenso di mio fratello, io lo so. Molto in profondità ma so che ce l'hai, quindi ti prego di deviarlo da qualsiasi pensiero.»
Berit si sentì tremendamente in colpa e guardò verso la finestrella in alto. Nessuno stava uscendo da lì e la cosa gli procurò un misto di speranza e delusione insieme. Legare due sentimenti del genere era un sconforto che prendeva tutto il petto e lo stesso bruciava, fino a far battere il cuore.
«Dori tranquillo. Ora prendiamo le armi, troviamo un'imbarcazione e partiamo per la nostra Montagna. Non ci saranno imprevisti.» Rispose Berit. La sua voce era più convincente di quanto lei stessa credesse.
Dori fece un leggero cenno e cercò di sorriderle, non vi riuscì bene perchè sentì un rumore provenire da dietro la parete. Le posò una mano sul bacino per trattenerla vicino al muro e si appiattì lui stesso di fianco alla sua spalla. Vide delle fiaccole creare delle ombre oblunghe sui pioli in legno ma la luce deviò verso un'altra curva, sparendo ben presto.
Sentirono dei passi allontanarsi e tutti ripresero a respirare.
«Scusami se ho pensiero per le vostre marachelle, ma non è proprio una situazione ottimale, da quello che puoi vedere.» Sussurrò il nano, spostando la mano da lei e guardandola con un lieve sorriso. Berit notò la stanchezza che aleggiava sul suo viso più anziano e provò una l'ennesima brutta sensazione allo stomaco. Spostò lo sguardo verso Ori, poco distante da lui e su tutti gli altri Nani. Incrociò lo sguardo di Fili e gli sorrise, lui fece altrettanto ma le sue labbra nascondevano una forte tristezza. Non v'era bisogno di saperlo per capirlo.
«Fai bene ad avere pensiero, Dori. Se non lo avessi tu noi come faremmo?» Berit sorrise con più trasporto, rifilandogli un pugnetto sul braccio. Quello non si scompose. «Sei il nostro fratello grande con la lingua lunga e la saggezza degli antichi. Forse un po' troppo lunga, la lingua, ma possiamo farcene una ragione.»
Dori alzò gli occhi al cielo ma, questa volta, sorrise con più trasporto.
«Non so se esserne felice o no.»
«Ah non lo so, questo devi deciderlo tu.»
Dori le passò una mano sulla testa – già la seconda in poco tempo – e si portò vicino ad Ori e a Balin, qualche passo più avanti. Ori era tutto schiacciato nell'ombra del parapetto e Balin gli sorrise con cordialità, respirando pesantemente. Erano tutti tesi in quell'attesa e lo percepiva fin troppo bene. Guardò un'ultima volta Berit e si ritrovò a ombreggiare lo sguardo quando la vide tormentarsi le dita.
Non era mai un buon segno.
Passò in rassegna tutti i nani prima di guardare verso Balin, portandosi a poca distanza dal suo orecchio. Non voleva dubitare delle parole di Berit ma non poteva rischiare, in fondo nessuno – che viene colto in flagrante – ammette mai di essere nel torto. Tantomeno quei due nani così tanto testardi e orgogliosi.
«Balin, dobbiamo controllare Berit e Nori.» Sussurrò al nano anziano. Balin si voltò a guardarlo con aria interrogativa.
«Come? Perchè?»
«Non lo so, ma ho paura che non stiano pensando a niente di buono.»
Non fecero in tempo a continuare il discorso, un rumore assordante si stagliò per tutto il circondario e furono costretti a voltarsi verso l'edificio. Per poco Ori non gemette per lo spavento e si ritrovò addosso Berit, che gli piantò le mani sulle spalle. Aveva lo sguardo allarmato e respirava velocemente. Tutti si guardarono con aria sconvolta.
«Che cos'è successo? Li hanno presi?» Incalzò lei, sussurrando ancora piano, seppure la voce era pregna di preoccupazione.
«Non lo so, dannazione.» Sibilò Dwalin, indietreggiando verso gli altri. Era rimasto davanti a tutti, attento ad ogni minimo particolare. Dwalin era molto meticoloso quando dovevano agire in silenzio e non visti, ancora più meticoloso di suo fratello Balin.
«Allontaniamoci da qui, aspettiamoli vicino al molo più vicino.» Disse Bombur, mentre Bifur si picchiò una mano sull'avambraccio, indicando con allarmismo un punto imprecisato dietro di loro.
«Io da qui non mi allontano se non so se Kili sta bene.» Rispose Fili tutto concitato, in uno stato d'apprensione marcata.
I gesti di Bifur furono presi in considerazione troppo tardi, i passi delle guardie erano giunti insieme e veloci per essere percepiti prima di una loro presunta mossa. Si ritrovarono le lame puntate addosso e un uomo capeggiava la fila, brandendo una spada piatta e lunga. Dei lunghi capelli rossicci gli cadevano sulle spalle, smossi dal vento serale.
«Ma guarda un po' chi abbiamo qui: nani. Il Governatore sarà molto contento.»


La contentezza di quell'attacco a sorpresa non era contagiosa e ben presto i nani si ritrovarono a camminare come prigionieri in mezzo alle guardie. I nani all'interno dell'armeria erano stato trasportati fuori con irruenza e Kili a stento si reggeva in piedi. Fili cercò di tenerlo in piedi, per quanto possibile, ma le guardie continuavano a spintonarli da un alto all'altro. Quando giunsero nella piazza principale di Esgaroth si ritrovarono circondati dalla gente della città; mille fiaccole brillavano nell'oscurità della notte. Le stelle erano erano rimaste coperte nel cielo e la loro luce brillava lontana, come un riverbero di un sogno remoto. Pochi fiocchi di neve cadevano lenti sulle loro teste, rinfrescando l'aria fino a condensarla in nuvolette di vapore.
Tutti vennero spintonati verso il centro e lasciati respirare quando le guardie si dissimularono altrove, lasciandoli davanti a delle scalinate di un imponente edificio che si ergeva sopra le loro teste. Ritrovarono Alfrid – un uomo scarno e minuto – vestito di nero, non conoscevano il suo volto ma ricordavano bene la sua voce sibilante e viscida; era lo stesso che li aveva quasi scoperti al confine della città.
Poi si presentò il famoso Governatore; non era per niente come i nani lo avevano immaginato dalle fiorite descrizioni caratteriali che lo riguardavano. Era un uomo nerboruto ma in maniera diversa rispetto al più tozzo dei Nani. Era flaccido e la pancia allargava le sue vesti lunghe, che scendevano fino ai suoi piedi. Era un uomo alto, nonostante tutto, aveva un viso panciuto ma poco raccomandabile e dei pochi capelli schiariti gli scivolavano intorno al volto. Non aveva un aspetto bonario e nemmeno regale; sembrava incarnasse quel ruolo per colpa di un alto lignaggio del quale non comprendeva l'aspetto. Persino Bard, un umile popolano, portava una fierezza più solida in confronto all'uomo che avevano davanti.
«Allora, che cos'abbiamo qui? Nemici dello stato?»
Dwalin fu il primo a farsi avanti, capeggiando il centro dello spiazzo. 
Mentre parlava solamente Bofur si rese conto di una cosa. Nessuno era stato attento mentre venivano trasportati fino a lì, nemmeno Dori. 
Si guardò intorno con aria allarmata e gli si strinse il petto quando si rese conto che non era in quindici. Erano in tredici.
Berit e Nori non erano presenti.

 

 

 

NA.
Sì, lo so, ho cambiato un piccolo particolare della storia perchè mi serviva cambiarlo. Quest'idea dei nani che amano le bische clandestine proprio mi piaceva xD non so se sono andata fuori IC ma spero di no, ho cercato di tenere le caratteristiche principali dei nani ( di PJ sempre, perchè Tolkien non s'è mai soffermato troppo sul carattere vero e proprio dei nani della compagnia ) quindi mi sono presa anche io le mie libertà come il nostro caro regista ahah. Questo, ovviamente, li terrà un po' di più a Pontelagolungo e voi mi direte – giustamente – e Kili? Non è che ci muore? Non temete! Oppure temete, non lo so, ma ho un piano per tutto. Anche se sono piani che cambiano dall'oggi al domani, come dico sempre. Anche questo capitolo era un po' un intermezzo, infatti non mi piace... non mi piace mai niente Ho evitato di scrivere tutto il pezzo tra Governatore – Thorin – Bard perchè avrei praticamente ripetuto la stessa scena del film quindi è una cosa che riprenderò nei capitoli prossimi. Speriamo in bene che 'sta storia prenda le pieghe che avevo pensato io, grazie comunque a tutti sempre per passare di qui :) Se notate errori scusate ma non ho fatto in tempo a rileggerla, sono stanchissima. A presto. 

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Capitolo 23
*** Il Vecchio Torchio ***


Capitolo 23.
Il Vecchio Torchio




La locanda del Vecchio Torchio era situata dentro una piccola porta in legno lavorato, nascosta tra i cassoni della frutta e della verdura che i venditori abbandonavano a ridosso del mercato popolare. Una piccola lanterna ciondolava da un'insegna rovinata, penzolando con un cigolio lento e fastidioso nel vento serale. Non si raggruppavano le genti in quell'angolo di PonteLagolungo e i viandanti incappucciati avanzavano con il volto coperto e il passo silenzioso come l'ombra stessa che la debole luce rifletteva. Gli schiamazzi all'interno della Locanda non erano pressanti finchè non si varcava l'uscio di legno. L'odore di alcol e legno umido inaspriva le narici per i poco abituati e i corpi se ne stavano ammassati contro i tavolini in legno e il bancone dell'Oste che capeggiava all'angolo del loco. Alcune cameriere dal vestito arrotondato girovagavano con dei piccoli vassoi pieni di boccali e monete, alcuni piatti arrivavano pieni di carne e legumi, sporcati dal pane bagnato dal latte e portati via senza neanche una briciola. In un piccolo rialzo, sotto un arco e spostato verso la sinistra, c'era un banco pieno di gente lì attorno. Uomini e donne, schiamazzi continui e il rintocco dei boccali che si scontravano tra loro, seguiti dalle risate alimentate dall'alcol.
Berit e Nori erano ebbri di vino e pinta; Nori capeggiava nel centro del banco, davanti ad un uomo coperto da un gilet e una camicia sfatta. Alcuni dadi erano stati tirati sopra la tovaglia pesante, circondati da colonne di monete rovinate e svariate carte sgualcite. Il nano continuava a battere le mani contro il tavolo; Berit di fianco continuava a ingurgitare birra, sporcandosi le labbra di schiuma. Una donna piuttosto in carne quando rideva lasciava filtrare l'aria tra i denti distaccati, emettendo uno strano fischio. La cosa le procurava un moto di risa abbastanza intenso, Nori era convinto che sarebbe scattata una rissa fra le due se continuava con quell'andazzo poco cortese ma la cosa non successe; erano tutti impegnati a guardare i dadi che rotolavano vicino al bottino racimolato.
«Ne punto altri cinquanta, sul sei.» Parlò una voce nasale e grattata. Un coro di urla si innalzò da dietro le spalle di Nori, facendolo sussultare per un istante.
In un modo del tutto astruso era riuscito a infilare nelle proprie tasche la bellezza di duecento monete d'argento, un paio di posate e una catenina di un ferro poco pregiato, ma utile al dilettevole.
«Occhio.» Soffiò Berit, andando a prendere i dadi tra le mani. Alzò gli occhi lucidi verso la gente Alta che gli stava accanto. Mentre li scuoteva dentro i palmi si sporse verso Nori, sbirciando altrove.
«Nori appena usciamo da qui io ti ammazzo
«Lo so.»
«Perfetto allora.» Esclama lei, un po' biascicante, drizzando la schiena e facendo ruzzolare i dadi sul tavolo.
Esce un cinque e un quattro. Un tizio dietro di lei gracchia una parola audace e un suo compare, lì di fianco, gli fa eco con un vocione rombante. Berit fa un risolino poco tranquillo, rubandosi le cento monete appena puntate. Con quello stupido gioco – gli Uomini si divertivano a fare scommesse molto azzardate – era riuscita a vincere più di cinquecento monete. Avevano recuperato il denaro donato a Bard più gli interessi, addirittura.
Com'erano arrivati lì era stato tutto un programma del tutto non pianificato. Quando le guardie avevano portato fuori gli altri Nani, dall'armeria, si erano ritrovati tutti stretti in mezzo a loro. Non erano stati legati o bendati – erano pur lontano dal Reame Boscoso in fondo – e le guardie non erano propense ad avere uno sguardo scaltro quanto le Orecchie a Punta. Nori era riuscito a sgusciare via dall'ammasso di gente, portandosi dietro Berit. Avevano approfittato di un momento di distrazione quando il popolo aveva ghermito le strade, ascoltando le parole del Governatore, irrompendo ai bordi dei pioli in legno fino a riempire del tutto ogni passaggio. V'era giusto la via che seguiva verso la Piazza. Berit non aveva saputo ribattere. Era corretto dire che non aveva voluto ribattere, quando Nori la prese per un braccio, intrufolandosi in un vicolo buio, dietro dei ragazzini intenti a saltellare per osservare la scena. Aveva provato a chiamare Bofur, però. Un barlume di buon senso in tutta quella situazione che – di buon senso – non v'era che un'ombra sopita. Erano rimasti nascosti e in silenzio per un tempo indefinito; ascoltarono le voci che si levarono dalla piazza e ciò che il Governatore e Thorin si dissero, pronti a intervenire nel caso le cose fossero andate storte, com'era solito succedere da quando erano partiti dalla Contea. Erano entrambi sicuri – comunque - che il popolo e il primo cittadino stesso non avrebbero avuto di che lamentarsi di ciò che i nani stavano compiendo, solamente Bard si trovò in disaccordo quando sbucò da dietro le genti, fronteggiando il Re sotto la Montagna. La leggenda del Drago che dimorava sopra l'oro dei nani ancora bruciava nel cuore di quell'uomo, ad una profondità troppo remota rispetto alla gente di PonteLagolungo. Nessuno di loro si trovò in accordo col chiattaiolo, tantomeno il Govenatore che allargò le braccia e diede il “Benvenuto” a Thorin Scudodiquercia e alla sua Compagnia. Berit ebbe un barlume di tenacia quando i suoi amici furono congedati con rispetto e onore, con la promessa di una casa sicura e molte provviste e armi per il viaggio ma non fece in tempo a gioirne sul serio, Nori la prese per il polso e s'allontanarono da lì, approfittando del trambusto degli applausi e del giubilo del popolo di Esgaroth.
Nori doveva essere stato molto attento alle strade, comunque sia, così che si ritrovarono in quella Locanda malfamata sotto gli sguardi perplessi e curiosi della plebe che poco aveva a che fare col resto della gente del Lago. Nessuno si immischiava alle comparizioni del Governatore per le strade né gli importava di accomunarsi alle rivolte cittadine quando il cibo scarseggiava o il denaro era troppo poco. Questa gente si creava la fortuna con l'inganno, le scommesse, le bische clandestine e – di certo – si tenevano ben lontani dai lavori onesti e umili. Berit non era per niente contenta di ritrovarsi in mezzo a questa gente. Nonostante amasse le scommesse – per di più fra la sua specie – di certo odiava l'imprevedibilità degli Uomini quando erano corrosi dall'alcol e dal vizio. Non era mai stata molto razzista verso le altre razze – anche se aveva scoperto di provare simpatia per gli Hobbit più di tutti gli altri – e doveva dire di provare un vero astio solo per gli Orchi, persino gli Elfi la divertivano in un qualche modo bizzarro. Ma gli Umani non riusciva a inquadrarli e non si fidava della loro decadenza terrena: di solito, chi ha poco tempo per vivere, sfrutta quel tempo in maniera rischiosa pur di ottenere qualcosa che renda quel veloce passaggio piacevole. Aveva constatato di persona che non tutti gli Uomini erano così, com'era ovvio dire, ma era in mezzo alla peggior fattispecie di quella razza e non era sicura che quella malsana idea di Nori avrebbe avuto un lieto fine.
Col senno di poi avrebbe di gran lunga preferito rimanere a casa del chiattaiolo, a far rider la piccola Tilda e a tagliare le cipolle per gli stufati di Sigrid. Quel pensiero le stimolò un profondo magone che le impadronì il petto e si ritrovò a guardare il tavolo dei dadi con sconforto. Tutto l'alcol ingurgitato per sopportare quella situazione non aiutava quei sentimenti. Sentì la pelle accaldarsi mentre una mano sconosciuta fece rotolare i dadi – di nuovo – sul tavolo.
Un tre e un cinque. 
Tra tutti quei pensieri non si era accorta di aver puntato cento monete sul dieci. Sentì Nori imprecare n khuzdul e si girò per guardarlo. Stava per richiamare la sua attenzione, notando un uomo barbuto attirare a sé una colonna di monete sonanti, quando si bloccò di colpo. Ai lati di Nori v'erano due uomini intenti a bisbigliare tra loro, non poteva sentire le loro voci – se ci fosse stato Bilbo forse qualcosa avrebbe captato – ma non le sfuggì la mossa di uno dei due. Si stava infilando un dado dentro la manica, un dado terribilmente simile a quello sul tavolo. L'uomo si sporse verso quello che aveva appena gioito per il bottino vinto e li vide girarsi verso di lei. Risero tutti e tre e Berit fece una smorfia di disgusto nel constatare che erano quasi del tutto sdentati.
Con una mossa rapida Berit afferrò i dadi sopra il tavolo e li fissò con minuzia. Non v'era niente di strano per un occhio inesperto, che avrebbe preso i dadi per lanciarli alla loro sorte. Ma quando li rigirò tra le mani notò che erano stati modificati.
I numeri non avrebbero potuto raggiungere un numero superiore all'otto.
«Brutti maledetti infidi...» sibilò la nana, stringendo entrambi i pugni. Nori si voltò di scatto, andando a guardare Berit con sguardo lucido. Lei percepì chiaramente che il suo amico aveva le tasche più piene del previsto.
«Che succede?» Incalzò lui, allargando lo sguardo.
«Voi!» Lei ignorò bellamente Nori, puntando lo sguardo contro i tre uomini. Quelli non si degnarono neanche di girarsi. Berit, allora, si alzò di scatto fino a spintonare leggermente il bordo del tavolo in avanti. Nel farlo la sedia quasi ruzzolò indietro, finendo col colpire la gamba del donnone che ancora rideva a fischio, dietro di lei.
«Razza di escrementi di pollo. Questi dadi sono truccati! State vincendo con l'inganno.» Ringhiò lei, gettando i dadi in avanti, sul tavolo.
Uno dei tre uomini, finalmente, si voltò. Alzò il boccale di pinta e fece un ghigno sornione; aveva tutte le guance arrossate e non riusciva a restare fermo con il busto. L'odore dell'alcol penetrava le narici talmente a fondo da risultare quasi nauseante – un pensiero alquanto insolito per i Nani – ma quella non era una buona birra nanica delle Montagne Azzurre.
«Piantala di lamentarti, stupida piccoletta, abbiamo vinto secondo le regole del gioco. Perchè tu e il tuo amichetto non andate a giocare con i bambini, ora?»
Nori, questa volta, si alzò di fianco a Berit e, per poco, la nana non venne spinta di lato per quell'irruenza. Nori superava Berit di pochi centimetri ma era più massiccio di lei. Strinse il boccale che reggeva fino a sbiancare le nocche. Berit andò a prendere il suo, ormai vuoto, mentre la gente intorno a loro si zittì di colpo.
«Ripetilo se hai coraggio, schifoso essere mucoso senza denti.»
«Ho detto: perchè non andate a giocare con i bamb-» ma non fece in tempo a finire la frase che gli arrivò un boccale dritto in faccia, facendolo ciondolare all'indietro.
«Come hai osato, brutto verme?» Ringhiò uno dei suoi amici, prendendo una forchetta tra le dita. Quelli dietro di loro cominciarono a spintonare i nani, tutti troppo ubriachi per fare del reale male fisico e Berit tirò una gomitata alla donna che aveva dietro di sé. Quella diventò tutta paonazza mentre Nori, prendendo un piatto, lo lanciò contro l'uomo che aveva appena parlato.
«Io ti ammazzo, cane!» L'uomo si puntò la mano contro il naso.
«Nori, è meglio che tintinniamo altrove. Cosa ne dici?» Disse Berit, abbassandosi di colpo quando un uomo tentò di spintonarla contro il tavolo. Alcuni di loro si colpirono all'unisono con un pugno e si scatenò una rissa senza eguali. Gli uomini colpiti da Nori stavano sanguinando dal volto e il terzo era riuscito ad acchiappare il nano per la blusa, facendogli cadere dei sacchi di monete a terra. Una donna indicò il pavimento, estasiata.
«Questi nani sono ricchi! Guardate!» Gracchiò questa, che finì spintonata di lato da un'altra donna che subito gattonò a terra con frenesia. Berit le fu addosso da dietro, prendendola per il collo.
«Molla subito l'osso, brutta statua di porro!» Esclamò la nana.
«Sono assolutamente d'accordo con te. Su tutto, tra l'altro.» Nori con un calcio colpì lo stinco dell'uomo e riuscì a riprendersi le monete mentre Berit stava strozzando la donna a terra. Quella se la scrollò di dosso ma Berit mollò la presa all'ennesimo pugno che si beccò sul fianco. Fiaccamente si ritrovò con gli stivali a terra e prese a correre dietro Nori quando quello l'afferrò per una mano, tirandosela dietro. Riuscirono a passare attraverso le gambe di tutti, qualcuno tentò di fermarli, quelli al tavolo cominciarono a seguirli. Almeno quelli non intenti a picchiarsi tra loro, del tutto incapaci di porre fine a quella stupida baldoria iniziata per un motivo che neanche sapevano.
I nani passarono in mezzo agli altri tavoli sparsi nella Locanda, sgusciando vicino al bancone. L'oste li guardò sfrecciare davanti a lui con una tranquillità disarmante, come se fosse del tutto abituato ad una baraonda di quella portata; puliva un boccale di legno senza provare a dir nulla contro la folla che già s'ammassava verso l'ingresso, all'inseguimento dei due poveri fuggitivi.
Un urlo strozzato fece voltare Nori di scatto e si soffermò sull'uscio quando s'accorse di non avere più salda la presa con Berit. La vide tirata per la treccia, con un pugnale alla gola da un uomo che aveva già avuto il piacere di incontrare. Di fianco a lui v'era il secondo uomo di cui aveva già avuto il piacere di incontrare, che ghignava soddisfatto.
«Ma guarda un po' che sorpresa, i nani che non volevano avere a che fare con noi.» Sibilò Janel, biascicava con la stessa tonalità di voce della prima volta. Nori strinse i pugni e guardò Berit con uno sguardo preoccupato. Lei tentò di agitarsi tra le grinfie di Seryon, alzando le mani per artigliare quelle del malvivente ma l'uomo serrò meglio la lama del pugnale sulla sua gola e lei si ritrovò costretta a fermarsi. Pigiò le labbra tra loro e puntò lo sguardo su Nori.
«Nori...» incalzò lei, con lentezza, quasi stesse parlando in una situazione del tutto consona per avere una conversazione tranquilla «...forse è il caso che diciamo la verità a questi uomini.»
Nori non capì subito, si ritrovò a fissare l'amica con il cuore che palpitava veloce – per la corsa appena fatta e per quell'interruzione inaspettata – e puntò lo sguardo sui due uomini.
«Di che cosa stai parlando, eh, piccoletta?»
«Non chiamarla così.» Sibilò Nori, puntando lo sguardo su Seryon. Ormai tutto il gruppo di uomini e donne si erano accerchiati a loro. Alcuni erano rimasti seduti ai tavoli, disinteressati a quel turpiloquio di gesta e parole. L'oste li fissava, con una punta un po' più emozionata nello sguardo. Forse si stava addirittura divertendo.
«E come dovrei chiamarla? Non è nemmeno una vera donna.»
«Neanche tu sei un vero uomo, ma mica te lo faccio pesare.» Ringhiò Berit, strattonandosi appena. Seryon strinse la presa sulla sua treccia e lei fece un verso di dolore.
Nori si toccacciò le tasche ma Seryon strinse la lama sul collo di Berit e fece un cenno di diniego con la testa. «Non ci provare o le taglio la gola. Dimmi di che cosa state parlando, quale verità?»
«Dai..Nori, digliela. Tanto ormai lo hanno capito tutti
Nori tornò a fissare Berit e lei ricambiò lo sguardo fino ad allargarlo. Non era per niente semplice comunicare con Nori, in quello stato. Le faceva male la testa per colpa di quella presa e la lama sul suo collo era fredda, fastidiosa e puzzava terribilmente di pesce. O forse era solo l'uomo che puzzava così, non aveva la mente lucida per appurarlo con sicurezza. Si pentì amaramente di non aver chiamato Bofur prima di sparire nel viottolo; magari non l'avrebbe fermata ma ora sarebbe lì con lei e avrebbe capito chiaramente ciò che stava cercando di comunicare a Nori, ora.
«Io..» Nori di nuovo scosse la testa e Berit avvertì, per la prima volta quella sera, una scossa di paura. Non era solita provarla per situazioni così stupide ma quell'uomo era ubriaco e aveva la sua lama attaccata alla pelle, ormai. Nessuno degli altri aveva intenzione di intervenire, lì intorno e non era sicura che qualche buon'anima sarebbe entrata dalla porta per salvarli. Nessuno sapeva che erano lì e si pentì amaramente di aver scelto di seguire il suo impulso piuttosto che la ragione.
«D'accordo... parlerò io, il mio Compagno non vuole rischiare di perdere il bottino degli Elfi, è talmente venale che pur di non parlare si farebbe tagliare la lingua.» Spiegò Berit, cercando di mantenersi il più tranquilla possibile. Sentiva di non avere una parlantina sciolta, aveva bevuto troppo alcol e la cosa non aveva effetti benevoli per la sua lucidità. Ma sperava di aver usato le parole giuste per intaccare la curiosità di quegli avventori.
«Bottino degli Elfi? Dite quelli del Reame Boscoso?»
«Sì! Ovvio, di quale Elfi potremmo mai parlare, altrimenti.» Finalmente Nori prese parola, facendo un passo avanti. Berit sospirò di sollievo, almeno mentalmente, guardandolo. «Proveniamo da Bosco Atro. Siamo riusciti a rubare molti artefatti e gemme degli Elfi Reali, per questo agivamo nell'ombra. I miei compagni sono degli abili mercanti, avrebbero potuto rivendere il bottino per molte monete e ne hanno preso una parte. Noi due, ahimè, amiamo le scommesse e speravamo di poter guadagnare qualcosa anche da questo tipo di...approccio. Quando siamo sicuri di vincere non ci lasciamo mai sfuggire alcuna occasione.»
Berit gli sorrise impercettibilmente e Nori si fece più risoluto. Janel fece un passo avanti, mentre guardò verso Seryon.
«Parlano di gemme, Seryon. Degli Elfi. Le pagherebbero con oro sonante, al di là del Fiume.»
«Chi ci dice che stiano dicendo il vero, eh? Sono dei nani. Hanno provato a derubarci delle nostre monete, li hai sentiti? Ci hanno presi per dei pivelli che non sanno fare il loro mestiere
«Già, i nani non hanno mai portato fortuna a questo posto. Nè da vivi né da morti.» Sbraitò una donna, dal gruppo, mentre un uomo le avvolgeva il braccio sul fianco e rise con lei.
«Abbiamo una barca, qua fuori. Siamo riusciti a rubarne una da uno stupido chiattaiolo.» Incalzò Nori mentre alzò le mani ai lati del volto. I due uomini ancora si guardarono.
«I nani sono sempre pieni di tesori, non le avete mai sentite le leggende?.» Gracchiò Berit, cercando di alzare lo sguardo. Questa volta la presa con la lama s'allentò alquanto e Berit si ritrovò a respirare con più sollievo.
«Portateci a questa fantomatica barca, nani. E se non c'è...» e Janel fece il segno di tagliarsi la gola con un dito, digrignando i denti ingialliti. Nori fece un cenno col capo e guardò verso Berit. Lei aveva un'espressione indecifrabile così che lui decise di rischiare ancora.
Peggio di così non poteva di certo andare.
«Solo voi due. Tanto noi siamo disarmati.» Disse Nori, sicuro. «Le strade sono piene di Guardie, se notassero la nostra presenza e scoprissero del nostro bottino sarebbe un guaio per tutti. Dico bene? Meno siamo e meno saremo intercettati.»
Berit faticò molto a non sorridere per la trovata di Nori e sentì un sollievo immane all'attaccatura dei capelli. Seryon aveva smesso di tirarle la treccia ormai sfatta e le aveva preso le spalle, una conseguenza molto meno drastica. I due Uomini si guardarono ancora e alcuni, nella folla, obiettarono ma alla fine decisero che le parole del nano non erano così insensate.
Si ritrovarono spintonati fuori con foga, con gli ubriachi della Locanda che s'affacciarono dall'uscio e dalle finestre, alimentando un chiacchiericcio che sarebbe stato notato dagli occhi più sospettosi. Ma a Berit e a Nori non importava realmente; lo speravano, di gran lunga, di venire scoperti, da chicchessia. Vennero portati fino alla curva del molo e lì cercarono di deviare verso il punto più illuminato di quella zona.
Si mossero con cautela, teatralmente immersi in una recita che gli riusciva fin troppo bene; agire nell'ombra. Gli altri due non sembravano sospettare di nulla mentre i nani si mossero verso una piccola imbarcazione galleggiante, ai piedi di una palafitta malmessa.
Si fermarono proprio ai piedi di essa.
«È questa qui. I sacchi sono sotto le assi.»
«Janel, controlla.» Ordinò Seryon all'altro uomo, lasciando il pugnale puntato contro la schiena di Berit. Nori era trattenuto per il collo dall'altra mano dell'uomo. Quando Janel provò a saltare sulla barca Nori fece uno scatto. Dette uno calcio all'indietro alla gamba di Seryon e quello perse l'equilibrio, lasciando finalmente la presa con entrambi i nani.
«Tu!» Ringhiò furibondo l'uomo. Nori scattò in avanti subito per dare un calcio alla barca. Janel non riuscì a reggersi in equilibrio che scivolò col fondoschiena e cadde di lato, finendo per metà nell'acqua. In quell'esatto momento Nori si sentì preso per un braccio e si ritrovò a correre a perdifiato sui pioli di legno, tirato da una Berit dallo scatto velocissimo.
«Siete già morti, stupidi nani! Capito? Siete già morti!» Urlò Seryon dietro di loro mentre l'altro sputacchiava acqua e tossiva, sempre più lontano.
«Ti giuro che appena troviamo gli altri sono io che ti uccido.» Disse lei col fiato corto, svoltando verso destra. Le fiaccole illuminavano debolmente quella zona della cittadella e i rumori della piazza erano ancora troppo lontani per essere uditi. Una leggera foschia aleggiava sulle palafitte e l'aria era fredda e pizzicava gli occhi. L'alcol non aiutava a contrastare quella sensazione.
«Ammetti che è stato divertente, però.» Rispose Nori. Tintinnava e ticchettava più di quanto non fosse abituata a sentire Berit. Doveva avere ogni tasca piena, interna o esterna che fosse.
«Sì, mi sono sbellicata.» Ironizzò lei mentre risalivano degli scalini. Non avevano il coraggio di girarsi a guardare se quei due li stavano inseguendo. Non erano sicuri di volerlo sapere sul serio.
«Ho recuperato tanto di quella roba che non ci crederai mai.»
Nori fece appena in tempo a dire questa cosa che si ritrovarono, entrambi, catapultati a terra. Erano finiti addosso a qualcosa che li aveva fatti rimbalzare e – con grande sconforto – molti sacchetti e oggetti scivolarono via dalla blusa di Nori, rotolando a terra. Si levarono i loro lamenti mentre il rumore di alcune lame sguainate ruppero il silenzio. Non avevano urtato contro qualcosa ma contro qualcuno. Alcune guardie erano impettite davanti a loro, con sguardo furente e severo, coperti da un'armatura d'acciaio.
«Abbiamo un grosso problema, qui.» Mormorò una guardia dai capelli biondi, sogghignando. Altri due si misero ai lati dei Nani per issarli, ammanettandoli di gran fretta. I due si guardarono sconfortati mentre un uomo con l'elmo raccoglieva gli oggetti rubati di Nori. Non sperarono nemmeno di graziarsi dalla perquisizione, arrivò fulminea quanto lo era stato quell'incontro. Presero tutto ciò che i due avevano faticosamente conquistato durante quella puzzolente e rumorosa serata; uno sforzo che non era valso a nulla, si ritrovarono a pensare con sconforto.
Mentre vennero scortati per la strada Berit ripensò all'ultima conversazione avuta con Dori. Avevano buttato tutto all'aria per uno stupido vizio, non v'era niente di onorevole in tutto questo e si sentì umiliata verso sé stessa. Non aveva il coraggio di pensare alla conseguenza di quello stupido gesto, alla delusione nello sguardo dei suoi Compagni, di ciò che avrebbe potuto dire Thorin a riguardo. Lo avevano fatto per una giusta causa – pensata in una maniera tutta loro – ma c'era qualcosa di buono nell'aver abbandonato gli altri nel silenzio, per finire nei guai? Rischiando, addirittura, la morte?
«Nori?» Richiamò l'amico con un sussurro, guardandolo con aria sommessa. «Hai fatto un gran bel colpo stasera; sei il migliore ladro che io abbia mai conosciuto.»
«E tu sei la migliore scommettitrice che io abbia mai conosciuto.» Rispose lui con lo stesso tono. Quelle parole sapevano di rimorso e vergogna.
«E questo sarà la nostra rovina.» Sussurrò lei in finale, mentre le guardie strinsero le loro spalle ancora più forte, varcando le celle. Le manette stringevano i polsi e pesavano terribilmente, un peso equiparabile al loro cuore come un masso pesante che cingeva il petto.






 

NA.
Questo capitolo doveva essere più lungo e quindi ho dovuto dividerlo per forza y-y anche perchè è notte tarda e ho scritto uno schifo. Mi scusissimo per il ritardo ma tra lavoro/lavoro e lavoro non riesco a trovare dei minuti per scrivere decentemente e mi tocca farlo la sera. Infatti si veeede. Allora volevo, innanzitutto chiarire una cosa: so che ciò che hanno fatto Berit e Nori è una cosa stupida, scema, irresponsabile e chi ne ha più ne metta! Nori, per fortuna mia, è stato etichettato così da PJ e quindi ho cercato di renderlo più IC possibile e se non lo è mi scuso tantissimo ma mi serviva un complice che non fosse Bofur xD Berit..bè lei è solamente una che si lascia condizionare e quindi è andata così. So che non è stato carino abbandonare gli altri Nani ma ho dovuto un po' sottolineare il lato “calcolatore” dei miei Nani. Tipo: “ohmygod, soldi! Facciamolo!” Ovviamente nei prossimi capitoli la cosa sarà portata a termine e vedremo pure gli altri che fine hanno fatto e come reagiranno a sto brutto contrattempo (come avevo già detto..seguirò più le tempistiche del libro v.v ) ma Kili non lo abbandono a sé stesso con la ferita, lo ggggiuro.
E niente, mi scuso se la cosa non è piaciuta o se la trovate insensata, irreale, brutta etc.etc.
Ah e ringrazio tantissimo la mia nuova recensitrice di fiducia: didi_95 <3
Vi saluto tutti, a presto spero. 

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Capitolo 24
*** Riposo ***


Capitolo 24.
Riposo




L'edificio si stagliava poco dietro il palazzo delle Guardie, a ridosso di alcune palafitte illuminate da delle deboli fiaccole ai lati. La sottile aria fredda della sera faceva oscillare le lampade e l'acqua si muoveva placida smuovendo le barche che dondolavano spoglie e esanimi legati ai moli. Il Governatore era stato magnanimo con i nani, nonostante la prima perplessità iniziale. Nessuno, che viveva in terra, riusciva a sopire la magnificenza dell'oro quando gli veniva promesso in gran quantità. Giusto Bilbo trovava assai troppo sopravvalutato quell'attaccamento materiale, ma non s'azzardò mai a proferire tale pensiero perchè – sebbene fosse solo un piccolo hobbit – sapeva bene cosa voleva dire adagiarsi sui piaceri della vita. Se per lui era fumare l'erba pipa e legger le mappe sulla poltrona, per gli altri poteva essere comprare case e commerciare con molti popoli grazie ad una cospicua somma. Di certo non gli dispiaceva il lusso, in quel particolare momento, era da troppo che non dormivano su un vero letto a baldacchino e dentro delle vere coperte di lana e stoffa morbida. Finalmente si sarebbe tolto tutti quei vestiti umidi, sporchi e puzzolenti, magari sarebbe addirittura riuscito a farsi un tè.
Quel pensiero gli provocò un sorriso istintivo che gli illuminò tutto il volto.
Gli altri Nani incedevano lenti, seguiti dagli sguardi ancora curiosi e estasiati della gente che gremiva il loco. Sembravano alquanto silenziosi e rilassati, ma era solo una parvenza apparente di ciò che realmente stavano provando. Fili e Kili erano vicini, il fratello maggiore reggeva l'altro con un braccio sulle sue spalle. Kili zoppicava ma sembrava essersi rinvigorito leggermente per la conversazione avvenuta col Governatore. Fili non rifletteva il suo stesso entusiasmo, s'era accorto dell'assenza di Berit ma era troppo indaffarato a preoccuparsi per Kili per permettersi di preoccuparsi anche per lei. Anche Nori mancava e la cosa gli aveva fatto nutrire qualche dubbio in proposito. Quando guardò verso Bofur confermò quella sua teoria, constatando nei movimenti dell'amico una certa apprensione che malcelava.
Bofur non riusciva a rimanere così stoico come altri della Compagnia, gli si leggeva in volto la preoccupazione o la felicità, qual si voglia emozione che gli invigoriva il petto.
Kili inciampò sui propri passi e Fili rafforzò la presa sulle sue spalle, trattenendolo vicino al proprio fianco. Sapeva che era caduto, dentro l'armeria, e avrebbe voluto dargli una bella lavata di capo per aver sottovalutato le sue condizioni. Non sarebbe servito a nulla, Kili era un nano testardo e risoluto, non avrebbero scalfito nulla le sue parole. Ma quella debolezza cominciava a preoccuparlo seriamente. Nessuna ferita alla gamba provocava quel regredire fisico, aveva paura che la ferita si fosse infettata, Oin non riusciva a venirne a capo vista la mancanza di erbe naturali. Doveva andare a cercare qualcosa, chiedere aiuto a qualcuno. Aveva notato che quegli Uomini erano ormai propensi ad aiutarli, anche se fosse solo per la promessa di una parte del tesoro andava bene ugualmente.
Non si fa mai niente per niente, era una regola essenziale per instaurare buone alleanze.
«Come sta?» Dori spuntò di fianco a Fili, guardando verso Kili. Aveva i capelli grigi spettinati e la barba intrecciata cominciava ad arruffarsi sul mento.
«Non bene, anche se lui dice il contrario.»
«Guarda che ti sento, Fi.» Gracchiò il giovane principe bruno, ruotando il capo pallido. I capelli scuri gli ondeggiavano ai lati del volto e ombreggiavano notevolmente le occhiaie che gli solcavano il volto. La luce nei suoi occhi splendeva ancora, nonostante tutto, e a questo particolare Dori sorrise.
«Oin riuscirà a preparare qualche suo intruglio, non temere. Se avessi qui il mio miracoloso nettare derivante dalle foglie di menta sarebbe sicuramente tutto più semplice.»
«Non mi piacciono le tue cucine raffinate, Dori.» Si lagnò Kili, accodando un leggero colpo di tosse. Avevano appena sorpassato delle scalinate in legno mentre avanzavano oltre il porticato. L'interno della casa non era immensamente spazioso ma era caldo e procedeva su un piano terra e delle scale che portavano al piano superiore, al lato. Si apriva su un grande salone, ornato da poltrone, mobilia e un camino a muro che già illuminava la stanza con un crepitio caldo e leggero. Delle piccole finestre s'affacciavano di fronte a loro, coperte da dei tendaggi un po' vissuti. Profumava di legna e di stoffa lavata.
«Non è tempo per fare troppo lo schizzinoso, Kili.» Rimbeccò il nano più anziano, impettendosi.
«Da che pulpito viene la predica.» Ridacchiò Kili, con un altro colpetto di tosse. Fili lo issò meglio, cominciando a sentire dolere la spalla sul quale lo stava appoggiando.
«Potete rimbeccarvi quando ti ho appoggiato da qualche parte? Kili sai di non essere magro, vero?» Scherzò Fili, arruffando la barba con uno sbuffo più appesantito. Aveva il volto un po' arrossato per lo sforzo e Dori – grazie ad Aule lo aveva intuito – si ritrovò dall'altro lato del nano giovane così da aiutare Fili in quella presa.
«Oh ma che servizio, stasera. Devo farmi ferire più spesso.» Kili sorrise di nuovo, incurvando le labbra livide. «E sono magrissimo, per la cronaca. Ti devo ricordare la traversata del Bosco Atro con Bombur?»
«Non ti abituare troppo a questi vizi, fratellino e, per la cronaca, con Bombur eravamo in dieci a trasportarlo. Qui sono solo io.» Rispose Fili con sicurezza.
«Ah e io chi sarei?» Si intromise Dori, già indignato per essere stato appena dimenticato.
«Sì ma tu sei arrivato ora. Non ti prendere tutti i meriti.»
Dori sbuffò ma non rispose a quella replica, riuscirono ad adagiare Kili sulla poltrona più vicina e lo coprirono con una delle coperte che spuntavano da una mensola più in alto. Gli altri nani cominciarono a gironzolare per la stanza mentre alcune ancelle del Governatore portarono delle pietanze con cui adornarono la tavola di legno che capeggiava sotto le finestrelle. 
«Dori...dov'è tuo fratello?» Chiese Fili, una volta scostatosi dalla poltrona, avvicinandosi ai lati del camino. Dori lo aveva seguito fino a lì, restando lontano dalla tavola. Lì sopra si erano fiondati Bombur e Ori, prima di tutti, arraffando tutto ciò che v'era di commestibile. Quindi tutto, ovviamente.
«Ho paura che abbia seguito uno dei suoi soliti impulsi.» Dori sospirò sconsolato. Non poteva certo prendersela con l'unica persona con cui aveva tentato di ragionare, fuori dall'armeria - ossia il buon senso di Berit - visto che non esisteva, a quanto pare.
«Già.» Rispose Fili. «Spero solo che non si siano cacciati nei guai lui e Berit. Li ho visti parlare, fuori dall'armeria, sapevo che qualcosa non andava.»
«Mi chiedo cosa passi nella testa di quei due irresponsabili. Speravo che Berit fosse più coscienziosa, ovviamente quella nana non mi sorprende mai in meglio.»
«Magari hanno solamente trovato un modo per scappare dalla presa delle Guardie. Torneranno, senza problemi.» Questa volta fu Bofur a parlare, era spuntato da dietro le spalle dei due e li fissava con aria grave. Rassegnata forse, ma nulla c'era del suo solito sorriso spensierato. Bilbo era rimasto in disparte, vicino al camino, mangiando un pezzo di pane fritto, avvolto in una calda coperta che scivolava sul pavimento. Di fianco a lui Balin e Dwalin mangiavano in silenzio. Silenzio solo con le parole non certo con i rumori.
«Il tuo ottimismo è addirittura più ingenuo di quello di Ori, Bofur. Sai bene che Thorin non vuole distrazioni per questo viaggio e causargli problemi non è saggio.» Incalzò Dori, sussurrando con voce acuta. «Se hanno lasciato il gruppo per andare a bighellonare con quei malfattori fanno prima a rimanerci, con loro.»
«Non hanno lasciato il gruppo.» Incalzò Bofur, stringendo i pugni. Fili stava fissando più lui che Dori, rimanendo ancora in un silenzio studiato. «È facile insinuare congetture quando non si riesce a trovare un sollievo ai propri dubbi, Dori, ma conosci bene tuo fratello e conosci bene la testardaggine dei nani. È ciò che ci ha condotti a riconquistare Erebor, oggi, nonostante non sia mai stata casa nostra. Il nostro oro, le mura dei nostri fratelli, un futuro prosperoso. Non abbiamo avuto altro che sventure da quando siamo qui e – oh Gloin può confermartelo suvvia – abbiamo più perso che vinto in questo viaggio. O sbaglio?»
Bofur spostò lo sguardo anche su Fili, questa volta, notando con la coda dell'occhio l'avvicinarsi di Balin e Dwalin. Il primo scosse la testa sconsolato ma si limitò a fermarsi al fianco di Dori, in silenzio.
«Anche se fosse stato un gesto avventato non dirmi che non puoi biasimarli.» Accodò Bofur, finendo il discorso.
«Ah quindi tu dici che possia-»
«Non sono giustificabili, in qualsiasi contesto. Se rimarranno indietro allora non verranno a Erebor, questa missione è troppo importante. Il tempo si accorcia e già abbiamo un altro problema di cui occuparci.» Fu Fili a parlare, interrompendo Dori sul nascere, mentre guardava verso il fratello che aveva preso a sonnecchiare illuminato dal riverbero del fuoco danzante.
«Sì ma...» provò a parlare Bofur.
«Non sono giustificabili. Chiudo il discorso qui.» Fili mise fine alla conversazione, spostandosi dal gruppetto per raggiungere il fratello addormentato. Lì vicino Oin stava già preparando nuove bende pulite. Gli dispiaceva essere stato così risoluto nei confronti di Bofur, se fosse stato Kili al posto di Nori o Berit forse avrebbe ragionato con meno rigidità di pensiero ma – s'era accorto con oltre ogni consapevolezza – che era estremamente infuriato con Berit. Non riusciva a giustificarla, qualora i suoi intenti erano davvero stati deviati verso il gioco clandestino. Aveva sempre trovato curioso e caotico il modo di ragionare di Berit, così difficile da racchiudere in una sola definizione, ma quel suo lato era anche pericoloso e disturbante. Nori, si sapeva, amava giocare con le conseguenze delle sue azioni eppure per lui non provava un simile disturbo. Il motivo era assai semplice e non v'era bisogno di rifocillarcisi troppo coi pensieri per trovarlo il cardine di tutto: teneva più a Berit, di chiunque altro, dopo Kili e Thorin e questo lo portava a infuriarsi maggiormente per le sue malefatte. Non riusciva a comprendere come Bofur riuscisse a giustificarla quando non poteva esser, di certo, meno preoccupato di lui riguardo quell'improvvisa assenza. Di certo non sarebbe stato rallentato il viaggio per colpa loro ma era anche vero che non giovava al gruppo la perdita di due validi membri, qualora non fossero realmente tornati indietro. La sola idea lo fece infuriare maggiormente e si ritrovò silenzioso, a guardare Kili dormire, mentre Oin gli sistemava i bendaggi sulla gamba ancora sanguinante.
Bofur era rimasto a discutere con Dori fino a che Balin non era intervenuto. In difesa di nessuno e di tutti, come il buon vecchio nano Anziano era solito fare.
«Abbiamo ancora qualche giorno prima del dì di Durin, attendiamo riprendendo le forze e armandoci per il viaggio. Se rimarranno indietro allora ci raggiungeranno una volta che troveranno i nostri passi. Non c'è da disperarsi per una tale sciocchezza.» Sospirò il nano e Bofur si sollevò nel sentirlo parlare.
Dori mugugnò qualche parola sottovoce ma non si permise di obiettare la voce del Compagno. Ritornò verso Ori e sospirò amareggiato, guardando il fratello minore mangiare con gusto una buona fetta di pollo.
Bofur e Balin rimasero accanto al fuoco ancora un po', a guardare le fiamme e a riscaldarsi con esse.
«E' raro vederti prendere una posizione, Bofur. Quando lo fai mi ricordi sempre un po' quel vecchio buontempone di mio fratello.» Balin abbozzò un sorriso e guardò verso Dwalin. Quello era ancora lì vicino a loro, del tutto a suo agio con la sua ciotola e il pezzo di pesce tracagnotto. Non aveva ancora preso parola, nonostante ascoltasse la conversazione già da tempo.
«Io avrei detto qualche insulto in più.» Brontolò, buttando nel fuoco una lisca.
Bofur alzò veloce lo sguardo verso il nano pelato e cercò di sorridere a Balin ma vi riuscì male tant'è che smise di provarci.
«Siamo solo stanchi, sicuramente con un po' di riposo riusciremo a ragionare con più lucidità e decideremo il da farsi.» Accodò Balin, di nuovo.
Bilbo s'era avvicinato ai due e si intrufolò proprio nel mezzo, guardandoli dal basso. Si incupì nel vedere Bofur così poco avvezzo al buonumore ma percepiva la preoccupazione della mancanza di Nori e Berit. Di Berit, essenzialmente. Anche lui preferiva sapere se stavano bene, almeno. A casa sua i contrattempi era una cosa scomoda, a dir poco unica più che rara, e di certo viverli ogni giorno per i motivi più disparati non abituava a sopportarli o a farsene una ragione. Non per lui, quantomeno.
«Ho visto quella nana sopravvivere al peperoncino negli occhi. E quel nano non essere preso in contropiede dagli Elfi quando ha rubato quella coppa argentata da sotto il naso di Elrond.» S'intromise Bilbo con voce bassa ma sicura. «Sono sicuro che torneranno salvi. Sani magari no visto che non lo sono mai stati, ma salvi.» E infine sorrise, estendendo quel semplice gesto a Bofur, principalmente.
Quello riflesse il suo stesso sorriso, almeno in apparenza, dandogli una leggera pacca sulla testa. Quella volta non fu dolorosa come le altre ma Bilbo lo avrebbe sopportato, in fondo.
«Hai ragione Bilbo.»
«Andiamo a mangiare, ragazzi miei, o Bombur non ci farà più trovare nulla.» E Balin li spinse verso il tavolo, lasciando che la conversazione trattenesse quelle radici speranzose, lasciando aleggiare un po' di sollievo.



Thorin era rimasto fuori dalla porta e guardava la cima della Montagna, l'unica parte che si scorgeva oltre le nubi basse e grigie. Aveva smesso di nevicare ma la bora fredda pizzicava il volto e filtrava fin sotto le vesti. Rimase fiero e risoluto, appoggiato ad un pilastro, silenzioso come la notte stessa. La gente era tornata all'ovile, scomparendo oltre le porte delle dimore, e le strade non pullulavano più di curiosi già da diverse ore. Il Governatore aveva promesso loro tante cose, per quell'alleanza creata ma faticò a ricordare tutte le parole. Tutte le vistose fantasie di cibi e armi che il primo cittadino s'era vantato di poter donare alla Compagnia. Voleva raggiungere Erebor, farlo il più in fretta possibile, a costo di aspettare ai piedi della Montagna per giorni pur di sapere d'esser lì, nel momento opportuno, durante l'ultimo raggio.
S'accarezzò la chiave appesa alla cinta e sospirò una nuvola di vapore, quando s'accorse d'essere osservato. Bard, il chiattaiolo, era appoggiato al palo in legno del molo. Le braccia incrociate allo sterno e la lunga giacca marrone che gli scivolava fino a coprire tutto il corpo. I capelli erano scompigliati ma legati quel tanto che bastava a trattenere scoperto il viso. Non si poteva dire lo stesso di Thorin – ombroso quanto lo diventò il suo sguardo in quel momento.
«Se sei venuto qui per dirmi che non ho diritti, che non posso procedere, che tenterai di fermarmi...sprechi solo il fiato, Umano.»
«Come potrei, io da solo, fermare un gruppo di quindici membri?» Rispose l'uomo, mantenendo un tono di voce roco ma basso, piuttosto pacato nella sua durezza.
«È inutile che ci perdiamo in chiacchiere, sappiamo bene che i nostri pensieri non coincideranno mai, quindi ti invito a lasciare questo posto.» Rispose Thorin, staccando la schiena dal pilastro e avanzando d'un solo passo. Non aveva armi con sé, ancora teneva stretta la chiave tra le dita e lo sguardo tornò a perlustrare la punta della Montagna. Non s'accorse che Bard guardò nella stessa direzione, sciogliendo le braccia dall'intreccio. Era ormai consapevole che nulla sarebbe valso ma la sua ragione non aveva la meglio, questa volta. Continuava a pensare al pericolo che giaceva sopra l'oro, alla calamità che sarebbe tornata a spazzare via la sua gente, la sua casa, la sua famiglia. Aveva perduto l'unico cuore che era mai riuscito ad amare, in passato, non poteva rischiare che la sventura s'abbattesse ancora sulle loro teste. Non poteva rischiare che i suoi figli, tutto ciò che aveva e che più amava al mondo, rischiassero la vita per colpa di un manipolo di avidi tesorieri.
«Molti di noi hanno perso la nostra casa quando il Drago arrivò come un tornado, bruciando tutto ciò che ci era di più caro al mondo.» Incominciò l'uomo, con voce bassa e rotta dal ricordo. Thorin si voltò per osservarlo ma restò in silenzio.
«Viviamo in una città galleggiante, con un Governatore che disprezza la povertà del suo popolo, con un cuore avido e la mente rivolta al denaro. E questo posto è tutto ciò che ci è rimasto al mondo. Noi non possiamo scalare una montagna per riprenderci quello che ci aspetta di diritto.» Sospirò, facendo una lieve smorfia col volto. Si era scostato dal molo e aveva preso a camminare, fisso con gli occhi sulla Montagna. «Noi non abbiamo più niente, lì, che ci attende. Solo i corpi dei nostri parenti e le rovine di una città ridente che ora è morta, senza che nessuno abbia potuto salvarla. Sono morti uomini, donne...e bambini, per colpa dell'ingordigia del Drago.» Prese una pausa ma Thorin non lo interruppe ancora, rimasto a fissarlo per tutto quel tempo. «E ora voi state per ripetere qualcosa che ci distruggerà tutti. Moriranno altri uomini, altre donne, altri...bambini. E a voi non importa nulla. Mi chiedo come non riusciate ad avere cuore, per questo.»
«Quella è casa nostra e la riprenderemo, uccidendo il Drago. È così che andrà a finire, non ci saranno fiamme, non ci sarà morte né distruzione. Solo la riconquista della mia casa e della vostra, quando avrete la vostra parte del denaro.»
Bard si fermò a respirare pesantemente, facendo un passo in avanti. Arrivò fino a fronteggiare Thorin del tutto, guardandolo dall'alto. Gli occhi gli brillavano alla luce delle stelle lontane, d'una fierezza che non era mai stata sopita, neanche dalla paura stessa. Strinse i pugni ma non provò a colpirlo, non provò a fare nulla. Si limitò a guardarlo dritto negli occhi, aspettando qualcosa che non vide mai arrivare.
«Se perdo la mia famiglia, se il Drago non verrà sconfitto e arriverà in volo per distruggerci...allora nessun oro al mondo riuscirà più a comprare ciò che ho perduto. Se io perdo i miei figli, allora io morirò con loro, perchè non avrà più senso nulla a questo mondo. Lo capisci?»
Thorin alzò lo sguardo verso di lui e rimase serio, nonostante la mascella gli si indurì di colpo. Sentì i muscoli irrigidirsi e un antico orgoglio rinascere, prendendogli il petto.
«Credi che io non lo sappia? Che non abbia mai perso nessuno in vita mia? Che faccio tutto questo per gioco? Tu non sai niente di me e della mia gente, Bard, e niente ti da il diritto di venire qui e usare questi mezzucci per cercare di deviarmi dalla mia scelta. Non sono io, qui, il tuo nemico. Forse sarò l'unico, insieme alla mia gente, in grado di sconfiggerlo una volta per tutte.» Ringhiò Thorin, indurendo lo stesso sguardo. Fronteggiò l'Umano nonostante la netta differenza d'altezza. Eppure sembravano grandi entrambi, allo stesso medesimo livello.
«Se succede qualcosa di male a coloro che amo avrò tutto il diritto di venire a cercarti e ucciderti con le mie mani, te lo assicuro.» Sibilò l'uomo, stringendo maggiormente le dita.
«Quando tornerò con l'oro per la tua gente, sarai il primo a chiedermi scusa per le tue parole ingrate.» Sibilò di rimando Thorin, affilando lo sguardo.
Nessuno dei due parlò per un tempo che sembrò infinito, rimasero a guardarsi con rabbia prima che Dwalin spuntò fuori dalla porta. Non brandiva armi ma la sola presenza fu abbastanza maestosa da lasciar indietreggiare Bard, lasciando una netta distanza tra sé stesso e il Re.
«Spero di non vederti tornare se non per questo, allora. Prega il tuo Dio che sia l'unica notizia che porterai.» Mormorò Bard, andando a guardare Dwalin, ancora una volta. Quello fece un grugnito poco cortese, fiancheggiando Thorin.
«Banchettate finchè il Governatore vi ha nelle sue grazie, non ci mette molto a scambiare gli amici per nemici, quando vede che non gli sono più utili a niente.»
Dwalin rispose con un altro grugnito e Thorin non fece cenni d'assenso, si limitò a fissarlo fino a che non lo vide scomparire oltre l'edificio, rimanendo silenzioso per diversi secondi. Dwalin gli porse una delle ciotole di cibo che teneva in mano, ma Thorin non la prese.
«Thorin, siamo a corto di due.»
«Lo so.» Rispose il Re sospirando appena. Si voltò per osservare l'amico e abbozzare un sorriso aspro, a tratti sommesso. «Come sta la gamba di Kili?»
«Non bene. Credo che sia il caso di attendere qualche giorno prima di procedere col viaggio. Abbiamo ancora diverse settimane prima dell'ultimo giorno d'autunno. Possiamo permettercelo, in fondo.» Rispose Dwalin, sospirando.
«Attendiamo due giorni massimo, poi studiamo un piano per la partenza.»
Dwalin fece un cenno d' assenso e ritornò dentro le mura dell'edificio, lasciando ancora Thorin da solo, nel buio.
Le stelle erano lontane ma covavano un antico segreto, l'impazienza di brillare nel buio fino a raggiungere qualcuno che, dall'altra parte, avrebbe scorto la loro luce.
Thorin ammirava la luce delle stelle perchè gli ricordava la sola e unica luce che avrebbe brillato per sempre lì, dentro di lui.
Il cuore della Montagna, la sua Arkengemma.




NA.
Buonsalve a tuttee, questo capitolo non mi piace, già lo dico giusto per mettere in chiaro sempre la mia propensione ad amare la mia storia xD In verità è un capitolo a intermezzo, m'è servito per giungere a quello che verrà dopo e che sarà più "pienotto" di cose. La chiaccherata finale tra Thorin e Bard forse risulterà un "di più già visto e stravisto" lo so, ma volevo infilare per bene Bard nella mia storia, con qualche battuta e non sapevo come fare sezna riprendere scene direttamente dal film. E visto che ormai la storia stava prendendo questa piega ho deciso di inserirlo così. Spero piaccia :) Bom, non ho molto altro da dire, spero comunque che vi sia piaciuto, saluto tantissimo le mie recensitrici di fiducia <3 e ci sentiamo presto.

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Capitolo 25
*** La casa non è mura di pietra ***


Capitolo 25.
La casa non è mura di pietra




Fili era rimasto tutta la sera accanto alla poltrona del fratello, a bagnargli la fronte con un panno e ad aspettare che la febbre si quietasse. La temperatura s'era elevata alle prime ore dopo la mezza ed era ritornata alla normalità solo alle prime luci dell'alba. Non aveva dormito granchè, il nano biondo, pronto a scattare al minimo lamento del fratello. Non aveva avuto l'ardire di chiedere a Oin il sacrificio di aiutarlo con la veglia notturna, avevano tutti bisogno di riposo, lui stesso ne aveva bisogno, ma non riusciva a prendere sonno realmente. Si era concesso poche ore, trattenendosi ripiegato sul divano vicino alla poltrona sul quale Kili giaceva. Si sentiva spossato e gli occhi gli bruciavano per la stanchezza.
Quella mattinata grigia e luminosa non giovava a quel suo stato d'animo, tantomeno gli schiamazzi che lo circondavano. Era al mercato, immerso in una mantella scura, che gironzolava tra le gambe degli Uomini, stando attento a non destare troppi sospetti. Non v'era più bisogno di stare nascosti ma continuava a diffidare della poca discrezione, anche in quel caso. Non appena s'era alzato dal divano aveva controllato se Berit e Nori fossero tornati. Di loro nessuna traccia, notò che Bofur s'era appisolato di fianco al camino, vicino a Bilbo, col corpo rivolto verso la porta dell'edificio. Probabilmente l'aveva aspettata, com'era solito fare quando Berit s'accingeva a sparire, di sana pianta. La cosa non gli procurò alcun sentimento se non l'ennesima irritazione, già alimentata dal fatto che Kili non stava migliorando per nulla. S'avvolse nel mantello e uscì dall'edificio da solo, in silenzio, calcando il passo sui pioli di legno.
Il mercato non era grande e i carretti erano ammassati gli uni vicini agli altri, la gente urlava e richiamava il popolo per commerciare la compravendita e presto si ritrovò immerso in un blocco della folla, ammassata tutta davanti al carretto del pesce fresco.
Si ritrovò a sbuffare contrito, cercando di liberarsi da tutta quella bolgia, quando una mano gli picchiettò la spalla.
Quando si voltò notò il viso di un giovane ragazzo, biondo, con una spruzzata di lentiggini sul naso e il sorriso pronto. In testa reggeva una cesta piena di quello che sembrava pane, non riusciva a inquadrarlo bene da lì.
«Buongiorno.» Esclamò quello, gioviale.
«'Giorno.» Grugnì Fili, ritrovandosi schiacciato da un altro paio di gambe. Halder lo prese per una spalla e lo tirò indietro, così da salvarlo dall'afflusso di gente.
«E così tu sei uno dei nostri famosi Nani salvatori, dico bene?»
«Ah questo non lo so, ti pare di dire bene?»
«Uuuuh permalosetto.» Halder fece schioccare la lingua sul palato e Fili sbuffò contrito, sistemandosi il mantello. Non aveva alcuna voglia di socializzare, aveva fretta, era nervoso e tutto quel chiasso gli risultava fastidioso. Era abituato ad un altro tipo di schiamazzi, della sua gente, non certo di pescatori e ragazzi con cesti di pane.
«Mi dispiace non essere simpatico per la tua indole ma sono di fretta, sto cercando lo speziale.»
«Lo stai cercando nel posto sbagliato, Nano, lo speziale non è al mercato. Ha una piccola bottega vicino al molo sud.»
Fili sospirò esasperato, guardandosi intorno. Non aveva di certo idea di dove fosse il molo sud. Lui conosceva di tunnel sotterranei, di grotte che scendevano nel sottosuolo, di cunicoli scavati. Non di scale, torri, moli e quant'altro.
Il suo senso dell'orientamento, nel mondo esterno, non era mai stato messo alla prova, lui seguiva gli altri e questo gli bastava.
«Mi puoi..cortesemente, indicare la strada?» Chiese Fili con un soffio.
Il ragazzo biondo fece un lieve sorriso e puntò lo sguardo altrove, fu in quel momento che davanti a loro spuntò la figura di Sigrid. Fili si ritrovò a fissarla da quella postazione e le sembrò essere molto più bella di quanto si ricordasse. Aveva i capelli biondi raccolti e un vestito color verde pastello che gli copriva le forme. In mano reggeva un cesto di frutta e sorrideva alla volta di Halder. Smise di farlo non appena intravide Fili, dietro il ragazzo.
«Che ci fa lui qui?»
«Sta cercando lo speziale.» Rispose il ragazzo. Sigrid afferrò meglio il manico della sua cesta e scostò lo sguardo, puntandolo altrove. Si era innervosita e non servivano mappe o astri per capirlo. Fili si sentì profondamente a disagio per questo, senza che se ne rendesse conto sul serio.
«Sono disperato..mio fratello sta male, sta molto male, ho bisogno che qualcuno mi aiuti. La ferita...si è infettata e ho bisogno ch-»
«Perchè dovrebbe importarmi? Avete quasi fatto del male a mio fratello, avete fatto di testa vostra e mio padre è tornato a casa talmente abbattuto che non siamo riusciti ad alleggerirgli i pensieri. Pensate che per voi sia semplice, forse, ma di certo non avete avuto il minimo giudizio nel pensare se – per noi – lo fosse. Le sentinelle sono ovunque, non fanno che starsene davanti casa nostra, tutto il giorno, aspettando un solo passo falso.» Sigrid era diventata rossa in volto mentre sputò quelle parole verso il Nano biondo. Fili si zittì di colpo e rimase appiattito contro la parete. Halder sgranò lo sguardo verde e alternò l'attenzione su entrambi. Aveva ancora il cesto sopra la testa e si rese conto che era il caso di assumere una posizione più comoda. Era alquanto ridicolo e fuoriluogo stare in una posizione da quadro, in quel momento.
«Sigry...conosci questo nano? Cosa...quindi tu...e...ma io pensavo...ma di che cosa stai parlando?» Interruppe Halder, alzando le spalle.
«Halder so benissimo che tu sai, non sei stupido e nemmeno io sono così stupida da non sapere che non sei stupido.»
«Ora sono totalmente confuso.» Halder alzò un palmo, sgranando lo sguardo.
«Lo so, hai ragione, ti chiedo... scusa. Davvero, accettale. È il massimo che ora io posso darti, ho estremamente bisogno di una medicina per mio fratello e non posso perdere tempo. Mi dispiace se abbiamo causato problemi alla tua famiglia, dico davvero, ma...ti prego, ho bisogno di un aiuto. Se mio fratello dovesse morire..io..io..»
«Hai gli strumenti per pestare le erbe? Sai come ottenere i composti per alleviare il dolore?» Questa volta Sigrid tornò a fissarlo e lui si sentì improvvisamente avvampare.
«N-no, ma Oin sa farlo. Lui è il nostro guaritore.»
«Quante monete hai?» Quella continuò, secca. Halder, vicino a lei, stava sorridendo da tutto il tempo. Era piuttosto singolare il fatto che sembrasse sempre di buonumore, una vaga somiglianza con qualcuno che conosceva bene.
«Non molte ma abbastanza per prendere quello che mi serve.»
«Halder, ti dispiace dire a mio padre che starò via per tutta la mattina? Non la prenderà bene perciò cerca di usare le parole giuste.»
Halder, in risposta, fissò Fili e smise di sorridere. Ma non v'era durezza nel suo sguardo, sembrò analizzarlo in silenzio prima di annuire alle parole di Sigrid e sorriderle dolcemente. Lei aveva totalmente cambiato tono, si guardarono per diversi istanti prima che lui parlasse.
«Quindi non posso dirgli che sei stata talmente bene con me che hai deciso di trasferirti in casa mia, giusto?»
«Per favore, Halder, non scherzare.» Supplicò lei con dolcezza prima di sorridere e dargli una leggera carezza sulla guancia. Fili notò che il ragazzo arrossì per quel gesto, quello si voltò a salutarlo e s'allontanò con passi veloci verso la gente. Sigrid smise di sorridere e tornò a fiancheggiare il nano, superandolo.
«Vieni con me. Non dovrei essere qui, se mio padre lo scopre saranno guai.»
«Allora ti devo ringraziare il doppio per ciò che stai facendo.»
Sigrid voltò il volto e lo fissò con sguardo affilato. Non era più nervosa come all'inizio ma ancora non aveva sciolto i nervi. Il suo volto era illuminato dalla luce grigia del giorno e i suoi occhi sembravano grandi e estremamente luminosi. Vi ci si poteva specchiare.
«Lo faccio per tuo fratello. So bene cosa significa e... vi ho visti, a casa mia, la tua preoccupazione e la sua tenacia. Mi sentirei in colpa se non riuscissi ad aiutarvi. Ma è l'unica cosa che farò per voi, non mi chiedere altro, te ne prego.»
«Questo è già troppo, non ti chiederò null'altro, te lo posso giurare.»


 

Quando rientrarono in casa, dopo aver rimediato alcune erbe dallo speziale, non erano presenti tutti i nani e la cosa non procurò fastidio a Fili, a dirla tutta. Non era stato saggio chiedere aiuto alla figlia dell'uomo che voleva contrastare il loro viaggio ma, in quel momento, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di alleviare le pene del fratello minore. Era sicuro che anche Thorin avrebbe capito, in cuor suo, ma era meglio non doverlo scoprire. Balin e Ori erano stati molto cortesi nel salutare la ragazza – Ori le aveva persino preparato una buona tazza di tè caldo – e Bilbo s'era seduto poco lontano da loro mentre osservava la scena. Sigrid aveva avuto l'ardire di chiedere dove fosse Berit ma Fili non rispose e Bilbo alluse a qualcosa che riguardava “lunghe storie”. Oin, intanto, stava aiutando la ragazza a pestare delle erbe nel mortaio, mescolando dei composti specifici. Avevano un odore pungente, acre, abbastanza fastidioso per delle narici sensibili. Kili era in uno stato di dormiveglia incosciente, non sembrava soffrire ma era scosso dai brividi e la fronte era imperlata di sudore freddo, le sue labbra sempre più screpolate e livide. Il colorito della sua pelle non migliorava e non peggiorava insieme, sembrava in uno stato di stallo. Gli avevano teso la gamba sopra una sedia di vimini, appoggiata ad un panno morbido e degli stracci per non sporcare di sangue la stoffa. Sigrid era rimasta stupita dal fatto che la ferita continuasse a perdere uno strano liquido, il suo volto era rimasto trasparente e Fili delineò ogni suo sguardo con un'apprensione maggiore.
Lui non conosceva nulla sui medicamenti, a stento sapeva ripulire una ferita nel modo giusto. Una volta, dopo essersi spezzato il polso durante un corpo a corpo contro un manichino di legno, se l'era fasciato con uno stecco di legno. La guarigione aveva ritardato di molte settimane e, ancora oggi, se lo muoveva troppo veloce gli doleva l'articolazione. Oin, quando lo scoprì, gli fece una ramanzina autorevole, aizzando i più antichi scongiuri. Kili lo prese in giro per diversi giorni, per quello.
Si ritrovò a fissare il volto del fratello e un potente sconforto gli si impadronì, lasciandolo silenzioso e incupito di fianco a Sigrid. Lei non lo fissava ma lo percepiva, intenta a spalmare sulla ferita il composto verdognolo dall'aspetto denso e grumoso.
«Dovreste portarlo da un cerusico più esperto, questo lo farà stare meglio per un po', ma è una ferita..che io non ho mai curato e non sono sicura che funzionerà.» Sigrid ruppe il silenzio. Oin non alzò la testa verso di lei – probabilmente non aveva capito neanche che avesse parlato – mentre Fili si destò dai suoi pensieri e si limitò a fissarla.
Annuì e abbozzò un sorriso triste che Sigrid intercettò subito.
«Mi dispiace averti fatto scomodare, di solito non...speravo che guarisse da solo. Era solo una stupida freccia, non riesco a capire. Non riesco..a capire.» Si portò le mani tra i capelli, scuotendo il capo, ingobbendosi sopra la sua sedia. Era accucciato e respirava pesantemente. Si sentiva lo sguardo di Sigrid addosso ma non lo voleva ricambiare. La spossatezza lo prese di nuovo e la testa si fece pesante, sentiva un calore vistoso sgorgare dal petto fino a fluire sulle guance e le lacrime premere agli angoli degli occhi. Non aveva alcuna intenzione di piangere e alzò di scatto il volto, riprendendo il controllo. S'accorse che Sigrid non lo stava fissando, in realtà, ma aveva un'espressione dolce e affranta. Guardava Kili ogni qualvolta che spalmava la medicina sul buco nella gamba. Il giovane nano mugugnò qualcosa nel sonno ma non si svegliò, solo un veloce movimento delle palpebre e poi più nulla.
«Con un po' di riposo vedrai che andrà tutto bene. So che dovete partire per la vostra Montagna, adesso mi è tutto più chiaro.» Questa volta Sigrid si voltò a guardarlo e lui fece lo stesso. Tentò di non far scaturire alcuna emozione dal volto ma non era sicuro di riuscire a farcela, questa volta. «Ma ricordati che la propria casa la fanno le persone che ti circondano e non delle mura di pietra.» Prese una pausa e abbozzò un sorriso più convinto. «O in questo caso Nani. E lo hobbit, che non ho scordato.»
Fili era rimasto in silenzio a fissarla. Era stata una frase semplice che lo aveva colpito dritto al cuore.
La propria casa la fanno le persone.
Si ritrovò a pensare a come sarebbe stata, Erebor, senza suo fratello con lui e il pensiero gli fece inumidire gli occhi improvvisamente. Un dolore forte al petto lo fece voltare di scatto e si ritrovò a reprimere il pianto, portandosi entrambe le mani sulle labbra. Lo sguardo puntato sul volto addormentato di Kili e i pensieri funesti aleggiavano sul suo futuro senza la sua presenza. Ogni urlo, ogni pianto e la disperazione dei cuori in lutto non sopportavano l'immagine di quella prospettiva, ritornavano indietro fino a mostrare il volto sorridente di Kili, la sua umiltà e la sua spavalderia, le risate mentre scherzava con i suoi Compagni. Lo pensò, addirittura, insieme a Berit mentre rotolavano nel fango per cercare le pepite d'orate, sotto le rocce invernali degli Ered Luin e delle lacrime silenziose scivolarono sulle guance del nano. Una mano gentile gli sfiorò la spalla e si ritrovò a spostare le proprie dita per sfiorare quelle della ragazza che lo stava guardando, mortificata. Gliele strinse e lei fece altrettanto, prima che entrambi tornarono a fissarsi. Oin li sbirciava, in silenzio, ricoprendo la ferita con altri panni puliti – lo stesso luccichio di tristezza riempiva il suo sguardo – non aveva bisogno di sentire con la sua tromba qualcosa che veniva percepito dall'anima stessa.
«Resterò..ancora un po' qui, se non è un disturbo. Nel caso si svegliasse e sentisse ancora dolore. Oin è molto bravo ma almeno avreste una mano in più.»
«Grazie.» Fili si pulì la guancia con la mano rimasta libera, cercando di riprendere un po' di controllo. «Grazie, ma non devi. Se tuo padre ti venisse a cercare potrebbero esserci guai. Specialmente se ti trovasse qui. O Se Thorin..»
«Mio padre è un brav'uomo. So che non vi siete fidati di lui, me ne sono resa conto, ma lui è solo preoccupato per la sua gente, per noi. Ognuno ha i propri problemi.» Lei sorrise e lui abbozzò un sorriso di circostanza, alla stessa maniera. Le strinse le dita ancora ma poi lasciò quel contatto, tirando su col naso con poca grazia. Strinse gli occhi, lasciandoli asciugare dalle lacrime. Gli dolevano d'un bruciore che non poteva leviare.
«So che è un brav'uomo, ma noi non possiamo rallentare ancora. È una cosa importante per noi, se non lo fosse non saremmo qui a rischiare tutto. Persino la nostra vita. Ma..» fece un grosso sospiro, gli tremò il petto «..mi dispiace che questo abbia peggiorato i vostri problemi. Siete stati gentili con noi e non lo meritavate.»
Sigrid sorrise con più vigore, ritirando il petto e pulendosi le mani con uno straccio. Andò a prendere la tazza di tè tiepido, bevendo qualche sorso. «Sei un nano gentile, Fili. Grazie per le tue parole. Spero davvero che tutto andrà bene.»
Fili sospirò con più pesantezza e si lasciò attrarre ancora da altri pensieri. Kili non dava segni di volersi destare dal suo sonno e Oin, adesso, era intento a borbottare qualcosa mentre puliva le ciotole. Dietro di lui arrivò Bifur che gli gettò un panno in faccia, con poca grazia.
Ad una scena del genere avrebbe riso, settimane fa, seguito a ruota da quegli scalmanati che aveva come compagni. Avrebbero preso in giro Oin, sordo come una patata, e Kili gli avrebbe rubato la sua tromba per udire e l'avrebbe usata come strumento musicale per intonare melodia e Berit avrebbe ballato a quel suono scomposto.
Ora non v'era più tempo per le risate e i pensieri felici, né la musica né le ballate.
Se avrebbe perso Kili avrebbe perso tutto, persino se stesso.
«Lo spero anche io.» Sussurrò in risposta, prima di chiudere gli occhi.


 

«Bofur, aspettami! Stai andando..oh mi perdoni...troppo veloce. Ho solo un paio di gambe, sai? E non sono nemmeno tanto lunghe, se non l'avevi notato.» Ori era corso dietro al nano con le trecce e il cappello, sistemandosi meglio la blusa lunga che gli arrivava alle ginocchia. Una grossa cintura di cuoio gliela stringeva ai fianchi, ma ciondolava malamente ad ogni passo. Aveva svoltato dietro un palazzo di legno, ritrovandosi schiacciato contro la parete per evitare di capitombolare addosso ad un'arzilla vecchietta col bastone. Quella fece un urlo alla vista di nano e si piantò la mano al petto, allargando le labbra.
«Oh per i cieli celesti.» Quella esclamò ma Ori era già troppo in là per riuscire a captare la sua voce. Bofur stava ondeggiando tra una persona e l'altra, decisamente risoluto e scattante, tanto che non rallentò il passo quando sentì Ori urlargli dietro le spalle.
«Bofur, per tutte le pancette. Mi vuoi aspettare? Non sai neanche dove stai andando. Oh, perdoni..mi perdoni..mi scusi...bellissimo cappello signora..oh...» evitò un gruppo di donne uscite dal vicolo del mercato, quelle esclamarono all'unisono quando lo videro trottare dietro l'altro nano dal buffo cappello. Una di loro sorrise di gusto, inquadrando la capigliatura strana e bionda del giovane nano. Ori stava portando con sé – tra l'altro – un piccolo quaderno rilegato in cuoio, che teneva ben saldo sullo sterno.
«Ori, scatta con quelle gambe e smettila di parlare che perdi fiato. Devi respirare, Gloin lo dice sempre. È quello il segreto.»
«Ma io sto respirando!»
«Fermo!» E Bofur allungò una mano verso destra, giusto un istante prima che Ori gli piombasse addosso con tutto il petto. Si fermò, bloccandosi poco dietro all'amico. Un gruppo di gente correva avanti e indietro, schiamazzando e parlando, mentre i passi rimbombavano sui pioli. Bofur allargò lo sguardo e lo puntò in ogni punto umanamente visibile per la sua razza, abbassandosi anche col busto per spulciare tra le gambe dei passanti. Ori fece lo stesso, allungando il collo minuto e fissando il loco con estrema minuzia.
Berit e Nori, ovviamente, erano ancora dati come dispersi e nessuno aveva avuto l'ardire di interessarsene a dovere. Bofur aveva pensato di chiedere a Thorin di poter parlare col Governatore, nel caso i due nani fossero stati portati altrove, ma il Re non era stato avvistato per tutta la mattina dai suoi Compagni nani e così aveva deciso di intraprendere quella ricerca per conto suo. Aveva intenzione di portarsi dietro Bifur ma – aveva poi pensato – che non sarebbe stato molto comodo per chiedere informazioni in giro. Bombur ancora dormiva quieto e sereno nella sua stanza e non aveva alcuna intenzione di chiedere aiuto a Dori. Aveva pensato a Fili ma, quando lo aveva visto giungere con la figlia del chiattaiolo, non si era sentito in dovere di potergli gettare contro anche un'altra responsabilità. Tutti erano in pena per Kili, lui stesso aveva cercato di risollevargli il morale, la sera prima, raccontandogli un buffo aneddoto antico, ma Kili più lo ascoltava e più si stancava e aveva deciso di lasciarlo alle attenzioni del fratello. Non gli aveva più rivolto la parola dopo la discussione davanti al camino e non aveva voglia di percorrerla nuovamente. Prima avrebbe trovato quei due incoscienti e prima sarebbe stato meglio per tutti quanti.
«Magari, non trovandoci, si sono addormentati da qualche parte. Magari qualcuno li ha ospitati in casa propria, hai visto come sono benevoli con noi, ora?»
«Tu credi sul serio che qualcuno abbia potuto ospitare Berit e Nori senza averli già cacciati fuori dalla porta per il disordine e per il fatto che – guarda caso – manca l'argenteria?»
Ori stava per ribattere ma fece una smorfia consapevole, piegando il volto. Avevano cominciato ad avanzare lenti, vicino ai carretti del mercato, ritrovandosi a fissare la gente e a essere fissati dalla gente. Alcuni di loro li salutarono con orgoglio e giubilo, altri li ignoravano, altri ancora non ricambiavano la stessa spensierata attenzione di altri.
«Non mi sembrano persone che hanno dell'argenteria in casa propria.»
«Su questo hai ragione.» Incalzò Bofur, prima di svoltare verso destra. Il mercato proseguiva su una via più stretta. C'erano meno carri ma la gente era accalcata sul sentiero di pioli per evitare di cadere nelle acque scure del Lago. Quel giorno non faceva particolarmente freddo, il vento non soffiava da est e il sole, alle volte, filtrava oltre l'ingrigirsi del cielo.
«Possiamo sempre provare a chiedere: io sono sempre stato bravo con le persone.» Disse Ori, guardando l'amico. Sorrise ad una donna che gli passò affianco e quella gli fece tutto un inchino con la testa. Arrossì di colpo per tutta quell'attenzione.
«Magari loro hanno già chiesto di noi e sono tornati nelle mura che ci ha donato il Governatore, a questo non avevi pensato, vero?»
Bofur non ci aveva pensato per il semplice fatto che non era convinto che quei due fossero realmente in giro a cercarli. Aveva paura che qualcosa li tenesse bloccati da qualche parte e sperava che non fosse qualcosa di terribile o pericoloso. Quel pensiero gli fece fare uno scatto più veloce. Ori di nuovo dovette velocizzare il passo per stargli dietro.
«Bofuuur non andare così di fretta, mi fanno male le ginocchia.»
«Ma perchè sei venuto con me se dovevi solo stare a lamentarti? Non sei preoccupato per Nori? Per Berit? Ti interessa almeno trovarli?»
Ori si bloccò di scatto e rimase immobile ad osservare Bofur con una punta di orgoglio nello sguardo. Piegò le labbra per la rabbia, stringendo i pugni contro i fianchi.
«Cosa pensi, che solo tu – qui – sei preoccupato? Certo che lo sono, ma andare in giro senza meta, senza avere idea di dove siano non aiuterà di certo a trovarli. Sto cercando di darti dei suggerimenti che tu stai ignorando, per tutte le barbe grigie, quindi non venirmi a dire che non m'interessa.» Ori aveva alzato un indice e lo stava puntando dritto alla faccia di Bofur. Quello rimase a guardarlo, guardò il suo indice, poi di nuovo il suo sguardo e – a sorpresa - scoppiò a ridere divertito.
Ori non credeva ai suoi occhi, come poteva ridere? Quel viaggio non doveva fare proprio bene alla mente di Bofur. O forse era la lontananza da Berit che gli faceva perdere il lume della ragione.
«Ma..perchè stai..oh dai, ma non ridere...» Sbottò Ori, tutto rosso in volto. Ma Bofur continuava imperterrito e non riusciva proprio a smettere, tanto che gli posò la mano sulla spalla e gliela strinse appena.
«Ori..sc-scusami, non volevo ridere ma..d'accordo adesso mi riprendo, mi riprendo, mi riprendo...» prese a respirare per riprendersi, il volto tornò di un colorito pressapoco normale mentre si prodigava nelle migliori tecniche di respirazione col naso e la bocca, tanto che Ori non riuscì a capire bene cosa stesse facendo. Stava già per intervenire con una domanda quando Bofur si impettì risoluto. «Scusami, davvero, non volevo ridere ma...è che...questa situazione è malsana. Per la mia testa, per il mio controllo, per tutto. Probabilmente sto ridendo per evitare di fare cose come...strafogarmi di cibo, o scavare buche come i conigli nei viottoli, o lanciare sassi per disturbare l'acqua o..»
«Bofur, zitto!» Ori si voltò di scatto, mentre due uomini stavano passando proprio dietro di loro.
«..o anche solo, non lo so, preparare degli stufati, ma poi Bombur ci rimarrebbe male quindi-» «Bofur, ascolta!» Ori gli tappò la bocca proprio mentre quell'altro si stava prodigando in un'altra sfilza di parole e si voltarono entrambi verso i due uomini. Erano anziani ma piuttosto arzilli, con la schiena ricurva e la parlantina veloce.
«...Ma ti dico di sì, Jon, erano pieni di monete e altri strani oggetti. Forse provengono dalla stessa compagnia di Nani ma di certo non avevano l'aspetto di due Nani per bene, non so se mi spiego.»
«Ma non ho capito perchè sono stati arrestati. Avevano rubato qualcosa?»
«Non credo abbiano rubato nulla – o meglio – lo hanno fatto forse ma di certo non a gente importante.» Incalzò uno dei due, piegando la schiena. Erano alti uguali eppure erano gobbi, per parlare.
«Ma allora perchè arrestarli?»
«Oh ma lo sai, come sono quelli in armatura, amano mettere manette ai polsi.»
«Ma non ai polsi giusti però-» e già stavano per sghignazzare per quella velata allusione lasciva quando si fermarono proprio davanti a due Nani. Entrambi con gli occhi sgranati e l'aspetto un po' trasandato, dritti e immobili davantia loro.
«Sapete dove li hanno portati? Sono della nostra Compagnia, non sono dei malviventi.» Disse Bofur, guardandoli entrambi. Ori gli diede manforte con cenni d'assenso.
«Saremo molto riconoscenti per il vostro aiuto, non vorremmo disturbarvi ma è di vitale importanza.»
I due uomini si guardarono velocemente prima di puntare lo sguardo verso ovest, puntando un indice dall'altra parte della strada.
«Nell'edificio delle guardie, sono lì che vi sono le celle. Ma... non credo sia così facile entrarci.»
«Grazie!» Risposero all'unisono entrambi, sgusciando via a tutta velocità, per quanto potessero essere veloci loro. I due uomini si guardarono ancora perplessi prima di procedere.
I due arrivarono davanti all'edificio non poco più tardi. Si persero diverse volte ma riuscirono a seguire le indicazioni di alcuni passanti prima di giungere proprio davanti al portone. Era chiuso se non per una piccola porta aperta sulla sinistra. Il legno era intagliato con rilievi speciali ma pacchiani, niente a che vedere con gli intagli dei nani. Una guardia stava gironzolando lì intorno, la spada nella fodera e l'armatura scintillante legata alle articolazioni. Non tintinnava come Nori ma aveva il passo pesante e metallico.
«Mi scusi?» Richiamò Ori, avvicinandosi veloce con Bofur di seguito. «Mi dispiace disturbarvi, signore, ma volevamo sapere se avete portato qui due dei nostri nani.»
«E voi chi sareste?» Quello si fermò di colpo, guardandoli senza espressione. Aveva piantato gli stivali a terra.
«Siamo due nani della compagnia di Th-»
«Non si vede che siamo due nani? Hai due cetrioli al posto degli occhi, per caso? Ieri sera eravate tutti qui tronfi a guardarci mentre ci portavate dinnanzi al Governatore e già oggi non vi ricordate? Bel modo di fare la guardia, Guardia. Validi membri a difendere il Governatore, a quanto vedo, ma sia mai che si sforzano di ricordare coloro che sommergeranno d'oro questa città.» Bofur s'era piazzato davanti a Nori e già guardava la Guardia con profondo disgusto. Non era mai stato un nano poco avvezzo alla cordialità ma, di certo, non sopportava l'arroganza di quelle persone. Non la sopportava a stento nei nani, figuriamoci.
«Due nani sono chiusi nelle nostre celle per aver rubato monete e argenteria varia. Non posso fare nulla per loro, se non parlare col Governatore e decidere il da farsi.» Si guardò intorno svelto, l'Uomo, impettendo le spalle. Non era famoso per la scaltrezza di parole. «Ma di certo voglio vedere qui Thorin Scudodiquercia in persona, per la trattativa.»
«Aaah, ma allora non hai la memoria di un fagiolo, ti ricordi di Thorin. Di che trattativa stai parlando? Sono due dei nostri e di sicuro v'è stato un errore, avete ben intuito la nostra missione o sbaglio?»
Ori s'era ammutolito dietro le spalle di Bofur mentre questo imperversava di parole verso la Guardia. Si stava artigliando le dita, veloce.
«Ascoltami bene, Nano, non posso fare nulla senza il consenso del Governatore. Quindi vi conviene aspettare se non volete guai.»
Bofur strinse i pugni e sospirò pesantamente, andando a guardare Ori. Stava cominciando a sentirsi irritato per davvero e – di certo – la voglia di ridere per il nervosismo era bella che passata. L'altro nano si strinse nelle spalle, scuotendo debolmente il nano.
«Dobbiamo dirlo a Thorin.»


 


 

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Capitolo 26
*** Siete orgogliosi, ma leali ***


Capitolo 26.
Siete orgogliosi, ma leali




Bilbo era ormai abituato alla vista di Thorin furioso – e chi meglio di lui lo aveva visto in tale maniera? - ma adesso era diverso. Era estremamente silenzioso, un silenzio che squarciava il tempo, appesantiva l'atmosfera solo con il passo che rimbombava mentre incedeva avanti e indietro davanti ai due Nani che – arruffati e stanchi – stavano dinnanzi a lui col capo basso e le braccia ciondolanti.
Quando Thorin aveva scoperto cos'avevano combinato aveva subito presenziato davanti al Governatore, portandosi dietro Balin e Dwalin. Bofur era rimasto dinnanzi all'edificio delle Guardie, risoluto a non muoversi d'un solo passo finchè da quella porta non fosse uscita Berit. E Nori, naturalmente anche Nori. Il Governatore e Alfrid, il suo lecchino d'eccellenza, avevano storto il naso per quella situazione. Non volevano mettersi contro il Re sotto la Montagna dopo la promessa di quel patto cospicuo, ma erano assai allergici ai contrattempi che riguardavano la sua gente. Sapeva che PonteLagolungo pullulava di laidi saltimbanchi e malfattori e, di certo, non era molto saggio fare sfoggio del lato marcio della sua città per equiparare quel malcontento suscitato da due Nani che stavano solo, a conti fatti, girovagando per le strade. Le Guardie ben sapevano che tutte quelle monete provenivano dal Vecchio Torchio ma di certo era molto più interessante elargire con la classica storia del cittadino derubato. Alfrid non faceva che ghignare per tutto il tempo e Bofur continuava a pensare alla malsana idea di strappargli quel monociglio dalla fronte con un colpo secco. Il Governatore, comunque sia, continuò la sua recita magnanima e accettò di liberare i due Nani a costo che non si ripetesse una simile vergogna nelle sue strade.
Thorin aveva dato la sua parola per la seconda volta, a quell'uomo, e fu Bofur a promettere che sarebbe stata mantenuta senza alcuna eccezione.
E così Berit e Nori uscirono da quella piccola porta, dilaniati dalla vergogna. Bofur s'era avvicinato alla nana ma non le aveva sorriso, come suo solito. L'aveva presa per un polso e l'aveva letteralmente trascinata verso la loro casa provvisoria. Nori era dietro Dwalin e quello stava attento che Thorin non decidesse di uscire fuori di testa proprio in quel momento.
Aspettò che varcassero l'uscio di casa per quello.
Non appena chiuse la porta, con un tonfo talmente secco da far vibrare tutto l'edificio, si scagliò verso il primo oggetto che trovò – un'innocente coppa di metallo - per lanciarlo contro il muro opposto. Tutti i nani si erano bloccati, sgomenti, e Bofur aveva lasciato la presa dal polso di Berit. Lei aveva evitato di guardare sia Bofur che Thorin per tutto il tragitto. Sentiva la pressione della mano del suo caro amico sul polso e bastava intuire da quello che non era - ovviamente - di buon'umore. Era avvilita dal fatto che fosse lei il motivo di quel malcontento, non sopportava l'idea di vedere Bofur preoccupato, arrabbiato...deluso.
Non voleva essere lei la causa della perdita del suo sorriso. Non aveva minacciato Bilbo mica per niente, in fin dei conti.
Thorin continuava a marciare con il respiro pesante, quanto i suoi passi, avanti e indietro e evitava di guardarli. Berit lo aveva visto così inferocito solo una volta, durante l'incidente delle fucine, in quel frangente aveva seriamente temuto di poter essere esiliata nei Colli Ferrosi. L'idea di allontanarsi dagli Ered Luin – da sola – non le piaceva per niente, instaurava in lei una paura insolita, l'unica che di notte la lasciava sveglia a pensare, mentre guardava il volto della luna crescente o il suo annebbiamento dietro un manto scuro.
La paura della solitudine, dell'abbandono della sua stirpe, della gente che più amava. Di certo era consapevole che, comportandosi in modo irresponsabile, tutto ciò non migliorava.
«So di non poter pretendere molto da voi. Avete intrapreso questo viaggio di vostra volontà e sono sempre stato grato a tutti voi, perchè..» Thorin aveva cominciato a parlare, il tono era calmo, terribilmente calmo, nonostante la voce restasse roca e rocciosa. Era il tipo di rabbia che covava dall'interno, bruciando l'animo. «..quando ho chiamato avete risposto. Tutti quanti, nessuno di voi escluso.» Per un secondo Thorin si mise a guardare Bilbo e Bilbo ricambiò lo sguardo con un mezzo sorriso. Durò un secondo, un'ombra effimera sul volto. «Ma questa...potevate mandare all'aria l'intera missione. Per un vostro stupido capriccio, un vizio che poteva compromettere tutto, persino voi stessi. Ve ne rendete conto?» Thorin s'era avvicinato ai due nani e fissava, in particolar modo, Berit. Lei alzò appena lo sguardo ma non riuscì a contrastare quello dello stesso Re, una forza più pesante opprimeva la sua volontà di tenere alto il capo. Sentiva Nori, accanto a lei, irrigidirsi ad ogni parola.
«Siamo qui per riconquistare Erebor, non per riempirci le tasche di monete vinte ad uno stupido gioco o rubate – qualunque sia il motivo non m'importa - Il Governatore ci ha graziato con questa dimora, con cibo, armi e cavalcature per raggiungere la Montagna e, credetemi, nulla mi vieterà di raggiungere i piedi di Erebor, nemmeno la vostra imprudenza.» Questa volta la voce s'incrinò e prese una tonalità più alta. Berit cercò con lo sguardo Bofur ma quello non la fissava, aveva la schiena rivolta al camino e lo sguardo basso. Vedeva Fili e Kili seduti sulla poltrona e strinse le labbra quando Kili le sorrise, ricambiando lo sguardo.
«Kili sta male, non migliora e abbiamo ben altri problemi di cui preoccuparci, senza poter perdere tempo. Quindi mi auguro che una cosa del genere non si ripeterà o fino a che non partiremo per Erebor chiederò a Dwalin di controllarvi affinchè non usciate da questa casa, intesi?»
Nessuno dei due rispose. Nori aveva le guance arrossate e Berit respirava pesantemente. Sentiva la morsa al petto premere sempre più forte, avrebbe voluto dire qualsiasi cosa ma un blocco alla gola glielo impediva.
«INTESI?» Gridò il Re, trattenendo la voce rauca. I suoi capelli scuri ondeggiavano oltre le spalle, sembrava più stanco, anche il volto era pallido e malnutrito.
«Lo abbiamo fatto per avere una cassa sicura.» Fu Nori a parlare, con voce flebile e un po' strozzata. Dori e Ori drizzarono la schiena, attenti. Dori non era riuscito a salutarlo come si deve, una volta tornato, era rimasto arrabbiato e preoccupato. Ori era stato meno rigido, almeno uno dei due fratelli non lo considerava la delusione del proprio sangue.
«Che cosa hai detto?» Thorin voltò su di lui lo sguardo, era furioso.
«Non sappiamo cosa..cosa troveremo, effettivamente, sulla Montagna. Volevamo...essere sicuri che non saremmo tornati a casa a mani vuote. So che il mio vizio porta problematiche fin da quando riesco a rammentare ma – sono sicuro – di aver fatto una scelta saggia, recuperando il denaro che abbiamo perso per essere traghettati fino a qui. E-»
«Dove sono quelle monete, Nori? Nelle tasche delle Guardie, quando vi hanno arrestato. È stata davvero una scelta saggia?»
«È stata colpa mia. Mi sono accorta che gli uomini stavano truccando la scommessa e mi sono...alterata. Se fossi rimasta calma non sarebbe successo nulla. Abbiamo tentato di scappare prima di creare qualche disastro ma...»
«Gli uomini che abbiamo incontrato, quando siamo scappati dalla casa di Bard, ci hanno visti e hanno preso Berit. Ho dovuto trovare un modo per depistarli.» Concluse Nori.
I due nani si guardarono velocemente e Thorin alternava lo sguardo sui due con una velocità attenta. Lo sguardo era rovente ma sembrava placare ogni impulso dentro di sé.
«Cosa vuol dire “hanno preso Berit?”» Questa volta fu Bofur a parlare, facendo un passo in avanti. Sciolse le braccia che gli cingevano il petto e soffermò lo sguardo sulla nana. Lei lo ricambiò con un abbozzo di sorriso tenue ma Bofur non sembrò volerlo condividere.
«Avevano minacciato di ucciderla e..non riuscivo a capire quale piano poter usare per tirarci fuori da quella situazione. Berit non riesce a comunicare con me come lo fa con te.» Nori rispose direttamente a Bofur, ruotando il volto per guardarlo e Bofur spostò lo sguardo da lui a Berit, trattenendolo su di lei con insistenza.
Nemmeno ora v'era bisogno di parlare, per capire. Non era arrabbiato realmente con lei, aveva avuto paura. Molta più paura di quello che credeva. Berit era sempre stata in grado di cavarsela da sola ma, questa volta, era diverso. Erano troppo vicini alla meta, troppo vicini alla vera consapevolezza di ciò che li attendeva al di là del Fiume Fluente. Aveva corso il rischio di non rivederla e, questo, aveva annebbiato ogni altra cosa.
Un pensiero talmente profondo che lasciò il segno sul proprio volto.
Berit lo notò e spostò lo sguardo da Bofur a Thorin e, questa volta, fece un passo in avanti. Avanzò con lo stesso sguardo che prima aveva rigettato, cercando quello del Re.
«Non ci sono scuse per la pazzia che ci ha spinto ad allontanarci dalla Compagnia, proprio in un momento così poco propizio. Abbiamo davvero pensato che potesse essere un'alternativa sicura nel caso fosse finito male, il nostro viaggio. Lo sai, Thorin, noi siamo...nani caparbi, siamo attratti dalle cose belle, dall'oro, dalla risolutezza di ciò che pensiamo e diciamo. Abbiamo aspettato che il Governatore vi lasciasse andare prima di concederci questo piccolo vizio, eravamo sicuri che, una volta tornati, vi avremmo trovati ancora qua. Non abbiamo fatto i conti con molte conseguenze, del nostro gesto, ma chi di noi lo fa realmente?» Si voltò a guardare tutti, Berit, soffermandosi anche su Fili – il nano non le rivolgeva lo sguardo – e tornò su Thorin subito dopo. Il Re la stava guardando con serietà ma non la interruppe.
«Scusaci, Thorin. Siamo stati degli incoscienti, non è proprio un comportamento onorevole.»
«Concordo con ogni parola detta da Berit.» Anche Nori si fece avanti d'un passo, guardando dritto Thorin in volto. La nana, affianco a lui, prese a sospirare.
Thorin rimase in silenzio per diversi secondi, Dwalin fece un passo in avanti e guardò in direzione di Balin. Fu il vecchio nano il primo a incedere di fianco al Re, posandogli una mano sulla spalla.
«Avanti Thorin, gli errori li commettiamo tutti, purtroppo è stato un contrattempo scomodo ma siamo tutti qui, ora. Il nostro viaggio sta per concludere, è inutile riempirsi di una rabbia che non ci serve. Non ora.» Balin sorrise alla volta dei due nani di fronte a lui e loro ricambiarono.
Thorin era rimasto silenzioso. Non voleva covare rabbia verso Nori e Berit, si era preoccupato alla stessa stregua degli altri della Compagnia non vedendoli tornare. Ogni nano, di quel viaggio, faceva la differenza. Ognuno di loro era indispensabile, insieme al loro piccolo Scassinatore. Non voleva rinunciare a nessuno di loro, mai, ma doveva far sì che capissero. Lui stesso non era stato sincero nei confronti dei suoi compagni, quando aveva perso la Chiave, e le cose si erano risolte in segretezza ma questo era diverso. Non poteva lasciar correre nulla che potesse mettere in pericolo, oltre che la missione, la vita dei suoi compagni. Perchè, per loro, lui stesso l'avrebbe data, anche per una stupida causa che vedeva le scommesse clandestine.
Il tocco di Balin sulla spalla, di certo, lo aveva quietato. Si voltò a guardare il nano anziano e fece un solo cenno, prima di alzare entrambe le mani.
In una prese la spalla di Berit e nell'altra quella di Nori, i loro volti s'avvicinarono e lo sguardo restò ancorato ai loro.
«Noi siamo Compagni e lo saremo per sempre, non porto rancore verso di voi, siete la mia gente, i miei fratelli, la mia famiglia.» Lo sguardo vacillò su Berit con più insistenza e lei abbozzò un piccolo sorriso sul volto. «Ognuno di noi guarda le spalle all'altro e così sarà finchè la mia anima non varcherà le tombe dei nani. Ma un'altra mossa azzardata come questa e dirò a Dwalin di colpirvi forte in testa. Molto forte.»
I due si guardarono per un secondo e poi sorrisero all'unisono. Thorin strinse un po' la presa prima di lasciarli liberi.
«Ora che tutti si riposino, adesso. Specialmente tu, Kili, domani c'è da organizzarsi prima che il giorno della partenza giunga.» Detto questo si congedò dalla sala, allontanandosi dagli altri.
Berit e Nori ripresero a respirare normalmente. Scambiarono poche parole con Balin, un cenno di ringraziamento per le sue parole sempre giuste, prima che la nana, con passo poco aggraziato, prese ad avvicinarsi a Bofur.
Quello era rimasto fermo, vicino al camino, e la fissava senza dire una parola. Quando le si parò davanti dovette abbassare di poco lo sguardo per intercettare il suo. Era davvero arruffata, il viso sporco di terriccio e aveva gli occhi stanchi.
La notte dentro una cella non portava riposo a nessun'anima, che fosse di uomo o di nano.
«Dieci monete che non mi avrebbe ucciso comunque?» Azzardò la nana con un sussurro, sfoderando un sorriso colpevole. Bofur le diede una spintarella tenue, arricciando il naso.
«Non voglio sentire parlare di scommesse per almeno un anno.» Borbottò lui, non riuscendo a trattenere un cenno di sorriso.
«Ma così te ne lavi le mani? Non vale.» Si lagnò lei, mantenendo la voce bassa. Bofur scostò lo sguardo giusto per intravedere Fili che li stava fissando con insistenza. Non tentava nemmeno di nascondere l'ombra cura che gli ombreggiò il volto. Bofur rimase silenzio per diversi istanti, sospirando appena.
«Non allontanarti mai più da me.» Sussurrò lui, in risposta, riportando lo sguardo su Berit. Il coraggio per pronunciare quella frase era salito scomposto e improvviso, tant'è che si sentì avvampare un secondo dopo aver pronunciato l'ultima lettera. Sperò che lei non se ne accorgesse ma, di rimando, Berit mantenne lo stesso sorriso di prima.
La vide avvicinarsi con il volto e il nano sentì uno strano stordimento per tale gesto.
Lei gli cinse i fianchi con le braccia e posò le labbra nell'incavo della mandibola barbuta di Bofur. Gli diede un leggerissimo bacio in quel punto prima di stringersi al suo petto, poggiando la guancia contro lo sterno del nano. Lo sentiva, il suo cuore, premuta lì e un sorrisetto più amplio gli arricciò il volto.
Bofur aveva perso ogni cognizione del tempo; lo sguardo continuava a vagare ovunque e le braccia erano salite, istintivamente, a stringere Berit. Si stavano abbracciando e sentiva ancora la sensazione di quel bacio sul volto.
Breve e un po' umido. Era piacevole.
«Ora ti stritolo.» Disse lei d'improvviso e lo fece davvero, lo strinse così forte che lui tentò di spintonarla via per evitare di rompersi tutte le costole.
«Tu mi vuoi morto.»
«Sì ma non lo dire a Bofur, potrebbe offendersi.»
Non si riusciva mai a mantenere uno stato di pacatezza completa, ma non era importante. Anche se erano pochi attimi, bastava. Quello la spintonò via all'ennesima risata divertita, prendendola per le spalle e portandola nei pressi del tavolo.
Ecco quello che lei stava cercando, lo aveva di nuovo ottenuto.


 

Bilbo continuava a ciondolare da un lato all'altro, era terribilmente stanco e la tensione di poco prima aveva lasciato spazio ad un insano tepore che gli aveva provocato una sonnolenza improvvisa. Un rilassamento vigoroso dopo eterni minuti coi muscoli tesi e allertati. Aveva guardato tutti parlottare e ridere poco prima di vederli scomparire chi al piano di sopra, chi fuori, chi in delle coperte smunte dietro al divano. Era rimasto inerme e spensierato a guardare Bofur e Berit – lei intenta a raccontare di come una donna grassa fischiava dai denti – poco prima di vedere lui scomparire dietro al fratello, su per le scale. Lo hobbit era rimasto avvolto nella sua coperta di lana per tutto il giorno, o almeno così pensava. Non aveva fatto granchè, oltre che mangiare e rilassarsi. Aveva passato un piacevole pomeriggio a conversare con Bombur sulla cucina speziata, mentre Gloin era intento a raccontargli di come suo figlio Gimli era un bravissimo rompitore di roccia. Non era convinto di sapere cosa significasse ma la cosa gli provocò, comunque, della curiosità. Quel Gimli gli sembrava di conoscerlo per via di tutti quei racconti del padre, non gli chiese come mai non fosse in viaggio con loro, in fondo se Gloin voleva dirglielo lo avrebbe fatto senza aspettare la sua fatidica domanda.
Berit s'era avvicinata a Kili e a Fili, ma era al primo che conversava alcuni dettagli della sua avventura alla Locanda degli Uomini. Kili l'ascoltava e cercava di non ridere per evitare di accentuare il dolore alla gamba, lei stava molto attenta a non rendere divertenti alcuni momenti – effettivamente – divertenti. Fili non le rivolgeva la parola ed era convinto che Berit avesse capito il motivo, senza troppo farsi pensieri a riguardo.
Lo hobbit si accorse subito quando la vide avvicinarsi a lui, sedendosi fiaccamente al suo fianco. Si chiese se quella sarebbe stata la volta buona che l'avrebbe vista pulita e profumata, ora che avevano un bagno tutto per loro. Era solo una misera tinozza di legno ma era sempre meglio che una gelida cascata d'un Bosco senza fine.
«Ti ho visto un po' ciondolare, non è che hai fatto tuo il vizio del vino?» Chiese lei con un sorriso. Bilbo sorrise di rimando e scosse la testa, stringendosi nella sua coperta.
«No certo che no. Sono sempre un hobbit per bene.»
«Oh allora mi scusi, signor Baggins, non volevo di certo insinuare male di tale signoria.» Ridacchiò lei, camuffando la voce. Bilbo fece una smorfia, smettendo di guardarla.
«Devo ammettere che mi sei proprio mancata, Berit CipollaPiangente
Lei bloccò ogni tipo di risata, diventando improvvisamente seriosa.
«Non ci provare.»
«Come?»
«Bilbo t'avverto, io sono molto più brava di te coi nomignoli, sarai segnato per l'eternità se osi chiamarmi così.»
«Io trovo che CipollaPiangente sia un ottimo nome alternativo. Aggraziato, tenace, un po' piccante, un po' nostalgico anche. Di quelli che ti fanno scendere la lac-ahio!» Bilbo s'era beccato un pugnetto sulla spalla. Molto esile a dir la verità, se si considerava che Berit non era per niente, esile.
«Sei stato troppo a contatto con Bofur, ultimamente, ammettilo.» Disse lei, ancora ridacchiando.
«Dovevo pur equilibrare la tua mancanza.» Rispose lui, ancora massaggiandosi il punto colpito. Non gli doleva così tanto come voleva far credere, ma gli piaceva mostrare scene teatrali davanti a lei, lo divertiva. Lei rimase a guardarlo con occhi indagatori ma poi s'abbandonò in un sospiro stanco. Si premette le gambe contro lo sterno, facendo vagare lo sguardo altrove.
«Non volevo fare davvero quello che ho fatto. Ero sincera prima.» Prese una pausa, in cui cambiò tono di voce. «In verità volevo farlo, è ovvio che volessi, ma speravo di non causare problemi inutili. Era...tanto preoccupato?» La nana si voltò a guardarlo e lui, per un attimo, intravide qualcosa di più profondo nel suo sguardo. Gli piacque scovare quella luce diversa, non capitava spesso e, poi, era da tanto che non aveva un colloquio privato con la sua amica della mappa. Lui annuì impercettibilmente, avvicinando un po' il volto per sussurrare.
«Ma non dire che te l'ho detto.»
«Ma non me l'hai detto.» Sussurrò lei, con la stessa segretezza.
«Per l'appunto.»
Entrambi si misero a ridere silenziosi prima di ritrarsi con le schiene e guardare verso il fuoco. Berit spostò ancora lo sguardo verso Fili e Kili, quest'ultimo stava dormendo con una strana smorfia sul volto mentre Fili lo fissava, accucciato sulla poltrona e le gambe tirate verso il petto. Gli sembrò molto più piccolo, visto così, e un improvviso ricordo gli balenò alla testa. La cosa le provocò l'ennesimo sconforto che la fece sospirare, ritornando a guardare il fuoco.
«Sono stanca di deluderli. Non è la prima volta che succede e...ogni volta mi prometto che non avrei più ripetuto tali gesti. Però poi qualcosa dentro di me dice “tranquilla Berit, fallo, cosa sarà mai?” e...» Appoggiò il mento contro le proprie ginocchia, schiacciando le labbra oltre queste. Bilbo si voltò a guardarla. Era la prima volta che la sentiva snudare un sentimento così puro verso un pensiero. La cosa lo sorprese in meglio e gli venne da sorridere per confortarla.
«È normale avere paura di questo, io la ho di continuo. Un passo falso e posso ritrovarmi tutti i nani contro di me, non è mica uno scherzo.»
«Bilbo tu non devi dar retta ai borbottii dei nani. Siamo fatti così, è la nostra indole. Tu sei un hobbit e certe cose non le comprendi e noi non comprendiamo alcune cose tue. Come il fatto di non fare continue feste nella tua piccola casa, per esempio.» Sorrise al finale, snudando i denti. «Mi auguro che, alla fine di questa storia, tu abbia la decenza di invitarci almeno per un tè.»
Bilbo sorrise divertito, annuendo con vigore. «Sarebbe proprio il minimo quello.»
Entrambi sorrisero prima di ritornare nel loro silenzio, sospiranti, con i pensieri rivolti chissà dove. Era una scena pacifica quella che poteva avvistare Fili, dalla sua postazione, se si fosse degnato di voltare lo sguardo. Lo fece più volte, in realtà, in un segreto silenzio, perdendosi a rimirare i contorni delineati di Berit e Bilbo, illuminati dal fuoco. Gli venne l'impulso di avvicinarsi a loro e concedersi qualche chiacchera anch'egli ma l'orgoglio non lo abbandonava e restò nella medesima posizione, da solo. Non era ancora pronto di ridere e scherzare con Berit facendo finta che nulla fosse successo, non riusciva a farselo scivolare di dosso com'era bravo fare Bofur. Lui era diverso e aveva bisogno d'un tempo maggiore.
Fu di nuovo Bilbo a riprender la parola, tra i due, facendo schioccare la lingua.
«Thorin è un grande Re e i nani saranno orgogliosi, ma sono leali. Questo l'ho capito e continuo a scoprirlo ogni giorno. Ognuno si porta dietro delle agonie personali e questo lui lo sa, so che non è superficiale come molti potrebbero pensare. Non sarà facile conviverci, ma so che era sincero quando lo diceva: ognuno di noi, qui, è speciale. Nessuno è sacrificabile. Persino io, forse, valgo qualcosa in tutto questo.» Bilbo fece una risata strozzata. Sembrò non crederci davvero e si ritrovò spiazzato quando sentì un braccio di Berit avvolgergli le spalle.
Non sapeva se averne paura o no e, di conseguenza, irrigidì tutti i muscoli.
«Tu sei la parte più importante della nostra storia, Bilbo. E un giorno lo capirai.» Lei gli sorrise e lui si sentì subito meglio. Quando non sembrava covare dei pensieri indecifrabili, Berit mostrava un bellissimo sorriso. Era dolce e sicuro allo stesso tempo, a tratti addirittura ingenuo. Ricordava molto quello di Bofur, sotto certi aspetti, eppure v'era qualcosa di diverso che ancora non riusciva a decifrare con precisione.
«Ma io sono solo...un hobbit
«E quello è solo un camino e guarda che compito essenziale ha. Se non ci fosse staremmo tutti morendo di freddo.» Disse la nana risoluta, stringendo le spalle esili di Bilbo. Lo hobbit notò che non aveva intenzione di rompergli alcun osso quindi si lasciò andare a quel gesto d'affetto. «E quella è solo una scopa ma se non ci fosse probabilmente...Dwalin non si divertirebbe a imbracciarla come un'asta appuntita, fingendo di voler infilzare le terga di Bombur – e Dwalin ha bisogno di divertirsi un po' credimi – e guarda un po'» questa volta indicò qualcosa sul tavolo «quello è solo un pezzo di pane ma se non ci fosse, quando lo stomaco brucia dalla fame, non sarebbe molto peggio?» Questa volta Berit allargò gli occhi e fissò proprio Bilbo. Lui stava ancora sorridendo; Berit aveva modi strani di paragonare cose comuni all'essenzialità del loro compito eppure, nella sua semplicità, vi trovava un senso quasi saggio. «E guarda qua, un piccolo hobbit della Contea, che se non ci fosse stato – probabilmente – a quest'ora saremmo tutti belli comodi, un po' emaciati, dentro la pancia di tre Troll puzzolenti.»
Bilbo, questa volta, sorrise pienamente. Si sentì arrossire per l'imbarazzo e l'improvvisa soddisfazione che gli salì dal petto. «E se non ci foste voi io sarei a casa mia a lamentarmi dei Sackville-Baggins invece di parlare di questo, con te.»
«I Sackville-Baggins non si chiamavano Racchi-Baggins?» Esclamò lei, del tutto sorpresa.
«Oh bè come nome gli starebbe bene anche quello, ma purtroppo no. Dove lo hai sentito?» Chiese lui, non ricordandosi - ovviamente - che fu un nomignolo sfuggito proprio dalle sue labbra, in un momento di poca lucidità.
«Sai una cosa? Dovremmo festeggiare questo momento con del buon vino.» Rispose lei, scansando quella domanda.
«No no no no, no. No. Non è il caso. Perchè non continuiamo a parlare tranquilli e sani davanti a questo caldissimo e essenziale camino acceso?»
Ma Berit era già balzata in piedi, con sguardo vigoroso, diretta verso il tavolo di legno. Aveva la propensione a cambiare drasticamente argomenti, emozioni, umori, veloce come un battito di ciglio. Ma, questa volta, riusciva a capirne il motivo senza dover tergiversare troppo sui propri pensieri.
Lei si salvava così, da ciò che la spaventava, fingendo che tutto potesse andare bene. Con un sorriso. Una battuta. Una sana risata. Ma quello che il cuore cova, nella profondità del nostro io, giaceva lì, silenzioso, aspettando il momento opportuno per esplodere. Forse allora Berit sarebbe stata diversa, forse avrebbe smesso di nascondersi.
Ma Bilbo sperava che questo non accadesse mai perchè gli piaceva infinitamente vederla sorridere, con del vino in mano, pronta a regalargli nuovi ricordi senza che glielo si chiedesse. Era quella la vera bellezza di un'anima semplice. 






NA.

A orari veramente violentissimi e notturni io mi metto a pubblicare capitoli e si vede =_= purtroppo non ho mai tempo per farlo prima *piange lacrime amare* eee niente, la mia storia prosegue sulla scia che ormai mi sono costruita in testa e spero vi piaccia :) giuro che Kili non è diventato immortale ahahaha, so benissimo che è avvelenato MA con quella storia della medicina di Sigrid ho rallentato il processo perchè mi serviva! Tanto Kili è forte, lo sappiamo tutti.
Ringrazio sempre infinitamente tutti quelli che mi seguono ( leila91 ci sei anche tuuu! *_* ) e in particolar modo zebrapois91 e la mia carissima didi_95 che mi hanno recensito tuttotuttotuttotutto e mi hanno reso feliFiFFIma come una bambina! Grazie di cuore. Eee con questo vado a nanna che sennò gli occhi mi si sciolgono, buona notte e a prestissimo!

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Capitolo 27
*** La domanda essenziale ***


Capitolo 27.
La domanda essenziale




Quella mattina il sole brillava alto nel cielo, filtrando attraverso i pochi sbuffi di nuvole che si condensavano a est. Gli uccelli e i gabbiani che volavano sopra le sponde del lago si sentivano cantare oltre le finestre dell'edificio dove dimorava la Compagnia di Scudodiquercia. I nani erano tutti immersi in una colazione abbondante, alcune servitrici del Governatore erano giunte con vassoi e piatti, lasciandoli tutti in onore dei loro ospiti speciali. Anche Kili, sempre controllato dal fratello maggiore, stava seduto di fianco a Balin, mangiando cautamente. Sembrava stare meglio nonostante il colorito della sua pelle non fosse migliorato, il vecchio anziano aveva optato che non fosse stato solo l'aiuto dei medicinali a farlo rinvigorire, ma la stessa atmosfera più spensierata che aleggiava quel giorno. Nori e Berit erano di nuovo lì e tutto sembrava essere tornato alla normalità. Vedeva Kili sorridere nel guardare i suoi Compagni, chi litigava per un tocco di pane e chi rideva, bevendo e mangiando. Anche Fili aveva momentaneamente abbandonato l'aria truce che lo accompagnava da giorni, vedere Kili ancora in piedi e sentire le risate dei suoi Compagni doveva aver alleviato molte pene. Non parlava ancora a Berit, ma ridevano delle stesse battute, quando capitava che Bofur o Ori ne dicessero qualcuna delle loro.
Quest'ultimo, intanto, era alla prese con il suo piccolo quaderno di cuoio. Lo teneva aperto in mezzo ai piatti sporchi e alle briciole della tovaglia. Affianco a lui stava un piccolo astuccio di carboncini rovinati e consunti, uno lo stava utilizzando per disegnare qualcosa sulla pergamena bianca.
«Berit vuoi stare ferma? Non riesco a disegnarti..il..oh cielo dei miei stivali..»
Berit era di fronte a lui, seduta tra Bofur e Nori, intenta a sfoggiare una miriade di posizioni diverse.
Braccia conserte e aria grave; braccio rialzato e sguardo da condottiera; sorriso dolce e occhi sgranati; pugni tesi e chiusi e sguardo crucciato; serietà stoica. Il tutto nell'arco di tempo di pochi secondi, rendendo difficoltoso il compito di Ori di ritrarla. Bofur, accanto a lei, di tanto in tanto si beccava delle gomitate non volute. Nori era intento a parlottare con Dori che, ancora, si rivolgeva a lui in maniera distaccata. Aveva provato a chiedergli della qualità del vino di PonteLagolungo ed era riuscito a scucire, al fratello, una spiegazione secca ma enfatica verso il particolare retrogusto di quella bevanda.
«Scegli una posizione e mantienila, per favore, mi stai facendo uscire di testa.» Ori di nuovo sbuffò, soffiando via della polvere di carboncino dal foglio. Era in alto mare con il ritratto di Berit, per ora era riuscito a disegnare solo i lineamenti del volto, giusto un abbozzo. Aveva deciso che avrebbe ritratto ogni membro di quella Compagnia – seriamente – e voleva farlo prima di partire per la Montagna. Aveva sbagliato soggetto, però, con il quale cominciare.
«Ma lo conoscerai pur il mio volto, io ti do più spunti, così vedi quale ti piace di più.» Rispose lei, ritornando a incrociare le braccia allo sterno, mostrando un espressione grave e truce. Sembrava stesse imitando una classica posizione di Dwalin; lui se ne accorse e le lanciò in testa un tocco di pane, che rimbalzò sui capelli della nana. Questa volta era pulita sul serio – Bilbo lo aveva notato subito – e aveva legato i capelli in due trecce basse. Disordinate però, molti fili bruni sfuggivano dalla presa.
«Ahio.» Si lagnò lei.
«Non imitarmi o ti colpisco col formaggio e quello fa male.» Grugnì Dwalin.
«Ma tu ti imiti in continuazione.»
«Ma io sono io è logico che mi imito...oh per la barba di Balin, nel senso io sono io, non mi imito, sono io.» Rispose Dwalin burbero, staccando con la bocca un pezzo di mela. L'aveva tranciata a metà.
«Questa è una classica scusa.» Incalzò lei risoluta, cambiando di nuovo posizione. Ora aveva sollevato un boccale – non di vino ma sembrava fosse proprio quello – e lo faceva ondeggiare sotto al naso. L'altra mano era sollevata, di grazia, sembrava una brutta imitazione di qualcuno di raffinato.
«Berit io non bevo così il vino, piantala, so che stai imitando me.» Quello era Dori. Le arrivò un altro tocco di pane in testa, questa volta lanciato da un punto imprecisato della tavola.
«Basta colpirmi! Non mi abbatterete mai!» Esclamò, cambiando già posizione. Aveva prontamente rubato il cappello a Bofur e se lo era calato sul capo.
Togliendo baffi e barba, sembrava la versione femminile del nano che aveva di fianco.
«Beriiit.» Bofur tentò di riprendersi il cappello e quella gli menò la mano, scacciandola via.
«Tieni sulla testa quel maledetto cappello e resta ferma, o giuro che non ti disegno più.» Questa volta Ori aveva dettato il suo ordine e Berit sorrise di gusto, alzando un po' il mento, restando in una classica posizione allegra. Bofur si rassegnò nel riprendere il suo adorato copricapo e riprese a mangiare ciò che gli era avanzato sul piatto. Bilbo, dall'altra parte del tavolo, stava sorridendo divertito. Gli era mancato tutto questo, gli era mancato molto. Troppo, a dir la verità, e già gli piangeva il cuore al pensiero che – molto probabilmente – il giorno dopo o quello successivo sarebbero stati già in marcia verso Erebor. Kili sembrava essersi ripreso leggermente e aveva idea che Thorin non fosse più predisposto ad attendere oltre per la partenza. Quella mattina non s'era visto che di sfuggita e ora lo vedeva in piedi, vicino al camino, che osservava la chiave di Erebor. Il Re non sembrava far caso ai suoi Compagni, era come un'ombra di sé stesso. Si chiese se quella Chiave, come il suo Anello, avesse qualche potere nascosto che intaccava l'anima. Bilbo di notte lo accarezzava quando gli altri dormivano, non lo aveva più infilato al dito dopo Bosco Atro ma l'idea di farlo gli era balenata alla mente molte volte. Non per necessità, ma per desiderio, qualcosa che andava oltre la ragione stessa.
«Bilbo prendi!»
Si ridestò da quei pensieri quando Bofur gli lanciò un pezzo di pomodoro.
Lo hobbit non aveva fatto in tempo a spostarsi che l'ortaggio lo centrò dritto sul naso, spalmandosi su tutto il volto. Per fortuna era abbastanza morbido e – a parte l'impatto – non aveva provato dolore. Tutti si misero a ridere, Bofur per poco non ruzzolò giù dalla sedia per l'ennesima spinta di troppo.
«Ma..cosa...» Bilbo si ripulì da tutta la polpa, costernato. Doveva ricordarsi di non sottovalutare mai quei nani, ogni qualvolta che abbassava la guardia succedeva sempre qualcosa del genere. Gli altri non smisero di ridere ma solo Bofur e Berit rimasero a guardarlo con aria sghignazzante – erano addirittura diventati tutti rossi per le risate – Bilbo pensò che se non si calmavano sarebbero soffocati.
«Scusami Bilbo, speravo che lo prendessi con la bocca.» Disse Bofur, riprendendo fiato. L'altra, affianco a lui, continuava a ridere. Non guardava più nessuno, si teneva la pancia e respirava ogni dieci secondi.
«Ma..perchè avrei dovuto prenderlo con la bocca?»
«Bè, Bombur ci riesce!» Esclamò l'altro, infilzando un altro pomodoro per mangiarlo. Ori, che era di fianco a lui, si voltò a guardarlo con aria rassegnata. Strinse il quaderno sul petto e si lasciò andare ad un sospiro lungo.
«Ti do un consiglio, signor Baggins, la prossima volta vai a mangiare fuori, sarà molto più tranquillo. Qui non si cava un ragno dal buco.»
Ogni nano lì presente, colto da un'improvvisa tenacia da battaglia, lanciò contro il nano lentigginoso tocchi di pane e formaggio, volò persino un ceppo di lattuga, esclamando frasi di dissenso. Persino Thorin si riprese dai suoi pensieri e si avvicinò alla tavola, contribuendo ad assistere a quell'attacco verso Ori con un sorriso divertito a fior di labbra.
Ori era stato immerso dalle pietanze e dovette rifugiarsi sotto al tavolo per evitare di essere colpito ancora. Tutti ridevano, tutti mangiavano, sembrava che la stanchezza dei giorni scorsi era stata sopita del tutto. Anche Kili aveva contribuito a lanciare una castagna sul capo di Ori e aveva riso, non troppo per via del dolore. Fili, da canto suo, provò a immergersi in quel gioco ma – qualcosa nella sua testa – glielo impedì. Si ritrovò a guardare Berit, con ancora in testa il cappello di Bofur, stava catapultando un altro ceppo di lattuga con la forchetta, in direzione di Bilbo.
Non era cambiato niente; ogni cosa sembrava tornata al posto giusto, le risate dei suoi compagni e quell'ultimo attimo pacifico che potevano concedersi. Fili diede una pacca sulla testa a Kili e si alzò dal tavolo, in silenzio. S'allontanò dai suoi Compagni, dirigendosi nei pressi del camino. Qualcuno lo aveva notato, in silenzio.
Era sempre così, tra loro: se solo ne mancava uno il tassello cadeva, facendo disperdere la gioia.


 


 

Il pomeriggio inoltrato era arrivato veloce, Balin e Dwalin erano rimasti a tavola a parlare con Thorin per organizzare la partenza. Gloin stava cercando di sistemare la tromba di Oin – era molto fastidioso dovergli ripetere le cose almeno una decina di volte – mentre Kili s'era riaddormentato sulla poltrona, coperto da una stoffa pesante. Fili era seduto a terra, vicino a lui, davanti al fuoco. Avrebbe voluto andare a cercare Sigrid e farla tornare con delle nuove erbe, erano riusciti a farlo stare bene per un giorno ma sembrava che la cosa non stesse migliorando. Rimaneva debole, forse quella pasta grumosa rallentava il processo ma non lo annullava del tutto.
Non gli piacque l'idea di quel pensiero, perchè avrebbe dovuto andare a cercare Sigrid? Sapeva benissimo dove andare, cosa cercare, come farlo; non aveva più bisogno di lei, in fin dei conti. Aveva trovato un aiuto molto prezioso in Oin, quel nano era sempre stato paziente, si era preso cura di Kili come un bravo Compagno e Fili gli era estremamente grato per questo. Tutti, a loro modo, avevano contribuito a farlo stare meglio e non poteva chiedere più di questo. Si voltò a guardare verso il fratello, s'accorse che – vicino a lui – s'era adagiato Bilbo. Guardare quel piccolo hobbit gli scaldò il cuore; in quei giorni non era riuscito a parlargli molto, era strano ma sembrava che Bilbo non fosse veramente lì. Non lo sentiva quando s'avvicinava, a stento lo notava quando era in mezzo agli altri. Sembrava essersi adagiato in quella dimora, forse era proprio quello che stava facendo; stava cercando di ricordare cosa si provasse ad avere una vera casa dentro al quale dormire, mangiare, lavarsi. Non poteva biasimarlo, Bilbo ora era più lontano che mai dalla verde Contea. Guardò Kili e lo hobbit per diversi secondi, anche Bilbo s'era appisolato e gli sfuggì un piccolo sorriso sulle labbra. Un sorriso che sfumò presto quando si ritrovò vicino Bofur.
Non s'era accorto della sua vicinanza, per poco non sobbalzò. Aveva subito rivolto lo sguardo altrove e aveva constatato che Berit non era nelle vicinanze, almeno, e la cosa gli snodò i nervi che gli si erano accavallati sul collo.
«Come sta Kili?» Domandò l'altro. Aveva ripreso il suo cappello, finalmente il suo aspetto era tornato alla normalità.
«Non bene, Oin crede che non resisterà al viaggio e io... non so cosa fare. Kili dice che non rinuncerà a partire per niente al mondo e, in fondo, io so che potrebbe farcela.» Assicurò Fili, con un cenno del capo. «Finchè ci sarò io a sorreggerlo lui ce la farà.»
«Certo che ce la farà, è un nano forte.» Bofur sorrise e Fili evitò di guardarlo ancora. Questa volta erano loro le due figure che si stagliavano davanti alle fiamme del camino acceso. Fili pensò che v'era un bel calore in quel punto, se chiudeva gli occhi pensava di essere tornato di nuovo nelle sue amate fornaci, dove il fuoco era incandescente e bruciava sul serio.
«Spero che nient'altro rovinerà la partenza, sono davvero stanco di tutto. Vorrei essere già giunto al termine di quest'impresa e vorrei poter tornare indietro per evitare che Kili salga su quel maledetto ponticello.» Fili riaprì gli occhi, stringendo i pugni. Non potè fare a meno di annichilire quella sensazione; cominciava a odiare sentirsi così, voleva evitarlo, essere più forte e non soccombere dietro al malcontento, ma non vi riusciva. Non riusciva più a stringere i denti; la paura che suo fratello potesse realmente non farcela lo stava annientando, ogni perdita di forza di Kili era la perdita di forza di Fili stesso.
«Niente rovinerà il viaggio. Domani saremo a Erebor e Bilbo troverà l'Arkengemma.»
«Sperando che Berit non la usi per barattarla con qualche sporca moneta.» Non voleva lasciar sfuggire quella frase, aveva evitato di metterla in mezzo al solo scopo di denigrarla in una maniera del tutto insensata. 
Bofur perse del tutto il sorriso a quelle parole e si ritrovò a fissarlo a discapito dell'altro che, ancora, guardava le fiamme danzanti. Bofur vedeva il profilo di un Re, ne era sempre stato sicuro, ma non riusciva a riconoscere Fili in quello sguardo.
«Fili...avevi detto che il discorso era stato chiuso. O sbaglio
«Sai in cosa sbagli, Bofur? Devi smetterla di giustificarla, di difenderla per ogni cosa. Ti ho visto, ho visto com'eri quando non riuscivi a trovarla. Forse credevi di riuscire a nasconderlo ma non era così. Eri arrabbiato e preoccupato, ma non appena lei è comparsa, non appena ti ha...»
Non dirlo Fili, non dirlo. 
«..abbracciato hai subito dimenticato tutto. È questo il problema di molti di voi, non ragionate, fate scivolare tutto come se fossero problemi da niente e lei, la prossima volta, sarà di nuovo nella stessa situazione e – di nuovo – chiederà scusa, di nuovo prometterà che niente la riporterà su quella strada e ci ritroveremo di nuovo con lo stesso identico problema.»
Bofur era rimasto spiazzato, guardava Fili con occhi sgranati, non riuscendo a spiccicare più una parola. Fili era stato annebbiato da così tanti pensieri, in quei giorni, che non poteva biasimare quella rabbia. Il suo discorso aveva senso ma, forse, era proprio quello che doveva eliminarsi quando si trattava di giustificare i comportamenti dei nani. Fili era di stirpe reale, aveva una formazione diversa rispetto ai più umili lavoratori che li avevano seguiti, come poteva fargli capire che non era quello l'importante?
«Io non la giustifico, lei sa di aver sbagliato e se sbaglierà ancora...allora saprà di aver sbagliato ancora. Non puoi pretendere che la gente cambi perchè non riesci a capire i loro gesti. Sono sicuro che non succederà più nulla fino a che non arriveremo a Erebor ma non posso di certo essere sicuro che una cosa del genere non capiterà più negli anni a venire. Ovvio che capiterà, tu la conosci e conosci...anche Nori, nonostante sia chiaro che è con lei che te la sei presa maggiormente.» Bofur sospirò, provando ad abbozzare un sorriso più studiato. Era sicuro di non riuscirvi e, infatti, sul viso sbucò una smorfia che poco aveva a che vedere col suo solito vigore. «Devi solo trovare il modo di perdonarla e vedrai che riuscirai a comprendere che questi sono pensieri inutili, siamo tutti qui per un compito importante che abbiamo scelto di seguire di nostra spontanea volontà e – ognuno di noi – vuole la stessa medesima cosa.»
Fili aveva captato pienamente quella piccola frecciatina che Bofur gli aveva rivolto, non v'era bisogno di alcuna magia per capire che, entrambi, stavano evitando accuratamente di sfociare in una discussione più accesa. Nessun nano, lì di fianco, s'era accorto di questo e finchè Kili e Bilbo dormivano tranquilli, dietro di loro, non si premurarono di smettere.
«Smettila di parlarmi come se non sapessi dove stai cercando di collocare il tuo discorso, Bofur. So benissimo cosa stai pensando, tu pensi che le mie reazioni per lei siano diverse..perchè provo qualcosa.» Fili lo disse, ormai lasciò perdere ogni buona frase che tentava di farsi strada nella sua mente. Aveva aperto i cancelli delle proprie parole e queste fluivano senza più bloccarsi. «Per questo reagisco così, per questo...per questo non riesco a perdonarla, non riesco a giustificare il fatto che abbia preferito allontanarsi da m-» questa volta s'era bloccato appena in tempo, vide Bofur irrigidirsi di colpo a quella frase e restarono a fissarsi in silenzio per diversi secondi «allontanarsi da noi per seguire un capriccio inutile. Si è disinteressata persino di Kili, con questo comportamento, e non riesco ad accettarlo.»
«Io non sto cercando di collocare la conversazione da nessuna parte, Fili. Io ti ho solo dato un consiglio e mi dispiace che non riesci a cogliere di più, mi dispiace che provi tutto questo rancore. Vorrei che il tuo cuore s'alleggerisse - dico davvero - perchè vedo che i tuoi pensieri non ti sono amici in questi giorni. E...pensavo che parlandone con lei avresti potuto risolvere qualcosa, ma evidentemente non sei ancora in grado di pensare oltre i tuoi stessi pregiudizi.» Questa volta Bofur era scattato in piedi, serio e rigido come una statua, scavalcando un ceppo di legno abbandonato vicino al camino. Fili era la seconda volta che aveva visto Bofur così risoluto e la cosa gli provocò l'ennesimo malcontento. Non era mai bello annientare il buonumore nei suoi Compagni, specie quando avevano faticato tanto a ritrovarlo come all'inizio di quel maledetto viaggio. Si ritrovò a cambiare espressione e una profonda tristezza lo avvolse; la luce del fuoco era così pallida, adesso, che non sentì più il calore delle fiamme.
«Bofur...» Fili lo richiamò di nuovo, questa volta nella voce s'alimentava la consapevolezza, respirò a fondo prima di voltare lo sguardo. Bofur si era fermato a pochi passi da lui e lo fissava dall'alto. Ancora non sorrideva e Fili notò quanto il suo sguardo fosse stanco e spento. «...tu la ami








NA.
Non riesco ad aspettare e pubblico capitoli xD in questo periodo sono nella fase di "mettiamo in mezzo Berit" e quindi mi sto concentrando un po' di più su di lei, rispetto alle altre volte. Anche indirettamente tra l'altro quindi spero che vi piaccia lo stesso e che non lo troviate noioso, brutto, pacchiano e tante altre belle cose xD poi sarà che descrivere di Fili orgoglioso mi fruffa  (termini altolocati) e quindi non posso proprio resistere. GRAZIE come al solito a tutte le ragazze che mi seguono e mi recensiscono, non potrei esserne più felice <3 A prestissimo e buona serata a tutti. 

 

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Capitolo 28
*** Le parole salvano e annientano ***


Capitolo 28.
Le parole salvano e annientano




Berit era immersa in un monologo solitario, a bassa voce, mentre camminava in cerchio intorno al tavolo spoglio. La luce dell'alba filtrava dalla finestra e pochi rumori provenivano da fuori l'edificio. Erano rimasti i disegni di Ori sul tavolo e una pila di piatti puliti che capeggiavano sul lato destro, circondati da posate e tovaglioli malridotti. Il camino era spento ma nell'aria v'era rimasto un po' di calore. Non amava particolarmente le dimore in legno, pensava fossero troppo facili da distruggere. Si chiedeva come facessero Bard e le figlie a vivere in quella palafitta sgangherata. Molte volte era stata deviata col pensiero verso il ricordo di Sigrid e Tilda. S'era divertita molto a cucinare con loro, o almeno a provarci prima di diventare cieca per una buona metà del pomeriggio. L'acqua del lago aveva avuto la miracolosa predisposizione ad alleggerire il bruciore. Avrebbe dovuto allentargli l'udito stesso – col senno di poi – così non avrebbe acceso quel terribile effetto a catena che ancora gli comprimeva il petto. Se tutti l'avevano perdonata per colpa di quel contrattempo – tralasciando Dori e Fili – lei si sentiva ancora sporca d'una sottile vergogna. Non riusciva a restare calma; il breve ma intenso convivere con Nori in una cella sporca e umida non aveva migliorato il suo stato d'animo. Ripensò molto, in quelle ore funeste, aspettandosi di osservare l'ultimo raggio d'autunno da dietro le sbarre di metallo degli Uomini, conscia di non avere alcun diritto di dirigersi verso la Montagna con lo stesso profilo alto dei suoi compagni. Non era riuscita a dormire, colpa anche del russare di Bombur e del ricordo – infido – della lama poggiata contro il suo collo, e s'era messa a gironzolare per il salone senza alcuna meta. Parlottava da sola, guardava fuori dalla finestra, spostava le sedie e gettava ceppi di legno dentro al camino spento.
«...ricordami il motivo per cui non riusciamo più a comunicare. Lo avevo detto, no? L'impulso è una caratteristica del carattere forte, dell'orgoglio che si produce nell'animo battagliero. Non abbiamo parlato per niente quel giorno, quindi avanti – avanti – sforzati di avere il coraggio..sforzati..sforzati...» Quel bisbiglio convulso venne interrotto bruscamente quando – dalla porta principale – si palesò la figura di Fili. Il giovane erede era avvolto in un mantello scuro e il cappuccio calato sulle spalle, i suoi soliti capelli biondi erano stati sparpagliati dal vento e aveva la pelle arrossata. Si fissarono per diversi istanti senza dire una parola, prima che Fili fece solo un leggero cenno, dirigendosi velocemente verso le scale.
Il nano era ancora conscio di star tenendo in piedi una stupida recita dettata da un carattere troppo spinoso, ma la conversazione con Bofur – la sera precedente – non aveva aiutato i nervi ad alleggerirsi. Era da tutta la notte che aveva lasciato l'edificio, lasciando Kili nella stanza con Oin e Gloin, pregando loro di tenerlo d'occhio e venirlo a cercare in caso di bisogno. Era tornato davanti allo speziale, ben conscio che di notte – quel povero lavoratore – era a casa a godersi un buon sonno ristoratore. Ma non gli importava, aveva bisogno di allontanarsi dai suoi Compagni ed era stato meno utile di quanto sperasse. I pensieri deviavano verso di lei, e c'era qualcosa di indecifrabile che non riusciva a cogliere. Un tormento che non lo manteneva tranquillo, se Oin l'avesse saputo avrebbe urlato alla profezia dell'Erede ma sapeva che non c'entrava alcuna profezia, questa volta.
Era qualcosa di molto più nascosto e segreto.
«Fili, aspetta, non te ne andare.» Berit cercò di fermarlo, facendo un passo avanti. Aveva ancora le trecce un po' sfatte, indossava una blusa che ricordava di aver visto indosso a Ori, tempo fa, probabilmente l'unica della sua taglia. I suoi occhi grigi erano velati da dei solchi più profondi, la notava la sua stanchezza. Mentale e fisica che fosse.
«Ho sentito che stavi parlando con te stessa, non volevo interromperti.» Si limitò a dire Fili. Pareva una battuta di spirito e Berit, infatti, sorrise divertita.
«Questa è buona.»
«Devi dirmi qualcosa? Vorrei andare da Kili...» sospirò Fili, non tradendo per nulla al mondo quella sua espressione stoica, seriosa. Berit rimase torva a guardarlo, facendo scemare subito il sorriso creatosi.
«Prima sono andata a controllarlo, ha la febbre e gli ho preparato un infuso.»
Fili inarcò un sopracciglio, perplesso.
«Sì d'accordo, glielo ha preparato Oin, però l'ho svegliato io. Sono stata brava.» Concluse lei, tentando si sfoderare l'ennesimo sorriso. Riuscì a trattenerlo sul volto questa volta, nonostante Fili non riflesse nulla di quell'espressione. Era rimasto ai piedi delle scale, ancora avvolto dalla mantella. Berit gli si era avvicinato e ora sostava a pochi passi da lui. La tensione che percepiva non le alimentava il desiderio di avvicinarsi ulteriormente a lui.
«Non so come ripeterti che mi dispiace. So che ho fatto una cosa molto stupida, la mia mente diceva di non farlo ma...lo sai, no?» Provò a lei, abbassando la voce. Si stava martoriando le dita. «Tutti noi abbiamo fatto qualcosa di stupido. Ti ricordi quando mi hai parlato sul monte delle Aquile? Io non le volevo neanche le tue scuse, ma tu ti sei sentito in dovere di prendermi in disparte e chiarire la situazione e ...ora è giusto che sia io a farlo. Spero solamente che le accetterai, perchè...» Berit sfumò la frase, abbassando lo sguardo. Fili questo non riuscì a sopportarlo. Strinse i pugni e fece un passo in avanti.
Lei si accorse del suo sguardo solamente quando si ritrovò le spalle artigliate dalle mani del nano, il volto dritto di fronte al proprio e il suo sguardo acceso, bruciava d'una antica fiamma.
«Perchè..cosa? Eh? Perchè ti infastidisce che io non ti rivolga la parola, per caso? E da quando questo è un problema, per te? Non ti è mai importato di niente, l'importante era correre dal tuo adorato Bo-» bloccò il dire, pigiando le labbra tra loro. Sentì le spalle di Berit irrigidirsi ma non abbandonò il suo sguardo. Lei lo fissava con gli occhi sgranati e la respirazione corta che gli smuoveva il petto. «...avevo bisogno di te, in questi giorni, avevo paura per Kili. Ho paura per Kili. Non migliora, non riesce a rimanere un intero giorno senza sentire il bisogno di stendersi e diventa sempre più pallido, più debole. Se non fosse stato per Sigrid, ora, probabilmente non saprei dove sbattere la testa. Ho sperato invano che tu tornassi, ho sperato che tu non fossi veramente andata con Nori in quello stupido posto. Per cosa poi? Per rischiare la morte? Non puoi proprio paragonare questo a quello che è successo nelle grotte dei Goblin. Io mi sono sempre preoccupato per te, ma tu non lo hai mai fatto per me ...ed è forse questo, questo che non riesco a perdonarti.» Fili allentò la presa sulle spalle di Berit e lei riprese a respirare, non distogliendo lo sguardo per un secondo.
Lei si sentiva bruciare il petto e il volto. La testa era piena di mille parole che erano solo parole, non era questo di cui Fili aveva bisogno.
Fece uno scatto in avanti e – a sorpresa –  Fili si ritrovò stretto in un abbraccio. Era l'ultima cosa che si aspettava da Berit. Rimase di sasso, restando rigido come un tronco, in attesa di un successivo gesto che non avvenne. Lei gli si arpionò al collo e lo strinse forte, con le mani che si chiusero dietro la schiena del nano. Il volto ripiegato sulla sua spalla e il respiro affannoso. Non le interessava che lui non ricambiasse.
«Scusami.» 
L'unico sussurro che sfuggì dalle labbra della nana prima che tornasse il silenzio. Fili non riusciva a pensare ad altro. Alzò le braccia, lentamente, li sentiva come macigni di ossa e pelle ma quando si ritrovò a stringere i fianchi della nana, ad immergere la guancia sopra il suo capo scuro, a ritrovare un vago odore di terra, tutti i nodi si sciolsero.
La strinse nello stesso modo in cui lei lo stava stringendo: forte.
Sapeva che era solo un abbraccio ma in quel gesto v'era rinchiuso qualcosa di più, reciproche parole che non avevano mai avuto il coraggio di scambiarsi, che lei aveva sempre rinnegato alla stessa stregua di quel gesto stesso. Quante volte l'aveva vista toccare, abbracciare, pizzicare Bofur e mai una volta che si prodigasse a farlo con lui, che non fosse un pugno amichevole, una pacca o una testata. Non gli servivano altre scuse, adesso, lei gli stava regalando qualcosa di più unico che raro e sapeva quanto era importante.
Chiuse gli occhi e sentì, di nuovo, le lacrime pizzicargli gli angoli. Aveva avuto bisogno di questo dal primo momento in cui Kili era stato colpito dalla freccia.
Aveva bisogno di qualcuno che gli dicesse che poteva rilassarsi – per un secondo – perchè v'era sempre chi era pronto a sorreggerlo. Le lacrime cominciarono a sgorgare, rigando le guance arrossate e scesero copiose quando sentì le mani di lei risalire verso i suoi capelli. Gli stava accarezzando il capo e dondolava appena col corpo, stringendosi ulteriormente in quell'abbraccio. Il volto rivolto verso l'esterno ma attaccato alla sua spalla, poteva percepire il suo respiro e persino il battito cardiaco.
«Ho paura Berit...non voglio perderlo...ho..»
«Ssssh.» Gli intimò lei, con un sussurro addolcito. Si stacco docilmente da quel contatto per guardarlo in volto. Subito le mani scivolarono via dai capelli di Fili per potersi adagiare sul volto dell'amico, levandogli via le lacrime con uno sfioramento dei pollici.
Sorrideva, carica di una dolcezza sicura, mentre cercava il suo sguardo. Fili notò che aveva gli occhi lucidi ma non stava piangendo, se voleva farlo di certo non lo dava a vedere.
«Smettila di piangere o ti cavo gli occhi.» Mormorò lei con lo stesso tono di poco prima e lui scoppiò in una risata disperata e divertita insieme, stringendo le palpebre. Non riusciva a smettere, odiava farsi vedere così fragile e debole, era un comportamento che non contrastava più. Quel gesto gli aveva annientato ogni scudo difensivo.
«Ora ascoltami; Kili è uno dei guerrieri più tosti che io abbia mai conosciuto – sì addirittura più di te - » lei fece una lieve smorfia prima di continuare «non può morire per una stupida freccia, dico giusto? Non ho mai visto Oin perdere un proprio malato quindi non ti devi preoccupare. Kili è forte e non ha nessuna intenzione di lasciarti da solo.»
Fili tentò di sorridere e annuì a quelle parole, tirando su col naso. Lei fece un altro sorriso e gli lasciò una lieve carezza, sfilando via le mani dal suo viso. Rimasero a guardarsi per diversi secondi prima che lei fece un ulteriore passo avanti.
«Perchè non provi a chiamare Sigrid? Sono sicura che quella ragazza possa aiutarti ancora, mi ha guarito dalla cecità quel giorno.» Disse lei, indicandosi gli occhi.
Lui sorrise di nuovo e si pulì il volto dalle ulteriori lacrime. Il pugno chiuso e le nocche che martoriavano la pelle, era diventato ancora più rosso.
«Non può..fare molto neanche lei. Ci servirebbe un cerusico ma non abbiamo tempo.»
«Perchè non provi a chiamare Sigrid, Fili?» Lei ricalcò quella domanda e gli sorrise più convinta. Lui non riusciva a capire e corrugò appena la fronte, abbassando il capo verso un punto imprecisato. Aveva ancora lo sguardo annebbiato dalle lacrime ma avevano smesso di rigargli il volto, scomparendo nella barba intrecciata.
«Non c'è tempo, oggi voglio rimanere con Kili e prepararlo per il viaggio. Deve restare completamente a riposo...ho ancora un po' di quella medicina, sono sicuro che andrà..andrà bene oggi.» Disse di nuovo lui, rialzando lo sguardo.
Lei rimase sorridente, abbozzando un sospiro rassegnato, annuendo. Lo prese per le spalle, facendogli cenno verso le scale.
«Dai ti accompagno su, vediamo se Oin s'è addormentato col mortaio in mano. Ci ho messo quasi un rintocco pieno prima di fargli capire che non lo avevo svegliato per “piantare la cresta dell'oca”, qualsiasi cosa voglia dire, poi!»


 


 

A mezzodì un paggio del Governatore si presentò davanti all'edificio dei Nani, chiedendo di Thorin. Portava un messaggio, vergato elegantemente su un foglio di papiro arrotolato. Bilbo non aveva mai pensato che la posta potesse essere consegnata dai paggetti. Nella sua Contea v'era chi si occupava di questo, per tutti, nessuno aveva il proprio porta-messaggi personale. Il Primo Cittadino invitava Thorin Scudodiquercia e Compagnia ad un banchetto in loro onore, nella piazza principale, per festeggiare la loro vicina partenza. Thorin aveva subito espresso un vigoroso dissenso a quell'invito ma Balin aveva detto lui che – probabilmente – un'ultima serata in festa sarebbe stata apprezzata da tutti gli altri. Era da tanto che non banchettavano in allegria, suonando e cantando le ballate antiche, un pensiero che poteva far stare meglio Kili stesso. Gli Uomini di quel posto era risaputo fossero diventati gentili e benevoli verso di loro – ogni qualvolta mettevano il naso fuori dalla porta venivano acclamati e salutati con profondi inchini – Ori non era riuscito ad abituarsi mai del tutto a questo, s'imbarazzava subito. Balin sapeva essere convincente stillando giusto due parole e Thorin, alla fine, aveva ceduto. Aveva avvisato tutti gli altri che quella sera potevano rilassarsi ma che non dovevano assolutamente comportarsi inconsciamente. Aveva guardato Nori e Berit durante quell'ammonizione e loro aveva espresso l'assoluta promessa che non avrebbero creato ulteriori problemi. Il timore che gli Uomini di quella Locanda li avrebbero trovati, al banchetto, si insinuò il loro per tutto il giorno ma – era pur certo – che era gente che stava ben attenta a non creare problemi alla luce del sole, come si soleva dire. Specialmente davanti allo stesso Municipio di Esgaroth.
Tutti erano in trepidazione per la serata, Gloin si era persino pettinato e lo stesso valeva per Dori e lo stesso Bombur. Ci voleva eleganza anche per mangiare, a detta sua. Nessuno era sicuro che credesse realmente ad una frase del genere. Kili stava leggermente meglio anche se camminava a stento, ormai, ma non voleva assolutamente mancare alla serata. Fili era bendisposto a restare a casa con lui se non se la fosse sentita ma Kili non voleva saperne. Era impossibile far cambiare idea a quel cocciuto di un Durin.
Quando Berit passò davanti alla loro stanza lì sentì parlare dell'elfa dai capelli rossi, Kili aveva chiesto con voce innocente al fratello se – per caso – aveva delirato il suo nome durante quei giorni di sonno. Si sarebbe curiosamente fermata ad ascoltare quell'interessante conversazione ma si ritrovò bloccata davanti alla porta aperta della stanza di Bofur, Bombur e Bifur. V'era solo il primo lì dentro, stava lanciando per aria mappe, stivali, armi, vestiti, altre armi, altri vestiti, il flauto. Persino la pipa.
S'era accostata alla porta, appoggiandosi con la spalla contro la trave, controllando ogni gesto dell'amico con un pizzico di divertimento nello sguardo grigio.
Incrociò le braccia al petto e rimase attenta.
Bofur non la notò subito, continuava a gironzolare per la stanza con un'irruenza scattante. Prima era vicino al letto, poi trottava verso il mobile, poi era alla finestra, poi lo vide togliersi il capello, se lo rimise, lo ritolse e poi se lo rimise, borbottando parole che Berit non riuscì a capire.
«Bofur, hai bisogno di una mano?»
Fu in quel momento che il nano si voltò di scatto e se la trovò lì, sull'uscio, sfatta e bella nella sua semplicità. Rimase imbambolato per diversi istanti prima di rendere un respiro profondo.
Berit fece una smorfia con le labbra; sapeva benissimo cosa voleva dire tutto questo.
«Non ho bisogno di una mano, avrei bisogno di almeno un carro di mani ma non credo che – alla fine – riuscirei a cavarne qualcosa di buono lo stesso e sarebbe, anche, a tratti inquietante. No perchè devo pensare a tutto io, per il viaggio, sia mai che Bombur si svegli dal suo dolce far niente e decida di aiutarmi a capire come organizzarmi, lo sapevi che Bombur non ha mai fatto una sacca da viaggio in vita sua? L'unica volta che l'ho visto immergersi in tale impresa aveva riempito la scarsella di torte avvolte nelle foglie. Foglie! Ti rendi conto?» Bofur prese l'ennesimo respiro. Ora stava maneggiando l'ascia, controllando l'affilatura della lama. «Perchè Bofur deve stare attento che non si addormenti e deve stare attento che Bifur non si infilzi l'altra metà della testa con uno spuntone di metallo o lo perdiamo del tutto. Alle volte si dimentica persino il khuzdul e io non riesco a capire un'accidenti di quello che vuole comunicarmi. E poi scopro che mi sta solamente dicendo che preferirebbe che qualcuno gli facesse una treccia anche a lui.» Bofur fece una risata nervosa, gettando sul letto una miriade di scartoffie. Berit non era sicura neanche che fossero sue, quelle. «Una treccia, Bifur. Certo. Ah e per non parlare del fatto che mi ritrovo, ovviamente, immerso in conversazioni assolutamente inadeguate per il periodo senza che possa controbattere, che sia mai che Bofur possa controbattere qualcosa, a cercare di dissipare i malcontenti, lui ride sempre eh-eh, e se fa il serio tutti gli dicono che assomiglia a Dwalin ma – guarda caso – io non sono mica pelato sul capo. Non ancora almeno, speravo di diventarlo almeno a 200 anni.» Fece una pausa di un solo secondo. «E Fili mi dice che sbaglio, che non dovrei adagiarmi, che non devo lasciarmi scivolare addosso le cose, mi chiede se per caso sono innamorato di te, se io faccio discorsi che possono alludere al fatto che lui forse non capisce che quello che lui dice può avere un senso che non ha a che fare coi sentimenti. Ovviamente non pensa al fatto che – forse – reagisco così perchè, in effetti, sto semplicemente fingendo che va tutto bene. E poi mi chiedo: ma di che cosa stiamo parlando? Ah non lo so. Mi ricordo che prima eravamo su un discorso e poi non eravamo sul discorso; persino Ori quel giorno mi ha fatto la ramanzina, gli ho persino riso in faccia. Mi chiedo perchè ho riso poi, in fondo non c'era niente da ridere, ma proprio ero al limite capisci? Non riuscivo più a controllare le mie reazioni, meglio ridere che piangere dico io. O meglio ridere che gettarsi sulle torte, sui formaggi, sul maiale salato, sulle..»
«Hai finito?» Berit lo interruppe bruscamente. Aveva ancora quel sorriso divertito vivido sul volto chiaro e lo sguardo acceso puntato su Bofur. Quello, senza nemmeno rendersene conto, stava tentando di indossare gli stivali all'incontrario.
«N-no. No..no che non ho finito.» Disse lui tutto concitato, riprendendo a respirare. Si sentiva spiazzato da sé stesso, era una sensazione curiosa. Si limitò a guardarla, con le labbra schiuse e lo sguardo perso prima di annuire rassegnato, pigiando le labbra. «Sì ho finito.»
Berit fece una risata, spostandosi dallo stipite e avvicinandosi a lui con passo pesante. Lui s'era accorto di quello che stava facendo e aveva scambiato gli stivali. Non aveva il coraggio di guardare Berit in faccia, adesso, avendo fatto mente locale su tutta quella valanga di parole che gli erano sfuggite. Era una cosa che gli succedeva di rado – perdere il filo del discorso in maniera così opprimente – e Berit aveva avuto l'onore di assistere ad una perdita di questo controllo diversi anni orsono, per colpa di un tal fatto che nemmeno ricordava più. Questa era la seconda volta che assisteva ad un evento di tale portata.
«Che cosa gli hai risposto?» Domandò Berit, guardandolo negli occhi.
Bofur non riuscì a capire subito, corrugò la fronte e si ritrovò a boccheggiare senza avere più parole, ora. Si mise dritto con la schiena, abbassò lo sguardo sul volto dell'amica e fece una smorfia perplessa.
«Eh?»
«Cos'hai risposto a Fili quando ti ha chiesto se eri innamorato di me?»
Il cuore di Bofur gli esplose nel petto in un milione di frammenti. Non s'era reso conto di essersi fatto sfuggire quella frase mentre delirava, un secondo prima, e ora si ritrovò a fissare Berit come uno stoccafisso. Non era un bene; lei era solita captare ogni cambiamento d'umore di Bofur dal solo sguardo, com'era solito fare lui. Si ritrovò a boccheggiare per l'ennesima volta, tentando di non concentrarsi troppo sul rimbombo alle orecchie che percepiva. Il cuore stava martellando come un forsennato, dentro al petto, tanto da sentirsi stordito.
«Bè..io gli ho detto - gli ho detto...la verità
«Mh-mh?» Lei rimaneva lì, davanti a lui, in un'attesa sorridente. Era rimasta silenziosa e curiosa, ciondolando appena sui talloni.
Lui si era ritrovato a pensare ad una miriade di scuse per fuggire da quella stanza o buttarsi giù dalla finestra, nel caso, o magari tramortirla con una testata e fingere che fosse caduta una tegola.
Certo, una tegola nel pieno della stanza era una scusa molto credibile. Ma non poteva pensare di tramortirla, lui ci teneva a quella testolina. Un attacco di mal di pancia, magari. O fingere di aver sentito Bombur cadere dalle scale. Qualsiasi scusa sarebbe stata perfetta se solo fosse riuscito a cavare dalla gola delle semplici parole. Ma lo sguardo di Berit era fisso e non poteva più attendere, avrebbe capito che stava tergiversando consciamente.
Oh per tutte le schiere di Aule, dille la verità e facciamola finita, razza di mollaccione.
«Gli ho detto..di no. Naturalmente, no. Insomma io e te siamo buoni amici ma...amarti? È una faccenda ardua. Non è mica una parola che si dice tutti i giorni, dico bene? A noi non serve, non lo vogliamo e quindi...no. Gi ho detto che non ti amo
Bofur avrebbe voluto cavarsi gli occhi dalle orbite pur di non notare lo sguardo di Berit ombreggiarsi in maniera così radicale. Tratteneva quel sorriso sulle labbra ma i suoi occhi si erano spenti d'improvviso, come due fiaccole morenti. Ampliò la curva delle sue labbra e gli diede una spinta lieve sulle spalle. Quello barcollò all'indietro e si sforzò a sorridere di rimando, ma non vi riusciva. Era da troppo tempo che non riusciva a farlo come un tempo.
«Bravo, hai fatto bene, ti avrei preso in giro per sempre se gli avessi detto qualcosa di smielato, sia mai che gli altri si facciano...brutti pensieri. Ora- Ora..ti lascio alle tue cose, a non far addormentare Bombur, a fare la treccia a Bifur, a...metterti gli stivali al posto dei guanti e..no, sì ecco, ti lascio a fare quello che stavi facendo prima, insomma.» Detto questo indietreggiò velocemente, ritrovandosi a sbattere contro la parete con la schiena con un tonfo. Fece una risatina nervosa e si spostò verso l'uscio, sgusciando lì fuori. Bofur avrebbe voluto fermarla ma quando lei gli puntò lo sguardo addosso si sentì svuotato da tutto.
Quei maledetti occhi non brillavano più.
«Ci vediamo dopo per il banchetto, e non bere troppo Bofur.» Sparì oltre l'uscio mentre stava ancora parlando. Bofur scosse il capo violentemente, coprendosi gli occhi con il palmo. Berit smise ben presto di sorridere anche con le labbra, scendendo dalle scale velocemente.
Nessuno dei due vide nulla di tutto questo.

 

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Capitolo 29
*** Un buon auspicio per il Re degli antri ***


Capitolo 29.
Un buon auspicio per il Re degli antri




La musica s'innalzava dalla Piazza davanti al Municipio mentre alcuni filoni argentati ciondolavano vicino ai lumini accesi, il profumo delle cibarie aleggiava sopra le teste di tutti i presenti. La gran festa era iniziata e alcune campane avevano rintoccato nella penombra della sera, illuminata dal riverbero della luna crescente. Un leggero nevischio cadeva intorno al gazebo che era stato innalzato sopra una lunga tavolata piena di bevande e un buffet ricco di pietanze di ogni tipo. Ogni nano era presente e presentabile – nei limiti della loro propensione nell'essere presentabili – e molti Uomini e Donne ballavano e ridevano intorno a loro, festeggiando le loro gesta con ballate e canti melodiosi. Era ben giusto dire che tutti si stavano divertendo, a discapito di quello che credeva Thorin. Il Re sotto la Montagna era ebbro di vino e sidro, rideva alla volta di Dwalin e Balin – lì di fianco – brindando ogni volta che il suo boccale veniva riempito. La sua voce imperiosa sovrastava sempre tutti, acclamando la sua amata Montagna e alzando la spuma verso la cima che si ergeva oltre le nubi grigie e trasparenti. Il freddo, quella sera, non scalfiva le ossa e le loro pellicce e i manti pesanti ornavano i loro corpi con grazia. Bilbo era stato issato sul tavolo e stava giocando, insieme a Ori, ad una sottospecie di gioco da tavola con le pedine: le pedine erano delle stoviglie intagliate. Non aveva la minima idea di quali fossero le regole esatte ma si stava divertendo come poche volte era successo nella sua vita tranquilla. Aveva indossato una bellissima tunica color porpora, vellutata, che lo copriva fino alle ginocchia. Berit e Fili erano seduti vicini, intenti a rovistare nei piatti sotto ai loro nasi.
Berit – quella sera – aveva dato il meglio di sé. Bilbo si era prodigato in mille complimenti; aveva constatato che quella nana aveva un aspetto piacevole se si ricordava di prendersi cura di sé stessa. Aveva lasciato i capelli sciolti se non per due fili di trecce che partivano dalle tempie – orizzontali – fino a legarsi dietro la nuca. Il volto era pulito da ogni tipo di terriccio e, stranamente, odorava di un profumo normale. 
Non v'era rimasto neanche un nano ancora lucido e la gente intorno a loro non faceva che versare calici e riempire i piatti. Alcuni bambini si inseguirono sotto ai tavoli, seguiti da qualche animale che gironzolava lì intorno. Il Governatore era rimasto in disparte rispetto al chiacchiericcio maestoso, vicino al suo fedele leccapiedi e a qualche membro della Guardia. Il Primo Cittadino osservava i suoi ospiti, rotolandosi davanti al naso un fazzoletto consunto e grigio, soffiandoci dentro ogni qual volta un filo di vento filtrava troppo forte, oltre gli edifici.
«Speriamo non si abituino troppo a queste feste, gli Uomini si viziano in fretta. Non ho alcuna intenzione di sperperare monete per simili festività così poco pudiche. Ptz.»
«Oh non temete, mio Signore, una volta che ci libereremo di questi starnazzanti Nani tornerà tutto alla normalità. Pensate solo alla montagna d'Oro che vi aspetterà una volta che raggiungeranno la loro Montagna.»
«Non faccio che pensarci, Alfrid. Credi che avrei imbastito tutto questo se non vi fosse una buona ragione?»
«No, mio Signore, voi avete giudizio più di chiunque altro qui.»
«È assolutamente così.» E soffiò dentro il suo fazzoletto, facendolo sventolare per lo sforzo.
I Nani continuavano a ridere e a brindare, v'era un gran chiasso nella loro postazione. Nonostante la lunghezza del tavolo erano rimasti tutti piuttosto vicini. Kili era l'unico a cui era stato proibito di bere ma – di nascosto – era riuscito a rubare un boccale di vino. S'era sentito meglio, quella sera, nonostante la gamba gli doleva terribilmente. Non aveva la febbre alta, le erbe di Sigrid – seppure in maniera ridotta – stavano aiutando a farlo sentire meglio e quello per ora bastava ai più. Fili lo controllava spesso mentre era intento a infilzare uno spiedino di carne, bagnandosi le labbra con un altro boccale di birra. Nonostante l'angoscia che attanagliava l'elfo biondo era riuscito a lasciarsi andare, quella sera, aiutato dal fatto che Berit covava verso di lui molte più attenzioni rispetto al solito. Bofur, stranamente, era dall'altro lato del tavolo e stava avvolgendo con il salame pezzente il collo di Bombur. Il fratello non se n'era accorto – era impiastricciato di pezzi di carne e creme da buffet su tutta la barba rossa, aveva almeno dieci boccali di birra davanti al suo naso. Tutti vuoti.
«Gloin attento alla testa!» Quello era Nori, stava lanciando una coscia di pollo – intera – dall'altra parte del tavolo. Un gruppetto di donne aveva riso con voce cristallina, circondando Nori e sollevandolo per le spalle. Nori rideva, lasciandosi prendere senza esitazione. Non tintinnava, quella volta, Dori ne rimase sollevato. Anche lui aveva ceduto alla bontà del suo buon vino rosso e s'era inserito in una conversazione sul buon gusto di quella vendemmia con due Uomini che la pensavano esattamente come lui. Era raro vederlo ascoltare piuttosto che parlare, in quelle occasioni, la cosa sembrava metterlo di un buonumore esaltante.
«Ehi! Attento che puoi cavare un occhio a qualcuno con quell'affare.» Sbraitò Gloin, aveva la barba imperlata di birra. Le guance erano rosse come due pomodori maturi.
«Credo che sia tra poco, l'oca.» Rispose Oin. Aveva infilato qualcosa nell'orecchio non accorgendosi che si trattava di un flauto, non della sua tromba. Bifur aveva riso, prendendogliela dalle mani e picchiandolo sulla testa con un “tonc” secco.
«Che fai? Non tirare, non tirare, non tirar-» Ori stava tentando di sfuggire ad una presa di Bilbo che – per chissà quale motivo – s'era avvinghiato alla sua cinta e la stava tirando verso sé stesso. Quando quello la mollò Bilbo rotolò indietro, sopra al tavolo e Ori finì addosso ad una ragazza dall'aria paffuta e allegra. Il nano aveva fatto sfoggio di tutte le sfumature che la sua pelle poteva sopportare quando era stato issato di nuovo in piedi.
«Fi?» Quello era Kili – sorrideva come un ebete – il vino aveva assopito il dolore alla gamba ma non poteva camminare o sarebbe caduto drasticamente a terra. Lo stava tirando per la collottola, tirandogli tutti i capelli biondi. Quell'altro per poco non perse l'equilibrio all'indietro, sulla panca.
«Ki, i capelli i capelli, dannazione, non tirar-»
Berit si ritrovò ad artigliare il braccio di Fili e quello già pendeva sulla destra, sbattendo la testa contro quella di Kili con un tonfo sordo. Entrambi si portarono la mano sulla fronte e poi scoppiarono a ridere, finendo con l'aggrapparsi a vicenda l'uno sull'altro. Berit aveva lasciato la presa non appena una ragazza – poco simile a Sigrid ma dimostrava la medesima età – s'era avvicinata cauta a loro tre, in mano reggeva un recipiente di legno. Berit fu la prima ad accorgersene e alzò il boccale, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi. Aveva lo sguardo annebbiato e non riusciva a distinguere bene le sue forme, in quel frangente.
«Non vorrei disturbarvi...ma mia madre ha preparato questa per voi, spero che gradiate.» La sua vocina flebile – di certo – veniva oscurata dalle risate di quei due accanto a lei.
«Oh, c'è Sigrid.» Sussurrò Berit, scaltra, dando una pedata a Fili per farlo riemergere da quello stato goliardico e subito – quello – scattò sull'attenti, portandosi dietro Kili. Il suo sguardo si posò sulla figura della ragazza che aveva davanti e non riuscì a nascondere la violenta delusione che gli si incise sul volto. Berit stava ridendo come un ebete – aveva ben colto le sfumature del suo sguardo – mentre la ragazza aveva attenzioni solo per il volto di Fili, fu verso questo che porse il recipiente, coperto da una stoffa ricamata. Non sembrava aver udito niente di insolito, d'altronde.
«Grazie, te ne siamo molto grati.» Rispose lui gentilmente, abbozzando un sorriso.
Quella sorrise timidamente e arrossì su tutte le guance prima di inchinarsi col capo e allontanarsi velocemente. Non appena Fili aprì la scatola s'accorse che dentro v'era una torta alla frutta, rotonda e dall'aspetto più che invitante.
«Fili: quella ragazza vuole sposarti. Ti ha regalato una torta!» Esclamò Berit, arrampicandosi sulla sua spalla. Kili, dall'altra parte, fece la stessa cosa.
«Oh per Aule, Fi, ora devi pensare al vestito. Ai bambini. Alla luna di miele.»
«La volete piantare, idioti? È per tutti.»
«Ah sì, per tutti. Intanto guardava proprio il tuo bel faccino, a meno che tu non abbia sul volto anche i nostri. Peccato che non fosse S-...oh per tutti i Troll, Fili, hai sul viso i nostri volti?» Berit apparve sconvolta, rendendosi conto di quanto detto, mentre Fili appoggiò la torta sopra al tavolo, lanciandole un'occhiata contrita. Bombur fiutò la pietanza dolce come un felino, afferrando il recipiente. Bofur stava ridendo come un forsennato, di fianco a lui, perchè Bilbo aveva i capelli sporchi di panna e un ciuffo gli si era drizzato in alto come una lancia. Berit lo guardò per un secondo prima di ricomporsi davanti alla tavola. Afferrò di nuovo il suo boccale di vino e ne bevve un gran sorso, sporcandosi le labbra.
«Non provare a rubarmi la faccia, fratellone, è la mia arma vincente.» Incalzò Kili mentre rideva sotto i baffi. Gli comparve una leggera smorfia quando si ritrovò a girarsi e Fili scattò subito sull'attenti, aiutandolo nei movimenti. S'accorse che la sua pelle s'era accaldata di nuovo e gli posò la mano sulla fronte.
«Ti sta risalendo la febbre, devo portarti a casa.»
«Non fare il guastafeste.» Si lagnò Kili, socchiudendo lo sguardo. Aveva ripreso a sudare e un leggero brivido lo scosse. Fili s'era già alzato ma Kili, questa volta, fu risoluto nel tenerlo ben saldo seduto sulla panca.
«Fi, non ti azzardare a lasciare questa festa...per me. Io posso tornare da solo, è proprio qui dietro, ce la faccio. Hai bisogno di rilassarti, domani ci aspetta un grande viaggio.» Incalzò il fratello minore, fissandolo dritto in volto. Fili era combattuto, era vero che si stava divertendo molto, la musica gli alleggeriva l'anima, la gente e la festa che continuava tra le risate e le chiacchiere goliardiche era qualcosa che gli era mancato. Non voleva che quell'atmosfera finisse, gli ricordava quando festeggiavano negli Ered Luin, in mezzo alla sua gente, all sua famiglia.
«Ho ragione o no, Berit?» Di nuovo Kili che mise in mezzo anche la nana. Quella aveva la bocca piena di qualcosa di indecifrabile.
«È affolufamenfe fefo.» Disse, sputacchiando, prima di afferrare di nuovo il boccale. Fili non era sicuro che avesse seguito il discorso ma Kili sembrava soddisfatto di quella risposta. S'alzò dalla panca con un po' di fatica e Oin fu subito dietro di lui. Qualcuno – Bifur – gli aveva incastrato la sua tromba dentro al colletto della giacca pesante. Kili fece cenno a Fili di non dirglielo – sghignazzando di nascosto – mentre quello lo aiutava a camminare.
«Ci penso io a portarlo a casa Fili, non ti devi preoccupare.»
Fili gli sorrise grato e Kili fece lo stesso. Oin era pieno di profezie e non sentiva un'accidente, ma era una delle anime più buone e altruiste di quella Compagnia.
«Grazie, giuro che tornerò presto così potrai riposarti.»
«Oh no grazie, la torta non la mangio stasera.» E detto questo s'allontanò, portandosi dietro Kili zoppicante. Fili rimase a guardarlo per diverso tempo fino a che non li vide sparire oltre il Municipio.
Adesso la musica era cambiata, suonavano i flauti e dei tamburelli, alcuni Uomini ballavano allegri, tra le risate di tutti. Molti tenevano il tempo con le mani scalfendo la melodia. Una donna provò a trascinare Nori in mezzo alle danze – e vi riuscì – mentre un'altra provò a fare lo stesso con Thorin ma non ebbe lo stesso risultato.
Bilbo, per qualche strana ragione, si era ritrovato arrampicato alla schiena di Bofur e questo lo stava trasportando da una parte all'altra del tavolo – arraffando tutto ciò che riusciva a trasportare verso la sua postazione. Aveva ancora i capelli sporchi di panna e il vino stava alleggerendo il suo animo.
«...E così le ho detto: nossignora, io non lo voglio il pesce pescato dal vecchio Grandolmo, quello non li mette in fresco subito, no no. Poi sono unti, lo sapevi che i pesci sono unti?» Biascicava, mentre ballonzolava sulla schiena di Bofur. Quello gli fece tenere un pezzo di formaggio enorme, che quasi gli cadde dalle dita.
«Ma questa era proprio antipatica!» Esclamò Bofur, concitato, tralasciando quella personale visione sui pesci.
«Sì, voleva che lo comprassi per forza, da non credere. Mi ha detto di donarle i miei cuscini come baratto, nel caso.» Continuò Bilbo, tutto concitato.
«Perchè i cuscini?»
«Ma io non lo so.» Squittì Bilbo con occhi stralunati. Non ricordava nemmeno più perchè avesse cominciato quel discorso, aveva ripensato alla sua solita Contea – durante quella festa – lì ve n'erano spesse per i solstizi e le buone raccolte. Gli piaceva andarci anche se non vantava la conoscenza di molti amici, ma poteva assaggiare il buon cibo e bere i buoni sidri che la sua gente distillava. E poi aveva il vago ricordo di Gandalf che amava ornare i cieli con i suoi fuochi d'artificio – ma era da quando era solo un piccolo fanciullo che non li vedeva – e lo Stregone ora gli mancava infinitamente. Sperava di vederlo comparire sempre, a sorpresa, chiedendosi se quello era davvero un buongiorno, una buonasera, un buonpomeriggio e tutti i buon che gli potevano venire in mente.
«Prendi questo, occhio a non farlo cadere.» Bofur gli aveva infilato tra le dita qualcosa di molliccio e Bilbo fece una smorfia schifata.
«Ma che cosa mi stai-?»
Si bloccò perchè vide Ori rotolare da un lato della panca, quasi lo sovrastarono ma Bofur riuscì a scavalcarlo.
«Olà. Ora puoi anche scendere.» Il nano si era finalmente seduto alla sua postazione, proprio davanti a Fili e a Berit intenti a mangiare avidamente qualcosa che non riuscì a decifrare. Sembravano i rimasugli di una torta che era stata scavata con le dita.
Sperava che non fosse davvero così, vedere una torta martoriata in quella maniera era un affronto. 
«Mi gira un po' la ...testa, ma dove...» voltò lo sguardo annebbiato verso il punto in cui Thorin stava brindando con l'ennesimo calice di vino. Dwalin stava ridendo sguaiatamente per qualcosa mentre Balin aveva il volto paonazzo. Dori era ancora immerso in una conversazione piena di gesticolazioni con i due Uomini di prima; s'era aggiunta anche una donna in carne, dalla capigliatura più scomposta di quella di Berit nei suoi periodi peggiori.
«Bevi un po' di questo, ti aiuterà.» Bofur gli piazzò davanti un boccale di un sidro dall'odore dolcissimo, gli ricordò le mele mature degli alberi. Subito lo prese tra le mani e ne ingurgitò un bel sorso. Era un liquore forte ma estremamente buono.
«Ehi ma quello era mio.» Bombur si lamentò della cosa, imbronciando il volto. Non durò molto quando Bofur gli posò davanti l'intera caraffa del vino, il suo volto si illuminò.
«Fili leva quelle dita che te le schiaccio.» Berit minacciò il nano biondo con un sogghigno divertito. Aveva le guance rosse poco meno di quelle di Balin e Gloin e gli occhi lucidi ma sorridenti.
«Te la stai mangiando tutta tu, grassona.» Si lagnò Fili, tirandosi il recipiente verso sè stesso.
«Ah-ah, Berit è grassa.» Questo era Ori, passato di là come una scheggia, prima di sparire al di là del tavolo.
«No allora, se io sono grassa voi siete degli Olifanti con la dissenteria.» Si lagnò lei, piegando le labbra. 
Bofur aveva evitato di guardare lei e Fili per tutta la sera – s'era accorto che qualcosa non andava – come poteva non averlo captato, in fondo? Era lui la causa e questo non gli sollevò il morale di certo; anche il suo umore era incrinato da una brutta sensazione opprimente. Berit era la solita Berit ma, per la prima volta da quando ricordava, una conversazione di questo genere – fatta di risate e battute - si faceva strada tra lei e un altro nano. Il fatto che fosse Fili non aiutava a non pensare al fastidio che lo aveva assalito dall'inizio di quella serata.
«Ma tu non sei grassa, sei bella, sei bella per essere grassa.» Bilbo aveva azzardato quel complimento, sogghignando divertito. Aveva il corpo che ciondolava tutto verso destra.
«E tu sei basso!» Incalzò lei, tirandogli addosso delle briciole di pane.
«Anche tu sei bassa.» Rispose Bilbo, facendole una linguaccia. Non gli uscì bene, sembrava avesse avuto una paralisi alla bocca.
«Berit devi fartene una ragione, sei graaa-» Fili non fece in tempo a finire la frase che si ritrovò spiaccicato sulla faccia tutta la pasta sfoglia cremosa della torta che stavano mangiando. Lui rimase bloccato con la bocca dischiusa e lei cominciò a ridere divertita, tirando il capo all'indietro.
«Maledetta.» Sibilò il Nano, andando a pulirsi il volto con la prima cosa che gli capitò sottomano. Per sfortuna di Dori era la sua tunica, ma quello non se ne accorse. Aspettò che lei si distraesse per raccogliere della crema e spalmarla con velocità sulla faccia di Berit. Quella tentò di mordergli le dita con un ringhio animalesco e gli lanciò in faccia l'ultimo rimasuglio di torta che riuscì ad artigliare.
«Attento a non ingurgitare un solo pezzo, Fili, o potresti morire avvelenato.» A parlare fu Bofur, questa volta, e la nana si voltò a guardarlo di scatto. Stava ancora lasciando morire le ultime risate e il volto era rimasto sereno. Accolse quella frecciatina con la stessa spavalderia.
«Non l'ho mica cucinata i- Ehi, cosa vorresti insinuare: che non so cucinare?» Esclamò lei, fingendosi indignata. Aveva appena appoggiato il boccale vuoto e già ne stava riempiendo un altro, non s'era prodigata nella pulizia del volto come Fili e aveva ancora pezzi di crema su tutto il naso. Bofur si limitò a guardare prima l'uno e poi l'altra, strofinandosi le dita sulla punta del naso.
«Non lo sto mica insinuando, lo sto dicendo.»
«Ha parlato, poi, il signore dell'Arte Culinaria dei Monti Azzurri, col grembiuuulino e il mestolo.» Incalzò lei, alzando il calice. Questa battuta fece ridere Bombur che per poco non si strozzò con un pezzo di pancetta salata.
«Magari non saprò cucinare ma almeno io so fare un sacco di cose.» Rispose a tono Bofur. Non era strano vederli battibeccare in quel modo – molte volte si prendevano in giro scherzando sui propri difetti – ma quella volta la tonalità del tono di voce di Bofur non faceva alludere ad alcuno scherzo. Berit era troppo ebbra di alcol per rendersene conto ma Fili stava cogliendo alcune sfumature che non gli erano sfuggite. Ci voleva una forza d'animo non indifferente per seguire quella conversazione visto che Bilbo aveva afferrato una forchetta e stava tentando di infilzare un pomodorino. Il pomodorino saettava da una parte all'altra ogni volta che ci tentava – era uno spettacolo davvero divertente.
«Anche io so fare un sacco di cose!»
«Ah sì?» Bofur alzò le sopracciglia.
«So combattere molto bene, ad esempio.» Disse lei, bevendo un altro sorso. Le parole non fuoriuscivano biascicate ma la voce era incrinata dai vapori del vino, aveva una tonalità leggermente più alta del normale.
«Dimmi il nome di un nano che non sa combattere bene.» Rispose Bofur, pigiando i gomiti sul tavolo.
«Vediamo, mh, Bofur
«Io so combattere benissimo.»
«Però non sai forgiare le armi.» Rispose lei con risolutezza. Manteneva ancora quell'aria divertita nello sguardo, non notò che Bofur l'aveva perso dallo stesso momento in cui aveva deciso di non fingere più che si stesse divertendo sul serio.
«So forgiare le armi.»
«Diciamo che sei più bravo a modellare giocattoli e a intagliare le gemme.»
«Questo non c'entra niente, sono bravo a fare molte cose.» Questa volta non tentò nemmeno di fingere che la cosa non lo stesse innervosendo. Era inutile che ci provasse, non vi riusciva, qualcosa lo stava portando all'irritazione e aveva paura che stesse diventando una conversazione irrecuperabile.
«Anche io, allora. Sono brava a fare scommesse, a lavorare nelle fucine..» Berit cominciò a elencare le cose – tutta concitata e con sguardo vago – elencandole sulle dita. Fili le appoggiò la mano sulla spalla, stringendogliela appena. Stava guardando entrambi ma era a lei che si stava rivolgendo, adesso.
«Dai ragazzi, basta, pensiamo a divertirci.»
Qualcosa si spezzò in quel momento. Bofur si concentrò troppo su quel misero gesto, un impulso cattivo gli salì dal petto e nemmeno il fatto che Bilbo aveva appena fatto saettare il pomodorino centrando Dwalin in un occhio, avrebbe potuto interrompere la diga che si stava inclinando.
«Già; con le scommesse sei stata arrestata e nelle tue fucine è morto un nano, brava non direi proprio.»
La diga si era rotta del tutto e il flusso d'acqua travolse in pieno Berit, facendole perdere ogni tipo di vitalità che aveva in corpo. Abbassò lo sguardo su Bofur e si sentì sopraffatta da una sensazione talmente spiacevole che le fece salire un dolore atroce al petto, provocandole un moto di nausea. Fili aveva smesso di toccarle la spalla e ora guardava Bofur con aria sconsolata.
«Bofur...» sussurrò lui, come ammonimento leggero, guardandolo con il capo chino.
Bofur non aveva più saliva in bocca e sentiva il cuore spezzargli il petto. Non aveva idea del perchè avesse detto una cosa del genere. Una rabbia irrazionale lo aveva assalito e non era riuscito a fermare quel flusso di pensieri. Avrebbe voluto rimangiarsi tutto nell'istante in cui aveva pronunciato quelle parole ma non si poteva tornare indietro; il danno era stato fatto. Aveva appena distrutto la serata di Berit, aveva spezzato qualcosa che non poteva più ricomporre. Bastava guardarla negli occhi, per capirlo, Berit aveva smesso di ridere, di bere, di mangiare. Lo fissava con aria talmente apatica che la cosa gli provocò una lacerazione allo stomaco talmente irruenta da mancargli il fiato.
«Bene Bofur...» incalzò lei con la voce più piatta che le avesse mai sentito. Aveva cercato di ripulirsi nel modo più minuzioso possibile – Fili notò che le tremavano le mani – e s'alzò dalla panca. La festa intorno a loro stava proseguendo e tutti gli altri erano ancora intenti a festeggiare, ridere, scherzare. Vide Dwalin inseguire Bilbo brandendo un lungo pane croccante. «...questa volta hai vinto tu, complimenti.» 


 

Berit si stava disfacendo le trecce ai lati del capo, non riusciva a sfilarsi via gli anelli che tenevano raggruppate le ciocche, gli arti tremavano di continuo. Stava camminando veloce verso l'edificio e l'aria fredda gli sfuggiva dalle narici, pesantemente. Non era solita lasciare una festa prima che – tale festa – fosse finita ma non aveva più alcuna intenzione di soffermarcisi un secondo di più. La neve ancora scendeva lenta sulla città di Esgaroth e, questa volta, rabbrividì di freddo mentre attraversava il portico. Il vino l'aveva riscaldata ma, adesso, sentiva solamente un gran ronzio alla testa e la nausea che premeva contro il petto.
S'era accorta che Bofur la stava seguendo correndo, era pochi metri dietro di lei. Non rallentò il passo, conscia che – volente o nolente – l'avrebbe comunque raggiunta una volta arrivati al loro edificio. Non era contenta che quella sarebbe stata la loro ultima sera lì; aveva immaginato di tornare nella casa con passo malfermo, trattenendo ancora un boccale di vino, addormentandosi sopra una pila di coperte e sognare del clangore delle spade e delle asce sguainate alla volta di un grande Drago di fuoco. Ora non era più sicura di volere che – quella – fosse la loro ultima notte a Esgaroth.
«Berit aspettami.» Bofur aveva fatto uno scatto improvviso ed era riuscito ad arpionarle il polso, per farla voltare. Vi riuscì ma il nano abbandonò subito il contatto, mantenendo una cauta distanza.
Lei aveva mantenuto la stessa espressione di prima; non un sorriso, non una sola espressione. Lo sguardo grigio era vuoto e spento, lucido di alcol e freddo.
«Mi dispiace, mi...ti prego scusami, non so cosa mi sia preso, hai ragione io non dovrei bere troppo, guarda che danni che combino. Non avevo nessun diritto di dirti quelle cose, ero...in questi giorni mi sembra di avere la testa così pesante, davvero, così pesante che non riesco a ragionare. Ti prego di accettare le mie scuse.»
«Bofur, tranquillo, succede. È colpa del vino. Quello su cui ragioni – ci pensi e ci ripensi e ci ripensi – alla fine qualcosa sguscia via e tu non lo controlli. Succede con le azioni e poi con le parole. Non possiamo farci niente, siamo nati così.» Lei si strinse nelle spalle, mostrando una lieve curva con le labbra insapore.
«Berit...» Bofur fece un passo in avanti, allungando la mano ma lei fece uno scatto indietro, evitando di farsi toccare.
«No...no Bofur, non- tranquillo. Sai quanto odio arrabbiarmi. Ma odio ancora di più quando mi rovinano una festa. Mi passerà.» Questa volta Berit sorrise pregna d'amarezza. Bofur dovette scostare lo sguardo, non riusciva a sopportarlo. Socchiuse gli occhi e deglutì pesantemente.
«Non lo penso, davvero. Voglio che tu almeno sappia questo.»
Berit rimase in silenzio a fissarlo, ancora senza alcun barlume che potesse lontanamente richiamare un pensiero conciso. Se non fosse per le mani che continuavano a tremare – non certo per il freddo – avrebbe pensato ad uno stallo emozionale; s'aspettava e sperava, in fondo, che non fosse imperituro.
Ma, per quanto ci provasse, odiava vedere quell'espressione sul volto di Bofur. Era un piccolo orgoglio personale quello di mantenergli, sul volto, anche la minima traccia della sua vera essenza. Quando quel velo di spensieratezza spariva si sentiva sconfitta; un sentimento alquanto ridicolo, per quanto reale.
Perchè, quella sera, non v'era stato nessun sorriso?
Perchè non avevano suonato e ballato, in mezzo alla folla?
Perchè si erano allontanati ancora?
Fece un passo in avanti e lo obbligò ad alzare lo sguardo verso di lei. Bofur aveva gli occhi lucidi e il volto mortificato, velato dai sensi di colpa. Lei sapeva cosa si provava a sentirsi così ma, in quel momento, l'egoismo del proprio stato d'animo non le permetteva di piegarsi alla comprensione. Era una cosa del tutto nuova, quella, non era convinta di riuscire a gestirlo.
«Quello che più mi fa male, Bofur, è che tu eri consapevole di quello che stavi dicendo.» Sussurrò Berit, corrugando la fronte. «Sono sicura che tu non pensi quello che hai detto – io lo so, ti conosco – ma non era quello il tuo intento. Tu volevi solamente ferirmi
A Bofur mancò il respiro dal petto. Aveva ripreso a tremare e si strinse nel giaccone pesante con le braccia, restando immobile davanti a lei col capo basso. La stava guardando e sentiva la testa diventare sempre più pesante, insopportabile da reggere, come quella sensazione che non voleva abbandonargli le membra. Aveva cominciato tutto lui stesso, da quel pomeriggio, creando il fatidico effetto che quelle parole ebbero su entrambi. Il diniego di qualcosa di forte non portava mai buoni auspici, neanche in ciò che v'era di più saldo al mondo.
Scosse il capo, per quanto potesse, e provò di nuovo a fare un passo in avanti. Lei non indietreggiò, questa volta, se lo ritrovò quasi addosso e dovette alzare lo sguardo per restare fissa sul suo sguardo.
«Io non potrei mai ferirti Berit. È l'ultima cosa che voglio.» Soffiò Bofur, continuando a scuotere il capo. «Sono..sono stato davvero uno stupido, ma ti prego non pensare mai più una cosa del genere. Io ero..ero..»
geloso, solo geloso” pensò Bofur, ma questo non giustificava niente. La gelosia non poteva giustificare mai niente, specie quando ingiustificata.
«...Cos'è che non riesci a dirmi, Bofur?» Domandò lei ma lui non rispose, pigiando le labbra tra loro, lasciando resistere ogni parola.
Quando sentì la mano di lei sulla propria guancia provò l'irrefrenabile impulso di stringersi contro di lei, cingerla forte e lasciare che le parole fluissero via, dalle labbra, dalla mente, dal cuore. Ma si limitò a guardarla negli occhi, ascoltando solo il battito impazzito dentro al petto.
«Fin da quando ti conosco, sono sempre riuscita a capirti guardandoti negli occhi, Bofur. Non so il perché ma mica sono una che si crogiola nelle domande, giusto?» La nana allargò lo sguardo e questa volta sorrise per davvero. Ma era inevitabilmente triste e gli occhi le si gonfiarono d'una lucidità che non era dettata dal gelo di quella sera. «Mi bastava guardare e capire.» Alzò le spalle e Bofur ricambiò appena il suo sorriso, tirando su con il naso. Lei non aveva smesso di premere la sua mano contro la guancia del nano, passando con lo sguardo in rassegna l'intero viso dell'amico. «...Ma questa volta no
Sfilò via da quella presa e lo guardò ancora una volta prima di voltarsi e procedere verso l'edificio. Bofur non ci provò nemmeno a seguirla, era rimasto immobile a guardarla allontanarsi.
Mille pensieri lo sovrastavano e il vino ingerito fino ad allora alimentava il pensiero di correrle dietro, di nuovo, ma questa volta senza più alcun freno. Ma era bloccato, adesso, mentre dietro di lui la musica della festa ancora s'alzava dalla piazza, scivolando tra i lumi accesi e gli stendardi cullati dal vento. Davanti a lui v'era neve e silenzio, la condensa fredda che inaspriva persino il calore più intenso.
Ed era lì, in mezzo, da solo




 

NA.
So che sto facendo praticamente crepare Kili al suo dolore non arrivando mai al punto clu ma mi mancavano troppo i banchetti xD Da quando scrissi la mangiata da Elrond bramavo di rifare un capitolo del genere, questa volta però ci sono “asprimenti” diversi quindi non mi è uscita una cosa spensierata come speravo (poi tra preoccupazioni, litigi, e quantaltro ciao proprio!), speravo mi uscisse un capitolo molto più festoso ma non ci sono riuscita ç_ç perdonatemi. Spero comunque vi piaccia anche se non è finito bene bene bene bene xD ma io sono tragggica e quindi niente, è andata così. Ci stiamo avvicinando al momento dopo la caduta di Smaug, finalmente, manca pochissimo eeee da lì le cose saranno rivisitate da me, anche lì sì, perchè ormai mi sto prendendo bene a strafalciare la storia ç_ç (scusami Tolkieeeen!) e niente, spero vi piaccia! Saluto le mie carissime recensitrici <3 e chi mi segue e mi legge. A presto :)

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Capitolo 30
*** La nostra partenza ***


Capitolo 30.
La nostra partenza




Bilbo non era per niente contento di essere stato rivestito di elmi, tuniche vistose e gingilli speciali forgiati dai fabbri di Esgaroth. Si sentiva alquanto ridicolo ma non voleva contrastare l'ennesima generosità della gente di quella città verso di loro e così, a malincuore, era rimasto immobile mentre veniva rivestito e armato. Stavano marciando in fila indiana, ora, diretti verso il molo. Le strade erano gremite di gente, tutti gli Uomini e le Donne – e molti bambini – erano intenti a salutare i Nani, sventolando fazzoletti e intonando gli ultimi canti che avevano aleggiato sotto il cielo stellato la sera prima. Bilbo non aveva molta voglia di ascoltare tutto quel vociare, la testa gli doleva e aveva il passo molto pesante. I suoi Compagni non erano da meno, alcuni di loro era sicuro che stessero dormendo in piedi. Berit camminava dietro di lui con andatura sbilenca, anche lei era stata rivestita con una tunica color porpora, più femminile della sua ma decisamente più larga. Nori e Dori erano proprio davanti, cozzavano tra di loro di tanto in tanto, nessuno parlava se non per qualche borbottio basso. Infine Kili camminava di fianco al fratello, zoppicava pesantemente e il volto era scurito da delle occhiaie profonde. Non era convinto che fosse saggio che procedesse in quel viaggio ma lui era solo un piccolo hobbit e di certo non poteva intervenire con un pensiero del genere in quello che era il momento più importante di tutti i Nani lì presenti. Si voltò diverse volte, guardandosi intorno, quando si rese conto che i numero dei nani non era esatto.
Bofur non c'era.
Sospirò con pesantezza; com'era possibile che avevano superato le grotte dei Goblin, la Grande via Est, Bosco Atro, Il Reame Boscoso senza mai separarsi e c'era voluta una piccola città sul lago per farli disperdere in continuazione? Era per caso un modo degli astri per comunicare loro che non dovevano proseguire, per caso?
«Vi siete accorti che siamo a corto di uno? Dov'è finito Bofur?» Chiese, voltandosi verso la nana che ciondolava alle sue spalle. Quella alzò lo sguardo e lo fissò senza rispondere. Bilbo non riuscì a comprendere, ma non dovette attendere una risposta.
«Se manca lo lasceremo indietro, non possiamo più attendere.» Rispose Thorin, a capo della fila.
«Vorrà dire che ci raggiungerà più avanti.» Accodò Balin, lì di fianco a lui, camminando piano.
Bilbo non era rimasto soddisfatto da quella risposta, quando Nori e Berit erano ricomparsi era stato contento di constatare che nessuno sarebbe rimasto indietro. Perchè doveva capitare proprio ad uno dei nani che più voleva vicino, in quell'impresa?
Si voltò di nuovo a guardare la nana e quella strizzò gli occhi, premendosi le nocche sulle palpebre. Bilbo notò che v'era qualcosa che non andava e non era sicuro che fosse solo l'effetto della festa della sera prima.
«Berit...?» La richiamò lui e quella aprì le palpebre rivelando due occhi arrossati e gonfi.
«Oh, buongiorno Bilbo.» Gracchiò lei con voce rauca.
«Perchè Bofur non è con noi?» Chiese risoluto.
Berit si voltò di nuovo, cambiando espressione, controllando alle sue spalle. Dietro di lei Gloin stava letteralmente dormendo mentre camminava – un vero portento – e quando lei tornò a voltarsi alzò le spalle, senza rispondere.
«Ma cos'è successo ieri sera?» Il piccolo hobbit risoluto continuava a tenere il collo ruotato mentre camminava. Aveva notato che gli faceva parecchio male se rimaneva in tale posizione e rallentò il passo per affiancarsi alla nana. Quella di nuovo si strizzò gli occhi.
«Bilbo...fai troppe domande.»
«E tu non ne fai, il mondo s'è per caso capovolto?»
Berit sorrise divertita e gli posò la mano sulla testa ricciuta. Era molto contento che lei non fosse nel pieno delle sue facoltà fisiche, in quel frangente.
«Non ho la minima idea di dove sia Bofur.» Rispose lei, abbassando lo sguardo, sfilando via da quella presa con un sospiro. La barca, piena di viveri, sacchi e armi era costeggiata. S'erano avvicinati e Thorin fiancheggiava i pioli, organizzando la postazione. Lei si voltò un'ultima volta – verso il viottolo di legno appena percorso – prima di socchiudere gli occhi. «Se lo conosco bene deve aver bevuto tuuuutto il vino che è riuscito a trovare e ora starà ronfando senza pensieri sotto qualche barile.» Accodò alla fine, volgendo un sorriso che non aveva niente di felice. Bilbo se ne accorse e crucciò lo sguardo, andando a guardare alle sue spalle. Non gli piacque constatare che Berit non sembrava per niente contenta. Cos'era successo che lui non sapeva? Se solo non avesse bevuto così tanto, la sera prima, sarebbe di sicuro stato attento a tutto ciò che intorno gli capitava. L'ultima cosa che gli pareva di ricordare era Ori che lo tirava sotto al tavolo, salvandolo da Dwalin armato di pagnotta. Poi v'era stato il risveglio sotto una coltre di coperte pesanti, coi capelli arruffati e il sapore di un sidro alla mela sulle labbra. Dormiva accanto a Bombur e aveva i piedi di Nori davanti al naso. Non era stato per niente un bel risveglio.
«Cos'è successo? Mi pare strano che tu non sia andata a cercarlo.» Incalzò Bilbo, puntando lo sguardo su di lei.
Berit non rispose, sospirò pesantemente, avanzando a piccoli passi dietro Nori. Quello saltò sulla barca e lei fece altrettanto un secondo dopo, allungando le braccia per aiutare Bilbo nell'impresa. Quello s'era fatto aiutare, attendendo una risposta che non arrivò mai.
Si sistemarono meglio sulla barca mentre Berit si ritrovò schiacciata nell'angolo, di fianco a Bombur. Quando guardò verso il nano grasso smosse le labbra per imitare una semplice domanda – atona – e quello gli rispose alzando le spalle, scuotendo il capo.
Bilbo non aveva notato tutto ciò perchè era rimasto distratto dalla scena alle sue spalle. Thorin aveva bloccato Kili proprio sopra al molo, poco dopo che Fili salisse sulla barca, facendola ondeggiare appena. Tutti s'erano voltati nel momento stesso in cui lo fece Fili. Thorin aveva negato il permesso a Kili di procedere.
«...Io vengo con voi. Sarò con voi quando varcheremo la porta, quando guarderemo di nuovo le sale di Erebor..Thorin.» Mormorò il nano giovane, guardando verso Thorin. Cercò Fili con lo sguardo e quello li fissava con aria oscurata – sbiancato del tutto – trattenendo le labbra dischiuse. Non riusciva a comprendere il motivo per il quale Thorin non lo avesse avvisato prima di tale decisione, avrebbe evitato di illudere il fratello, avrebbe evitato di farlo marciare fin lì e, ancor di più, avrebbe evitato di leggere negli occhi di Kili quella profonda delusione che gli annebbiò lo sguardo ulteriormente. Aveva fatto di tutto pur di permettergli di portarlo con loro, durante quel viaggio, addirittura mischiarsi tra la gente – rischiando persino chiedendo l'aiuto di Sigrid – e vegliandolo notte e giorno per impedire che la febbre s'alzasse ulteriormente. Avrebbe chiesto un aiuto maggiore se solo avesse saputo che quello era l'intento di Thorin fin dall'inizio e, a quel pensiero, gli si accese una rabbia nuova.
Thorin pose una mano sulla spalla a Kili, guardandolo con profondo affetto.
«Devi pensare a riposarti ora. Ci raggiungerai quando guarisci.»
Kili lo guardava senza riuscire a capire, posò lo sguardo sul fratello e sospirò pesantemente, tirandosi indietro. Non aveva più alcuna forza per ribattere, lo sconforto prese piede nel constatare che la determinazione non bastava più. Quando Thorin Scudodiquercia prendeva una decisione permaneva imperitura. Ciondolò ai lati, permettendo agli Uomini di aiutare i nani a riempire l'imbarcazione con gli ultimi fabbisogni. A stento riusciva a sentire le voci dei suoi compagni ora, chi era rimasto a fissare Thorin con rammarico e chi era immerso nella sistemazione delle armi. Bilbo, Berit e Oin erano dritti dietro a Fili. Oin fu il primo a scendere dalla barca, borbottando un lievissimo. «Il mio compito è stare con i feriti.»
Fili non aveva fiatato, costringeva Thorin a rivolgergli lo sguardo con lo stesso che permaneva rigido sul suo volto. La respirazione era pesante quando spostò l'attenzione su Kili e Oin. Il fratello scuoteva il capo, scurito nel suo malcontento.
«...Questa è la nostra conquista. Sei stato tu a raccontarci le storie di Erebor, a permetterci di seguirti nel viaggio. Non puoi togliergli questo.» Sibilò Fili, stringendo i pugni. Thorin rimaneva sicuro, riflettendo un'espressione risolutiva ma consapevole. Ammorbidì lo sguardo ma non rispose nulla, ancora.
«Lo porterò in spalla, se devo.» Aggiunse Fili, con un ringhio più sottile.
«Un giorno sarai Re e capirai, Fili.» Rispose Thorin.
Bilbo era sicuro che Fili non volesse capire, poteva percepire la tensione di quel momento anche nel completo silenzio. Vide Berit fare un leggero passo in avanti e guardarono entrambi verso Kili. Il piccolo barlume di lucentezza che gli brillava lo sguardo, quella mattina stessa, era sopita del tutto. La malattia lo stava sconfiggendo senza che potesse più reagire a questo.
Lo hobbit s'accorse in ritardo dello scatto che fece Fili, scendendo dalla barca. Di nuovo quella ciondolò per il movimento. Thorin lo fermò con una mano sul petto, sussurrandogli delle parole che lo hobbit non riuscì a sentire.
«Il mio posto è con mio fratello.» Sentì chiaramente la risposta del nano biondo e lo guardò raggiungere gli altri due rimasti a terra. Si sentiva estremamente triste per quella divisione; ora non solo mancava solo Bofur, erano a corto di quattro e già non vantavano di un numero cospicuo all'origine. Sentì Berit raggiungere il bordo della barca e guardare verso i due fratelli.
Non sembrava per niente contenta ma aleggiava sul suo volto un piccolo sorriso accentuato.
«Mi raccomando, non metteteci troppo.» Disse verso di loro e Fili abbozzò un lieve sorriso, annuendo di sfuggita. Kili aveva abbassato lo sguardo, lasciando scivolare i capelli scuri davanti al viso; Oin lo sosteneva come poteva.
«Fili?» Berit richiamò l'amico e quello fece un passo in avanti, restando a guardarla. «Non rimanete nell'edificio del Governatore. Vai da Sigrid, sono sicura che andrà tutto bene.» Sorrise con più gusto prima di inquadrare Kili di sbieco. Quando tornò su Fili lui notò che qualcosa, nello sguardo, era cambiato di nuovo. Sembrava più scuro e spaventato, non era sicuro di voler confermare che i suoi pensieri erano rivolti verso un destino molto più infausto. «Finchè ha te vicino non succederà nulla di male. Prenditi cura di lui, come hai sempre fatto.» Sussurrò lei e lui annuì, sorridendo appena.
«E tu non farti uccidere dal Drago.» Rispose lui con un soffio.
«Non te la do questa soddisfazione.» Lei sorrise di nuovo prima di voltarsi verso Oin. Lo richiamò con un gesto della mano, evitando di urlare. «Ci vediamo presto, vecchia volpe
«Anche tu, carissima..» Rispose così Oin e Berit non indugiò troppo su ciò che lui poteva aver recepito. Restarono a guardarsi ancora per pochi secondi prima che lei ritornò a indietreggiare, sbirciando un'ultima volta verso la gente. Bilbo le si affiancò, sistemandosi meglio l'elmo di metallo in testa.
«Credo di non essere pronto per questo.» Sospirò lui con voce tremante, sistemandosi dentro la blusa. Berit non lo stava guardando e affilò le palpebre, lasciandosi sferzare dal freddo vento dell'inverno che incalzava a est. Il grande momento era arrivato; tra poco tempo avrebbe scoperto l'amara verità su ciò che la Montagna nascondeva. Il Drago Smaug dimorava, sul serio, sopra montagne di coppe e oro? Soffiava alito caldo tra le pareti rocciose? Quel pensiero provocò a Bilbo un brivido lungo su tutta la schiena e chiuse gli occhi, ritrovandosi a stringersi contro il braccio stesso di Berit. Lei non mosse un muscolo, adirata verso i pensieri che rivolgeva a chissà cosa, nello sguardo rivolto altrove.
«Lo so. Ma non dovrai temere nulla Bilbo. Mi prenderò cura di te.» Alla fine Berit rispose con un piccolo sorriso – sbirciandolo di sbieco – prima che Fili ritornò a richiamare la sua attenzione. Entrambi si voltarono, invero, ma il nano stava fissando Berit.
«Andrò a cercare anche Bofur e lo terrò d'occhio.» Disse verso di lei con un sorriso più amplio e, con un ultimo cenno, ritornò al fianco del fratello dolorante. Nessuno di loro s'accorse dell'agonia che gli trafisse lo sguardo, di nascosto, mentre fissava Thorin salire sulla barca per ultimo e slegare la corda che la tratteneva.
Evitò di pensare, trattenendo in piedi Kili per una spalla.
Berit non aveva risposto a quella frase ma gli aveva regalato un cenno di ringraziamento che non valeva alcuna parola di quelle che stava, realmente, pensando. Bilbo non se ne accorse, ancora stretto vicino ai nani e con lo sguardo rivolto verso la gente che salutava e sventolava tutti quei fazzoletti.
Ne avrebbe voluto uno anche lui, in quel momento, bianco, pulito e profumato di fiori.
Berit, nel frattempo, s'era spostata vicino a Bombur. Il nano era immerso in uno stato di dormiveglia progressivo; non era sicuro che sarebbe rimasto sveglio durante la traversata sul Fiume. La sera prima s'era ingozzato troppo e bevuto troppo, a differenza di Bifur che sembrava pimpante e sveglio in confronto al resto di loro.
«Se Bofur non torna lo vengo a cercare, mi deve ancora sessanta monete.»
Bilbo sentì Berit borbottare, parlando alla volta di Bombur e quello si svegliò di colpo, sgranando gli occhi chiari. Lo hobbit fece un piccolo sorriso ma non rispose. Era chiaro che qualcosa non era andato bene, la sera precedente, e aveva paura che qualcosa non sarebbe andato bene, durante quel viaggio. Perchè i nani reprimevano tutto e non sfoggiavano mai i loro reali pensieri? Avrebbe voluto intervenire lui stesso quando Kili fu costretto a rimanere sul molo, avrebbe voluto chiedere a Thorin di restare ancora cinque minuti sperando che Bofur facesse la sua comparsa e – aveva timore – che quei pensieri toccassero solo a lui. Nemmeno Berit aveva espresso nulla a riguardo ed era alquanto strano, come poteva la nana che lo aveva minacciato per Bofur non intervenire in un momento così cruciale? 
Non aveva intenzione di fare domande indiscrete ma adesso era tempo che quei nani comunicassero, e se non volevano farlo per conto loro era ora che lui facesse a modo suo. Era stanco di tutti quei segreti.
E nel pensarlo, si ritrovò a sfiorare di sfuggita il proprio Anello, ancora al sicuro dentro la tasca della tunica. Non aveva tempo per rendersi conto dell'incoerenza di quel pensiero, adesso era questione di vita e di morte, per davvero.


 



Bofur stava correndo a perdifiato giù dalle scale dell'edificio, intento a non inciampare sui propri stivali che rimbombavano nello spiazzo desolato. Sentiva le urla della gente e i loro canti, mescolarsi tra loro vicino al molo e il cuore gli salì in gola. Come era ovvio non era riuscito a svegliarsi in tempo; era rimasto disteso sotto ad un tavolo pieno di boccali e piatti vuoti, e la sola musica che proveniva da lontano lo ridestò dai propri sogni. S'era alzato talmente di scatto che aveva sbattuto anche la testa e – ora – gli doleva più che mai mentre correva senza fermarsi. Persino i suoi stessi passi gli martellavano dentro le tempie, provocandogli fitte infernali. Non poteva perdere quella barca, non poteva rimanere a Esgaroth da solo; anche se avesse preso un'altra imbarcazione – come gli venne da pensare in quel momento in cui era afflitto da mille pensieri – ci avrebbe messo troppo tempo per raggiungere l'altra sponda remando da solo.
Ricordava poche cose della sera precedente ed era rimasta solo la piccola
grande
infima sensazione di aver rovinato qualcosa di molto importante. Questo pensiero lo fece scattare con una foga maggiore, sviando verso gli edifici fino a ritrovarsi proprio dietro tutte le spalle della gente. Non riusciva a vedere un accidenti, da lì, e dovette farsi strada a sgomitate.
Non poteva permettersi di perdere quella barca.
Quel pensiero era talmente opprimente che si ritrovò a spintonare con più foga delle povere ignare signore, che si scostarono indignate per quei palpeggiamenti non voluti. Alcune esclamarono un «Ma che screanzato!» ma Bofur non era in vena d'ascolti. Sentiva la tromba suonare e le mani della gente muoversi in un saluto continuo. Guardò in alto e vide Governatore e l'altro dal mono ciglio ancora intatto sorridere di gioia guardando un punto più lontano. 
Con un ultimo strattone si liberò dalla marmaglia di gambe e arrivò nel punto esatto in cui un minuto prima la barca era costeggiata. Non v'era più – stava navigando placida già lontana, svoltando dietro l'ultimo edificio in lontananza. Un profondo magone gli salì dal petto facendolo sospirare, incurvando le spalle. Glielo aveva detto Berit, il giorno prima: non bere troppo Bofur. Ma un nano non prende mai sul serio una frase del genere. Non si può chiedere agli Elfi di non camminare sotto la luce delle stelle come non si può chiedere ai nani di non bere troppo. La sera precedente, poi, motivi per bere ne aveva molti. Alla fine sapeva di essere ritornato verso la festa ma l'alone di mestizia aveva sopito tutto, intorno a lui. Vedeva i suoi amici ridere e scherzare davanti alla tavola, la gente che ancora danzava al suolo di una musica allegra, aveva notato solo in quel momento un piccolo striscione legato alle gambe del gazebo con scritto: Un buon auspicio per il Re degli antri. 
Non era sicuro che v'era scritto proprio questo ma ricordò qualche strofa della sonata – queste cose riavrà, già a lui strappate – mentre camminava per raggiungere il suo posto. Si ricordava dello sguardo di Fili, di qualcosa che gli disse riguardo la discussione con Berit, del perchè non le avesse detto..., si ricordava di qualcuno che tentava di rubargli il cappello e lui che se lo era pigiato sopra la testa. Poi Bombur gli mise davanti almeno tre boccali traboccanti di birra e spuma e da lì i ricordi cominciarono a diventare offuscati.
Era bene dire che non sapeva proprio che pesci prendere, in quel momento. Raggiungere la barca a nuoto – almeno – era fuori discussione e poi non era così tanto sicuro che Berit non l'avrebbe scalciato giù dalla barca. Il pensiero di lei gli fece fare una smorfia e si ritrovò a gironzolare su sé stesso, guardando i volti della gente dietro di lui. Ancora sventolavano e salutavano, la musica si stava lentamente dipanando. Non era più riuscito a parlarle, né a vederla un'ultima volta dopo che le sue spalle sparirono oltre gli edifici, la sera precedente. Non poteva mai essere che – quell'immagine – sarebbe stata l'ultima nella propria mente, di Berit. Si maledì infinite volte per aver avuto quella reazione, per non averla seguita un'ultima volta, fatta voltare e … smetterla, finalmente, di mentire. Ma era inutile rimpiangere qualcosa che non era avvenuto; doveva trovare un modo per raggiungere gli altri.
Fu in quel momento che notò Kili, Fili e Oin proprio dietro di lui. S'accorsero anche loro di Bofur in quell'esatto momento.
«Oh, avete perso anche voi la barca?» Domandò il nano, snudando un sorriso. Non si capiva se quel sorriso fosse dettato dal sollievo oppure no.
Fili scosse il capo e pigiò le labbra, rassegnato, mentre Oin si piazzò la tromba sull'orecchio e tese il collo.
«Bofur dov'eri finito?» Domandò Fili mentre teneva Kili per un braccio. Quest'ultimo ciondolava malamente da un lato e Oin era intento a reggere lui e la sua tromba – guardando tutti quanti in silenzio.
«Stavo..ero...credo di essermi perso.» Optò per quella giustificazione, Bofur, allargando lo sguardo. Anche se lo evitava, si evinceva dalla sua espressione che l'alcol – la sera prima – gli aveva fatto un brutto tiro. Ogni volta che spostava lo sguardo dall'uno all'altro faceva una smorfia sul volto, per il fastidio della luce grigia di quel giorno.
«Sì. Perso. Certo.» Puntualizzò Fili, alzando le sopracciglia.
«Ma io lo volevo vedere, il Drago.» Si lagnò quell'altro, sbuffando. Fili non fece in tempo a ribattere nulla che Kili perse il controllo del proprio corpo e cadde in avanti. Grazie al fatto che lo stava reggendo riuscì a tenerlo saldo in piedi, Oin fece lo stesso e la tromba gli cadde dalle mani. Bofur provò a prenderla al volo ma gli sfuggì dalle mani, rimbalzando verso i centinaia di piedi che scalpitavano per lasciare la banchina.
«Dobbiamo portarlo assolutamente da un cerusico.» Disse Oin, tentando di tenerlo saldo. Fili non lo stava ascoltando; aveva lo sguardo puntato sul volto del fratello e il cuore palpitante allarmato. Gli prese il volto tra le mani e il respiro gli si spezzò in gola; la sua pelle bruciava come un tizzone e gli occhi si stavano chiudendo del tutto. Kili stava perdendo i sensi.
«No. So...so io dove andare.» Disse concitato Fili, issando meglio il proprio fratello. Bofur fece diverse smorfie strane constatando che la tromba di Oin era stata pestata almeno dieci volte prima di alzare gli occhi al cielo e piegarsi per riprenderla. Non poteva ridursi peggio di quel che era, ma di certo non aveva un bell'aspetto. Subito la porse al nano sordo prima di aiutare gli altri due a reggere il nano bruno.
«Dal chiattaiolo?» Domandò Bofur, guardandolo con sguardo allarmato. Fili si voltò a guardarlo e poi guardò verso il punto in cui la barca era sparita. Alzò gli occhi verso la Montagna e la sentì terribilmente lontana; la punta era limpida e la neve macchiava le rocce, rendendola scivolosa e onirica nel suo complesso. Non era più sicuro che l'avrebbe vista da vicino, sul serio. Tutti i pensieri erano deviati da Kili e da ciò che sarebbe successo lui se la gamba non fosse guarita. Non aveva più il coraggio di pensarci, era tempo che ogni presagio funesto lasciasse il posto all'unica vera sensatezza di tutto questo: il da farsi. I pensieri e le parole non servivano più a niente. Ora erano rimasti solo loro a Esgaroth e i suoi Compagni erano rimasti soli, a Erebor. Soli, ma insieme. 
«Da Sigrid.» Rispose Fili con un soffio più sentito, trascinando Kili al di là della banchina, oltrepassando il Municipio.
Fu in quel momento che la consapevolezza di quella scelta era ben chiara a tutti, la Compagnia era divisa e non v'era più la certezza di niente.






NA.
Finalmente l'ultimo capitolo prima del loro ritrovo superpathosyeah a Erebor! Mi fa schifissimo, l'ho scritto di fretta, dopo una giornata stressantissima quindi è uscito quel che è uscito xD poi non sono brava a soffermarmi troppo sulle sensazioni emotive (maledetti nani tragggici) e quindi niente bom, andata così xD dal prossimo capitolo mi sbizzarrirò molto e spero che vi piacerà ugualmente <3 Ringrazio come al solito tutti quelli che mi seguono e le mie recensitriciiii *-* che mi invogliano tantissimo a continuare sta storiaccia sempre di più, ahahah. Sì ebbene sì, la sto odiando, non mi escono mai come voglio io sti capitoli, mannaggia a me che mi ci infilo in ste rogne. A prestissimo :) 

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Capitolo 31
*** Un giorno come un altro ***


Capitolo 31.
Un giorno come un altro







2941 ~ Dopo la caduta di Smaug


Quello sarebbe stato un giorno come un altro per un piccolo hobbit della Contea. Si sarebbe svegliato dal suo letto a baldacchino, nel suo grazioso buco-hobbit, avrebbe indossato la vestaglia d'un bel verde smeraldo e avrebbe camminato fino alla teiera per il tè. Il sole caldo che filtrava dalla piccola finestrella rotonda avrebbe scaldato le pareti foderate e avrebbe fatto brillare i fiori sui balconcini, profumando l'ambiente. Sarebbe stato un giorno come un altro, dove sarebbe andato al mercato, a comprare del pesce e del pane, e avrebbe salutato i contadini e i gaffieri, avrebbe dato qualche carota ai pony che trasportavano i carretti di fieno e avrebbe lasciato che il tramonto lo avvolgesse mentre sedeva sulla panchina davanti alla porta dipinta, creando cerchi di fumo con la pipa di noce. Sarebbe stato un giorno come un altro se solo fosse rimasto alla Contea, quel mattino di sole caldo. Se solo non avesse firmato il contratto per la spedizione di un certo Thorin Scudodiquercia; non avrebbe visto i Troll trasformarsi in pietra, non sarebbe dovuto scappare via dai mannari inferociti, non avrebbe trovato l'Anello sconfiggendo quel Gollum ad un gioco d'enigmi. Forse sarebbe stato felice, adesso, sorridendo alla luce della sera mentre il camino acceso ardeva con piccole scintille, scaldando la sua graziosa casa.
Forse.
Ma non poteva mai valere tutto questo quanto la scena che gli si parò davanti, in quel momento. Era un hobbit semplice, in fondo, ma sapeva riconoscere qualcosa di immenso quando lo vedeva, il vero calore che mai aveva provato prima di quel viaggio. Non si trattava di certo dell'oro, né delle grandi sale di Erebor, né della roccaforte che brillava alla luce d'un sole pallido d'inverno.
Era la lealtà e la fratellanza che i propri Compagni provavano gli uni per gli altri. L'immensa gioia di riunirsi ancora una volta – forse l'ultima – in quella che sarebbe diventata la loro futura casa. Forse nessuno di loro riusciva a percepirlo nella stessa maniera in cui lo fece Bilbo stesso; erano a casa, erano insieme, erano di nuovo tutti uniti. In quel momento avrebbe voluto che Thorin avesse smesso di guardare l'oro e volgere le spalle all'unico vero tesoro che veramente contava; i nani che avevano vissuto con lui quell'avventura. Ognuno di loro era particolare, ai suoi occhi, chi troppo rumoroso, o arrogante, o chiacchierone o freddo ma in quel momento erano tutti uguali. Se Erebor era immensa e così aveva continuato a pensare per tutto il tempo che vi rimase, nulla poteva eguagliare la profonda ricchezza che ardeva dentro il cuore dei suoi compagni di viaggio. Non avrebbe più trovato – su questo ne era estremamente convinto – altri amici come loro. Nemmeno nella sua amata Contea.
Balin quasi piangeva mentre stringeva forte Kil e Fili, ridendo tra la barba bianca. Gloin, Nori e Dori li avevano avvolti e così furono tutti sommersi in un caloroso abbraccio, Oin fece persino cadere la propria tromba dalle mani per abbracciarli tutti. Berit era l'unica che s'era avvicinata cauta - fin troppo - e Bilbo sorrideva, con gli occhi lucidi, mentre stringeva i pugnetti ai propri fianchi. Bofur aveva appena finito di abbracciare Bombur e Bifur – era stato stritolato dal fratello – prima che fu Bifur stesso a prendere Bofur per le spalle e spingerlo contro Berit. Avvenne talmente in fretta che non riuscì a frenare alcuna mossa; finì addosso a Berit e quella per poco non perse l'equilibrio. Aveva ancora il braccio ripiegato contro lo sterno e in un qualche modo del tutto inusuale erano riusciti a cozzare tra di loro, restando in equilibrio, guardandosi per pochi istanti.  Lei fece una breve smorfia per il fastidio all'arto, prima di guardarlo negli occhi.
«Che succede qua: si tocca?» Lei già rideva, ironizzando la voce, in un carico emotivo crescente.
«Io non sto toccando, sei tu che mi tocchi.» Rispose lui restando spiaccicato contro il corpo dell'amica. Non fece caso inizialmente al suo arto e le strinse le braccia intorno al collo, abbracciandola stretta. La guancia poggiata contro il suo capo, chiuse gli occhi per quel contatto e lei alzò l'unico libero rimastole per stringerlo forte.
«No vedi che sei tu che tocchi?» Rispose lei con un sussurro più basso. Gli altri ancora ridevano e si davano grandi pacche sulle spalle e sulla schiena, Ori aveva persino preso Bilbo per un braccio inserendolo in quel quadretto affettivo.
Berit respirò pesante quando sentì il braccio premere contro lo sterno e fece un verso di dolore.
«Ehi.» Bofur si era scostato giusto per abbassare lo sguardo e constatare l'aspetto di Berit. Non l'aveva guardata, prima aveva prevalso un altro tipo di bisogno. Berit non s'era ripulita dopo la battaglia contro Smaug; era ancora sporca di sangue raggrumato, sporca di fuliggine e sudore, il braccio tenuto stretto al petto. Bofur spense il sorriso e allungò le dita per accarezzarle l'avambraccio. «Non sei ridotta tanto bene.» Mormorò con un sussurro il nano e fece un sospiro. Ricercò il suo sguardo e lei lo ricambiò con entusiasmo a discapito di quello di Bofur, sorridendo pienamente. Non sembrava essere rimasto niente di quella maledetta sera, nemmeno l'ombra del rimorso.
«Mi stai dicendo che mi sono imbruttita?» Lei allargò gli occhi dandogli una pacca sulla fronte e quello fece una smorfia, arricciando il naso.
«Non è che sei mai stata bella, se proprio dobbiamo dirla tut-» quella gli tirò un pugno nel petto e poi sospirò sollevata. Bofur aveva smesso di respirare per qualche secondo, tossendo un paio di volte.
«Stupido d'un Bofur.» Lei gli passò il dito su tutto il naso arrossato e gli sorrise. Lui perse tempo a riprendersi da quella respirazione spezzata, arrossendo senza controllo. Passò in rassegna il suo sguardo ancora a lungo e – questa volta – ricambiò quel gesto, lasciando scivolare la punta del polpastrello su tutta la curva del naso di Berit. Lei lo arricciò, strizzando gli occhi grigi.
«Ho avuto paura.» Mormorò lui e, riabbassando lo sguardo sul braccio dell'amica, avvicinò lentamente il viso al suo. Qualche giorno fa una vicinanza di questo genere sarebbe stata inusuale per lui, da non credervi neanche se raccontata da fonti attendibili. Non avrebbe mai avuto il coraggio di porgersi così tanto, ma quando la lontananza imperversava per troppo tempo non c'era più tempo per la vergogna e la paura. Contava solo quello che non si voleva più rimpiangere.
«Io no. Tanto lo sapevo che saresti arrivato.» Rispose lei, alzando le spalle. Se stava mentendo non lo dava a vedere; un piccola libbra d'un carattere che Bofur conosceva fin troppo bene. «Tu bevi troppo, Bofur.»
Lui voleva ribattere con una risata, sovrastarla di scuse, di abbracci, chiedere perdono ancora e ancora, come nella sua mente era avvenuto così tante volte da quando si erano separati. Sentiva nel cuore il suono della barca che navigava lontana da lui e aveva avuto paura che sarebbe stato l'ultimo suono dolce che avrebbe veramente ascoltato, talmente velato da risultare irreale. Ma non lo fece, si limitò a fissarla con un sorriso addolcito, restando così vicino a lei da sentirla respirare. Ben presto le voci di Fili e Kili si fecero più alte e Berit si voltò di scatto, sorridendo di pura felicità.
Entrambi i fratelli la sovrastarono con un abbraccio stretto – quel braccio stava subendo torture dolorose ad ogni stretta – ma non importava. Lei passò la mano libera sulla testa di Kili e scoccò una leggera testata ad entrambi, con puro e pieno affetto.
«Ma guardatevi. Kili ma come sei dimagrito!» Mormorò lei alle orecchie di entrambi, intonando una certa ironia al finale.
«Sono un fuscello, altrochè.» Rispose lui di rimando, sorridendo pieno. Aveva ripreso quasi del tutto le forze, il colorito stava tornando ad una graduazione naturale e riusciva a camminare da solo anche per lunghi tratti, ormai.
«Benvenuti in casa vostra, Principi di Erebor.» Esclamò lei, scostandosi e allargando il braccio libero. Guardò un'ultima volta Bofur e lui fece lo stesso con lei – si sorrisero - prima di vederla sgusciare via da lì, avvicinandosi a Oin con entusiasmo.
Fili e Kili non avevano ancora alzato gli occhi per rimirare le sale e i pilastri spaccati, le rocce frantumate e bruciate dall'ira del drago. Fili non aveva parole per descrivere tutto questo, quanto poteva sopportare un nano alla vista di tale portata? Le sale c'erano, immense e regali, ma ancora aleggiava il tanfo di Smaug e sentiva, nell'eco delle pareti, le urla della sua gente che lì vi abitava ed era perita. Aveva così tanto desiderato ritrovarcisi dentro che non aveva pensato alla sensazione che lo avrebbe prevalso. Kili era accanto a lui e respirava piano, trattenendo il capo rivolto verso l'altro. Alcuni di loro gli furono accanto, muovendosi come marionette verso la pila d'oro conteggiato, ai lati dei piloni.
«Ragazzi...» Kili parlò, facendo voltare tutti i nani verso di lui. Bilbo era ancora lì a guardarli muovendosi cauto vicino a Ori. «...ora dovete raccontarci ogni cosa.»


 


«Bilbo – accidenti – cavalca barili? Sarai colui che cammina non visto, ma spiegami se davvero pensavi di illuderlo.» Esclamò Fili, allargando lo sguardo, trattenendo le mani artigliate alle ginocchia. Erano seduti tutti vicini, avevano acceso un fuocherello nei pressi d'un piccolo camino in una stanza spoglia e rocciosa, filtrava il freddo invernale dalle crepe e nessun rumore proveniva dall'esterno, né dall'interno. L'unico che mancava era Thorin, ancora; Dwalin faceva avanti e indietro, di tanto in tanto, il rimbombo dei suoi passi era l'unico accenno di vitalità dentro quelle mura. La luce del fuoco faceva brillare le figure dei nani seduti, stavano cibandosi con il rimpinzimonio donato dagli Uomini di Esgaroth. Nessuno di loro aveva l'aspetto sobrio e pulito, quelli apparentemente più presentabili erano i nani sopraggiunti in seguito.
«Non è che ero proprio nel pieno della mia lucidità, diciamo. Ho cercato di tergiversare come so fare meglio.» Rispose Bilbo, gesticolando. Era posizionato tra Kili e Balin. Quest'ultimo sorrideva, dando pacche affettuose sulla testa riccia dello hobbit. Era l'unico nano che riservava un po' di giudizio in quel contatto, anche dopo così tanto tempo.
«Ma come hai fatto a scappare?» Incalzò Kili.
«Ho interloquito con Vostra Magnificenza, l'ho distratto e sono riuscito a sfuggire alla sua vista. Non credo di essere mai scivolato così tanto su un mucchio di tesoro.» Bilbo scosse il capo risoluto. «Mai nella vita.»
«E vorrei ben vedere.» Accodò Kili. Di fianco a lui Fili aveva lo sguardo attento e serioso; guardava spesso nella rientranza che portava nei tunnel sottostanti ma non s'abbandonò al pensiero dello zio, lì sotto. Dwalin era ritornato da poco ed era rimasto silenzioso e burbero, in un angolo della parete. Dori, Nori e Ori erano schiacciati vicini, mangiando in silenzio, Oin era intento a fasciare il braccio di Berit con garze e stoffe, di fianco a loro v'era Bofur. Nel continuare vedere l'amica fare versi e minacciare Oin di morte ad ogni cenno di dolore – non lo sopportava particolarmente – aveva allungato la mano verso di lei, ricercando l'arto sano rimastole. Le sfiorò la mano e le dita si infiltrarono tra gli spazi, artigliandola in quel contatto. Lei l'aveva stretta subito, masticando un «dammazat heryer*» prima di stringere gli occhi. 
«Nessun tesoro può eguagliare quello di Erebor.» Disse Balin con assenso, mostrando un altro tenue sorriso. Gli altri rimasero silenziosi per qualche attimo prima che Kili, di nuovo, scattasse in avanti.
«E poi cos'è successo? Il Drago vi ha visto? Dove vi siete rifugiati?»
«Rifugiati?» Adesso Dwalin fece un passo in avanti, intrecciando le braccia sullo sterno con aria grave. «Oh no, ragazzo, non ci siamo rifugiati da nessuna parte. Abbiamo corso, sfuggendo al fuoco che ardeva.»
«Siamo riusciti a scivolare verso una piccola via d'uscita, sfuggendo alla sua vista per un po'.» S'intromise Bombur, ingoiando un boccone di focaccia. «Io crefo d'aver perfo molto peso per la corfa, altrofè.»
«Chuf.**» Brontolò Bifur, lì di fianco, picchiando una mano sulla panciona del cugino.
«Esatto, nessun chuf cugino. Che grama vita.» E Bombur cominciò a rabbuiarsi, imbronciandosi.
«Thorin è stato quasi bruciato! Come uno spiedino di carne.» Questa volta parlò Ori, sgranando gli occhietti nocciola. «E siamo sbucati nelle ultime sale dei nani, quelle dove...» Ori lasciò morire la frase e Dori gli diede una leggera pacca sulla spalla, con un sospiro. Tutti lo guardavano in silenzio, chi sapeva perse un minuto per salutare le anime bruciate che ancora urlavano, pregando un'ultima speranza, lì dentro; i corpi della loro gente erano ammassati e coperti di polvere, cenere e rassegnazione.
Kili e Fili si guardarono per un secondo e Berit strinse maggiormente la mano di Bofur, Oin aveva appena legato la stoffa sulla sua spalla e il braccio di lei ora rimaneva penzolante poco sopra il bacino.
«...Insomma ci siamo diretti verso le fucine.» Disse Dori, procedendo lo stesso racconto, rompendo quel momento di stallo. Tutti annuirono all'unisono.
«C'era ancora tanfo di Drago ovunque.» Nori fece una smorfia. «Mentre camminava lasciava piovere monete sonanti; avessi avuto io il potere di trasportare così tanto oro col solo corpo squamoso ora sarei un nano felice.»
«Ma tu non hai un corpo squamoso.» Disse Gloin, stringendosi nelle spalle tozze. «Ci manca solo una simile peculiarità in te, che siamo bell'e che fritti in padella.»
«Se ce lo avessi non sarei un nano.» Riprese Nori, alzando il mento barbuto.
«Saresti alquanto brutto, se ci pensi.» Incalzò Dori, facendo una smorfia schifata. «Già non sei un grande belvedere.»
«Oh senti...»
«E poi che è sucesso?» Kili continuò imperterrito interrompendo quel teatrino, guardandoli tutti. «Dai, non fatevi tirar fuori le parole, voglio sapere ogni cosa.»
«Ci siamo ritrovati nelle grandi sale, eravamo scoperti, per raggiungere la forgia è stato un viaggio pericoloso.» Disse Balin, sedendosi di fianco al fratello Dwalin. Quello gli diede una gran pacca sonora sulla spalla.
«Abbiamo cercato di depistarlo, dividendoci.» Disse Dori, guardando gli altri nani. «Il gioco di enigmi di Bilbo deve aver funzionato a confonderlo perchè sembra esserci cascato sul serio.»
«E bravo il nostro piccolo Scassinatore.» Sorrise Bofur, guardando Bilbo. Quello sorrise imbarazzato, stringendosi nelle spalle. Era ancora tutto arruffato e sporco di fuliggine e cenere, la tunica che aveva indosso gli scivolava sbrindellata sul corpo minuto.
«Io non ho fatto molto, in realtà. Ho fatto l'errore di risvegliare la bestia.»
«Noi pensavamo fosse un terremoto.» Rispose Bofur allargando lo sguardo. Berit, da canto suo, si pigiò contro la sua spalla una volta che Oin si alzò, andando a posare il suo armamentario per la cura. Ancora gli stringeva la mano, ben risoluta a lasciarla nella medesima postazione.
Fili s'intromise veloce. «Ci avete fatto proprio un gran bello scherzo.»
«Pensa al bello scherzo che ci ha fatto lui quando ha cominciato a sputarci fuoco addosso.» Disse Berit con una smorfia. «Non avevamo intenzione di farlo arrabbiare più del dovuto; sarebbe dovuto morire.»
«Avevate un piano?» Domandarono Fili e Kili quasi all'unisono. Entrambi scattarono con la schiena in avanti.
«Thorin aveva un ottimo piano. Siamo riusciti ad accendere le fornaci.» Disse Balin con un cenno d'assenso.
«E come dannazione avete fatto?» Quello era Fili, continuando a scuotere la testa da una parte all'altra.
«Con Smaug.» Risposero tutti insieme. Quelli che non lo fecero avevano lo sguardo allargato.
«Avete usato Smaug per...ritorcerlo contro sé stesso?» Disse Kili con un sorriso che cominciava ad ampliarsi sul volto. C'era da dire che si stava riprendendo quasi del tutto, persino la luce del fuoco gli regalava un vigore diverso, più saldo.
«Oh sì, quel lumacone era diventato lento.» Disse Ori, annuendo sicuro.
«E grasso.» Ripetò Dori, riprendendo le parole che Thorin stesso aveva rivolto al Drago per farlo ammattire. Gli altri sorrisero divertiti, scuotendo il capo.
«Lo abbiamo colpito con degli esplosivi di pirica.» Disse Ori tutto impettito.
«Che cosa?» Esclamò Kili incredulo. Ripensandoci bene – con estrema saggezza – nelle sue condizioni non sarebbe riuscito a fare grandi mosse, se avesse intrapreso il viaggio insieme agli altri, ma l'idea di non avervi partecipato gli provocò nel petto un enorme rimpianto. Ardeva di eccitazione nel sentire quel racconto.
«Io gli ho fatto crollare i carrelli addosso, a quell'essere spregevole.» Disse anche Gloin e Bifur fece dei cenni d'assenso, colpendosi gli avambracci con le mani. Bombur era ancora imbronciato di fianco a lui – probabilmente stava pensando al suo amato formaggio – mentre Berit si sporse in avanti con uno sguardo acceso.
«Se quel maledetto non si fosse agitato troppo – mentre tentavamo di ammazzarlo – sicuramente avremmo avuti molto meno problemi.» L'ovvietà della nana fu presa da molti come stimolo per annuire pieni di consenso.
«Ma si può sapere come hai fatto a romperti il braccio?» Chiese Fili, accennando al suo arto fasciato. Sembrò notare, in quel frangente, lei e Bofur mano nella mano. La cosa non gli procurò alcuna espressione visibile e restò in attesa di una risposta.
Berit non gliela diede all'istante, si voltò a guardare verso Bifur e quello alzò gli occhi al cielo, mostrando una nota indifferenza. Poi spostò gli occhi su Bilbo e lui fece esattamente la stessa cosa di Bifur. Un classico comportamento da coda di paglia.
«È stato tutto un effetto a catena indesiderato.» Si schiarì la voce, la nana, alzando il mento. «Si da il caso che un certo signorino con la mente abbaccata ha sbagliato mira.»
«Nuf ad stok orlid.***»
«Cosa vuoi dire?» Questa volta Bofur si voltò a guardarla, concentrandosi sul suo volto.
«Bifur mi ha centrato in testa con un sasso.» Rispose lei con tono tranquillo, prima di voltarsi verso Bilbo definitivamente e fingere un'espressione adirata. Bilbo ancora guardava in alto, evitando accuratamente di fissarla. «E il nostro mastro Scassinatore che vive sotto al Colle, non visto e tante care cose, è riuscito a slogarmi un braccio. Che nessuno mi chieda mai come.»
Bilbo appiattì le labbra, piegandole. Sembrava in procinto di scoppiare a ridere da un momento all'altro, questo Berit lo notò immediatamente.
«Heses!****»
«Oh no, no no no, allora, non ero neanche sicuro che si fosse rotto. Io accidentalmente mi sono ritrovato in codesta situazione perchè-»
Berit lo colpì in testa con il tocco di rimpinzimonio rimastole. Non fece male allo hobbit, il pezzo di focaccia aveva creato una curvatura perfetta e aveva rimbalzato con un “tonc” lieve sul suo capo.
«Aio
«Non ti lamentare, soffri in silenzio.» Rimbeccò Berit fingendo un tono altolocato. Poi gli fece l'occhiolino e Bilbo sorrise, smuovendo appena il naso.
«E, comunque, Thorin ha avuto la geniale idea di portarlo nella Sala dei Re. A Smaug intendo.» Dori s'intromise sicuro, mentre Bifur s'alzò in piedi con passo felpato, ritrovandosi dietro a Berit poco dopo. 
«Bruuuceretebruuucerete, sì certo: bruceremo quando le fornaci ghiacceranno e Bombur smetterà di amare il cibo.» Incalzò la nana, scimmiottando con accento cavernicolo il Drago stesso. Non s'era accorta di Bifur dietro le sue spalle, Bofur affianco a lei aveva sorriso amaramente.
«Abbiamo fatto colare l'oro nei rigagnoli creati per la fornace, calandola nella struttura della statua. Non avevamo quel secondino per la pirica di Balin. E quello schifo immondo sputafuoco stava cominciando a dare sui nervi a tutti.» Accodò Dwalin andando a rubare un pezzo di focaccia dalle mani di Ori. Quello gli diede uno schiaffetto sull'avambraccio; Dwalin neanche sembrò notarlo. «Razza di pomposo megalomane fetido, gli avrei storto il collo con le mie stesse mani se solo avessi potuto.» 
«Intanto abbiamo preso tempo, suvvia. Gli elementi metallici hanno funzionato come dovevano.» Rispose Balin contrito, arruffando la barba bianca.
Bifur, intanto, s'era gettato pesantemente sulla schiena di Berit, avvolgendole il collo con le braccia. Poi gli diede una testata – con la parte buona – sorridendo appena.
«Sì Bifur, ti perdono.» Berit non sapeva se ridere o piangere per quell'intontimento iniziale, Bofur levò su una mano, agitandola verso il cugino. Quello si gettò anche su di lui, stringendogli il capo in un saldo abbraccio. Sembrava in vena di un vistoso contatto fisico. 
«E quindi - quindi avete...Bifur mi stai strozzando...insomma il Drago, cosa lo ha...» Bofur provò a chiedere ma il cugino non sembrava propenso a concederglielo.
«Cos'è successo nella Sala dei Re? Perchè non lo avete fermato?» Chiese Fili, respirando pesantamente, dando voce alla domanda di Bofur.
Tutti si guardarono senza dirsi una parola, rimanendo in silenzio. Il ricordo di quel piano era ancora ben inciso nelle loro menti, la sala dei Re ora era livellata d'oro e splendeva. 
«Oh lo abbiamo fermato, in realtà.» Disse Nori, prendendo parola per primo.
«Per circa un minuto buono, tutto.» Disse Gloin.
«Sìsì, Thorin ha avuto una gran bella idea, assolutamente.» Questo era Dori.
Tutti e tre avevano abbassato lo sguardo verso le fiamme che ancora danzavano intorno al fuoco e fu Bilbo a spezzare il silenzio creatosi, alzandosi dalla sua postazione per avvicinarsi a Fili e a Kili. Li superò per fare il giro del fuoco, ritrovandosi in piedi ad osservarli tutti. Aveva notato, nei nani, una certa predisposizione a non ingigantire il problema di fondo. Sapeva che non era stata colpa di nessuno – anche se lui stesso se ne dava all'infinito – ma era inutile tergiversare su sottili complimenti quando era palese la disfatta del loro piano. Non v'era stata alcuna sicurezza per gli Uomini del Lago, Thorin non aveva mantenuto la promessa.
«Smaug ha pensato che fosse colpa degli Uomini di Esgaroth, ha minacciato di ucciderli...subito dopo che abbiamo tentato di affogarlo nella lava incandescente dell'oro colato. Ha distrutto il soffitto ed è...semplicemente volato in cielo, sembrava una grande...» Bilbo guardò Bofur in quel momento, abbozzando un sorriso amaro. «...fornace con le ali. Ricoperta d'oro, dalle ali come l'uragano, rombante come un tuono. Nei miei racconti i Draghi sono sempre state figure maestose e lui – mentre vorticava nel cielo – poteva sembrarlo. Ma era solo...Morte.» 
Tutti rimasero fermi ad ascoltare lo hobbit e si guardarono tra loro, lasciando che solo i pensieri avessero voci, adesso. Smaug aveva ammalato la loro casa e aveva distrutto quella degli Uomini; anche se la più grande calamità di questo secolo era stata sconfitta, la sua ombra vagava ancora integra e spettrale intorno a loro, seminando la sua desolazione più profonda. E quello – per loro sfortuna – era il fardello più difficile da sconfiggere, perché invisibile, perché profondo, perché estremamente radicato nelle viscere.
«...Avete detto qualcosa, ragazzi?» Oin si girò di scatto verso di loro, pulendosi le mani su un panno sporco.
Nessuno di loro rise, questa volta.


 

*Maledetto braccio
**Formaggio
***Basso
****Non è stata colpa mia.

NA.
E finalmente riprendo dal punto smollato mille capitoli orsonooo, dopo la caduta di 'sto Smaug maledetto (di cui io sono una fan ma ssssh!), mi scocciava non dire nulla su com'è andata col Drago quindi ho optato per il racconto da parte dei nani xD ho optato per questo perchè -sicuro come l'oro colato- se avessi scritto il capitolo della vera battaglia tra Smaug e i nani sarebbe uscita una schifezza immonda *_* Spero vi piaccia, da adesso in poi le cose saranno molto...*censura* e quindi bom. Come al solito mille mille mille grazie a tutti, come sempre <3 per seguire, per leggerla, per recensirla, per capitare qui per caso mentre si fa colazione o ci si perde nei bus, insomma...a tutti! 

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Capitolo 32
*** La malattia del Drago ***


Capitolo 32.
La malattia del Drago




Il tempo scorreva inesorabile senza che l'attesa lenisse le menti stanche dei nani. Non riuscivano a percepirlo, nemmeno dai rintocchi degli antichi tordi e degli stormi che tornarono a volteggiare sopra la cima della Montagna. Thorin non lasciava la stanza dell'Oro da giorni, non lo si vedeva mangiare né dormire, né sfuggire alla lucentezza delle coppe per riprendere a respirare, arrancando fuori dalla roccia. Nessuno osava dire nulla; si ritrovavano in mezzo al loro Re scavando tra le monete e le armi troneggianti, ognuno in silenzio, immerso in pensieri solo per loro. Solo Bilbo, di tanto in tanto, sfuggiva alla ricerca andando a rintanarsi nelle sporgenze tra gli speroni, isolandosi dal resto della Compagnia. Bofur non lo trovava tanto strano – d'altronde – s'era accorto che l'aria in quell'ambiente soffocava e non lasciava respirare, per quanto potesse essere abituato ad antri oscuri e caverne scavate non riusciva a sentirsi a casa. Thorin non migliorava e la sua malattia sovrastava loro stessi con pensieri poco arditi e propensi alla comprensioni; non sembrava più la stessa Compagnia partita dalla piccola Contea verdeggiante. Fili e Kili avevano più volte tentato un approccio col loro Re ma nulla era valso a redimerlo da quella profonda oppressione. Balin spesso si rifugiava nelle Sale superiori, tra gli elementi chimici che era stato solito usare quando abitava nella roccaforte e lì vi restava per ore, desideroso di liberarsi di quel triste malcontento. Berit era spesso con lui, non riuscendo a rovistare tra il tesoro, ancora col braccio martoriato. Se stava migliorando la guarigione non lo dava a vedere – o magari lei stessa estendeva la cosa consapevolmente – aiutava il vecchio nano nella conta, sistemando sacchi e pile di armature d'acciaio e d'argento. Fu in un pomeriggio inoltrato che Fili e Kili irruppero con l'animo carico di tormento, che si evinceva dai loro volti sempre più ombrosi. Kili non sentiva più l'effetto del veleno della freccia, ormai la ferita alla gamba era del tutto lenita ma Fili non aveva sciolto i nodi del suo malessere, spostandosi solamente verso l'apprensione per il suo parente più prossimo, oltre Kili. Non riconosceva più Thorin, la sua guida principale in quel viaggio per la salvezza di un popolo. Non v'era più la lucentezza e la determinazione di un Re vittorioso e regale, ma solo una malattia del Drago che scavava l'animo, tormentandolo di pensieri funesti e grigi. Non solo il suo carattere era più saturnino e schivo, il suo stesso aspetto era scavato e ombroso, la voce richiamava la più grezza roccia e il ringhio di una fornace gorgogliante. Era la voce di Smaug, il fantasma di quell'essere sopravviveva attraverso il Re sotto la Montagna e comandava i suoi pensieri. Fili non era più in grado di sopportarlo; ogni qualvolta pensava di rimettersi in forza qualcosa faceva vibrare il filo su cui era in equilibrio. Sul suo volto era incisa la stanchezza di giorni e giorni senza pace, Kili stesso se ne accorse e – mai come allora – si sentì in colpa per questo.
«Balin, possiamo parlarti?» Interruppe Kili, trattenendo un tono di voce basso. Nessun'altro era presente se non il vecchio anziano e Berit, seduta mentre sfogliava un grande tomo poggiato sopra le sue gambe. Entrambi alzarono gli occhi sui due eredi.
«Figlioli...» cominciò Balin con un sospiro pesante. «...se state cercando una risposta da me, sappiate che non posso darvela.»
«Ci sarà qualcosa che possiamo fare, vero?» Kili fece un passo avanti. Fili gli stava dietro, silenzioso, trattenendo lo sguardo basso. Berit chiuse il proprio tomo con un tonfo e s'alzò, piantando gli stivali a terra. Tratteneva ancora il braccio allo sterno, legato con una stoffa malconcia.
«So che si tratta della malattia del Drago, ma un modo per sconfiggerla...per farlo redimere da quei pensieri dev'esserci.» Mormorò il più giovane, ancora, lasciando che Balin continuasse a fissarlo in silenzio.
«Kili, non c'è.» Questa volta fu Fili a parlare, continuando a guardare in basso. Berit gli si era avvicinato e gli aveva appoggiato la mano libera sulla spalla. Lui non dava l'impressione di essersene accorto.
«Sì che c'è Fili. Dev'esserci, io non ci sto. Non posso credere che siamo giunti fino a qui per vederlo soccombere sotto il tanfo di quel lurido essere.» Kili si voltò di scatto, oscurando lo sguardo, lasciando chiudere le dita in due pugni ferrei. Balin s'era allontanato dagli scaffali in pietra, camminando piano verso di loro.
«So che è un momento complicato ma dobbiamo essere forti.» Rispose Balin con voce bassa, stringendosi nella blusa lunga e sporca. «Non possiamo contrastare qualcosa di così grande. Forse un aiuto arriverà se riusciamo ad attendere, la profezia di Oin non può essere stata vana. Erebor non è stata riconquistata per vederla cadere sotto l'egoismo e l'ossessione di un altro Re.» Il nano prese un pausa, stringendo la spalla di Kili. Quello lo fissò con sguardo risoluto e sgranato, pregno di audacia. «Thorin sarà un Re saggio e prospero e regnerà di nuovo la pace, io ne sono sicuro.»
«Balin.» Questa volta fu Berit a parlare, s'era staccata da Fili, facendo un solo passo in avanti. Lo sguardo grigio che s'alternava tra i due Eredi e l'anziano, si morse il labbro inferiore prima di parlare. Balin trattenne lo sguardo su quello grigio di lei, si meravigliò a scoprirlo più scuro, quasi nero. La cosa non gli piacque. «Quando troveremo l'Arkengemma...forse le cose andranno finalmente al loro posto.» Mormorò lei. Fili e Kili si voltarono a guardarla, il primo non dava segni di essere in accordo, Kili si sentì irrigidirsi ulteriormente. «Forse è questa la pietra che manca; il cuore che porterà sollievo a Thorin.»
«Credi davvero che l'Arkengemma possa migliorare l'avarizia di nostro zio?» Chiese Kili, burbero. «Sappiamo essere un dono molto potente, Berit. Thorin ne è così ossessionato da non lasciarci dormire la notte, a stento, pur di cercarla. Ci ha obbligato ad erigere dei muri per bloccare ogni possibile via d'entrata, è diventato ossessionato dai ladri, lugubre e imprevedibile. Io non credo che...non credo che funzionerà. Dobbiamo trovare un altro modo.»
«Kili...non c'è un altro modo.» Di nuovo Fili, aveva rialzato lo sguardo chiaro e osservava i tre senza espressione. «Io sono...stanco. Stanco di lottare per qualcosa che non sembra voler finire. Speravo che con la morte di Smaug tutto sarebbe finalmente fiorito ma così non è stato.»
«Non puoi arrenderti. Non ora, non dopo tutto quello che abbiamo passato.» Incalzò Kili, con uno scatto. La voce sibilava tra le pareti.
«Figlioli...»
«Non mi sto arrendendo Kili, per Aule, sto guardando in faccia la realtà, d'accordo? Abbiamo superato così tante sfide per giungere fino a qui che non riesco ad accettare il fatto che, adesso, sia proprio Thorin a boicottare ogni cosa. È malato e non si rende conto di esserlo, non vuole farsi aiutare, ci guarda con sospetto e rabbia, non ascolta più nessuno.» Fili guardava solo Kili ora, imperterrito.
«Esatto, è proprio questo Fili, Thorin è malato ed è nostro compito guarirlo. O almeno tentare di farlo. Se tu ti fossi arreso con me, ora sarei morto e sepolto da un bel pezzo.»
«Non paragonarti a questo, non provarci.»
«Ragazzi...» era Berit ora, ma gli altri due non la guardarono neanche. Balin le fece un segno di diniego con la testa.
«Che cosa c'è di diverso? Siamo una famiglia, nessuno di noi è stato mai abbandonato, non dev'essere dimenticato solo per la perdita della ragione. Thorin non è così, lo sappiamo tutti.»
«È stato Thorin ad abbandonarci!» Esclamò Fili con rabbia, rabbuiandosi ulteriormente. «A Esgaroth. Ci ha voltato le spalle, il suo primo pensiero è sempre stato la Montagna, a discapito di ciò che sarebbe potuto succedere a noi.»
«Ragazzi.» Berit ci provò di nuovo. Balin aveva chiuso gli occhi e sospirava pesantemente.
«La conquista di Erebor è sempre stato il pensiero primario di ognuno di noi. Non potevamo aspettare, non potevano aspettare, l'ultimo raggio era alle porte..era...»
«Tu sei il mio pensiero primario, Kili. Non questa Roccaforte, non l'oro, non le Sale dei Re. Quindi no, mi dispiace, ma non mi pento un solo secondo di aver abbandonato la missione per averti salvato la vita. Mai
«Figlioli...» questa volta ci provò Balin, facendo un passo in avanti.
Kili era rimasto silenzioso e con sguardo profondo rigettato sul volto di Fili, sentiva l'intensità dell'affetto fraterno farsi strada dentro al suo petto, prostrandosi a esso con una compostezza salda, piena di vita.
«Fili..avrei fatto lo stesso per te, lo sai. E credo che non ti chiederò mai abbastanza volte scusa per quello che ti ho tolto, costringendoti a scegliere fra me e Erebor.»
«Non m'interessa nulla di questo ora che so quale potere esercita ancora questo posto.»
«Adesso prendete un bel respiro...» s'intromise Berit, portandosi dinnanzi a loro con un palmo rialzato. Finalmente i due si degnarono di guardarla. Ancora non s'erano dati alcuna ripulita; indossavano gli stessi abiti da giorni, tutti i tipi di trecce che ornavano i loro capelli erano sfatti e sporchi di roccia. «...e smettetela di pensare. Tutti e due. Per fermare un nano ci vuole un altro nano, quindi cosa stiamo aspettando?»


 

Thorin continuava a camminare avanti e indietro, arrancando sulla montagna di ricchezze sotto ai suoi stivali di cuoio. Era pesante – il passo – e lasciava scivolare rigagnoli di monete fino ad ammucchiarle in piccole cunette dabbasso. I capelli neri scivolavano intorno al suo volto scarno, indossava ancora il manto trapuntato scuro e dei legacci in cuoio che rivestivano gli avambracci. Gli anelli e i gioielli ornavano le sue dita e i suoi capelli, nonostante non fosse curato nell'aspetto. Era come un'ombra vaga che fluttuava sopra i monti dorati, silenzioso come una fiera prima dell'attacco, riempito di pensieri oscuri e profondi. La mente lo portava a immagini contorte, immagini pregne di astio e sofferenza, nulla a che vedere con la malattia che aleggiava su Bosco Atro. Questa era diversa, era filtrata fin dentro le ossa e lo annientava ad ogni passo, ad ogni respiro che inalava senza liberarsi da quell'agonia viscerale. Il suo oro era di nuovo ai suoi piedi, poteva chiudere gli occhi e sentirne l'odore, il ticchettio che produceva ogni qualvolta lo pestava con le suole appesantite. Aveva riordinato alcune arpe vicino alle pareti e – di tanto in tanto – martoriava le corde sottili producendo un suono melodioso ma inquieto. Una piccola stilla d'una nota stridente che non lasciava spazio ai ricordi. Bilbo odiava sentirlo; lui amava la musica, lo riportava in luoghi lontani e sorridenti, dove rivedeva gli Elfi cantare e il fuoco acceso davanti alle rientranze delle vallate Selvagge, rivedeva il tramonto e i raggi del sole illuminare i ruscelli e i manti dei cervi e delle lepri scattanti. Ma adesso la pelle s'arricciava e le orecchie dolevano per ogni rumore che proveniva da quella Sala; la vista dell'Oro intaccava la sua percezione di grandezza ma non la scalfiva, non avrebbe mai saputo che farsene di tutte quelle montagne. La sua quindicesima parte del tesoro non sarebbe entrata nemmeno in tutti gli spazi presenti in casa Baggins, neppure scavando buche e buche sotto al terreno per nasconderlo. A questo pensava quando rimaneva da solo, lasciando che alcuni segreti rimanessero tali per tutti. Non era più riuscito a rivolgere alcuna parola a Thorin e aveva seriamente paura di farlo, non dopo che il Re aveva sguainato la spada contro di lui poco dopo essere sfuggito al Drago, impedendogli di salvare gli altri. Smaug aveva ragione: era stato solo una pedina di una struttura molto più grande. Era questo pensiero a tenerlo lontano da tutto, era questo pensiero a portarlo a rimirare - solo - la lucentezza di una pietra unica, dalla luce che irradiava ogni cosa, che rifletteva i raggi delle stelle e della luna. Un globo di lucentezza talmente bello e da sembrare solo un miraggio onirico dei più bei sogni mai realizzati. Una pietra che aveva trovato – perchè gli era stato chiesto – e che aveva trattenuto con sé senza dire una sola parola a nessuno. In fondo era bravo a mantenere i segreti, questo lo aveva appurato.
«Thorin, posso parlarti?»
Balin era dietro al Re, di fianco a lui stava stanziata Berit. Nella Sala si vedevano Dwalin e Gloin, abbastanza lontani da non accorgersi della loro comparsa. Bilbo e Bofur erano rimasti in disparte, seduti sulle scale, a scostare piccoli cumuli di coppe.
«No.» Rispose secco Thorin, producendo un tintinnio metallico. La sua voce era grave e graffiata. «Parlare fa perdere tempo verso la ricerca e già non mi pare che tu mi stai aiutando abbastanza, Balin.» Il Re si voltò per guardare di sbieco sia lui che Berit lì di fianco. I suoi occhi bruciavano di tormento, oltrepassando i fili scuri che gli ricadevano ai lati del volto. «Ora vattene e torna a conteggiare il mio oro.»
«No.» Rispose secco Balin, di rimando, facendo un passo avanti. Alcune monete scivolarono via, al suo passo. «Tu hai bisogno di un aiuto, Thorin. I tuoi nipoti sono preoccupati per te, tutti sono preoccupati per te. Devi uscire da queste stanze e prenderti cura della tua casa e della tua gente.»
«Stai osando darmi degli ordini, Balin?» Ringhiò il Re, stringendo i pugni. Fili e Kili erano ridiscesi dalle scale, soffermandosi vicino alla postazione di Bofur e Bilbo. Tutti si erano voltati a guardarli; altri apparivano oltre i cumuli di Oro, silenziosi e stanchi. «Ti avverto, non me lo fare ripetere ancora: girati e torna da dove sei venuto, adesso
«Scava dentro al tuo cuore, Thorin, e dimmi se il veleno che senti è davvero piacevole come pensi.» Berit si mise in mezzo, facendo un passo avanti. Era estremamente seria. Bofur s'alzò in piedi di scatto quando la sentì parlare. «Non ti corrode l'anima? Non provi dolore, mentre si mescola dentro di te? Come puoi non sentirlo...come...come puoi non sentire quello che ti sta facendo?» Domandò lei, facendo un ulteriore passo in avanti. Balin la prese per una spalla, giusto per fermarla. Sentì dietro di lui alcuni passi frettolosi che s'avvicinavano senza timore.
«Tu non sai niente.» Sibilò Thorin, scuotendo il capo, donandole le spalle. Nascose il suo sguardo dietro la coltre di capelli scuri, che ondeggiavano come ragnatele filamentose.
«Thorin tu...tu lo sai.» La voce di Berit sembrò incrinarsi, Balin continuava a stringere la spalla. S'era accorto che di fianco a lui s'era palesato Bofur, con sguardo acceso e attento. Bilbo, Fili e Kili lo avevano seguito. Anche Dwalin e Gloin stavano incedendo verso di loro con passo fermo. «Tu lo sai. Credi che non lo sentiamo? Quest'Oro ha un potere enorme, sta scavando i nostri volti e ci sta facendo perdere ogni tipo di...ragione. Tutti sono preoccupati e si stanno annullando per questo. Perchè non riesci a vederlo?»
«Berit chiudi subito quella bocca o giuro che ti taglio la lingua, una volta per tutte.» Sibilò il Re a denti stretti, rimanendo con le spalle rivolte verso i suoi Compagni.
«Thorin adesso basta.» Dwalin si intromise di colpo, troneggiando con passo pesante davanti alla volta di Berit e Balin. La nana era stata raggiunta con uno scatto da Bofur e le aveva stretto la blusa, per il fianco.
«Nessuno osi dire a me basta. Io sono il vostro Re, colui che vi governa, che vi ordina ciò che dovete fare.» Sibilò Thorin voltando lentamente il capo. S'era ingobbito in una posa che – di regale – aveva ben poco. Aveva l'aspetto di un ragno viscido, nonostante il corpo ancora vigoroso. «Non ci metterò molto a proclamarvi come nemici di Erebor e bandirvi da queste Sale per il resto della vostra patetica vita.»
«Non stai parlando sul serio, Thorin. Quest'Oro ti ha annientato la ragione.» Incalzò Balin con le lacrime gli occhi, lasciando la spalla di Berit e facendosi avanti, per fiancheggiare il fratello.
«Non osare offendere questi nani davanti a me, zio, o sarò io a dettare le mie ragioni questa volta.» Fu Fili a parlare, facendo un passo avanti. Kili provò a seguirlo per fronteggiare lo zio ma Fili gli posò una mano sullo sterno, bloccandolo sul nascere. Lo sguardo che Kili gli rivolse era pregno di preoccupazione. «Tu, in questo momento, non vali nemmeno una piccola stilla di tutto il valore e la lealtà che impregna i nostri Compagni. Continuano a restare uniti, a compiacerti, perché nessuno ha mai dubitato di te. Ma ora...ora tu non sei lo stesso nano che mi ha cresciuto negli Ered Luin, sei solo un'ombra sopita di un ricordo lontano...che ho paura non abbaglierà mai più i nostri cuori.»
«Fili, t'avverto...non farmelo ripetere un'altra volta, non farmi sguainare la spada e puntartela alla gola.» Thorin spostò lo sguardo su di lui.
Kili fece uno scatto in avanti e si parò davanti al fratello maggiore, stringendo i pugni. Gli occhi lucidi e pesanti di tormento, aveva la mascella talmente serrata da illividire le labbra.
«Se osi anche solo pensare di attaccare Fili allora preparati a scavalcare il mio corpo, perchè non lo toccherai mai finchè ci sarò io, qui.»
«Sei debole e stupido, come puoi pensare di poter competere con me?» Incalzò il Re, livido di rabbia. Vide Fili cercare di anteporsi al fratello, tirandolo indietro.
«Kili è sempre stato dalla tua parte, Thorin. Lui vuole aiutarti, vogliamo farlo tutti, ma devi ascoltarci.» Questo era Bofur, aveva fatto un ulteriore passo in avanti. Bilbo, dietro di lui, fece lo stesso. «Insomma noi...noi siamo giunti qui dopo di voi, non abbiamo combattuto contro il Drago lo so ma...ma siamo qui, siamo a Erebor, siamo pronti a farla brillare di nuovo, a portarvi i nostri parenti da Dunland, dai Colli Ferrosi, dalle Montagne – insomma pensa alla prosperità che avrà una volta che ritornerà a rinvigorirsi il commercio e - bè sì magari, insomma, non è che dobbiamo per forza commerciare subito, ci sono tantissime cose da fa-»
Questa volta Bofur non fece in tempo a finire la frase che si trovò la spada di Thorin puntata contro il petto. S'era voltato di scatto, avvicinandosi al nano col cappello con un'irruenza veloce.
«Chiudi quell'ignobile bocca e smettila di parlare come se questa fosse casa tua. Non lo è.» Ringhiò Thorin a voce alta.
Fili si ritrovò a spintonare via Thorin velocemente e Bombur – caracollato da un ammasso di oro – s'era precipitato davanti a Bofur con una mazza ferrata tra le mani. Berit stessa aveva fatto uno scatto, tirando indietro l'amico.
«Non provare più a minacciare mio fratello!» Disse Bombur risoluto, rosso in volto come un pomodoro.
«Già.» Incalzò Berit con rabbia, recuperando la prima cosa che potesse usare come arma: un candelabro.
«Qui nessuno minaccia nessuno!» Disse Balin, alzando i palmi velocemente per immettersi tra i Nani e Thorin stesso.
«Levatevi tutti da davanti alla mia vista, adesso.» Thorin aveva ancora voltato le spalle. Dopo essere stato spinto era indietreggiato con un ringhio che vibrava dal petto. La sua voce divenne cavernicola, con ancora quel retrogusto metallico e profondo.
«Tu prova ancora a puntare una spada contro Bofur e io quella mano te la taglio senza pensarci.» Berit era scattata in avanti, lo sguardo scuro quanto i suoi occhi e il braccio libero irrigidito con le falangi chiuse a pugno.
«Farò ben di peggio se osi rivolgerti ancora a me in questa maniera. Non osare
«Ma fallo, invece di blaterare.» Incalzò lei, viola dalla rabbia. «Fallo, no?»
«Berit.» Bofur cercò di prenderla per un braccio e quando vide Thorin inspirare appieno dalle narici dilatate provò un moto di paura improvviso. Tirò indietro Berit nel momento esatto in cui Dwalin si mise davanti a loro, trattenendo l'ascia tra le mani. Strinse il manico con fare convulso, guardando verso Thorin che già incedeva pesantemente verso Berit e Bofur.
«Non ti permetterò di fare del male a nessuno di loro, Thorin, quindi fermati...o non sarò più tanto clemente.» 


 



 

NA.
Ora sono entrata in un loop di angoscia e tormento quindi...quindi sarò traggggica, lo dico. Lo dico.
Non ho molto da dire, alla fine la storia la sapete tutti quanti e non mi debbo dilungare troppo, ovviamente cercherò di portare momenti dei nani che non sono mai stati raccontati (che quelli che già sappiamo ...bè li sappiamo, non ha senso e non vorrei cambiarli v.v). Grazie come al solito alle mie carissime recensitrici <3 e saluto anche Sara_3210 che mi sta seguendo :) io mi emoziono sempre, come la prima volta. Un abbraccio a tutti.

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Capitolo 33
*** Come finisce la storia? ***


Capitolo 33.
Come finisce la storia? 




Bilbo avrebbe voluto infilarsi l'Anello e sparire da quella Sala.
Non riusciva più a sopportare nulla di tutto quello, si sentiva schiacciato e bugiardo, senza avere il coraggio di compiere quel passo che l'avrebbe portato a calmare le acque di quella situazione. La forza di volontà persisteva ed era ben conscio che quella di tenere la pietra per sé era una scelta più che saggia. Aveva sentito Berit dirlo a Ori, aveva sentito lo stesso Balin parlarne come una maledizione persistente, percependo la sua paura nell'ipotetica scoperta dell'Arkengemma, tra le mani di Thorin. Bilbo ora riusciva a comprendere pienamente le ragioni dei suoi Compagni, se quel globo di luce ossessionava il Re a questa portata non osava immaginare cosa sarebbe successo una volta donatagli. Molte volte aveva pensato di smetterla con tutto questo e parlarne a Balin o a Dwalin, a qualsiasi nano che fosse ancora ragionevolmente lucido da prendere una decisione per lui. Ma in quel momento un passo del genere sarebbe stato azzardato. La tensione inaspriva l'aria e nessuno di loro osava distogliere lo sguardo fermo e lucido dal proprio Re. Un Re che ora s'ergeva dinnanzi a loro, tremando di rabbia, scavato nel volto da un'ombra velenosa che non lo lasciava ragionare. Bilbo aveva tentato di scorgere in lui qualcosa – qualsiasi cosa – che potesse usare a suo vantaggio per una conversazione pacifica. Ritrovare in lui il barlume di Thorin, il nano che che gli aveva chiesto perdono così tante volte, che lo aveva abbracciato sulla cima della Montagna. Non era mai stato il più loquace della Compagnia ma, a suo modo, aveva abbassato la sua corazza difensiva e aveva dimostrato affetto nei confronti di Bilbo. E Bilbo aveva fatto lo stesso con lui. Se la sua testa cercava di trovare una soluzione in fretta, il suo cuore rimaneva saldo in quella scelta; se quello era un motivo per salvare Thorin dal più profondo e oscuro oblio della sua anima allora avrebbe fatto di tutto pur di non dargli l'Arkengemma.
Anche a costo di...
Dwalin si tratteneva eretto davanti a Bofur e Berit, il fratello era rimasto lì di fianco e tratteneva ancora i palmi rialzati. Ognuno di loro era sicuro che Thorin sarebbe scattato da un momento all'altro, assalendo il primo nano che si fosse azzardato ad aprir parola.
«Questo non sei tu e non ho nessuna intenzione di servirti.» Mormorò Dwalin con lentezza, trattenendo la voce austera e dura. Ma il suo volto tradiva qualcosa che Bilbo non gli aveva mai visto in quei mesi, neanche per errore, neanche quando era ebbro di vino e birra. Aveva gli occhi pieni di lacrime e il volto gli tremava di una rabbia e una tristezza talmente profonda da non riuscire più a scorgere la risolutezza che aveva sempre caratterizzato il più brontolone dei suoi Compagni. Quell'immagine gli fece stringere il cuore in una morsa, provocandogli un magone profondo al petto. «Sei pieno d'oro e ti atteggi come il Signore di Erebor ma non vedo...il Re che ho sempre pensato tu fossi, Thorin.» Dwalin continuò e Balin, di fianco al fratello, aveva disteso le braccia lungo i fianchi e delle silenziose lacrime gli scesero sulle guance. «Tu non sei più quel nano. Non sei più...colui che seguirei, nella guerra e nella morte. Non sei più...il mio Re.»
«Sono stufo Dwalin, sono stufo di sentirvi parlare come se foste davvero miei fedeli Compagni. So cosa bramate, nel profondo del vostro cuore, cercate di rabbonirmi per via del mio Oro. Ma non riuscirete...non lo farete.» Sibilò Thorin senza neanche guardarlo in volto. S'era voltato di gran fretta, procedendo a grandi e pesanti falcate verso la collinetta d'oro più bassa. Tutti lo fissarono silenziosi e tormentati, chi stringendo i pugni e chi abbandonandosi al proprio dolore.
Fili – seppur non piangesse – riservava la stessa espressione di Dwalin, Kili gli stringeva il braccio, trattenendolo fermo.
«Preferirei...morire invece che vederti così.» Mormorò Dwalin a bassa voce, abbassando lo sguardo. Nessuno di loro disse più nulla fino a che Thorin non sparì oltre le colonne possenti, lasciando solo il tintinnare vacuo delle monete sotto il suo passaggio.
Con un ringhio di rabbia Dwalin lanciò sull'oro la sua ascia, strattonò il braccio di Balin che gli si era saldato al proprio e s'allontanò dal gruppo, sparendo oltre le scale. Rimasero tutti a guardarsi con aria rammaricata e triste. Non v'era più tempo per perdersi nei canti dei Monti Nebbiosi, la malattia di Smaug li stava annientando.
«Fili...vieni con me.» Sussurrò Kili, tirandolo indietro. Il fratello biondo non faceva che guardare il punto in cui era sparito lo zio, incapace di muovere un solo muscolo. Sentiva i passi degli altri nani dietro di lui, alcuni parlavano piano e altri – silenziosi – si allontanavano da lì.
«Fili?» Kili lo richiamò, tentando di tirarlo ancora. Ruotò di poco lo sguardo e vide Berit e Bofur poco distanti. Lei stava sfiorando con le dita il punto in cui la lama di Thorin aveva premuto contro il petto di Bofur, lui aveva abbassato lo sguardo e le stava sorridendo per tranquillizzarla. Aveva azzardato a tirar su la propria mano destra per stringerle le dita. In quella semplice e genuina visione, Fili aveva stirato le labbra in un sorriso mesto che gli aveva annebbiato lo sguardo. Bombur e Bifur s'erano avvicinati ai due, Ori si stava allontanando con Bilbo, posandogli una mano sulle spalle. Balin, solo, era rimasto fermo e scuoteva il capo bianco e scomposto verso terra, le mani strette ai fianchi. Lasciava sfuggire parole incomprensibili.
«Kili...credo che abbiamo fatto un errore a lasciare gli Ered Luin.» Mormorò a bassa voce, voltando l'attenzione verso il fratello. Kili non riusciva a reggere la portata di quello sguardo sofferente, era troppo per lui. Con un sospiro più sostenuto aveva fatto uno scatto in avanti per fronteggiarlo. La destra era scivolata fin dietro la nuca di Fili, stringendogli le ciocche bionde e spinse il suo volto in avanti, in un salda presa: ora lo guardava negli occhi, con sguardo sicuro.
«Abbiamo fatto ciò che era giusto fare. Abbiamo Erebor, di nuovo, potremmo finalmente vivere nel luogo che ci spetta di diritto e...tu un giorno sarai Re di questo posto, e lo proteggeremo da qualsiasi minaccia.»
«Io non voglio essere Re...se è questo il prezzo da pagare.» Mormorò Fili e spostò lo sguardo sul tesoro ai loro piedi. Il suo cuore aveva tremato alla vista di quella magnificenza la prima volta che vi aveva posato gli occhi sopra. L'Oro era infido e gli riempiva il cuore di un'ingordigia che non aveva mai provato. Sentiva di saperla gestire ma aveva paura a scoprire se la forza di volontà sarebbe bastata, questa volta. Non ricordava più cosa volesse dire caricare i carretti e commerciare con i popoli delle Montagne, non riusciva più a pensare a sua madre che aiutava le giovani nane agli insegnamenti delle tradizioni, lontano dallo sfarzo e dal lusso che avrebbe dovuto possedere. Gli Ered Luin gli sembravano così piccoli e così tremendamente lontani, ora, e aveva paura che questo peso peggiorasse ancora.
«Non sarà questo il prezzo da pagare, fratello. Non permetterò mai che ti accada una cosa del genere, a costo di picchiarti fino a farti rinsavire.» Kili gli sorrise con più trasporto, mantenendo la presa salda dietro la nuca di Fili. Non aveva perso in alcun modo la sua testardaggine e quel sorriso spensierato che lo caratterizzava. Si chiese – per l'ennesima volta – cosa sarebbe successo se Kili non fosse sopravvissuto a Pontelagolungo. Se Tauriel non fosse arrivata in tempo, se Bofur non avesse trovato l'Athelas. Chiuse gli occhi e una profonda ruga gli si incise sulla fronte, martoriandogli la pelle ancora sporca di terra.
«Se fossi rimasto con lei non avresti dovuto sopportare tutto questo.» Mormorò Fili, riaprendo gli occhi. Kili abbandonò la presa col suo capo e si ritrasse per un secondo, osservandolo con sguardo intenso ma serio.
«Io non posso stare con lei.» Disse Kili, deglutendo a fatica. Lo sguardo scuro s'ombreggiò d'una spiacevole sensazione. «Lei è un'elfa e io sono un nano. Non sarebbe mai...non..» Kili
provò a trovare le parole e sospirò pesantemente, abbassando lo sguardo.
Fu la volta di Fili di posargli una mano dietro la nuca, guardandolo con sicurezza. Gli sorrise, recuperando le ultime forze in suo possesso per farlo.
«Ma tu la ami
Kili non rispose a quella frase, appiattì le labbra tra loro e Fili notò che gli tremavano debolmente. Ogni muscolo del suo corpo s'era irrigidito e nello sguardo lesse la consapevolezza di un sentimento che – in Kili – non aveva mai visto. Tauriel non apparteneva a nessun numero, non era più una delle tante; questa volta non avrebbe potuto prenderlo in giro con Berit. La cosa gli riempì il cuore di un vigore più forte e posò la fronte contro la sua, socchiudendo lo sguardo.
«Farò di tutto pur di farti tornare da lei.»
Kili chiuse gli occhi e sorrise profondamente, lasciando le labbra chiuse e piegate. Aveva il respiro corto e alzò la mano per afferrare il bicipite del fratello e stringerlo con intenso affetto. Entrambi rimasero così per un tempo che sembrò loro interminabile. Fili provava timore a lasciare la presa, aveva paura a riaprire gli occhi e accorgersi che nulla era cambiato. Avrebbe dato qualsiasi cosa – ora – per sentire di nuovo i suoi Compagni scherzare intorno ad una tavola imbandita o cantare stupide canzoni.
«E io farò di tutto pur di farti tornare da lei, fratellone.» Questa volta fu Kili a parlare e Fili aprì gli occhi di scatto.


 


 

«E qui ti fa male?»
Berit stava premendo con un indice tozzo contro lo sterno di Bofur e quello fece una smorfia teatralmente dolorante, strizzando le palpebre. Bombur – lì di fianco – aveva tenuto le guance gonfie e la pelle era rimasta paonazza e arrossata, tratteneva ancora la mazza ferrata con fare convulso, martoriandone il legno più volte. Bifur gli dava pacche blande sulla spalla nerboruta, borbottando a bassa voce.
«Se premi così sì.» Rispose Bofur con un sorriso, ancora tratteneva le dita sopra il dorso della mano dell'amica, lo sguardo risaliva su e giù lungo il suo volto. Bofur tratteneva quella curva delle labbra ma lo sguardo era spento dalla sua solita spensieratezza, era annebbiato da una paura diversa che gli incuteva lo sguardo scuro.
«Non sto premendo.» Rispose lei, pressando ancora l'indice contro la stoffa. Se l'amico sorrideva lei invece sembrava aver perso la volontà di farlo. Tratteneva lo sguardo basso e oscuro, una ruga preoccupata comparì in mezzo alle sopracciglia. Aveva gettato via il candelabro poco dopo che Dwalin arrancò via da lì e aveva volto lo sguardo in direzione di Bofur, non preoccupandosi di null'altro. I due eredi di Erebor non erano molto distanti e li sentì parlare fra loro ma non era stata raggiunta dalla sensazione di voler percorrere i loro discorsi, adesso. Se avesse potuto avrebbe liberato la mano legata allo sterno per poter facilitare quel compito minuzioso anche se – d'altronde lo credeva anche Bofur – non era sicura di quello che stava realmente cercando.
«Berit non mi ha ferito. Sto bene.» Rispose Bofur continuando a guardarla. Fece una smorfia all'ennesima pressione del suo polpastrello e azzardò una presa più salda sull'arto di Berit, inclinando il capo per intercettare il suo sguardo. Non riuscì a coglierlo; Berit lo tratteneva basso e Bofur notò qualcosa di diverso. Non era più presenta quella pallida luce grigia che lo illuminava d'un sapiente orgoglio. Ora erano scuri, spenti... sembravano dormienti dentro pensieri neri e inviolabili.
«Berit?» Lui provò a richiamarla. Lei non sembrò sentirlo, tratteneva lo sguardo basso e le dita smisero ben presto di infastidirgli lo sterno, restarono ferme lì sopra, carezzandogli piano il punto in cui, poco prima, era presenta la punta dello spadone. Lei si voltò verso la cunetta d'oro che sovrastava un pilone di pietra e socchiuse gli occhi, soffiando aria dalle narici con profonda rabbia. Bofur trattenne il capo ripiegato, il suo cappello era sporco di polvere ma restava ben saldo sopra i capelli scuri, intrecciati. Sorrise di nuovo alla volta di Berit e Bombur s'intromise tra loro con sguardo annichilito.
«Dovremmo mangiare un po' e recuperare le forze e il buonumore.» Borbottò, pigiando le labbra tra loro. Berit non dava segni di averlo ascoltato, si rivoltò di scatto verso Bofur e lasciò lo sguardo basso, borbottando parole sottovoce.
«Prova a...vai con Bilbo di sopra e riscaldate uno stufato di coniglio.» Disse Bofur verso Bombur mentre tornava a guardare l'amica. Non riusciva a cogliere il suo sguardo in nessun modo, la cosa gli procurò un lieve cipiglio.
«Venite con noi, non restate qui.» Borbottò di nuovo Bombur prima di sentirsi strattonato da Bifur. Quando il grasso nano si voltò verso il cugino lo vide intento a fare gesti alla volta dei due nani che aveva davanti. Bombur non capì immediatamente, non era di certo sveglio e scattante – non in quello stato – e si volse verso il fratello e Berit con un broncio. Non ci volle molto prima di interpretare i gesti di Bifur; vide Berit poggiare con un sospiro la fronte sullo sterno di Bofur e quello le sorrise, poggiando la guancia sul suo capo. Non era solito captare il momento in cui era il caso di alzare le terga e abbandonare una situazione che non prevedeva la presenza di terzi, quarti, quinti incomodi. Non dovette farsi trascinare da Bifur e – dando una pacca a Bofur – s'allontanò con passo pesante verso Dori e Nori, intenti a risalire le scale.
«Bombur ti aiuto con le spezie.» Disse Dori, d'un tratto, sparendo al di sopra. Il silenzio calò di nuovo nelle Sale, Fili e Kili s'erano allontanati dalla loro postazione, Balin era l'unico che ancora girava senza meta sopra le montagnole dorate – in silenzio – facendo tintinnare le monete ad ogni passo.
Quel momento era rimasto solo per loro. Bofur rimase appoggiato al capo di Berit ed entrambe le braccia erano sfilate per poter stringere l'amica per i fianchi, in un debole abbraccio sofferto. Berit aveva chiuso gli occhi, abbandonandosi a quel contatto, con la fronte pigiata sul suo petto. Sentiva gli occhi stanchi e pesanti, il respiro divenne meno e provò un'improvvisa voglia di calore. Lo stesso calore che proveniva dalla forgia, il rumore delle scintille che danzavano sotto i colpi dei martelli, il rumore del fragore. Quando Bofur cominciò a sentirla tremare sotto le sue mani si staccò lentamente, riportando lo sguardo verso i capelli crespi di Berit. Venne invaso ad un improvviso senso di protezione emotiva e mai ne fu sopraffatto come in quel momento.
«Berit..ehi...calmati.» Sussurrò lui, lentamente, carezzandole lentamente la schiena. Lei – di tutta risposta – gli picchiò il pugno sullo sterno. Non fu un colpo doloroso, era carico di sofferenza e Bofur lo percepì talmente a fondo da non sentire il bisogno di provocarla con le sue solite battute.
«Berit?» Ci riprovò per l'ennesima volta.
Quella volta lei alzò lo sguardo e Bofur notò il colore dell'iride e gli mancò il respiro dalla gola. Rimaneva nero, contornato da due aloni intorno alle palpebre. Lucido e pesante di stanchezza e pensieri.
«Ho bisogno di sentirti suonare.» Rispose lei con voce bassa, graffiata appena dalla gola arsa. Non era la sua solita voce, qualcosa gliela tratteneva bassa e sibilante. Niente a che vedere con quella di Thorin ma era carica di qualcosa di poco piacevole.
«Vuoi..vuoi che suono qualcosa per te?» Provò a dire Bofur, provando a sorriderle.
«Ho..ho... Bofur non...» Berit provò a parlare e – colto da un bisogno diverso – Bofur le prese il viso tra le mani e lo trattenne rialzato. V'era l'obbligo di lasciare gli sguardi incrociati, senza vergogna, senza difese. Pura e semplice trasparenza, su questo erano sempre stati bravi. Non riconosceva più la sua amica in tutta la sua consistenza, emotiva e caratteriale. L'Oro era infido e indeboliva le difese più rocciose, logorava il ferro che avvolgeva il cuore di un nano. Lui non era mai stato a contatto con tanta magnificenza ma aveva captato lo stesso disagio interno quando si adagiavano a lungo, lì sotto. La sua anima semplice non era stata intaccata dal veleno che aleggiava sopra le loro teste e sotto i loro stivali pesanti ma non v'era da prenderla alla leggera. Non avrebbe mai fatto crollare Berit sotto il potere che esercitava quel luogo, sapeva che Berit stesso cercava di contrastarlo.
«Un giorno ho conosciuto una nana.» Cominciò Bofur mentre muoveva lo sguardo su di lei. «Era una nana molto strana. Mi ha dato una martellata in testa e ha tentato di rubarmi il cappello, scommettendolo con Bombur. E allora l'ho inseguita per tuuutti gli Ered Luin.» Lei alzò le sopracciglia e smosse gli occhi scuri sul volto di Bofur. Le dita dell'unica mano libera si strinsero sulla stoffa della giacca di Bofur e restò in silenzio. Un evento più unico che raro, in fondo. «Non era tanto veloce, sai? L'ho acciuffata e mi sono ripreso il cappello. E lei mi ha dato un pugno proprio sul naso.» Bofur sorrise pienamente a quel ricordo e strinse di più la presa sul volto di Berit. «Si è messa a ridere. Ha proprio riso come una matta quando mi ha visto coprirmi il viso sanguinante, crollando a terra. Credo di non aver mai sentito nessuna nana ridere così tanto come lei.» Prese una leggera pausa e sentì Berit ammorbidire il volto. Le labbra ancora rimasero chiuse e strette tra loro. «E allora ho riso anche io, perché insomma rideva e mi faceva ridere il fatto che rideva. E quindi non abbiamo smesso per almeno dieci minuti buoni e io avevo tutta la veste sporca di sangue. Ma poi, questa nana, ha smesso di soffocare tra le risate e mi ha teso la mano, aiutandomi a rialzarmi. Mi ha pulito il volto con la manica della propria tunica, e gliel'ho sporcata tutta di rosso. Io le dissi “No, cosa fai? Così rovini la veste”. E lei mi rispose...» prese una pausa e avvicinò il volto al suo, restando con lo sguardo basso. Poteva sentirla respirare e si sentì sollevato nel sentirla farlo sul serio. «...lei mi rispose “Non fare la femminuccia, Nano, o ti tiro un altro pugno in faccia.”» Bofur sorrise e lei fece altrettanto. Il suo sguardo tornò a schiarirsi e lui prese a raccontare con voce più enfatica, incurvando le labbra pienamente. «Nessuna mi aveva mai minacciato di tirarmi un pugno, di nuovo. Io sono sempre stato...così...così, insomma le nane davanti a me si spogliano eh, mica mi picchiano.» Questa volta Berit fece una risata più convinta e ampliò il sorriso. «Da lì è nata l'amicizia più bella che io potessi mai sperare di avere con qualcuno. Ci guardavamo le spalle, ci prendevamo in giro, ci picch- lei mi picchiava. La guardavo negli occhi e mi bastava questo per capire ogni cosa. Lei mi guardava negli occhi e mi capiva, semplicemente.» Bofur si fermò per qualche istante, i suoi pollici lisciavano la pelle del volto di lei con carezze delicate e inusuali. Lei continuava a sorridere alle sue parole. «È sempre stata più forte di me in tante cose e ha sempre combattuto per i suoi ideali senza avere paura di andare contro a niente. Mai.» Un'altra pausa di pochi secondi. «Poi ho conosciuto te e guarda cos'è successo.»
Questa volta Berit fece una smorfia fintamente offesa e gli diede un pugno sullo sterno con il fianco della mano e Bofur rise di gusto, sfilando via le mani dal suo viso per stringerla di nuovo in un abbraccio. La fece ciondolare in questo.
«Adesso ti tiro quel candelabro in testa guarda...» si lagnò lei, andando a cercare la sua arma con lo sguardo tra le varie coppe e i gingilli d'oro. «...maledetto Nano.»
«Almeno ora stai meglio, hai visto?» Disse lui, spavaldo.
«Potevi anche non raccontarmi l'abbrivo della nostra amicizia, credo di conoscerlo bene. E – tra l'altro – quel pugno poi te l'ho dato sul serio.» Lei si mise a ridere ma lui non aveva cominciato a seguirla oltre questo, v'era un'altra cosa che doveva chiarire prima che fosse tardi per ritornare indietro.
«Al banchetto stavo per perdere la nana più importante della mia vita per una cosa talmente stupida che non me lo sarei mai perdonato. Se fossi arrivato qui e... e non ti avessi trovato a quest'ora io..io...»
«Ma tu mi trovi sempre, Bofur.» Rispose lei con sicurezza, rialzando il volto per guardarlo meglio. L'ombra che le aveva oscurato lo sguardo grigio ora sembrava sopita dietro quel sorriso. Era il suo solito volto e la sua solita aria allegra e bonaria. «E io trovo sempre te. E se Thorin prova a minacciarti di nuovo io lo ucc-» Berit si trovò bloccata le labbra dalle dita di Bofur. Lui aveva smesso di sorridere ma il suo sguardo era sicuro.
«Non dirlo. Non lo pensi sul serio, hai avuto solo paura.» Disse piano Bofur. «E non dire che non ne hai mai.»
Lei abbassò lo sguardo e lasciò scivolare via le dita di Bofur dalle proprie labbra. Lo sguardo scivolò insieme a quelle, facendo ciondolare il capo in avanti. Di nuovo ritornarono alla posizione di poco prima, in silenzio. Quel momento durò immobile per molti secondi prima di venire spezzato di nuovo.
«Come finisce quella storia, Bofur? I due nani rimangono amici per sempre? Andrà...tutto bene?» Chiese lei dopo qualche istante di silenzio, lasciando il capo basso. Bofur fu scosso da un pensiero opprimente, in quel momento. Aveva ripreso a stringerle i fianchi e v'era la consapevolezza che – non detta – lei lo aveva perdonato completamente per le parole scambiate nella loro ultima serata goliardica del loro viaggio. Si sentì sopraffatto da un'irruenza diversa, questa volta, sicuro che niente sarebbe stato più facile come prima. La riconquista di Erebor non era ancora compiuta del tutto e c'era ancora troppo lavoro da fare, troppo da ricucire, da far riemergere alla luce del sole. Si sentì invaso da una bellissima e pericolosa sensazione che non riuscì più a controllare. Fece di nuovo risalire le mani sul volto di Berit, poggiandole le dita sotto al suo mento. Glielo alzò e si ritrovarono a guardarsi ancora, occhi negli occhi, con i volti talmente vicini da sentire i loro sospiri confondersi insieme.
Nessuno era più presente lì nelle vicinanze e ogni suono divenne ovattato e lontano. Bofur prese un coraggio insolito e si ritrovò a guardare le labbra di Berit più volte, con scatti veloci e studiati. Lei lo notò e sorrise con furbizia prima di schiudere le proprie labbra, senza parlare.
Stava per giungere un passo successivo da cui non sarebbe più potuto tornare indietro. La mano di lui risalì fin sopra la sua guancia e potè sentire la pelle di Berit scaldarsi ulteriormente a quel contatto. Il cuore impazzì con battiti irregolari e profondi; non poteva governarlo nemmeno con consapevolezza.
«Berit! Bofur! Venite presto! C'è Bard all'ingresso!» Bilbo urlò ai due di sotto, soffermandosi proprio sopra lo spiazzo delle scale dopo un'immensa corsa a perdifiato. I due si staccarono con uno scatto veloce, rossi in volto e con sguardi stralunati e sgranati. Bofur non avrebbe mai voluto pensarlo, ma avrebbe volentieri lanciato una coppa sulla testa di Bilbo per tramortirlo in quell'esatto momento. Forse Berit pensò lo stesso ma evitò accuratamente di guardarla – per scoprirlo – risalendo le scale.






 

NA.
E via di momenti fluffini con le mie due coppie xD anche perchè più avanti ho in mente altre cose quindi o lo facevo adesso o mai più. Ho scoperto che le conversazioni due a due non mi vengono bene ç_ç mi sento in difficoltà, scusate se ho scritto mille banalità brutali ma davvero è una mia brutta croce. In teoria il capitolo doveva essere diverso ma ho dovuto optare per questo per motivi di narrazione miei (sì che sono stupida y.y ma vabbè ormai è fatta!) e quindi spero di non avervi annoiato tantissimo con questo capitolo. Grazie come al solito a tuttissimi <3 a chi mi segue, a chi mi legge, alle mie donzelle che recensiscono sempre – vi adoro per il semplice fatto che mi seguite con costanza e mi regalate ogni volta tantissime emozioni con le vostre parole – non potrei desiderare di meglio. A prestissimo e buona notte/giorno/pomeriggio a tutti! :) 

 

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Capitolo 34
*** Famiglia ***


Capitolo 34.
Famiglia




Quella sera il silenzio ghermiva la stanza adibita alla cena, nessuno parlava o osava interrompere il crepitio delle fiamme che – sole – danzavano nel buio, creando riverberi spettrali e solitari sulle pareti rocciose e crepate. La zona era stata ripulita da tutte le rocce spaccate e i pilastri distrutti. Bilbo era rimasto un po' in disparte rispetto agli altri e li osservava in silenzio, bruciando sullo spiedo un pezzetto di focaccia ripiena. Non aveva mai pensato di stufarsi di qualcosa da mangiare ma quell'aria aveva tolto di dosso ogni tipo di appetito. Quando chiudeva gli occhi non riusciva più a scorgere le mele rosse e le torte raffreddate fuori dalle finestre. Persino l'odore del pane e delle uova era lontano e flebile. Ogni volta che chiudeva gli occhi riusciva a vedere...solo roccia. Ne sentiva l'odore, la consistenza, il colore. Persino il fuoco gli sembrava grigio e spento, meno caldo rispetto a qualsiasi altro fuoco mai acceso prima di allora. Quando spostò lo sguardo sui suoi amici non poté fare a meno di provare una pena incontrollabile. Nessuno sorrideva, erano provati e stanchi, dimagriti dalla stanchezza e dal dolore per il loro Re. Ori stava scarabocchiando qualcosa sul suo quaderno, in silenzio, Dori e Nori parlottavano piano tra loro. Oin aveva appena controllato il braccio di Berit e – questa volta – non v'era stata nessuna minaccia, nessuna espressione di dolore nel suo sguardo. Le aveva tolto il bendaggio ma lei tratteneva l'arto ancora ripiegato contro lo sterno, inconsciamente. Gloin era seduto vicino a loro e guardava i ritratti dei suoi due famigliari, lo sguardo spento e lucido.
Fili e Kili erano seduti vicino a Dwalin e Balin, tutti e quattro portavano un'espressione grave sul volto. Quel pomeriggio era stato difficoltoso per tutti; Bard, antenato di Girion, era giunto ai piedi della Montagna, ancora tormentato per la perdita della loro città e della morte di molta della sua gente. Non aveva dimenticato il patto che Thorin aveva istituito con il Governatore e – sebbene lui fosse dato ora per scomparso – non annullava la parola data dal Re nel restituire la parte rubata a Dale dal Drago stesso. Ora più che mai ne avevano bisogno, per ricostruire le loro case e donare agli Uomini la speranza di una vita ancora prospera e lunga. Thorin era uscito dalla sua Sala con fatica e rabbia, ritrovandosi a parlare con l'arciere oltre il Muro. Tutti avevano assistito alla scena con la giusta dose di ansia; Fili sembrava particolarmente agitato per quella trattativa. Sembrava tormentato da un pensiero che nessuno di loro avrebbe potuto cogliere, se non da occhi attenti e consapevoli.
«Io giuro che vado giù e gli apro la testa. A costo di liberarlo da questa maledizione a suon di martellate sul cranio.» Ringhiò Dwalin, lanciando la ciotola contro il fuoco. Alcune scintille vibrarono al rintocco che fece la ciotola contro lo spiedo.
«Non risolveresti molto, Dwalin.» Balin scosse la testa, chiudendo gli occhi.
«Avremmo potuto risolvere molte cose, riaprire il commercio con gli Uomini e farci aiutare con la ricostruzione della città.» Aggiunse Kili, rizzando la schiena.
«Ha minacciato di uccidere noi stessi...come pensavate che avrebbe reagito davanti all'Uomo che più di tutti ha voluto impedirgli di raggiungere questa Montagna?» Fili aveva abbassato lo sguardo, tracciando con lo stivale delle linee tra la polvere sul pavimento. Kili aveva riportato lo sguardo su di lui e lo aveva trattenuto serioso. «In più davanti ad una contrattazione.»
«Ma ha dato la sua parola! Degli Uomini sono morti per colpa nostra e noi gli voltiamo le spalle. Senza onore, senza dignità.» Ringhiò Kili, pigiando le labbra tra loro.
«Dobbiamo preoccuparci di quando tornerà.» Disse Gloin con un sospiro, abbassando i ritratti di moglie e figlio che ancora teneva tra le mani. «Thorin non cederà una moneta. E questa volta non ci sarà nessuna “cima della Montagna” a farlo rinsavire.» Tracciò quel pensiero, ricordando la sua stessa avarizia con una smorfia. Era stata così bella quella visione dalla chiatta di Bard e ora che vi erano dentro sembrava tutto annullato sotto lo scroscio sommesso e pesante. Non avrebbe mai pensato di potersi sentire così triste sotto le Sale di una Montagna.
«Se Thorin trovasse l'Arkengemma le cose potrebbero sistemarsi? Il suo cuore sarebbe più leggero?» Azzardò Bilbo, con quella domanda, guardandoli tutti. Si stringeva dentro la sua piccola blusa impolverata e lo sguardo chiaro sembrò allargarsi nell'ombra del fuoco acceso.
«Non credo, ragazzo mio.» Disse Balin, scuotendo il capo. Era rimasto gobbo e contrito, Bilbo constatò che sembrava molto più anziano di quanto in realtà fosse.
«Forse se chiamassimo nostra madre...» Azzardò Kili, guardando sia Fili che Balin.
«No!» Fili alzò di scatto la testa, guardandolo. «No, nostra madre deve rimanere lontano da lui. Non porterei nessuno della mia famiglia qui se non fossi sicuro della scomparsa di questa follia.»
«Nemmeno io. Non potrei mai.» Intervenne ora Gloin, sospirando tremante. «La mia signora non sopporterebbe tutto questo, sapete quanto ami la quiete del suo ovile. E Gimli...no Gimli deve rimanere ancora lontano da tutto questo, finchè non sarà finita.»
«Nostra madre potrebbe farsi prendere dalla smania dell'Oro, non possiamo coinvolgerla in questo. Non ora, non così.» Disse lo stesso Ori, scuotendo il capo. Dori fece un cenno d'assenso.
«È diventata troppo anziana per avere una buona misura di ciò che è giusto e ciò che non lo è.» Intervenne Nori, in accoda ai fratelli. «Non è un bene circondarla di gemme, non ha il senso della misura.»
«Ecco da chi hai preso, allora» Bofur comparì da dietro una delle colonne, scavando dentro la conca della sua pipa, grattando via il tabacco bruciato. Ne stava già confezionando una pallottola. Aveva accuratamente evitato di guardare in direzione di Berit e lei aveva fatto altrettanto. Nori gli lanciò dietro un pezzo di coniglio, colpendolo sul cappello.
Bilbo era rimasto a pensare a lungo durante quella conversazione. Non gli piaceva l'andazzo che stavano prendendo quelle parole, non v'erano più tante risate, persino le prese in giro gli sembravano pallide e meste. Il suono delle loro voci era basso e martoriato dalla cenere, si sentì profondamente fuori luogo in quel momento. Non era passato molto – in fondo – da quando aveva provato quella piacevole sensazione d'affetto e di pienezza nei loro confronti ma ora gli sembrava più lontano che mai, quel momento. Non era più sicuro che fosse davvero successo, in fondo ci si aggrappava a pensieri felici pur di sfuggire alla realtà che li circondava.
«Tutte...tutte le vostre famiglie sono rimaste negli Ered Luin?» Domandò flebilmente lo hobbit, guardandoli uno per uno. Molti di loro annuirono, altri rimasero in silenzio a lungo.
«Nostra madre. Nostro padre è morto quando eravamo molto piccoli, in guerra. Anche nostro zio ha subito la stessa sorte.» Rispose Kili per primo, martoriandosi le labbra. Berit alzò lo sguardo a quell'ultima frase di Kili e si strinse vicino a Ori, lì di fianco. Muoveva le dita della mano tenuta piegata sul petto e tossicchiava silenziosa. Il colore del fuoco le accaldava la pelle ulteriormente, ma non era l'unica ragione di quel profondo disagio che si portava nello sguardo.
«Nostra madre, invece, è diventata un po' troppo grassa. Ora cuce, intaglia e nostro padre lavora ancora nelle fucine, ha la barba ormai bianca come quella di Balin.» Spiegò Ori alzando le spalle in un sospiro. Dori, di fianco a lui, fece un breve sorriso e volse lo sguardo verso Bilbo e afferrò un boccale. Lo hobbit non aveva idea di che cosa ci fosse dentro – probabilmente acqua del torrente – ma quello l'agitò davanti al naso come il più pregiato dei vini. Bilbo sorrise per quel gesto così caratteristico, ma fu una piega effimera e ben presto ritornò serio ad ascoltarli.
«Io ho lasciato lì anche una nana molto regale e bella. Si veste con tessuti di pizzo e trapuntati, ha i capelli come il fuoco acceso d'inverno e la pelle rosea e paffuta.» Mormorò Dori con sguardo basso. «Spero mi stia ancora aspettando.»
«Ti sta aspettando, fratello, chi se la prenderebbe mai quella scorfan-» Nori provò a sgomitarlo ma Dori gli diede una pacca forte sulla nuca, bloccandogli il dire con un brontolio scontroso. Era famoso l'astio di Nori verso le donne che era solito scegliersi Dori; con l'ultima era stato amore puro, dal retrogusto dolce e altolocato. Perfetta per Dori ma imperfetta per ogni altro nano lì presente.
«Sta scherzando Dori, almeno tu hai una nana da cui tornare, no?» Incalzò Ori con un timido sorriso sul volto chiaro. Era arrossito per chissà quale pensiero nascosto, segreto a tutti.
«Ori ci sono io che aspetto te, non essere triste.» Esclamò Berit drizzando la schiena, con un sorriso amplio e inquietante, piantandogli una mano sulla testa bionda. Gli arruffò i capelli con affetto fraterno.
«Oh per carità Berit...» Rispose lui, incassando il collo tra le spalle.
«Cuigh- adet nyzawer*» Grugnì Bifur, scuotendo il capo crespo e sconvolto. Bombur lì di fianco borbottò qualcosa, sbriciolando del pane sulla barba rossa.
«Perchè non hai ancora conosciuto la vera essenza formosa delle donne pelose.» Diede una pacca sulla spalla a Bifur prima di ficcare le mani dentro la sua ciotola e tirare su una poltiglia di cibo distrutto.
«Nostra madre è sempre in giro a parlare di storie e avventure a tutti i nostri parenti e nostro padre non la sopporta più; quando è a casa lei lui esce e così il contrario. Si sono conosciuti a Moria, quindi è normale la distanza, capisci?» Dichiarò Bofur tutto risoluto, guardando verso lo hobbit mentre spostava il beccuccio della pipa dalle labbra. «Oh ma in verità si amano molto. Il loro modo di amarsi è non vedersi mai.»
«...Insomma...è proprio la prestanza, capisci? È quella che fa una vera nana una nana che...» Bombur stava continuando a parlare al cugino – quello s'era tappato le orecchie, sconvolto – mentre Bilbo guardava tutti con attenzione e curiosità.
«Bè tu sai già di mia moglie e il mio piccolino. Ho altri parenti sparsi tra i Colli Ferrosi e le Montagne, i nostri Clan sono numerosi.» Annuì Gloin tutto impettito. Oin s'era seduto lì di fianco e ancora la trombetta non era attaccata al suo orecchio.
«Oin invece ha sposato una nana del Clan di Piediferro ma si vedono poco ultimamente. Lei è molto...loquace, il fatto che Oin sia sordo non è un male tutte le volte. Dovresti conoscerla, le piace parlare degli astri e delle antiche storie dei nani di Durin.» Accodò verso Bilbo con un gran sorriso sotto la barba rossa.
Bilbo sorrise di rimando e spostò lo sguardo su Oin che – ora – era intento a far uscire qualche stilla d'acqua dalla sua borraccia di stoffa. Non ne era rimasta molta.
«Io non mi sono mai unito in matrimonio a nessuna, ho scelto la via più facile per un nano.» Disse Balin con un sospiro e Dwalin – lì di fianco – grugnì qualcosa che Bilbo non riuscì a comprendere. Era rimasto silenzioso per tutto il tempo e non aveva azzardato ad alzare lo sguardo su nessuno. Se ne stava gobbo ad uccidere la crosta del pane con degli strappi ponderosi.
«E..tu Dwalin?» Chiese Bilbo con un mezzo sorriso curioso, alzando le spalle esili.
Quello grugnì di nuovo, masticando rumorosamente con la bocca. Aveva lo sguardo scurito fisso sul fuoco danzante e fece uno scossone con la testa. Alzò la testa giusto per osservare Berit – lei stava spilucchiando via della polvere dai guanti spezzati – e si ritrovò a rialzarsi con irruenza.
«Non ho tempo per queste stupide domande.» Grugnì e si allontanò da loro velocemente, picchiando gli stivali sul pavimento.
«Non ti preoccupare, mastro Bilbo, Dwalin è sempre così.» Rispose Balin con un sospiro sincero. Sopra la testa di Balin un pezzo di pane era volato da Bifur fino a Gloin. Quello lo prese e lo inzuppò dentro la sua ciotola di legno.
«Oh no..io...lo so, spero solo di non aver offeso nessuno.»

«Nessuna offesa figliolo.» Rispose Balin.
Bilbo era diventato rosso in volto. Non era solo il riverbero del fuoco e del calore dello stesso, si voltò di nuovo verso gli altri.  Berit era stranamente rimasta in silenzio per tutto il tempo. Bofur la fissava, di tanto in tanto, ma lei evitò di fare altrettanto.
«E tu Berit?» Lo hobbit provò con lei. Tutti si volsero verso Berit in attesa e lei fece una smorfia mentre sorrise alla volta del piccolo hobbit.
«Ho un padre e una madre come tutti.» Schietta, drizzò la schiena e Bofur la guardò con aria scettica, soffiando via il fumo dalle labbra dischiuse. «Si chiamano Martello e Ascia.»
Bofur scosse la testa con un ghigno divertito e Ori le diede una spintarella con il gomito pigolando un «non fare la maleducata, Berit», lei sorrise brevemente nel vedere – per l'ennesima volta – Bilbo alzare gli occhi al cielo, non più sicuro di voler continuare con quelle domande. Ma in fondo andava bene così; non tutti avevano perso la propria essenza fra quelle mura e v'era da rincuorarsi per questo.
«Ho una madre e un padre.» Ripetè con più serietà lei, piegando il capo di lato. Bilbo era ritornato a fissarla senza azzardarsi a dire niente. Ori le aveva poggiato una mano sulla spalla e gliel'aveva stretta appena. Solo un nano biondo molto attento notò che – tale gesto – fu preso con un cipiglio nervoso dallo sguardo scuro di un cappellaio silenzioso. «Mia...madre però vive nei Colli Ferrosi e non la vedo da molto tempo. Ha sposato un nano di una Casata di Erebor quando era molto giovane e lui mi ha sempre fatto da padre ed è rimasto con me negli Ered Luin.»
«Ti ha fatto...da padre? Vuol dire che non lo è?» Domandò Bilbo allargando lo sguardo, curioso.
Lei restò in silenzio per diversi secondi, continuando a martoriarsi le pellicine del tessuto dei guanti lanosi. Non s'era accorta né del gesto di Ori né tantomeno dello sguardo di Bofur, si stringeva le labbra in delle smorfie contrite e pensierose.
«Devi sapere, Bilbo, che alcuni nani si sposano per endogamia o esogamia, o per continuare una stirpe di un Clan. O semplicemente se l'unione è un beneficio per rapporti commerciali e pieni di profitto.» Disse Balin con voce bassa ma colta, sorridendo alla volta di Berit e dello hobbit stesso. «Non tutti lo fanno per amore. Non vi sono molti legami di puro sentimento, tra la nostra razza. Anche perché le nane femmine – come la nostra Berit – non sono numerose quanto i maschi. Molte preferiscono la vita nel proprio ovile senza mai abbandonarlo e chi rischia...rischia tutto. Anche il cuore stesso.»
«Mia madre era innamorata di un altro nano ma lui non ha mai voluto sposarla, né...amarla, presumo. Lui vive solo per la guerra.» Disse Berit con risolutezza, non mostrando alcun sentimento enfatico dal volto ombreggiato. «Lei non sopportò molto tutto questo e un giorno abbandonò le terre. Credo che ora viva felice, nelle dimore tra le rocce, pensando a momenti più lieti e ascoltando le vecchie ballate davanti ai banchetti.» Lei sorrise tristemente, sospirando con aria pesante. «Lo spero, non credo sia mai stata felice dopo il matrimonio.»
Bilbo era rimasto attento come una lepre a quel racconto. Spostò lo sguardo verso Balin e verso Fili e Kili e verso tutti gli altri, martoriandosi appena il labbro inferiore con i denti. Aveva sulla punta della lingua la domanda più banale e curiosa del mondo ma aveva paura a pronunciarla. Non era solito vedere Berit abbandonarsi ad un ricordo nostalgico e così intimo come quello; spezzarlo per pura curiosità sarebbe stato da egoisti, in fondo. Poteva sopravvivere benissimo senza dover confermare il proprio dubbio.
Fili sembrò anticipare ogni suo pensiero perché fece uno scatto in avanti con la schiena e sorrise.
«Se pensi di indovinare chi fosse il nano in questione rinuncia, Bilbo. Berit non te lo dirà mai.» Ghignò il principe di Erebor con un sorriso sbilenco e Berit fece una risata divertita. Non sembrò molto divertente il suono con cui lo fece, però. «Ci tiene alla segretezza del suo lignaggio
«Ma piantala.» Grugnì lei arricciando il naso con un sorriso amaro.
«Se fossi figlia sua si spiegherebbero molte cose.» Intonò Kili poco dopo, abbozzando un sorriso lieve.
«Kili?!» Lo ammonì lei con uno sguardo di fuoco.
Bilbo non pensava di poter mai captare in lei il desiderio di interrompere una conversazione per colpa di un disagio crescente. Ma questa volta fu diverso. Notò che Bofur continuava a fumare in disparte, appoggiato alla colonna, guardando verso i suoi Compagni come un piccolo uccello indagatore e lei sembrava indifesa senza il suo caro amico di fianco. Si chiese se, quando era giunto nella stanza dell'Oro, avesse interrotto qualcosa di importante. Li aveva trovati molto vicini – pericolosamente vicini – e per quanto la sua vista fosse acuta e sottile non era riuscito a cogliere nulla.
«E..e invece voi non avete qualche nana che vi aspetta? O...nano?» Domandò principalmente ai due Eredi di Erebor, estendendo la stessa domanda verso Berit. E anche verso Bofur, ruotando tutto il collo pur di guardarlo. Tutti e quattro si guardarono silenziosi, stringendosi nelle splle.
«Io no.» Rispose Kili asciutto, cambiando ben presto tonalità di voce. Si fece più scura e lontana. Bofur e Fili lo fissarono per diversi istanti in silenzio.
«Io neanche. Ho...» intervenne Fili senza guardare nessuno. Aveva lo sguardo basso e martoriava la stoffa della propria veste con nervosismo. «...insomma no, noi siamo guerrieri. Non abbiamo tempo per questo.»
Bilbo s'azzardò a guardare verso gli altri due rimasti stranamente silenziosi. Ori continuava a sorridere come un ebete vicino al volto di Berit e Nori sembrò imitarlo di gran lunga.
«No.» Rispose secca lei, sprofondando ancora di più col collo tra le sue spalle e l'imbarazzo evidente prese piede anche nel tono di voce.
«Berit ha un sacco di pretendenti ma lei non li vuole.» Disse Nori tutto d'un fiato. «È il fascino di quelli come noi, amati da tutti ma che non amano nessuno se non il clangore delle spade e l'Oro. Tanto Oro. Immenso Oro.»
«Nori riempiti la bocca di terra, sì?» Rimbeccò Berit con un sorriso maligno. Bofur s'era staccato dalla parete pesantamente e s'era ripiegato per sedersi proprio di fianco allo hobbit. Quello ancora li fissava, ben conscio di non sapere che pesci prendere. Le domande dovevano aspettarsi risposte di conseguenza, azzardate e sconclusionate che fossero.
«Io ce l'ho una nana.» Rispose lui e – colti tutti da una sorpresa improvvisa – si voltarono verso Bofur. Berit aveva rigettato su di lui uno sguardo scattante, più scurito.
«Da-davvero?» Chiese Bilbo, guardandolo. Quello annuì e sorrise.
«Ma non credo mi stia... aspettando. Non avrebbe molto senso.» Rispose Bofur tornando a fumare in silenzio. In tutto ciò non aveva guardato Berit e non notò lo sguardo scuro della nana trafiggergli il volto, né tantomeno quando s'alzò con lentezza per scomparire nel punto esatto in cui Dwalin s'era allontanato poco prima. Bilbo non fece troppe domande in seguito, a discapito dell'amico lui aveva ben notato che qualcosa – ancora – non andava. Non gli piacevano più quelle chiacchierate, erano così diverse da quelle d'un tempo, dove ridevano e si prendevano in giro per ogni frase di troppo.
«E..Thorin? Apparte voi e sua sorella...non ha mai avuto...non ha mai...» Bilbo tornò a guardare verso Balin e lui abbassò il capo. Fili e Kili fecero altrettanto, rifugiandosi nel loro silenzio. Provò a guardare il resto del gruppo ma sembravano tutti stanziati dentro le loro menti. L'unico che ricambiava il suo sguardo era Bofur. Lui gli sorrise bonariamente, alzando le spalle, scuotendo appena il capo.
«Fidati di me Bilbo: non fare mai questa domanda a Thorin se non vuoi ritrovarti appeso sopra qualche albero per le bretelle. A testa in giù.» Disse Kili, infine, alzandosi. Fili lo guardò issarsi ma non disse niente, restando seduto con le gambe incrociate e le spalle ricurve.
Bilbo s'ammutolì di colpo, annuendo di circostanza. Non aveva voluto creare più disagio di quello che aleggiava in quel posto ombroso, la sua curiosità poteva risultare eccessiva per quei nani – già lo aveva appurato in precedenza – e ricordare momenti passati e felici della loro vita poteva portare nostalgia e sconforto. Lui stesso non riusciva a sorridere con naturalezza quando ripensava a sua madre e a suo padre. La sua famiglia, da parte dei Tuc, era molto benevola nei suoi confronti nei tempi della sua fanciullezza ma ben presto i loro rapporti si incrinarono ogni qualvolta Bilbo compiva gli anni e il suo spirito d'avventuriero moriva insieme al suo essere bambino. Ripensò molto alle sue scorribande tra i boschi e le corse dietro le lepri che saltavano i ruscelli e i sentieri stretti.
«E tu Bilbo? Sappiamo che non hai una piccola hobbit in casa ma...la tua famiglia?» Fu Bofur a domandarglielo ma smise ben presto di sorridere quando si rese conto che Bilbo – abbassando il capo riccio e scarmigliato – stava piangendo in silenzio.




«Dwalin?»
Berit s'era ritrovata a gironzolare davanti alla Sala delle armature e del ferro. Era illuminata da una pallida luce lunare che raggiungeva i tavoli dalle finestre aperte sulle pareti. Filtrava aria fredda e gelida e dei fili di polvere danzavano tra i raggi scendendo lievi come piccoli diamanti fini, poggiandosi sulle lame d'acciaio. Nonostante gli anni le armi e gli scudi scintillavano come forgiati quel giorno stesso, illuminando le pareti e i tavoli d'un vigore fiero che faceva breccia nel cuore di ogni nano. Dwalin stava sistemando l'usbergo e gli schinieri, impilandoli uno in fila all'altro, assestava i manici e imbracciava gli scudi per soppesare la loro consistenza tra peso e comodità. La nana non aveva avuto intenzione di parlare con Dwalin e s'era fermata in attesa del da farsi alle sue spalle, immobile e rigida come un pilone. L'aveva osservato in silenzio per diversi secondi ed era conscia che lui lo sapesse – s'era irrigidito di colpo – mentre borbottava parole tra le labbra socchiuse.
«Dwalin?» Aveva preso coraggio, di nuovo, camminando lenta fino a raggiungere il suo fianco. Dwalin non aveva finto nemmeno di averla udita. Continuava a muoversi con disinvoltura tra i tavoli, solamente il rumore dei suoi gesti rimbombava sulle pareti. Rimase impassibile nonostante il rombare di tutto quel rumore delineava un profondo tormento nel suo animo.
«Dwalin?» Di nuovo Berit ci provò e lui – con una fatica disumana – voltò il capo e andò a fissarla. Il luccichio nel suo sguardo non dava segni di volergli abbandonare il volto. Non ci si abituava a vederlo così, neanche dopo un minuto, neanche dopo un giorno.
«Forse è il caso di chiamare i nostri parenti e farli venire in nostro aiuto.» Mormorò lei con voce bassa, stringendo appena i pugni nei guanti. Lui restò fermo a fissarla fino a sbattere – per l'ennesima volta – la spadona di ferro spesso. Il suono creò un rimbombo assordante e Berit fece una smorfia fino a incassare il collo tra le spalle.
«Il discorso di Bilbo ti ha aperto la vena nostalgica, per caso?»
«N..no. No. Io parlo dei nostri guerrieri, Dàin e i nostri cugini...e...Insomma Erebor adesso è nostra, dobbiamo inviare un messaggio e spiegare ciò che sta succedendo a Thorin.» Mormorò lei, abbassando il capo. Strinse le labbra tra loro fino a martoriarle con i denti e Dwalin questo lo notò con un profondo sconforto. Era rimasto immobile davanti al tavolo e respirava pesantemente, Berit lo sentì con chiarezza.
«Nessuno ha voluto aiutarci all'inizio di questo viaggio.» Sibilò lui con tono graffiato e austero. «Cosa ti fa pensare che ora giungeranno in nostro soccorso?»
Lei tirò su col naso e quando alzò gli occhi grigi su Dwalin quello ebbe un leggero tremito. Di nuovo lo sguardo di Berit sembrò spegnersi e velarsi d'una sottile consapevolezza amara, d'un pensiero maligno e superficiale.
«Perchè ora abbiamo l'Oro di Erebor.» Mormorò lei, socchiudendo gli occhi.
Dwalin le si avvicinò lentamente e sospirò con aria pesante. Berit trattenne lo sguardo su di lui e notò con malcontento che l'aria tormentata non voleva abbandonarlo. Lui alzò di poco il braccio e lo interruppe a mezz'aria – a pochi centimetri dalla sua spalla – fino a riportarlo lungo il fianco possente.
«Non dovresti pensare così.» Sussurrò lui a bassa voce, restando fisso su di lei. «Sei sempre stata distante da questi pensieri, ho sempre pensato che la vicinanza con Bofur ti impediva di cogliere le vene malate che s'annidano anche tra i nani stessi.» Dwalin deglutì a fatica, facendo tintinnare il ferro che gli ornava le falangi. «Era uno dei motivi per cui speravo che non ci seguissi fino a qui. Nè tu, né Ori, né Bofur stesso.»
«Dwalin smettila.» La voce di Berit s'incrinò notevolmente e – per la prima volta davanti a quel nano – gli occhi le si riempirono di lacrime. Fu molto brava a tenerle ben strette agli angoli degli occhi, evitando di farle scendere lungo le guance sporche. «Smettila...Smettila
«Sei proprio come lei.» Sussurrò lui con una confidenza più intima, abbassando il tono roco della propria voce. Lei respirò pesantemente, pigiando le labbra tra loro. «Ma più coraggiosa.»
«Non sono come lei. Sono come...come...» non finì la frase, tirò su col naso e indietreggiò d'un passo quando sentì i passi di alcuni stivali frettolosi sopraggiungere alle loro spalle. Dwalin alzò lo sguardo e Berit si voltò con lentezza, pigiando le nocche sulle palpebre arrossate. Era Gloin intento a ritirare il suo porta ritratti, camminando pesantemente lungo i tavoli. Entrambi i nani lì presenti non dovettero chiedere nulla quando notarono due profondi solchi scuri al posto dello sguardo del nano. Stava piangendo senza vergogna, sfregandosi la punta del naso con il dorso della mano tozza.
«Gloin?» Berit fece qualche passo in avanti e si fermò a poca distanza da lui quando lo vide alzare il palmo e bloccarla sul nascere, scuotendo il volto. Sarebbe andato bene anche uno dei fazzoletti di Bofur, in quel momento, pur di asciugargli quelle lacrime trasparenti dal volto.
Dwalin aveva evitato di guardarlo, allontanandosi di tutta fretta da quella stanza. Berit si voltò a guardarlo un'ultima volta prima di soffermarsi davanti al nano dalla barba rossa.
«Gloin smettila di piangere, sei più forte di così.» Mormorò lei con un sorriso docile. Non s'era accorta di sentirsi ancora pizzicare gli angoli degli occhi; lacrime trattenute per troppo tempo sotto lo sguardo duro. Era tornato chiaro, almeno, grigio come la pietra.
«Mi manca la mia famiglia.» Mormorò quello tirando su col naso l'ennesima volta. Non era solito vedere i nani piangere, mostrarsi indifesi o fragili neanche fra la propria razza, se non per i lutti strazianti e prematuri. Quando succedeva qualcosa cambiava, nell'animo stesso, rendendoli schiavi d'un dolore che non poteva più essere fermato. Quando succedeva allora fioriva l'animo leale d'un compagno o d'un fratello e mai sarebbe stato più sincero e onesto di quello. Un nano non voltava mai le spalle davanti al tormento e alla tristezza, ci sarebbe sempre stata una spalla su cui aggrapparsi.
«Lo so. E quando arriveranno qui vedrai Gimli talmente fiero di te che sarà rinvigorito dalla tua audacia per tutta la vita e...tua moglie probabilmente ti sposerebbe ancora una volta, perchè...perchè...insomma dove lo trova un altro nano così coraggioso, eh?» Berit sorrise e tirò su col naso nello stesso momento in cui lo fece Gloin. Quello appoggiò le mani sopra il bordo del tavolo e scosse la testa pesantemente, cercando di sorridere contagiato dallo stesso della nana che gli stava di fronte.
«...Grazie.» Sussurrò semplicemente lui e lei fece un sorriso silenzioso, guardandolo con profondo affetto. S'allontanò piano da quella sala, indietreggiando fino a donargli le spalle e camminare verso la luce del fuoco che ancora crepitava nell'altra Sala. Ma non raggiunse i suoi Compagni, deviò verso la rientranza che lasciava sbucare sullo spiazzo esterno in cui era stata solita dormire quando ancora aspettava gli Altri tornare da Esgaroth. Quella sera le stelle erano luminose ma lontane. Chiuse gli occhi e provò a ripensare al tocco di sua madre quando si sedeva sul letto e le mostrava la genealogia d'una stirpe antica. Quando le raccontò d'un nano valoroso pieno di coraggio e audacia, un nano che aveva rapito il suo cuore talmente in profondità da non essere più riuscita a dimenticarlo. Ricordava ancora alcune parole e le si strinse il petto, corrugando la fronte.
“Piccola Berit, quando un giorno guarderai verso le stelle oltre la roccia e penserai al volto d'un Nano lontano allora saprai che sarà sempre giusto lottare per qualcosa di buono, se anche solo la certezza di saperlo vivo può bastare.” 
Berit rimase raggomitolata a terra, vicino alla parete e pensò a quella frase per tutta la notte, da sola.


 

*amare è noioso.






NA.

Dopo un'intera giornata a perdermi nel bosco davanti casa mia m'è uscito sto capitolo deprimente v.v Spero che non vi annoi, sul serio, ben presto le cose prenderanno ben presto altre pieghe! E quaaaa credo di aver gettato un colpo di scena mica da ridere x°D che poi non so neanche io se è un colpo di scena o no, devo ancora deciderlo. Mi sono bellamente inventata la storia di alcuni nani, chiedo perdono, ma mi piaceva l'idea che Bilbo prima o poi chiedesse un po' di loro...in fondo ci passa due secoli con loro e ci sta che un po' di nostalgia incalzi. Vabbè vabbè la smetto di divagare, ringrazio come al solito tutte quante le mie girls che mi seguono/mi recensiscono <3 senza di voi non sarebbe lo stesso. 

 

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Capitolo 35
*** Quello che vedi ***


Capitolo 35.
Quello che vedi




Un altro giorno era passato e le cose andavano di mal in peggio. Bilbo non era più sicuro di riuscire a contrastare quel malessere e spesso pensava di infilarsi l'Anello e allontanarsi da Erebor, da Thorin, dall'Oro e da quell'orribile odore di Drago che gli bruciava le narici. Se c'era una cosa che lo bloccava era l'affetto che provava verso tutti loro; era ben conscio di non poter pretendere molto da sé stesso, in fondo aveva pensato più volte di abbandonare la Compagnia di soppiatto durante il viaggio ma non l'aveva fatto quando avrebbe potuto sgattaiolare via con facilità estrema e – più che mai – pensava di poterlo fare adesso. I Nani lottavano senza sosta, ogni giorno, pur di non soccombere sotto l'astio e la crudeltà che Thorin riservava loro quando il marcio del suo cuore s'inaspriva. Lo aveva sentito urlare verso Ori, minacciare di morte Dwalin e Balin, sovrastare con la propria mole persino Bombur e nessuno aveva mai alzato un solo dito contro di lui. Estirpare il problema alla radice era più importante che annichilire il corpo che lo portava. Tutti sapevano che il loro Thorin era lì sotto – sotto strati e strati di agonia – ed erano disposti a sopportare ogni cosa pur di aiutarlo a redimersi, sopportando con estrema tenacia. Ci provavano ogni giorno senza sosta e intanto la ricerca dell'Arkengemma continuava imperterrita, a stento mangiavano e riposavano di rado. Thorin aveva imbastito dei turni di guardia per evitare che nessun ladro superasse mai la grande roccia impilata che copriva l'ingresso. I suoi Compagni non presero male quella notizia, s'erano scoperti più sollevati e quieti quando restavano fuori sullo spiazzo, vicino alla vedetta proprio davanti alla grossa Campana dorata che penzolava dal soffitto, muta e imponente. Bilbo non aveva ancora detto loro che la ricerca era del tutto inutile, che l'Arkengemma nessuno avrebbe mai potuto trovarla e gli capitò di parlare con Balin ulteriormente, constatando che era nel cuore di tutti la paura di trovarla sul serio.
Dopo l'incontro con Bard l'idea gli venne la sera davanti al fuoco, mentre rovistava tra i suoi pensieri. Era sempre stato bravo a trovare le soluzioni, dopo tutto, e quella gli sembrava la più adatta e la meno pericolosa per lui. Quantomeno sperava di poterne parlare con l'unica persona che avrebbe voluto veder comparire finalmente, col suo cappello a punta e il bastone luminoso. Gandalf gli mancava, ogni giorno sempre di più, e fu il pensiero di ritrovarlo a spingerlo in quel folle e impulsivo gesto la notte stessa.
Adagio e con passo felpato si ritrovò a varcare la rientranza fino a sbucare fuori sullo spiazzo. Subito il vento gelido della notte lo invase e si strinse nella sua giacchetta mentre s'avvicinava al rialzo che separava la roccia dalla potente desolazione illuminata dal riverbero dello spicchio di Luna. Era un paesaggio triste e ancora pieno di tormento, avrebbe voluto sentire il flusso del fiume ma percepiva solo la piccola cascata che fluiva da una spaccatura della roccia. Era stata creata in precedenza dai nani per permettere di lasciar fluire l'acqua fresca e buona per il proprio fabbisogno. Respirò fino a riempirsi il petto e cercò di scavalcare il muro.
«Dove credi di andare?» Sussurrò una voce alle sue spalle.
Per poco a Bilbo non venne un colpo in quel momento, rischiando di cadere dall'altra parte. Per fortuna si resse ben stretto e si voltò di scatto, cercando la figura che aveva parlato.
Bofur era seduto di guardia proprio vicino alla rientranza e s'era staccato dalla parete, guardando fisso lo hobbit. Non aveva potuto scorgerlo prima perché era coperto da alcune rocce frantumate.
«Per la miseria Bofur, mi hai fatto prendere uno spavento enorme.» Bilbo si toccacciò il petto, il cuore gli rimbombava.
«Stavi tentando di buttarti di sotto e mi fai le prediche?» Bofur sorrise con un ghigno divertito. Bilbo notò che stava reggendo la pipa ma era spenta, adesso.
«Non stavo cercando di...ecco insomma, volevo...volevo andare dagli Uomini. Raggiungere Bard e...» Cominciò Bilbo, sospirando appena.
Quella scena era già successa e – guarda caso – si ritrovò con lo stesso disagio con cui la prima volta aveva visto lo sguardo di Bofur cambiare davanti ai suoi occhi, dentro la grotta del passo sulle Montagne Nebbiose. Non era andata bene quella conversazione ed era sicuro che non sarebbe andata bene nemmeno questa volta. Lo sguardo di Bofur s'era rabbuiato di tristezza e lo poteva vedere anche senza luce, lo sentiva addosso come una pungolata fastidiosa.
«Voglio solamente cercare una soluzione diversa, sperare di poter...fare qualcosa per aiutare Thorin. Non ho intenzione di abbandonarvi, dico sul serio.» Mormorò Bilbo con più risolutezza e Bofur, a discapito di ciò che Bilbo pensava, sorrise di pieno cuore all'improvviso e portò la mano sulla spalla di Bilbo.
«Ti auguro buona fortuna, allora.» Disse Bofur sorridendo tra i baffi.
«Non sei...arrabbiato?» Mormorò Bilbo, stringendosi nelle spalle. Sentiva il tocco dell'amico sulla spalla e andò a guardarla con una lieve smorfia sulle labbra.
«Perchè dovrei essere arrabbiato? Mica sei un nostro prigioniero, sei libero di andare quando vuoi.» Sghignazzò Bofur e Bilbo tirò su col naso, sorridendo di rimando. Bofur sapeva come tranquillizzargli l'anima in ogni momento, non era stato un male aver trovato proprio lui di guardia, in fondo. Per la sua seconda volta fortunata. «Farò finta di non averti visto e ti lascerò andare, in fondo sei piccolo e silenzioso Bilbo Baggins, forse risolverai davvero qualcosa andando da Bard. Questo posto non è come speravo che fosse e so che per te dev'essere difficile convivere con tutta questa...ombra. Sei sempre stato al nostro fianco, pronto ad aiutarci e..e continui ad esserci amico, questo varrà sempre più di quanto tu creda.» Mormorò lui trattenendo il sorriso sulle labbra e Bilbo fece altrettanto, ammorbidendo i tratti del volto. L'aria fredda filtrava tra i suoi ricci chiari e sentiva la pelle pizzicare dal freddo. Rabbrividì appena e Bofur gli lasciò la spalla dopo avergliela carezzata con un po' più di vigore.
«Tornerò. Spero con qualche aiuto.» Mormorò Bilbo con risolutezza prima di indietreggiare e ritornare a ergersi sul rialzo della roccia. Restò per qualche secondo immobile e sentì Bofur riprendere posto nel suo angolo, facendo scivolare la schiena sulla parete fino a sedersi a terra. Lo hobbit fece vagare lo sguardo oltre la landa e si soffermò sui resti di Dale e sulle fiaccole lontane degli Uomini che lì dimoravano, ancora in cerca di una casa e d'un futuro certo. Qualche nuvola oscurò la luna e provò l'amara sensazione di dover fare ancora qualcosa, prima di volgere le spalle alla Montagna.
«Bofur?» Si voltò col volto e Bofur alzò lo sguardo su di lui, guardandolo in attesa. «Perché non eri su quella barca con noi, quella mattina?»
Bofur si bloccò a guardarlo e strusciò le labbra tra loro un paio di volte prima di sospirare, piegando la nuca sulla parete. Il cappello gli ombreggiava il volto leggermente ma sembrava più rilassato, almeno nell'apparenza di quella placida espressione.
«La sera prima ho bevuto molto e non mi sono svegliato.» Diede la risposta ufficiale e poi chiuse gli occhi, intrecciando le dita tozze tra di loro. Si strinsero in una morsa convulsa e ripiegò il capo in avanti fino a fissarsele. «Ho litigato con Berit al banchetto e ho lasciato che questo mi allontanasse da lei fino a che non ci siamo rivisti qui.»
«Lei ti ha pensato in ogni istante. Anche se ogni volta che ti nominava...pensava di ammazzarti, ma credo che fosse una cosa affettuosa, insomma, da parte sua.» Disse Bilbo con un sorriso.
Bofur era arrossito su tutto il volto e trattenne il volto basso, sorridendo fino ad illuminare il viso stanco. Strinse un po' le palpebre e quando rialzò il volto su quello di Bilbo si guardarono per diversi istanti, silenziosi. Poi Bofur notò qualcosa nel suo sguardo e prese parola, staccando la schiena dalla parete. «Questo lo sapevi già, vero?» Domandò, sistemandosi meglio il cappello sopra la testa.
«Sì.» Rispose Bilbo con risolutezza, facendo un cenno.
«Perchè me lo hai chiesto, allora?»
«Perchè volevo vedere se, almeno tu, mi avresti risposto sinceramente. Voi nani siete propensi a tenervi tutto dentro.» Avrebbe voluto dare un nome al proprio soggetto ma sapeva che non ve n'era bisogno. Detto questo lo hobbit si issò sulla pietra e scavalcò la roccia, facendo scivolare le gambe dall'altra parte. I piedi grossi e pelosi penzolavano nel vuoto e ruotò il busto per osservare dietro di sé. Non c'era nessuno, solo lui e Bofur parlavano nel silenzio della notte.
«Sei rimasto soddisfatto?» Chiese il nano.
«Non lo so.» Alzò le spalle Bilbo e fece un sorriso. «Tu credi di avermi risposto in maniera soddisfacente?»
Questa volta Bofur si alzò di nuovo e avanzò verso il punto in cui Bilbo si era arrampicato. Guardò indietro per un secondo prima di allungare le mani verso le braccia di Bilbo, aiutandolo nei gesti. Lo fece con estrema facilità, in fondo Bilbo era molto leggero per i suoi canoni di pesantezza. Non aveva avuto modo di dire allo hobbit che – il giorno in cui Bard fece la sua comparsa – era riuscito a rovinare l'unico momento che aveva atteso per anni, in realtà non era sicuro di voler far cadere su di lui una colpa che non poteva avere. In fondo era stato lui stesso a tergiversare ogni volta, a rovinare ogni momento in cui avrebbe potuto lasciar cadere ogni ragione e agire d'impulso.
«Bilbo, secondo te chi è la nana di cui ho parlato l'altra sera?» Domandò il nano prima di allungare le braccia per far calare Bilbo oltre questo. Stesse ben attento a tenerlo saldo nella presa fino a che non lo sentì arpionarsi adeguatamente ad una sporgenza della roccia.
«Quando tornerò spero di risolvere qualcosa. Spero di rivedere Thorin illuminarsi di nuovo d'orgoglio e coraggio e spero che questo posto venga di nuovo avvalorato come so che è suo diritto, dai vostri racconti e le vostre canzoni. Spero davvero di fare qualcosa di giusto e spero che non mi odierete mai per questo Bofur. Specialmente tu..» Bilbo alzò lo sguardo verso Bofur un'ultima volta mentre sorrideva pieno d'affetto. «...tu che sei uno dei miei più cari amici. E quando torno non voglio più vedervi divisi.» Cominciò a calarsi piano, come un piccolo coniglio silenzioso. «Anche se non vanto d'un passato burrascoso e pieno di tradizioni imponenti sono più che sicuro di saper riconoscere qualcosa di importante, quando la vedo con i miei stessi occhi. Non aspettare più Bofur, diglielo
Bofur lasciò la presa una volta che Bilbo calò nell'oscurità del terreno e trattenne lo sguardo su di lui fino a che non lo vide sparire – dietro una roccia per caso? - e tornò a indietreggiare fino a sedersi di nuovo vicino alla parete.
Non aspettare più.
Si piantò le mani sul volto e restò a pensare in silenzio all'ultima frase di Bilbo. Il cuore martellò talmente veloce da non riuscire più a pensare a nient'altro.


 


 

Berit continuava a spostare i sacchi di monete da uno scaffale all'altro, in silenzio. L'aria stanca l'avvolgeva come un velo pesante e si denotava dalla postura e dallo stesso sguardo che rigettava sui propri gesti. I capelli erano legati in due trecce basse larghe, scivolavano sopra le spalle e alcuni fili erano sfuggiti finendole davanti agli occhi. Di tanto in tanto se li levava dal volto con poca grazia, soffiandoci sopra.
Il tintinnare dei sacchi rimbombava tra le pareti ed era l'unico rumore onnipresente in quel piccolo loco, in mezzo a ciotole e a ingredienti metallici. Alcuni minerali erano impilati dentro ampolle di vetro e argilla, il luogo odorava di roccia ma ancora inaspriva le narici per il tanfo del Drago. Non erano riusciti a liberarsene del tutto nonostante ci provassero ogni giorno. Un paio di tomi dalla forma rettangolare e spessi stavano aperti sotto di lei e, nonostante la scomodità della propria posizione, non li aveva mai pestati. Lo sguardo scivolava sulle parole delle pagine ingiallite e vi ci soffermavano per pochi secondi prima che riprendesse da dove aveva interrotto. Balin era giunto da poco ed era rimasto fermo sull'uscio, guardava Berit con sguardo intenso e silenzioso, stringendosi nella blusa lunga. Aveva la barba bianca tutta sporca di polvere e arricciata in nodi scomposti; non aveva avuto tempo di curarsela, non succedeva da molti anni una cosa di questo genere. Decise di non interrompere il lavoro di Berit, restando in silenzio appoggiato allo stipite di pietra. Berit era cambiata da quando erano partiti dagli Ered Luin, lui stesso poteva dirlo senza problemi. Il viaggio l'aveva rinvigorita e le aveva aperto gli occhi su molti rischi che nelle Montagne Azzurre non aveva mai avuto modo di vivere, ma aveva sempre mantenuto il proprio carattere a discapito di quel viaggio. Una volta messo piede dentro le Sale dell'Oro qualcosa era cambiato. Sorrideva di meno, scherzava di meno e una profonda serietà martoriava il suo sguardo grigio rendendolo ancora più scuro. Un miscuglio di fattori che lei stessa non aveva saputo contrastare; aveva avuto paura che questo potesse succedere alla maggior parte dei Nani lì presenti e spesso aveva notato in Fili un certo rimbambimento mentre scavava tra le monete sonanti. Nori spesso rimaneva per ore – da solo – in mezzo alle coppe e le infilava nella blusa, per poi sfilarle via e sostituirle. Non aveva portato via niente da lì sotto, in segreto, ma aveva tentato di farlo, nonostante fossero gesti alquanto insensati visto che una parte del tesoro gli spettava di diritto. Ma non era una novità a cui non era preparato: la malattia era troppo forte e sovrastarla stava diventando più complicato del previsto.
«Questa...è solo un quarto della parte per Bilbo.» Mormorò Berit issando l'ultimo sacchetto. Un intero scaffale era stato riempito di gemme e tesori scintillanti, brillavano talmente tanto da abbagliare lo sguardo e suonare d'una melodia dorata. «Credo che dovrà farsi aiutare per trasportarla tutta.» Berit si grattò la testa e Balin fece un passo in avanti, alzando gli occhi verso gli scaffali.
«Sapevi che ero qui?» Domandò lui, spostando lo sguardo sul suo profilo. Persino quello gli sembrò diverso, se non la conoscesse bene era quasi sicuro che avesse passato l'intero giorno a piangere.
«Ti ho sentito arrivare. Non sei silenzioso come il nostro Hobbit.» Ghignò lei, guardando il nano di sbieco. Lui le sorrise senza dire niente e si limitò a strusciare i palmi induriti contro la tunica. Si adagiò nel suo silenzio per diversi secondi, facendo qualche passo in avanti. Lei non lo seguì con lo sguardo, ritornò a rimirare i tesori dinnanzi a sé.
«Va tutto bene Berit?» Domandò d'un tratto il nano, girandosi a guardarla.
Lei sorrise, una lieve curva sul volto spezzò quell'espressione austera e controllata e lo sguardo indugiò altrove.
«Sì.» Rispose con tono soave, quasi incantato.
Balin restò ad osservarla per molti secondi prima di annuire e sospirare appena, facendo qualche passo in avanti. Non si dilungò in altre domande, le passò affianco e ritornò verso l'entrata del loco.
«Ne sono felice. Vado a cercare mio fratello, credo che sia ora di cambiare il turno di guardia. Bofur potrebbe addormentarsi se resta ancora lì fuori.» Balin fece un cenno di congedo e stava già per muoversi altrove quando Berit afferrò una piccola viola intagliata e ne strinse il manico, pressando le corde. Abbassò il capo e corrugò la fronte.
«Alle volte credo di non riuscire a respirare. Mi sento come se fossi dentro un grosso buco di terra, senza riuscire a vedere la via d'uscita. Vedo l'oro, il mithril, le gemme bianche e i bagliori nel buio ma è come...come se fossero intangibili, talmente lontani e onirici da abbagliarmi con luce spenta. La vista mi si annebbia e mi sento sprofondare dentro me stessa senza capire perchè...sento il bisogno di arrivare a quella luce.» Cominciò Berit, con voce bassa e grave, stringendo lo strumento musicale con entrambe le mani. «Ho paura di toccarla ma allo stesso tempo ne sento il bisogno e.. e tutto diventa scuro e nebbioso, vorrei urlare e raggiungere qualsiasi cosa, stringerla al petto e crogiolarmi nella lucentezza del tesoro ma poi mi rendo conto che quel sentimento è troppo forte. Non lo controllo e questo mi spaventa. Mi guardo intorno e cerco qualsiasi cosa che mi riporti a galla..e vedo...vedo...» Berit chiuse gli occhi nello stesso momento in cui sentì la mano di Balin sulla propria spalla. Prese a respirare forte e abbandonò la presa con la viola che cadde a terra con un tonfo secco, rimbalzando appena fino a fermarsi immobile a suoi piedi, sopra uno dei tomi. Quando si voltò vide il volto di Balin arrossato e piangente.
Balin s'era lasciato andare ad un pianto disperato e silenzioso, tormentandosi il cuore fino a far tremare il petto con singhiozzi pieni e soffocanti. Lei stessa aveva lo sguardo lucido e pesante e la gola gli bruciava terribilmente.
«Cosa...cosa vedi, Berit?» Domandò lui facendo tremare la voce. Alcune lacrime sparirono oltre la barba bianca, facendola scintillare di tristezza.
«...vedo il suo viso.» Mormorò con un filo di voce, arrossendo sulle guance. « Vedo... Vedo Ori che disegna. Vedo Dori che mi insegna a bere il vino. Vedo Nori che ruba una forchetta dagli Elfi e dice che non è stato lui. Vedo...vedo Bombur che mangia formaggio e Bifur che da una testata ad un pezzo di prosciutto. E Gloin che parla di Gimli, Fili e Kili che ridono all'unisono e Oin che picchia la sua tromba in testa a Bilbo e lui si lamenta perchè noi nani siamo troppo maneschi. Vedo te che mi parli delle tue storie e Dwalin che mi insegue per tutti gli Ered Luin perchè l'ho chiamato “vecchio pelato” e...» lei si voltò fino ad afferrare gli avambracci del nano anziano in una morsa affettuosa, guardandolo con intensità «...vedo Thorin che ci chiede se siamo pronti a partire con lui per riprenderci ciò che è nostro.» Lei sorrise col volto arrossato e commosso e Balin fece lo stesso, stringendole con forza la spalla. «So che hai paura per Thorin, ne ho anche io. Sto morendo di paura come non l'ho mai provata in vita mia, Balin. E non t'azzardare a dirlo a Bofur o giuro che ti tiro la barba.» Lei ghignò facendo scendere due lacrime solitarie agli angoli degli occhi e tirò su col naso proprio mentre Balin sogghignava divertito, mentre piangeva. Era uno spettacolo tragico nella sua ironia.
«Sei una brava nana, Berit. Andrà...andrà tutto bene, ne sono sicuro. Ne sono sempre stato sicuro.»
Con uno slancio più irruente Berit gli fu addosso e lo strinse in un abbraccio stretto, circondandogli il collo in un saldo abbraccio. Chiuse gli occhi e s'abbandonò a quel contatto, facendo morire altre lacrime sotto al mento. Balin la strinse con affetto, ciondolando appena col corpo. Lei gli diede due gran pacche sulla schiena prima di liberarsi e guardarlo in volto con un sorriso pieno.
«E tu sei sempre stato la Guida migliore che potessimo avere, forte e pieno di saggi consigli. Fin troppi saggi consigli.» Disse a bassa voce Berit, guardandolo fisso. «Sei il padre migliore che potesse avere questa Compagnia, Balin.»
«Oh Berit.» Balin tirò su col naso e sorrise nelle lacrime, tutto il volto era rimasto rosso e commosso.
«Ora basta piangere, va bene?» Sussurrò lei, asciugandosi il volto con una mano. Balin annuì e fece lo stesso, tirando su col naso. «Andiamo a cercare quel vecchio pelato.»  



 

NA.
Questo capitolo è una schifezza violentissima ma mi serviva per far fuggire Bilbo principalmente xD eeeee perchè volevo inserire una scena tra Berit e Balin un po' più intima. Ma vabbè ormai è andata *_* spero vi piaccia lo stesso, come al solito GRAZIE enorme a VOI e voi sapete chi siete <3 e se non lo sapete...lo sapete lo stesso.

 

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Capitolo 36
*** C'è un Tesoro in ogni dove ***


Capitolo 36.
C'è un Tesoro in ogni dove




Quel giorno niente era cambiato.
Molti Nani erano rimasti nelle Sale dell'Oro, altri avevano cominciato a ripulire gli antri e le grandi arcate, lasciando filtrare la luce del sole da crepe lavorate per creare dei veri e propri passaggi. Gli Uomini Alti avrebbero avuto problemi a infiltrarsi in quei luoghi ma per i Nani – e gli hobbit d'altronde – era comodo e velocizzava il loro lavoro nel lasciar fuori le macerie. Avevano liberato le stanze dai corpi martoriati dei loro parenti defunti e avevano dato loro una degna sepoltura con bare di pietra trattate con estrema minuzia e lasciati riposare negli Antri sotterranei – Bilbo, purtroppo, non aveva avuto l'onore di osservare le Sale impreziosite e i candelabri raffinati che illuminavano piacevolmente quel luogo - dove venivano adagiati i corpi di coloro che trapassavano. Nessun Nano apprezzava la morte tramite la cremazione del corpo, solo una volta era stata adottata quella tecnica dopo la battaglia degli Orchi per la riconquista di Moria. I decessi furono talmente numerosi che una classica sepoltura avrebbe portato via troppi anni di lavoro. I nani bruciati in quel tempo così lontano da loro vennero ricordati come leali Compagni di cui ancora i nomi erano incisi nei ricordi lontani, tramandati da stirpi a stirpi. Questa volta il tempo era loro amico e lasciarono spazio per i loro morti, nonostante Thorin non ne fu affatto d'accordo. Continuarono a vederlo di rado ma – alle volte – usciva furtivo dalle stanze dell'Oro per cibarsi e bere dal torrente che filtrava tra le crepe della roccia. Ma non rimirava più la luce del sole né si faceva carezzare dalla brezza del vento freddo d'inverno. S'era imbellito, però, d'una armatura possente e regale ma non la portava come un cimelio onorevole e ciò procurava solo fastidio alle orecchie dei suoi Compagni, ascoltando il suo tintinnare metallico e pesante ogni qualvolta girava tra le Sale, in silenzio e solitario.
Quella volta il turno di guardia spettava a Kili, era rimasto fuori sullo spiazzo, coperto da un'armatura d'acciaio e legacci in cuoio stretto. I capelli scuri gli scivolavano via dal viso e lo sguardo grande era puntato contro la città di Dale ma non stava realmente guardando. Il cinguettio d'uccellini lontani facevano da sottofondo ai pensieri; erano rivolti ad un'Elfa Silvana che contagiava i suoi sogni – ad occhi aperti e ad occhi chiusi – sentiva la sua voce intonare una cura elfica e la sua immagine abbagliata da un raggio lucente che ampliava la sua bellezza eterea. Ogni qualvolta si crogiolava in quel ricordo avrebbe voluto allungare la mano e toccarla, un'ultima volta, solo per ricordare la morbidezza della sua pelle tiepida e guardare il suo sguardo chiaro mentre si posava sul proprio volto. Non era sicuro di poter dire dove avesse trovato il coraggio di donarle la pietra runica – un regalo di sua madre – poco prima di salire su quella barca. Ricordava di averla vicina e di aver sentito qualcosa che non aveva mai sentito prima. Fili era sicuro che fosse amore, quello più sincero e naturale possibile, dettato da uno sguardo sicuro e dal calore che sprigionava al petto solamente al ricordo della sua voce.
Torna da me.
Chiuse gli occhi e aspettò di allontanarsi da quel luogo malato per raggiungere il momento in cui l'aveva vista per la prima volta; lottava contro un ragno, dopo essere scivolata giù dagli alberi con una grazia raffinata. Bosco Atro era sudicio di veleno ma lei era stata una linfa d'aria improvvisa.
Si perse fin troppo in quei pensieri perché non s'accorse minimamente di un essere minuto che gli balzò proprio davanti al naso.
«Aaaah!» Urlò Bilbo, facendo uno scatto all'indietro con un balzo.
«Aaaah!» Urlò Kili, sguainando l'arco con già la freccia puntata sulla faccia del piccolo hobbit.
«No no no non uccidermi, sono io!» Esclamò Bilbo, alzando i palmi e schiacciandosi contro la roccia. Il cuore per poco non gli salì alla gola per lo spavento improvviso.
«Per tutti i formaggi di Bombur, Bilbo ma ti sei rintronato? Potevo ucciderti, dannazione. Non farlo mai più!» Esclamò il nano, abbassando di gran fretta l'arco e facendo un passo indietro per permettere allo hobbit di riprendere a respirare. Bilbo aveva momentaneamente perso il suo colorito originale, sbiancato come un cencio e senza più alcun tipo di salivazione.
«Scusa..scusa non pensavo ci fosse qualcuno, sono stato...scusa, davvero. Non volevo spaventarti.» Lo hobbit si piazzò una mano sul petto. Era sicuro che il cuore non gli avrebbe retto se gli fosse capitata una terza volta una paura di questo genere. Aspettò diversi secondi per calmarsi, facendo ampi e sapienti respiri.
«Ma che cosa ci fai qui? Da dove...da dove sei spuntato?» Chiese Kili, guardando al di sotto del bastione. Sotto non v'era nulla se non il fiume e rocce martoriate dal Drago.
«Bè ecco...ecco sì, no immagino che Bofur non-»
«Bofur?»
«No sì, no. Non Bofur. Cioè io..io...ecco ero andato...»
«Bilbo, calmati. Sono io. Non ti devi preoccupare di niente: dimmi semplicemente la verità, se vuoi dirmela. E se non vuoi dirmela allora...bè torna pure dentro oppure resta qui con me a farmi compagnia mentre faccio la guardia.» Disse quello con un sorriso più amplio, andando a prendere con forza le spalle di Bilbo in una presa ferrea e affettuosa insieme. Lo hobbit sorride di rimando e prese a respirare con regolarità, liberandosi con un sospiro dalla tensione accumulata. Si sentiva estremamente più leggero adesso e quando tornò a guardare Kili vide che quello lo stava fissando senza pretese. Era piacevole, in fondo non era molto diverso da Bofur in quello.
«Sono andato da Bard. L'altra sera...ecco speravo di poter trovare un aiuto per Thorin, cercare Gandalf o chiedere agli Uomini di proporre nuovi accordi, sì.»
«E ci sei riuscito?» Chiese Kili con più serietà, restando in attesa.
«Forse sì, ma lo sapremo quando verranno qui.»
«Verranno?» Domandò Kili alzando un sopracciglio, indagatore. Ma quando Bilbo pigiò le labbra tra loro s'abbandonò ad un altro sorriso e il nano gli diede una lieve pacca sulla testa. A Bilbo fece parecchio male ma evitò di farglielo notare, incassando solo il collo tra le spalle. «Oh Bilbo, spero che qualsiasi idea tu abbia avuto andrà a buon fine, perché qui siamo tutti stanchi ormai.»
«Lo spero anche io. L'ho fatto perché ci tengo a questa cosa.» Sussurrò lo hobbit, guardando un punto imprecisato ai suoi piedi. «Non l'ho fatto per gli Uomini.»
Kili tornò a fissarlo e gli sorrise di pieno cuore. Questa volta non gli diede alcuna pacca e lo hobbit ne fu contento. Gli piaceva il modo di Kili di mantenersi discreto nonostante la sua incalzante curiosità. Probabilmente ogni risvolto diverso da quel ciclo infinito di giornate cariche di tormento era – comunque – uno spiraglio di luce, di qualsiasi cosa si trattasse.
«Ora però spiegami come hai fatto a sparire, una buona volta.»
Quella frase fece raggelare Bilbo che si impiantò davanti a lui senza riuscire a spiccicare una sola parola. Lo sguardo a palla e la bocca che già boccheggiava parole sconclusionate, atone. Kili riprese posto vicino alla parete e vi si appoggiò sopra, incrociando le spalle.
«Stavo guardando proprio al di là del rialzo, mica ti ho visto arrivare e d'accordo che sei molto piccolo e silenzioso, ma io non sono ancora diventato cieco quindi...» Kili fece un ghigno sbilenco e il suo viso si fece improvvisamente scaltro e studiato. «...mi ha ricordato molto una certa sparizione avvenuta a Bosco Atro, sai? Quella che era tutta una mia allucinazione.» Kili lanciò quella frecciatina voluta e Bilbo arrossì fino alla punta delle orecchie. Era chiaro che il suo intento di mantenere la bocca chiusa verso tutti era stata portata avanti per troppo tempo e, d'altro canto, era sicuro che se mai avesse dovuto scegliere qualcuno a cui dirlo probabilmente avrebbe scelto Kili. Lui non aveva fatto parola con nessuno nonostante sapesse che alcuni sospetti lo attanagliavano, non era convinto che se fosse stato un altro Nano – a scoprirlo – avrebbe sorto lo stesso effetto discreto.
«Se ti dico una cosa...mi prometti di tenerla solo per te?» Sussurrò Bilbo, avvicinandosi con lentezza al nano. «E quando dico solo per te, intendo che non devi farne parola neanche a Fili.»
«So mantenere le promesse, Bilbo. Lo faccio sempre.» Quello sorrise del tutto tranquillo e Bilbo fece un profondo respiro prima di infilare le mani nel taschino del panciotto. Sfiorò l'Anello con le dita e socchiuse gli occhi, assaporando quel contatto per pochi secondi – da solo – prima di decidersi a pinzarlo e a tirarlo fuori, posandolo sul palmo.
Kili si staccò dal muro e guardò con occhi grandi l'Anello che brillava sul palmo dello hobbit. Era di fattura semplice ma sembrava un metallo pesante e spesso, aveva avuto la sensazione impulsiva di allungare la mano e sfiorare il gingillo ma aveva evitato di farlo, rialzando gli occhi su Bilbo con la fronte corrugata. Bilbo sembrava controllare ogni mossa di Kili con estrema minuzia, sembrò irrigidirsi di colpo quando lo vide allungare il collo per guardare meglio il gioiello. Se non lo conoscesse abbastanza bene Kili avrebbe pensato che ne fu infastidito.
«Mi...stai chiedendo di sposarti, Bilbo?» Ironizzò quello con un sorriso sveglio.
«D'accordo.» Bilbo non aveva riso alla battuta, aveva tutti i nervi tesi e lo sguardo piantato sul suo Unico. Lo aveva pinzato e lo aveva avvicinato pericolosamente all'indice. Indugiò parecchi secondi con l'apertura circolare proprio a ridosso del polpastrello sporco di terra. «Non ti spaventare.»
Lo infilò di getto e la sua figura minuta scomparve immediatamente da davanti a Kili, in un battito di ciglia. Quel piccolo particolare fu preso da Kili con uno sguardo sconcertato.
Il nano fece un scatto e indietreggiò di botto, alzando i palmi. «Uo! Per Durin il Senzamorte, ma come hai...»
«...fatto?» Bilbo ricomparve così com'era scomparso e Kili sgranò gli occhi, riabbassando i palmi con lentezza. Sembrava completamente frastornato da quella scoperta, con la bocca da pesce lesso e l'attenzione completamente rivolta verso Bilbo. Aveva ben pensato che qualcosa di losco ci fosse sul serio ma la sua mente – poco dedita a cose inusuali, nonostante Gandalf lo avesse abituato a riguardo – non era arrivata a immaginare una cosa del genere. Un Anello che faceva scomparire non era una cosa che si vedeva tutti i giorni.
«Non lo so. So solo che questo Anello è la stata la mia fortuna. Grazie a questo ho superato i Goblin senza venire ucciso, ho superato Bosco Atro senza venire ucciso e...sono riuscito a rubare le chiavi e a liberarvi dal Reame Boscoso. Se non lo avessi avuto non credo sarebbe andata così bene, né a voi né a me. Per non parlare del mio colloquio con Smaug, poi.»
Kili ancora non parlava, era rimasto stralunato a fissarlo con gli occhi fuori dalle orbite. Se non fosse per il suo continuo boccheggiare Bilbo avrebbe pensato che fosse svenuto in piedi di certo.
«Ho incontrato un essere nelle Grotte dei Goblin e credo che fosse suo, sono riuscito a sopravvivere con una gara di indovinelli.»
«I-Indovinelli?» Kili aveva deciso di grazia di ritornare nel mondo dei vivi ma la voce sembrava flebile. Ma di cosa stava parlando? «Cavolo è... Bilbo ma questa è magia. Una magia potentissima. Forse è un gioiello degli Elfi o di Antichi Maghi.»
«Non lo so. Forse. So solo che...mi è estremamente utile. E vorrei tenerlo per me, ancora.» Prese un respiro profondo e richiuse il pugno, riportando l'Anello dentro la tasca del panciotto. Quel gesto fu molto frettoloso, quasi protettivo – se poteva azzardare un simile pensiero – e Bilbo trasse un respiro sollevato una volta che l'Anello fu di nuovo al sicuro nella sua tasca. Kili aveva seguito quel movimento e quando l'oggetto fu scomparso alla sua vista il suo sguardo ritornò più vitale e si posò sul volto di Bilbo. L'improvviso impulso che aveva provato all'inizio si disperse nell'aria, come sparito all'istante.
«Credo che tu debba stare attento Bilbo, alcuni tesori sono pericolosi. Credo che tu l'abbia capito senza bisogno che ti spieghi...» fece un cenno velato verso l'interno della Montagna prima di alzare l'arto e stringere la spalla dello hobbit. Quello fece un lieve sorriso consapevole e annuì con fermezza. «...non dirò una sola parola ma spero che lo faccia tu stesso appena sarai pronto. Almeno se per caso impazzisci possiamo tenerti d'occhio tutti quanti.» Kili fece un ulteriore sorriso bonario e gli strizzò l'occhio. Bilbo riflesse quel sorriso e sfilò via da quella presa una volta che il nano gli lasciò la spalla.
«Non credo sia la stessa cosa, per fortuna. Non ha nessun potere...su di me.» Rispose Bilbo con sicurezza, tradendo un sorriso tremante. Se Kili se ne accorse non lo diede a vedere e annuì con un sorriso semplice, riportando lo sguardo altrove. Era rimasto plasmato contro la parete e aveva ripreso a stringere le braccia intrecciate sullo sterno.
«Ottimo allora.» Rispose quello, mantenendo quell'espressione gioviale.
Fu in quell'esatto momento che spuntò la testa di Berit da dietro la roccia, era tutta sporca di terra, sembrava essersi rotolata dentro le briciole della roccia.
«Mio turno di guardia!» Esclamò con fin troppa vivacità, sorridendo così tanto da sembrare estremamente felice di ciò. Sia Bilbo che Kili sobbalzarono all'unisono, non aspettandoselo. Di nuovo il cuore di Bilbo perse un battito e se non svenne a terra fu un grandissimo miracolo. «Oh Bilbo, eccoti. Ma dov'eri finito? Volevo farti assaggiare il mio piatto del giorno oggi, era buonissimo
Berit non potè assolutamente vedere Kili che faceva ampi scuotimenti di capo, allargando lo sguardo, imitando la classica morte da avvelenamento da cibo.


 


 


«Kili tu sei il solito bonaccione
Berit era rimasta appoggiata al rialzo e picchiettava distrattamente la punta dello stivale contro il pavimento. Kili era rimasto di fianco a lei ma volgeva le spalle alla landa, guardando verso l'interno dell'entrata. Bilbo era tornato dentro le Sale poco prima – boccheggiando parole sconclusionate - e Kili s'era imbattuto in una sfilza di domande personali non appena Berit s'era adagiata nella sua postazione. Anche lei era bardata da un usbergo di cuoio, stretto su tutti i fianchi e aveva appoggiato al suo fianco un martello, vicino ai propri stivali. Non era solita ricoprirsi le vesti con cotte e maglie e sembrava estremamente piccola dentro quelle vesti da Guerriera. Kili pensò a questo mentre la guardava di soppiatto, tradendo pensieri nascosti dallo sguardo scuro.
«Piantala di dire castronerie.» Rimbeccò lui, andando a grattarsi una guancia con le unghie corte. Lei gli rifilò un'occhiata socchiusa ma piena di malizia voluta.
«Tanto lo so cosa cova il tuo cuore, malandrino, non mi freghi.»
Kili le aveva dato una spintarella lieve col gomito ma non aveva rimbeccato il suo commento. Che ormai sapesse era cosa nota, l'aveva captato dalle celle del Reame Boscoso e non era del tutto sicuro che Bofur avesse tenuto la bocca chiusa a riguardo. In fondo non era un segreto, non per loro quantomeno.
«...Comunque è stata una fortuna che siano arrivati in tempo, ero sicuro che sarei morto ucciso da uno di quei dannati Orchi. Fili non poteva badare a me e salvare anche Sigrid, Tilda e Bain dall'attacco. Oin ha fatto il possibile e Bofur...» questa volta Kili si bloccò diventando improvvisamente pensieroso. Berit lo aveva sbirciato con un'innocenza indifferente e aveva visto il nano fare spallucce, scostandosi alcuni capelli dalle spalle. «...ti giuro, non ricordo assolutamente dove fosse andato Bofur, in quel momento.»
«Non te lo ricordi?» Domandò lei, rizzando la schiena di colpo. Aveva trattenuto le mani sul bordo del rialzo e si dondolava avanti e indietro.
«Mmmh, mi ricordo solo di Bard che parlava di maiali. Forse...forse è andato a cercare un maiale.» Ipotizzò Kili, puntandosi un dito alla bocca. Se lo picchiettò sopra con un ritmo irregolare, arricciando le labbra.
«Perché dovrebbe essere andato a cercare un maiale?»
«Lo sai com'è Bofur, fa cose strane.» Incalzò Kili, alzando le spalle. Berit si mise a ridere, scuotendo il capo scuro. «Forse era svenuto
«Sì, forse era andato a farsi una scampagnata al mercato. O magari era andato dal calzolaio!» Ironizzò lei, pigiandosi una mano sul volto. Stava tentando di bloccare un'afflusso di risa poco mature, le guance erano ritornare purpuree sotto tutto quello strato di polvere.
«Mi ricordo di qualcuno che gli lanciava un secchio d'acqua sulla faccia, però.»
«Cosa?» Esclamò lei paonazza, aveva lo sguardo grigio sgranato e divertito insieme.
«Forse me lo sono sognato.» Mormorò lui infine, sventolando una mano per troncare quei vaneggiamenti.
«Dopo che sono arrivati l'Elfa e la Gamba Aperta cos'è successo? Non ricordi nulla?»
Kili fece segno di no con la testa e s'appoggiò stancamente alla roccia, piegando il capo in avanti. Ricordava poco di quello che successe durante la guarigione, solamente il ricordo appannato di lei e un tocco talmente leggero da non sembrare neanche reale. Credeva di averle detto qualcosa, di intimo e di segreto, forse Fili aveva sentito qualcosa. Non aveva avuto il coraggio di chiederglielo, in realtà, conscio che qualsiasi cosa si fosse lasciato sfuggire era qualcosa di pericoloso da dire per un nano. Per sua fortuna la sordità di Oin non era sempre un difetto dal quale prepararsi e Bofur...bè Bofur era una figura ombrosa in tutto ciò, non riusciva proprio a ricordarsi di lui in quel trambusto.
«Sono contenta che Fili abbia deciso di portarti da loro. Gli avevo detto di non andare dal Governatore, ma da Sigrid.» Marcò con sapienza quel nome e restò a sbirciare la reazione di Kili a riguardo. Quello fece un sorrisino sottile e sbirciò Berit di sbieco, smuovendo appena le labbra mentre rinchiudeva le braccia in un intreccio, sullo sterno.
«Hai messo tu lo zampino, quindi.»
«Io non ho messo niente, ho solo dato..una...piccola » lei pigiò le mani in avanti e lo fece più volte, avanti e indietro «..spinta
«Tu non sei mai stata brava a capire cosa provasse Fili.» Spiegò Kili mantenendo quel sorriso velato prima di voltare completamente il dorso per guardarla in volto. Lei alzò lo sguardo e smise di “spingere” l'aria, fermando il suo ciondolare. Gli sorrise pienamente, alzando il mento. Sembrò prepararsi ad uno dei suoi discorsi altolocati, pieni di sapienza.
«Non mi sottovalutare, Kili. Io osservo molto bene.» Disse lei, chiudendo lì il discorso senza aggiungere altro. Non aveva trattenuto a lungo il sorriso ed era tornata a guardare verso il sentiero dabbasso. Alcuni stormi volteggiavano nell'aria e regalavano uno spettacolo danzante ai due nani. Il frusciare delle loro ali era un suono piacevole, li sentiva cantare di gioia nella loro unione.
«Berit tu osservi dalla parte sbagliata, è questo il punto.» Continuò Kili, ben risoluto a portarla avanti. Restò a fissarla per diversi istanti prima di soffermarsi sul suo profilo. «E non sto parlando di Fili, lo sai
«So benissimo cosa credeva di provare Fili e so benissimo cosa – invece – ho visto quando tu non potevi guardare. Ci sono espressioni, sul volto del nani, che si palesano come riflessi veloci ed è difficilissimo coglierli se non guardi attentamente. Mi è bastato sentire il suono della sua voce mentre pronunciava il suo nome per capirlo.» Berit era tornata a ciondolare, parlando con tranquillità nonostante l'espressione concentrata. «Hai mai visto come cambia lo sguardo di un nano quando decide di...amare
Kili era fermo a fissarla e si perse in diversi pensieri mentre l'ascoltava parlare, era sicuro di aver più volte provato a immaginare il suo sguardo ogni qualvolta si soffermava a pensare all'Elfa dai capelli rossi. Si chiese se era lo stesso che Berit stessa rigettava quando un certo nano col cappello veniva menzionato in un discorso o solamente appariva nella stessa locazione in cui si trovava lei.
Ben presto sorrise a quel pensiero, allungando una mano per scostarle debolmente alcune ciocche da davanti alla guancia. Fu un gesto semplice, smaliziato, colto da un semplice affetto fraterno. Fuori dalla Montagna Berit sembrava tornare la solita nana che aveva conosciuto negli Ered Luin. Non si perdeva in discorsi senza capo né coda e aveva lo sguardo più acceso e meno pesante. Respirare l'aria esterna di Erebor era salutare – l'aveva notato personalmente – e per una volta l'idea di fare la guardia gli parve una delle migliori che suo zio potess mai dettar loro. Anche in quello stato malato.
«Berit...ti ho detto che non stavo parlando di Fili.» Ripercorse le sue stesse parole e lei si voltò a guardarlo. «Tu hai sempre voluto guardare dalla parte sbagliata.»
Lei gli regalò un debolissimo sorriso e alzò la mano per pizzicargli il mento con indice e pollice. Kili scambiò quel gesto per una carezza ma lei, nel farlo, lo obbligò – per forza d'inerzia – a voltare il volto in direzione della landa. Qualcosa in movimento si stava avvicinando galoppando su destrieri veloci e scattanti. Sembravano molti più uomini di quanto s'aspettassero mai di vedere arrivare ai piedi di Erebor. Kili si lasciò sfuggire un mugolio di sorpresa e sgranò lo sguardo, ergendosi con la schiena e piazzando le mani sopra il bastione.
«In questo momento sto guardando proprio laggiù Kili e non è un bell'auspicio quello che vedo, non credi?»

 

 

 

 

 

 

NA.
Questo capitolo l'ho scritto un po' di getto per arrivare al punto saliente e si vede, infatti è un intermezzo . So di aver cambiato tipo...parecchie cose del terzo film, me ne rendo conto, e anche del libro ma adesso sto lasciando spaziare molto la mia fantasia così da concentrarmi di più sui momenti più “introspettivi” di quella convivenza lì dentro con Thorin svalvolo x°D La storia sta quasi quasi giungendo al termine. Pressapoco. Più o meno. E se continuo con così tanta velocità è grazie alle mie girls che mi recensiscono con la stessa velocità di Quiksilver <3 E ringrazio chi mi segue sempre e chi capita qui anche solo per caso. Non smetterò mai di farlo, a prestissimo <3 ps. Il titolo di questo capitolo l'ho preso da Bill Watterson, l'autore delle strisce di Calvin&Hobbes, l'idolo della mia infanzia <3

 

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Capitolo 37
*** Tradimento ***


Capitolo 37.
Tradimento




Un manipolo di soldati elfici erano fermi sopra i loro imponenti destrieri, avvolti in mantelli pregiati e coperti da armature scintillanti. I loro capelli chiari splendevano alla luce grigia del giorno, coperti da degli elmi lavorati dalla forma appuntita e leggera. Ai loro fianchi sfoggiavano spade e sulle loro spalle troneggiavano gli archi e le frecce dall'impennaggio sottile. I loro sguardi erano sicuri e selvaggi; Bilbo constatò che quando non erano ebbri di vino il loro portamento era assai diverso. Aggraziato e regale, si portavano dietro l'essenza dei secoli e il cambiamento dell'evoluzione incisa sul volto austero. Ovviamente per lui non era stata una sorpresa quella venuta, ben conscio di quello che sarebbe successo una volta che aveva raggiunto le tende degli Uomini rimasti senza ovile in cui rintanarsi. Non aveva trovato solo Bard – per sua grande fortuna – ma lo stesso Gandalf e il Re del Reame Boscoso, colui che aveva bellamente fregato sotto al naso facendo fuggire i nani dalle sue cantine ripiene di cibo e elfi ubriachi. Aver ritrovato il suo amico Stregone lo aveva rinvigorito d'una speranza divampante, fu forse quello a spingerlo a lasciar cadere quel piccolo segreto alla volta di Kili rivelandogli dell'anello anche se, col senno di poi, sarebbe stato carino rivelargli anche il piano che lo aveva indotto a fuggire nella notte in segreto; che segreto non fu per via di Bofur. L'Arkengemma era nelle mani di Bard, ora, e sarebbe stata usata come merce di scambio per poter trattare con Thorin senza rischiare di vedersi puntare le armi alla gola. Non che non se lo aspettassero, il saggio e serioso Thranduil aveva portato la sua schiera di fidati soldati per ribattere a qualsiasi torto. Di qualsiasi natura esso potesse essere. Gandalf non era per niente contento di ciò, aveva snudato i suoi pensieri nefasti alla volta di Bilbo la notte precedente e ciò che aveva appreso su Thorin non lo portò a migliorarli. Non aveva bisogno di altre cattive notizie – qualcosa nell'Ombra aveva creato un rivolo di freddo, celava non visto e agiva alle spalle della loro Missione – e il suo peregrinare aveva portato buoni frutti quanto malevoli. Il Saggio Consiglio s'era riunito un'ultima volta per combattere contro qualcosa che né i nani né Bilbo potevano sapere o solo immaginare. Non aveva alcun cuore di riferire ciò al suo piccolo amico della Contea e lo aveva congedato dopo che lo hobbit donò loro l'Arkengemma per la contrattazione.
Era stato più che sicuro che sarebbe ritornato dai suoi Compagni e questo riempì d'orgoglio e affetto il cuore del vecchio Stregone Grigio; un piccolo hobbit sapeva sempre come sorprenderti. Adesso erano fermi e col capo rialzato verso la roccia che copriva l'ingresso per la Montagna. Era alta ma non abbastanza da non poter scorgere la fila di Nani che s'era affacciata al di sopra di questa. Imbracciavano armi ed erano tutti rivestiti con armature preziose, forgiate dalle fornaci dei nani – resistenti e ottime per ogni battaglia – Thorin capeggiava i suoi compagni e Gandalf poté vedere nel suo volto ciò che aveva avuto timore di scorgere dopo il racconto di Bilbo. 
Non riconobbe lo sguardo sicuro che gli aveva visto brillare l'animo quando lo aveva incontrato al Puledro Impennato e gli aveva rivelato del suo piano che prevedeva la riconquista di Erebor, grazie all'aiuto dei Sette Eserciti dei nani.
Allora Thorin era risultato scettico, inizialmente, conscio che i nani avrebbero seguito solo colui che impugnava con orgoglio il cuore del Tesoro – l'Arkengemma – ma dietro quel velo diffidente aveva visto brillare il vero orgoglio del sangue di Durin che fluiva nelle sue vene. Non lo aveva abbandonato per un attimo, anche dopo aver scoperto che solo in quattordici avevano deciso di seguirlo per quella traversata pericolosa. Non lo aveva perso fin quando lo aveva visto per l'ultima volta dietro le radici di Bosco Atro. Ma ora non v'era più niente del Nano che aveva conosciuto; solo un'ombra sopita dietro una maschera austera e guerrafondaia.
Provò a guardare oltre le sue spalle e si sentì schiacciare il petto d'una sottile angoscia nel constatare che i Nani – seppur provati e stanchi – trattennero le armi e rimasero dietro le spalle del loro Re. Non era di certo sorpreso della lealtà che i figli di Aule si riservavano l'un l'altro ma sperava, in cuor suo, di veder vibrare qualcosa di diverso oltre la facciata; anche solo uno sguardo o udire una sola parola che potesse far cessare la follia che stava dilagando dietro la pietra. Cercò frettolosamente Bilbo ma non riuscì a scorgerlo da nessuna parte e lasciò che avanzassero Thranduil e Bard, per primi.
«La volta scorsa mi dicesti che avresti aspettato una mia risposta ma vedo che hai preso provvedimenti frettolosi.» Sibilò Thorin, sporgendosi oltre il bastione di pietra e guardando verso la fossa. Le due cavalcature troneggiavano davanti all'esercito immobile dietro di loro. Non scorse Gandalf ancora, intento a fissare con riluttanza i due avventori. «Di certo un simile comportamento vergognoso potevo aspettarmelo dagli Elfi, pronti a marciare sulle mie terre come se qualcosa gli spettasse di diritto. Dopo che hanno voltato le spalle ai miei parenti e alla mia gente che cosa potrà mai pretendere...» alzò un braccio, piegando le dita come bastoncini di ossa «...il grandissimo e onorevole Thranduil del Reame Boscoso?»
Thranduil non disse una parola, rimase eretto e docile dentro la sua veste trapuntata. A differenza degli altri era seduto in sella ad un'imponente Alce dalle corna enormi e ripiegate. Bilbo non credeva di aver mai visto un tale animale dal vivo, e anche gli altri nani ebbero lo stesso pensiero.
«Tu, sporco Elfo, saresti più utile da morto che da vivo. Mi vergogno di respirare la tua stessa aria.» Ringhiò il Re.
Dietro di lui i nani tacevano. Erano tutti presenti, schierati in una fila pressapoco lineare. Fili e Kili erano leggermente più avanti rispetto agli altri. Il più giovane dei Durin era subito andato a chiamare gli altri non appena aveva visto la polvere innalzarsi oltre la landa, lasciando Berit a osservare l'avvicinamento di quell'esercito in silenzio. Nessuno prese bene quell'arrivo. Chi fu preoccupato, chi arrabbiato, chi semplicemente taceva sperando che qualcosa di buono sarebbe successo.
Non appena tutti si palesarono sullo spiazzo Berit aveva cercato Bofur con lo sguardo e – trovandolo mentre si legava una cotta di cuoio – gli si avvicinò lesta come una lepre, prendendogli la mano fino a intrecciare le dita tra loro. Si guardarono per diversi istanti senza parlare e Bofur scorse nei suoi occhi una paura che non le aveva mai visto prima di allora. Un'apprensione innaturale lo travolse e dimenticò di finire di sistemarsi l'armatura; una parte gli pendeva da un lato e svolazzava via dal vento freddo.
«Qualsiasi cosa accada, non lasciare la mia mano
Le aveva sussurrato lui, lei aveva annuito e così era avvenuto per tutto il tempo in cui gli Uomini e gli Elfi si stanziarono ai piedi della Montagna. Non importava più se qualcosa li aveva tenuti lontani in quei giorni, l'imbarazzo di un momento mancato o una frase recepita con significato diverso, adesso erano tutti e due ancorati alla scena standosene immobili e vicini. Bombur aveva tutto l'elmo sporco di briciole e Nori e Ori stanziavano vicino a Dori intento a reggere diverse spade. Le impilò tutte a ridosso della pietra, sistemandosi il proprio elmo.
«Non sei per niente onorevole a parlare del tradimento di noi Elfi quando la tua stessa gente ha mancato la sua promessa, negandoci ciò che ci aspettava di diritto.» Rispose Thranduil con voce pacata ma risoluta.
«Thorin non siamo qui per iniziare una Guerra, vogliamo solamente che tu onori la parola dataci. Non farcelo ripetere una seconda volta, abbiamo bisogno della nostra parte del Tesoro per ricostruire la città che il Drago ha distrutto.» Incalzò Bard, stringendo le redini del proprio cavallo. «Il Drago che voi avete risvegliato. Ma non sono qui per fartene una colpa, non più ormai. La più potente calamità della nostra Era è stata sconfitta e ora chiediamo in cambio solamente un aiuto per ricostruire la nostra città. Te lo chiedo...te lo chiedo come padre, più che come Uomo, mi appello al tuo senso dell'onore in questo. Ci sono donne e bambini che hanno bisogno di una dimora, i feriti hanno bisogno di avere un posto asciutto e sicuro dove riprendere le forze.»
«Continui a parlare di questo come se fosse un mio problema.» Thorin strinse le dita in due pugni stretti, ripiegando il capo. Il volto era ombroso anche sotto la luce che filtrava dalle nuvole cariche di pioggia. «Se non siete stati in grado di difendere la vostra gente dall'attacco di un Drago non potete far ricadere la colpa su di me. Vi appellate ad un diritto che non avete solamente per poter rubare l'Oro che è appartenuto ai miei avi e apparterrà alla stirpe dei Durin finchè essa non si estinguerà da questo mondo.»
«Thorin...» fu Fili a parlare questa volta, facendo un passo verso il proprio zio. Lo sguardo risoluto e stanco ma il volto pieno di vigore. «...non ha mai tentato di rubare l'Oro. Non ha mai tentato di ucciderci. Ci sta chiedendo un aiuto...ti prego...zio» il suono della sua voce s'era incrinato sul finale e lo sguardo si fece lucido. Kili dietro di lui gli si avvicinò veloce. «...è per noi una vergogna voltare le spalle a coloro che ci hanno aiutato. Proprio Bard ci ha ospitato in casa sua, ci ha fornito delle armi, ci ha...ci ha tenuti nascosti e se non fosse stato per la nostra testardaggine probabilmente non saremmo mai stati catturati dalle Guardie.» Fili si ritrovò a incrociare lo sguardo di Thorin e dovette lottare con tutte le proprie forze per non cedere a questo. «E...e sua figlia, Sigrid, lei...lei mi ha aiutato a salvare la vita a Kili. Lei...»
«Perchè...osi difendere coloro che volevano tenerci lontano dalla Montagna?» Thorin lo interruppe con un ringhio sottile e rauco, parlando lentamente. La sua voce – di nuovo – sembrava diversa e metallica. «Il tuo posto è accanto a me, a servirmi, a lottare contro tutti coloro che osano imporci le loro subdole idee, trattandoci come loro pari...pur sapendo che noi siamo superiori.»
«Superiori?» Fili incalzò con rabbia, facendogli vicino. «Thorin tu continui a divagare. Se non fosse stato per loro noi non saremmo qui. Kili è salvo perchè-»
«Thorin» urlò una voce baritonale al di sotto e tutti si bloccarono. Quasi tutti i nani si ritrovarono ad affacciarsi oltre la pietra così da poter scorgere Gandalf farsi avanti, incedendo fino a fiancheggiare gli altri due davanti al muro. «È ora che cessi questa follia. Non siamo qui per derubarti, non siamo qui per fare guerra alla tua gente. Io stesso sono affezionato a te e a tutti i tuoi Compagni e vorrei che la cosa si risolvesse senza spargimenti di sangue.»
Nessuno di loro seppe cosa dire a tal proposito, continuavano ad alternare sguardi tra Thorin e Gandalf, guardandosi gli uni con gli altri. Kili sorrise alla volta di Fili e quello provò a fare altrettanto senza riuscirci. Bofur e Berit strinsero la presa delle loro mani e si guardarono con un velo di speranza negli occhi.
«Gandalf..» Thorin prese parola senza alcuna enfasi nel tono di voce. «...saperti vivo mi sorprende. Mi fa proprio piacere che parli proprio tu di affetto quando sei stato il primo ad abbandonarci, mancando l'appuntamento proprio davanti alla nostra Montagna. Non è grazie a te se ora siamo tutti vivi e illesi, ad Erebor.»
«Non sarei così frettoloso a lanciare giudizi, Thorin, visto che non sai per quale motivo io abbia dovuto abbandonare la vostra strada.» Incalzò lo Stregone, stringendo il proprio bastone. Nessuno s'accorse che v'era qualcosa di strano in esso, era diverso.
«Quindi tu e i tuoi amici potete farlo verso di me ma io non posso ricambiare il favore?» Sibilò con ironia pungente. «Mi additate come avido e traditore quando sto solamente difendendo qualcosa che m'appartiene. Ti avverto, Gandalf il Grigio, né tu né gli Elfi e nemmeno gli Uomini di Esgaroth avrete mai nulla da me. Azzardatevi a fare un altro passo e io farò scoccare le frecce una volta per tutte. E riderò pensando alla vostra debolezza mentre io continuerò ad esistere, saziandomi della magnificenza di questa città.»
«Non lo farai.» Disse Bard adesso, autoritario, carico di una rabbia crescente. Senza esitazione tirò fuori dalla giacca pesante un panno avvolto e lo posizionò davanti al proprio sterno. Nessun nano osò fiatare e lo sguardo si puntò sull'oggetto misterioso che l'Uomo teneva tra le mani.
«Thorin, credo sia il caso di abbassare le armi ora. La faccenda sta prendendo delle pieghe inaspettate e non è saggio inimicarsi gli Uomini di Esgaroth.» Sussurrò Balin al proprio Re ma quello alzò la mano zittendolo con un'occhiata truce. Balin fece un lieve passo indietro, scontrandosi contro Dwalin. Il nano tatuato tratteneva l'ascia tra le mani e non aveva fiatato dall'inizio di quella conversazione. Lo sguardo duro e lucido era puntato sui tre dabbasso, martoriava le labbra livide e sottili continuando a smuovere la mascella serrata.
«Io lo farò. Staccherò la vostra testa dal collo se continuerete a sostare ai piedi della mia casa. Un solo ordine – uno solo – e vi pentirete amaramente di essere tornati.» Sibilò il Re, lasciando vagare lo sguardo da Bard a Gandalf, osservando Thranduil con una nota di disgusto talmente profonda da incidere un'espressione malevola sulla fronte.
«...non lo farai.» Ripetè Bard adesso, finalmente liberando la stoffa accumulata fino a far emergere ciò che dentro vi nascondeva.
Un potente bagliore si sprigionò fino a illuminare le tre figure lì presenti. La luce grigia dei raggi solari s'intromise nel globo di luce che Bard stava rialzando col braccio e come ornata da mille cristalli lucenti l'Arkengemma brillò di tutta la sua magnificenza, trafiggendo lo sguardo degli Elfi, degli Uomini e dei nani.
Ognuno di loro restò in balia di quella visuale e i bisbigli e i sussurri s'ammutolirono all'istante, lasciando solo un vibrato e rapito silenzio. Niente – per i loro occhi – avrebbe potuto mai eguagliare una bellezza del genere.
«Ma quella è...» Mormorò Nori, schiudendo le labbra.
«È...È bellissima.» Ori di fianco a lui per poco non si arrampicò sulla pietra per poterla osservare meglio.
Bofur dovette stringere la presa con la mano di Berit per impedirle di palesarsi troppo alla vista degli Elfi, trattenendola vicino a sé. Ma lei non sembrò notarlo, lo sguardo era solo per la luce nel globo, ogni suo gesto venne recepito come un impulso lontano.
I loro cuori vennero travolsi da sensazioni che non riuscirono a comandare e Thorin stesso ritornò a osservare il cuore di Erebor con sguardo diverso, illuminato di nuovo di verde e l'ombra scura sul suo volto si placò un istante per la purezza di quella meraviglia che si sprigionò nel petto. Ma durò un solo secondo – un misero lasso di tempo in cui ogni cosa tornò a marcire – e ben presto rinchiuse le dita fino a graffiare la pietra con le unghie. Digrignò i denti e abbassò il capo fino a far ondeggiare i capelli scuri davanti al volto. Nemmeno la corona lucente che gli ornava il capo riuscì a trattenerli.
«Non...non puoi averla tu.»
«Ma ora è nelle mie mani e io ti chiedo, Thorin, se ora sei disposto ad ascoltarmi per trattare.»
«Tu...tu osi ricattarmi. Sei venuto in casa mia e mi hai derubato e ora mi chiedi di ascoltarti?»
«Non ti ho derubato, Thorin, devi ascoltarmi, ti prego. So che questa pietra appartiene a te e io sono disposto a restituirtela se tu ci prometti di donarci la parte del tesoro che ci aspetta di diritto.» Tentò di nuovo Bard, trattenendosi risoluto e fiero, ancora reggendo l'Arkengemma tra le dita. Aveva riabbassato l'oggetto fino a riporlo dentro la stoffa. Gandalf notò che stava sudando e la mano gli tremava leggermente, i capelli dell'Uomo erano tutti arruffati dal vento ma – nonostante questo – permaneva il suo aspetto orgoglioso.
«Non devi dare giudizio dove non c'è, mio caro amico. Accetta quest'offerta così che tutti possano essere felici senza aver bisogno di altro astio. Non ce n'è bisogno, tutti qui sono stanchi di questo.» Provò a dire Gandalf facendo fare al cavallo un passo in avanti ma bloccò presto l'incedere quando si ritrovò davanti alle zampe una freccia conficcata nel terreno. Il fruscio della cocca non era stato avvertito se non da Thranduil che – prontamente – aveva già fatto sguainare le armi al proprio esercito. Tutti osservavano in alto e Thorin aveva l'arco proteso e lo sguardo più scuro di un pozzo senza fine.
«Ora...cari amici...» sibilò quella frase in maniera viscida e tagliente «...mi dite chi vi ha dato l'Arkengemma e io eviterò di uccidervi in questo stesso istante. Sono stanco dei vostri giochi, sono stanco delle vostre belle parole. Non mi fido di voi, non mi fido dei vostri patti e – che Durin il Senzamorte lo sappia – sarò ben lieto di liberare il mondo da coloro che oseranno mettersi contro di me.»
«Thorin...» Dwalin, questa volta, fece un passo in avanti scosse il cap. Provò a rialzare una mano, quella libera, per poggiarla sulla spalla del Re ma quello lo fulminò con lo sguardo e il nano si ritrovò a fermarsi a mezz'aria. «...Thorin devi calmarti ora, ragionare. Hanno l'Arkengemma e non sarebbe saggio adesso fare mosse avventate.»
«Quella non è la mia Arkengemma!» Sbraitò Thorin, livido di rabbia. «Non può essere! Non può avercela quello stupido Umano, se non è stata rubata allora che si faccia avanti colui che mi ha tradito! COLUI CHE MI HA VENDUTO AL NEMICO!»
Tutti si bloccarono con lo sguardo spaventato e silenzioso, rivolgendosi rapide occhiate tra loro. Bofur cercò con la coda dell'occhio Bilbo e fu assai contento di non vederlo nelle vicinanze. Avrebbe voluto scavalcare il muro e dire a Gandalf ogni cosa, fare in modo di avere l'aiuto che stavano aspettando da giorni. Ma non avrebbe mai rischiato un passo del genere con Berit lì di fianco. La sentiva stringere quella presa con fare convulso e – se gli fosse stato possibile – l'avrebbe allontanata da tutto questo senza nemmeno pensarci.
Ma non potevano.
Fili e Kili tentarono di fare un passo avanti verso lo zio e Balin e Dwalin fecero altrettanto. Dwalin scoccò un'occhiata alla volta di Bofur e Berit ma solo il nano col cappello sembrò notarlo, tanto da fare un leggero passo in avanti. Berit fu colta dall'improvvisa apprensione che Bofur volesse lasciare la presa e si ritrovò a stritolargli le dita. Quello si bloccò – se non gliele aveva rotte fu un miracolo – e s'avvicinò al suo orecchio per sussurrarle qualcosa di segreto.
Non ti lascio. Resto con te.” 
Ma fu un secondo rapido in cui non riuscì a cogliere nemmeno un suo sguardo perchè una voce – la voce che più aveva temuto si fosse palesata – si fece avanti fino a spezzare quell'attimo di silenzio estenuante.
«Sono stato io.»
Ognuno lì presente – persino Gandalf – sospirò fino a far tremare il petto. Si voltarono tutti verso il piccolo hobbit che si fece strada da dietro i piedi dei nani e si ritrovò a fronteggiare Thorin con i pugnetti chiusi e lo sguardo più risoluto che ognuno di loro gli avesse mai visto.
Improvvisamente Bofur fu colto dal desiderio di tornare indietro nel tempo. Rimase rigido e attaccato alla mano di Berit e ripensò al momento in cui aveva fermato il suo nuovo amico dentro le grotte dei Goblin. Per un solo attimo, in quel frangente, aveva pensato che volesse abbandonarli sul serio, aveva pensato che Bilbo fosse troppo attaccato alle sue origini e che non sarebbe mai stato pronto per lasciare completamente casa alle spalle. Ma lo aveva capito, lo aveva compreso e il desiderio di vederlo felice e di nuovo tranquillo fu più forte di qualsiasi parola avesse potuto dire per farlo rimanere. Lo avrebbe lasciato andare e non avrebbe mai detto a nessuno di quel momento. In quel preciso istante avrebbe voluto non averlo visto, avrebbe preferito addormentarsi appoggiando la guancia sulla testa di Berit e lasciare che Bilbo scappasse in silenzio. Che si fossero risvegliati chiedendosi dove fosse finito il loro Scassinatore, almeno così si sarebbe risparmiato quella paura che gli invase il petto nel vedere Thorin voltarsi verso Bilbo come una furia inquieta, smossa solamente dal più profondo odio che un nano potesse covare dentro di sé.
«Tu...tu mi hai...mi hai tradito.» Graffiò Thorin, stringendo convulsamente il proprio arco. Lo fece schiantare ai suoi piedi con un lancio pieno di rabbia.
«N..no non ti ho tradito, Thorin. Io l'ho fatto per te. Per...per salvarti. Per evitare la guerra e..» Bilbo cominciò a parlare ma la paura stava incalzando. Il cuore gli batteva fortissimo ma era risoluto a rimanere immobile davanti al Re. «...non posso più vederti in questo stato. Gu..guardati Thorin. Sei cambiato, sei diventato come...come Smaug. E i tuoi Compagni stanno morendo di preoccupazione per colpa tua e io non...Ho sperato che questo potesse farti riprendere la ragione.» Bilbo guardò verso il basso e provò un desiderio irrefrenabile di avere Gandalf alle sue spalle, in quel momento. «...In fondo abbiamo ritrovato la tua Arkengemma.»
«Non l'hai ritrovata.» Sibilò quello, incedendo con passi pesanti e metallici. «Tu me l'hai rubata. Mi hai fatto dubitare della mia gente...ma sei sempre stato tu. Sei sempre stato tu a covare il tradimento nei miei confronti.»
Bilbo fece un passo indietro e si scontrò contro lo sterno di Ori. Il nano non sembrò nemmeno accorgersene, aveva lo sguardo fuori dalle orbite.
«Thorin stai...stai divagando, io non te l'ho rubata. Era..era la mia quindicesima parte del tesoro, no?» Balbettò Bilbo con sguardo acceso. «Tu mi hai detto di prendere quello che volevo e così ho preso-»
«Sapevi che la stavo cercando! Sono giorni che la cercavo ininterrottamente! Sei un ladro! SEI UN BUGIARDO!» Ringhiò Thorin facendo enormi passi in avanti. «QUANTE VOLTE MI HAI TRADITO, EH? HAI DETTO LORO ANCHE DELLA CHIAVE, NON È VERO? TU VOLEVI INFOSSARMI E BOICOTTARE OGNI COSA.» La sua voce rimbombò per tutto lo spiazzo cosa che nessuno faticò a sentire. Ogni nano non riusciva a spiccicare parola. Solamente Dwalin si ritrovò a rincorrere Thorin, facendo cadere l'ascia a terra con un tintinnio tremante.
«N-no Thorin no...hai perso completamente la ragione, ti prego calmati. Non ho mai detto a nessuno della chiave, ti prego no-» provò a dire Bilbo.
«IO TI UCCIDO, TRADITORE! TI UCCIDO!» Thorin non ragionava più. Accecato dalla rabbia cercò di saltare addosso allo hobbit, piegando le dita tozze per indirizzarle al collo di Bilbo ma una presa salda lo bloccò in quella posizione. Dwalin lo aveva arpionato e lo stava tirando all'indieto. Fili e Kili fecero la stessa cosa, bloccandogli gli arti, cercando di placarlo. Ma Thorin continuava a urlare, imprecava insulti e offese verso Bilbo e non solo nella lingua corrente. Persino l'odio nella loro lingua segreta inaspriva il cuore e Bilbo provò l'immancabile desiderio di infilare l'Anello e sparire da lì per l'ennesima volta. Forse l'ultima della sua vita. Fu invaso da una paura talmente forte che a stento riuscì a collegare altre parole giuste quando si ritrovò Bofur davanti, armato del martello di Berit – probabilmente – e guardava fisso Thorin con sguardo acceso e preoccupato. Doveva aver fatto uno scatto veloce visto il respiro pesante.
«Non toccarlo, Thorin. Bilbo è nostro amico, non ti permetterò di fargli del male.» Incalzò il nano e Thorin ringhiò di rabbia, agitandosi tra le braccia dei suoi più fedeli Compagni.
Berit, intanto, aveva afferrato Bilbo per un braccio e lo trattenne dietro di sé, rigettando lo sguardo su Thorin e i nani che lì stavano di fianco.
«Di che cosa stai parlando? Cosa c'entra la chiave?» Incalzò Balin, ritrovandosi a fiancheggiare Bofur stesso. Il vecchio nano stava guardando fisso Thorin con occhi grandi e preoccupati; gli assalì di nuovo la titubanza che gli aveva provato il petto nelle cantine degli Elfi.
«Io non ho mai detto quello che è successo con...sei tu che pensi che io l'abbia fatto ma non è così. Non ti avrei mai tradito.» Disse Bilbo, stringendo la stoffa della giacca di Berit, restando dietro di lei se non per la testa ricciuta che sbucava da lì dietro.
«Tu sei solo un bugiardo...sei solo un bugiardo! AMMETTILO CHE LO HAI FATTO! TU VUOI VEDERMI SOCCOMBERE.» Continuò a urlare il Re, rigettando l'irruenza di quella voce col corpo stesso.
«Thorin ti prego...basta. Non ricordi cosa mi dissi a Esgaroth, dopo averci tirato fuori dalle celle? Noi siamo...una famiglia. Tutti. Tutti quanti.» Esclamò Berit facendo una smorfia di dolore emotivo prima che una forte luce abbagliò il luogo. Una folata di vento caldo li fece ammansire di colpo e si ritrovarono tutti a guardare verso lo spiazzo, boccheggiando senza più parole da estirpare alla propria mente.
«Se non vuoi più avere Bilbo davanti alla vista almeno rendimelo indietro intatto, te ne prego.» Incalzò la voce di Gandalf, rimbombando fino alle orecchie dei nani. Thorin continuò ad agitarsi per alcuni secondi prima di bloccarsi senza forze, respirando affannosamente. La corona in testa gli si era storta e lo sguardo annebbiato era lucido di pianto e di delusione. Fili e Kili si sforzarono notevolmente a tenerlo ancora stretto in quella morsa.
«Zio..ti prego...lasciamolo andare. Recuperiamo l'Arkengemma e facciamo finire tutto questo.» Disse Kili digrignando i denti per lo sforzo.
«Ci ha tradito Kili, ci ha tradito...» la voce del Re ancora ardeva di rabbia ma adesso era fermo e il suo corpo s'abbandonò alla presa dei tre che ancora lo reggevano fermo. Il Re spostò lo sguardo su Bilbo ma vide Berit nasconderlo col proprio fianco e Bofur trattenere ancora il martello tra le mani, risoluto come non lo aveva mai visto prima, probabilmente.
«...Lo lascerò vivo solo per poterlo vedere soffrire nella vergogna del suo gesto ma non voglio più vederlo calpestare il suolo della mia casa. Mai più.» Sibilò quello volgendo lo sguardo altrove, strattonandosi via dalla presa dei tre. «Per me è morto.»
Tutti si guardarono senza riuscire a dirsi una sola parola. Bilbo strinse la veste di Berit e sentì gli occhi inondarsi di lacrime ma fu molto bravo a non lasciarne sfuggire alcuna. Aveva ringraziato di cuore ogni nano che si era prodigato a proteggerlo ma aveva sperato che questo non sarebbe mai stato necessario.
Alzò gli occhi al cielo e notò un piccolo tordo danzare sopra le loro teste e – per un secondo – provò l'irresistibile impulso di non aver mai firmato il contratto quel soleggiato giorno d'estate.
Invaso da quei pensieri non sentì per niente la mano di Berit sopra la sua testa e quando alzò gli occhi per guardarla non riuscì più a trovare la forza per trattenere il pianto.
«Bilbo...ora è meglio che vai. Nessuno ti farà mai del male, ma resta vicino a Gandalf.» Le sussurrò lei con una dolcezza che non le aveva mai sentito prima d'ora e si ritrovò ad annuire lievemente, sgusciando via da lì frettoloso.
«Thorin...cos'è successo con la Chiave?» Balin si spostò dal fianco di Bofur per fronteggiare il Re ma quello già non guardava più, intento a stringersi le ciocche dei capelli fino a far filtrare le dita tra esse.
«Non l'ho persa...non l'ho persa...io...io...è stato Boso Atro e...Bilbo vuole mettervi contro di me! Lo sta facendo apposta, lui...»
«Thorin.» questa volta fu Fili a richiamarlo e quando Thorin voltò lo sguardo si ritrovò tutti i nani intenti a guardarlo con una durezza profonda. Nessuno di loro aveva più lo sguardo annebbiato e intriso dalla paura e questo – questo – fece tremare il cuore di Thorin stesso. Erano risoluti e fieri, dei veri guerrieri di Montagna ed erano forti e combattivi nei loro sguardi. Nessuno di loro vacillò e Thorin fece fatica a trattenere salda quell'attenzione senza sentirsi estremamente impotente. Li guardò con aria persa e di nuovo il magone atroce e sofferente tornò a ghermirlo con prepotenza, non riuscendo a contrastarlo.
«Adesso dovrai dirci tutta la verità.» Aggiunse il biondo, stringendo le labbra.

 

 

 



NA.
Allora con questo capitolo ho veramente piazzato così tanti elementi che ho fatto un miscuglio osceno tra film, libro e mia fantasia personale x°D infatti si vede e se è uscito una schifezza chiedo perdono all'inifito (specialmenta a Tolkien per aver modificato così brutalmente il disorso tra tutti nostri super-heroeees sulla contrattazione ç_ç ) e BOM finalmente questo capitolo l'ho fatto e nonostante non ne sia soddisfatta ho dovuto pubblicarlo perchè sennò non lo facevo più, tipo ripensamenti a gògò! Spero che vi piaccia, come al solito e come al solito ringrazio sempre le mie stesse personcine belle <3 e tutti quelli che mi seguono/leggono in segreto. 

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Capitolo 38
*** Smettila di nasconderti ***


Capitolo 38.
Smettila di nasconderti




Ogni cosa stava andando per il verso sbagliato.
Ciò che successe dopo che Bilbo riuscì a discendere da Gandalf fu quantificato come il momento peggiore che i nani avessero mai vissuto dall'inizio di quel viaggio. Era addirittura peggio della convivenza forzata nelle celle degli Elfi boscosi e – ancor di più – dell'obbligo a sentire il Grande Orco cantare abominazioni mentre li pungolavano con sciabole e fruste nelle grotte delle Montagne Nebbiose. Non riuscirono a mangiare niente né a parlare una volta rientrati dentro le mura rocciose. Thorin s'era di nuovo estraniato da tutti e non lo si vedeva più in giro da quando aveva ammesso la colpa che lo aveva attanagliato da Bosco Atro, tradendo così il suo segreto. Erano sconvolti e demoralizzati all'idea di ciò che Thorin aveva nascosto loro ma – ancor di più in fondo – dal fatto che Bilbo non era più con loro; avevano seguito la sua discesa verso gli Uomini sotto la Montagna e con profondo rammarico lo avevano mentalmente salutato, trattenendo il magone di tristezza che li avvolse quando lo videro piangere silenzioso.
Nessuno di loro era più riuscito a dire niente a riguardo, persino Dwalin era rimasto muto – senza grugniti e brontolii – seduto e raggomitolato davanti al fuoco che vibrava nel buio. Nonostante il silenzio erano rimasti tutti vicini, spesso i loro sguardi si incrociavano ma le parole rimanevano bloccate dietro i loro occhi bui e spenti. Nell'aria, oltre il crepitio delle fiamme, si sentiva solamente il carboncino di Ori che scivolava velocemente – nervoso come il suo stesso sguardo – lungo il papiro ingiallito che tratteneva sopra le gambe, sostenuto dal suo immancabile quaderno di cuoio. Balin, di tanto in tanto, tirava su col naso e se lo grattava fino a farlo arrossire. Bombur non stava mangiando nulla e Bifur, di fianco a lui, gli dava lievi pacche sulla panciona coperta fino a che entrambi non s'addormentarono stanchi e in silenzio. Berit era rimasta vicino a Bofur una volta che Bilbo era andato via e non gli aveva più lasciato la mano; lo aveva tenuto stretto a sé, evitando di tormentarlo con frasi fatte e banali per fargli comparire di nuovo una parvenza di spensieratezza. Non v'era riuscita, Bofur aveva ombreggiato lo sguardo ed era rimasto cupo e silenzioso per tutto il giorno, fino a che non s'era abbandonato al sonno, plasmato contro la parete. Il cappello gli era scivolato sul capo e gli copriva una parte del volto; sarebbe stata una scena alquanto buffa in un momento normale, di quelli spensierati e sorridenti, ma adesso provocava solo una violenta malinconia nostalgica e Berit glielo sistemò con delicatezza, evitando di svegliarlo. Dori e Nori avevano lo sguardo vacuo, Dwalin spesso alzava lo sguardo e guardava verso Berit e Bofur senza parlare. Fili e Kili erano gli unici che continuavano a muoversi imperterriti, lì intorno. Sentiva Fili intento a limare la spada ogni qualvolta i pensieri lo sovrastavano e Kili girava intorno ai pilastri spezzati, senza dire una sola parola. La nana non riusciva più a sopportare quella visuale – si voltò a guardare verso Bofur e staccò lentamente le dita dalla sua mano. Stesse ben attenta a non svegliarlo e gli si avvicinò con calma fino a lasciargli una leggera carezza sulla guancia ed alzarsi da lì, avvicinandosi lentamente a Ori.
Quello quando la notò alzò lo sguardo e le sorrise brevemente, fermando il carboncino a mezz'aria. In una classica scena normale avrebbe avuto paura di venire interrotto da lei in un momento d'ispirazione artistica ma in quell'istante sembrò solamente sollevato ad averla vicina. Lei gli si sedette di fianco con un tonfo poco aggraziato e incrociò le gambe, abbandonando le mani all'interno di queste. Erano ancora tutti avvolti dalle corazze da battaglia, per quanto fosse alquanto scomodo per la maggior parte degli Uomini, ai nani non dava alcun fastidio. 
«Chi è il fortunato, stasera?»
«Dwalin.» Sussurrò lui e tirò indietro il collo per permettere alla nana di sbirciare. Quella affilò lo sguardo grigio e lasciò vagare lo sguardo sull'abbozzo in chiaro scuro che era delineato sul papiro ingiallito. Andò a sbirciare verso Dwalin ma notò che la posa era diversa; sul disegno era seduto davanti ad una tavolata, braccia incrociate e sguardo burbero ma fiero. Ori aveva la propensione a far emergere il carattere dei suoi Compagni direttamente dallo sguardo, era un lato dei disegni del nano che li rendeva unici, dei piccoli capolavori di carbone.
«Ma guardalo; è persino più bello qui.» Ironizzò lei arricciando il naso e Ori fece una risatina imbarazzata, ritornando a concentrarsi sul suo lavoro. Quella si zittì e spostò lo sguardo altrove. Per quanto tentasse di non pensarci non riusciva ad abituarsi all'idea che Bilbo non fosse più presente. Era assai conscia che – prima o poi – sarebbe tornato nella sua amata Contea ma era ben diverso il modo in cui aveva immaginato il suo saluto finale. Aveva pensato ad un immenso banchetto e ad una fiasca di vino tutta per Bilbo e le scommesse che avrebbe imbastito con Bofur e Nori per vedere quanto i pony avrebbero retto a viaggiare con tutto il tesoro che gli avrebbero donato. Tutti sarebbero stati allietati dalle risate e sarebbe stato un addio senza lacrime e con tante promesse.
Ma adesso non riusciva a pensare a niente che fosse piena di risa e promesse. E la peggiore conseguenza di tutto questo era stato il cambio d'umore di Bofur, così repentino e radicale, che non riusciva a sopportarlo. Odiava Thorin per questo. Qualsiasi attrazione avesse avuto per tutto quel tesoro – prima di allora – era evaporato nello stesso istante in cui aveva perso la cosa per cui...
Si risvegliò da quei pensieri quando sentì una gomitata di Ori al suo fianco. Si voltò di scatto e guardò verso il nano, quello la stava fissando con aria preoccupata.
«Berit va tutto bene?»
«Certo. Certo che sì.» Lei sorrise ma lui non lo fece. Corrugò la fronte e posò il pezzo di carboncino sopra uno dei fogli ingialliti. Non s'era accorta che aveva cambiato il ritratto di Dwalin con un foglio completamente lindo – per quanto potesse mai esserlo – e glielo stava porgendo con gentilezza.
«Tieni. È un ottimo modo per tenere la mente occupata.» Sospirò quello con voce bassa. «Quando la stanchezza ti prende alle volte è bene avere un passatempo un po' più leggiadro.»
Lei aveva sorriso pienamente, afferrando il quaderno. Prese il carboncino tra le dita e lo strinse, sospirando fino ad abbassare le spalle. Alcune ciocche scure le incorniciavano il volto ma le trecce erano ancora legate da dei piccoli anelli d'acciaio. Alzò lo sguardo giusto per guardare in direzione di Bofur e lo vide intento a russare come un leggero rombo di sottofondo, spiaccicato contro la parete. Il cappello gli si era storto di nuovo. Quella visuale le fece scaturire un sorriso pieno e si voltò a guardare Ori con aria vivace. Fin troppa per essere genuina.
«Mi aiuteresti a disegnare una mappa?»
«Vuoi fare un'altra mappa?» Esclamò Ori, allargando lo sguardo scuro. Sbatacchiò le palpebre più volte.
«Oh bè, quella di prima Bilbo credo che l'abbia persa, sai?» Disse lei, rialzando le ginocchia così da avere perfettamente di fronte il foglio giallo e libero da qualsiasi schizzo. Alcune puntine di grafite avevano sfumato gli angoli piegati, creando nuvolette grigie. «Così appena lo rivedo posso donargliela. Non me l'ha mica detto quel bifolco, devo sempre immaginarmi le cose, io.»
«Ma senti da che pulpito viene la predica.» Sghignazzò Ori fino ad arricciare il volto in una smorfia incomprensibile. Lei aveva fatto una smorfia in risposta e poi s'era immersa nelle prime tracce della sua mappa. Ori era rimasto a guardarla per diversi secondi, in silenzio, sbirciando attraverso il suo braccio che si muoveva sciolto.
Era la prima volta, da quando la conosceva, che riuscì a guardare il progetto iniziale d'un suo disegno senza venire colpito con un pugno o traviato da parole senza senso, che uno era costretto a rinunciarvi per disperazione. La cosa gli provocò un moto nel petto strano, si strinse nelle spalle e piegò le labbra tra loro.
«Vuoi disegnare ancora la Contea?» Azzardò lui e fece un leggero scatto col collo per evitare una sua possibile reazione. Non avvenne e di nuovo quella sensazione al petto lo perforò fino a fargli venire la pelle d'oca. Sapeva bene di cosa si trattava; era nostalgia. Non che non le piacesse una Berit meno dura ma... non era Berit.
«No. Credo che questa volta gli disegnerò tutto il viaggio. Sai dalla Contea e passo dalla sua amata Gran Burrone, poi casa di Beorn e Bosco Atro e..» alzò la testa mentre spiegava e si trovò Ori che la fissava con insistenza. Lei lasciò sfumare la frase e si ritrovò a fissarlo con sguardo un po' stralunato. Berit aveva la propensione a cambiare espressione come un battito di ciglia, era una cosa abbastanza divertente quando i tempi non erano malvagi.
«Che c'è?» Chiese lei fino ad abbozzare un sorriso tirato.
«Ti sei resa conto di quello che stai facendo, sì?» Domandò Ori, sbatacchiando ancora le palpebre. Lei lo imitò sbatacchiando le proprie. Era una scena alquanto comica; dall'esterno potevano sembrare due con dei problemi seri agli occhi.
«Che cosa...sto facendo?» Domandò lei con una certa perplessità.
«Sei diversa.»
«E tu sei corto.» Scucì lei veloce. «Che gioco è?»
«Non è un gioco, stupidella.» Ori le diede l'ennesima sgomitata e lei gli pizzicò la fronte per quel dispregiativo così altolocato. «Qualche tempo fa se solo mi azzardavo a fare domande mentre disegnavi mi avresti imbastito una sequenza di dubbie parole su quanto i corvi abbiano una vita grama.»
«I corvi hanno una vita grama, Ori. Serpeggiano nei cieli tutto tronfi, pensando ben di essere al di sopra dei canarini e dei tordi, e quando decidono di metter piede a terra devono ben stare attenti a non incappare davanti agli occhi degli Uomini o partono gli scongiuri che Oin – a confronto – è il più blasfemo dei nani.» Spiegò lei risoluta, facendo ondeggiare il carboncino per aria.
«Ma cosa stai dicendo? Gli Umani non sono mica così superstiziosi!» Squittì l'altro, arruffandosi.
«Ti devo per caso ricordare di quando Kili ha avuto l'ardire di lasciare la scala a pioli vicino alla Locanda dello Stalliere, nella città vicino alle Montagne?» Berit allargò lo sguardo e Ori arrossì su tutto il volto, borbottando qualcosa che lei non comprese. O finse di non comprendere. «Una signora rimase due ore sotto di questa perchè era proprio rimasta nel mezzo, capisci? Nel mezzo!» E fece dei gesti per indicare l'esatto “mezzo” di cui stava raccontando.
Ori, per tutta risposta, rimase a guardarla per qualche attimo prima di cominciare a ridere. Rise di gusto, facendo vibrare tutte le spalle e per poco non piantò la fronte sulla spalla dell'amica per lo slancio che fece il busto. Lei aveva preso a ridere con lui, non riuscendo a trattenersi.
«Me lo ricordo, Dori mi disse di non lasciare mai più gli attrezzi nelle mani di Kili perchè aveva bloccato un intero pomeriggio.»
«Già. Poi tuo il fratellino tintinnante ha avuto l'ardire di sgattaiolare fuori dalla casa della centenaria e il suo gatto nero lo ha inseguito fino alle Porte della città.» Sghignazzò lei, piegando il capo in avanti. «Era...oh per la barba...quel gatto era l'anima del male.»
«Gli si era attaccato alle terga e non lo voleva mollare.» Ori scoppiò in un'altra fragorosa risata e la cosa destò dal loro silenzio alcuni dei nani nelle vicinanze. Persino Kili fermò il suo andirivieni e si voltò a guardare i due con sguardo curioso. «Per poco quel giorno non mi soffocavo dalle risate.»
«Nori attira sempre tutte le femmine, pelose o con la coda che siano, secondo me ha qualche afrodisiaco naturale.» Berit continuava a sorridere divertita e, a quella frase, Ori per poco non soffocò per dieci secondi buoni, non riuscendo più a riprendere fiato. Berit fu costretta a dargli sapienti pacche sulla schiena per farlo riprendere e quando rialzò il capo vide che aveva gli occhi lucidi e il volto tutto arrossato.
Si stava riprendendo dalle ultime risate che s'abbandonò – con grazia – sulla spalla di Berit con la testa. Ci si stava strusciando sopra come un piccolo felino.
«Era...era da tanto che non ridevo così, ricordare i vecchi tempi fa sempre dei begli effetti, non è vero?»
Lei gli sorrise piena d'affetto e alzò una mano per abbracciargli la testa per un misero secondo. Gli lasciò una lieve carezza sui capelli biondi e lo fece rialzare, così da guardarlo negli occhi.
«Ogni tanto fa bene ridere, sai? Ricordatelo sempre Ori, non diventare burbero e serioso come quello lì.» E indicò Dwalin. Era ben conscia che Dwalin li stava fissando e aveva grugnito qualcosa alla volta di Berit, prima di scostare lo sguardo e tornare nel suo ombroso silenzio. L'aria, lì intorno, s'era quietata leggermente dopo le risate cristalline di Ori e alcuni avevano ripreso a parlottare tra loro in silenzio. Berit non potè sentirli ma sperò che fossero stati contagiati dai ricordi lontani, di quelli felici, che vengono ricordati davanti al calore del fuoco.
«Grazie.» Mormorò lui, socchiudendo appena gli occhi. «Sei sempre stata brava a fare questo, sorellina
Lei non rispose ma sorrise pienamente, spostando gli occhi sul suo capo chiaro. Si sentì improvvisamente invasa da un profondo affetto per quel piccolo nano e gli lasciò un'altra carezza sui capelli, questa volta reale, senza dolore o pressione. Quello le sorrise di rimando prima di tornare a zittirsi, appoggiando il capo sulle ginocchia.
Lei riprese a guardare il proprio papiro ingiallito, lasciando scivolare su di esso la grafite. Si estraniò dalle voci che, in sottofondo, creavano un piccolo brusio.
Le venne da ripensare al momento in cui aveva disegnato la prima volta la mappa per Bilbo. Lui stava fumando la pipa e Gandalf li aveva accusati di essere un po' troppo asociali. Le venne da ridere a pensarci; in fondo era proprio vero.
Quanto le mancava tutto questo.


 


 


 

Fili continuava a camminare a passo lento nella Sala dei Re. Il pavimento era un'intera lastra dorata che illuminava l'intero loco di una luce tetra ma regale. Le fiaccole accese si riflettevano su di essa e creavano un curioso effetto di luci che sembrava riscaldare le pareti ulteriormente. Se non sapesse la storia avrebbe pensato che fosse stata fatta apposta per ampliare la bellezza di quelle stanze.
Avrebbe speso tutte le forze necessarie per concentrarsi su quell'unico pensiero senza venire invaso dall'opprimente sensazione di essere nel posto sbagliato nel momento più sbagliato di tutta la sua vita. Aveva voluto allontanarsi da Kili per un po' per evitare di dargli questa pena e così aveva raggiunto quei luoghi in silenzio, estraniandosi. Gestire uno zio invaso dalla rabbia era già stato un evento troppo faticoso per la giornata, dargliene altri sarebbe stato solamente una goccia in più che non si meritava di dover gestire. Le responsabilità più pesanti spettavano a lui e non si dava pace per non essere riuscito a combatterle nel migliore dei modi. Non era riuscito a evitare che Thorin colpisse con quelle parole oscene il povero Bilbo e – impotente – era rimasto a guardarlo andare via senza avere avuto la forza di cambiare il flusso degli eventi. E poi quei dannati Elfi e le loro dannate armi. Aveva pensato che – forse – se fosse arrivato solamente Bard insieme a Gandalf la cosa si sarebbe risolta in maniera diversa. Era un pensiero azzardato ma era ben conscio del fatto che, solo alla vista, gli Elfi avevano il potere di irritare ogni pensiero più del normale. Forse se, tra quelli, ci fosse stata l'Elfa di Kili magari avrebbero potuto optare per un buon senso diverso. Ma era solamente un pensiero irrazionale, se non era riuscito Gandalf a placare l'animo di Thorin era del tutto inutile ogni altro tentativo di persuasione.
Poi era arrivata la storia della Chiave e tutto era stato annientato come una folata di vento gelido che uccide le ultime foglie ancorate alle fronde.
Ricordava l'effetto che Bosco Atro ebbe su sé stesso. Anche se si sforzava con tutte le sue forze, però, non ricordava che vaghe scene di ciò che successe lì dentro e non era impensabile il fatto che Thorin potesse aver perso la Chiave per un'allucinazione maligna. Ma non era quello; era stata tutta l'accumularsi di eventi e la sua totale incoerenza verso colui che li aveva sempre portati alla salvezza. Non riusciva a perdonargli la perdita di dignità. Quello non era l'uomo che lo aveva cresciuto e cominciava a odiare con tutto sé stesso ciò che stava diventando.
Il pensiero di seguire Bilbo e raggiungere Bard era stato opprimente, durante quel giorno. Ma ancora di più lo era stato il fulmineo e irrazionale pensiero che lo colse quando si ritrovò a pensare a ciò che aveva lasciato a Esgaroth. Si fermò di colpo e strinse i pugni così stretti da far sbiancare le nocche. Non aveva la minima idea di pensare a questo, non ora. Nei momenti più disperati il cuore gli faceva strani scherzi e non era riuscito a combattere quegli impulsi che vibravano nel petto. Com'era possibile che fosse così opprimente, un pensiero?
Lui non era come Kili, lui non aveva tempo né il diritto di lasciarsi sopraffare da qualcosa di così grande e indomabile. Era sempre stato sicuro di cosa covasse il suo cuore, nella realtà, ma questo era diverso. Non era niente a cui era abituato. Non aveva più bisogno di chiudere gli occhi per rivedere nella sua testa quei dannati capelli bion-
«Cadeeeeeee!»
Un urlo lo fece ridestare dai suoi pensieri e si ritrovò colpito in testa da qualcosa che assomigliava ad una pigna di dimensioni veramente importanti. Il colpo fu talmente secco che gli fece un gran male – a dir la verità – e alzò subito le mani per massaggiarsi il punto colpito. Sopra ogni dubbio la voce che aveva urlato era di Berit. Stava ridendo appieno proprio dietro di lui, nella classica postazione da lancio. Aveva entrambe le mani piazzate davanti alla faccia e aveva ripiegato tutto il busto in avanti mentre rideva.
«Berit tu sei completamente andata.»
«Biondo sfarfalloso!» Esclamò lei con voce allegra mentre s'avvicina al Principe a grandi falcate. Quello sorrise, ritirando le mani dalla testa. «Ti stavo cercando.»
«A me?» Domandò quello, allargando lo sguardo.
«Eh no, a Flòi.» Rispose quella con un sospiro appesantito.
«Chi è Flòi? Devo ingelosirmi?» Quello fece un sorriso sbilenco e ironico, soffermando lo sguardo chiaro sul volto dell'amica. Quella gli diede una pacca sulla spalla, facendolo indietreggiare appena.
«Ti stavo cercando per farti vedere il ritratto che Ori ha fatto di Kili, pensavo che ti avrebbe risollevato un po' la...» sfumò la frase, guardandosi intorno con attenzione prima di ritornare a guardare il nano «...cosa ci fai qui, tra l'altro?»
«Non cambiare discorso.» Incalzò quello, deviando brutalmente su ogni possibile sbocco di conversazione. Berit andò a incrociare le braccia al petto e lasciò vagare lo sguardo grigio sul volto barbuto dell'altro. Non era solito rimanere a indagare su uno dei suoi Compagni con così poca discrezione ma ormai il tempo non fioriva come un tempo e poteva concedersi quella piccola nota confidenziale con l'amico.
«Volevo sapere come stavi. Dopo oggi, almeno. Mi mancano le nostre chiacchierate all'insegna del...» alzò le mani fino ad agitare le dita oltre i guanti smezzati «...bè di qualsiasi cosa sia quello di cui parliamo di solito.»
«Io sto bene.» Puntualizzò lui con fin troppo vigore e scostò subito lo sguardo, facendo qualche passo indietro. Lei non ricalcò alcuna domanda e rimase a fissarlo per diversi secondi, in silenzio. Fili si sentì il suo sguardo addosso e fece di tutto pur di non incrociarlo, adesso.
«Sto bene. Benissimo.» Puntualizzò di nuovo non tradendo alcun tipo di espressione sul volto stanco. L'unica cosa positiva di quella situazione era la ripresa che aveva avuto la sua mente, deviata del tutto dal pensiero dell'Oro. Avrebbe voluto che lo stesso effetto avesse faccio breccia nella stessa testa di Thorin ma – forse – in lui il potere aveva intaccato troppo in profondità per poter essere deviato da qualcosa di puro come...un semplice sentimento. Ma un sentimento si poteva davvero considerare semplice?
«Forse questa è l'ultima volta che potrai veramente dirmi quello che pensi, Fili.» Berit spezzò i pensieri del nano con voce tranquilla, sciogliendo i nodi alle braccia e guardando Fili con un sorriso addolcito. Quello si voltò verso di lei con sguardo perplesso.
«Perchè...dici così?» Sussurrò quello, con voce flebile.
«Forse perchè ho scoperto che le cose non durano mai per sempre.» Enunciò lei con profonda trasparenza e Fili rimase ammutolito a guardarla. Il tono sembrava lo stesso che avrebbe usato per dire che “la zuppa era troppo salata” ma lo sguardo traspariva qualcosa di molto complesso che in Berit di rado era riuscito a scorgere. Era sicuro che esistesse ma lui non era mai stato graziato con così tanto. Si ritrovò a ripensare ad un forte sentimento passato e gli sfuggì un sorriso breve ma intenso.
«Sai...io ho sempre provato un sentimento molto forte verso di te.» Mormorò lui con profonda sincerità, facendo qualche passo per tornarle vicino. Lei s'era mantenuta docile ma il suo sguardo non era cambiato. «Ero...ero convinto di amarti, in realtà. Pensavo a te e speravo che tu lo vedessi. Che un giorno ti svegliassi e provassi quello che io provavo per te. Mi piaceva vederti sorridere – mi piace vederti sorridere – e ho...ho sempre ammirato la tua imprevedibilità. Sei sempre stata così simile a Kili e forse per questo non ho fatto alcuna fatica ad affezionarmi a te.» La voce di Fili rimase calma ma composta. Non era arrossito e – a discapito di tutto ciò che avrebbe pensato – il suo cuore non gli martellò nel petto come avrebbe dovuto.
«Sono contenta che tu me l'abbia detto ora.» Mormorò piano lei, rialzando il mento per guardarlo negli occhi. «È più facile liberarsi da alcuni pensieri quando non ci governano più, non è vero?»
Fili rimase serioso a guardarla fino a far comparire un sorriso affettuoso che gli ammorbidì il volto e annuì piano, restando in silenzio.
«Sai...è...insomma credo che questo fosse proprio il momento più adatto. Non credi? E non di questo questo come ora – ora – ma questo come...il periodo, ecco. Con tutto ciò che è successo e...» Accodò lei con un sorriso sghembo e imbarazzato, sfumando la frase senza finirla.
«Sì credo di sì. Credo...proprio di sì.» Mormorò lui con voce un po' roca, abbassando lo sguardo.
«Ma ti rispondo nel modo in cui ti avrei risposto se tu me lo avessi detto un anno fa o cinque anni fa.» Lei fece un altro passo avanti e questa volta alzò la mano la mano per potergli pinzare il mento tra le dita. Non glielo strinse, fu un tocco leggero ma confidenziale. Lo sguardo vacillò sul suo sguardo per tutto il tempo. «È sempre stato così, senza che potessimo mai farci niente. Io e te non eravamo destinati a stare insieme per un semplice motivo: il mio cuore non è tuo e il tuo non è mio.»
Fili restò in silenzio e solo allora – colpito da un pensiero fulmineo e improvviso – si ritrovò ad arrossire violentemente fino a sentire il cuore rimbombare dentro le orecchie. Quella frase gli portò alla mente un volto soltanto, la sensazione di dita gentili sulla sua spalla, il sorriso di comprensione di una ragazza lontana.
Lei sembrò accorgersene e gli sorrise pienamente, lasciandogli andare il mento e facendo un lieve passo indietro.
«Spero davvero che tu un giorno riuscirai a capire qualcosa in più di te stesso e... e questa frase è talmente stupida che mi sto vergognando di averla detta. Ma racchiude bene tutto, non credi?» Lei alzò le spalle e lui abbozzò un sorriso fino a soffiare una piccola risata dalla gola.
«Forse stai diventando un pochino romantica, Bery. Non ti ha fatto bene tutto questo miscuglio di razze.»
«Dì un'altra volta una cosa del genere e ti strappo i peli del naso.» Incalzò lei con tono stucchevole prima di ridere di pieno gusto e piantargli una mano sul petto per donargli l'ennesima spintarella bonaria. «E non chiamarmi Bery, è orrendo come nomignolo.»
«Tu mi puoi chiamare Biondo sfarfalloso e io non posso chiamarti Bery?»
«Non è lo stesso!» Disse lei risoluta, alzando le sopracciglia.
«Stupida che non sei altro.» Soffiò via lui con fin troppo affetto prima di fare un passo in avanti e aprire le braccia. Lei non fece in tempo a replicare nulla che si ritrovò stretta in un abbraccio, con il volto affondato tra i capelli biondi del nano. Sospirò appena, alzando le braccia per ricambiare quella stretta e sorridere, fino a chiudere gli occhi.
«Visto che niente dura per sempre allora ti prego, ti prego Berit, smettila di nasconderti dietro l'orgoglio e la paura e prendi il coraggio di affrontare ciò che provi per lui.» Le sussurrò il nano all'orecchio. Lei si strinse maggiormente a lui, fino a legare le mani dietro la sua schiena, voltando il capo per trovare il suo orecchio.
«E tu prendi questo dannato coraggio e affronta quello che invece stai cercando di nascondere dietro al tuo sguardo.» Sussurrò lei di rimando e si scostò da lui quel tanto che bastava da avere il suo volto davanti. Ritrovò il suo sguardo e piegò le labbra in un sorriso convinto.
«Di cosa stai parlando?» Fece lui, gnorri, alzando le sopracciglia.
«Sai di cosa sto parlando, capoccione.» E gli pungolò l'indice all'altezza del petto. Lui non rispose ma si limitò a fare una smorfia prima di rialzare gli occhi su di lei e avvicinare il volto. Le lasciò un piccolo e breve bacio sulla guancia destra, beandosi di quel tenero contatto che mai avevano avuto nei lunghi anni d'amicizia trascorsa.
Lei socchiuse gli occhi e rimase sorridente, lasciandolo fare fino a che non lo ritrovò di nuovo davanti al suo viso.
«Grazie per non aver riso davanti alla mia sorta di dichiarazione d'amore...anche se ritardataria e inutile.»
«Non c'è di che. C'è voluto molto autocontrollo.» Rispose lei, con un cenno blando.
«Oh sì, lo immagino.» Sghignazzò lui con affetto prima di lasciarle un'altra carezza sulla spalla.
Nessuno dei due notò – nel momento meno propizio – qualcuno che li aveva avvistati in silenzio, dentro un pilone di pietra, che ora stava risalendo le scale frettoloso e silenzioso così com'era arrivato.




NA.
Questo capitolo è un parto ç_ç so che lo dico tipo...di tutti i miei capitoli ma questo particolarmente me lo sono immaginato diverso prima di scriverlo e poi è uscito così e boh...non ne sono per niente soddisfatta. Ma non ho tempo per modificarlo per la centesima volta quindi CHISSENEFREGA, me ne farò una ragione! L'importante è che piaccia a voi che mi leggete sempre e mi recensite e tutto quanto <3 poi io posso pure infossarmi da sola, ahahaha. Ah e saluto Syb81 che mi ha aggiunto ai preferiti */////* grazie grazie grazie. Un saluto a tutte girls-lite ! 

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Capitolo 39
*** Solo tu ***


Capitolo 39.
Solo tu




Un potente frastuono rimbombò per tutte le pareti, una pila di armi era stata ammassata con poca saggezza sul pavimento di una stanza illuminata dalla leggera luce delle fiaccole. Berit era intenta e spostare con mestizia e nervosismo tutte le armi che era riuscita a portare dentro la camera. Non era una stanza grossa ma le pareti erano alte e alcune finestrelle s'aprivano sullo spiazzo sottostante, lasciando filtrare la luce e la polvere. V'era un letto molto largo attaccato alla parete – sfatto – ricoperto di vestiti, cotte, usberghi, e alcuni elmi. Erano diverse ore che continuava in quei gesti senza darsi pace. La conversazione con Fili aveva acceso un pensiero ricorrente che non voleva abbandonarla con alcuna alternativa possibile. Si ritrovò spesso a osservare oltre la finestrella e a guardare la Luna. Il pensiero era deviato verso la Guerra che incombeva. Era giunta la notizia che Dàin – contattato da Thorin – stava giungendo ai piedi di Erebor con tutto l'esercito dei Colli Ferrosi. Aveva velocizzato la sua marcia dopo l'incontro poco felice del giorno stesso ed era sicura che ben presto i suoi parenti sarebbero apparsi oltre le luci dell'alba.
Non aveva amato particolarmente quella novità.
Non odiava i suoi parenti lontani ma erano stati ben leali solo una volta che l'Arkengemma fu riapparsa nuovamente, un comportamento che riteneva fin troppo vile. Non poteva biasimare il loro lato calcolatore ma non era nella condizione giusta per affrontare quel percorso di eventi con la lucidità e la spensieratezza d'un tempo. Stava cominciando a sentire in maniera opprimente il cambio di clima che aleggiava sopra le loro teste. Non erano solo la mancanza estenuante di Bilbo, non era il sapore della battaglia incombente e non era neanche il pensiero di quella feccia d'Elfo che aveva avuto l'ardire di fare il gradasso per le sue preziosissime gemme bianche. Aveva ammirato Bard per il coraggio con cui aveva affrontato Thorin ma non poteva dire lo stesso del Re del Reame Boscoso e di certo vederlo perire sotto gli attaccati dei suoi consanguinei sarebbe stato un evento assai divertente.
Ma non era il momento propizio per pensare ad una tale scelleratezza - o forse lo era - ma non riusciva a togliersi dalla mente l'impulso più trasparente e inusuale che potesse mai provare in vita sua. Non era stata così deviata da qualcosa nemmeno quando si trattava di scommettere cospicue somme di denaro. Non era un pensiero illogico ma era del tutto nuovo per lei.
O forse non lo era.
Continuava a mettere in fila indiana martelli e asce e spadoni e anche un arco che aveva senz'altro rubato a Kili – inconsapevolmente – seppure sapesse con fin troppa certezza di avere la mira di una talpa; quello confermò il divertente scherzo che la sua mente si stava divertendo a farle.
Afferrò il manico dell'ascia e poi lo stesso martello e si ritrovò a soppesarli con estrema minuzia, brontolando parole sconclusionate, nella lingua antica del suo popolo. Il silenzio che aleggiava in quell'ala della Montagna faceva vibrare ogni suono che scaturiva da esso. Era ben conscia che i suoi movimenti potessero essere presi con fastidio dai suoi Compagni dormienti ma – di certo – l'ultima cosa che s'aspettava era il picchiettare di alcuni stivali che presagivano la venuta di qualcuno.
Qualcuno che aveva molta fretta, a quanto pare.
Si ritrovò ad alzare lo sguardo verso la porta della stanza e – senza che potesse controllarlo – sentì il cuore rimbombare sempre più forte nel petto. Si ritrovò a pensare ad un fatto insolito: si ricordò di un discorso di Dwalin durante un allenamento ufficiale nello spiazzo verdeggiante a ridosso del villaggio degli Uomini, a sud degli Ered Luin. Quel giorno aveva assassinato ben dieci manichini di legno, aveva decapitato qualche cespuglio e aveva trafitto i tronchi degli alberi. Dwalin non fece emergere alcuna espressione sul volto, neanche quando la luce arancione del tramonto discese su di loro richiamando la ricercata ora della cena, facendo finire la lezione d'armi. Ma si voltò verso di lei e spulciò una semplice frase, una di quelle che ricordi quando passi il tempo a pensare disteso nel letto o quando la mente – invasa da pensieri – si ricorda di un evento improvviso e lontano.
Quando ti ritroverai davanti un nemico - in battaglia - devi ricordarti che la tua vittoria dipenderà dal nano che sta al tuo fianco. Se abbassi la guardia, lui è morto. Se lui abbassa la guardia, tu sei morta.”
Non aveva la minima idea del perché si ritrovò a pensarlo in quel preciso momento, aveva collegato quel pensiero non appena la paura e la speranza si mischiarono insieme. In quel preciso momento si rese conto che, se avesse mai scommesso in quel particolare stato emotivo della sua mente, avrebbe perso. Stava abbassando la guardia e questo gli procurò un moto eccessivo di paura; non aveva mai lasciato che i sentimenti la sopraffacessero, in fondo.
I passi divennero sempre più delineati fino a che, risalendo le ultime scale di pietra, la figura di Bofur si palesò sull'uscio dell'arco.
Quello era alquanto trafelato, aveva ancora il cappello un po' storto sul capo e respirava pesantemente dal petto. Berit non appena incrociò il suo sguardo si ritrovò a stringere convulsamente la presa con le due armi che ancora stava reggendo tra le mani.
Avrebbe persoAvrebbe senz'altro perso.
«Bofur!» Esclamò con una voce fin troppo squillante. La cosa le procurò una smorfia sottile sul volto e abbassò in fretta lo sguardo, non controllando più il calore che le si sprigionò sul volto.
«Ho...Bofur!» Di nuovo marcò il suo nome con un tono indecifrabile. «Sei giunto proprio in un momento propizio. Non so...non so proprio cosa fare con queste due.»
Quello non aveva risposto al saluto, era rimasto bloccato a respirare con le labbra schiuse e uno sguardo acceso. Se s'era fermato per riprendere fiato la cosa non sembrava funzionare adeguatamente. Quel silenzio, da parte sua, non migliorò in alcun modo il profondo disagio che sembrava avvolgere Berit in ogni sua forma.
«Vedi...ho quest'ascia e penso che...sarebbe un'ottima arma nel caso dovessi usarla per... però i fendenti sarebbero un po' complicati. Sarebbe una scelta rischiosa, sai, di quelle...di quelle dove scegli lanciandoti un po' nel vuoto.» Mormorò lei evitando accuratamente di guardarlo. Spostò l'attenzione verso il martello stretto nell'altra mano. Sentiva le mani sudare e la testa gli ronzava, pressando contro le tempie.
Avrebbe potuto pensare che fosse una grave malattia, d'altronde, ma non lo fece.
«E ho questo martello, il mio fido martello, che sarebbe la scelta saggia per...per andare sul sicuro e...continuare a usare ciò che ho sempre usato, consapevole che...con questo non sbudellerò nessuno.» Riuscì a spiegare lei, prendendo delle pause adeguate e non volute.
Bofur aveva rigettato sulle due armi lo sguardo e – ancora silenzioso – aveva cominciato a muoversi dentro la stanza per avvicinarsi a Berit. Lei notò che non era per niente sciolto nei movimenti e – qualcosa – dentro di sé le provocò un brutto stato d'ansia. Si sentiva come se fosse ai piedi di un alto e oscuro precipizio e stesse ponderando l'idea di lanciarsi, indipendentemente se fosse saggio o meno farlo. Stare sull'orlo, di certo, non era una soluzione migliore: era un'agonia.
«...Quindi sono molto indecisa, capisci? Scelgo ciò che non so bene dove mi porterà o scelgo di rimanere...con il mio...la mia arma passata?» Lei deglutì le ultime parole – non sapeva nemmeno più di cosa stesse parlando - prima di rialzare lo sguardo e trovarsi esattamente Bofur davanti al naso. Qualcosa dentro al suo petto impazzì completamente e si chiese perchè non riusciva a guardare in volto il suo più caro amico senza sentirsi frastornata.
Cosa dannazione stava succedendo? La malattia dell'Oro aveva cominciato a palesarsi in maniera così insolita? Cosa non capiva?
Maledetto Fili e i tuoi discorsi saggi.”
Bofur stava faticando a respirare, il cuore aveva cominciato a tramortirlo con battiti troppo vigorosi ed era sicuro che stesse prendendo fuoco. Un coraggio nuovo prese piede in lui, lo stesso che era riuscito a trovare il giorno in cui Thorin lo aveva minacciato nella stanza dell'Oro. Se Bilbo non avesse interrotto nulla forse, adesso, le cose sarebbero molto diverse.
Forse.
Ma continuava a pensare a ciò che, quella sera stessa, aveva scorto mentre era andato a cercare la sua Berit nelle Grandi Sale. Si era sentito peggio di un ladro, o di un topo, quando aveva deciso di restare celato nell'ombra a guardare la scena che gli si palesò davanti. Fili e Berit che si stavano abbracciando, i loro volti così vicini, e la nebbiosa sensazione di qualcosa che aveva già vissuto
...ma dove? Non lo ricordava.
stava tornando a farsi strada dentro di lui, come un ricordo malevolo e rabbioso. Non aveva mai provato così tanta gelosia in una volta sola, pur sapendo che Fili era quanto più lontano possibile da qualsiasi atteggiamento viscido e traditore. Il nano biondo sapeva con fin troppa certezza ciò che Bofur aveva sempre nascosto a sé stesso. O a lei. E ricordava perfettamente ciò che gli disse dentro quella casa, a Esgaroth, davanti al fuoco, dopo quella domanda.
Non aspettare che qualcun altro si faccia avanti e te la porti via. Apri gli occhi e vedi, per una buona volta.”
Non lo aveva fatto. S'era lasciato sopraffare dalla paura di un suo rifiuto e aveva rovinato ogni cosa. In fondo lui cosa poteva mai saperne di amore? Di sentimenti? Di unioni?
Quello che aveva con Berit gli era sempre bastato, non avevano mai avuto bisogno di promesse o frasi per delineare qualcosa che sapevano entrambi, nel profondo.
Si appartenevano. 
Ma questo non bastava più, s'innalzava la consapevolezza che non aveva più alcuno scudo difensivo in sua presenza, non poteva più celare niente oltre lo sguardo. Quel sentimento stava incalzando come la più grande e potente tempesta che egli avesse mai provato. Alimentato dalla paura di quei giorni, dall'oscurità che filtrava oltre i tunnel e s'insinuava dentro le ossa ogni qualvolta l'Oro tintinnava la sua straziante melodia.
Il suo sguardo continuava a vagare sulle mani di Berit - da un'arma all'altra - fino a che l'apice di quella sensazione non raggiunse una vetta incontrollabile. Alzò gli occhi su di lei e si sentì completamente sovrastato da una mole di pensieri enormi. Il corpo era proteso pericolosamente ma ancora rimase ad una distanza sicura da quello di Berit. Lo sguardo calò sulle labbra della nana e – questa volta – restò a fissarle a discapito di quello che lei avrebbe detto, fatto o solo pensato.
«Che si infanghino entrambe!» Riuscì a biascicare con un filo di voce prima di fare uno scatto in avanti e cercare le sue labbra con le proprie, reclinando il capo. Prese a baciarla con tutto il desiderio accumulato fino ad allora, spingendola col proprio corpo contro la parete dietro di sé. Non appena la schiena di Berit si bloccò sull'ostacolo, lui andò a rialzare le mani e le prese il volto, continuando ad assaporare le sue labbra con trasporto. Non era stato lieve, non era stato dolce e soave – come forse nei suoi sogni aveva sempre immaginato – ma era partito sapiente e bisognoso, doveva sentire quelle labbra sulle proprie. Schiacciò il corpo contro quello di Berit e s'abbandonò a quel bacio senza più pensare a niente. Era rimasta impigliata al suo cuore la paura sottile di un suo presunto rifiuto ma ora aveva lasciato spazio ad un'immensa felicità, gli era bastato sentirla schiudere le labbra e trascinarlo in quella spinta per farlo resistere. Quel miscuglio di sensazioni era stato capace di stordirlo completamente.
Per farlo vivere e morire insieme.
Nessuno dei due sembrava voler smettere, entrambi con gli occhi chiusi e le labbra che si ricercavano in un bacio ardente; si leccavano e si mordevano a vicenda – sorridevano entrambi in quel contatto – mentre le mani di lui scesero fino ad arpionare la cotta di cuoio ancora legata al petto di Berit. Fu in quel momento che lui si staccò con una smorfia di disappunto, restando vicino al suo viso. Erano entrambi rossi e bollenti in volto, i loro cuori stavano danzando all'unisono come tamburi possenti e i loro respiri erano spezzati.
«...Forse...forse sarebbe meglio l'a..l'ascia, non credi?» Riuscì a dire lei senza più voce in gola. Il suo sguardo cercò quello di Bofur e lui cominciò ad annuire – non era ben sicura che avesse veramente capito la domanda – mentre le dita di lui cercavano velocemente di slegarle la cotta. Sentiva una sorta di impazienza in quel gesto e lei era sicura che il cuore non avrebbe retto un'emozione più grande di quella.
«Sì...sì certo, il martello quando...sì..no l'ascia! L'ascia è meglio.» Biascicò lui senza fiato e lei sorrise pienamente, facendo uno slancio col volto per tornare a baciarlo. Ora che avevano cominciato – ora che avevano finalmente oltrepassato il loro limite – non riusciva più a farne a meno.
Bofur smise immediatamente tutto ciò che stava facendo e si ritrovò abbandonato a quel gesto senza riuscire a contrastarlo. Lei si stava scostando dalla parete e aveva fatto cadere sia l'ascia che il martello a terra – altro rimbombo tintinnante – afferrando i lembi della giacca di Bofur per stringergliela con possessione. Lo stava spingendo verso il centro della camera e lo percepì quando Bofur incespicò su tutte le armi lasciate a terra – altri clangori e rimbombi ovunque – se i nani fossero stati svegli e attenti avrebbero ben pensato a chissà quale lotta inusuale a quell'orario notturno.
Bofur stava ancora indietreggiando quando incastrò lo stivale sull'arco di Kili e si ritrovò a perdere l'equilibrio, cadendo all'indietro. Berit – che Bofur teneva ben arpionata al proprio corpo – cadde insieme a lui e gli finì brutalmente addosso.
Avevano cominciato a ridere come due ebeti prima di ricercarsi ancora, tornando a baciarsi con uno slancio più sapiente e sempre meno impaurito. Sorridevano e arrossivano, le mani continuavano a cercarsi e carezzarsi come mai era successo prima di allora.
«...Però il martello sfonda i crani, sai...sai...magari dovrei...» Ci provò Berit a parlare sulle sue labbra ma Bofur le vietò di farlo quando tornò a bloccare ogni suo dire con un altro bacio, facendola rotolare sul pavimento con uno slancio del corpo. Ora lei era sotto e lui gli si era spiaccicato sopra, evitando accuratamente di schiacciarla col proprio peso. Le dita, intanto, avevano trovato tutti i legacci e li avevano sapientemente slacciati così che si ritrovò a liberarla dalla cotta di cuoio. Lei sotto aveva solo una blusa pesante, color porpora.
«...Ma l'ascia sbudella.» Soffiò Bofur sulle sue labbra velocemente, con un sorriso divertito, prima di chiudere gli occhi e lasciare filtrare una mano oltre i lembi della blusa di Berit. Quando lei se ne accorse sorrise nel bacio e gli morse il labbro inferiore, spintonandolo per invertire di nuovo la posizione. Rotolarono sul pavimento per l'ennesima volta – Bofur scalciò inconsapevolmente un elmo e fece un gran baccano – prima di fermarsi ai piedi del letto.
Lui sotto e lei sopra.
Con una mossa rapida – più da combattente – lei gli si era messa a carponi sopra al corpo e la mano era scivolata fino alla base del collo di Bofur. I loro volti erano vicinissimi ma questa volta Berit rimase a guardarlo più a lungo. Sentiva le sue mani arpionarle i fianchi e cercare di infiltrarsi sotto la blusa e lei fece un sorrisino malizioso – che di malizioso aveva ben poco in realtà – e lui si ritrovò a guardarla senza più nascondere nulla. Ogni sentimento, ogni sensazione che incalzava scendeva come un fiume in piena dallo sguardo e sentì il corpo tremare sotto quell'affollamento. Lei lo percepì e subito scostò la mano dal suo collo per farla scendere lungo il suo petto, fino a soffermarsi sui fianchi di lui. I loro volti rimasero vicini a tal punto da sospirare nello stesso istante. Gli occhi non facevano che cercarsi e si spostavano su ogni lineamento, su ogni minuscola ruga d'espressione, su ogni piccolo particolare del loro sorriso piegato sul volto.
Se l'Oro aveva inasprito loro il cuore, in quei giorni, era bastato solo quello a farlo tornare come un tempo. Libero, forte ed estremamente felice.
«Quindi ero io.» Sussurrò lei con un coraggio che non le competeva, strusciando la punta del naso contro quella di Bofur.
Lui corrugò appena la fronte e si ritrovò a cercare il suo sguardo. Le mani si bloccarono non appena le dita cominciarono a percepire la pelle nuda di lei sotto gli strati delle vesti. Era bollente e l'aveva sentita arricciarsi sotto il proprio tatto. Era la sensazione più bella che avesse mai provato in tutta la sua vita.
«Cosa...cosa vuoi dire?» Mormorò lui, con voce un po' roca.
«Tu...tu hai detto che avevi una nana. A Bilbo.» Mormorò lei e si sentì la pelle ribollire, di nuovo. Un falò sarebbe stato meno caldo di lei, in quel momento. Lui, di tutta risposta, fece passare le dita sui fianchi della nana e le sorrise con una dolcezza infinita. Lei tremò appena per quel contatto e il respiro gli si spezzò in gola, ritrovandosi a strusciare consapevolmente su di lui.
Per la prima volta – da quando era nata – provò qualcosa che il suo corpo non aveva mai sentito. Era così diverso dalla sensazione della guerra, del sangue o del semplice rimpinzarsi di vino o di cibo. Era qualcosa che non poteva controllare neanche volendolo ed era piacevole il fatto che fosse lui a crearlo.
«Se non ti conoscessi direi che sei...gelosa?» Azzardò lui, alzando le sopracciglia con un sorriso che proprio non poteva nascondere la sua contentezza. «Mi hai mai visto con altre nane che non fossero...te
«Oooh ma davanti a te le nane si spogliano, no, Signor Belloccione?» Lo prese in giro lei, con voce piccola, rifugiandosi con il volto sul collo del nano. Lui sorrise di pieno gusto e sentì un brivido lungo tutta la schiena quando le labbra di Berit cominciarono a donargli tiepidi e brevi baci sotto l'orecchio.
Sarebbe morto volentieri in quel momento e sarebbe morto felice.
«Sei proprio una scimmietta.» Mormorò lui, socchiudendo le palpebre e beandosi di quel contatto. Lei continuava a baciarlo e a martoriargli la pelle con le labbra prima di stringere i denti in dei morsetti più studiati, mentre le mani scendevano e risalivano lungo tutto il busto del nano che aveva sotto il proprio corpo. Sentiva il suo cuore martellare come un forsennato e il proprio non faceva che rimbombare nelle orecchie bollenti.
«Sì, sono stata gelosa.»
Lei scostò il volto dal suo collo e tornò a guardarlo in volto e, questa volta, Bofur allargò lo sguardo per guardarla negli occhi. Fece fatica a mantenere il pensiero lucido, in quel momento, le mani di lei che si muovevano placide ma pressanti non avevano il potere di tenerlo ancorato a quella realtà.
Il suo corpo stava reagendo a quella sensazione e si ritrovò a sospirare per bloccare ogni possibile impulso. Alzò le mani, sfilandole via dalla pelle di lei, e le prese il viso così da liberarlo dalle ciocche delle trecce scomposte.
«Dimenticati immediatamente questa frase o sarò costretta a ucciderti.» Scherzò lei mentre arricciava il naso in una smorfia e lui sorrise pienamente, tirandole il viso verso il proprio, con dolcezza. Socchiuse le palpebre e inspirò il suo odore a pieni polmoni, sfiorando le sue labbra con le proprie. Era uno di quei contatti soavi che ricordavano il tepore di qualcosa di giusto.
«Solo tu, Berit.» Sussurrò quello, alzando gli occhi per incrociare quelli di lei. «Ci sei sempre stata solo tu. Ci..» lei sentì il suo corpo irrigidirsi appena e provò l'irrefrenabile impulso di stringersi a lui col proprio corpo, riscaldarlo e sciogliergli ogni nodo presente. «...ci sarai sempre solo tu.»
Lei sorrise pienamente e i suoi occhi si illuminarono, ingigantendosi d'un sentimento pieno e totale, prima di abbandonarsi all'ennesimo sospiro e ricercare di nuovo le labbra del nano. Ripresero a giocare fra di loro, mischiare i sapori e lasciar sfuggire ringhi giocosi mentre quel bacio divenne più sapiente e appassionato. Le mani di Bofur ritornarono a sgusciare sotto la blusa di Berit e lei ebbe l'ennesimo brivido a riguardo. Non era sicura che sarebbe mai riuscita a resistere a tutto quello, ancora per molto.
Lui staccò lesto le labbra da quelle di lei per mordicchiarle la guancia – le lasciò un segno sbilenco – e si ritrovò a spintonarla col proprio corpo di nuovo. Ancora rotolarono e altre spade vennero colpite e spostate, prima che il corpo di Bofur cominciò a non schiacciare più quello di Berit.
«Ehi, che ci fai nelle mie stanze, tu?» Esclamò quello, continuando a sorridere come un ebete, mentre si rialzava. Non aspettò alcuna risposta, l'aveva presa per le braccia e l'aveva fatta rialzare con un tiro frettoloso. Non aveva più il controllo della situazione; doveva sentirla, toccarla e baciarla senza un attimo di tregua. La fece impattare al proprio corpo e le strinse i fianchi, di nuovo, mentre la spintonava contro il letto.
«Fino...fino a prova contraria questa...è la mia stanza, razza..di citrullo...» Mormorò lei, tentando di trattenere un tono sicuro – per quanto scherzoso – ma continuava a spezzarsi il respiro e la mente non era più sua alleata, in quel momento.
Indietreggiò fino a sentire le gambe impattare contro il letto e si ritrovò a cadere di schiena su questo; Bofur non le diede il tempo di fare niente che gattonò sopra di lei fino a sovrastarla col proprio corpo, ricercando ancora le sue labbra. Questa volta le mani di lei presero a slacciargli ogni gancio – ce n'erano un'infinità – della giacca e si ritrovò a sentire il bisogno eccessivo di percepire la sua pelle sotto le dita.
«...ma...allora ho sbagliato...stanza dici?» Rispose lui con tono tutt'altro che acceso. Stava diventando roco, spezzato, dettato da una strana eccitazione incalzante.
Questa volta Berit gli diede un'altra spinta col proprio corpo – Bofur era convinto che avesse ringhiato un Baruk Khazâd!* - prima di ritrovarsi di nuovo sotto di lei. Fecero cadere dal letto degli usberghi; di nuovo quel leggiadro rimbombo metallico si diffuse in tutta la stanza.
Lui si ritrovò a ripiegare leggermente le braccia quando lei gli strappò letteralmente la giacca di dosso, liberandolo da quell'ammasso di vesti. Non era sicuro di averle mai visto un tale sguardo sul volto e la cosa gli provocò un moto inusuale, ritrovandosi ad afferrarle i lembi della blusa e ad alzargliela.
Era sicuro che quel momento sarebbe stato trafitto da mille incidenti – e non solo di percorso – che qualcuno li avesse fermati di colpo, che i tordi avessero deciso di vendicarsi delle storie di Berit sul loro grugare, che Bombur fosse capicollato lì per sbaglio cercando un tacchino vivo da cuocere o che lei avesse, semplicemente, deciso di non procedere, rendendosi conto dell'immensa idiozia che stava compiendo. Fu la paura d quel pensiero e lo stesso desiderio di vederlo continuare a dargli il coraggio di procedere. Le sfilò completamente la veste di dosso e si ritrovò a guardare il suo busto nudo. Era un po' sporca di terra e alcune cicatrici la martoriavano in punti tattici ma visibili per occhi attenti. La pelle s'era arricciata tutta e quando fece risalire lo sguardo sul suo volto si rese conto che lei lo aveva spostato – imbarazzata – stringendosi nelle spalle e arrossendo vistosamente.
Alzò le proprie mani e cominciò ad accarezzarla con dolcezza e sapienza, sentendo il calore che aumentava ogni secondo sempre di più.
«Che...che succede qua: si tocca?» Pronunciò lei, arricciando tutto il volto in una smorfia.
Bofur, in quell'esatto momento, mentre osservava la sua Berit arrossire per lui, mentre le sfiorava il corpo e lo sentiva fremere a quel contatto, si rese conto che non avrebbe mai più potuto fare a meno di tutto questo. Si stava facendo strada la consapevolezza che il suo cuore aveva scelto, per l'unica e ultima volta. Per tutto il tempo che gli era concesso.
«Io...io non sto toccando...sei tu che tocchi.» Rispose così con un filo di voce, riciclando parole già dette, nel momento in cui l'aveva ritrovata di nuovo.
In effetti lei stava toccando – eccome – una volta che lo aveva liberato con troppa foga della giacca e della blusa chiara che gli copriva il busto. Erano rimasti solo con i pantaloni, entrambi, e le loro mani scivolarono fino a raggiungere le cinte che li tenevano ancora saldi.
Berit percorse tutto il petto di Bofur con le dita prima di arrivare sempre più giù...
Entrambi trattennero il respiro e portarono lo sguardo a incrociarsi con un bisogno impellente, fino a che lei ridiscese col busto fino a sfiorare quello di lui col proprio. Sorrise una volta raggiunta la vicinanza adeguata da ritrovarsi le sue labbra ad un soffio.
«Non toglierti il cappello.» Gli sussurrò sulle labbra, prima di pinzargli la guancia con un morso ringhioso e lui fece una risata rauca, facendo risalire le mani fino a sfiorarle gli angoli del seno. In quel preciso momento il corpo reagì di conseguenza.
«È una minaccia?» Sussurrò lui prima che lei alzò le mani – con una smorfia di dissenso da parte di Bofur – fino a pinzargli gli angoli del copricapo, trattenendoglielo ben stretto sul capo.
«Sì!» Esclamò lei con un sospiro eccitato.
Lui sorrise di gusto prima di chiudere gli occhi e lasciar impattare le labbra con quelle di Berit, baciandola con lo stesso trasporto di prima.
In quel momento Berit non fu proprio in grado di reagire all'ennesima spinta di Bofur mentre quello – con un ghigno famelico – l'aveva roteata di nuovo sul letto. Ma non prese bene le misure e si ritrovarono a cadere oltre questo, sul pavimento, con un tonfo sordo.
Si portarono dietro due elmi, una spada e un pugnale; l'ennesima melodia che sovrastò le loro improvvise risate.


 


* (Per) le Asce dei Nani.




NA.
Ebbene è successo. L'ho scritto! Dopo ben sessantamila capitoli sono giunta al momento più intimo, amoroso e romantico che potessi mai scrivere xD Non so come mi sia venuto perchè non sono pratica in queste faccende, l'ho riletto almeno dieci volte e ci sono alcuni passaggi che trovo banalissimi e brutti e altri che...non so perchè SONO LI ma okei! Era da troppo che volevo concedere a sti due poveracci questo esatto attimo e quando ho cominciato a scrivere è uscita questa cosa. Spero vi piaccia, che non vi abbia annoiato e che ...niente e che vi piaccia! (sì mi ripeto! Sono noiosa!) Intanto ringrazio sempre le mie donzelle che recensiscono flash sto agoniando (?) per la recensione a questo! E chi mi segue, e chi mi legge e chi capita qui sempre per sbaglio x°D io ringrazio TUTTI. A prestissimo! Buona notte a tutti. 

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Capitolo 40
*** Un giorno ho conosciuto un nano ***


Capitolo 40.
Un giorno ho conosciuto un nano




I raggi del sole filtravano come bagliori lucenti dalle finestre, s'infrangevano sulle lame cadute e lasciavano scintillare gli elmi e gli scudi d'una luce propria. Il calore dell'alba avvolgeva la stanza creando un sottile riverbero onirico, gli stormi degli uccelli lasciavano i loro canti al di fuori della Montagna e a stento si sentivano le voci negli accampamenti degli Uomini. Era tutto lasciato sopire sotto una pace odierna e, in quella stanza dal soffitto alto e le pareti rocciose, si sentiva solo il morsicare ininterrotto di Berit. Era seduta a gambe incrociate all'angolo del letto disfatto e tratteneva una ciotola tra le mani. Dentro v'erano i rimasugli di un rimpinzimonio trucidato, aveva avuto la briga di adeguarsi a quella colazione mattutina senza usare le dita per saziarsi. Impugnava un cucchiaio d'argento con cui tirava su grandi quantità di quella crusca improvvisata.
Fissava ininterrottamente Bofur che ronfava beato avvolto da un cumulo di coperte; da queste sbucava solo il capo scuro e il cappello che gli era rimasto saldo – sopra ogni previsione – e storto sul capo. Stava abbracciando quella che era la giacca di Berit, avvolgendola con un braccio. La nana non aveva avuto l'accortezza di constatare che sotto quelle lenzuola il nano non era vestito e lei s'era giusto infilata di nuovo la propria blusa, coprendosi dalla frescura che filtrava dalle finestre.
Il suo sguardo vacillò su tutto il volto del nano e un leggero sorriso gli comparve, illuminandole il volto arrossato. Bofur sorrise quasi in contemporanea nel suo sonno e lei si ritrovò a guardare le piccole fossette che gli si formarono come leggere mezze lune agli angoli delle labbra. Non venivano nascoste dalla peluria, erano esattamente una piccola firma apparente del sorriso di Bofur. L'impulso di scendere col viso e baciargliele era stato improvviso e si sentì sopraffare da quel pensiero, tanto da sbrodolarsi ulteriormente la bocca col cibo poltiglioso. Per poco non gli scivolò la ciotola dalle mani e fece tintinnare il cucchiaio contro il bordo dello stesso.
Allargò lo sguardo e ritornò a osservare Bofur che, ora, aveva scalciato via un pezzo di coperta facendo sgusciare un piede da lì sotto. Non era di certo un pensiero usuale il fatto che avesse voglia di afferrare le coperte e copriglielo di nuovo, proteggendolo dal freddo dell'inverno. Era un gesto insolito. Si ritrovò ad arpionare la propria ciotola e abbassare lo sguardo fino a guardarsi le mani.
Tutto ciò che era stato, in quella notte, sembrava avvolgerla come una profonda fiamma. Un'incisione radicata nelle ossa, nell'anima stessa. Non era sicura di aver mai provato niente del genere prima d'ora, in nessun contesto a cui potesse paragonare il pensiero, e la cosa le turbò il petto. Sentiva ancora il corpo di lui, sotto al proprio, e la loro unione completa e appagante che li aveva plasmati sotto dei leggeri sospiri, dei graffianti ringhi, dei morsi e dei baci. Chiudeva gli occhi e riviveva l'immagine di loro due, seduti sul letto l'una sopra l'altro, senza più niente a proteggere i loro corpi e le loro menti. Le sue mani che tenevano stretto il cappello di Bofur sul suo capo e lui che le baciava il collo, glielo mordeva, ricercava le sue labbra ogni qualvolta la mancanza di esse diventava opprimente. Si erano inebriati di quel piacere, avevano raggiunto l'apice di tutto questo insieme, e lo avevano ricercato ancora - per ore - fino a che ogni arma o scudo presente sul letto non fu fatto rotolare da questo. Nemmeno al più festoso banchetto dei nani ricordava di aver mai provocato così tanto frastuono in una volta sola.
Senza che potesse frenarlo il cuore tornò a rimbombare forte dentro al petto e si ritrovò la pelle bollente; dovette reggere meglio quella ciotola di cibo, stava ondeggiando pericolosamente. Si protese giusto per posarla nel punto più tattico possibile quando il piede di Bofur le sfiorò la gamba.
«Ehi.»
La voce del nano non la trovò preparata. Le partì dalle mani la ciotola e quella volò verso Bofur senza che potesse fare niente per evitarlo – o evitare tale traiettoria – così che il nano si ritrovò ricoperto di poltiglia grumosa su tutto il volto. La ciotola gli era scivolata di lato e il cucchiaio era volato oltre il letto, tintinnando al di sotto di questo.
«Oh per tutti i cani pazzi!» Esclamò lei, allargando lo sguardo, con ancora le braccia protese in un'ovvia posa colpevole.
Bofur aveva arricciato tutto il volto e appiattì le labbra tra loro, evitando di farci filtrare quella sostanza farinosa.
«Sei..scusa...scusa io..eh..» Ci provò a parlare lei, appiattendo le labbra tra loro invasa da un principio di risa imminente, tirandosi avanti la manica della blusa per coprisi il palmo. Senza chiedere alcun permesso cominciò a ripulire il volto di Bofur con la propria manica, sfregando via tutta la poltiglia. Quello continuava a non parlare, restando tutto rincagnato per i gesti della nana. Non era stato il risveglio che s'aspettava e – ancor di più – era conscio che Berit stava trattenendo una risata maligna, altisonante si azzardò a pensare.
«Ecco eh, ho...quasi fatto.» Accodò lei poco prima di trattenere le labbra chiuse con fin troppa foga. Le guance le si erano arrossate all'inverosimile e fu allora che non riuscì a trattenersi. Spostò lo sguardo sul suo e cominciò a ridere, scivolando all'indietro con la schiena, fino a rotolare nel letto. Non aveva pulito per niente bene il volto del nano e quello si ritrovò a guardarla con la medesima espressione scettica e rassegnata, nonostante un sorriso felino gli comparve sul volto ancora assonnato.
«Io non ho parole.» Biascicò lui, alzandosi meglio con la schiena fino a guardarla. Lei stava ancora ridendo, la sua risata era cristallina, non gracchiava come quando si riempiva di vino o birra nanica.
Gli piaceva terribilmente quel suono e si ritrovò a ridere insieme a lei, scivolando fuori dalle coperte per lanciarsi letteralmente sopra il suo corpo, placcandola sul letto. Lei per poco non si strozzò per quell'improvviso peso che le schiacciò il petto.
«Aaah Bofur, mi uccidi così...!» Si lagnò lei, tossendo, prima che lui cominciò a strusciare il volto sporco su quello della nana. Lei annaspò via, cercando di sgusciare fuori da quella presa ma Bofur era più forte di lei, riuscì a trattenerla lì sotto mentre rideva come un ebete.
«Oooh Beeerit, ti dono un po' del mio nettare.» Disse lui tra le risate, andando a stringerle i polsi per serrarle le braccia contro il materasso.
«No no..no...Bofur, ti strappo il naso! Te lo giuro!» Esclamò lei e cercò di divincolarsi, sia col corpo che col volto, ma il nano non le lasciò spazio per tali azioni. Lei si arrese, ad un certo punto, sospirando via con pesantezza e puntò lo sguardo su quello di Bofur. Aveva smesso di divincolarsi e aveva abbandonato le braccia così da lasciarle imprigionare senza problemi.
Erano entrambi sporchi in volto, ora; emanavano un insolito odore di latte e frumento.
«Amica.» Lui sorrise, strusciando la punta del naso con quello di lei.
«Amico!» Lei esclamò, arricciando il proprio naso, e allungò il collo per lasciargli un lungo bacio sulle labbra. Bofur fu molto contento della seconda parte di quel risveglio e non si scompose troppo quando sentì Berit spingerlo via con una foga da guerra, facendolo ruzzolare fuori dal letto con una pedata.
Un tonfo sordo si mischiò al frastuono di ciò che Bofur colpì con quella caduta e quando si rialzò con una smorfia – fintamente – dolorante si ritrovò a guardare verso il letto. Berit s'era eretta sopra al materasso, impugnava la ciotola della sua colazione e – completamente a sorpresa – aveva sul capo il cappello di Bofur. Durante la caduta era riuscita a sfilarglielo poco prima che lui piombasse fuori dal suo territorio.
«Ehi! Guarda che la scommessa è ancora in corso.» Pungolò lui, afferrando il cucchiaio che, poco prima, era caduto a terra.
«No, valeva solo stanotte.» Incalzò lei, alzando il braccio con la ciotola. Aveva un'insistente sguardo pieno di vendetta. «Te lo sei meritato!»
«Non hai dato un limite di tempo. Il cappello non è più sulla mia testa...quindi ho vinto io.» Bofur aveva alzato il braccio anche lui e la stava “minacciando” con il cucchiaio. Berit, senza alcuna possibilità di combatterlo, si rese conto di non essere preparata a ciò che il suo sguardo stava guardando, scivolando con un'indifferenza studiata verso il corpo del nano. Non aveva avuto la stessa accortezza di Berit nell'indossare qualsiasi cosa che gli coprisse le nudità. Era arrossita violentemente, per questo, e il suo braccio aveva perso la rigidità che aveva così prontamente acquisito.
Non che non fosse abituata a vedere spesso i suoi Compagni in preda a bagni senza vesti in Compagnia ma questa volta era diverso.
«..No..n-no allora, io ho detto solo mentre...mentre...» provò a dire lei, balbettando quelle parole, prima di scostare lo sguardo con un sorriso pregno di imbarazzo.
Solo in quel momento Bofur abbassò lo sguardo verso il basso, rendendosi conto di non essere propriamente vestito. Abbassò il braccio col cucchiaio e si ritrovò ad arrossire alla stessa stregua di Berit. Quando rialzò il capo per guardarla lei stava molleggiando sopra al materasso, guardando tutto tranne che lui.
«...Mi...mi potresti passare dei vestiti?» Chiese lui, corrugando la fronte.
Rimase a guardarla per un limite di tempo infinitesimale e, di nuovo, le mille sensazioni provate quella notte divennero incalzanti, senza che potesse abituarsene neanche col solo pensiero.
Era proprio vero, quindi? Adesso era...completamente sua?
Vederla lì, col suo cappello in testa, gli fece provare qualcosa di indescrivibile. Era sempre stato molto geloso del suo copricapo e non solo per il fattore che fosse un dono di sua madre, donatogli quando ancora la sua testa non era abbastanza grande per poterlo indossare e la barba era più corta di quella di Kili. Era qualcosa di suo – di unico – che era riuscito a conquistarsi grazie all'insistenza che aveva avuto verso la propria genitrice; se Bombur poteva avere doppia porzione di carne per cena, allora lui pretendeva di essere viziato a suo modo. Glielo aveva cucito personalmente per un'intera notte, trattenendo quella sorpresa fino al mattino. Bofur non s'aspettava quel cappello, aveva pensato ad un'arma, ad un gioiello, a qualche gemma da portare con orgoglio. E invece, quando glielo ficcò in testa con la sua poca grazia nanica, pinzandogli il naso, lui si era sentito semplicemente a casa. Ogni qualvolta Berit provava a rubarglielo veniva invaso sempre sentimenti contrastanti; si fidava delle sue mani ma – allo stesso tempo – non si fidava delle sue mani. Se ne lamentava sempre e Berit lo sapeva fin troppo bene, evitava di farlo il più delle volte ma sapeva che si divertiva non poco a provare a sfilarglielo dalla testa. Quella volta, invece, qualcosa dentro di lui era cambiato.
Se lei glielo avesse chiesto lui avrebbe avuto l'ardire di regalarglielo, persino.
«Credo...mh, credo che i tuoi vestiti siano...insomma forse ieri sono stata un po'...un po' irruente.» Disse lei mortificata, abbassando il tono di voce. Puntò lo sguardo sul letto e indicò con un indice i vestiti – sbrindellati e non – rimasti sgualciti sotto di loro per tutta la notte. «Potrei...chiedo a Dori di cucirteli, o posso farlo io ma credo che uscirebbe una cosa del tutto orr...» stava ancora parlando quando sentì il letto ballonzolare, ritrovandosi Bofur di fronte a sé. Alzò lo sguardo su di lui e abbozzò un sorriso colpevole, ma docile. Quello gli picchiò il cucchiaio sulla ciotola che ancora teneva in mano, prima di lanciarla dietro di sé e prenderle il viso tra le mani.
«Scommetto che non riesci a tenerti in testa il cappello per tutto...il tempo.» Mormorò lui, guardandole le labbra. Lei aveva momentaneamente perso l'uso della parola e della ragione stessa. Schiuse le labbra e si ritrovò a guardarlo con aria inebetita.
«Sessanta ghian- mh, monete?» Biascicò lei con voce bassa e lui sorrise pienamente, soffermandosi a guardare il suo sguardo grigio.
«No.» Sospirò lui fino ad alzare gli occhi sul proprio cappello, in testa a Berit. «Scommettiamo il cappello.»
Lei allargò lo sguardo con aria incredula. Se Bofur stava ammattendo quello era sicuramente uno dei sintomi più comuni. Si ritrovò a far salire la mano sulla sua fronte e corrugare la propria, non mascherando la sua perplessità.
«Bofur...credo che tu sia affetto dalla gravissima malattia di...corbellerie enunciate in assenza di luce.» Provò pure a esporre quella teoria con sguardo e voce seriosa ma Bofur sorrise di pieno gusto, avvicinando le labbra a quelle di Berit per baciarla profondamente. Chiuse gli occhi e inspirò il suo odore a lungo, prima di scostare il viso – con una certa controvoglia – poggiando la fronte sulla sua.
«No, è solo che...io...»
Ma non fece in tempo a finire la frase che una voce, alle loro spalle, si levò di colpo.
«Berit ma si può sapere che stai combinando?! È tutta la notte che sento dei frastuoni spaventosi qui dentro, stai per caso lottando contro un- OH PER TUTTI I FETIDI ELFI DELL'OVEST!» Ori rimase con lo sguardo sgranato e la bocca che penzolava senza vergogna davanti alla visuale che gli si parò davanti. Non si rese nemmeno conto dell'insulto che gli sfuggì dalle labbra verso gli il popolo degli Elfi – non si sarebbe mai permesso, senza una vera ragione – e si ritrovò a coprirsi il volto con le mani.
«Oh andiamo Ori...hai le stesse cose anche tu qui sotto, lo sai?!» Esclamò Bofur – rosso in volto – dopo che sia lui che Berit si voltarono di scatto, col cuore galoppante. Il giocattolaio subito aveva afferrato la propria blusa bianca, almeno quello che era rimasto, e se l'era infilata frettoloso.
«Sì ma...ma...ma io, allora, non ho mica...oh per la barba arricciata! Per tali visioni io devo essere preparato, per tutte le chiappe!» Squittì quello, sopraggiunto da un Bifur che – probabilmente – era capitato lì per caso. Spuntò da dietro le spalle di Ori e si mise a guardare i due nani ancora sopra al letto, sporchi di rimpinzimonio, scarmigliati e rossi in volto. Si prodigò in un veloce iglishmêk* mentre guardava tutti con aria stralunata.
«Bofur perchè...sei nudo?» Incalzò il nano biondo, piantandosi entrambi le mani sul volto. Poteva anche aver smesso di respirare per la rigidità in cui si era impalato.
«Non sono nudo!» Sottolineò Bofur con una punta di nervosismo. In realtà era ben poco coperto e la blusa non voleva proprio saperne di coprire i punti importanti del proprio corpo. «Sto solo facendo arieggiare prima di...di...i nostri parenti sono già giunti?»
«Comunque non stavo lottando contro nessuno stanotte, lo posso ben giurare! A meno che tu Ori non voglia conoscere gli esatti particolari del perché tutte le armi, e gli elmi, e le cotte, e il ferro, e le mazze e..»
«Berit!» La placò Bofur.
«...erano a terra, ma dovresti sederti perchè è una storia lunga.» Incalzò lei con un sorriso, scendendo giù dal letto con un balzo.
Ori si tappò le mani con le orecchie, scuotendo il capo.
«No no no no non voglio sapere nulla. Volevo richiamarvi, Thorin...insomma dovete venire giù e...è urgente. Dàin è a poco cammino da noi e la Guerra sta per...per ...oh per l'amor del cielo, Bofur ti prego copriti!»
Bofur stava cercando di legarsi insieme la blusa con i lembi stracciati ma qualcosa riusciva sempre a sfuggire alla visuale.
«Ori ma perché non ruoti la testa?» Disse quello, ruotando su sé stesso almeno un paio di volte. «Cosa succede a Thorin? È...è tornato?»
«...e quindi è picchiato giù, capisci? È stato imprevedibile e alquanto insolito, perchè il vecchio tordo – quello con l'ala guercia – mi disse “non t'abbandonare ai sogni funesti” e quindi...» Berit continuava a parlare, gesticolando, in una colta e profonda conversazione con Bifur. Quello sembrava ascoltarla con profondo trasporto.
«Dwalin è andato a parlargli ma qualcosa...forse qualcosa sta cambiando in meglio.» Disse Ori, guardando di sbieco verso Berit e Bifur. Bofur sorrise di pieno gusto.
«Ma è fantastico!» Esclamò quello, alzando le braccia. La blusa risalì insieme a quelle braccia e, di nuovo, Ori si ritrovò a coprirsi la faccia con le mani.
«...e strappò via tutti i vestiti di Bofur perchè non gli piacevano. Disse che erano troppo poco altolocati, poi dopo aver visto Dori insomma- uno strappo violento! Io sono riuscita a salvargli il cappello.» E se lo auto indicò.
Bifur annuì di gusto, picchiandosi un avambraccio con forza.
«Esatto! Ma pensa te questi uccelli!» Disse Berit, scuotendo il capo e allargando lo sguardo. «Il che mi sono ingigantita d'orgoglio e ho ben pensato di lanciargli contro un mestolo di Bombur così che-»
«Berit?»
La nana fermò il suo racconto personale quando si ritrovò stretta per la vita da Bofur. Quello la colpì in testa con il cucchiaio, in balia d'un affetto pieno. Ori stava iperventilando, agitando la mano davanti al volto rosso e Bifur sghignazzava mentre si picchiava una mano contro il petto.
«Credo che non ti stia credendo nessuno.» Disse Bofur, alzando le spalle.
«Non voglio più vedere alcun nano nudo per almeno un intero inverno!» Balbettò Ori, girandosi con la schiena e uscendo dalla stanza con passo frettoloso, borbottando altre parole che loro non poterono udire se non come brusio lontano.
«...perchè non ha detto “per sempre?”» Domandò Berit, inarcando un sopracciglio.
«Credo che questa domanda mi perseguiterà per tutto il giorno.» Rispose Bofur con un cenno blando del volto. Bifur fece un grugnito strano prima di dare una pacca sonora ad entrambe le spalle dei due nani. Loro non fecero in tempo a dire niente che lui si lanciò contro di loro con una testata violenta.
Era l'approvazione migliore che potessero ricevere.



 

Dopo una sapiente spiegazione che riguardava il flusso dei pennuti, il movimento delle fronde e la strabiliante trasformazione dei girasoli, Bifur decise di congedarsi dalla volta di Berit e Bofur, sgusciando fuori dalla Sala fino a che i suoi passi non sparirono in un rimbombo lontano. Per quanto l'imbarazzo iniziale li aveva avvolti non era stato per niente noioso trovare spiegazioni inusuali al fatto che Bofur fosse completamente nudo e Berit fosse conscia del fatto che Bofur fosse completamente nudo.
Erano tutti d'accordo che quella storia poteva essere sì interessante, ma alquanto insolita, e non s'erano aspettati di certo di essere presi sul serio. Vista la notizia che Ori aveva dato loro  - in tutto fretta - avevano ripreso a vestirsi con foga, erano volati gli stivali, le cinte ed avevano imbastito il lancio del cappello di Bofur almeno per tre volte consecutive mentre tentavano di ricomporsi. Bofur dovette convenire che, in quello stato, non era in grado di azzeccare la giusta sequenza per infilarsi gli stivali. Com'era possibile che sbagliava sempre?
Era intento a legarsi tutti i ganci della giacca quando si ritrovò le mani di Berit sulle spalle. Lei era già pronta; di nuovo coperta dalla sua cotta e s'era pure infilata sul capo uno strano elmo dalla forma ridicola. Sapeva che era stato un regalo di suo padre quando l'aveva congedata con un profondo saluto prima del viaggio. Lui aveva la mania di creare elmi dalle forme regali e fin troppo pompose ma ogni qualvolta gli dicevano che assomigliavano a quelle immonde schifezze arzigogolate degli Elfi lui s'offendeva e non parlava con nessuno per un giorno intero.
Quell'elmo, per Berit, assomigliava ad un gufo intento a frullare le ali per colpa del vento. Era estremamente buffa ma, allo stesso tempo, Bofur pensò che fosse bella come non mai.
«Un giorno ho conosciuto un nano...» parlò lei mentre gli afferrava con dolcezza le ciocche di capelli scuri. Aveva cominciato a dividerle con le dita un po' tozze e lo sguardo s'era fatto concentrato ma sorridente. Gli stava intrecciando i capelli, restandogli di fianco. Lui cominciò a provare un indicibile torpore, un rilassamento inconsueto che gli provocò uno stato di benessere. «...era davvero un nano strano. Aveva questo cappello in testa e stava continuando a dare pacche sulle mani ad un nano panciuto, vicino a lui. Quello stava faticando non poco a tenere salda la sua ciotola di cibo.» Le dita continuavano a muoversi sapienti sulle ciocche di lui, intrecciandole con naturalezza. Erano ancora un po' sporchi di rimpinzimonio e provò a pulirglieli con le unghie. «E ho pensato: “Dovrò passare la maggior parte delle mie giornate insieme a questo bacchettone d'un nano, che gioia.” E quando ho detto “che gioia” in realtà volevo dire “mmmh che gioia.”» Lei sorrise cambiando la tonalità della voce per quell'ultima esclamazione, e lui sorrise di rimando, abbassando di poco il capo. Mentre lei continuava a toccargli i capelli poteva percepire uno sfioramento leggero delle sue dita sulla base del collo. I brividi che scaturivano da quel contatto erano incontrollabili, si ritrovò spesso ad alzare le spalle mentre veniva invaso da un calore avvolgente.
«Il nano grasso sembrava lagnarsi per questo continuo picchiettare sulle sue mani. Volevo andare lì e dire a quel cappellaio: “Smettila, non vedi che quando mangia è così felice? Perché lo vuoi interrompere?” E non so per quale motivo mi balenò in testa questo pregiudizio così odioso verso di lui. Forse...» lei si fermò per qualche secondo, agganciandogli un anello metallico sopra le punte della treccia. Spostò le mani per imitare lo stesso lavoro con la seconda ciocca e – di nuovo – Bofur si distese in un sospiro. «...ma poi successe qualcosa. Il nano grasso spostò la ciotola, potevo sentire lo stufato lì dentro ballare sulle pareti della conca, e quel nano col cappello allungò la mano un'ultima volta. Colpì la ciotola da sotto e quella fece uno scatto, facendo finire tutto lo stufato in faccia al nano panciuto. Quello fece uno scatto e un urlo talmente acuto che pensavo avesse avuto un problema di...insomma era diventato paonazzo. Fu lì che quel nano, col cappello, cominciò a ridere.» Lei soffiò una piccola risata e Bofur voltò appena il volto per guardarla di sbieco, schiudendo le labbra in ascolto. «Rise davvero di gusto, tanto da perdere l'equilibrio e rotolare all'indietro, cadendo dal rialzo della roccia su cui era seduto. Ero quasi convinta che si fosse distrutto qualche osso, ma quello non smetteva, la sua risata...era esplosiva come la pirica di Balin. Era contagioso. Ed è stato in quel momento che, mi sono accorta, che quel suo modo di ridere era...era...» bloccò le parole e strinse maggiormente le ciocche di lui, finendo di sistemargli la seconda treccia. «...mi piaceva. Mi piaceva e non riuscivo a capire perché. Fu allora che optai per un piano geniale nei suoi confronti, la prima cosa che il mio cervello riuscì a pensare in un lasso di tempo calcolabile tra il lancio di un sasso verso la discesa del fiume e la velocità con cui Bombur è solito mangiarsi due cosce di prosciutto, così decisi di volerlo tramortire per rubargli il cappello.»
«La tua mente è proprio geniale, allora.» Incalzò lui con un sorriso divertito, infilandosi dentro a quel discorso. La sua voce era roca e bassa, avvolta da una sensazione piacevole.
«All'inizio avevo pensato di accettargli la barba. Ma credo che questa non me l'avrebbe perdonata facilmente.»
Istintivamente Bofur si piazzò le mani sulla peluria che gli copriva il volto, guardandola con sguardo sgranato. «Ma hai pensieri assassini!»
«...ho pensato anche di spintonarlo giù dal contrafforte...» lei continuava senza più nemmeno ascoltarlo, indicando le sue variabili opzioni con le dita.
«Che cosa?» Pigolò lui, esterrefatto.
«...riempirlo di frumento per invogliare gli uccellacci di Oin a planargli sulla testa...»
«Berit!?» Quello provò a richiamarla ma lei ancora guardava altrove, concitata.
«...e scappare col bottino, ma lui non era bravo a trovare le gemme preziose mentre scav-» si ritrovò bloccate la labbra dalla mano di Bofur e quello le stava sorridendo con aria divertita.
Quello sguardo aveva delle sfumature calde che lo screziavano fino a farlo brillare, ne rimaneva rapita ogni volta.
«Stai divagando.» Mormorò lui con un sussurro dolce, sfilandole via le dita dalle labbra.
«Non sto divagando.» Brontolò lei, gonfiando le guance. Era conscia che lo stava facendo ma non amava dargliela vinta. Intanto stava richiudendo l'anello per tenere stretta la treccia di Bofur. Rialzò le mani per sistemargli meglio il cappello in testa e fece un passo in avanti per fronteggiarlo. Bofur trattenne lo sguardo sui suoi movimento fino a soffermarlo quando se la ritrovò davanti a sé, così vicina e così profondamente libera.
«Hai uno strano modo di dimostrare affetto, te ne rendi conto?» Si lagnò quello, corrugando la fronte.
«Non è strano, cosa ti aspettavi, che venissi da te e ti dicessi: “Salve signor Nano, posso dirle gentilmente che ha una bella risata e che, questo, non è assolutamente un atteggiamento da nana profondamente disturbata?.»
«Mi avrebbe fatto alquanto ridere una cosa del genere.» Disse lui, concitato, alzando il mento e spostando lo sguardo per afferrare il manico di un martello. «Ma devi pur convenire che passare in rassegna svariati modi per uccidermi forse è meno ragguardevole.»
«Non volevo ucciderti, volevo che mi notassi.» Ma subito dopo quella spicciola confessione si ritrovò a pigiare le labbra tra loro, respirando profondamente. Lui stava sorridendo come un ebete, gongolando nel suo silenzio, e lei incalzò subito con una roteata di sguardo e cambiare disperatamente discorso. «Bene. È...giunto il momento. Stiamo per andare. Sei pronto?»
«Sono pronto!» Rispose lui con un cenno sicuro, non cambiando espressione.
«Ottimo!» Lei rispose con un tono di voce artefatto, fin troppo acuto. «Allora direi che bisogna fumare un'ultima volta così - magari - avrò il tempo per convincermi ad essere pronta.» 
I suoi occhi si spostarono rapidamente verso punti a caso, della grande stanza, prima di sospirare pesantemente. Non lasciò il tempo a Bofur di dire nulla.
«E con questo non voglio dire che sono diventata una mollacciona come te, ma che...ero sicura di voler aspettare una cosa del genere da anni, ormai. Essere sull'orlo della battaglia e sentire il cuore pulsare d'orgoglio e esaltazione insieme. E adesso mi viene solamente in mente il momento in cui – per Durin il Mangione – ti ho conosciuto e vorrei smetterla di pensarci. Smetterla perché è un ricordo stupido, perché è...insomma ti ho dato una martellata in testa quel giorno. Non è una cosa normale...non è normale...»
«Berit...» quello sorrise di gusto facendo salire le mani sul volto di lei. Era davvero strano il modo in cui riusciva a capire ogni profondo turbamento nella voce di Berit e capirlo come se fosse stato lui stesso a pensarlo. Sapeva perfettamente cosa volesse dire il divagare di Berit; lo faceva sempre quando voleva egregiamente evitare un discorso, o un'emozione che la trafiggeva. «...non è un ricordo stupido. Tu quel giorno potevi anche tagliarmi la barb- no bè quello no, però insomma il punto è che tu sei tu e che è ciò che ti rende così, in ogni tua piccola sfumatura. E so che tu sai di essere tu ma è...proprio questo, questo che mi ha fatto...che...insomma che mi ha fatto...in-» Bofur non riuscì a finire la frase che si ritrovò le labbra di Berit sulle proprie, con uno slancio talmente irruente da venire spintonato all'indietro. Persino il suo elmo cozzò contro la sua fronte e la cosa lo fece sorridere divertito, mentre premeva le mani sul suo volto.
Quando si staccarono lei restò col volto vicino, gli occhi insistenti su quelli di Bofur e il respiro affannoso. Bofur corrugò la fronte con sguardo apprensivo quando notò che lei aveva del tutto cambiato espressione. Era spaventata. Profondamente. Il solco intorno ai suoi occhi s'era ombreggiato di nuovo e sentiva la sua presa stringersi intorno alla giacca di Bofur in continue strette pressanti. Si poteva percepire la paura di vedere sgusciare via qualcosa dalle proprie dita.
«Non dirlo.» Soffiò lei con voce carica di un sentimento profondo. Per la seconda volta, durante quella giornata, Bofur si rese conto di essere davanti ad un comportamento di Berit che non aveva mai visto prima. «N-non dirlo. Non adesso. Non prima della battaglia. Insomma...è - è come quando ti rendi conto di non avere più il tempo per fare qualcosa e allora decidi di farlo improvvisamente perché se rimandi ancora sarà sicuramente troppo tardi. E adesso sembra che dobbiamo sentirci in dovere di dire qualcosa perchè...perchè potrebbe essere una di quelle cose che – se non dette – si possono rimpiangere. E quando si rimpiangono è perché non ci sarà più modo per dirle di nuovo, capisci...cosa voglio dire?»
Bofur provò a risponderle ma Berit strinse maggiormente la presa e se la ritrovò pressata contro il proprio corpo, con gli occhi chiusi e la mente aggrottata. «Insomma sembra che così ci diciamo cose perchè potrebbe essere l'ultima volta che possiamo dirlo e...no, io...io insomma ti devo vedere rientrare a Erebor dopo la battaglia con la consapevolezza che resisterai. Che sarai aggrappato a qualcosa pur di non abbassare mai la guardia. E io non devo abbassare la guardia perchè – Dwalin me lo diceva – non abbassare mai la guardia o...il nano al tuo fianco muore. E tu non...non devi mor...non devi...» ci provò a dirlo e strizzò tutto il volto in una smorfia risentita, allontanandosi da quel contatto e biascicando un imprecazione a bassa voce. Bofur non era più sicuro di avere alcuna parola in corpo che potesse avvicinarsi a spiegare ciò che stava pensando. Si ritrovò ad avvicinarsi a lei e guardarla con insistenza. La mano destra cominciò a scivolare fino a raggiungere i capelli della nana e farle filtrare le dita attraverso, stringendoglieli appena sulla nuca. Il viso a ridosso del suo e lo sguardo pieno di fermezza.
«Io sono...sono totalmente d'accordo con te. Hai...hai ragione, è giusto. Sì insomma è...ci sarà tutto il tempo di dire un sacco di cose dopo. Di parlare. Possiamo parlare veramente tantissimo, di tutto quello che vuoi, dei minerali nella roccia, di come è splendente il Mithril e di quanto sono immense le sale di Moria e di come Bombur – da piccolo – era conosciuto come il nano più magro degli Ered Luin...insomma sì.» Le sorrise – paonazzo in volto come pochi – facendo scivolare via tutte quelle parole mentre saldò la presa con una stretta più ferrea e, questa volta, il suo sguardo ridiscese sulle labbra di lei. «Io non morirò. Tornerò sempre da te.»
Lei aprì gli occhi dopo l'ennesima strizzata convulsiva del volto e sorrise, guardandolo con occhi pieni. Fece un cenno d'assenso e prese un respiro molto profondo. Talmente profondo che le tremò il petto. Il cuore. Tutto il corpo, in effetti.
«S-sì. Sì. Ottimo.... Allora dobbiamo...Andiamo verso la battaglia allora.» Incalzò lei frettolosa, con la voce meno enfatica di cui potesse mai disporre e fece per voltarsi – sgusciando via da quella presa - e allontanarsi da lì quasi incespicando sui propri passi, quando Bofur le pinzò la mano e la ruotò con un po' di slancio, tirandola verso di sé. Subito indirizzò le labbra per baciarla nuovamente, armandosi di tutto ciò che poteva dimostrare con quel gesto, stringendola forte e abbandonandosi totalmente a quella dimostrazione pratica di ciò che lui stesso non era capace di spiegare.
C'erano molti altri modi per dirglielo senza bisogno di parlare, su questo erano i signori indiscussi. 





linguaggio testuale dei nani.

 

NA.
Ecco...non abituiamoci troppo a questi quadretti fin TROPPO romantici per i miei gusti ahahahah. Ho voluto lasciare questo capitolo con un'aria un po' spensierata (anche se non troppo v.v) perchè dal prossimo non sarà così, quindi perdonate se vi ho annoiato. La battaglia imperversa e le cose andranno come devono andare prima della fine di tutta questa storia! Sono praticamente quasi giunta al termine e credo che questo non sarebbe mai successo così velocemente se non grazie a chi mi recensisce ogni giorno e a chi mi segue anche nel silenzio <3 Non smetterò mai di ringraziarvi per questo.

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Capitolo 41
*** Ritrova ciò che hai perso ***


Capitolo 41.
Ritrova ciò che hai perso




Thorin stava camminando lento lungo la lastra dorata che ricopriva il pavimento e la notte imperversava irrequieta, fischiando e ululando contro la roccia.
La percepiva come un frastuono interno, si sentiva freddo nelle ossa e nel cuore.
Se chiudeva gli occhi ogni pensiero s'avvolgeva in un turbine infinito e solo la magnificenza dell'Oro lasciato covare troppo tempo sotto la spira di un Drago sembrava mantenerlo a galla, senza capirne il motivo. Il suo cuore pompava qualcosa di frastagliato e martellante, il pensiero di quel giorno era stato un evento troppo profondo da lasciar passare.
Non ricordava alcun ché di ciò che disse ai suoi Compagni durante il suo peregrinare nelle Sale del Tesoro, la sua stessa presenza intorno a loro gli sembrava vana, intangibile, immerso in un mondo senza sogni col solo riflesso della sua anima malata.
Continuava a camminare, con i pugni chiusi, avvolto nel suo mantello di pelo e trapuntato che strusciava nell'immensità di quelle Sale.
Il suo riflesso ondeggiato che oltrepassava l'Oro e i rimbombi dei suoi passi che si innalzavano fino alle pareti.
C'era qualcosa che stava emergendo, qualcosa che – impercettibile come il battito d'un usignolo – aveva fatto breccia così in profondità da farlo tremare dentro a ciò che stava diventando. Che era diventato.
Vedeva Bilbo.
Lo Scassinatore era stato furbo e scaltro, era stato silenzioso e aveva agito nell'ombra.
Come poteva aspettarsi qualcosa di diverso da un'anima sveglia?
Gli hobbit non erano come i nani, loro non giocavano secondo un calcolo studiato, loro non erano attratti dall'immensità.
Quel tradimento aveva uno scopo diverso ma la sua mente non tollerava che vi ci arpionasse. Aveva trafitto quel piccolo mezz'uomo con parole velenose, dimenticandosi della lealtà che la sua razza vantava sopra ogni cosa.
Fai un torto ad un nano e saprai che quello se lo ricorderà fino a che la sua anima non verrà richiamata da Aule – fai a taluno un favore e il ricordo subirà la stessa sorte.
Bilbo lo aveva salvato tante volte. Troppe volte.
Aveva ritrovato la sua Chiave e quel segreto non era stato sperduto nell'aria.
Lo aveva scoperto quando i suoi Compagni gli si erano rivoltati contro, con durezza, sopra il bastione della roccia. Non riconosceva più i loro volti ma – se smetteva di marcire sotto quella malattia – sapeva che era il suo sguardo ad essere annebbiato e confuso.
Vedeva Fili vergognarsi di lui e Kili trattenere quel suo sguardo giovane e ancora intatto senza riuscire a proferir parola.
Il suo stesso sangue che s'allontanava in silenzio, sotto la divisione impellente che lui stesso aveva originato. Avrebbe voluto urlare, dire loro qualcosa, graffiare l'aria con tutto quello che l'Oro gli stava facendo. L'Arkengemma aveva sopito una piccola stilla di quel male e poi l'aveva innalzata fino ad un apice estremo.
Stava per uccidere Bilbo senza alcun ripensamento. Stava per torcergli il collo senza pietà.
E il suo cuore, dentro, urlava di disperazione. Si disperava e il suo corpo continuava a tormentarsi sotto la mente deviata.
Nel calmarsi erano giunte due piccole note positive. Due pensieri improvvisi, senza freni, che lo avevano fatto respirare di nuovo.
Non il fetido odore del Drago, ma l'aria della sua Montagna. Quella vera. Quella rocciosa. Quella di casa.


Aveva visto due piccoli nani dall'aria paffuta e curiosa, uno biondo e un altro moro, gironzolare con passo malfermo lungo un antro scavato nella roccia.
Indossavano armature grosse, due elmi pesanti, erano riusciti a imbracciare uno scudo.
Il biondo si destreggiava in affondi scomposti con un pugnale grezzo. Il moro agitava un arco di noce, duro e resistente.
Si rincorrevano e tra le pareti si espandeva la loro voce ancora fanciullesca, ancora lontana dalla raucedine. 

Il moro aveva lanciato in testa l'arco al biondo e gli era saltato sulla schiena, placcandolo. Entrambi erano precipitati a terra con un frastuono sordo.
Avevano riso senza rancore, rotolando in una lotta giocosa.
Thorin aveva permesso loro di utilizzare il suo vestiario da battaglia e s'era soffermato a guardarli giocare, placato dalla spensieratezza che ancora aleggiava sui loro volti giovani. Era sicuro che Dìs, questa volta, lo avrebbe rimproverato per questo. Era pronto a correre questo rischio, per quello ne valeva la pena.
«O muori, ora tu, schifoso Elfo!» Pungolò Kili con un ringhio. Stritolò la cotta pesante che indossava Fili con violenza e quello lo spintonò via con uno slancio del corpo. Kili era stato abbastanza rapido da evitare di farsi male, levandosi da lì.
Thorin sapeva che era Kili quello più sciolto nei movimenti, dalla mira più sottile e dai riflessi più scattanti.
Ma Fili era bravo nel corpo a corpo e, per un corpo più lento, erano assai dolori quando veniva colpito.

«Avevamo detto che l'Elfo, questa volta, lo impersonavi tu.» Squittì il biondo, rialzandosi con un broncio.
Aveva ancora in mano il pugnale; era smussato e per niente tagliente.

«Fino a prova contraria sei tu quello biondo, qui.» Disse l'altro con un sorriso spavaldo e dovette fare uno scatto veloce per non essere placcato con irruenza dal fratello. Thorin aveva riso per quella scena, non gli capitava che di rado ormai, dove si beava di quelle piccole scene di pace quotidiana insieme alla sua discendenza di sangue. Rivedeva Frerin in quel quadretto distinto, il giovane fratello perduto nella battaglia di Azanulbizar, perito sotto i mille colpi degli Orchi. Nonostante avesse l'aspetto simile a Fili era a Kili che assomigliava; giovane, spensierato, scaltro. Sospirò pesantemente e si ritrovò spintonato all'indietro dalla corsa dei due giovani nani, ancora intenti a rincorrersi fra le minacce naniche. 
«Ehi piano, giovanotti, se vi fate del male vostra madre non me la perdona.»
Entrambi si volsero verso Thorin, rialzando le loro braccia armate quando si bloccarono di colpo.
Thorin corrugò la fronte e una voce – dietro di lui – si innalzò dall'ombra.

«Vostra madre adesso farà due paroline con Thorin, vi spiace piccoli?» Sibilò Dìs, apparendo con un sorriso curvo sul volto.


Thorin aprì gli occhi di colpo e riprese a respirare a pieni polmoni, ritrovandosi ripiegato sulle ginocchia e le mani aperte sul pavimento dorato.
Sentiva gli occhi bruciare e la gola ardeva e aveva il sapore del metallo.
Del... fuoco.
Strizzò gli occhi riprovando a rialzarsi ma un potente frastuono lo invase, facendolo ripiegare ulteriormente.
Ogni voce era penetrata dentro la sua mente e stava martellando senza sosta. Ogni volto dei suoi Compagni. Ogni luce del profondo cammino. Ogni corsa per la salvezza. Ogni anfratto nel buio. Erano lì, con la loro luce negli occhi, a seguirlo in quel tortuoso viaggio verso la riconquista di Erebor.
Avevano rischiato la vita per quello e l'avevano colorata di risate scomposte – si erano fidati di lui e lui si era fidato di loro – e l'ultimo sguardo verso il loro Re gli aveva stretto il cuore fino a spezzarlo.
Cosa stava perdendo, donando loro le spalle?
Perchè i loro canti erano Nebbiosi come lo era stata la cima della Montagna?
Strizzò gli occhi ancora e portò le mani a pressare le tempie fino a stringere i capelli scuri tra gli spazi di esse. Vide Dwalin piangere in silenzio e Balin alzare i palmi e guardarlo con paura e tormento. Non potrai mai deluderci, Thorin, questo aveva detto sulla chiatta il nano anziano e lui si era sentito così fiero e motivato in quel momento.
Fili e Kili non erano più piccoli eredi, pronti a giocare a ridere senza rancore. E gli altri... Berit gli aveva detto di ricordare il suo discorso. 
Noi siamo Compagni e lo saremo per sempre.
Ma il per sempre non dura per una stirpe mortale e lui lo sapeva mentre guardava le sue pareti e le statue dei suoi avi e dei Re, che avevano governato quelle terre in tempi in cui l'inverno era meno rigido e il Drago era ancora lontano.
Poteva sentire la loro forza attraverso quei secoli e lasciarsi sopraffare dal flusso del sangue dei Durin che era la sua stessa essenza.
Lui era mortale ma il suo nome avrebbe continuato a vivere nelle canzoni e nelle ballate. Sarebbe giunto ai piedi dei Colli Ferrosi e avrebbe oltrepassato le Montagne, si sarebbe trascinato sul Fiume Flutti fino a raggiungere i popoli degli Uomini e lì – allora – sarebbe bruciato come un vile e codardo traditore.
Non avrebbe raggiunto gli Ered Mithrin senza che ciò che aveva compiuto quel giorno non si sarebbe espanso sotto le stelle estranee e la luna pallida.
Fu invaso da un moto di nausea e si ritrovò a rialzarsi con uno slancio ciondolante, perdendo l'equilibrio.
La schiena cozzò contro un pilastro ruvido e lì si blocco, stringendo i pugni fino a indurire le nocche, sotto gli anelli preziosi.
Il secondo pensiero dalla quale la sua mente fu invasa tornò a stuzzicare il suo cuore e sentì la pelle ribollire di rabbia e delusione. Ma questa volta non era verso di lui.
Gli aveva donato il mithril come pegno della sua lealtà, in un momento di chiarezza in un giorno che neanche rimembrava, pur sapendo quanto fosse raro e prezioso l'Argento di Moria. Un metallo talmente resistente da non poter essere scalfito, leggero come i piumaggi delle allodole ma duro come la corazza del Drago.
Era tutto ciò che era in grado di potergli offrire, una protezione perenne, temendo per lui qualcosa che già la sua mente stava programmando.
Cominciava a dubitare delle sue amicizie, persino del suo stesso sangue, ma – per quanto fosse insolito – non era riuscito a scorgere in Bilbo una minaccia.
Aspettava la contromossa del Governatore di Esgaroth, pronto come una faina a puntare il naso verso il suo Oro, ma ancor peggio era stato scoprire che Bard s'era palesato davanti alla sua Porta, chiedendo la sua parte.
Bard.
Quel nome gli procurava rabbia e indignazione. Non riusciva a pensare lucidamente in quelle circostanze e ancor peggio era stato nel vederlo tornare insieme a quel penoso sgorbio dai capelli biondi e fluenti. Osare mettersi contro di lui e giudicare le sue gesta senza timore né vergogna quando nessuno di loro poteva vantare un'anima giusta e senza peccati.
Avrebbero accordato se fossero giunti e avessero trovato lui e i suoi Compagni deceduti sotto al fuoco?
Nessuno voleva etichettarli come ladri ma lui ben sapeva che, nel loro cuore, l'Oro era onnipresente.
Sottoforma di buona condotta o solamente per riparare ad un vecchio torto ma – lui sapeva – che non vi sarebbe stata trattativa se l'Oro fosse stato incustodito.
Nessuno della sua famiglia avrebbe visto una sola minuscola moneta. Sarebbero stati deviati, mangiati dall'avidità e dall'ingordigia della ricchezza, perché gli Uomini erano deboli.
E gli Elfi non vantavano di un ferreo autocontrollo, per lui – detto schiettamente – erano tutti degli stupidi grulli.
Quando vide l'Arkengemma nelle mani di quel testardo di un Uomo la sua anima subì uno schianto e le parole di Bilbo diedero il finale e traumatico colpo di grazia.
La rabbia accecante era stata invasiva ma era riuscito a pensare per un solo secondo, mentre la consapevolezza del tradimento si faceva strada in lui.
Aveva pensato ad un semplice ricordo – un piccolo barlume di luce - di quando lo aveva trovato con la ghianda in mano.
La ghianda del giardino di Beorn.
In quel momento aveva colto nel suo sguardo l'improvvisa tenerezza di un semplice hobbit a cui mancava casa propria e che non era per nulla abituato a tutta quella roccia.
Uno hobbit che aveva preferito seguirli fino alla fine rinunciando al calore del proprio camino e dell'erba sotto i piedi.
In quel momento, ricordò Thorin mentre veniva placato nonostante le sue urla di ira, s'era reso conto di provare affetto per Bilbo.
Un affetto fraterno e pieno, fu in quel momento che capì che avrebbe fatto di tutto pur di permettergli di rivedere di nuovo casa e fargli piantare la ghianda, davanti al suo giardino, mentre avrebbe fumato ripensando al lungo viaggio per cui era stato spinto fuori dalla porta verde.
Perchè non riusciva più a sentire quella sensazione, ora?
«Thorin?»
Doveva cercare un modo per tornare con i piedi per terra e fermare la sua mente.
Doveva reagire per il bene dei suoi Compagni, per il nome che avrebbe vissuto per sempre ricordando quel viaggio.
«...Thorin?»
Non doveva permettere di affondare l'intera missione per una colpa dettata dalla malattia sprezzante, era tempo di afferrare le armi e combattere, era tempo di liberarsi dalla fornace interna che lo dilaniava.
«Thorin, stai...bene?»
Quando aprì gli occhi si rese conto della figura di Dwalin, davanti a lui, intento a guardarlo con occhi preoccupati.
Uno dei suoi più cari amici, in piedi di fronte a lui, ancora una volta e senza timore.
Thorin si staccò dal pilastro con passo malfermo e, dopo interi giorni di buio, le sue labbra riuscirono a curvarsi in un mesto sorriso.


 


 


Quella mattina, attraverso il rialzo della roccia, il sole illuminava la figura di Fili e lo avvolgeva completamente nonostante ai suoi piedi serpeggiava l'ombra.
Era un sole freddo e per niente abbagliante, l'aria filtrava appena tra i suoi capelli biondi e li smuoveva in fili scarmigliati facendoli scivolare sul volto stanco e serioso.
Erano tutti intorno a lui, in silenzio, dove si percepivano solo i loro respiri, aspettando di sentire il riverbero del clangore delle lame che avrebbe squarciato l'aria.
Dàin era, infine, giunto ai piedi della Montagna, preceduto dal suono di un corno rombante e subito gli Elfi e gli Uomini si erano prodigati ad accogliere lui e il suo popolo, fronteggiandolo come Guerrieri rigorosi pronti allo scontro. Fili era rimasto attento, pronto a percepire qualsiasi cosa provenisse da dietro la Porta chiusa dalla roccia.
Sentiva Kili fiancheggiarlo con sguardo fermo, spezzando l'aria con profondi sospiri nervosi. Era un fascio di nervi, ogni muscolo proteso, stretto nella sua armatura di ferro.
Il biondo aveva cercato il suo sguardo più volte – in tutto questo – cercando qualsiasi parola che potesse alleggerire quel momento.
Ma sapeva che Kili non ne aveva bisogno; era tutto un insieme di sensazioni frastagliate, avrebbero voluto uscire fuori dalla Montagna e affiancare i loro parenti per fronteggiare i loro nemici e, allo stesso tempo, volevano che la fiamma della battaglia si diramasse in scintille lontane. Tutto sarebbe dovuto sopire perché quei giorni non dovevano essere ricordati con sgomento e rabbia. Avevano riconquistato Erebor e – contro ogni possibile previsione – nessuno era rasserenato di questo.
Sarebbe dovuto rimanere negli Ered Luin, a scolpire la roccia e a lavorare nelle miniere, restando lontano dalla regalità di quella Montagna nebbiosa.
Avrebbe dovuto obbligare Kili a fare altrettanto e lasciargli sognare altre battaglie e altri eventi per confermare il suo coraggio.
Quei pensieri non lasciavano spazio più a niente, ormai. Aveva bisogno di sentire di nuovo qualcuno a cui appoggiarsi, voleva voltare lo sguardo e ritrovare di nuovo Thorin a sorreggere il suo stesso portamento, a indicargli la strada giusta e a incitarlo a combattere sempre, per tutto ciò che riteneva giusto. O che amasse.
Quel pensiero lo riportò, di nuovo, a far emergere qualcosa dal profondo e strinse le dita contro la cinta alla vita, premendo le unghie contro di essa.
La mente lo riportava a ricordi da cui non voleva essere travolto.
Non ora. Non ancora.
Non poteva azzardarsi a chiudere gli occhi o sarebbe stato peggio. V'era qualcosa che voleva uscire dall'interno e farsi strada, fino a palesarsi del tutto; sapeva di star combattendo contro qualcosa di molto forte, come mai aveva fatto prima di allora. Doveva stringere i denti e aspettare.
Doveva aspettare che quel tormento si lenisse e che Thorin tornasse a palesarsi di nuovo fra loro o non ce l'avrebbe più fatta.
Sentì la mano di Kili sopra la propria spalla e quando si voltò a guardarlo si rese conto di non riuscire più a nascondere nulla. Kili gli sorrideva con fermezza e un legame imprescindibile.
«Siamo forti insieme, non è vero fratello?» Disse il moro, stringendo la presa.
Fili abbozzò un altro sorriso e fece un cenno col capo. Fu lieve all'inizio ma non voleva alimentare apprensione nell'animo del fratello e così alzò il braccio, stringendo quello dell'altro con forza.
«Ovvio che sì.» Rispose Fili, prima di avvicinare il volto al suo tanto da sfiorargli la fronte con la propria.  
Lo sguardo si chiuse adesso e – come aveva sospettato – un volto gli apparve fulmineo e meraviglioso. 
«Torneremo a casa come degli eroi e, dopo questa storia, una bella bevuta coi fiocchi non ce la negherà nessuno.» Ironizzò Kili, ampliando il suo sorriso.
Fili gli strinse di nuovo il braccio e poggiò definitivamente la fronte contro quella del fratello, respirando piano. Per quanto fossero stato sfortunati alla fine di quel lungo travaglio, il cuore era colmo di gioia nel constatare che quello sbarbato arciere dai gusti strani non era stato smosso dall'ingordigia della malattia.
Il suo cuore era rimasto conservato perché – Fili lo sapeva – era inattaccabile.
Kili sarebbe sempre stato inattaccabile.
«Oooh ragazzi, se continuate così mi fate commuovere.»
La voce di Berit giunse da dietro le spalle dei due Eredi e quando si volsero rimasero come due pesci lessi a guardare l'amica in groppa a Bofur, artigliata al suo collo. Erano entrambi piuttosto sorridenti e la nana indossava un elmo davvero ridicolo. Era strano che non erano riusciti a cogliere i loro passi mentre giungevano.
«È una nuova tattica di battaglia?» Incalzò Kili snudando un sorriso, indicando i due con un indice. 
Si avvicinò d'un passo giusto per colpire con le dita sull'elmo della nana, facendolo tintinnare.
«Giù quelle manacce.» Squittì lei, tentando di schiaffeggiargli la mano con la propria. «Non c'è tempo per queste domande!»
«Berit quell'elmo è terrificante.» Continuò il moro.
Bofur – rimasto ancora silenzioso – fece solamente spallucce lasciando veleggiare un sorriso inebetito sul volto.
Fili era stato attento a quel leggero cambiamento sul volto di entrambi. Non gli era sfuggito il colorito fin troppo acceso dei loro volti, i capelli un po' scarmigliati, i copricapi – chi il solito e chi no – storti e una luce diversa negli occhi d'entrambi. Vi lesse una speranza nuova e spostò lo sguardo verso Berit fino ad ampliare il proprio sorriso.
«No, ascolta, lasciami in pace Arnught. E pensa al tuo stupido archetto da Elfo.» Continuò Berit imperterrita.
Bofur dovette arpionarle meglio le gambe e issarla con un po' di sforzo, mentre piegava la schiena in avanti.
«Non è un archetto da Elfo.» Si lagnò Kili.
«Un po' da Elfo lo è.» Questa volta s'intromise nel discorso anche Nori, stringendo la spada e guardandoli con aria attenta.
Ori e Dori si stavano avvicinando cauti. Ori non riuscì a guardare più Bofur in volto e – questo piccolo dettaglio – fece ridere Bofur sotto i baffi.
«Adesso che vi siete finalmente mostrati in pubblico avete deciso di non staccarvi più, per caso?» Ori si strinse nelle spalle. «C'è una Guerra alle porte, non c'è tempo da perdere.»
«Che vuoi dire “vi siete finalmente mostrati in pubblico?”» Domandò Kili, sgranando lo sguardo scuro.
«Eddai Kili...sei diventato cieco, per caso?» Fili lo sgomitò, gracchiando una leggera risatina.
«Oh per tutti i numi, ma allora eravate voi stanotte?» Dori allargò gli occhi e spalancò la bocca. Berit e Bofur dovettero convenire che – almeno – Ori aveva tenuto la bocca chiusa.
«No, un secondo, siete stati voi a fare tutto quel casino? C'è stata una battaglia all'interno della Montagna?» Domandò Kili, scostando lo sguardo un po' tra tutti.
Balin e Dwalin si stavano avvicinando quatti-quatti verso di loro. Gloin era rimasto leggermente in disparte mentre Bombur – lì di fianco – stava tentando di legarsi la barba intrecciata per facilitare i movimenti del proprio elmo.
«Oh sì, una battaglia di tordi, di locuste e di pini invernali. Bofur – guarda caso – ha perso tutti i vestiti!» Esclamò Ori, scuotendo il capo.
«Non ho mai parlato di pini invernali.» Incalzò Berit rialzando il capo e per poco Bofur non incespicò in avanti per lo slancio della schiena.
«Non ho perso i vestiti, la mia pelle arieggiava.» Si difese Bofur sprimacciando il volto in una smorfa.
«I tordi ti hanno arieggiato i vestiti?» Domandò Oin, sbucando col volto.
Bifur, dietro di lui, gli diede una pacca sorda sulla testa grigia.
«Mi state dicendo che Bofur era nudo con Berit? Per tutte le asce: questa sì che è una storia interessante!» Kili aveva gli occhi talmente attenti, divertiti e maliziosi che non riuscì a contenersi. Nonostante l'incalzare della battaglia era stato pressapoco facile riuscire a dimenticarsi – per poco tempo – dell'oppressione di quei nefasti pensieri e lasciarsi andare ad una conversazione di questo genere.
«Io non ero nuda comunque.» Disse Berit, allargando lo sguardo.
«Non lo eri?» Bofur alzò gli occhi verso di lei con un sorriso furbo e quella gli diede una botta sul capo.
«Oh per la mia...vi siete...avete...» Dori continuava a tenersi le mani sul volto e gli occhi chiari sgranati. «Ori ma perchè non lo hai detto?»
«Perchè voglio cancellarmi dalla mente tutto questo!» Esclamò quello, picchiandosi due pugni sulle tempie.
«Quindi – mentre incalzava una battaglia – voi due testoni vi siete divertiti a perdere tempo facendo cozzare tutte le armi, probabilmente smussandole e rovinandole, per vostro diletto personale?» Grugnì Dwalin, stringendo in maniera inquietante il manico della sua scia. «Ho sentito male, vero?»
«Hai sentito male!» Esclamarono sia Bofur che Berit con una sincronia perfetta.
Quella risposta non fece rilassare il volto di Dwalin e affilò lo sguardo fisso su di loro, stringendo il manico. «Io vi stacco la testa...»
«Oooh mastro Dwalin, non fare il guastafeste, prima di una battaglia l'eccitazione scorre a fiumi, non lo sai?» Era Kili quello, mentre avvolgeva un braccio intorno al collo di Dwalin con fare affettuoso. Quello se lo levò di dosso con una spinta e – a discapito di tutto – sembrò addirittura arrossire. Poteva anche essere un gioco di luce alquanto insolito.
«Spero vivamente che non stiamo parlando di ciò che io penso di cui stiamo parlando!» Disse burbero, facendo una smorfia.
«State dicendo che non state parlando?» Esclamò Oin sconvolto. «Ma com'è possibile...io vi sento!»
«Oin, per tutti i merli, quella tua tromba ora te l'aggiusto io!» Gloin si palesò con la sua voce giusto per afferrare la tromba del fratello e cominciare a riaprirne la conca appiattita.
«Io sono innocente, se proprio dobbiamo dirla fuori dai denti.» Disse Bofur, issando meglio Berit. Quella si plasmò contro la sua schiena e - lentamente - gli aveva lasciato un dolce bacio sul collo. Bofur aveva rabbrividito, arrossendo su tutto il volto.
«I denti stanno bene, grazie.» Rispose Oin mentre tentava di riprendersi la sua tromba. Gloin stava già defilandosi per sfuggire alla sua presa.
«Ah, ma guardati Bofur, qua si diventa rossi eh?!» Lo prese in giro Nori, sgomitandolo con un sogghigno divertito. «Sei proprio un mandrillone
«Sì, si da il caso che io ho assistito in prima persona al mandrillone e nessuno pensa a questa follia e, del fatto, che io sia rimasto indignato e turbato da tutto ciò!» Ori era ritornanto ad avvampare, gonfiando le guance lentigginose.
«Cosa...?»
Tutti si voltarono a guardarlo con occhi sgranati e Bofur aveva cominciato a ribollire in volto. Berit, intenta a ridere a crepapelle sopra la sua schiena, non aiutava.
«Sta delirando!» Esclamò il cappellaio cercando di dare una pacca sulla fronte al nano biondo. «Qua non c'è nessun mandrillone.»
«Ma non ho capito, avete fatto un banchetto di pesci senza invitarmi?» Bombur ruzzolò lì di lato, stringendo le labbra tra loro e arricciando lo sguardo.
«Dori chiudi quella bocca che ci entrano le mosche!» Kili schernì il nano interessato che - ancora - li fissava con occhi sgomenti. Berit e Kili avevano cominciato a ridere e lei, con poca grazia, annaspava con portentose boccate d'ossigeno per cercare di riprendere fiato. Si era avvinghiata al collo di Bofur per non rischiare di cadere e il suo corpo strusciava sapientemente sulla sua schiena. 
«Per questo dovete ringraziare il sottoscritto, comunque.» Alzò un indice Fili, autoindicandosi con una giusta dose di finta modestia. «Spingo verso le giuste direzioni.»
«Io non ti ringrazio.» Squittì Ori, arricciando il nasone. «Il frastuono di stanotte pareva una squadriglia di gente ubriaca!»
«Fratellino, è così che un nano si concede, non lo sai? Rumore, lotta e sangue.» Spiegò Nori con tono sapiente, abbozzando un sorriso felino.
Dori alzò le braccia con aria scandalizzata, facendo ondeggiare la spada. «Oh santi grappoli, ma che razza di burbero sei?» Dori cominciò a vagare per la Sala, scuotendo la testa. «Oh per la...io non posso credere che....sono indignato da tale...» Parlottava da solo, agitando le mani. Ormai lo avevano perduto.
«Comunque, Bery - passi questo misterioso pesce - ma quell'elmo è proprio brutto, mi chiedo come abbia fatto Bofur a-» Kili ci provò a intromettersi in quelle risate ma Dwalin lo pinzò per il colletto e lo tirò indietro con una spinta.
«La volete piantare?!»
Tutti smisero di parlare ma non riuscirono a smettere di ridere – almeno quelli non intenti a essere traumatizzati nell'animo – restando a guardare Dwalin con la punta di rispetto che sempre riservavano verso di lui.
«Non è il momento per abbandonarsi a queste inutili faccende, c'è una battaglia in atto in questo preciso momento e i nostri consanguinei sono là fuori a lottare una dannata guerra contro quei fetidi Elfi. So che non è stato facile per nessuno, questo momento, ma adesso non c'è rischio peggiore per abbassare la guardia. Siamo inferiori di numero e non siamo nel pieno delle nostre energie e Thorin sta cercando di lottare contro qualcosa che lo sta divorando dall'interno. Quindi piantatela di fare i citrulli e pensate a concentrarvi adesso! Non dobbiamo stare qui a pensare di pettinare le barbe mentre parliamo di...di...»
«...di amore?» Questa volta fu Balin a interromperlo, sorridendo con aria placida mentre posava lo sguardo verso Berit e Bofur. Era rimasto silenzioso per tutto il tempo ma pareva invaso da una luce più calda, aveva lo sguardo pieno e colmo di una gioia che non sentiva da molto tempo. Aveva paura che quel viaggio non avrebbe mai portato nulla di buono in tutto questo, ma forse si sbagliava. Non era difficile notare qualcosa di forte, non dopo anni che ne era stato circondato senza mai poterlo vivere. Aveva osservato sempre ogni cosa, con la giusta minuzia, come quando una nana bella e fiera aveva donato tutta sé stessa all'unico nano che non avrebbe mai potuto accettarla. Il nano che ora gli stava di fianco e grugniva parole a bassavoce.
Guardò suo fratello e quello ricambiò lo sguardo, stringendolo appena.
Bofur e Berit erano rimasti immobili, ancora stretti in quella posa, a fissare Balin con sguardo pieno. Non s'erano azzardati a dire quella parola poco prima nella Sala superiore, non l'avevano pronunciata neanche per sbaglio, nonostante il pensiero era stato impresso a fondo per tutto il tempo in cui - travolti da uno stato di passione e paura insieme - si erano legati ancora un'ultima volta, abbandonandosi ad un piacere più maturo, più graffiante, più disperato. 
«Questa è la nostra battaglia.»
Una voce, dall'ombra, si fece strada nella roccia fino a raggiungere le orecchie di tutti.
E quando i nani si voltarono poterono osservare il Re sotto la Montagna risalire le scale, ergendosi di fronte a loro.
Fu in quel preciso momento che una potente scossa fece tremare il terreno, facendo cadere detriti di roccia.


 


 




 

NA.
Sì ho fatto dei paciughi infernali con l'arrivo di Dàin me ne rendo conto xD anche se nel libro lui arriva e poi parte subito la battaglia con gli Orchi quindi ho un po' preso spunto da quella scena. Thorin e compagnia bella diciamo che non calcolano sta lotta per ore – che stessero combinando lì dietro non se sa – e quindi mi sono presa anche io un po' di tempo prima di far arrivare sti dannati Orchi! ( La cosa divertente è che io...questa scena nel film non ricordo com'è gestita x°D AHAHHA ottimo! ) Spero che il capitolo vi piaccia, l'ho scritto molto di getto e ho paura di essere stata ripetitiva e fin troppo...”demenziale” nell'ultima parte xD ma oggi è domenica e va così, ero in vena di scemagginità (<- sì, parole a caso!) . Sta battaglia che imperversa mi sta martoriando l'anima. Grazie come al solito alle mie donzelle belle e a tutti quelli che mi seguono *_* a presto! 

 

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Capitolo 42
*** Du bekar! ***


Capitolo 42.
Du bekar!




Non erano riusciti a dire una sola parola verso Thorin che il terreno aveva cominciato a tremare, portandoli a ciondolare malamente.
Alcuni impattarono contro i piloni di pietra e altri dovettero scostarsi velocemente per evitare di essere colpiti dai detriti della roccia cadente. Il rimbombo risuonò per tutta la valle e strinsero gli occhi, annebbiati da quel fastidio. 
Un nuovo corno suonava imperiale e vibrante e il suo suono era tagliente e dava fastidio alle orecchie. I tamburi colpivano l'aria facendo vibrare il petto.
Berit era ruzzolata via dalla schiena di Bofur e quello era stato slanciato in avanti cadendo di pancia addosso a Bombur.
Thorin solo teneva le braccia allargate e guardava con sgomento le pareti della Montagna che tremavano per quel suono imponente della terra stessa. Alzò gli occhi verso il rialzo della roccia e respirò a fatica, trattenendosi in equilibrio.
«State tutti fermi.» Ringhiò il Re, abbassando lo sguardo chiaro alla volta dei nani.
Tutti si levarono, rialzandosi e ripresero le loro postazioni iniziali, guardando con perplessità Thorin.
«Cosa...cos'è successo?» Domandò Kili, tirando per un braccio Fili, scivolato indietro dopo un altro scossone potente.
«È stato un terremoto?» Ori alzò gli occhi verso il soffitto, stringendosi nella sua cotta di maglia. «...Questa volta non v'è nessun Drago, no?»
Dori, lì di fianco, lo prese per un braccio per scostarlo da sotto le grandi scalinate che portavano all'unica rientranza che permetteva alla luce di filtrare. Avevano tutti teso l'orecchio verso l'esterno e un potente frastuono ingigantì l'aria artefatta, facendoli inorridire. Non avevano temuto il rumore della battaglia ma – questa volta – c'era qualcosa che non s'erano aspettati.
Qualcuno era giunto e stava disturbando la loro terra. Stava marciando con urli disumani e ringhiava versi in una lingua che Thorin conosceva bene.
Il suo volto già pallido perse ogni fibra di vitalità e si ritrovò ad avvicinarsi a Fili e a Kili, guardando Balin con occhi ingigantiti.
«Non muovetevi.» Sibilò quello, passando in rassegna gli altri membri della Compagnia.
Berit aveva l'elmo davanti agli occhi e Bofur dovette aggiustarglielo con un piccolo gesto, restando vicino a lei, tanto da sfiorarle la spalla.
«Dobbiamo andare a vedere, Thorin. Sono stufo di nascondermi qui dentro.» Questa volta fu Kili a parlare, facendo un passo in avanti verso il proprio parente. «Lì fuori insorge una battaglia. È la nostra battaglia e sono stanco di vedere altri che si armano e si sacrificano per ciò che abbiamo causato noi!»
«Kili...» la voce di Thorin si mantenne bassa. Non aveva più quel suono metallico e corrotto, nemmeno il suo sguardo era più scuro e privo di umanità.
«No Thorin! Adesso basta! Hai portato abbastanza sofferenze a questa Compagnia e non lascerò che della gente innocente muoia per colpa della tua fissazione.» Kili si puntò il pugno contro il petto, arrancando in avanti verso Thorin con sguardo acceso e impetuoso. Fili dietro di lui era rimasto in silenzio ma attento, alternava lo sguardo su entrambi e stringeva i pugni con fare convulso. I rumori della battaglia fuori continuavano a insorgere e le pareti ampie ingigantirono quei suoni.
«Non voglio più nascondermi! Non permetterò che altri combattono la nostra battaglia. PER NOI!» Urlò Kili con vigore, fronteggiando Thorin senza timore.
«Kili!» Thorin fu più ferreo e fermò il passo davanti al figlio di sua sorella, con sguardo sicuro. La mano del nano si sollevò fino a raggiungere la collottola di Kili e stringergli le ciocche scure con le falangi strette. «Non ci nasconderemo più. Questa è la nostra Guerra e non rimarrò più nell'ombra, dimenticandomi a cosa appartengo davvero.»
Kili aveva lo sguardo lucido e aperto rigettato contro il volto di Thorin e un lieve sorriso, un sorriso speranzoso e carico di sentimento, si fece strada sul suo volto troppo magro.
Ogni nano fece un passo in avanti e Fili s'azzardò a incedere fino a fiancheggiare Kili e Thorin.
Il Re spostò lo sguardo sul nano biondo e alzò l'altro braccio per stringere le sue ciocche in una morsa ferrea.
«Tutto ciò che ho fatto, l'ho fatto per voi
Quell'ultimo sussurro si levò per solo loro mentre gli sguardi dei due nani cominciarono a riempirsi di nuovo d'orgoglio. Un orgoglio che avevano creduto perso per sempre.
Strinsero entrambi le spalle di Thorin e le loro fronti si sfiorarono mentre – gli altri – rimasero a guardarli con sospiri tremanti e le dita strette in pugni sui fianchi.
«So che non posso chiedervi altro ma … mi seguireste, un'ultima volta? ...Udâmai.*»
Balin aveva tentato di evitare di piangere ancora ma leggere e silenziose lacrime scivolarono sulle guance paffute, lasciando fiorire un sorriso pieno di sollievo. Dwalin tirò su col naso e strinse la spalla del fratello, guardandolo con un silenzio eloquente. Gli altri si sentirono rinvigoriti da tutto questo, ogni fratello si guardò – senza bisogno di parole – e Bofur intrecciò la mano in quella di Berit ancora una volta, sentendo una sensazione fulminea al petto. Nessuno osò dire di no a quella domanda. Annuirono in silenzio e pieni di coraggio, stringendo le loro armi con fermezza.
Un altro tremore scombussolò il loro equilibrio e tutti si voltarono preoccupati verso il buco nella parete rocciosa.
Il momento della battaglia era giunto, s'apprestarono tutti in una corsa scomposta e pesante per osservare oltre la Porta e ciò che i loro occhi videro alla luce del sole d'inverno li lasciò sconvolti e esterrefatti
Grandi e puntuti mangiaterra sbucarono dal terreno secco con boati e tremori, martoriando la valle e ripiegandosi sui nani che stavano incedendo verso l'avanguardia degli Elfi, in un'ultima corsa disperata.
I combattenti smisero ben presto di scoccare frecce e sguainare l'acciaio fra loro mentre si volsero verso l'ombra scura e strillante che si levò alta sulle loro teste.
Una nuvola scura di ali che fendevano l'aria e il cielo, ricadevano in uno stormo frusciante. Un intero stormo di pipistrelli da guerra stava planando verso di loro, seguiti dall'esercito degli Orchi, alimentando la loro marcia nell'ombra.
La Compagnia di Scudodiquercia si strinse fra loro e sentirono Thorin urlare loro qualcosa mentre un'insana audacia li travolse. Ora più che mai il desiderio di sentire le urla di quei fetidi sotto i loro colpi era forte, ucciderli uno per uno fino a sentirli agonizzare pietà.
Non v'era più tempo per stare a guardare. Avevano oltrepassato insidie e rischi pur di raggiungere Erebor, avevano rischiato troppo senza che alcun aiuto venisse loro incontro, nessuno poteva più togliergli questo. Tantomeno quei pezzenti degli Orchi.
Sia Thorin che Bofur, in quel momento, ebbero lo stesso pensiero e volsero lo sguardo verso lo squadrone al di sotto, oltre il ponte distrutto. Cercarono Bilbo tra tutti quei corpi di Elfi scintillanti e Uomini armati ma riuscirono a scorgere solamente lo Stregone Grigio incedere con passo svelto nella grande bolgia.
Fu un secondo in cui vennero distratti dai nani di Dàin che corsero oltre l'avanguardia e si fermarono poco prima del limite della valle, impiantando i propri scudi nel terreno e schiacciandosi tra loro senza lasciare alcun buco scoperto. Una potente barriera corazzata e inattaccabile nella quale vigeva la più grande caratteristica dei nani in battaglia; una forza talmente resistente da risultare quasi invalicabile. Ma gli Orchi imperversavano, sguainando spade e lame di ferro velenoso e i loro soffi ringhianti sgusciavano fuori dagli elmi. Stavano incedendo con le lance puntate quando – da sopra gli scudi dei nani – un manipolo di Elfi si slanciarono in un salto leggero e scattante, facendo perno sugli scudi, puntando la spada in affondi agili contro i corpi degli Orchi. Quelli rimasero sorpresi da quell'agguato e l'attacco fu interrotto subito mentre le lame affondavano e decapitavano. I nani rialzarono gli scudi quando gli Elfi oltrepassarono l'avanguardia e cominciarono a lottare senza tregua, urlando gridi di battaglia.
La luce non riusciva più a filtrare per colpa dei pipistrelli che volavano sopra di loro con potente frastuono d'ali nere e la battaglia si fece scura e fredda.
«La campana! Presto! Dwalin, Nori, venite con me!» Fu allora che Thorin s'allontanò di corsa dagli altri volse lo sguardo verso Dwalin e Nori.
Entrambi annuirono, Bifur diede una pacca sulla testa a Bombur e si prodigò a seguire la postazione di battaglia.
«Gelekh d’ashrud bark.**»
«Ben detto cugino, che i figli di Durin suonino ancora una volta il corno della battaglia.» Bombur fece per arrancare verso le scale prima di voltarsi verso il fratello. Bofur aveva voltato lo sguardo appena in tempo per vederlo allargare le braccia e cingerlo in un forte abbraccio, tanto da sentire le sue stesse ossa scricchiolare. In quella presa contagiò anche Berit, tirandola per un braccio, finendo per soffocarla sotto l'ascella.
«State attenti ragazzi miei.» Borbottò il nano panciuto prima di lasciarli andare. Bofur potè notare lo sguardo lucido del fratello arrossargli ancora di più il volto e – con un sorriso tremante – tirò su col naso dandogli un'ultima pacca sul braccio.
«Non t'addormentare fratellino, questa volta.» Lo pregò quello e Bombur ridacchiò divertito, annuendo con vigore, nascondendo veloce alcune lacrime che già sfuggivano dagli angoli degli occhi. Si voltò di scatto e corse verso il grande corno da guerra di Erebor che s'ergeva sul bastione della Montagna.
«Nori, mi raccomando, non provare a rubare altre armi agli Elfi.» Urlò Dori di sotto, levando lo sguardo verso Nori – quello affondò il pugno sopra al petto risoluto - continuando a stringere il braccio del fratello minore. Ori notò che stava artigliando con una stretta fin troppo vigorosa e andò a guardarlo con un lieve sorriso.
Il fratello maggiore si preoccupava sempre per tutti e mai per sé stesso, nonostante avesse un carattere così troppo raffinato per i gusti dei nani. Ma lui era così, questo non lo rendeva meno fiero di molti nani che si vantavano d'essere forgiatori possenti e – ora – se ne stavano in panciolle ad aspettare che Erebor tornasse a loro senza aver mosso un dito.
«Diamo un bel calcio loro nelle chiappette, Dori.» Disse Ori con un sorriso più vigoroso e Dori si voltò di scatto verso il fratello, abbozzando un sorriso tenue.
Non era solito vederlo mostrare una stilla d'affetto che non fosse severo o di circostanza.
«Quando torneremo a casa devo farti fare un bel ripasso sul linguaggio.» Disse quello con voce incrinata e Ori sorrise pienamente, annuendo.
«Non c'è bisogno di molleggiare sul linguaggio, ma sulle pinte. Giusto?» Rispose Ori con voce flebile, già con occhi pieni d'un luccichio abbagliante.
Dori sorrise e gli occhi si inumidirono frettolosi, prese un profondo respiro, rinsaldando la presa con la spada e voltandosi verso la roccia.
Dwalin stava seguendo Thorin su per le grandi scalinate, aveva dato una pacca alla testa di Balin e – ora – s'era soffermato proprio davanti a Bofur e Berit.
I due si guardavano ed erano silenziosi. Stranamente silenziosi. Notò la stretta delle loro mani e il loro sguardo che pareva ricercarsi in maniera incessante.
«Non abbassate mai la guardia.» Grugnì quello interrompendo qualsiasi loro comunicazione mentale. Entrambi si voltarono lesti verso Dwalin.
«Neanche tu, vecchio pelato.» Rispose Berit con un sorriso amaro e quello le diede una leggera spinta alla spalla.
Ma fu un attimo che Berit lasciò la presa con la mano di Bofur e si ritrovò a stringere in un abbraccio il busto di Dwalin, avvolgendo le braccia dietro la sua schiena. Dwalin era rimasto rigido come un tronco, guardando Bofur con aria infuocata. Non s'era azzardato ad alzare le braccia per ricambiare quella presa ma lo sguardo s'abbassò sul capo della nana, rimanendo basso e nascosto.
«Vedi di tornare vivo. So che prega sempre per questa certezza.» Berit sussurrò verso di lui, in segreto, prima di scostarsi veloce e guardarlo in silenzio.
Quello aveva lo sguardo sporco di pianto ma alcuna espressione a incidergli il volto. Aveva appena ripiegato il mento in un cenno, dileguandosi verso le scale e risalirle di corsa.
Un altro tremore li fece ciondolare, portandoli a indietreggiare distanti dalle pareti.
Fili e Kili erano pronti e tesi come corde, stavano spalla contro spalla senza timore e lo sguardo acceso che incendiava l'animo. Si guardarono un'ultima volta prima di sorridere entrambi all'unisono.
«Resta sempre al mio fianco, fratellino. Sarò la tua forza, lì in mezzo. Ti guarderò le spalle.» Aveva detto Fili con un cenno pieno di stima.
«E io sarò il tu sguardo, come al solito.» Aveva risposto Kili con un sorriso più amplio, alzando la mano per stringere la spalla del fratello. «Io nano e tu Elfo, quindi?»
Fili s'era voltato di scatto e gli aveva preso il volto in una stretta del braccio, tirandoselo contro di sè. Lo stava abbracciando stretto, facendo filtrare le dita tra i suoi capelli scuri.
«Non sono più io l'Elfo, adesso. Sarò pure biondo, ma tu...» non finì la frase, abbozzando un sorriso con malizia. Il continuo della frase era ovvio a entrambi senza bisogno di renderlo pubblico.
«Questa te la do buona solo per oggi, sappilo.» Kili gli strinse la schiena e pressò la sua fronte contro quella del fratello prima di ritrarsi e sorridere con fermezza, notando nell'altro il bagliore lucente d'un ricordo lontano.
Quella sarebbe stata la battaglia più grande che avessero mai avuto l'ardire di combattere. Si erano allenati per anni aspettando un momento così propizio, avevano sognato di schiere di nemici da abbattere e la fiamma della vittoria divampare nei loro petti mentre i nani riconquistavano di nuovo le loro terre. Quante volte avrebbero voluto essere presenti alla Battaglia di Azanulbizar, mentre ascoltavano i racconti di Thorin e il modo in cui Moria perse molto e conquistò molto. I nemici dall'Est imperversavano e le ombre non cessavano mai di oscurare il mondo ma – ad un nano – non si poteva togliere la fierezza della gloria di una battaglia. Forgiatori di armi e di armature possenti sarebbero resistiti sotto gli attacchi di mille colpi, combattendo fino allo stremo delle loro forze, pur di far valere l'antico onore della loro stirpe.
Fili sentiva bene quel sentimento dentro di sé e sapeva che Kili provava lo stesso. Lo stesso sangue non mentiva mai.
Il nano biondo si voltò a guardare verso i Compagni pronti ad aspettare l'ordine di Thorin.
Guardò verso Gloin e Oin e sorrise nel vederli stringersi in un portentoso abbraccio, sapeva che l'elmo enorme di Oin avrebbe ovattato del tutto ogni rumore ma adesso quello non sarebbe importato. Bifur stava stringendo la testa di Bofur e lui si ritrovò a guardare verso Berit con un sorriso consapevole.
Per quanto tutti quei nani fossero diversi, sia nell'aspetto che nel carattere, li accomunava il loro profondo e prodigioso coraggio, la loro lealtà, la loro indiscutibile forza d'animo. Erano tutti lì, ancora una volta, ancora insieme, consci che niente sarebbe stato più come prima dopo quella Battaglia.
Fili s'allontanò di qualche passo da Kili – dandogli una leggera pacca sul braccio – e s'avvicinò a Berit fino a fronteggiarla. Sbirciò Bofur lì di fianco, intento a parlare con Bifur a gesti, e la nana gli diede una pacca proprio al centro del petto rinsavendolo dai suoi pensieri.
Il tonfo rimbombò sull'armatura.
«Buona fortuna, là fuori.» Disse lui con una risata soffiata, sorridendo all'amica.
«Oh sì, credo che sia proprio buona.» Lei ampliò le stesse labbra e chiuse le dita a pugno, dandogli un colpetto con le nocche sulla fronte.
Fili fece una smorfia infastidita e le diede una botta sull'elmo – ridicolo – di Berit.
«Vedi di non farti del male, sei piuttosto cagionevole abbiamo scoperto.» Rimbeccò Fili con sguardo affilato, guardandole di soppiatto il braccio non più fasciato.
Stava evitando di cadere nel discorso pieno di auspici o buoni propositi. Non erano avvezzi a promettersi di rimanere in vita, durante una battaglia, ma quella volta sapeva che la distanza tra la vita e la morte era al limite di un solo piccolo istante.
Un fianco scoperto, una leggera distrazione, la forza mancante di un braccio.
Era un discorso che Dwalin ripeteva loro in continuazione e mai, come allora, gli sembrò talmente perfetto e opprimente da creare uno stato d'ansia inconsueto.
Ricordare nozioni teoriche sui combattimenti non era da lui.
Non lo aveva mai fatto eppure, in quel momento, non faceva che rimembrare ogni disposizione, ogni tattica e strategia.
«Mi sono messa l'elmo apposta.» E si picchiò sull'elmo con una bussata veloce. «Così qualcuno eviterà di tramortirmi per sbaglio, eh Bifur?» La nana guardò verso il cugino di Bofur e quello si prodigò in un gesto frettoloso con gli avambracci, ricacciando dietro alcune leste lacrime che già volevano scivolare sulle guance.
Fili riuscì a ridere per quella scena, si voltò di nuovo verso Berit e allargò le braccia per stringerle quella testa ferrosa, socchiudendo gli occhi.
Lei rispose con uno slancio addolcito e strizzò appena gli occhi, sorridendo piena.
«So cosa vorresti dirmi perciò evita di farlo.» Incalzò lei con un sussurro velato e lui ruotò appena il capo così da sgusciare via e guardarla negli occhi.
«Non lo sai.»
«Mi raccomando, pelandrone, fatti onore.» Lei gli diede un'ultima pacca sul braccio prima che Fili si ritrovò la mano di Bofur sulla spalla. «E smettila di pensare.»
«Io non penso mai.» Si lagnò il biondo, imbronciandosi. 
Berit gli scoccò un'occhiata intrisa di scetticismo, puro e trasparente. Anche in quel momento, che volesse nasconderlo quanto meglio possibile, v'era inciso sul suo volto lo stesso sguardo che aveva attanagliato Kili quando avevano abbozzato il discorso degli Elfi. Ricadeva come un macigno e agli occhi attenti e sapienti non poteva sfuggire. Era esaltato per la battaglia e, allo stesso tempo, il pensiero di lei lo tormentava come mai era stato prima d'ora. Era forse la paura di un rischio che non voleva correre? Il non rivederla...più?
"È un pensiero del tutto ridicolo, stupido nano."
In quel momento Bofur gli strinse la spalla con una morsa stretta e Fili si voltò a guardarlo. Rimasero silenziosi ma attenti - entrambi - e si spiegò un sorriso consapevole sui loro volti. Berit si ritrovò a guardare quella scena senza avere l'ardire di interromperli, sentendo l'ormai solita calura salire fino al volto; si ritrovò placcata da un avambraccio di Bifur sul collo e – dall'altro lato – spuntò Kili pronto a scoccarle un enorme e rumoroso bacio sull'elmo.
«Magari eviteranno di decapitarti, così.» Kili fece un sorriso lesto.
«Oh, ma che gentile Kili.» Lei prese a ripulirsi dalla presunta salivazione di Kili sul proprio copricapo ferroso, dandogli uno sbuffo sul naso, prima di venire stordita con una testata da Bifur.
Non v'era un secondoo di pace in quell'ultimo attimo prima del grande balzo.
Dwalin, Nori e Thorin stavano ancora tirando le corde per lasciare partire il congegno che avrebbe attivato il rintocco della grande campana dorata sopra le loro teste. Tutti i nani erano ormai pronti a partire in una poderosa corsa verso il loro destino, il cuore batteva altisonante dentro i loro petti e lo sguardo bruciava di determinazione.
«Ancora una volta insieme, fratelli miei! Ancora una volta le nostre asce brilleranno su Erebor!» Esordì Thorin con voce imperiosa, alzando le braccia verso l'alto mentre l'ennesimo rimbombo della Battaglia incalzante li fece voltare di scatto sulla grande Porta.
Tutti levarono lo sguardo in alto e presero un profondo respiro, alzando le armi e gridando con assenso alla volta del loro Re.
Fili e Bofur erano ancora vicini e il biondo si volse verso il cappellaio con uno sguardo pieno di fierezza e ammirazione; forse non era quello il tempo per crogiolarsi in pensieri dolci, ma il tempo non era mai abbastanza per far emergere qualcosa di sopito e mai detto alla volta di un buon amico. Bofur lo percepì e non riuscì a fare a meno di sorridere per quello, una peculiarità di Bofur che era tornata a fiorire come un tempo.
«Proteggila, Bofur.» Sussurrò Fili. Quello allargò il sorriso fino a illuminare l'intero volto. «Tu sei sempre stato l'unico in grado di farlo.»
Fili pensò che se fosse stato più attento, in tutti quegli anni, avrebbe notato in quel sorriso lo sbocco del sentimento che quel nano provava per Berit. Non avrebbe avuto bisogno di domandarglielo in un momento d'umiliazione, non avrebbe mai permesso di essere l'artefice di qualsiasi sbocco di gelosia.
«Sempre.» Sussurrò in risposta l'altro e strinse con forza il proprio martello. «Grazie, Fili.» 
«No, grazie a te.» Ed era sincero in quelle parole. Era chiaro come l'annebbiarsi d'un dubbio poteva far chiarezza in molte altre cose a cui non aveva mai pensato. Aveva sempre avuto bisogno di mettere a posto i propri pensieri e, grazie inconsapevolmente a Bofur, v'era in parte riuscito.
Sgusciò via da lì per ritornare vicino al fratello mentre Bofur lo guardò un'ultima volta prima di voltarsi verso Berit e arpionarle un polso, tirandola via dalle prese di un Oin intento a farle scricchiolare il braccio. Fece un brutto rumore la sua clavicola ma lei non levò alcuna minaccia alla volta del loro guaritore di fiducia.
«Come finiva il nostro quindicesimo finale?» Chiese Bofur, ricercando i suoi occhi. Un fruscio di mille parole ritornarono alla mente, riportando a galla le idee avute durante la prigionia nel Reame Boscoso, chiusi dentro le celle degli Elfi.
Lei si ritrovò a cozzare contro di lui quando si ritrovò arpionata al polso e – di nuovo – l'elmo le finì davanti agli occhi. Non sembrava voler adempiere alla sistemazione di quella visuale e Bofur dovette piantare il palmo contro il ferro per rialzarlo.
«Non c'era un quindicesimo finale. Ma deve finire nel modo che sappiamo, no?» Berit rispose con un sorriso pieno e Bofur spostò lo sguardo sulle sue labbra. «Bilbo salverà tutti noi, come un vero eroe, e tutti i fetidi Orchi dell'Est periranno sotto i gridi di battaglia dei nani e il loro sangue verrà risucchiato nella terra e scomparirà dopo le piogge d'inverno. Nulla resterà di loro, né dell'ombra di Smaug, né della presunzione degli Elfi. Erebor sarà di nuovo nostra e i nani ritroveranno la loro gloria.» Esordì lei con sicurezza, imbracciando meglio l'ascia che – ora – divideva lo sterno di entrambi.
Bofur continuava ad alternare lo sguardo tra Berit e le sue labbra e subito le sue guance si colorarono di imbarazzo e sentimento. Di nuovo quel tepore fulmineo al petto e la sensazione di doverglielo dire, adesso, senza ripensamenti.
L'elmo di Berit, di nuovò, scivolò davanti ai suoi occhi e le coprì la visuale. Ma quella sorrideva ferrea – incurante della momentanea cecità - e Bofur fu invaso dalla consapevolezza che avrebbe voluto farla diventare sua completamente, in un'ufficializzazione che sarebbe perdurata per sempre.
Reclinò il volto e si ritrovò ad assaporare le sue labbra ancora una volta, incurante degli sguardi dei nani lì di fianco che osservarono tutto con sorrisi sghignazzanti – Ori non si copriva più il volto almeno – cercò il suo sapore e inspirò completamente il suo odore, avvolgendosi di quel principio di terra e metallo insieme.
Lei ricambiò il bacio si strinse prepotentemente a lui, mentre quello alzò di nuovo le dita per rialzarle l'elmo e incrociare il suo sguardo. Era lucido e grande quanto poteva esserlo il suo in quel momento.
«Bilbo sarà sempre il nostro eroe ma nel quindicesimo finale, alla fine di tutto, tu diventerai la nana Bofur.» Disse lui sopra le sue labbra, rialzando lo sguardo sul suo. Lei sgranò lo sguardo, boccheggiando appena.
«Diventerò...te?» Chiese con aria perplessa, sorridendo con entrambe le sopracciglia inarcate. Schiuse le labbra in una perfetta ovale. «Ma dovrei farmi crescere la barba!»
«No.» Bofur rialzò il capo e la guardò con aria sorridente e carica di sentimento. Entrambi si erano di nuovo volti verso la Porta, fianco a fianco, respirando forte. Le armi strette tra le mani. «Diventerai...ecco, all'incirca, pressapoco, giustappunto mia moglie.»
«DU BEKAAAAR***»
L'urlo di Thorin si sprigionò un'ultima volta nella Montagna e il suono del corno che Bombur prese a suonare s'infranse oltre il bastione, rimbombando nell'eco della valle. La grossa Campana dorata venne rilasciata fino a cozzare prepotente contro la roccia.
Ci fu un potente frastuono e la Porta fu distrutta, mentre massi e detriti cadevano oltre il ponte distrutto, rotolando nel rigagnolo del fiume.
L'odore della Battaglia li invase completamente in un alito caldo e metallico e tutti i nani cominciarono a correre verso il frastuono delle lame.





 

*Compagni
**
È l'ora di agitare un'ascia.
***Alle armi.






 

NA.
Sì, sto prendendo bellamente tempo e si vede xD in realtà questo miscuglio di saluti, pensieri, qualche testata doveva essere scritto nel capitolo precedente MA poi le parole hanno cominciato a fluuuuire e quindi niente, alla fine questo pezzo s'è preso un capitolo tutto per sé prima della grande, possente, fredda battaglia! Il capitolo della guerra mi sta procurando problemi di ogni genere xD non sono soddisfatta di nuuuulla ma va bene così, ormai sono quasi alla fine di tutto e sono tormentata! x°D Niente, spero di non avervi annoiato (ormai lo pero sempre!) ...anche perchè lo sto pubblicando alle 3.25 del mattino e non ho la più pallida idea di che cosa posso aver scritto in questo stato! Ma il lavoro mi tiene occupata tutto il giorno e mi perdo la notte a fare queste cose, uahahah! Come al solito ringrazio le mie recensitrici bellissime che sono veloci e scattanti come flash <3 ogni volta. Vi adoro! Sappiatelo! Eeee un saluto a chi mi segue in silenzio e non, a presto!

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Capitolo 43
*** L'elemento più importante ***


Capitolo 43.
L'elemento più importante




Bilbo si voltò lesto verso la grande Porta quando sentì il corno rimbombare nell'aria.
Dovette muoversi tra le gambe degli Uomini e degli Elfi che si muovevano veloci, arrancando nella battaglia, trattenendosi sempre vicino alla figura di Gandalf. Lo Stregone Grigio stringeva il suo bastone con forza e lo vide osservare la scena con occhi sbarrati, carichi di sofferenza.
Bilbo azzardò l'ipotesi che – il suo vecchio amico mago – non era per niente contento di ciò che stava accadendo. Nessun Uomo, o Elfo che fosse, era contento di questo, d'altronde. Quando giunsero gli Orchi tutto ruotò a loro sfavore, ritrovandosi alleati e consci di dover affrontare quell'imprevedibile nuova avventura. Poteva vedere il nano dall'elmo scintillante e la barba rossa – non più in groppa al suo cinghiale da battaglia – colpire a testate i suoi nemici, fendendo nell'aria la sua bipenne. Il riverbero che quell'arma produceva era tagliente, sovrastato dalle frecce degli Elfi e dalle spade che affondavano nei corpi marci e neri dei loro nemici. Sembravano gli unici a divertirsi, lì in mezzo, mentre colpivano gli Orchi fino a farli perire tra le lame. Questa non era una grande sorpresa per Bilbo, aveva ben scoperto che l'odio dei nani verso la feccia dei Goblin era il più grande che i suoi Compagni, e tutti i suddetti consanguinei, covassero nel loro cuore.
Fu in quel momento che una forte mano lo prese per una spalla e si ritrovò a indietreggiare, scansando un Elfo che stava cadendo a ridosso del terreno.
La mano era di Bard; alzò lo sguardo verso di lui e notò i suoi occhi lampeggiare di tormento. Voleva balbettare e dire qualsiasi cosa – un grazie perlomeno - ma quello lasciò ben presto la presa e corse verso lo Stregone, colpendo un manipolo di Orchi intenti a urlare contro di loro.
«Gandalf! Devo procedere verso Dale, potrebbero assediarla. Ho i miei figli laggiù!» Esclamò l'Uomo alla volta dello Stregone.
Gandalf si voltò lesto e si guardò in giro con aria smarrita, facendo ondeggiare la tunica grigia che lo copriva.
«Non possiamo farcela senza un aiuto. Siamo troppo pochi. Lo schieramento degli Orchi sta incedendo troppo in fretta.»
«Dobbiamo lasciarli stretti nel valico e non lasciare che avanzino oltre l'avanguardia! Io posso guadagnare tempo e portare gli Uomini a Dale e far fuggire le donne e i bambini.» Continuò Bard, respirando con affanno.
Il grande stormo di pipistrelli neri continuava a volteggiare sulle loro teste e spesso scendeva in fiumi d'ali, infrangendo sopra le loro teste, strillando e infastidendo l'udito stesso. Gli Orchi alzavano le loro scimitarre di ferro e grugnivano versi in lingua nera, continuando a incedere senza preoccuparsi del loro corpo di guardia che cadeva.
«Thorin.» Sussurrò Bilbo, puntando lo sguardo di nuovo verso la Porta.
Il corno di Erebor suonò ancora e la terrà emise un boato diverso. I nani dei Colli Ferrosi stavano esultando con le asce in mano, continuando a colpire i nemici con affondi violenti. I mangiaterra non potevano eguagliare la grandezza del suono che si sparse nella valle quando la campana dorata colpì la Porta.
Un potente frastuono fece cadere i massi oltre il ponte, scivolando nella pozza d'acqua sottostante. Un fascio di luce si sprigionò dentro il grande uscio e le urla dei suoi amici si levarono nel cielo.
Lo hobbit non riuscì a descrivere l'immensa emozione che gli fece tremare il petto, in quell'istante. Non era stato un giorno tranquillo quando era dovuto ridiscendere dallo sperone, non avrebbe mai voluto fuggire come un codardo, sentendosi vile e traditore nei confronti di Thorin e dei suoi amici. Continuava a ripensare alla sua scelta – a quella fantomatica saggia scelta – e, se Gandalf continuava a ripetergli che non s'aspettava niente di meglio dal suo nobile cuore, lui non faceva che rivedere gli occhi di Thorin.
Erano stati giorni infelici e la frase sibilata da un Re pieno di rancore fu il colpo di grazia per la sua sopportazione. Gli mancavano tutti – terribilmente – e la colpa di aver sbagliato lo dilaniava non appena un rivolo di brezza leggera gli concedeva un secondo di pensiero.
Sapeva che quella scorza velenosa non era il vero Thorin. Nonostante i nani non erano figure da sottovalutare in nessun ambito – e chi meglio di lui lo poteva sapere – non aveva mai avuto timore di rischiare la vita per le mani del Re sotto la Montagna.
Non prima di quel giorno.
Aveva voluto tante volte scavalcare di nuovo la roccia e chiedere perdono per ogni male inflitto inconsapevolmente. Avrebbe voluto trovarsi dinnanzi a Thorin e scuoterlo fino a levargli di dosso quell'ombra scura.
Era così semplice, per lui, ritrovare la sua pace. Chiudeva gli occhi e rivedeva la sua bella Contea e il Fiume Brandivino. L'erba, i campi, i camini accesi.
I suoi amici banchettare, bere il vino, il gioco di stoviglie con Ori, la mappa di Berit, il sorriso di Bofur, il pomodorino nell'occhio di Dwalin.
Non appena si concedeva a questi ricordi sentiva di nuovo le lacrime premere negli occhi e dovette ricacciarle dentro in silenzio, nonostante Gandalf era sempre pronto a notare ogni cosa, lasciando vagare solo uno sguardo discreto. Non era mai stato consapevole che altre persone potessero mai riuscire a capirlo ma – quel viaggio – aveva dissipato quel pensiero molte volte. Ora aveva degli amici che gli erano vicini, aveva degli amici che erano pronti a difenderlo, pronti a farsi carico d'una lealtà forte pur di non farlo soccombere a tutto questo.
Il mithril che indossava ne era stata la prova più tangibile.
Si ritrovò a sfiorarsi il busto con un sorriso tremante mentre osservava verso il valico della Montagna ed ebbe un tuffo al cuore quando vide Thorin capeggiare lo schieramento di Nani che corsero verso la guerra, alzando le asce.
«Du bekaaaar! Du bekaaaar!» Urlò Thorin, alzando la bipenne.
Molti Orchi erano riusciti a scalare lo sperone orientale, arrivando in cima alla Montagna, alcuni in groppa a dei mannari sbavanti. Erano veloci e s'annidavano tra le rocce, superando l'avanguardia degli Elfi, non perendo ai loro colpi.
Fu in quel momento che un urlo ringhiante si fece largo sopra le teste dei nani e dovettero alzare lo sguardo di colpo, continuando a incedere con quanta più velocità avevano in corpo. Le armature non pesavano ma la loro lentezza era assai sfavorevole in compenso ai Mannari che trottavano, sibilando, oltre la roccia.
Una grande cascata di massi cominciarono a scivolare giù dalla Montagna, rotolando in detriti enormi verso la Compagnia di Scudodiquercia. Molti Orchi urlavano, brandendo le scimitarre, e agitandole in aria mentre venivano avvolti dai pipistrelli da guerra.
«Attenti! Gli Orchi sono sugli speroni! Non lasciatevi colpire! Serrate le file!» Urlò Thorin con tutto il fiato che aveva in gola, arrivando alla volta del valico per affondare il primo colpo sulla testa di un Orco.
«Procedete verso la valle!» Urlò di rimando Dwalin, spintonando via un Orco mentre ne decapitava un altro con un colpo veloce. «Attento Balin!»
Balin dovette tuffarsi di lato per non venire colpito da una delle rocce cadute.
Quelle rotolavano senza sosta, scivolando giù dalla Montagna, indirizzandosi verso la volta dei nani.
Fili e Kili si ritrovarono separati dopo che una di queste puntò alla volta del nano biondo. Kili dovette spingerlo via con forza, ricadendo lui stesso all'indietro per via del contraccolpo.
«Per tutti i dannatissimi Orchi! Non ce la faremo mai, così!» Urlò il moro, rialzandosi di gran fretta mentre arrancava verso la bolgia di Orchi. Riuscì ad affondare la spada nello sterno di uno di questi e sfilarla via prima che un altro lo colpisse
Abbassò il capo e scivolò all'indietro per spingerlo con un calcio possente, affondando di nuovo la lama. Dori e Ori stavano combattendo di fianco a lui, stringendo l'elsa di grandi spadoni d'acciaio, lasciando alle loro spalle solo le grida dei loro nemici agonizzanti.
Altri massi caddero giù dalla Montagna e Bombur si ritrovò a correre a perdifiato per sfuggire ad uno che lo stava letteralmente inseguendo. La sua armatura tintinnava per tutto il peso e la barba intrecciata si sciolse in una lunga collana di peli rossi, facendo inciampare almeno un paio di Orchi nelle vicinanze.
«Corri Bombur, corri!» Urlò Berit prima di placcare malamente uno di quegli esseri, saltandogli in groppa con tutto il peso di cui disponeva. Gli prese la testa tra le mani e ruotò il collo con un forte strappo, spezzandoglielo.
Si tirò indietro con un balzo, impattando a terra con gli stivali.
«Io sono a sedici, ragazzina!» Gloin gli passò di fianco con una corsa poco campestre, picchiando la lama dell'ascia sulla testa di un nemico, urlando con forza. Il suo elmo venne sporcato da rivoli di sangue nero e condensato.
«Cosa?» Sbraitò quella, incredula. Il suo elmo gli scivolò davanti al naso e se lo tirò su appena in tempo prima che un Orco gli fu addosso.
«Diciotto!» Di nuovo Gloin urlò dalla bolgia, alzando la bipenne.
«Questo è un affronto! Non è possibile!» Continuò quella mentre colpiva con un colpo secco il petto di uno della guardia, ciondolando all'indietro. Prese un respiro enorme e si ritrovò ad alzare l'ascia, urlando con un ringhio, mentre si lanciava contro l'ennesimo ammasso schierato.
I grossi pipistrelli continuavano a strillare nell'aria e molte frecce vennero scoccate verso gli speroni, dagli Elfi dei boschi, colpendo quanti più attaccanti possibili. Ma le rocce continuavano a ruzzolare al di sotto degli speroni e Bofur dovette lanciarsi contro uno degli Elfi per evitare di venire schiacciato.
Per poco non perse il cappello e si ritrovò a stringerlo, issandosi nuovamente in piedi.
«Quelle bestie ci stanno usando come noci da schiacciare.» Urlò questo alla volta di Fili. Era l'unico che riusciva a intercettare con sicurezza in mezzo a tutte quelle gambe che si muovevano. Gli occhi cercarono senza sosta la figura di Berit e quando la vide – intenta a lanciarsi di peso contro un paio di Orchi – tirò un sospiro di sollievo.
«Guarda Bofur, gli Elfi stanno risalendo lo sperone orientale! Se riuscissero a colpir-» Fili bloccò il dire di colpo, sgranando lo sguardo. «Oh Mahal! Porca d'una maledetta schifosissima-»
«Cosa? C...» Bofur non finì la frase, perché si voltò di lato giusto per intercettare ciò che Fili stava guardando.
I mannari stavano scendendo oltre il valico con una velocità incalzante, erano un numero spropositato. I loro ringhi sibilavano nell'aria fredda di quel giorno e i pipistrelli gli furono di nuovo addosso, frullando le loro ali sulle loro teste.
«Fili!» Urlò Kili, raggiungendo il fratello con uno slancio disperato. «Dobbiamo attaccarli di sorpresa. Il corpo di guardia incalza, siamo troppo pochi.»
«Dobbiamo allontanarci da qui!» Fili prese Kili per un braccio, tirandolo indietro. «THORIIIIN?»
Thorin era intento a spingere un attacco di Orchi proprio a poca distanza dai suoi due eredi. Al suo fianco Dwalin e Balin lottavano senza tregua, affondando e uccidendo quanti più Orchi possibili. Sentì l'urlo di Fili quasi subito e si volse verso i due giovani nani, respirando a fatica.
I suoi capelli scuri erano scarmigliati e s'appiccicavano al volto sudato ma vigoroso. Non v'era più l'ombra di Smaug nei suoi occhi ma solo l'impeto della gloria, del fuoco che divampava nel petto d'un Re che aspettava solamente di emergere.
«Abbiamo i fianchi scoperti! Non possiamo respingerli!» Urlò Fili verso di lui, correndo come un forsennato mentre lasciava il braccio di Kili, permettendogli di difendersi dall'ennesimo attacco.
Uno degli Orchi si lanciò su Fili ma quello abbassò prontamente la schiena, così che l'Orco si ritrovò a mancare la presa, ritrovandosi proprio davanti al naso la spada di Kili, pronta a conficcarglisi nel volto.
Entrambi mostrarono un sorriso quando si guardarono veloci, prima di riprendere a respirare.
«Dobbiamo salire a Collecorvo. È Azog che comanda le truppe! Questa volta...lo ucciderò. Una volta per tutte.» Ringhiò Thorin rialzando lo sguardo verso la punta del Colle che s'innalzava davanti a loro.
Quando i mannari superarono il valico li trovarono intenti a guardare altrove e – uno di loro – riuscì ad agguantare il braccio di Balin, strattonandolo via. Il vecchio nano ruzzolò di lato, scivolando oltre le gambe di alcuni Elfi.
«Muori putrida fogna d'essere!» Ringhiò Dwalin, decapitando la bestia immonda con un colpo secco. «Balin, stai bene?»
«Oh sì...sì fratello.» Esclamò quello, già ergendosi con coraggio e onore, pulendosi dal sangue che traboccava dalla ferita. Il braccio gli doleva ma poteva ancora imbracciare la sua spada, riuscendo a colpire gli attaccanti, difendendosi.
«Questi...maledetti uccelli!» Questo era Nori, intento a ripiegarsi per evitare le loro ali sul volto. Imbracciava, insolitamente, anche un pugnale elfico che non pareva essere stato visto nel suo armamentario mentre usciva dalla Montagna. «Non riesco a vedere niente. Non riesco a concentrarmi!»
Un altro urlo si levò dalla valle, di nuovo il suono fastidioso del corno degli Orchi, e grandi arazzi neri e rossi furono fatti sventolare dalle bestie che caricavano di nuovo, distruggendo gli schieramenti, oltrepassando i ranghi degli Elfi.
I nobili e scattanti Silvani continuavano a procedere vigorosi nella battaglia, scoccando frecce veloci alla volta degli speroni, colpendo quanti più mannari possibili, smembrando e mutilando nel loro odio verso le creature nemiche.
Bofur riuscì a fracassare il cranio di uno di quegli esseri mentre raggiungeva Berit, intenta a decapitare un mannaro agonizzante a terra.
«Berit, quanto?» Urlò quello, sgusciando via dall'ennesimo colpo e scavalcando con un balzo poco aggraziato il dorso di un mannaro morto.
«Tredici!» Esclamò quella, tirandosi su Arnught da davanti agli occhi.
Gloin passò lei davanti ridendo come un pazzo, colpendo i nemici con una forza bruta e ancora scattante. Oin al suo fianco sembrava riflettere la stessa audacia del fratello, colpendo con potenti colpi e tramortendo con delle testate poderose. Riuscirono a scorgere il cugino di Thorin – Dàin – fare lo stesso.
«Principiante!» Sghignazzò il nano dai capelli rossi, scivolando a terra per colpire con la bipenne le parti basse di un Orco, uccidendo la sua già ignobile virilità.
«Quello è a ventiquattro!» Si lagnò Berit, arrancando con poca velocità alla volta di Bofur, mentre un altro Orco si prestava a colpirli. «Bofur..stai – e quattordici, maledetto barbone – bene?»
Bofur aveva tutti i motivi per non essere contento in quel momento ma gli venne da ridere, guardando l'ennesimo Orco perire davanti al suo naso. Subito spostò lo sguardo verso la sua nana e le pulì il volto dal sangue. La battaglia rinvigoriva sempre un nano quando riusciva a destreggiarsi nell'uccisione dei suoi nemici, era una cosa che alimentava un insolito buonumore.
«Sto bene.» Sorrise quello e imbracciò meglio il martello. «Ah e io sono a venti
«Sì ma allora ditelo che siete delle carog-»
La sua voce si spezzò quando un altro masso rotolante li raggiunse a sorpresa ed entrambi si volsero con uno scatto verso questo; sentirono Bombur urlare qualcosa di indecifrabile, videro anche Bifur lanciarsi per tirare via Bofur appena in tempo prima che una nuvola di polvere si levò alta da terra, offuscando ogni visuale.


 


 

Berit si ritrovò a tossire, rotolando via da sotto al corpo d'un gruppo di mannari smembrati.
Come fosse finita lì non era chiaro. Il loro sangue puzzava e le sue vesti cominciavano a tingersi di quel brutto colorito nerastro oltre che di terreno secco.
Riuscì a rialzarsi appena in tempo per osservare la scena che gli si parò davanti, strizzando gli occhi.
I corpi di molti Elfi e di molti Orchi giacevano sul terreno e martoriavano così la valle con una visuale tetra e sofferente. Alcuni Silvani continuavano a lottare imperterriti, non piangendo le morti dei loro Compagni, o almeno non nell'apparente volto che permaneva saldo e vigoroso. I loro capelli non erano abbagliati dalla luce, l'oscurità che quei pipistrelli alimentavano sembrava annientare la lucentezza stessa degli Elfi. Li vedeva come alti uomini dalle orecchie anomale, sentiva la loro stanchezza in ogni colpo e li vedeva sanguinare e cedere agli attacchi degli Orchi.
Ma lo sguardo non si soffermò su di loro a lungo, mentre arrancava in avanti per ricercare la sua ascia. Non riusciva a trovarla da nessuna parte e le gambe cominciavano a dolerle nel punto in cui aveva impattato cadendo.
I nani morti erano più di quelli rimasti in vita a combattere contro il loro comune nemico.
Li sentiva urlare di disperazione, in confronto allo stoicismo degli Elfi, li sentiva caricarsi di rabbia e frustrazione e colpire con ferocia, facendo saltare teste e sbudellando quanti più corpi riuscivano. Vide Dàin salutare Thorin con un portentoso abbraccio e li vide allontanarsi di gran fretta. Fili, Kili e Dwalin stavano seguendo il loro Re verso il pendio del ColleCorvo e il suo respiro sembrò serrarsi di colpo alla base del petto.
Le mani le tremavano terribilmente e l'armatura cominciava a pesarle. Fu costretta a dimenticarsi di questo quando un paio di Orchi la videro, lanciandosi contro di lei con ferocia. S'abbassò appena in tempo per farne schiantare uno verso i corpi dei mannari, l'altro fu subito fermato con un'accettata in piena fronte.
Fece più fatica a tirar via la lama, spintonando via il corpo all'indietro con un calcio.
Ancora una volta lo stormo di pipistrelli scese in picchiata verso i combattenti rimasti in vita, volteggiando come un turbine di vento nero e inglobando molti dei nani e degli Elfi in mezzo ala valla.
Si sentì invasa da una forte paura e subito si ritrovò a correre verso le urla che uscivano da quell'annebbiamento di ali, mentre altra terra si levava dal basso e veniva scossa da ulteriori rimbombi. Un potete frastuono gli provocò uno stordimento violento e ciondolò di lato fino a che non si ritrovò a cozzare contro un corpo.
Fu uno scatto di un attimo, sentiva gli occhi bruciare per la terra e la gola diventare arsa. Alzò l'ascia sporca di sangue e si voltò per affondarla nella testa del presunto Orco – urlando con tutto i l fiato che aveva in gola - quando si bloccò appena in tempo.
Bilbo.
Dietro di lei c'era Bilbo che tossiva quanto lei, sporco di terra, di sudore e col respiro affannoso.
Berit allargò subito lo sguardo grigio e si ritrovò ad abbassare l'ascia di gran fretta, sorridendo fino a riempire tutto il volto.
Si lanciò verso di lui col corpo e lo strinse in un abbraccio stretto, sarebbero caduti a terra per lo slancio se Berit non avesse avuto quella presa ferma.
«Sei vivo. Sei vivo...grazie ad Aule, sei vivo.» Esclamò lei con tutta la gioia che aveva in corpo, non riuscendo più a celare l'improvvisa contentezza che l'avvolse.
Bilbo, in quell'abbraccio, a stento riusciva a respirare ma non gli importava granché in quel momento. La strinse forte, per quanto potesse farlo, e si ritrovò a sorridere di pieno cuore, tra le lacrime che ancora tornarono a galla.
«Sono un hobbit fortunato, lo sai.» Disse lui con una voce bassa, mentre si staccavano da quella presa. Entrambi si guardarono con occhi pieni d'affetto.
«Razza di briccone, quanti ne hai uccisi?»
«Ah...mh, direi meno di zero. Sì.» Rispose Bilbo, strizzando gli occhi.
«Grazie a Mahal.» Soffiò lei con un sorriso più spavaldo, piantandogli la mano sul capo. «Non t'azzardare a morire per questa battaglia, Bilbo. Non fare l'eroe, tu sei...sei già un eroe. Siamo di nuovo tutti insieme, ed è stato solo grazie al tuo gesto. Hai scosso l'animo tormentato di Thorin e hai ridato speranza a tutti noi.»
Bilbo si sentì invadere da un profondo calore che gli avvolse le membra, finora rimaste fredde e rigide per la paura e la sofferenza. Non poté credere a quelle parole, si ritrovò ad allargare lo sguardo fino a sentirsi il respiro mancare dal petto.
Era possibile che fosse capace di provare così tanti sentimenti insieme?
Prima di quel viaggio non l'avrebbe mai potuto dire ma era stata una piacevole scoperta, in fondo.
Molto piacevole.
«Sei il nostro finale migliore, dico davvero. Quindi ora...» Berit alzò lo sguardo giusto per inquadrare Gandalf che cercava la figura di Bilbo, in mezzo alla folla. Sorrise e – quando lo Stregone li notò – sorrise di rimando. «...resta con Gandalf e proteggiti sempre. Ricordati che dovrò venire alla Contea a conoscere la tua futura signora Bilbo.»
«Berit io...» Bilbo stava per parlare e lei sfilò via dalla sua presa, alzando gli occhi su Gandalf. Quello stava già toccando la spalla dello hobbit, abbozzando un sorriso carico di commozione.
«Sono fiera di te, Bilbo Baggins. Sei stato un abile Scassinatore, proprio come il vecchio Gandalf ci ha assicurato. Esperto, silenzioso e anche simpatico. Sì non reggi bene il vino ma nessuno è perfetto, d'altronde.» Ridacchiò, tirando su col naso. Bilbo era sicuro che stesse per piangere, un evento a cui non era sicuro di aver mai assistito. «Non dimenticare mai chi sei, Bilbo.»
E detto questo rinsaldò la presa con la sua ascia, guardando un'ultima volta entrambi.
Un altro schieramento di Orchi stava già per attaccare con prepotenza, seguiti da alcuni mannari ringhianti, quando Berit si ritrovò a correre via.
Bilbo avrebbe voluto dire qualcosa ma non vi riusciva, non era la prima volta che Berit lo stupiva con parole del genere e mai che tentasse di dar fiato ai propri pensieri. Quella nana non si meritava più solo il silenzio e le labbra boccheggianti. Adesso sentiva solamente il cuore tremare dentro al petto e si ritrovò ad alzare lo sguardo verso Gandalf, mentre questo lo tirava verso la strada per Dale.
«Andiamo Bilbo, gli Orchi stanno marciando su Dale. L'assedio è imminente. Bard e il Re del Reame Boscoso hanno preso già alcune truppe.» Disse quello, marciando veloce. Riusciva a colpire ogni Orco tentasse di sbarrare loro la strada. Bilbo aveva ben sguainato la sua, di lama Elfica, ma non aveva avuto ancora modo di usarla, scintillava di blu ed era ancora linda come l'aveva lasciata. «Ho visto Thorin, con Kili, Fili e Dwalin incedere su Collecorvo. Credo vogliano uccidere il corpo di guardia di Azog e Azog stesso. Ma comincio a temere per la loro incolumità.»
«Gandalf?» Bilbo lo richiamò e quando lo Stregone si voltò lo vide intento a stringere qualcosa, nel pugno chiuso. Non poteva vedere cosa fosse ma – qualsiasi cosa stesse stringendo – aveva cambiato lo sguardo del suo piccolo amico. Era più risoluto e carico di coraggio. «Non finirà così, vero?»
«Oh, mio caro amico.» Gandalf sorrise, pieno di tristezza e commozione insieme. Non si fermò per un secondo, comunque, procedendo con passo svelto fino alle rovine di Dale. Dalla città si levavano lamenti continui e il tintinnare di armi che venivano scontrare tra loro. «Questa non è la fine. E tu sarai ancora in grado di riservarmi altre sorprese, Bilbo. Berit ha ragione su di te. Sei stato l'elemento più importante.»
E allora perché, penso Bilbo guardando verso Collecorvo, sentiva di avere ancora un grosso peso sullo stomaco che gravava come una ferita ancora aperta?
Chiuse gli occhi, velocemente, e vide Thorin abbracciarlo nella grande cima del Nord, ringraziandolo di essere rimasto nella Compagnia.
Riaprì di scatto gli occhi quando un urlo disumano si levò in cielo. Si voltò giusto in tempo per vedere un manipolo di Elfi cadere dallo sperone della Montagna, frantumandosi nella pozza d'acqua sottostante e i mannari richiudere gli schieramenti rimasti in vita, fronteggiandoli con un attacco vigoroso.
Gli Orchi erano strusciati come un'onda nera verso di loro, brandendo lance e scimitarre, fino a bloccare ogni sbocco d'uscita.
Un solo balzo e i suoi amici sarebbero stati sconfitti.
Un solo balzo e avrebbe smesso di sentirli ridere, nei suoi ricordi.
Chiuse di nuovo gli occhi, con forza.








 

NA.
Questo capitolo è tipo: ecco cosa vedono i nani una volta che escono dalla Montagna xD Non è ancora successo nulla di grave e mi è servito per far dividere la Compagnia in quelli che rimangono lì a fare il party con gli Orchi e quelli che vanno a Collecorvo. Questa cosa non la cambierò ovviamente MA...ma e dico MA - forse – mi distanzierò per qualcosa dalla trama originale. Io però non mi dilungo troppo in questo perché mancano veramente pochi capitoli e sono in agonia pura v.v Ah tra l'altro io non ricordo assolutamente nel film come successe l'assedio di Dale, cioè proprio ho un vuoto totale su come Bard e gli altri rigiungono lì. E visto che questo nel libro non succede me lo sono probabilmente inventata di sana pianta xD Ma vabbèèèè poco male! Tanto per ora non mi serve. Come al solito grazie tantissimo ma tantissimo a chi mi segue, a chi mi recensisce flashissimo <3 e saluto anche Lady_Darck che mi ha aggiunto nelle seguite. Graziegraziegrazie. Ah e sì, Gloin che conteggia è un omaggio sempre al nostro amato Gimli xD da qualcuno deve aver pur preso ahahaha.

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Capitolo 44
*** Quarantadue ***


Capitolo 44.
Quarantadue

Un altro rombo squarciò il cielo e la nuvola di pipistrelli cominciò a volteggiare veloce verso la cima di Collecorvo, scivolando sopra le rovine di Dale.
Gli urli di battaglia si levarono strazianti oltre la valle e il frastuono delle spade fece breccia nel cuore di tutti i nani lì presenti. Gli orchi imperversavano veloci come una marea scura, inghiottendo la valle con i loro passi pesanti. I mannari ringhiavano e graffiavanono l'aria con zampate irruenti.
Gli Elfi continuavano a scoccare frecce, altri ancora volteggiavano valorosi mentre affondavano la punta d'acciaio nei corpi dei loro nemici.
La terra era avvelenata dai corpi morti degli Orchi e dei mannari smembrati, alcuni dei Silvani cominciarono a piangere gli amici e parenti caduti e i nani ancora guerreggiavano con asce lucenti che tagliavano teste e arti.
Il freddo di quel buio cominciava a filtrare nelle ossa in maniera pressante, si sentivano tutti infreddoliti, tesi e stretti in prese nodose e scomposte sulle loro armi. La stanchezza, più che nel corpo martoriato, vigeva nella mente, alimentato dalla visione di quei corpi distesi senza più respirare.
Elfi che potevano ancora correre tra gli alberi, bearsi della luce pallida delle stelle e cantare alla volta della Luna fino a Bosco Fronzuto, oltre i sentieri a Nord.
Nani dalle mani callose e ancora la luce della roccia nello sguardo, robusti e leali, capace di ridere facendo rintoccare boccali vittoriosi.
Bofur spostò lo sguardo su ognuno di quei corpi mentre indietreggiava veloce dallo sbaragliamento numerico degli Orchi. Non era mai stato immerso in una battaglia di questo genere, non aveva idea di che cosa vi portasse. Si sentiva sopraffatto da diversi fattori che lo travolsero e urlò con un ringhio mentre piantò in testa ad un mannaro il suo martello, ormai intriso e ammaccato per i colpi. Il cuore si rinsaldava ogni qualvolta uccideva quelle bestie ma – d'altronde – lui non era mai stato un guerriero, a lui piaceva intagliare e fabbricare giocattoli, utensili, scavare per ricercare gemme preziose, non capiva la vera fiamma della battaglia. Per quanto si fosse sentito fiero di partecipare alla riconquista di Erebor sapeva che non ne avrebbe mai fatto parte, non totalmente.
Ma questo lo doveva per i suoi genitori, lo doveva per Bombur, per Bifur e – specialmente – per la sua Berit. Sentirsi inutile quando Moria era stata invasa, vedere le lacrime di suo padre che ricordava gli immensi Saloni e la magnificenza che là sotto aleggiava, sapere che la sua – di Casa – continuava a mietere timore nei cuori dei nani per ciò che l'ingordigia degli avi aveva risvegliato, gli fece breccia nel petto con un coraggio che mai aveva pensato di avere.
Avrebbe aiutato Thorin a conquistare Erebor perchè – se lo avesse fatto – sarebbe stato come riconquistare la sua Moria.
Era questo che provava ogni qualvolta uccideva uno di quegli esseri, ogni qualvolta li sentiva urlare con versi disumani, ogni volta che il sangue nero gli macchiava l'armatura, il martello e persino il suo adorato copricapo.
Fece un altro balzo all'indietro e si ritrovò ad impattare contro qualcuno di metallico e robusto.
Si voltò veloce e si ritrovò la faccia di Bombur davanti al naso. Il fratello aveva appena spinto con una panciata violenta un paio di Orchi, facendoli rimbalzare oltre la linea che i nani e gli Elfi stavano tenendo a bada, con colpi veloci.
«Tutto bene, fratello
«Andrebbe meglio se questi cosi fossero commestibili e buoni da ardere sul fuoco.» Borbottò Bombur, stringendo la mazza e roteandola sopra la testa con una forte presa. Riuscì a colpire in volto un paio di Orchi, mentre indietreggiava portandosi dietro il fratello.
«Niente potrebbe mai eguagliare un buon pezzo di maiale salato, però!» Esclamò Bofur, impattando contro l'ennesimo corpo dietro di lui.
«Ooooh il maiale salato» sentì Bombur lagnarsi, guardandolo lanciarsi con una testata contro il busto di un mannaro ringhiante «...il maiale salato...»
Bofur lo sentì ancora invocare il suo amato cibo con voce poetica quando venne tirato indietro da un braccio, evitando un colpo di scimitarra da parte di un Orco.
Il braccio era di Ori; lo vide lanciarsi in avanti per tirare un calcio possente sullo stinco dell'essere e correre via, intrufolandosi tra la gente, continuando a tirare Bofur per un braccio.
«Ci stanno accerchiando. Non ce la faremo mai.» Squittì il nano biondo, correndo come un forsennato.
Bofur per poco non inciampò su un gruppo di cadaveri ammassati l'uno sull'altro, dovette slanciarsi con la gamba per evitare una caduta rovinosa.
In tutto questo la sua mente continuava a volgersi verso Berit, ritornando a cercarla con lo sguardo.
Aveva evitato più volte di dover abbassare lo sguardo, per farlo.
Respirava a fatica e l'armatura pressava contro il corpo sudato, nonostante il freddo che sferzava sul volto.
Gli stormi neri ancora volteggiavano sulle loro teste e alcune rocce continuavano a scivolare lungo gli speroni, oltrepassando il valico. Gli Orchi rimasti nascosti tra la roccia della Montagna erano quasi tutti morti, scivolati da questa dopo l'ennesimo scocco delle frecce degli Elfi.
Quando spostò lo sguardo verso il centro della battaglia notò i suoi Compagni farsi forza davanti ad una squadriglia più vigorosa.
Dori aveva la schiena plasmata contro quella di Nori, si coprivano perfettamente le spalle, ruotando quasi all'unisono quando gli Orchi imperversavano. Vide Gloin decapitare un paio di Orchi e aprire le braccia, rinvigorendo il petto con un urlo di guerra.
«Trentotto!»
Lo sentì urlare mentre gracchiava una risata rauca e ancora tornava alla battaglia, picchiando la sua arma senza pietà.
Gli Orchi sotto il suo passaggio si dilaniavano in urli scomposti e striduli; era un suono tremendo da sopportare.
Oin era a pochi passi da Bifur, entrambi stavano ammassando gli Orchi, colpendoli fino a farli retrocedere verso la roccia. Alcuni detriti caddero proprio sopra le teste dei nemici e una polverose nube di terra s'alzò violenta, annebbiando di nuovo la visuale.
Bofur sentiva la terra tremare ancora e si ritrovò ad arpionare il polso di Ori – ancora intento a tenerlo – evitandogli un colpo mortale alla testa da parte di uno della guardia di Azog.
Ori fece un urlo, scattando all'indietro, tanto da impattare contro il petto di Bofur.
«Razza di chiappone, non vincerete mai questa Guerra! Ve la state prendendo con i nani sbagliati!» Urlò Ori con tutta la rabbia di cui disponeva.
Bofur non era convinto di averlo mai sentito così risoluto e rabbioso verso chicchessia. «Imrid amrad ursul!*»
E con un urlo possente si disarcionò dalla presa di Bofur e calò con la spada sullo sterno dell'Orco, riuscendo a trafiggerlo fino a far scomparire la lama nel corpo.
Bofur si ritrovò in un perfetto stallo emotivo in cui non era sicuro di dover essere fiero di quel giovane nano biondo oppure aver paura del suo improvviso impulso battagliero. Optò per entrambe le cose e riuscì a tirarselo indietro non appena l'Orco stramazzò a terra, esanime.
«Non ci sarà stato fuoco, ma accidenti se sei stato pauroso Ori.» Disse il cappellaio con un sorriso lesto prima che Ori si voltasse per sorridergli. Era arrossito per quel complimento, una cosa che nemmeno la più cruenta battaglia avrebbe potuto eliminare.
Con ancora le mani e il volto insanguinati si ritrovarono di nuovo a indietreggiare, ritrovandosi schiacciati tra le gambe di alcuni Elfi.
Di nuovo lo sguardo di Bofur tornò a cercare la nana.
Non doveva abbassare la guardia ma non aveva intenzione di perderla troppo di vista, voleva ritrovarla e accertarsi che stesse continuando quella scommessa. Voleva sentirla urlare maledizioni alla volta di Gloin per la sua schiacciante vittoria.
«Figlioli!»
La voce di Balin si palesò proprio di fianco a loro e quando lo videro per poco non ebbero un mancamento. Era il nano messo peggio; un grumo di sangue gli scendeva dalla fronte e il braccio martoriato dal morso del mannaro penzolava malamente sul lato sinistro, imbrattando le sue belle vesti vellutate. Persino la barba bianca era sporca di sangue e i suoi occhi scintillavano d'esaltazione e di paura.
«Balin, oh mio...vieni.» Biascicò Bofur, facendogli scudo col proprio corpo, mentre spintonava via l'ennesimo corpo di un Orco, picchiando sulle gambe di un altro.
«Sto bene ragazzi miei, sto bene. Non sarà questa battaglia a farmi cadere!» Rispose Balin con fermezza, sorridendo sotto il volto arrossato. Ori si era subito prodigato a reggerlo per la spalla ancora intatta, abbassandosi giusto in tempo per evitare un colpo di lama.
«Questo lo sappiamo!» Bofur sorrise, scalciando via la testa di un mannaro e lasciando libera una piccola via. «Ma ti preferiamo almeno – almeno – con due braccia.»
Balin sorrise in quella particolare tragedia, mentre stringeva gli occhi e continuava a incedere.
Aveva evitato accuratamente di guardare a terra e farsi carico di quei corpi morti. Sentiva Dàin e i suoi compagni dei Colli Ferrosi urlare ancora, nella battaglia, colpendo quanti più nemici possibili. Non erano rimasti molti in forze, ormai il numero continuava a dimezzarsi e le urla di sgomento e il sangue scivolavano come fluidi tetri, sotto i loro piedi. Subito il ricordo di Moria lo invase come non succedeva da tanto tempo.
Rivide la valle disseminata di cadaveri di nani, giovani e forti, anziani e saggi, tutti sullo stesso piano, morti per una valorosa guerra che avrebbe dovuto liberare la terra dei Nani.
Aveva pianto tante lacrime quel giorno, non v'erano stati canti né balli e ancora ardeva come un'incisione profonda la fiamma che aveva bruciato tutti quei corpi. Se chiudeva gli occhi sentiva ancora il calore di quel fuoco, l'unico al mondo a non recare alcun piacevole ricordo.
L'unico al mondo che lo aveva bruciato così in profondità da non poter mai essere lenito.
Ora riguardava Erebor in preda ad una potente battaglia e lo sguardo si levò sulla Montagna. Sulla sua cima nebbiosa e sugli speroni che circondavano il valico. Se chiudeva gli occhi poteva ricordare la sua vita dentro quella roccia, a crescere i piccoli nani alla saggezza, a servire Thrór nonostante la sua follia divagasse.
Fu scosso da quei pensieri funesti quando un Orco piombò su di loro facendoli cadere tutti da un lato con una spinta poderosa.
Ori scivolò di lato e sbattè violentemente la testa contro alcuni corpi martoriati sul terreno.
Perse di vista Bofur e si ritrovò a indietreggiare quando un grosso Orco dalla pelle scura avanzò verso di lui lentamente.
Provò ad acciuffare la prima arma che gli capitò a tiro ma il braccio ferito doleva terribilmente e fece fatica a risaldare la presa sull'elsa.
Alzò gli occhi chiari sull' Orco e quello sputò fuori dalla bocca marcia alcuni versi in lingua nera.
Versi di morte e tormento.
La guerra intorno a lui continuava, si ritrovò a guardare un'ultima disperata volta verso i Compagni che riusciva a intercettare.
Avrebbe voluto così tanto rivedere i suoi cari negli Ered Luin, avrebbe voluto crogiolarsi nel ricordo di tutti quei nani – che ora urlavano e si diramavano nella battaglia – che ridevano e banchettavano di fianco a lui, regalandogli un calore che nessun'altro al mondo avrebbe potuto dargli.
Avrebbe voluto vedere ritornare Thorin e suo fratello, e quei giovani Eredi di Durin, tornare vittoriosi con la testa di Azog tra le mani e proclamare la vittoria di Erebor una volta per tutte.
Avrebbe voluto poter dire a Bilbo che – senza di lui – non sarebbero mai giunti nemmeno alla più effimera speranza di vittoria.
Quel pensiero lo rinvigorì così tanto da riuscire ad alzare la spada e urlare contro l'Orco. Si lanciò in avanti con uno scatto irruente proprio mentre l'Orco alzava la scimitarra con un grido stridulo e metallico, pronto a colpire in testa Balin.
Il nano riuscì ad abbassarsi appena in tempo per conficcare la lama nell'addome dell'Orco, affondando con tutta la forza che gli era rimasta, prima di cadere in ginocchio stremato.
La testa gli doleva terribilmente, la stanchezza gli fece annebbiare i pensieri e s'accorse troppo tardi dell'Orco pronto a sferrare l'ultimo attacco, mentre urlava di dolore.
Vide la sua scimitarra grezza alzarsi ancora e tagliare l'aria; così lentamente da risultare un sogno funesto, sentendone il suono come un lieve filo tagliente che portava paura e dolore. Il fatidico suono della morte che stava incombendo, oscurando ogni cosa.
Chiuse gli occhi, sentendo le lacrime scivolare lungo le guance, quando un urlo concitato non ricalcò quel momento facendolo risvegliare di colpo.
Vide Bofur placcare l'Orco con uno slancio talmente irruente da farlo ciondolare di lato, salvando la vita a Balin.
Caddero entrambi di lato, Bofur rotolò un paio di volte prima di bloccarsi a ridosso di alcuni corpi. Non erano corpi degli Orchi, erano nani ed Elfi caduti con onore.
Fece per rialzarsi ma l'Orco gli fu addosso con una prepotenza che non riuscì a fermare.
La ferita che dilaniava il suo addome faceva sgorgare sangue nero su tutta l'armatura di Bofur, la cosa gli procurò un moto di disgusto non indifferente. Provò a scalciarlo via ma quando sentì le sue mani sul collo dovette trasferire tutte le sue forze, cingendo i polsi di quell'essere, alleggerendo quella presa.
Scalciava e si dimenava, cominciando a non riuscire più a resistere. Il respiro mancava e l'oppressione al petto divenne insostenibile. Tentò con tutte le ultime forze rimaste di divincolarsi un'ultima volta, spintonandolo via, ma quello non demordeva.
Stringeva e ringhiava, avvicinando il suo volto putrido al suo così tanto da sentirsi invaso da un tanfo violento. Una mano del nano sgusciò via dalla presa, cercando di afferrare la prima arma a disposizione ma non arrivava a nulla di tangibile, sentiva solo terra e sangue sotto le unghie. Spostò lo sguardo e comincio a sentire le forze mancare, la vista annebbiarsi del tutto.
Ancora pochi secondi e non sarebbe più resistito.
E il volto di Berit si fece strada nei suoi occhi così prepotentemente da non riuscire a evitare di lacrimare.
La vedeva ridere, rubargli il cappello, mordergli la guancia, baciarlo. La vide mentre lo guardava negli occhi, tra i sospiri di quella mattina, sentendosi martoriato da un magone profondo.
«Ventisetteeeeeee!»
Un urlo precedette l'assalto che fece spintonare via l'Orco dalla presa di Bofur. Quello – una volta libero – riprese a respirare così a fondo da non riuscire nemmeno ad alzarsi. Il petto gli bruciava terribilmente e sentiva il cuore rimbombare in gola.
Si voltò di scatto vedendo Berit affondare un pugno sulla faccia di quell'essere, poco prima di spezzargli l'osso del collo con una presa rotante violenta. Con un balzo all'indietro subito si rinsaldò sul terreno e corse verso Bofur, scivolando sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza.
«Maledetto d'un nano stupido! Io ti uccido se provi a farti ammazzare, ti dilanio la testa, te la stacco e la uso per giocare a quel dannato gioco per cui Bilbo si vanta sempre di essere un portento. Te la impacchetto in un fogliame d'insalata così che dovrà rimanere per sempre immersa negli ortaggi, lontanissima dalla carne e dai buoni pasti e poi ti faccio tormentare per l'eternità da un Dori che sarà sempre ubriaco e logorroico, intento a parlare di quanto la muffa nera sia deleteria per le tue dannate vie respiratorie!»
Berit non aveva preso un secondo di respiro mentre incalzava con quel monologo affettuoso alla volta di Bofur. Quello ancora respirava a fatica ma non riuscì proprio a resistere a quel sorriso che gli stava spuntando sul volto.
Quella continuava a guardarlo con aria stralunata, felice e tormentata insieme. V'era un miscuglio di emozioni su quel volto che non riusciva nemmeno a capire quale fosse il più marcato.
«Io sono a trentuno.» Rispose solamente Bofur con un sogghigno, riprendendo a regolarizzare la respirazione. Non aveva risposto volutamente a quell'afflusso di parole, non ve n'era bisogno. Bastava che lei lo guardasse per capire che non avrebbe mai mancato quella promessa, per quanto fosse alquanto irrazionale e rischiosa. Anche solo per evitare di vedere Berit in preda ad attacchi d'isterismo da guerra per l'apprensione che riservava a lui, con quel moto così suo da non poter fare a meno di sentirsi fortunato per quell'attenzione unica.
«Tu dimmi come faccio io ad a- ad a..a...»
Berit si bloccò su quelle parole parole non dette, abbozzando un sorriso alla volta di Bofur quando vide il suo sguardo farsi lucido di nuovo, e si slanciò su di lui per baciarlo con una velocità e una pressione folle. Si crogiolò in quel bacio, assaporando le sue labbra con possessione, ricercando in quel contatto un disperato tentativo di sentirlo ancora vivo, ancora lì, ancora con lei.
Il suo busto si plasmò contro quello di Bofur e l'elmo le scivolò di nuovo davanti agli occhi mentre ancora lo baciava, mordendogli le labbra e ricercando la sua lingua. Le dite gli strinsero la cotta di maglia e si lasciò sopraffare dal battito cardiaco accelerato – finalmente per una ragione ben più felice – prima di scostarsi e aprire gli occhi, restando col volto vicino a quello di Bofur.
Lui aveva ancora perso il respiro ma non certo per colpa dell'asfissia di due mani Orchette.
«Quando tutto sarà finito, credo che sarò pronta a offrirti la mia pinta.»
Soffiò lei con un sorriso pieno prima di alzare lo sguardo su di lui.
Bofur boccheggiò parole sconclusionate, sapeva bene cosa voleva dire una frase del genere. Era meglio di qualsiasi promessa d'amore che avrebbe potuto mai sperare di sentire.
Berit glielo aveva detto, in fondo: "Quando dividerò la mia birra con te, allora comincia a preoccuparti".
Non si stava per niente preoccupando, per quello.

Di nuovo la terra tremò con un boato ed entrambi si voltarono di scatto per guardare in alto. Gli uccellacci neri stavano planando sulla cima di Collecorvo ed entrambi ebbero un grave tuffo al cuore, rialzandosi con velocità.
«Gli altri sono lassù.» Mormorò lei con un soffio e Bofur spostò lo sguardo appena in tempo per vedere Balin arrancare a terra, scivolando via dalla presa di un Orco.
«Questa guerra non la vinceranno loro.» Sibilò il nano con un ringhio più irruente prima di serrare la presa sul suo martello e lanciarsi alla volta dell'Orco.
Questa volta puntò subito alla testa.
Ori, intanto, rotolò di lato e dovette levarsi via l'elmo dalla testa. Era rimasto svenuto per diversi minuti, per colpa di quella botta violenta. ù
Sentiva il sangue scivolargli dalla tempia e la testa stava premendo così forte che non sentiva che suoni ovattati e lontani.
Aprì gli occhi ma fu abbagliato solo da una luce strana. Vedeva figure indistinte che si destreggiavano in colpi violenti, il suono stridulo degli urli degli Orchi e alcuni nani urlare in Khuzdul, attaccando ancora.
E ancora.
Cercò Dori e Nori con lo sguardo ma non riuscì a vederli in nessun schieramento.
Con una fatica disumana provò a rialzarsi ma qualcuno lo scalciò con violenza, facendolo di nuovo cadere di lato.
Uno di loro, della guardia del corpo dell'Orco Pallido.
Strinse gli occhi con una smorfia, riprendendo una grande boccata d'ossigeno, mentre scivolava di lato per evitare un colpo potente.
Fu in quel momento che un altro urlo in khuzdul – più vicino – lo invase.
Dori arrivò con uno slancio violento e provò a colpire l'Orco sul fianco scoperto. Quello riuscì a vederlo prima del tempo e si spostò di lato, colpendolo con un colpo al braccio. Il nano ruzzolò di lato e si scontrò contro alcune teste mozzate, rotolando di lato.
«Doriiii!» Urlò Ori, sgomento, tremando di freddo e di paura.
«Non...non ucciderai Ori. Non ucciderai Ori...non lo farai. Non toccherai mai più mio fratello.» Dori sibilò quelle parole mentre si rialzava con una fermezza insolita. Ori si sentì invaso da una paura oscena, vedeva suo fratello brillare d'un coraggio che non gli aveva mai visto. Il suo sguardo era pieno di una ferocia e d'una rabbia nuove, era intriso di odio e quell'essere rideva come un grattare continuo di lamine sulla gola. Persino la sua risata era marcia quanto il suo aspetto.
«Morirete tutti, feccia.»
«TU MORIRAI SCHIFOSO CHIAPPONE!»
Dori urlò con tutto il fiato che aveva in gola e Ori non credette alle sue parole.
Aveva appena utilizzato il termine “chiappone”?
Non era proprio il momento di pensare ad una cosa del genere ma gli venne da sorridere, nella disperazione di tutto quello. Si sentiva invaso da un senso di protezione così forte che nemmeno un'armatura legata dal mithril stesso avrebbe mai potuto eguagliare una tale corazza.
Un legame così impenetrabile.
Dal nulla sbucò anche Nori che – con un salto da fare invidia agli Elfi stessi – piombò sulle spalle dell'Orco, sguainando la lama che brillava nell'ombra di quel giorno.
«Ori!» La voce di Berit spuntò al suo fianco e se la ritrovò sorridente e scombussolata, col braccio teso verso di lui. «Ma guarda che bel nanetto che ho trovato qui.»
Ori provò a sorridere e tese il braccio verso di lei, aiutandosi a rialzarsi, ma subito lo sguardo si volse alla volta dei suoi due fratelli intenti a martoriare di colpi quel fetido Orco dalla risata gracchiante.
«Ci stanno...travolgendo Berit, non ce la faremo mai. Sono troppi!» Lagnò Ori, arpionandosi al suo braccio con forza. La ferita alla testa ancora gli doleva ma adesso vedeva più che bene ciò che la battagliava stava mostrando loro.
«ATTENTI!»
L'urlo di Dori li fece scattare e Berit spintonò via Ori per evitargli un colpo da un altro Orco, piombato dal nulla. Ori – per l'ennesima volta – si ritrovò a cadere di faccia su un cumulo di detriti e cadaveri. Berit era riuscita a rimanere salda in piedi, trattenendo l'ascia tra le mani.
In quel preciso momento Bofur corse verso di loro proprio mentre brandiva in alto il martello.
«Trentacinque!»
Esclamò quello tutto trafelato, facendo vagare sul volto un sorriso convinto.
Non molto distante la voce di Gloin s'alzò alta, tra le loro teste, urlando. «Quarantadue!»
E in quel momento Berit rise divertita.
Stanca, provata, impaurita; ma rise di gusto, scuotendo la testa con vigore. Di nuovo l'elmo gli scivolò davanti agli occhi.
Non amava perdere - questo dovette ammetterlo - ma nulla poteva mettergli il buonumore quanto quei nani a cui tanto era affezionata crogiolarsi in scommesse di quel genere. Nella forgia della battaglia si sentì completamente fiera e devota alla sua razza come mai lo era stata prima d'ora. 
Fu in quel momento che sentì di nuovo l'urlo dell'Orco.
Con uno scossone alzò di nuovo lo sguardo e il rumore di uno strappo violento le fece sgranare gli occhi, annullando qualsiasi rumore nelle vicinanze.
Aveva lo sguardo piantato su Bofur e una paura folle la invase completamente. 
Gli occhi sgranati del cappellaio restavano fissi in quelli di lei e lo vide annullare completamente il sorriso, bloccare il respiro, venire invaso da un dolore inimmaginabile. Le sue labbra stavano facendo fatica a emettere anche il più debole dei suoni.
«B..berit
Soffiò lui con un flebile suono strozzato, stringendo il manico del martello fino a far sbiancare le nocche stesse.
Berit continuava a guardarlo senza avere più alcuna forza a lembirgli il corpo. Ogni cosa stava perdendo consistenza, non aveva il coraggio di guardare.
Sentiva dietro di lei l'Orco ridere con vigore, ringhiare un soffio d'alito proprio a ridosso della sua guancia.
Lo sguardo le si annebbiò completamente quando lo fece scendere in basso, vedendo la punta d'una lama sgangherata fuoriuscire dal proprio petto, squarciandolo.




*Muori di una morte di fiamme!








 

NA.
Ora preparo un biglietto per il Messico e fuggo, ADDIO!
E' stato bello ma....devo andare!
-fugge-
Ah prima di fuggire ovviamente volevo ringraziare come al solito le mie pulzelle di cui ho seriamente paura a leggere le recensioni dopo questo capitolo!!!! Ma vi mando tantiiiisssimi cuori lo stesso. Scusate per il finale da telefilm-Lostiano ma il prossimo capitolo sarà il più complicato di tutta la storia! E non vi dirò nulla! -si mantiene censuratissima-
E un grazie a chi continua a seguirmi <3 
ps. la citazione del titolo è di "Guida Galattica per Autostoppisti", tipo che Gloin uccide il numero di Orchi perfetto xD tra l'altro film in cui recita il nostro carissimo Martin Freeman, quindi yo!

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Capitolo 45
*** Perdere o vincere? ***


Capitolo 45.
Perdere o vincere?

Il tempo passava inesorabile, portandosi via ogni sfumatura di luce.
Non v'era alcun raggio solare a impreziosire la valle, a far brillare il sangue versato sul campo di battaglia.
Lo stormo nero sulle loro teste continuava a volteggiare e stridere, rombando verso Collecorvo e le rovine di Dale, disturbando gli eserciti.
Un suono grezzo si dipanò in alto e della polvere riprese ad avvolgerli, in sbuffi maligni che danzavano come granelli compatti.
L'aria era arsa, si respirava l'odore del ferro e delle lacrime versate dagli attaccanti ancora in piedi.
Le urla in Khuzdul continuavano a rimarcare la fierezza della razza Nanica e gli Elfi stessi si prodigavano in scatti più irosi, stanchi e provati dalla battaglia.
Avrebbe potuto contare ogni corpo rimasto in piedi, intenti a saltare ed emergere oltre i cadaveri abbruttiti dai colpi.
Bearsi del clangore delle lame e delle scintille cha scaturivano da esse.
Ma Berit non riuscì a sentire nulla di tutto questo.
Volgeva gli occhi verso la battaglia e un profondo dolore si concentrò dal petto, diramandosi fino ad ogni nervo nodoso, impedendole di muoversi.
Sentiva il ringhio fetido dell'Orco che le stava alle spalle e il suo urlare grattato quando sfilò via la lama dal petto, ritrovandosi a indietreggiare col busto per tentare di alleggerire quel dolore folle.
Un fiotto di sangue fuoriuscì dalla ferita e si ritrovò ad abbassare di nuovo lo sguardo, incapace di fare altro.
Entrambe le mani fecero cadere il manico dell'ascia e si ritrovò a sfiorarsi il petto con le dita tozze, sporche di terra e sangue nero.
Subito quel fluido rosso s'infiltrò tra le falangi, imbrattando le vesti della cotta squarciata.
Non seppe dire quanto tempo spese per osservarsi gli arti.
Un secondo o dieci minuti di silenzio assordante.
Ogni suono della battaglia era come una foschia lontana e nebbiosa, percepiva a stento il frastuono che si levò alle sue spalle, il corno degli Elfi suonare ancora in un ultima melodia disperata. Tutto le parve rallentato, un nido di gambe e volti che a stento distingueva mentre la ferita urlava, trafiggendole il petto d'un dolore lancinante.
Sentiva ancora il ferro seghettato della scimitarra dell'Orco, il veleno intriso in essa, l'odore di cui era pregno.
Non aveva avuto più il coraggio di alzare gli occhi e guardare nell'unico punto in cui avrebbe voluto abbandonarsi.
Ma li sentiva addosso – i suoi occhi – come tizzoni talmente arroventati da bruciare fin dentro le ossa.
«Be...Be-»
Il suono della sua voce balbettante, spezzata, le arrivò dritto nella testa e non riuscì a fare a meno di odiarsi, in quel momento.
Si odiava per ciò che aveva permesso.
Per aver abbassato la guardia un solo secondo e aver permesso a quell'Orco di distruggere lo sguardo di Bofur.
Lo sentì di nuovo invocare il suo nome e poi urlare di rabbia.
Fu in quel momento che alzò lo sguardo, tentando di non lasciarsi sopraffare dalla ferita stessa.
Bofur aveva stretto il martello con entrambe le mani e aveva alzato le braccia, impugnandolo con una rabbia che non gli aveva mai visto.
Corse verso l'Orco, digrignando i denti in un ringhio di odio e sofferenza, picchiando con una botta violenta sulle gambe dell'essere.
L'Orco urlò di dolore e s'accasciò in avanti, cadendo con i palmi intrisi nel fango e Bofur riuscì ad alzare di nuovo la testa del martello e colpirlo forte sul cranio.
Il rumore delle ossa spaccate fu un suono talmente soave da lasciarlo carico di un'adrenalina vorace, che lo fece ansimare per lo sforzo.
L'Orco s'accasciò a terra da un lato, con la testa ormai sfondata, uggiolando un ultimo verso di morte.
Bofur alzò ancora la propria arma da botta e tornò ad affondare con un colpo.
E un altro. Un alto ancora.
Urlava e colpiva con tutta la rabbia che aveva in corpo, fino a far dolere i muscoli per lo sforzo continuo a cui li stava obbligando. Le membra dell'essere si stavano sparpagliando a ridosso di tutto lo spiazzo ma lui continuava.
Continuò a colpire, più forte che poteva, ledendo la presa che stava per venir meno.
«Muori! Muori...Muori...» ripeteva con rabbia, mentre colpiva e ansimava, le lacrime cominciarono a premere senza sforzo sugli occhi e non riuscì a controllarle.
Gli rigarono il volto sporco di terra e sangue, ma non importava.
Solcavano ben altro che le guance stesse; corrodevano più in profondità, non lasciandolo respirare.
Con un forte ultimo colpo sfondò completamente il cranio di quell'essere e fece uno scatto all'indietro, riprendendo fiato.
Non riusciva ad inalare ossigeno neanche volendolo.
Si voltò di scatto verso Berit e la vide – in quel momento – ripiegarsi sulle ginocchia, toccandosi la ferita e volgergli uno sguardo pieno di lacrime ma sorridente.
Berit stava sorridendo; una piccola curva sottile e lo sguardo lucido e talmente trasparente, come non lo aveva mai visto, illuminava il volto pallido.
Troppo pallido.
La vide mentre cadeva a terra, impattando con la schiena. Fece un velocissimo scatto verso di lei ma non fece in tempo a raggiungerla che un altro Orco gli fu addosso, imbracciando una lancia spezzata. Non aveva lasciato la presa col suo martello, non ancora, ma le forze lo avevano abbandonato quasi del tutto e riuscì a scansarsi per un pelo, mentre quello affondava la punta irsuta nell'aria. L'Orco con un ringhio riuscì a ciondolare di lato per evitare un altro affondo, non bloccato dal contraccolpo.
Bofur tentò di colpirgli la lancia con un colpo da botta ma gli sfuggì la presa con la propria fida compagna e finì per slanciarsi in avanti, cadendo a terra.
Gli scivolò persino via il cappello dal capo.
L'Orco gracchiò una risata fastidiosa e si erse con busto impettito e il mento rialzato, allargando le braccia con aria vittoriosa. Dell'aria gelida sgusciò via dalla sua bocca velenosa, condendo l'aria con parole malate e nere, mentre piantava uno stivale contro la schiena di Bofur.
Lo bloccò a terra e quello cominciò a divincolarsi, tentando di colpirlo per fargli cedere l'equilibrio.
Non vi riuscì.
Tentò una presa ferrea col terreno, strusciando in avanti col busto per arrivare a riprendere il martello ma le dita non riuscivano ad arrivarci. Urlò di rabbia con tutta la voce che aveva in corpo mentre allungava il braccio quanto più poteva.
Sapeva che l'Orco stava puntando la lancia contro la sua schiena, lo sentiva grugnire parole, premere con più fermezza quel lurido piede contro la sua schiena e si sentì invaso da una paura logorante.
Continuava a vedere il sorriso di Berit di poco prima e altre lacrime gli scesero lungo le guance, bruciandogli la pelle ferita.
Ma poi un singhiozzo gli uscì dal petto ed evitò di pensare.
L'aveva vista cadere a terra, immersa insieme agli altri cadaveri della battaglia, come un fantasma solitario.
Non l'avrebbe mai lasciata andare via da sola. Non così. Non adesso.
Con uno strattone tentò di rotolare su sé stesso ma il gesto gli uscì molto più complicato del previsto.
L'Orco ciondolò per un solo istante prima che un urlo più irruente fece capolino da dietro le sue spalle.
L'essere dalla pelle nera emise un urlo strozzato, inarcando la schiena.
Sciolse ogni forza dal corpo e scivolò di lato, ruzzolando a terra – morto - come solo la feccia doveva essere.
Dietro questo si erse Bombur, coperto di sangue nemico dalla testa ai piedi, persino la sua barba rossiccia non era più tanto rossiccia.
Ansimava per la corsa e aveva l'ascia piantata sul fondoschiena dell'Orco, perfettamente in linea.
«Bofur!» Esclamò il nano panciuto mentre gli fu addosso per issarlo. Intravide anche il copricapo così tanto affezionato e subito lo afferrò con uno slancio.
Mentre glielo infilava in testa s'accorse di quanto era stato poco attento e subito sgranò lo sguardo, perplesso, lasciandosi invadere da un brutto pensiero.
Bofur stava piangendo a dirotto e non sembrava nemmeno che lo stesse vedendo realmente. Che si rendesse conto di dove fosse.
«Bo...Bombur.» Biascicò il cappellaio tentando con tutte le sue forze di scucire un sorriso ma non vi riusciva.
Il fratello notò le sue mani tremare e gliele prese tra le proprie, guardandolo con apprensione.
«...Bofur?» provò a richiamarlo ancora ma quello aveva – di scatto – volto lo sguardo altrove.
Dov'era finito il suo fratellino pieno di buonumore e sorrisi?
Lo aveva visto conteggiare gli Orchi mentre li uccideva e sembrava essere successo solo due minuti prima.
Erano – assolutamente – passati solo due minuti.
Che cos'era cambiato?
«Berit! Berit...è stata...Bombur devo salvarla
Bofur sgusciò via dalla presa del fratello e corse con uno scatto irruente verso la nana che ancora stava distesa a terra, con gli occhi chiusi e senza più alcun sorriso sul volto.
Bombur si sentì impallidire quando intercettò tutto questo e smise ben presto di porsi domande mentali.
Un altro rimbombo fece tremare la terra, in quel momento, e quando si volse vide un mannaro corrergli incontro, aprendo le fauci.


 


 


 

Aprì gli occhi e vedeva i pipistrelli volteggiare sulla sua testa.
Il dolore le trafiggeva il petto, non facendola respirare, bruciando in profondità.
Se quella era solo una piccola sensazione di quello che aveva potuto provare Kili, con la ferita alla gamba, si chiese come fece a resistere per tutti quei giorni.
Era insopportabile, dilaniava la testa, i sensi stessi.
Non poteva pensare che quel testardo di un moro non avesse detto niente in proposito.
Anche se – a pensarci con attenzione – il colpo d'una freccia era assai diverso dall'essere trafitti da una scimitarra sgangherata.
Ma il pensiero non era ragionevole, in quel momento.
Apriva gli occhi e vedeva lo sperone della Montagna adesso, alcuni detriti ancora scivolavano via per i colpi e la terra tremante.
Ripensò ad un indovinello che gli fece Bilbo, una delle tante notti davanti ad un falò caldo, che la fece restare sveglia per tutta la notte.
Domanda al mentitore: menti, quanto dici di mentire?
Aveva ben pensato a così tante soluzioni che la sua mente – probabilmente – non aveva più lucidità adeguata per riuscire a distinguere una risposta buona da una cattiva. Si era persa in mille ragionamenti illogici e logici insieme, aveva persino provato a pensare nella stessa maniera con cui Bilbo, di solito, si dilettava quando veniva invaso da una buona idea. Che per loro buona non era quasi mai, ma d'altronde la diffidenza iniziale se l'erano potuta permettere. Ma non col senno di poi.
Aveva picchiettato la fronte con l'indice e aveva strizzato tutti gli occhi, evitando di pensare come Berit ma di pensare come Bilbo.
Il mentitore potrebbe mentire quando dice di mentire ma se mentisse realmente allora, la risposta, sarebbe alquanto azzardata visto che qualsiasi risposta lui possa dare sarebbe – effettivamente – una bugia. Ma quindi se lui affermasse di mentire posso ben dire che non mente quando dice di mentire a meno che non stia non mentendo sul fatto che la menzogna, nella sua consistenza, in fondo racchiude un cenno di verità e quindi è insolitamente azzardato presupporre che non fosse una bugia ma solo una mezza bugia.
Non era riuscita ad arrivare ad una risposta finale e – ala fine – aveva mandato Bilbo a "infangarsi nelle sue trovate mentali" e s'era messa a canticchiare una canzone rocciosa.
Bilbo aveva riso molto per quello, aveva constatato che Berit non era proprio propensa a perdere, che fosse per una scommessa o qualsiasi altra cosa. In fondo i nani sono molto orgogliosi, lui stesso non tornava a casa di buonumore se non riusciva a vincere al lancio della castagna alle festicciole della Contea. Chissà se sarebbe mai riuscita a vincere ad una di quelle, magari poteva azzardarsi a pensare di palesarsi a Hobbivile per il solstizio d'estate. Avrebbe fatto caldo, in quel periodo, e il sole sarebbe tramontato dietro le colline.
Era un bel pensiero, in fondo.
Si chiese – in quel lasso di tempo – se fosse il caso di chiamare tutto questo "delirio da ferita", quando una fitta più acuta non l'arpionò del tutto da quel groviglio di pensieri.
Quando aprì gli occhi una terza volta si rese conto di essere arrivata a ridosso di una massa rocciosa che copriva una buona parte del valico, proteggendola da un qualsiasi attacco potesse venire dall'alto o di fronte. Alcuni cadaveri di Orchi ed Elfi erano ancora lì, a macchiare la valle, ma lei si ritrovò distesa in una zona piuttosto pulita, se non per alcuni detriti rocciosi sotto il corpo. Qualcuno la stava letteralmente trascinando via dalla battaglia, trattenendola da sotto le braccia. Quel gesto le provocava un profondo dolore alla ferita ma non sarebbe di certo cambiato molto, se fosse rimasta ferma.
«Berit non perdere i sensi, ci siamo...ci siamo quasi. Devo solo...»
Sentiva la voce di Bofur provenire alle sue spalle e rialzò lo sguardo giusto per intercettare il suo volto. Avrebbe preferito non farlo, col senno di poi. Vedere le sue lacrime, quel volto tormentato e sporco di sangue, era una fitta ancora più dolorosa di quella bruciante ferita.
Lo sentiva ansimare e non era sicura che fosse al pieno delle forze, visto il modo in cui stava cercando di trascinarla via dalla battaglia. 
Era rimasto ferito?
Quel pensiero le fece fare una smorfia più contrita e chiuse gli occhi, ritornando a crogiolarsi nei suoi vaneggi.
«Bofur...credo che sia ora di inventare...un altro gioco, non credi?» Sussurrò lei con voce lamentosa.
Il sapore del sangue stava cominciando a risalire su per la gola e il volto le si contrasse in una smorfia di disgusto.
Bofur smise ben preso di tirarla e s'accasciò a terra, impattando con le ginocchia, mentre le braccia l'avvolsero in una presa molto più dolce ma ferma, stringendola e lasciandola sdraiata sulle proprie gambe.
«Cosa?» Domandò lui, puntando lo sguardo su di lei.
Averla sentita parlare aveva riacceso in lui qualcosa di forte.
Tentava di regolarizzare il respiro nel petto ma non vi riusciva, era continuamente tormentato da un pensiero ben più profondo da riuscire ad estirparlo.
«Inforca la forchetta.» Mormorò lei con un lieve sorriso sulle labbra. Provò a sorridere di più ma il dolore non glielo permetteva.
Bofur pensò che quello era il suo massimo, in quel momento, e la cosa gli fece un male tremendo.
«Sembra un gioco stupido.» Mormorò lui, sentendo di nuovo le lacrime salirgli agli angoli degli occhi. «Non dovresti inventare i giochi, non sei tanto capace. Quella è la mia specialità.»
«Credi che Bofur...si arrabbierebbe molto?»
Quella domanda lo fece impallidire di colpo, senza un'apparente ragione. La strinse ancora di più, lasciando vagare lo sguardo sul suo volto. La vide chiudere di nuovo gli occhi e abbandonarsi completamente alla sua presa. Il nano voleva scivolare con una minuzia assoluta su tutti i dettagli di quel viso. Ogni difetto, ogni pregio, ogni piccola ruga d'espressione o particolare cambiamento facciale nascosto dietro parole non dette.
Era bravo, in quello, in fondo.
«Per...per cosa?» Sussurrò lui, pigiando le labbra tra loro. Spostò con titubanza lo sguardo sulla ferita sul petto di lei. L'ombra di quella scimitarra era ancora lì, a tormentargli la vista. Era il riflesso di un istante mancato, infranto nella memoria d'una mente che non sarebbe mai stata più la stessa.
«Se, per una volta, vincesse lui la...la scom...»
La voce di Berit sfumò via mentre la sua testa scivolava di lato. Bofur allargò lo sguardo, rialzandole il capo con una pressante presa dell'avambraccio. Una mano prese a dargli anche dei colpetti sull'elmo, di quelli fastidiosi, ma poco forti.
«Berit, no...non perdere i sensi, rimani con me. Segui la mia voce.» Incalzò lui frettoloso e quella riaprì gli occhi con lentezza.
Era difficile anche solo rimanere a guardare ancora.
Le dita di Bofur scivolarono fino a sfiorare i lembi del tessuto martoriato, si macchiarono di sangue e tenne premuto il palmo contro la sua ferita, pigiando la guancia contro la sua tempia. «Troverò Oin, non appena tutto questo sarà finito. Lui non perde mai nessuno, lo sai. E...Gandalf. Anche Gandalf. Ti farà una di quelle cose con le mani che ti fa tanto ridere
Sentiva la mano di lei muoversi lentamente fino a rialzarsi con fatica, poteva sentirla strusciare sotto i suoi movimenti – con una delicatezza che non le competeva – ritrovandosi a sentire il suo tocco leggero sul taglio della mascella, sfiorarlo fino a riscuoterlo da ogni pensiero lo stesse trafiggendo in quel momento. Sapeva che Berit odiava perdere, non si sarebbe arresa così facilmente. Per quanto onore ci sarebbe stato non avrebbe mai sopportato di andarsene per mano di un Orco.
Scostò appena il volto e la lasciò fare, restando a guardarla con un'intensità senza pari, raggelato da uno sferzante vento d'inverno.
Sembrava ancora più freddo.
«Dov'è...dov'è il tuo sorriso, Bofur?»
Il nano non poteva di certo accorgersi del cambiamento del proprio volto, se avesse dovuto riflettere la sua anima sapeva che c'era ben poco spazio per qualsiasi pensiero lontanamente felice. Sentiva le lacrime scendere copiose ai lati delle guance, morendo sui baffi scuri, salandogli la pelle sporca.
Ma ci provò. Provò con tutte le sue forze a piegare gli angoli delle labbra e sorridere.
Non era sicuro che, quell'espressione, non fosse solo una patetica imitazione di esso.
«Sto sorridendo.» Rispose lui con poca sicurezza, continuando a piangere.
Lei fece strusciare le dita sul suo volto e rubò alcune lacrime silenziose, bagnandosi i polpastrelli. Lui provò un brivido intenso e socchiuse gli occhi, lasciando strusciare il volto su quel contatto, lasciando beare la pelle da tutto quel martirio.
Di nuovo la strinse a sé con più forza, cercando di percepire ogni stilla di calore che da questo poteva rubare.
Berit chiuse gli occhi di nuovo e si lasciò andare ad un colpo di tosse più forte e una nuova smorfia le colorò il viso.
Lui trattenne il respiro.
«Resisti, ti prego. Devi resistere ancora un po'. Presto ti porterò da Oin. Molto presto.»
«Una volta...una volta ho minacciato Bilbo, lo sai?» Cominciò Berit, inarcando le labbra in un sorriso. Prese una leggera pausa in cui Bofur gli levò via l'elmo, poggiando la guancia sulla sua testa bruna. S'era attorcigliata i capelli in due trecce scomposte; s'era dovuta preparare in gran fretta all'alba di quel giorno, dopo quel loro veloce e intenso legame.
Quel pensiero lo trafisse in pieno petto.
«Eravamo...a Gran Burrone. Gli ho detto...gli ho detto che non doveva più toglierti il sorriso. Tu devi farlo sempre, è...ciò che mi....» Berit soffiò via una risata strozzata, interrompendo il dire che sfociò in un ultimo colpo di tosse. Bofur chiuse gli occhi e tirò su col naso.
Dov'era finito il suono cristallino di quella risata? Perchè non riusciva a ricordarlo, ora?
«Credo...credo si sia spaventato.»
«Sei sempre stata crudele.» Biascicò lui con voce rotta, continuando a tenere gli occhi chiusi. Ma le labbra provavano a mantenersi arcuate, sul volto martoriato, e si scostò giusto per aprire gli occhi e guardarla in volto. Lei stava ricambiando lo sguardo e sorrideva.
Stava provando a ridere, in realtà, trattenendo la mano sul volto del nano.
«L'ho visto prima, Bofur, ed era...era vivo. Sta bene.» Soffiò lei con un rantolo più basso, piegando le labbra in una smorfia. Bofur abbassò di poco il capo verso di lei e quasi sfiorò la punta del naso suo naso col proprio. Sapeva perché glielo stava dicendo; gli era mancato molto Bilbo, in quei giorni, aveva percepito nell'aria la mancanza di quel piccolo scorcio di semplicità che aleggiava ogni qualvolta Bilbo rompeva il silenzio con qualche domanda. O anche solo ascoltandoli parlare, immerso nella sua vestaglietta.
«Mi sono...mi sono dimenticata di dargli la mappa.» Sussurrò Berit.
Bofur sentiva le labbra tremare ma continuò a tenerle strette in quel sorriso forzato, doveva trattenerlo per lei.
Lo avrebbe fatto a discapito di quanto avrebbe voluto urlare, in realtà.
«Lo farai non appena ti rimetterai in forze, d'accordo? Vedrai come sarà felice.» Alzò la mano per posarla sul suo viso e le sorrise con tutta la forza interiore di cui disponeva, carezzandola dolcemente. Gli occhi non facevano che vagare sui suoi; voleva ancorarsi a questi ancora, fino a che quell'ombra scura non fosse stata scacciata dal cielo, facendo filtrare la luce d'un nuovo giorno.
«Sai...tu lo sai che Bilbo...Bilbo non avrebbe mai potuto togliermi il sorriso. Non-» Bofur si bloccò alcuni istanti in cui sentì il cuore tremare dentro al petto e la forza di tutto quello venirgli meno. La sentiva continuamente tentare di arpionarsi a lui con quelle carezze delicate sul volto. «...non poteva farlo perché sei sempre stata tu il mio sorriso. Non potrei mai perderlo perché...ho te
Lei sorrise pienamente. Il suo volto s'illuminò di una luce diversa, più matura, quasi incisa sotto quel profondo strato di terra e sangue. Il suo sguardo rifletteva ciò che un solo nano poteva capire, quando nell'animo si innalzava pressante la consapevolezza di aver scelto qualcosa per tutta la durata dei secoli. E anche oltre questi, nel segreto di Eru Ilúvatar, aspettandol'eternità.
«È la frase più stupida e ...smielata che tu potessi mai dire, Bofur.» Lo schernì lei, snudando i denti tra le labbra screpolate, facendo morire l'ennesimo rantolo di una voce incrinata.
Bofur riuscì a soffiare via una risata carica di tormento, facendo sgorgare altre lacrime dal volto già inciso.
La strinse con forza, socchiudendo gli occhi e inspirando appieno l'odore che lei era solito portarsi. Anche in quel momento.
«Ma è per questo...che ti amo.» Aggiunse lei in un soffio più basso, chiudendo gli occhi e lasciandosi sopraffare da quelle parole. Fu in quel momento che anche lei cominciò a piangere, all'ombra di quel sorriso. «Ti amo tanto, Bofur.»
Lui aprì di scatto gli occhi fino ad ingigantirli. Tutte le lacrime che poteva spendere in quel preciso momento sembrarono cessare la loro corsa verso il terreno. Il cuore gli si sciolse nel petto e dovette controllare a forza la pressione che esercitava; era un rimbombo piacevole e doloroso. Abbassò il volto con rapidità, prima di averla guardata a lungo, senza riuscire a dire una parola.
Posò le labbra su quelle di lei in un bacio pressante e si staccò giusto un secondo, premendo la fronte contro la sua, mentre le stringeva le vesti e si arpionava con tutta la mente a quel delicato e agonizzante momento.
«Ti amo anche io, Berit.» Soffiò sulle sue labbra, in una confidenza che valeva solo per loro, chiudendo gli occhi. Nessun rumore della battaglia poteva sovrastare quel momento. V'era stato l'ennesimo slancio, oltre il limite che loro stessi avevano delineato, arrivando a qualcosa che nessun'altro poteva anche solo comprendere. «Ti amo...ti amo
Che cosa aveva detto, quella mattina?
Non dirlo prima della fine, o sembrerà l'impulso disperato di una mente che vuole aggrapparsi all'ultima stilla di tempo per non rimpiangerlo mai.
E aprì gli occhi, ricercando ancora le sue mani. Non l'aveva sentita scivolare via dal suo volto con le dita, pochi secondi prima, e il sorriso stava già ritornando a espandersi con naturalezza, tra le mille lacrime taglienti.
Ma Berit non sorrideva. Aveva il capo rivolto da un lato e gli occhi chiusi.
Bofur pressò la mano contro la sua ferita e la scosse per un secondo, allargando lo sguardo.
«Berit?» La chiamò con un soffio, scostando di poco il volto. Lei non gli rispose.
Continuò a scuoterla lievemente, cominciando a sentire qualcosa rompersi dentro di sé.
«Berit?...Berit svegliati, non perdere i sensi...non...»
Ma lei non apriva gli occhi e il bruciore di quelle lacrime ritornò prepotente ad asfissiarlo. Le sue mani continuavano a scuoterla e il volto aveva perso l'ombra di qualsiasi sorriso, di qualsiasi lucentezza. A stento pensava di respirare, non più in grado di sopportarlo.
«Berit...ti prego dimmi che mi hai sentito. Dimmi che stai ascoltando la mia voce. Non...non...Non devi allontanarti da me, ricordi? Non farlo...Abbiamo il nostro quindicesimo finale. Mi devi...offrire la tua birra e devi dare la mappa a Bilbo. Quindi svegliati, adesso. Muoviti, Berit!» Continuava a biascicare ininterrotto, mentre la paura lo aveva avvolto completamente. Abbandonò il volto contro il suo capo, chiudendo gli occhi con forza. «Devi diventare la nana Bofur.»
I singhiozzi cominciarono a martoriargli il petto e si sentì sopraffare da un dolore così travolgente da non permettergli di ragionare.
La strinse ancora, le toccò il viso, insinuò le dita tra i suoi capelli intrecciati.
Lei non reagì a nessuna di quelle parole, il suo petto non si sollevava e lo sguardo rimaneva chiuso e ormai lontano.
«Non lasciarmi
Soffiò un'ultima volta, con tono disperato, prima che un verso acuto, dall'alto, rinvigorì il cielo.
Alzò di scatto gli occhi arrossati e spenti e – quando la luce si impadronì ancora del luogo – s'accorse di non riuscire a sopportarla.
Le Aquile stavano planando sulla Battaglia, volteggiando le loro possenti ali e caricando gli Orchi, disseminando i corpi dei pipistrelli che agguantavano tra gli artigli.
Erano molte e sapeva che erano le stesse giunte dalla cima a Nord, un ricordo che adesso gli sembrò doloroso come non mai.
Fu in quel momento che un urlo straziante scivolò nella valle.
Un urlo di una voce che lui avrebbe riconosciuto, proveniente da Collecorvo.
S'abbandonò a quel dolore e piegò la testa, decidendo di allontanarsi da tutto, mentre stringeva al petto il corpo di Berit, bagnandolo di lacrime.
Aveva perso.

 





NA.
Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace ç_ç non odiatemi. So che sono stata un mostro, non dovevo! I knooow. Però io sono una di quelle che – le storie d'amore – non riesce a farle finire bene. Sono una fan delle love-story Spartacusiane per una ragione, d'altronde! Ma sappiate che non tutto è perduto, il mio personaggio non mi abbandonerà così. In un qualche modo continuerà a esserci, ve lo promettoooo. Ho iniziato a scrivere di lei per gioco, e si vede visti i miei primi capitoli com'erano strutturati, poi ho cominciato a vederla con sempre più frequenza, ho cominciato a pensare a lei con un background, con un motivo per cui fosse caratterizzata così e – pian piano- l'ho fatta un po' emergere. Spero di non averla snaturata con questo ultimo capitolo, d'altronde credo che non si sarebbe mai fatta scappare un “ti amo” se non fosse stata conscia che era l'ultima cosa che avrebbe detto a Bofur. Vi posso dire però che io ho iniziato la storia sapendo che sarebbe morta alla fine ç_ç cioè non sono mai stata deviata, nemmeno quando ho cominciato ad affezionarmi a lei e adesso mi sto odiando particolarmente per questo Mi mancherà moltissimo!
Questo capitolo doveva venire molto meglio di così ma credo di non riuscire più a rileggerlo per migliorarlo!
ps. Io sono già fuggita in Messico, ho cambiato nome, nazionalità, sesso, volto, faccia, ho le branchie, vivo coi pesci, parlo con balene, addio!
pps. Il finale anticipa ciò racconterò meglio nel prossimo capitolo. Non ho dimenticato i nostri disperati a Collecorvo. Dovevano comparire in questo capitolo MA....bè!
Ringrazio tantissimo Daenerys21 per avermi messo nelle storie preferite <3 e poi ringrazio anche le mie solite donzelle e quelli che leggono in silenzio! 

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Capitolo 46
*** Tutto si ferma ***


Capitolo 46.
Tutto si ferma

Bilbo continuava a tenere alto il naso verso le Aquile danzanti nel cielo.
Camminava lentamente, vicino allo Stregone Grigio, e la testa gli doleva terribilmente.
Sentiva il sangue scivolargli sulla tempia sporcandogli i ricci ribelli e i piedi – nonostante la loro pelle dura – erano martoriati da piccoli graffi. Il freddo continuava a penetrare fin dentro le ossa, lo costringeva a stare stretto nella sua veste. Era obbligato a stringere le braccia allo sterno per bloccare il busto dal continuo tremore. Gandalf era silenzioso e martoriato come un povero vagabondo; aveva il braccio malandato, il cappello a punta era piegato e la sua barba grigia era sporca di detriti e tutta arruffata.
Nessuno aveva detto una sola parola mentre discesero dalla cima di Collecorvo.
Non v'era bisogno di dire niente. Il loro silenzio era più penetrante di qualsiasi parola potessero mai dire.
Camminarono lentamente, scavalcando cadaveri, evitando di scivolare sul sangue e sui resti che deturpavano la valle. Il piccolo hobbit non aveva il coraggio di abbassare lo sguardo per osservare quella scia macabra che si stagliava a ridosso della Montagna.
Sentiva il pianto di quella valle come uno strazio continuo, una ferita troppo profonda da lenire, nonostante la Montagna s'ergeva maestosa nella sua imponenza.
Guardava le grandi Aquile del nord e le lacrime gli scendevano sottili sulle guance sporche.
Che cosa avrebbe mai potuto fare?
Era andato ad avvisare i suoi amici su Collecorvo dopo che l'Elfo biondo e Tauriel giunsero a Dale con nuove infauste notizie su Bolg.
Era riuscito a convincere lo Stregone a percorrerne la cima per avvertirli, dopo non poche suppliche.
Aveva utilizzato il suo Anello un'ultima volta e lo aveva sentito doloroso, al dito. Aveva visto qualcosa, mentre si celava alla vista, e la voce che richiamava il Tesoro era tagliente e fastidiosa. Gli si era aggrappata al cuore e, ancora adesso, ne percepiva i rimasugli come un graffio continuo.
Nel male di quella sensazione, almeno, era riuscito a raggiungerli un secondo prima che la guardia del copo di Bolg giungesse per uccidere la stirpe dei Durin. Non ricordava nulla di quello che successe là sopra dopo che Fili e Kili si separarono per perlustrare la zona. Ricordava solamente Thorin intento a marciare sugli Orchi e Dwalin proteggerlo da un colpo; ma non fu abbastanza.
Venne colpito e perse conoscenza per un tempo che gli parve indefinito.
Non era nemmeno sicuro che quello fosse lo stesso giorno. Ma sapeva che lo era, lo sapeva.
Un'ultima volta le Aquile volteggiarono sopra di loro, urlando col loro canto tra le nuvole arancioni, mentre sorvolavano la zona.
Gandalf, in quel momento, emise un sospiro e lui si voltò a guardarlo.
Non avrebbe voluto farlo, in realtà. Lo Stregone stava trasportando un corpo e sapeva bene di chi fosse.
Il corpo di un nano che non era nemmeno riuscito a salutare, a rivedere, a risentire.
Gli si strinse il cuore e le labbra si ripiegarono in una smorfia dolorosa, mentre si decise a voltare lo sguardo alle sue spalle.
Beorn, il mutapelle, era giunto insieme alle Aquile in loro soccorso; incedeva lento trasportando il corpo di un altro nano.
Non v'era bisogno di chiedere per sapere che aveva combattuto contro qualcosa di pericoloso e forte. Per quanto fosse molto alto e robusto era pieno di ferite e lo sguardo stanco e appannato. Di fianco a lui incedevano lenti due nani.
Uno più stoico, ancora reggeva l'ascia in una morsa stretta e gli occhi erano pieni di lucentezza.
Orgoglio e tormento, intrisi dalla perdita di quel giorno.
Bofur gliel'aveva detto, nelle grotte delle Montagne Nebbiose,
quando qualcosa ci manca tendiamo a portarlo come un’incisione sul volto
e sapeva che, quella, sarebbe stata l'incisione più marcata di tutte.
Qualcosa da cui non si può sfuggire, che cresce dentro fino a gestire ogni altra cosa.
Erebor era di nuovo loro ma cosa poteva mai essere, ora, se la Compagnia s'era spezzata?
Bolg e Azog erano stati uccisi ma lui non aveva visto nulla di tutto ciò; sapeva che Thorin aveva lottato con onore, era proprio da Thorin rischiare la propria vita pur di non soccombere sotto le mani di colui che aveva ucciso il suo parente. Il figlio di Azog era stato spezzato dalla ferocia di Beorn; Gandalf era riuscito a raccontargli qualcosa dopo l'ultimo saluto.
Quell'ultimo saluto.
Chiuse gli occhi e sentì di nuovo le lacrime scendere sulle guance mentre per poco non incespicò tra i piedi di un Orco morto.
Era spappolato, maciullato, spezzato. Qualcuno era stato talmente irruente e rabbioso da non lasciare granché, di lui.
La cosa gli procurò un fastidio violento e dovette sopprimere un moto di nausea.
La testa gli girava terribilmente e alzò una mano per afferrarsi alla tunica di Gandalf. Quello gli rivolse un'occhiata mortificata ma non disse nulla, si limitò a fare un leggero cenno col capo, sperando di potergli regalare anche solo una piccola stilla di coraggio.
Ancora tratteneva il corpo tra le mani e Bilbo s'azzardò a guardare il nano esanime tra esse, inspirando profondamente.
I suoi capelli scuri erano sporchi di sangue e il volto era pallido, contornato da due occhiaie violacee sotto agli occhi. Qualcuno aveva lasciato nella sua mano chiusa una piccola runa dalla forma arrotondata.
Non ricordava di avergliela mai vista ma doveva essere stato importante.
In quel momento ebbe il coraggio di posare gli occhi sull'altro nano che camminava di fianco a Beorn.
Fili non aveva più alcun tipo di sguardo. Aveva pianto – aveva urlato – ma le lacrime erano diventate aride e il suo cuore non era più in grado di donargli ancora qualcosa. Non era più con loro; era spento e vuoto.
Bilbo avrebbe voluto fare qualcosa – qualsiasi cosa – pur di cambiare quel momento.
Ma come poteva farlo se l'unica cosa che riusciva a provare era dolore?
Non era nuovo a quella sensazione pressante, aveva provato lo stesso quando sua madre e suo padre erano venuti a mancare, e adesso era tornata fulminea pronta ad aprirgli il petto e a strappargli il cuore. Non avrebbe mai pensato di poter riprovare una cosa del genere per qualcuno che non appartenesse alla sua famiglia.
Per dei nani.
Nani così diversi da lui, così irruenti, testarti, combattivi e tenaci. Così avidi di potere ma anche così leali e coraggiosi. Così sboccati e rumorosi. Nani che gli avevano rubato il cibo, che gli avevano intasato le tubature, che lo avevano riempito di insulti.
Quei nani che ora gli erano così affezionati, per la quale – lui – avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Si ritrovò a stringere la ghianda che ancora teneva in tasca e sentì le lacrime bruciare sulle guance.
 Vedere le Aquile non aveva aiutato per niente, per quanto fosse ben felice della fine di quella battaglia.
Il ricordo di quell'abbraccio con Thorin lo stava distruggendo, adesso. 
Vederlo tra le braccia di Beorn, senza più vita, era troppo da sopportare.
Vedere Kili tra le braccia di Gandalf, senza più vita, aveva dato il colpo di grazia a quel momento.

Ancora avanzavano lentamente e Bilbo cominciò a puntare lo sguardo verso la valle.
Alcuni Elfi stavano marciando via dalla guerra, raccogliendo i feriti da terra e portandoli negli accampamenti degli Uomini e degli Elfi stessi.
La luce del tramonto illuminava la zona e la terra s'innalzava ancora in una piccola nuvola di vento, facendo brillare la valle. V'era un che di magico e onirico in quella visuale, un respiro di pace ancora legato al tormento della battaglia. Ma Bilbo non trovò conforto in questo; non v'era niente di caldo in quella luce, nonostante alcuni canti Elfici e Nanici cominciarono a levarsi sul cielo, alleggerendo l'atmosfera.
Nonostante la vittoria non erano canti felici, erano malinconici e nostalgici, ogni parola carica di un sentimento che non sarebbe mai stato dimenticato.
«Gli attaccanti commemorano le loro morti. Saranno ricordati per sempre, per aver affrontato e sconfitto qualcosa di molto potente.» Mormorò Gandalf, con una smorfia di dolore. Il braccio rotto gli doleva ma continuava – imperterrito – a trattenere Kil tra le braccia. «Grazie a questo il futuro sarà meno difficile.»
«Sarebbe stato più bello commemorare la loro vita.» Rispose Bilbo con tono flebile, posandosi la mano sul capo sanguinante.
In quel momento s'accorse di alcuni nani incedere piano, davanti a loro. Erano Dori e Nori, stavano tentando di trasportare un Ori malconcio verso un gruppetto di figure lontane. Riuscì a trovare un piccolo barlume di buonumore – in tutto questo – sentendo il sorriso farsi strada di nuovo sul volto. Non tutto era perduto.
Alcuni di loro ce l'avevano fatta, ne erano usciti malconci ma vivi.
Bilbo strinse la tunica di Gandalf e la tirò leggermente, ridestando la sua attenzione.
Ma lo Stregone già stava guardando oltre, con lo sguardo luminoso e attento.
«Hai visto, Gandalf? Ci sono...» fece per dire Bilbo ma un rumore lo bloccò all'istante.
Dwalin era avanzato avanti, frettoloso, incedendo fino a sorpassare sia Gandalf che Bilbo stesso. Aveva lo sguardo puntato verso un piccolo punto a ridosso di una roccia, non molto distante dal valico della Montagna. Aveva notato qualcosa che a Bilbo era sfuggito fino ad allora.
Anche Fili fece un passo in avanti ma evitò di sorpassare Gandalf. Lo hobbit sapeva che non era pronto a lasciarsi andare ad un saluto definitivo verso il fratello, non aveva abbastanza forza per riportare su di lui lo sguardo; lo poteva sentire senza bisogno di una conferma.
Da alcuni punti vide spuntare anche Oin e Gloin, un malconcio Bifur e quando spostò lo sguardo su Balin – proprio a ridosso della roccia – lo vide seduto, intento trattenersi il braccio, con lo sguardo rivolto altrove.
«Ce l'hanno fatta.» Mormorò Bilbo poco prima di ammutolirsi completamente.
Dwalin aveva gettato l'ascia a terra con irruenza e aveva cominciato a correre verso i suoi Compagni, lasciando gli altri indietro.


 


 


I suoi passi rimbombarono nel terreno umido e arrivò con irruenza alle spalle del fratello. Balin sorrise non appena notò la giunta di Dwalin ma nulla v'era della sua solita curva sul volto; era stanco e provato. Scosso ancora dalla morte che aleggiava prepotente su di loro. Dwalin gli mise una mano sui capelli bianchi e gli diede una carezza fraterna. Subito notò lo sguardo del fratello, intriso di lacrime ancora fresche.
Dwalin non disse una parola, riflesse la sua stessa mestizia ma il volto s'impallidì ulteriormente quando spostò lo sguardo sulla scena davanti a sé.
Vide Bofur stretto nel corpo di Berit, con il volto premuto contro il suo collo e la schiena ricurva.
La stringeva nonostante Bombur continuava a tirargli un braccio, pressandolo con delle leggere pacche.
«Bofur...devi venire con me, ora. Sei...sei ferito.» Mormorò il nano panciuto, guardandolo. «Devi...devi lasciarla andare.»
Ma Bofur non si staccava, continuava a stringere Berit. Non rispondeva ai richiami del fratello, rialzava le spalle quando si sentiva toccare o tirare, abbandonandosi nei suoi singhiozzi personali.
«No.»
La voce di Dwalin ruppe il silenzio creato dai due e Bombur si voltò di scatto, staccandosi dal fratello.
Fu in quel momento che Bofur alzò lentamente il capo e puntò lo sguardo piangente contro quello di Dwalin.
Questo non aveva versato una sola lacrima, nonostante lo sguardo pieno di agonia d'una sofferenza che già lo martoriava.
Subito si slanciò verso di loro, impattando le ginocchia a terra e guardando alla volta di Bofur con occhi sgranati.
Fu in quel momento che Bofur staccò una sola mano dal corpo di Berit e se la passò sul naso arrossato, sfregandoselo con prepotenza. Gli doleva il viso, sentiva l'odore del sangue e gli arti stanchi tanto quanto mai prima d'ora; neanche dopo ore e ore di intenso lavoro.
«Ho abbassato la guardia.» Riuscì a sussurrare solamente, piegando le labbra in un'altra smorfia di dolore. «Ho...permesso che succedesse. Ho...»
Ma Dwalin non aveva alcuna rabbia nello sguardo, lo aveva abbassato immediatamente su Berit e aveva allungato le braccia per afferrarla. Il nano col cappello aveva esitato a lasciarla andare ma aveva ritratto le braccia all'ennesima pressione, andando a stringere le proprie ginocchia in una presa convulsa. In quel momento Bombur gli fu subito dietro, intento a stringergli le spalle in una morsa affettuosa.
Il nano panciuto stava cercando di trattenersi saldo in quella parte che poco gli si addiceva, non era mai stato suo compito prendersi cura di Bofur.
Succedeva sempre il contrario, in fondo.
Ma adesso era giunto il momento che si desse da fare per far rialzare Bofur da quella situazione, per quanto lui stesso non riusciva a capacitarsene. Vederlo immerso nelle lacrime e nella sofferenza di una perdita così grande faceva male – più male che rimanere senza cibo per giorni – ed era indescrivibile.
«Berit...» mormorò Dwalin fino ad abbracciare il corpo della nana con le proprie braccia, facendo filtrare le dita tra i suoi capelli scuri. La strinse al petto e abbassò il mento fino ad appoggiarlo sul suo capo. «...dovrei spaccarti la testa, maledizione.»
Bofur chiuse gli occhi e nascose le labbra dietro le ginocchia, facendo scivolare il cappello fin davanti agli occhi. Non riusciva a smettere di piangere, non smettevano di scavare il petto con quel dolore. Sentire il fratello alle sue spalle era un leggero attimo di quietezza, ma continuava ad annaspare e non respirava.
«Dwalin mi dispiace...»
«Smettila Bofur.» Dwalin grugnì con voce incrinata mentre una sola lacrima gli sfuggì dagli occhi. «Non t'azzardare ad autocommiserarti in questo dolore. La battaglia porta vittorie e porta sconfitte, tutti sapevano a cosa andavamo incontro, sapevamo che poteva essere l'ultimo viaggio. Chiunque abbia deciso di seguire...» si bloccò per un istante, sospirando fino a far tremare il petto «...Thorin, in questo viaggio, era pronto a tutto. Noi nani non temiamo la morte, in fondo.»
«Sono quelli che rimangono in vita che la temono, figliolo mio.» Aggiunse Balin con un soffio di voce, strofinandosi il naso con la mano sana.
Bofur abbassò lo sguardo e lo puntò ancora su Berit, incassando il collo tra le spalle. Ancora non aveva risposto ma quelle parole – l'esatto modo in cui le aveva dette Dwalin – avevano risvegliato di nuovo una forte pressione al petto.
E Balin aveva ragione, era lui che stava avendo paura, adesso.
«Lei non era come sua madre.» Sussurrò solamente Dwalin, posando un solo bacio – leggerissimo – sul capo di Berit prima di lasciare appena la presa. La lasciò, di nuovo, tra le braccia di Bofur. Quello tirò su col naso, facendo un'altra smorfia. «E non si è innamorata di un nano che non la voleva.»
Bofur abbozzò un lieve sorriso e abbassò lo sguardo su Berit, di nuovo, posando il mento sul suo capo.
Le braccia erano tornate a stringerle il busto.
«Non mi avrebbe mai fatto venire qui da solo.» Disse Bofur prima che Dwalin riportasse gli occhi su di lui.
Bofur non era sicuro di potersi abituare al suo sguardo pieno di pianto. Lui sempre così restio a mostrarsi fragile, anche nel tormento.
«Lo so. È sempre stata molto testarda. »
«Come te.» Sussurrò Bofur a voce bassa prima di reclinare il volto e far scivolare le labbra sui capelli della nana. Con le dita le sfiorò un'ultima volta la guancia, in una carezza gentile. Dwalin non aveva risposto; era rimasto silenzioso in una smorfia. Sollevò il braccio sinistro per posare la mano sulla spalla di Bofur, stringendogliela appena.
Quello aveva fatto l'ennesima smorfia e aveva rialzato lo sguardo su di lui.
Bombur era ancora lì dietro ed era rimasto silenzioso e attento. Guardava i nani e guarda Berit, evitando di cadere nel pianto.
«Sei ferito Bofur, andiamo...andiamo da Gandalf.»
«Dwalin» quello lasciò le dita sul volto di Berit e rimase a guardarla ancora. Non riusciva a pensare che sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe sfiorata. Guardata. «dove sono gli altri?»
Fu in quel momento che, da un leggero venticello di terra, si palesarono le figure di Gandalf, di Bilbo, di Beorn e infine di Fili. Delle ombre sottili che prendevano forma nella loro vicinanza.
Bofur alzò lo sguardo al rumore dei loro passi e puntò subito lo sguardo sullo hobbit; quel sorriso triste che stava già per palesarsi si bloccò del tutto quando vide cosa trasportavano Gandalf e Beorn, tra le braccia. Non riusciva a pensare, strinse con maggiore forza il corpo di Berit e lo sguardo tornò a colmarsi di lacrime. Balin andò a stringere il braccio del fratello, trattenendo il respiro angosciato.
Bilbo si bloccò a metà strada e Bofur non riuscì a scorgere in lui lo sgomento che gli si incise sul volto, perché venne deviato dalla figura Fili.
Il principe Biondo aveva rialzato lo sguardo e lo aveva incrociato con quello di Bofur.
Fu in quel momento che entrambi capirono e nell'aria si sparse un silenzio consapevole, prima che Fili – con la pesantezza nel cuore – cadde sulle ginocchia, non riuscendo più a procedere.






 

NA.
Questo capitolo fa schifo, è corto, non dice nulla di che e … ecco scusate ç_ç ho avuto un weekend difficoltoso e non sono riuscita a scriverlo come volevo io. Alla fine dopo la centesima volta l'ho tenuto così e via. Col prossimo capitolo farò “capire” meglio ciò che è successo a Collecorvo e che ha fatto venir giù solamente due nani ç_ç e non quattro. Non mi piaceva raccontarlo stile “a Collecorvo invece Thorin blabla”, lo farò in maniera diversa, perchè ormai sono immersa nell'intensità xD Quindi perdonatemi per sta schifezza, mi immergerò nell'introspettività (?) di Fili, Bilbo e Bofur nei prossimi capitoli e a prestissimo *_*
ps. Il gossip di Dwalin è confermato, per chi fosse interessato v.v cofcof.

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Capitolo 47
*** Chi è veramente morto? ***


Capitolo 47.
Chi è veramente morto?

Ripercorrere le fila di quel viaggio era un compito difficile.
I giorni erano passati e la luna era sorta in cielo nel suo ultimo saluto crescente prima di ritirarsi dietro le nuvole, nascosta dall'ombra delle stelle.
Non v'erano più cadaveri nella valle, né accampamenti e i focolari di Dale brillavano nella notte, creando piccoli lumini lontani dalla vista della Montagna.
Gli Elfi erano tornati a marciare verso i loro sentieri verdi, ma alcuni rimasero a dare aiuto ai molti feriti, lasciando nell'aria gesti e parole arcane che allietavano i cuori dei sopravvissuti.
Non v'era stato tempo per fare molto, se non prendersi curi dei cuori rotti dalle perdite e ripulire il luogo dalla sporcizia lasciata dagli Orchi e dai Mannari. I loro corpi vennero tutti bruciati, fino a ridurli in polvere e fango. La loro sorte toccò ai loro arazzi dai colori del sangue e tutte le loro armi vennero fuse insieme e fatte colare nelle fognature, portati via lontano, ove l'acqua si ristagnava, portando via il liquame.
Non sembrava più la Erebor che avevano visto quando giunsero lì la prima volta, ancor prima che il Drago fu risvegliato. La desolazione lasciata non creava più sconforto ma rinvigoriva di una speranza nuova; vedevano la valle farsi carico dei commerci, vedevano il ponte ricostruito e le imbarcazioni scivolare sul Fiume Flutti. Sentivano finalmente la vita riprendere pieno possesso di quel luogo, com'era un tempo.
Ma nel cuore di alcuni, ancora, non v'era posto per questo.
I funerali per il Re sotto la Montagna e i suoi Compagni nani erano, infine, giunti, in un pallido tramonto d'inverno.
Faceva freddo ma la grande Sala era riscaldata dalle luci che danzavano sopra le loro teste, brillavano sopra la pavimentazione dorata e creavano un riverbero d'un calore che aveva bruciato ogni cosa.
Non c'era più la puzza di Smaug a inasprire le narici ma lo sentivano ancora, i compagni di Scudodiquercia, restando in fila davanti alle tombe di pietra erse davanti a loro. S'erano prodigati a scalfire la roccia per donare ai loro defunti una degna sepoltura e tanto avevano pianto mentre levigavano la pietra, la lisciavano, sapendo che quella sarebbe stata la loro ultima dimora. Tutti i nani dei Colli Ferrosi presenziarono a quella cerimonia, ricordando le loro morti, e piangendo sotto le radici di un Re caduto. Persino Dàin, così poco avvezzo a quei sentimentalismi, si lasciò andare ad un pianto silenzioso mentre osservava la tomba di suo cugino.
Ma nulla era prepotente e pressante quanto l'ombra che avvolgeva gli amici di Bilbo.
Non ve n'era uno che non stesse piangendo, chi con singhiozzi più portentosi e chi in silenzio – quasi di nascosto – sbirciando verso le tombe chiuse. Un canto si levò dalle voci basse e rocciose dei nani e li avvolse con una malinconia ancora più pesante.

Lontan sui monti fumidi e gelati
in antri fondi, oscuri, desolati,
prima che sorga il sol dobbiamo andare
i pallidi a cercar ori incantati.
Faceano i nani un dì magiche gesta,
battendo mazze qual campane a festa
dove dorme laggiù tetro un mistero
negli antri sotto la rocciosa cresta.

E piansero ancora, sia i nani sia gli Uomini di Dale che presenziarono a quell'ultimo saluto verso coloro che avevano combattuto con onore. 
C'erano Bard con i suoi tre figli, ma solo una di loro aveva lo sguardo pieno di pianto, mentre stringeva le spalle esili della piccola Tilda in una morsa affettuosa.
Nonostante fossero ancora acciaccati dalla battaglia, ogni nano aveva ricomposto il suo aspetto per quel particolare momento. Chi si era intrecciato i capelli con gioielli antichi, chi le dita, le orecchie e la barba stessa. I vestiti non erano sporchi di terra o stropicciati, e ancora le rilegature in cuoio e ferro coprivano i loro corpi, scintillando d'un bagliore virtuoso.
Fili era l'unico – tra tutti – a essere discostato dagli altri, immerso in un saluto solitario e doloroso. Aveva la fronte appoggiata alla pietra della tomba di Kili e gli occhi chiusi. Il respiro pesante gli faceva sollevare il petto, tremando sotto delle lacrime che avevano smesso di sfuggire via.
Continuava a dare colpetti deboli ma rabbiosi contro la pietra, con una sola mano.
Bofur non era molto distante da lui, posto poco dietro, in mezzo a Bifur e a Bombur.
Guardava l'Erede di Erebor senza riuscire a pensare; soppesava quel continuo gesto con la mano e veniva invaso dallo stesso accecante dolore.
A discapito di tutto, lui continuava a piangere senza riuscire a smettere. Non v'era stato un attimo di tregua nei suoi pensieri, non c'era stata notte o mattina in cui non aveva sentito la mancanza di Berit come un macigno impossibile da portare.
Non riusciva a lasciarla andare.
Guardava la sua tomba e aspettava di vederla sbucare fuori da dietro di questa, con un sorriso ebete, alzando le braccia e urlando un “ve l'ho fatta, stolti!”; avrebbe riso come una cornacchia, Dwalin l'avrebbe inseguita con una mazza per quello, ne era sicuro.
Chiuse gli occhi e si lasciò andare all'ennesimo singhiozzo quando sentì la mano di qualcuno stringergli la spalla. Si voltò lentamente e sentì tirare forte la ferita che aveva sulla guancia; trovò lo sguardo di Ori, pieno di pianto che tratteneva le labbra in una smorfia tremante.
Bofur provò a sorridergli ma non vi riusciva. Non voleva cedere al malcontento ma quel canto penetrava troppo in profondità per non abbandonarsi a questo.

Per prenci antichi, degli elfi signori,
gli accumulati e balenanti ori
lavoravano ad arte, il dì ghermendo
per dare a gemme d'elsa altri splendori.
Trapuntavan di stelle le collane
i serti con baglior di drago immane,
poscia in ritorto fil di sole e luna
intessevan le luci in filigrane.
Lontan sui monti fumidi e gelati
in antri fondi, oscuri, desolati,
prima che sorga il sol dobbiamo andare
per esigere i nostri ori obliati.

Ori fece uno scatto, senza dire nulla, e gli avvinghiò le braccia al collo, stringendolo forte in un abbraccio stretto. Non era mai successo, in tanti anni di conoscenza, che s'abbandonassero a quel puro gesto fraterno.
Di solito usavano Ori come cavia per le loro marachelle, lo colpivano con gli ortaggi, gli scombinavano i capelli biondi e lo prendevano in giro quando arrossiva fino alle orecchie.
Ma questa volta erano tutti legati dallo stesso dolore e non v'erano scherzi che potessero allietare l'anima.
Alzò anche lui le braccia e lo strinse in quell'abbraccio, strizzando gli occhi ulteriormente.
Le lacrime ancora scappavano fino a morire sul mento, incapaci di arrestarsi.
«Ricordati che questo non devi combatterlo da solo. Mai
Quel sussurro di Ori aveva fatto allargare lo sguardo di Bofur e, dopo un'ultima stretta, s'era scostato per guardarlo. Negli occhi di quel giovane nano, adesso, v'era una crescita molto più matura. Non era la stessa di Dori e nemmeno quella furba e scattante di Nori. Era qualcosa di molto più profondo, qualcosa che solamente uno come Balin poteva esprimere. Rivide in lui quello stesso riflesso e – questa volta – riuscì a piegare le labbra in un sorriso più istintivo. Gli diede uno sbuffo sul naso e tirò su col proprio, annuendo.
«Lo so.»
Non riuscì a dire nient'altro, ma c'era profonda gratitudine nel suo sguardo e – ben presto – si ritrovò circondato anche da Dori e Nori. Quest'ultimo piangeva ma fingeva di non farlo, continuava a strofinarsi la manica della tunica sugli occhi.
Dori aveva gli occhi pesanti ma era l'unico dei tre che tentava di sorridere, nelle sue lacrime invisibili.
Alcuni degli altri si erano immersi nel canto ma avevano chiuso gli occhi, ricordando le note vibranti di quella melodia che uscivano dal camino di un piccolo hobbit, che viveva sotto il Colle, nella Contea verde.
Bilbo era sicuro che non avrebbe retto ancora per molto tutto questo.
Stava vicino a Gandalf, proprio davanti ad un piccolo gruppo di Elfi che era rimasto ad assistere. Era assai strano – adesso – vedere così tante razze unite per un evento così triste, ma forse nel dolore qualcosa di buono viene sempre colto. Era un pensiero debole, che faceva sgusciare via un sorriso, ma niente più che un'ombra di questo. Gli sembrò di vedere anche l'Elfa dai capelli rossi, nascosta dietro un piccolo gruppo di persone, ma la visuale era stata troppo effimera.
Spostò lo sguardo all'ennesima strofa di quella canzone e – senza che potesse evitarlo – rivide Thorin davanti al suo camino, cantare con voce bassa.
Spostò lo sguardo sulla sua tomba proprio mentre Bard si ergeva vicino a questa con l'Arkengemma tra le mani, intento a posarla dentro la nuova dimora del Re.
Il cuore gli si fermò in gola e dovette ricacciare indietro altre mille, centomila lacrime di tristezza.
Sentiva i singhiozzi risalirgli ancora e dovette chiudere gli occhi per abbandonarsi a quella sensazione.
Gli mancavano terribilmente. Kili e la sua allegria spensierata, quella pirica in forma nanica di Berit e ...Thorin.
Era asfissiante quel dolore, avrebbe voluto prenderselo dal petto e strapparselo. Lui non era adatto per un sentimento così enorme, non voleva più sentire i pianti dei suoi amici, non voleva più voltarsi e vedere Bofur senza più spensieratezza nello sguardo, o Fili intento a colpire quella tomba di pietra senza riuscire a staccarsi, o Balin e Dwalin che piangevano ancora una volta le loro perdite.
Si ricordava del racconto della Battaglia di Azanubilzar e – mai come adesso – poteva comprendere ciò che una vittoria può portare via.
La si può davvero considerare vittoria, quindi, quando vorresti solamente tornare indietro?
Avrebbe voluto ripercorrere di nuovo quella strada, impedire molte cose di quelle accadute e cambiare il corso del destino.
Gandalf continuava a ripetere che il suo compito – lì – era stato fondamentale ma lui non si sentiva così. Pensava di essere sempre stato molto fortunato ma adesso la fortuna non c'entrava.
Si sentiva solo. E aveva tremendamente paura di questa sensazione.
«Gandalf mi ha detto ciò che hai fatto per loro andando a Collecorvo per avvertirli.»
La voce di Balin interruppe tutti i suoi pensieri e si ritrovò ad aprire gli occhi, voltandosi verso il nano dalla barba bianca. Quello lo fissava con un leggero sorriso sul volto martoriato dalle lacrime. Aveva il braccio ripiegato sullo sterno ma almeno era pulito; la sua barba era tornata bianca e brillante.
«Non...» Bilbo provò a parlare ma si ritrovò a sentire la sua voce lontana. Non la riconosceva neanche più. «...non ho fatto granché. Non sono riuscito a salvarli.»
Balin gli mise una mano sulla spalla e gliela strinse appena, senza esagerare. Continuava a sorridere.
Era piacevole, in fin dei conti, e lasciava un po' di calore lì dove c'era solo freddo.
«Sei riuscito a fare moltissimo, caro Bilbo. Non devi più dispiacerti con questi pensieri.»
«N...non è vero, Balin.» Bilbo tirò su col naso e ripiegò il capo riccio in avanti, tirando su col naso. «Sono stato anche colpito alla testa e quando mi sono svegliato era già tutto...perduto
Balin gli guardò la testa – il piccolo hobbit aveva un bel bozzo sull'epidermide – e abbassò le palpebre in un'espressione mortificata.
«Se tu non fossi andato forse non sarebbe sceso nessuno da Collecorvo.» Disse Balin con risolutezza, alzando un po' il volto. «Sei sempre stato molto coraggioso, hai sempre sfidato la sorte e hai rischiato. Saresti stato un ottimo nano, Bilbo Baggins. Molto più onorevole di alcuni che si vantano di essere eroi di battaglie.»
Bilbo non aveva ancora tirato su il volto; aveva ripreso a piangere, con i singhiozzi che gli facevano tremare le spalle.
Non voleva cadere di nuovo nel pianto ma non riusciva a farci nulla. Quando questa cosa prendeva non ti lasciava più andare.
«Non sono riuscito a...a salutare nemmeno Kili. L'ho visto così solo quando Fili è ricomparso, sopra la cima, con lui tra le braccia. E...» questa volta tirò su il volto e guardò Balin fisso negli occhi. «Thorin...sono riuscito a parlargli un'ultima volta. Prima che giungessero le Aquile. Non credo – non credo che le abbia potute vedere. Sembrava così in pace, Balin, mentre la morte se lo portava via.» Questa volta non ce la fece, la voce s'incrinò e i singhiozzi avevano cominciato a bloccargli ogni parola. «Siamo riusciti a parlare, mi ha chiesto scusa per quello che è successo qui. Io...a me non interessavano le scuse, io ho sempre saputo che era solo colpa di questo maledetto Oro. Lui è sempre stato...è sempre stato un po' burbero e freddo ma è stato...mio amico
Balin continuava a stringergli la spalla e dovette trattenere le labbra pigiate tra loro per evitare di mostrare il dolore che lo attanagliava.
«Avrei voluto che se ne rendesse conto prima. Avrei...avrei voluto che si rendesse conto che noi, tutti noi,» si voltò a guardare gli altri Nani lì vicino «non gli avremmo mai voltato le spalle. Siete...siete diventati importanti per me e volevo che lui sapesse che quello che ho fatto, con l'Arkengemma, era solo per aiutarvi. L'ho fatto sempre e solo per aiutarvi. E non mi pento più di nessun gesto, neanche in passato, neanche quando mi prendevate per pazzo a pensare a simili piani.» Chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un piccolo sorriso amaro, che si ripiegò subito. «Mi ha sorriso un'ultima volta prima di chiudere gli occhi, Thorin era tornato. Ci...ci siamo separati in amicizia ma avrei voluto non separarmene, Balin.»
Di nuovo strizzò gli occhi e gli si palesò alla mente l'ultima frase che gli regalò, trafiggendogli il petto per la consapevolezza che sarebbe stata l'ultima che avrebbe sentito.
Se tutti stimassero l'amicizia e la gioia delle canzoni prima del Tesoro sarebbe un mondo migliore.
Perché aveva dovuto ricordarlo così in ritardo? Perché non poteva tornare indietro e sentire questo pensiero dentro di sé prima che quell'Oro lo annientasse?
Avrebbe avuto più tempo da spartire con lui e con gli altri, non si sarebbero separati, non avrebbe rimpianto ogni singolo secondo lontano da loro.
«E...e poi Berit. Ero riuscito a rivederla nella battaglia ed ero convinto che ce l'avrebbe fatta.» Pianse di nuovo, tirando su col naso. «L'ho vista così...serena. Come se qualcosa l'avesse fatta rinascere di nuovo.»
Voltò il viso verso la zona in cui Bofur era ancora stretto da tutti gli altri e gli pianse il cuore.
«Non è giusto che sia dovuta finire così. Avrebbero dovuto tutti gioire per questa vittoria, avrebbero banchettato e avrebbero...riso così tanto da non riuscire più a respirare.»
Balin, questa volta, allungò il passo per stringerlo al petto in un debole ma affettuoso abbraccio. Gli diede una leggera pacca sulla schiena e fece un sospiro tremante.
«Ci sarà da gioire per questa vittoria, piccolo amico. Noi nani sappiamo che questa non è altro che una via; un giorno ci rivedremo tutti, nelle sale d'attesa dei nostri padri, e ritorneremo a gioire insieme mentre aspetteremo un nuovo mondo.»
Bilbo strizzò gli occhi e mai, come allora, sperò che tutto questo fosse davvero una speranza ferrea. Forse un giorno si sarebbero ricongiunti tutti ma adesso sembravano così soli, nel loro tormento, soli ma insieme.
Fu in quel momento che le fiaccole vibrarono al soffio d'un rivolo di vento freddo e Fili si staccò dalla tomba di Kili, camminando lesto. Non guardò più nessuno, sparendo oltre gli archi della grande Sala.


 


 

Fili era riuscito a reprimere ogni cosa fino ad allora.
Aveva smesso di piangere per poter convincersi a essere forte ma quella stessa forza di volontà stava diventando un'arma a doppio taglio. A stento riusciva ancora a respirare. Non riusciva a trovare alcuna certezza in niente, nemmeno quando s'era accorto della presenza dell'unica persona – lì in mezzo – a dargli un attimo di tregua da quella disperazione.
Aveva incrociato lo sguardo di Sigrid e aveva visto in lei il riflesso di un sentimento che poteva capire appieno. L'aveva vista stringere in un abbraccio Tilda e aveva sospirato, chiudendo gli occhi. Aveva i capelli biondi ben pettinati, raccolti in un'acconciatura semplice ma intrecciata. I suoi occhi chiari erano intrisi di lacrime e gonfi ma lo aveva visto.
Aveva sorriso per lui, forse era durato un solo secondo, ma gli bastò. Gli bastò quello a cui aggrapparsi, nonostante si sentisse scivolare via da ogni cosa.
Aveva perso tutto.
I nani più importanti della sua vita erano caduti e lui era rimasto in piedi, spezzato, senza che alcuna lancia lo trafiggesse.
Ma quanto aveva pregato Mahal che si portasse via lui al posto di Kili?
Quanto lo aveva scongiurato di tornare indietro nel tempo e non permettergli di seguirlo?
Non riusciva a credere che fosse quella, la sua nuova realtà. Quella paura che lo aveva trafitto a Esgaroth ora era diventata la sua nuova vita.
Come poteva pensare di potercela fare? Lui non poteva. Lui non voleva.
Lui rivoleva Kili. Berit. Thorin.
Rivoleva suo fratello, rivoleva il suo sorriso, il suo abbraccio, la sua schiettezza, la sua pungente ironia. Non riusciva a capacitarsi che non sarebbero più stati nello stesso posto, che non si sarebbero più guardati le spalle. Non poteva capacitarsi che Kili non esisteva più.
Gli era mancato dopo un solo secondo che lo aveva visto inalare l'ultimo respiro, stretto tra le braccia di Tauriel. Lei piangeva e lo vedeva – nel suo sguardo – che non riusciva a comprendere il suo stesso dolore. Lo stringeva senza riuscire a lasciarlo andare sul serio.
Con un moto di rabbia prese una pietra e la scagliò contro la parete con prepotenza, urlando di dolore. Si prese i capelli tra le mani e si lasciò andare, facendo cedere le ginocchia. Quelle impattarono a terra e così rimase per molti secondi.
Con la schiena ricurva e la certezza che non ce l'avrebbe mai più fatta ad andare avanti.
Furono dei passi a riscuoterlo da quel turbinio di pensieri.
Qualcuno stava risalendo le scalinate verso la Porta con passo veloce ma leggero; non era un nano.
Si voltò di scatto e vide, a pochi passi di distanza, la figura regale e alta di Tauriel. L'Elfa teneva le mani congiunte davanti al bacino e il suo vestito scuro ondeggiava in pieghe composte, smosse dal vento freddo di quella sera. La luna stava per fare capolino da dietro le nuvole e – le parve – che risplendesse di una luce diversa quella volta. Socchiuse gli occhi e respirò con ingordigia quella sensazione, nonostante il corpo rimase teso e immobile, davanti alla figura di Fili.
«Non volevo disturbare il tuo cordoglio.» Mormorò lei con voce pacata e bassa. Era alquanto piacevole all'udito, scivolava sinuosa come la sua stessa figura. «Ma volevo concederti alcune parole prima di riprendere il mio cammino.»
«Non m'interessa.» Sibilò Fili, incurvandosi in quella posizione.
Sentì Tauriel strusciare di fianco a lui fino ad arrivargli di fronte. Non dovette alzare lo sguardo per percepire il suo sul proprio capo biondo.
«Ho provato a salvarlo.» Mormorò lei e la sua voce prese una tonalità più bassa. Alcune lacrime scivolarono dal suo sguardo verde, imperlandole la pelle diafana. «Sono andata contro il mio Re e il mio Principe pur di salvarlo. Voi nani siete testardi e vi martoriate nel vostro dolore senza pensare che non siete gli unici a provarlo.»
«Non m'interessa.» Ripeté lui, rialzando lo sguardo. Aveva drizzato il busto e ora si stava alzando lentamente, stringendo appena i pugni. «Non ho mai provato simpatia per gli Elfi, questo è vero, ma ricordo ciò che hai fatto per Kili. Lo hai salvato e io ho sperato tanto – davvero tanto – che lui restasse con te. Ma non lo avrebbe mai fatto.»
Tauriel fece un leggero passo indietro e scostò lo sguardo, rifuggendo al suo per non dover riflettere il proprio. Strinse le labbra tra loro mentre i capelli rossi venivano scossi da un altro alito di vento. La luce della luna si riflesse su di lei e l'avvolse completamente.
«È stato il suo amore per te ad averlo ucciso.»
Quella frase trafisse entrambi mentre Fili la sibilava e lei si voltò verso il nano, con sguardo sgranato, mal celando un'insana rabbia che le partì dal petto. Ma sul volto tutto questo non la trafisse, restando fissa su di lui.
«Ho perso una parte di me per colpa di questo, non lo riavrò mai più e finché la morte non mi prenderà io dovrò convivere con la sua assenza. Forse...forse il mio dolore non mi sta facendo ragionare lucidamente, ma in questo momento non voglio averti davanti alla mia vista.»
La voce di Fili era diventata estremamente piatta e apatica. Scostò via lo sguardo ma quello di Tauriel si trattenne fermo sul volto di Fili.
La vide alzare il petto e stringere lievemente le dita prima di alzare gli occhi sul manto bluastro nel cielo. La luna aveva preso una colorazione insolita; era leggermente arancione, illuminata da un fuoco interno, e brillava come non aveva mai fatto in molti inverni.
Chiuse gli occhi e le lacrime le scivolarono via dalle guance, bruciando in profondità.
Aveva risentito la voce di Kili – di nuovo – che le parlava della Luna di Fuoco.
Forse non era niente, ma c'era un segreto nel cielo che lei stessa non poteva comprendere. E sperò, con tutto il cuore, che quel segreto fosse reale adesso.
«Sei come un animale ferito, ora.» La voce dell'Elfa non era piatta quanto quella di Fili e il suo tormento si dipanava tra le parole. «Non biasimo la tua voglia di dare la colpa a me, l'unica che in quel momento avrebbe potuto salvarlo. Ma...è stato lui, a salvare me, questa volta.»
Fili ancora non la guardava ma piangeva in silenzio, respirando con pesantezza.
«E l'unica cosa che posso fare per ricordarlo è continuare a camminare sotto la luce delle stelle, cantando di un nano coraggioso che è riuscito a far innamorare un'Elfa talmente in profondità da non riuscire nemmeno a comprenderlo.»
Questa volta Fili si volse verso di lei, con occhi grandi e pieni di lacrime. Lei stessa piangeva e si guardarono in silenzio per diversi secondi.
Lei fece un solo passo in avanti, affilando lo sguardo chiaro.
«Ritieniti fortunato, figlio di Durin, perché tu un giorno camminerai nelle grandi Sale e rivedrai il suo volto ancora. Lo stringerai e aspetterete la vostra grazia ancora insieme, come fratelli in eterno.» Prese una leggera pausa, smuovendo appena le labbra tremanti. Se Fili avesse potuto scorgere in quel leggero movimento il dolore che la attanagliava non sarebbe riuscito a reggersi ancora in piedi. «Io dovrò vivere per l'eternità sapendo che non lo rivedrò mai più. E ora dimmi, nauco*, chi è veramente morto su quella cima.»
Fili si sentì stringere il petto e non riuscì a dire una sola parola.
Vide Tauriel voltarsi con eleganza e fretta, sfuggendo via dalla Porta e allontanandosi verso il sentiero roccioso.
Aveva ripreso ad annaspare senza sosta, si guardò intorno con aria spersa, vacua e risentì l'ennesimo urlo uscire dal petto.
Il suo petto ciondolava avanti e indietro e – questa volta – s'avventò di nuovo su una pietra e la scalciò con rabbia.
Ogni piccolo frammento, ogni sasso, ogni sporgenza spaccata venne presa di mira da Fili con irruenza, mentre urlava di dolore e piangeva.
Aveva perso il filo della ragione e la sofferenza lo aveva travolto, annebbiando ogni cosa.






*nano

NA.
Altro capitolo felicissimo, visto che non è stato abbastanza fino ad ora ç___ç
In teoria doveva succedere un'altra cosa, in questo capitolo, ma mi stava uscendo stralunghissimo e ho dovuto spezzettarlo, quindi lo inserirò nel prossimo. Ecco sì, non ho molto da dire, so solo che mi sto ascoltando: Apparat – Goodbye e che mi sto martoriando da sola l'anima perchè sono autolesionista! Come al solito ringrazio le mie donzelle, che mi supportano tantissimo <3 e tutti quelli che seguono e leggono in silenzio.
Manca davvero poco alla fine ma giuro che non sarà solo lacrime....o almeno spero T____T
Dove mi sono andata a cacciare, mannaggiaaammmeeee!
ps. La canzone sapete tutti qual è, non c'è bisogno che io la citi v.v

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Capitolo 48
*** Quando chiudi gli occhi ***


Capitolo 48.
Quando chiudi gli occhi

«Fili, fermati!»
Il nano biondo – in tutta risposta – scagliò contro la parete un'altra pietra, che si frantumò in mille pezzetti argentati. 
Ne prese a calci un'altra, e un'altra ancora prima di sentirsi bloccato da due mani forti. 
Fili si ritrovò le braccia bloccate in una morsa che divenne pressante, sentendo la schiena impattare contro il petto dell'altro.
«Calmati! Devi...» Bofur ci provò a parlare ma quello gli diede una gomitata in pieno stomaco, divincolandosi con rabbia.
«No! Lasciami! Lasciami stare!» Ringhiò Fili, scalciando nell'aria. Aveva ancora il volto rigato di lacrime ma aveva smesso di piangere da quando la sua rabbia era divampata. 
Si sentiva bollire, gli tremavano le mani e non riusciva più a ragionare.
«Mwgh, no. Piantala Fili, devi calmarti!» Bofur aveva incassato il colpo ma aveva trattenuto la presa salda, andando a stringere le proprie mani in un legamento stretto, sullo sterno di Fili. Lo stava letteralmente bloccando ma Fili non aveva alcuna intenzione di fermare la sua furia. Voleva lasciarla sfogare; sentiva l'impulso irresistibile di voler spaccare ogni cosa.
«Bofur lasciami ho detto
«No!» Esclamò quello, facendo una smorfia per la fatica. Fili continuava a muoversi e questo rendeva arduo il compito di tenerlo fermo. «Stai facendo preoccupare tutti. Devi stare fer-»
Di nuovo un altro colpo lo prese in pieno petto e – questa volta – si ritrovò a indietreggiare per il male che si spanse dallo stomaco. 
Nonostante la cotta di cuoio aveva sentito il colpo di Fili e, cosa peggiore, gli aveva fatto male. Lasciò la presa e il biondo sgusciò in avanti, liberandosi dalle grinfie dell'amico.
Aveva il volto arrossato e i capelli tutti arruffati, nonostante l'aspetto tenuto regale e ordinato per la celebrazione del funerale. Bofur era ugualmente in ordine, se non per il cappello che gli si era storto sul capo.
Quando Fili si voltò a guardarlo fermò la sua furia per un secondo, pigiando le labbra tra loro. 
Il giocattolaio aveva smesso di piangere ma i suoi occhi era gonfi e spenti, respirava male e continuava a sfregare le dita sulla parte sinistra dello sterno.
Come un leggero massaggio al cuore.
Fili spezzò il respiro con un altro ringhio e gli fu addosso di nuovo. Non lo colpì, questa volta, ma piantò entrambi i palmi contro le sue spalle e lo spinse all'indietro.
«Chi sto facendo preoccupare? Eh? Chi
Bofur indietreggiò malamente per la spinta e quasi incespicò negli stivali, riuscendo a rimanere in equilibrio precario. 
Aveva ripreso a far ciondolare le mani ai fianchi, stringendo le dita tozze in due pugnetti chiusi.
«Fili...»
«Smettila di ripetere il mio nome, maledizione.» Urlò Fili con una voce rabbiosa, facendo l'ennesimo passo in avanti. 
Di nuovo spinse Bofur all'indietro ma quello – preparato rispetto alla prima volta – riuscì ad afferrarlo per gli avambracci, trattenendolo fermo.
«No, no! Lasciami! Non mi devi toccare. Lasciami Bofur!» Di nuovo tentò di divincolarsi ma Bofur riuscì a trattenerlo fermo, tirandoselo dietro per stringerlo di nuovo in una morsa stretta. La loro forza non era per nulla paragonabile a quella mostrata nella valle, diversi giorni prima, quando la battaglia incalzava. Era una forza diversa – questa – dettata da un ultimo sforzo del cuore stesso. Bofur odiava quella parte di sé; usciva solo quando non aveva altro a cui aggrapparsi. Non gli era mai capitato di sentirla così opprimente come allora e mai aveva sperato di doverla usare per calmare una situazione del genere. Significava che si era arrivati al limite di ogni sopportazione. 
E adesso Fili aveva superato quella leggera linea che divideva la ragione dalla follia, lo vedeva nel suo sguardo così cupo e segreto.
«Devi...devi lasciarmi stare! Vattene! Perché sei qui?» Continuava Fili, tirando su le mani e colpendolo al petto con dei pugni decisi. 
Ma Bofur strinse solamente la presa e Fili smise ben presto di colpirlo, sentendo la rabbia diventare stanchezza.
I colpi cominciarono a divenire meno violenti, fino a che i pugni non scivolarono del tutto e la sua fronte si poggiò con forza contro la spalla dell'altro nano.
«Io non ce la faccio.»
Fili scosse piano il capo e riprese a piangere con decisione, sentendo di nuovo quel calore fuoriuscire dal petto stanco.
Intorno a loro v'erano solo detriti di roccia e la Luna Arancione illuminava le piccole punte che – spezzate – creavano un riverbero lucente. 
Regalava un insano colore malinconico, lasciando nell'aria il sentore di una mancanza inappagata.
«Sì che ce la fai.» Rispose Bofur, smettendo di stringere la presa. Aveva fatto scivolare le mani sulle sue braccia fino a scostarlo leggermente da sé. 
Trattenne la presa quando riuscì a incrociare il suo sguardo pregno di pianto e tristezza.
«No. Bofur io...non ce la faccio. Non posso. Ho perso tutto, lo capisci?» La voce di Fili era bassa e carica di tormento. 
A Bofur gli si strinse il cuore ma cercò con tutto sé stesso di sorridere. Sentiva di nuovo le lacrime salirgli agli angoli degli occhi ma le cacciò indietro con una smorfia del viso, pressando la presa sugli avambracci dell'Erede di Durin.
«Non hai perso tutto.» Mormorò lui con voce ferma, abbassando le palpebre. Le sentiva pesantissime e bruciavano.
Fili non rispose, si limitò a scuotere debolmente il capo e a fare una smorfia carica di pianto, lasciando sfuggire altre lacrime mentre il suo profilo si delineava alla luce della Luna. 
Aveva sospirato e il petto aveva tremato ancora, prima di socchiudere gli occhi.
«Mi sono separato da lui.» Cominciò Fili, abbassando lo sguardo. «Dovevamo perlustrare la zona e io ho scelto un cunicolo un po' stretto, lasciando a Kili il lato Est della cima. Quando ho cominciato a sentire i tamburi allora sono scivolato fuori in tutta fretta e mi sono ritrovato davanti la guardia del corpo di quello schifo immondo!» Ringhiò l'ultima frase con un disprezzo violento, digrignando i denti. «Ho cominciato a combattere, ho cominciato a...lottare, sapendo di fare la cosa giusta. Ma poi ho sentito mio fratello chiamare quell'Elfa.» Corrugò la fronte, piegando le labbra all'ingiù. «La sua voce ha risuonato nel freddo di quella cima, è stata...l'ultima volta che l'ho sentita. Ha urlato il nome di Tauriel.»
Bofur non lo interruppe, continuava a guardarlo con cordoglio mentre abbassava appena lo sguardo. Un lieve sorriso era ricomparso sul suo volto; l'aveva sempre sostenuto che a Kili piacesse sul serio, quell'Elfa. In un moto di disperazione è istintiva la comparsa di un volto insistente nella propria mente; il cuore di un nano non può controllarlo, quando si innamora rimarrà quell'amore per tutta la vita. Per quanto sia breve o lunga.
«Ho lottato con la consapevolezza che lui stesse bene, che stesse lottando per qualcosa di giusto. Ma quando sono arrivato da lui...lui era tra le sue braccia, mor-» Fili chiuse gli occhi, interrompendo quella parola, lasciando sfuggire altre lacrime. Non riusciva a dirlo, la consapevolezza che fosse morto davvero non veniva ancora contemplata.
Anche Bofur non riuscì più a trattenerle, piegò la testa in avanti e si lasciò andare ad un pianto silenzioso. «...prima era qui, quell'Elfa, e ho rigettato su di lei tutta la colpa. Lei dovrà rinunciare a lui per l'eternità e io le ho dato la colpa di tutto; che nano dignitoso che sono, eh.»
Bofur lasciò andare la presa dalle braccia di Fili e si andò a sfregare il naso con un dito, strizzando gli occhi gonfi.
«Kili, dalle sale d'attesa, ti starà maledicendo in tutte le lingue che conosce.» Disse Bofur, piano.
Fili aprì gli occhi di scatto voltò gli occhi su Bofur, schiudendo appena le labbra.
A discapito di tutto quello che Bofur pensava – aveva sospettato l'ennesimo pugno, in faccia questa volta – Fili si mise a ridere divertito. 
Nel dolore si aveva la più grande accozzaglia di cambiamenti d'umore mai vista, Bofur lo stava constatando di persona.
«E quell'altra matta si starà facendo grasse risate a vederci così, non credi?»
Questa volta fu Bofur ad allargare lo sguardo e a fissarlo. Avevano smesso di piangere ma, nelle loro spicciole risate, v'era ancora un riverbero amarognolo. Si mise a ridere, abbassando il capo in avanti e chiudendo gli occhi. Tirò su col naso prima di scuotere appena il capo.
«Oh sì, starà ridendo proprio come una matta. E Kili con lei.» Azzardò a dire Bofur, mentre Fili aveva di nuovo pigiato le labbra tra loro in un sorriso triste. 
Di nuovo lo sguardo gli si era appannato di lacrime ma ora era più pieno e meno tormentato.
«Mi dispiace tanto.» Sussurrò Fili verso l'amico, alzando un braccio per stringergli la spalla. Quello, in risposta, aveva ancora tirato su con il naso arrossato. Non aveva risposto, ma aveva sorriso con la stessa agonia di Fili, in precedenza. Non v'era bisogno di spendere altre parole per questo.
«Ti...ti va di andare a mangiare qualcosa, ora? V'è un banchetto nella grande Sala, Bombur ha dato il meglio di sé con-»
Un rumore li fece voltare di scatto entrambi verso le grandi scalinate che costeggiavano la Porta. Una figura, dall'ombra, era emersa e li stava fissando con aria sgranata e un po' persa.
Sigrid.
La ragazza si era bloccata, con il respiro spezzato e stava fissando in alternanza i due nani. Bofur aveva egregiamente evitato di sgomitare Fili, in tutto questo, mentre il nano biondo aveva perso i suoi stessi pensieri. Aveva fatto scivolare via la mano dalla spalla di Bofur e s'era ammutolito di colpo, andando a strofinarsi le dita sugli occhi per eliminare ogni barlume di lacrima.
«Scu- scusate non volevo disturbare. Ero...avevo bisogno di prendere un po' d'aria. E non sapevo bene dove...insomma, era-»
«Oh non preoccuparti, non hai disturbato. Questa notte è serena e c'è un bel venticello qui.» Rispose Bofur dopo aver aspettato – con pazienza – che fosse Fili a prendere parola. 
Ma quello non disse niente, si limitò a incassare il volto tra le spalle e a guardare di sbieco l'amico al suo fianco.
Quello fece un sospiro rassegnato e gli lasciò un'ultima pacca sulla spalla.
«Bè io vado da mio fratello, non vorrei mai che si addormentasse con una coscia di pollo in mano e si strozzasse con le ossa.» Si volse verso Sigrid, sorridendo nonostante ancora l'ombra delle lacrime sulle guance. «E lo dico perché è già successo.»
Sigrid sorrise pienamente e fece solo un lieve cenno, toccandosi le dita tra loro con nervosismo.
Fili sgranò lo sguardo al congedo di Bofur e quello – dopo aver stretto la presa con la sua spalla – gli si avvicinò lesto come una faina, abbassando il tono della voce così da farsi udire solamente dall'Erede.
«Non fare il mio stesso errore.»
Solo questo gli sussurrò prima di sgusciare via da quella presa e allontanarsi da lì con passo veloce. 
Fili era rimasto a fissare la sua schiena per un tempo indefinito, sentendo pressante la presenza di Sigrid proprio lì davanti a lui.
Non riusciva a pensare a niente di concreto o ragionevole. Aveva solo voglia di fermare il tempo che – incessante – continuava la sua corsa verso la notte profonda. Tornò a fissarla con sguardo silenzioso, lasciando scivolare la sua attenzione sui piccoli dettagli che caratterizzavano la ragazza. La sua figura era illuminata dalle striature arancioni che rifletteva la Luna sul cielo e – questo – lo aveva fatto incantare come la prima volta che aveva visto la forgia.
Era un paragone azzardato ma lo sentiva nel petto.
«Non volevo disturbare il tuo...insomma, capisco come ci si sente in questi casi.» Sigrid ruppe il silenzio con voce bassa, ancora distruggendosi le dita in pieno nervosismo. 
Aveva uno scialle scuro che gli copriva le spalle e sventolava appena al soffio del vento freddo. Fili la vide rabbrividire e rinvigorì il petto con un sospiro tremante.
«Ti capisco molto bene. Io ho due fratelli più piccoli di me e... dopo aver perso mia madre, la paura di dover di nuovo affrontare un dolore del genere, di poterli perdere, è sempre stato pressante, per me.» Lei non lo stava più guardando e fece vagare lo sguardo verso tutti i detriti sparsi lì davanti. Il passaggio era libero, nonostante tutto, ma sembrava essere incappato in un vento furente e rabbioso.
«Ogni volta che mio padre esce di casa ho paura di non rivederlo più. Ed è annichilente, da un lato, ma dall'altro mi da una forza così nuova dentro di me che mi sento in grado di poter gestire ogni cosa.» La ragazza fece un breve sorriso e Fili se ne appropriò con lo sguardo con avidità. «So che quello che sto dicendo non ha molto senso ma, ecco, in realtà volevo solamente dirti che v'è sempre qualcosa per cui lottare, anche quando si ha paura. Perché so cosa significa provare dolore; ci si sente immersi in una gabbia e si pensa che...che nessuno sarà mai in grado di capirti.» Sigrid si prese una pausa studiata, abbassando lo sguardo sul nano e quello alzò il proprio per incrociare il suo. Si fissarono per diversi istanti prima che lei riprese a parlare. «Ma tutti perdono qualcosa, nella propria vita, anche...anche chi non sei in grado di capire. Ogni persona combatte e perde. E ogni Elfo. E ogni...nano. E prima di questo, nemmeno io, riuscivo a immergermi nelle sensazioni di razze così diverse da me. Ma ho visto...quell'Elfa, al funerale, piangere silenziosa e nascosta – come se avesse paura a mostrare quella fragilità ad altri – e ho visto tutti i nani mostrare dolore con il canto e poi...poi tu...»Sigrid si bloccò di nuovo, pigiando le labbra tra loro. Fili non aveva smesso un secondo di guardarla. Aveva azzardato a fare un passo in avanti per far scemare la distanza con lei. 
Sentiva il cuore in subbuglio; come poteva sentirsi così sopraffatto dal dolore e – al tempo stesso – trovare un barlume di serenità in tutto questo?
Il suono di quella voce era una melodia che leniva ogni ferita.
«...Il dolore si affronta, lo devi vivere Fili se vuoi superarlo. È così che ho fatto io. Pian piano diventerà solamente un ricordo che ti assalirà quando, nella tua mente, vorrai dedicargli ancora un saluto. Quando un suono o una voce o un momento ti ricorderà che cos'hai perso, e quando ti volterai per affrontarlo di nuovo...lo farai con un sorriso. Vedrai che, poi, andrà tutto bene.»
Fili sentiva le ginocchia tremare e le gambe cedergli di nuovo ma resistette con tutte le sue forze per evitare di far fluire l'ennesimo pianto davanti a lei. 
Il suo sguardo chiaro era tornato a cercarlo e lui lo aveva arpionato al proprio, sentendo il cuore rombare nel petto.
Gli vennero in mente le parole di Berit e chiuse gli occhi, sospirando appena.
Quel viaggio era finito, non c'era più tempo per gli errori.
«In tutto questo, l'unica cosa positiva che mi porto dietro sei tu
A quelle parole Sigrid aveva sgranato lo sguardo e il respiro le si era spezzato nel petto; aveva smesso di tormentarsi le mani e aveva tentato di dire qualcosa. 
Le uscirono solo dei sospiri atoni prima di inarcare di nuovo le labbra in un sorriso timido.
«Ma...ma io non ho fatto niente
Fili aveva fatto un altro passo in avanti, annullando quasi del tutto le distanze con lei.
Una mano era risalita lenta verso quella di Sigrid ma – ancora – non aveva avuto il coraggio di sfiorarle con le proprie. Socchiuse appena le palpebre, corrugando la fronte.
«Tu non hai idea di che cosa hai fatto, invece.»
Sussurrò quelle parole con voce bassa, rialzando gli occhi su di lei.
Sentiva il respiro pesante e il cuore distruggergli il petto, le dita erano arrivate a sfiorare quelle di Sigrid in una carezza leggera ma intima. 
Le guance di Sigrid erano arrossite pienamente e aveva sorriso con imbarazzo, sentendo le sue dita carezzate dal nano. Piegò leggermente le sue, schiudendo le labbra.
«Sigrid?»
La voce di Halder li bloccò all'istante e Sigrid si voltò con uno scatto, verso le sue spalle, vedendo l'arrivo del ragazzo biondo. Fili indietreggiò con velocità, abbassando il capo, ritornando a ombreggiare il volto.
«S-sì. Sono qui.» Rispose lei con voce un po' roca. Dovette schiarirsela con un colpetto di tosse prima di spostare lo sguardo verso Fili con aria – che a lui sembrò – mortificata. 
Prese a respirare e rinnovò il suo sorriso. Era diverso adesso, sembrava una specie di curva incisa sul volto per circostanza.
«Oh eccoti qui, tuo padre ti sta cer-» Halder si bloccò in un istante notando la presenza di Fili davanti a lei. Corrugò la fronte, boccheggiando un paio di parole sconclusionate prima di alzare appena i palmi. «Scusate, vi ho disturbato?»
Sigrid fece per parlare, arrossendo di nuovo senza controllo, ma fu il nano a spezzare il silenzio, abbassando il capo biondo.
«No.» Conciso e cupo, s'abbandonò all'ennesimo sospiro, socchiudendo le palpebre.
Sigrid si voltò a guardarlo di nuovo e lui sentì la forza di quello sguardo imprimere dentro di lui con forza. Avrebbe voluto ricambiarlo, adesso, ma la presenza di Halder aveva rovinato ogni cosa. Aveva già avuto modo di provare gelosia – nella sua vita – contro lo stesso nano che prima lo aveva retto in piedi, conscio che stesse soffrendo quanto lui. Ma adesso era diverso; non riusciva a respirare. Era forte, molto più forte di un fastidio nascente, era una pugnalata al petto, alimentata dal fatto che Halder un Uomo, alto, gioviale e perfetto per Sigrid. E lei doveva saperlo, in fondo, che non vi sarebbe stata scelta da fare; si sceglie sempre la via più facile, perché lontana dai problemi.
«Halder arrivo subito, vai ad avvisare mio padre.»
«Sì. Certo sì.» Il ragazzo sorrise e fece un cenno, prima di voltarsi verso Fili e chinare il capo in un segno di rispetto. «Mi dispiace molto per la tua perdita.»
Fili alzò lo sguardo solo per un secondo prima di ricambiare quel cenno del capo, senza proferire parola. Halder rimase un attimo in attesa – guardando sia lui che Sigrid – prima di allontanarsi con passo svelto, annullando quel sorriso di poco prima.
Fili lo seguì con lo sguardo per diversi secondi fino a chiudere gli occhi, poco dopo. Riprese a respirare con profonde boccate d'aria, stringendo appena i pugni ai propri fianchi.
Fu in quel momento che sentì le mani di Sigrid sul proprio volto e quando riaprì gli occhi la ritrovò esattamente di fronte a lui. S'era inginocchiata sui detriti che lui stesso aveva lasciato, in quella lotta furente con sé stesso, e lo sguardo di lei era colmo di qualcosa che non riuscì a decifrare.
«Non sarai mai solo.» Sussurrò lei con un dolce sorriso sul volto e lui sentì di nuovo le lacrime premere contro gli occhi, illuminando le iridi. Lui alzò le proprie mani per poggiarle contro il dorso di quelle di lei e le strinse, con tutto il sentimento che poteva esprimere. Era talmente etereo, quel momento, che aveva paura svanisse da un momento all'altro.
Non era nemmeno sicuro che fosse reale, talmente si sentiva invaso da tutto questo.
«Sigrid...» mormorò piano, corrugando la fronte in un'espressione tormentata. «...io diventerò Re sotto la Montagna.»
Sigrid non aveva smesso un secondo di sorridere, neanche quando i suoi occhi si velarono di lacrime silenziose e il suo volto riprese a scaldarsi.
«E sarai un grande Re.» Mormorò lei con voce bassa ma cristallina, socchiudendo le palpebre.
Nessuno dei due aveva l'intenzione di scostarsi da quella presa; entrambi si fissarono a lungo e – di nuovo – tutte le parole dei suoi Amici vennero a galla nei pensieri di Fili, travolgendolo.
Non avere paura.
Non attendere.
Non pensare.

Fece un leggero scatto in avanti, allungando le mani verso il viso di Sigrid. La tirò leggermente verso di sé e trovò le sue labbra in un bacio pressante, schiudendo le proprie.
Lei ricambiò quel bacio con sentimento profondo e Fili sorrise, dentro di sé, sentendo il dolore sopirsi sotto l'ombra di quel bacio.
Ora non aveva più dubbi; il suo cuore aveva scelto.


 


 


 


«Bombur, vacci piano.»
Bofur aveva dato uno schiaffetto sulla mano del fratello, facendogli ballonzolare la ciotola di stufato che teneva tra le mani. 
Nella grande Sala si alzavano i canti dei nani, li sentivano far cozzare i boccali e ricordare le antiche gesta della loro gente, illuminati da piacevoli fiaccole appese alle pareti.
Bombur e Bofur si erano separati dal gruppo e s'erano ritrovati nello spiazzo esterno, sulla roccia, dove molti giorni prima Berit s'era rifugiata a guardare il manto bluastro – aspettando l'arrivo dei nani rimasti a Esgaroth. Questo Bofur non lo sapeva, ma lo sapeva Bombur e ora erano  a mangiare insieme, stringendosi nelle loro giacche pesanti mentre il venticello freddo li avvolgeva senza infliggere ferite nelle loro ossa.
Il nano panciuto s'era soffermato più volte a guardare il volto del fratello mentre mangiava, aveva notato i suoi occhi ancora gonfi e stanchi e l'ombra di un sorriso non più così felice. Finalmente quel giorno stava giungendo al termine e – sperava – che all'alba del prossimo Sole il dolore si sarebbe trasformato in un soave ricordo, senza più rimpianti o rimorsi. Forse sarebbero serviti molti più Soli di quello che pensava ma – d'altronde – un nano che ha perso qualcosa sa fin troppo bene cosa vuol dire convivere con un vuoto che non verrà mai più colmato.
«Ma io ho fame.» Si lagnò Bombur, gonfiando le guance.
«Oooh, davvero? Non l'avrei mai detto.»
«Non mi prendere in giro.» Sbuffò Bombur, stringendo la sua ciotola con forza.
Bofur aveva sorriso di nuovo e gli aveva dato un altro schiaffo alla mano, molto leggero, prima di ritrarsi stringendo il suo pezzo di formaggio tra le mani.
«Un giorno ti ritroverai così panciuto che non riuscirai a camminare, fratello, se continui a ingurgitare tutto questo cibo.»
In effetti, davanti a Bombur, stavano adagiate già quattro tristi ciotole vuote. Bombur le guardò con un sospiro e fece spallucce, riprendendo a mangiare.
«Oh, scusate.»
La voce di Bilbo si palesò alle loro spalle ed entrambi si voltarono per osservare lo hobbit spuntare sotto la luce della Luna crescente. Non lo avevano sentito arrivare, era proprio vero che gli hobbit erano silenziosi e lesti come leprotti. Bofur aveva sorriso e Bilbo fece altrettanto, soffermandosi a pochi passi da loro.
Bombur strinse ancora la ciotola tra le mani e alternò lo sguardo su entrambi. Sapeva bene dell'amicizia profonda che si era creata tra i due e – con più consapevolezza rispetto al passato – si ritrovò ad issarsi con un po' di fatica dalla sua sporgenza rocciosa, sistemandosi le braghe con una manata. Non aveva voluto lasciare Bofur da solo neanche per un secondo, da quando era successo, ma ora era il momento di lasciare l'onere a qualcun altro che poteva comprenderlo senza bisogno di troppe parole.
«Io vado a prendere un altro po' di maiale. No insomma, volevo dire, vado a cercare Bifur.» Si corresse Bombur all'ennesima occhiata fulminea del fratello. Quello lo guardò con scetticismo ma fu l'unica cosa che gli rivolse quando lo vide sgattaiolare via, facendo rimbombare il passo fino alle grandi scalinate. Bilbo fece un sorriso e si ritrovò a guardare – di nuovo – verso Bofur. Fece un altro passo e si ritrovò a passare di fianco ad un piccolo telo di stoffa, abbandonato lì da chissà quanto tempo, quando vi si avvolgeva per scaldarsi, desideroso di fare compagnia a Berit nelle sue perlustrazioni stellari notturne.
Venne invaso da quel ricordo e dovette pigiarsi le labbra tra loro per celare il malcontento che gli annebbiò lo sguardo.
«Volevi allontanarti dagli schiamazzi, eh?»
Bofur interruppe i suoi pensieri, ritornando a mangiare il suo formaggio. Aveva distolto lo sguardo da Bilbo ma ancora sorrideva. Forse non era più lo stesso sorriso di prima ma era felice che continuasse a farlo; non lo aveva perso come aveva temuto, durante il funerale.
«Oh in verità – ecco – volevo salutarti.»
Bofur si voltò di scatto, sgranando gli occhi. Per poco non gli volò dalle mani il tocco di formaggio.
«Stai...stai partendo adesso
«No, no!» Bilbo scosse il capo, snudando un sorriso poco convinto. «Partirò domani ma...ecco volevo, sì ecco io...»
«Oh Bilbo, finalmente rivedrai la tua amata Contea.» Bofur aveva ripreso a sorridere. Aveva ben colto il momento di disagio di Bilbo, dire addio non era mai facile, specie quando aveva il sentore amaro di una parola che non voleva essere detta.
«Già.» Bilbo sorrise con più vigore, rialzando il capo riccio e restando a guardare l'amico con occhi sottili. Aveva infilato le mani in tasca e – seppure la voglia di accarezzare l'Anello era stata invadente – era la ghianda che sfiorava con le dita, con carezze profonde e nostalgiche.
«Mi è mancata molto. Sono felice di tornarci, e vederla con occhi...nuovi, sì.»
«Casa è sempre Casa.» Aveva mormorato Bofur riflettendo il suo stesso sorriso. 
Il nano aveva notato le sue dita intrufolarsi dentro la giacchetta ma non aveva dato voce ai suoi pensieri, rimanendo a guardarlo in silenzio.
«Io...io ecco volevo ringraziarti, sai? Insomma, è stato...è stato un viaggio molto lungo, e alquanto indigesto in alcuni punti, sai scomodo e difficoltoso, e ho persino preso il raffreddore eh-eh» Bilbo aveva abbassato di nuovo il capo, con aria imbarazzatao. «Ma tu, tu hai sempre creduto in me, fin dall'inizio, e sono felice che non mi hai “permesso” di scappare via dalle Montagne Nebbiose, quella sera.»
«In verità ti avrei fatto andare via, quella sera.» Replicò Bofur con un sorriso addolcito. Le solite fossette gli incisero le guance e Bilbo sorrise con più fermezza, per quello.
«Lo so. Ed è per questo che ti ringrazio. Hai sempre voluto il mio bene, a discapito del...vostro. È una cosa così nuova per me, non ho mai avuto amici pronti a fare questo, per me. Pronti a rischiare tutto pur di salv...insomma pur di...»
«Sono io che devo ringraziare te, Bilbo.» Mormorò Bofur. Aveva smesso di mangiare e lo fissava con occhi grandi, ancora gonfi di pianto e spenti della loro solita luce. «Tu ci hai salvato. Fin da quando hai corso per il sentiero a Lungacque.»
«Me...me lo stanno dicendo tutti, ma perchè io non mi sento...non mi sento...?» Bilbo ci provò a parlare, balbettando parole scomposte, prima di sentire la mano di Bofur sulla sua testa.
Nessuna pacca questa volta, solo una leggera carezza, carica di affetto.
«Tu sei il nostro finale migliore. E ogni nano sarà leale ai Baggins finché vi sarà onore nei loro cuori.» Bofur pigiò le labbra tra loro, socchiudendo le labbra. Forse non era il suo quindicesimo finale, ma – nel male – v'era sempre qualcosa di buono da trovare e lui, in questo, era sempre stato bravo. Vedere il boccale pieno anziché vuoto era una forza che gli invidiavano in molti, d'altronde. «Se te lo dicono tutti allora credici anche tu, per una volta. Avevi detto che non sai cavartela nelle Terre Selvagge eppure eccoti qui; forte e coraggioso. Gli hobbit sono pieni di sorprese, amico mio.»
Bilbo aveva premuto le labbra tra loro per evitare di piangere per l'ennesima volta, quel giorno. 
Ogni parola detta dai nani aveva valore, per lui, ma adesso poteva crederci sul serio, in fondo.
Non si sentiva un eroe ma, di certo, qualcosa aveva fatto. Ed era poco reale nascondersi nella modestia di quei gesti; Gandalf glielo aveva detto, se fosse tornato a casa non sarebbe stato più l'hobbit di una volta. Ed aveva ragione.
Aveva proprio ragione.
«Ho una cosa per te.» Aveva detto d'un tratto Bilbo, tirando su col naso. Dalla giacchetta aveva tirato fuori un papiro arrotolato e – ora – glielo aveva puntato contro il naso a Bofur, sventolandolo appena.
«Per me?»
«In verità non era per te.» Bilbo sospirò e, questa volta, un paio di lacrime gli sfuggirono sul serio dal volto. Non appena Bofur lo notò lo sguardo gli si ombreggiò di nuovo, corrugando la fronte. Aveva sfilato via la presa dal capo di Bilbo e aveva afferrato il papiro con lentezza. 
«Era per...» Bilbo aveva bloccato il dire per guardare in volto il nano e quello aveva fatto lo stesso. Bofur aveva lo sguardo lucido, ora, colmo di lacrime. «...non l'ho mai ringraziata per la mappa. Insomma non che lei mi desse mai l'opportunità di farlo, credo che non amasse molto cose di questo genere ma...ecco, mi sono fatto aiutare da Ori, diverso tempo fa. Volevo darglielo alla fine di tutto ma...»
Bilbo tirò su col naso, di nuovo, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano e Bofur aveva preso a srotolare in fretta il papiro.
Era un disegno.
Il papiro era tutto stropicciato e il carboncino un po' sbavato e sfumato agli angoli ma ciò che v'era lì sopra era ben inciso, come un ricordo lontano. 
Erano Bofur e Berit, dritti e sorridenti sopra il tavolo di Bilbo, lei con un boccale in mano e lui con il flauto. 
Intorno a loro v'erano ciotole e cibi e – se ci si immergeva a fondo – si poteva ancora sentire il suono di quella musica lontana.
Questo Bilbo lo detesta.
«È il primo ricordo che ho di voi. Nitido, insomma. Eravate molto contenti lì sopra, mentre prendevate a calci le mie stoviglie e mangiavate il mio cibo. E..insomma credo ancora che ci siano le pedate dei vostri stivali sul mio tavolo ma...»
Bilbo si bloccò perché notò Bofur in preda a dei singhiozzi silenziosi. Il petto sussultava ad ogni lacrima che scendeva e moriva sulla mandibola, scivolando sulla pietra. 
Stringeva i lembi del papiro con forza e aveva gli occhi chiusi, intrisi di pianto.
«Mi manca così tanto.» Soffiò Bofur con tristezza.
Bilbo aveva sentito di nuovo quel dolore nostalgico prendergli il petto e, lentamente, s'avvicinò al suo amico e gli cinse la testa in un abbraccio.
Non era stretto e irruente come quello dei nani, ma era tutto ciò che poteva esprimere. 
«Ogni secondo, ogni volta che...non c'è un attimo in cui non pensi a lei.» Singhiozzò Bofur, abbandonandosi a quel pianto. «Farei qualsiasi cosa pur di sentirla ancora con me.»
«Lo so.» Rispose Bilbo, chiudendo gli occhi. «Manca tanto anche a me.»
Rimasero in silenzio per diversi secondi, abbandonandosi all'ennesimo pianto, dove i ricordi si aggrovigliarono insieme. Lasciare andare Berit era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto Bofur e - ancora - non voleva pensarci. Non voleva crederci. Non voleva sentire nessuno dirgli "mi dispiace", ma aveva amici leali che - per sua fortuna d'altronde - non avevano intenzione di fargli provare quel dolore in solitudine. 
Fu lui, il primo, a staccarsi da quella presa, tirando indietro il capo.  Aveva smesso di piangere ma aveva il volto tutto arrossato e la ferita sul volto bruciava un po'. Bilbo tornò a guardarlo e – come un ricordo veloce – si ritrovò a guardare quel disegno con un sorriso amaro sulle labbra.
«Se provi a insudiciarmi il foglio di lacrime me lo riprendo.»
Bofur sgranò gli occhi per un secondo prima di cominciare a ridere, scuotendo il capo. Diede una spintarella a Bilbo, leggera, prima di arrotolare il papiro e tenerselo stretto contro il petto.
«Questa è proprio una di quelle cose che avrebbe detto lei.» Disse Bofur, pigiando le labbra tra loro.
«Sì...sì infatti.» Rispose Bilbo, stringendo gli occhi tra loro. Rimasero in silenzio ancora qualche istante, asciugandosi le lacrime.
«È » Bofur tirò su col naso, di nuovo. «un regalo bellissimo, grazie Bilbo.»
Bilbo sorrise di nuovo e piegò il capo riccio, alzando le spalle. Fece per fare un passo indietro ma Bofur s'alzò quasi di scatto, andando a infilare la mano dentro la sua giacca. 
Ci mise un bel po' di tempo a ritirarla fuori, ostacolato dalla cotta di cuoio che ancora gli copriva il busto.
«Anche...anche io ho qualcosa per te, aspetta.»
Tirò fuori un papiro, messo un po' meglio rispetto a quello donatogli dallo hobbit, e lo porse a Bilbo con un po' di irruenza, che quasi lo colpì sul naso.
«C-cosa?» Bilbo riuscì a prenderlo ma aveva sgranato lo sguardo, perplesso.
«Berit sapeva che avevi perso la tua mappa. Lei è sempre stata così, le piaceva far stare bene i suoi amici.» Disse Bofur, sorridendo pienamente. «E così ha voluto...farti un altro pensiero. Te l'avrebbe donata prima ma è così...» Bofur si bloccò, evitando di cadere di nuovo nel pianto. «Era così distratta.»
«Ma...ma...io...» Bilbo non aveva più molte parole. Prese in gran fretta quel papiro, srotolandolo sotto gli occhi sorridenti del nano che aveva di fronte.
Non appena aprì il foglio si ritrovò – perfettamente nitida – una mappa. 
La mappa dell'intero viaggio; partiva dalla Contea, passava per le Terre Selvagge, Gran Burrone, le Montagne Nebbiose, si delineava nella Carroccia, si fermava nella casa di Beorn e proseguiva per Bosco Atro, fino al Fiume che portava a Pontelagolungo. E poi la Montagna Solitaria, che si prendeva un bello spazio nel lato destro della mappa, ove dimorava il disegno di un grande Drago rosso, che vegliava il tesoro con la sua spire di fuoco. V'era una freccia che portava sul disegno di Smaug e sotto c'era scritto, con lettere incise 
Hai preso in giro un drago, Cavalca Barili, questo lo dovrai raccontare alle tue festicciole nella Contea. I piccoli bambini hobbit ti reputeranno un eroe come nessuno. Ah, una piccola nota o Ori si offende, mi ha aiutato anche lui in questo. Il suo lungo naso è sempre onnipresente, accidenti!”
Bilbo aveva sorriso pienamente a quella frase ,gli erano scivolate giusto altre due lacrime, sulle guance, ma cariche di un sentimento più piacevole della tristezza.
Aveva rialzato gli occhi su Bofur e lui stesso sorrideva, nel luccichio dello sguardo, respirando con le labbra chiuse e il petto ancora un po' tremante. 
Il vento li stava avvolgendo ancora e scompigliava i capelli e faceva danzare le vesti. Qualche foglia – lontana – vorticava in un piccolo turbine invernale.
«Sai...» aveva cominciato Bilbo, riprendendo il controllo di sé stesso, mentre stringeva al petto la mappa. L'aveva infradiciata di lacrime. «...quando vedo solo roccia non – non sogno i canti degli Elfi, o il prato verde, o il battito d'ali degli uccellini lontani.»
Lo hobbit aveva rialzato lo sguardo e si strinse nelle spalle, caricando il sorriso fino ad illuminare l'intero volto.
«Io sogno voi









 

NA.
Saaaaaalve a tutti. Dopo un intensissimo S. Patrick mi sono immersa nel PENULTIMO (ebbene sì ç_ç) capitolo della mia storia. Avevo sperato uscisse un po' meglio maaaa stamattina sono un po' rimbambita (che poi è già pomeriggio, ma dettagli!) quindi lo tengo così e mi concentrerò meglio sull'ultimo capitolo il più presto possibile.
Grazie alle mie donzelle di fiducia, che sicuramente dopo questo capitolo mi recensiranno ancor peggio di flash *///* uhuhuhu! E grazie a chi mi segue in segreto e in silenzio <3 vale tutto anche per voi. Ah e volevo ringraziare Obession_91 che mi ha aggiunto nelle storie preferite/seguite! Grazie grazie grazie mille di cuore.
ps. So che aspettavate questa Figrid dal profondo del cuore e, il fatto che io l'abbia inserita ADESSO e non prima, è una cosa che spiegherò bene la prossima volta. Non temete *_*
pps. Non ricordo più cosa volevo scrivere, olè v.v
Vabbè niente vi saluto e spero che il capitolo vi piaccia *_* a presto!

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Capitolo 49
*** Svegliati ***


Capitolo 49.
Svegliati

Nell'alba di un nuovo giorno si sentiva il profumo dell'inverno superare le vallate, scivolare prepotente tra gli edifici di Dale e infrangersi negli speroni della Montagna.
Ogni crepa o punta veniva colpita da un bagliore potente, mostrandosi oltre la debole nebbia e superando le nuvole trasparenti.
La luce filtrava oltre questa e gli stormi danzavano tra le foglie cadute, cantando ancora d'una vittoria silenziosa.
Gli Uomini di Dale erano spesso in festa e banchettavano felici, al calore delle fiaccole calde, lasciando vagare nell'aria la musica allegra e le risate rauche e pregne di vino e festa.
Gli Elfi ancora rimasti tra le mura stavano preparandosi per gli ultimi saluti, prima di abbandonare le terre e dimenticarsi del gelo e del ronzio del commercio.
I nani della Compagnia di Scudodiquercia annullavano i pensieri con lavori continui ed estenuanti.
Ripresero a far bruciare la fornace, a scavare nella roccia e a sistemare tutto ciò che Smaug aveva distrutto con la sua irruenza.
Non erano più sicuri di quanto tempo fosse passato da allora.
Ogni qualvolta il Sole sorgeva e poi si rintanava dietro le cime lontane aleggiava un senso di pace e nostalgia profonda, lasciando spazio a deboli sospiri carichi di parole non dette e pensieri celati.
Molti nani dei Colliferrosi presero a marciare verso Erebor, subito dopo i funerali, abbandonando alcune dimore.
Alcuni parenti degli Ered Luin attraversarono gli antichi sentieri, giungendo nella valle alle luci dell'Alba.
Furono tutti accolti in festa, nonostante tutto, e non mancarono banchetti di benvenuto e grandi storie e canti davanti al fuoco bruciante della forgia.
Era un tipo di calore che era mancato, così diverso dal fuoco del Drago, era caldo e avvolgente come un focolare che brilla in una dimora scavata.
Bilbo partì dalla Montagna una grigia mattina, prima del flusso di volatili nel cielo nuvoloso. Faceva freddo e un lieve nevischio copriva le rocce, cadendo sulle loro teste.
Tutti i suoi amici nani erano presenti e non ve n'era uno che non piangeva per quella partenza.
Il viaggio era giunto al termine, c'erano state tante sofferenze ma nessuno di loro avrebbe mai dimenticato.
Nel loro cuore avrebbe sempre dimorato qualcosa di oscuro a tutti gli altri nani che s'erano rifiutati di partecipare a quella spedizione, qualcosa di intimo e segreto, così a fondo inciso come un marchio che li avrebbe legati per sempre, fino alla morte.
Bilbo aveva pianto con loro mentre si issava la sua piccola sacca da viaggio.
Gandalf era già pronto per partire e aveva caricato i pony con due casse d'argento e d'oro.
Lo hobbit non aveva accettato tutta la sua parte del tesoro, ve n'era già abbastanza per sopravvivere in quella umile vita che ora gli spettava.
Nessuno aveva scommesso su quanto i pony sarebbero resistito al viaggio e – questo – fece sfuggire un'altra lacrima di troppo in mezzo ai singhiozzi.
Con un ultimo saluto Bilbo si era congedato, ma lo aveva detto d'altronde; il tè era alle quattro e quei nani
i suoi amici
sarebbero sempre stati i benvenuti.
Non importava se avessero finito di nuovo tutto il suo cibo nella dispensa, o avessero inscenato un ballo da festa sopra il suo tavolo, o si fossero divertiti a distruggergli le tubature del bagno.
Non era più sicuro di poter sopportare il silenzio che sarebbe tornato a convivere con lui, nella sua casa Hobbit.
La mancanza della sua ospitale dimora era un pensiero che tormentava spesso e volentieri ma sarebbe stato trafitto da un altro tipo di nostalgia, più profonda e impressa, da ghermirgli il petto come tante lamine d'acciaio.
Erano passati tanti mesi da quel lontano giorno nella Contea ed era cambiato molto; ora vedeva nelle sfumature del mondo che s'apriva fuori dalla sua piccola finestra e ne era rimasto così affascinato da non riuscire più a farne a meno.
Adorava e odiava questo suo nuovo sé: non era un amante dei cambiamenti e, adesso, non voleva lasciare nessuno di loro.
Ma d'altronde lui non era che un piccolo hobbit in un vasto mondo – Gandalf lo aveva detto al suo ritorno – ed era così che doveva andare. Non v'era stata solo fortuna ad averlo guidato fin lì ed avergli permesso di poter tornare a casa.
V'era dell'altro di profetico e che – forse – non avrebbe mai capito del tutto.
E con la mancanza dei loro volti nel cuore, mentre ripercorreva tutti i sentieri percorsi con i suoi amici, i luoghi e le grotte, ne sentiva il profumo e vi vedeva mentre i colori del mondo cambiavano, sperò con tutto il cuore che non si sarebbero disturbati a bussare.

 


 

Tutto cambiò in un istante ma il tempo fu clemente.
Tutte le mogli che dovevano giungere non tardarono la loro venuta.
Gloin ringraziò Aule per giorni quando riuscì ad abbracciare la sua lei e il giovane Gimli; un nano rosso con poca barba ma già tanta forza nelle braccia robuste.
Volle sapere tutto sul viaggio, l'avventura e ogni pericolo in cui s'erano imbattuti.
Gloin passò intense serate intorno al fuoco ad affiorare i ricordi e lasciarli fiorire con più colori e molte gesta valorose.
Balin rimase nelle sale dei prodotti minerali e aspettò gli altri ranghi delle LungheBarbe per parlar loro dei molti progressi, venne ufficializzato come portatore di Voce per le vecchie tradizioni e incaricato primario nell'incidere i nuovi tomi della storia di Erebor.
Ori fu chiamato al suo fianco come aiutante, insieme ad altri giovani nani appena giunti.
Dori e Nori ritornarono a lavorare nelle fucine, anche se quest'ultimo intraprese una lavorazione più raffinata per gli strumenti musicali.
La nana che – con ardore – lo aveva aspettato negli Ered Luin non era stata deviata dalla sua mancanza e lo aveva ritrovato con molti pianti di gioia.
Anche la povera moglie di Oin fu molto contenta di ritrovare il marito ancora vivo, gli regalò una nuova tromba lavorata, raffinata d'oro e con preziosi d'argento.
Oin riusciva a capire ogni parola senza più difficoltà e venne sommerso da così tante domande che risultò più rimbambito di prima.
Bifur e Bomfur erano stati impegnati nella conta del tesoro, con relativa pulizia delle zone ancora diroccate.
Bombur s'addormentava spesso e Bifur era costretto a fare il lavoro duro per conto suo. Con l'arrivo degli altri Nani la cosa migliorò alquanto.
Dwalin aveva aspettato invano l'arrivo della madre di Berit, ma si ritrovò spesso da solo nei Sotterranei con le tombe, e s'immerse in allenamenti da combattimento solitari, facendosi carico della milizia dei Colli Ferrosi e degli Ered Luin, diventando un volontario comandante dell'Esercito dei nani.
Fili s'era deciso a diventare Re sotto la Montagna, con un'incoronazione degna di nota.
C'era stata fierezza e molti canti si levarono nel cielo stellato. Ma il suo sguardo era solo per due occhi chiari, che lo fissavano con orgoglio e affetto, sapendo che vi stava rinunciando per qualcosa che non avrebbe mai potuto spiegarle.
Non avrebbe lasciato il trono nelle mani di un altro nano – neanche se un parente – per onorare Berit, Thorin e il suo caro e amato fratellino, morti in una guerra che – loro – avevano cercato di evitare fino alla fine.
Loro avevano riconquistato Erebor, non gli Ered Luin o i Colli Ferrosi, e quello era l'unico modo per dare importanza a quei sacrifici.
Ora capiva il discorso che Thorin fece lui prima della partenza di Erebor, adesso doveva farla fiorire come avevano sempre sperato e così si sarebbe compiuto.
Bofur aveva ripreso il lavoro come giocattolaio e mai – come allora – aveva lavorato più duramente, per la gioia di piccoli nani e piccoli umani.
Ma la sera, quando tutti si rifugiavano nelle dimore o si beavano nella Compagnia di mogli e parenti, lui andava nelle Grandi Sale che capeggiavano nella cima della Montagna, risalendo gli scaloni di pietra.
Quella sera la Luna cresceva alta nel cielo scuro, incupendo le stelle con la sua immensa facciata luminosa e tutta la valle era sopita in un composto silenzio, interrotto dalle danze dei focolari e le risate lontane di Uomini e Nani.
Aveva oltrepassato l'uscio della stanza e s'era diretto verso il letto sfatto dalle lenzuola polverose.
A terra giacevano molte armi; asce, martelli, spadoni e archi impolverati. Non li aveva più toccati da allora, rimasero silenziosi e pacati nella loro staticità.
Fece attenzione a non scalciare e calpestare nulla, come al solito, prima di gattonare sul letto e sedervisi sopra.
V'era ancora la giacca di Berit appallottolata da un lato, vicino al cuscino dove era stato adagiato quel buffo elmo dalla forma di gufo.
Nell'aria il suo odore ancora persisteva e la sua presenza era così incalzante da far sembrare quella Sala in attesa.
Bofur la vedeva, mentre strinse tra le mani il disegno di Bilbo.
 La vedeva nel disordine, nel rumore delle armi che ancora rimbombava nelle pareti da quel giorno in cui l'Amore non era stato più celato.
La vedeva nelle sue vesti a terra, sgualcite e sporche, nei fogli di mappe e chissà cos'altro in una cassetta di legno piena di cianfrusaglie dorate.
Ogni sera lei era ìl con lui e questo bastava.
Chiuse gli occhi.

 

Qualcuno gli strappò il papiro dalle mani.
«Dammi qua!»
Berit lo stava consultando con aria leggermente stralunata. Bofur pensò che i suoi occhi si fossero ingigantiti per lo sdegno.
«Ori mi ha disegnata grassa!»
Bofur corrugò la fronte, guardando verso il disegno che lei teneva tra le mani.
«Non sei mica grassa.»
«Io lo uccido. Gli pinzo quel grosso naso da crebain che si ritrova.» Lei continuò quella sua personale minaccia, digrignando i denti e quasi ringhiando mentre stringeva i lembi del foglio.
Bofur si soffermò a guardarla con aria divertita, analizzando il suo viso.
Era davvero insolito come la trovasse stranamente graziosa anche con quell'aria da nana omicida.
«Forse ha voluto vendicarsi per tutte le volte che lo hai centrato con qualche pietanza.»
«Vendicarsi?» Berit sgranò gli occhi e la sua voce divenne stranamente acuta. «Vendicarsi? Ma dovrebbe essere onorato! Ho scelto lui per le mie prove di mira, quanti possono vantarsi di ciò?»
«Bè...»
«Ssh. Non rispondere.» Berit alzò un indice davanti al suo naso che quasi glielo colpì.
In quel preciso momento, alle spalle della nana, comparve Ori con un aspetto piuttosto leggiadro.
I capelli biondi erano luminosi e ordinati ed era tutto avvolto in stoffe e vesti di velluto. Non gli si vedeva più il collo.
«Il banchetto sta per inizia...»
«Tu. Miserabile essere lentigginoso. Io ti sfregolo.» Berit piantò il disegno sul petto di Bofur e cominciò a guardare Ori con occhi di fuoco.
«Ma...che cos'ho fatto adesso, di grazia?»
«L'hai disegnata grassa.»
«L'ho fatto?» Incalzò Ori, indietreggiando.
«Oooh.» Berit faceva ogni passo ad ogni tentativo di Ori di indietreggiare. Aveva un sorriso alquanto inquietante sul volto. «Non fare il plantigrado con me.»
«Berit si può sapere come parli? Non ti capisco.»
«Corri.» Sibilò lei arricciando il naso, snudando un sorriso maligno.
«Che?»
«Corri Ori.» Aveva ripetuto lo stesso Bofur, guardando il povero nano biondo allargare gli occhietti e cominciare a correre con uno scatto il più lontano possibile da Berit.
Non ci volle molto prima che la nana gli fu dietro, da far invidia ad una particolare corsa campestre.
In realtà si soffermò giusto per un istante, tornando indietro con dei saltelli un po' sbilenchi, ritrovandosi proprio davanti al volto sorridente di Bofur.
Gli diede un bacio sulle labbra, chiudendo gli occhi, assaporandosi quel così raro e leggero contatto prima di scostarsi e sorridere pienamente. Il volto sembrava molto più radioso del solito; anche la mancanza di terriccio e sudore alimentava quel piccolo quadro.
«Non cominciare a suonare senza di me. Vado a vendicarmi e torno.»
E dopo quel leggero sussurro ritornò a inseguire Ori verso un grumo di gente che s'era soffermata davanti ad una tavolata ricolma di cibo.
Solo allora Bofur si rese conto di dove si trovasse, in quale Era del tempo stava accendendo in lui un nostalgico ma onnipresente spirito di festa.
V'era un grande banchetto e la musica già volteggiava nell'aria, avvolgendo gli astanti e inseguendo bambini e Umani che gironzolavano ridendo e mangiando.
Ebbri di vino, di risate, di cibo e di grandi storie erano tutti lì – tra Dale e la Montagna – a festeggiare la riconquista di Erebor.
Non mancava alcuno, chi era giunto da lontano pur di assistere a tale gioia e rallegrarsi come il cuore non faceva da tempo.
Tutti gli Elfi presenziavano ma stavano in disparte, v'era il Signore di Rivendell e il Re del Reame Boscoso – silenzioso e solitario - e suo figlio che, con una coppa di sidro in mano, stava interloquendo con Gloin e la sua famiglia. Se lo ricordava bene, in fondo, ciò che gli disse sul “fratello” e “l'orrida creatura” ed era assai divertente vederlo sogghignare davanti a svariati gesticolamenti del nano rosso.
Il piccolo Gimli sembrò andare dietro alle mosse del padre in quell'usuale comunicazione fantasiosa verso l'Elfo dalla Gamba Aperta.
Tauriel, invece, era seduta davanti al tavolo e guardava Kili. Il giovane erede era intento ad affondare una lama invisibile contro l'aria e nel suo sguardo lucente v'era il barlume di una tenacia profonda. Quanti ne aveva uccisi, su Collecorvo, liberando quel posto dal loro tanfo putrido, fatti cadere come foglie morte, appassite sotto la lucentezza d'una lama regale.
E così raccontava all'Elfa Silvana mentre roteava col busto e i suoi capelli bruni scendevano liberi sulle sue spalle, coprendogli un po' gli occhi.
E Tauriel rideva, con una risata che richiamava i più trasparenti ruscelli dell'Ovest, mentre il sole alto illuminava la sua pelle diafana e ne esaltava la bellezza.
Bofur s'accorse di com'erano tutti vestiti in festa, chi si era pettinato e ornato per l'occasione, chi s'era legato i capelli con trecce e monili d'argento e chi non aveva abbandonato l'armatura splendente come un caldo Sole d'estate. E nonostante il pieno inverno, non sentiva il gelo perforargli le ossa, né lo infastidiva tutta quella luce che ricadeva sulle loro teste, così lontano dal buio roccioso dei tunnel nelle grotte profonde.
Sorrideva beato alla vista di quella scena e rinvigorì il petto con un sospiro contento.
Dori era intento a porgere un minuscolo bicchiere alla volta dello Stregone Grigio e lo stesso fece con Beorn, austero e barbuto lì di fianco. Gandalf ringraziò con un cenno del capo e lo vide parlottare con quella nana tarchiata che stava di fianco a Dori e sorrideva contenta. Aveva lo strano vizio di tenere rialzata la gonna del vestito scuro, evitando di far finire l'orlo sotto la suola delle scarpe. I suoi capelli biondi erano avvolti in un'unica treccia, rotolata sulla nuca. Aveva una leggera peluria sulla mandibola e il suo volto panciuto era luminoso, così come gli occhi scuri. Guardava Beorn con un certo orgoglio e la vedeva parlare di gusto di chissà quali piante e quali sidri, mentre il mutapelle – sia mai chiamarlo pellicciaio – ascoltava senza cambiare espressione. Se ne stava con le braccia intrecciate, il busto dritto e denudato e le labbra dischiuse in un principio gorgogliante, che rauco si sprigionava dalla gola come un sottile ringhio animalesco. Bofur era ormai sicuro che avesse sopportato la vista dei Nani ma – d'altronde – non era certo saggio giocare col dubbio che fosse così per davvero.
Nori, invece, stava banchettando allegramente insieme a Bombur. Mangiavano e ridevano – Bombur era riuscito a ficcarsi in bocca almeno una coscia di pollo intera – mentre Nori aveva già l'occhio fino e lungo verso un paio di stolti Gambelunghe, intenti a guardarsi in giro con aria guardinga. Era quasi sicuro che fossero i due uomini incontrati a Esgaroth, nei viottoli nell'ombra, e fu davvero contento di vedere Nori lanciargli addosso qualche castagna dalla scorza dura, facendoli allontanare con aria turbata.
Oin era intento ad ascoltare la sua consorte con aria allegra e spensierata – un'aria che non spesso gli vedeva – e la nana anziana che parlava concitata, gesticolava e guardava in aria, appesantendo l'aria con storie che riguardavano gendarmi e antichi preziosi che nascevano dal terreno fino a fiorire nelle mani dei loro avi. Le storie erano fatte così; per essere raccontate sempre, ad orecchie che sapevano ascoltare.
Orecchie malandate o meno non era importante.
Bifur, invece, aveva ritrovato nei suoi cari fratelli degli Ered Luin una sorta di complicità intrinseca e tutti quanti gesticolavano e parlavano in khuzdul con allegria. Amava la lingua della sua gente, così dura e marcata, poco avvezza a fluidità e poco intuibile da orecchie diverse dai nani. V'era molta gelosia nella segretezza del loro linguaggio e non era raro vedere i nani raggrupparsi solo tra loro, prodigandosi in quella comunicazione antica.
Balin e Bard erano davanti ai Musicanti che rallegravano la festa con tamburi, trombe e violini acuti.
Le note sbrecciavano nei loro cuori ed entrambi sorridevano, parlando chissà di quale futuro prospero, mentre ogni rancore tra lui e quei nani era ormai sopito da tempo. La piccola Tilda era di fianco al padre e teneva stretto un piccolo orsetto un po' sporco, dall'aria malconcia, ma che era stato un amico prezioso nei momenti di paura e dolore. Rideva e batteva le mani a tempo mentre guardava un gruppo di Uomini ed Elfi danzare sotto la luce Solare, cantando e ridendo insieme. Bain era di fianco a lei e rimase composto ma tranquillo, non eccedendo nel giubilo di quel giorno, come un riflesso perfetto del carattere saturnino del padre.
E poi v'era Dwalin che aveva ben due boccali di birra schiumosa tra le mani inanellate e guardava verso un punto lontano.
Sorrideva, nonostante così non sembrasse, ma nei dettagli del suo volto degli occhi attenti potevano scorgere quella sottile linea delle labbra che, incurvata verso l'alto, delineava l'umore del figlio di Durin.
Bofur scorse, tra l'immensa folla, una nana dall'aria un po' ombrosa e svampita che si faceva largo come un leggero fantasma mentre avanzava verso di lui.
Ma fu invaso da un immenso profumo di arrosto e brace e, si ritrovò, a fissare Berit e Ori che gli erano appena corsi davanti al naso. Avevano percorso molti cerchi, avevano scavalcato sedie, scivolato sotto i tavoli e sgambettato qualche povero ignaro mentre stavano dirigendosi verso una coppia che parlava tranquilla.
Fili e Sigrid erano lì, seduti a terra, intenti a mangiare con spensieratezza, sorridendo insieme a chissà quali parole dette, mentre il sole faceva brillare i loro capelli dorati. Le guance della giovane arrossivano quando lui incrociava il suo sguardo e lui abbassava il volto quando lei sorrideva in quel modo.
I due corridori gli girarono attorno molte volte, facendo ridere di gusto la ragazza bionda e facendo inviperire Fili che – con aria infuocata – s'era immerso nel lancio delle fragole contro di loro per scacciarli. Ori s'era coperto la testa bionda e correva via, ridendo o piangendo, mentre Berit s'era ritrovata piena di puntini rossi su veste e volto. Cambiò la sua preda e saltò addosso a Fili, travolgendolo col proprio peso, finendo col rotolare addosso a Sigrid. Scivolarono boccali, piatti, qualche imprecazione s'alzò in aria e Ori si fermò dalla sua corsa – l'aria più paonazza che avesse mai potuto avere – e si mise a ridere così tanto che fece avvicinare anche Bifur, e Nori, e anche Dori e anche Kili e Tauriel.
Una serie di catastrofici eventi che diedero il via ad un'altra strana corsa che, adesso, prevedeva l'inseguimento dell'artefice di quella risata – Ori – da parte di Berit, seguita da Fili, che era seguito da Kili che – a sua volta – era seguito da Tilda.
Sigrid aveva ben tentato di fermare almeno la piccola ma quel trenino, non proprio voluto, non accennava a smettere.
«Questo è il caso che lo disegni nel tuo quaderno, se vuoi immetterlo nella storia, prima della tua morte prematura!» Aveva incalzato Berit, pulendosi il volto dalla birra che le era finita tutta sul volto.
«Mi fai paura quando dici cos- oh perdoni signora- sì!» Ori aveva slittato proprio sotto le gambe di una povera donna dall'aria stralunata, tuffandosi sotto ad un altro tavolo e rotolando nella terra.
«Io adesso vi gambizzo entrambi.» Urlò Fili di rimando che – levandosi i capelli da davanti al volto – aveva evitato di placcare un giovane ballerino in mezzo allo spiazzo adibito per le danze.
«Oooh Fili, ma che linguaggio!» Azzardò Berit.
«Volete fermarvi? Non ho più le forze!» Esclamò Kili, alzando le braccia.
«Cosa?» Domandò Ori, girando la testa. Per poco non si scontrò contro Legolas e le sue gambe così nodose.
«Lo stolto dice cosa?» Rimbeccò Berit, già ridendo.
«Cosa?» Questa volta era Fili che, in un momento di distrazione, s'era voltato giusto per vedere Sigrid fermare bruscamente Tilda che stava per scontrarsi contro Dwalin e una nana dai capelli scuri.
«Ma di che stiamo parlando?» Incalzò Kili.
«Berit ha intrapreso una corsa per dimagrire dalla sua grassezza.» Ori s'azzardò a quel commento e – con non poca raffineria – Berit gli saltò sulle spalle con un urlo da guerra.
«Ah, sì, la storia di Berit grassa la sapevo già. Io pensavo ci fosse una gara!» Si lagnò Kili interrompendo bruscamente la corsa.
«Se fosse una corsa io ti avrei già battuto, fratellino.» Fili sorrise con aria beffarda e Kili tentò un salto verso di lui, cingendogli il collo con un braccio.
Ruzzolarono entrambi a terra e subito rotolarono fino a scontrarsi contro un intero barile di birra.
Il barile vacillò in una danza solitaria per qualche secondo prima di ciondolare malamente su un lato.
I due fratelli smisero ben presto di ridere quando videro il barile piegarsi su quello adiacente. E quello piegarsi su quello dopo. E quello dopo ancora. Diedero inizio ad un effetto a catena che stava per sommergere di buona birra nanica il povero Dori che – malgrado il suo intento di donare alla consorte un fruttato bacio – si ritrovò lavato dalla testa ai piedi.
Fili e Kili erano ancora a terra, avvinghiati in una morsa combattiva, con lo sguardo paonazzo e i capelli sporchi di terra. Si guardarono per un istante e scoppiarono a ridere, battendo i palmi a terra e rotolando sulla schiena.
C'era da dire che nessuno – a parte gli Elfi – riusciva a non venire invaso da un moto di risa quando un nano s'abbandonava a quella spensieratezza. Che fosse rauca, ebbra, un po' bislacca e rumorosa, emanava allegria e nessuno se ne liberava.
Persino la moglie di Dori rise mentre asciugava il povero marito che non rideva proprio per niente.
Ori e Berit si persero quel divertente scenario mentre rotolarono in una lotta solitaria, scontrandosi contro dei grandi e pesanti cesti di frutta matura.
Per poco Bilbo non venne fatto cadere proprio addosso a Thorin, in tutto questo, che se ne stava dinnanzi al piccolo hobbit con aria serena ma placida.
S'era lasciato sfuggire una risata – però – nel vedere Dori rubare un pesce fritto dal piatto di Bombur e inseguire i suoi giovani parenti con aria minacciosa.
«...non ti mancherà tutto questo, mio caro Bilbo. Finalmente tornerai a guardare le vallate della tua Contea e dormirai sonni tranquilli alla luce del tuo camino.» Disse Thorin dopo un paio di sorsate dal suo boccale. Aveva l'aspetto da Re e sulla sua testa troneggiava la corona d'argento, in contrasto con i capelli neri e intrecciati che scendevano in una cascata ribelle.
«Oh, di certo non mi mancherà il frastuono. O il freddo. O l'essere preso di mira durante i banchetti dei nani.» E guardò di sbieco verso Fili e Kili che, correndo come disperati, per poco non lo sgomitarono di nuovo facendolo finire verso un tavolo. Si scostò di lato giusto in tempo per evitarlo e Thorin sorrise con affetto.
Non era la prima volta che lo faceva ma sapeva che sarebbe stato un sorriso che gli sarebbe rimasto impresso per molto tempo. Addirittura per sempre, quando avrebbe chiuso gli occhi e lo avrebbe ricordato con quell'aria così calma.
«Ma mi mancherà la vostra presenza. Le storie. Oh, anche le pacche sulla testa, se posso azzardare.» Bilbo tirò su col naso e nascose metà del viso finendo di bere dal suo boccale troppo grosso per le sue mani. Era riuscito a farsi versare quel buon sidro di Beorn e ne era rimasto così deliziato che ne aveva chiesti addirittura due, di boccali, e lo sguardo vago e lucido un po' lo tradiva.
«Ma le nostre porte saranno sempre aperte per te.» Mormorò il Re sotto la Montagna, guardandolo con un nuovo sorriso. «Amico mio.»
A quel mormorio finale Bilbo alzò la testa, colto da un imbarazzo improvviso. Sorrise di gusto e sentì gli occhi tornare a luccicare – ma non di certo per il sidro – mentre smuoveva il naso com'era solito fare in momenti dove le parole non gli venivano bene.
O non gli venivano affatto.
«Sono davvero contento che tu sia uscito dalla tua casa, quel mattino. E mi dispiace per tutte le volte in cui non ti ho fatto sentire gradito o ti ho fatto desiderare di essere rimasto a casa, sulla tua poltrona, a leggere le tue mappe.» Thorin aveva fatto un passo in avanti e gli aveva posato la mano sulla spalla. Bilbo ancora lo fissava, incapace di dire qualsiasi cosa. «So che te lo hanno detto in molti, da quando tutta questa storia è finita, ma mi premeva dirtelo di persona, dopo quello che ho rovinato con le mie stesse parole e le mie azioni incoscienti. Io ti chiedo scusa, Bilbo, per ciò che ti ho fatto. Sappi che niente sarebbe stato lo stesso, senza la tua presenza. Tu hai fatto la storia di Erebor e, un giorno, dimorerai vicino a me, così che neanche la lontananza potrà far nulla contro l'amicizia e la profonda lealtà che ora io provo verso di te.»
Bilbo tirò su col naso, sicuro di non riuscire più a trattenere alcuna lacrima da parte sua. Finalmente lacrime che non sapevano di tormento o tristezza, ma d'una felicità genuina. E Thorin s'accorse di questo e non poté fare a meno di ammorbidire il suo sguardo e tirare, verso di sé, la presa con cui stringeva la spalla di Bilbo. Lo abbracciò forte, stringendolo lo hobbit al petto e marcando quelle stesse parole con un gesto che ne valeva molte di più.
Bilbo, a differenza della prima volta che successe un tale fatto, s'abbandonò a quell'abbraccio con la presa più forte che potesse elargire.
Non che fosse lontanamente paragonabile a quella dei nani ma era abbastanza e andava bene così.
Bofur non riusciva a smettere di sorridere, in tutto questo, mentre osservava ogni cosa con la dovuta minuzia, l'indiscrezione con cui la sua curiosità si agganciava a quei momenti.
Vide Bombur venire verso di lui e avvolgergli il cappello con dei nastri da festa, senza dire una sola parola, e filare via verso una donna che stava portando un vassoio con sopra una torta di dimensioni importanti.
Sghignazzò di gusto e scosse il capo, prima di ritrovarsi – a sorpresa – Thorin lì davanti.
Lo fissò per lunghi istanti prima che il Re gli fece un cenno col mento, in silenzio, che lui ricambiò con un sorriso.
«Perdonami per ciò che ho fatto nelle Sale del Tesoro, Bofur.»
Bofur scosse il capo lentamente, quei nastri erano alquanto ridicoli.
«La malattia ti stava divorando, non te ne ho mai fatto una colpa.»
Entrambi si erano voltati verso la festa che continuava sulle note della musica e degli schiamazzi collettivi.
Il sole brillava e le nuvole formavano leggeri filamenti biancastri sopra la cima della Montagna.
V'era aria nuova e pregna di cambiamenti in tutto questo, come d'una nuova Era felice.
«Sei sempre stato uno dei più ottimisti della nostra Compagnia, non ti sei mai lasciato sopraffare da nulla. Neanche dal malcontento.»
«In verità l'ho fatto.» Mormorò Bofur, abbassando il capo, andando a guardare verso Berit.
Teneva tra le mani un cocomero enorme – sopra la testa – e continuava a inseguire un povero Ori senza più fiato in corpo.
«Sono molto fiero di te.» Disse Thorin, non lasciandolo continuare. Bofur si voltò a guardare il proprio Re e rimase sorpreso.
«Da..davvero?»
«Sì. Grazie per aver creduto.» Mormorò Thorin con un sorriso pacato.
Era stato raro vederne uno sul suo volto in tutto quel viaggio, l'animo di un Re poteva essere turbato da molti pensieri, speranzosi o infausti che fossero, e il tempo per attimi di spensieratezza erano assai rari e segreti. Aveva sperato che, alla fine di ogni cosa, quello stato d'animo sarebbe perdurato senza più essere invaso da calamità improvvise.
«Grazie a te, Thorin, per avermi permesso di seguirti. Anche se sono solo un-»
Ma Bofur non fece in tempo a finire che vide Thorin venire colpito da un cocomero, in piena faccia.
Solo in quel momento s'accorse di Ori e Berit fermi e imbambolati proprio davanti a loro.
Ori con occhi così grandi che – Bofur lo pensò sul serio – era convinto gli sarebbero partiti via e Berit con ancora le braccia rialzate e colpevoli di quel lancio.
Thorin aveva incassato il colpo con una certa durezza ma era completamente sporco di polpa appiccicosa e rossastra, colante dai capelli e dalle vesti preziose.
Aveva uno sguardo da vendetta incresciosa, non era per nulla un buon segno.
Bofur allargò lo sguardo e guardò tutti senza riuscire a dire una parola.
«In mia difesa» disse subito Berit, alzando un indice e facendo un solo passo in avanti «il cocomero ti dona.»
«Berit.» Sibilò il Re, togliendosi qualche grumo succoso dal volto barbuto e alzando gli occhi su di lei. Emanavano fuoco e inquietudine. Ori s'era ammutolito ed era rimasto impietrito come un sasso davanti all'evidente atto. Bofur rifletteva perfettamente quello stato d'animo, guardando verso Berit con un sorriso apprensivo.
Berit provò a parlare di nuovo ma lanciò ad Ori uno sguardo supplichevole prima di venire interrotta da un'altra voce.
Era femminile, un po' roca, elegante e che aveva il potere di ammansire ogni tipo di cruccio
«Sangue e budella sulle vesti e non fanno una sola misera lagna» incalzò Dìs sbucando proprio di fianco a Thorin, prendendolo sotto braccio «un po' di frutta sui capelli ed è il finimondo.»
La nana ammiccò con furbizia alla volta di Berit e Ori e trascinò via il Re, il quale grugnì qualche parola senza darle – volutamente – ragione.
Ori fece un sorriso e guardò verso Berit un'ultima volta, dandole una spintarella sulla spalla.
«Siamo pari.»
E detto questo s'allontanò di gran fretta, sperando di riuscire a riprendere tutto il fiato perso in quei minuti d'angoscia.
Berit lo fissò andarsene via – con un sorriso divertito sulle labbra – e giusto cambiò espressione quando vide Dori passare lì di fianco con un nuovo vassoio, portando un paio di boccali per lui e la sua signora.
«Oh, grazie Dori.» Berit gliene rubò uno.
«Ehi. Quello era mio!» Si lagnò Dori, ma la nana era già davanti a Bofur con aria ancora ansimante ma contenta.
Non calcolò più l'altro povero nano che – ora – fu costretto a tornare indietro per recuperare un nuovo boccale.
«Una promessa è una promessa.» Berit spinse il boccale sul petto di Bofur, arricciando il naso.
Era ancora un po' sporca di fragole e odorava di birra; era sorprendente quanto non riuscisse a rimanere pulita troppo a lungo.
«Ma questo non è tuo.» Bofur fece un sorrisino, alzando le sopracciglia.
«Bè, se tu non esistessi me lo starei già bevendo quindi apprezza il gesto.»
Bofur soffiò un'altra risata e prese il boccale, stringendolo con tutto il palmo prima di rialzarlo fino alle labbra e sorseggiarlo.
La birra gli colò tutta sui baffi scuri e non si premurò di pulirsi, dopo.
Ma fece un gran sorriso e Berit ne riflesse uno identico.
«Allora, com'è?»
«E' la birra più buona che io abbia mai bevuto.» Mormorò il nano, avvicinando con un'inusuale malizia il volto a quello della nana.
Lei – di tutta risposta – fece uno sbuffo e gli piantò le due mani sul petto.
«Stai diventando estremamente incline a frasi a dir troppo sdolcinate.»
«Non è vero.» Borbottò Bofur.
«Solo perché diventerò la tua nana Bofur non significa che sarò disposta ad ascoltarti parlare come gli Umani nelle loro melense promesse sentimentali. Non devi farti condizionare da quello lì.» E detto questo Berit si voltò a indicare il punto dove Fili, con della paglia disordinata al posto dei capelli, stava tentando di convincere Sigrid a ballare sotto la musica allegra di un liuto pizzicato. Tilda la spingeva di rimando, ridendo come non mai.
Ma Bofur non stava guardando verso quel punto.
Quella frase lo aveva invaso ed era arrossito, pieno del solito calore che gli era nato dal petto.
«Sì ma-»
«Ssh.» Berit lo aveva zittito subito, alzando un dito e picchiandoglielo sul naso con uno sbuffo. Quello lo aveva arricciato infastidito e divertito insieme. «Credi di essere soddisfatto?»
Bofur corrugò la fronte. Si bevve un altro sorso della – non – sua birra ma continuò a fissarla. 
«Di cosa?»
«Ah già; non te lo dissi.» Berit si picchiò un indice sul mento sbarbato e sorrise ancora. «Ho deciso che il tuo quindicesimo finale non mi piace più così tanto. Ne ho inventato un altro.»
Bofur rimase in ascolto, con la fronte aggrottata e i baffi sporchi di schiuma di birra.
Berit sorrise con una dolcezza diversa e alzò le mani per pulirgli il volto con i pollici, nel farlo aveva poggiato le altre dita sulla sua mandibola in deboli carezze.
«Siamo tutti in una grande Sala e vi sono nani e Umani – gli Elfi no, continuo a trovarli spocchiosi – e ci sono grandi arazzi e statue che troneggiano tra i pilastri di pietra. E le luci non provengono dall'esterno, ma dall'interno, perché le fiaccole è l'unico fuoco permesso. Compreso il bastone di Gandalf nel caso un rutto di Ori dovesse spegnerle di colpo.» Berit si bloccò un secondo giusto per sorridere quando Bofur scoppiò a ridere, divertito. «E io sto per diventare tua m...insomma è ufficiale, v'è Balin che già presenzia alla fine di quel grande corridoio lucente e ci aspetta che ci uniamo sotto la benevolenza di Mahal. Io mi sono bevuta almeno un barile intero di birra, e tu non sei riuscito a farti neanche mezza treccia perché hai le mani che ti tremano così tanto che Bombur è stato costretto a legartele ai fianchi. E quindi ora sembri tipo...» E imita un presunto Bofur con tutte le braccia rigide, strette ai fianchi come un tronco, facendo ridere Bofur ancora, scuotendo il capo. «...e accidenti, proprio in quel momento arriva Bilbo tutto trafelato con un seguito di ventisette pony perché ha deciso di portarci tutta la sua dispensa per festeggiare il nostro matrimonio, ma non aveva idea di dove fosse quel posto perché...» le mani di Berit ridiscesero di nuovo verso il petto di Bofur e li sostarono, carezzandogli appena il petto «...siamo a Moria. In realtà siamo riusciti a conquistarla di nuovo – a dir la verità sono stata io vincendola con una scommessa, sai che io vinco sempre – perché quella era casa tua e accidentiBofurchemagnificoposto. Tutti sono estasiati e felici quel giorno ma, ovviamente, Bilbo s'è dimenticato di chiudere la grande Porta. E... » Berit staccò le mani dal petto di Bofur e aprì i palmi davanti al suo volto, facendolo scattare per un secondo.
«Oh per i piedi di Bombur.» Esclamò Bofur, allargando gli occhi. Non sapeva nemmeno lui perchè lo fece.
«Uno stormo di tordi piomba sulle nostre teste, volteggiando ovunque. Sono offesi perché non li avevo invitati – e tu sai quanto io credo siano uccelli molto bizzarri – e loro sanno quanto io so sul loro conto ed ero sicura volessero vendicarsi di tutte le storie, sai?»
Berit prese a gesticolare tutta concitata, allargando lo sguardo. Bofur riprese a sorridere divertito, guardandola con uno sguardo insistente, solo per lei.
«Ma io già sapevo, nella mia prontezza, che questo momento sarebbe arrivato e avevo già preparato un piano infallibile. Avevo chiesto a Ori di fornirmi almeno trenta fionde, tempo addietro. Fili, Kili e Nori presero i grandi sacchi di riso e gemme e tutti ci caricammo e cominciammo a colpirli tutti.»
Bofur stava trattenendo a stento una grande risata a fior di labbra, aveva abbassato lo sguardo e aveva cercato le sue mani che continuavano a gesticolare.
«Solo che non avevo tenuto conto che il riso – in effetti – crea un po' di disordine alla volta degli uccelli e quindi quelli planano su di noi con voracità e noi ci ritroviamo tutti immersi in quelle ali minuscole e inquietanti. E lì succede di tutto, Bofur, accidenti. Dwalin comincia ad accettare uscite dalla roccia, Oin tenta di comunicare con loro con antichi gesti profetici e Balin tenta di colpirli con la pirica – già archiviata da me, perché io sapevo – e Bilbo per poco non sviene per tutto quel disordine, coprendo i suoi poveri capelli. Thorin è rimasto impassibile, come se s'aspettasse tutto questo durante quel giorno, non capisco il perché. E Fili e Kili – invece – si immergono in una lotta assoluta, e Gloin che tenta di placare tutti dicendo che i tordi sono nostri amici. E Gandalf – stranamente – si sta proprio sbellicando dalle ris-»
«Berit.» Bofur la richiamò dopo l'ennesima risata sgusciata via dalle labbra. Le stava stringendo le mani e la guardava. «Stai divagando.»
«Non sto divagando!»
«Non possiamo sposarci se veniamo assaliti dai tordi.»
«Oh sì invece. Perché, a sorpresa di tutti, i pony che Bilbo ha portato hanno la peculiarità di poter comunicare con loro e dissero a questi che ogni cesta sulle loro selle contiene chicchi di mais e frumento – i tordi sono ghiotti di cose inutili lo sai – e quelli migrano verso la porta Sud e spariscono da lì. Solo che hanno fatto un disastro, ci sono escrem-»
«Berit!»
«Io e te diventiamo degli eroi, fine.» Finì Berit di gran fretta, abbozzando un sorriso.
«Quindi riusciamo a sposarci?» Domandò Bofur, facendo salire una mano sul suo mento.
«Sì.»
«Avremo una dimora nella roccia?»
«Oh sì. Non hai idea dei rumori che usciranno da lì.»
Bofur divenne rosso in volto ma sorrise pienamente, facendo strusciare il polpastrello del pollice sul mento di Berit.
Le guardò le labbra per un secondo prima di alzare gli occhi su di lei.
«Ori non si riprenderà mai più.»
«Mi ha disegnato grassa, se lo merita.» Ironizzò lei con una smorfia divertita prima di sospirare per quel leggero gesto, socchiudendo le palpebre.
«E...avremo dei piccoli nani, come Gloin?»
«Un nano. Un po' stralunato. Un po' come te. Un po' come Bombur. Un po' come Bifur.» Sorrise lei, annuendo.
«Oh, un incrocio dei migliori nani della Compagnia, quindi.»Sorrise lui beffardo.
«O dei peggiori.» Sussurrò lei, allungando il collo.
Bofur continuava con quel leggero gesto sul suo mento e abbozzò una smorfia indignata.
«Questa birra è disgustosa, sai?»
«Tanto la stai bevendo tu.»
I loro volti erano sempre più vicini e lo sguardo incrociato e persistente.
Teneva a stento il boccale per il manico un po' umido e appiccicoso, era impegnato in quella perlustrazione intima e segreta con lei. Di nuovo le guardò le labbra ma non fece in tempo a fare nulla che Kili – dal nulla – piantò le mani sulle spalle di Berit e fece sbucare la sua testa castana lì in mezzo.
«Mia bella nana, vieni a ballare con me? Visto che questo tuo cavaliere guerrigliero perde tempo.» E guardò Bofur con aria scettica.
Entrambi spostarono lo sguardo verso Kili, non abbandonando quel contatto. Bofur fece una smorfia, che assomigliava molto ad un sorriso storto.
«Verrei Kili, ma quella tua Elfa mi guarda troppo con occhi da...Elfa. Non vorrei alimentare gelosie strane.»
«Oh tranquilla. Non è nemmeno sicura che tu sia una femmina.»
Kili si perse l'insulto colorito che Berit gli riservò perché s'allontanò di qualche passo da loro, trotterellando verso il fratello per abbracciarlo a sorpresa. Quello non sembrava irritato da quella distrazione, nonostante fosse riuscito a far danzare Sigrid sulle note di quell'allegra melodia.
«Meglio che vada, sai che quando diventa insistente diventa peggio di Dori quando è ebbro.»
E Berit fece per allontanarsi da quel contatto ma Bofur la trattenne con la mano libera, andando a stringerle la giacca.
Nel suo sguardo qualcosa era cambiato e la sua mano era ridiscesa per stringerle la propria.
La musica della festa gli sembrava più lontana che mai e Berit se ne accorse.
Rimase a guardarlo a lungo, con un lieve sorriso, mentre nel cielo delle profonde cascate di fuoco dorato fiorivano con scoppi e tromboni. I fuochi d'artificio di Gandalf stavano colorando il cielo che – senza che se ne accorgessero – s'era scurito raccogliendo la luce delle stelle e della grande Luna che illuminava la valle.
E così videro montagne filanti, grandi draghi, fiori e alberi e onde fluttuanti scintillare con colori d'ogni tipo, vibrando nel cielo così come nella terra stessa, facendo sgranare gli occhi a tutti per la meraviglia.
«Berit, andiamo! Il ballo sta per finire!» Kili, ancora, aveva richiamato la nana e quando sia lei che Bofur si voltarono videro lui e Thorin in piedi, vicino alla gente, richiamarla.
Bofur strinse la presa più forte che poté prima di incrociare ancora il suo sguardo.
«Non andare.» Sussurrò lui, con una velata paura nella voce, mentre i fuochi d'artificio ancora roteavano sopra di loro.
«Ma io non vado da nessuna parte.» Mormorò lei di rimando, guardandolo con un sorriso. «Io sono sempre qui, Bofur. Che ballo sotto la musica di Erebor, nella sua riconquista, con tutta la mia più cara famiglia. Io sono qui, che aspetto te.»
Bofur si lasciò sfuggire una sola lacrima e la sentì pesante, come l'ultima sottile bruciatura di un cuore che non aveva più pianti da poter versare. Esaurito e solitario. Non capiva perché si sentiva così, in fondo Berit stava solo andando a ballare.
«Non piangere, stupido mollaccione.» Sussurrò lei con dolcezza, rubandogli quella lacrima con una carezza gentile. Fin troppo, per essere lei. «O dovrei rimanere qui e dirti tutte quelle cose che ti aspetti; come “non far morire mai il tuo sorriso” o “per Oruttolo, ti amo tanto” ma non lo farò, accidenti alle barbe grigie che ci hanno lasciati qui da soli, eh. Ti dirò solamente una cosa, una sola: quando ti deciderai a ballare con me, un'ultima volta, avremo il finale che vuoi.»
Bofur piegò le labbra, facendole tremare appena, soffermandosi a guardarla con ingordigia. Non v'era bisogno di dire nulla, sarebbero state parole inutili, e lui non si sarebbe comunque sentito svuotato da quella strana malinconia che lo aveva preso così di soppiatto, arrancando sulla sua schiena.
«E non bere troppo, che poi non ti svegli più.» Continuò lei con un sorriso più divertito, che fece sorridere anche Bofur nonostante tutto.
All'ennesimo richiamo di Kili lei fece un ultimo slancio con il petto e si avvinghiò al suo Bofur, avvolgendogli le braccia al collo e posando le labbra contro le sue in un bacio che sapeva tanto di addio.
O di un arrivederci molto lungo.
«Aspetterò quel giorno per sempre, Berit.» Mormorò lui, sulle sue labbra, chiudendo gli occhi per impedire a quello stato sofferente di prendere il sopravvento. «Sei l'unica nana che voglio e che vorrò per il resto della mia vita.»
E Berit si scostò appena, sorridendo con occhi lucidi ma pieni di un amore consapevole.
«Adesso ti do una testata se non la smetti.» Mormorò lei, ma baciandolo ancora una volta, e ancora una e ancora un'altra, inspirando appieno l'odore che quel nano era solito portarsi dietro. «Ma guarda se mi sono dovuta innamorare di un nano romantico. Ma dove si è mai vista una cosa del genere.» Aggiunse schernendolo, ma fece un sorriso e sfilò via da lì, dopo un ultimo contatto possessivo.
«Forse è questa la più grande calamità della nostra Era.» Ripeté lui, tirando su col naso, sorridendo con aria persa.
«Oh, per quel vecchio pelato, lo puoi ben dire.»
E corse verso Kili, piantandogli le mani sulle spalle e facendosi portare in mezzo alla festa, dove la gente stava ancora ballando e cantando le gesta di quella battaglia.
Bofur rimase a guardarla fino a che non la vide voltarsi un'ultima volta.
Si guardarono entrambi e si sorrisero, dicendosi molto più di quanto le parole avrebbero mai potuto fare.
Si lasciò avvolgere da quella sensazione, socchiudendo appena gli occhi.
Non v'era bisogno di nessun addio, di nessuna promessa.
Loro sapevano senza bisogno di parlare, e forse era proprio questa la più grande profezia che il destino aveva scelto per loro.
D'improvviso Bombur – di nuovo – gli si avvicinò dandogli una manata sulla spalla. La musica si fece improvvisamente più forte.
«Ehi fratello, è ora di svegliarsi.»


 

Bofur aprì gli occhi di scatto e prese a respirare, facendo tremare il petto.
Non sapeva quanto fosse passato ma era ancora notte e un silenzio attanagliante invadeva quel loco con il solo alito di vento a filtrare tra le fessure.
Si sentì stordito dall'assenza di rumore. Guardò verso le armi a terra, guardò verso l'elmo di Berit sul cuscino e la sua giacca ancora appallottolata sul letto e si morse distrattamente le labbra.
Le lenzuola portavano ancora l'irruenza di quella mattina lontana, c'erano ancora tracce di latte e crusca sulle lenzuola e l'odore di terra era invadente.
Lasciò riposare il disegno di Ori su cui giacevano macchie di alcune lacrime sfuggite via, alzando una mano e posandosela sulle proprie labbra.
Chiuse gli occhi di nuovo, ripensando a ciò che Berit amava più di lui. Sorrise appena, e la vedeva mentre s'allontanava verso il gruppo di gente.
Vedeva Kili tirarla per un braccio e Thorin seguirli con aria pacata, poco seriosa.
Vide ogni nano di quel viaggio, circondarlo, e guardare con lui verso quelle danze che s'aprivano e Bilbo – con un sorriso – stava stringendo la sua mappa e una ghianda che teneva vicino al petto.
Era così che doveva andare – il loro finale – senza nessuna perdita, con sorrisi, canti e balli.
Ma quella era solo una delle tante realtà che sperava, ed il silenzio ora era l'unica arma tagliente. 
Avrebbe dovuto trasformarlo in uno scudo e lasciare che lì, dove s'annidavano i pensieri, avrebbero preso vita di nuovo.
Avrebbe rivisto Kili e Thorin e la sua Berit tornare a riprendersi il loro posto in una Compagnia che mai si sarebbe sciolta, regalando loro momenti reali e segreti. 
Avrebbe vissuto il suo futuro, nel finale che meritava, sapendo che le perdite sono solo terrene e non portano via nulla in realtà. 
Dimoravano nell'ombra della Montagna ed era lì che li avrebbe trovati, sempre, ogni volta che avrebbe chiuso gli occhi.
Era lì che avrebbe amato Berit, per tutto il tempo che Aule gli avrebbe concesso.
Riaprì gli occhi con un sospiro.
Strusciò cautamente sopra le lenzuola e avvolse la giacca di Berit con le braccia, appoggiandoci sopra la guancia. 
Inspirò a fondo e il sorriso s'allargò di nuovo, illuminandogli il volto. Quel sorriso era suo ed era lì che lei esisteva.
«Buonanotte, Berit.»
S'addormentò poco dopo, sognando di Troll impietriti, di scommesse vincenti e di baci sull'orlo della battaglia. 

 

 














NA.
Ed eccomi giunta alla fine di questo lungo e immenso viaggio.
Perdonate il tormentoso ritardo ma ho avuto problemi di ogni tipo per pubblicare sto maledetto ultimo capitolo ç____ç
So di aver cambiato molte cose, rispetto alla storia originale, per poter inserire Berit come personaggio. PJ l'ha fatto con Tauriel e io l'ho fatto con Berit xD So che questo non mi giustifica ma avevo così tanta voglia di immergermi nella Terra di Mezzo che mi sono agganciata alla storia “semplice” dello Hobbit per togliermi questo piccolo sfizio e – a discapito di tutto ciò che pensavo – sono riuscita a finirla.
È stata la mia primissima fan-fiction di questo sito.
Alle volte l'ho odiata, alle volte l'ho amata, alle volte mi ha fatto pensare “basta non ce la faccio, cosa sto facendo! MalediSions!” altre volte sono stata obbligata a pubblicare i capitoli, alle volte li ho cancellati e cambiati completamente e alle volte li ho scritti di getto e pubblicati con pochissime modifiche. Come quest'ultimo capitolo qua che è stato un po' conclusivo e che forse ha lasciato con l'amaro in bocca ç_ç che nessuno me ne voglia ma ho lasciato in “sospeso” molte cose per un fine ultimo che ora finalmente posso dirvi: ci sarà un seguito di questa storia.
Non ho voluto, quindi, soffermarmi su Fili Re di proposito, su Dìs che non si sa se è venuta o no, su sta benedetta madre di Berit che “dov'èfinitaCarmenSanDiego” (← se qualcuno coglie, cioè, vi amo!), su tutte ste mogli che giungono e sti nani che arrivano o non arrivano.
Sappiate che la mia prossima storia sarà completamente e totalmente super inventata da me xD è già impostata più o meno, quindi spero che gli aggiornamenti saranno veloci come con questa.
Il protagonista indiscusso sarà Fili (e una certa bionda di nostra conoscenza ) MA darò moltissimo spazio anche a * CENSURA * e a * CENSURA * e anche a …. no okei, vi dirò soltanto che il periodo in cui si collocherà è tra la fine del 2941 e l'anno in cui Balin e Ori andranno a Moria per riconquistarla.
Sì è una cosa lunga, infatti non so proprio come potrò fare ma non demordo e la farò.
Comunque sia, ritornando qui adesso, volevo ringraziare tutte voi. Sì voi che mi leggete, che mi recensite, che mi seguite, che mi avete ricordato/preferito/seguito e tutto quanto <3
Siete tante, almeno per me lo siete davvero, e vorrei davvero ringraziare di cuore chi ha speso anche solo dieci minuti della sua giornata per leggere sta storia scema e recensirla flash ( o non flash che sia ) e darmi un parere su tutto quanto <3
Mi avete fatto sorridere di cuore, mi avete fatto commuovere e – cavoli – addirittura mi rileggevo i vostri commenti per farmeli entrare in testa e gongolare tantissimo d'emozione.
Non m'era mai successo che qualcun altro all'infuori...di ME posasse gli occhi su ciò che scrivevo e – figuriamoci – ricevere così tanti complimenti.
Non mi abituerò mai a questo e non lo dico tanto per dire, per me è un traguardo e un emozione indescrivibile ogni volta che leggo una sola parola positiva verso ciò che scrivo.
E voi mi avete riempito con frasi e complimenti che... non lo so, ancora non ci credo.
Quindi GRAZIE. Di tutto cuore.
In particolare ringrazio voi: Sylvie, Benni e Dil. Non posso più fare a meno delle vostre recensioni, sappiatelo. Siete state con me fino alla fine e – da un lato - siete state il motivo per cui non ho mai abbandonato questa storia. E salutarvi adesso mi mette un po' di tristezza lo stesso :°) quindi...ecco...”il tè è alle quattro, siete benvenute a casa Baggins in ogni momento e”, no okei a parte gli scherzi (sigh) davvero grazie. Non sono brava con le parole ma credo che voi sappiate già ogni cosa, senza che la ripeto qui.
E poi volevo ringraziare anche: _Windurin_, che mi hai lasciato la prima recensione alla storia e quel giorno ne sono stata così contenta che ho saltellato tutto il giorno, e a idricelebrindal, sei stata una delle prime che ho seguito qui dentro, quindi immaginati l'emozione.
E poi: aubry, Lady_Darck, Ladi_Daffodil, Obession_91, Sara_3210, Daenerys21, Syb81.
Grazie davvero, anche a voi, che anche se non vi conosco avete contribuito a non demordere mai.
E' bello che c'è gente che spende due parole per te e – davvero – a voi che mi leggete in silenzio ( o capitate qui per sbaglio xD ) vi consiglio di leggere le storie delle fanciulle che mi hanno seguito, e di tutte quelle che pubblicheranno o lo hanno giá fatto,e di innamorarvene come ho fatto io, immergetevi in ogni racconto, amatelo, odiatelo, piangete e ridete con questo perché ognuno lascia, comunque, qualcosa di unico. Ed ogni ragazza qui dentro se lo merita <3
E niente con questa perla di saggezza (?) vi lascio. AH: un'ultima cosa, ci sarà un capitolino 50 e sarà una specie di epilogo che introdurrà l'altra storia :) giusto perché questa storia non riesco proprio ad abbandonarla, eh.
A prestissimo cari lettori *__* 




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