Crossroads - Il Bivio di Faith Grace (/viewuser.php?uid=38646)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** from zero to one ***
Capitolo 2: *** the One and the Dyad ***
Capitolo 1 *** from zero to one ***
Crossroads
– Il Bivio
In
una città dove la speranza è la prima a morire,
tutto è marcio e
la vita ti ha voltato le spalle
Hai
il coraggio di vivere senza preoccupazioni?
Hai
il coraggio di vivere credendo ancora in qualcosa?
Hai il coraggio
di andare sempre avanti e superare tutti gli ostacoli?
Hai
il coraggio di chiudere gli occhi e sperare in una nuova
realtà?
0.
Instant
Vi
siete
mai domandati quanto possa succedere in un istante?
In un istante
si può nascere e morire, si può amare e odiare.
Si più perdere
tutto o si può diventare un eroe. Si possono prendere
decisioni che
possono cambiarti la vita, migliorartela o rovinartela. E poi ci sono
quelle fatalità che te la stravolgono.
La
pioggia
era violenta quella notte di cinque anni fa quando Axel aveva deciso
che era arrivato il momento di preparare una borsa con i vestiti suoi
e di sua sorella, prendere Kairi per mano e fuggire velocemente prima
che la madre potesse accorgersi della loro assenza. Non avevano alcun
luogo in cui rifugiarsi, né l'amore di altri parenti dove
chiedere
conforto. Axel sapeva che la vita da quel momento in poi sarebbe
stata dura, ma non avrebbe potuto fare altrimenti.
Sempre
in
quella notte, su una stradina di città una cinquantina di
chilometri
più a nord, la pioggia batteva ugualmente forte. Quel giorno
Roxas
era in macchina con i suoi genitori quando capì che la vita
non era
tinta di rosa come le favole che stava leggendo in quel libro che
aveva tra le mani. La prima cosa di cui ebbe coscienza fu il riflesso
degli abbaglianti della macchina accanto a loro, l'ultima cosa che
vide fu la sua coscia staccata dal resto della gamba, sepolta sotto
le lamiere.
Quella
notte di cinque anni fa molte lacrime furono versate, di
felicità in
vista di una libertà ritrovata e di dolore per la perdita di
qualcosa che non sarebbe mai più stato possibile riavere
indietro.
Si
dice che
basta un solo istante per cambiare quello che è rimasto
fermo per
una vita intera.
1.
Change of Scenary
“Vieni,
vieni, Axel. Che te ne pare? Non è molto grande ma
è l'unica cosa
che posso offrirti”
Un
ragazzo
dai capelli rosso fuoco si ritrovò a deporre di tutta fretta
la sua
valigia sul pavimento e seguì la voce allegra che lo stava
richiamando dall'altra parte del corridoio. Un sorriso di
concitazione scappò dalle labbra dell'altro ragazzo dai
capelli
color sabbia una volta che il rosso lo ebbe raggiunto.
“Allora
che te ne pare?”
“È
perfetta” una risposta arrivata senza neanche pensarci.
“Spero
riuscirai a trovarti a tuo agio qui”
“Ti
ringrazio di tutto Dem, davvero”
“Gli
amici servono a questo, no?”
Axel
non
poté fare a meno di rispondere al caloroso sorriso
dell'amico, il
suo era debole e accennato ma pur sempre un sorriso che parve
soddisfare il biondo.
“Allora
ti lascio un po' di privacy... immagino che vorrai riposare”
disse
Demyx come preludio per annunciare il suo ritiro in camera propria e
l'altro annuì. Rimase sullo stipite giusto un momento, con
le mani
incrociate in grembo e un palese desiderio di voler dire qualcosa, ma
non lo fece.
Nel
giro di
pochi istanti, dopo qualche convenevole e qualche ultima
raccomandazione di fare come se fosse a casa sua e la disposizione
degli asciugamani in bagno, Axel si ritrovò da solo in
quella che
gli era stata presentata come la sua nuova camera. Temporanea,
ovviamente. Nonostante le proteste di Demyx riguardo al fatto che
potesse rimanere lì quanto tempo volesse, ad Axel non gli
andava di
gravare sulle spalle dell'amico. Lui aveva già fatto tanto
offrendosi di ospitarlo e di dargli un passaggio dall'aeroporto al
suo arrivo.
Il
ragazzo
si tolse le scarpe e si lasciò letteralmente cadere a peso
morto sul
letto, chiuse gli occhi giusto il tempo per riposarli e poi
passò in
rassegna la stanza. Sebbene fosse molto spartano, l'arredo non era
molto male: la stanza era stretta e allungata, di un'imbarazzante
forma rettangolare, il letto a una piazza aveva un telaio in ferro
battuto che gli conferiva un aspetto classico e romantico, le pareti
in crema si sposavano molto bene con il copriletto rosa pallido a
fiorellini - da questo dedusse che quella era la stanza destinata
alla sorella minore di Demyx. C'era poi una piccola finestrina
accanto al letto e un comò sulla parete difronte, con uno
specchio
ovale accanto ad esso. Non c'era che dire, una vera stanza da
ragazza, ma Axel non se ne lamentava perché il suo non
sarebbe stato
un soggiorno a lungo termine.
Con
un
colpo di sterno si mise a sedere sul letto e decise che non era poi
così stanco, dopotutto quello che aveva fatto fino a quel
momento
era il nulla assoluto. Aveva passato gli ultimi due mesi in una
clinica di riabilitazione alcologica, e ora che era appena uscito da
quel covo di disadattati la prima cosa che si ritrovò a
pensare era
che, adesso, si sentiva lui stesso un disadattato.
Era come se quell'allontanamento forzato l'avesse alienato dalla
realtà e ora la sua vita gli sembrava lontana anni luce,
come se
tutte quelle cose che considerava quotidiane appartenessero a
un'esistenza precedente. Come se lei
non fosse così irraggiungibile.
Come
aveva
immaginato la sua quiete non riuscì però a durare
a lungo,
dopotutto adesso viveva nella casa di Demyx, e infatti non molto
tempo dopo un paio di colpi alla porta lo riportarono alla
realtà e
vide di nuovo l'amico biondo fare capolino nella sua stanza.
“Che
ti
sei dimenticato?” chiese ricordando quanto fosse saggio
appellarsi
alla pazienza, la cui assenza in un passato piuttosto recente lo
aveva fottuto davvero malamente.
“Io...uhm...
volevo ricordarti che oggi pomeriggio hai quell'appuntamento”
biascicò tentennante. Da quando era andato a prenderlo
all'aeroporto
tra lui e Demyx si era creato uno strano imbarazzo che era non era
mai esistito in tutti quegli anni in cui erano stati amici. Era come
se ora Demyx non sapesse come comportarsi con lui.
“Quale
appuntamento?” domandò il rosso, genuinamente
perplesso di essersi
perso qualcosa. Ora stava iniziando a sperare che quell'isolamento
non lo avesse fatto diventare ritardato come tutti gli inquilini di
quella clinica di merda.
“Con
il
dottor Ansem... ricordi no? Lo psicologo al quale ti hanno
assegnato”
Axel
si
schiaffò una mano in faccia e sospirò
pesantemente. Era un mistero
come avesse già potuto dimenticare una cosa simile, eppure
in
riabilitazione non faceva null'altro dalla mattina alla sera; forse
quel vago profumo di libertà gli aveva già dato
alla testa.
Alla
mancata risposta del rosso, Demyx si sentì in dovere di
continuare
“Se non ti sbrighi farai tardi”
“Tranquillo”
mormorò l'altro portandosi una mano trai folti capelli
“Non ho
intenzione di andarci”
“Ma
Ax!”
protestò il biondo “Non puoi mancare, è
una cosa importante per
te”
“Non
più
importante di una bella dormita” affermò tornando
a stendersi sul
materasso, senza dare all'altro il tempo di continuare. Ma Demyx non
si diede per vinto, si portò le mani ai fianchi e
aggrottò la
fronte.
“È
per
il tuo benessere e ci andrai, che tu lo voglia o meno” disse
cercando di darsi un tono, cosa che non gli riuscì un
granché
perché Axel non lo degnò di uno sguardo o un
cenno. Demyx però era
conosciuto per essere un gran rompiscatole, e infatti,
afferrò con
entrambe le mani i lembi del piumone a fiori e lo alzò con
tutta la
forza di cui era dotato, così facendo il rosso cadde
rovinosamente a
terra e lo guardò in tralice.
“Non
osare” sibilò Axel.
“E
invece
lo farò eccome. Se non ti alzerai di tua spontanea
volontà ti
trascinerò io lì”
E
così,
con una buona e fornita dose di riluttanza, Axel si era ritrovato tra
le strade della città alla ricerca di un qualsiasi punto di
riferimento che gli assicurasse di essere sulla buona strada verso lo
studio. A giudicare da come c'era scritto sul foglietto che gli aveva
dato Demyx non doveva essere molto lontano, ma si trovava in un
quartiere in cui era passato solo qualche volta di rado. Ormai
seccato, sospirò pesantemente e si fermò al
semaforo prima
dell'incrocio, gettò un ultima occhiata alle indicazioni
– ormai
doveva essere vicino – e poi prese a scrutare con fare
disinteressato le persone in attesa del verde accanto a lui. C'erano
due bambini che gridavano concitatamente mentre si scambiavano delle
figurine, una donna dai capelli grigi con una busta della spesa
intenta a fumare una sigaretta e un ragazzo nero con i capelli
racchiusi in lunghe treccine e le cuffiette nelle orecchie.
Durante
tutto quel tempo di lontananza da tutto e tutto, chissà
perché si
era domandato se una volta a casa le cose fossero diverse, e invece
niente era cambiato poi così tanto. La gente che viveva in
quel
ghetto schifoso aveva sempre la stessa aria malsana, ognuno andava
avanti con la propria vita nella speranza di dissimulare il crudo
degrado in cui era inabissata quella città e chiunque ci
viveva.
E
poi il
suo sguardo fu catturato da una chioma bionda all'estremità
opposta
delle strisce pedonali. In mezzo a un gruppo di sconosciuti vi era un
ragazzino piuttosto basso e anonimo, vestito completamente di nero e
i capelli dorati che spuntavano in contrasto dal cappuccio corvino
della felpa alzato sul capo – probabilmente atto a cercare di
nascondere invano un vistoso livido che percorreva la sua tempia
destra. Masticava meccanicamente una gomma e di rado faceva qualche
palloncino, le mani erano fisse nelle tasche dei jeans, anch'essi
neri, e il suo sguardo era fisso davanti a sé. Non c'era
niente che
distinguesse quel ragazzo dal resto della massa se non per un
semplice, minuscolo, particolare: i suoi occhi blu erano vacui,
spenti. Non c'era una briciola di quella vitalità che
contraddistingue i giovani nel pieno della loro adolescenza. Il suo
sguardo era disilluso, come se avesse già conosciuto quanto
meschina
potesse essere la vita.
Il
suono
del semaforo annunciò finalmente che era scattato il verde e
quindi
Axel poté di nuovo riprendere la propria strada, distolse lo
sguardo
da quel ragazzino e prese a camminare svogliatamente sulle strisce
per arrivare dalla parte opposta. I passi suoi e di quel biondo si
incrociarono fugacemente e per un secondo, passandogli accanto, si
domandò cosa ci fosse che non andava nella vita di quel
ragazzo che
andava nella sua direzione opposta, per quale motivo non rideva e
scherzava come quei bambini che si scambiavano le figurine, quale
amarezza lo perseguitava?
“Allora,
signor...”
“Mi
chiami Axel e tagliamo la testa al toro”
“Noto
che
ha fretta di cominciare”
“Ho
fretta di finire... non ho tempo per queste stronzate. Sa, devo
ritornare alla mia vita il prima possibile” Axel si
spaparanzò
sulla poltrona davanti alla scrivania dell'uomo presentatosi come il
suo psicologo. Si chiamava Ansem, era un uomo di mezza età e
aveva
dei capelli biondo cenere tirati all'indietro e un pizzetto del
medesimo colore.
“Questo
è
giusto, ritornare alla propria vita e reinserirsi nella
società è
molto importante” annuì l'uomo studiandolo
attentamente “Ma
queste sedute non sono propriamente definibili stronzate
come dite voi giovani”
“Potranno
esserlo o non esserlo, dipende dal punto di vista” rispose
mestamente il rosso e poi abbozzò un sorrisetto impertinente
“E
secondo il mio, lo sono”
Ansem
si
sporse sulla scrivania e il suo sguardo si fece più attento
“Cosa
dice il tuo punto di vista riguardo alle altre cose?”
Axel
inarcò
un sopracciglio e, con un braccio appoggiato al bracciolo della
poltrona, si resse il capo per mettersi in una posizione più
comoda.
Boccheggiò un paio di volte in cerca delle parole
più adatte e poi
puntò di nuovo lo sguardo sull'uomo.
“Lei
è
sposato?” disse di punto in bianco.
Ansem
rimase stupito dalla domanda ma non lo lasciò notare
“Si, sono
sposato”
“E
lei ha
figli?” continuò.
“Si,
ho
un figlio di dieci anni”
“Immagino
che gli vorrà molto bene”
“Esatto,
gli voglio molto bene”
Axel
gettò
un'occhiata fuori la finestra, non si vedeva nient'altro oltre che
vecchi edifici dalla vernice scrostata e scolorita. Il suo sguardo
vagò brevemente su tutte le crepe che correvano lungo le
mura e poi
chiuse di colpo gli occhi.
“Se
suo
figlio dovesse morire, lei cosa farebbe?” sussurrò
voltandosi
lentamente di nuovo verso lo psicologo.
Sui
due
uomini cadde un lungo silenzio, spezzato solo dalle lancette
dell'orologio da parete affisso sopra la libreria e una folata di
vento scosse le foglie della pianta poggiata ai piedi della
scrivania. Ansem interruppe il continuo scribacchiare che aveva
cominciato dall'inizio della loro seduta, posò la penna e si
concentrò interamente sul suo paziente.
“Sarei
molto triste” rispose infine.
“E
basta?” Axel piegò la testa di lato
“Nient'altro? Solo triste?”
“Cosa
dovrei fare allora?” domandò Ansem completamente
attento.
“Non
dorrebbe sapere il perché
e il cosa
ha scatenato tale morte? Avere magari delle risposte, capire se
c'è
un colpevole... perché, se se lo sta domandando, il
colpevole c'è
sempre” spiegò il rosso con un gesto della mano e
l'altro scosse
il capo.
“Per
questo ci sono le forze dell'ordine, bisogna affidarsi sempre ad
esse”
“Esistono
ancora le forze dell'ordine?” l'ironia era evidente nella
risposta
dell'altro.
“È
questo il loro compito. Loro curano il male della società,
non è
lecito farsi giustizia da soli”
“Lei
dice
che non è lecito farsi giustizia da soli...” anche
Axel a questo
punto si sporse di più verso l'altro e affilò lo
sguardo su di lui
“Ma il male sta ancora flagellando la società.
Negli anni non mi
pare di aver visto tale sintomo alleviarsi ma solo peggiorare”
“Devi
crederci, Axel. Abbi fede” l'uomo afferrò la penna
e riprese a
scrivere “Abbi fede. In cosa decidilo tu: in Dio, nelle forze
dell'ordine, nella giustizia o nella speranza. Sta a te decidere ma
devi appigliarti a qualcosa”
Una
risatina roca proruppe dalle labbra del rosso e questi si
passò una
mano sulla fronte “Se tutti voi continuate a ripetermi sempre
queste cazzate prima o poi finirò per crederci”
ribadì
sarcastico.
Per
lui la
seduta era finita lì.
Prima
di
poter dire che la sua giornata fosse conclusa, Axel optò per
fare un
salto dai suoi amici di sempre. Ripercorse quei vicoli desolati come
se li avesse lasciati solo il giorno precedente, le abitazioni dai
mattoni rossi si avvicendavano con la monotonia di sempre, i muri
ricoperti completamente di graffiti erano uguali e trasudavano di
disperazione dietro quei colori sgargianti di chi li aveva creati, i
ragazzi giocavano nel campetto improvvisato in mezzo ai palazzi, e
gli adulti, seduti fuori alle verande delle proprie abitazioni,
scrutavano una ad una tutte le persone che passavano per quella
strada.
Tutti
in
quella città erano in attesa di un miracolo che non ci
sarebbe mai
stato.
Entrò
nel
vialetto della familiare villetta a un piano e si diresse
direttamente verso il garage con la saracinesca alzata. Al suo
interno Xigbar e Xaldin erano occupati a esaminare e mettere via
degli attrezzi da lavoro.
“Gente,
guardate un po' chi è tornato” Axel
annunciò la sua presenza con
un tono altisonante mentre entrava nel garage e andava a sedersi su
un divanetto mezzo distrutto a ridosso della parete. I due uomini si
voltarono ed esclamarono sorpresi.
“Non
ci
aspettavamo di rivederti così presto” Xigbar
lasciò la sua
occupazione, afferrò una pezza per pulirsi le mani e si
avvicinò
per stringere calorosamente la mano del rosso.
“Sono
felice che tu sia ritornato, fratello” lo accolse Xaldin
dandogli
delle pacche sulla schiena.
“Come
ve
la siete passata in mia assenza?” il rosso rise e
lanciò uno
sguardo esaustivo al loro piano di lavoro “Vedo che non siete
stati
con le mani in mano”
“Puoi
dirlo” Xaldin si ripulì alla meglio le mani sulla
sua canottiera,
non più bianca perché già sporca di
grasso per motori “Però gli
affari non sono andati molto bene ultimamente”
“Ultimamente
ci sono stati più controlli” spiegò
Xigbar andando a sedersi su
una sedia lì vicino e afferrò una birra dal
minifrigo “I
piedipiatti ci stanno addosso. Ti sei scampato il peggio, ragazzo
mio”
“Che
cazzo stai dicendo?” Axel si sporse verso di lui e
allungò una mano “Dammi una birra
intanto”
“Non
credo che dovresti” rise Xaldin avvicinandosi al frigobar e
prendendo pure lui una bottiglia di birra.
Il
rosso
aggottò la fronte “Dammi una birra”
abbaiò calcando il proprio
tono.
“Ma,
dicci un po'... in quella prigione in cui stavi tu, sbaglio o non ti
facevano bere?” fece Xigbar cambiando subito argomento e
Xaldin lo
corresse.
“Era
in
riabilitazione e non in prigione”
“È
sempre la stessa merda tanto” appoggiò
l'avambraccio sulla coscia
e si sporse verso Axel “Dai ascolto a me, ti sei perso tanta
roba
durante la tua piccola reclusione” poi voltò il
capo verso Xaldin
e gli fece un cenno col capo “Prendigli una birra”
“Ma
sei
pazzo? Secondo te perché l'hanno mandato in
riabilitazione?”
“Non
di
certo perché sono un alcolista. Ti pare che lo
sia?” si alzò a
quel punto Axel e lo guardò con sguardo di sfida.
“Hai
pensato che forse hai un problema?”
“Io
non
ho un problema, porca puttana, è il mondo che ce l'ha. Ha
tanti
problemi ma qui nessuno fa un cazzo!” il rosso a quel punto
alzò
la voce e si fece strada verso l'altro uomo che torreggiava davanti a
lui, era poco più alto di lui ma in compenso era molto
più robusto.
“Lo
so
ok? E so pure che tu non sei alcolizzato ma l'ultima cosa che voglio
è che ti portino di nuovo via da qui! Quegli stronzi stanno
come
avvoltoi e non ci metterebbero nulla a spedirti di nuovo
chissà
dove, anzi no te lo dico io... questa volta ti spediranno
direttamente dritto dritto in prigione come tutti gli altri”
“Xaldin
chiudi quella fogna e prendigli una fottuta birra”
sbraitò Xigbar
guardandolo torvo con l'unico occhio che gli era rimasto. Quello che
aveva perso era stato un trofeo di una battaglia vittoriosa contro
una piccola gang di sbandati.
“Fottiti
Xig, se la vuole se la prende da solo. Io non voglio essere la causa
di niente”
“A
chi è
che dici fottiti? Bada a come parli stronzo... stai in campana o mi
tocca farti il mazzo un'altra volta”
Ci
fu un
mezzo secondo in cui Axel temette davvero che tra i due sarebbe nata
una nuova disputa, e quando c'erano loro di mezzo le cose non si
risolvevano così facilmente; e dal momento che non era
andato lì
con l'intento primo di attaccar briga, si alzò dal divano
sfasciato
e andò a prendersi lui stesso una birra.
“Bell'intelligente
che sei” sputò sarcastico Xaldin una volta che
l'altro aprì la
lattina. Forse una persona normale, in un contesto normale, non
avrebbe ricominciato a bere neanche dopo aver lasciato una
riabilitazione che avrebbe dovuto insegnargli a rimanere sobrio, ma
nella loro esistenza non esisteva la normalità e non
è che Axel
aveva intenzione di ubriacarsi.
“Allora
che cazzo stavamo dicendo?” fece Xigbar agitando la sua
lattina.
“Dicevi
che le cose non sono andate bene ultimamente. Che mi sono
perso?”
“Ah
giusto! Poco più di un mesetto fa c'è stata una
guerriglia qui in
città, durante una perquisizione uno sbirro ha ucciso un
ragazzo. La
gente non ci stava, sono iniziate proteste e sommosse... chi sparava
di qua, chi brandiva la spranga di là. C'è stata
una notte di
scontri e la mattina dopo la periferia si è svegliata in
stato di
assedio”
“La
città
è ancora scossa e smaniosa di vendetta. La gente cerca
qualunque
pretesto pur di scatenare la loro rabbia” continuò
Xaldin dopo un
sorso alla sua birra “Dopo giorni e giorni i conflitti sono
stati
placati, la polizia è tornata tra le retrovie
però si fanno vivi di
tanto in tanto per dei controlli”
Axel
rimase
in silenzio per lunghi secondi per sintetizzare meglio la notizia di
cui era appena venuto a conoscenza e incrociò le braccia al
petto.
Quella situazione non gli piaceva affatto.
“Mica
per
caso hanno preso qualcun altro? Qualcuno che
avrebbero dovuto prendere,
intendo”
I
due
capirono al volo a cosa si riferiva Axel ma scossero il capo.
“Non
che
io sappia, mi dispiace”
Axel
abbassò lo sguardo e accennò un sorriso
sfiduciato. Come aveva
detto poco prima ad Ansem, la giustizia non esisteva, il mondo era
malato e non si sarebbe mai più ripreso.
“Allora
su cosa avete messo le mani?” domandò cambiando
argomento, giusto
un paio di minuti dopo per spezzare il silenzio pesante che si era
venuto a creare tra di loro. La situazione in cui versava la
città
era critica ma non era nulla di nuovo, era così da decenni
ormai e
nessuno si era mai preso la briga di fare niente.
“Non
lo
immagineresti mai. Mio fratello ha messo le mani su una Chevrolet
Caprice del 1975” esclamò Xaldin posando la sua
bottiglia vuota su
una mensola.
“Cazzo
quella roba è oro!”
“Non
lo
immagini neanche” Xigbar rise nell'alzarsi e tornò
di nuovo al suo
banco da lavoro “Abbiamo anche un potenziale acquirente, il
motore
però è andato a farsi fottere da una decina
d'anni quindi dobbiamo
vedere come rimetterla in sesto”
“Comprarlo
per intero da internet sarebbe un suicidio... però prendere
qualche
pezzo non dovrebbe essere molto dispendioso”
“Se
ci
vuoi mettere tu il capitale...”
“Io
sono
al verde Xig, tu già sai”
“Non
credere di essere l'unico, Axel” rispose Xaldin al posto
dell'altro
“Mia madre ha deciso di iscrivere mio fratello a una scuola
privata
fuori da qui perché vuole offrirgli qualcosa di meglio di
questa
fogna”
Il
rosso si
portò le mani alla fronte e prese a massaggiare le tempie
per farsi
venire un'idea “Ok ragazzi, una cosa per volta... iniziamo a
lavorarci su e poi vediamo come farla camminare. Direi di cominciare
domani, ormai sta facendo buio e non mi va di causare problemi a Dem
e sua madre”
“Allora
sei andato a stare da lui?” fece Xaldin appoggiandosi al
tavolo da
lavoro e incrociando le gambe avanti a sé.
“Già,
anche per loro le cose sono difficili però sono stati
davvero
gentili a offrirsi disponibili a farmi stare lì per un
po'”
“Dopo
tutto quello che è successo mi sembra
normale....”mormorò Xigbar
abbassando la voce “Sei già andato a trovare
Kairi?”
Il
rosso
scosse il capo e disse che ci sarebbe andato non appena se la sarebbe
sentita, gli altri due si lanciarono un'occhiata di assenso.
La
notte
era ormai scesa con la sua pungente umidità quando Axel si
congedò
da Xigbar e Xaldin e ritornò a casa di Demyx. Quando
rientrò però
non trovò nessuno in vista nonostante fossero appena le otto
di
sera, l'amico avrebbe dovuto staccare circa un'oretta prima dal
lavoro ma a quanto pare non era rincasato ancora, mentre la madre la
trovò chiusa nella sua stanza.
“Buonasera,
signora” sussurrò Axel sottovoce, mantenendosi
alla porta appena
dischiusa.
La
madre di
Demyx era una donna di mezza età, non era molto anziana ma
il peso
dei problemi e dell'afflizione avevano gravato molto sulla sua
estetica e sul suo carattere. Sembrava sciupata e invecchiata, la sua
corporatura mingherlina la faceva assomigliare a un alberello
rinsecchito e i suoi capelli biondi, più spenti di quelli di
Demyx,
erano racchiusi in uno chignon basso. In quel momento ella aveva le
mani conserte ed era rivolta verso un piccolo crocifisso.
La
donna
lanciò uno sguardo da sopra le sue spalle, in direzione di
Axel, e
gli sorrise timidamente “Buonasera a te, caro”
“Demyx
non è ancora tornato?”
“Si
sarà
fermato al negozio di alimentari, vedrai che sarà qui a
breve”
Il
rosso
annuì e lasciò la signora alle sue preghiere,
ormai pareva che
fosse l'unica cosa sapesse fare. Fino a un paio di anni fa la loro
era una famiglia quasi normale, quasi, perché vivevano pur
sempre
in quella città di merda, però si avvicinavano
alla consuetudine.
Il padre di Dem era morto sul lavoro qualche anno fa, faceva il
manovale in un cantiere o una cosa del genere, però in un
modo o in
un altro la famiglia era riuscita comunque a mantenere una parvenza
di normalità. Però, un paio d'anni fa, la sorella
minore di Demyx
scomparve nel nulla, alcuni pensarono a un allontanamento volontario
ma tutti quelli che la conoscevano sapevano con sicurezza che lei non
avrebbe mai fatto nulla del genere, non avrebbe mai lasciato sua
madre.
Con
una
mano Axel spalancò la porta della sua stanza e si
appoggiò col capo
allo stipite, passando in rassegna il mobilio e ogni piccolo
particolare.
Il
primo
pensiero degli inquirenti era stato il rapimento, ma Axel sapeva che
non era così. Che riscatto avrebbe potuto mai offrire una
modesta
famiglia come la loro? Il motivo era un altro e sebbene avesse
manifestato più volte il suo dissenso, non aveva mai avuto
il cuore
di dire a Demyx la sua ipotesi molto più agghiacciante ma
realistica.
“Le
cose
non sono state facili da quando ci hanno buttati fuori dalla nostra
precedente casa”
Axel
voltò
lo sguardo nell'udire una voce maschile fin troppo familiare, Demyx
era apparso sullo stipite della porta e aveva lo sguardo posato sul
piumone a fiori. Sul tavolo della cucina, il rosso notò che
aveva
appoggiato una busta della spesa.
Dopo
la
morte del padre, il biondo era stato costretto a lasciare gli studi
per trovarsi un lavoro e provvedere al sostentamento della famiglia.
Non era mai stato così semplice per loro.
“Questa
è
la camera di mia sorella, l'ho arredata secondo il suo gusto... La
casa ormai è diventata così vuota”
“So
cosa
significa la solitudine, Dem”
“Lo
so,
ma io non voglio perdermi d'animo. Ogni giorno mi sveglio con la
speranza di vederla tornare e sorridermi come faceva sempre... mamma
sarebbe davvero felice”
Axel
studiò
la sua espressione rilassata ma rispose con riluttanza “In
questo
mondo dove tutto è marcio e la speranza è la
prima a morire, dove
trovi tutto questo ottimismo? Dove trovi la forza di andare
avanti?”
Demyx
non
rispose alle sue domande, forse non aveva una soluzione a portata di
mano o forse ce l'aveva ma voleva che fosse Axel a trovarla per conto
proprio. Tutto quello che si limitò a fare fu dare una pacca
sulla
schiena dell'amico e abbozzò un sorriso malinconico
“Rimani pure
tutto il tempo che vuoi, per piacere” mormorò
prima di lasciarlo
ancora una volta immerso nella sua solitudine, in mezzo a quel mare
di ricordi trasudanti da quelle quattro mura.
♦----------♦----------♦
“ROXAS,
ROXAS, ROXAAAAAS!”
Una
voce
fastidiosa parve volergli rompere i timpani ma poi, finalmente, fu il
silenzio. Roxas, nel poco di coscienza che aveva guadagnato dopo
tutto quel caos, credeva che sarebbe riuscito a riaddormentarsi ma
dovette ricredersi quando udì un rumore di pesanti passi e
dei colpi
alla porta. Ovviamente lui non si sprecò a dare il permesso
di
aprire perché chiunque fosse lo stronzo che aveva voglia di
far
casino di prima mattina, aprì la porta della camera e poi la
richiuse dietro di sé.
“Oh
Rox”
“Mmmm...
fottiti... gira al largo” biascicò il biondo
girandosi dall'altro
lato, gli occhi sempre chiusi con il timore che se li avesse
dischiusi non avrebbe potuto perpetuare quel dolce riposo in cui era
stato immerso fino a poco prima.
“Ehi
fottiti a chi? Guarda che ti faccio ingoiare la lingua” la
voce
continuò a rimbombare, ci fu ancora un rumore di passi in
giro per
l'ambiente e poi sempre quel qualcuno spalancò la finestra,
in
questo modo la luce del sole accecò il biondo che cercava di
riposare.
Questi
si
passò le mani sugli occhi per proteggersi e
mugolò lamentosamente
prima di proferire parola.
“Che
cazzo vuoi Hayner?” disse aprendo un occhio ma la sua vista
era
ancora sfocata a causa del sonno.
D'improvviso
sentì un peso sul letto, proprio vicino al suo corpo e
capì che lo
scocciatore doveva essersi seduto accanto a lui.
“Ti
ricordi il torneo di struggle che era stato cancellato a causa dei
casini del mese scorso? È stata riconfermata la
data!”
“Mmmmm”
Roxas però si lamentò in risposta. Non sembrava
intenzionato a
voler connettere, la sua mente era annebbiata e tutto quello che
voleva in quel momento era stare da solo, con la finestra chiusa e il
letto tutto per sé.
Il
ragazzo
che rispondeva al nome di Hayner emise un grugnito di dissenso e fece
un movimento brusco che fece muovere anche il resto del letto
“Ohi
merdina mi stai sentendo?” sbraitò a voce alta e
iniziò a
ondeggiare sul materasso per far svegliare l'altro, e la risposta che
ricevette fu la solita.
“Ma
vaffanculo, lasciami stare”
“Svegliati.
Altrimenti ti butto giù e ti prendo a bastonate
così vediamo se mi
ascolti”
“Cazzo,
sei peggio di una sanguisuga” Roxas alla fine comprese che
l'altro
non lo avrebbe lasciato in pace tanto facilmente così
optò per
mettersi seduto e aprì gli occhi, il suo sguardo
però era di puro
astio nei confronti dell'altro“Ecco sono sveglio, che cazzo
dicevi?”
Hayner
era
il primo e unico vero amico che si era fatto in quella città
di
merda da quando si era trasferito nella nuova casa. In
realtà aveva
anche un paio di altri compagni, Pence e Olette, ma Hayner era quello
più stretto. Quello con cui si era preso a mazzate
così tante volte
che alla fine nessuno dei due sapeva dire chi era il più
forte.
Hayner era poco più alto e robusto di Roxas ma questo non
significava che fosse lui a dettare legge nel gruppo, Roxas glielo
permetteva solo perché preferiva stare per conto suo. Il
ragazzo
inoltre era biondo proprio come lui, forse qualche gradazione
più
chiara ed era di un anno più grande ma dalla sua scaltrezza
e dalla
sua familiarità con la vita di strada sembrava averne minimo
il
doppio.
“Certo
che sei proprio stizzito di prima mattina”
constatò contando il
tempo che ci metteva l'altro a svegliarsi.
“Sono
stanco” mugugnò il più giovane tra uno
sbadiglio e l'altro
“Quegli stronzi dei vicini ci hanno dato dentro tutta la
notte e a
causa loro non riuscivo a dormire”
“Allora
hanno scopato alla fine?” esclamò Hayner con
interesse.
“Ma
ti
pare? Hanno iniziato a lanciarsi i piatti addosso... se quello lo
chiami scopare...”
“Chi
è
stato dei due, eh?”
“Il
marito... l'idiota si è portato l'amante a casa”
“Ma
che
testa di cazzo. Se vuoi l'amichetta non portarla mai a casa”
Hayner
prese a ridere di gusto, alzando di proposito la voce con lo
scherzoso intento di farsi sentire dai vicini, e fu presto seguito
nella risata da Roxas, anche se questo si portò una mano
alla fronte
e scosse il capo. Dopo qualche minuto di leggerezza, Hayner si
alzò
e si portò le mani ai fianchi “Senti, bello, vuoi
una mano per
alzarti dal letto?”
“Ma
ti
pare? Non sono mica un lattante” Roxas espirò
pesantemente dal
naso e rise sarcasticamente “Vai a cazzeggiare fuori, fai
quello
che vuoi... io arrivo tra qualche minuto”
Il
più
grande fece spallucce e si avviò verso la porta
“Se lo dici tu...”
“Ah,
Hayner...” lo richiamò e l'altro si
girò “Se fai svegliare
Cloud e quello ricomincia a lamentarsi, giuro che ti prendo a
calci... con la mia gamba migliore”
“Dio
Rox,
la mattina pare che hai una mazza su per il culo”
Quel
giorno, i raggi di metà mattina facevano fatica a scaldare
la fredda
atmosfera che aveva avvolto la città ormai da giorni. In
giro si
vedevano ancora gli effetti degli scontri che avevano animato il
quartiere: cartelloni pubblicitari a terra, pezzi di strada anneriti
da incendi ormai spenti, le vetrine di alcuni negozi erano in
frantumi, reti metalliche di recinzione accartocciate e abbandonate
per strada, auto carbonizzate e macerie qui e là.
Ultimamente
qualcuno si era messo di cuore e aveva iniziato a ripulire la
città,
quello che si presentava ai loro occhi infatti non era assolutamente
nulla in confronto a come era stata lasciata la città dopo
le
guerriglie con la polizia. Ovviamente chi stava ripulendo le strade
erano volontari della comunità, non di certo il governo.
“Te
lo
giuro, me l'ha detto il leccaculo di Seifer, come si chiamava quello?
Boh chi si ricorda” Hayner parlottava animatamente mentre lui
e
Roxas camminavano per le strade desolate.
“Era
per
caso Rai?”
“Forse
sì, forse no... chi cazzo se ne frega” il ragazzo
interruppe
bruscamente il suo discorso quando intravide un paio di poliziotti
armati che facevano la ronda, si infilò le mani nelle tasche
della
felpa e abbassò lo sguardo, imitando il suo compagno
più quieto.
Una volta sorpassati i due uomini, il biondo si rigirò di
nuovo
verso Roxas e si posizionò davanti a lui mentre continuavano
a
camminare “Comunque questo mi ha detto che hanno trovato un
capannone abbandonato bello grande nella zona limitrofa più
a sud...
sai era vicino al porto e alla stazione abbandonata... li la polizia
non dovrebbe rompere le palle”
Roxas
alzò
il volto dall'asfalto e, con espressione grave, guardò negli
occhi
l'altro biondo “Quello non era un quartiere pericoloso? Mia
mamma
dice sempre che ci sono un sacco di criminali e malfattori”
Hayner
a
quel punto si fermò e aggrottò la fronte
“...e che vendono pure
la droga” aggiunse timidamente.
Ci
fu un
momento di silenzio tra i due ragazzi, in cui si squadrarono negli
occhi intensamente per poi scoppiare in una fragorosa risata che fece
voltare una donna che camminava nei paraggi.
“Che
pezzi di merda che siamo eh!” continuò Hayner
riprendendo a
camminare con la più totale naturalezza, finché i
due ragazzi non
arrivarono davanti a un imponente edificio dalle sembianze di un
capannone in disuso e abbandonato da decenni per come era combinato,
in realtà quella era la palestra di Cid distrutta dalla
guerriglia
una quindicina di giorni prima. Quella era la prima volta che vi si
poteva entrare poiché prima era stata dichiarata inagibile a
causa
delle scorie tossiche emanate dal fumo dei roghi che erano stati
appiccati.
“Ma
chi
cazzo è stato... guarda qua... no dico guarda qua! Hanno
distrutto
tutto” Hayner gesticolava animatamente mentre si faceva
strada tra
i detriti e le ferraglie. La sua faccia era sfigurata da
un'espressione di puro odio “Porca puttana se li trovo li
uccido
tutti con le mie mani”
In
tutto
quel frangente, a differenza dell'altro, Roxas era rimasto sempre in
silenzio mentre camminava e incespicava tra le macerie per
addentrarsi sempre di più nella palestra. Il suo sguardo era
serio e
sondava ogni minimo danno, ormai non c'era quasi più nulla
di
recuperabile lì in mezzo. Se fosse stato in vena di
scherzare,
avrebbe sicuramente detto che era
andato tutto in fumo.
A
un certo
punto si appoggiò con la schiena a una trave portante, le
mani
perennemente nelle tasche della felpa e studiò la figura di
un uomo
in lontananza.
Quello
era
Cid, il proprietario della palestra. Solitamente era uno dei pochi
uomini di quella città con una tale bontà,
mascherata dal suo
carattere spigoloso, a far accendere un barlume di speranza negli
animi dei giovani, lui voleva far credere che nonostante tutto le
cose sarebbero migliorate per tutti. Per questo aveva aperto la
palestra, voleva togliere i bambini e i ragazzi dalla strada. E
invece eccolo lì, seduto su una cassa di legno nel centro di
quella
che era diventata la sua casa, con un'aria afflitta e sconsolata.
Quella
vista gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
Poco
lontano da Cid vi era un sacco da boxe e Roxas si chiese se fosse
l'unico superstite dell'attacco o se fosse stato portato in seguito
come valvola di sfogo.
“Più
che
altro” proruppe dopo il suo interminabile silenzio, placando
lo
sciame di parole e insulti di Hayner “Puoi immaginare lui
quanto
sarà incazzato? Si era fatto un culo così in
questi anni per tirare
su questa palestra e togliere i ragazzi dalla strada e ora guarda che
fine ha fatto” sussurrò a bassa voce per non farsi
sentire, poi
con uno slancio si staccò dal muro, si avvicinò
all'adulto e lo
chiamò a voce più alta “Cid”
“Ragazzi”
Cid si girò immediatamente, genuinamente sorpreso di quella
visita
inaspettata e poi assunse un tono più fermo “Che
ci fate qui? È
pericoloso”
“Non
dire
stronzate” esclamò Hayner mettendosi davanti a lui
“Noi siamo
cresciuti qua dentro, ti pare che non saremmo venuti appena
possibile?”
L'uomo
cacciò un sospiro sfiduciato e tirò fuori dalla
tasca del giubbotto
una sigaretta che si accese prontamente “Lo sai, ragazzo mio,
in un
certo senso me lo aspettavo che prima o poi sarebbe successa una cosa
del genere”
Hayner
storse il naso “Almeno sai chi è stato?”
“No
e non
ci tengo neanche a saperlo”
Roxas
abbassò lo sguardo e afferrò una mazza di legno
bruciacchiata e
prese a farla roteare tra le mani. Cid si girò verso di lui,
catturato dai suoi gesti abili e silenziosi come quelli di un gatto.
“La
gente
dice che siamo protetti dagli sbirri...” sussurrò
questo
maneggiando abilmente la mazza, poi indurì il tono
“Ma a noi chi
ci protegge da loro?”
Nessuno
proferì parola, la mazza era stata scaraventata dall'altra
parte
della stanza e finì col frantumarsi tra gli altri relitti
della
palestra.
Senza
aggiungere altro, Roxas camminò in direzione del sacco da
boxe, si
coprì i pugni con le maniche della felpa e iniziò
a sferrare colpi
uno dopo l'altro.
“Non
dovreste essere a scuola?” disse di punto in bianco l'uomo,
rivolto
ad Hayner, per cambiare argomento. Non c'era più nient'altro
da
aggiungere, Roxas aveva detto tutto. Tutto.
La
sua era
un'implicita richiesta d'aiuto dissimulata dalla disillusione della
crudele realtà.
Che
speranza poteva esistere in una società dove le forze che
dovrebbero
essere schierate dalla parte del bene e della giustizia, uccidevano
un ragazzo disarmato?
“La
scuola è bruciata...” rispose Hayner con
indifferenza e si
interruppe per sbadigliare sonoramente “Ci hanno stipati in
un
ufficio che è stato lasciato da poco meno di un annetto. Non
c'è
spazio per tutti. Per questo ci tocca ruotare, ma io non ho
intenzione di ritornarci, vero Rox?” pronunciò le
ultime parole
con voce alta, rivolto all'amico ma quest'ultimo non rispose, troppo
intento con la sua attività.
“Hayner,
cosa ti ho detto sempre riguardo alla scuola?” prese invece
parola
Cid grattandosi il capo con fare stanco.
“Che
ci
devo andare e bla bla bla. Ma secondo te che concludo in quel cesso?
Non è che diplomandomi o altro la mia vita migliorerebbe.
Noi siamo
nati qua e moriremo qua. Gli abitanti del ghetto sono la feccia della
società e nessuno vuole avere a che fare con noi”
Cid
scosse
il capo ma dalle sue labbra non fuoriuscì alcun suono,
alcuna
parola, alcun rimprovero. Si limitò a scrutare i movimenti
veloci di
Roxas che nel mentre stava scaricando tutta la sua rabbia su quel
sacco, e poi Hayner parlò ancora.
“Il
torneo di struggle è stato riconfermato”
“Ah
davvero?”
Il
biondo
annuì “Ho già iscritto Roxas. Ti pare
che possiamo perderci una
cosa del genere?”
Sul
voltò
di Cid si disegnò un mezzo sorrisetto “Quello
stronzetto sembra
tanto piccolino ma va che una bomba” ridacchiò
tornando a vedere
l'altro ragazzo che adesso aveva cominciato a sferrare potenti calci
al sacco “Oh Roxas, calmo con quella gamba che puoi farti
male”
Roxas
finalmente si voltò verso i due, e inarcò un
sopracciglio in vena
di sarcasmo “Bella battuta, nonno”
“Sono
sicuro che un giorno quel pezzo di merda finirà alle
olimpiadi”
decretò Hayner con un sorriso di soddisfazione stampato in
volto.
1.5 Let's struggle
“Un
obbiettivo?”
“Sì,
un
obbiettivo”
Axel
voltò
il capo di lato e lanciò un'occhiata al di sopra delle
spalle per
vedere se la faccia dell'altro fosse seria o meno. Lui e Demyx erano
stesi a terra, nel piccolo salotto, su un grande tappeto proprio come
facevano quando erano più piccoli e si ritrovavano a parlare
delle
cose più disparate. In quel momento Axel aveva le gambe
piegate e
aveva una pallina da baseball in mano che lanciava ritmicamente
contro la parete vuota. Demyx invece era completamente disteso, le
mani incrociate sullo stomaco e gli occhi puntati sulla luce della
lampada che si estendeva sotto al soffitto.
Fuori
era
già buio ma le temperature erano abbastanza permissive da
tenere una
finestra aperta.
“Hai
intenzione di farmi pure tu da psicologo?” il rosso
inarcò un
sopracciglio e l'altro rise.
“No
ma è
evidente che non hai intenzione di ascoltare quello che dice il tuo.
Quindi ho deciso di dirti la mia idea: trovare un obbiettivo”
“Stai
scherzando...”
“No,
sono
serio”
Axel
a quel
punto alzò il busto e si resse sui gomiti, lanciò
un'occhiata
contrariata al suo amico, ma questi non ci fece caso “Demyx
che
cazzo ti passa per la testa? Che cosa dovrei fare?”
“Non
lo
so, questo dovrai deciderlo tu”
“Non
ho
bisogno di un obbiettivo”
“E
perché
no?”
“Perché
la mia vita è vuota, non ha senso. Ho lottato e ho fatto
tutto
quello che potevo fare ma non è servito a un cazzo”
Finalmente
il biondo degnò l'altro di un cenno, rotolò su se
stesso e rimase
steso sullo stomaco, così da poterlo guardare completamente.
Poggiò
i gomiti sul tappeto e posò il capo sui palmi delle mani.
Sul voltò
invece aveva un sorriso infantile.
A
volte
Demyx sembrava non essere mai cresciuto, era rimasto il suo compagno
di avventure che aveva conosciuto a scuola.
“Vedi?”
pronunciò con tono di rimprovero “La tua vita
è vuota, l'hai
detto tu stesso, vuoi che sia sempre così? Non credo, tu in
realtà
vuoi che la tua vita decolli”
Axel
sospirò e si chiese per quale motivo gli stesse dando spago
“Ho
detto anche che tutto quello che ho fatto non è servito a un
cazzo.
Ogni tanto ascolta gli altri, porca puttana”
“Ohhh
non
iniziare con le parole” Demyx rise e gli fece la linguaccia,
proprio come se fosse un bambino, e si mise a sedere con le gambe
incrociate in stile indiano “Lo sai pure tu che ho ragione!
Devi
andare avanti...” e poi si fermò un momento, si
grattò la nuca e
scosse il capo “Non dico di dimenticare tutto, per
carità... però
devi metterci una pietra sopra, metterti l'anima in pace e farti una
nuova vita. Devi trovare un motivo per continuare a proseguire per la
tua strada... magari ti trovi un lavoro-”
“Io
ce
l'ho un lavoro” tagliò a corto Axel ormai tediato,
e iniziò a
rigirarsi la pallina tra le mani.
“Un
lavoro vero, non quello che fai tu” sottolineò
l'altro e strappò
la palla dalle mani dell'altro “Dicevo, trovi un motivo, un
obbiettivo
che ti spronerà ad andare avanti e la tua vita
migliorerà
decisamente” tirò la pallina da una mano all'altra
e poi la lanciò
contro la parete, senza però impiegarci troppa forza
“E alla fine
dirai cazzo quello stronzo di
Demyx aveva ragione!”
Axel
si
alzò per andare a riprendere la pallina che era finita
dall'altra
parte della stanza e guardò il biondo come se fosse un pazzo
“Non
ha senso quello che dici”
Demyx
si
strinse le gambe al petto e rimase una manciata di secondi in
silenzio prima di riprendere a parlare.
“Mettiamola
in termini più semplici allora” disse alzando un
indice davanti a
sé “Tu ce l'hai la ragazza?”
“Ma
che
cazzo di domande sono-”
“Rispondi
a me... tu ce l'hai la ragazza?”
“No,
non
ce l'ho”
“Fa
niente, fai finta di avercela...e magari fai finta di avere pure un
figlio” disse ridendo alla vista della faccia dell'altro.
“Cazzo
Dem, in un secondo mi hai messo a carico una ragazza madre?”
“Stai
zitto, cazzo, mi fai perdere il filo! Allora dicevo, hai una donna e
un bambino.... ovviamente tu vuoi il meglio per loro, no?”
“Ma
se
non li conosco neanche...”
“Immedesimati
nella parte!”
Axel
sospirò pesantemente e assecondò la
volontà dell'amico, sapendo
che l'altro non l'avrebbe lasciato in pace in caso contrario
“Se ce
li avessi sì, vorrei sempre il meglio”
“Descrivimi
il meglio” disse Demyx con
un sorriso a trentadue denti.
“Ma
che
ne so...” bofonchiò Axel grattandosi il capo
nervosamente, ci
pensò un attimo e diede la prima risposta che gli venne in
mente
“Una bella casa... magari con un giardino... e un cane con
cui far
giocare il bambino”
“Okay”
Demyx annuì soddisfatto e l'altro ci pensò
più a fondo.
Che
cosa
poteva essere il meglio
secondo lui?
Ovviamente
non voleva il meglio del meglio, ma si accontentava di cose semplici
che chiunque si sarebbe potuto permettere in un contesto lontano dal
loro.
“Il
meglio sarebbe lontano da questa città di merda, con un
lavoro e una
sicurezza economica... una bella casa con giardino in un quartiere
tranquillo, dove non senti di continuo le sirene della polizia che
girano per strada. Avere una persona al mio fianco che sappia amarmi
e rispettarmi così come farei io... la sicurezza di avere un
posto
in cui mi sento amato, e al quale fare ritorno... non vedere mai la
tristezza negli occhi di chi mi è davanti...”
Demyx
rimase sgomento per alcuni secondi dalla risposta così
articolata
dell'altro e per un momento non seppe più cosa dire
“Direi
che...uhm.. hai dato il meglio di te...” farfugliò
espandendo il
suo sorriso “Vedi? Quando ti ci metti sei bravo”
“Queste
sono utopie”
Il
biondo
scosse il capo e incrociò le braccia al petto “Ti
sbagli! Anche il
tuo più piccolo contributo potrebbe cambiare il mondo. Per
raggiungere la pace interiore ti serve un obbiettivo, una motivazione
che ti dia la spinta... anche una piccola azione potrebbe
esserlo”
“Una
piccola azione?” Axel ridacchiò divertito,
lanciò di nuovo la
pallina al muro e la afferrò al volo. Demyx annuì.
“Tu
hai
detto che non vorresti mai vedere la tristezza negli occhi di chi ti
è vicino... potresti partire da qui. Una buona azione, una
parola di
conforto... anche queste sono soddisfazioni, dei piccoli passi verso
la pace interiore”
Axel
studiò
l'espressione emozionata dell'altro e sospirò ma non nascose
un
debole sorrisetto “Tu sei tutto matto”
“E
tu sei
in una città che urla disperazione da tutte le direzioni!
Guardati
attorno, non c'è nessuno che ha colpito la tua
attenzione?”
“Ehm...”
il rosso fece per pensarci e tornò a stendersi con la
schiena sul
tappeto e gli occhi fissi sul soffitto “Penso... un... un
vecchio...”
“Sì,
baby, vai così!” Demyx esclamò
vittorioso e alzò un pugno in
aria per spronarlo a continuare, Axel batté le palpebre un
paio di
volte e mugugnò qualcosa prima di riprendere a parlare.
“Mentre
oggi ero sull'autobus ho visto dal finestrino un vecchio che cercava
di riparare il portone del suo negozio... uhm... magari domani potrei
fermarmi e chiedere se ha bisogno di una mano”
“Stai
andando forte fratello!”
“E
poi...” aggiunse subito senza pensarci “E poi c'era
un ragazzino
ieri...era all'incrocio prima dello studio di Ansem... sembrava non
avere più sentimenti, nessuna lacrima da versare... era
apatico...”
“O-okay,
Ax... e chi era? Cosa faceva?”
“Non
lo
so... era all'incrocio e quando è scattato il verde ci siamo
persi
di vista”
“Beh...
sarebbe stato bello se tu avessi potuto aiutarlo, ma un passante
dubito che potrai rincontrarlo”
“Già...”
Axel incrociò le braccia dietro la nuca “Senti un
po'... ma credi
che questa cosa possa avere qualche utilità?”
“Assolutamente
sì! È questo il motivo per cui riesco sempre ad
essere ottimista...
sono sicuro che vedendo le mie azioni, Dio deciderà di
premiarmi
rimandando a casa mia sorella”
Il
rosso
lanciò un'occhiata in fondo alla stanza, dove si vedeva uno
scorcio
di cucina e adocchiò la madre dell'amico intenta a lavare i
piatti e
mettere a posto. La risposta era abbastanza ovvia, conoscendoli da
anni, ma Axel decise comunque di porre quella domanda “Dem,
tu
credi in Dio?”
Il
biondo
sorrise “Fratello... non bisogna domandarsi se noi crediamo
in Dio,
ma se Dio crede in noi”
L'altro
non
rispose, alzò lo sguardo al soffitto e si
soffermò a riflettere su
quel discorso.
Un
obbiettivo, eh?
Tutte
quelle erano stronzate, ma se lo avessero aiutato davvero a non
pensare più a Kairi e tutta quella faccenda allora un
pensierino ce
l'avrebbe fatto. Per il momento aveva già trovato un guadano
sicuro
con la macchina con cui stava lavorando assieme a Xigbar e Xaldin,
per il resto ci avrebbe pensato in seguito.
Il
giorno
dopo Axel ritornò dai suoi amici, e fece lo stesso il giorno
seguente, e anche quello dopo ancora fino alla fine del mese.
La
settimana dopo si presentò anche da Ansem. E quel giorno,
allo
stesso incrocio, alla stessa ora, rivide quel ragazzino biondo
vestito completamente di nero; e lo vide anche la settimana dopo, e
quella dopo ancora, e alla fine Axel si ritrovò a
presentarsi allo
studio di quello psicologo, di cui non gliene fregava di meno,
più
che altro per la mera curiosità di rincontrare ancora quel
ragazzo
strano di cui non sapeva niente, ma che, per qualche oscura ragione,
aveva catturato il suo interesse, solitamente scarno verso tutto
ciò
che non riguardasse la sua vita privata.
Il
suo non
era definibile neanche interesse ma curiosità
più che altro. Non provava il desiderio impellente di sapere
qualcosa in più su di lui, dopotutto quel ragazzo era un
estraneo,
però ogni settimana, alla stessa ora era sempre fermo a quel
semaforo in attesa di attraversare. Sicuramente dovevano avere in
comune qualcosa.
Per
passare
il tempo durante il suo tragitto da casa di Demyx allo studio di
Ansem, Axel si era ben presto ritrovato a domandarsi se anche quel
giorno il bimbo era lì come sempre, se fosse sempre vestito
di nero
e se avesse sempre nuovi lividi in faccia. Ormai quello sconosciuto
era diventata una piacevole consuetudine ma forse, Axel si
ritrovò a
pensare, non era tanto normale fantasticare su persone che non
conosci e che non hai interesse a conoscere.
Quel
giorno, appena arrivò all'incrocio, il ragazzino era sempre
lì in
attesa solo che questa volta non aveva lo sguardo perso nel vuoto ma
era incollato a un manifesto attaccato all'angolo dell'edificio.
Una
volta
scattato il verde, Axel riprese il suo cammino come sempre e
così
fece l'altro, andando nella direzione opposta. Il rosso si
voltò per
seguire con lo sguardo il biondino finché non
sparì dalla sua
visuale e poi con un cipiglio interrogativo andò a sbirciare
il
poster affisso, e inarcò le sopracciglia.
“Ooh”
Axel
richiuse il cofano anteriore dell'auto, si tolse i guanti da lavoro e
guardò Xaldin con una punta perplessità.
“Un
torneo di struggle?”
Xigbar
emise una risatina roca mentre rientrava nel garage con il cellulare
ancora tra le mani “Da quanto tempo non vado a vederne
uno”
Vedendolo
tornare, Xaldin alzò il naso da quella scatola di pezzi di
ricambio
che stava esaminando per scartare i pezzi che non funzionavano
“Allora che ha detto il tizio?”
L'altro
alzò il pollice e ammiccò “Domani verso
mezzogiorno, pagamento in
contanti. Allora che si diceva di questo torneo di struggle?”
Xaldin
scrollò le spalle e tornò alla sua precedente
occupazione “Domani
sera al capannone vicino al porto”
“Cazzo,
lì c'è roba forte, bello. Hanno trovato una bella
sistemazione”
Mentre
ascoltava il chiacchiericcio degli altri due, Axel aprì la
portiera
della macchina e si sedette al volante “Proprio oggi ho visto
un
poster per strada...” disse provando ad accendere il motore,
questo
però tossicchiò un paio di volte prima di
spegnersi “Ma che
cazzo”
Xigbar
posò
il cellulare in tasca, aprì il vano anteriore e
armeggiò un momento
prima di sporgersi verso Axel “Yo, Prova ora” il
rosso eseguì
“Dai un po' di gas” e dopo pochi secondi l'auto si
mise in moto.
“Tu
sei
un fottuto genio” il rosso rise e uscì dalla
vettura “Le tue
sono mani strappate alla meccanica”
L'uomo
sogghignò e sprofondò nel divano sfasciato
“Quindi domani sera ce
ne usciamo, uh?” fece rivoltò all'altro amico,
questi mise a posto
lo scatolo e andò alla ricerca della sua bottiglietta
d'acqua.
“Attorno
a questi tornei gira sempre la grana... roba clandestina e soldi
riciclati però c'è sicurezza di fare
profitto”
Axel
fischiò stupito “Hai intenzione di
scommettere?”
“Ho
un
amico in quel giro, lui saprebbe chi raccomandarci”
“Ma
sarà
sicuro?”
“Ormai
scommettere sulle corse di auto modificate sta diventando
monotono”
commentò Xigbar sottintendendo l'approvazione alla proposta
di
Xaldin “E ora che ci intascheremo anche il guadagno di questo
gioiellino potremo farlo senza problemi”
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Proseguendo
sempre a sud ai margini della città sorgeva la zona
industriale,
dove lo stato di degrado e abbandono era talmente evidente che pareva
che Dio si fosse dimenticato della
sua esistenza. Ovunque vi erano edifici diroccati e abbandonati, erba
incolta e il manto stradale era dissestato in più punti per
questo
motivo molteplici erano le pozze di fango a seguito di un temporale,
proprio come in quel momento.
Era
il
crepuscolo quando Roxas, accompagnato da Hayner, si incontrò
con
Pence e Olette. I due ragazzi erano seduti su un muretto basso e
quando li videro arrivare, Olette scattò subito in piedi e
andò
loro incontro, agitando la mano per aria.
“Hayner,
Roxas!”
Olette
era
una ragazza molto dolce e tranquilla, con dei capelli color
cioccolato acconciati in maniera che solo le ciocche anteriori le
ricadessero sulle spalle. Anche se non sembrava, Olette era la
sorella minore di Hayner - lei era molto più fine e dedita
allo
studio rispetto al fratello – e di tanto in tanto il suo
cuore
batteva per Roxas.
“Yo
ce ne
avete messo di tempo” li salutò Pence una volta
che gli altri si
furono avvicinati.
Hayner
prese per mano il ragazzo e si diedero a vicenda una pacca sulla
schiena a mo' di saluto, Roxas invece si limitò a un cenno
del capo
rivolto a entrambi.
“Yo
bro,
lo so ma oggi Rox stava moscio” esclamò il biondo
sedendosi
anch'egli sul muretto “Dice che gli formicola il fantasma.
Come
cazzo fa a dar fastidio un fantasma io proprio non so”
“Piantala”
mormorò il ragazzo in questione affondando il più
possibile le
braccia nelle tasche dell'ennesima felpa nera. Si appoggiò
con la
schiena al muro, socchiuse gli occhi e lasciò il capo
ciondolare in
avanti “È così e basta”
Pence
guardò prima Olette e Poi Hayner e poi fece spallucce.
Pence
era
un coetaneo di Roxas e compagno di classe di Olette, o almeno poteva
dirsi tale fino a quando la scuola era stata ancora in piedi. Era un
tipo sveglio e abbastanza in carne, e, anche se bianco, aveva la
stoffa del rapper. Non erano rare infatti le sue esibizioni nei
locali. C'era una sola cosa che si poteva dire a suo vantaggio e
cioè
che, anche se era uno dei pochi bianchi che si permetteva di sfidare
i neri nella loro arte, quando rappava faceva il culo a tutti quanti.
“Allora
dove tieni l'erba?” cambiò discorso Hayner,
rivolto a Pence e
questo tirò fuori da una tasca della giacca leggera una
canna.
L'altro afferrò l'accendino dalla tasca dei suoi jeans e se
l'accese
senza tante cerimonie. Olette storse il naso ma non disse nulla, lei
non era d'accordo che suo fratello fumasse quella roba ma
più di
tanto non poteva fare.
Roxas
ignorò il chiacchiericcio degli amici, il suo sguardo si
posò sul
fiume di persone che stava camminando in in direzione di uno dei
tanti capannoni. Dai suoi occhi non traspariva alcuna emozione.
“Quindi
quello sarebbe il posto?” domandò alla fine
alzando un po' il
capo.
“Non
sembra più tanto abbandonato” Hayner rise facendo
un tiro.
“Ragazzi
avete idea di quanti palazzi abbandonati abbiamo qui?” fece
Pence a
quel punto mettendosi in piedi e affiancando il biondo vestito di
nero “Come si può essere fieri del proprio
quartiere con certe
merde intorno?...pensate che prima o poi li facciano abbattere? No,
quelli sono troppo presi a spremere soldi al popolo”
“Piantala
di fare il predicatore, tanto non se ne frega nessuno” Hayner
fu il
primo a rispondere con tono del tutto disinteressato, il suo sguardo
era fisso sulla stecca che si rigirava tra il pollice e l'indice, ma
subito si intromise un'Olette molto più impensierita.
“E
che mi
dici di quella bambina stuprata da quel tossico? Secondo te sarebbe
successo se non ci fossero state queste catapecchie
abbandonate?”
“L'hanno
preso però”
“Infatti
è per questo che gira ancora a piede libero...” fu
il commento
sarcastico di Roxas. Il ragazzo si staccò dal muro e prese a
camminare nella stessa direzione della folla “Dai
sbrighiamoci,
altrimenti si farà tardi”
Il
caos
regnava sovrano quando Axel, accompagnato dai suoi amici, mise piede
per la prima volta all'interno del capannone. C'erano così
tante
persone che erano tutti stipati come sardine e quasi non si riusciva
a camminare, non aveva mai visto così tanta gente neanche
per una
partita allo stadio. Al centro dell'enorme ambiente c'era un ring
soprelevato abbastanza ampio sul quale due uomini si stavano
fronteggiando e scontrando, entrambi muniti di una specie di mazza da
baseball, e al lato vi era un arbitro che commentava con foga ogni
movimento.
Improvvisamente
si ritrovò strattonato per un braccio e finì
addossato alla parete
dell'edificio, vicino a lui Xaldin aveva preso a conversare
allegramente con un tizio seduto su una sedia in compagnia di una
ragazza bionda e un'espressione piuttosto astiosa.
“Bella,
Mar, quanto tempo non ti vedevo” esclamò Xigbar
avvicinandosi ai
sopracitati.
“Che
cazzo ci fate qua? Pensavo che foste tutti in galera, pezzi di merda
che non siete altro, dico io che vi costa farvi vedere di tanto in
tanto?”
Il
rosso
aggrottò la fronte quando notò che l'uomo che
stava parlando aveva
i capelli rosa. Rosa?
Sperava vivamente per lui che avesse preso per errore la tinta della
sorella.
“Allora
siete qui per puntare su qualcuno?”
“C'è'
qualcosa di interessante?”
L'uomo
dai
capelli rosa, identificato come Mar,
incrociò le gambe in maniera piuttosto elegante e poi fece
un cenno
del capo “Lo vedete quel gruppetto di bimbi
laggiù?”
Tutti
noi
ci voltammo e lo seguimmo con gli sguardi nei pressi dei piedi del
palco dove c'era un ragazzetto biondo che aveva appena poggiato un
braccio sulle spalle di un altro ragazzino di spalle e gli parlava
freneticamente.
“Quel
moccioso con la felpa nera?” domandò Xigbar con
una nota di
scetticismo nella voce.
“Esattamente”
“Perché
mai dovrei puntare i miei verdoni su un lattante?”
Mar
accennò
un sorrisetto di scherno “Il mio suggerimento è
lui, se non lo
accetti fai quello che vuoi”
“Aspetta
un po'... come potrebbe avere delle speranze lui contro tutti quei
bestioni che gareggiano? È uno scherzo?”
“Adesso
vedrai, sta salendo sul ring”
Axel
rimase
in silenzio ma aguzzò la vista – si
ritrovò a ringraziare per una
volta la sua altezza fin troppo sviluppata, altrimenti non avrebbe
visto assolutamente nulla. Proprio in quel momento l'arbitro stava
chiamando i due nuovi concorrenti: Setzer, un uomo sulla trentina con
i capelli lunghi e decolorati, quando salì lui sul ring la
folla
iniziò a urlare ed esultare. L'uomo salutò la
folla e si muoveva
sul palco come se fosse una celebrità, sicuramente lui
doveva essere
il favorito. E poi subito dopo, salì Roxas, uno dei due
ragazzetti
che avevamo visto una manciata di secondi prima. Questo si
sfilò la
pesante felpa e rivelò una corporatura piuttosto mingherlina
per
quella di un adolescente, indossava una canotta sbracciata, anch'essa
nera come la felpa, e un pantalone nero leggermente più
largo forse
per permettergli una migliore libertà di movimento.
Quando
il
ragazzino si voltò verso la folla, Axel non
riuscì a trattenere
un'esclamazione di puro stupore.
“Che
ti
piglia, Ax?” fece Xaldin incrociando le braccia.
“È
il
ragazzo del bivio!” esclamò questi indicando con
un dito il
ragazzino.
“Che?”
“Il
ragazzo del bivio... quel tipo lo vedo tutte le settimane
all'incrocio che divide il settore est con quello ovest”
mugugnò
sbalordito. Come aveva fatto a non riconoscerlo prima?”
“Lo
conosci?”
“Eh?
No,
no... solo di vista”
“Fattelo
dire, amico” si intromise l'uomo dai capelli rosa con una
risatina
leggera “Adesso lo vedi qui nei bassifondi nei tornei
clandestini,
ma sono sicuro che tempo qualche anno e ci ricorderemo tutti il suo
nome”
“Roxas
eh? Chissà che ha di tanto speciale”
commentò scettico
incrociando anch'egli le braccia al petto e si voltò verso
lo
scontro ormai iniziato.
I
due
concorrenti inizialmente si erano studiati da lontano, ognuno dalla
propria parte del campo ma poi Roxas si era fatto avanti e aveva
iniziato a scagliare una serie di colpi verso Setzer, il quale
riuscì
a schivarne abilmente una gran parte. Questi parve tenersi di
più
sulla difensiva e quando i colpi sembravano diventare sempre
più
radi, contrattaccò e mandò il biondo a terra, e
tutte le sfere
azzurre che aveva nella sua sacca si riversarono sul suolo.
Ecco
come si procurava tutti quei lividi allora,
constatò Axel. Quel round era perso, ormai il ragazzino
aveva i
minuti contati, mancava solo l'ultimo colpo e sarebbe stato finito, e
invece rotolò sorprendentemente su un fianco e
riuscì a schivare
l'attacco. Balzò in piedi e si fiondò
sull'avversario, iniziò così
una lunga sequela di veloci attacchi e nel giro di pochi minuti
riuscì a disarmarlo, il bastone di Setzer era volato
dall'altra
parte del campo. L'uomo però non si diede per vinto, strinse
i pugni
davanti a sé e digrignò i denti.
“Il
bello
dei tornei di struggle clandestini è che puoi proteggere la
sacca
con le tue sfere anche a mani nude” chiarificò
Xigbar con una
risata “Adesso viene il bello”
Axel
inarcò
un sopracciglio interrogativo
e
tornò a guardare il match, anche Roxas adesso aveva lasciato
andare
la sua maglia e attendeva il suo avversario fare la prima mossa.
“Le
sfere di Roxas però sono cadute, non avrebbe già
perso?” domandò
il rosso e l'altro scosse il capo.
“Ti
pare che Setzer le abbia raccolte? Quando giochi a struggle, in
questi tornei più interessanti,
le sfere sono la cosa meno importante... quello che ci interessa a
noi è lo scontro fisico. È raccomandabile
stendere il tuo
avversario prima di raccogliere le sfere”
Più
che scettico, il rosso si riconcentrò sullo scontro. Era
ovvio chi
avesse la partita in pugno, tutte le sfere del biondo erano
già a
terra e inoltre lui era penalizzato anche fisicamente perché
era
molto più piccolo e basso. Eppure quando Roxas
scattò e sferrò un
colpo a sorpresa Axel rimase impressionato dalla sua
velocità, e lo
stesso valse per Setzer che era stato colto di sorpresa. Roxas
sfruttò quel momento per sferrare una lunga serie di
attacchi
alternando braccia e gambe.
Sicuramente
la velocità era la sua prerogativa, ma la forza con cui
riusciva a
colpire con una tale forza da mettere in ginocchio un uomo di quella
stazza era indice di un'incredibile maestria. Axel non ci mise molto
a capire che erano le gambe il punto di forza del ragazzino e in quel
momento dovette dare ragione a quel Mar, il biondino sapeva il fatto
suo.
Roxas
non ci mise molto a stendere Setzer, raccogliendo la sua sacca
contenente tutte le sfere rosse prima che l'arbitro dichiarasse il
k.o.
Il
capannone si riempì di urla concitate di assensi e dissensi,
ma poco
importava perché tutto quello che interessava ad Axel in
quel
momento era di uscire da quell'edificio e andare a prendere una
boccata d'aria altrimenti era sicuro che sarebbe morto asfissiato
lì
dentro. Avvisò gli altri e iniziò a camminare a
tentoni in cerca
dell'uscita, a metà strada vide nella folla un paio di
uomini che
stavano iniziando a creare disordini gridando e spintonando la gente,
e questa fu una buona motivazione per avanzare il passo e uscire di
lì.
Quando
Roxas scese dal ring, con la sacca di Setzer ancora tra le mani,
venne accolto come sempre dall’abbraccio caloroso di Hayner
che gli
si era letteralmente lanciato addosso e per poco i due non si
ritrovarono a terra.
“Porca
puttana, fratello, sei stato fenomenale!”esclamò
il più grande
con la voce intrisa di entusiasmo. Roxas abbozzò un sorriso
imbarazzato e si girò verso gli altri amici che gli erano
andati in
contro per complimentarsi con lui.
“Lo
sapevo che ce l'avresti fatta” disse Pence dandogli un colpo
sulla
spalla e poi gli passò un asciugamano per asciugarsi il
sudore.
Ancora
preso dalla foga, Hayner si voltò verso la folla in tumulto
e gridò
“Questo è il mio amico, stronzi. Questo pezzo di
merda l'ho
allenato io!”
Gli
altri tre non poterono trattenere un sorrisetto e poi portarono il
biondo che aveva appena gareggiato su una sedia nelle retrovie
dell'edificio per fargli riprendere aria. La prima cosa che Roxas
fece, prima ancora di sedersi, fu andare alla ricerca della borsa
frigo e si prese una lattina di té verde che aprì
e iniziò a bere
lentamente, perché ghiacciata, nonostante il caldo e la
sete. Lanciò
un'occhiata a un altro ragazzo nell'angolo più remoto della
stanza
che si stava riscaldando in vista di un prossimo round, Olette e
Pence invece stavano parlando fuori la porta con un uomo –
probabilmente riguardo alle somme delle scommesse.
Hayner
fu invece il secondo ad entrare, subito dopo l'altro biondo, e appena
lo vide con la lattina in mano storse il naso e si lasciò
cadere su
una panca di legno “Ma che cazzo, Rox, e bevitela 'na
birra”
Roxas
lo perforò con lo sguardo, il suo tono era serio come sempre
“Sai
che non bevo quella merda”
“Sai
che non bevo quella merda gne gne gne” gli fece il verso
l'altro e
andò a prendersi una lattina, ma prima di aprirla lesse
l'etichetta
“Czechvar...ma chi compra sta merda da quattro soldi?
È troppo
chiedere almeno una Budweiser?”
“Piantala”
sospirò Roxas “Dovresti ringraziarmi che
così ne rimane di più
per te”
“E
io ti ringrazio” rispose il più grande aprendo la
lattina e poi
puntò lo sguardo sull'amico “Ma voglio che impari
anche tu a
goderti le cose, cazzo. Cresci un po', diventa un uomo e piantala di
bere solo quella merda altrimenti un giorno finirai per pisciare
té”
Roxas
corrucciò la fronte “Preferisco pisciare
té piuttosto che birra.
Te l'ho detto, non voglio un briciolo di alcol nel mio corpo e tu lo
sai!”
“Finiscila
con queste stronzate, è un modo di aggregazione e poi un po'
di
alcol non ha mai ucciso nessuno. Sai cosa significa bere
in compagnia? Ops forse no
perché tu non sai neanche che significa goderti la
vita-” Hayner
aveva preso a ridere sarcasticamente mentre parlava ma poi quando si
era accorto del passo falso si bloccò immediatamente e
impallidì.
Per
Roxas quelle parole furono più affilate di un coltello
conficcatogli nello stomaco e ci mise qualche secondo per racimolare
la forza di alzarsi di nuovo in piedi. I suoi pugni erano serrati e
la mascella tremava mentre pronunciava le parole con voce intrisa di
dolore“Vaffanculo Hayner”
Forse
non lo dava a vedere abbastanza perché si comportava sempre
in
maniera fredda e distaccata, però quella situazione in cui
viveva
gli pesava non poco. E in quel caso non si riferiva solamente alla
sua condizione personale ma anche a tutti i problemi con suo padre e
alla vita in generale. Spesso e volentieri ci scherzava anche lui
stesso sopra, ma sentirsi dire delle cose del genere da una persona
come Hayner faceva male.
“Cos-
no aspetta, Rox... stavo scherzando, scusami! Giuro che non ci ho
pensato” si affrettò subito a dire Hayner. Il
biondo si alzò di
scatto e andò ad afferrare il braccio dell'altro, ma Roxas
si
divincolò violentemente
“Lasciami
stare, non voglio sentire le tue scuse del cazzo... lasciami
stare”
Proprio
in quel momento, la loro discussione fu interrotta dall'arrivo di
Olette e Pence che stavano portando in mano tutta la loro roba.
“Ehi
che succede qui?” chiese la ragazza con espressione stupita,
vedendo la faccia incazzata di Roxas.
“Dì
a quel cazzone di tuo fratello di lasciarmi in pace e di andarsene a
fanculo”
“Dove
vuoi andare Rox?” subentrò subito Pence, mettendo
a terra uno
zaino.
“Vado
a prendere un po' d'aria e a ripetermi un migliaio di volte di non
saltare addosso a quello stronzo e ucciderlo con le miei mani
perché
non ne vale la pena”
“Oh
stronzo a chi? Mi sono scusato, ti ho detto che non ci ho
pensato...”
Hayner prese ad alzare la voce dopo l'accusa dell'amico e fece per
afferrarlo di nuovo ma Olette si frappose tra i due e lasciò
andare
Roxas, che si avvicinò a Pence e gli strappò
dalle mani la sua
felpa che gli stava ancora reggendo da prima dell'incontro.
“La
prossima volta allora pensaci prima di sparare cazzate... non
è la
prima volta che lo fai!” ribadì il biondo,
voltandosi per un
ultima volta verso Hayner e gli altri, prima di uscire dalla
sgangherata porta di servizio.
“Cerca
di tornare presto, tra non molto tocca a te!” fu il grido che
Pence
tentò di lanciargli ma fu vano perché l'altro era
già scomparso.
A
quel punto Hayner mise le mani conserte e sbuffò sonoramente
mentre
tornava a sedersi, la sua birra era stata abbandonata e dimenticata
sulla panca “È sempre così
permaloso”
Sua
sorella gli lanciò un'occhiataccia.
“E
tu sei una testa di cazzo, bro” rimbeccò iniziando
a sistemare le
loro cose.
“Yo,
Xig, allora che te ne pare del ragazzino?” proruppe l'uomo
dai
capelli rosa, intento a contare una mazzetta di banconote. Xigbar si
avvicinò immediatamente a lui con l'occhio spalancato.
“Quello
era un mostro. Da dove è uscito?”
“Ho
sentito che viene dalla zona est ma non ne sono sicuro”
“Siamo
ancora in tempo per fare una puntata?” si intromise Xaldin
mentre
frugava tra le tasche “Stanotte dovrebbe disputare almeno un
altro
round”
“A
vostra disposizione” cinguettò Mar con voce
gioiosa.
D'improvviso
delle grida intrise d'ira sovrastarono quelle di consueta eccitazione
degli spettatori e i tre scorsero un tizio, seguito da altri, che
aveva appena steso un altro paio di uomini.
“Oh,
eccoli là!” grido uno di quelli e subito si
voltarono verso di
loro.
Xigbar
e Xaldin li riconobbero all'istante e imprecarono sottovoce.
Quando
Roxas uscì dall'edificio si sentì pervadere da
uno strano senso di
libertà che quel capannone claustrofobico aveva provveduto
brutalmente a estirpargli una volta che aveva messo piede al suo
interno. La luna era alta e finalmente il cielo si stava rischiarando
di tutti quei nuvoloni che avevano dominato il cielo durante il corso
della giornata.
Nei
giorni di pioggia Roxas si sentiva una vera schifezza. Nonostante
fossero passati ormai tanti anni, durante quelle giornate il suo
fantasma tornava sempre a fargli una dolorosa visitina. Non che non
lo avvertisse mai, ma in quelle occasioni si sentiva più
sensibile
che mai.
Fuori
dal capannone non c'era nessuno, ad eccezione di tre uomini stipati
all'angolo di un edificio lì vicino che con molta
probabilità
stavano assumendo delle sostante, tutto fuorché benigne, e
poi c'era
un altro ragazzo piuttosto alto e smunto che stava fumando
beatamente.
Un
passo falso e Roxas abbassò lo sguardo al suolo.
“Ma
vaffanculo, pure il fango ci voleva”
Dato
che non stava guardando la strada sotto di sé era finito in
pieno in
una pozzanghera e si era sporcato le scarpe.
“Merda,
sono proprio un genio” bofonchiò scendendo dal
marciapiede e
andando a mettersi in un punto di strada meno dissestata.
Quelle
esclamazioni pronunciate con così tanta enfasi catturarono
quasi
subito l'attenzione di Axel, che nel mentre si era fermato in un
punto poco lontano dall'edificio per fumare in tutta libertà
e aveva
lo sguardo puntato sul porto illuminato in lontananza. Questi
voltò
il capo e notò il ragazzino biondo che aveva visto poco
prima dare
il meglio di sé sul ring.
Inizialmente
inarcò un sopracciglio ma poi proruppe con una leggera
risatina e si
avvicinò all'estraneo.
“Cazzo
vuoi?” borbottò Roxas sulla difensiva, vedendo che
l'uomo che
stava fumando più in là aveva iniziato ad
avvicinarsi verso di lui.
Roxas si era inginocchiato e quando questi gli fu davanti fu
costretto ad alzare il capo.
“Io
niente. Piuttosto tu vuoi un fazzolettino per pulirti?”Axel
ridacchiò e gli porse un pacchetto di tovagliolini. Il
biondo
squadrò per un lungo momento prima l'uomo davanti a
sé e poi i
fazzolettini e infine, dopo un lungo dibattito mentale, lo
afferrò
malamente e iniziò a pulirsi alla meglio il pantalone e la
scarpa.
Axel
piegò le labbra in un sorrisetto divertito e fu
lì per ricordargli
che un grazie non gli avrebbe fatto schifo, ma evitò.
“Ho
sentito dire che sei un lottatore cazzuto” disse invece di
punto in
bianco mentre scrutava attentamente l' estrema cura con cui si puliva
l'altro.
Roxas
alzò si nuovo il naso verso l'estraneo e lo studio
attentamente, poi
si alzò e buttò a terra il fazzolettino
– dopotutto si trovavano
in una discarica a cielo aperto, un tovagliolino non avrebbe fatto
del male al mondo.
“Chi
ha detto che sono un lottatore cazzuto?” domandò
con cinismo e ,
mettendo le mani nelle tasche, riprese poi a camminare lentamente
senza una direzione precisa in mente. Axel lo segui e fece spallucce
“Un po' di gente”
Roxas
assorbì la risposta ricevuta e poi alzò lo
sguardo al cielo senza
stelle “E tu sei un tipo che non se la fa tra i tornei di
struggle”
“Chi
te l'ha detto?”
“La
tua faccia”
“Oh...
e che direbbe in più la mia faccia?”
Il
biondo accennò un sorrisetto ironico “Che il tempo
di attesa del
semaforo al bivio è troppo lunga”
“Allora
mi hai riconosciuto?” ridacchiò Axel mettendo
anche lui le mani
nelle tasche del pantalone.
“Ci
credo, stai sempre lì con un'aria da adolescente in
crisi”
“Ohi
non offendere la mia faccia... sai che mi dice invece la tua?”
“No,
voglio saperlo...”
Proprio
in quel momento però il cellulare di Axel iniziò
a suonare e il
rosso gli fece gesto di attendere un secondo. Lesse sul display il
nome di Xigbar e rispose “Oh Xig, che-”
“Axel
leva le tende, gli scagnozzi del tipo di oggi sono venuti qui per
farci il culo!” in sottofondo c'era un casino allucinante ma
Axel
riuscì comunque a capire per sommi capi cosa stava urlando
l'amico
dall'altra parte del ricevitore.
“Cos-
perché mai?”
“Il
tipo dev'essersi accorto che ho messo del mastice attorno al
bocchettone e-”
“Che
cazzo hai fatto? Ma sei pazzo?”
“Ora
non ho tempo per spiegarti, io e Xaldin siamo andati via dall'uscita
posteriore, c'era la macchina di Mar”
“Ricevuto,
io prendo la mia” esclamò attaccando e si
schiaffò una mano in
fronte, se lo sentiva che le cose con quei due non sarebbero mai
andate lisce.
“Che
ti prende?” domandò Roxas, per circostanza
più che per curiosità.
“Senti,
ragazzo, mi ha fatto piacere parlare con te
però....” non finì la
sua frase che un rumore di una moto avvicinarsi sempre di
più alla
strada principale sulla quale si erano fermati a parlare lui e Roxas.
Il rumore diventò sempre più potente e il rosso
capì ben presto
che si trattavano di due moto e non di una. C'erano degli uomini in
sella che urlavano febbrilmente e gesticolavano animatamente, rivolti
sicuramente a qualcuno o qualcosa dai quali erano appena scampati dal
vicolo dal quale stavano fuggendo a gran velocità. Uno dei
secondi
passeggeri imbracciava un kalashnikov
e sparava all'impazzata dietro di sé, mentre il guidatore
gli urlava
qualcosa.
Improvvisamente
gli uomini notarono i due ragazzi per strada e parvero riconoscere
Axel.
“È
quello là, il più alto!”
gridò uno di loro. Il tizio col fucile
si sporse sulla sella e adocchiò i due.
Immediatamente
Axel, senza aprir bocca, prese per mano Roxas e iniziò a
correre più
veloce che poté.
“Cazzo...che
succede qui?” fece il biondo mentre cercava di rimanere al
passo
dell'altro, se non più veloce. Solitamente non si sarebbe
fatto
molti problemi, ma dopo una battaglia di struggle gambe e braccia
iniziavano a essere intorpidite e non riusciva ad essere più
veloce
come prima, soprattutto con quel tempo umido e piovigginoso la sua
gamba sinistra sembrava volergli dare più problemi che altro.
“Te
lo spiegherò quando saremo al sicuro” fu l'unica
risposta che gli
diede Axel.
Tutto
quello che dovevano fare loro era raggiungere la macchina e
allontanarsi il prima possibile sia da quei pazzi che da quel luogo.
Sicuramente a breve sarebbero arrivati gli sbirri, a giudicare da
come fuggivano veloci quegli scagnozzi.
Axel
lanciò un'occhiata dietro di sé e il mondo
andò per un istante a
rallentatore.
I
tizi in moto li stavano raggiungendo, quello col kalashnikov stava
prendendo la mira per sparare, gli occhi di Roxas che incespicava
dietro di sé erano intrisi di terrore ma erano vivi rispetto
a come
li aveva sempre visti. La macchina era sempre più vicina,
solo pochi
passi e sarebbero stati salvi.
E
poi ci fu lo sparo.
Bang.
Vi
siete mai domandati quanto possa succedere in un istante?
In
un
istante si può nascere e morire, si può amare e
odiare. Si più
perdere tutto o si può diventare un eroe. Si possono
prendere
decisioni che possono cambiarti la vita, migliorartela o rovinartela.
E poi ci sono quelle fatalità che te la stravolgono.
Si
dice che ci sono istanti nella vita in cui cambia tutto. Istanti in
cui succede qualcosa che modifica radicalmente tutto quello che
è
esistito fino all'attimo che li ha preceduti.
Quando
Axel riaprì gli occhi si era ritrovato al suolo in mezzo
alle
erbacce e alle sterpaglie, la testa gli pulsava nel punto in cui
aveva colpito terra ma a parte quel pungente dolore alla tempia non
sentiva nient'altro o almeno questa era la sua impressione.
Non
sentiva alcun buco o corpo estraneo nel suo corpo, così dopo
un
secondo per riprendersi si mise a sedere e rimise a fuoco la vista.
Accanto a lui, Roxas era accovacciato su un lato e si esaminava la
gamba sinistra con estrema parsimonia.
Il
rosso sgranò gli occhi e per un secondo il mondo
sembrò congelarsi.
“Roxas...
la tua gamba” farfugliò preso dall'ansia,
gattonò verso
l'adolescente e notò un buco che perforava la stoffa del suo
pantalone. I suoi movimenti erano incerti e tremanti mentre cercava
di afferrare la coscia dell'altro. Ormai la sua mente non faceva
altro che gridargli di sbrigarsi, Roxas
si è preso la pallottola che era destinata a te.
“Devo...devo
portarti in ospedale”
Il
biondo per la prima volta alzò lo sguardo verso il ragazzo
dai
capelli fiammeggianti e lo guardò con i suoi occhi blu,
più freddi
del profondo oceano. Nessuna emozione trasparì dal suo
volto,
l'unico accenno di stanchezza era il respiro accelerato dovuto alla
corsa, ma a parte quello nient'altro. Sembrava essere diventato
improvvisamente una bambola di ceramica, fredda ed eterea.
Axel
provò a chiamarlo un'altra volta, dal momento che l'altro
non gli
aveva mostrato ancora alcun cenno, ma alla fine Roxas piegò
le
labbra in un mezzo sorrisetto e la risata che uscì dalle sue
labbra
gli raggelò le vene. Il biondo con le mani prese a tirarsi
su la
stoffa del pantalone e gli mostrò la gamba, una bagliore
grottesco
che ora animava la sua voce sconcertò non poco il
più grande.
“Ti
pare che con una gamba in titanio io abbia bisogno di un
dottore?”
Si
dice che l'istante occupa un minuscolo spazio fra la speranza e il
rimpianto.
Lo
spazio della vita.
Hai
il coraggio di vivere senza preoccupazioni?
Hai
il coraggio di vivere credendo ancora in qualcosa?
Hai il coraggio
di andare sempre avanti e superare tutti gli ostacoli?
Hai
il coraggio di chiudere gli occhi e sperare in una nuova
realtà?
♦----------♦----------♦
Ehilà!
Da quant'è che non pubblicavo niente? Una decina di giorni?
Purtroppo sono fatta così, o svanisco per mesi o sono sempre
presente e pubblico mille cose alla volta. Vi aspettavate questa nuova
storia? No? Neanche io.
Prima di tutto complimenti a tutti quelli che hanno avuto lo stomaco di
ferro di arrivare fin qua giù, seconda cosa non ho idea di
che pieghe potrà prendere la storia quindi il rating
potrà cambiare di conseguenza.
Il titolo della storia, così come i sottotitoli, hanno un
doppio significato ossia immediato e metaforico.
Crossroads
significa incrocio, bivio; ma ho scelto di abbinare anche la traduzione
di 'bivio' perché in questo contesto sta a significare non
solo il luogo in cui si incrociano le vite di Axel e Roxas, ma anche il
fatto che metaforicamente indica la scelta di una strada da
intraprendere.
Che dire, penso che 21 pagine di storia non abbiano bisogno di una
spiegazione no? xD Ovviamente i background di Axel e Roxas verranno
chiarificati in seguito.
Prima di lasciarci vorrei ringraziare Kronohunter25
perché senza di lui questa storia non avrebbe mai preso
vita, mi ha seguito passo passo dagli albori della prima riga, e alla
fine sempre lui mi ha dato l'ok per la pubblicazione. Quindi grazie per
tutto il lavoro che fai vicino alle mie storie ogni volta :3
In ultimo ringrazio tutti quelli che leggeranno questo primo capitolo e
vi prego, lasciate un segno... potete anche dirmi "fai schifo, non sai
scrivere, torna a studiare", mi va bene pure questo però per
piacere non mettete solo la storia tra le seguite come molti di voi
sono soliti fare. Datemi un parere anche perché è
proprio da voi che dipenderà se ci sarà un
secondo capitolo o no.
Riguardo agli aggiornamenti, rispetto la volontà di chi mi
ha risposto in Summer Paradise e quindi il prossimo capitolo
sarà su One Day.
Au revoir.
|
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Capitolo 2 *** the One and the Dyad ***
crossroads2
Crossroads
Il
Bivio
-A scattered dream that's like a far-off memory.
A
far-off memory that's like a scattered dream.
I want
to line the pieces up, yours and mine-
2.
Étrange(r)
Entrambi
seguivano la propria strada senza sapere che avrebbero incontrato l'un
l'altro.
Ma il
destino
ha voluto che alla stessa ora, quello stesso giorno, si ritrovassero a
condividere uno spazio di pochi metri. Una malvagia provvidenza aveva
fatto in
modo che ciascuno simultaneamente si votasse verso l'altro, incrociando
gli
sguardi. In altre circostanze forse i due si sarebbero ignorati,
distratti da
altri pensieri. Ma quello scambio imprevisto, quell'occhiata reciproca
creò un
qualcosa.
Si
dice che
se incontri uno sconosciuto lontano dal sentiero che avete percorso
insieme,
allora le vostre vite sono destinate ad essere incrociate. È
ironico come la
vita si diverta a tessere gli intricati intrecci della vita, ma cosa
accadrebbe
se due estranei lasciassero cadere la parete che li divideva?
“Ti
pare che con una gamba in
titanio io abbia bisogno di un dottore?”
Quelle
parole, accompagnate da
un'inquietante risata sarcastica, rimbombavano nel silenzio che si era
creato
tra quei due sconosciuti che avevano avuto la sfortuna di incontrarsi
nel posto
sbagliato al momento sbagliato.
La
testa di Axel ancora pulsava
violentemente, come se al suo interno due eserciti si facessero guerra
a
vicenda, e il sangue colava a fiotti lungo la sua tempia escoriata
dalla
caduta. Il ragazzino davanti a lui invece era ancora intento ad
esaminare un
punto imprecisato – il rosso non aveva capito se era la sua
gamba o il suolo
sottostante, fatto sta che aveva in dosso un'espressione indecifrabile,
un
misto tra lo sconfortato e lo scazzato. C'era un barlume di disincanto
nei suoi
occhi che lo avevano colpito dal primo giorno che lo aveva visto fermo
a quel
semaforo al bivio, e solo in quel momento Axel comprese che in quella
città di
merda non era l'unico a trascinarsi sulle spalle problemi
più grandi di lui, né
lui né Demyx. Tutti
in un certo senso si
ritrovavano a scontare la colpa di vivere lì e non altrove.
“Mi...
mi dispiace” aveva
provato a mormorare in un primo momento ma la sua voce fu sopraffatta
dall'assurda preponderanza di quella figura minuta che apparentemente
era solo
metà della sua stazza.
“Non
scusarti” vociò con tono
fermo il biondo, scattando in piedi, il suo sguardo blu e freddo era
sempre
fisso e perforava ogni cosa che sfiorava, tutto tranne il ragazzo dai
capelli
infuocati davanti a lui. Lui sembrava non volerlo guardare.
Axel
non fu in grado di
focalizzare la dinamica degli eventi, ma nell'esatto momento in cui
stava per
constatare il cipiglio nell'espressione del più piccolo, un
altro sparo risuonò
nell'ambiente circostante e orde di gente avevano preso a riversarsi al
di fuori
del capannone in cui erano stati anche loro fino a pochi minuti fa.
Prima che
potesse dire qualcosa, vide il biondo schizzare alla
velocità della luce.
Dopo
una vertigine iniziale
causata dalla forte botta alla testa, il rosso si ritrovò a
seguire con non
poche difficoltà il ragazzino che si affaticava a correre
controcorrente e
spintonare tutti quelli che si ritrovava davanti.
“Roxas!”
Axel
era convinto che fosse
accaduto qualcosa, qualcosa di impercettibile che a lui era sfuggito ma
che
aveva completamente stravolto l'atteggiamento del biondo nel giro di
pochi
istanti. Anche la sua camminata ora non era più posata e
cadenzata ma
sconnessa, sbilanciata, e infatti la corsa non durò che
qualche metro prima che
Roxas sentì la sua gamba sinistra accartocciarsi sotto il
peso del suo corpo.
La
voce dello sconosciuto dai
capelli rossi gli arrivò confusa alle orecchie quando
riaprì gli occhi dopo
quella rovinosa caduta, e la prima cosa che fece non appena la vista lo
ebbe
messo a fuoco fu quello di allontanarlo malamente.
“Ti
sei fatto male?” domandò
l'altro avvicinandosi nonostante lo spintone appena ricevuto, fece per
allungare la mano ed aiutarlo ad alzarsi ma Roxas digrignò i
denti e lo
respinse ancora una volta.
“Sto
bene!”
“Dovrei
portarti in ospedale per
accertarmene”
“Ti
ho detto che sto bene,
cazzo! Pensa alla tua testa piuttosto, che mi sembra quella che ne ha
più
bisogno” Roxas si ritrovò a sbraitare a voce alta
senza sapere neanche il
perché, nel frattempo si era rimesso a sedere con non poca
fatica e passava in
rassegna la confusione attorno a loro. La gente stava fuggendo a gran
velocità,
sicuramente a breve sarebbero arrivati gli sbirri.
Quella
risposta così dura fece
ribollire il sangue nelle vene del rosso e, proprio a causa del suo
temperamento impulsivo, afferrò con poca grazia il mento del
giovane e lo
guardò negli occhi “Senti moccioso...”
esclamò tra i denti, non risparmiandosi
però di usare un tono duro “Tu mi hai aiutato e
ora il minimo che io possa fare
è accertarmi che tu stia bene. Non mi piace essere in debito
quindi vedi di
collaborare”
Roxas
era rimasto inizialmente
spiazzato da quell'atteggiamento così rude ma la cosa non lo
toccò più del
dovuto e infatti il sorrisetto sarcastico ritornò a fare
bella mostra sul suo
viso, con una mano scostò in malo modo l'altro e gli rivolse
un'occhiatina
derisoria “Non hai debiti da saldare e piantala di fingere
interesse, lo so che
non te ne frega niente quindi puoi lasciarmi in pace”
Axel
lo guardò e abbozzò anche
lui un sorrisetto. Il moccioso aveva ragione, chi glielo faceva fare di
perdere
tempo dietro a lui.
“In
effetti non me ne fotte un
cazzo” disse mettendosi di nuovo in piedi e
continuò a squadrarlo dall'alto
“Questo è quello avrei detto in una qualsiasi
circostanza, ma in questo caso so
io a chi devo rendere conto, e anche se non ti conosco e non dovrebbe
fregarmene perché dopo oggi non è che ci
rivedremo ancora, so che la mia
coscienza inizierà a sbraitarmi dietro che avrei dovuto
aiutarti – e credimi
questa coscienza rompe davvero le
palle. Quindi vedi di non farmi peggiorare il mal di testa che ho
già”
“Non
puoi costringermi a venire
con te” ridacchiò strafottente il biondo ma il
ghigno demoniaco del rosso lo
prese di contropiede.
“Sei
ostinato, bimbetto, ma non
vincerai contro di me”
“Ti
ho detto che devi lasciarmi
stare. Non voglio l'aiuto di nessuno... men che meno del tuo-”
“Quella
gamba non ha una bella
angolatura, non penso che potrai andare tanto lontano”
Roxas
in quel momento avrebbe
voluto sprofondare.
“Merda!”
“Allora con chi hai fatto a botte questa volta?”
“Proprio
con nessuno”
“I
tuoi lividi mi dicono diversamente, e poi non è la prima
volta che vieni qui conciato in questo modo" se la massima aspirazione
di
Aqua in quel momento era farsi odiare allora ci stava riuscendo
benissimo,
perché non le bastava infierire con del disinfettante sulle
escoriazioni del
biondo, ma aveva l'aria di voler aggiungere anche le sue prediche
"È stato
Seipher?”
“No”
“Hayner?”
Roxas
scosse il capo e sbuffò. Alla fine quel tipo - Alex,
Axel o come diavolo aveva detto di chiamarsi - lo aveva caricato di
peso in
macchina e lo aveva trascinato al pronto soccorso, però
adesso a rendere le
cose peggiori di quanto non fossero si era messa anche la sfiga di
essere
incappato proprio in Aqua che aveva il turno di notte. E il biondo
sapeva che
lei non lo avrebbe lasciato andare con tanta facilità.
“Devo
pensare a tuo padre?”
"Aqua tu lo conosci, lui a stento mi guarda"
Questa volta fu il turno dell'infermiera a sospirare e massaggiarsi gli
occhi
"Non so che fare con te, Roxas. Stai difendendo qualcuno? O sei davvero
così sbadato come dici di essere e questi lividi te li
provochi cadendo? Io
proprio non ti capisco"
Roxas
però non demorse, sapeva che se voleva scamparla doveva
essere deciso, irremovibile, e così aggrottò la
fronte "Devi credere a
quello che ti ho detto! Sono inciampato e ho fatto un bel volo"
ripeté
ancora una volta, enfatizzando la scena con gesti teatrali. Se c'era
una cosa
che aveva imparato a fare bene in tutti quegli anni era mentire e far
finta che
non c'erano problemi, dopotutto non poteva di certo dirle che prendeva
regolarmente parte a tornei illegali di struggle e quella sera si era
inspiegabilmente beccato la pallottola destinata a quello sconosciuto,
solo per
salvargli la pelle. No, non se la sarebbe mai più scollata
di dosso.
Aqua
lo scrutò accigliata, in cerca di qualche cipiglio o
tentennamento da parte dell'altro ma non trovò niente, e
alla fine poggiò con
tutto fuorché delicatezza una mano suo ginocchio sinistro,
come a voler testare
la sua tenacia.
"E come la mettiamo con quel tuo amico?"
"Non è un mio amico"
"Quello che è, siete arrivati insieme"
Axel
starnutì nell'esatto momento in cui aveva messo piede
fuori dalla stanza in cui il medico l'aveva controllato. Il responso
era stato
semplice: un leggero trauma cranico curabile in pochi giorni di riposo,
e a
completare il quadro la ferita sulla fronte gli era stata bendata in
stile
soldato appena rientrato dalla guerra - a nulla erano valse le
rassicurazioni
del giovane che una semplice garza adesiva andava più che
bene, dopotutto non
stava morendo, e invece il dottore, un vecchietto tutti sorrisi, gli
aveva dato
una pacca sulla spalla e aveva parlato con tono solenne "Ragazzo mio,
durante la guerra del Vietnam queste attenzioni le avresti sognate". E
cosi, a causa di un vecchio militare nostalgico era stato conciato come
un vero
idiota.
Sospirò
tra sé e sé mentre si incamminava, con le mani
nelle
tasche, verso la sala d'aspetto per attendere il biondo che finisse, si
voleva
accertare che fosse tutto okay prima di tornare a casa. Senza farci
neanche
tanto caso però la sua attenzione fu colta dalla voce
scocciata del sopracitato
e si trovò cosi davanti la stanza semichiusa dove intravide
una giovane
infermiera che stava esaminando la sua gamba e non poté fare
a meno di
ascoltare, vinto dalla curiosità.
"Ahhh ma cos'è, il terzo grado? Non siamo in commissariato
per tua
informazione" sbottò il ragazzino mentre con gesti svelti si
alzava il
pantalone e si sfilava poi la protesi, lasciando il moncone coperto
quella che
sembrava una calza di stoffa. Axel quasi si ritrovò a
rabbrividire davanti la
scena, ma notò che Roxas non aveva mai abbassato lo sguardo
sulla sua gamba,
neanche un solo secondo. "Avanti
dai un'occhiata alla gamba e lasciami libero"
"Non
andiamo cosi di fretta Roxas, devo fare il mio
lavoro per bene-"
"Il tuo lavoro è scrivere che va tutto bene e che devo solo
uscire di
qui!"
La
donna, esasperata, si portò una mano nella sua capigliatura
blu per ravvivarla e prese la protesi per esaminarla attentamente.
Roxas invece
dondolava febbrilmente la gamba destra che penzolava dal lettino e con
una mano
tamburellava i polpastrelli sulla coscia sinistra. Il silenzio
piombò pesante
sui due giusto un paio di minuti, ma sembrava quasi che fosse passata
un'ora, e
poi l'infermiera parlò di nuovo.
"La
tua gamba è distrutta" affermò rigirandosela tra
le mani "Non ne so molto di protesi ma la questa è davvero
mal messa.
Guarda, qui la struttura è ammaccata" indicò con
il dito una parte che
Axel non riuscì a vedere "E qui c'è anche un
foro... sembra...sembra quasi
che un proiettile l'abbia trapassata"
Il
rosso sbiancò quasi e si appoggiò alla porta per
vedere
meglio, nessuno dei due parlò per qualche secondo.
Poi
Roxas scoppiò a ridere.
"Pff...ma ti pare? Tu corri troppo con la fantasia ahahahah!"
Come
diavolo faceva quel tipo a reagire così in un momento del
genere? Non stava scherzando, né sembrava volesse prenderla
in giro. C'era
qualcosa con quella risata che non lo convinceva, sembrava quasi
perfida, ma
recitata con una tale abilità da risultare quasi candido.
Axel non sapeva se
doveva essere affascinato da quell'abilità o inquietato.
"Sei
sicuro di non esserti fatto male alla coscia?"
"Sto
un amore"
Aqua
roteò gli occhi al modo di fare dell'altro.
"Comunque
le giunture nel ginocchio sono deformate e
alcune anche spezzate, per questo non riuscivi a camminare...qui manca
anche
qualche pezzo e... oh cavolo!"
il ginocchio metallico doveva aver ceduto poiché la gamba le
si era sfaldata in
mano, e ora si ritrovava con dei pezzi penzolanti della protesi.
Roxas
trattenne a stento un'esclamazione di stupore, fu
l'infermiera a dar voce alle sue paure con quello che sembrava un
incerto
squittio "Roxas, penso... penso che tu debba cambiarla"
A
quel punto il biondo si congelò.
"Co-cosa? Cambiarla?”
“È
meglio che valuti un
esperto ma ho paura che non si possa far nulla"
"Ma...ma...
che dici. Io non posso-" il volto del
giovane fu trasfigurato da un senso di ansia e paura, i suoi pugni si
strinsero
sulla stoffa dei pantaloni e dalla fronte scese una gocciolina di
sudore
"È troppo costosa...dove li prendo i soldi! Cazzo, ma come
diavolo hai
fatto a ridurla così?!"
"Dovrei
chiederlo io a te in realtà" borbottò Aqua
accigliata, poi però assunse uno sguardo compassionevole ma
non poté fare altro
"Mi dispiace ma purtroppo io qui non posso proprio
aiutarti. Anzi adesso faccio telefonare a tuo
padre così ti viene a prendere"
"No per piacere non chiamarlo!” il biondo si morse un labbro
e la afferrò
per un braccio, sembrava preoccupato, ma poi si accorse che forse la
sua
reazione forse era stata un tantino esagerata, così si
ricompose e aggiunse un
“Non... non voglio dargli altri pensieri"
"Roxas tu lo sai come funziona. Sei minorenne, non posso lasciarti
andare
senza il consenso di un adulto, mi metteresti in difficoltà"
"Ti prego chiudi gli occhi per questa volta!" continuò, la
sua voce
era intrisa di paura.
"Non posso davvero"
Axel
non riuscì mai a capacitarsi di quale astrusa forza
inconscia lo avesse manipolato al punto da spingerlo ad avanzare fin
nella tana
del leone. Forse era la stanchezza, forse la botta alla testa o forse
anche uno
strano senso di compassione (lui compassionevole? Assurdo), fatto sta
che si
era ritrovato sotto gli sguardi perplessi di Aqua e Roxas, e la voce
era uscita
da sola "Firmo io per lui!"
Okay
che aveva battuto la testa però come gli era venuta in
mente una cosa del genere? Non voleva solo ripulirsi la coscienza e
tornarsene
a casa?
"Cosa?" fecero i due in coro, stupiti di vederlo lì.
"Ehm..." Axel li guardò in preda all'imbarazzo e si
portò una mano
dietro la nuca, cosa cazzo stava combinando? "Io...io potrei firmare
per
lui" ripeté ancora, con voce appena accennata. Commozione
cerebrale, tutta
colpa della commozione!
"Quindi vi conoscete?"
"Sì!"
"No!"
Le
voci di Axel e Roxas si sovrapposero e in quel momento ci
fu un rapido scambio di occhiate. Roxas guardò scombussolato
Axel, il quale
ricambiò con un'espressione di chi non sapeva neanche che
cosa stesse facendo.
Aqua guardò Axel perplessa, poi Roxas e di nuovo Axel, in
attesa di
spiegazioni.
"Allora
vi conoscete o no?"
Roxas senza farsi vedere dell'adulta fulminò il rosso ma gli
permise di
parlare, dal momento che non aveva ancora capito cosa diavolo aveva in
mente.
"Sono... uhm... sono suo... cugino!" rispose questi con incertezza
"Sì, sono un suo lontano cugino e oggi stavamo giocando
insieme a baseball
ma lui è inciampato e la sua mazza ha fatto un enoooorme
volo e mi ha colpito
proprio qui" Axel si indicò il punto della fronte in cui si
era fatto male
e Roxas non poté fare a meno di schiaffarsi una mano in
faccia.
In
quella scuola di merda che frequentava, uno o due
professori qualche volta si erano presi la briga di dirgli che non
bisognava
mai giudicare un libro dalla copertina, e forse quella era una delle
poche cose
a cui Roxas aveva dovuto dar loro ragione. Sebbene quel tipo con i
capelli
rossi sembrava il più grande idiota sulla faccia della
terra, in un modo o in
un altro aveva fatto dissipare i dubbi di Aqua e l'aveva convinta a
farlo
firmare per poter portare Roxas a casa.
Il
biondo però non era riuscito a tollerare ulteriormente i
discorsi dei due, che nel frattempo si erano spostati nella hall
principale e
concordavano su quanto Roxas fosse uno sconsiderato e che doveva avere
più cura
di sé – in realtà sembrava che stessero
parlando di un pacco postale piuttosto
che di una persona e sinceramente il biondo
non aveva neanche tutta questa voglia di lasciarsi
riaccompagnare
a casa da uno sconosciuto che, tra l'altro, sembrava stesse flirtando
con Aqua.
Roxas
grugnì un dissenso a quell'assurda situazione in cui si
era cacciato. Afferrò con una mano la sua gamba distrutta e
con l'altra la
stampella che gli era stata data e se ne andò, zoppicando e
borbottando
sottovoce.
La
cosa però non sfuggì ad Axel che si
affrettò a salutare la
donna e rincorrere il ragazzo fuori l'edificio. La testa gli pulsava
come non
mai e l'ultima cosa che voleva era solo dover correre dietro un
moccioso in
vena di far capricci.
"Ohi"
sbraitò irritato una volta che lo ebbe
raggiunto nel parcheggio “Ti sembra educato andartene
così?"
Roxas
si girò appena per guardarlo e gli lanciò
un'occhiata di
sufficienza, cosa che fece ribollire il sangue nelle vene dell'altro.
"Nessuno
ti ha chiesto di portarmi qui"
"Scusa
tanto se mi è sembrata la cosa più ovvia da fare,
signor campione di struggle"
"La
prossima volta fatti gli affari tuoi”
“Tranquillo,
non penso che ci sarà una prossima volta” Axel
sputò quelle parole con veleno. Quella era la prima volta
che aveva pensato di
fare qualcosa di utile per il prossimo, e francamente se ne stupiva
ancora,
eppure quel ragazzino gli stava facendo perdere la pazienza con la
stessa
facilità con cui solitamente avrebbe afferrato una bottiglia
di Jack Daniel's e
se ne sarebbe fregato di tutto.
Si
passò una mano tra i capelli e girò sui tacchi
pronto per
andarsene. Voleva che nessuno si interessasse di lui? Perfetto,
l'ultima cosa
che Axel voleva era dover avere a che fare con i problemi esistenziali
di un
adolescente in crisi, con... con una gamba finta e... al diavolo tutto,
le
parole di Demyx gli rimbombavano nella mente come una vecchia cantilena
e gli
rendevano difficile anche il pensare coerentemente. Una buona
azione per
raggiungere la pace interiore. Erano tutte stronzate, lui non
ci credeva
davvero, però una seconda opportunità al
piccoletto poteva
concedergliela."Quindi se oltre alla tua..." Axel si girò di
nuovo
verso l'altro ma non lo guardò in faccia, e scelse un
termine appropriato per
non risultare troppo stronzo "Gamba...
distrutta ti fossi rotto qualche altra cosa a te non sarebbe importato?"
Roxas
inarcò un sopracciglio "Finché riesco a
sopravvivere non ci sono problemi" questa volta fu lui sul punto di
andarsene ma Axel lo afferrò prontamente per un braccio e
strinse i denti.
"Che
diavolo significa? Se c'è un problema preferiresti
soccombere o addirittura perire piuttosto che affrontarlo?"
"Ma
che vuoi saperne tu di me!" l'irritazione il
biondo si palesò come un guizzo nei suoi occhi e si
liberò dalla presa con un
vigoroso strattone. Non male per uno con una gamba e che si reggeva con
una
stampella, ma Axel non si lasciò distrarre da quei pensieri.
Lo sapeva che non
erano affaracci suoi ma ogni volta che si toccavano questi argomenti
lui li
prendeva quasi come questioni personali.
"Infatti
non lo so, voglio solo assicurarmene perché
quelle persone che mollano invece di lottare non posso proprio vederle"
E
in quel momento Roxas fece una cosa che prese di contropiede
l'altro. Rimase in silenzio e contemplò il ragazzo, doveva
avere qualche anno
più di lui ma in un certo senso quelle iridi verdi
riflettevano le stesse ombre
che offuscavano le sue. Inalò profondamente e
incupì il tono, dopotutto non
aveva senso continuare a sbraitare.
"Se
tu hai provato per tutta la vita a riaggiustare le
cose, a sperare che in un modo o in un altro tutto si sarebbe risolto
per il
meglio, attendere di vivere finalmente una vita come si deve... cosa
speri di
ottenere continuando a lottare contro delle forze più grandi
di te che non fanno
altro che ostacolarti?"
Axel
fece per rispondere che secondo lui bisognava continuare
a lottare ostinatamente, ma comprese che quella discussione stava
sfuggendo
loro di mano e decise di non aggiungere nient'altro, anche
perché cosa si
poteva aggiungere? Ogni singola anima che popolava quei sobborghi
desolati
aveva imparato a fare i conti con la realtà.
"Non
provi rabbia o risentimento?" disse con tono
più basso, dopo un lungo dibattito mentale. Roxas
però non aprì bocca, mantenne
lo sguardo fisso su di lui e questo bastò al rosso per
sbuffare scocciato.
"Avanti
andiamo" borbottò avviandosi alla macchina.
Quello che aveva appena visto era uno sguardo amaro, consapevole ormai
di come
girasse il mondo, lo stesso che aveva visto più volte sul
volto di sua sorella
alla sera quando lei tornava a casa stanca. "Su sbrigati, voglio andare
a
dormire"
Roxas
gonfiò le guance e si affrettò a seguirlo,
lasciando da
parte l'astio verso tutta quella situazione "Aspetta, più
veloce di così
non posso andare”
“Sei
troppo lento per me”
“Ringrazia che non
devi
portarmi tu"
"Ringrazia
che ti porto a casa"
"Fanculo"
“Brutto
moccioso, ti hanno insegnato l'educazione?”
“È
vero, scusa, devo rispettare i vecchi come te”
"Piccolo
demonio io ti incenerisco!"
"Potrei
denunciarti per violenza psicologica su minori,
mazza di scopa!"
Axel
era una di quelle persone
che volevano sempre avere l'ultima parola. Spesso gli avevano dato del
cocciuto
o anche dell'infantile ma a lui non era mai interessato
finché poteva stare
sempre un gradino sopra agli altri; quella sera però si era
ritrovato
inspiegabilmente a carico un ragazzetto antipatico e apparentemente
taciturno,
che quando voleva era capace di tutto pur di mettere lui stesso il
punto fine
alla conversazione. Più volte si era chiesto chi diavolo
gliel'aveva fatto fare
di scomodarsi tanto per uno sconosciuto che non gli era neanche
riconoscente
per l'aiuto che gli aveva appena dato.
Che
gli facesse pena il
piccoletto?
No.
Okay,
forse.
Però
si era solo limitato a
mettere in pratica il credo di Dem: se qualcuno ti aiuta, tu fai
altrettanto.
Il suo amico era convinto che se tutti avessero iniziato a compiere
buone
azioni verso il prossimo il mondo sarebbe cambiato.
Axel
si ritrovò a sorridere tra
sé e sé alla sua ingenuità, quando
però si ricordò che in macchina non era solo
si ricompose e scrutò Roxas con la coda dell'occhio. Il
biondo aveva la fronte
appoggiata al vetro del finestrino e guardava con scarno interesse la
città che
correva veloce. Il viaggio in macchina si era rivelato silenzioso e
imbarazzante e nessuno dei due sembrava intenzionato a intavolare una
conversazione, a parte quelle poche parole spese da Roxas per spiegare
la
strada di casa sua.
Ci
vollero una ventina di minuti
prima di arrivare in una traversa costeggiata da casette a un piano
tutte
uguali tra loro e con
dei piccoli
giardinetti antecedenti alla strada. I muri erano incrostati di muffa e
sporcizia e qua e là c'erano crepe risistemate alla meno
peggio, la zona non
era delle migliori ma neanche delle peggiori. In fin dei conti il
biondo aveva
pur sempre un tetto sotto cui ripararsi.
Axel
fermò la macchina davanti
la casa che gli era stata indicata e seguì l'altro con gli
occhi mentre si
avviava con qualche difficoltà verso l'entrata di casa,
Roxas non gli aveva rivolto
alcuno sguardo o saluto e lui aveva rispettato il suo silenzio.
Dopotutto
ad Axel non
interessava intrattenere relazioni con altre persone.
♦----------♦----------♦
Il
giorno dopo Roxas si svegliò con la sirena della polizia
che faceva la ronda. Di quei tempi ormai era diventata una cosa del
tutto
normale, la città sembrava essere caduta in balia delle
forze dell'ordine che
però non si appellavano ai canonici principi di giustizia.
Le proteste erano
represse con la violenza e qualsiasi attività sospettata
antigovernativa veniva
estirpata barbaramente. Tutto quello che volevano i cittadini era la
ripresa
della città ma il governo li aveva abbandonati.
Roxas
rimase immobile nel letto una buona manciata di minuti
prima di prender possesso di tutte le sue facoltà fisiche e
intellettive. Bene.
Si chiamava Roxas, aveva sedici anni e a giudicare dal sole che
entrava dalla finestra dovevano essere su per giù le undici
di un caldo mattino
di fine estate- porcaputtana!
Il
torneo di struggle, quel tizio con i capelli rossi e la sua
gamba in mille pezzi.
"Cazzo!"
esclamò prendendosi la testa con le mani.
Ecco svelato anche il motivo per cui quel giorno si sentiva uno
straccio.
Si
mise a sedere e adocchiò la protesi appoggiata sulla
scrivania e ripercorse le parole che gli aveva detto il giorno prima
Aqua.
Distrutta.
Adesso
sì che c'era un bel problema. Che diavolo poteva fare?
Non aveva i soldi per farla rimettere in sesto, figurarsi prenderne una
nuova!
Il
biondo cacciò un sospiro sconsolato e raccolse le forze,
era stanco ma ora che era sveglio tanto valeva alzarsi. Così
afferrò una
stampella e andò in soggiorno dove scorse Cloud, suo padre,
addormentato
scompostamente sul divano, con delle bottiglie in mano e sparse sul
pavimento
attorno a lui.
Roxas
serrò la mascella ma per qualche strano motivo una vista
del genere non gli procurava più alcuna emozione, ormai
erano anni che lo
vedeva in quello stato e la situazione sembrava sempre peggiorare
piuttosto che
migliorare.
Senza
fiatare si avvicinò al divano e cominciò a
ripulirlo da
tutte quelle bottiglie vuote. Chissà quando ero stata
l'ultima volta che suo
padre era stato sobrio.
"Papà?"
sussurrò quasi con velata dolcezza mentre si
inginocchiava davanti al divano "Papà" ripeté e
iniziò a scuoterlo
leggermente "Dai ti accompagno a letto"
Ci
vollero svariati minuti di prediche e scossoni prima che un
paio di occhi blu identici a quelli di Roxas si aprirono al mondo.
Cloud
una volta era un uomo di bell'aspetto e anche abbastanza
giovane per avere un figlio di sedici anni, ma quando si era sposato
non
avrebbe mai immaginato che la sua vita potesse prendere una piega del
genere.
Prima era una persona completamente diversa.
"Papà"
lo chiamò di nuovo Roxas "Andiamo a
letto"
L'uomo
fissò il suo sguardo sulla figura appena sfocata del
ragazzo, la sua mente era ancora annebbiata per via dell'alcol.
“Oggi
niente gamba?” biascicò invece di rispondere,
facendo
comprendere che non aveva capito niente di quello che gli era stato
detto.
“Dev'essere
riparata”
“Mi
dispiace”
Cloud
abbassò il volto e assunse un'espressione addolorata.
Scusarsi era diventata l'unica cosa che sembrava riuscire a fare, oltre
a bere.
Si scusava per qualsiasi cosa, a volte scoppiava anche a piangere...
che poi
per cosa si scusava tanto Roxas non lo aveva ancora capito. Cloud a
quanto pare
era uno di quei cosiddetti ubriachi emotivi. Fortunatamente non
diventava
violento ma era comunque insopportabile, ed erano rarissime le volte in
cui gli
parlava o addirittura lo guardava - per inciso, in quelle rarissime
volte in
cui sembrava accorgersi della sua presenza non era
sobrio.
Mai
un dialogo, mai un conforto, mai neanche un rimprovero. A
volte Roxas voleva che suo padre si arrabbiasse con lui
perché faceva tardi, o
che si preoccupasse vedendolo tornare di tanto in tanto con qualche
livido, ma
aveva capito che non ne valeva la pena. Ormai il ragazzo non si
soffermava
neanche più ad ascoltare i rantoli del padre, in dosso aveva
semplicemente
un'espressione annoiata “Se non ce la fai ti aiuto fino al
letto”
Cloud
però scosse il capo e si alzò, a occhio e croce
sembrava essere
abbastanza lucido da riuscire ad andare da solo senza fare danni. Roxas
lo
seguì con lo sguardo per tutto il corridoio
finché non lo vide sparire nella
sua stanza, e a quel punto si alzò di nuovo. Niente era
più triste che il
trovarsi in una casa dove la persona che avrebbe dovuto essere la
più intima
gli era quasi sconosciuta, ma sapeva che la colpa non era di Cloud ma
sua.
Con la mano
libera risistemò il divano e i cuscini e gettò le
bottiglie
nella spazzatura, prese un succo di frutta dal frigorifero e
andò a piazzarsi
davanti la tv. In tutti quegli anni aveva acquistato un buon
equilibrio, quindi
anche senza la sua gamba Roxas riusciva ad essere abbastanza autonomo.
Quello
che non sopportava erano gli sguardi di pietà e compassione
della gente, non ce
la faceva, era più forte di lui, più gli altri
facevano i finti buon samaritani
e più lui dava di matto. Ieri sera anche quello sconosciuto
era cambiato quando
aveva visto la sua gamba finta, la sua fronte si era contratta proprio
come
quella di tutti gli altri. Patetico.
Il fatto che non avesse una gamba non significava che lui era scemo,
anzi
sfruttava ogni occasione per dimostrare la sua tenacia. Anche per
questo
prendeva parte ai tornei di struggle... oltre che per i soldi.
A
proposito del torneo di struggle, al tg stavano parlando
proprio di quello. Roxas si portò la cannuccia alla bocca e
appoggiò il gomito
sul bracciolo per sorreggersi il capo con la mano, a quanto pare
avevano preso
i tizi armati, il capannone era stato sgomberato e messo sotto
sequestro, e per
la prima volta Roxas realizzò qualcosa.
Spalancò
gli occhi e il suo corpo si irrigidì.
Hayner,
Pence e Olette!
Come
cavolo aveva fatto a dimenticarli in un momento del
genere? Infilò di scatto una mano nei pantaloni per prendere
il cellulare ma
ricordò poi di averlo lasciato il giorno prima a Hayner.
Si
diede mentalmente dell'idiota per almeno un
centinaio di volte prima di decretare che quel pomeriggio sarebbe
andato a
trovarlo, sperando che stessero tutti bene, ma prima avrebbe dovuto
fare una
tappa alla palestra di Cid.
2.5
Demiurge
"Allora
Axel come stai?"
La malsana
voglia di rispondere che niente
andava come doveva era davvero forte, ma non c'era gusto a rompere
quella dolce
monotonia che si era creato ogni settimana quando andava da Ansem a
perder
tempo invece che sfruttare quell'ora a disposizione per il proprio
giovamento.
Alla fine le loro sedute si riducevano con Axel che contava quante
foglie
cadevano dall'albero che intravedeva dalla finestra, sull'altro ciglio
della
strada, e Ansem che innaffiava le piante nel suo ufficio. Quello era il
primo
giorno d'autunno e l'agonia del mondo era appena iniziata.
"Tutto bene"
si risolse a
rispondere come sempre e l'uomo, che nel frattempo aveva afferrato un
paio di
forbici ed era ora intento a tagliare via delle foglie secche, si
accontentò di
quella formalità ma non perdeva mai occasione di intavolare
una sottospecie di
conversazione.
"Ti vedo
pensieroso oggi"
Axel
puntellò i polpastrelli sul bracciolo
della poltrona dove era seduto e fece spallucce.
"Sto
valutando l'idea di darmi al
giardinaggio"
L'uomo si
voltò verso di lui, un sorrisetto
gli increspava le labbra "Non sarebbe una cattiva idea se decidessi
davvero
di farlo... "
"Oh, suvvia
adesso non apriamo di nuovo
lo stesso libro"
"Prendersi
cura di qualcuno o qualcosa,
anche di una pianta, migliora l'umore e ti fa sentire realizzato"
"Certo" Axel
roteò gli occhi e
dopo una fugace occhiata di dissenso dedicata all'altro,
tornò a guardare il
caro e vecchio albero fuori la finestra "Ridare vita a un cactus morto
mi
farebbe sentire Dio, che gran prospettiva di vita"
Ci furono un
paio di minuti di silenzio in
cui Ansem ripose forbici e innaffiatoio e andò a sedersi
alla scrivania.
"Hai un
entusiasmo senza pari, hai mai
pensato di fare il cabarettista?"
Il rosso si
portò una mano alla fronte e si
lasciò scappare una risatina sarcastica. Adesso anche lo
psicologo lo prendeva
in giro, a cosa si era ridotto?
"Avanti
Axel, dimmi tutto, è successo
qualcosa con Demyx?" il tono di Ansem era ancora leggero ma come sempre
Axel ci cascava in questo punto.
"In un certo
senso" alzò lo
sguardo al soffitto e si mise comodo "Sono successe molte cose in
generale"
"Ti va di
parlarmene?"
"È
un casino"
"Abbiamo
ancora tre quarti d'ora"
Axel
sospirò sconsolato e affondò ancora di
più nella poltrona.
Era passata
una settimana dal fiasco del
torneo clandestino di struggle ma i giorni successivi erano stati
tutt'altro
che rilassanti.
Demyx quella
sera era rimasto in cucina ad
aspettarlo, fortunatamente però si era addormentato e quindi
il rosso non aveva
dovuto sorbirsi un altro dei discorsi moralisti dell'amico con la testa
pulsante a più non posso. Il mattino dopo Axel si era recato
di buon ora a casa
di Xigbar per inveirgli contro tutti i casini in cui l'aveva coinvolto,
e
chissà, magari anche per chiedergli spiegazioni.
Però casa sua era vuota e
anche il garage non era da meno. La cosa era strana ma non ci
badò molto, non è
che Xig fosse tanto normale, così infilò le mani
nelle tasche dei jeans logori
e nel giro di pochi minuti si ritrovò davanti un'altra
villetta.
"Non so
quando tornerà" sussurrò
la signora che gli aveva aperto la porta, sembrava essere distrutta dal
dolore
ma la sua persona non mancava di mostrare la fierezza e la
dignità di una donna
che nonostante i problemi economici aveva dato l'anima per i suoi
figli. Axel
aveva visto la madre di Xaldin solo un paio di volte ma aveva sempre
avuto una
grande stima per lei.
"...non
sarà tanto presto, vero?"
domandò il rosso con accortezza, immaginando già
la risposta: il silenzio.
La donna gli
sussurrò un saluto a capo chino
e rientrò in casa. Axel aveva serrato i pugni, non sapeva ma
aveva capito
tutto, per questo era rimasto a scrutare la superficie di legno della
porta,
senza guardarla realmente. Era difficile da dire, nonostante la rabbia
crescente,
ma il flebile, disperato pianto che sentì provenire
dall'altra parte della
porta gli provocò una pesantezza all'altezza del petto alla
quale non seppe
dare definizione. L'unico pensiero che formulò mentre
ripercorreva la strada a
ritroso era che non aveva voglia di cercarsi un altro lavoro.
Axel l'aveva
sempre negato, però forse un
piccolo, piccolissimo, problema con l'alcol ce
l'aveva dal momento che
erano da poco passate le dieci di mattina e lui già si
trovava in uno di quei
pochi bar della città da cui non era stato ancora sbattuto
fuori, e con una
bottiglia di birra davanti. Non che gli importasse più di
tanto, dopotutto non
era la prima volta e quella non sarebbe stata di certo l'ultima.
Si
portò la bottiglia alle labbra e prima
ancora di saggiare una goccia del liquido ambrato, esitò e
pensò che nella
sfortuna era stato davvero fortunato.
Nelle
settimane precedenti aveva aiutato
Xigbar e Xaldin a rimettere a nuovo una macchina rubata per rivenderla
a un
nuovo acquirente e fin qui non c'era niente di male – anche
se effettivamente
quello che stavano facendo era illegale. Il
problema è che quell'idiota
di Xigbar, a sua insaputa, aveva fatto degli imbrogli durante la
riparazione,
aveva truccato un po' il motore, e l'aveva venduta senza troppi
scrupoli. Il
cliente però doveva essersi accorto della fregatura e gli
aveva mandato dietro
i suoi scagnozzi.
Mentre
beveva la sua birra, in tv il
telegiornale era in onda e impazzavano le notizie su quel dannato
torneo di
struggle e l'arresto di una ventina di persone, tra cui pure quei
bastardi che
avevano fatto fuoco su lui e Roxas. Axel li aveva riconosciuti dalle
foto che
stavano scorrendo in sovrimpressione, e a una più attenta
analisi ricordò di
averli intravisti anche la sera prima entrando nel capannone.
Il rosso non
aveva mai visto o avuto
contatti con il loro capo quindi questo non aveva potuto fornir loro un
suo
identikit assieme a quello degli amici, la sua deduzione era che quelli dovevano aver
ricevuto l'ordine di
riempire di piombo tutti quelli che vedevano con Xigbar e Xaldin. Lui
era stato
intercettato assieme ad essi e quando si era avvicinato a quel Roxas
inconsciamente aveva tirato anche lui in ballo.
Dio, che
situazione di merda.
Finché
sono dietro le
sbarre non dovrebbero esserci problemi,
pensò
tra sé e sé guardando con angustia la bottiglia.
Ora che
Xaldin e Xigbar erano fuggiti chissà
dove per scampare all'enorme cazzata che avevano combinato, Axel si
domandava
che ne sarebbe stato di lui.
I suoi
dilemmi esistenziali però durarono
qualche secondo scarso perché furono interrotti dall'entrata
nel bar di un
gruppo di uomini che discuteva concitatamente.
“Che
succede di tanto importante, Barrett?
Io e il mio cliente stavamo ascoltando il tg” si
interessò subito il barista
mentre tirava fuori dei bicchieri, il tono era burbero ma era ovvio che
bramava
qualche nuova indiscrezione.
Quando Axel
alzò lo sguardo vide che accanto
a sé si era seduto un uomo enorme. La sua stazza e il suo
incarnato scuro gli
ricordavano la maestosità di un grizzly selvaggio, sul
braccio sinistro
svettava un tatuaggio che partiva dalla spalla, mentre al posto del
braccio
destro brillava una protesi meccanica.
“Che
succede?!” elargì quello che doveva
rispondere al nome di Barrett “Stamattina c'è
stata la commemorazione di
Makomé, ecco cosa succede! Abitava nel mio quartiere, era
normale che ci
andassi, no? E sapessi quanta gente c'era! La famiglia era distrutta,
dovevi
vedere la signora M'Bowolé come si disperava... ancora non
riesce a darsi pace
della morte del figlio”
“E
ci credo, povero ragazzo. Non era un
angelo ma una fine del genere non se la meritava”
acconsentì l'uomo dietro il
bancone, avvicinandosi di più adesso con fare interessato.
“Tutti
noi le abbiamo espresso la nostra
vicinanza. Siamo atterriti dallo schifo di questa
città” prese parola un
ragazzo basso e tarchiato, i suoi capelli erano coperti quasi del tutto
da una
bandana rossa. Si era seduto al bancone accanto a un altro ragazzo
più o meno
della sua età ma più alto e slanciato, ed
entrambi avevano cominciato a
tracannare il contenuto dei loro bicchieri.
“Wedge
ha ragione. Ormai vieni ucciso anche
per il colore della pelle”
Barrett
aveva incrociato le braccia al petto
e aveva annuito a ogni parola scandita dagli amici, poi si
voltò e guardò per
la prima volta il rosso che li guardava sott'occhio “Tu cosa
ne pensi, ragazzo?
Non startene lì in silenzio”
Axel
inarcò un sopracciglio, stupito di
essere stato chiamato in causa.
“Non
ho idea di cosa stiate parlando” disse
facendo spallucce, questa però fu la volta dell'uomo di
corrucciare la fronte.
“Dell'omicidio
di Makomé M'Bowolé*!”
pronunciò come se fosse la cosa più ovvia del
mondo.
“Mai
sentito”
“Ragazzo
ma dove hai vissuto fino ad ora?
Makomé M'Bowolé è quel ragazzo che
è stato ucciso l'estate scorsa dalla
polizia. Lo avevano fermato, portato in questura per interrogarlo e
l'hanno
riconsegnato morto alla famiglia. È stato dopo il suo
omicidio che la città si
è ribellata”
“Allora
è lui... che merde” annuì Axel
stringendo tra le mani la sua bottiglia “Sono stato via per
vari mesi, quindi
mi sono perso tutti questi movimenti però mi hanno
raccontato per sommi capi.
Gli sbirri sono sempre state delle gran carogne qui ma questo le
sorpassa
tutte!”
“L’ha
detto anche Biggs, se sei nero adesso
vieni ucciso perché è ovvio che il cattivo sei
tu, anche se non hai fatto
niente! Ti pare una cosa normale? A me sinceramente no”
riprese il ragazzo
grassoccio che Axel aveva capito doveva chiamarsi Wedge.
“Ma
il problema è che non se la prendono
solo con loro!” rimbeccò il ragazzo più
magro e Barrett gli diede una pacca
dietro la testa, leggermente offeso.
“Ohi
Biggs, stai per caso sminuendo la
faccenda? Noi neri siamo palesemente vittime di razzismo”
Il ragazzo
si portò una mano dietro la nuca
per strofinare la parte offesa e aggrottò la fronte
“Macché! Sto solo dicendo
che i piedipiatti sono sempre stati accaniti su tutti. Dimmi, come
possiamo far
crescere i nostri figli in una città del genere? Chi ci
tutela a noi?”
“Non
di certo il governo” rispose Wedge al
suo posto.
Barrett
digrignò i denti e contrasse i
muscoli facciali in un espressione di pura rabbia “L'unica
cosa che io voglio è
stare con Marlene! Non voglio vivere col terrore che prima o poi
possano
togliermela o riempirmi il culo di piombo solo perché sono
nero. Tutto questo
non è giusto, la musica deve cambiare
assolutamente!”
“E
cosa vuoi fare? Scrivere una bella
lettera al sindaco? Adesso siamo in piena campagna elettorale, quelli
non ti si
cagheranno di striscio. Sono troppo occupati a fare bella figura
triplicando le
pattuglie giro per la città”
“Però
così facendo peggiorano solo la
situazione”
Axel decise
di aver sentito fin troppo per i
suoi gusti, erano le solite chiacchiere che udiva ovunque, tutti
pensavano le
stesse cose ma nessuno non poteva farci niente, e l'ultima cosa che
voleva era
ritrovarsi in mezzo a un gruppo di potenziali rivoluzionari.
I casini del
giorno prima gli erano bastati,
grazie mille.
L'ultima
cosa che udì mentre usciva dal
locale era quel Barrett che sbatteva il suo pugno meccanico sul bancone
e
sbraitava un “Qui c'è bisogno di un colpo di
stato!”
Per il
momento lui aveva solo bisogno di
prendersi qualcosa per il mal di testa che lo stava assalendo.
Il silenzio
lo avvolse durante il suo
vagabondaggio nelle strade deserte, il vento fresco portava con
sé le foglie
ingiallite, uniche testimoni del tempo che volava via. C'era un palazzo
bianco
del XIX secolo davanti a lui, con le vetrine decorate da numerose
insegne
colorate che si illuminavano ritmicamente e di tanto in tanto qualche
persona
entrava e usciva da quella che in realtà era una tavola
calda. Axel rimase a
lungo immobile a guardarla dall'altro
lato della strada, con la viscerale tentazione di entrare ma il timore
di poter
rivedere il volto di sua sorella o di sentire la sua voce lo fece
desistere.
Ormai le
notti che passavano a guardare le
stelle insieme era sfuggito dalle sue mani come quelle foglie che si
rincorrevano
tra loro, cullate dal vento che si prendeva cura di loro. Axel si
ritrovò ad
osservare il lento scorrere del tempo come se fosse piombato in un
lungo sonno.
E come un
fuggitivo si ritrovò, così, di
nuovo a tornare a casa di Demyx. Il suo unico desiderio era quello di
affondare
nel letto e passare i prossimi giorni richiuso nella sua stanza
provvisoria, ma
sapeva che avrebbe presto dovuto fare i conti con il proprietario di
casa e
infatti non appena mise piede nel salotto, nel suo campo visivo si
ritrovò la
faccia afflitta del biondo. Era certo che prima o poi avrebbe dovuto
assistere
al teatrino dell'altro.
"Hai idea di
quanto io sia stato in
pensiero?! Dove sei stato ieri? Ti ho aspettato tutta la notte"
Axel
sospirò annoiato.
"In
realtà dormivi quindi non sai a che
ora sono tornato"
"Che hai
fatto alla testa?" Demyx
si aggrappò alle sue spalle e scrutò attentamente
il cerotto che occupava buona
parte della sua tempia. Alla fine Axel si era sbarazzato di tutte
quelle
bendature superflue perché sembrava un cretino.
"È
una lunga storia"
"Oddio
adesso penso di capire come si
sentono le madri quando i figli si allontanano dal nido familiare"
"Dem non
sono tuo figlio"
"Ti prego Ax
non farmi disperare più
così tanto!"
"Idiota"
borbottò sorpassandolo.
Raggiunse la cucina per prendersi un pop tart alla fragola e lo
fulminò
infastidito quando lo vide sedersi al tavolo di fronte a lui "Oggi
niente
lavoro?"
"No, oggi
è riposo. Dai vieni con me
che ti porto in un posto" si alzò di nuovo per andare a
reperire la sua
giacca e ritornò poi con un sorriso smagliante.
Il rosso
sgranò gli occhi e iniziò a sudare
freddo.
"D-dove vuoi
che vada?"
"SOR-PRE-SA!"
Di tutte le
cose che avrebbe potuto pensare
Axel non si sarebbe mai immaginato quello, neanche e sue fantasie
più deviate
avrebbe indovinato. Eppure se ci avesse riflettuto non sarebbe stato
tanto
difficile, conoscendo il tipo che era Demyx.
E
così si era ritrovato assieme all'amico e
altre 5 o 6 persone in un'enorme sala, dietro a una lunga tavolata a
servire un
pasto ai senzatetto, in una piccola comunità di volontari
chiamata Crossroads.
"Hai mai
pensato di darti alla carriera
ecclesiastica?" il rosso si ritrovò a borbottare contrariato
mentre
poggiava sul tavolo un'altra pila di piatti e rimpianse di non aver
potuto
incenerire Demyx con lo sguardo.
"Non ho
avuto la chiamata del Signore,
quindi no" cinguettò entusiasta l'altro mentre porgeva un
piatto a un
uomo.
"Evidentemente
anche lui vuole stare
alla larga da te" fu il commento sarcastico mormorato sottovoce ma
Demyx
parve sentirlo comunque.
"Hai detto
qualcosa?"
"Sì.
Quando diavolo finiamo?! Sto
morendo di fame” Axel non fece in tempo a finire che
arrivò una ragazza a
dargli il cambio e disse a Dem che poteva andare perché
ormai l'affluenza era
quasi finita e ce l'avrebbe fatta a prendersi cura delle ultime persone.
Per la gioia
di uno e la remora di un altro,
i due ragazzi si ritrovarono nel cortile esterno, seduti su una
panchina che
affacciava su un parco adiacente, con la speranza di riscaldarsi con
quel debole
sole di fine settembre che sembrava giocare a nascondino con le fronde
degli
alberi.
Demyx
vedendo l'espressione di irritazione
che l'altro mostrava platealmente, spezzò il silenzio dopo
aver dato un morso
al suo panino "Se non ti piace avere a che fare con il pubblico la
prossima volta posso trovarti un posto nei magazzini"
"Facciamo
che la prossima volta ti fai
gli affari tuoi!"
"Axel!"
"Demyx!"
"È
inutile che inizi a borbottare,
queste cose con me non attaccano. Ne abbiamo già parlato un
sacco di volte"
"Ecco
esatto, e proprio per questo
adesso devi lasciarmi in pace"
"Io non
starò in pace finché tu
non la troverai!"
"Demyx per
l'amor del cielo, io starò
in pace solo il giorno in cui mi lascerai stare" disse ora afflitto
Axel,
non aveva senso arrabbiarsi con uno come Demyx tanto quello avrebbe
fatto di
tutto pur di avere l'ultima parola.
"E invece
no!” sbraitò invece il biondo
con tono deciso, i suoi occhi traboccavano di determinazione
“Io ti conosco e
so quello che hai passato. È difficile e ti capisco ma non
è fuggendo che si
risolvono i problemi!"
"Ti ho detto
che io non ho problemi”
“Si
che ce li hai!”
Axel
appoggiò e braccia sullo schienale e rispose con tono arreso
e strascicato
“Invece di stare qui a sprecare fiato con me
perché non vai a fare il
missionario nei paesi del terzo mondo?"
"Perché
qui c'è già gente che ha
bisogno di aiuto” il suo tono acquisì una piega
agrodolce e abbassò il capo, i
suoi occhi furono nascosti dalle bionde ciocche ribelli “...e
perché attendo il
ritorno di qualcuno"
Axel rimase
in silenzio e ammorbidì lo
sguardo. Portò il volto verso il cielo per non mostrare la
vulnerabilità in cui
si sentì improvvisamente incatenato. A volte quasi lo
dimenticava, a causa del
suo carattere allegro e vivace, ma anche Demyx in realtà
soffriva molto.
“Ti
ricordi quando eravamo piccoli...”
cominciò quest'ultimo dopo un lungo silenzio
“Quando eravamo piccoli e io ti
dissi che solo tu potevi sposare mia sorella perché eri
l'unico di cui mi
fidassi?”
Axel
accennò a una risatina e continuò a
scrutare le nuvole “E io ti dissi lo stesso per mia
sorella...”
“Kairi
e Selphie quando l'hanno saputo non
sono state molto felici”
I due si
presero qualche lungo momento per
sorridere ai vecchi ricordi. Era sempre stato così tra loro,
discutevano e litigavano
spesso ma non avevano neanche bisogno di chiedersi scusa a vicenda
perché per
loro ogni parola equivaleva a chiedersi perdono, a loro bastava stare
insieme.
“Io
mi sono fidato sempre e solo di te, Dem”
sussurrò Axel dopo un po', con le mani aveva preso a
stropicciarsi la t-shirt
bianca che gli altri membri della comunità gli avevano dato.
Sopra vi era
scritto "love and go where love demands", e
francamente si
sentiva quasi a disagio con quelle mielose lettere stampate a caratteri
cubitali sulla schiena "Ieri sera ho incontrato di nuovo quel ragazzo
del
bivio, sai?"
Il biondo
alzò lo sguardo
"Davvero?"
Axel
annuì.
"Vuoi
parlarmene?"
Ci fu un
secondo di esitazione ma poi le
parole gli uscirono come fiumi in piena e non si accorse neanche che
tutto d'un
tratto si era ritrovato a sorridere "Non è per niente come
mi aspettavo
che fosse. Nel senso che...è così bassino e
magrolino eppure spacca i culi
quando gareggia a struggle. Dovevi vedere come ha atterrato il
campione, era il
doppio e lui l'ha battuto senza batter ciglio!"
"Sei stato a
un torneo di struggle? Sei
pazzo? Quelli sono illegali"
"Si ma
questo non è importante ora.
Quel ragazzo è proprio uno stronzetto, sembra...sembra...
ecco, sembra che la
mattina a colazione mangi biscotti e veleno. Il latte
è totalmente escluso, altrimenti sarebbe
più
alto a quest'ora"
Demyx
iniziò a ridere di gusto alla
parlantina che aveva tirato fuori Axel, non era da lui una cosa del
genere,
quel ragazzo doveva averlo colpito proprio tanto.
"Solo che
sono un po' preoccupato"
La voce del
rosso lo riscosse dai suoi
pensieri "Per quale motivo?"
Axel parve
allarmato tutto d'un tratto
"La sua gamba era finta... cioé... ha una protesi o come
cavolo si
chiama... e penso anche di aver fatto una figura di merda
perché non è proprio
educato fissare” borbottò arrossendo leggermente
dall'imbarazzo “Ora però è un
tantino distrutta e ho paura di esserne in parte colpevole"
Demyx
inarcò un sopracciglio “È un bel
guaio"
"Già
e io non ho i soldi per
ripagargliela"
"Lui che
dice?"
"Sembrava
essere nella stessa
situazione"
"Prova ad
andare da lui e offrirgli il
tuo aiuto"
"Ew...non
posso” Axel fissò lo sguardo
sulle sue all star rosso sbiadito “Abbiamo discusso in un
certo senso... e non
è che ci rivedremo più. Anzi non avrei neanche
motivo di interessarmene"
Demyx lo
lasciò parlare senza premurarsi di
fermarlo o rispondergli. Continuava solo a sorridere
mentre esaminava l'espressione combattuta
dell'altro, era la
prima volta che vedeva Axel genuinamente interessato e preoccupato per
una persona,
e forse, pensava, magari continuando così presto sarebbe
ritornato a una vita
normale.
"Che hai da
sorridere tanto?"
sbottò Axel accorgendosi dello sguardo fisso e sognante di
Demyx, questo però
scosse il capo.
"Una volta
mi hanno detto che non importa
che progetti fai, non importa quanto ti dai da fare, come cerchi di
modificare
il tuo presente o immaginare il tuo futuro. Ci sono delle volte in cui
la vita
riesce a darti quello di cui hai bisogno. Una prerogativa, una
speranza, una
missione... o anche una sola persona."
♦----------♦----------♦
Fino a quel
giorno Roxas non aveva mai
realizzato quanto potesse essere lungo e faticoso il viaggio da casa
sua fino
alla palestra di Cid. O meglio, fino a quel momento non aveva mai
sentito il
bisogno di raggiungere la palestra con una gamba e le sole stampelle a
sorreggerlo; ma dal momento che la sua protesi era praticamente
inutilizzabile
e non avrebbe usato la sedia a rotelle neanche se si fosse rotto pure
l’altra
gamba, non aveva altra scelta. Con un braccio si asciugò
qualche gocciolina di
sudore che si era formata sulla tempia e continuò a passo di
marcia finché in
lontananza non intravide l’edificio ancora annerito
dall’incendio che lo aveva
distrutto.
Fortunatamente
nelle ultime settimane tutte
le macerie al suo interno erano state portate via e adesso la struttura
stava
iniziando a acquisire un aspetto vagamente decente, niente a che vedere
rispetto a come l’avevano trovata Hayner e Roxas la prima
volta dopo
l’incendio. Cid si era rimboccato le maniche e stava facendo
di tutto pur di
rimettere in sesto il locale. Quella palestra era tutta la sua vita,
aveva
speso tutti i suoi risparmi e le sue energie per togliere i ragazzi
dalla
strada e ora non aveva intenzione di mollare. Non dopo tutto quello che
aveva
fatto.
Alcune
persone di buon cuore, riconoscenti
per quello che aveva sempre fatto per la comunità, erano
accorse ad aiutarlo ma
lui non aveva neanche i soldi per permettersi una ditta di
ristrutturazione,
quindi doveva accontentarsi di un lavoro lento e poco accurato ma era
pur
sempre meglio di nulla.
Cid era
occupato a riversare dell’acqua in
un secchio di polvere per preparare del cemento, o almeno era quello
che parve
capire Roxas quando depositò a terra un vecchio zaino e si
lasciò cadere,
sfinito, su una sedia lì vicino.
Accidenti se
non pesava quella protesi.
“Ma
che cazzo” l’uomo si voltò verso Roxas e
lo adocchiò per la prima volta “Roxas, ti pare
normale arrivare così alle
spalle? Vuoi per caso farmi venire un infarto?”
“Io?”
il biondo si era completamente
appoggiato allo schienale, aveva messo le mani nelle tasche e aveva
steso la
gamba davanti a sé. Un sorrisetto colpevole andò
ad increspargli il viso “Ma ti
pare?”
“Ma
tu guarda se posso stare dietro a un
moccioso come te” borbottò com’era
solito fare, stava per tornare alla sua
precedente occupazione ma poi la sua attenzione fu catturata da un
particolare
“Che hai combinato? Oggi ti fa male la gamba?”
Roxas
appoggiò gli avambracci sulle cosce e
si avvicinò al vecchio “Il piede” disse
sottovoce con tono confidenziale, come
se non volesse che nessuno sentisse “Oggi il piede mi fa
davvero male, come se
avessi camminato per chilometri scalzo sui carboni ardenti”
Il vecchio
ascoltò disinvolto, con lo
sguardo posato su quello spazio in cui avrebbe dovuto esserci la gamba
sinistra
del ragazzo. Se al suo posto ci fosse stato qualcun altro forse a
quest’ora
avrebbe preso Roxas per pazzo, non tutti potevano capire quello che
provava,
avvertire il dolore di una cosa che non c’era più
sembrava essere un paradosso
eppure era una sensazione spiacevole di cui
molte persone senza un arto facevano esperienza.
“Perché
sei venuto fin qui così? Non
dovresti sforzare di questo modo la gamba destra” fu
l’unica cosa che disse e
poi tornò a mischiare quella sottospecie di impasto grigio
dentro al secchio
davanti a sé.
“Non
potevo fare altrimenti, ho bisogno di
te” rispose Roxas puntando gli occhi su un paio di uomini di
mezza età che erano
appena entrati da una porticina e si erano messi a intonacare una
porzione di
parete più lontano.
“Quindi
devo immaginare che il contenuto del
tuo zaino è il regalino che vorresti lasciarmi?”
Il biondo
ridacchiò.
“In
un certo senso” fece vago e vide l’uomo
borbottare qualcosa tra sé e sé. Non con la
stessa agilità che aveva una volta,
Cid si mise in piedi e afferrò un panno per pulirsi le mani,
non mancando mai
di mugugnare quante rogne gli dessero i ragazzi e chi glielo facesse
fare di
ascoltarli. Roxas sapeva che quelle erano solo parole, giusto per fare
un po’
di scena, ma in realtà Cid era una delle poche persone di
cui si era mai
fidato. Forse non aveva il carattere migliore del mondo, ma almeno era
sempre
stato l’unico pronto a sacrificarsi pur di aiutare tutti.
“COSA-”
“Ti
prego non dire niente!” esclamò subito
non appena l’altro aveva visto la sua protesi in mille pezzi
che aveva
trasportato dentro lo zaino. Cid poteva essere quanto buono voleva ma
allo
stesso tempo incarnava alla perfezione il ruolo del padre severo e
lamentoso.
“Spero
tu possa spiegarmi come hai fatto a
ridurla in questo stato” sibilò l’altro,
sforzandosi di non alzare il tono.
“Ti
giuro che non lo so! Ieri stavo correndo
e improvvisamente si è accartocciata sotto di me”
spiegò tralasciando
elegantemente il dettaglio del proiettile.
Cid ridusse
gli occhi a due fessure, studiò
attentamente l’espressione preoccupata del giovane e poi
ritornò alla gamba che
aveva ora in mano.
“Scommetto
che ieri sei andato al torneo di
struggle”
“Già”
“E
io ti ho già detto mille volte che questa
gamba è delicata e non devi maltrattarla in quel
modo”
“Eddai
Cid, lo sai anche tu. Quello è il mio
unico sfogo”
“Ci
sono mille altri modi più sicuri in cui
puoi sfogarti, ma non quello. Non è una cosa che dico a mio
piacimento però la
questione è seria. Lo struggle è pericoloso,
potresti davvero farti del male… e
guarda la gamba poi. Non è adatta a questo genere di
attività. Già troppe volte
me l’hai consegnata in stato pietoso ma questa le sopera
tutte”
“Riesci
a fare qualcosa?”
“Questa
si dovrebbe solamente sostituire”
L’uomo
mise tutti i pezzi a posto nello zaino
e ritornò alla sua precedente occupazione. Roxas
però sapeva come giocarsi le
sue carte a disposizione e mise su una faccia da cane bastonato, i suoi
occhi
languidi riuscivano a fare breccia anche nei cuori di pietra.
“Cid
ti prego” riprese afferrandolo per il
lembo della sua canotta e lo costrinse a girarsi di nuovo verso di lui
“Tu sei
la mia unica speranza. Io- io non so cosa fare… non posso
permettermi un’altra
gamba. Se non fossi così disperato non te lo chiederei
neanche ma non ho nessun
altro a cui rivolgermi”
Una leggera
increspatura apparve sulla
fronte del vecchio e lo vide tentennare appena.
“Rox…”
Il biondo
continuò a guardarlo speranzoso
con espressione addolorata e con le mani stringeva di più la
stoffa dell’altro.
“Te
lo sto chiedendo per piacere”
Cid
esitò e puntò lo sguardo altrove.
“Vedrò
che posso fare… ma non ti assicuro
niente”
Un ampio sorriso si dipinse sul suo volto e Roxas gli si
buttò al collo per
ringraziarlo senza sosta, senza di lui ormai sarebbe stato perso
chissà da
quanto tempo. Cid era una delle poche persone verso le quali provava
sentimenti
veri.
“Sì
sì però ora lasciami lavorare”
ribeccò
l’altro con il suo solito burbero. Proprio in quel momento
prò un
suono di pesanti passi riecheggiò nella
palestra e i due furono distolti dal loro scambio.
“Yo
Cid, sono andato a piazzare quell’ordine
che mi hai chiesto. Hanno detto che i rifornimenti arriveranno in
settimana…”
la capigliatura ribelle di Hayner fece capolino dal portone di
ingresso,
seguito poi dal resto della sua persona. Quando il ragazzo si accorse
dell’altra presenza accanto all’uomo, si
bloccò sul posto e spalancò gli occhi
“Roxas!”
Sentendosi
chiamare per nome, Roxas alzò lo
sguardo e scattò subito in piedi quando riconobbe
l’amico. Era stato davvero in
pensiero per loro dal momento che non aveva potuto rintracciarli ma
un’ondata
di sollievo lo travolse nel constatare che stava bene.
Quando si
ricordò di essere in equilibrio su
una sola gamba poggiò le mani sui braccioli della sedia per
reggersi, ma non
fece in tempo a salutarlo che l’altro lo raggiunse a grandi
falcate, il suo
volto era contratto dalla rabbia e i pugni erano stretti ai fianchi.
“Brutto
bastardo, che intenzioni hai?”
esclamò adirato dandogli uno spintone e lo fece finire di
nuovo sulla sedia.
Cid fece per intervenire ma il nuovo arrivato gli fece segno di non
intromettersi e tornò a concentrarsi su Roxas “Hai
idea di quanto Pence e
Olette fossero preoccupati? Hai idea di quanto io
fossi preoccupato? Sparire in quella maniera… ma che ti
salta in
mente?!”
“Mi
dispiace… non volevo farvi preoccupare
così”
“E
invece ci sei riuscito benissimo! Per
quanto ne sapevamo potevi essere ferito o pure morto!”
“Oggi
sarei venuto a trovarvi. Anche io sono
stato in pensiero per voi ma-“
“Ma
un cazzo! Che ti costava metterti in
contatto con noi? Anche solo per assicurarci che eri scappato o anche
solo per
sapere se noi eravamo ancora vivi! Tranquillo eh, siamo tutti interi
per tua
informazione. Siamo rimasti ad aspettarti
un’eternità in quel casino e Olette
non voleva andarsene senza che prima ti avessimo trovato. Ma che
contiamo noi,
l’importante è che Roxas si metta il culo in
salvo”
“Hayner
che cazzo stai dicendo” Cid provò a
mettersi in mezzo ma fu bloccato da Roxas che nel frattempo si era
messo di
nuovo in piedi, questa volta con le stampelle per un maggiore
equilibrio e
inalò profondamente prima di ribattere.
“Che
ti credi, che io non abbia cercato di
tornare da voi? Dei pazzi hanno preso a spararci addosso e mentre
cercavo di
raggiungervi la mia gamba si è distrutta”
“Piantala
di mettere in mezzo i tuoi
problemi!”
“Guarda
che è la verità! Io ho cercato però
non ce l’ho fatta… e poi un ragazzo ha voluto
portarmi per forza in ospedale”
Hayner lo
guardò dall’alto con espressione
indecifrabile e Roxas non capì se quello che vi leggeva era
delusione o
disprezzo.
“Adesso
capisco perché Cloud non ti
sopporta, sai?” articolò con estrema lentezza
“Sei sempre pronto a
vittimizzarti quando la situazione non è a tuo favore,
così gli altri poi chiuderanno
un occhio. Ma con me non sarà così…
sei sempre stato tu a dirmi che non vuoi
essere trattato diversamente, quello che mi parlava dei veri
valori… ma poi
quando si tratta dei propri amici sei il primo a sparire!”
Quello fu
l’ultimo colpo che riuscì a
sopportare. Non doveva nominare suo padre, non doveva fargli quel colpo
basso e
riaprigli una dolorosa ferita che in tutti quegli anni invece che
guarire
peggiorava sempre di più.
Le sue
labbra tremarono dalla voglia di
ribattere ma si morse la lingua. Normalmente non avrebbe avuto problemi
a
rispondere alle accuse che gli venivano inflitte, ma quando si trattava
di
persone a lui care non riusciva a fare altro che incassare.
Perché?
Semplicemente perché sapeva che tutti avevano ragione.
Lui era solo
un egoista che cercava
attenzioni dal prossimo, voleva tutto ma non dava nulla in cambio. I
suoi amici
erano stati in pensiero per lui, e lui tutto quello che aveva fatto era
stato
lamentarsi della sua gamba. Lui passava la sua esistenza a disprezzare
le
persone che lo guardavano con pietà quando invece lui odiava
in primis se
stesso. Ma che ne volevano sapere gli altri? Mica aveva mai detto loro
che in
realtà non riusciva a guardarsi allo specchio
perché non accettava il suo corpo.
Quello era il suo promemoria costante, il suo castigo. E sempre a causa
di
quella dannata gamba suo padre aveva perso la felicità.
Cos’è
peggio, perdere una gamba o l’amore?
“Ehi
guarda un po’ chi c’è qui con
noi”
Roxas
assorto com’era nei suoi pensieri non
si era accorto di essere andato via dalla palestra, forse Cid aveva
anche
provato a chiamarlo ma alle sue orecchie erano arrivati solo suoni
sordi. Non
aveva intensione di stare un minuto di più sotto lo guardo
accusatore di
Hayner. E ora si era ritrovato vicino un piccolo parco dove seduto su
un’altalena, Seifer lo guardava con la sua solita aria di
astio e disgusto per
il prossimo.
“Cercavo
proprio te, mammoletta, sai?”
“Cazzo
vuoi pure tu…” sputò il biondo
sentendo il sangue ribollire. Non bastavano tutti, ora si metteva pure
lui.
“Piano
con gli artigli, tigre. Potresti
graffiare qualcuno” il ragazzo più alto scese
dall’altalena e gli si avvicinò
con tono derisorio, dietro di lui i suoi inseparabili leccapiedi, Fuu e
Rai.
Roxas scosse
il capo e fece per sorpassarli
ma Seifer lo fermò con una mano in petto.
Schioccò
la lingua tra i denti e fece un
senso di diniego col capo “Tu non vai da nessuna
parte” Roxas lo guardò
attentamente mentre il ragazzo prese a girargli attorno lentamente e
nel
frattempo lo squadrava da capo a piedi. Fuu e Rai erano impassibili
davanti a
lui. “Ieri sera dei pazzi hanno iniziato a sparare
all’impazzata e sono
arrivati gli sbirri, che ovviamente hanno fatto sgomberare tutto e
hanno messo
il capannone sotto sequestro”
“Sì,
l’ho sentito” fiatò Roxas, il corpo era
irrigidito e con le mani stringeva convulsamente le stampelle. La
tensione si
era fatta improvvisamente schiacciante.
“Certo
che l’hai sentito” acconsentì
l’altro
e si portò una mano al mento “Un uccellino mi ha
detto di averti visto
scappare. Pare che quella gente stesse mirando a te
e a un altro. È così?”
Roxas non
rispose, rimase con la mascella
serrata e il sudore freddo che iniziava a imperlargli la fronte.
Improvvisamente Seifer lo afferrò per il colletto e i due
ragazzi dietro di lui
sussultarono dalla sorpresa.
“Sai
che quello era il primo torneo che
avevo organizzato io, eh?” sputò velenoso
strattonandolo come se fosse stato un
fuscello. La rabbia adesso sfregiava il suo volto “A me non
frega niente degli
affari che intrattieni con altri, i conti devi regolarteli altrove! Sai
che mi
hai fatto perdere un sacco di soldi, stronzetto? Chi cazzo pensi che
adesso
ripaghi tutti i danni?”
Roxas si
lasciò scappare un gemito strozzato
e si divincolò dalla presa, o meglio, Seifer lo
lasciò andare. Sul suo sguardo
più freddo dell’Antartide brillò un
bagliore di pura follia.
“Rispondimi,
Roxas. I bambini cattivi vanno
puniti, vero?”
Roxas
abbassò il capo e nascose gli occhi
dietro la sua frangia ribelle “Sì”
“Capo,
cosa vuoi fare?” dietro di loro Rai
si scambiò un’occhiata con Fuu e cercò
di avvicinarsi ai due per sedare la cosa
“Non penso che sia una buona idea-”
Seifer
però intimò ai due di far silenzio e
si avvicinò di nuovo al volto del più giovane.
“E
tu sei un bimbo cattivo, vero?”
Roxas
inspirò e sentì il corpo irrigidirsi
come un pezzo di marmo.
“Avanti,
Rox, non fare il cattivo bambino… non vuoi mica far
rattristare la mamma?”
Serrò
gli occhi e si strinse nelle spalle.
Perché
lei
e non io?
“Allora
mammoletta” Seifer lo strattonò di
nuovo “Sei un bimbo cattivo?”
“Sì”
Prima che
potesse fare qualcosa, un colpo
secco gli mozzò l’aria dai polmoni e un dolore
pungente gli si irradiò per
tutto il petto. Non ebbe però il tempo di realizzare di aver
appena ricevuto un
pugno che un altro contribuì a smorzargli l’aria
dai polmoni.
Seifer da
parte sua sapeva che Roxas non
c’entrava nulla, non aveva motivo di prendersela con lui, ma
era stanco ed
esasperato.
E Roxas
capiva.
Tutti avevano bisogno di uno sfogo.
Forse non
meritava quel trattamento perché
in fin dei conti non era stata colpa sua se il suo torneo di struggle
era stato
interrotto in quella maniera, però quei pugni e quei calci
sarebbero stati la
punizione per tutto il dolore che aveva causato. Se suo padre non lo
aveva mai
sfiorato, forse per pietà, adesso era stato Seifer a
prendersi la rivincita.
♦----------♦----------♦
Axel
lanciò
un’ultima occhiata decisa allo scaffale davanti a
sé e pensò che forse adesso
Demyx si stava prendendo un po’ troppe libertà con
lui. Prima diceva di voler
fare il suo mentore, poi lo trascinava in una comunità di
volontariato e infine
lo aveva mandato a fare la spesa.
“Ma che sarà mai sto latte di riso? Quel ragazzo
deve complicare qualsiasi
cosa” bofonchiò di cattivo umore salendo in
macchina dopo aver messo le buste
nel cofano e ripensando che aveva buttato quasi mezz’ora
della sua esistenza a
cercare quel dannato tipo di latte.
Il sole era
in procinto di calare e i rossi raggi che
avevano inondato la città creavano un netto contrasto con le
ombre degli
edifici. Il tramonto era la parte della giornata che ad Axel piaceva di
più
perché l’atmosfera suggestiva che si veniva a
creare riusciva a rendere mozzafiato
anche la bettola più squallida.
Saltò
un semaforo rosso e non si fermò a uno stop.
Non
è che non avesse qualcosa imminente da fare, ma gli
piaceva trasgredire le regole e anche le cose più stupide
come ignorare il
codice stradale nella città paticamente vuota
lo faceva sentire bene con se stesso. Il vento fesco che entrava dal
finestrino
abbassato gli spettinava dolcemente le ciocche ribelli e
poggiò un braccio
sulla portiera mentre continuaga la sua guida rilassata.
Lanciò un’occhiata all’orologio e
constatò che non era tardi, forse un’altra
birretta riusciva a strapparsela. Il silenzio del suo tranquillo
tragitto in
macchina fu interrotto da un coro di grida confuse, non erano molto
lontane,
dovevano forse appartenere a qualche bambino che si era fermato a
giocare nel
parco lì vicino. Ma qualcosa entrò nella visuale
del rosso e senza ulteriore
indugio accostò la macchina al marciapiede e scatto in piedi.
C’erano tre ragazzi ben piazzati che correvano a gran
velocità nella direzione
a lui opposta e a terra invece era rimasto un ragazzino. Una faccia
conosciuta,
realizzò mentre correva verso di lui senza neanche aver
comandato le sue gambe
di farlo. Aveva lasciato il motore acceso e la portiera aperta, ma poco
importava perché quando aveva riconosciuto Roxas al suolo la
sua testa si era immediatamente
sgomberata da tutti i pensieri.
“Roxas!”
gridò inginocchiandosi al suo fianco.
L’espressione
del biondo era rotta dal pianto che gli rigava le guance e il suo corpo
era
scosso da violenti fremiti “Roxas cos’è
successo? Che ti hanno fatto quegli
stronzi?” disse spostando lo sguardo dal biondo al posto in
cui aveva visto i
ragazzi sparire e poi di nuovo sul ragazzo. Con una mano gli
pulì un rivolo di
sangue che gli stava scendendo dal labbro ferito.
Roxas lo afferrò con una mano tremante e gli
bloccò il braccio a mezz’aria.
“Nie-niente…” singhiozzò
strizzando gli occhi chiusi “Lui… lui non ha fatto
niente”
“Riesci ad alzarti almeno? Ti fa male qualcosa?” il
rosso studiò il viso e le braccia
piene di lividi ed escoriazioni ma l’altro scosse il capo.
“Il
dolore fisico non è niente in confronto a quello che
provo dentro”
Quelle
parole colpirono il più
grande come un filmine a ciel sereno, e parlò flebilmente,
come se avesse paura
di sapere “Cosa intendi?”
Le lacrime non smettevano di scendere dal volto livido di Roxas ma
questo non
impedì a un sorriso tirato di formarvisi.
“Il
senso di colpa, Axel… di essere il responsabile della morte
di mia madre”
♦----------♦----------♦
L'Uno e la Diade:
sono i principi primi e supremi secondo Platone. L'Uno è il
Bene, la Diade è il principio di molteplicità, la
realtà sensibile delle cose, e di cui fa parte anche il male.
Demiurge
(demiurgo): è una figura descritta
da Platone e rappresenta un divino artigiano che progetta il mondo e
riesce a
plasmare gli eventi secondo il proprio volere usando solo le Idee e la
materia
a disposizione.
* Makomé M'Bowolé, omicidio realmente
accaduto il 6 aprile 1993 nel commissariato di polizia del XVIIIe
arrondissement a Parigi. Il ragazzo,
fermato la sera prima
per spaccio di sigarette, ammanettato e minacciato con una pistola, fu
ucciso
all'alba da un poliziotto. Il giorno successivo davanti al
commissariato sono
arrivarono centinaia di persone, inizialmente doveva essere una
manifestazione
pacifica ma poi scoppiò la violenza, e per diverse ore il
XVIII arrondissement fu
preda di violenti scontri.
Crossroads è veramente un'associazione no profit
Qualcuno
si
ricorda ancora di me?
Perdonate
la
mia lunghissima assenza su questo sito ma il periodo esami è
lungo e tortuoso e
io li ho quasi terminati tutti (yay!) quindi in estate
potrò sicuramente fare un paio
di aggornamenti, dato che passerò molto tempo
in solitudine per un
insieme di fattori che neanche vi dico...il primo tra tutti
è che sono sfigata,
e semmai mi prendessero a lavorare ad agosto potrei esserlo ancora di
più.
Dunque,
tornando a noi, se devo dirvi che sono soddisfatta di questo capitolo
vi
mentirei. Non capisco perché ma i miei secondi capitoli sono
sempre un po'
mosci, non succede niente di che... avevo in mente di presentare un po'
del
passato di Axel o Roxas ma le mie mani che scrivevano evidentemente non
hanno
voluto così. E ora ricominceremo la tiritera dell'altra fic
in cui in ogni
capitolo io e i lettori ci lamentavamo che le varie spiegazioni
slittavano
sempre a quelli successivi.
Okay.
No
seriamente, per questa fic ho messo da parte un po' di thriller e
suspance,
quindi non lasciatevi ingannare da questi capitoli, a mio avviso,
inconsistenti
perché chi mi conosce sa che prima o poi potrebbe arrivare
qualche colpo basso
u.u.
Prima di
passare
avanti volevo avvisarvi che nella storia ci sarà anche una
sottospecie di threesome
molto platonica, sì mi piace complicarmi la vita.
Ringraziamenti
Time <3
Grazie
di
cuore a:
Kronohunter25,
il mio beta, che mi
aiuta a
sviluppare la storia e asseconda
sempre con gran coraggio tutti i miei piagnistei su quanto io non
sappia
scrivere ecc ecc. Questo ragazzo è un santo.
harrysdimples
RainXSmile
Breathing Space
League of Kairi
Hope_Estheim
per
i vostri
commenti, senza di voi penso che mi sarei scoraggiata e non avrei mai
continuato a scrivere la fic.
Breathing Space
chaos control3
comewhatmay
harrysdimples
Hope_Estheim
iris dedivitiis
League of Kairi
RainXSmile
Resha_Stark
per i preferiti
e le
seguite.
Grazie
a
chi
mi ha contattato in mp, chi mi ha scritto messaggi dolcissimi che mi
hanno
quasi commosso e chi mi ha recensito il capitolo lì o su fb
perché timidi.
Dovrei avervi ringraziati tutti a tempo debito, perdonatemi ma non
ricordo
tutti >-< (ecco perché vi chiedo di scrivermi
nei commenti)
Grazia
anche
a chi ha letto e chi deciderà di spendere un millesimo della
propria giornata
lasciando un piccolo commento per far felice l'autrice depressa.... che
scrive
di notte dopo aver finito di studiare pur di sfornarvi un nuovo
capitolo.
Il
prossimo
aggiornamento sarà Summer Paradise o Viva la Vida.
Arrivederci
e buone vacanze a tutti :3
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