Lo strano caso della Dottoressa Whooper

di Evee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The detective who waited ***
Capitolo 2: *** The girl who counted ***
Capitolo 3: *** The impossible blue box ***
Capitolo 4: *** The impossible fall ***



Capitolo 1
*** The detective who waited ***


DISCLAIMER: Le vicende narrate sono collocate prima dell'episodio 2x03 “The Reichenbach Fall” di Sherlock e dell'episodio 7x06 “The Bells of Saint John” di Doctor Who. Nessuno dei personaggi coinvolti mi appartiene, ma sono tutti creazione del geniale Steven Moffat. Questa storia è stata scritta senza scopo di lucro, col solo fine di divertire me e, spero, intrattenere un po' anche voi.

 

Lo strano caso della Dottoressa Whooper

 

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I - The detective who waited

 

So she’s become one of a very small select band of people he absolutely trusts.
And he adores Molly, of course he does.
He loves her.”


- Steven Moffat

 

Guardò nuovamente l'orologio, infastidito.

Per lui il tempo, specialmente quando stava seguendo un caso, era troppo prezioso per essere perso inutilmente in qualcosa di inconcludente come aspettare, e già di per sé questo sarebbe bastato ad innervosirlo. Non ne faceva una questione di educazione, ma di rispetto: non si fissa un appuntamento con Sherlock Holmes per poi presentarsi in ritardo. Pertanto, se questo era addebitabile ad uno dei suoi clienti, dopo un simile oltraggio l'imbecille di turno cessava subito di poter essere definito come tale. Se non riusciva a tenerlo adeguatamente in considerazione evitando di arrecargli un simile disturbo, allora significava che non gli interessava abbastanza avere la sua prestigiosa consulenza e, dunque, poteva rivolgersi benissimo al primo, patetico investigatore privato scovato tra le pagine dell'elenco telefonico. O comunque significava che non reputava il proprio problema poi così urgente ed importante, permettendo dunque al detective di concludere che non era degno della sua attenzione prima ancora che questi avesse modo di esporglielo. A meno che la ragione del suo impedimento non fosse addebitabile ad una morte improvvisa... Evenienza disdicevole, ma che gli permetteva di guadagnare all'istante il perdono e i servigi del consulente investigativo.

Tuttavia, la persona che Sherlock stava aspettando quella sera non rientrava in quella categoria e non se ne poteva liberare con altrettanta facilità perché, in un certo senso, era lui ad esserne il cliente. Anzi, poteva quasi senza incertezza e con una punta d'orgoglio affermare che era addirittura il suo cliente preferito. Forse non sempre gradito. Probabilmente spesso etichettato come petulante, invadente e fastidioso... Ma di sicuro anche il suo prediletto, perché ripagava Molly Hooper con qualcosa a suo avviso ben più apprezzabile di un misero stipendio da patologa. Dopotutto le affidava compiti ben più stimolanti di quelli cui veniva quotidianamente condannata in quel mortorio che era il Bart's e, quando si sentiva particolarmente generoso, le permetteva persino di lavorare fianco a fianco e interloquire con una persona ben più competente e brillante degli inetti celebrolesi che aveva per colleghi. Ormai aveva avuto a che fare con Molly abbastanza a lungo per capire che, se non si rifiutava mai di assecondare alle sue richieste, non era affatto per arrendevolezza, ma perché esercitavano su di lei la stessa attrattiva che aveva su di lui un caso interessante. In quello, non erano troppo diversi: anche lei avvertiva il bisogno di un diversivo per evadere dal grigiore della propria routine, benché non avesse l'intraprendenza necessaria per oltrepassare i banali ma rassicuranti confini della vita che si era scelta. Forse non ne era nemmeno consapevole, ma Sherlock era pronto a scommettere che sotto il camice troppo grande e i maglioni infeltriti in cui amava nascondersi c'era una donna sicuramente sognatrice e imbranata, ma con la mente curiosa e il cuore desideroso di avventure. Proprio quello che le offriva lui, seppur per interposta persona.

O, almeno, questa era la convinzione che aveva raggiunto e dietro cui si trincerava per difendersi dalle accuse che John soleva sempre più spesso lanciargli, per il modo a suo dire abominevole con cui sfruttava impunemente la povera Molly. Ma, soprattutto, una convinzione che gli era indispensabile per giustificare la luce che andava ad illuminare il volto della giovane patologa quando appariva sulla soglia del suo laboratorio, che puntualmente gli confermava di essere una presenza meritatamente apprezzata e gradita. E che riusciva persino a farlo sentire intimamente compiaciuto per una simile accoglienza, ben superiore a qualunque altra potesse aspettarsi di ricevere in un posto che non fosse situato al 221b di Baker Street. Quell'espressione, tratteggiata da un timido sorriso e dipinta di una sfumatura d'eccitazione, era il modo con cui Molly stendeva per lui il suo tappeto rosso.

Dunque, sentiva di potersi fidare ciecamente del fatto che la sua porta sarebbe stata per lui sempre aperta, persino quando si comportava in modo così indisponente che chiunque gliel'avrebbe invece sbattuta in faccia. E che poteva rivolgersi a lei in qualunque ora del giorno e della notte, come poteva aspettarsi che attribuisse alle sue richieste la stessa priorità che avevano per lui. E che poteva confidare sulla sua assoluta precisione, professionalità e diligenza, ma prima ancora sulla sua più completa disponibilità e puntualità.

Infatti, Molly non tardava mai, ma proprio mai ai loro incontri. Generalmente per l'ovvia ragione che si trovava già sul posto, ma, anche se le chiedeva di vedersi al Bart's fuori dal suo orario di lavoro, lei si premurava di arrivare sempre in anticipo, per controllare un'ultima volta le analisi che le aveva commissionato e, sospettava, perché ansiosa di vederlo e speranzosa di potersi trattenere maggiormente in sua compagnia.

Pertanto davvero non riusciva a capacitarsi del perché, proprio quella sera, Molly Hooper avesse deciso di confutare quel postulato sulla cui verità aveva riposto tutto il suo affidamento. La sola spiegazione plausibile era che fosse stata trattenuta da un qualche imprevisto, ma che il detective provvide presto a scartare: in tal caso si sarebbe di certo premurata di avvisarlo prima o, quantomeno, di inviargli un sms di scusa...

Scocciato, decise di devolvere la sua attesa ad un'attività più fruttuosa rispetto al presidiare la porta del laboratorio del Bart's, ossia mettersi alla ricerca della dottoressa Hooper. Vero, avrebbe comunque potuto impiegare il suo tempo continuando a riflettere sul caso che aveva tra le mani, rifuggendo la noia in compagnia dei propri pensieri e isolandosi da ogni possibile fonte di disturbo nelle confortevoli stanze del suo palazzo mentale ma... non quando ormai aveva già provveduto a considerare tutti gli indizi raccolti, vagliato le varie ipotesi possibili e formulato la propria tesi. I suoi neuroni da soli non gli erano più d'aiuto, gli serviva una prova empirica su cui fondare la propria dimostrazione.

Gli serviva Molly Hooper, e che diamine!

Tuttavia, le sue ricerche non sortirono alcun esito positivo, e fu costretto a ritornare nel punto d'incontro concordato, ma in cui attualmente solo lui era presente. Passeggiò avanti e indietro con nervosismo, le concesse un magnanimo quarto d'ora accademico, invano, quindi estrasse dalla tasca del suo cappotto lo smartphone per digitare un breve quanto seccato messaggio:

Me ne vado, ma continuo ad aver bisogno di quel referto. Fammelo avere, e in fretta. SH

 

* * *

 

La porta dell'appartamento sbatté con violenza, svegliando di soprassalto John. Il libro che aveva iniziato a leggere, e con altrettanta rapidità portato ad assopirsi sulla poltrona, gli scivolò dalle gambe con un tonfo ovattato.

-Sherlock?- chiamò con voce impastata, massaggiandosi il collo atrofizzato a causa dell'innaturale posizione che aveva finito per assumere.

Ma il diretto interessato lo ignorò completamente, troppo intento a rovesciare sul tavolo la posta del giorno, per poi iniziare a far passare una ad una le varie buste e a scartarle gettandole a terra con la medesima sistematicità, all'evidente ricerca di qualcosa che aspettava ma che, evidentemente, avrebbe dovuto continuare ad attendere.

-E' arrivato nulla che possa interessarmi? Telefonate, messaggi...?- borbottò, degnandolo solo allora della sua attenzione.

-Ha chiamato Lestrade, in effetti.- ricordò improvvisamente John, con ritrovata lucidità -Chiede se puoi passare nel suo ufficio, sembra che ci siano degli sviluppi sul caso Thompson...-

Il detective, però, al nome dell'ispettore dismise subito tutto l'interesse che gli aveva dedicato e l'ascoltò a malapena, ben più occupato a controllare, senza alcun esito, la segreteria telefonica. Il che rese l'amico ancora più sgomento per quel suo improvviso quanto inusuale interesse per le relazioni sociali, addirittura snobbando quella che poteva rappresentare una preziosa svolta per il caso che stava così assiduamente seguendo da giorni.

-Altro?- lo incalzò poi, con finta noncuranza.

-No, è tutto.- rispose John, sbattendo perplesso le palpebre -Perché, chi altri avrebbe dovuto cercarti?-

Sherlock, per tutta risposta, gli lanciò addosso con malagrazia il giubbotto.

-Nessuno.- replicò secco -Andiamo allora, muoviti. Non farmi perdere altro tempo.-

 

* * *

 

-Ahem...-

Da quel lieve colpo di tosse Sherlock intuì che Molly stava cercando di attirare la sua attenzione, che però al momento era tutta per la reazione chimica che stava studiando al microscopio. Pertanto, lo ignorò.

-Ahem!- fece di nuovo la patologa, stavolta con maggiore enfasi.

Sollevò gli occhi dalla lente del microscopio, quel minimo essenziale per guardarla storto.

-Avanti, parla. E spero tu abbia un valido motivo per interrompermi proprio ora!- sbottò scocciato.

Il suo tono riuscì ad annichilire a tal punto Molly che quasi parve scomparire nel camice da laboratorio, ma non abbastanza da farla desistere dall'intento di avviare con lui una conversazione.

-Volevo solo... Volevo scusarmi per ieri sera. Ho avuto un... contrattempo. Un imprevisto. Scusa!- riuscì a balbettare con voce incrinata.

Se non fosse stato talmente contrario a quanto sapeva consigliato dalle convenzioni sociali, Sherlock le avrebbe senz'altro fatto presente che non era affatto un buon modo di farsi perdonare da qualcuno per avergli fatto perdere del tempo quello di fargliene perdere dell'altro. Tuttavia, buona parte del risentimento che aveva covato per Molly era andato inspiegabilmente disperso quando, quella mattina, la signora Hudson aveva bussato al suo appartamento per fargli avere da parte della patologa il referto tanto agognato, con allegato uno di quei muffin ai mirtilli che saltuariamente preparava da portarsi al Bart's come spuntino. E che, dopo aver assaggiato di persona e apprezzato al punto da fargli prendere la cattiva abitudine di sgraffignarglieli più o meno di nascosto, lei si premurava di avere sempre a disposizione in duplice esemplare. Così, soddisfatto ed addolcito, aveva accettato quel tacito invito e si era deciso a raggiungerla al laboratorio per discutere con lei degli esiti delle analisi ed effettuare gli ultimi accertamenti del caso. Ma, più intimamente, per rinfacciarle lo sgarbo della sera precedente continuando a fingersi offeso e spingerla a prostrarsi ai suoi piedi in cerca di scuse.

Dunque, a quel pietoso tentativo di farsi perdonare volle essere magnanimo, confortato nel vedere che Molly aveva ancora un po' di considerazione nei suoi confronti.

-Come ti pare.- replicò stentoreo -Basta che non succeda altre volte.-

Tuttavia Molly si morse nervosa il labbro inferiore, manifestando così di nutrire al riguardo ben più riserve di quanto lui fosse propenso a gradire.

-Sì ecco, appunto... Stavo pensando che, forse, per evitarti altri disagi... sarebbe meglio che ti dia queste, non si sa mai.- gli disse, estraendo dalla tasca un piccolo mazzo di chiavi -Sono le mie chiavi di scorta: l'ingresso secondario, il laboratorio, l'archivio e l'obitorio.- aggiunse, mostrandogliene una per una.

Sherlock spostò lo sguardo da quanto gli stava offrendo sul palmo della mano ai suoi occhi nocciola, abbozzando un sorriso divertito.

-E cosa ti fa pensare che io non ce le abbia già?-

Lei rimase un attimo a bocca aperta, interdetta.

-Ah.- fece con aria abbattuta, ma che divenne prontamente indispettita una volta realizzata la portata di quanto le aveva appena confessato -Ma... Ehi! Come sarebbe?!?-

Lui si limitò ad una compiaciuta alzata di spalle.

-Dovresti stare più attenta a dove appoggi le cose. Qualcuno potrebbe prenderle in prestito e... farne una copia.-

L'espressione di Molly si piegò in una smorfia di indignazione.

-Che cosa?!? Ma sei un ladro!- proruppe, puntandogli contro un indice con fare accusatorio.

-No, sono solo previdente.- ribatté Sherlock, senza scomporsi minimamente -Comunque puoi stare tranquilla, non ho ancora avuto l'occasione di usarle... Ed ora ho il tuo permesso, no?-

Lei gli rispose scoccandogli un'occhiata furente, per poi dargli le spalle e tornare al suo lavoro, ignorandolo come se non ci fossero altre persone oltre a lei in quella stanza ma continuando a stringere le labbra contrariata, a riprova di quanto invece non riuscisse ad ignorare la sua presenza.

Soddisfatto di aver avuto la meglio in quella conversazione, Sherlock si accinse a fare altrettanto, ma scoprì ben presto che la sua concentrazione faticava a tornare. Ma non era affatto la reazione indispettita di Molly a preoccuparlo, perché tanto la sapeva troppo gentile per serbare rancore con qualcuno a lungo, e tantomeno con lui. No, ciò che gli dava da pensare era il suo comportamento precedente, quella premura eccessiva e inaspettata. Non vedeva per quale motivo desiderasse tanto offrirgli libero accesso al Bart's anche in sua assenza, considerando che, per quanto ne sapeva, il solo imprevisto che le poteva capitare era di dover portare il gatto dal veterinario. Per cui doveva esserle successo qualcosa, se all'improvviso temeva una tale mancanza di tempo e disponibilità... Qualcosa cui teneva particolarmente, ma di cui si vergognava troppo per poterglielo rivelare.

-Ti vedi con qualcuno.- dedusse a bruciapelo.

Le spalle di Molly sussultarono, facendole rovesciare sul tavolo una provetta fortuitamente vuota.

-N... no!- si affrettò a negare lei, con voce fin troppo frettolosa e spaventata.

Sherlock inarcò un sopracciglio con fare supponente. Le sue abilità deduttive con quel libro aperto che era Molly Hooper erano decisamente sprecate.

-Non era una domanda.- replicò secco -Ti vedi con qualcuno, è chiaro. Respirazione accelerata, dilatazione delle pupille, rossore improvviso...-

-Ok, smettila.- sbottò scocciata, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi inquisitori -Sì, mi vedo con qualcuno. E allora? Non è affare che ti riguardi.-

Queste parole furono più che sufficienti per trasformare la curiosità del consulente investigativo in un vero e proprio sospetto. Quando si trattava del comportamento umano aveva ben poche certezze, ma una di queste era che se la patologa iniziava ad uscire con qualcuno era indubbio che, una volta in sua presenza, avrebbe trovato il modo di introdurre l'argomento nella loro conversazione in modo più o meno casuale. O, almeno, così era successo per i suoi primi appuntamenti, perché poi la voglia di parlare delle sue frequentazioni doveva esserle progressivamente scemata ai ripetuti e spietati commenti del detective. Ma che, comunque, sapeva offrirle consulti sempre azzeccati e ben più accurati di qualsiasi oroscopo o posta del cuore, tanto che avrebbe potuto benissimo modificare le referenze sul proprio biglietto da visita in: “Sherlock Holmes, di professione consulente investigativo e, nel tempo libero, pure sentimentale”. E, dopotutto, era proprio per questa sua infallibile abilità nello svelarle in anticipo i difetti del tizio di turno che, con la giusta insistenza, puntualmente alla fine Molly cedeva e metteva da parte ogni riserbo per descriverglielo ed avere il suo giudizio a riguardo.

Eppure, quel giorno la sua ritrosia persisteva. Perché? Non poteva essere semplicemente per la vergogna, sarebbe stato ridicolo che tentasse di conservare un onore già abbondantemente perso in passato collezionando innumerevoli appuntamenti con gente davvero insignificante, per non dire imbarazzante... No, era ovvio che Molly stava cercando di nascondergli qualcosa, seppur in modo alquanto patetico. Forse perché si trattava di una persona che anche lui conosceva. O, ancora meglio, una persona che non avrebbe dovuto frequentare...

-E' un collega?- provò ad indovinare.

-No, certo che no!- esclamò lei indignata, mettendo le mani avanti -Non lavora qui al Bart's...-

-E' un dottore, dunque.- ipotizzò, con maggior convinzione.

Molly arrossì fino alla punta dei capelli, sintomo inequivocabile che era riuscito a smascherarla.

-Ok, hai vinto... Sì, è un dottore.- sospirò, scuotendo la testa e ondeggiando la coda di cavallo.

Sherlock inarcò un sopracciglio, insoddisfatto.

-Dottor... chi? Lo conosco?-

-No. Impossibile.- replicò subito secca -Non è di Londra, lui... viaggia molto.-

Detto questo, afferrò pretestuosamente la prima cosa che aveva sotto mano ed uscì dal laboratorio, fuggendo dal suo interrogatorio.

Il detective strinse lo sguardo sulla porta da cui la patologa si era appena dileguata.

“Sospetto. Davvero molto sospetto.”

 

* * *

 

Erano poche le volte in cui Sherlock ascoltava con attenzione e sincero interesse le parole che uscivano dalla bocca di Molly, e quella era una di quelle volte. D'altronde, quando ti trovi davanti ad un corpo senza il minimo indizio che permetta di ipotizzare come possa essersi trasformato in un cadavere, avere il parere di un medico legale può tornarti comodo... Inoltre, quella era anche una delle rare occasioni in cui la giovane donna gli si rivolgeva con un tono di voce sicuro, per non dire orgoglioso di potersi dimostrare, almeno in quel campo, in grado di conversare con lui alla pari. E in effetti Sherlock doveva riconoscerle che per molti dettagli tecnici il suo supporto gli era indispensabile, e che anzi era intellettualmente stimolante poter conversare su argomenti scientifici con qualcuno non solo in grado di capire le sue parole, ma perfino di trasmettergli preziose informazioni che i libri, da soli, non avrebbero mai potuto insegnargli.

Ad un tratto, però, qualcosa nella tasca del camice di Molly trillò e la sua voce, prima tutta concentrata sulla spiegazione dei risultati delle analisi tossicologiche, si interruppe di colpo.

-Scusa solo un secondo...- mormorò distrattamente, estraendo un cellulare blu per leggere un messaggio.

Sherlock strinse gli occhi irritato, ma non disse nulla e continuò a leggere le analisi per conto proprio, fingendo di poter comprendere benissimo anche da solo i dati riportati su quei fogli e la sua scrittura inutilmente arzigogolata.

-Ehm... Devo andare a... Hanno bisogno di me.- gli annunciò la patologa, sbrigativamente -Aspettami, torno subito!-

E prima ancora che avesse modo di replicare, Molly Hooper era già corsa in fretta e furia fuori dalla stanza, abbandonandovi uno Sherlock quanto mai indispettito. Anche lui aveva bisogno di lei, ed era la prima volta che osava piantarlo in asso in quel modo. E davvero non riusciva ad immaginare per quale emergenza fosse richiesto il suo insostituibile aiuto, dato che gli unici pazienti di cui si occupava di regola erano già morti... Pertanto, c'era un'elevata probabilità che non si trattasse di una questione di lavoro.

Stava ancora rimuginando su quanto appena successo, che la porta del laboratorio si riaprì con un botto e Molly fece la sua ricomparsa nella stanza.

-Rieccomi! Scusa se ti ho fatto aspettare tanto...- ansimò, paonazza in volto e a dir poco trafelata.

Sherlock la guardò perplesso. Primo, perché la patologa si era assentata per neanche un paio di minuti. Secondo, perché, anche se non capiva assolutamente nulla di moda, era abbastanza certo che fossero dei pantaloni ciò che prima aveva indosso, e non certo quella strana gonna a balze il cui orlo ora le sbucava sotto il camice da laboratorio.

 

* * *

 

John seguì mestamente Sherlock dentro il laboratorio di analisi del Bart's, ancora all'oscuro della ragione per cui avesse insistito tanto a trascinarlo fin lì proprio nel bel mezzo della partita tra il Chelsea e il Manchester United. Non ne vedeva affatto l'urgenza, dopotutto era in un periodo relativamente calmo, senza nessun caso tra le mani. O, meglio, di casi se ne erano anche presentati al loro indirizzo, ma erano stati tutti velocemente messi alla porta in modo ben poco diplomatico.

-Oh, siete voi.- disse semplicemente Molly, scrutandoli dietro un paio di occhiali protettivi -Di cosa avete bisogno questa volta?-

John la guardò interdetto. Per quanto fosse chiaro che non fossero lì per una visita di piacere, non era da lei accoglierli con fare tanto disinteressato.

-Devo prendere in prestito alcune cose... per l'esperimento di cui ti parlavo ieri.- le spiegò allora Sherlock.

Ma Molly lo degnò appena, fissando invece con maggiore attenzione l'orologio alla parete.

-Certo, certo... Serviti pure, ormai sai già dov'è tutto.-

Lo sguardo di John si fece ancora più perplesso, spostandosi alternativamente sui due nel vano tentativo di rincorrere il senso di un discorso che gli stava purtroppo sfuggendo, con il vago presentimento di essersi perso troppe puntate. In effetti sì, Sherlock il giorno prima era uscito senza dirgli dove stesse andando, per cui non lo sorprendeva scoprire che si fosse recato al Bart's ma... era pronto a giurare che non stava affatto svolgendo alcun esperimento. Se così fosse stato, la loro cucina ne sarebbe stata la devastata testimone.

Osservò dunque il suo coinquilino afferrare apparentemente a caso alcuni contenitori di sostanze chimiche da un armadio, per poi rivolgersi nuovamente alla dottoressa.

-Allora...- iniziò, avvicinandosi a lei -Come va?-

Di tutte le frasi che Sherlock Holmes avrebbe potuto pronunciare, quella non era solo la più improbabile, ma era davvero impossibile. Perché mai, ma proprio mai, John aveva visto il suo amico sforzarsi di iniziare una conversazione amichevole con qualcuno, men che meno con Molly Hooper. E, cosa ancora più stupefacente, lei non sembrò nemmeno fare troppo caso a quella stranezza... Al punto che il dottore ebbe la netta impressione di trovarsi di fronte a due perfetti estranei.

-Oh, al solito... Lavoro.- gli rispose tranquilla, per poi spegnere il becco Bunsen che stava utilizzando -Ora però dovete scusarmi, dovrei proprio andare...-

-Ma sono le 16.- obiettò Sherlock, sollevando diffidente un sopracciglio -Il tuo turno non è ancora finito...-

Tuttavia lei si tolse comunque il camice e andò ad appenderlo su una gruccia fissata in un angolo della stanza.

-Ho chiesto un permesso.- spiegò di spalle.

-Perché? E' successo qualcosa?- continuò il detective con fare ostinato.

Molly si irrigidì leggermente, tradendo un'agitazione fino a quel momento davvero ben dissimulata.

-No, certo che no...- balbettò -Devo... Ho promesso...-

Ma, in quel preciso istante, il trillare insistente di una suoneria giunse in suo soccorso. Molly si interruppe con un sussulto, recuperò prontamente un rumoroso cellulare blu dalla tasca dei jeans e rispose alla chiamata, arrossendo in volto.

-Oh, ciao. Sì, ho finito... Arrivo subito.- disse con voce sommessa, ma comunque più che udibile anche alle loro orecchie.

E John non poté fare a meno di notare che lo disse con un tono quanto mai strano. Per la precisione, con la stessa voce acuta e leggermente tremante che le veniva ogni volta che parlava con Sherlock. Il quale, una volta che ebbe terminato la telefonata, le rivolse un'occhiata altrettanto sospettosa.

-Molly...- iniziò a dirle, mani ai fianchi e tono inquisitorio.

-Non ora, Sherlock.- lo interruppe però lei infastidita, e non troppo diversamente da come si zittisce un bambino petulante -Mi stanno aspettando.-

Quindi afferrò prontamente cappotto e borsa per poi fuggire via agitata, stroncando sul nascere ogni altra protesta da parte del detective. E aumentando lo straniamento del suo amico a dismisura.

-Sherlock, mi spieghi cosa accidenti sta succedendo?- sbottò quindi John, stufo di non capirci più nulla -Perché siamo venuti qui? E non provare a propinarmi quella storia dell'esperimento... Non sono uno stupido.-

Lui però non gli rispose subito, preferendo iniziare a passeggiare avanti e indietro per il laboratorio, con le mani intrecciate dietro alla schiena e lo sguardo assorto.

-No, appunto. Non sei stupido.- gli rispose tranquillo dopo una decina di passi -Per questo ti ho portato qui. Volevo il tuo parere.-

-E su cosa, santo cielo?- chiese esasperato, alzando gli occhi al cielo -Sul tuo nuovo hobby? Stalkerare Molly Hooper?-

-Esattamente.- fece Sherlock, serissimo.

John sbatté le palpebre, ammutolito da quella rivelazione.

-Veramente stavo scherzando...-

-Io no.- replicò lui con fermezza -Avanti, non puoi negare che ha un comportamento a dir poco sospetto...-

John sospirò, coprendosi il volto con le mani. Adesso capiva perché in quei giorni Sherlock aveva rifiutato con tanta ostinazione incarichi neanche troppo scontati. Ne aveva già accettato uno, tra l'altro senza che nessuno gli avesse chiesto di occuparsene. Anzi, senza nemmeno che l'interessata ne fosse al corrente perché, poco ma sicuro, non avrebbe affatto gradito una simile invadenza nella sua privacy, per quanto forse considerasse lusingante essere finalmente riuscita ad attirare su di sé le attenzioni del detective.

-Oh, ti prego... Non puoi parlare sul serio.- provò a farlo ragionare -Capisco che tu ti stia annoiando, ma non sarebbe meglio se ti dedicassi ad un altro caso, piuttosto? Uno vero? Ok, te lo riconosco, è stata un po' evasiva ma... non ci vedo nulla di preoccupante. Probabilmente sta solo uscendo con qualcuno.-

-Bravo John, lo vedi che non sei stupido?- esclamò Sherlock con un accenno di sorriso -Sì, sta proprio frequentando una persona da circa una settimana... Ma non sono riuscito ad avere da lei alcuna informazione sul suo conto, eccetto che si tratta di un dottore. Che, a detta sua, dovrebbe essere continuamente in viaggio per lavoro, quando invece è ovvio che non sia così, dato che si vedono in continuo...-

John a quel punto non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere. Il suo amico allora si fermò sul posto, fulminandolo con un'occhiataccia.

-Che c'è?- domandò, evidentemente contrariato dal fatto che non lo stesse affatto prendendo sul serio.

Lui allora si sforzò di tornare serio per non indispettirlo troppo, ma non riuscì a perdere il sorriso beffardo sulle sue labbra.

-Credo di aver svelato il mistero.- gli disse con tono canzonatorio -Sei geloso.-

Sherlock però non fece una piega alle sue insinuazioni e incrociò le braccia imbronciato.

-Non sono geloso, sono preoccupato.- replicò con sicurezza -Da quando esce con questo tizio, Molly è diventata completamente inaffidabile. Dimentica gli appuntamenti, sbaglia le analisi che le commissiono, la trovo una volta sì e una no, mi ascolta a malapena quando le parlo... E' una situazione intollerabile!-

“Appunto, geloso...” pensò John, trattenendosi a stento dal rinfacciarglielo.

-Su, Sherlock, sii ragionevole.- lo sollecitò con fare ben più diplomatico e conciliante -Capisco che a te possa sembrare inconcepibile, ma io non ci vedo nulla di strano in tutto ciò... Si vede che si è innamorata, tutto qui. Non puoi semplicemente lasciarla in pace e sperare che sia felice?-

Lui però serrò la mascella in modo tutt'altro che ragionevole.

-Certo che no!- esclamò infervorato -Avanti, conosciamo entrambi lo scarso buonsenso di Molly Hooper in fatto di uomini. E questo fantomatico “dottore” è probabilmente il più inquietante e sospetto di tutti...-

John sospirò una seconda volta, riflettendo tra sé che invece la giovane patologa un po' di buonsenso aveva dimostrato di averlo, se si era finalmente decisa a lasciar perdere Sherlock Holmes. Un altro pensiero cui, però, era meglio non dar voce.

-E sentiamo, cosa ci troveresti di tanto strano in lui?- gli chiese invece, estenuato.

Al che le labbra di Sherlock si piegarono in uno dei suoi sorrisi saccenti.

-Per cominciare, il modo con cui la contatta, visto che quello che ha usato prima non era il suo cellulare... Quello è il cellulare di Molly.- replicò, indicando l'oggetto in questione dimenticato sul tavolo da laboratorio.

 

* * *

 

Era una serata piacevolmente tranquilla e John se ne stava altrettanto serenamente seduto alla scrivania ad aggiornare il suo blog, alternando di tanto in tanto qualche frase con un sorso di tè per raccogliere meglio i pensieri, quando quella pace venne bruscamente interrotta dal suo coinquilino, uscito con fretta e nervosismo dalla propria camera da letto per invadere il soggiorno.

Sospirò. Appunto, era una serata piacevolmente tranquilla.

Si rassegnò così al trambusto sollevato da uno Sherlock alla burrascosa ricerca di qualcosa, finché non gli si parò davanti fremente di impazienza, chiedendogli scocciato se aveva visto in giro il suo dannato passamontagna.

-No, non mi pare.- gli rispose John dopo una breve riflessione -Perché?-

Il suo amico allora roteò gli occhi con disappunto.

-Oh, allora deve averlo imboscato da qualche parte Mrs Hudson!- sbottò, slanciandosi ad aprire la porta d'ingresso per poter gridare liberamente nel pianerottolo -Mrs Hudson! Ci risiamo! Quante volte le devo dire di non toccare la mia roba?!?-

-Sherlock!- lo richiamò subito con tono di rimprovero -Smettila! Ti sembra il caso?!?-

Lui assunse un'aria imbronciata ma riprese un contegno più civile, rientrando nell'appartamento.

-No, infatti. Non ho tempo da perdere.- replicò, agguantando il proprio cappotto.

-Ma...- lo trattenne il suo amico, risoluto a fare un po' di chiarezza sul suo comportamento -Si può sapere cosa sta succedendo? Dove stai andando?-

-Devo pedinare una persona.- gli spiegò con fare sbrigativo.

John lo guardò con perplessità ancora maggiore. Non gli aveva detto di aver accettato un nuovo incarico...

-Davvero?- domandò, anche se una vocina nella sua testa gli stava già suggerendo la temuta risposta -Chi?-

-Molly Hooper.- gli annunciò Sherlock, richiudendosi la porta alle spalle.

 

* * *

 

Quando udì il cauto rumore delle chiavi ruotate nella toppa erano ormai le tre del mattino. Ciononostante, John aveva deciso di rimanere sveglio proprio in attesa del ritorno del suo coinquilino, la cui testa sbucò dalla porta con inutile circospezione.

-Oh.- fu il suo modo di salutarlo, deglutendo colpevole nell'incrociare il suo sguardo -Credevo fossi andato a dormire.-

John allora si alzò imperioso dalla poltrona, incrociando le braccia con vivo disappunto.

-Si può sapere che diamine ti è saltato in mente?!?- lo rimproverò senza troppi giri di parole -Non riesco ancora a crederci! Pedinare Molly?!?-

Sherlock però si chiuse la porta alle spalle con aria affatto mortificata.

-Non avevo altra scelta, se volevo scoprire chi è la persona che sta frequentando.- rispose con semplicità.

-Buon Dio! Certo che avevi un'altra scelta! Farti gli affari tuoi!- sbottò John -E poi, come facevi a sapere che sarebbe uscita proprio con lui?-

Il detective si permise un sorrisino compiaciuto, e decisamente inappropriato.

-Beh, ecco, credo di aver dimenticato una cimice spia nel suo laboratorio, qualche giorno fa...-

John spalancò la bocca per lo sconcerto.

-Tu cosa?!?- gridò, con un tono che, probabilmente, aveva permesso alla sua esclamazione di esser captata anche dalle orecchie di Mrs Hudson -Sherlock, è illegale! E immorale, per di più!-

-Ma è anche per una buona causa.- gli tenne testa lui, spudorato.

-Sì, come no...- sospirò John dall'esasperazione -Beh, almeno adesso sei soddisfatto?-

-Direi proprio di no.- rispose secco, sedendosi di fronte a lui e congiungendo le mani davanti alle labbra, meditabondo -E' uscita di casa, ha percorso la via, svoltato l'angolo. E poi è sparita. Un vicolo cieco.-

John alzò la testa di scatto, improvvisamente molto più attento. E allarmato.

-Come sarebbe, è sparita?-

-Sarebbe che non l'ho più vista. Ho anche aspettato per cinque ore davanti a casa sua, ma non vi ha fatto più ritorno...- gli spiegò il suo amico.

Entrambi rimasero un attimo in silenzio, pensierosi. John aveva finora addebitato il comportamento di Sherlock alla sua eccessiva paranoia e mania del controllo, ma dopo quel resoconto anche lui iniziava a nutrire delle serie perplessità sulle recenti frequentazioni della loro amica patologa. In effetti, non poteva ignorare la sua inclinazione a fidarsi un po' troppo ingenuamente delle altre persone... e ad intraprendere relazioni sentimentali con uomini davvero poco raccomandabili, per non dire pericolosi.

-Riconosco che Molly si sta comportando... non da Molly, ecco.- ammise infine -Dove pensi sia andata?-

-Non ne ho idea... L'unica cosa certa è che era in compagnia di quel dottore. Sempre se si tratta per davvero di un dottore.- rifletté Sherlock, visibilmente scocciato dall'infruttuosità della sua indagine -Ma la prossima volta non mi sfuggirà, questo è poco ma sicuro.-

John allora gli ammiccò malizioso, rivolgendogli un sorriso d'intesa.

-La prossima volta non ci sfuggirà, volevi dire.- lo corresse.

 

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Capitolo 2
*** The girl who counted ***


II - The girl who counted

 

What is the base group of people who would run away with the Doctor?
They’re all going to be a bit mad.
A bit dislocated.
Not happy with where they are.

- Steven Moffat

 

Molly Hooper aveva ufficialmente un problema. Uno molto, ma molto serio.

Altrimenti, non sarebbe mai stata disposta a devolvere il proprio sabato sera ad effettuare analisi tossicologiche sull'ormai compianto signor Thompson anziché andare a sgolarsi in compagnia della sua migliore amica ad un concerto, come chiunque nei suoi panni avrebbe preferito fare. Ed essendo ben consapevole dell'assurdità della sua scelta, aveva saggiamente evitato di rivelare a Meena che, se si era dovuta fermare in laboratorio per sbrigare del lavoro straordinario, non era per sostituire un collega improvvisamente malato ma per fare un favore ad un certo consulente investigativo. Non le piaceva affatto mentire, ma d'altronde la sua amica non le aveva mai fatto segreto di quanto disprezzasse Sherlock Holmes per come osasse “schiavizzarla senza ritegno” e, soprattutto, di quanto la disapprovasse per la sua eccessiva tendenza a piegarsi docilmente a qualunque, tirannica pretesa del detective. Di conseguenza nutriva il forte timore che, se Meena avesse scoperto la vera ragione per cui non l'aveva accompagnata, sarebbe stata capace di venire fino al Bart's per prelevarla con la forza... e lei non poteva assolutamente andarsene. Almeno non prima di aver concluso le analisi e steso il referto che Sherlock le aveva richiesto con estrema urgenza e che gli aveva stupidamente assicurato sarebbe stato pronto per le 10 di quella sera. Si era già assunta un precedente impegno con lui, adesso non poteva certo rimangiarsi la parola data...

E qui stava il suo errore. Perché Molly, o meglio la sua fastidiosa coscienza, lo sapeva che se finiva sempre per accondiscendere alle sue richieste, talvolta persino al costo di sacrificare il proprio tempo libero e di lavorare ore che nessuno si sarebbe mai sognato di pagarle, non era per la speranza che poi lui la ricambiasse con qualcosa di più della semplice riconoscenza... O, meglio, non solo. Più a monte, era per la sua assoluta incapacità di pronunciare una tanto breve quanto semplice parola, quella negazione che persino i neonati riescono ad articolare, ma che lei non riusciva mai a dire con convinzione:

“No”.

Molly non riusciva proprio a dire di no, a Sherlock come a nessun'altra persona. E non certo per arrendevolezza, bensì per la sua eccessiva generosità. Era sempre stato il suo peggior difetto. Tuttavia, si decise, quella sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbe piegata a sue spese alle richieste altrui. Ormai aveva finito per capirlo, che facendo così non sarebbe mai riuscita a guadagnarsi l'affetto di chi si proponeva di aiutare, ma solo a perdere anche quel poco di amor proprio che ancora le rimaneva. Non riusciva più a considerarlo gratificante, specialmente se tutto ciò che riceveva in cambio dei suoi sforzi erano delle mortificazioni. Cioè, non era un'illusa, o meglio non più, ed era perfettamente consapevole che da chi arriva ad autodefinirsi sociopatico non ci si può aspettare grandi dimostrazioni d'affetto ma... mai una volta che le dicesse anche solo un banalissimo “grazie”. Come se tutto gli fosse dovuto, e fosse suo diritto esigerlo. Come se il fatto che fosse disposta a dargli una mano lo autorizzasse a prenderle pure il braccio, e a tirarla come un burattino.

Ma non poteva andare avanti in quel modo, in questo doveva dare ragione a Meena. Basta. Non era la sua serva, aveva una propria vita e una propria dignità. Anzi, già solo l'assumersi quell'impegno con se stessa le parve una vera e propria iniezione di autostima.

Tuttavia il sorriso soddisfatto che a quel pensiero le era comparso sulle labbra svanì presto, nell'istante stesso in cui udì bussare alla porta del suo laboratorio. Al che sussultò e venne assalita dal panico, essendo ancora ben lontana dallo scoprire quale tipo di veleno fosse stato utilizzato per uccidere il signor Thompson... I suoi occhi nocciola corsero affannati fino all'orologio al polso, rassicurandosi così di essere ancora in tempo: non erano neanche le 9 e mezza, e l'esperienza le aveva insegnato che Sherlock Holmes era persona incline a presentarsi in anticipo agli appuntamenti quanto a tollerare il ritardo altrui. Dunque, non poteva essere già lui...

Rincuorata da quella certezza ed anche un po' incuriosita, si decise dunque a voltarsi e ad accogliere l'inatteso visitatore.

-Avanti!- gli intimò.

Al che la porta del laboratorio si socchiuse, e ne fece capolino un bizzarro sconosciuto dai vestiti ancora più bizzarri: indossava un discutibile completo in tweed probabilmente rubato a suo nonno, assieme ad una camicia a righe e a quelle... che cos'erano, quelle? Delle bretelle?!?

“Santo cielo...”

Però, riconosceva che doveva trattarsi di persona molto sicura di sé, per andare fieramente in giro conciata in quel modo. E con un farfallino così sgargiante. Tuttavia, lo esibiva con talmente tanto orgoglio che si scoprì a rivalutare quel suo primo giudizio affrettato e a riflettere che, su di lui, non stava affatto male. Forse, perché era proprio quel tipo a non essere affatto male... Non poteva definirsi oggettivamente bello, né i suoi gusti in fatto di uomini pienamente condivisibili, come Meena non mancava mai di rinfacciarle, eppure... c'era qualcosa, in lui, che esercitava un certo fascino. Era smilzo e allampanato, ma teneva le spalle ben dritte ed ostentava una postura carismatica. Le sue mani e i suoi piedi erano decisamente più grandi della media, quasi sproporzionate, ma i suoi gesti e i suoi passi erano sicuri ed energici. Anche fin troppo energici, come se smaniassero per dar sfogo ad una frenesia trattenuta a stento, la stessa che gli illuminava il volto ben squadrato, distendeva le labbra in un sottile sorriso eccitato, e faceva brillare di vitalità i suoi occhi azzurri, chiarissimi.

Fu proprio su questi che si concentrò maggiormente lo sguardo di Molly, affascinata. Quegli occhi, avevano lo stesso vispo luccichio di un bambino troppo curioso, ma anche la stessa profondità di un anziano molto saggio. Riflettevano intelligenza, in un modo che le era davvero, davvero familiare...

O forse era lei ad essere eccessivamente suggestionabile, e a pensare sempre troppo a Sherlock Holmes.

Comunque, non fece in tempo a concludere il suo studio fisionomico che quello accennò un saluto con la mano, prevenendo senza indugi il calare di un silenzio imbarazzante.

-Buonasera!- trillò con un entusiasmo esagerato per quella, come per qualunque altra sua sera -E' lei la dottoressa Hooper?-

Molly reclinò il capo, stupita che quel tizio non fosse entrato per sbaglio nel suo laboratorio ma stesse cercando proprio lei.

-Sì, sono io. Di cosa ha bi...- ammutolì, correggendosi con prontezza prima di tirarsi la zappa sui piedi come al suo solito -Perché le interessa?-

Quello allora increspò le labbra in una smorfia, grattandosi il dorso del suo lungo ed ingombrante naso.

-Ecco... dovrei effettuare un controllo in obitorio, ma la porta era chiusa a chiave e non sono riuscito ad entrare. Sarebbe così gentile da venire ad aprirmela?- azzardò, strizzandole l'occhio -Ho letto all'ingresso che è lei la responsabile.-

A quell'insolita richiesta tutta la bendisposizione che Molly aveva sentito per lui svanì all'istante, sostituita dal sospetto e da una punta di ostilità.

-Veramente l'accesso sarebbe riservato al solo personale.- obiettò, omettendo però di precisare quanto spesso fosse esteso anche agli amici della responsabile in questione -Per cui temo di non poterla accontentare, signor...?-

-Ha ragione, che maleducato. Non mi sono presentato... Piacere, sono il Dottore.- le rivelò, abbozzando un inchino decisamente plateale.

Molly inarcò un sopracciglio, insoddisfatta da quelle credenziali pretestuose e supponenti.

-Dottore di cosa, mi scusi?-

La bocca del suddetto dottore si piegò nuovamente in una smorfia esagerata.

-Diciamo che sono specializzato nella risoluzione di problemi vari ed eventuali... Generalmente piuttosto gravi. Ed urgenti. Molto urgenti, proprio come quello di cui mi sto occupando ora. Per cui, potrebbe accontentarmi e farmi questo piacere?-

La patologa represse uno sbuffo esasperato. Che cos'aveva fatto di male nella sua vita, per calamitare su di sé unicamente le attenzioni di uomini assillanti con il gusto del macabro? Probabilmente scelto la professione sbagliata, ok... Però, si era appena promessa di smetterla di permettere al mondo di usarla come uno zerbino, e non avrebbe di certo ceduto così, con il primo di passaggio. Per quanto carino e gentile, quel tizio aveva davvero scelto il momento sbagliato per chiederle un favore perché, ad iniziare da quella sera, Molly Hooper sarebbe stata una donna nuova...

Una donna molto, ma molto irremovibile.

-Come le ho già spiegato, l'accesso è riservato...-

-Al personale, sì.- la interruppe, avvicinandosi a lei ed estraendo dalla tasca interna della giacca un portadocumenti, che provvide ad aprire e a mostrarle con una sicurezza non troppo diversa da quella che avrebbe ostentato Greg nell'esibire il proprio distintivo.

Molly squadrò perplessa quello che aveva tutta l'aria d'essere un badge di riconoscimento del Bart's, con tanto di dicitura a confermarle che si trovava al cospetto di un certo “Dott. John Smith, risolutore di problemi”. E, per quanto si trattasse di una competenza alquanto inusuale e quello potesse benissimo essere un documento falso, stranamente non riuscì a trovare nulla da ridire al riguardo. Osservò la foto identificativa e la confrontò con il volto dell'uomo che si ritrovava ad un palmo di naso, riconoscendo che si trattava proprio della stessa persona. D'altronde, aveva dei lineamenti fin troppo caratteristici per potersi sbagliare: tratti spigolosi, zigomi molto pronunciati ed infine una fronte decisamente spaziosa, messa in bella mostra da capelli pettinati a lato in un ciuffo impertinente che pareva sfidare la forza di gravità. Ciononostante, osservarlo le ingenerò di nuovo una forte sensazione di déjà vu, benché questa volta l'associazione con un consulente investigativo a lei ben noto risultò assai più breve della precedente, quasi evanescente. Il suo viso ricordava indubbiamente quello di Sherlock, ma non era affatto affilato da un'espressione tesa, indurita: era morbido, sereno. E poi aveva un sorriso così gentile, una voce talmente calda e rassicurante da rendere assolutamente impossibile qualsivoglia paragone tra i due.

O forse era lei ad essere eccessivamente ingenua, e a vedere sempre nelle persone più buono di quanto in realtà ce ne fosse.

Inoltre, di certo a causa della prolungata frequentazione del detective più sospettoso e paranoico dell'Universo, parte di lei continuava a nutrire ancora più di una riserva sul suo conto.

-Perdoni la mia perplessità, ma è la prima volta che la vedo, dottor Smith.- considerò con scetticismo.

Lui spazzò via le sue insinuazioni con una buffa e scoordinata alzata di spalle.

-Appena trasferito.- replicò senza batter ciglia -Comunque, mi chiami solo Dottore, come fanno tutti... E' molto più univoco.-

Univoco per i suoi pazienti, forse...

-E va bene, signor... Dottore.- sospirò rassegnata, ma per nulla arrendevole -Comunque, temo che dovrà aspettare il mio turno di domattina per entrare in obitorio. Adesso non sono in servizio, e per di più sono già impegnata con un'analisi molto urgente.-

Lui però strinse le labbra e scosse la testa con fermezza ancora maggiore della sua.

-Domattina? Non se ne parla proprio!- sbottò -Dobbiamo intervenire subito!-

E, detto questo, allungò repentino una mano sul vetrino che stava analizzando, lo tolse dal supporto e, prima ancora che Molly potesse realizzare le sue intenzioni e dunque fermarlo, se lo portò alle labbra per... leccarlo.

Quel tizio aveva appena leccato il suo unico, preziosissimo campione.

-Che cos'ha fatto?!?- esclamò, coprendosi inorridita la bocca con le mani -C'era sopra una dose di veleno!-

A quella notizia però il Dottore non fece una piega, anzi assaggiò nuovamente il vetrino con fare meditabondo.

-Oh, non si preoccupi, non era poi molto... Inoltre, il mio stomaco può digerire questo ed altro.- la tranquillizzò.

Ma Molly non si tranquillizzò affatto a quell'inconcepibile incoscienza, e prese a boccheggiare sempre più nel panico.

-Ma... mi serviva!- protestò -Mi spiega che le è saltato in mente?!? Come faccio a concludere le mie analisi, ora?-

Non sarebbe mai riuscita ad isolarne dell'altro, di certo non abbastanza rapidamente... Era meglio che rinunciasse al tentativo di redigere per tempo il referto che Sherlock le aveva chiesto e iniziasse a concentrare i suoi sforzi nella ricerca di una scusa plausibile per il suo insuccesso. Se avesse tentato di giustificarsi dicendogli che il suo campione se l'era mangiato un collega non le avrebbe mai creduto, poco ma sicuro. Anzi, verosimilmente l'avrebbe uccisa.

Quel pazzoide però non sembrava affatto curarsi della sua morte imminente perché, dall'ampio sorriso sfacciato che osò rivolgerle, si poteva ben intendere quanto invece fosse soddisfatto del proprio operato.

-Naaa, tanto non le serve più. Ci ho già pensato io ad analizzarlo per lei: dal sapore delle sue due molecole proteiche posso dire senza ombra di dubbio che si tratta di Haditoxin, presenza caratteristica nel veleno del cobra reale... Si fidi, le mie papille gustative sono molto più precise di quella sottospecie di microscopio che ha in dotazione.- osservò, rivolgendo un'occhiata di sdegno alla sua attrezzatura -No, sul serio, non so come fa a lavorare con quell'affare, è peggio di quello che mi hanno regalato come giocattolo per il mio quarto compleanno... Almeno quello era ad onde soniche. E dopo qualche modifica riusciva persino a isolare le componenti di qualunque sostanza, materia oscura compresa... Ah, quante soddisfazioni che mi ha dato! Che bei tempi!- esclamò con sguardo sognante, per poi sbattere le palpebre e ritornare su di lei con fare più serio -Vabbeh, non è il momento di perdersi troppo in ciance. Forza, prenda nota di quanto le ho detto, la smetta di accampare scuse e venga con me!-

Molly però non mosse un solo muscolo, travolta e sconcertata da quell'assurdo monologo senza capo né coda, e continuò a fissarlo con gli occhi sgranati. Quel tizio era matto da legare... Ma, proprio per quello, forse era più saggio assecondarlo per levarselo di torno il prima possibile. Anche se questo significava mandare a monte tutti i suoi buoni propositi... Temeva che non sarebbe riuscita a rispettarli a lungo, ma non si aspettava di capitolare così rapidamente. Non con una persona che non fosse Sherlock Holmes, almeno.

-E va bene...- sospirò estenuata -Ma l'avverto che non posso trattenermi con lei più di tanto, ho un appuntamento tra mezz'ora con un'altra persona.-

-Stia tranquilla, le do la mia parola che la riporterò indietro per tempo!- le assicurò il Dottore con un sorriso a trentadue denti.

Molly gli scoccò un'occhiata obliqua, scosse la testa sconfortata, infine lo precedette fuori dal laboratorio e lungo il corridoio, facendogli strada.

-Non ho ancora capito la ragione per cui ci tiene tanto ad accedere all'obitorio.- gli disse ad un tratto, cercando di non far troppo caso al modo snervante con cui le stava trotterellando al seguito.

-Beh, in tutta onestà è perché ho il forte sospetto che sia stato infettato da una presenza aliena.-

Rallentò il passo, voltandosi verso il suo sempre più incomprensibile nuovo collega.

-Eh?- fece, sbattendo le palpebre -Intende un virus?-

Eppure, se tra i cadaveri attualmente ospitati presso la loro struttura ci fosse stato un corpo potenzialmente fonte di contagio, lei l'avrebbe saputo...

Il Dottore però evitò il suo sguardo, fissò qualcosa oltre la sua spalla e deglutì a disagio.

-No, intendo quello.- balbettò, puntando un dito dietro di lei.

Fu così che Molly fu costretta a voltarsi e ad incrociare lo sguardo con le vuote cavità orbitali di uno scheletro appena sbucato in fondo al corridoio.

Dunque chiuse gli occhi, trasse un bel respiro... ma quando li riaprì dovette riconoscere con se stessa che no, non si era confusa con un manichino anatomico: era proprio uno scheletro umano e, caratteristica assai più preoccupante, tutt'altro che inanimato.

-Ok, cerchiamo di mantenere la calma...- le sussurrò piano il Dottore.

Ma quell'essere non esitò a puntarli e ad avanzare verso di loro con uno scatto decisamente stupefacente data la sua assoluta mancanza di muscolatura e, soprattutto, con aria inequivocabilmente ostile. Così Molly decise di ignorare il consiglio ricevuto, cacciò uno strillo spaventato e prese a correre all'impazzata nella direzione opposta.

Subito dopo ebbe la conferma di non aver affatto avuto una cattiva idea, perché il Dottore la superò a velocità a dir poco supersonica gridandole di correre e di mettersi insieme a lui al riparo nella prima stanza disponibile in cui provvide a fiondarsi. Seguì senza esitazioni il suo esempio, richiuse la porta alle loro spalle con un botto e quante più mandate possibili, sprangarono l'ingresso spingendovi contro un tavolo ed infine arretrarono fino alla parete opposta, su cui si accasciarono fianco a fianco, cercando di recuperare il fiato.

-Che... accidenti... era... quello?!?- ansimò, portandosi una mano al cuore ormai a rischio di infarto.

-Non ne ho la minima idea.- le rispose in modo davvero molto rassicurante il Dottore -Ma è proprio quello che mi piacerebbe scoprire...-

E con tutta probabilità l'avrebbe scoperto presto, poiché non fece in tempo a concludere la frase che Molly vide, con orrore, che il loro inseguitore aveva piegato la maniglia dall'esterno fino a spezzarla.

-A me invece piacerebbe sopravvivere.- gli confessò, deglutendo.

Anche se le probabilità di riuscire nell'intento non erano molte, e crollarono a picco quando l'essere scheletrico riuscì a sfondare la porta e a sgombrarsi il cammino dalla fragile barricata che li stava separando. Al che, con incredibile coraggio o, meglio, incoscienza, il Dottore decise di fronteggiarlo armato con nulla più che una specie di penna a sfera, che al suo comando si accese con una luce blu e un sonoro ronzio. Fastidioso, considerò la patologa, ma probabilmente non per un essere senza occhi e senza orecchie.

-Ti avverto, non provare a fare un solo passo o...- provò ad intimidirlo.

Tuttavia non ebbe modo di concludere la sua minaccia, perché la patologa fu ben più decisa: in quella stanza c'erano deterrenti migliori, dopotutto. Così agguantò sollecita una provetta da uno scaffale e la scagliò addosso allo scheletro prima che avesse modo di assalirli. Con sua sorpresa riuscì a mandarla a segno, e in rapida successione la vide andare in frantumi nell'impatto, liberare la sostanza al suo interno e corrodere senza fatica le ossa colpite. Quanto alle altre, private del loro supporto, caddero a terra e si sparpagliarono in giro rotolando, apparentemente per inerzia.

Trattennero entrambi il respiro per una decina di secondi, il tempo di rassicurarsi che sarebbero rimaste inanimate, dunque si concessero un sospiro di sollievo. Solo allora il Dottore trovò il coraggio di rompere il silenzio, ridacchiando allegramente.

-Ottimo lavoro! Di solito io preferisco tentare prima un approccio non violento ma... ammetto che il tuo è stato ben più efficace.- si congratulò, tirandole una pacca sulle spalle -Che cosa gli hai lanciato?-

Non essendo affatto abituata alle lusinghe, nel sentirsi rivolgere dei complimenti così entusiasti e sinceri la patologa avvampò dell'imbarazzo. Provò a nasconderlo abbassando con fare modesto lo sguardo, seppur tradendo il proprio intimo compiacimento con un sorriso.

-Acido solforico.- gli rivelò.

Il Dottore allora si fece più serio ed annuì comprensivo.

-Spero che tu ne abbia dell'altro a disposizione, perché ce ne servirà parecchio.- le disse, anticipandole così che li attendeva una serata molto più lunga e movimentata di quanto si fosse inizialmente aspettata.

 

* * *

 

Quello era indubbiamente il suo momento preferito.

Se non avesse avuto la tendenza ad affezionarsi alle proprie compagne di viaggio più rapidamente ed intensamente di quanto fosse nelle sue intenzioni originarie e di quanto sulle prime potesse persino accorgersi, avrebbe di certo ceduto alla tentazione di cambiarle più spesso per potersi godere le buffe reazioni degli umani al loro primo ingresso nella TARDIS.

Al di là dell'incredibile somiglianza fisica che li accomunava ai Signori del Tempo e dell'invidiabile intensità e profondità della loro variegata sfera emotiva, se la sua scelta ricadeva sempre su un abitante del pianeta Terra era proprio per quell'abilità che non aveva mai ravvisato in nessun'altra razza: quella di meravigliarsi. In loro c'era quel perfetto equilibrio tra razionalità e fantasia che gli permette, di fronte a fenomeni nuovi ed inimmaginati, di stupirsene senza però metterne in dubbio l'effettivo manifestarsi, contrariamente ad altri popoli più evoluti che invece avrebbero sminuito con sufficienza la bellezza dei luoghi che avrebbe potuto mostrar loro, o di quelli più primitivi che, in quanto tali, non avrebbero vantato sufficiente intelletto per apprezzarla appieno. Invece, superate le riserve iniziali, gli umani davano prova di una curiosità e di un entusiasmo quasi pari ai suoi, e a dir poco contagiosi in quegli occasionali periodi di noia e indolenza in cui anche la sua movimentata e variegata vita da Signore del Tempo non riusciva a stimolarlo più di tanto.

Dunque, il Dottore si appoggiò compiaciuto alla plancia di comando, godendosi lo spettacolo della giovane Molly Hooper, patologa da poco iniziata ai viaggi spazio-temporali, boccheggiare sulla soglia della sua navicella, per poi entrarvi con timida cautela una volta che, assistito al suo ingresso, ebbe la prova tangibile che sì, quello che vedeva al suo interno era davvero uno spazio tridimensionale. Solo allora prese ad avanzare lungo il corridoio, le mani tese davanti a sé come se temesse di poter sbattere contro un muro invisibile, la testa sollevata in contemplazione delle luci sul soffitto e delle colonne al plasma.

Un po' troppo sollevata, forse, perché quasi rischiò di inciampare nei suoi stessi piedi.

Evitò la caduta aggrappandosi al corrimano, che al tocco squadrò con gli occhi sbarrati neanche si trattasse del più sofisticato ritrovato di tecnologia aliena presente in quell'ambiente, per poi riprendersi ed iniziare a raggiungerlo al centro della TARDIS con maggiore sicurezza, ma senza abbandonare quel suo adorabile sguardo da cucciolo intimidito. Fece un giro esplorativo sfiorando il perimetro della plancia e si portò una mano alle labbra, in una contemplazione così pensosa della sua meccanica inafferabilmente complessa che riuscì persino a strappargli un sorriso. Benché di capacità limitata, un comportamento analitico era proprio quello che si aspettava da una mente scientifica quale la sua. Tuttavia, per quanto potesse sforzarsi di catalogare visivamente ciò che le stava attorno, non sarebbe mai riuscita ad apprezzarne da sola l'effettiva natura e potenzialità, per cui rimase in attesa del momento in cui la giovane dottoressa avrebbe infine gettato la spugna per chiedere delucidazioni all'unica fonte di informazioni senziente a lei disponibile.

In vista di quest'imminente attenzione sulla propria persona, il Dottore assunse una pomposa posa plastica e si aggiustò il farfallino, non troppo diversamente da come avrebbe fatto un agente immobiliare fiero di mostrare alla clientela il migliore degli appartamenti che offriva in vendita. E non aveva nemmeno avuto ancora modo di sbalordirla con le funzioni degli elettrodomestici, o con la dimensione smisurata dell'intero complesso! O con la piscina, che per una qualche strana ragione esercitava sempre sugli esseri umani un'attrattiva che lui proprio non riusciva a comprendere, quando oltre la porta accanto ci si poteva invece perdere nei meandri di una delle biblioteche più fornite dell'intero Universo. Chiaramente, come qualsiasi uomo d'affari che si rispetti, si sarebbe però ben guardato dal rivelare alla sua potenziale acquirente che lo splendore su cui stava posando gli occhi non era esente da difetti... e che, se ne offriva l'utilizzo al prezzo stracciato di un po' di tempo e compagnia, né più né meno di quanto avrebbe potuto chiedere un triste e solitario vecchietto confinato in un ospizio, era perché, nell'impalpabile contratto che avrebbe tacitamente firmato col primo imbarco, c'era pur sempre una clausola nascosta. O, meglio, la piccolissima controindicazione che la TARDIS induce con i suoi viaggi una grave dipendenza alquanto ardua da sradicare, ma soprattutto che tende a scegliere come destinazioni gli angoli più inospitali dello spazio conosciuto e non, o, comunque, ad atterrare in periodi storici animati dalle presenze aliene più pericolose... Ma, ehi, è proprio questo il bello dell'avventura, per cui non vedeva perché rovinar subito la sorpresa alla dolce Molly Hooper.

Finalmente, proprio quando gli sembrava di non poter più reggere oltre l'attesa, la giovane in questione si rivolse direttamente a lui per manifestargli tutto il suo stupore.

-Perché?- si sentì chiedere timidamente.

-Perché è più grande all'interno?- le ammiccò compiaciuto -Beh, semplice: tecnologia gallifreyana. Non hai idea di quanti popoli abbiano tentato di imitarla e continuino a copiarla, ma il brevetto dell'invenzione rimane un segreto noto solo a noi Signori del Tempo e...-

Molly però mise le mani avanti, interrompendo una spiegazione che altrimenti sarebbe stata tanto accorata quanto prolissa.

-No, non mi riferivo a quello.- si affrettò precisare -Intendevo... Perché io? Perché, con tutte le altre persone che potevi scegliere, vuoi che sia proprio io ad accompagnarti?-

Il Dottore sbatté un paio di volte le palpebre, interdetto, poi richiuse la bocca rimasta semiaperta e le sorrise dolcemente.

-Perché sei speciale, Molly Hooper.- le rivelò con ovvietà.

Lei però non parve appagata dalla spiegazione, anzi aggrottò le sopracciglia in un moto di disappunto.

-No, invece. Io non sono nessuno: al mondo c'è tantissima gente molto più intelligente e importante di me...-

Sospirò esasperato, scuotendo la testa. Gli sembrava di aver ripetuto quel discorso all'infinito ormai, ma ogni volta era sempre la stessa storia...

-Bada, non una parola di più. Anzi, vedi di rimangiarti subito tutte queste idiozie, ok?- le ingiunse perentorio, puntandole con insistenza l'indice contro quella sua zucca vuota di autostima -Non è una mia opinione, tu sei oggettivamente speciale. Ognuno lo è, a modo suo, perché ognuno è unico ed irripetibile... Perciò, posso assicurarti che, per quanto possa viaggiare nel tempo e nello spazio, non troverò mai un'altra Molly dolce e gentile come te. Inoltre, sappi che sei ben più intelligente e coraggiosa di quanto credi: non è da tutti avere quotidianamente a che fare con dei cadaveri, né salvare Londra da un'invasione aliena! Dunque, sei abbastanza stramba da poter stare senza problemi al mio seguito...- concluse, facendole l'occhiolino.

Lei allora abbozzò un sorriso, stringendosi nelle spalle con fare imbarazzato.

-Beh, grazie... credo.-

Rallegrato, batté le mani per dichiarare felicemente chiusa la questione e per passare ad un'altra a suo parere ben più eccitante.

-Bene, allora permettimi di darti il benvenuto a bordo da parte mia e della TARDIS!- esclamò allegramente -Forza, esprimi un desiderio: dove e quando ti piacerebbe andare, adesso?-

La dottoressa Hooper però non rispose subito, si portò incerta una mano alle labbra e sollevò lo sguardo pensosa.

-Ecco...- mormorò piano -Mi piacerebbe conoscere Marie Curie, in effetti...-

Gran parte dell'entusiasmo del Signore del Tempo andò rapidamente disperso.

-Marie Curie? Seriamente?!?-

-Beh, l'ammiro molto.- affermò decisa, difendendo la propria scelta imbarazzata ma comunque a testa alta -Quand'ero al liceo ho dovuto scrivere su di lei un saggio, e in un certo senso è stato proprio grazie a quella ricerca se poi mi sono convinta ad iscrivermi alla facoltà di Medicina...-

-Sì, ok, apprezzo questa tua manifestazione d'orgoglio femminista... Però, insomma, prova a pensare un po' più in grande! Usa la fantasia, possiamo andare in qualunque epoca e in qualunque posto dell'Universo!-

-Mmm... Possiamo anche assistere al Big Bang?- provò allora ad azzardare lei.

A una simile proposta il Dottore sgranò gli occhi spaventato.

-Ehi, piano, così è decisamente troppo in grande! La TARDIS è resistente, sì, ma non indistruttibile!-

 

* * *

 

Dopo aver stretto la mano a Marie Curie, rischiato di diventare la settima moglie decapitata da Enrico VIII, scoperto la tomba di Tutankhamon ma soprattutto le origini aliene della sua maledizione, e da ultimo sventato l'invasione Dalek di un paio di galassie, Molly Hooper decise che era giunto il momento di tornare a casa per godersi un po' di meritato riposo e riprendersi da quella sbornia spazio-temporale, più che soddisfatta di essersi lasciata convincere a trascorrere il sabato sera fuori dal suo laboratorio e, ancor più, di aver fatto la conoscenza di un uomo non solo davvero fantastico ma addirittura abbastanza interessato a lei da arrivare a chiederle un secondo appuntamento.

Tuttavia, come rimise piede nella Londra del XXI secolo, il suo cellulare trillò al tardivo arrivo di un sms tanto breve quanto scocciato, e la cui lettura fece svanire all'istante il sorriso dalle labbra della patologa.

-Oh, no... Sherlock!- gemette disperata, battendosi una mano sulla fronte -Mi sono completamente dimenticata di lui! Ti prego, puoi riportarmi indietro a ieri sera, al Bart's? Gli avevo promesso di incontrarlo alle 10...-

-Posso, ma non per quell'ora.- le disse il Dottore, scuotendo la testa dispiaciuto -Anche noi eravamo lì, ricordi? Rischieresti di incontrare te stessa e, credimi, meglio evitare simili sovrapposizioni temporali...-

Diceva così perché non aveva mai dovuto affrontare l'ira di Sherlock Holmes, meditò tra sé Molly con un sospiro sconsolato. Tuttavia, grazie a lui era comunque riuscita a concludere le analisi che le aveva chiesto, e poteva anche fargliele avere per tempo assieme alle sue scuse... Dunque, scroccò un passaggio alla TARDIS per recuperare il necessario e recapitarlo al 221b di Baker Street nelle cortesi ed accoglienti mani di Mrs Hudson.

-Che cos'era quell'oggetto strano che hai tirato fuori da lì?- le domandò al suo ritorno il Dottore, riferendosi perplesso al contenuto del sacchetto che ancora reggeva in mano.

Non le riuscì di trattenere una risatina divertita.

-Oh, era solo un muffin ai mirtilli! E' la mia specialità, vuoi assaggiare?- gli propose, cedendogli con un sorriso quello che si era tenuta da parte per sé.

Lui allora accettò incuriosito il dolce, se lo rigirò tra le mani, l'annusò non senza una certa diffidenza ma alla fine si decise a prenderne un morso. Tuttavia non riuscì a deglutire quel boccone, perché, nonostante i suoi sforzi, venne colpito da un violento attacco di tosse che lo costrinse a sputarlo all'istante.

-No, dico, volevi avvelenarmi?!?- esclamò paonazzo, cercando di togliersi il sapore dalla lingua con una smorfia schifata -Che diamine ci hai messo dentro?-

Se Molly non si offese, sorvolando sulle sue maniere per nulla educate ed astenendosi dal rinfacciargli di aver avuto una reazione decisamente melodrammatica per uno che si vantava di poter ingerire senza problemi qualunque tossina, fu solo perché le aveva fatto sorgere l'atroce dubbio di aver scambiato lo zucchero con il sale durante la preparazione. Il che avrebbe rappresentato un errore tanto imbarazzante quanto inopportuno, perché avrebbe reso il suo tentativo di farsi perdonare da Sherlock non solo inefficace ma addirittura controproducente...

Inorridita da questo pensiero, riprese il muffin dalle mani dell'amico per verificare di persona quanto fosse immangiabile. E lei nei guai. Ma, dopo un'attenta analisi, non riuscì ad individuarvi il benché minimo difetto.

-Io non ci trovo nulla di strano.- osservò quindi, molto più tranquilla e sollevata.

Il Dottore, però, non cessò di fissare il suo operato con un'espressione di profondo disgusto.

-Ma... è così... così... dolce!- si lamentò.

Pertanto, non appena ebbe modo di sfornare altri muffin, Molly si premurò di prepararne anche uno in più tutto per lui. Appositamente ed abbondantemente salato.

 

* * *

 

Il Dottore scrutò diffidente il muffin ai mirtilli che Molly gli stava porgendo con fin troppa premura, benché già solo il suo irresistibile profumo fosse riuscito a fargli venire l'acquolina in bocca. Per questo lo prese comunque e l'addentò con gusto, nonostante l'espressione titubante e timorosa che la giovane aveva dipinta in viso fosse abbastanza preoccupante da rovinargli il sapore con il retrogusto amaro tipico dei cattivi presentimenti.

-Di cosa stai cercando di farti perdonare, Molly Hooper?- le bofonchiò pertanto a bocca ancora piena, ma con un tono comunque sufficientemente autorevole.

Lei si mordicchiò le labbra, fissando vergognosa i propri piedi su cui spostò, alternativamente, il proprio peso.

-Ehm... Hai presente quello studente di medicina che abbiamo conosciuto l'ultima volta, all'università di Edimburgo?-

Deglutì per risponderle, ma non prima di aver emesso un sonoro sbuffo contrariato.

-Come dimenticare quell'odioso saputello.- sbottò a quel ricordo molesto -Alfred, giusto?-

-Arthur.- lo corresse Molly, che invece aveva preso quel ragazzo fin troppo in simpatia e, soprattutto, gli aveva dato fin troppa confidenza, con la spiacevole conseguenza che poi il suddetto Alphonse... Arthur, quello che è, si era attaccato al loro seguito peggio di una cozza alfacentauriana.

-Non è rilevante, non fornirmi informazioni che non m'interessano.- la liquidò con un gesto di sufficienza -Dunque?-

-Dunque, possiamo fare ancora una piccola tappa nel 1877? Ci terrei a parlare con lui un'altra volta...-

L'espressione del Dottore si corrucciò nel modo più significativo consentito dall'ampiezza della sua fronte.

-A parte il fatto che non ci tengo proprio a sobbarcarmi di nuovo il dispiacere della sua assillante compagnia, non possiamo. Ormai abbiamo creato un punto fisso nella linea spazio-temporale, che peccato...- le spiegò, senza nemmeno sforzarsi troppo di fingere rammarico.

Molly però non sembrò voler desistere da quell'assurda richiesta.

-Lo so, ma non volevo tornare proprio in quel momento, giusto poco dopo...-

Scosse la testa sconsolato. Quella ragazza era perspicace nel comprendere il meccanismo dei paradossi temporali quanto testarda nelle sue fissazioni. Non era mai fastidiosa o insistente, ma se puntava i piedi non c'era davvero verso di smuoverla. Ma, in fondo, era proprio per quella sua stupefacente abilità nel tenergli testa pur senza perdere il dovuto timore reverenziale che apprezzava il carattere fermamente gentile della patologa. Tutto merito dell'addestramento continuo offertole da quel detective che tanto amava perseguitarla, supponeva.

-Continuo a non vederne la ragione, quando invece potrei portarti sulle cascate d'argento del Nilon o nelle stupende foreste pluviali su Euterpe...- tentò di dissuaderla con le prime, ben più allettanti proposte che gli sovvennero alla mente.

-Dopo, molto volentieri. Ma prima devo assolutamente rimediare a un errore... O almeno provarci.- gli annunciò caparbia.

All'improvviso, nella testa del Signore del Tempo si accese un sonoro campanello d'allarme.

-Quale errore?-

La giovane dottoressa abbassò gli occhi arrossendo, permettendo così alla sua coda di cavallo di scivolarle sulle spalle e alle sue dita di afferrare una ciocca di capelli da tormentare.

-Ecco... temo di aver involontariamente influenzato Arthur raccontandogli un po' troppi dettagli della mia vita, perché ho scoperto che non è affatto diventato un medico come desiderava tanto...-

Il Dottore a quell'ingenua preoccupazione non poté fare a meno di sorridere.

-Perché, l'hai convinto a fare il patologo?- scherzò divertito.

Molly però non dismise la sua aria contrita, anzi deglutì con fare ancora più colpevole.

-Non esattamente...- replicò in un tenue pigolio.

Dunque estrasse dalla borsa un voluminoso tomo, che sollevò davanti al viso per nascondergli le guance ormai paonazze e permettergli di leggerne l'autore ma, prima ancora, l'inatteso titolo luccicante:

Le avventure di Sherlock Holmes”, di Sir Arthur Conan Doyle.

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Capitolo 3
*** The impossible blue box ***


III - The impossible blue box

 

Sherlock Holmes is a human that longs to be a god,
The Doctor is a god that longs to be a human.”

- Steven Moffat

 

Aveva davvero bisogno urgente di caffè. Un litro di caffè. Versato direttamente in endovena.

Tuttavia non possedeva più monetine da inserire nella macchinetta, e comunque ne aveva già bevuto così tanto durante la giornata che sarebbe bastata una sola goccia per mandarla in overdose da caffeina. O quantomeno in ipertensione. Per cui, doveva trovare un altro modo per tenersi sveglia, o non sarebbe mai sopravvissuta al turno di notte...

Le palpebre le caddero involontariamente sugli occhi, così pesanti che Molly dovette dar fondo a tutta la sua forza di volontà per riaprirli e ritornare sul corpo che stava sezionando. A causa della sonnolenza abbastanza maldestramente, ma uno dei pochi vantaggi della sua professione era proprio che in caso d'errore l'interessato non sarebbe stato in grado di sporgere nessuna lamentela. Comunque, quella era una consolazione troppo magra per poter ignorare quanto la stanchezza accumulata la stesse rendendo sempre più inconcludente sul lavoro. Per non dire narcolettica, visto che già un paio di volte aveva finito per assopirsi nelle posizioni più improbabili, fortunatamente solo quando nei paraggi non c'era nessuno abbastanza vivo da potersene accorgere.

Sospirò sconsolata. Si era sempre crogiolata nell'autocommiserazione lamentando che non le succedeva mai nulla di entusiasmante, ed ora si ritrovava paradossalmente a vivere talmente tante esperienze al limite dell'impossibile da risultarne travolta. O, meglio, fisicamente stravolta. I primi tempi l'entusiasmo e l'adrenalina avevano aiutato a tenerla in piedi ma poi, trascorsa una settimana per lei della durata effettiva di quasi un mese, aveva iniziato a risentire seriamente delle troppe ore di sonno mancate. Perché sì, ogni viaggio sulla TARDIS era così strabiliante che quando riatterrava a Londra si domandava sempre se non si fosse trattato solo di un sogno, ma se così fosse stato non si sarebbe ricordata tutto quello che le era capitato nei minimi dettagli, e soprattutto non sarebbe stata così esausta al suo risveglio. Certo, a forza di scappare a gambe levate dal mostro alieno di turno si era conquistata una velocità e una resistenza nella corsa a dir poco invidiabili, permettendole di risparmiare sull'abbonamento in palestra e di vincere la sua pigrizia nel frequentarla, ma a lei interessava soltanto tenersi un po' in forma, non allenarsi per le Olimpiadi! E tra le visite del Dottore passava davvero troppo poco perché i suoi muscoli riuscissero a smaltire per tempo tutto l'acido lattico accumulato...

Sia chiaro, non intendeva certo lamentarsi, né si era mai pentita di un solo viaggio sulla TARDIS o intendeva rinunciarvi, ma... se non avesse trovato in fretta un modo per conciliare la sua doppia vita presto o tardi le sarebbe venuto un esaurimento nervoso. Era riuscita a prevenire comparsate inopportune del Dottore chiedendogli quantomeno di avvisarla in anticipo del suo arrivo, ma rimaneva comunque più improvviso e ingestibile di una mina vagante...

E, come volevasi dimostrare, non fece in tempo a rimettere piede in laboratorio che il suo nuovo cellulare blu TARDIS attaccò a suonare insistentemente. Gli rispose rassegnata, ma almeno riuscì a strappare al Dottore il compromesso che passasse a prenderla sotto casa solo a fine giornata. Prima doveva concludere il suo turno, dar da mangiare a Toby e andare a comprarsi qualcosa che potesse riempirle sia il frigo che lo stomaco. Inoltre, non le sarebbe dispiaciuto affatto poter schiacciare un pisolino, giusto per qualche ora. Anzi, era proprio quello cui mirava.

La giustizia non dorme mai, ma lei non aveva i superpoteri.

 

* * *

 

Giovedì sera, poco dopo il tramonto. Un'auto imboccò la via, passò davanti alla casa della dottoressa Molly Hooper e svoltò nella prima traversa sul lato opposto della strada, per poi fermarsi docilmente. Il guidatore si premurò di spegnere motore e fari, quindi allungò il braccio verso il retro della vettura.

-Sherlock, potresti...?- domandò infine, dopo essersi divincolato inutilmente.

-Tieni.- borbottò lui, allungandogli un cheeseburger mentre accartocciava i resti di quello che si era appena mangiato.

-Grazie.- rispose John, ma non prima di aver dato un morso al proprio.

Quindi, si apprestò a consumare la sua modesta cena con calma. D'altronde quello era tutto ciò che il suo coinquilino gli aveva accordato dopo che, smanioso di arrivare in tempo per l'appostamento, aveva deciso di sperimentare un nuovo metodo di cottura sul pudding che Mrs Hudson aveva preparato loro, scaldandolo fino a fargli prendere fuoco. Tuttavia, per quanto si stesse sforzando di ignorarne l'inquietudine voltandosi dall'altra parte, l'espressione corrucciata dipinta sul volto del detective risultava evidente persino dal riflesso sul vetro del proprio finestrino.

-Ti prego, Sherlock, rilassati!- lo esortò -E' ancora presto, e comunque le donne non sono mai in orario agli appuntamenti...-

-Infatti non è quello che mi sta dando da pensare.- mormorò lui, continuando a guardare lungo la via.

-Cofa, allofa?- biascicò a bocca piena.

Sherlock gli rivolse un'occhiata di sufficienza.

-Andiamo John. Davvero non noti nulla?-

Scrutò oltre il finestrino dell'amico, perplesso.

-Non mi pare.- ammise -Cioè, c'è quella cabina telefonica dal colore strano, ma non vedo cosa...-

-Fuochino.- lo interruppe Sherlock -Il problema non è il colore, perché quella non è una cabina telefonica. E' una cabina della polizia.-

-Una cosa?-

-Una cabina della polizia.- ripeté il suo amico, spazientito -La usavano negli anni '60 gli agenti per comunicare tra loro, e per imprigionare temporaneamente i criminali colti in flagrante.-

Detto questo, scese rapido dall'auto e prese a dirigersi risoluto verso la cabina incriminata. John sbatté le palpebre, confuso, poi si affrettò ad inseguirlo, senza neanche chiudere a chiave la loro vettura. Ormai era abituato alle innumerevoli manie che colpivano il suo amico nei momenti più improbabili, ma quello era davvero il meno adatto per interessarsi al folklore londinese. Presto Molly sarebbe uscita di casa, per cui sarebbe stato consigliabile rimanere nascosti per non essere colti con le mani nel sacco...

-Sherlock, che cavolo!- ansimò, tirandolo per il Belstaff -Torniamo subito indietro! Vuoi farti beccare?!?-

Lui però non si mosse di un millimetro e continuò a scrutare la struttura davanti a sé come se la stesse passando ai raggi-x.

-No, voglio scoprire che cosa ci fa qui questa cabina.- replicò con il suo usuale fare saccente -In tutta Londra ne rimangono solo otto, in disuso. E l'unica che assomiglia a questa è stata installata di recente, all'esterno della fermata metropolitana della Earl's Court. E' impossibile che ce ne sia un'altra, e che sia sbucata fuori da un giorno all'altro proprio davanti alla casa di Molly!-

John inarcò un sopracciglio. Non sarebbe mai riuscito a comprendere il criterio in base al quale il suo amico selezionava le informazioni da custodire nel suo palazzo mentale, sdegnando quelle più basilari del vivere comune a vantaggio delle nozioni più strambe e che Google avrebbe saputo fornirgli con altrettanta minuzia. Ed attualmente irrilevanti. Stavano cercando di verificare se il nuovo ragazzo di Molly fosse o meno un maniaco psicopatico, non di aggiornare la cartina stradale di Londra!

-E lo devi scoprire proprio ora?!?- provò a protestare.

-Sì.- fu tutto ciò che ottenne in laconica risposta.

Scosse la testa, sospirando. Non c'era davvero verso di farlo ragionare, quando si fissava così... Spostò lo sguardo sulla cabina, cercando di capire cosa ci trovasse di tanto interessante. Effettivamente, in alto capeggiava la dicitura “Police Box - Public Call”, a conferma di quanto il suo amico gli aveva appena raccontato. Si allungò a sfiorarne con la mano una delle pareti, fredda e liscia. Dipinta di un perfetto blu elettrico, e perfettamente normale. Poi gli occhi gli caddero incuriositi sull'avviso affisso in bella mostra sul davanti:

Police telephone
FREE

for use of
PUBLIC
Ice & assistance
obtainable immediatly
Officers and cars respond to all calls
PULL TO OPEN

Anche Sherlock doveva averlo notato, perché afferrò la maniglia laterale e la tirò, svelando un piccolo vano interno e il telefono in questione.

-Dici che è ancora funzionante?- gli domandò incuriosito.

Il suo amico per tutta risposta afferrò il ricevitore e provò a comporre il numero d'emergenza. Rimase in attesa un paio di secondi, poi riattaccò con uno sbuffo.

-No, com'era ovvio.-

Tuttavia, benché non avesse ottenuto nessuna risposta, qualcuno parve aver ricevuto comunque la sua chiamata, perché poco dopo un cigolio li fece sussultare entrambi, accompagnando l'inaspettato socchiudersi di uno dei battenti della cabina.

 

* * *

 

Stava quasi meditando di prendere in seria considerazione l'idea di effettuare un atterraggio dentro all'appartamento della sua nuova, deliziosa ma quel giorno davvero poco puntuale compagna di viaggio, o quantomeno di sollecitarla via messaggio a darsi una mossa prima che finisse per sprecare un ciclo rigenerativo morendo di noia, quand'ecco che un trillo risuonò insistente nella sala di controllo della TARDIS.

Aggrottò la fronte. Non vedeva per quale ragione Molly non fosse entrata e basta, o non avesse semplicemente bussato. Conoscendola, era pronto a giurare che non osasse varcare la soglia di sua iniziativa perché troppo mortificata e timorosa che potesse essersela presa per la sua scarsa puntualità, ma arrivare a citofonare gli sembrava davvero eccessivo. Ok, si era un po' spazientito, ma non l'avrebbe di certo mangiata per un ritardo di appena mezz'ora... Almeno non dopo essersi fatto attendere per la durata record di ben 12 anni.

Scosse la testa con un lieve sorriso, dunque si avviò spedito alla porta pronto per trascinare dentro Molly e farle presente che con lui non aveva bisogno di inscenare simili teatrini né, come avrebbe detto il suo vecchio amico Will, di fare tanto rumore per un nonnulla, ma la sua paternale venne smorzata sul nascere nello scoprire ne che aveva ben due, di visitatori. E, soprattutto, che nessuno di loro assomigliava nemmeno vagamente a chi si aspettava, a cominciare dall'evidente differenza che erano entrambi degli umani di sesso maschile. E, dalle loro reazioni, non fu difficile dedurre che erano stupiti di vederlo quanto lui di vedere loro.

Il primo, quello più basso con l'aria affabile e un po' tonta, confermò quella sua prima impressione strabuzzando gli occhi ed arretrando con un'esclamazione di sorpresa, mentre il secondo, alto quanto lui e dai lineamenti aquilini, rimase fermo, controllato, scrutandolo con occhi rapaci. E abbastanza inquietanti da suggerire al Dottore che non era il caso di invitarlo ad entrare. Anzi, ormai aveva imparato a riconoscere quand'era bersaglio di un atteggiamento ostile, e che in tal caso era quanto mai saggio tenersene ben alla larga.

-Ehilà, salve!- li salutò innocentemente, affrettandosi a nascondere l'interno della TARDIS alla loro vista -Qualche problema?-

-Chi diavolo è, lei?- gli sbottò contro quello più alto -E che diavolo ci fa nascosto qui dentro?!?-

Quell'assalto riuscì a spegnere del tutto il sorriso sulle labbra del Signore del Tempo. Quel tizio era riuscito in un batter d'occhio a superare le già basse aspettative che si era fatto sulla sua simpatia.

-Eh, io...- prese tempo, cercando una valida giustificazione da accampare visto che, considerò, difficilmente con un: “Attento, c'è un Cyberman dietro di te!” sarebbe riuscito a distrarlo abbastanza da sfuggirgli -Sono il dottor Smith, piacere. Mi è stato segnalato un guasto a questa cabina che sto cercando di riparare... Anzi, vi consiglio di allontanarvi da qui, finché non avrò completamente risolto la questione.-

-Balle.- replicò quello a denti stretti -Questa cabina è finta, tanto che dovrebbe trovarsi in un museo, non certo qui!-

-Ha ragione, infatti è stata appena installata su decisione della Soprintendenza per la valorizzazione del patrimonio stradale londinese.- lo contraddisse con il suo miglior tono convincente -Sto solo provvedendo a metterla in sicurezza per renderla visitabile dai turisti.-

Quel bellimbusto però non sembrò affatto convinto, anzi lo fissò con aria ancora più truce.

-Vorrebbe farmi credere che qualcuno ha deciso di montare un'attrazione turistica in un quartiere periferico e residenziale?-

-Esattamente.-

-E che, pur essendo nuova, ha già riportato un guasto?-

-Così pare.-

-A me pare strano... Specialmente perché non esiste nessuna ridicola Soprintendenza per la valorizzazione di quello che si è appena inventato.- lo freddò in un sibilo.

Imprecò tra sé. Ormai riusciva quasi a sentire lo stridio generato dal suo tentativo di arrampicarsi sugli specchi, come l'olio che quel rompiscatole gli stava versando addosso per farlo scivolare più in fretta.

-Non mi sono inventato nulla, glielo posso assicurare!- gesticolò animatamente, sudando freddo -Ecco qua le mie credenziali, guardi!-

Dunque estrasse il suo asso nella manica, sfoggiando sicuro la sua fida carta psichica. Lui però la guardò appena, e subito ritornò a scrutarlo con aria ancora più inferocita.

-Che accidenti ci dovrei vedere, secondo lei?-

Imprecò nuovamente. Quando nemmeno quello aveva effetto, non era mai un buon segno: quel tizio non era per nulla uno stupido... Anzi, aveva appena ottenuto la prova tangibile che era tanto intelligente quanto indisponente.

-Ah, ops...- balbettò, ritrattando subito con una smorfia -Pardon, documento sbagliato!-

-Si sta prendendo gioco di me?- lo fulminò quello, inviperito.

-Ma no, perché dovrei?- ridacchiò, cercando nel mentre una scappatoia e decidendo, saggiamente, di mettersi a giocare sulla difensiva -E comunque, non capisco nemmeno perché mi sta facendo tutte queste domande... Né perché dovrei risponderle. E' forse un poliziotto?-

-No.- gli rispose altezzoso, e con una sonora nota di sdegno -Sono Sherlock Holmes.-

Deglutì, ufficialmente nel panico. Se anche solo un centesimo di quello che Molly gli aveva raccontato era vero, non sarebbe riuscito a liberarsi di lui con tanta facilità. E, purtroppo, si era intrattenuto abbastanza con il famoso detective per capire già che la sua amica non aveva affatto esagerato sul suo conto... Tutt'altro.

 

* * *

 

La sveglia suonò con molesta insistenza per la terza volta, costringendo Molly ad aprire di nuovo gli occhi e ad allungare con un mugugno un braccio per spegnerla definitivamente. Aveva già procrastinato per oltre un quarto d'ora, per cui era giunto il momento che si decidesse ad alzarsi, vestirsi ed uscire di casa. Nemmeno il Dottore era un campione di puntualità, ma conoscendo la sua impazienza ritenne opportuno non aumentare un ritardo già imperdonabile. Anzi, una volta scostate le coperte e raggiunto barcollante il bagno per darsi una sistemata a dei capelli più indisciplinati del solito raccogliendoli in una sempre valida coda di cavallo, ritenne opportuno risparmiare il proprio tempo evitando di cambiarsi. Con il pigiama a fiorellini e la vestaglia di lana aveva le desolanti sembianze di una casalinga disperata, ma tanto era probabile che il Dottore la portasse in un posto dove nessuno vi avrebbe mai badato, o comunque potuto apprezzare la differenza con un abbigliamento normale. Anzi, era verosimile che l'epoca consigliasse di attingere ad uno dei vari travestimenti offerti dalla gigantesca cabina-armadio della TARDIS, per cui la sua sarebbe stata comunque fatica sprecata.

Si bagnò il viso con abbondanza d'acqua gelida, si rivolse determinata al suo riflesso allo specchio al grido di “Forza Molly, ce la puoi fare!”, dunque si avviò decisa verso la porta d'ingresso. Durante il tragitto si accorse però di indossare ancora le sue pantofole a forma di peluche, per cui si fermò, considerò che, suo malgrado, c'era un limite persino all'indecenza e fece dietro-front per mettersi ai piedi quantomeno qualcosa che fosse definibile come paio di scarpe.

Adempiuta anche a quest'ultima incombenza, varcò una volta per tutte la soglia di casa, corse per le scale il più rapidamente possibile ed uscì sulla strada con la circospezione di una ladra, augurandosi di non incrociare nessun condomino o vicino in quelle condizioni. Stava già per cantare vittoria, quando scorse in fondo alla via un gruppetto di persone a lei ahimè fin troppo note, che spazzarono via all'istante tutto il suo ottimismo. Anzi, le diedero conferma della sacrosanta verità della prima legge di Murphy. Probabilmente quel simpaticone l'aveva teorizzata pensando a lei, perché andiamo, quant'erano le probabilità di imbattersi sotto casa nel Dottore e in Sherlock Holmes in un colpo solo?!?

Nessuna, esatto. Non poteva trattarsi di una banale coincidenza, perché se la presenza del primo si poteva giustificare in quanto prevista e concordata, quella del secondo in compagnia della sua fida spalla era davvero troppo sospetta. Tanto sospetta quanto le improvvise e recenti attenzioni di Sherlock per lei... D'altronde lo sapeva bene, che si era calamitata addosso il suo interesse da sola, con il proprio comportamento. Per quanto intelligente non poteva di certo arrivare a dedurre la reale identità della persona che aveva iniziato a frequentare, ma da quando ne aveva scoperto l'esistenza le sue visite al Bart's si erano fatte davvero troppo frequenti per sfuggirgli ed impedirgli di notare qualche stranezza. Né lei era granché abile a mentire, specialmente se sottoposta all'implacabile esame dei suoi occhi di ghiaccio, ed eluderne le domande aveva prodotto come effetto solo quello di alimentare la sua curiosità in modo a dir poco ossessivo. Ma non poteva certo raccontargli una verità che già chiunque avrebbe trovato assurda, figurarsi il detective più scettico e razionale esistente al mondo. Non le avrebbe mai creduto, neanche se fosse sbarcata dalla TARDIS direttamente nel suo salotto. Conoscendolo, sarebbe stato capace di addebitare la sua apparizione ad una visione indotta dall'astinenza alla nicotina...

O forse a quel punto avrebbe anche potuto crederle, ed era proprio quella la prospettiva che la terrorizzava maggiormente. Il tempo di realizzare appieno tutte le potenzialità della TARDIS, e non ci sarebbe più stato verso di farlo scendere da quella che ai suoi occhi sarebbe apparsa come la magica fonte perpetua capace di soddisfare appieno la sua insaziabile sete di conoscenza... Perché, se c'era una certezza nel viaggiare assieme ad un Signore del Tempo, era proprio quella che non si correva mai il rischio di annoiarsi troppo. In altre parole, sarebbe stato come regalare ad un bambino un abbonamento a vita a Disneyland. E, per quanto le sarebbe piaciuto che si aggregasse anche lui alle loro avventure, temeva che dopo averne fatto la brillante conoscenza il Dottore finisse per preferire la compagnia del detective alla sua, o comunque che Sherlock si infatuasse dei viaggi spazio-temporali al punto da perdere ogni interesse per la sua vera vita e, quindi, anche per lei. Insomma, avrebbe perso in un colpo solo gli unici due uomini cui davvero teneva, e sarebbe tornata ad essere la triste, banale Molly Hooper costretta a chiacchierare con dei cadaveri per sfuggire alla solitudine. E lei non voleva proprio ritrovarsi ancora imprigionata in quella vita. Voleva sentirsi speciale, sperimentare esperienze sempre nuove e che la spingessero a tirar fuori il meglio di sé, a scoprirsi una donna forte e sicura come mai avrebbe creduto di poter essere. Perché ogni viaggio con la TARDIS le permetteva non solo di fare la conoscenza di posti inimmaginabili o di personaggi leggendari, ma soprattutto di scoprire sempre una nuova parte di se stessa. Le permetteva di volersi bene. Inoltre, la faceva sentire importante per qualcuno... e Molly desiderava con tutto il cuore che una persona fantastica come il Dottore continuasse a considerarla importante perché, così facendo, la rendeva importante per davvero.

Così, quando vide il suo amico intrappolato tra la TARDIS alle sue spalle e, parati davanti a lui con fare inquisitorio, Sherlock e John, la giovane patologa si paralizzò sul marciapiede, assalita dal panico. Per un attimo temette che i due avessero visto apparire la cabina blu dal nulla, ma poi riuscì a rincuorarsi nell'accorgersi che il Dottore stava disperatamente cercando di liberarsi dei due armato di carta psichica, in apparenza senza sortire grandi risultati. Dunque, la sola dinamica possibile era che con una delle sue stramberie avesse finito per attirare su di sé l'interesse di Sherlock, mentre era intento a farsi una passeggiata assieme al suo miglior amico... proprio lungo la via in cui abitava lei e proprio quando stava per uscire di casa. E dato che di recente il detective aveva iniziato a perseguitarla più della sfortuna, non si sarebbe stupita di scoprire che, pur di raggiungere il suo intento, si era spinto persino a spiarla e a pedinarla nei suoi spostamenti. Anzi, era proprio quello che ci si poteva aspettare da lui... O forse era lei ad essere diventata davvero troppo paranoica, per la paura che potesse scoprire il suo segreto.

Comunque, davvero non poteva permettergli di parlare con il Dottore un minuto di più. Doveva interrompere quell'interrogatorio prima che finisse per tradirsi da solo con la sua lingua lunga... Sì, ma come?

Si appiattì dietro la siepe del giardino, prima che uno di loro si voltasse nella sua direzione, imponendosi di respirare piano e profondamente, per ossigenare il cervello e ritrovare la lucidità necessaria a farsi venire un'idea.

“Forza, Molly, pensa! Se sei riuscita a sconfiggere mostri alieni a decine puoi riuscire a spuntarla anche con Sherlock Holmes, no?”

Teoricamente. Nella pratica, bastava la prospettiva di fronteggiarlo in vestaglia a farla morire dalla vergogna. Sherlock aveva già per lei una considerazione ai minimi storici, non le sembrava affatto il caso di stabilire un nuovo record nella sua personale graduatoria del disprezzo. Non avrebbe mai potuto giustificare perché si trovava fuori dal suo appartamento conciata così, come se...

... come non detto.

Forse aveva appena trovato una soluzione.

 

* * *

 

-Sherlock!-

Il detective impiegò meno di un secondo a riconoscere quella voce, per quanto improvvisa e inaspettata. Tuttavia, lo stupore provato venne subito surclassato dallo sconcerto che lo colpì quando, voltatosi, si ritrovò di fronte all'attesa figura di Molly Hooper abbigliata nella maniera più inattesa possibile. E nemmeno John riuscì a nascondere il suo sbigottimento.

-Molly!- esclamò, sgranando gli occhi -Che ci fai qui... così?!? E' successo qualcosa?-

Il viso della giovane donna, già leggermente arrossato a causa del freddo che si era alzato dopo il tramonto, divenne a dir poco paonazzo. D'altronde, perfino Sherlock si sarebbe sentito quantomeno a disagio nel mostrarsi in pubblico in vestaglia... Con quel pigiama, poco ma sicuro. Per un attimo fu quasi tentato di recuperare il proprio iPhone dal cappotto per approfittare dell'occasione e precostituirsi un più che valido materiale da ricatto.

-Ecco... In effetti sì.- mormorò Molly imbarazzata, stringendosi le spalle -Anzi, stavo proprio venendo da voi per chiedere aiuto.-

-Eh?- fece allora John, sgranando gli occhi e spalancando la bocca nella maniera meno intelligente possibile.

Sherlock invece roteò gli occhi, sbuffando.

-Fammi indovinare.- sbottò, avvicinandosi a lei per analizzarla da capo a piedi e prevenire così le sue inutili e prolisse spiegazioni -Sei relativamente calma e non sento sirene in avvicinamento, per cui escludo che tu sia stata costretta ad uscire in questo stato perché il tuo armadio ha preso fuoco. Inoltre non mi risulta che tu soffra di sonnambulismo, ma anche nel caso di un attacco improvviso non ti saresti di certo premurata d'indossare la vestaglia e tantomeno un paio di scarpe. Dunque hai lasciato l'appartamento di tua spontanea iniziativa, ma non preventivavi di stare fuori di casa a lungo, perché altrimenti avresti avuto il buonsenso e il buongusto di cambiarti. E, se ti trovi ancora qui, significa che non hai potuto rientrarvi. In altre parole, sei scesa per buttare la spazzatura e sei rimasta chiusa fuori come un'idiota.-

Molly piegò le labbra in una smorfia ridicola perfino per i suoi standard, confermandogli così che ci aveva visto giusto. Come sempre.

-Ehm... Già.- ammise, abbassando colpevolmente lo sguardo.

Si concesse un breve sorriso trionfale, ma non troppo. C'era ancora un particolare che continuava a sfuggirgli, e che non riusciva proprio ad afferrare.

-E per quale assurda ragione ritenevi più utile il mio aiuto di quello di un fabbro?- si trovò costretto a chiederle, inarcando un sopracciglio.

Lei allora ritornò a guardarlo, con un'insolita punta di malizia.

-Ecco... Speravo che mi potessi evitare il fastidio di cambiare la serratura portandomi il mazzo di scorta che tengo in laboratorio al Bart's. Hai ancora le chiavi per entrarci, giusto?-

Gli scappò un sospiro sconsolato. Era talmente ovvio che fosse per quello, che si stupì di non esserci arrivato da solo. Per quanto continuasse a considerare più ragionevole chiamare un fabbro dell'attraversare a piedi svariati isolati in pigiama... Ma se Molly Hooper avesse posseduto il dono della ragionevolezza non si sarebbe nemmeno chiusa fuori di casa da sola.

-Sì, purtroppo.- dovette riconoscerle -E va bene, allora vediamo di darci una mossa e andiamo. Non sono certo qui per fare i tuoi comodi!-

Era lì per farsi gli affari suoi, infatti. Tuttavia, sospettava che lei non avrebbe affatto gradito scoprirlo... Anzi, meglio approfittare di quel diversivo per distrarla prima che potesse chieder loro che accidenti ci facevano lì.

Prima ancora che potesse compiere un solo passo in direzione della loro auto, però, lei riprese a parlare, trattenendolo.

-Veramente io preferirei rimanere qui.- si impuntò -Vorrei aspettare una persona che dovrebbe arrivare a momenti, e se non mi trovasse in casa temo potrebbe preoccuparsi molto.-

Sherlock lasciò involontariamente scattare la mascella, infastidito.

-Certo.- sibilò, stringendo gli occhi fin quasi a ridurli a due fessure -Non è il caso di arrecarle un tale disturbo.-

Detto questo, si voltò di scatto per non tradire troppo il proprio nervosismo e soprattutto per affrettarsi a sbrigare il prima possibile quell'incombenza. Così, forse, al loro ritorno sarebbe finalmente riuscito a vedere quello stramaledetto dottore...

-Sherlock, aspetta!- lo richiamò però Molly -Non ti ho spiegato dove tengo le chiavi...!

Il detective non si curò nemmeno di girarsi per risponderle, e continuò a camminare.

-Scrivania. Secondo cassetto a destra, sul fondo.-

In tutta onestà non avrebbe nemmeno saputo dire quando e come aveva acquisito quell'informazione. Forse le aveva intraviste un giorno per caso, mentre ficcanasava in giro. Forse aveva visto la dottoressa riporle in quel posto, o gliel'aveva detto lei stessa... Comunque, non era rilevante. In realtà, nemmeno conoscere dove Molly tenesse le sue chiavi di casa poteva considerarsi degno di rilevanza. O di utilità. Eccettuata quella situazione più che straordinaria, non vedeva proprio perché mai avrebbe dovuto interessargli... Eppure, al suo subconscio era interessato abbastanza da farglielo ricordare. Irrazionalmente, quando avrebbe potuto impiegare l'ampio ma comunque limitato spazio di memoria della sua corteccia cerebrale in modo ben più fruttuoso.

Maledisse mentalmente il proprio subconscio ed incitò con altrettanta foga John affinché si decidesse a seguirlo, cosa che il suo amico fece ma, ovviamente, solo dopo aver salutato Molly con inutile stucchevolezza.

Nulla invece udì da parte del signor Smith, che aveva approfittato dell'arrivo della giovane donna e della loro distrazione per sgattaiolare via, confermandogli così che sì, aveva proprio qualcosa da nascondere. Era pronto a scommetterlo, che quell'imbranato si era appostato dentro quella patetica cabina solo per spiare indisturbato qualcuno in quella via. Forse si trattava di un ladro, probabilmente di un investigatore privato...

Di certo, nessuno abbastanza interessante da meritare ulteriormente la sua attenzione.

 

* * *

 

Alla fine, anche quella sera si era rivelata un buco nell'acqua.

Prima ancora che lui e John potessero raggiungere il Bart's, infatti, aveva ricevuto un contrito sms da parte di Molly che gli annunciava di essere riuscita a rientrare in casa grazie al provvidenziale arrivo di una vicina, ringraziava lo stesso e si scusava del disturbo. E, ovviamente, quando riuscirono a ritornare davanti al suo indirizzo di lei non c'era più traccia, sparita chissà dove in compagnia del suo fantomatico dottore. Una compagnia che si protrasse per tutto il resto della notte, visto che non fece rientro nel suo appartamento prima dell'alba... Presumibilmente nemmeno dopo, ma non ebbe modo di accertarsene a causa delle sempre più insostenibili lamentele di un John che crollava dal sonno e l'implorava di tornare a Baker Street per permettergli di dormire tranquillo, senza il rischio che gli venissero dei crampi muscolari. Ma se Sherlock decise di cedere alle sue insistenze non fu affatto perché anche lui si sentiva stanco, no. Fu perché era stufo. Dannatamente stufo di essere preso in giro. Pertanto, era giunta l'ora che passasse al piano B.

Ovverosia, quello dell'attacco frontale.

Quel mattino stesso si recò battagliero fino al Bart's, varcò con decisione ancora maggiore la porta del laboratorio in cui sapeva trovarsi la dottoressa Hooper, dunque le augurò sorridente il buongiorno porgendole un bicchiere di caffè espresso. Lungo, macchiato e con lo spropositato quantitativo di zucchero che, per qualche ragione, si era ricordato piacerle tanto.

La sua accoglienza però fu molto meno calorosa, perché lo squadrò come un alieno appena sbarcato sul pianeta Terra. Poi richiuse la bocca che aveva socchiuso dallo stupore, sbatté le palpebre, passò in rassegna la sua espressione e il bicchiere che le stava porgendo con diffidenza crescente, dunque si decise a rivolgergli la parola, mutando così la classificazione del loro incontro ravvicinato in uno riconducibile al terzo tipo.

-Buongiorno.- lo salutò guardinga, incrociando le braccia in palese segno di chiusura -A cosa devo tanta premura?-

-Dovevo venire qui al Bart's, lungo il tragitto sono passato davanti a Starbucks e... niente, ho pensato di prenderti qualcosa di caldo.- le spiegò con ovvietà, continuando a porgerle invitante il contenitore.

Lei però continuò a rimanere sospettosa, le labbra serrate e un cipiglio corrucciato.

-Perché?-

-Perché no?-

-Perché non lo fai mai.-

Ignorò la nota di rimprovero misto a risentimento con cui aveva intriso questa considerazione, scacciandola con un'alzata di spalle.

-Vero, ma ultimamente mi hai fatto parecchi favori, per cui ci tenevo a ricambiare. Si dice che sia un gesto piuttosto frequente nelle relazioni interpersonali, sai? E comunque, guarda che non te lo sto offrendo gratis. In cambio, voglio uno dei tuoi muffin. L'ho visto e lo rivendico.- le annunciò perentorio, indicando in un angolo l'ormai ben noto sacchetto in cui soleva conservarli.

Qualcosa di ciò che le aveva detto riuscì a persuaderla che con il suo gesto non nascondeva alcun doppio fine, perché la sua espressione si distese, le baluginò sulle labbra un sorriso subito sedato da un mugugno e le guance le si colorarono con una sfumatura di rossore, che non riuscì a controllare ma solo a nascondergli, tardivamente, dandogli le spalle per andare a recuperare il suo muffin ai mirtilli.

-Grazie, allora.- mormorò piano, quand'ebbero ultimato il loro scambio -Non sai quanto ne avevo bisogno.-

-Sì che lo sapevo.-

Intravide lo sguardo di Molly sollevarsi perplesso su di lui, ma continuò a smangiucchiare il suo muffin imperturbabile.

-Come?- balbettò, con quella che suonò più come un'esclamazione che come una domanda vera e propria.

-Avanti, persino un cieco riuscirebbe a notare le occhiaie che ti trascini dietro da giorni, per quanto tu ti possa impegnare a nasconderle con il correttore... Senza contare gli sbadigli e la pila di bicchierini di caffè che stai collezionando nel cestino.- osservò, con un tono che manifestava appieno tutta la sua disapprovazione.

Neanche a farlo apposta, proprio allora le sfuggì uno sbadiglio davvero troppo ampio per poter essere occultato con una sola mano.

-Ho un po' di stanchezza accumulata, tutto qui.- provò a minimizzare.

-Accetta un consiglio da stupido, allora, e vedi di riposarti.- la redarguì.

-Se dipendesse da me lo farei, ma purtroppo nell'ultimo periodo non riesco a dormire quanto vorrei.- sospirò lei, scuotendo la testa con fare abbattuto.

Al che Sherlock la guardò con ancora maggior intensità, severo ed inquisitorio.

-Non riesci o non puoi?-

Lei però sbatté innocentemente le palpebre, non cogliendo o fingendo di non cogliere la sua insinuazione.

-Che intendi, scusa?-

-Intendo che secondo me dai troppa priorità a quel tuo dottore e troppo poca a te stessa.- sbottò, affondando la questione senza mezzi termini -Trascorri già abbastanza notti qui al Bart's, per cui non credi che dovresti passare le rimanenti nel tuo letto, anziché con lui?-

Anzi, sarebbe stato molto meglio che evitasse di passare qualunque altro momento della giornata nella sua losca compagnia, considerò tra sé.

Quanto a Molly, al suo più che appropriato rimprovero si irrigidì, ma non si annichilì affatto come si era atteso. Anzi, sostenne il suo sguardo risoluta e visibilmente irritata.

-Non ho bisogno dei tuoi consigli, Sherlock.- ebbe il coraggio di replicare.

-Parrebbe proprio di sì, invece, da come gli permetti di approfittarsi di te.- la rimbeccò con altrettanta fermezza.

-E tu, invece, ti permetti troppo esprimendo giudizi su persone che nemmeno conosci!-

-Perché tu sì, invece?- le rinfacciò, contrattaccando per difendersi dalle sue accuse -Diamine, Molly, ma non impari mai? Non dovresti fidarti tanto della gente, e di certo non dopo appena una settimana!-

Il risentimento rese la sua voce meno controllata, spazientita e decisamente più alta del normale. Tanto che spinse la giovane donna davanti a lui ad indietreggiare di un passo, e ad abbassare il viso avvilita. O almeno questo era quello che credeva, finché non fu costretto a ricredersi nel sentire Molly ribattergli con prontezza.

-Sempre meglio che non fidarsi mai di nessuno.-

L'aveva offesa con insolenza, volutamente provocata, eppure non l'avrebbe mai creduta capace di fare altrettanto. Capì di averla punta nel vivo, e di averla spinta a tirar fuori gli artigli come un animale ferito. Ma lui l'aveva assalita proprio con l'intento di metterla con le spalle al muro, per cui non sarebbe mai riuscita a farlo desistere proprio quand'era ad un passo dal suo obiettivo, né a disarmarlo con una mossa tanto flebile.

-Guarda che non sono io a dirlo, ma l'esperienza, che non ci si può mai fidare di nessuno. E non fare l'ingenua, lo sai perfettamente anche tu.- le disse duramente, sovrastandola implacabile -Altrimenti, non faresti tanti sforzi per tenermi nascosto chi è per davvero il tuo caro dottore. Ammettilo, che non ne vuoi parlare perché lo senti, che in lui c'è qualcosa di poco raccomandabile, ma nonostante questo ti rifiuti di vederlo, e non vuoi nemmeno permettere che gli altri lo facciano per te, e ti costringano ad aprire gli occhi!-

Ecco, l'aveva detto. Brutale, forse, ma onesto. E non ci si può nascondere dalla verità, per cui questa volta Molly sarebbe stata costretta a fare le dovute ammissioni...

-No, ti sbagli.- si sentì però dire, con una sfrontatezza che non le aveva mai visto, e con una frase che nessuno aveva mai osato rivolgergli -E' perché, se te ne parlassi, riusciresti a rovinare tutto come fai sempre.-

Nel sentire una simile assurdità, Sherlock Holmes cessò di essere soltanto risentito e divenne ufficialmente adirato.

-Guarda che io mi sto solo preoccupando per te, a differenza di quel tizio.- non si fece scrupoli di sottolineare, ringhiando feroce -Dovresti ringraziarmi, anziché biasimarmi e continuare a prendere le sue difese...!-

Lei allora strinse i pugni e serrò le labbra in un fremito, ma ancora una volta riuscì a prenderlo in contropiede, replicandogli senza troppe esitazioni.

-Tu non ti preoccupi affatto per me, Sherlock, ma solo di te stesso. La verità è che ti da fastidio che io non sia più disponibile per te 24 ore su 24, pronta ad accorrere ad ogni tuo schiocco di dita. Ma il mondo non gira intorno a te, sappilo. E nemmeno io. Anzi, sai che ti dico? Preferisco dedicarmi a qualcuno che, forse, non sarà sempre perfetto e infallibile, ma che almeno mi apprezza e mi tratta come una persona, non come un oggetto. Qualcuno a cui importo per davvero!-

Erano state solo poche, banali parole assemblate in frasi sconnesse e nemmeno molto coerenti, ma il tono tagliente con cui vennero pronunciate lo ferì in profondità come tante, dolorose stilettate al cuore. Quel cuore che gli si strinse, colpevole, nel vederla tremare dallo sforzo di trattenere e intrappolare quelle lacrime che le velavano gli occhi sull'orlo del pianto. E quando Molly capì che non avrebbe avuto da lui alcuna replica, abbassò lo sguardo, strinse i pugni, si voltò con uno scatto per andarsene, e lo salutò sbattendo la porta del laboratorio, il suo viso scottò come se gli avesse appena tirato uno schiaffo.

Al che rimase paralizzato, dimenticando persino di espirare, finché un riflesso involontario non gli fece sbattere le palpebre. Allora si riprese dallo sconcerto, riepilogò rapidamente quanto appena successo e, ultimato il proprio esame di coscienza, serrò le labbra in un moto di irritazione. Che Molly facesse pure tutte le scenate isteriche che voleva, tanto alla fine avrebbe avuto ragione lui. Alla fine il suo cavaliere si sarebbe tolto l'armatura con cui l'aveva incensato per rivelarsi il villano che era, ferendola, oppure l'avrebbe lasciata, appena avuto modo di posare gli occhi su altre principesse con cui divertirsi. Ed era altrettanto certo che a quel punto sarebbe tornata da lui in ginocchio, volente o nolente, chiedendogli scusa per essersi comportata da stupida e non avergli dato retta. Era solo questione di tempo ma, prima o poi, sarebbe arrivato anche quel momento, e allora sì che avrebbe saputo cosa dirle...

Un conciso, sonoro e quanto mai compiaciuto: “Te l'avevo detto”.

Rinfrancato da questo pensiero, raddrizzò con fierezza le spalle e distese l'espressione abbozzando un sorriso vittorioso, pronto a tornarsene a testa alta a Baker Street. Tuttavia, prima ancora che potesse incamminarsi verso l'uscita del laboratorio, qualcosa di insolito captò la sua attenzione e la sua fronte si corrugò accigliata. Vi si avvicinò sempre più corrucciato per verificare i suoi sospetti, e per la prima volta non provò alcuna soddisfazione nell'appurare di aver avuto ragione. Anzi, dire che ottenere quella conferma l'aveva contrariato sarebbe stato eufemistico.

Quel giorno, Molly aveva portato con sé un muffin in più. Proprio uno di quei muffin ai mirtilli che il detective adorava così tanto da indurla a prepararli più spesso, appositamente per lui, riservati per lui soltanto. Eppure, quel dannato dottore se n'era infischiato e non si era fatto il minimo scrupolo di spodestarlo anche in quello, appropriandosi dei suoi muffin.

Digrignò i denti e fissò quel simbolico oggetto del contendere con furiosa intensità, incenerendolo con lo sguardo finché non riuscì a percepirne l'odore di bruciato.

“E guerra sia.”

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Capitolo 4
*** The impossible fall ***


IV - The impossible fall

 

The audience would have been a bit cross if the TARDIS had suddenly appeared to sweep Sherlock up from his fall.
Besides, we've already done that with River.

- Steven Moffat

 

Alla fine, era esplosa. Come una bomba H.

L'aveva scagliata d'impulso, proprio addosso al suo bersaglio, facendola scoppiare in modo sommesso, quasi sussurrato, e senza preavviso. Senza sapere bene ciò che celava nelle sue profondità più recondite, o quale effetto avrebbe prodotto. Certo, nella sua mente si era immaginata un'infinità di volte di servirsene, ma mai con intenzioni serie, perché consapevole del suo potenziale distruttivo, e soprattutto di quanto rappresentasse un'arma a doppio taglio: l'avrebbe resa vulnerabile, abbattendo le barricate che proteggevano il suo cuore.

Però tutte le sue strategie difensive erano andate all'aria nel momento stesso in cui Sherlock aveva deciso di abbandonare la propria trincea alzando bandiera bianca, e non per recarle un'offerta di pace, ma soltanto per farle abbassare la guardia ed attaccarla a viso aperto. Era stato un atto meschino, infame, e una vera provocazione. Così, non solo era riuscito a colpirla, ma aveva finito per far scattare un innesco segreto, e l'aveva costretta ad effettuare un test nucleare in piena regola. Senza un'adeguata ponderazione, senza neppure aver adottato le cautele opportune.

Con quale esito, non era riuscita ancora a capirlo. Non c'erano state da parte sua reazioni empiricamente verificabili, solo silenzio ed uno sguardo che poteva significare tutto e niente. Improvviso sconcerto. Imbarazzo colpevole. Gelida indifferenza. Rabbia furiosa. Ma nessuna di queste reazioni era quella da lei auspicata, perché ognuna di esse finiva per confermare la sua teoria, quando ciò che desiderava era in realtà una sua smentita.

Pertanto, tutto ciò che le parve di essere riuscita a colpire erano i suoi soli sentimenti. E non li aveva semplicemente minati, li aveva proprio autodistrutti, spingendola a battere in ritirata per leccarsi le ferite. Ferite dolorose, profonde, troppo per potersi riemarginare. Non rapidamente, almeno. Ed ancora troppo aperte per rischiare di esporsi ad ulteriori colpi, che avrebbero potuto sconfiggerla definitivamente, annientarla emotivamente. Per questo, scelse di non ritornare sul campo di battaglia per quel giorno e di chiedere un congedo al suo superiore per quelli successivi. Ottenne un breve permesso, ma che prolungò abbondantemente rivolgendosi alla sua agenzia di viaggio di fiducia, perché le organizzasse un lungo ed intenso tour intergalattico. Pretesto ideale per temporeggiare e rimandare il più possibile il confronto con Sherlock, sperando nel frattempo di trovare un'idea valida su quale approccio adottare. Il primo preso in considerazione, quello offeso, venne presto scartato. Sarebbe stato inefficace, perché non le avrebbe mai e poi mai chiesto scusa, e non sarebbe neppure stato convincente, perché l'indignazione e la rabbia cui aveva dato sfogo erano state prontamente sostituite dalla vergogna e dal senso di colpa. Si era resa ridicola, e gli aveva detto delle vere cattiverie. Probabilmente se avesse tentato di parlargli lui l'avrebbe denigrata di nuovo, oppure l'avrebbe evitata del tutto per il troppo risentimento. Forse ora l'odiava persino, e non intendeva avere mai più a che fare con lei. Forse era lei, a dovergli chiedere scusa...

-Non dire sciocchezze, Molly Hooper!- l'aveva rimbeccata il Dottore, quando lo rese partecipe dei propri pensieri -Tu non hai proprio nulla di cui farti perdonare!-

Confortante, ma non aveva saputo offrirle nessun consiglio costruttivo. Quelli sentimentali erano dei problemi per cui il Signore del Tempo era proprio negato, nonostante fosse una delle persone più sensibili e comprensive che avesse mai conosciuto. Anche troppo. Purtroppo pareva necessitare di entrambi, altrimenti avrebbe potuto risolvere agevolmente tutto chiedendogli di donarle uno dei suoi due cuori, per effettuare un trapianto su un certo consulente investigativo sprovvisto di organi cardiovascolari.

Alla fine, però, decise che tergiversando non avrebbe risolto un bel nulla, e di ritornare alla sua vita di tutti i giorni, comportandosi esattamente come si era sempre comportata, fingendo che tra loro non fosse successo niente. Quello della rimozione sarà stato anche un meccanismo psicologico vigliacco, ma innegabilmente efficace. E, se Sherlock avesse tentato di incalzarla di nuovo, al punto da far riemergere il trauma, se ne sarebbe preoccupata sul momento, modulando la propria reazione in base al suo approccio. Un piano d'azione semplice, ma che le pareva il solo di cui si sentiva capace, allo stato attuale.

Ma fu un piano destinato a rimanere sulla carta, perché quando rimise piede a Londra ed ebbe tra le mani il giornale del mattino, scoprì di essersi persa più di una puntata. Durante la sua assenza, circostanze impreviste avevano costretto il suo nemico a spostarsi su differenti e ben più urgenti fronti, per combattere un altro uomo con cui lei aveva avuto per davvero dei trascorsi sentimentali e che non era proprio per niente una persona raccomandabile. Una guerra fredda che si sarebbe protratta a lungo, addirittura per due mesi, e che avrebbe tenuto impegnato Sherlock al punto che non si presentò più al Bart's, perlomeno non quando lei era di turno. Così, anche Molly si decise a lasciarlo perdere e a dedicarsi ad altre, ben più soddisfacenti battaglie assieme al suo Dottore, benché in cuor suo non sapesse se sentirsi sollevata o delusa per come il detective si fosse rapidamente disinteressato a lei.

Almeno fino al giorno fatidico.

Aveva appena concluso il turno giornaliero e stava giusto per tornarsene a casa, quando scorse in rapido avvicinamento le figure del consulente investigativo e del suo miglior amico, che puntavano senz'ombra di dubbio in direzione del laboratorio. Nella sua direzione.

Al che venne assalita dal panico, per nulla preparata ad un incontro tanto improvviso e comunque troppo spaventata che il soggetto potesse risentire ancora delle radiazioni che l'avevano colpito, e se la diede a gambe levate grazie al pronto intervento della TARDIS, che rispose con straordinaria sollecitudine al suo disperato S.O.S.

Finì inghiottita in una gigantesca, bavosa pianta carnivora che stava infestando le foreste pluviali di Euterpe, ma quando ritornò, ripulita e in perfetta salute, dentro allo stanzino adiacente al suo laboratorio, fu un altro il pericolo scampato che l'indusse a tirare un sospiro di sollievo.

-Ti sbagliavi, sai?-

La mano che aveva allungato verso la porta si ritrasse come se si fosse scottata al tocco della maniglia, ed il battente si richiuse con un tonfo secco che la fece sussultare, smuovendo le membra che le si erano paralizzate sul posto. Allora si voltò, incredula nello scorgere il profilo di Sherlock nella penombra. Spaventata di trovarsi al suo temuto cospetto. Sconcertata dalle parole che aveva appena pronunciato, ed ancor di più da quelle che seguirono subito dopo.

-Sei importante per me. Lo sei sempre stata, mi sono sempre fidato di te.- le mormorò dolcemente.

Il tempo si fermò.

L'unica spiegazione sensata era che il Dottore si fosse sbagliato come al suo solito ad inserire le coordinate della destinazione nella TARDIS, e che fosse finita in una dimensione parallela. Oppure che l'uomo davanti a lei non fosse per davvero Sherlock, ma una specie di clone. O un alieno, che aveva preso le sue sembianze per trarla in inganno...

-Perché mi stai dicendo tutto questo?- gli domandò incredula, la voce strozzata dal timore della sua possibile risposta.

Allora lui si voltò appena, di tre quarti, rivolgendole uno sguardo triste, spento.

-Perché non sto bene.-

No, non stava affatto bene. Ma non era impazzito, né sembrava sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. Appariva perfettamente lucido, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Tuttavia, il suo viso era teso, segnato dalla preoccupazione. La percepì, come si era abituata a leggere la tensione nell'espressione del padre nei suoi ultimi giorni di vita. Quando lui era troppo in ansia per esprimerla a voce, e lei troppo impaurita per chiederne la ragione. Ma ora Molly non era più una bambina, e si sentiva abbastanza coraggiosa, per fare quella domanda.

-Cosa c'è che non va?-

Sherlock non rispose subito. Si avvicinò piano, come se non avesse abbastanza fiato per rivelarle ciò che lo tormentava a distanza, ma solo per sussurrarlo. La guardò negli occhi spaurito, come se il vero sforzo fosse quello di ammetterlo prima con se stesso. Lei lo ricambiò decisa, pronta a riceverlo, ma attendendo paziente i suoi tempi.

-Molly...- riuscì infine a dirle -Credo di star per morire.-

Un brivido freddo le percorse la spina dorsale, ma non riuscì a piegarla. Se si fosse spezzata, l'avrebbe lasciato senza il sostegno di cui lui aveva bisogno. Aveva scelto di confessarsi con lei, di aggrapparsi a lei. Tra tutti, aveva scelto lei. Doveva aiutarlo, dimostrargli che quella sua fiducia incondizionata non era stata mal riposta.

-Che cosa ti serve?-

Lui però titubò, eluse la sua domanda con un'altra domanda.

-Se non fossi quello che tu credi che io sia, quello che io credo di essere, vorresti comunque aiutarmi?-

Questa volta, la spiazzò per davvero. Era inaspettato che Sherlock rischiasse la vita, ma non improbabile: aveva un'attitudine innata per cacciarsi nei guai, dopotutto... Ma non avrebbe mai immaginato che l'avesse cercata non con l'intento di chiederle di aiutarlo, ma di domandarle se lo voleva aiutare. Se ci teneva abbastanza a lui per essere disposta a farlo di sua spontanea iniziativa, a qualunque costo, a prescindere da tutto. Ma era ovvio che lo fosse, nonostante quello che gli aveva detto l'ultima volta, poiché non era cambiato nulla da allora, nei suoi sentimenti. Era così intelligente, eppure non l'aveva dedotto, che gli aveva parlato in quel modo soltanto perché voleva sentirsi dire che anche lei era importante, per lui? Che la ricambiava, sia pur solo in minima parte?

-Di cosa hai bisogno?- insistette dunque, con fermezza, senza esitazioni.

Allora la sua espressione si rilassò, in un tenue, sincero sorriso.

-Di te.-

 

* * *

 

L'osservò, in attesa della sua risposta. Una qualunque, che gli desse anche solo un filo di speranza...

-Non posso farlo, Sherlock.- mormorò però lei desolata, scuotendo piano la testa.

Sbatté le palpebre, la tensione che scivolava via in una doccia gelida, portandosi via tutte le sue aspettative.

-Perché no? Puoi, invece!- replicò, ostinato.

Molly allora sollevò lo sguardo su di lui, mordendosi nervosamente un labbro.

-Sì, ma non è affatto detto che ci riesca.- obiettò, stringendo le spalle -E' un farmaco ancora in fase sperimentale, e non si è ancora riuscito a stabilirne il giusto dosaggio per le cavie, figuriamoci per l'uomo. Potrebbe ucciderti sul colpo.-

-Sì, lo so che le probabilità sono a mio sfavore...- sospirò lui -Ma di tutte le tredici opzioni di cui dispongo, questa è l'unica davvero valida.-

Ci fu un attimo di silenzio, in cui la patologa parve riflettere con serietà sulle sue parole. Poi però sospirò piano, facendogli credere che fosse riuscito a convincerla.

Ma sembrava che proprio non gli riuscisse più, di prevedere le reazioni di Molly Hooper.

-No, non è vero.- gli ribatté, abbozzando un sorriso -Io ne conosco una quattordicesima.-

In un'altra situazione, avrebbe di certo pensato che era impossibile che le fosse venuta un'idea che lui non avesse già contemplato. Tuttavia, in quel momento era disperato, e lei sembrava davvero sicura di quello che stava dicendo.

-E quale sarebbe?- le chiese circospetto.

Tuttavia la giovane patologa non gli rispose, ma si limitò ad estrarre dalla tasca un cellulare. Quel dannatissimo cellulare blu.

-Ti prego, dimmi che non stai per fare quello che temo.- sbottò.

Lei ignorò però le sue lamentele, e rivolse interamente la propria attenzione alla scrittura di un sms.

-Sherlock, stai tranquillo. So quello che faccio.-

Al che lui strinse i denti in una morsa, e corrucciò le sopracciglia enormemente contrariato.

-No che non sto tranquillo!- ringhiò truce -Io mi sono rivolto a te, mi sono fidato di te, non di una sottospecie di dottore che nemmeno conosco!-

Non abbastanza truce, a quanto pareva, perché Molly perseverò nel suo folle intento.

-Bene, allora continua a farlo.- cinguettò, ultimando ed inviando soddisfatta il messaggio, per poi ammiccargli con preoccupante malizia -E, credimi, in realtà l'hai già conosciuto.-

Non fece in tempo ad aprir bocca per chiederle che accidenti intendeva con quello, quando nel laboratorio iniziò a strepitare l'eco della sirena più sgradevole che l'orecchio umano potesse percepire. Come se un elefante con la raucedine avesse attaccato a barrire dentro agli altoparlanti dell'ospedale, in preda ai singhiozzi. Tuttavia, bastarono una manciata di secondi per rendersi conto che quello non era il nuovo, discutibile allarme antincendio del Bart's, ma proveniva proprio dal centro della stanza. E dopo un altro paio di secondi, poté perfezionare questa osservazione riconducendo quell'orrenda cacofonia ad una struttura rettangolare, che stava facendo la sua allucinante apparizione proprio davanti agli occhi del detective. Una cabina blu, per la precisione.

Quando la riconobbe, non ebbe più bisogno di chiedere a Molly alcunché.

 

* * *

 

Sherlock guardò il Dottore.

Il Dottore guardò Sherlock.

Molly guardava entrambi con ansia palpabile, ma comunque vigile e più che pronta ad estrarre un cartellino d'ammonimento al primo fallo.

E, in effetti, era solo questione di una manciata di istanti, il tempo necessario per studiare il proprio avversario, perché si gettassero entrambi nella mischia. Eppure, il detective continuava ad esitare a tirare il calcio d'inizio, perché ancora non si era ripreso dall'annuncio che quella non sarebbe stata una banale partitella tra squadre locali, ma la finale di un campionato intergalattico di cui lui non era nemmeno a conoscenza.

“Assurdo. Tutto questo è assurdo!”

Eppure, era certo che non si trattasse di un sogno, né di una visione creata dalle stanze più inconsce del suo palazzo mentale, o indotta da un allucinogeno. Era tutto tremendamente reale, e quell'accidenti di cabina blu si era per davvero materializzata dal nulla. Nessun trucco, nessuna magia poteva esser capace di tanto. E di certo nessuna tecnologia umana. Quella... cosa era palesemente un manufatto extraterrestre. Una conclusione che lo costringeva a cestinare la gran parte delle sue nozioni scientifiche in modo ancora più drastico di quanto avesse fatto Einstein rivoluzionando la fisica classica, ma inevitabile. Una volta scartate tutte le soluzioni impossibili, quella che resta, per quanto sconcertante, dev'essere quella corretta.

Tuttavia, non era soltanto quello ad allibirlo. Né la scoperta che la soluzione al mistero che l'aveva tormentato per settimane fosse sempre stata sotto al suo naso. Adesso tornava tutto in maniera così ovvia, ma ex ante non avrebbe mai potuto arrivarci da solo. Anzi, in un certo senso era persino compiaciuto, che il suo sesto senso non avesse mancato di tradirlo nemmeno quella volta. Perché sì, il signor Smith aveva per davvero qualcosa da nascondere e sì, il dottore di Molly non era affatto una persona normale. Erano entrambi lo stesso... alieno. Molly Hooper si vedeva con un alieno. Un dannatissimo alieno con il farfallino più ridicolo su cui avesse mai posato lo sguardo.

Questo, batteva di gran lunga tutti i suoi precedenti ragazzi, consulenti criminali psicopatici inclusi.

-Dunque, ricapitolando...- si decise infine a dirgli -Non sei il nuovo fidanzato di Molly, non sei un vero dottore, non sei nemmeno un essere umano, sei... sei...-

-Un Signore del Tempo.- rispose quello con un ampio sorriso, tendendo pomposamente delle bretelle davvero tremende.

-Stavo per dire un impostore, a dire il vero.- lo rimbeccò lui, fissandolo rancoroso -Scommetto che questo non è neppure il tuo vero aspetto!-

L'impostore corrucciò la fronte con aria offesa.

-Sì che lo è!- protestò, per poi uscirsene con una smorfia imbarazzata -... almeno in questa vita.-

-Appunto, un impostore: ti spacci per un trentenne quando invece avrai... quanti anni? 3000?-

-Ehi, ho appena passato il primo migliaio!- si difese quello ancora più indignato -Sono un po' vecchio, va bene, ma non ancora decrepito!-

-Reincarnazione?- azzardò, inarcando un sopracciglio.

-Rigenerazione.- venne prontamente corretto.

-Dunque sei...-

-Immortale. O eterno, se preferisci...- attaccò quello, prendendo a gesticolare entusiastico -Almeno in teoria. Se incappassi in qualche incidente durante il ciclo rigenerativo, allora sarei davvero spacciato. Anche se, a ripensarci, forse quest'ultimo dettaglio dovrei imparare a tenermelo per me...-

Se realmente esisteva un Creatore, allora aveva distribuito il diritto alla vita in maniera davvero iniqua... e direttamente proporzionale all'imbecillità.

-A me sembri più un eterno logorroico.- sibilò a denti stretti.

Quello pseudo-dottore scacciò la sua irritazione con una noncurante alzata di spalle.

-Ehi, ti stavo solo offrendo una spiegazione. Era quella che volevi, no?-

-Devi sapere che non gli piace affatto essere interrotto, quand'è nel bel mezzo di una deduzione...- iniziò a dirgli Molly, prima che intercettasse il suo sguardo assassino ed ammutolisse pigolando un tremulo -Scusa.-

-Non mi interessa affatto sapere come puoi o non puoi morire.- chiarì il detective, pur meditando tra sé che invece non solo avrebbe fatto tesoro di quell'informazione, ma l'avrebbe presto messa a frutto se continuava ad indisporlo in quel modo -Qui quello che sta rischiando la pelle sono solo io. Pertanto, spiegami piuttosto come posso fare a resuscitare anch'io o, ancora meglio, come evitare di spiaccicarmi sul marciapiede dopo una caduta dall'ultimo piano di un edificio e senza che nessuno si accorga che sono sopravvissuto.-

-Facile, basta non gettarsi.- si sentì proporre.

-Oh, ma sei davvero un genio!- esclamò allora Sherlock, battendosi una mano sulla fronte -Grazie del consiglio, non avrei mai potuto pensarci da solo!-

-Di nulla.- replicò l'alieno più idiota dell'Universo con un'altra alzata di spalle.

-Era sarcastico...- gli fece notare Molly, rivolgendogli un'occhiata obliqua.

Al che il suo amico roteò gli occhi con uno sbuffo esasperato, per poi riabbassarli acquistando un barlume di serietà.

-Anch'io.- sbottò torvo -Non ho ancora capito perché mai dovrei aiutarlo. Ci sono forse in gioco le sorti dell'umanità? Il mondo rischia di essere invaso da alieni sanguinari?-

-Molto peggio: rischia di essere conquistato da un genio criminale e psicopatico, che solo io sono in grado di fermare.- gli rivelò grave e, come di certo avrebbe commentato John se fosse stato presente, eccessivamente melodrammatico -Peccato che nemmeno io gli stia troppo simpatico, ed è probabile che stia meditando di ricattarmi e spingermi al suicidio.-

Il Dottore lo guardò di sottecchi, sempre più torvo.

-Perché, c'è qualcuno a cui stai simpatico?-

Seriamente? Credeva seriamente di riuscire ad offenderlo con prese in giro da marmocchi?!?

-La simpatia è sopravvalutata. Frutto di ruffiane falsità e simulata con opportunistica ipocrisia.- ribatté freddamente, ed approfittando per lanciare più di una frecciatina al diretto interessato.

Lui per tutta risposta spostò lo sguardo a rimirare le proprie unghie, con palese menefreghismo.

-Allora non fingerò di volerti aiutare, visto che non me ne ispiri nemmeno un po'.-

Al che l'arbitro decise che era stata fin troppo clemente, e scese in campo per tirare le orecchie ad entrambi.

-Sherlock, piantala.- lo riprese, per poi rivolgersi in maniera ingiustamente parziale all'altra fazione -Ti prego, Dottore, dagli una mano lo stesso!-

Lui però incrociò le braccia e puntò i piedi, irremovibile.

-No.- fece, scuotendo la testa -Non posso mica salvare tutti, la storia deve pur fare il suo corso! Mi sembrava di avertelo spiegato...-

Molly allora sollevò appena lo sguardo, in una rapida quanto ovvia manifestazione di esasperazione che Sherlock non poté fare a meno di approvare.

-Sì, sì, mi hai già raccontato la tua disavventura con Hitler almeno tre volte.- tagliò corto -Ma adesso non ci sono in gioco milioni di vite, solo una!-

Il Dottore sospirò estenuato.

-E va bene, ma solo per questa volta e solo perché me lo stai chiedendo tu, non certo lui!- puntualizzò, rivolgendogli un'occhiataccia -Allora, sentiamo: come fai a sapere che sarai costretto a gettarti da un tetto?-

Il detective sbuffò irritato.

-L'ho dedotto, ovviamente.-

-Dunque non lo sai per certo.-

-, invece.- ribatté orgogliosamente -Mi basta l'intelligenza per sapere quello che mi sta per accadere, non ho bisogno come te di una stupida macchina del tempo!-

Al suo fianco, la dottoressa Hooper si portò le mani alle labbra, sintomo che stava riflettendo e che era in procinto di metterli timidamente a parte dei suoi pensieri.

-Però potremmo usarla comunque, giusto per essere sicuri...- propose.

Il Dottore respinse quell'idea con un rapido gesto della mano, al pari di quanto avrebbe potuto fare uno schiaccia-mosche con un insetto molesto.

-Potremmo, ma sarebbe rischioso. La sua morte potrebbe essere irrimediabile, se creasse un punto fisso nel tempo e nello spazio.- disse, qualunque cosa intendesse dire -Per cui, meglio prevenire...-

-Che curare, ok.- lo prevenne lei -Però potresti sempre trasmettergli la tua energia rigenerativa, nel caso.-

-Sì, potrei, ma non avrebbe alcun effetto se l'impatto gli fosse fatale.-

-Non c'è un modo per attutirlo? Rallentare la caduta?-

Questa volta l'alieno non rispose subito, ma si massaggiò il mento con fare meditabondo.

-In effetti, ho imparato proprio un trucco scenico che farebbe al caso nostro quella volta che ho recitato come comparsa in un film su Antifone...- si ricordò, per poi iniziare a vomitare un fiume di parole concitate -Cioè, non ho proprio recitato, mi sono solo infiltrato nella troupe per smascherare il regista. Le controfigure avevano iniziato a scomparire misteriosamente, così mi sono insospettito e...-

-Riserva questi noiosi aneddoti al tuo blog, grazie.- lo fulminò Sherlock, andando dritto all'unico punto che gli importava -Funziona sì o no?-

-In teoria sì, utilizzando il mio cacciavite sonico.-

-Bene. Dammi quell'aggeggio allora, qualunque cosa sia.- ordinò il detective, tendendogli il palmo della mano.

Il Dottore però arretrò di un passo, stringendo lo sguardo e mettendosi sulle difensive.

-Col cavolo!- inveì -E' il mio cacciavite sonico, posso usarlo solo io!-

-Come ti pare. Tientelo.- lo liquidò, non tenendoci affatto ad impossessarsi di quello che aveva tutta l'aria d'essere un imbarazzante attrezzo da bricolage spaziale -A me basta che lo usi al momento giusto.-

Al che però il Dottore prese a grattarsi il dorso del naso, assumendo quella sua smorfia con cui soleva accompagnare rivelazioni troppo imbarazzanti.

-A dire il vero, non ho mai provato prima la sua funzione antigravitazionale su altre persone...- ammise.

Il detective allora gli sorrise con malizia, scoccandogli uno sguardo d'intesa.

-Ancora meglio: adoro gli esperimenti.-

 

* * *

 

-Allora, è tutto chiaro?-

-Cristallino.-

-Bene, perché è essenziale che agiamo tutti e tre in perfetta sincronia.-

-Tranquillo, Sherlock. Saremo pronti.-

-Mmm... Potremmo concordare un segnale, però. Casomai qualcosa non dovesse andare come previsto.-

-Vi manderò un sms per comunicarvi quando intervenire, allora.-

-Parola d'ordine?-

-“Muovetevi”.-

-Ma no, ci serve qualcosa di più criptico! Di più scenico!-

-“Muovetevi” andrà benissimo.-

-Che ne dici di “Geronimo”?-

-Scordatelo.-

-“Allons-y?”-

-Un'altra proposta del genere, ed il tuo messaggio sarà “Muoviti, idiota”.-

 

* * *

 

-E quello che accidenti sarebbe?!?-

-Il mio travestimento.-

-Il camice che ti ha dato Molly basta ed avanza. Devi travestirti da medico, non da pagliaccio! Levati quel cilindro dalla testa e, per carità, liberati di quell'atroce farfallino!-

-Ehi! Per prima cosa, il mio farfallino non si tocca! E secondo, questo non è un cilindro, è un fez!-

-Complimenti, il suo nome è persino più ridicolo del suo aspetto. Ed io che pensavo non potesse esistere copricapo peggiore del mio colbacco scozzese...-

-Che cosa sarebbe un colbacco?-

-Sarebbe questo.-

-Forte! Posso indossare quello, allora?-

-No.-

-Ma se a te non piace nemmeno!-

-Non importa, è il mio. Mio, chiaro? Proprietà privata. Evidentemente tu non sai neanche cosa significhi, ma è un concetto abbastanza basilare, nella società umana. Vedi di metterti in testa quello.-

-Dai, solo per questa volta! Si abbina anche alla mia giacca, guarda!-

-Molly, ricordami perché mai dovrei fidarmi di questo imbecille.-

 

* * *

 

Quando riprese conoscenza, la gelida luce di un tavolo operatorio lo ferì agli occhi, costringendolo a rinchiuderli subito, lacrimanti, e strappandogli un'imprecazione.

-Molly, spegni quella dannata lampada, non mi devi sezionare per davvero!-

-Ops. Scusa!- la sentì pigolare in risposta.

Quando finalmente non rischiò più di finire accecato, sollevò il capo e fece leva con le braccia per mettersi a sedere. Avvertiva l'anestetico che la patologa gli aveva fatto assumere in via precauzionale ancora in circolo, ma nonostante il calo di sensibilità non gli sembrava che il suo fisico avesse granché risentito della caduta. Si stiracchiò per sgranchirsi le membra intorpidite, ed appurò soddisfatto che neppure le sue funzionalità celebrali sembravano aver riportato il minimo danno. Gongolò tra sé: Lazzaro gli faceva un baffo.

-E' andato tutto come nei piani, allora?- chiese conferma ai due dottori davanti a lui, massaggiandosi le tempie ancora pulsanti.

-Più o meno.- ammise quello ben più qualificato, mordicchiandosi le labbra -Ti sei rotto il femore, incrinato tre vertebre, hai riportato un grave trauma cranico e perso parecchio sangue...-

-Non si direbbe.- considerò lui, esibendosi in un agile balzo giù dal lettino.

-Credimi, eri messo parecchio male.- gli fece Molly con aria grave -Ho dovuto farti subito una trasfusione di sangue, ed il Dottore è stato costretto a trasferirti la sua energia rigenerativa in modo molto più invasivo del previsto...-

Sherlock si incupì, colpito da un orrendo presentimento.

-Quanto, invasivo?-

Lei però scosse il capo con ritrosia, soffocando malamente una risata fin troppo divertita.

-Non vuoi saperlo, fidati.-

-Ed io non voglio ripensarci.- proruppe schifato il Dottore, pulendosi la lingua in una manica del camice.

Improvvisamente, tutta la sua precedente voglia di brindare alla sua miracolosa rinascita venne sostituita dall'impellente necessità di scolarsi al più presto una bottiglia di collutorio.

 

* * *

 

Da non credere: quella piaga di un detective era riuscito persino a rovinargli il suo momento preferito!

Era entrato nella TARDIS senza nemmeno un battito di ciglio, commentando con sufficienza che si aspettava fosse “molto più grande all'interno” e chiedendogli se aveva rubato gli arredi sul set di un film fantascientifico di serie B, per poi iniziare a smanettare impunemente sulla plancia di controllo.

“Intollerabile!”

Non solo aveva osato oltraggiare verbalmente la sua Sexy, ma non contento si era pure messo a molestarla senza il minimo pudore! Per fortuna che l'Inghilterra doveva essere la patria delle buone maniere!

-Vedi di tenere quelle tue luride manacce a posto, o non ti porto proprio da nessuna parte!- lo bacchettò, ormai al limite della sopportazione.

Il detective però non si degnò nemmeno di guardarlo, e lo invitò con un gesto della mano a levarsi di torno.

-Non ce n'è alcun bisogno, faccio da me... Tu mi saresti solo d'intralcio.-

Al che il Dottore corrugò la fronte così tanto che era certo gli sarebbe rimasto il segno anche quando l'avrebbe infine distesa. Se mai ce l'avesse fatta, perché di certo il suo umore non sarebbe migliorato finché non fosse riuscito a buttar fuori bordo la forma di vita più boriosa e cafona di tutte le galassie.

“Che nervi!”

Se non sceglieva mai degli umani troppo intelligenti come spalla, ed ancor prima non gli permetteva nemmeno di metter piede sulla sua navicella, era proprio per quello. Credevano di saper tutto loro, di poter fare tutto loro. E dovunque li si portasse finivano solo per provocare dei danni, o comunque ritornavano nella loro epoca esportando prematuramente invenzioni e scoperte di cui si facevano belli spacciandole per proprie. Archimede e Leonardo gli erano già bastati come lezione, e non aveva proprio intenzione di portare un altro cosiddetto genio a spasso per i millenni, provocando ulteriori paradossi temporali... Si trattava solo di un passaggio di cortesia per liberarsi di quell'impiccio umano il prima possibile. Tuttavia, mai avrebbe potuto pensare che anche così sarebbe riuscito a rivelarsi una tale seccatura. Per tutti i neutrini, passi che non ci si stupisca all'ingresso nella TARDIS, ma che se ne prendesse pure il comando rubandogli la scena era davvero troppo!

-Molly, levamelo di torno prima che mi distrugga la TARDIS, o giuro che lo disintegro io per primo.- le ingiunse, digrignando i denti fino a farli stridere.

-Sherlock...- sospirò allora la sua amica, altrettanto estenuata, strattonandolo per un braccio -Ti prego, avevi promesso!-

Il detective roteò dunque gli occhi, sbuffando contrariato, e si rimise finalmente le mani in tasca, borbottando qualcosa al suo indirizzo. Il Dottore ne approfittò per spintonarlo via, riappropriandosi dei comandi per avviarli come si conveniva.

-Forza, dimmi per quanto tempo ti interessa sparire.- borbottò.

-Prevedevo per almeno un paio d'anni, ma niente salti temporali.- gli ingiunse quello -Devo prima smantellare la rete criminale di Moriarty, per poter tornare dal mondo dei vivi senza troppi timori. Per il momento, mi basta andare il più possibile lontano da Londra, e in un posto dove posso rifugiarmi per un po' senza destare troppi sospetti...-

-Polo Nord sia, allora.- concordò il Signore del Tempo, tirando entusiasta la leva d'accensione del motore.

-Voglio andare in Tibet, pezzo d'idiota!- sbraitò il detective.

-Dammi ancora dell'idiota, e ti garantisco che faccio davvero una deviazione per scaricarti nell'Artico!- ringhiò il Dottore.

Lui però gli rispose con un sorrisetto ruffiano.

-In effetti, ora che mi ci fai pensare mi piacerebbe fare una piccola tappa intermedia...-

 

* * *

 

Una nuvola oscurò il Sole, e si levò un soffio d'aria gelida che la fece rabbrividire. Si strinse ancora di più nel cappotto, affondando il viso nella sciarpa in cerca di calore. Non c'era particolare freddo, in realtà, ma era il luogo in cui si trovava a trasmetterle inquietudine. I cimiteri non le erano mai piaciuti, ben prima di quando aveva iniziato a frequentarli per sbrigare la sgradevole incombenza di visitare la tomba di suo padre... Ma non era l'idea della morte in sé, a turbarla. Con quella, lavorava a stretto contatto ogni giorno. Tuttavia, quelli con cui aveva a che fare erano dei semplici cadaveri, nient'altro che dei corpi, di cui si occupava per il breve tempo in cui sarebbero alloggiati nel suo obitorio. Invece, in quel momento si trovava in un luogo dall'apparenza innocua, quella di un parco qualsiasi, dove però non poteva camminare senza che le sorgesse il timore di calpestare il tumulo di qualcuno. Di una persona. Anche se nella maggior parte dei casi si trattava solo di ossa o ceneri. Quella era l'ultima dimora delle anime defunte, e le lapidi che ne segnavano l'indirizzo le parevano sempre come i paletti fissati a segnare il confine con un'altra dimensione. Che stava invadendo indebitamente, senza invito. Attraversando troppo presto, contro il suo volere.

Spostò il peso da un piede all'altro, irrequieta. Desiderosa di andarsene al più presto da quell'atmosfera rarefatta, da quel silenzio ovattato, e di tornare alla vita. E, non appena espresse quel desiderio, scorse la figura di Sherlock riemergere dalla boscaglia, esaudendolo e strappandole un lieve sorriso.

-Possiamo andare, ora.- annunciò al Dottore con tono burbero.

Il Signore del Tempo annuì, dunque si voltò e prese ad incamminarsi a gamba lunga e passo svelto verso il punto in cui aveva imboscato la TARDIS. Loro due gli si accodarono, procedendo fianco a fianco. Sherlock tenendo le mani in tasca, la testa alta e persa nei suoi pensieri, lei sfregandosi le mani, gli occhi imbarazzati e concentrati sui suoi passi.

-Com'è stato?- osò infine chiedergli, rompendo il silenzio.

-Come un funerale.- le replicò algido.

Lei allora sollevò il viso verso di lui, abbozzando un lieve sorriso ironico.

-Beh, ma non capita tutti i giorni di assistere al proprio funerale.- insistette.

Ricevette uno sbuffo come prima risposta.

-Ok, se proprio lo vuoi sapere, è stata una vera delusione. Credevo sarebbe stato più divertente.-

Molly scosse la testa. Incredibile come riuscisse a scherzare su qualunque argomento, persino quelli in cui chiunque altro sarebbe stato mortalmente serio.

-Sai com'è, si è trattato di un funerale.- notò sarcastica.

Le arrivò un altro sbuffo, ancora più esasperato.

-Si è trattato di una farsa.- sbottò scocciato, per poi voltarsi a rivolgerle un'occhiataccia -Comunque, sappi che mi sento profondamente offeso che tu non sia venuta.-

-Oh, davvero?- esclamò sorpresa, ma neanche troppo -Beh, in effetti non vedo perché avrei dovuto... L'hai detto tu stesso, che tanto è stata solo una farsa.-

-Cosa c'entra, devi reggermi il gioco! Vestire a lutto per una settimana e piangere sulle spalle di chiunque menzioni il mio nome, decantando le mie infinite doti e lamentando quale grande perdita sia stata la mia morte per l'intera umanità!-

Soffocò una risata. Che adorabile egocentrico...

-Vedrò di fare questo sforzo allora, se ci tieni tanto. Dopotutto, credo che la mia vita non sarà più la stessa, una volta che te ne sarai andato...- si interruppe, rendendosi conto di aver parlato troppo onestamente ed affrettandosi a sdrammatizzare -Avrò un sacco di tempo libero che non saprò come impiegare.-

Lui però rallentò un poco l'andatura, e la guardò così dritto negli occhi che si sentì arrossire dall'imbarazzo.

-E io non riuscirò più a risolvere i miei casi con altrettanta rapidità, senza il tuo aiuto.- le confessò, senza la minima traccia del suo usuale sarcasmo nella voce, anzi terribilmente serio -A proposito, Molly... Riguardo quanto è successo, volevo dirti che...-

-Non è necessario, Sherlock.- si affrettò ad interromperlo, rincuorandolo -Non c'è bisogno che mi ringrazi... Dopotutto, ha fatto tutto il Dottore.-

La fissò ancora qualche secondo con una strana irrequietudine, socchiuse la bocca come per aggiungere qualcosa, ma poi la richiuse, riprendendo a guardare davanti a sé.

-Già.- mormorò, lasciando di nuovo cadere il silenzio.

Nessuno dei due aggiunse più nulla, anche perché avevano ormai raggiunto la TARDIS. Il Dottore li sollecitò ad entrare, Molly rifiutò con ritrosia, spiegando che preferiva rimanere lì. Dove era giusto che le loro strade si dividessero perché, per quanto ancora vivo e vegeto, da quel giorno Sherlock non avrebbe più fatto parte della sua vita, e lei avrebbe dovuto iniziare ad accettarlo... benché, al momento, le sembrasse più facile superare la dipartita di una persona defunta per davvero, ma in modo definitivo ed irrevocabile, piuttosto che un abbandono in apparenza provvisorio, ma comunque di una durata insopportabilmente lunga. Troppo lunga...

Due anni, aveva detto.

Potevano succedere così tante cose, nel frattempo. Potevano cambiare le loro vite, perfino loro stessi. Eppure, per quanto non escludesse di poter in futuro conoscere altri uomini in grado di piacerle, con cui poter valutare di iniziare una relazione seria, era certa che non avrebbe mai potuto trovare nessuno, in nessun angolo dell'Universo, capace di farle battere il cuore quanto lui. La sua partenza vi avrebbe lasciato un vuoto troppo grande da riempire, e non ci sarebbe mai stato alcun degno sostituto in grado di colmarlo, ma solo rimpiazzi improvvisati per coprirlo, per nasconderlo alla vista. Quando lei, quanto spazio aveva nel suo cuore? Ne avrebbe mai fatto parte, o le era destinata solo una misera stanza tra le mura del suo palazzo mentale? E quella camera, quant'era spaziosa ed accessibile? Quanto spesso si sarebbe recato a farle visita? Per quanto tempo gliel'avrebbe riservata, prima che decidesse di sfrattarla a vantaggio di altri ricordi a lui più utili? Le aveva garantito che avrebbe sentito la sua mancanza e ne era convinta, ma questo non escludeva la possibilità che, prima o poi, incontrasse qualcun altro in grado di essergli d'aiuto quanto lei, se non di più. Non escludeva che avrebbe potuto dimenticarsi di lei. Che in giro per il mondo scoprisse altri luoghi più interessanti di Londra, e decidesse di trascorrervi più tempo del previsto. Che vi rimanesse per tutto il resto della sua vita, per scelta propria o in conseguenza di una tragica fatalità.

Quest'ultima, era la prospettiva che la spaventava maggiormente. Un'incertezza così forte da sconsigliare di nutrire qualsivoglia speranza illusoria: il non sapere se tra due anni l'avrebbe effettivamente rivisto, e in caso contrario da quando avrebbe dovuto iniziare a visitare la sua tomba non più per finzione, bensì per piangerne la dipartita. Il suo cuore si sarebbe sempre rifiutato di farlo, ma la sua mente glielo suggeriva, che avrebbe dovuto iniziare da subito. Accettare quella separazione, salutarlo ora. Dargli un onesto addio, anziché dirgli un ipocrita arrivederci. Ritornare alla propria vita, anziché inseguire quella di una persona che non ci sarebbe più stata...

Quel viaggio era di Sherlock, non suo.

Tuttavia, lui esitò un attimo sulla soglia della TARDIS, artigliandone lo stipite come a frenare la necessità che ve lo stava spingendo dentro. E si voltò a guardarla, con un calore inedito. Che bastò a scacciare le nubi che avevano oscurato il Sole, illuminando di vita quel prato che prima le appariva tanto desolato.

-Bada a te stessa, Molly Hooper.- le ingiunse, ma con dolcezza.

Gli sorrise con naturalezza, di spontanea felicità.

-Non cacciarti nei guai, Sherlock Holmes.- lo ammonì, ma con premura.

Lui annuì piano. Poi i suoi occhi sbatterono, recidendo il loro contatto visivo, e ne approfittò per abbassarli, distoglierli, rivolgerli nuovamente alla porta davanti a lui. Le sue mani smisero di trattenerlo, spinsero decise affinché partisse.

Molly arretrò di qualche passo, il necessario per avere una piena visuale della TARDIS, osservandola svanire e continuando a fissare nel punto in cui era scomparsa fin quando riuscì a sentire l'eco della sua sirena. Allora non ebbe più scuse per trattenersi ancora, ed iniziò a ripercorrere i propri passi, diretta verso casa. Tuttavia, lungo il tragitto i suoi occhi si posarono involontari su una lapide scura, e le sue gambe si paralizzarono sul posto. Il gelo l'assalì con ferocia, le lacrime iniziarono a bruciarle il viso, offuscando il nome dalla persona che più amava al mondo rinfacciarle proprio quella verità da cui tentava di nascondersi, ma che comunque era riuscita a stanarla.

Non seppe per quanto rimase così, ma è certo che ad un tratto si riscosse, sussultando spaventata ad un suono improvviso. Subito però si tranquillizzò, trattandosi di un trillo a lei familiare. Soltanto un sms.

Si asciugò maldestramente gli occhi, frugò nelle tasche alla vana ricerca di un fazzoletto, tirò su con il naso costretta, ed infine recuperò il cellulare dalla borsa. Con stupore ne scoprì il mittente, che si trasformò in sbalordimento quando ne lesse il messaggio, e in commozione come lo rilesse, realizzando che l'aveva ricevuto per davvero, comprendendone il vero significato...

Grazie comunque. E scusa. Tornerò per farmi perdonare, promesso. SH

Ricominciò a piangere a dirotto, ma questa volta con il sorriso.

 

* * *

 

-Arrivati!- esultò il Dottore, ultimando il parcheggio e spegnendo il motore -Avanti, sloggia di qui prima che a causa del tuo ego la TARDIS finisca per implodere...-

-Forse perché il tuo sta già occupando fin troppo spazio.- gli replicò con incredibile faccia tosta She... Shefford? Shellrock? Insomma, quello lì -Potresti provare a ridimensionarlo fermandoti tu qui per goderti una piacevole vacanza in Tibet... Ci penso io a badare alla tua navicella nel frattempo, non ti preoccupare.-

-Scordatelo, saresti capace di spedirmela dentro ad un buco nero!- lo fulminò all'istante -E comunque è meglio che non mi faccia vedere troppo da queste parti, ho dei trascorsi non propriamente idilliaci con l'attuale Dalai Lama...-

Non aveva affatto preso bene quella volta che la sirena della TARDIS l'aveva deconcentrato prima che riuscisse nell'impresa di superare il suo personale record d'ore di meditazione consecutive... E meno male che il Buddhismo dovrebbe trasmettere e professare solo sentimenti di assoluta pace, armonia e serenità interiore.

-Ancora meglio, così avrete occasione di riallacciare i rapporti.-

-Levati dai quark, Sherlock Holmes!- inveì esasperato.

Lui però non si mosse di un solo millimetro, sfoderando un ghigno beffardo.

-Altrimenti? Mi minacci con il tuo laser giocattolo?-

Perché, perché non l'aveva lasciato spiaccicato sul marciapiede?!?

-No, ti butto fuori a pedate!-

-Suvvia, chiedo solo un giretto di prova!- continuò ad insistere, più capriccioso di un bambino.

-Non ci provare, lo so già come va a finire con quelli come te! Non è mai “solo un giretto”! E finiresti per crearmi più problemi tu di quelli che mi tocca già risolvere!- lo redarguì, severo ed irremovibile.

Il detective allora fece scattare la mascella, corrucciò le sopracciglia, incrociò le braccia e mise un broncio davvero molto maturo.

-Se fossi una donna scommetto che non faresti tutte queste storie per portarmi con te.- lo provocò quell'insolente.

-E con questo cosa vorresti insinuare?!?- sbottò il Signore del Tempo, ormai tanto irritato quanto paonazzo.

-Non sto insinuando, sto muovendo un'accusa ben precisa!- replicò con aria di sfida -Sarà anche vero che tra te e Molly non c'è mai stato nulla, ma non l'hai di certo scelta come aiutante per la sua consumata esperienza nei viaggi spaziotemporali!-

-No, l'ho scelta per le stesse ragioni per cui l'hai fatto anche tu.- gli rinfacciò, rivolgendogli anche lui un'accusa ben precisa.

Quello però non colse la sua allusione o, più probabilmente, l'afferrò alla perfezione e pertanto preferì deviare il discorso.

-Per appropriarti dei miei muffin, forse?- sibilò.

-E chi li vuole, quelli?- si schermì, rabbrividendo al solo ricordo del loro gusto orripilante.

Lui però lo guardò con fare ancora più feroce.

-Non fare il finto tonto, l'ho visto con i miei stessi occhi che Molly li ha preparati anche per te!-

Gli scappò una risatina divertita. Gli umani sono esseri davvero troppo possessivi... specialmente quando sono gelosi, e sentimentalmente analfabeti come quel caso clinico che si ritrovava davanti. Sarà pur stato un genio, ma sul versante interpersonale era un vero cretino.

-Sì, ma sono diversi: i miei sono salati.- gli rivelò allora conciliante -Quelli dolci li riserva esclusivamente a te, stai pur tranquillo.-

Gli occhi del detective si dilatarono di scatto, stupiti, per poi abbassarsi rapidamente a dissimulare il proprio disagio.

-Starò tranquillo solo quando te ne sarai tornato da dove te ne sei venuto.- mugugnò, per poi ammorbidirsi un poco -Ma a quanto pare per qualche assurda ragione a Molly piaci, ed io non posso farci niente. Perciò continua pure a portartela nei tuoi giri, ma guai a te se provi a piantarla in asso di punto in bianco, o troverò il modo di fartela pagare cara.-

Se per questo nemmeno lui avrebbe mai capito cosa ci trovasse tanto in lui la sua amica... Ma per lei era importante, per cui gli fece comunque piacere che fosse infine riuscito a conquistarsi la benedizione del detective. Si poteva interpretare come un attestato di stima da parte sua, in un certo senso. E, per quanto il Dottore continuasse a non poterlo vedere, doveva ammettere che anche lui possedeva un'intelligenza degna del suo rispetto: dopotutto era stato il primo essere umano in grado di comprendere appieno la tecnologia ultradimensionale della TARDIS, e la differenza tra quando si sposta fisicamente e quando invece si smaterializza attraversando il Vortice del Tempo...

Non abbastanza rispetto da voler stringere amicizia e proporgli lo scambio dei loro numeri di telefono, sia chiaro.

-Non lo farò, promesso.- lo rassicurò con convinzione.

Lui però non parve per nulla soddisfatto, e lo fissò con sguardo ancora più torvo.

-Bene, perché anche lei ha bisogno di una compagnia... e di dormire. Falla dormire un po', santo cielo! Come fai a non accorgerti che si regge a malapena in piedi?!?- sbottò, puntandogli accusatorio un dito contro -E comunque, vedi di non montarti troppo la testa: ti sto solo concedendo temporaneamente Molly in comodato d'uso, poi vedi di trovarti un'altra compagna da portarti a spasso per l'Universo! E la rivoglio tutt'intera, sia chiaro!-

Allora il Dottore non poté davvero fare a meno di rispondergli con un ampio sorriso, denso di malizia e sottintesi.

-E tu vedi di tornare a riprenderti quello che è tuo.-

 

*

 

RINGRAZIAMENTI

 

H^o^la!

Ordunque, eccoci arrivati alla fine. Di già, direte voi... eh, lo so. Ma questa era la prima volta che provavo a scrivere sia su Sherlock che sul Dottore, e a tirare troppo la corda avevo davvero paura di spezzarla. E poi era proprio ad una rivisitazione della Caduta che volevo arrivare, anche se per ragioni di coerenza ho dovuto modificare qualche dettaglio rispetto alla serie. Se invece volete leggere qualcosa di più canon, vi rinvio alla mia one-shot “ChessMate” che ho partorito nel frattempo. Comunque, tornando a questa storia, dal vostro riscontro entusiasta direi che l'esperimento è riuscito senza troppi intoppi, ed è già una piccola soddisfazione personale sapere che la mia follia è stata apprezzata... Pertanto approfitto di questo angolino per ringraziare di persona tutti coloro che oltre a leggere hanno pure trovato il tempo e la voglia di recensirmi, o comunque di farmi sapere che stavano seguendo la storia o, addirittura, aggiunto alle storie preferite e ricordate. In ordine cronologico, una menzione d'onore a:

May Des; Piumadifenice; leloale; cinderella_97; beb; arirocks; francypix; queensan; tykisgirl; Tulli_pa_no; Heartofgold; july29i; Namisas; Black_Yumi; yllel; Maledetta; AbbyHolmes; kawaii_cookie; jiyu2002; Miss_Riddle Starkey; Ally I Holmes; spasibo; Florile Dalbe; SpreadYourWings98.

Siete davvero tantissimi ed io sono davvero stracommossa. Sappiate che senza di voi non so se avrei scritto questa fic con altrettanto entusiasmo, anzi mi avete spronato ad impegnarmi e dilungarmi ben oltre quelli che erano i miei intenti iniziali. Ma, chiaro, un grazie di cuore va anche a ogni persona che ha letto o leggerà in futuro questa pazza storiella. Vi voglio un infinito di bene!

XOXO

- Evee

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