la rosa d'oro ovvero i paradossi della virtù

di FEdeLauris
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 (prima parte) ***
Capitolo 4: *** capitolo 3 (seconda parte) ***
Capitolo 5: *** capitolo 4 (prima parte) ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Il risuonare degli zoccoli che battevano sul selciato annunciò l’arrivo della carrozza. Tutta la servitù si era riunita all’ingresso della villa della Marchesa Bernadette de Vernon per dare il benvenuto a sua nipote, la Duchessa Charlotte de Duclair, e all’amica di quest’ultima, la Contessa Éléonore de Saumane. I cavalli si fermarono davanti alla scalinata d’ingresso dell’abitazione e un lacchè aiutò le due belle giovani a scendere dalla carrozza. La Marchesa andò loro incontro, la schiera di servi che si apriva al suo passaggio. Una fanciulla della stessa età delle nuove arrivate la seguiva.
«Benvenute!» accompagnò il saluto con un ampio gesto delle braccia. «Spero che il viaggio sia andato bene!»
Si avvicinò a Charlotte.
«Cara, era da tanto che attendevamo una vostra visita. Vi ricordate di mia figlia Sophie?» spinse delicatamente davanti a sé l’altra ragazzina, che fece un piccolo inchino.
«Certamente! In fondo, non è passato poi così tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo viste.» disse sorridendo.
La Contessina che fino a quel momento si era tenuta un po’ in disparte, fece un passo avanti.
«Oh, e voi dovete essere Éléonore!» esclamò Bernadette, congiungendo le mani compiaciuta. «Mi avevano detto che avremmo avuto un’ospite in più quest’estate. Sono certa che qui vi troverete a vostro agio.»
Terminati i convenevoli, la nobildonna invitò la figlia ad accompagnare le ospiti nelle loro stanze, rassicurandole che i suoi servi avrebbero provveduto immediatamente a sistemare i bagagli.
Le ospiti, dunque, seguirono Sophie su per la scalinata d’ingresso, rispondendo con sorrisi agli inchini della piccola folla che attraversavano. Superata l’entrata, la giovane Marchesa le guidò al piano superiore, fino a due porte contigue.
«Queste saranno le vostre stanze finché non ci sposteremo nella residenza di campagna. Speriamo che siano di vostro gradimento». Stava per aggiungere qualcosa, ma si limitò a sorridere. «Mia madre ha insistito perché non vi tediassi con le chiacchiere fin dal primo momento del vostro arrivo. Vi lascio dunque in pace, dovete essere stanche. Se avete bisogno di qualcosa, domandate pure alle cameriere.»
Detto ciò, si accomiatò con un inchino, lasciando alle due giovani il tempo di riposarsi. Éléonore diede un’occhiata alla propria camera, poi seguì Charlotte nella sua, per stare in compagnia.
«Sono deliziose!» disse la Contessina.
Charlotte alzò le spalle.
«Già, ma sinceramente mi aspettavo qualcosa di più, data la ricchezza che fa la fama di mia zia».
Éléonore annuì senza convinzione.
La Duchessina sbuffò, guardando distrattamente fuori dalla finestra. L’amica le si avvicinò.
«Qualcosa non va?»
«No, è solo che questo soggiorno è una perdita di tempo». Si lasciò cadere sul letto. «Ci attendono tre mesi di noia. Mi sorprende che i miei genitori abbiano insistito tanto perché sprecassi qui l’estate. Non riesco a trovarne il motivo.»
‘Lo so io’ pensò Éléonore, passandosi una mano sul volto per impedire che la sua espressione la tradisse.
Purtroppo la condotta di Charlotte era la principale preoccupazione dei suoi genitori. Due erano le cose richieste alle donne del loro secolo dalla vita mondana: piacere e al contempo difendersi strenuamente dalle lusinghe profane. Le carenze della Duchessina si manifestavano unicamente riguardo a questo secondo punto. Nonostante fosse stata educata in convento, la fanciulla aveva spesso dato del filo da torcere alle suore, dimostrando senza sconti la noia suscitatale dall’insegnamento dei principî che avrebbero dovuto guidarla nella selva di tentazioni del bel mondo e manifestando altrettanto palesemente l’interesse per quei pericoli da cui avrebbe dovuto guardarsi e da cui invece era attratta per natura. In sostanza, una volta fatto il suo ingresso in società, Charlotte aveva subito dato modo di far parlare di sé, soprattutto alle donne più anziane, che in tanti anni non avevano mai visto uno spirito ribelle così mal-celato. E nonostante le dicerie sul suo conto, a cui lei si mostrava estranea o per grande ingenuità o per grande furbizia, l’alone di proibito con cui i suoi genitori tendevano a oscurare certi atteggiamenti che ella rasentava la rafforzava nei suoi propositi di trovare da sé le risposte ai suoi interrogativi riguardanti quel genere di esperienze tanto aborrite dai suoi educatori. Nella speranza di bloccare la cosa sul nascere, benché sin dall’infanzia della fanciulla un occhio attento avrebbe potuto prevederne gli sviluppi,  il Duca e la Duchessa di Duclair, che delle opinioni altrui si nutrivano, ritennero indispensabile mandare la figlia dalla zia materna, nota ovunque per la rigidità ferrea della sua morale fortemente impregnata dei principî cattolici, affinché quella piantasse nel cuore della nipote il seme della virtù che loro non erano riusciti a far attecchire. E proprio per non essere obbligata a riconoscere alla sorella esperienza maggiore in campo educativo, Madame de Duclair aveva accuratamente evitato di mettere la Marchesa al corrente della situazione, sperando che il semplice clima meno frivolo che si respirava in casa Vernon e i saggi discorsi della zia avrebbero permesso a Charlotte di capire la natura dei suoi errori. Éléonore sapeva tutto poiché sua madre era la migliore amica e stretta confidente della madre di Charlotte. Éléonore aveva un buon rapporto con sua madre, almeno per quanto riguarda la fiducia reciproca, ed ella sapeva di poterle riferire tutto senza problemi. In effetti, se la Contessina si trovava dalla Marchesa, lo doveva solo a quell’amicizia che tanto contrastava: non approvava infatti che sua madre frequentasse Madame de Duclair, dacché la riteneva una donna poco accorta, per usare un eufemismo, dati gli scarsi successi nell’educazione di Charlotte. Eppure l’avversione per Madame de Duclair non era paragonabile a quella che la Contessina provava per Charlotte stessa. Più che di avversione, in realtà, si trattava di invidia. Non che Éléonore avesse qualcosa in meno di Charlotte, anzi. A differenza della Duchessina, Éléonore era molto apprezzata dalle signore, soprattutto per la vasta cultura di cui poteva fare sfoggio, derivata dagli studi ma, soprattutto, dalle letture con cui la ragazza colmava gran parte del suo tempo libero. Ciò che rodeva alla giovane nobile era che, a parità di bellezza, la prediletta dalla galanteria maschile era solamente Charlotte. Forse per i suoi sguardi, forse per la lascivia che impregnava ogni suo gesto, la Duchessina era ricoperta dagli omaggi più lusinghieri – ai quali poi non sapeva porre un freno. Éléonore si accusava di troppa freddezza, ma pur desi-derandolo, non era in grado di cambiare il proprio modo di porsi, così apprezzato dalle grandi dame. Trovando ancora una volta nei libri un valido aiuto, la fanciulla, libera, a differenza della Duchessina, dai freni delle monache, si era documentata su tutto ciò che interessava così tanto Charlotte, battendola a livello teorico ma presentando paurose carenze a livello pratico. “L’art de plaisir non si insegna; ognuno la sviluppa da sé” le ripeteva sempre sua madre quando lei osava lamentarsi dei successi di Charlotte. E così  Éléonore si richiudeva ancor di più in sé stessa, interrogandosi costantemente su quale fosse l’atteg-giamento corretto da tenere senza compromettersi e affidando ai sapienti del passato e contemporanei il compito di consolarla. Consolazione ben magra, dal momento che la cultura, pur essendo una grande aspirazione di molti, era una ricchezza di pochi: per sedurre, i giovani si atteggiavano da filosofi e dottori, figure affascinanti, non c’è che dire, ma quando ciò consiste in pura finzione, per chi sa davvero è quasi un dovere etico polverizzare questo genere di maschere. Ed Éléonore non sapeva dire di no al proprio dovere.
 
 
 
Qualcuno bussò alla porta. Entrambe si voltarono.
«È aperto» disse Éléonore.
Una serva si affacciò discretamente.
«La Marchesa mi manda ad avvertirvi che la cena è pronta. Si scusa per il poco tempo di tranquillità che vi è stato concesso, ma credeva che sareste arrivate prima.»
«Grazie».
«È arrivata Madeleine?» chiese Charlotte.
«Sì. Ve la chiamo?»
«Sì, grazie».
La domestica uscì, chiudendo delicatamente la porta.
«Non ho per niente fame» commentò Éléonore.
Charlotte rise.
«Vi conviene farvela venire! Se non ricordo male, mia zia è solita far imbandire la tavola con la stessa quantità di pietanze che potreste trovare ad un ricevimento nuziale!»
Éléonore fu nauseata soltanto dall’idea.
In quel momento la porta si aprì di nuovo e una graziosa fanciulla fece capolino nella stanza.
«Salve Madeleine! Come è andato il viaggio?»
«Bene, mia signora. Stanno scaricando ora i vostri bagagli.»
Madeleine era serva personale e amica fidata di Charlotte. Il loro legame era molto forte, un po’ perché alla base aveva le solide fondamenta del rapporto serva-padrona, un po’ perché Charlotte sapeva come tenere legate a sé le persone ingenue come Madeleine. Questa era arrivata sulla carrozza che trasportava i bagagli delle due nobili. La vista della villa della Marchesa aveva suscitato ben altre reazioni agli occhi della giovane, rispetto all’impassibilità snobista della padrona. Infatti, pur vivendo nella stessa lussuosa residenza di lei, non possedendo nulla non si sarebbe mai abituata alle forme che la ricchezza poteva assumere.
Le tre ragazze scesero per la cena, una domestica della Marchesa faceva strada. Le due nobili fecero il loro ingresso nella sala, lievemente imbarazzate per non essersi potute dare una rassettata dopo il lungo viaggio. Le cameriere invece proseguirono per unirsi ai loro pari nella stanza attigua.
La tavola era molto lunga, anche se la maggior parte dei posti era vuota. La luce dello sfarzoso lampadario lottava con le tenebre crescenti della sera, rischiarando l’ambiente e mettendo in risalto gli ori e i brillanti che ornavano i commensali.
«Prego, accomodatevi!» la Marchesa, a capotavola, indicò due posti accanto a lei.
Due serve scostarono le sedie perché le fanciulle potessero sedersi. Le ragazze notarono subito i volti nuovi che le circondavano.
«Sono certa che mi perdonerete se non ho potuto far uso delle formalità che convengono in certe situazioni, ma, come vi è già stato detto, eravate attese per un orario diverso e la cena era ormai pronta. Comunque,» indicò il giovane accanto a Sophie, seduta a sinistra della madre «vi presento mio figlio Lambert. Voi, Charlotte, l’avete già conosciuto, ma forse eravate troppo piccola perché ora possiate ricordarvene».
I due si sorrisero.
«Accanto a lui c’è Aline, la sua promessa». Pronunciò queste parole con ostentato orgoglio.
Aline salutò educatamente con un cenno del capo, i sereni occhi verdi che rilucevano del riflesso delle lampade.
«Domando perdono per non essere stato presente ad accogliervi oggi» disse Lambert. «Ero a cavalcare con degli amici e, si sa, quando ci si diverte, si è soliti perdere la cognizione del tempo».
Le ospiti annuirono, sorridendo per le occhiatacce che la Marchesa lanciava al figlio.
«Ringraziate che sono fanciulle di poche pretese! Vi avevo caldamente raccomandato di tornare puntuale!».
Ma i rimproveri scivolavano sullo sguardo angelico e sicuro di Lambert, che aveva già attirato l’attenzione delle giovani, con la differenza che la presenza di Aline aveva soffocato ogni pensiero di Éléonore, mentre era un dettaglio per Charlotte.
«Vi ricordate la tenuta estiva in campagna?» le chiese Bernadette.
Charlotte annuì, mentre una cameriera iniziava a servirli.
«Quella dove io e Sophie ci siamo viste tre anni fa?»
«Già,» intervenne questa «e come sempre Lambert era rimasto a Vernon con la sua compagnia…»
«Non fatemi passare per quello sempre assente! È Thierry quello che non è mai a casa!»
«Mi spiace contraddirvi, ma quella volta c’era» ribatté la sorella.
«Sì, è vero, me lo ricordo!» assicurò Charlotte. «Ma ora dov’è?»
«In Italia» rispose la cugina. «È via per questioni diplomatiche».
«Dopo la morte di mio marito, Thierry ha preso il suo posto» Bernadette guardò il gigantesco ritratto del defunto Marchese appeso alla parete.
«Che alla nostra famiglia non ha fruttato solamente un mucchio di soldi, vero Sophie?» le disse il fratello in tono allusivo. Lei arrossì leggermente.
Le due ospiti guardarono la Marchesa con aria interrogativa.
«Qualche mese fa - una delle poche volte in cui Thierry è tornato a casa -, ha portato con sé un ricco proprietario terriero, il Marchese Philippe de Vézillon, che ha chiesto la mano di Sophie. Ora stiamo aspettando che concluda certi affari, poi provvederemo alle nozze.» la donna sorrideva compiaciuta, stringendo la mano della figlia.
«Oh, allora è una cosa recente! Sono contenta per voi!» disse Charlotte, intenzionata a fare ricerche più approfondite una volta sola con la cugina.
«Dunque siete tutti sistemati…» aggiunse.
«Purtroppo no» la contraddisse la zia. «La fidanzata di Thierry è morta di tisi due anni fa e da allora lui non ha più voluto cercare nessuna». Bernadette sospirò. Poi lanciò un’occhiata intorno e abbassò la voce.
«Sono sicura che sia lui a scegliere le mete dei suoi viaggi, e non che gli vengano imposte, come mi vuole far credere. E tutto questo perché teme che rimanendo qui io lo spinga a trovarsi una compagna!»
«Non è forse quello che fareste, madre?» intervenne Lambert. Lei lo guardò indignata.
«Non vorrete, spero, che vostro fratello rimanga scapolo a vita? Una compagna gli farebbe bene, è sempre così preso dal dovere che non dedica mai un po’ di tempo a sé stesso. E se lo meriterebbe, povero ragazzo, così altruista e disponibile con tutti…»
Éléonore ascoltava e intanto mangiava, osservando i commensali: se, stando a quanto diceva Charlotte, la ricchezza di sua zia non poteva essere intuita osservando la maestosa dimora, di certo la si poteva indovinare dalle laute portate che venivano servite e che la Marchesa dimostrava di apprezzare più di tutti a quella tavola.
La Contessina cercò di ricordare cosa le aveva raccontato Charlotte durante il viaggio riguardo alla famiglia di sua zia. Era una descrizione molto approssimativa, in cui i ricordi erano uniti alle informazioni che Madame de Duclair aveva dato alla figlia prima che partisse. Al di là delle nozioni sulla posizione politica dei membri della famiglia Vernon e degli elenchi di matrimoni e parentele che avevano  consentito a Charlotte di condividere qualche goccia di sangue con il sovrano, la Contessina aveva focalizzato la sua attenzione sui dettagli personali dei membri di quella stessa famiglia, sicuramente, a suo parere, molto più utili per conoscere le persone che l’avrebbero ospitata. Nella narrazione aveva avuto largo spazio la figura della zia, forse perché, si disse Éléonore, la Duchessa di Duclair si era premurata di avvertire implicitamente la figlia della condotta più opportuna da tenere durante il soggiorno. Comunque sia, ecco ciò che la Contessina aveva appreso dall’amica: la Marchesa di Vernon era una donna famosa nei dintorni e forse fino a Parigi per la sua condotta onesta e dignitosa. Citata come esempio di degna madre di famiglia e mirabile istitutrice in campo morale, Bernadette aveva conservato, anche dopo la morte del marito, quella fedeltà la cui assenza in molte famiglie era sovente causa di scandali. Condotta ancor più onorevole in un’epoca in cui lo stato vedovile, spogliato dei lugubri riflessi della morte, era ambito in quanto forniva alle donne la libertà di cui erano private prima dal padre e poi dal coniuge. E tuttavia, non si fermavano qui i suoi meriti: la Marchesa aveva dato alla luce uno dei più importanti diplomatici del Regno, il primogenito, Thierry de Vernon, al cui ritratto la Contessina aveva aggiunto le informazioni appena udite dalla bocca della Marchesa stessa. Egli, come i suoi fratelli, era ammirato come il degno prodotto dell’abilità educativa di Madame de Vernon. Anche per quanto riguarda Sophie, più che il convento, si riteneva che alla fanciulla avessero giovato le attenzioni della madre.
E infine, c’era Lambert, il giovane dai capelli ramati e gli occhi di zaffiro seduto tra la sorella e la futura sposa. Di lui, l’aveva informata Charlotte, si diceva che grazie al suo carisma avrebbe potuto, un giorno, avvicinare il Re più di quanto non avesse fatto Thierry. Questi, infatti, mancava di ambizione e si accon-tentava di seguire le orme del padre senza intraprendere strade nuove, specialmente se in salita. Lambert, invece, con quel suo sguardo sfacciato prometteva tacitamente di raggiungere le vette che il fratello aggirava.
Per quanto riguarda Aline, Charlotte non l’aveva menzionata durante il viaggio e il modo in cui scrutava la giovane dai capelli d’ambra fece intuire ad Éléonore che anche per la Duchessina si trattava di un nuovo incontro. La Contessina dedusse inoltre che, se la fanciulla era stata accettata così di buon grado dalla Marchesa, di certo era perché possedeva tutte le virtù richieste dalla futura suocera. Si perse un attimo ad ammirare la purezza delle fattezze di Aline, quando la voce della Marchesa richiamò la sua attenzione.
«Éléonore, diteci qualcosa di voi. Mia sorella ci ha fatto solo qualche accenno, vorremmo conoscervi meglio.»
La Contessina appoggiò delicatamente l’estremità delle posate sul bordo del piatto. «Sono sicura che ne avrete modo in questi tre mesi» sorrise. Iniziò a raccontare qualcosa sulla sua famiglia, finché Sophie non la interruppe.
«Voi e Charlotte vi siete conosciute in convento?» chiese la fanciulla.
«No, le nostre madri sono grandi amiche e di conseguenza noi ci siamo conosciute grazie a loro. Io non ho studiato in convento, ho avuto un istitutore privato.»
«Davvero?» chiese sorpresa la Marchesa. «Di solito si preferisce far studiare le proprie figlie in convento. Anche per Sophie è stato così. Sinceramente ritengo che un’educazione impartita in questo tipo di ambiente sia più efficace alla formazione di donne virtuose e di oneste madri di famiglia.»
Éléonore trattenne il sorriso che le fece nascere il pensiero di Charlotte.
«Ma d’altronde, voi stessa mi dimostrate, o perlomeno mi dimostrano i commenti di mia sorella, che anche un’educazione come la vostra può dare buoni frutti» concluse la Marchesa. La fanciulla sorrise, grata per il complimento. In fondo, Madame de Duclair aveva dato una buona immagine di lei alla Marchesa.
La conversazione proseguì, mossa dalla curiosità e dall’interesse di Madame de Vernon per la giovane ospite, e, tra un argomento e l’altro, la cena fu conclusa. La Marchesa invitò tutti ad andare a riposare per lasciare in pace le due ragazze, spossate dal lungo viaggio, perciò ognuno si ritirò nella propria stanza. Al loro ingresso, le due amiche videro che i loro bagagli erano stati portati dai servi e gli abiti già accurata-mente riposti negli armadi e nei cassettoni. Entrambe le camere erano munite di un bagno con una vasca, di cui le ragazze si apprestarono a far uso una volta sole.
Per quanto stanca e poco avvezza alla fatica, Charlotte non riuscì ad impedirsi di chiedere alla cugina di trascorrere un po’ di tempo nella sua camera a parlare. Anche Éléonore fu invitata ad unirsi a loro.
«Dunque, Sophie, dovete aggiornarmi su ciò che è accaduto in questi tre anni. Innanzitutto, mi dispiace molto per Thierry e per i ricordi che ho risvegliato sollevando la questione a tavola…»
«Non dovete preoccuparvi. Ormai è passato. Inoltre, per quanto mi riguarda, devo dire che sono molto più legata ad Aline, che conosco da meno tempo, di quanto non lo fossi alla promessa sposa di Thierry.»
«E voi? Com’è?» chiese ansiosa la cugina.
Sophie descrisse a lungo il futuro marito, soffermandosi però, secondo Éléonore, più sui dettagli estetici e la quantità dei possedimenti che non sul carattere o le attitudini dell’uomo. Evidentemente era uno stile di famiglia. Perciò la Contessina si preoccupò di meglio indirizzare la domanda.
«Vi piace?»
«È il partito più virtuoso e onesto che mi abbia mai richiesta in sposa. Mia madre ne è entusiasta.»
Probabilmente Sophie lo era un po’ meno, pensò Éléonore; tuttavia proseguì.
«Siete fortunata: di certo Madame de Vernon cerca il meglio per voi. Siete al sicuro dai pericoli del nostro secolo sotto la sua protezione.»
Sophie annuì. «Già».
Dopo la sua ultima affermazione Éléonore fu esclusa dalla conversazione e le due cugine chiacchierarono del più e del meno con tanta vivacità che la Contessina, temendo che la cosa si protraesse fino a tarda notte, si accomiatò appena ne ebbe l’occasione.
 
 
 
Il giorno seguente le due ospiti furono le ultime a svegliarsi. La Marchesa aveva ordinato alle serve di lasciarle riposare per tutto il tempo che desideravano.
Come ogni mattina, Madame de Vernon si era ritirata nel suo studio, dove era solita riordinare le carte e i documenti e controllare lo stato delle finanze della famiglia. Si era da poco seduta allo scrittoio quando sentì bussare.
«Avanti».
Una serva entrò con una lettera in mano.
«Mia signora, è arrivata ora questa per lei» annunciò richiudendosi la porta alle spalle. «È da parte di suo figlio...»
«Portamela!»
La serva lasciò la lettera sulla scrivania della padrona.
«Grazie. Puoi andare.»
La serva si accomiatò con un inchino e uscì.
Bernadette ruppe la ceralacca ansiosa. Era da tempo che non riceveva nuove di Thierry. Sapeva che era impegnato, ma il fatto che fosse così lontano da casa non la faceva sentire tranquilla. Pretendeva che almeno le scrivesse spesso. Aprì il foglio ripiegato e iniziò a leggere:
 
Cara madre,
il mio soggiorno in Italia si è concluso con successo. Sarete contenta di sapere che entro tre giorni sarò dunque a casa. E non da solo.
Ho conosciuto un Lord. Deve recarsi in Inghilterra dalla sua promessa sposa e prima che la raggiunga l’ho invitato a trascorrere qualche tempo da noi. Spero non vi dispiaccia. Sono certo che vi piacerà. È un intellettuale e parla alla perfezione inglese, francese e fiorentino.
A proposito di ospiti, nella sua ultima lettera Sophie mi ha scritto che sarebbe arrivata Charlotte con una sua amica. Non sarà stata forse una vostra subdola manovra invitare anche lei, dal momento che insistete ogni giorno di più nel dire di volermi vedere ammogliato? Sapete che non apprezzo i vostri sforzi in tal senso. Comunque sia, con affetto
                            
                                                                                                                                                       Thierry
 
La Marchesa guardò la data riportata sulla lettera ed ebbe un tuffo al cuore: suo figlio sarebbe arrivato l’indomani. La Marchesa sospirò, stringendo la lettera al petto.
 
 
 
Madame de Vernon riuscì a malapena ad attendere l’ora di pranzo per poter dare il lieto annuncio. Una volta che tutti si furono riuniti a tavola, lesse la lettera ad alta voce, saltando le ultime righe.
«Porta un Lord? Chissà che anche questo non trovi moglie qui da noi! Così non dovrebbe tornare fino in Inghilterra!» disse scherzosamente Lambert rivolto alle ospiti. Éléonore e Charlotte si guardarono arros-sendo.
«Nessuna di voi è impegnata?» chiese il giovane.
Le fanciulle scossero la testa. La Marchesa si stupì un poco.
«Non avete ancora ricevuto una proposta?» chiese questa a sua volta.
Éléonore scosse di nuovo il capo, sconsolata, mentre Charlotte annuì con finta reticenza. Éléonore parlò per lei, appoggiando la mano su quella della Duchessina e rispondendo alla muta domanda della Marchesa.
«Più o meno una decina!»
Charlotte si mostrò indignata.
«Esagerata! Non erano così tante!»
Éléonore la guardò con aria di sfida.
«Volete che inizi l’elenco? Non costringetemi a farlo, non vorrei monopolizzare la conversazione fino al des-sert…»
La frase suscitò la risata degli altri.
«E non ne avete accettata neanche una?» domandò incredula Sophie.
Charlotte si strinse nelle spalle. «Mio padre è alla ricerca del partito ideale. E proprio perché è ideale, non lo troverà mai. Ma d’altronde, è meglio così. Sono giovane e c’è tempo perché mi leghi definitivamente ad un solo uomo!»
Éléonore si divertì ad osservare gli effetti che l’aggettivo “solo”, forse sfuggito per sbaglio dalle labbra di Charlotte, aveva provocato, cogliendo, come l’amica, l’approvazione nello sguardo di Lambert, il che le lasciò entrambe incredule, dacché egli aveva già accettato i vincoli matrimoniali. Ritenendo più importante l’opinione del cugino, Charlotte non si accorse dell’indignazione malcelata della Marchesa, che evidente-mente aveva colto il significato delle sue parole tanto quanto il figlio.
«Possibile che tra tutti quei giovani non ce ne fosse uno che andasse bene a vostro padre?» chiese Aline.
«Evidentemente no» fu la risposta.
«Permettetemi di dire che forse i suoi canoni sono un po’ troppo rigidi. A mio parere, avete perso molte occasioni!»
Éléonore si sforzò di non scoppiare a ridere per la situazione che si era venuta a creare: la Marchesa fissava Charlotte con occhi di ghiaccio, per vedere come avrebbe risposto, mentre questa non sapeva come vantare i suoi successi amorosi senza offendere la moralità della zia.
La Duchessina se ne uscì con un «non è detto» e un’occhiata eloquente rimandò i dettagli ad un momento più opportuno.
«Quasi dimenticavo!» esclamò Sophie, allentando la tensione. «Questa sera Madame d’Arvieux darà una festa. Ovviamente, siete invitate anche voi.» disse rivolta alle ospiti.
«Quando lo siete venuta a sapere?» chiese Lambert.
La sorella si stupì.
«Come sarebbe? Lo sapevate anche voi!»
Il silenzio che seguì la contraddisse.
«Comunque, sono già occupato. Non posso accompagnarvi.»
L’espressione delle tre donne di casa fece capire alle nuove arrivate che quella scena si ripeteva spesso.
«Non sarà un problema, andremo noi» concluse Bernadette.
Terminato il pranzo, le ragazze si riunirono in uno dei salottini. La presenza di Madeleine fu unanimemente     accettata.
«E dunque, ditemi, cosa intendevate a tavola?» domandò Aline incuriosita.
Charlotte si strinse nelle spalle. «Semplicemente, che il fatto che io non abbia potuto sposarli non implica per forza che io abbia negato loro… la mia compagnia» rispose in tono ambiguo.
Aline si fermò a riflettere. Sophie intese prima di lei e fissò la cugina con espressione turbata.
«In che senso?» le chiese sospettosa.
«Ho l’impressione che voi fraintendiate le mie parole…» disse Charlotte con indignazione ben simulata. Si era accorta che con le sue allusioni si stava giocando la reputazione all’interno della villa. Decise perciò di tornare sui suoi passi.
«Ciò che volevo dire era che… ho conosciuto meglio questi giovani che non se avessi accettato alla cieca. Sarebbe stato un danno maggiore se mio padre avesse approvato, dal momento che nessuno di essi mi aggradava». Talvolta si sorprendeva della facilità con cui riusciva a trovare un efficace espediente per salvarsi da ogni situazione.
«Sophie, non vi facevo così maliziosa! D’altronde, vostra cugina è di famiglia rispettabile, come potreste dubitare della sua onesta condotta?» esclamò Aline, sollevata dal fatto di non trovarsi di fronte ad una libertina, come aveva temuto pochi istanti prima.
Madeleine approvava con il capo ogni parola di lode alla sua padrona.
Éléonore osservava tutte celando il proprio disgusto.
Se c’era una cosa che la Contessina non tollerava, era l’ingenuità, l’incapacità di cogliere i significati nascosti tra le righe. Si domandava di continuo come Madeleine potesse non accorgersi dei comportamenti tenden-zialmente licenziosi di Charlotte quando era in compagnia di giovani di ogni rango, e spesso le veniva il dubbio che l’ottusità della servetta fosse un atteggiamento assunto per convenienza.
Per quanto riguarda Aline, invece, lei era palesemente innocente. Probabilmente non conosceva il pec-cato o, se lo conosceva, lo temeva e lo disprezzava più di ogni altra cosa. ‘La virtù si tocca con le mani in questa casa. Charlotte stona in questo quadro di purezza.’ pensò la Contessina.   
Osservava Charlotte riempirsi di boria per le qualità non sue che le attribuivano e avrebbe voluto dare scandalo gridando il motivo del soggiorno della Duchessina dalla zia.
Ma tacque, sapendo che non era compito suo quello di toglierle la maschera, e implorò che venisse presto il giorno in cui essa sarebbe caduta da sola mostrando il suo vero volto.
Tuttavia, Charlotte non si perse d’animo e, non potendo raccontare i dettagli più interessanti delle sue relazioni, si concesse perlomeno il piacere di iniziare un lungo monologo incentrato sulle lettere, i fiori, i gioielli che i suoi spasimanti le donavano e sui cuori spezzati che si era lasciata dietro, senza mancare di sottolineare la bellezza, il titolo e il patrimonio di tutti coloro che l’avevano chiesta in sposa e trovando per ognuno di essi un motivo di rifiuto.
Sophie ascoltava estasiata, e intanto cresceva inconsapevolmente in lei la stessa invidia che da anni rodeva Éléonore, incapace di avere gli stessi successi di Charlotte pur avendo i mezzi per ottenerli.
Aline invece era pensierosa: in sostanza, Charlotte aveva illuso tanti buoni partiti, scartandoli per motivi oltremodo futili. Forse il principale motivo era proprio che avevano chiesto la sua mano. Concluse che Charlotte, evidentemente, era uno spirito ancora troppo libero per accettare di essere chiuso nei vincoli del matrimonio. Di qui, dunque, quella che poteva sembrare una condotta frivola.
Fu un bene che non mise a parte dei suoi ragionamenti Éléonore, che sarebbe stata senza dubbio sopraf-fatta dall’ira a sentire l’ennesima persona che giustificava comprensivamente Charlotte.
Passarono il resto del pomeriggio chiacchierando. Mademoiselle de Duclair non mancò di informarsi sui loro ospiti di quella sera e ciò diede inizio a un lungo dibattito sui ricevimenti, le loro occasioni e il loro svolgimento. Sophie si mostrò all’altezza di Charlotte per quanto riguarda interesse e competenza della vita di mondo. Éléonore cercava di ascoltare con attenzione, ma questa a poco a poco venne meno. Fortunatamente, Charlotte chiese a Sophie il permesso di vedere i suoi abiti per le occasioni, per cui le due cugine uscirono dal salottino, seguite da Madeleine, lasciando sole Éléonore e Aline. Tutt’intorno, la servitù era in fermento per l’arrivo del Marchese e Bernadette non dava un attimo di tregua alle cameriere, riversando su ognuna una pioggia di ordini da eseguire in tempo reale. Voleva che ogni cosa fosse perfetta per il ritorno del figlio.
A Éléonore faceva tenerezza. Doveva volergli davvero molto bene. D’altronde, tutti in quella casa gliene volevano. Chiese ad Aline di descriverglielo.
«I suoi capelli sono oro puro e gli occhi sono di un azzurro meraviglioso…»
«Perdonatemi, ma chiedevo come fosse come persona» la interruppe.
«Oh, scusate!». Pensò un istante. «È molto educato, un vero gentiluomo. Ha tutte le virtù di sua madre: è onesto, generoso… e ha la stessa lealtà di suo padre. Il suo senso del dovere è proverbiale…  Non so che altro dire, dovete conoscerlo! Sono certa che vi piacerà.»
Éléonore annuì.
Le due fanciulle parlarono a lungo. Éléonore si rese conto che Aline era davvero la brava persona che aveva immaginato. Le sue parole stillavano sincerità ed ella era sempre portata a trovare il meglio in tutti. La Contessina le aveva chiesto di ritrarle con maggior precisione di quanto non avesse fatto Charlotte anche gli altri membri della famiglia Vernon e dalla descrizione erano emersi solo i lati positivi di ognuno. Aline parlò a lungo di Lambert, descrivendolo come un dio. Éléonore capì che doveva amarlo molto. Eppure, nonostante la fanciulla dipingesse la propria situazione a rosee tinte, la Contessina non provava per lei lo stesso fastidio che sentiva quando ascoltava i successi di Charlotte. Forse perché Aline non ostentava, forse perché non era in competizione con le altre. Éléonore si rendeva conto, con gioia, che al mondo non esistevano solo “Charlottes”. Era un errore che commetteva sempre: credeva che tutte le ragazze fossero come la Duchessina, invece c’erano anche persone come Aline, semplici, sincere, genuine.
Ormai i raggi del sole filtravano obliqui dalle finestre, quando una serva annunciò la cena. A tavola, l’atmosfera era carica dell’allegra tensione per il ritorno del Marchese. Charlotte se ne era lasciata contagiare, mentre Éléonore rimaneva indifferente, anzi, era quasi annoiata dai discorsi ininterrotti della Marchesa. La cena durò meno del solito, perché avessero più tempo per prepararsi per il ricevimento a Palazzo d’Arvieux.
 
 

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Quel pomeriggio, una sottile pioggia estiva aveva rinfrescato l’aria. Le strade bagnate scintillavano sotto i raggi serali che iniziavano solo allora a farsi strada tra le nuvole.
Davanti al cancello, i cavalli neri battevano gli zoccoli a terra sbuffando nell’attesa. Finalmente, le donne arrivarono.
«Svelte, o faremo tardi!» disse la Marchesa incitando le ragazze a salire sulla carrozza.
Entrò anch’ella, a fatica, ostacolata dalla mole e dal vestito.
«Che abiti scomodi! Se la moda continua in questa direzione, non passeremo più neppure dalle porte di casa!» si lamentò, sistemandosi goffamente sul sedile. Il cocchiere intanto chiuse la portiera e salì a cassetta.
In poco tempo arrivarono a Palazzo d’Arvieux. La vettura fu fatta entrare nel cortile e le nobili furono annunciate.
La musica della festa si mescolava al brusio delle voci. Ori e fiori ornavano le stanze, dal soffitto delle quali pendevano splendidi lampadari.
Una donna in età avanzata venne loro incontro.
«Bernadette! Mia cara, come sono lieta di vedervi.»
Madame d’Arvieux salutò con la stessa cortesia anche Aline e Sophie.
«Noi lo siamo altrettanto. Come state?»
«Come al solito. E voi? Avete ospiti?». Sorrise alle ragazze oltre le spalle della Marchesa. Questa le fece venire avanti.
«Lasciate che vi presenti mia nipote Charlotte e la sua amica, la Contessa Éléonore de Saumane».
Le fanciulle fecero la riverenza.
«Lieta di fare la vostra conoscenza. Spero che passerete una piacevole serata.» disse Madame d’Arvieux. Poi, avendo adocchiato altre persone che varcavano la porta, si accomiatò per riceverle.
Madame de Vernon si unì ad un gruppo di dame che l’avevano invitata ad avvicinarsi, mentre le ragazze si aggirarono per le stanze in cerca di volti noti.
Lo sguardo era inevitabilmente attratto dagli scintillii della luce sui gioielli che adornavano gli abiti degli invitati. Lusso e divertimento traboccavano da ogni sala.
Mademoiselle de Vernon era piuttosto conosciuta in città. Brillava della luce riflessa dei suoi fratelli, la compagnia dei quali era ricercata dalle grandi dame, attratte dalle onorificenze del primogenito e dallo spirito brillante del più giovane. Lei li seguiva a ruota in ogni salotto, invitata più per cortesia che non per vero interesse nei suoi confronti. Tuttavia, Sophie sembrava non rendersene conto e, talvolta, aveva anche il coraggio di vantarsi dei numerosi ricevimenti a cui le era richiesto di presenziare quasi ogni giorno.
L’assidua frequentazione dei salotti cittadini le aveva permesso di sviluppare una vasta cultura riguardo ai pettegolezzi che si diffondevano in quegli ambienti, per cui poté intrattenere le ospiti sfoggiando la conoscenza di una grande quantità di nozioni che Charlotte avrebbe definito “essenziali”. Fu così che le nuove arrivate poterono farsi un’idea di quasi tutti i presenti.
Spesso Sophie le presentava e Charlotte cercava subito di mettersi in mostra, prima con sorrisi e occhiate, poi a parole, con i suoi toni suadenti e ammiccanti. Parlavano un po’ tutti insieme, le due amiche rispondevano a qualche domanda e poi riprendevano a vagare per le sale.
Ad un tratto, Sophie si fermò e cambiò bruscamente direzione facendo segno alle altre di seguirla. Entrarono in una sala, in cui l’atmosfera era movimentata da coppie danzanti e dalla musica di alcuni suonatori. In un angolo c’erano dei giovani che discorrevano tra loro. Uno di essi, un giovane alto e bruno, alzò lo sguardo e quando incrociò quello di Sophie le andò incontro.
«Buonasera, Mademoiselle» le disse con un gran sorriso. Le baciò la mano.
«Buonasera, Laurent. Non mi stancherò mai di dire che vostra madre organizza delle serate meravigliose.»
«È il minimo che possa fare per accogliere un’ospite come voi».
Sophie si schermì con finta modestia.
«E io? Non merito altrettanti riguardi?» ironizzò Aline.
«Perdonatemi, sono stato davvero scortese!» arrossì il giovane. Sapeva che Aline non era il tipo di persona da formalizzarsi per i convenevoli, ma comprese che la battuta faceva riferimento alle sue particolari attenzioni per Sophie.
«Amiche mie,» disse questa rivolta alle ospiti «lui è il Marchese d’Arvieux, figlio della signora con cui abbiamo parlato poco fa».
Laurent si inchinò e Sophie gli presentò Éléonore e Charlotte, alla bellezza della quale il giovane non poté restare indifferente.
«Sediamoci da qualche parte. Staremo più comodi.» propose.
Facendo strada, accompagnò le ragazze in un salotto attiguo alla sala dei suonatori, ma meno affollato.
Si sistemarono sui divani.
«Per quanto tempo avrete l’onore di essere ospiti di Sophie?» chiese alle nuove arrivate.
«Tutta l’estate» rispose Charlotte.
«Siete fortunate. Io a malapena riesco ad esserne ospite per una sera!»
Le due amiche si guardarono imbarazzate. Laurent non celava affatto il suo interesse per Mademoiselle de Vernon.
«Siete esagerato!» esclamò questa. «Invitiamo sempre voi e vostra madre ogni qualvolta organizziamo un ricevimento!»
«Ammetterete, tuttavia, che si tratta di occasioni assai rare…»
«Non lo ammetto affatto. Anzi! Lo nego.» la fanciulla incrociò le braccia con fare altezzoso.
Laurent alzò gli occhi al cielo.
«Ma chère, probabilmente ho bisogno di vedervi più spesso di quanto voi non mi concediate…»
Aline scosse il capo. Laurent era inguaribilmente innamorato di Sophie. Era da tempo che aspirava alla sua mano e non si capacitava di come la giovane Vernon avesse potuto accettare la proposta di un altro. Sperava di riuscire a farle cambiare idea prima del decisivo “sì”, ma non si rendeva conto evidentemente di come le stesse frasi che un tempo facevano sorridere la fanciulla ora la mettessero in imbarazzo di fronte agli altri.
Aline decise di cambiare argomento.
«Prima che mi dimentichi, Lambert vi manda i suoi saluti».
«E voi porgetegli i miei. Come mai non è venuto?»
«Sfortunatamente, il vostro invito è stato preceduto. Mi ha comunque detto di assicurarvi che la prossima volta non mancherà.»
«Lo spero. E vostro fratello maggiore?»
Sophie lo mise a parte della lettera ricevuta.
I due si informarono a vicenda degli avvenimenti accaduti nei giorni intercorsi tra il loro ultimo incontro e quella sera. Charlotte registrava tutto e interveniva quando poteva, ripetendo i commenti sentiti a casa della zia. Laurent era divertente, oltre che affascinante; ogni tanto intercalava il discorso con qualche battuta o commentava sarcasticamente l’atteggiamento delle persone che non andavano a genio né a lui né a Sophie.
Il giovane Marchese fece qualche altra domanda alle nuove arrivate e Charlotte colse l’occasione per studiarlo meglio interrogandolo a sua volta.
«Da quanto tempo vi conoscete?» chiese accennando a lui e Sophie.
«Io e Mademoiselle de Vernon ci conosciamo da quando eravamo bambini. Le nostre madri sono molto amiche, perciò io, a dispetto di ciò che ho detto prima» rise «sono praticamente di casa presso Sophie. E allo stesso modo lei viene spesso qui. Veniva.» si corresse con una nota di biasimo nel tono.
Charlotte sembrò non farci caso.
«Siete uno dei compagni di caccia di Lambert?»
«Sì, ma ad essere sincero i miei rapporti con lui non vanno oltre la semplice conoscenza».
«Non dite così, in fondo siete amici!» obbiettò Aline.
«Non ho detto nulla di negativo, ma dovete ammettere che non siamo molto legati».
«Più che con Thierry, perlomeno…»
«Su questo avete ragione».
La musica nella sala a fianco cambiò.
«Mi concedete questo ballo?» chiese Laurent offrendo la mano a Sophie. Questa esibì un attimo di renitenza, poi accettò. I due sparirono oltre la porta.
«Lo illude?» sussurrò Charlotte all’orecchio di Éléonore.
La Contessina si mostrò indignata, nonostante avesse pensato la stessa cosa. Semplicemente, non tollerava che il biasimo partisse proprio da Charlotte.
«Quanta malizia nelle vostre parole! È un suo intimo amico, l’educazione impone di accettare…»
Charlotte fece una smorfia.
Aline era impegnata a sistemare un nastro del vestito, non le stava ascoltando.
«Basta così poco per illuderli?» chiese Éléonore dopo poco, sempre a bassa voce.
«Te lo garantisco: c’è chi cede per molto meno».
E quasi a voler confermare le proprie parole con i fatti, si alzò e andò a civettare con alcuni giovani che le erano stati presentati poc’anzi.
 
 
 
Quando Charlotte tornò sul divanetto, entrarono le due Marchese. Éléonore osservò che formavano una strana coppia: Madame de Vernon era imponente, dal volto rubicondo e severo, invece Madame d’Arvieux era molto minuta e asciutta, quasi scheletrica rispetto alla madre di Sophie; inoltre aveva gli occhi velati, non limpidi come quelli dell’amica, e sembrava che dovessero spegnersi del tutto da un momento all’altro; nonostante ciò, però, aveva una vitalità interiore tutta sua, che si esprimeva nei continui sorrisi e nell’espressione, che non le abbandonava mai il volto, di compiacimento per la serata organizzata.
Le donne si avvicinarono alle ragazze sedute di fronte a loro. Madame d’Arvieux riuscì a ritagliarsi uno spazio sul divano, mentre la Vernon occupò la poltrona accanto ad esso.
«Allora, avete conosciuto mio figlio?»
«Sì, Madame» rispose Charlotte.
«Dov’è ora?»
«A ballare con Sophie» disse osservando la reazione della zia. Questa non fece una piega, per cui la Duchessina distolse lo sguardo delusa.
Éléonore pensò che l’errore più comune a chi si chiude troppo a lungo all’interno di un  proprio mondo sia che quando ne esce porta con sé le leggi che lo governano, pretendendo di farle calzare alla realtà. Allo stesso modo, però, chi è abituato ad interpretare i gesti più comuni per quello che sono non è in grado di capire che cosa lo stesso gesto può rappresentare per un'altra persona. E così non è possibile comprendersi e ci si confonde a vicenda. Davvero Sophie giocava con i sentimenti di Laurent? In fondo, ciò che aveva detto prima non era sbagliato, Mademoiselle de Vernon avrebbe potuto accettare per semplice cortesia. Semmai la colpa di un malinteso sarebbe stata di Laurent, se avesse considerato il semplice consenso di Sophie come se sottintendesse qualcosa di più…
L’inconfondibile risata di Madame de Vernon la richiamò al presente. Le capitava spesso di estraniarsi dalla realtà senza rendersene conto.
«Ditemi, cara, avete programmi per questi giorni?» chiese Madame d’Arvieux.
«Quando Thierry si deciderà a tornare ci trasferiremo nella residenza estiva» rispose l’amica.
«Da quanto è via?»
«Ho perso il conto del tempo, ormai…» sospirò Bernadette.
Madame d’Arvieux scoppiò a ridere.
«Siete tragica come sempre!»
«E inutilmente, in questo caso,» si permise di aggiungere Aline «visto che il Marchese torna domani».
La padrona di casa rimase di stucco.
«Ho capito bene?». Poi sorrise. «Che bella notizia!»
Si rivolse a Charlotte.
«Vedrai come è cambiato in questi anni! Proprio un bel giovanotto, mia cara.»
«È vero» affermò orgogliosa Madame de Vernon.
«Dunque partirete a breve per la campagna» disse Madame d’Arvieux riprendendo il discorso precedente. «Eh, beati voi che potete! Purtroppo alcune incombenze mi trattengono in città. Mi dispiace solo per Laurent, perché passare qui l’estate sarà tedioso…»
«Perché mai dovrebbe restare qui? È necessaria la sua presenza?» domandò Madame de Vernon.
«No …» rispose pensosa l’amica.
«E dunque, lasciate che venga con noi! La tenuta, come sapete, è grande, uno in più non sarà di alcun disturbo. Così starà in compagnia di mia figlia.» propose Bernadette con entusiasmo.
Un ampio sorriso si allargò sul volto della padrona di casa.
«Ottima idea! Grazie, sono certa che Laurent ve ne sarà riconoscente.»
«Qualcuno ha fatto il mio nome?»
Laurent si avvicinò conducendo Sophie per mano. La madre gli ripeté le parole dell’amica e il giovane Marchese faticò a contenere la gioia. Sophie pensò che se neppure sua madre, così ossessionata dalla reputazione, riteneva l’atteggiamento di Laurent un problema, in fondo non c’era nulla di cui preoccuparsi,  perciò si mostrò anch’ella entusiasta.
Madame d’Arvieux si informò sullo stato della tenuta e Madame de Vernon iniziò un monologo che durò parecchio tempo, in cui illustrò all’amica le modifiche apportate dalla ristrutturazione, quanti ettari di parco erano stati aggiunti e così via. Nel frattempo la musica nella sala a fianco riprese e Laurent guardò a lungo Sophie, poi rinunciò a riformulare l’invito, poiché questa, forse proprio per sfuggirgli, si era messa a parlare fittamente con le loro madri.
A quel punto, vagando con lo sguardo, incrociò quello di Charlotte.
E non poté fare altro che invitarla a danzare.
Éléonore e Aline, annoiate dai discorsi delle due donne, si alzarono e li seguirono nella sala dei suonatori, fermandosi su un lato della stanza. Charlotte e Laurent presero posizione al centro insieme alle altre coppie. I loro movimenti iniziarono a seguire le note aggraziate.
«Non vi ho mai vista da queste parti» esordì il giovane Marchese.
«Non sono solita venire a trovare i miei cugini qui in città». Si scambiarono di posto. «Le poche volte che ci incontriamo avviene nella tenuta estiva».
«Capisco. Dunque è la prima volta che la vedete. È di vostro gradimento?»
«A dire il vero non ho ancora avuto modo di  visitarla…»
«Dopodomani non potrete più. È un peccato…»
Volteggiò e incontrò gli splendidi occhi di Charlotte. Così azzurri, così intensi…
Che gli prendeva? La lingua si mosse da sé.
«Sapete, non ho ancora trovato il modo di sdebitarmi con vostra zia: voi me lo servite su un piatto d’argento. Che ne pensate di approfittare del vostro ultimo giorno qui? Potrei farvi io da guida, se lo desiderate.»
«D’accordo… non avevo intenzione di impegnarvi… però se siete disposto, mi piacerebbe molto, grazie…» disse la fanciulla fingendosi imbarazzata.
«Il piacere è tutto mio».
Continuarono a volteggiare e a scambiarsi occhiate e a chiacchierare, mentre la musica avvolgeva ogni cosa, immergendo la sala in una realtà fuori dal tempo.
Pienamente ancorate al presente, Éléonore e Aline commentavano la scena.
«È sorprendente» osservò Aline «non ho mai visto Laurent parlare tanto a lungo e con così vivo interesse con una giovane che non fosse Sophie… forse, finalmente, volgerà il suo sguardo altrove. Sophie non aspetta altro, soprattutto per il bene di Laurent.»
«Aline, non capisco precisamente che tipo di rapporto ci sia tra i due… potreste chiarirmi la situazione? Sempre che sia possibile parlarne…»
«Certamente. Starete con noi tutta l’estate, è bene che qualcuno vi metta a parte di queste cose. Dovete sapere che Laurent e Sophie sono legatissimi, quasi come se fossero fratello e sorella. Laurent, però, è da anni innamorato perdutamente di Sophie. E non demorde nemmeno ora che lei è promessa a un altro. Non invidio affatto Sophie: infatti, da un lato è preoccupata che le malelingue approfittino della mancanza di ritegno di Laurent per mettere in giro voci sul loro conto, dall’altro non vuole respingerlo apertamente per paura di perdere la sua amicizia. Tutto si risolverebbe se lui si innamorasse di un’altra…» guardò Charlotte, splendida con la chioma dorata raccolta sul capo. Ora i due ballerini stavano ridendo insieme.
«Non conosco affatto Charlotte» proseguì Aline. «Credete che potrà nascere qualcosa?»
«Potrei ribattere che non conosco affatto Laurent, ma vi assicuro che sarebbe un caso unico se non provasse interesse per lei. Di tutti i giovani che conosco, non uno non ha tentato di conquistarla. Tuttavia, il problema è opposto: Charlotte non resta a lungo legata a qualcuno, come avete potuto constatare.» replicò Éléonore senza sbilanciarsi.
«Forse questa volta è diverso… Dicevano la stessa cosa di Lambert, e invece siamo fidanzati.»
La Contessina le sorrise teneramente.
«Beata voi…» mormorò.
Aline arrossì. «Comunque, non riesco a credere che nessuno abbia mai chiesto la vostra mano. Conosco innumerevoli fanciulle prive di ogni valore eppure richieste da persone importanti!» disse.
«Toccate un tasto dolente, ma chère» rise tristemente Éléonore. «Evidentemente, il valore di cui parliamo noi non è lo stesso che assume interesse agli occhi dei più. Quando ci educano, ci insegnano come comportarci per non far parlare di noi in modo negativo. E tuttavia attraverso la castità dei costumi pretendono che noi attiriamo le attenzioni degli uomini. Ci insegnano quali sono gli spunti favoriti delle malelingue, ma non cosa si cerca davvero in fanciulle come noi. Mi rendo conto di parlare per estremi, ma ancor più stupefacente, mi consentirete di dire, è proprio il fatto che le fanciulle che stanno nel mezzo sono quelle che riscontrano maggior successo pur essendo, perlomeno a mio parere, le più scialbe. Infatti, come possono attirare l’attenzione queste ragazze? Nei giochi di gruppo non si ode mai la loro voce e se ciò accade il risultato non è dei migliori, come nelle conversazioni: alcune, consce della propria ignoranza, sanno che è meglio tacere e ascoltare, mentre altre, odiose arroganti, argomentano con sicurezza discorsi senza basi oggettive che le mettono solo in ridicolo. E sono proprio queste ad avere più successo.» Guardò Aline negli occhi.
«Ditemi voi» riprese «dove sta il mio errore. Perché ciò che interessa a me non interessa agli altri? Perché ciò che mi contraddistingue, ciò che mi fa brillare sulle labbra di chi conta nella società mi allontana da ciò che mi interessa davvero?»
Aline abbassò gli occhi imbarazzata, senza sapere cosa dire, ma la Contessina la assolse da quest’onere proseguendo infervorata e sconsolata.
«Che società contraddittoria. Tutti esaltano certe qualità e poi, nei fatti, dimostrano di apprezzare il loro opposto. Ma ancora parlo per estremi. Mi dimentico sempre di un punto fondamentale… l’atteggiamento. Eh sì, mia cara Aline, ogni volta me ne dimentico e poi torno da sola alla risposta alle mie domande. È il modo di porsi, n’est-ce pas?, che rende indiscutibilmente migliori certune rispetto ad altre? E così l’ignorante brilla più della colta… che mondo alla rovescia! Ma forse sono io a guardare le cose dalla parte sbagliata. Forse l’apparenza conta più della sostanza. O forse è sostanza il nostro comportamento e apparenza la sapienza di cui ci ammantiamo…»
Non parlava più con Aline. Parlava per sé stessa. Diceva ad alta voce una riflessione che faceva sempre e l’amica l’ascoltava affascinata, sapendo di non essere più la sua interlocutrice.
Éléonore tornò alla realtà.
«Comunque,» concluse «in fin dei conti è meglio così. Non ho nulla da rimpiangere perché non ho mai provato niente per nessuno. Il mio lamento è solo rammarico per non essere vezzeggiata come le altre, tutto qui. Il matrimonio non c’entra. Gli agi di una vita all’insegna del lusso non compensano, a mio parere, i vincoli del matrimonio, dolci catene che diventano le più pesanti, se vi legano alla persona sbagliata.»
«Non vi siete mai innamorata?»
«Ad essere sincera, non ho mai provato ad andare al di là della semplice conoscenza con gli altri giovani, né loro mi hanno mai cercata. E la colpa è solo mia, perché non ho mai fatto nulla per ottenere le loro attenzioni; non ho la sicurezza, ad esempio, di Charlotte… Temo ciò che pensa la gente, che fraintendano le mie intenzioni, o che io non sappia controllare le mie azioni. Forse un matrimonio combinato è l’unica soluzione se mi si vuole vedere sistemata...»
«Ma che dite? A voi è offerta, per grazia divina, la possibilità di scegliere, e non ne approfittate? Ah, a quante donne è stato negato l’amore! In nome loro, abbiate pazienza! Certo, è previsto che una fanciulla si sposi appena lasciato il convento, ma se questo ritardo è necessario alla vostra felicità, non mi riesce di individuare il problema.»
Éléonore tormentava un volant della manica.
«Voi credete nel destino?» le chiese infine Aline.
Éléonore si riscosse.
«Che intendete dire?»
«Intendo che Thierry arriverà domani». Guardò la luce dei lampadari guizzare sulle gonne in movimento delle danzatrici.
«Torniamo di là» disse accarezzandole il braccio.
Éléonore la seguì nella sala attigua.
 
 
 
Quando entrarono, non trovarono né Sophie né le due nobildonne. Scoprirono che si erano spostate in un salone più ampio. Dalla soglia videro che stavano parlando con altre dame, probabilmente amiche condivise dalla Vernon e dalla padrona di casa. Si avvicinarono per unirsi a loro. La Marchesa stava tenendo nuovamente un monologo e, chissà perché, Éléonore non si stupì di sentirla parlare del primogenito.
«È un così caro ragazzo, sempre disponibile ad aiutare la sua famiglia! Ma quanti pensieri mi dà, sempre in giro per il mondo…»
Era un refrain che la Contessina udiva ormai da due giorni. Le dame intorno a Bernadette annuivano e la incalzavano con domande e commenti. Madame d’Arvieux faceva da spalla all’amica, smorzando gli eccessi di turbamento nelle sue parole e approvando vistosamente gli elogi per Thierry.
Éléonore si chiese se Lambert non fosse geloso del fratello. Le venne però in mente lo sguardo del giovane dai capelli ramati: era quello di uno a cui non importa nulla di ciò che gli altri pensano di lui. E in effetti non sbagliava. Se avesse condiviso i suoi pensieri con Aline, questa le avrebbe confermato che spesso Lambert prendeva in giro il fratello per l’atteggiamento che la madre aveva nei suoi confronti. Ringraziava di non essere al suo posto. Lui seguiva la sua strada da solo, senza bisogno di un supporto morale, e voleva che fosse chiaro a tutti. Pensava che ogni lode della madre per Thierry rendesse più debole quest’ultimo agli occhi della gente. Aline, però, la pensava diversamente e lo stesso passava per la mente di Éléonore: quelle dame davano ragione alla Vernon e non sembrava che lo facessero per educazione. Thierry doveva davvero valere tutti quegli elogi. La Contessina sperava solo di non illudersi.
Quando Charlotte e Laurent comparvero nella sala, Bernadette smise di chiacchierare e li chiamò. Ormai era ora di rincasare. Sulla soglia, tuttavia, Madame de Vernon si fermò ancora a parlare con la Marchesa d’Arvieux. Laurent si avvicinò a Charlotte.
«Allora se volete domani ci potremmo vedere…»
«Certamente. Quando pensate di passare?»
«Nel pomeriggio, senza dubbio. Non penso che vostra zia acconsentirebbe a lasciarvi uscire prima di aver dato una calda accoglienza a Thierry…»
I due risero.
Finalmente, la Marchesa riuscì a superare la porta e le cinque nobili tornarono a casa.
 
 
 
Davanti alla sua stanza, Charlotte soddisfò la curiosità di Aline. Sophie passò mentre la Duchessina parlava dell’appuntamento.
«Come avete detto? Laurent non me ne ha parlato…»
«Forse non lo riteneva necessario» disse Charlotte alzando le spalle.
«Sì… avete ragione… ma sono vostra cugina, saremmo potuti andare insieme…»
Una rapida occhiata di Aline le fece cambiare idea.
«No, anzi, torna mio fratello… resterò a casa» concluse con un sorriso.
Il pendolo al piano di sotto batté l’ora.
«È meglio se andiamo a dormire» disse Éléonore. «Voglio essere riposata per domani» aggiunse.
Aline la guardò negli occhi, ricevendo in cambio un sorriso allusivo, poi si diresse verso la porta, lieta dell’effetto sortito dalle proprie parole quella sera.
Una volta sola, Éléonore, avvolta nelle lenzuola, favorita dal buio della stanza, si lasciò sprofondare in un mare di pensieri e inquietudini: l’indomani sarebbero arrivati due giovani, uno dei quali era, almeno in base alle parole della madre dello stesso, il miglior partito che la Contessina avesse mai incontrato; ma il pensiero di Charlotte giungeva continuamente come una sassata distruggendo i castelli che la giovane mente della fanciulla tentava di costruire. Certamente, la Duchessina avrebbe costituito un ostacolo invalicabile per ogni suo progetto. Non poteva competere con lei. E, ne era sicura, Laurent sarebbe presto passato in secondo piano di fronte a due nuove prede, perciò non sarebbe stato una sufficiente distrazione, mentre il legame di parentela con Thierry sarebbe risultato un semplice dettaglio una volta che questi avesse visto la bellezza della cugina. Perlomeno, in questo modo anche Aline avrebbe compreso la vera natura di Charlotte. Forse. 
L’agitazione che l’aveva pervasa all’inizio si trasformò rapidamente in malinconia. Se ne accorse e scosse la testa girandosi nel letto. ‘Basta pensare a Charlotte,’ si disse ‘devo concentrarmi su domani. Come ha detto Aline, il destino mi ha concesso un’occasione che potrebbe rivelarsi unica. Non posso permettermi di sprecarla.’

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Capitolo 3
*** capitolo 3 (prima parte) ***


La luce del mattino accolse il Marchese de Vernon nel cortile della sua villa. La polvere aleggiò qualche istante intorno agli zoccoli dei neri cavalli che avevano trainato la carrozza fino a destinazione. La portiera si aprì e una bionda chioma scintillò al sole.
«Thierry!» chiamò la madre andandogli incontro.
I due si abbracciarono. La Marchesa, donna molto alta, gli arrivava appena sotto le spalle.
«Madre, finalmente vi rivedo!» le disse sorridente.
Anche Sophie e Lambert si avvicinarono.
«Bentornato, fratello. Come state?» disse Lambert.
«Bene, soprattutto ora che sono di nuovo a casa».
«E il viaggio?» si informò Sophie.
«Stancante. Ma lasciate che vi presenti il nostro ospite.»
Nel frattempo, dalla carrozza era sceso un altro giovane.
«Lord Ariberto di Midhurst» annunciò il Marchese.
‘Un Lord italiano?’, fu il pensiero di molti.
Il giovane bruno si inchinò, baciando la mano della Marchesa e della figlia, le quali si inchinarono a loro volta.
«Enchanté, Madame» disse con una perfetta pronuncia. «Vi sono davvero grato per avere accettato di ospitarmi con così poco preavviso».
«Non preoccupatevi. Gli amici di Thierry sono sempre benaccetti. Potrete stare qui per tutto il tempo che desiderate, o almeno fino a quando i vostri impegni ve lo consentiranno.»
Il Lord sorrise.
La Marchesa invitò entrambi ad entrare e a riposarsi dal lungo viaggio. Ad Éléonore sembrava di rivivere da spettatrice il giorno del suo arrivo alla villa. Non aveva potuto fare a meno di notare lo sguardo famelico con cui Charlotte aveva squadrato il Marchese. In fondo, non la biasimava. Era davvero bello. Il velluto nero del nastro che gli fermava i capelli risaltava in modo spettacolare sulla chioma del giovane, che di certo era la caratteristica che attirava di più l’attenzione. Pensò alle aspettative di Aline su Charlotte e Laurent e si chiese se la Duchessina si sarebbe controllata di più se quello fosse stato presente.
Il lieve tocco di Aline la distolse dai suoi ragionamenti e la invitò a rientrare con gli altri.
Si fermarono nell’ingresso. Molte serve ripresero le loro faccende, scomparendo nelle varie sale, mentre la Marchesa presentò le ospiti. Le due fanciulle si avvicinarono e Charlotte scandagliò con i suoi occhi maliziosi entrambi i giovani, rendendo faticoso ad Éléonore contenere la propria irritazione.
D’altronde, era difficile distogliere lo sguardo dal Marchese: le ricche vesti ne evidenziavano la prestanza del fisico, ben proporzionato ed elegante nel portamento. Di certo il Lord non colpiva l’attenzione allo stesso modo. Molto più basso, capelli corvini, occhi neri, pelle di un tono più scura di quella dei presenti: si vedeva che era italiano.
Si riunirono tutti, familiari e ospiti, nel salotto, affinché il Marchese raccontasse del suo viaggio.
«Parlateci dell’Italia» suggerì la madre.
«È meravigliosa!» esordì Thierry. «Nei miei spostamenti ho visitato diverse città. Ariberto mi ha fatto da Cicerone. Sa una tale quantità di cose che non potete nemmeno immaginare!»
Ariberto sorrise apparentemente imbarazzato, ma non negò.
«Dove siete stati?» domandò Sophie.
«Quando sono arrivato, le navi hanno fatto scalo a Genova. Da qui poi, per varie ragioni, ci siamo spostati nelle zone interne fino a Milano. È lì che ci siamo conosciuti.»
«Come?» chiese Sophie.
«Conoscenze in comune» rispose il fratello semplicemente. «Gli ho espresso il mio desiderio di visitare la Penisola e lui non ha esitato ad offrirsi come guida. Mi ha portato a Mantova, Ravenna, Firenze, Venezia…»
«Ah, Venezia!» esclamò Éléonore. Subito arrossì per averlo interrotto. «Ci sono stata…» aggiunse per giustificarsi. «È molto bella».
«Avete ragione» concordo Thierry. Le sorrise.
«E poi?» lo incalzò Sophie.
«Sorellina, in tutte le città più famose del Nord più quelle previste dall’itinerario! Non voglio assolutamente tediarvi con un elenco così lungo.»
«Monsieur Ariberto,» si intromise la Marchesa «cosa vi ha spinto ad unirvi a mio figlio nel suo ritorno in Francia?»
Il Lord si sistemò sul divano.
«La mia fidanzata vive in Inghilterra. Avrei dovuto attraversare queste terre comunque, quindi perché non farlo in compagnia?»
Bernadette annuì.
«Dunque vi tratterrete per poco?»
«L’intenzione è quella, sia per non essere d’incomodo a voi sia per non far penare troppo a lungo la mia giovane futura sposa».
«Qual è il suo nome?» domandò Sophie.
«Lady Audrey di Midhurst» rispose Ariberto con una punta di orgoglio.
Charlotte rifletté un attimo.
«Questo sarebbe il suo nome da sposata» lo corresse.
«No, non lo è» la contraddisse Ariberto.
Il silenzio che lo avvolse lo costrinse a dare spiegazioni che avrebbe preferito omettere.
«Sono io a non avere un titolo,» affermò riluttante «ma data la certezza del matrimonio e la brevità del tempo che resta prima della sua celebrazione, la famiglia della mia Lady mi ha concesso di utilizzarlo anche prima delle nozze».
«Quindi voi…» iniziò la Marchesa.
«Borghesia milanese» rispose sbrigativo Ariberto.
La Marchesa si limitò ad annuire.
Dopo qualche istante di silenzio, Thierry si infilò una mano nella giacca.
«Quasi dimenticavo» disse estraendo una busta. «Sophie…»
La sorella prese la lettera. Era da parte di Philippe.
«Come mai l’avevate voi?»
«La stava per spedire, ma mi sono offerto di consegnarvela, dato che stavo per tornare».
«Eravate imbarcati insieme?» chiese stupita.
Il fratello annuì.
«Nessuno mi dice mai niente!» si lamentò la fanciulla.
Fece per aprire la missiva, quando si accorse che tutti la stavano fissando. Decise perciò di rimandare la lettura ad un momento in cui sarebbe stata sola, con grande delusione della madre.
Thierry colse Ariberto mentre si massaggiava una tempia con la mano.
«Le nostre stanze sono pronte?» domandò alla madre. «Il mio amico è un po’ stanco per il lungo viaggio».
«Certamente!» rispose Bernadette. Chiamò subito una serva con un campanello.
«Accompagna il nostro ospite nella sua camera».
«Subito, Madame». La serva si rivolse al giovane. «Prego, vogliate seguirmi».
Ariberto si alzò e si incamminò dietro di lei, scomparendo oltre la soglia.
Quando se ne fu andato, Bernadette riprese la conversazione.
«Allora… avete conosciuto qualche fanciulla interessante in Italia?» azzardò.
Thierry piegò la testa di lato e fissò la madre con uno sguardo a metà tra il rimprovero e la noia. La Marchesa sollevò le mani.
«D’accordo, come non detto…»
Lambert e Sophie sorrisero, mentre Éléonore e Charlotte si guardarono, sentendosi entrambe di troppo in quel quadretto famigliare appena riunito. Aline se ne accorse, per cui fece un cenno alla Marchesa che intese subito. Dopo qualche minuto, la padrona di casa fornì alle ragazze l’occasione di congedarsi mandando Sophie a chiedere al nuovo ospite se andasse tutto bene e proponendo alle fanciulle di andare con lei. Quelle accettarono di buon grado e tutte insieme uscirono.
La stanza di Ariberto era in fondo al corridoio.
Sophie bussò.
«Avanti».
Le tre fanciulle si affacciarono restando sulla soglia. Ariberto era in piedi accanto al letto, da cui probabilmente si era appena alzato, dato che le coperte erano sgualcite in più punti.
«State bene?» domandò Sophie.
«Ho un po’ di mal di capo. Chiedo perdono per quella che può passare per asocialità, ma l’ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento è il ronzio delle chiacchiere da salotto nelle orecchie.»
«Non preoccupatevi, siete ampiamente giustificato» lo rassicurò Sophie scuotendo la testa.
Fece per chiudere la porta e concedere al Lord la dovuta tranquillità, ma questi, dopo un attimo di esitazione, domandò: «Avete una biblioteca?»
Sophie esitò un attimo prima di rispondere.
«Ecco, vedete, qui abbiamo una sala piuttosto modesta contenente numerosi libri, ma non merita il titolo di biblioteca. Tutti i volumi più preziosi e importanti che abbiamo si trovano in un’enorme salone nella residenza estiva. Mio padre ha fatto costruire là una stanza adibita allo scopo per la grande disponibilità di spazio. Voleva che i libri stessero tutti insieme, piuttosto che divisi tra una stanza e l’altra. Ma, se volete seguirmi, anche qui potrete trovare qualcosa.»
Ariberto si incamminò dietro Sophie e le altre due fanciulle li seguirono.
Mentre percorrevano il corridoio, Éléonore disse: «Perdonate la mia impertinenza ma, se vi duole il capo, come può giovarvi la lettura?»
Ariberto sorrise.
«In verità, è l’unica attività che mi permette di rilassarmi. I libri sono molto meno rumorosi delle persone.»
Mademoiselle de Vernon li condusse in una sala spaziosa con un tavolino al centro e le pareti nascoste da scaffali stracolmi di volumi. Éléonore si chiese quanti fossero in tutto i volumi nella biblioteca vera e propria e non vide l’ora di poterla visitare.
Charlotte si guardava intorno come se sugli scaffali fossero riposti semplici fogli di carta rilegati insieme.
«Graziosa» commentò Ariberto.
«Già,» rispose Sophie, che non aveva notato la sfumatura ironica nel tono del Lord «ma quella che vedrete domani è tutt’altra cosa!»
In quel momento una serva entrò e le disse che la madre la stava attendendo al piano di sotto.
«Scusatemi un istante». La fanciulla tornò verso le scale.
«Vengo con voi» disse Charlotte seguendola.
‘I libri la spaventano fino a questo punto?’ pensò sarcastica Éléonore, restando stupita dal fatto che la Duchessina non cogliesse l’occasione per studiare la nuova preda. Poi le venne in mente che al piano di sotto si trovava Thierry e rammentò anche la sfrontata ambizione di Charlotte.
Si lasciò sfuggire un sospiro frustrato, poi si rivolse ad Ariberto.
«Penso che dobbiate accontentarvi della mia compagnia, sempre che la desideriate».
«Nessun problema» la rassicurò il Lord sorridendo.
Quando i passi delle altre fanciulle sulle scale non si udirono più, Ariberto si mosse per la stanza.
«È ben misera» commentò.
Éléonore fu stupita dalla sfrontatezza del Lord. Dal momento che però condivideva la sua opinione, non lo biasimò più di tanto.
«Mademoiselle Sophie l’ha ammesso sin dall’inizio. Domani i vostri occhi potranno ammirare di meglio.»
«Lo spero. Non riuscirei a soggiornare in un’abitazione sprovvista di beni di prima necessità come loro.» disse accarezzando il dorso di uno dei volumi. «Voi amate la lettura, Contessa?»
«Moltissimo» rispose quella. «È una caratteristica di famiglia».
Lui sorrise.
«È positivo. Sappiate che vi trovate in compagnia di un eletto di Calliope.»
«Che volete dire?» domandò Éléonore cercando di sorvolare sulla superbia dell’affermazione.
«Non sapete chi sia?» le chiese lui con finta sorpresa.
«La musa degli aedi» ribatté lei.
«Brava. In effetti, ho pubblicato diverse raccolte di poesie e letto un numero non indifferente di libri.»
Éléonore lo guardò ammirata.
«Dite davvero? È meraviglioso! Finalmente, incontro una persona con cui poter parlare di ciò che mi piace senza risultare noiosa!» esclamò.
L’affermazione suscitò la risata del Lord.
«Ma chère, col tempo imparerete che gli unici validi interlocutori sono i libri stessi».
«Non sono d’accordo. Con essi non è possibile avere uno scambio di opinioni.»
«No, c’è semplicemente un arricchimento personale».
«Ma un uomo che accumula sapere per poi non condividerlo è come un avaro che accumula denaro senza utilizzarlo…»
«Vi do ragione, Contessa, ma dovete sapere che la maggior parte della gente è ignorante e la sua ignoranza non deriva dal non sapere, ma dal non voler sapere più dell’indispensabile. In effetti, quel poco che ho sentito da voi non mi lascia indifferente».
Éléonore arrossì lievemente. Ariberto restò un attimo ad osservare la sua interlocutrice.
«La mia Audrey rientra nel numero di queste perle rare, ovviamente. Voi me la ricordate molto.»
Riprese a sondare il dorso dei volumi con lo sguardo.
«Cercate qualcosa in particolare?»
«No, voglio solo capire quali generi prediligono i padroni di casa. In realtà, è inutile giudicare le persone in base ai libri che possiedono, dato che spesso li acquistano solo per riempire scaffali vuoti.»
Un sorriso di scherno gli comparve sul volto.
«Perché tutta questa diffidenza verso il prossimo?» chiese Éléonore incuriosita.
«Non è diffidenza infondata, è ciò che l’esperienza mi ha insegnato».
 La Contessina non ribatté.
«Qual è il vostro genere preferito?»
«Amo i trattati di filosofia e la letteratura inglese. In realtà, però, leggo di tutto.»
«E le vostre poesie? Di cosa parlano?»
«Dell’Uomo, dell’Amore, della mia Lady,… dipende dall’ispirazione. Se volete ve ne farò leggere qualcuna. Le porto sempre con me.»
«Ne sarei onorata».
Osservarono insieme il contenuto della sala, commentando titoli e autori man mano che ne incontravano.
«E di lì che cosa c’è?» domandò ad un certo punto Ariberto indicando una porta che Éléonore non aveva ancora notato.
«Non ne ho idea» rispose la fanciulla.
Ariberto sbirciò il corridoio oltre la porta dello studio.
«Non c’è nessuno. Penso che potremmo dare una piccola occhiata…» allungò la mano sulla maniglia.
«Aspettate,» lo fermò Éléonore «forse la Marchesa non vuole».
Lui sorrise. «Non lo verrà mai a sapere». Abbassò la maniglia, ma la porta era chiusa a chiave.
«Peccato» commentò.
«Torniamo di sotto» propose Éléonore.
Il Lord rise. «Vi ho messo fretta?»
La Contessina si indignò. «No, ma mi sembra che il mal di capo vi sia passato».
«Sarà l’ambiente. Comunque sono certo che se tornassi di sotto mi verrebbe di nuovo. È meglio che mi riposi. Voi scendete pure, se volete.»
Éléonore annuì, poiché si rendeva conto che non era educato non ripresentarsi nel salotto, soprattutto sapendo quanto la Marchesa tenesse ad accogliere bene il figlio. Percorsero insieme il tratto di corridoio fino alla stanza del Lord, poi lui vi entrò, mentre la Contessina ridiscese le scale.

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Capitolo 4
*** capitolo 3 (seconda parte) ***


Intanto, nel salotto, Thierry stava rispondendo alle curiosità di Aline e alle continue domande di Sophie sul suo fidanzato. Lambert, sprofondato nella poltrona, sembrava disinteressato a tutto come suo solito, mentre la madre, più che attenta, pareva in contemplazione del figlio. Quando Éléonore entrò, nessuno sembrò accorgersene. Si sistemò di nuovo accanto ad Aline.
«Come sta?»
Éléonore ci mise un po’ a capire che stavano parlando con lei.
«Chi?… Oh! Meglio… almeno sembra… ha detto che ha bisogno di riposare.»
La Marchesa annuì con aria preoccupata.
«State tranquilla, gli passerà. Gli capita spesso, ci è abituato.» la rassicurò Thierry.
 
 
 
Finalmente, l’ora di pranzo giunse e Ariberto si fece di nuovo vivo in mezzo a loro. Nemmeno il cibo riusciva a zittire Bernadette, che continuava a parlare di tutto quello che era successo prima dell’arrivo del figlio, della residenza estiva, di Laurent che si sarebbe unito a loro. Éléonore e Charlotte non poterono non notare la disapprovazione di Thierry per quest’iniziativa della madre.
«Andiamo, caro, che male vi fa se c’è anche lui?» gli chiese la Marchesa.
«Nessuno» rispose Thierry per tagliare corto.
La madre non domandò oltre, ma non voleva che per Thierry ci fossero dei problemi. Decise di parlare con lui in privato più tardi.
Terminato il pranzo, Ariberto stette più a lungo in loro compagnia. Occuparono nuovamente uno dei salotti e conversarono a lungo. Questa volta fu il Lord ad essere al centro dell’attenzione, grazie a Thierry. Questi, temendo il giudizio negativo della madre per il basso lignaggio dell’amico, cercò subito di metterlo in buona luce ai suoi occhi.
«Madre, sapevate che Lord Ariberto è un virtuoso del pianoforte?» esordì.
«Davvero? Potrebbe intrattenerci con qualcosa, allora, che ne dite?» propose la Marchesa.
Ariberto accettò e si diresse verso il pianoforte in un angolo della saletta. Tutti rimasero meravigliati dalla fluidità con cui le sue dita correvano sui tasti, intrecciandosi tra loro e tessendo melodie famose o improvvisate. L’aria fremeva delle note più trillanti e il respiro rimaneva sospeso quando il Lord prolungava con sue intuizioni passaggi complessi e carichi di tensione. L’esibizione terminò tra gli applausi.
«Magnifico! Davvero magnifico!» esclamò la Marchesa compiaciuta.
Le fanciulle concordarono con lei.
«Studio pianoforte da quando ero un bambino. Mi sono spesso esibito in concerti a Milano e in altre città del Nord Italia. Do anche lezioni, se Vostra Signoria è interessata…»
La Marchesa rise.
«Oh no, vi ringrazio! Preferisco ascoltare gli altri che suonano per me!». Pensò un attimo, poi disse: «Charlotte, se non ricordo male, voi cantate…»
«Sì…» rispose la fanciulla «ma non vorrete farmi esibire davanti a tutti?», disse con una renitenza che Éléonore sapeva essere pura finzione. 
«Perché no? Avanti, fatelo per vostra zia! Andate accanto al nostro ospite e deliziateci con la vostra bella voce.»
Charlotte non obbiettò e, con un’espressione rassegnata, andò accanto ad Ariberto. Questi attaccò una canzone francese molto nota, certo che la fanciulla la conoscesse.
Charlotte si schiarì la voce e cantò; un usignolo non l’avrebbe eguagliata.
Éléonore la ascoltava, l’invidia che cresceva ad ogni nota. Forse avrebbe sofferto di meno se avesse saputo che, dall’altro lato del divano, Sophie condivideva i suoi stessi pensieri.
Nuovamente risuonarono applausi ed elogi.
Charlotte fece per tornare al suo posto baldanzosa, ma la Marchesa le chiese di cantare di nuovo, e così fece.
Quando terminò, il pendolo batté l’ora e la Duchessina, con molta nonchalance, salutò tutti e si avviò verso la porta. Bernadette la guardò con disappunto.
«Dove state andando?» le chiese.
«Il Marchese d’Arvieux si è gentilmente offerto di farmi visitare la vostra città. Penso sia già qui fuori ad aspettarmi.»
La zia si indignò per non essere stata avvisata prima e soprattutto per il fatto che, dopo tanti anni di lontananza, Charlotte preferisse passare il pomeriggio con uno sconosciuto piuttosto che con suo cugino. Stava per dar voce ai suoi pensieri, ma Sophie la precedette nel prender parola.
«Che bella idea!» esclamò con entusiasmo. «Inoltre, Laurent è un amico di famiglia, quindi Charlotte sarà in buone mani, non è vero madre?»
Éléonore e Aline si guardarono. Sophie non si era lasciata sfuggire l’occasione di permettere a Laurent di incontrarsi con un’altra fanciulla. La Marchesa, all’oscuro dei progetti della figlia, non se la sentì di contraddirla. In fondo, aveva ragione, di Laurent ci si poteva fidare.
«D’accordo, ma non tornate tardi».
 
 
 
Come aveva previsto, Charlotte scorse il Marchese ad attenderla fuori dal cancello.
«Siete un uomo di parola» disse andandogli incontro.
«Mantengo sempre gli impegni presi» le rispose.
«Allora, dove avete deciso di condurmi?» domandò Charlotte impaziente.
«Nei posti che ho ritenuto essere i più degni di Vostra Signoria». Le porse il braccio e insieme si incamminarono per il viale. Passeggiarono a lungo per le vie principali. Ogni tanto Laurent illustrava ciò che vedevano passando, ma Charlotte non lo ascoltava, impegnata ad analizzarne l’aspetto e il comportamento. Era davvero un bel giovane e la Duchessina si chiedeva come Sophie avesse potuto rifiutare la sua corte; ma dal momento che la cugina non era interessata a lui, Charlotte si sentì in dovere di non lasciar cadere a vuoto gli omaggi che Laurent aveva da offrire.
«Sono stanca» disse ad un certo punto. «Non c’è un posto in cui possiamo sederci?»
«In fondo a questa strada c’è un parco. Possiamo fermarci lì per un po’.»
Vi giunsero e Charlotte scelse una panchina all’ombra, per proteggere il candore della sua pelle.
«Non mi avete raccontato del ritorno di vostro cugino» constatò Laurent.
Charlotte fece il resoconto della mattinata, senza tralasciare l’esibizione fatta prima di uscire di casa.
«Mi piacerebbe sentirvi cantare» disse il Marchese. «Vorrei che lo faceste di nuovo quando saremo nella tenuta estiva di vostra zia».
«Perché aspettare fino a domani?» disse Charlotte. «Se lo desiderate, canterò per voi anche ora».
«Qui?» rise Laurent. «Siete alquanto esibizionista! Non sarò l’unico ad ascoltarvi…» con un ampio gesto della mano accennò alla gente sparsa nei dintorni.
«E dunque? Non ho nulla di cui dovermi vergognare. Giudicate voi stesso.»
Detto ciò, cantò la stessa aria con cui aveva dilettato la Marchesa. Alcune persone, udendola, la ascoltarono  estasiate sedute su altre panchine, altre fermandosi sui sentieri del parco. Laurent era lievemente imbarazzato, ma non voleva che quella voce si interrompesse per nulla al mondo, tanto era meravigliosa. Quando Charlotte finì, il giovane batté le mani, e così fecero anche gli altri che erano rimasti ad ascoltarla. La Duchessina rise e fece un grazioso inchino.
«Avete la voce di una Sirena» si  complimentò Laurent.
«Attento a non farvi attirare contro la scogliera, marinaio…». Charlotte sorrise. Laurent si era perso nei suoi occhi magnetici.
 
 
 
Nel frattempo, a Palazzo Vernon, tutti avevano disertato il salotto per dedicarsi ciascuno ai propri interessi. Madame de Vernon aveva chiamato il figlio maggiore nel suo studio per chiarire la questione di Laurent.
La donna era in piedi dietro la sua scrivania, il figlio di fronte a lei.
«Perché vi dà così noia la presenza del figlio di Madame d’Arvieux? So che non vi è mai stata molto gradita la sua compagnia, ma non ritenevo la situazione grave al punto da non poterlo vedere. Ditemi qual è il problema, figlio mio, cercherò di venirvi incontro». Il tono della Marchesa era a metà tra la delusione e il rimorso: temeva di aver fatto un torto al figlio.
«Vi garantisco, madre, che avete sempre visto giusto. La presenza di Laurent non è per me di alcun disturbo; ma per Sophie non si potrà dire altrettanto… Avrete certamente notato le avances che il Marchese è solito farle. Non temete per la reputazione di vostra figlia?». Thierry guardò la madre negli occhi.
«Sinceramente non credo che Laurent costituisca un pericolo per lei. Sono sempre stati ottimi amici, la gente lo sa. Inoltre, tutti conoscono Sophie e sanno che non esiste fanciulla più onesta in tutta la città.»
La Marchesa pronunciò l’ultima frase con una punta di orgoglio per nulla celata. Infatti, la giovane Sophie, educata in convento, cresciuta in una famiglia onesta accanto ad una madre così rigida nei costumi e in un ambiente impregnato di principî cattolici più di quanto non lo siano certi seminari, cos’altro avrebbe potuto essere se non il prodotto dell’unione della Virtù e della Fede? Thierry sapeva che sua madre aveva ragione, ma non riusciva a stare tranquillo. Non aveva mai visto di buon occhio Laurent e non poteva sopportare che ronzasse intorno a sua sorella senza tenere conto del fatto che era già promessa ad un altro. Tuttavia, conoscendo la facilità con cui sua madre si agitava, decise di non turbarla con le sue preoccupazioni. Avrebbe tenuto d’occhio Laurent da solo.
«Sono d’accordo con voi, l’onestà di Sophie è inattaccabile. Vi chiedo solo di essere prudente.»
Detto ciò, si accomiatò e uscì.
Bernadette lo guardò sparire nel corridoio, poi si affacciò alla finestra. Il cielo si era rannuvolato. Sperò che non si mettesse a piovere per non trovare fango sulle strade di campagna.
 
 
 
Il Marchese de Vernon misurò i corridoi a lunghi passi. Voleva stare un po’ con gli altri, ma non riusciva a trovarli. Finalmente, aprì la porta dello studio che era stato di suo padre e vide Éléonore, Ariberto e Aline seduti attorno al tavolo ricoperto di fogli volanti e taccuini.
«Che state facendo?»
«Thierry! Volete unirvi a noi?» lo invitò Ariberto con un gran sorriso.
Il Marchese lo guardò con aria interrogativa e si avvicinò al tavolo. Prese uno dei fogli, a caso, e lo lesse. Erano poesie; la calligrafia pomposa e svolazzante con cui erano scritte valse più della firma in fondo al foglio.
«Le fanciulle mi hanno implorato di leggerle» spiegò il Lord.
Thierry lasciò cadere il foglio sul tavolo con aria annoiata.
«Che fate?» esclamò il Lord soccorrendo il componimento. «Un po’ di rispetto, prego, per il lavoro altrui…»
«Perdonatemi, ma non digerirò più alcuno di quei sonetti, tanti me ne avete letti durante i nostri viaggi».
Ariberto pareva mortalmente offeso.
«Vostra Signoria non ama la poesia?» chiese Éléonore. A Thierry parve che il tono non ammettesse una risposta negativa, per cui si affrettò a dire: «Al contrario, adoro questo genere letterario…»
La risata poco cortese di Ariberto lo smentì. A questo punto Thierry, offeso a sua volta, se ne andò indignato per la figura barbina che l’amico gli aveva fatto fare di fronte alla fanciulla. Udì la voce di Ariberto uscire dallo studio: «Non prendetevela, non volevo mancarvi di rispetto!». Ma il Marchese non tornò indietro.
«Oh, beh, gli passerà» concluse Ariberto. «Dove eravamo rimasti?». Éléonore indicò un punto sul foglio e Ariberto riprese la lettura con enfasi teatrale.
«È molto bella» disse Aline quando il Lord ebbe finito. Éléonore concordò con lei. «Sono tutte favolose. Lady Audrey è fortunata a ricevere simili omaggi da parte vostra.» disse.
Ariberto sorrise. «Li merita».
In quel momento la porta si aprì. Tutti si aspettarono di vedere Thierry, invece si affacciò la Marchesa.
«Che fate tutti rintanati nello studio del mio defunto marito?» chiese. «Non ho mai visto tante persone qui dentro come ora. Non ci viene mai nessuno.»
«Stavo leggendo alle fanciulle le mie poesie».
«Siete anche poeta? Non finite mai di stupirci, Milord. Vorrei ascoltarle anch’io, posso?». Senza attendere risposta fece per sedersi al tavolo con loro, poi cambiò idea. «Portate tutto al piano di sotto. Sui divani staremo più comodi.» disse, ma Ariberto la fermò.
«Vi prego, Madame, abbiate pietà della mia voce. Sono così tante che se le rileggessi tutte da capo non potrei più emettere alcun suono. Posso chiederle di posticipare questo colto progetto a domani?»
La Marchesa rise per il lungo giro di parole. «D’accordo, ma promettete di non indugiare oltre».
«Avete la mia parola» confermò il Lord sorridendo.
La Marchesa uscì e oltre la balaustra vide rincasare Charlotte. Le andò incontro.
«Allora, avete passato un bel pomeriggio?»
«Sì, Madame».
«E il Marchese d’Arvieux? Non entra?»
«No, mi ha accompagnata fin sulla porta, poi se n’è andato».
«Capisco. Ora vorrete passare un po’ di tempo con vostro cugino, spero». Il tono era forse un po’ duro.
Charlotte annuì e cercò rapidamente Thierry. Lo vide però impegnato a discutere con Ariberto vicino alla sua stanza, perciò non volle disturbarlo. Fu Sophie ad andare da lei.
«Charlotte, cara, vi piace la nostra città?»
«È davvero molto bella» si guardò intorno per vedere se la zia era nei paraggi, poi aggiunse: «… e il Marchese d’Arvieux non è da meno». Sophie sorrise imbarazzata. «Vi do ragione». Alzò lo sguardo verso la fine della scala e Charlotte la imitò, vedendo così Thierry che stava per scendere. Volò da lui, intenzionata a recuperare il tempo perduto in modo che la Marchesa potesse mettersi il cuore in pace.  

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Capitolo 5
*** capitolo 4 (prima parte) ***


La notte stese rapida la sua coltre nuvolosa, portando con sé la conclusione di una giornata che non smetteva di riserbare sorprese agli ospiti della villa. L’aria era frizzante dell’attesa della partenza. Tutto era pronto per l’indomani. Lambert, in particolare, non vedeva l’ora di poter cavalcare a briglia sciolta nell’immenso parco della tenuta estiva.
Dopo cena, la Marchesa fu la prima a ritirarsi nelle sue stanze, stanca dopo una giornata tanto intensa, imitata da Thierry. Aline, Charlotte, Éléonore e Sophie si trattennero insieme ancora per un po’ nel salottino ad ascoltare i racconti di Ariberto sull’Inghilterra. Quando il pendolo batté l’ora, Aline diede voce al pensiero di molti: «Si è fatto tardi, forse è meglio se andiamo a dormire». La proposta fu approvata dai più e tutti insieme risalirono le scale.
Éléonore, mentre stava per entrare nella propria stanza, vide Ariberto fissare esitante il corridoio.
«Non andate a dormire, Milord?» chiese quasi sottovoce per non disturbare chi si era già messo a letto.
«Ho sempre molta difficoltà ad addormentarmi, perciò preferisco stare alzato aspettando che il sonno venga a prendermi. E certo, sarebbe più piacevole attenderlo in mezzo a quei libri, benché siano pochi…» disse accennando con la testa in direzione dello studio. La Contessina rise.
«Andate pure, non penso che per la Marchesa sia un problema».
«Mi fareste compagnia?»
Éléonore gettò un’occhiata indecisa nella camera, poi si risolse a chiudere la porta e lo seguì.
Arrivati allo studio, Ariberto aprì la porta e lasciò passare avanti la Contessina. Si sedettero al tavolo e ripresero a parlare a bassa voce per non fare rumore. Fu Ariberto a cominciare.
«Ditemi la verità: credete che Madame de Vernon non sarà più così accogliente nei miei confronti, dopo aver scoperto i miei umili natali?». Il suo tono appariva preoccupato.
La Contessina gli sorrise.
«Perché mai dovrebbe? Non conosco abbastanza la Marchesa da poter dire quali sono i suoi criteri di giudizio per le persone, ma sono convinta che le piacete, soprattutto dopo che le avete mostrato le vostre innumerevoli capacità.»
Ariberto fece una smorfia come se Éléonore avesse esagerato, ma la Contessina, abituata a decifrare il volto di Charlotte, capì subito che recitava. Finse di credergli.
«Voi siete troppo modesto… Se il padre della vostra Lady ha accettato di darvi la sua mano, deve nutrire una profonda stima nei vostri confronti.»
«In effetti, è così».
«E immagino che le sue opinioni siano fondate. Non credete dunque che, se vi ha accettato lui, vi accetterà anche la Marchesa?»
«Avete ragione. Siete molto gentile con me.»
«Dico solo ciò che penso».
«Voi…»
Ariberto fu interrotto da una risata femminile, subito seguita da un sibilo che la zittì.
I due si guardarono con aria interrogativa. La risata proveniva da dietro la porta che quel pomeriggio avevano trovato chiusa a chiave. Il Lord si alzò cauto e avanzò silenziosamente fino alla porta. Chiunque vi fosse stato dietro di essa, non avrebbe potuto sapere di lui ed Éléonore nello studio, dal momento che i due avevano parlato sempre sottovoce. Ariberto fece segno ad Éléonore di avvicinarsi.
Mise una mano sulla maniglia e, abbassandola delicatamente, senza fare alcun rumore aprì la porta quanto bastava per sbirciare all’interno.
Si trattava di un boudoir. La luce delle candele tremolava sui corpi stesi su uno dei divanetti. L’oscurità rendeva difficile distinguere le figure, ma quando gli occhi dei due giovani si furono abituati videro che una di esse era una donna. La penombra impediva di coglierne i tratti del volto, ma quanto si poteva scorgere era sufficiente a farne intuire la grande bellezza. Quando Éléonore riconobbe la seconda figura, fu scossa da un sussulto: era Lambert.
Il giovane stava passando le dita sulla scollatura della donna. Il pensiero di Éléonore corse subito ad Aline. Indignata, fece per andarsene, ma Ariberto le mise una mano sulla spalla sussurrandole: «Aspettate».
Obbediente, la fanciulla tornò a guardare la scena che si svolgeva nel boudoir: la giovane accanto a Lambert si era denudata il seno e lo offriva ai suoi baci, invitandolo a scoprire il resto. Lambert le andò sopra, facendola stendere sotto di sé e alzandole la veste fin sopra le cosce con la mano, poi la baciò con passione. I due amanti si aiutarono a vicenda a liberarsi dei vestiti senza sciogliere l’abbraccio delle loro lingue, le forme dei loro corpi enfatizzate dal gioco di luci e ombre creato dalle candele. La donna, poi, sempre restando distesa, portò Lambert allo stato che desiderava, e infine lo guidò dentro di sé.
Ariberto assisteva alla scena apparentemente impassibile. Éléonore invece era invasa da una strana angoscia: una parte di lei voleva andarsene, e tuttavia non riusciva a distogliere gli occhi dall’osceno spettacolo, come ipnotizzata dalla lotta dei chiaroscuri sulla schiena di lui e sulle cosce di lei; la sua attenzione era totalmente catturata dal focoso amplesso, non sentiva altro se non i respiri affannosi ed i gemiti di chi vi partecipava. Ora anche Lambert gemeva, e la donna gemeva sempre più forte…
«Basta così» sussurrò il Lord allontanandola e richiudendo silenziosamente la porta.
Éléonore se ne risentì, ma non ebbe il coraggio di protestare.
«Andiamo a dormire» le disse dolcemente Ariberto cingendole le spalle con un braccio e accompagnandola fuori dallo studio.
‘Come se potessi riuscirci, dopo quello che ho visto… ’ pensò Éléonore. Tuttavia, non disse nulla e sparì nella sua stanza.
 
 
 
Il giorno dopo lasciarono la villa di buon mattino, le donne in carrozza, i giovani a cavallo. Laurent, quando poteva, stava accanto alla carrozza, così da poter chiacchierare sia con Charlotte che con Sophie, sedute l’una di fronte all’altra. Tutti erano sereni, tranne Éléonore, che era però costretta a mostrare il sorriso, cosa che le riusciva alquanto difficile dacché aveva già di suo un’aria triste. Ogni tanto dava un occhiata fuori dalla carrozza per osservare Lambert: lo vedeva chiacchierare beatamente con suo fratello, senza dare l’impressione del minimo senso di colpa. Ariberto, che stava a sua volta tenendo d’occhio la Contessina dall’inizio del viaggio, le si avvicinò a cavallo.
«Come state?»
«Bene» gli rispose con un’espressione funerea.
Il Lord scosse la testa e trottò via.
Il viaggio non era lungo, ma forse le fanciulle lo percepirono come tale a causa delle continue chiacchiere di Madame de Vernon. Quando videro la tenuta in lontananza si sentirono sollevate.
«Facciamo a chi arriva primo?» propose Lambert a Thierry.
«D’accordo. Ma non sperate di avere possibilità.»
I due giovani scattarono al galoppo verso le scuderie. Le fanciulle li guardarono dalla carrozza. Stavano percorrendo un immenso viale che portava dritto all’edificio principale: si trattava di un’imponente costruzione a ferro di cavallo, che cingeva un largo piazzale da cui si dipartivano alcuni vialetti, che a loro volta si suddividevano in un dedalo di stradine secondarie che correvano in mezzo ad enormi aiuole fiorite. Le due metà dell’edificio sarebbero state speculari, se non fosse stato per la grande scuderia che creava una specie di “L” con il braccio destro del ferro di cavallo.
Le carrozze si fermarono nel piazzale e i servi scaricarono i bagagli.
«Sophie,» disse la Marchesa «mostrate alle nostre ospiti dove trascorreranno l’estate». Sophie invitò Charlotte ed Éléonore a seguirla. Salirono un’imponente scalinata. Sotto un ampio portico si apriva l’ingresso principale. Entrando, si ritrovarono in un grande atrio, da cui, attraversando varie salette minori, si accedeva all’ala ovest, alla sala da pranzo nell’ala est e direttamente a una sala da ballo, di fronte alla porta d’entrata. Sul lato si sviluppava una sontuosa scalinata che portava al piano superiore, dove si trovavano le numerosissime stanze degli ospiti, le stanze private della Marchesa e dei suoi famigliari e, alla fine dell’ala ovest, la biblioteca, che occupava metà dell’intero settore. Sopra la sala da pranzo, affiancata dalle cucine e dalla dispensa, si trovavano gli alloggi della servitù, ai quali si accedeva da una scala diversa, ma comunicanti con il resto del piano superiore, in modo che i servi potessero accorrere rapidamente in caso di bisogno.
La visita durò meno del previsto, dal momento che Mademoiselle de Vernon scartò l’intera ala est, concentrandosi sulle sale principali del resto della casa. In alcune stanze non le portò nemmeno, limitandosi ad illustrarle mentre ci passavano davanti o lasciando dare una breve occhiata dalla soglia. Si vedeva che Thierry e suo padre prima di lui avevano viaggiato molto: parte dell’arredamento e dei tessuti impiegati provenivano chiaramente dall’Oriente e dall’Africa. Entrambe le ospiti notarono che quegli oggetti non si addicevano allo stile che predominava nella villa, ma erano di gran pregio, e di certo la Marchesa non si vergognava a metterli in mostra. Con grande delusione di Éléonore, Sophie le diede solo il tempo per gettare una breve occhiata nella biblioteca, dicendo che sarebbe potuta tornarci più tardi.
Si ritrovarono tutti al piano di sotto e la Marchesa assegnò le camere agli ospiti. Quella di Éléonore era di fianco allo scalone, accanto a quella di Charlotte e di fronte a quella di Ariberto, mentre più in là nel corridoio si trovavano le stanze di Sophie, Aline e Bernadette. Nell’altra sezione del corridoio si aprivano invece la stanza di Laurent e quelle di Thierry, di Lambert e del defunto Marchese de Vernon. Le stanze di Lambert erano quelle più isolate, e il Lord e la Contessina non ebbero bisogno di chiedersi perché.
Sophie si offrì di portare le ospiti a visitare anche il giardino. Le ragazze si diressero tutte insieme verso le scuderie, dove un uomo condusse fuori tre giumente e aiutò le fanciulle a salirvi. Charlotte era un po’ timorosa. «Tranquilla, andrà tutto bene. Pensate solo a godervi la passeggiata!» le disse Éléonore sorridendo. Le tre cavalcature si allinearono e iniziarono così a procedere lungo un vialetto.
«Passeremo attorno alla villa, poi andremo al lago» annunciò Sophie. «Un giro in barca è d’obbligo».
«In barca?» chiese Éléonore.
«Certo. Oltre quegli alberi c’è un lago artificiale.» Sophie indicò la direzione con il dito.
Éléonore vide che dietro la villa si sviluppava un boschetto di salici, che non aveva visto mentre era in carrozza. Nel frattempo, si erano lasciate alle spalle la scuderia e stavano costeggiando l’ala est. Si sprecavano le decorazioni floreali sui lati dell’edificio. Man mano che passavano, Sophie indicava le varie finestre dicendo quali ambienti vi corrispondevano. Le ospiti osservarono con ammirazione lo sfarzoso balcone della stanza della Marchesa. Uno più grande e con le stesse decorazioni correva lungo l’ala ovest, abbracciando un lato della biblioteca, ma la vista più bella era riservata alle stanze che davano sul retro della villa, dove appunto si trovava il boschetto di salici. Terminato il giro dell’edificio, Sophie guidò il gruppetto verso il lago. Avvicinandosi, si faceva sempre più nitido lo scintillio dell’acqua sotto il sole, quasi a metà del suo cammino.
«È come la ricordavate?» chiese Éléonore a Charlotte.
«Sì, più o meno. Gli interni li ricordavo un po’ diversi e anche il balcone di mia zia è cambiato.»
«Già, mia madre va fiera del risultato della ristrutturazione» aggiunse Sophie.
Una mite brezza estiva muoveva le chiome delle tre fanciulle e faceva ondeggiare i fili d’erba ripiegando dolcemente i fiori sui loro steli.  Alcuni passeri si levarono in volo da un’aiuola al loro passaggio.
L’andatura barcollante della cavalcatura iniziava ad infastidire Charlotte, non avvezza a tale scomodità. Per sua fortuna le acque rilucevano ormai sotto i loro occhi. Raggiunto il rado boschetto, smontarono da cavallo. Éléonore aiutò Charlotte a scendere e legò i cavalli di entrambe ad una staccionata, accanto a quello di Sophie.
Il lago aveva una forma piuttosto naturale, nonostante la moda prediligesse vasche rettangolari. Si apriva al centro del boschetto ed era attraversato da un ponte, bianco come il pontile e la barca ormeggiata ad esso. Sulla riva opposta a quella dove si trovavano era situato un pergolato. Il profumo del glicine che pendeva da esso impregnava l’aria circostante. Poco distante dalla riva destra c’era invece un bianco padiglione in marmo.
«Quello non c’era!» esclamò Charlotte ammirandolo.
«È vero» confermò Sophie.
Éléonore era affascinata dalla monumentalità della costruzione.
«Venite, andiamo a sederci laggiù» le invitò Sophie indicando il pergolato.
Le fanciulle la seguirono sul ponte. Di tanto in tanto Charlotte si fermava a rimirare il proprio riflesso nell’acqua.
Sotto il pergolato si trovava un tavolo da giardino attorniato da alcune sedie. Le tre fanciulle si sedettero e iniziarono a chiacchierare. L’atmosfera di quel luogo era idilliaca. La luce filtrava tra i salici proiettando macchie di sole sull’erba. Le piccole increspature sulla superficie del lago andavano a rendere omaggio ai piedi del padiglione. Oltre gli alberi, le fanciulle intravidero i giovani a cavallo. Su uno dei vialetti procedevano invece, l’una accanto all’altra, la Marchesa e Aline.
«Fratellino, sareste così gentile da prendere i remi per le nostre ospiti?» disse Sophie a Lambert quando questi arrivò. Lambert le rispose con un’occhiata stanca. Thierry arrivò da dietro e lo spinse scherzosamente di lato.
«Sophie, perché mai lo chiedete a lui? Non sarebbe in grado di sollevare un remo neppure con due mani. Lasciate fare a me, è meglio.»
«Potrei far volare quella barca sull’acqua, se volessi. Comunque, dato che le mie capacità non hanno biso-gno di dimostrazioni, prego, siate voi a prendere il mio posto…» ribatté Lambert in tono beffardo. Thierry scosse la testa e andò sul pontile.
«Venite, mes demoiselles, vi aiuto a salire».
Charlotte si alzò, seguita da Éléonore, e insieme raggiunsero Thierry.
Mentre le due fanciulle erano in mezzo al lago, gli altri si erano riuniti sotto il pergolato. Lambert aveva sorpreso più volte Ariberto intento a fissarlo. Il Lord non gli aveva fatto una bella impressione sin dal primo momento. Quella sua aria triste, non dolcemente malinconica come quella della Contessina, ma proprio depressa, come può essere quella di una persona a cui la vita non ha mai sorriso e che si aspetta che non le sorriderà mai, totalmente disarmante se unita al tono arrogante che usava quasi sempre con tutti, l’interesse per attività così poco virili, tutto concorreva a dipingerlo come un tronfio smidollato. Era l’unica immagine che Lambert era riuscito a farsi: non era il tipo di persona che medita troppo a lungo su qualcosa; si fidava del suo istinto, e questo gli diceva che Ariberto gli sarebbe stato di troppo in quella casa. Tuttavia, non temeva nulla da parte sua, anche perché non era altro che un borghese che mal si atteggiava a nobile: non conteneva la risata, nemmeno quando l’educazione o il rispetto lo esigevano; a tavola teneva un braccio completamente giù dal tavolo, appoggiato sulle gambe, ingobbendo la schiena, e via dicendo. Ma Lambert non era neppure il tipo di persona che vuole farsi dei nemici. Se qualcuno gli andava a genio ne diveniva amico, altrimenti lo ignorava completamente. Era quello che avrebbe voluto fare con Ariberto, se questi glielo avesse permesso. Proprio in quel momento infatti il Lord gli rivolse la parola.
«Non ho potuto fare a meno di notare quanto vi piaccia montare…» gli disse con un tono strano.
«È un’attività che ogni uomo del mio rango deve coltivare. E sì, non nego che, oltre che per dovere, io la pratichi anche per piacere personale. Voi, invece, a quanto ho visto, non montate spesso… non dimostrate la dimestichezza con la cavalcatura che balza subito all’occhio osservando invece chi, come me, monta quotidianamente.»
«Purtroppo mancano le occasioni. Ma vi assicuro che anch’io condivido la vostra passione, con la differenza che la pratico con maggior… continenza». Sorrise ambiguo.
Lambert si chiese che male ci fosse ad andare a cavallo spesso, ma non indugiò su simili dettagli, imputandoli alla stranezza del Lord.
Dopo circa un quarto d’ora, Thierry guidò di nuovo la barca verso il pontile e aiutò le ragazze a scendere.
«Allora, vi è piaciuto?» chiese Sophie quando arrivarono sotto il pergolato.
«Meraviglioso! Non ero mai stata in barca!» rispose entusiasta Éléonore. «Una volta sono salita su una nave, ma questo è molto più romantico».
«Sì, è vero. L’atmosfera che c’è qui è molto particolare. Infatti è lì che Philippe si è dichiarato». La fanciulla indicò un punto tra gli alberi.
«Ora è meglio rientrare, è quasi ora di pranzo» annunciò la Marchesa.
Il gruppo si mosse in direzione della villa. Laurent era rimasto ferito dalla semplicità con cui Sophie aveva ricordato di fronte a lui un momento così doloroso della sua esistenza. Si avvicinò istintivamente a Charlotte, come per cercare conforto nei caldi riflessi della sua chioma dorata.
Ciascuno tornò alla propria cavalcatura. Laurent aiutò la Duchessina a salire in sella.
«Quando vorrete andare in barca, non occorrerà che chiedermelo».
«Vi ringrazio» rispose Charlotte lanciandogli una delle sue famose occhiate. Laurent la ricambiò con auda-cia. Charlotte se ne stupì ed entrambi distolsero lo sguardo imbarazzati.
Sophie ed Éléonore intanto si erano avviate e la invitavano seguirle. I due si sorrisero, poi il cavallo si acco-dò spontaneamente agli altri.
 
 
 
Per il pranzo, gli ospiti furono accolti in una sala magnifica: elaborati lampadari pendevano dal soffitto e le pareti erano nascoste da giganteschi dipinti, tra i quali un ritratto del defunto Marchese de Vernon, simile a quello ugualmente appeso nella sala da pranzo della residenza urbana. I posti vennero presi in quest’ordine e da allora non furono più mutati: a capotavola, come sempre, Madame de Vernon; alla sua destra, Charlotte, Aline, Éléonore e Laurent; alla sua sinistra, Sophie, Lambert, Ariberto e Thierry. La Contessina era cosciente del brusio che la attorniava, ma non prendeva parte a nessuna delle conversazioni né ascoltava ciò che veniva detto. Temeva che Aline, seduta accanto a lei, potesse percepire ciò che le teneva nascosto. Ogni tanto guardava furtiva Ariberto, ma questi si mostrava tranquillo, nonostante fosse di fianco a Lambert. Éléonore avrebbe voluto che il Lord la guardasse per assorbire un po’ di sicurezza dai suoi occhi, che ne sprigionavano in abbondanza, ma Ariberto non la considerava. Ad un certo punto, Thierry si schiarì la voce e si voltò verso di lei, con gli occhi bassi. «Mi passereste il sale per favore?». Éléonore lo accontentò. «Grazie». Per prenderlo le sfiorò le dita. La voce della Marchesa si fece più alta, per raggiungere Ariberto.
«Ricordatevi della vostra promessa, Milord. Questo pomeriggio non ve ne andrete dal salotto se non dopo averci deliziato con i vostri componimenti.»
«Siatene certa, Madame. Io mantengo sempre le promesse.»
«Presenziare a questo appuntamento è facoltativo, vero?» sbuffò Lambert.
«Come siete scortese!» lo rimproverò la madre.
«Non preoccupatevi,» disse Ariberto «probabilmente non sono le copule grammaticali ad attrarre vostro figlio…»
Éléonore a momenti si soffocò con l’acqua. La Marchesa scattò in piedi e Aline le diede delle pacche sulla schiena. «Contessina, state bene?» chiese ansiosa Bernadette. «Sì…» disse Éléonore tossendo. Ariberto si trattenne a stento dal sorridere e lei lo guardò torva.
 
 
 
Terminato il pranzo, Thierry andò a riposare nella sua stanza, imitato dalla madre, mentre Lambert andò a cavalcare nel parco con Aline. Charlotte, Laurent, Sophie, Ariberto ed Éléonore si accomodarono in uno dei salotti a chiacchierare. Mentre le cugine e il Marchese erano impegnati in un vivo scambio di pettegolezzi e non badavano a loro due, Ariberto ne approfittò per scusarsi con Éléonore.
«Non sono riuscito a trattenermi…» si giustificò.
«A momenti mi uccidevate. Come vi è saltato in mente? E se qualcuno avesse capito? Se Aline…»
«Calmatevi, nessuno, meno che meno Aline, avrebbe potuto. E se anche qualcun altro sapesse delle tresche di Lambert, di certo non sospetta che anche io e voi ne siamo a conoscenza.» sussurrò.
«C’è la possibilità che qualcun altro lo sappia?» chiese stupita Éléonore.
Ariberto meditò un istante, poi disse ad alta voce: «Contessa, vorreste accompagnarmi nella biblioteca?». Éléonore non se lo fece chiedere due volte. Uscirono dal salotto senza essere degnati neppure di uno sguardo.
«Non era prudente parlarne davanti a loro» spiegò Ariberto.
Salirono le scale, la Contessina forse con troppa sollecitudine, mentre il Lord appariva del tutto calmo. Varcarono la soglia della biblioteca. Gli immensi scaffali ricolmi di libri arrivavano quasi all’altezza del soffitto e scale scorrevoli erano fissate ad essi per permettere di raggiungere i ripiani più alti. Prima di proseguire il discorso, Éléonore volle concedersi qualche minuto per osservare attentamente la sala.
Era vastissima, a pianta rettangolare e voltata a botte. Ricchi lampadari pendevano dal soffitto a intervalli  regolari sopra il corridoio centrale che si apriva tra le imponenti scaffalature. Queste si ergevano in modo tale che i corridoi che le separavano formassero una croce al centro della sala, occupata da un grande mappamondo. Sulla parete di sinistra erano schierati i ritratti di famiglia, mentre nella parete di destra si aprivano le finestre dai bianchi tendaggi che Éléonore aveva visto dal giardino insieme a Charlotte e che permettevano alla luce di inondare l’ambiente rischiarandolo. La Contessina fece scorrere gli occhi finché non incontrò la portafinestra che portava al balcone. Volle andarci e trascinò Ariberto con sé.
All’esterno, campi a perdita d’occhio. Il giardino della tenuta Vernon terminava con un muro di cinta, oltre il quale si trovava l’aperta campagna. Sporgendosi, si riusciva ad intravedere, sulla destra, uno dei margini del boschetto di salici.
L’occhio di Éléonore cadde a quel punto sui due cavalli che correvano a briglia sciolta nel parco. Per quanto lontana, capì che Aline stava ridendo. Sembrava felice.
«Pensate che dovremmo dirglielo?»
«Assolutamente sì» rispose Ariberto con convinzione.
«Io invece credo di no». Incrociò le braccia e si appoggiò al parapetto. «Guardatela. Non sospetta nulla, non possiamo infrangere così i suoi sogni su Lambert.»
Il Lord si appoggiò accanto a lei.
«Sareste dunque disposta a far vivere la vostra amica nella menzogna? Per il suo bene è meglio separarla da un giovane così dissoluto.»
Éléonore era indecisa.
«Ma lei lo ama… Ragionate: se noi le dicessimo ciò che sappiamo, le si spezzerebbe il cuore. Mi ha sempre parlato di Lambert come di un angelo, come dell’uomo che ha sempre voluto avere al suo fianco. La purezza di Aline si percepisce a distanza; non è un caso che sia promessa sposa a uno dei figli di una delle donne più oneste di Francia! Metterla faccia a faccia con la realtà non solo la farebbe soffrire per essere stata ingannata, ma le farebbe anche perdere ogni fiducia nel prossimo, dal momento che neppure questa famiglia, che ha una così buona nomea, è sfuggita al vizio. Se invece le tenessimo nascosta la verità, probabilmente Lambert avrebbe vita facile e continuerebbe a tradire Aline, ma in primo luogo lei non verrebbe pubblicamente disonorata, e poi, non sapendolo, non ne soffrirebbe.»
Ariberto, messo alle strette, fu costretto a cedere. Era chiaro che a Éléonore importava solo di evitare sofferenze alla sua amica, mentre lui intendeva colpire Lambert, che non gli andava particolarmente a genio con la sua arroganza, l’atteggiamento da sbruffone, la sfacciataggine che usava in certi casi. Che l’invidia giocasse un ruolo di rilievo in queste percezioni era chiaro, ma Ariberto era poco propenso alla sincerità, specialmente con se stesso.
«Fate come preferite, io mi adatterò alla vostra decisione. Aline è amica vostra, spetta a voi decidere cos’è meglio per lei.»
Éléonore aveva già espresso la sua decisione, per cui rientrò, seguita dal Lord. Passeggiarono insieme tra i libri, ciascuno sfoggiando le proprie conoscenze a seconda degli spunti che si presentavano sotto i loro occhi. Finalmente, raggiunsero il fondo della sala. Qui c’erano due scrivanie in mogano elegantemente intarsiato. Éléonore si sedette a quella di destra, mentre il Lord prese la sedia di quella a sinistra e si sedette accanto a lei.
«Non avete risposto alla mia domanda di prima: cosa vi fa sospettare che non siamo gli unici a conoscere il segreto di Lambert?» chiese di nuovo Éléonore.
Ariberto alzò le spalle.
«Non ho alcuna prova, ma di solito in una famiglia capita che più di una persona presenti una certa indole, per cui nulla impedisce di pensare che qualcun altro abbia la stessa passione del nostro Lambert e che condivida con lui il segreto».
Queste parole distrussero definitivamente la reputazione onorevole che i Vernon avevano agli occhi di Éléonore, già fortemente incrinata dal comportamento di Lambert. Le venne da ridere pensando a quanto il soggiorno avrebbe potuto giovare a Charlotte.
«Che delusione…» sospirò Éléonore.
«Perché?» chiese stupito Ariberto.
«Perché anche questa casa è stata corrotta dal vizio. Non c’è davvero luogo in cui esso non arrivi.»
«Dovreste essere delusa solo se avreste creduto davvero di poter trovare una famiglia virtuosa. Come avete potuto? Voi mi chiamate malfidente, ma io vi chiamo illusa: non esistono i santi.»
«Aline potrebbe essere benissimo chiamata santa».
«Questo è quello che credete voi, o che si vuole farvi credere. Anzi, dal momento che è così palese quanto Lambert sia un poco di buono, senza il bisogno di vedere ciò che abbiamo scoperto ieri sera, io oserei dire anche che Aline immagina o magari sa già come il suo promesso sposo intrattiene altre giovani, ma non se ne cura, o forse a volte partecipa…»
Éléonore si risentì di tutte le offese riversate sulla sua amica.
«Come osate fare insinuazioni simili?» sbottò. «Siete appena arrivato e credete di conoscere ognuna di queste persone come se aveste vissuto con loro per anni! Aline si confida con me e vi assicuro che mai ho conosciuto una persona più degna di essere chiamata virtuosa. Sono disposta a cambiare idea se i fatti vi daranno ragione, ma senza prove non avrò mai la tracotanza di trarre giudizi da congetture basate sul nulla. E che mi dite di Bernadette? Sarebbe forse una viziosa, secondo voi? L’ho sentita parlare dei suoi figli; li descrive tutti, dal primo all’ultimo, come persone oneste, e con un trasporto tale, direttamente dal cuore, che non sarebbe altrettanto forte se fosse solo una recita per salvarne la reputazione. Lambert potrà essere la pecora nera, ma per il peccato di uno non li potete condannare tutti.»
Un dubbio si insinuò nella mente di Éléonore.
«A meno che voi non sappiate qualcosa che io non so… Thierry…?»
«No, Thierry non ha mai detto né fatto nulla di sospetto. È davvero un giovane onesto, ma questo non toglie che potrebbe cambiare e corrompersi.»
Éléonore non sapeva perché, ma si sentiva rassicurata dal fatto che Thierry non si incontrasse di nascosto con altre fanciulle come faceva il fratello. In quel momento sentirono la porta della biblioteca aprirsi. Era Sophie.
«Immaginavo che vi avrei trovati qui. Venite, mia madre vi vuole con noi in salotto.»
Prima di scendere, Ariberto prese con sé le sue poesie.

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