Le parole segrete

di GemmaD
(/viewuser.php?uid=273377)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo incontro in un giorno qualsiasi ***
Capitolo 2: *** La pagliacciata della piscina ***
Capitolo 3: *** Tempo speso senza senso ***
Capitolo 4: *** La fine di Roxas e qualcosa di nuovo per Xemnas ***



Capitolo 1
*** Il primo incontro in un giorno qualsiasi ***


Ciao!
E’ da parecchio che volevo scrivere una storia a più capitoli su KH e penso che questa sia buona.
Spero possa essere stimolante e che anche voi vi facciate rapire dal fascino di certi personaggi dai capelli improbabili… <3 Buon viaggio!
 
Solito Disclaimer: i personaggi appartengono a Disney-Square Enix e la storia non ha scopi di lucro.




  
Saix non si era mai fatto troppi problemi per la solitudine, anzi, in linea di massima l’aveva sempre apprezzata se non ricercata.

Ora però nella solitudine c’era qualcosa che non andava, come il peso di un macigno, solida, irremovibile. Nel suo cuore covava un forte desiderio che tuttavia non poteva trovare un corrispettivo nel reale. E sì, era inesprimibilmente triste. Il pensiero di parlare a qualcuno della sua solitudine assoluta, che sfociava nella sensazione di isolamento, quasi gli faceva ribaltare lo stomaco dalla nausea. Non riusciva a immaginare nessuno con cui parlarne, e allo stesso tempo non avrebbe mai voluto tirar fuori cose in fondo così inutili e stupide.

Ma, si disse, era proprio lui lo stupido a stropicciarsi le mani sotto le coperte, con due cuffie nelle orecchie che gli rimbombavano musica ad alto volume addosso, teso come non mai nel buio della sua stanza. Si sentiva triste, in quel modo così acuto da garantirgli che era tutto reale, di non sentirsi di non poterne parlare a nessuno. Isolato al massimo. Non ricordava neanche se si sentiva così inquieto per la solitudine o se si sentiva solo perché non poteva parlare a nessuno di come si sentisse…

Si raddrizzò sul letto e pensò di uscire fuori di nascosto, nel cuore della notte, per fare una passeggiata. –Non lo saprà nessuno- si ripeté, chinando la testa verso i palmi delle proprie mani. –E’ così facile, dovrei solo assicurarmi di prendere le chiavi di casa, camminare in silenzio… Sarei fuori, alla luce della luna e dei lampioni, un po’ d’aria fresca e mi sentirei meglio…- Ma in qualche modo era come se, sebbene fosse così facile, fosse anche tutto troppo lontano. Non sapeva dove trovare le energie per un simile esperimento. Si ridistese sopra le coperte, meditando, cercando ancora di convincersi di provare a soddisfare questo suo desiderio, che ne valeva la pena; ma niente, i minuti andavano nella pace del materasso e della musica che continuava una canzone dopo l’altra, con il buio dove affondare lo sguardo. –Non è così fondamentale.- si disse. –Posso sempre riprovarci quando voglio. Non è che non posso farlo, è solo che ora non mi va tanto.-

Se si sentiva uno schifo, tanto valeva la pena riposare.
 


Xemnas aveva dei problemi, non riusciva a dormire. Era finito seduto al tavolo della cucina, con davanti un bicchiere d’acqua, da venti minuti, ormai. Era un sentimento atroce, quello di non poter fare niente. Osservò l’acqua distratto. Trasparente, praticamente inesistente… Eppure importantissima per la vita del mondo.

Prese in una mano il bicchiere, fissandolo cupo, pensando vagamente che forse avrebbe dovuto usare entrambe le mani, mentre invece sentiva che avrebbe potuto anche buttarlo per terra, con tutta l’acqua sparsa in giro, andarsene via rovesciando la sedia con passo forte ed autoritario, e il giorno dopo il mondo sarebbe stato nel suo pugno. Proprio così, come se avesse preso il posto dell’acqua nel mondo. Sarebbe stato necessario per gli altri allo stesso modo. Questo doveva bastare a fornirgli un’identità… Il pensiero non era definito nella sua testa, ma questo bastava a donargli una vaga sensazione di serenità. Come se per lui ci fosse ancora speranza.
 


Era metà mattina di un giorno qualsiasi e questi due individui notarono l’esistenza l’uno dell’altro per la prima volta. Che questo particolare fatto cambiasse la loro vita, era tutto da discutere, visto che tutto quello che riuscì a strappare dalle loro teste fu un breve commento perplesso sull’aspetto fisico dell’altro.

-Forse viene dall’istituto d’arte qua vicino. Solo là ci sono dei tipi così strambi- gli venne in mente Xemnas, andando in segreteria per consegnare una circolare. –Capelli blu e una cicatrice gigante in mezzo alla faccia, perché, poi?-

-Ma che ca… Ha già i capelli bianchi?- fu il commento di uno stranito Saïx, mentre vagava per il corridoio per farsi fare una fotocopia.

Appena compiuto il loro compito, tornarono nella loro rispettiva classe: doveva mancare solo qualche misero minuto alla fine dell’intervallo.

Mentre Saïx camminava, vide il suo vecchio amico Axel, che passava correndo come un razzo in corridoio: anche lui doveva fare una cosa prima che la pausa finisse, e aveva fretta di poter parlare con la prof per togliersi in fretta la faccenda dai piedi.

“Ciao, Axel” salutò gentilmente Saïx, mentre invece quest’ultimo tirava dritto senza degnarlo di uno sguardo. Saïx non disse più nulla e anche lui s’infilò nella porta della sua classe senza più fare caso a niente.

“Ehi, ciao” lo salutarono Luxord e Demyx. Avevano parlato animatamente fino a quel momento, ma vedendo l’amico entrare, si erano avvicinati subito al suo banco.

“Ciao.” Ricambiò il saluto Saïx, tranquillo. “Stavate parlando della serata? Come vanno i preparativi?”

“Benone!” rispose immediatamente Demyx, prima che l’altro potesse spiccicare parola. “Luxord si curerà della parte, diciamo, più pratica, con qualche spettacolino, mentre invece io sto ancora scegliendo le canzoni da fare!”

Spettacolino… Vuoi cercare di mettermi in ridicolo? Il mio è il pezzo forte della serata!” ribatté orgoglioso. Risultava abbastanza comico, col suo forte accento inglese. Luxord era uno studente straniero, arrivato solo quest’anno, ma era riuscito ad infilarsi nella compagnia di Axel e degli altri grazie al suo animo festaiolo. Stava preparando una piccola serata con delle esibizioni con Demyx, solo per loro.

“Tu devi solo muovere le mani, mentre io invece ci metto il cuore!”

Prima che i due avessero la possibilità di mettersi a bisticciare, guastando tutti i programmi della serata, Saïx buttò lì: “Ah, mi sa che ho appena visto lo Xemnas del quarto anno di cui parlavate.”

“Davvero?!” esclamò subito Demyx. Troppo iperattivo. “Di solito sta sempre al piano di sopra, è lì che ci sono i suoi amichetti.”

“Sì, allora… Aveva i capelli lunghi, bianchi, gli occhi gialli…”

“… E l’hai riconosciuto perché aveva i pantaloni zebrati” proseguì Luxord con un sorrisetto.

“Be’… Sì” ammise Saïx. Si misero a ridere, ma la campanella suonò: Demyx scappò via dall’aula (lui era ancora al secondo anno) e i due si misero seduti al loro posto.


Nel frattempo, Xemnas era nel corridoio del suo piano, e gli venne incontro Xaldin.

“Amico” lo salutò Xemnas. “Qualche problema?”

“Niente di grave.” Gli rispose con la consueta aria seria. “Però, ora che ci penso, credo che la prof di biologia voglia parlare con te.”

“Ancora?” rispose Xemnas, infastidito. “Che cosa devo dirle? La notte prima del compito avevo dormito pochissimo, che rottura…”

“Puoi dirlo forte!” rispose. “Senti, volevo dirti che la festa di Marluxia è rinviata fra una settimana.”

La notizia non scosse particolarmente Xemnas. Marluxia era uno studente passato nella loro scuola da quell’anno, e dopo un paio di mesi aveva deciso di trasferirsi ancora in un’altra: avevano quindi deciso di fargli una festicciola d’addio. Il breve arco di tempo era comunque bastato per farsi malvolere da Xemnas, visto il suo atteggiamento chioccio e superficiale.

“Come mai?”

“Larxene ha le sue cose, quindi vuole spostare.”

Xemnas alzò gli occhi al cielo. “E farlo lo stesso no?”

“Lo sai che quei due stanno sempre insieme. Marluxia non vuole rinunciare, quindi…”

Era la prima volta probabilmente in cui uno come Marluxia si mostrava coerente coi propri sentimenti. Nessuno sapeva perché fossero così cattivi, ma lui e Larxene si divertivano a spettegolare e umiliare chiunque cercasse di avere una relazione vera con loro, quasi al punto da essere definiti dei sadici. A Xemnas davano sui brividi, ed era contento che la loro influenza se ne andasse dalla sua scuola, anche se era consapevole che, pur essendo una festa d’addio, probabilmente avrebbero continuato a infestare la compagnia.

Xemnas sospirò. “Va bene. Facciamola fra una settimana, quindi.”
 

E una settimana dopo circa, eccoli al pub. Xemnas era seduto in mezzo al tavolo, come al solito, e attorno a lui tutti gli altri scherzavano, parlavano, bisticciavano e tracannavano alcolici. Quel giorno, a dire il vero, Xemnas si sentiva abbastanza triste. Per carità, non certo per l’addio a Marluxia; quest’ultimo si stava divertendo, assieme alla sua socia, a punzecchiare tutti gli altri, ad accarezzarsi i folti capelli rosa e cercare di rimorchiare con occhiate languide tutti gli avventori o avventrici del locale.

“Uh, non sapevamo che fossi bi, Marlu”  si mise a ridacchiare Xigbar, ricoprendolo di gomitate. Era brillo da un pezzo.

“Cosa m’importa se siano maschi o femmine” fu la sogghignante risposta “Hanno entrambi un cuore da spezzare.”

Larxene rise anche lei, trovando evidentemente deliziosa la battuta; Xemnas li guardava con aria annoiata. La loro filosofia di vita lo lasciava rassegnato e incurante; le attenzioni di stasera erano puntate su di sé, capetto dei suoi amici, meno del solito, e poteva lasciarsi andare ai propri sentimenti.

Era una di quelle volte che preferiva dimenticare, in cui stando con la sua compagnia non si sentiva a casa. Era abbastanza infastidito dei loro giochi sciocchi, di come sembrava che non dessero importanza a niente; avevano la capacità di scherzare su tutto e prendere sul serio niente. Ma a dire il vero in quel momento neanche lui sentiva più di loro la voglia di parlare di qualcosa  in modo approfondito: sembrava che tutto, ogni istante, ogni pensiero, ogni oggetto al mondo scivolasse via inesorabilmente, con suo irritato disprezzo, ma anche quello fosse lì per scivolare, come fosse stato costruito sulla sabbia. Si sentì apatico e appoggiò la guancia sulla superficie del tavolo: dove sono? Perché sono qui? Si chiese un po’ stupidamente, ma tanto non lo stava sentendo nessuno.

“Xemmy, bevi” lo incitò Xigbar, gesticolando e rovesciando metà del suo cocktail in faccia a Larxene.

“Ah, sì” si rialzò e riprese a sorbire dal suo bicchiere con occhi vitrei.

“Che muso! Dai, è una festicciola, perché sei giù così?” ululò Xigbar.

“Cosa? Xemnas, sei giù?”

“No, stai allegro, Xemmy!”

“Ci siamo noi” gli sorrisero i suoi amici.

Xemnas sorrise prima ancora di sentire reale sollievo dalle loro parole. “Grazie, amici.” E pensò che era proprio vero, era lì con loro, a sentirsi giù, in mezzo a loro.
 

“Uhn…” grugnì, rialzando il volto dal tavolo. La pelle delle braccia gli si era attaccata ai capelli e al volto, coperta da un sudaticcio caldo e malsano. Gemette ancora, portandosi una mano alla fronte dolorante. Due ciuffi di capelli gli caddero sul volto. Ci vedeva male e aveva un senso dell’equilibrio piuttosto distorto.

Alzò la testa, e vide confusamente che il pub era mezzo vuoto. I suoi amici erano scomparsi. Eppure riusciva a sentire ancora l’eco delle loro risate nelle orecchie.

-Dove sono, tutti?- prese in mano il suo cellulare, perplesso, e vide che erano le quattro del mattino. Non riusciva a credere ai propri occhi, doveva essere uno scherzo dell’alcool, ma non poteva, non poteva essere così tardi! Lesse e rilesse l’ora, ma erano le quattro passate e attorno a lui non c’era nessuno. Il tavolo era completamente sgombro. Il vociare di chiacchiere sconosciute, il monitor del pub che continuava a trasmettere canzoni rock sicure di sé, la notte che filtrava dalle vetrate.

“Ehi, scusami” Xemnas si voltò come tradito dal suo mondo e vide che una cameriera era comparsa vicino a lui con un sorriso gentile. Xemnas la ascoltò con sguardo disorientato. “Finalmente ti sei svegliato! Eravamo preoccupati, sai… Senti, i tuoi amici sono già andati, però devi ancora saldare il tuo conto: hai preso due birre medie e quattro superalcolici, vero? Sì, infatti, sono ventiquattro euro.”

“Ehm… Sì…” Xemnas prese confuso il portafoglio e tirò fuori due banconote.

“Grazie mille! Torno subito con il resto.”

Levatasi di torno anche la cameriera gentile, a Xemnas non rimaneva che provare a togliersi il malessere generale e cercare una soluzione. Prese il cellulare e provò subito a chiamare tutti i suoi amici, ma fu tutto inutile. –Ormai staranno già dormendo- pensò, sentendo il panico cominciare a salire di pari passo con il vomito. Non aveva idea di come tornare a casa. Chiamò i suoi genitori, sia sul cellulare sia a casa, anche se si sarebbero infuriati, ma neanche lì ricevette risposta. Dovevano aver mandato al diavolo il telefono che si metteva a squillare in piena notte.

Era nei guai, era nei peggiori guai. Aveva contato su Leon per un passaggio a casa, ma probabilmente si era fatto convincere dagli altri che era a posto, oppure se ne erano dimenticati. –Com’è possibile? Sanno che non ho la patente. I miei non sono mai venuti dopo una certa ora. Che fine hanno fatto?- richiamò tutti per una quarta volta, ma niente.

Buttò via il cellulare sul tavolo, attirando l’attenzione degli avventori lì vicino. A Xemnas non importava. Arrivò la cameriera col resto, ma rimase lì, con le mani sulla fronte, le dita che si appiccicavano alla pelle malaticcia. Pensava: -Non importa, non importa, posso farmela a piedi. Forse arrivo per la seconda ora, domani, ma ce la faccio. Posso sempre contare su qualcosa.-

Decise di alzarsi, ma si trovò a doversi aggrappare al margine del bancone. Cercò di avanzare con nonchalance, per non dare a vedere la situazione penosa in cui si trovava. Cammina piano- si ripeteva. –I piedi, uno dopo l’altro, la schiena dritta, guarda davanti. Ricorda, guarda davanti- si sforzò di sorridere alla barista, poi uscì all’aria aperta. Era buio e faceva un freddo terribile. Le macchine passavano sulla provinciale con noncuranza, senza dare segni di riconoscere la sua esistenza.

-Allora, devo attraversare la strada…- Si mise ad aspettare che tutte le auto passassero, ma voler percorrere a piedi in senso orizzontale un’autostrada era la cosa più stupida che uno volesse fare, specialmente con i riflessi alterati. Le auto arrivavano a cento all’ora, precedute solo dal rapido suono crescente del motore e due luci gialle galleggianti nel buio.

-Ci devo provare, altrimenti non torno a casa più- Riuscì ad attraversare una corsia, poi vide che stava per avvicinarsi un auto sulla terza e cominciò a correre: rischiò di venire linciato su due piedi, ma almeno era arrivato dall’altra parte. Cominciò a camminare lungo la strada, guardando a terra, rimuginando pensosamente sulla sua infelice condizione; poi si ricordò che per arrivare a quel pub bisognava attraversare un paese che confinava col suo, ma che ovviamente non conosceva, quindi non avrebbe avuto idea di che strada fare. Forse avrebbe anche potuto trovarla, ma vagando per chissà quanto, in quello stato.

-Ho bisogno di rimettermi almeno un pochino- pensò in difficoltà. Approfittò di un camion che stava rallentando la circolazione per correre attraverso la strada, arrivato cadde a terra sbattendo contro il guard rail, ma era cosa da poco, si rialzò. Rientrato al pub, la situazione non era cambiata affatto. Si infilò nel bagno e s’inginocchiò davanti alla tazza del water, tenendo chinata la testa, anche perché non avrebbe saputo tenerla ferma e dritta. Ora che l’adrenalina era passata, era tornato il mal di testa, più acuto e vendicativo che mai, mentre un calore malsano lo faceva sudare e appiccicare alla pelle tutti i vestiti. Si sollevò la maglietta per trovare un po’ di sollievo, ma così non poteva tirarsi su i capelli, che negli occhi gli davano una sensazione terribile. Teneva sempre una mano incollata al pavimento per restare dritto: si reggeva praticamente su quel braccio, visto che era così confuso da non pensare a un’altra posizione possibile.

Stare in bagno non lo faceva sentire meglio, l’ambiente piccolo gli dava l’idea di essere intrappolato in quel guaio; si lavò la faccia, poi si accorse che non c’erano salviette e dovette asciugarsi con la maglietta appiccicosa. –Vorrei andare a casa a cambiarmi- Non aveva mai pensato che casa sua potesse essere così lontana.

Uscito, si accorse che in cielo brillava forte la luna piena; non ci aveva fatto caso, prima. Guardò dritto avanti a sé e notò che su un tavolino era seduto il suo compagno di scuola, quello coi capelli azzurri, seduto su uno sgabello con le gambe accavallate, intento a sorseggiare un bicchiere di birra con un’aria seria e pensosa.

-Devo parlare con lui- pensò –Anche lui domattina deve andare a scuola, sa come andarci. Così potrò andare anch’io.- Ma non poteva, aveva vergogna; non sapeva cosa chiedergli; si sedette sempre più vicino al suo tavolo, arrivò la cameriera e ricordò a tutti che il locale sarebbe dovuto chiedere una ventina di minuti fa, Xemnas si allarmò che avesse potuto andar via subito, ma tutti si infischiarono della notizia. Xemnas era più tranquillo, continuava a pensare ad altre soluzioni, finché, quando vide che ormai il bicchiere dell’altro era finito, colto dal terrore che potesse finalmente andar via, gli si fece vicino e buttò lì le prime parole al sapore di alcool che gli venivano: “Ehi, ciao, amico.”

Il ragazzo con i capelli blu lo guardò male. “Che cosa vuoi?”

“Io… No, be’, niente” si autoinsultò nella testa per aver fatto un tentativo così stupido e andò via immediatamente.

L’altro divenne più cupo e sembrò ritirarsi nei suoi pensieri.

Xemnas era sepolto nella vergogna. Si era allontanato, ma rimaneva nei guai lo stesso. Doveva aspettare che qualche amico si chiedesse di lui e venisse a prenderlo là? Dopotutto erano le cinque, fra un paio d’ore si sarebbero svegliati per andare a scuola e avrebbero acceso il cellulare. Certo, era una figura del cavolo, ma dopotutto l’errore era dei suoi amici, non suo, no? Era proprio una situazione ridicola, Xemnas avrebbe preferito rivolgersi a quello sconosciuto, ma che diritto aveva di disturbarlo? Ma dove avrebbe passato quelle due, tre ore, forse in piedi sulla provinciale? O si sarebbe avventurato nell’altro paese?

-Perché? Potrei chiedere un passaggio a questo ragazzo e basta. Mi andrebbe bene da qualsiasi parte, se è verso Radiant Garden, oppure potrei chiedere qualche indicazione…-

Seguendo quest’ultima idea, andò a chiedere alla barista, ma quella le disse solo cose sconclusionate; gli sembrava imbarazzante fare la stessa domanda agli altri camerieri, ma cosa poteva fare? –Al diavolo, ha la mia età, gli sarà capitato di trovarsi in questo tipo di guai come me, no?-

“Senti, scusa” si riavvicinò al ragazzo coi capelli blu, proprio mentre stava per rialzarsi.

“Cosa c’è, ancora?”

“Ehm… Scusami tanto… (cercava di vincere l’imbarazzo) Domani vai a scuola anche tu, no? Cioè, ho visto che sei della mia stessa scuola.”

“Come no. Sei Xemnas” gli disse tranquillamente.

Xemnas si sentì incredibilmente sollevato: conosceva il suo nome! Tante paranoie per niente. “Ah, mi fa piacere che mi hai riconosciuto! Quindi, insomma, sai che non sono un piantagrane o cose simili…” –Anche se mi ha appena visto ubriaco da non saper camminare in linea retta- “Quindi, volevo semplicemente chiederti come fai a tornare a scuola, domattina.”

L’altro ragazzo sembrava abbastanza perplesso. Sì, un dialogo davvero strano da avere con uno sconosciuto (o il ragazzo più popolare della scuola) alle cinque del mattino in un pub. “Io abito qua  vicino, quindi da lì prendo il pullman che mi porta a scuola.”

Un pullman! “I pullman sanno la strada.” fu l’intelligente commento di Xemnas. “Mi ci potresti accompagnare?”

Il ragazzo lo fissò per lunghi istanti senza dire niente. Lo guardava torvo e basta. Poi rispose: “No, senti, io adesso devo tornare a casa…”

“Ti prego!” lo supplicò Xemnas, perdendo la faccia in un istante.

“Non riesci ad andarci da solo?”

“Non sono di qui. E’ solo questo il problema” disse Xemnas, cercando di sminuire la propria tragedia.

Dovette sopportare un altro sguardo inquisitore, che si trasformò in uno meditabondo. Xemnas si chiese come avesse fatto a non trovare spaventosi quei capelli celesti.

“Va bene, seguimi.” Il ragazzo uscì di corsa dal pub, e Xemnas dovette seguirlo in fretta. “Però ti porto lì e basta, sia chiaro.” Spiegò, sovrastando con la voce pacata e responsabile il suono delle macchine che sfrecciavano.

“Grazie. Sono nelle tue mani” ci tenne a chiarire Xemnas, come per assicurargli che non poteva fargli niente di male.

L’altro si limitò ad annuire, poi prese a camminare lungo la provinciale. Ad un certo punto, con stupore di Xemnas, oltrepassò il guard rail e cominciò a camminare veloce per i prati, di notte. –Per fortuna che c’è la luna piena- pensò Xemnas, incantato. Seguiva la testa celeste davanti a lui che avanzava in fretta, come se lui stesso stesse lottando per raggiungere il giorno, un posto dove avrebbe potuto orientarsi. La forte luce lunare inondava i campi, faceva risaltare i ciuffi di erbacce alte che sopravvivevano anche d’inverno. Si sentiva come in un sogno, nessuna guida, nessun limite al destino, come nei sogni. Era leggero, come se non esistesse, allo stesso tempo avanzava pestando tutto ed era fin troppo pesante. Se non avesse bevuto tanto, avrebbe saputo godersi tutto questo? Forse era solo ora che non aveva più una strada, che gli sembrava di averne trovata una. –Solo perché ha tutti i contorni di una strada… Solo per questo… Ma non è una strada…- si ripeté sconsolato, osservando l’orizzonte, una linea buia al chiaro di luna.

“Notte brava al bar, eh?” chiese l’altro ragazzo.

Xemnas fu sorpreso dall’improvviso disturbo ai suoi pensieri tanto che all’inizio non riusciva a coordinare i passi e parlare contemporaneamente. Si sentiva perfino quasi commosso del tentativo di conversazione. “Già. Per un amico che cambia scuola.”

“Cosa va a fare?”

“Niente, anche lui lo scientifico, però da un’altra parte. Mi sa che questa scuola è troppo difficile.”

Il ragazzo indicò un masso in mezzo al percorso. Avrebbero potuto costeggiarlo, ma si vedeva che era una strada che faceva per abitudine. “Vi dispiace?” riprese.
“Ad alcuni sì, a me invece…” il suo tono di voce divenne duro. “Non è una brava persona. Non è sincera. E’ triste, senza principi… Agisce solo in base a come gli è comodo, a come gli va al momento.”

L’altro si limitò ad annuire. Abbandonarono i campi per una stradina sperduta. Si sentivano dei cani abbaiare, in fondo alla via. Xemnas rabbrividì, ma volle fidarsi.

“E’ che non è una persona che valga la pena frequentare, ecco tutto.” Proseguì. “Mi dispiace per i miei amici, che rischiano di finire nella sua rete, ma è sbagliato che uno faccia così, anche se magari non lo fa apposta, anche se a dire il vero non lo capisco. A volte il comportamento delle persone è così strano che è difficile da comprendere.”

“Già, a volte succede.”

“Ma non solo, da comprendere! Da… Dargli un nome. Da dire il perché di una certa azione, come chiamarla… Se chiamarla stupidità o ansia, chi lo decide? Se è sbagliato o disperato?...”

“Stai parlando di inquietudine.” Lo corresse.

“Non so… Vedi, anche quello in fondo, è già un nome, è già qualcosa. Io invece non voglio dire questo, non voglio dire… Niente, è proprio il niente, cioè…”

“Quindi avevi voglia di bere stasera?” taglio corto l’altro, che camminava al suo fianco lungo la stradina silenziosa, in mezzo a casette dall’aria serena e anonima.

“Ho solo alzato un po’ il gomito, ecco tutto.” Rispose Xemnas semplicemente.

“Bevevi per il tuo amico?”

Amico…” Xemnas storse il naso.

“E’ pur sempre un amico.” Commentò tranquillamente. “Anche con tanti difetti, sai.”

“Non bevevo per lui!” disse sprezzante Xemnas. “E’… Uhm…” Non sapeva che dirgli, a conti fatti non lo sapeva di preciso nemmeno lui. Non si era chiesto perché, aveva cominciato a rubare da tutti i bicchieri che gli capitavano sotto mano e aveva continuato a ridere. Perché fermarsi?

Era nel bel mezzo dei suoi pensieri, che si rese conto di star fissando l’altro ragazzo. Aveva le sopracciglia (anch’esse blu) aggrottate, disturbando la forma della sua cicatrice. Aveva un aspetto molto buffo, e allo stesso tempo molto dignitoso. Xemnas si accorse che sì, avrebbe potuto continuare la conversazione in modo piacevole parlando di sé, come lo aveva invitato a fare il suo nuovo compagno, ma il giorno dopo forse si sarebbe amareggiato di non aver chiesto nulla di lui.

“Senti, tu sai come mi chiamo, tu, invece?” domandò.

“Lasci cadere nel nulla il discorso di prima?” punzecchiò a mo’ di sfida l’altro. Avevano attraversato due parcheggi deserti, e ora stavano passando sotto un passaggio a livello chiuso.

“Dai, non puoi non dirmelo…” gli disse ridendo Xemnas.

“Mi chiamo Saïx.” Rispose. “Con due puntini sulla i, non dimenticartelo.”

-Definitivamente strano.- commentò nella mente. “Sei dello scientifico, no? Che anno?”

“Terzo.” Rispose. “Proprio a metà, non si può tornare indietro e non ti rimane che andare avanti.”

“Cosa significa, che non ti trovi bene?”

“No, no, chi ha detto questo.” Girò l’angolo e indicò una grande casa bianca dall’aspetto moderno. “Casa mia.”

“Davvero? Mi piacerebbe entrarci” Sorrise Xemnas. “Sarebbe strana, come tutto il resto…”

“Cosa?”

“Niente.”

Oltrepassarono un altro paio di curve, poi un parchetto con dei tossicomani stesi su una panchina. Saïx non batté ciglio. “Siamo quasi arrivati.”

Xemnas non poté impedirsi di chiedersi che cosa gli sarebbe piaciuto sapere di quello strano individuo prima di salutarsi. Non gli veniva in mente niente di sensato, quindi buttò lì la cosa più accettabile che gli girava in mente: “Tu perché bevevi, alle quattro di notte?”

Saïx fece una breve pausa di silenzio. “Finalmente ho trovato il coraggio di uscire di notte, da solo, da casa mia, ma non sapevo dove andare.”

Xemnas non sapeva bene cosa dire. “Una birra da soli è triste, di notte.”

“Perché, vuoi invitarmi a berla con te la prossima volta?” ribatté Saïx.

“Eh? No, no, figurati!” Xemnas conosceva Saïx ancora troppo poco per capire che aveva appena fatto una battuta. “Davvero, Saïx, non volevo altro da te, anzi, ti sono molto riconoscente e mi scuso molto per il disturbo…”

Lo sguardo di Xemnas era rammaricato e Saïx lo colse. “Figurati, Xemmy, questa sarà l’ultima volta che ti trovi da solo, credo.” Eppure nella sua voce c’era una leggera nota di disprezzo. Si erano appena fermati davanti a una palina del bus. D’altro canto, Xemnas trovava abbastanza sgradevole quel riferimento alla sua popolarità, ma non disse niente.

Si sedette sopra al gradino davanti a un negozio, stravaccandosi. Si sentiva un ubriacone senzatetto, e ora avrebbe dovuto aspettare in mezzo alla strada un’altra oretta, un’oretta e mezzo.

“Vuoi aspettare con me?” propose Xemnas, con un mezzo sorriso rassegnato.

“Perché?”

“Non ho niente da fare… Possiamo parlare un altro po’.”

“No, credo che torno a casa.”

“Se stai sempre sveglio tutta la notte così, ci credo che ti vengono quelle occhiaia” lo stuzzicò Xemnas.

Quello però non fece una piega e si allontanò. “Vado a casa.”

Xemnas appoggiò il volto alle braccia ancora una volta e annuì. “Ok, Saïx.” Lo salutò. “Grazie mille, allora.”

Saïx si diresse verso casa sua, e Xemnas segretamente lo invidiava. Lo aspettava più di un’ora da solo; avrebbe voluto essere Saïx, per poter allontanarsi anche lui da Xemnas -da se stesso.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La pagliacciata della piscina ***


E' passato molto tempo da quando ho postato il primo capitolo. Non sono salita su efp per un bel pezzo, e sono stata sorpresa di trovare delle recensioni positive, che mi chiedevano di continuare la storia.
Sorpresa che qualcosa di così complesso e importante per me sia interessato anche agli altri.


Questo allora è il secondo capitolo e l'ho postato stasera per voi, nonostante sia passato tanto.

Il secondo capitolo, me lo ricordo bene, è tanto interessante e inaspettato quanto il primo.
Buona lettura, se vorrete. E ogni sguardo avido di lettura, carico d'interesse, è un pezzo di qualcosa che mi fa del bene.

Grazie davvero di cuore.


E dopo tanto tempo, lasciatevi immergere di nuovo in questa strana avventura...

Xemnas riuscì a prendere il primo pullman verso la sua scuola. All’inizio non riconosceva le fermate, ma ben presto si accorse che erano vicini alla sua scuola; in più sul bus incontrò una sua vecchia amica, e le raccontò gli scherzi e gli inciuci della sera precedente: Larxene aveva fatto intendere a metà tavolata che ci sarebbe stata con tutti, lasciandoli poi a bocca asciutta. Xaldin si era sentito il più frustrato.

Arrivato a scuola quarantacinque minuti prima dell’inizio delle lezioni, si accorse che il suo più grande problema era che non aveva potuto passare a casa a cambiarsi d’abito, quindi aveva gli stessi vestiti sudati della sera prima.

Corse di nascosto in bagno per darsi una ripulita, ma anche facendo il possibile continuava a non avere un buon odore. In più non aveva neanche un libro di scuola.

Pieno di rabbia verso i suoi amici, si appostò per terra davanti all’entrata della classe di Xigbar e Xaldin. Appena entrarono nell’aula, si sentirono afferrare le caviglie e rovesciare a terra.

"Come avete potuto lasciarmi in quel pub da solo! Come credevate che sarei tornato a casa?!" esplose.

E ci fu il momento delle spiegazioni. Xemnas si era addormentato verso la fine della serata, dopodichè Leon stava per svegliarlo per riaccompagnarlo a casa, ma proprio in quel momento Marluxia aveva rassicurato tutti quanti, dicendo che sarebbe venuto il cugino di Xemnas a venirlo a prendere, un certo Donaldo.

"E voi ci avete creduto?" domandò incredulo Xemnas.

"Beh… Sì! Era Marluxia che ce lo stava dicendo."

"Appunto! Quel tipo mi odia dal primo giorno che mi ha visto. E’ ovvio che avrebbe cercato di mettermi nei guai appena avesse potuto."

Xemnas andò a sgridare personalmente tutti gli altri partecipanti alla festa, ripetendo anche che era colpa loro se quel giorno andava in giro puzzando come una capra morta. Per i libri, ognuno gli prestò quelli di una materia diversa, così che bene o male il problema fu risolto; si trovò senza libro solamente durante l’ora di storia, perché a Xigbar serviva per copiare durante la verifica alla terza ora, ma tanto Xemnas non l’avrebbe ascoltata comunque.

E Saïx? Lo cercò per tutta la scuola, finché non si decise a chiedere a qualche suo amico.

"Senti, Selphie, non è che hai visto in giro un tipo strano con i capelli blu?"

"Quello con la cicatrice? Ah, sì, è in biblioteca."

-In biblioteca all’intervallo? Sempre più strano.- "Grazie!"

"Ma… Perché?" chiese, sospettosa.

"Che c’è, ti fanno paura i ragazzi con i capelli puffosi?"

"Lui fa parte della compagnia di Axel." Xemnas la guardò stupito. Nella scuola c’erano diversi ragazzi molto popolari, lui, tanto per cominciare, e Cloud, che era della sua stessa compagnia; poi però c’erano anche Axel e Demyx. Axel era il capetto dell’altro gruppo, ed era finito per diventare quasi il rivale di Xemnas, sebbene fra i due non è che scorresse del vero odio.

"Beh, ci passerò sopra" disse Xemnas. "Mi ha fatto un favore, direi che potrei almeno andare a fare due chiacchiere con lui."

Selphie assunse un’espressione disgustata, e Xemnas sapeva già che sarebbe andata ad informare tutti gli altri. Sospirò e andò in biblioteca, ma non trovò nessuno: aveva fatto male a fermarsi a parlare così tanto con lei.

Proprio come immaginava, Xemnas finì per rimpiangere di non aver chiesto più informazioni su di lui. Non sapeva la sezione o il suo numero di cellulare; in più gli dispiaceva di non aver detto di sì all’idea di prendere una birra assieme.

La voce che Xemnas volesse stringere maggiori rapporti con un membro della compagnia di Axel si diffuse, ottenendo la disapprovazione dei suoi amici. Axel era ritenuto una specie di teppistello. Gli piaceva fare casino, combinare guai e dare fuoco alle cose. Non che ciò andasse contro l’etica del gruppo di Xemnas, ma capitavano sempre fra i piedi e finivano sempre per disturbare con le loro scene da pagliacci. Se Saïx era suo amico, doveva per forza condividere almeno in parte il suo comportamento; a Xemnas sembrava un po’ inverosimile che uno come lui apprezzasse cose simili, ma Saïx stesso aveva detto: "gli amici sono amici, anche se hanno qualche difetto".

Man mano che passavano i giorni, si scordò dell’intera cosa, che del resto, aveva avuto conseguenze solo per una notte sola.
Saïx, d’altro canto, che era stato molto meno coinvolto, non considerò neanche se c’era qualcosa da scordare o no e si limitò a vivere i giorni seguenti normalmente.


Una settimana dopo ci fu la serata organizzata da Luxord e Demyx. Ognuno dei due si sarebbe esibito, ed erano molto emozionati.
Era stato organizzato tutto a casa di Luxord, una villetta fuori città con un ampio giardino, con una tettoia, che avrebbe segnato l’area del palcoscenico. Davanti poi avevano messo delle sedie e un banchetto pieno di cose da mangiare. La compagnia era esaltata.

"Uh, canterò davanti a tutti!" andava in giro esclamando Demyx, con le stelle negli occhi.

"Sai che novità" gli aveva risposto Luxord. "Non fai altro che cantare davanti agli altri: a lezione, nei corridoi, in piedi sui banchi..:"

Demyx, Axel e Saïx si erano messi tutti a ridere.

La sera dell’evento si divertirono tutti moltissimo. Luxord, per i suoi trucchi di magia, aveva trovato un completo di giacca e cravatta molto professionale e molto misterioso al tempo stesso; Demyx invece si era vestito come al solito, e suonò il sitar completamente fuori controllo… Anche se una volta dovette bloccarsi all’improvviso a causa di un blocco di memoria.

"Dai, Dem, sei andato benissimo" lo consolò Axel, dandogli delle pacche sulla schiena.

Demyx rispose con dei suoni inarticolati.

"Andiamo, dopo sei stato così perfetto che ci hai fatto dimenticare quel piccolo sbaglio!"

Demyx sembrava sollevato. "Grazie mille! Ti sono piaciute le canzoni che ho scritto io, quelle che ho fatto alla fine, vero?"

A quel punto intervenne Tidus, avvicinatosi al buffet per prendersi un bicchiere di aperitivo. "Vabbé, Axel, le cose che avevi fatto tu sono impareggiabili!" La serata era stata organizzata come risposta a una precedente organizzata da Axel, in cui aveva fatto dei trucchi da mangiafuoco.

"Ehm… Sì, erano belli, ma le canzoni di Dem…"

Demyx però, sentito che stavano parlando dell’esibizione di Axel, si era allontanato per andare a chiedere un parere ad alcune ragazze con un sorriso stampato in faccia.

"Non è rimasto a sentire la tua risposta" constatò Saïx, rimasto solo con Axel.

"Già" rispose amaramente, mentre guardava Demyx da lontano. "Credo sia un po’… Come dire… Invidioso. Visto che siamo entrambi parecchio popolari, ha paura che gli altri non lo notino."
"Però a suonare era davvero bravo."

"Certo, e si merita un sacco di fama per questo… Ma hai sentito il commento di Tidus" disse, mentre cominciavano a camminare per il giardino. "Bella, la casetta di Luxord. Ottima per farci una festa. Una grigliata, magari…"

"Perché no? E se avanza della carbonella dal barbecue, puoi camminarci sopra: ti mancava solo quello l’altra volta!" scherzò.

Axel sorrise, ma aveva altro per la testa. "Tu come stai?"
Non avevano ancora parlato come si deve dall’inizio della sera, visto che Axel era stato interrotto e trascinato qua e là un po’ da tutti.

"Io? Bene." Rispose Saïx, mantenendo la sua solita faccia impassibile. "Tu?"

Axel sembrava rassicurato. "Perfettamente! Però c’è la mia prof d’italiano che continua a rompere per i miei voti."

"Rischi, quest’anno?" chiese Saïx preoccupato.

"E chi se ne importa" fu la sua risposta. "Con la compagnia va alla grande, non mi va di rompermi sui libri. Poi, scusa, anche se mi bocciano, è un anno in più con voi, no?"

Saïx non sembrava consolato. "Non so, non mi piace che tu rimanga un anno indietro di me."

"Dai, stai tranquillo!" Axel si mise le mani dietro alla testa, rilassato. "Una bocciatura non ha mai ucciso nessuno."

"Sicuro che non vuoi che ti aiuti?" domandò Saïx. "In che materia vai male?"

"Ma figurati, Saïx!" rise Axel. "Da quando sarei io, quello da aiutare?" guardò in faccia Saïx, mentre anche lui lo stava fissando.
Saïx continuò a guardarlo e non disse più niente.

Finito il giro del giardino, si riavvicinarono al buffet dove Axel venne aggredito da tutti gli altri: "Dov’eri finito?" e venne messo nel centro.
Saïx invece si spostò decisamente dalla folla e andò a sedersi dentro casa, in cucina.

Luxord scese dalle scale con in mano una cassa di birra e vide il suo amico seduto su uno sgabello, con le mani strette fra le gambe e il capo chino. "Qualche problema, amico?"

"Sto benissimo, Luxord. Mai stato meglio."

"Uhm… Ok" e si affrettò a portare rinforzi al buffet, anche se si prefissò di ritornare in cucina a controllare come stava al più presto.

La festa aveva ormai preso piede. Demyx aveva deciso di innaffiare gli invitati con il punch, mentre Axel restava seduto a guardarlo facendo risate di approvazione, e tutti gli invitati cercavano di sfuggirgli. Per fortuna che la madre di Luxord non c’era: Demyx rovesciò metà bicchiere di analcolico sul divano bianco di casa sua. "Ops", e riprese a correre come niente fosse canticchiando.

Luxord gridò un’imprecazione, non appena vide il danno inflitto da Demyx. I suoi si sarebbero inferociti!
Provò a lavarlo con dell’acqua, ma non sembrava funzionare. Andò in cucina a prendere uno smacchiatore, e vide che Saïx era sparito. Dove diavolo era andato?

Tornò in giardino, per assistere al tornado Demyx che stavolta stava percorrendo tutto il perimetro della piscina annaffiando ragazzi sulla testa e ragazze sulla maglietta. "Fermati, Dem" gli disse, arrabbiato, poco prima che il ragazzino incontrasse sulla strada Saïx.
–Da quando è lì?- si domandò Luxord, perplesso. Poi, assistette a una scena terrificante.

Demyx prese in giro Saïx, mentre correva verso di lui con in mano la caraffa del punch; voleva rovesciarla sui suoi capelli blu, ma Saïx gli prese un polso, lo stortò e fece cadere Demyx a terra, assieme alla caraffa che finì rotolando nella piscina.
Demyx stava gemendo per il dolore, ma Saïx non fece altro che prenderlo per il collo e per il polso slogato e lo buttò in acqua, per poi inginocchiarsi rapidamente, afferrargli la testa e ficcarla sott’acqua, tenendola sotto per un braccio intero.

"Dio, Saïx, che diavolo ti prende!" corse immediatamente Wakka, che era il più vicino, senza far caso ai propri ciuffi di capelli bagnati dal punch.

Con una forza superiore, Saïx riuscì ad evitare tutti i tentativi di Wakka di strattonarlo; anzi lo afferrò per una gamba attirandolo a terra vicino a sé, lo prese per la collottola della maglia e trascinò anche lui verso l’acqua. Era più che altro una scusa per colpirlo violentemente alla testa con il bordo della piscina.
Wakka, vicino alla superficie dell’acqua, cercava debolmente di parlargli disperato e di respirare al tempo stesso, ma tutti i suoi sforzi erano completamente inutili.

"Oddio, Wakka!" Dall’altra parte della piscina si stavano tuffando in piscina. "Demyx! Qualcuno li aiuti! Wakka!"

Saïx aveva rialzato il ginocchio, rimanendo comunque inginocchiato, quando Axel gli saltò addosso, cercando di immobilizzarlo. "Fermati, amico!"
Saïx furioso cercava di ribellarsi alla sua presa. "Saïx!" urlò Axel, disperato e inferocito.
Saïx riuscì a dargli una ginocchiata nello stomaco e allontanarlo, agile come un’anguilla.
Axel, dolorante, cercò di farsi forza e per un soffio riuscì a riprendere l’amico fuori controllo per un avambraccio e ritirarlo sotto di sé.
"Avete preso gli altri?!" domandò Axel a gran voce, che sentiva solo un gran numero di tuffi dietro di sé.
"A posto, Ax!" fu la rapida risposta, e Axel più rassicurato guardò negli occhi la faccia aggrottata di Saïx. "Calmati, Saïx" gli disse con voce stentorea, mentre lo teneva fermo tendendo al massimo tutti i muscoli del suo corpo fin troppo magro. "Sta’ calmo!"

Saïx a poco a poco smise di dimenarsi, e rimase a guardare il volto dell’amico, i suoi occhi verdi.
Axel, ansimando, si spostò da lui in fretta e in modo maldestro per potergli dare la sensazione di libertà al più presto e Saïx si rialzò subito in piedi.

Lo stavano fissando tutti.

Vide che Demyx era steso a terra, tossendo e in lacrime. Wakka cercava di stare in piedi, ma ci riusciva a stento tenendo le ginocchia piegate; si teneva il petto e ansimava. Li fissò a lungo, poi si allontanò e ritornò a sedersi sullo sgabello della cucina, dove tornò la sua espressione completamente indifferente.

Tempo due istanti, e l’anta della portafinestra sbatté sonoramente.
"Io ti uccido!" arrivò Tidus, schiumante di rabbia. "Hai quasi fatto fuori il mio migliore amico!"

Si avvicinò rapidamente a Saïx con l’intenzione di dargli un pugno, ma dietro di lui Axel, poggiato alla cornice della porta, disse: "Se fossi in te, io non lo farei."

Tidus si voltò e vide l’espressione dura di Axel. Si fermò, e dopo aver rivolto a Saïx uno sguardo ferito, tornò indietro con rabbia, uscendo fuori per raggiungere gli amici scampati al pericolo. Andando fuori incontrò tutti gli altri che al contrario stavano entrando per vedere come stesse ora Saïx.
Adesso era piuttosto noioso da guardare: continuava a stare seduto nella medesima posa e fissarli calmo.

"Quel ragazzo è completamente fuori di testa."

"Ma qualcuno sa se aveva già litigato con Dem-Dem prima?"

"Io non ci credo, a scuola è una persona così normale…"

"Era impossibile, ma è accaduto lo stesso!" arrivò all’improvviso Luxord, mettendo a tacere tutti i bisbigli dei presenti. "Faccio una festa a casa mia e un mio amico cerca di uccidere i presenti! Sembra la trama di un pessimo film horror! Saïx! Come lo spieghi?! Per fortuna che non c’erano i miei, se no sai che casino…"

Intervenne Axel. "Su, calmati, Luxordino… Non è successo niente, alla fine."

"Ma sei scemo? Immagina se i miei arrivano e trovano un’ambulanza!"

"Avete chiamato il 118?" chiese Axel con interesse.

"No, figurati" rispose Luxord. "Anche se ci stiamo pensando, ma Demyx dice di stare bene, e anche Wakka…"

"Ah, meno male" commentò Axel sollevato, non si sapeva se per il fatto di non aver chiamato nessuno o alla notizia che i due stessero bene.

"Sì beh, dovete darvi una controllata! Anche il mio divano, cavolo…"

"Quante storie, amico! Era una festa, no? Ci siamo divertiti alla grande!" Axel sfoderò uno dei suoi ghigni malefici. Luxord sembrava convinto, anche se riluttante.

"Provo a sistemare il divano, allora… Saïx, la prossima volta cerca di controllarti di più, porca miseria, guarda che casini metti su…" e sparì brontolando.

Axel rimase appoggiato alla cornice della porta in silenzio, e a poco a poco tutti i curiosi scemarono, andando a vedere come stavano Demyx e Wakka o seguendo Luxord.

Saïx e Axel finalmente rimasero soli.
 

"Scusa." Disse Saïx. –Perché diavolo mi sto scusando con lui?- pensò.

"Scusa un cazzo." Fu la risposta di Axel. "Mi hai dato una ginocchiata nello stomaco."

Saïx alzò le spalle e non disse niente.

L'altro sospirò e si diresse verso di lui. Si sistemò su uno sgabello vicino a lui, mettendosi le mani sulla fronte.

Saïx lo fissava con tanto d’occhi. Sembrava stanco e preoccupato.
–Perché fa così? Come se fosse responsabile di me. E’ vero, ho fatto quelle cose, ma adesso perché deve stare male lui? Ho agito di mia libera iniziativa, non c’entra niente.-

"Saïx… Perché fai così? E’ sbagliato. Cosa ti ha fatto Dem? E Wakka? Sta diventando seriamente un problema."

"Lascia perdere." Disse seccamente Saïx. "La cosa non ti riguarda. Sì, ho fatto del male a dei nostri amici in comune, ma credo di riuscire a dispiacermene anche da solo. Non sono senza sentimenti."

"Davvero?" chiese Axel, irritato dall’atteggiamento di Saïx. "Allora, provavi qualcosa mentre cercavi di affogarli? E cosa, sentiamo?"

Saïx scese dallo sgabello, seccato. Axel sapeva di stare scherzando col fuoco. Non che la cosa di solito gli dispiacesse –ma parlare senza veli con Saïx quando era già alterato era come fare bunjee jumping con uno spago di liquirizia.

Ci fu una pausa di silenzio, in cui nessuno dei due non accennava a parlare. Si sentivano le voci confuse dei ragazzi di fuori, e Demyx che provava a rassicurarli. Non sembrava arrabbiato con Saïx; del resto, lui e Wakka erano amici di Saïx da un bel pezzo, e sapevano che lui aveva qualche problema a gestire la rabbia. L’aveva mostrato già altre volte.
I ragazzi si riprendono in fretta, non c’è che dire.

"Mi dispiace di aver provocato tanti fastidi." Disse Saïx, calmo. "Ma non sei tenuto a dire niente. Non importa, so come fare a gestirmi."

"Mi sembra che quello che è appena successo dimostri tutto il contrario."

"Mi sembra di aver già detto che mi dispiace." Rispose. "In ogni caso, non ho comunque bisogno di te. Non devi dirmi niente, né fare niente."

"Che vuol dire? Siamo amici, lo faccio per te", ribatté Axel, turbato.

"Non c’è più bisogno." Proseguì seccato. "Me la cavo da solo."

"Ma scusa, ma se io ti…" A metà della sua frase, Saïx aveva lasciato la stanza.

–Non mi ascolta neanche!- pensò Axel arrabbiato.

Dopo essersi allontanato da lui, Saïx andò in cortile. Erano tutti radunati sul prato, accanto a Demyx e Wakka, seduti ancora a terra, discutendo allegramente delle esibizioni della serata e di quanto fosse stupenda la casa di Luxord.

Quando videro che Saïx si stava avvicinando, trattennero tutti il fiato.

"Scusatemi, ragazzi." Disse loro, guardandoli negli occhi. "Non so cosa mi sia preso."

Demyx lo guardò sorridendo.

"Mi dispiace." Ripeté Saïx.

"Ma sì, lo sappiamo che sei il pazzerello del gruppo!" Demyx scattò in piedi, afferrandolo per scompigliargli i capelli blu.

"Ma Demyx, ti ha quasi ucciso!"

"Però sono vivo!" esclamò ridendo.

"Sì, grazie ad Axel" puntualizzò una ragazza, nota per essere un’ammiratrice sfegatata di Axel.

Wakka si alzò in piedi. Tutti gli sguardi furono puntati sulla sua espressione seria.

"Wakka, io…" cominciò Saïx.

"Silenzio." Lo interruppe. "Non so cosa ti sia successo, ma ti tengo d’occhio." E detto questo, si allontanò.

Saïx rimase a guardarlo.

"Fa niente, gli passerà. E’ normale che adesso tutti ti guardino con sospetto, ma fra un po’ tornerà tutto come prima." Gli spiegarono, quando ormai tutti erano andati ed erano rimasti seduti al tavolo della cucina solo lui, Dem e ovviamente Luxord. "Non sono abituati ai tuoi scoppi d’ira, ma non rinunceranno ad uscire con Axel, penso, quindi dopo un po’ che ti vedranno normale dimenticheranno tutto."

"Di’ loro che eri ubriaco" suggerì Demyx allegramente.

"E cerca di essere un po’ più gentile con loro, in futuro" aggiunse Luxord, tranquillo, mentre ripuliva casa. Per inciso, era riuscito a far venire via la macchia –in più aveva spostato il divano in modo da metterla controluce.

"Axel dov’è?" domandò Saïx, dopo aver ascoltato i loro consigli.

"Io non l’ho più visto, dopo che ti sei venuto a scusare" rispose Demyx. Saïx parve colpito.

"Ma va’! E’ di fuori, vicino alla piscina, che parla con un paio di ragazze."

A quel punto il discorso slittò sulla piscina di Luxord e Saïx rimase invece cupo nei suoi pensieri. Dopo un’oretta, si fece accompagnare a casa da suo padre, che diede anche uno strappo a Demyx.

"Com’è gentile, signore!" cantilenò il ragazzino del secondo anno.

"Figurati, piccino" fu l’allegra risposta. "Com’è andata, stasera?"

"Benissimo! Le mie canzoni sono piaciute a tutti, credo!"

"Sì, erano molto belle." Aggiunse Saïx, dispiaciuto di non potergli dire di più.


Il giorno dopo, a scuola, Saïx era tormentato. Ripensava alla sera prima e ne soffriva. Il modo in cui lo aveva trattato Axel… Come lui si fosse sfogato sul povero Dem e Wakka… Non era per definizione un cuore d’oro, ma non ci voleva molto per rimproverarsi di aver quasi soffocato i propri amici. Per giunta, Demyx non sembrava neanche molto dispiaciuto dell’accaduto.

"E’ normale" gli mormorò Luxord dal suo banco, durante la lezione. "Ha ricevuto le attenzioni di tutti, è fatto così."

Saïx si sentiva attanagliato all’idea che la sua rabbia distruttiva era stata usata come rimedio per le angosce di un ragazzino al primo impatto con l’adolescenza, ma non sentiva di potersi lamentare se un suo amico aveva almeno trovato un lato positivo in quel gesto orribile.

Indipendentemente da Demyx, gli altri continuavano ad osservare Saïx con timore. Ma se da una parte girò la voce che Saïx aveva fatto il matto durante una festa, veloce arrivò anche la correzione che quella volta aveva bevuto un po’ troppo.

"Tidus" Saïx lo incrociò in corridoio, e si affrettò ad andargli vicino. "Mi dispiace per aver rovinato ieri sera, Demyx e Luxord erano così bravi. Come sta Wakka?"

Tidus aveva ancora del rancore, ovviamente. "Bene. Oggi però ha preferito non venire a scuola."

Saïx annuì. "Mi dispiace." E aggiunse: "Ero proprio ubriaco."

"Tutta colpa dell’alcol. Bere può far fare davvero delle cose brutte."

"Hai completamente ragione." Disse. "Non avrei dovuto alzare il gomito, il più grosso errore della mia vita."

Tidus sembrava convinto, come avesse trovato consolazione al suo dolore. "D’accordo… Spero che non ci ricadrai più."

"Ma certo, Tidus" e gli strinse la mano.

Saïx si allontanò, distrutto. Era sabato, quindi sapeva che gli altri sarebbero usciti ancora, stasera. Non poteva farsi vedere di fronte agli altri, a uscire di nuovo normalmente, doveva restare a casa. Doveva mostrare il suo pentimento.

Ma il pensiero che sarebbe dovuto restare da solo a casa per l’intera sera lo schiacciava. Aveva in mente soltanto cattivi pensieri, che gli turbinavano spiacevolmente in testa, causando fitte alla pancia e alla testa: era arrivato a casa di Luxord, aveva visto contento Axel, e quello l’aveva salutato e basta, per poi tornare al gruppetto di ragazze e studenti dell’ultimo anno con cui stava parlando. Luxord e Demyx erano stati bravissimi, l’avevano quasi fatto sentire invidioso, perché loro riuscivano a manifestare così bene le loro buone qualità, erano qualcosa di così unico e piacevole. Ma era stato soprattutto il colloquio con Axel a farlo scattare. Non riusciva a mandare giù la frase che gli aveva detto, che era lui che aveva bisogno di aiuto…

Come aveva potuto dirgli con tanta noncuranza, in mezzo ad una risata, che era un essere orribile, allo stesso tempo facendo di quello la loro unica ragione di essere legati? Se non fosse stata una persona così tremenda, Axel sarebbe andato volentieri da un’altra parte, dove avrebbe potuto spassarsela e dove lui non poteva fare nulla di male. Ma onestamente, cosa ci poteva fare?

Lo odiava, odiava tutta quella situazione, odiava Axel e se stesso. Entrambi stavano permettendo al suo sé cattivo di crescere, era una coalizione per manipolarlo e farlo soffrire.

Ma se non ci fosse stato Axel, nella sua vita? Non sarebbe stato tutto vuoto? Era abituato a vivere tutta la sua vita al suo fianco, erano stati amici d’infanzia, ma ora che il destino proponeva loro di dividersi e Axel era ormai al punto di accettare e svanire per sempre…

Un altro mucchio di parole vane? Che sarebbero rimasti amici lo stesso, nonostante Axel avesse anche altri amici, che non si sarebbero divisi solo per quello? 
Ma dovevano prima provare la sofferenza di essere ignorati, non essere salutati, ricevere una buca agli appuntamenti, non potersi più fidare come prima, dover fare affidamento su sé stessi, prima di dirgli di calmarsi.
E se Axel fosse il tuo migliore amico? La persona con cui ti trovi di più al mondo, che ti fa sentire compreso, che una sua parola banale basta ad illuminare la tua giornata? Come fai a rinunciare a questo, con che animo volere la metà di questo, quando la parola e la comprensione altrui sono la tua vita e in mancanza non ti senti altro che morto?

Era un ricatto… Un ricatto in cui non poteva fare nulla. Vedere la persona che dovrebbe stare al tuo fianco scivolare dall’altra parte con un sorriso, sotto l’aspetto della quotidianità, un piccolo gesto in meno dopo piccolo gesto in meno, per vedersi dispiegato al suo posto un mare di solitudine.

Sentirsi incompresi, con nessuno che ti ascolta per davvero. Né più né meno. Sfortuna, se si vuole, poca capacità di adattamento, mancanza di altri veri amici… Tutto quello che si vuole. Ma la sensazione amara di abbandono era quella.

"Oh, Saïx?" qualcuno bussò a una porta del bagno lì vicino. "Dove sei?"

"Ah!" si riprese dai suoi pensieri, sorpreso. Cominciò a ritirarsi su i pantaloni.

"Il prof si è preoccupato e mi ha chiesto di venire a cercarti. Che fine hai fatto?"

"No, tutto bene." Uscì fuori dal bagno, tranquillo. Andò a sciacquarsi le mani. La sensazione fresca lo faceva sentire meglio, mentre riprendeva: "Torno subito in classe. Mi sono distratto pensando a Wakka. Mi dispiace per lui." Disse semplicemente, come se questo bastasse a mettere a posto tutti quei sentimenti aggrovigliati che sentiva dentro di sé.

"Sì, immaginavamo una cosa simile. Muoviti, eh!"

"Arrivo…" Saïx si accorse che stava facendo andare il rubinetto più del solito. Era stata così rincuorante, l’acqua fresca sulle mani.

–L’acqua…?- si bloccò dall’asciugarsi per guardarsi le mani umide.

Nella sua mente, andavano i ricordi a tinte fosche della follia di ieri. –Mi piace la sensazione… Mi piace… Il ricordo…-
Non era sicuro di capire, posizionando le sue intuizioni come in un puzzle, gli sembrava di star ricevendo dei messaggi lontani dalla sua altra parte di sé.

-Ha detto che gli piaceva l’acqua.- gli venne in mente all’improvviso. L’aveva detto Demyx, una volta.
E gli aveva dato l’acqua. Nell’unico modo che conosceva.

-Sei tremendo.- pensò Saïx, atterrito. Ripugnante…

Lasciò nel bagno la sua parte cattiva di sé a sogghignare, mentre correva via veloce verso la classe.

"Scusi, prof, eccomi…"

Ecco qui il secondo capitolo. Spero abbiate provato un'emozione. Siete liberi di provare a scrivere un commento... A me importa e fa piacere di sicuro!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Tempo speso senza senso ***


Ciao a tutti, tempo di estate, tempo di vacanze...
Ed è anche il momento di ritrovarsi qui a fare un po' i conti con la propria vita.
Ora mi sento proprio come Saix e Xemnas della storia: tanti cambiamenti, ma è difficile afferrarne il senso, e non si sa se ne valga la pena.
P.S. Quando Xemnas riflette contemplando i palazzi è una citazione del videogioco, proprio come nello scorso capitolo Demyx per l'acqua... XD ogni tanto mi piace mettere questi riferimenti!
Buona lettura, e come al solito, invito chi apre questo racconto a provare alcune righe e misurarsi con ciò che c'è scritto. Poi se vi va fatemi sapere com'è andata!


Le cose per Xemnas non stavano andando bene. Era seduto nella sua classe, ad annoiarsi, durante una lezione di fisica. Xigbar, accanto a lui, continuava a mandargli bigliettini osceni, ma lui se ne strafregava."Oh, Xemmy, guarda" bofonchiò ridendo il suo compagno di banco, mettendogli davanti un altro disegno.

"Ah sì, molto divertente" rispose sorridendo, per poi tornare a guardare di fuori. Fuori era uscita una classe per fare educazione fisica: visto che era praticamente inverno, ne doveva dedurre che l’avevano portata fuori come punizione. –Come l’invidio-, pensò Xemnas, condannato a passare la prossima ora seduto in un banco a costringersi ad ascoltare cose totalmente inutili oppure dannarsi a casa per non averle ascoltate. Guardando meglio gli studenti che avevano cominciato a correre, però, Xemnas fu stupito di notare una certa testa blu. Senza preavviso, alzò la mano e disse: "Potrei andare in bagno, prof?"

La prof era chiaramente seccata di essere stata interrotta nel bel mezzo della frase; ma acconsentì e Xemnas uscì trionfante. –Finalmente libero!- respirò a pieni polmoni, e si godette la passeggiata nei corridoi vuoti.

Arrivato nel cortile, sentì subito la pelle d’oca: il vento era spietato. Ma la libertà doveva costare anche quello. Rimase a bordo del campo, aspettando pazientemente che Saïx arrivasse vicino a lui. Aveva dei pantaloncini neri larghi e una grossa felpa pesante dello stesso colore dei suoi capelli.

"Ehi, Saïx!" lo chiamò sorridendo, appena lo vide girare la curva.

L’interessato lo notò arrivare fuori dal campo di atletica, senza accennare a una minima espressione di sorpresa. "Ah, Xemnas. Cosa vuoi?" lo salutò, per poi ignorarlo e continuare a correre allontanandosi nella curva successiva.

-Ma che diavolo…- pensò perplesso Xemnas, imbronciato per essere trascurato a quel modo. –Be’, almeno si ricorda di me.-

"Niente, volevo ringraziarti per l’altra volta!" urlò. Aspettò che Saïx facesse un altro giro e tornasse di nuovo vicino, per proseguire: "Se non ci fossi stato tu, sarei stato perso, quindi almeno un grazie te lo meriti!"

"Ok… Ma tu non dovresti essere a lezione?" chiese, continuando a correre.

Xemnas rispose con un’alzata di spalle. "E va be’. Cosa vuoi che m’importi? Mi stavo rompendo."

Saïx non rispose e continuò a correre. Probabilmente si sarebbe allontanato di nuovo, se il prof non avesse fischiato per indicare che era abbastanza. Saïx si chinò, appoggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. Xemnas ne approfittò per andargli incontro allegramente.

"Allora, fai qualche sport?" chiese, divertito.

"Un po’ di tempo fa facevo basket." Rispose l’altro. Il prof aveva cominciato a spiegare, dall’altra parte del campo; ma se anche si fosse arrabbiato non gl’interessava proprio niente, e tanto valeva restare a fare due chiacchiere; anche perché non andava matto per il calcio. "Poi però mi hanno cacciato dalla squadra. Il coach diceva che li spingevo a doparsi."

Xemnas lo guardò metà interessato e metà sogghignante, ma sentendolo affaticato commentò: "Ad andare così veloce di notte, l’altra volta, era tutta un’altra storia!"

"Già, be’, c’era la luna." Ribatté Saïx, all’improvviso tranquillo.

"L’avevi vista anche tu?" continuò Xemnas colpito, "Era grande, chissà se rossa avrebbe gettato un’altra atmosfera…"

Arrivò a interromperlo un compagno di classe di Saïx, alto e biondo,con un forte accento inglese e una voce arrogante. "Qualche problema? Ti sta dando fastidio?"

"Chi, Xemnas?" Mentre Saïx rivolgeva uno sguardo scettico al compagno, Xemnas alzò gli occhi e vide che un ragazzino biondo del secondo anno li stava spiando con aria seria, sporgendosi dalla finestra. A quanto pareva, non poteva dimenticare la rivalità con Axel.

"Calma, non volevo dare fastidio a Saïx." Lo rassicurò con affabilità.

L’altro lo guardò con sospetto, mentre il prof fischiava dando segno che la partita di calcio stava iniziando. "Adesso dobbiamo andare, sarà meglio che gli parli più tardi" disse.

"Fisica è una palla, non mi va di tornare in classe." Rispose Xemnas, sorridendo con aria di sfida. Non gli era mai costato così poco essere sinceri.

"Be’, se vuoi venire a giocare con noi…" cominciò Luxord.

"Non avrei paura di venire sconfitto da voi neanche se giocassi bendato."

"D’accordo." Fu la risposta altrettanto densa di competitività. Saïx, Xemnas e il biondo si diressero allora verso il centro del campo, dove si mischiarono alle due squadre già formate. Xemnas non vedeva l’ora di dare una lezione alla compagnia di quel pagliaccio di Axel, magari avrebbero capito che il loro atteggiamento da galletti era solo ridicolo. Giocava con passione, incurante che non avesse addosso la tuta; dopo una decina di minuti, però, il prof fischiò ancora. Gli studenti si voltarono verso di lui, approfittandone per prendere fiato. "Ragazzi, mi ha chiamato una prof, dicendo che si è infiltrato un alunno della sua classe." –Ops- pensò Xemnas, constatando che probabilmente le urla di incitamento col suo nome non erano state una mossa furba. Guardò in alto, e vide che Xigbar gli stava facendo chiaramente segno dalla finestra della sua classe che era stato beccato.

"Scusi prof, sono io" si fece avanti Xemnas (anche se era ovvio che era lui, considerando che era l’unico con una maglietta arancio e dei jeans zebrati), "Ma non è niente, volevo solo fare un salutino a un mio amico! Vero, Saïx?" si guardò attorno, ma di Saïx nessuna traccia. "Ehm… Saïx?"

"Mi sembra plausibile incolpare dei fantasmi!" sbraitò il prof di ginnastica. "Coraggio, muoviti e torna subito in classe!"

Xemnas sbuffò e riprese la sua felpa nera che aveva gettato a terra. Prima di andare via, comunque, si voltò per fare un sogghignante segno di trionfo allo studente inglese: aveva vinto la sua squadra. Questo valeva essere rimproverato alla grande da quella rompianima della sua prof di fisica e probabilmente dal preside… Che rottura, però.

Mentre saliva, sentì dei movimenti provenire dallo spogliatoio, e molto cauto entrò per vedere di chi si trattava. Sperava che si trattasse dello spogliatoio delle ragazze; invece trovò Saïx che beveva.

"Ma dovevi andare via proprio adesso a bere?!" lo sgridò Xemnas, imbronciato.

"Come?" rispose lui distrattamente. "Veramente io sono andato a giocare per tutto il tempo a hockey con l’altra metà della classe. Non m’interessa niente delle vostre rivalità fra bande. Perché, è successo qualcosa?"

Xemnas sospirò. "Oh, niente, mi hanno beccato che ero qui durante la lezione."

"Ah" disse Saïx, solo relativamente interessato. "Buona fortuna." E si sedette su una panca.

Xemnas però non era ancora pronto a tornare in classe. "Comunque, mentre eri assente, ho battuto alla grande i tuoi amichetti. Non sono tanto forti, mi sa" sogghignò.

"Sai che mi frega. Poi, già il fatto che ti hanno visto parlare con me è un casino. Axel ti potrebbe fare benissimo a fette, penserà che stai cercando di invadere il territorio della sua compagnia."

"Perché, scusa, sei forse proprietà di Axel?" ribatté.

Saïx aggrottò la fronte, irritato dalla sua risposta efficace. "Non è questo. Axel non c’entra niente." Xemnas era pronto a smentirlo, ma ascoltò Saïx che proseguiva: "Se ti annoi, buttarti in questa rivalità ti causerebbe solo guai. Non vedo perché essere così scemi, qualcos’altro da fare ce l’avrai, no? Altrimenti, non c’è di che per l’altra volta e chiusa qui. Ti assicuro che non succederà mai più" concluse, ironico.

"Non è che l’ho fatto perché non avevo niente da fare" confabulò Xemnas a voce bassa. "E comunque questa assurdità di me contro Axel non l’ho inventata io."

Saïx avrebbe potuto mostrare in mille modi di come contribuiva a tenerla in vita, ma si era già stancato. "In ogni caso, verrebbero fuori casini che non immagini... Non c’è neanche competizione" rispose lui, all’improvviso distratto, fissando il pavimento. Immaginava una guerriglia con loro e lui che si trasformava in una bestia. "Sono stanco, davvero." Disse, chiedendosi poi se questa frase sembrasse connessa col resto.

Xemnas lo guardò un altro istante, poi concluse: "Ma figurati, non me ne frega neanche, di ‘sta cosa" e si allontanò di nuovo in corridoio, pensando a cosa gli avrebbe detto quell’isterica della prof di fisica.


Ormai tutti non consideravano più l’accaduto.

"Avete sentito l’ultima impresa di quel cretino di Axel?" il disprezzo era rimasto. La compagnia di Xemnas era tutta fuori in un bar per un compleanno, e quest’ultimo era seduto assieme ai suoi migliori amici, Xaldin e Xigbar, con un bicchiere in mano.

"Ha scritto ancora su un muro della scuola?"

"Troppo banale, amico!" lo interruppe Xigbar. "Ricordi quando ha dato fuoco all’aula di disegno? Non si sa ancora come abbia fatto, ha solo strofinato due matite di legno…"

Xemnas assunse un’aria impressionata.

"No, no, ragazzi, siete fuori strada!" li ammonì Xaldin. "Ha rimorchiato la mia ex!"

A quanto pareva, la notizia non riscosse lo stupore che si aspettava.

"Ma va sempre che tutte ci stanno con Axel, è la regola. Tu non sei mica speciale" ribatté Xigbar con inaspettata logica.

"Ma poi, quale ex, scusa?" domandò perplesso Xemnas. Per chi non lo sapesse, Xaldin aveva un sacco di ex. Anche adesso, stava con più ragazze contemporaneamente, senza peraltro darsi cura di nasconderlo, quindi era molto probabile che il numero di ex stesse crescendo anche in quel momento.

"Io non la trovo una cosa da prendere così alla leggera" alzò la voce Xaldin, sbattendo giù il suo bicchiere. Xaldin sapeva essere un tipo molto possessivo: aveva fatto a botte parecchie volte per motivi di gelosia. Xemnas abbassò gli occhi: non aveva mai conosciuto una persona più violenta di lui per dei motivi così futili.

"Ma che ti frega!" lo blandì Xigbar, per niente impressionato dalla rabbia di Xaldin. Lui, del resto, non si sarebbe certo arrabbiato se si fosse scatenato a dovere: se ne sarebbe solo divertito. "Chi è? Scommetto che nessuno si ricorda neanche di lei. Lasciala scaricare anche da Axel, come fa di solito, e discorso chiuso."

Xaldin continuò a discutere con Xigbar, sempre più innervosito da come la stesse prendendo alla leggera. Xemnas pensò che Xaldin poteva anche non arrabbiarsi per dei simili motivi, ma non disse niente se non qualche commento indifferente, qualche tentativo sporadico di farli ragionare; dopo un po’, notò che Xigbar parlava solo per provocarlo. Lo voleva convincere lentamente ad andare a pestare Axel; ma a Xemnas non importava niente della cosa, così si alzò di punto in bianco dal tavolo per andare alla finestra.

La visione era piuttosto sconsolante, e neanche molto consistente: in pratica riusciva a vedere la strada davanti al locale, con i palazzi e le persone che passavano sul marciapiede, proprio lungo i vetri del locale; quel tipo di persone che camminano in strada verso mezzanotte, un po’ solitari, un po’ euforici. Il panorama cittadino non gli comunicava niente, a parte uno strano senso di appartenenza: guardava la luce della luna gettata sugli edifici, come la pioggia, ma senza che aggiungesse loro qualcosa, rimaneva separata, confusa, forse un po’ malevola. Era lì in mezzo che Xemnas era nato, ed era a quel posto che apparteneva: i vicoli fra gli edifici, le strade, larghe o strette che fossero, erano come una complicata prigione che lo stringeva, e lo proiettavano in basso, dividendolo sempre di più dal cielo. –Del resto, di questo non c’è molto da vedere- si disse tristemente Xemnas, guardando in alto le nuvole fitte, anche se stava cercando di consolarsi.

Perché, poi? La serata non poteva offrire di più. Non si stava ficcando in una sorta di masochismo? O forse faceva così spendere il suo tempo in modo più degno? Non sapeva proprio dire fra quali due; né, a ben pensarci, si accorse assorto, di quale poteva essere la differenza fra le due.

"Oh, Xemnas, sei triste?" gli chiese una vocina delicata.

"Mh?" fece Xemnas, distratto, voltandosi. Di fianco a lui c’era Selphie, timida e gentile.

"Hai proprio un’espressione strana, Xemmy" aggiunse lei sorridendo.

"Ah… Ma no, figurati" rispose Xemnas, anche lui mostrando un sorriso gioioso –proprio come a ricomporre un puzzle, quando una tessera e l’altra non vanno, ma tu spingi finché non entrano... "Mi vedi? Sto benissimo!"

"Ti stai divertendo?" proseguì Selphie, calorosa.

"Sì, il bar è carino, anche se non lo conoscevo… Meno male, è più vicino a casa mia! Hai visto quel karaoke? Hanno scelto questo posto per questo e nessuno l’ha ancora usato. Lo proviamo?" propose, con uno sguardo tentatore.

"No, no!" rispose subito lei, imbarazzata. "Poi, sai com’è, io sono venuta qua con mia cugina, Kairi…"

"Ah… Beh, sono sicura che si scioglierà anche lei, con una bella canzone!" insistette Xemnas.

"Ehm… Non credo che abbia bisogno di una cosa simile" Ribatté lei, a disagio. Kairi era molto carina e aveva avuto subito successo fra i suoi amici, appena arrivata. Fin da quando era piccola, Selphie si era sempre sentita inferiore rispetto a lei e come se dovesse sempre colmare le sue lacune.

Xemnas ovviamente non poteva sapere niente del genere. "Be’, allora possiamo intrattenerla cantando, si divertirà ancora di più" insistette per la terza volta Xemnas. Non osava confessarlo davanti a nessuno, ma gli piaceva tantissimo cantare. Specie se era da solo e all’aperto.

"No, senti…" lo interruppe Selphie. "Usciamo a fare un giro, invece, dai."

Xemnas non se lo aspettava, ma alzò le spalle. "Va bene."

Avvisò i suoi amici che andava a fare una passeggiata (erano finiti a discutere di altri ragazzi che si erano presi altre ex di Xaldin), finì il bicchiere e andò fuori con lei. Aveva addosso una semplice maglietta a maniche lunghe nera e faceva un freddo cane, Dio mio, sperava soltanto che fosse una cosa breve. Peccato che Selphie fosse stata così previdente da mettersi la giacca, quindi riusciva a camminare tranquillamente. –Maledizione alle donne, sono così previdenti- pensò Xemnas, che bruciava, ma solo d’invidia.

"Allora, è una bella serata, no?" cominciò Selphie sorridendogli.

"Già" rispose lui, mettendosi almeno le mani nelle tasche dei pantaloni neri. "Vi stavate divertendo al tavolo, eh?" Ricordava di averla vista ridere di gusto.

Lei assunse un’espressione rassegnata. "Sì, stavano facendo il gioco: immagina due tuoi professori che fanno sesso e descrivi la scena"

"Oh." Xemnas sembrava colpito. Le dava ragione che fosse un gioco stupido, ma sembrava anche divertente. "Da noi invece si continuava a parlare di un’ex di Xaldin che sembra si voglia mettere con Axel."

"Oh, proprio Axel!" esclamò lei, con attenzione. "Ma… Quale ex, di grazia?"

Xemnas stava per rispondere, ma si accorse che in realtà non li aveva ascoltati. "Sai che non lo so? E comunque non è una grande notizia, se è donna, sarà affascinata da Axel, è la regola."

"Va be’, ma cosa c’entra, è pur sempre un’ex di Xaldin e si va a mettere con quello che sa che lui odia. E’ possibile che l’abbia fatto per ripicca."

"Dici?" si disse Xemnas, un po’ indeciso, erano stati tutti così presi che non ci aveva neanche pensato. "Se l’ha fatto per attirare la sua attenzione, magari Xaldin ne sarà contento."

"Insomma! Lui non è decisamente il bravo ragazzo, mi sembra di capire." Rise.

"E’ vero che magari non è sempre entusiasta della ragazza con cui sta, però… Dopotutto, non fa loro niente di davvero male. Per come la penso io, è come se il loro unico obiettivo sia solo trovarsi un ragazzo, cioè semplicemente uno da baciare e a cui poter pensare quando sono sole. Non pensano neanche a nient’altro… Non è che loro siano sempre più serie di lui, insomma."

Lasciarono scorrere qualche istante in silenzio, poi Selphie chiese, a voce più bassa: "A cosa stavi pensando, prima, davanti alla finestra?"

Xemnas sgranò gli occhi. Non se l’aspettava e non sapeva cosa rispondere. "Ehm, no, niente d’importante."

"Niente?" insistette con gentilezza a spiegarsi di più.

"Solo che… Ci sono molte nuvole, stasera."

"Sì. Gettano un’aria sinistra sulle case, vero?" commentò lei, guardandosi attorno.

Xemnas fu in un certo senso colpito dall’osservazione e deglutì, pensando a cosa potesse dire di più. "E’ come se… Non si potesse scappare dagli edifici. E’ come se mi sentissi imprigionato, in città."

"Vorresti stare all’aria aperta? Tipo in campeggio?" chiese lei.

"Ehm… No, cioè, non lo so, però intendevo in un modo un po’ diverso…" Non sapeva come andare avanti.

"Possiamo fare una gita fuori porta tutti quanti" disse lei, cercando di trovare velocemente una soluzione. "E… Dimmi, c’è qualcosa che non va? A casa, in famiglia?"

"Meglio non parlarne" rise Xemnas.

"Sai, Xemmy" riprese Selphie, ridendo, "quella frase che hai detto, su Axel… Che tutte le ragazze devono per forza volere lui… Non vale per tutte" spiegò, guardandolo.

Xemnas la fissava con attenzione.

"E’ vero che Axel è uno dei ragazzi più popolari, a scuola, ma secondo me, Xemnas, tu sei molto meglio. Non sei un clown con un’età cerebrale di sei anni..."

"Non che ci voglia molto per non esserlo" non poté fare a meno di puntualizzare. –Essere intelligenti e non truccarsi, per la precisione- pensò.

"Quello che voglio dire, Xemnas, è che secondo me tu sei migliore di tutti quanti…" arrossì decisamente, si fermò sul marciapiede, imbarazzata, "Di tutti i ragazzi possibili… Capito, cosa intendo?"

Prima di accorgersi di quello che stava facendo, l’aveva presa per le spalle. Era proprio bassa, rispetto a lui. Non fece più niente, né mostrò qualche emozione, ma lei, ancora rossa in viso, si avvicinò al suo petto fingendo di provare interesse per le fibbie sulle spalle che decoravano la maglia di Xemnas. –Perfetto, e adesso?- pensò sbrigativamente.


Saïx era appena tornato da una delle sue passeggiate notturne, e rientrando fu sorpreso di vedere in cucina suo padre. Stava bevendo un bicchiere d’acqua.

Con disinteresse, anche Saïx andò a prendersi qualcosa da bere.

"Non penso che tu possa andare in giro così, di notte." Fu il lento e calmo rimprovero.

"’Sera, padre." Si limitò a rispondere Saïx, indifferente.

Il padre non lo degnò di uno sguardo.

Saïx finì di bere e lui non aggiunse nient’altro.

Saïx lo fissò finché fu sicuro di non essere visto. "Vado a dormire." Concluse, andando in corridoio.

Si mise sotto le coperte e lo ascoltò entrare nella sua stanza e svegliare la madre. "Cosa gli prende, a tuo figlio? Domani ha scuola. E’ perché non ha niente da fare tutto il giorno, altrimenti filerebbe a letto senza pensarci due volte, invece di andare in giro di notte."

"E’ fatto così, lo sai" fu la vaga risposta della madre, ancora impastata dal sonno.

"Non è lui. Non è così" negò lui.

-Sì, invece, sono così, sono io, sono fatto in questo modo- pensò tristemente, avvolto dalle coperte. Aveva le lacrime agli occhi. Se solo non fosse stato già triste, se solo non avesse avuto una serata così cattiva, avrebbe saputo mantenere l’indifferenza anche in quel momento.

–Non mi colpisce, non importa.- si disse. –Se solo non fossi stato già male prima di incontrarlo, non starei così. Che sfortuna, perché l’ho incontrato? Avrei preferito non vederlo…- Si asciugò gli occhi, senza peraltro neanche capire dove fosse il dramma della cosa, cercando ora solo di scacciare tutto per dormire.

Selphie lo stava guardando negli occhi, con un senso di attesa.

-Oh no! Perché devo essere io, il maschio?!- pensò, agitato. –Ai maschi toccano sempre queste cose: essere i primi a chiedere di uscire, a baciare, a provarci… Ma perché dobbiamo sempre farlo noi?-

"Ehi, Selphie…"

"La tua voce è proprio calda, Xemmy" sospirò lei, ancora attaccata al suo petto. "Sei proprio sicuro di essere nato da queste parti?"

"Ehm… Sì, perché?" disse, gentilmente.

"Hai un aspetto troppo insolito… Si vede fin da subito che sei speciale, Xemnas."

"Ma cosa dici?"

"Invece sì, altrimenti non saresti la stella delle serate."

"Io non sono la stella di niente." Ribatté irritato e un po’ confuso.

"Ma sei popolare."

"La cosa non mi riguarda" esclamò seccato. "Se intendi dire che sono speciale per questo…"

"No, non intendevo affatto questo, Xemmy" lo interruppe lei, accorata "penso che tu abbia un sacco di buone qualità… Sei molto gentile, dici sempre qualcosa di divertente, sei sempre solare e allegro, e tutti si possono fidare di te… Sei davvero il nostro eroe, Xemnas"

Le sue parole sembravano così false e irreali da farlo sentire quasi disgustato, come se si sentisse in colpa, ma l’idea di sentirsi così per un complimento era ancora più sgradevole al punto che doveva fermare tutto. "Basta così, Selphie" le disse duro.

"Perché mi fermi? E’ vero! Agile… Coraggioso… Intelligente… Quasi un modello!"

"Io?"

"Ma sì, Xemnas! Come fai a non vedere queste belle cose di te?!"

Xemnas tacque. L’intera situazione era sgradevole, viscida, come mandare giù una grossa gelatina. Non si sentiva l’eroe di nessuno, non era l’eroe di nessuno. Avrebbe voluto esserlo, forse, essere più perfetto di così; a volte lo voleva così tanto che gli sembrava di averne già le qualità. Esserne certo però era tutt’altra storia: non riusciva mai a dire chi fosse davvero e non gli restava che traballare nell’idea di esserlo o meno, comportandosi diversamente a seconda della situazione, fingendosi migliore, cercando di esserlo e allo stesso tempo restando un uomo debole proprio perché doveva sempre pensarci invece di esserlo e basta.

Forse aspettava che arrivasse qualcun altro a dirglielo per poterne essere sicuro, ma quello che era più strano era che anche se gliel’avessero detto tutti non avrebbe creduto a nessuno di loro. O almeno, questa era la sua mezza sensazione…

"Senti, Selphie, davvero, lasciami in pace." Scosse la testa, stritolandole le spalle.

Lei assunse un’espressione a metà fra offesa e ferita. "Come, scusa?"

Solo ora si accorse di quello che aveva appena detto. Troppo scortese. "Ah, ehm… Mi dispiace, ma penso di essere troppo impegnato per stare con una ragazza.

"Ma Xemmy… Come fai a saperlo se prima non ci provi", disse lei, sorridendo.

-Oh-oh. Ed è così che arrivano i guai- pensò lui, sgranando appena gli occhi. Selphie era sicura e continuava a guardarlo in attesa, col suo sguardo innamorato e speranzoso. Lei aveva un’opinione così alta di lui. Gli stava facendo una richiesta cogli occhi, lo spingeva in quell’unica direzione, chiedeva di essere salvata. E così Xemnas pensò che sarebbe stato senza cuore ignorare la sua richiesta.


"… E quindi vi siete baciati?!"

"Già." Annuì, chinando il capo davanti a Xigbar e Xaldin.

"Che pepe. Chi l’avrebbe mai detto di Selphie" commentò il primo, prendendo a gomitate l’altro.

Xaldin lo ignorò e rispose: "Dai, ma quindi cos’è per te? Adesso state assieme?"

Proprio in quel momento arrivò in classe Selphie. "Xemmy!"

L’interessato si voltò verso la porta.

"Ah, Xemmy, eccoti." Andò verso di lui per abbracciarlo. –Ma dove volevi che fossi, a scuola, se non in classe?- pensò, un po’ disperato. "Ehi" disse ad alta voce, mettendole una mano sulla testa.

"Andiamo a fare un giretto" propose lei, avvinghiandosi al suo braccio.

Xigbar se la stava ridendo di nascosto. "A dopo" salutò Xaldin, ghignando anche lui.

La coppietta uscì in corridoio e lei si mise a ciarlare di cos’aveva fatto sabato scorso appena tornata a casa, subito dopo che Xemnas l’aveva baciata. Xemnas si sentiva un po’ a disagio.

Non che con lei stesse male, ma non era neanche molto convinto. L’aveva baciata sulla spinta delle emozioni, un po’ esaltato dall’intensità dei suoi sentimenti verso di lui, un po’ preso dall'eccitazione, ma non c’era nessun vero motivo che la legasse di più a sé. Adesso portava in giro per i corridoi questa specie di peso morto, una ragazzina gioiosa come una pasqua e convinta di aver raggiunto il suo scopo nella vita, il che la rendeva ancora più difficile da scollare e con una finzione più difficile da seguire.

"Basta così, Selphie, adesso staccati" sbuffò.

"Perché?!" piagnucolò, mentre si allontanava da lui.

"Perché ti comporti come se fossi la mia ragazza? Ci siamo baciati…"

"E non è stato bello?" disse spalancando gli occhi commossi.

"Sì…" Xemnas doveva ammettere che non era stato male, si era anche convinto di fare la cosa giusta e che Selphie era una ragazza in gamba, con cui poter avere una storia interessante, ma era meglio procedere con calma. "… Però non devi esaltarti per così poco. Non ci siamo promessi niente, è vero che ci siamo avvicinati, ma vorrei che cercassimo di non vantarci in corridoio."

"Ma anche tu mi hai baciato, sicuramente qualcosa ci trovi in me!" cercò di sorridere sicura di sé.

Xemnas alzò gli occhi al cielo. "Sì, senza dubbio, però facciamo con calma, ok?"

Selphie se ne andò via a rimuginare sull’accaduto, mentre Xemnas continuò a camminare da solo, per i corridoi. –Chissà perché faccio così. Se l'altro giorno non mi avesse trattato in modo speciale, ci sarei rimasto male. Non mi va però adesso di fare il suo ragazzo… Selphie non m’interessa neanche. Allora perché indipendentemente da come va ci rimango male?- continuò a ragionare tristemente, confuso, finché non incontrò in corridoio qualcuno che conosceva con cui cominciò a chiacchierare.


Saïx se ne stava seduto in balcone, una notte. –Fa troppo freddo per starsene qui- continuava a pensare, ma si costringeva a rimanere. Non era neanche il massimo stare seduto, riusciva a vedere solo il muro e niente della vista di fuori. Contando che stava in balcone solo per quella, non era il massimo proprio per niente. Ma era troppo stanco per stare in piedi.

–Perché sono qui?- si chiese, confuso. Non gli piaceva neanche un po’.

Forse, avrebbe dovuto dormire. Era da settimane che continuava a stare sveglio fino a tardi, la notte, anche quando sapeva che il giorno seguente sarebbe dovuto andare a scuola. A volte dormiva solo due, tre ore e per tutta la mattina si sentiva uno straccio; ma non poteva non stare sveglio. Era come se si sentisse vivo solamente quando tutti erano andati a dormire, un vero silenzio lo avvolgeva, e non restava nient’altro che il buio –e doveva solo accettare l’invito. Durante il giorno, era come un letargo, come una dormiveglia prima del giorno vero; non poteva, non poteva andare a letto in quel momento. Solo in quel momento la vita era sua.

Gli occhi gli bruciavano, la testa gli doleva vagamente, vicino alla cicatrice, ma non osava immaginare niente di meglio.

Appena uno o due anni fa, quando gli capitava di starsene lì, chiamava Axel e gli chiedeva di venire da lui. Lui si arrampicava lungo la grondaia, complice che pesasse pochissimo, e se ne stavano sul balcone a parlare e a fare gli scemi.

Come passa, il tempo. Tanto era passato dall’ultima volta, e l’ultima volta non era sembrata l’ultima, ma una delle tante. Si erano perfino messi d’accordo su cosa fare assieme la prossima volta che si fossero riuniti sul suo balcone.

Ma adesso Axel era sparito dalla sua vita. Tutta colpa dei suoi eccessi di rabbia? Magari. Era diventata così, lentamente, pian piano, come non riesci ad evitare. E non poteva dare la colpa al suo sé cattivo: era tutta colpa sua, di lui interamente, senza scuse.

E adesso? Adesso spazio alla solitudine. La notte era bella, ma era tutta per lui. Si stropicciò le mani e riprese in mano il libro che stava leggendo. Faceva davvero freddo, ed era solo lui.

Triste Saix... Ma nel prossimo capitolo, qualche novità e il riavvicinamento della strana coppia!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La fine di Roxas e qualcosa di nuovo per Xemnas ***


In questo capitolo Xemnas comincia a sentire il fascino di Saix. Saix, invece, è ancora alle prese col suo rapporto contradditorio con Axel... E complica tutto l'affacciarsi di Roxas.
Succedono parecchie cose!


“Sentito? Axel vuole far entrare uno nuovo nel gruppo.”

“Cioè?”

“Io so solo che si chiama Roxas, e lo so solo perché ho sentito Axel che ne parlava.”

Saïx guardò Tidus in modo beffardo. “Cos’è, accettiamo anche quelli del primo anno, adesso?”

“Andiamo, non essere così chiuso. Dicono che sia un tipo simpatico.”

“Sarà, ma per me ha ragione Saïx. Alla fine, uno del primo anno ha poco a che fare con noi” sottolineò Luxord.

“Ciao, ragazzi!” salutò Axel, entrando in classe con allegria. “Ho un’ora buca, non è fantastico?”

Saïx osservò Axel che spiegava quale prof mancasse e cominciava a scherzare con leggerezza. La sua vista… Sentiva cominciare a salire di mal di testa. Era tutta la mattina che lo minacciava e proprio ora doveva farsi vivo. Si alzò dalla sedia e fece per uscire dalla classe.

“Dove vai, Saïx?” gli chiese Demyx, che era arrivato con Axel e si annoiava ad ascoltare tutte le battute che facevano all’altro.

“A sciacquarmi la faccia.” Gli rispose gentilmente. “Credo di avere un po’ di mal di testa.”

“Oh, davvero? Mi spiace!”

“Figurati, è solo che dormo poco” Sorrise un’ultima volta e andò in bagno.

Freddo Saïx, crudele Saïx, bugiardo Saïx, pensò, guardandosi allo specchio. Sotto gli attenti occhi gialli, si stavano diffondendo due grandi occhiaia.

Dopo essere stato davanti allo specchio dieci minuti buoni, uscì in corridoio e trovò Axel che stava parlando con un ragazzino basso, biondo. Aveva una specie di camicia grigia aperta e dei jeans abbastanza larghi grigio scuro. Doveva essere Roxas, dai loro discorsi.

“Davvero, non c’è problema!” esclamava Axel, pieno di entusiasmo.

“Uhm… Per me, lo dico subito, sono un disturbo e basta.” Obiettò l’altro.

“Ma va’! Sono tutti molto gentili, nella compagnia. Vedrai che ti troverai benissimo.”

“Sarà… Ma mi sento già a disagio.”

“Non fare il timidone, Roxy!” gli diede una sonora pacca sulla spalla. “Ricorda che tutti contano su di te. Sei una persona simpatica, farai una bella figura.”

Saïx aveva ascoltato tutto questo con sospetto, e ora, pieno d’indifferenza, uscì dal bagno e si fermò a guardare fuori dalle finestre nel corridoio.

“Io ci provo. M’impegno, ok?”

“Ci si vede, Rox!”

“Ciao!”

Roxas si diresse verso la sua aula e Saïx rimase da solo, con vicino Axel. Fra l’altro, la lezione del laboratorio d’inglese doveva essere cominciata già da un quarto d’ora. –Che situazione imbarazzante- pensò, guardando le moto parcheggiate di fuori.

Non riusciva a vedere se Axel era ancora lì e cosa stesse facendo, ma decise di schiodarsi. “Ciao, Axel” salutò, indifferente, ricominciando a camminare.

Era arrivato a metà corridoio. “Ehi, Saïx, aspetta un minuto.”

Si fermò. Cosa voleva? Ma tanto era arrabbiato con lui. “Ho lezione, ci vediamo dopo.”

“Dopo quando?”

Saïx si voltò, in silenzio. Axel era proprio deciso a punzecchiarlo. “Senti, ci sentiamo dopo.” Cercò di chiudere, mentre gli andava incontro stancamente.

Anche Axel fece due o tre passi in sua direzione. “Quante storie, dai! Avete inglese adesso, no? Da quando ti interessa così tanto?”

Saïx lo fissò. “L’inglese è importante.” Rispose lentamente.

“Se vuoi possiamo litigare in inglese.”

Silenzio. Saïx era sconcertato. Un po’ per la proposta, un po’ perché Axel aveva scoperto le sue carte. “Dici… Sul serio?” continuò, preservando l’indifferenza.

“Ehm… Certo.” –Perché mi sto ficcando da solo in una cosa simile?- pensò Axel.

“Very well, then.” Saïx mise le mani sui fianchi. Era uno dei migliori, in inglese.

“Ah! Frena, frena” lo interruppe Axel. “Non ci riuscirei mai! So solo una frase in inglese: “got it memorized?”

“Lo so. Lo sappiamo tutti.” Replicò Saïx freddamente.

“Ah, bene.” Concluse. Adesso Axel non sapeva cosa dire, ma poco importava, perché il ghiaccio era rotto.

“Una gran litigata, non c’è che dire” commentò Saïx. Gli veniva da ridere, ma era ancora arrabbiato con Axel, non poteva di certo mostrarsi così.

“Già.” Rispose, strofinandosi un braccio, con gli occhi a terra. Sembrava trattenere una risata.

“Vabbé… Ci vediamo” concluse Saïx, andando via, verso il laboratorio di inglese. Aveva perso metà lezione e non aveva neanche preso i suoi libri, ma gli veniva solo da sorridere.

Dietro di sé sentì Axel parlare: aveva appena incrociato un suo amico, ma rise un po’ troppo per una battuta scema.

 

Il giorno seguente, Saïx doveva fermarsi a scuola per il pomeriggio. Aveva appena finito di pranzare in un bar lì vicino e doveva aspettare ancora un’altra mezz’oretta. Fuori faceva freddo, così pensò di infilarsi dentro la biblioteca della scuola.

Silenzio, odore di aria ferma, riscaldamenti accesi, computer che ronzavano. Saïx trasse subito un sospiro, mentre si slacciava la giacca marrone scuro e la lunga sciarpa nera. Voltatosi, scoprì di non essere solo.

“Xemnas.”

Il ragazzo dai capelli argento si girò, disorientato. Aveva una grossa felpa color ruggine e pantaloni scuri. –Niente zebrato, oggi.-

“Saïx!” lo salutò, sorpreso. “Com’è, mi saluti, adesso? Non hai più paura di Axel?”

Saïx alzò le spalle, divertito, mentre sistemava la sua giacca su una sedia. “E chi se ne importa.”

Xemnas rimase in silenzio. Intuiva dalla risposta che dovevano avere litigato e temeva che parlasse con lui solo come strumento di vendetta. Meglio evitare situazioni strane. “Capisco.” Rispose semplicemente, continuando a guardare con interesse lo scaffale, anche perché sarebbe stata una buona scusa per non parlare con lui.

Saïx invece si accostò a lui incuriosito. Xemnas si sentiva un po’ in imbarazzo.

“T’interessa la psicologia?”

“Ehm…Non so, più o meno…”

“Andrai a fare quello, all’università?”

“Non lo so. Non so neanche se farò l’università.”

Saïx si ritrasse, sorridendo.

“Tu come mai sei rimasto a scuola?”

“Faccio un laboratorio di astronomia.” Rispose Saïx. “Stiamo facendo un progetto sulla luna. Non è male. Vuoi restare con noi?”

“Senza offesa, ma preferisco restare a casa a giocare alla playstation” Rispose con disinvoltura. “Io sono rimasto solo per aspettare un mio amico che doveva rimanere qua alla sesta ora, ma fra poco dovrebbe uscire.”

Saïx e Xemnas rimasero in biblioteca a parlare un’altra ventina di minuti, quando suonò la campana.

“Ah, devo andare” borbottò Xemnas, alzandosi in piedi. Raccolse cartella e giaccone bianco, e uscì fuori salutando Saïx. Sì, la chiacchierata era stata piacevole, ma niente di che.

Non appena arrivò fuori dalla classe di Leon, corse da lui. “Eccomi, ti ho aspettato!”

Leon sembrava divertito. “Non posso crederci, l’hai fatto davvero?”

“Eccome!” esclamò Xemnas eccitato. “Adesso devi per forza portarmi a fare un giro in moto.” Era già al quinto anno e aveva la patente, beato lui.

“Va bene” rispose, ridendo, cominciando a scendere le scale. “Magari possiamo andare nel parcheggio qua vicino, e ti lascio guidare con la tua ragazza.”

“Ti fideresti?!” esclamò Xemnas incredulo, per poi aggrottare la fronte: “Aspetta un attimo, quale ragazza?”

“Come? Selphie” rispose, tranquillo. “E’ qui fuori dalla scuola, sta aspettando noi, no?”

Xemnas si fermò bruscamente. Sapeva perché era lì. Il giorno prima, avevano discusso se lui fosse davvero pronto o no a una relazione, e Xemnas era sembrato prudentemente remissivo, mentre invece Selphie era decisa a soddisfare il suo sogno romantico. Rivederla era l’ultima cosa che voleva. Un’altra discussione non gli andava proprio, non oggi, era già abbastanza stanco.

“Comincia ad andare, ok?” disse in fretta Xemnas a Leon. Quest’ultimo sembrava aver capito, sorrise e lo salutò allegramente, incaricandosi di dire lui a Selphie che sarebbe uscito da scuola nel tardo pomeriggio, quindi non valeva la pena aspettarlo. Xemnas tornò in biblioteca, ma ormai era deserta. Confuso, chiese a tutte le bidelle dove fosse l’aula di astronomia, per poi ricordarsi che non esisteva, quindi decise di entrare in tutte le stanze da cui sentiva provenire delle voci. Dopo aver interrotto due aule di inglese, riuscì a trovare quella del laboratorio di astronomia: era buia, ed era proiettato uno schema sulle radiazioni cosmiche di fondo.

“Scusate” borbottò in fretta Xemnas, andando a sedersi (a farsi spazio) vicino a Saïx, che lo guardò perplesso. “Ho cambiato idea. Rimango a sentire.”

Saïx annuì velocemente, prima di tornare a seguire la spiegazione su come avessero scoperto che l’universo fosse in espansione. La lezione sarebbe stata un dibattito su quale teoria di universo fosse più accettabile e lui non se ne perdeva una parola.

Xemnas tirò fuori un sospiro di sollievo. Si sentiva abbastanza a disagio e osservato, ma almeno era grato di essere scampato a Selphie. Che problema, stare con una ragazza! La vita da single era molto di più a cuor leggero, non aveva questi obblighi, e la rimpiangeva. –Certo che non ha neanche nient’altro.- si ritrovò a pensare. –Quando sono da solo, è come se non fossi davvero importante per nessuno. E’ così demoralizzante… Se non ci fossero gli altri, io non avrei significato…-

Continuava a ripetersi questa frase nella mente, mentre la sua attenzione slittava pian piano su stelle e galassie. Ad un certo punto mormorò una domanda a bassa voce a Saïx e quello gli spiegò con calma i concetti fondamentali della parte che si era perso.

“Grazie” sussurrò Xemnas, assorbito dalla spiegazione. Erano cose totalmente diverse, rispetto a quelle che facevano a scuola; non le aveva neanche mai sentite, ed era dello scientifico. Ad un certo punto, cominciò ad osservare gli schemi proiettati e allo stesso tempo il volto di Saïx con la coda dell’occhio: era diritto, impassibile, aveva uno sguardo orgoglioso in quel momento pieno di attenzione. Provava un vago piacere a stare seduto lì vicino a lui, immersi entrambi in un mondo di cose più grandi di loro: era come se fossero in piedi di fronte a cose che avevano un senso...

All’improvviso però si ricordò anche che il giorno dopo avrebbe avuto una verifica. –Dai, sono solo un paio di orette, vuol dire che dovrò stare sveglio un po’ di più stasera.- Ma rimaneva lo stesso un po’ preoccupato.

Il fantasma del test continuò ad assillarlo anche quando furono fuori dalla scuola. Ormai la luce del sole era completamente andata; erano coperti dai loro spessi giacconi, mani in tasca, con la sciarpa nera di Saïx tutta avvolta attorno al viso affilato. Era così stretta che modificava la sua pettinatura.

“Quindi, avevi già sentito parlare di quelle cose?” domandò Xemnas, sovrastando il silenzio quasi morto del giardino della scuola.

“Sì.” Rispose lui, con la voce soffocata dalla sciarpa. “Le ho lette.”

“Leggi?” esclamò Xemnas. “Leggi queste cose?!”

Saïx annuì.

“Wow, sei intelligente.”

Saïx lo guardò storto.

“Ah! Ehm, non che prima ne dubitassi, eh” rise nervosamente Xemnas. Si fermarono di fronte ai cancelli. “Bene…”

Era il momento di salutarsi. Xemnas era un po’ esitante, immaginava che parlare normalmente a Saïx andasse bene, ma ogni volta si sentiva un po’ a disagio. –Un saluto normalissimo: ci sentiamo, ci vediamo, buon pomeriggio, grazie e alla prossima…- Continuava a fissare Saïx, in attesa di una specie d’illuminazione che gli facesse trovare delle parole adeguate (o forse un po’ di calore che gli smuovesse i piedi congelati), ma non sapeva bene, quel pomeriggio gli aveva fatto un effetto un po’ strano.

“Vuoi toccarmi i capelli.” Disse all’improvviso Saïx.

“Eh?! No!” gridò Xemnas.

“Conosco quello sguardo, è quando una persona mi vuole toccare i capelli.” Spiegò Saïx, con gli occhi cupi, l’unica cosa che si poteva vedere dalla sciarpa. “Avanti, toccali.”

Xemnas lo guardò stralunato per qualche secondo, poi alzò le spalle e gli prese una ciocca di capelli. Morbidissimi! “Uh… Wow” gemette Xemnas, più o meno con la faccia di un cavernicolo che vede il fuoco per la prima volta.

“Già, sono strani” cantilenò Saïx, come abituato alla storia. “Sono blu.”

“Sono celesti” lo corresse Xemnas, facendo scorrere le dita sul resto dei capelli.

Saïx rimase in silenzio. Dopo qualche secondo, Xemnas notò stupito dei granuli bianchi irregolari depositarsi sulle ciocche: aveva cominciato a nevicare.

“Neve a novembre? Di già?” si chiese Xemnas, accigliato, allontanando le mani dalla testa di Saïx per cercare di afferrarne qualche fiocco. Saïx guardò come il paesaggio scolastico cambiava sotto quella vista; si aspettava di sentire Xemnas dire qualcosa del tipo: “Che strano!”, invece sentì che diceva: “Che bello!” e rideva. Saïx lo guardò meravigliato.

Xemnas si allontanò nella sua ricerca di fiocchi di neve. Nel giro di qualche secondo, la sua emozione si spense. Il sorriso che aleggiava sulle sue labbra lasciò una dolce sensazione e niente più. Era contento del pomeriggio, ma adesso era ora di salutarsi; Saïx poi doveva prendere il pullman per tornare a casa. Si voltò, allegro: “Grazie per avermi fatto partecipare al laboratorio, Saïx. E’ stato molto divertente.”

“Avevo ragione, eh?” rispose lui. “Torna quando vuoi. Il dibattito non era ancora finito.”

Xemnas gli sorrise. “Perfetto, grazie mille.” Ci mancava solo un “a presto” e poi il saluto finale sarebbe stato perfetto. Di solito gli veniva spontaneo cercare di renderli gentili e adatti alla situazione da risultare gradevoli, ma perché, quando invece salutarsi rimaneva pur sempre una cosa un po’ triste?

-Sta a me- pensò. –Come per questo pomeriggio. Avrei potuto rimanere a pensare a Selphie o al compito quando parlavano, invece ho provato a prestare un orecchio e ho fatto una cosa nuova. Possiamo darci un saluto perfetto, rendere la conversazione banale, come un sacco di volte che ha nevicato, ero con delle persone che non erano mie amiche e le ho salutate, ci ho parlato, ma non è stato niente di che. Invece potrei inventarmi qualcosa, tutto questo potrebbe diventare un gran bel momento.-

Xemnas si stava ancora guardando attorno, ragionando in questo modo, che Saïx all’improvviso notò: “Guarda. La neve sembra sparire, vicino a te. Si mimetizza coi tuoi capelli.”

“Cosa vuol dire?” chiese.

“Non so. La neve è bianca, vuol dire che hai i capelli bianchi!” rise Saïx, prendendolo in giro.

Xemnas gli rispose, senza pensare, ridendo anche lui: “O forse è la neve a essere argento!”

Fecero un altro giro del giardino della scuola, guardando la neve scendere sugli alberi, chiacchierando allegramente e scherzando.

“Non è male stare qui” disse Saïx, ad un certo punto, come pensoso. “Sono fuori con te, è buio e sembra notte… Ma in realtà è un pomeriggio invernale, è giorno e notte fusi assieme…”

Xemnas si divertì e rise molto, anche se gli dispiaceva vedere che Saïx teneva continuamente il muso e cercava di intrattenerlo come poteva per farlo almeno sorridere. A volte ci riusciva, sebbene la sciarpa lo nascondesse, ma poteva vedere il suo sguardo ferino abbassarsi e addolcirsi, e questo gli faceva capire che la missione era compiuta.

“Come fai a tornare a casa?” gli chiese.

Saïx tirò fuori il suo cellulare per controllare l’ora. Era un vecchio modello, argento, con un piccolo portachiavi attaccato. “L’ultimo è passato dieci minuti fa.” Rispose, rassegnato.

“Ah. E quindi?”

Saïx alzò le spalle. “Me la farò a piedi.”

“E i tuoi?”

Saïx fece una pausa. “Ci ho già pensato… Ma non mi va di disturbarli.”

-Sarà, ma percorrere due paesi a piedi con questo freddo non è uno scherzo.- pensò, guardando preoccupato Saïx, che la prendeva con filosofia e pensava a ravviarsi i capelli bagnati sopra la testa. –No, no, so cosa stai pensando, Xemnas! Ricordati che domani hai un compito.- “Ti possiamo accompagnare a casa noi, se vuoi” disse.

“Davvero?” –No! Maledizione!-

“Certo, ho un debito verso di te, ricordi?” –Dopo di questa, è andata. Un altro 4 in trigonometria.-

“Va bene, grazie.” S’incamminarono subito verso la casa di Xemnas, che distava una decina di minuti dalla scuola. Xemnas andava a passo spedito, parlando delle belle cose della sua città con nonchalance. Arrivato a casa, corse subito dalla madre, senza neanche asciugarsi le scarpe. Non gli assomigliava per niente, era bassa e aveva i capelli rossi. “Madre, puoi accompagnare a casa un mio amico?”

“Salve.” Salutò cortesemente da sotto la sciarpa. Lei osservò con scetticismo i capelli blu bagnati e disordinati, la sciarpa di lunghezza eccessiva, la cicatrice in mezzo agli occhi gialli.

“Ne abbiamo già parlato, Xemmy. Al martedì no, torno a casa da lavoro e sono stanca.”

“Ma madre! Saïx ha perso il pullman, non sa come tornare!”

“Mi dispiace.” Fu la risposta, nel tono da non-sono-dispiaciuta.

Xemnas era arrabbiato. “Va bene!” e sparì in camera. Saïx rimase a guardare incerto la casa, grande e decorata con oggetti esotici antichi, quasi archeologici (riusciva a vedere anche una grossa pelle di zebra appesa al muro) e disse incerto alla madre di Xemnas: “Ehm… Bella giornata.”

Non fece in tempo ad aggiungere cose più plausibili, che Xemnas arrivò come un tornado e gli intimò di uscire. Saïx, dopo aver salutato ancora con gentilezza, uscì confuso e riscesero in strada.

“Mia madre è un’egoista, non potevo aspettarmi niente di più” Si diressero verso il garage.

“Non importa, era stanca dal lavoro, capita.”

“No” lo interruppe Xemnas, imbarazzato e arrabbiato. “Non è così, è lei. Sono tutte scuse, cosa le costerebbe… Ma ti porterò a casa a tutti i costi.” Tirò fuori una mountain bike e ci salì sopra, indossando i guanti.

“Ma cosa…”

“Salta dietro!” lo invitò Xemnas, indossando dei guanti. “Ho detto che ti ci avrei portato, lo farò.”

Saïx all’inizio era esitante, ma quando si fu detto: -Ma chissenefrega- saltò su e partirono. La partenza fu dolorosa, Xemnas non sembrava capace di guidare una bicicletta, ma appena prese la mano cominciò a pedalare sempre più veloce, sicuro di sé, costringendolo ad aggrapparsi forte al suo petto. Saïx sospettava che lo facesse per puro divertimento piuttosto che per la fretta di portarlo a casa.

Mentre andavano avanti sulle strade bianchicce e silenziose, Saïx gli indicava la strada, insegnandogli anche quella per il ritorno, mentre continuavano a parlare allegramente. Ad un certo punto Xemnas cominciò a intonare tutte le canzoni invernali che gli venivano in mente, incitandolo a cantare con lui. Quello che sapeva, Saïx cantava, ma non gli dispiaceva restare ad ascoltarlo. Xemnas non era affatto stonato.

Arrivati a casa di Saïx, Xemnas aveva il fiatone ed era coperto di sudore, ma almeno era ancora di buon umore. “Visto? Ti ho restituito il favore.” Ansimò.

Saïx annuì. “Quelle due auto che hai dribblato si staranno ancora chiedendo cos’è successo.”

Xemnas rise. “Oddio, quanto l’abbiamo rischiata brutta!” Il che gli faceva venire in mente… “Beh, ora direi che devo proprio andare. Domani ho una verifica tremenda di trigonometria e devo ancora studiare.”

Saïx annuì. Erano le sette di sera, e aveva anche pensato di invitarlo a cena per sdebitarsi anche lui. Visto però l’impegno di Xemnas, Saïx pensò a qualcos’altro. “Tieni.” Si tirò giù la cartella dalle spalle e prese un libro di matematica. “Oggi per sbaglio ho preso il libro di Vexen. Lui è del quinto anno, se cerchi dovrebbe esserci qualche appunto.”

“Ehm… Ci provo, grazie” Xemnas non era sicuro che questo potesse facilitargli lo studio, ma decise comunque di dargli una chance. “Però se scoprono che uno della vostra compagnia mi ha dato il suo libro e mi sta facendo un favore…”

“Non importa, Vexen non fa parte della nostra compagnia. Portamelo domani, però.” Concluse.

“Ah, sì, grazie” rispose Xemnas, prima di accorgersi che si stavano salutando.

“Ci vediamo domani, allora. Grazie mille del passaggio” gli sorrise Saïx. Com’era raro, che sorridesse. Non unico, ma raro.

“Ciao” lo salutò. Rimase a guardare ancora una volta l’imponente casa di Saïx e fece dietrofront.

 

“Era difficilissima! Com’è andata, Xemmy?” Xigbar si voltò subito da Xemnas, non appena il tempo fu scaduto ed ebbero consegnato il foglio della verifica.

“Un disastro, ovviamente” rispose in fretta Xemnas. Xigbar lo vide tirare fuori in fretta dal suo zaino un voluminoso libro di matematica pieno di appunti e correre fuori dalla classe. “Vado a restituire una cosa.”

La campanella dell’intervallo era già suonata, e Xemnas correva veloce verso la classe di Saïx, un piano sotto la sua. Lo vide appoggiato contro una parete del corridoio, da solo, come se aspettasse qualcuno, innervosito. “Eccomi, Saïx” lo salutò, correndo. “Ti ho portato il libro. Grazie, amico, mi hai alzato la media: se non fosse stato per te, avrei preso due!”

Saïx annuì, gli prese il libro dalle mani e tornò in classe, dove riprese a parlare fittamente con il suo amico britannico e il ragazzino del secondo anno. Xemnas ci rimase male: si era affezionato molto a Saïx, ma lui aveva solo Axel in mente.

Come gli avevano appena raccontato, le news erano che Axel aveva organizzato un convito in un ristorante messicano per presentare Roxas a tutto il gruppo. A quanto pareva, Axel era molto emozionato e ci teneva molto e anche se gli altri non erano molto entusiasti, dato che a portarlo dentro era Axel la cosa finiva per essere accettata. Saïx ascoltava con attenzione ogni dettaglio; per dire la verità, aveva sentito parlare di Roxas molto prima degli altri, l’aveva visto entrare in contatto con Axel e cominciare a frequentarlo sempre più assiduamente, vedendosi mettere sempre più da parte. Era da qualche mese ormai che Axel andava a trovarlo all’intervallo e gli mandava sms durante i compiti in classe. Se l’era proprio preso a cuore.

A quanto pareva, c’era qualche problema con i preparativi, ma Axel era tranquillo: si sarebbero trovati tutti fra pochi giorni alla festa organizzata dalla scuola. Si trattava di una festicciola nel pomeriggio per il pensionamento di un loro insegnante, Yen Sid.

“Ma quanti anni avrà, 307?”

“Chi lo ammazza, quello!”

Alla festicciola erano invitate le classi di Yen Sid, ma ovviamente gli altri avrebbero trovato il modo di imbucarsi.

“Speriamo che non succeda qualche guaio!” sogghignò Tidus. “Alla festa verrà di sicuro Xemnas, coi suoi compari!”

“Cosa, Xemnas?” si agitò Luxord. “E’ l’occasione buona per dargli una lezione. Axel e Xemnas non possono stare assieme nella stessa stanza.”

“Calma, calma!” li interruppe direttamente Axel. “Ho già risolto il problema: io non vengo.”

“Cosa?! No, Axel!”

“Ho già affidato a Dem l’organizzazione della serata. Mettetevi d’accordo con lui.”

“Come mai non vieni?”

“Mia madre rompe. Il giorno dopo ho l’interrogazione di biologia, se non sto a casa a studiare dice che mi bocciano.”

Saïx rimase a guardarlo, poi si alzò in piedi facendo finta di niente. Axel lo seguì con lo sguardo, incuriosito. “Cos’ha?” domandò a Luxord, che lo guardò intensamente e alzò le spalle.

 

Xemnas se ne stava appoggiato contro la parete dell’atrio, con in mano un bicchiere di gazzosa, beato, dopo essersi fatto a tempo di record un’abbuffata di patatine al formaggio scadenti.

La festicciola non era poi così male. C’erano decine di torte preconfezionate e i salatini erano buoni; perfino il professor Yen Sid si stava impegnando per non rovinare la festa, anche se non per questo si era risparmiato di rimproverare i suoi allievi sulla loro scarsa applicazione a scuola e i “nuovi pantaloni a vita bassa del duemila” (e chi glielo spiegava che il duemila era passato già da più di dieci anni?). In compenso gli studenti non se la prendevano particolarmente a male, scherzavano e scappavano ridendo, mentre gli altri professori lo commiseravano per dover sopportare ancora tali idiozie.

All’inizio Xemnas aveva avuto qualche dubbio se venire veramente o no, visto che non era sicuro di trovare qualcuno che conosceva, ma sembrava che le cose stessero andando per il meglio.

“Xemmy!” una ragazzina corse da lui, buttandogli le braccia al collo.

“Oh, ciao, Selphie” disse Xemnas, sospirando. La baciò e le mise un braccio attorno alle spalle. Avevano fatto pace, si erano messi d’accordo di trattarsi di nuovo come amici, ma ovviamente lei non poteva fare a meno di comportarsi come se nutrisse ancora qualche speranza. Ormai era abituato, però.

“Hai visto che bella festa è venuta fuori?” gli disse ridendo.

“Sì, proprio rilassante” poggiò il suo bicchiere di plastica su un davanzale vicino a lui e si stiracchiò, sorridendo come un gatto che facesse le fusa.

Lei scoppiò a ridere. “Si vede che te la stai proprio godendo, Xemmy!”

“Un po’ di riposo ci vuole!” Era anche una settimana che non toccava un libro, ma tant’era.

Selphie vicino a lui cominciò a scherzare chiassosamente, ma Xemnas aveva visto qualcuno che al momento gl’ispirava di più: dalla parte opposta dell’atrio, di fianco ai distributori automatici, allineato era poggiato alla parete una figura familiare: Saïx. Era contento di rivederlo, ormai la loro amicizia era diventata più stretta, e questo rendeva Xemnas decisamente soddisfatto. In più, quel pomeriggio il ragazzo coi capelli blu sfoggiava un sorriso pacifico, sembrava particolarmente tranquillo: si guardava attorno serenamente e ogni tanto si sfiorava una ciocca di capelli.

“Vado a salutare un amico” disse subito a Selphie. Sperava che non fosse lì da troppo tempo, altrimenti ci sarebbe potuto rimasto male perché non l’aveva salutato prima.

“Che bello, chi? Non sapevo che venissero gli altri” esclamò subito allegra. Voleva accompagnarlo.

“No, no, ehm… Sto via solo un attimo” mentì e si diresse verso Saïx.

“Non sarà ancora il tipo coi capelli blu e la cicatrice?” lo fermò Selphie, sospettosa. “Ti ho già avvertito, non è un bel giro da frequentare!”

Xemnas annuì a malapena, non aveva alcuna intenzione di darle retta e camminò deciso verso di lui. “Ehi, Saïx” lo salutò Xemnas con energia.

Saïx sembrava averlo visto solo adesso e la sua espressione parve oscurarsi leggermente. Non era un segnale incoraggiante, ma cercò di passarci sopra. “Xemnas! Anche tu qui. Yen Sid era tuo insegnante?”

Lui annuì, scuotendo le spalle. “Non certo il mio preferito, ma non avevo voglia di stare a casa a studiare. A lezione mi criticava sempre perché non ero attento e per i miei vestiti.” Afferrò la propria maglietta, a maniche lunghe color prugna, con sotto jeans scuri e stretti.

Saïx annuì, sorridendo divertito. “Io invece ho un altro prof, però sono venuto per un mio amico. Era il cocco di Yen Sid. Era lo stesso del libro che ti ho prestato, per intenderci.”

“Ah, sì” Xemnas era allietato dal ricordo, cominciò a guardarsi attorno alla ricerca di questo ragazzo. Saïx glielo indicò molto gentilmente: sembrava che le sue mani si fossero impiastricciate con del pomodoro. “Guarda, hai tutte le dita sporche” gli disse.

Saïx fu un po’ sorpreso e sorrise modesto. “Troppa pizza!”

Xemnas tornò a guardare il ragazzo indicatogli. Si vedeva che ormai faceva l’università, sembrava già vecchio, complici i lineamenti ossuti e i capelli chiari. In compenso, aveva due occhi verdi molto vivaci e parlava a briglia sciolta con un altro ragazzo di quelle che sembravano questioni serie. “Ah sì, lo conosco! Era il leader del gruppo degli sfigati” si voltò di nuovo, sorpreso “Eri loro amico?”

“Già, ehm…” Saïx sembrava un po’ disturbato che fossero stati appena insultati quelli che dopotutto erano i suoi amici anche se non andava a sbandierarlo in giro, e Xemnas sembrò aver intuito la sua gaffe. “Oh, ehm, mi dispiace…” –Oddio, avrei dovuto intuire che era un tipo sensibile!-

“Già, be’, non fa niente” si ritrasse subito Saïx, all’improvviso agitato.

“No, mi dispiace…” cercò di scusarsi Xemnas, ma ormai Saïx era livido.

“Ti giuro che non importa.”

“Davvero, se vuoi mi…”

“Scusami” disse all’improvviso una terza voce, interrompendoli, mentre Xemnas sentiva una mano posarsi sulla propria spalla. “Dovrei parlare un attimo col mio amico.”

Si voltò e vide che a dieci centimetri dalla sua faccia c’era Axel, che lo stava guardando ferocemente dritto negli occhi. All’improvviso nessuno stava parlando più. Avrebbe voluto rispondergli male e dirgli di andare da un’altra parte, ma Saïx si era irrigidito con le mani in tasca e sembrava non volersi tirare indietro. Realizzò che Saix si era mostrato così imbarazzato solo a causa di Axel, probabilmente non lo stava ascoltando un pezzo. “D’accordo, vi lascio soli” concluse deluso, allontanandosi. Sentiva qualcosa agitarsi dentro con rabbia, cercava di ascoltare lo stesso, anche se era da ficcanaso non gl’importava niente, doveva sapere qualcosa.

Appena futrono soli, Axel cominciò a parlare. “Uno di quinta mi ha detto che hanno combinato qualcosa di brutto. Dimmi che tu non c’entri” gli disse a bassa voce, nel tono da c’entri-di-sicuro.

Saïx distolse lo sguardo, seccato. “Che cosa c’entri tu! Non sei tenuto a sorvegliare su niente e di sicuro non a controllare me.”

“Non sai cosa dici!” lo guardò male Axel. “Chi altro può aiutarti, se non io?”

“Nessuno ti ha chiesto niente, valido paladino” fece una smorfia Saïx. “Fai come ti pare, ma non mi va che tu mi conceda con generosità un briciolo del tuo altruismo.”

“Benissimo, non perderò certo tempo a starti dietro! Non esisti solo tu!” fu la risposta secca di Axel.

In quel momento, si fece largo dall’altra parte della sala un ragazzino di seconda. Sembrava sconvolto. “A-aiuto! Un ragazzino, vicino alla scala! E’ stato picchiato!”

Saïx e Axel si scambiarono uno sguardo veloce. Saïx si diresse subito verso le porte della scuola, in direzione di Xemnas, uscì senza proferire parola e senza farsi notare; Axel invece andò verso il ragazzino che aveva fatto l’annuncio, che tanti studenti si erano girati a guardare sbalorditi. Notò che Xemnas lo stava ancora seguendo con gli occhi dopo aver assistito a tutto il loro dialogo, gli sorrise e gli disse: “Pensavi che fosse un santo, eh?” e subito dopo afferrò il ragazzino e lo fece sparire in un corridoio.

Nonostante tutto, Axel continua a coprire le spalle di Saix. E lui, nonostante Xemnas voglia avvicinarsi, rimane la persona che è, coi suoi limiti e i suoi dubbi.
Come reagiranno a tutto ciò i nostri personaggi?

Sono contenta per chiunque abbia anche solo letto e spero vi piaccia!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1649975