Renzoku-tekina ~ 'The continued'

di KomadoriZ71
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Calm before the storm [By Lily] ***
Capitolo 2: *** 2. Proximus sum egomet mihi [By Xavier] ***
Capitolo 3: *** 3. Check Raise [By Lily] ***
Capitolo 4: *** 4. Mala Parta male dilabuntur [By Xavier] ***
Capitolo 5: *** 5. Voices [By Lily] ***
Capitolo 6: *** 6. Quantum sufficit [By Xavier] ***
Capitolo 7: *** 7. Be here again [By Lily] ***
Capitolo 8: *** 8. Velle est posse [ By Xavier ] ***
Capitolo 9: *** 9. Un piccolo favore [By Lily] ***
Capitolo 10: *** 10. Ben fatto Maxie [Xavier] ***
Capitolo 11: *** 11. Il ritorno [By Lily] ***
Capitolo 12: *** 12. Captatio Benevolentiae [By Xavier] ***
Capitolo 13: *** 13. Il Diversivo [By Lily] ***
Capitolo 14: *** 14. Dum Spiro, Spero - parte prima - [By Xavier] ***
Capitolo 15: *** 14. Dum Spiro, Spero - parte seconda - [By Xavier] ***
Capitolo 16: *** 15. La resa dei conti [ By Lily ] ***
Capitolo 17: *** 16. Nunc est bibendum! [ By Xavier ] ***



Capitolo 1
*** 1. Calm before the storm [By Lily] ***


1. calm before the storm
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By Lily & Xavier
























1. Calm before the storm
By Lily




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«Ivan, svegliati».
Sono le cinque del mattino quando la voce stridula di Max si infila con prepotenza nelle mie orecchie, dimostrandosi più fastidioso del normale. Da bravo dormiglione mi giro dall'altra parte per ignorarlo, ma il rosso mi afferra la maglia e mi scuote con una certa violenza.
«Ivan, che diavolo. Basta dormire pelandrone, devi venire a vedere subito!» continua lui senza nascondere le sue emozioni, mi costringe a spalancare le palpebre.
Anche se assonnati i miei occhi si spostano sulla figura esile e gracile di Max, nascosta sotto i tipici indumenti da carcerato, la cui pelle lattea entra in sintonia con la lunga cascata rossa che gli incornicia i tratti marcati del viso. Un dettaglio improvviso mi prende alla sprovvista, vale a dire l'espressione disperata del mio compagno di cella.
«Maxie ma insomma! Sono le cinque del mattino, cosa vuoi adesso?!».
«Shh! Non urlare troppo o svegli Giovanni...».
«Ah sì, Giovanni...» sospiro e faccio scorrere una mano sulla barba che ricopre il mio volto mascolino, sono talmente abituato a vivere in quel minuscolo spazio vitale che mi dimentico di essere costretto in un carcere d'alta sicurezza. È strano un destino così bizzarro per un uomo che un tempo era il capo del Team Idro ma, da quando il progetto dell'espansione del mare è andato in fumo a causa di due marmocchi usciti da chissà dove, la polizia di Hoenn ha preveduto il nostro piano di fuga e siamo finiti in manette. Durante l'udienza il Giudice ha deciso di isolarmi in questa prigione, grazie all'intervento di Max si è trasformata nella mia nuova casa e non mi è rimasto niente per le mani, solo un letto in cui dormire la notte.
Non sono più un uomo libero di un tempo, ma un elemento pericoloso. Se solo le cose fossero andate diversamente...
«Mi senti Ivan?!».
«Uhm sì...Perché mi hai svegliato con così tanta insistenza? Il nerd qui accanto si è suicidato?».
«Smettila di parlare così e ascoltami!» gracchia Max infuriato e si porta le braccia al petto per osservarmi con un'espressione piena di rimprovero, non ha mai digerito il modo scorretto con cui canzono Cyrus, il Leader del Team Galassia. «Stamani le guardie hanno rinchiuso due nuovi soggetti, anche loro hanno fatto parte di una banda di scagnozzi come noi. Provengono da Unima».
«Unima?».
Alla notizia sento l'ansia prendere il controllo delle mie azioni e, sceso dal letto con un balzo, indosso i pantaloni per attaccarmi alle sbarre di ferro e vedere ciò che succede lì fuori, oppure per conoscere direttamente i nuovi personaggi, i quali avranno la possibilità di condizionare le mie giornate da galeotto. Dietro alle mie spalle c'è Max, non la pianta di urlare offese di ogni forma e genere, tenta invano di trascinarmi via perché giudica il mio come un gesto scortese. Non è mia intenzione quella di lasciarmi condizionare dalle volontà del mio rivale, procedo indisturbato con l'osservazione della cella opposta alla nostra: appoggiato alla parete c'è un uomo dall'aria giovane e dal fisico slanciato, possiede dei capelli corti e biondi ma che sembrano morbidi al tatto però, sull'angolo destro della fronte, parte uno strano ciuffo azzurro dalla forma circolare che gli ruota attorno alla testa; i suoi occhi mi colpiscono nel profondo, gialli come quelli di un felino e costretti dietro a un paio di occhiali dalla montatura fine. Deve essere uno scienziato, non ci sono dubbi.
Arriccio il naso in una smorfia quasi disgustata, preferisco stare alla larga dagli intellettuali. Quando mi sto per voltare verso Max per dargli un cazzotto sulla testa, mi rendo conto del secondo carcerato, molto più inquietante e misterioso rispetto allo studioso. Si tratta di un uomo che sfiorerà come minimo la sessantina d'anni, forse fa concorrenza a Giovanni che fino ad oggi abbiamo considerato come il più vecchio del gruppo; i suoi capelli sono di un verde abbastanza sbiadito ma decorati da due ciuffi laterali e uno sopra alla fronte, assomigliano a un trio sconnesso di corna che lo avvicinano alla figura di un vero diavolo. L'individuo in questione è seduto sopra al letto, non riesco a inquadrarlo come vorrei, ma sono sicuro di aver intravisto delle pupille rossicce sotto due sopracciglia piuttosto folte, con uno strano oggetto che gli nasconde l'occhio sinistro. È una specie di monocolo, ma quella forma talmente assurda mi permette di fantasticare sugli utilizzi più bizzarri.

Chissà a cosa serve!

«Hai finito di tenere gli occhi appiccicati a quei due? Non sono dei fenomeni da baraccone Ivan, quindi porta un po' di rispetto nei confronti dei nostri nuovi compagni...» parlotta Max che non si è mai smosso, invogliandomi a fare ritorno alla realtà.
«Sì...» non commento con altro, troppo distratto dalla mia mente che partorisce i pensieri più malsani o macabri, quella visione continua a turbarmi. E io che credevo di poter schiacciare qualsiasi personaggio strambo con i miei modi di fare pirateschi, Max compreso.
«Ivan tutto bene? Hai una brutta cera...».
«Sì sto bene, grazie per l'interessamento Max».
«Quando ti sei svegliato non eri così, non dirmi che hai paura dei nuovi arrivati» mi canzona con una delle sue risatine, sono odiose ma sono troppo occupato a sedermi sul letto per seguire il suo discorso.
«Non ho paura Max, ho solo notato che in loro c'è qualcosa che non va e questo non mi piace».
«Ehi anche loro provengono da un Team di cattivoni e hanno provato a conquistare la regione da cui provengono, che cosa ti aspettavi? Abbracci e baci per caso?».
«Beh no...Ma almeno sarebbe stato meglio».

La vita da carcerato non fa al caso mio, non ho hobby con cui distrarre la mente, non mi sono mai interessati ma dentro a un angolo claustrofobico sento il bisogno di fare qualcosa di costruttivo, devo divertirmi per cancellare i dettagli aspri che caratterizzano la mia nuova realtà. Da quando sono arrivato sono stato separato dalla mia squadra di Pokémon e, ciò che mi ha distrutto, è l'idea di non poter più vedere il mare. Eppure mi trovo in una struttura costruita in mezzo alle acque salmastre, posso sentirlo ma non toccarlo. E ciò mi fa salire la nausea ogni volta che ci rifletto sopra, questo è un vero spregio.
Non sono come Max, che è rimasto a stretto contatto con ciò che fa parte del suo ambiente, cioè la terra. Durante la notte mi affaccio alla finestra della cella, da questa postazione posso ammirare indisturbato la tavola azzurra e sconfinata fino alle prime luci dell'alba oppure, quando noi detenuti lasciamo i lavori forzati per godere dell'unica ora a contatto con l'esterno, mi isolo dal resto del gruppo e mi fermo davanti alla parte più estrema delle mura per poter udire il dolce rumore delle onde che si infrangevano contro gli scogli, per verificare se la brezza marina è in grado di accarezzarmi ancora una volta il viso. Ma ciò è impossibile da realizzare, percepisco a malapena l'odore della salsedine e se sono fortunato mi lascio cullare dai versi acuti degli Wingull selvatici.

E basta.
Sono sulla via giusta per diventare pazzo, me lo sento.
Ma non è il momento adatto per rimuginare sulla mia nostalgia nei confronti del mare, sono ore che sto seduto sul materasso del letto per alzare i pesi all'infinito con la mano sinistra, nell'altra trattengo l'ennesimo mozzicone di una sigaretta che fumo quando mi stanco. Questo vizio l'ho incrociato per puro errore nei periodi passati a stringere amicizia con gli altri carcerati, i quali sono sempre stati abili nel passarmi oggetti particolari come bottiglie di birra, sigarette o qualche giornale pieno di foto di donne nude, un po' come mi succedeva negli anni passati al liceo. Ma non sempre ho la sigaretta accesa, in quest'occasione fumo di sgamo solo perché Max è nel letto di sopra per rilassarsi con uno dei suoi sonnellini pomeridiani, non sopporta l'odore acre delle sigarette quindi mi impegno a non disturbarlo o esagera come al suo solito. Spesso mi incita a smettere ma non l'ascolto, nnon mi sono mai preso il disturbo di ascoltare i consigli del mio rivale, ecco come mai siamo finiti nell'imboscata organizzata dalle autorità. Lui mi ha consigliato di prendere una strada più complessa, ma io preso dal panico ho preferito soffermarmi sulla via più facile ma prevedibile così, grazie a una litigata quasi interminabile, la polizia è riuscita a prenderci con le mani nel sacco.
Che sciocca figura, per due Leader come noi!
Quando l'abbiamo raccontato a Giovanni, non la smetteva più di ridere.
Già, Giovanni: colui che ha fatto tremare due regioni grazie al suo Team, un uomo dalle larghe vedute che ammiro fin da ragazzino, anche se non è il massimo come vicino di cella. Nonostante le vesti da carcerato che è costretto a indossare dimostra di essere ancora un uomo portato per gli affari più piccanti ma, particolare che sicuramente non va dimenticato, è che le sentinelle l'hanno limitato dentro una cella che non può condividere con nessuno visto che, insieme al Nerd che affianca la nostra, è considerato come un elemento molto più pericoloso rispetto a me e Max. Nelle ore che passa dietro alle sbarre sembra un tipo fragile che si diverte a osservare gli episodi che gli accadono attorno ma, quando ci sono i lavori forzati oppure è il momento dell'ora d'aria, Giovanni si cimenta in giochi d'azzardo in cui vince sempre e sottrae i pochi averi posseduti dal prossimo. È un colosso della criminalità anche se sta invecchiando a vista d'occhio, eppure ha lo charme giusto per tenere testa ai più giovani.
Giovanni non è mai riuscito a farmi paura, in passato ho preso parte a qualche suo sporco piano e lo troverei simpatico se non ricoprisse sia me che Max con gli insulti. Ma almeno godiamo della sua protezione, mi basta sapere che Max è al sicuro quindi lascio che la gente creda a fandonie simili.
«Ivan stai ancora fumando?».
«Ben svegliato Max...Comunque non vedo perché dovrei nascondertelo. Sai già come la penso e non voglio rotture di scatole attorno. Non usciremo mai vivi da questa cella, almeno fammi godere di alcuni aspetti della vita e...».
«Bel modo per definire il fumo, eppure ti danneggia e basta» borbotta Max da sopra il letto, furioso nell'avermi beccato con la sigaretta in mano. Sono pronto a dire qualcosa per replicare e far esplodere l'ennesima lite ma, la sua ultima mossa, riesce a strapparmi un sorrisetto. Si affaccia dal piano di sopra per guardarmi con la sua solita espressione di rimprovero solo che, nel farlo, rimane con la testa capovolta e quella posizione lascia svolazzare da una parta all'altra la fluente chioma rossa. È davvero carino ma non è il momento giusto per sottolinearlo ad alta voce, è furioso con me e non si è reso conto che gli occhiali sono scivolati dal naso, possono cadere in terra quando meno se l'aspetta. I miei riflessi pronti saranno utili a qualcosa...Spero. «Smettila di tormentarmi testone rosso, sei stressante quando ti ci metti di impegno».
«Sei tu che dovresti darmi ascolto ogni tanto, brutto scaricatore di porto che non sei altro. Disobbedici in continuazione e ciò ti rende un pessimo compagno di cella Ivan! Lo sai che il tuo fumo danneggia anche i miei polmoni?! Non voglio morire di cancro solo perché te vuoi goderti alcuni aspetti della vita e...».
Non è divertente ascoltare le sue polemiche...
Non ce l'ho fatta.
Mi avvicino alle sue labbra con le mie, scioccandogli un veloce bacio a stampo e ciò lo ammutolisce per almeno cinque minuti.
Diventa rosso come i suoi capelli, agita le braccia come se fosse un cucciolo di Litleo pronto a giocare insieme al padrone. A momenti crolla di sotto, ma io non lo perdo mai di vista. Pronto a proteggerlo dalle cadute goffe, non si farà mai del male se ci sono io al suo fianco. «PUZZI DI FUMO, CHE SCHIFO!».
E di nuovo parte l'ennesima bisticcio da coppia sposata, in sottofondo ci sono le risatine becere di Giovanni. La porta principale si apre e si presentano le sentinelle con in mano la cena, nelle ore serali siamo isolati dal resto del carcere, non possiamo partecipare al pasto come gli altri detenuti e ci portano le razioni direttamente in cella.
Vita da leoni, la nostra.
Solitamente le guardie mettono i piatti attraverso le sbarre così da non aprire la porta, solo in una qualcuno si prende l'impegno di entrare senza rischiare. Si tratta di quella a fianco la nostra, appartiene a Cyrus, il cattivone che è stato arrestato dopo di noi. Sappiamo molto poco sul suo conto, è l'unico che in anni di “vicinato” non ha mai spicciato parola eppure gli ho sempre dato del filo da torcere con battutine o spregi vari, quello che basta per vedere il modo in cui reagisce; ma non si ha mai aperto bocca e si limita a stare in un angolo della cella per fissare un punto vuoto con quegli occhi scavati, apatici, come se fossero privi di un'anima. Il giorno dorme beatamente nel letto ma, di notte, ecco che si mette in moto per costruire non so cosa. Le sue intenzioni sono ancora avvolte dal mistero, ma da alcune occhiate capisco che non gradisce la presenza di noi Leader.
Quel personaggio mi mette i brividi, più dei tizi che ho visto questa mattina. Max, che sa sempre tutto su tutti, dice che Cyrus ha goduto dello stesso privilegio di Giovanni perché considerato instabile a livelli mentali.
Uno psicopatico come vicino di cella, non potevo chiedere di meglio.

Il tramonto si avvicina, un'altra giornata è quasi giunta al termine. Per fortuna?
Sono vicino nel lavello posto nella parte più appartata della cella, davanti ho uno specchio fissato al muro e mi lavo i denti per cancellare il sapore amaro lasciato dalla cena.
«Hai finito Ivan?».
«Un momento Max, non mi manca molto, poi ci puoi passare tutto il tempo che vuoi».
«Meglio per te e, mi raccomando, lava per bene quei denti da squalo».
Dire che ho i nervi d'acciaio è poco, Max non perde occasione per riempirmi di frecciatine o offese. Se uscirò da questo microbo di prigione, qualcuno mi farà santo. «Mh, mh».
«Sei molto silenzioso Ivan, che ti è successo? Sei ancora preoccupato per i nuovi arrivati? Nel pomeriggio Giovanni ha attaccato bottone con Acromio, lo scienziato, sembra un tipetto abbastanza delizioso e ben istruito. Secondo te mi vorrà come amico?».
«Penso di sì».
«Secondo me andrai molto d'accordo con il suo compagno di cella, Ghecis! Dovresti imparare a conoscerlo, ho sentito dire che anche lui è a capitano di un'enorme nave. Forse è un pirata proprio come te!».
Non riesco a non voltarmi nel sentire parlare di navi, osservo Max per verificare se ciò è una bugia oppure no. Quell'uomo anziano, un pirata?
Non può essere vero. No, no.
I soggetti che spuntano fuori da Unima sono davvero strani, è una regione di cui avevamo solo sentito parlare e non l'ho ancora inquadrata come si deve. Se un giorno sarò libero ci farò un bel viaggio, sono curioso di vedere i Pokémon che la popolano, ma ciò è un sogno irrealizzabile. «Domani ci parlo durante l'ora d'aria, poi vediamo ciò che salta fuori».
«Bravo Ivan, così mi piaci!».
Max mi guarda per un paio di minuti, preferisce pensare all'igiene personale che continuare il discorso, non posso che concordare con lui. Sono allettato dall'idea di affacciarmi alla finestra per dare un ultimo sguardo al mare, però la stanchezza mi trascina nella morbidezza del letto. Non la perdo di vista, le onde marine echeggiano nelle mie orecchie. Mi cullano, mi aiutano a sprofondare in un profondo sonno.
La mia vita nel carcere è una schifezza, devo trovare un modo per evadere da questa prigionia insieme a Max.
Ma ignoro la nuova avventura che sta aleggiando sopra alla mia testa.
È una questione di tempo.
La quiete prima della tempesta.

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Capitolo 2
*** 2. Proximus sum egomet mihi [By Xavier] ***


2. Proximus sum egomet mihi
2.  Proximus sum egomet mihi
By Xavier

ciromariapizzapasta&mandolino


Due anni. Cinque mesi. Due settimane. Quattro giorni. Sette ore.
E… minuti e secondi fuggono troppo in fretta le barriere del tempo, affinché la mia mente umana possa coglierli. Da quando son rinchiuso in questa cella angusta la Terra ha compiuto quindi ben due periodi siderali attorno al Sole. Quante altre rivoluzioni dovranno avvenire prima che io venga liberato? Non m'interessa neppure tanto saperlo, se penso che fuori non ho più nessuno. Ho sempre desiderato rimanere da solo, il solo e l'unico essere, ma non in un mondo corrotto e marcio come questo. La solitudine è qualcosa di positivo quando si è Dio, è assenza di conflitto, pace eterna, dominio su se stessi e sul resto.

Qui sono circondato da persone che, similmente a me, hanno fallito in qualcosa. Chi in un piano di conquista, chi in una rapina, ancora in un omicidio, ed infine chi, come me, ha fallito nella vita. Ero un fallimento, un caso perso, anche e sopratutto per i miei genitori. Chissà cosa staranno facendo adesso, se sono ancora vivi. La questione non mi fa né caldo né freddo, non avrei risparmiato nemmeno loro, come non avrei risparmiato neppure quelle persone del team Galassia alle quali avevo promesso la salvezza. Giovia, Martes, Saturno… non eravate neppure voi convinti della riuscita del mio piano, ma allora perché mi avete seguito per poi abbandonarmi all'apparizione di Giratina? Patetici. No, non ho bisogno di nessuno, tanto meno di sottufficiali.
Ah, Giratina.. non era per nulla previsto quell'incidente, non avevo minimamente calcolato la remota possibilità di una cosa simile. Nonostante tutto, preferirei di gran lunga venir lasciato abbandonato nel Mondo distorto, piuttosto che rimanere in questo posto. Quel luogo non era poi così terribile, anzi! Io ero l'unico essere umano, a farmi " compagnia" vi era solo l'ombra di quel demonio che aleggiava sulla mia testa, quasi temesse di avvicinarsi ulteriormente. Ma allora se mi temeva così tanto, perché non ha riaperto un varco per farmi tornare nella mia dimensione? Che volesse semplicemente la presenza di qualcuno al proprio fianco? Solo sfiorare questa patetica idea mi fa venire la nausea. Inizialmente, e ancora me ne vergogno, provai paura alla sua apparizione. Che sentimento inutile e dannoso, fonte di gran parte dei mali. La mia paura era dovuta all'ignoranza, non all'imponenza o alla bestialità di quella creatura, perché purtroppo sono solo un uomo, e una volta catapultato nell'antimateria, laddove tutte le leggi della fisica alle quali siamo abituati sono stravolte o inesistenti, mi son ritrovato spaesato, non sapevo come agire. Non si percepiva lo scorrere del tempo, né l'attrito dell'aria, allo stesso modo era assente la forza di gravità. Non avevo neanche bisogno di respirare o di nutrirmi! L'ambiente circostante infine, era un'accozzaglia di materia di ogni tipo, rocce, pietre, alberi che crescevano sottosopra con le radici piantate in isolotti fluttuanti nel nulla, acqua immobile e scura, pareti disconnesse e schegge di materia sospese e vaganti. Non c'era aria e quindi non si diffondeva il suono, provai ad urlare ma non si sentiva alcun'eco, a stento io stesso riconoscevo la mia voce. L'oscurità imperava su tutto, o quasi. La cosa stranissima era il fatto che riuscissi a vedere coi miei occhi, sebbene non vi fosse né il sole, né altre stelle, nessuna fonte luminosa a irradiare energia, oltre alle pupille scarlatte di Giratina che scintillavano come rubini quando puntavano lo sguardo carico d'arroganza verso di me. Lo presi come un gesto di sfida, quello, e così quando mi passò davanti per l'ennesima volta gli saltai addosso, aggrappandomi ad uno dei suoi tentacoli per poi arrampicarmi e sedermi comodamente sulla sua groppa. Il suo corpo sinuoso serpeggiava lento e flemmatico in quel lenzuolo di tenebre, di tanto in tanto con un colpo della robusta coda spazzava via quel che ci lasciavamo alle spalle facendolo disperdere per sempre, mi chiedevo allora che forma avesse quello spazio e se fosse effettivamente infinito, ma ecco che i medesimi oggetti ci ritornavano contro, e allora ipotizzai che quel mondo dovesse avere una forma circolare e fosse certamente limitato. Stavo formulando ipotesi e man mano facevo scoperte sempre più sorprendenti, ma ciò che mi stupì davvero avvenne poco dopo.

Ero ancora intento ad accarezzare col palmo la "pelle" di quella creatura per capire di cosa fosse fatta, se era simile a quella di altri Pokémon o se anche la sostanza del suo corpo era qualcosa di estraneo alle mie conoscenze, quando le mie iridi si dilatarono percependo un aumento dell'intensità luminosa e il mostro si fermò, aveva abbassato la testa per permettermi di contemplare quella meraviglia che mi si materializzò davanti: una miriade di specchi cristallini, incastonati gli uni tra gli altri come le cellette che costruiscono i Combee per custodire le uova, sfavillavano di luce propria e riflettevano ciascuno un luogo diverso della Terra. In uno di essi potei benissimo riconoscere la mia Arenipoli, non era cambiata per nulla, ammesso che quei vetri riflettessero in tempo reale ciò che accadeva. Pensai subito che fossero tanti piccoli varchi dimensionali attraverso i quali sarei potuto tornare nel mio mondo d'origine, ma appena mi alzai per toccarne uno, Giratina s'infuriò lanciando un terribile boato che fece tremare tutti i corpi sospesi nel giro di qualche chilometro. Non voleva che mi avvicinassi. Mi cinse il corpo con una delle sue appendici artigliate e poi si precipitò su un promontorio roccioso, si acciambellò proprio come faceva il mio Gyarados quando doveva riposarsi e mi lasciò libero. Mi arrampicai sulle sue spire attorcigliate e, una volta saltato giù, mi sedetti con la schiena poggiata al suo collo. Entrambi eravamo nella totale contemplazione di quegli schermi tersi e sgargianti, ci sentivamo esclusi da tutto e da tutti, rifiutati, respinti… Ma non era affatto qualcosa di negativo, non mi sono mai sentito integrato in quel putridume che i miei simili chiamano " società", la Terra è come una ferita aperta nel grembo dell'universo, infettata da miliardi di germi purulenti che si moltiplicano sempre di più e diventano giorno dopo giorno sempre più violenti e affamati d' ingordigia, si contagiano a vicenda e si espandono oltre i confini. Io volevo semplicemente chiudere, suturare, cauterizzare una volta per tutte questa piaga, in modo da eliminare l'"infezione" umana e salvare l'intero spazio sconfinato che prima o poi verrà inevitabilmente rovinato da quest'epidemia. Mi voltai per guardare il Pokémon che sembrava essersi assopito e provai una strana sensazione scorrere nelle mie vene: una forza vitale, una voglia di riprendere tra le mani le redini del destino del mondo, di dominare… Il mio piano non era stato per niente mandato a monte! Mi sarei alleato con Giratina e insieme avremmo spodestato Arceus, io avrei preso il suo trono e così Palkia e Dialga sarebbero divenuti delle semplici pedine nelle mie mani, avrei messo fine alla razza umana e avrei poi ricreato un mondo tutto mio dove avrei regnato da imperatore assoluto, parallelamente al mio alleato che avrebbe fatto lo stesso nel suo. Due divinità, una dell'universo e l'altra dell'antimateria. Non avrei potuto chiedere di meglio. Mi distesi sul terreno e alzai i pugni verso l'alto, con fare trionfante, non mi rimaneva altro che comunicarlo al Pokémon per trovare insieme una soluzione. Calmai a stento la mia euforia e abbracciai uno dei suoi tentacoli, usandolo come giaciglio, per provare ad immergermi in un sonno ristoratore come stava facendo lui e destarmi al suo risveglio. Ecco, cosa accadde in quel lasso di tempo me lo devo ancora spiegare. Un intenso fascio luminoso mi fece svegliare violentemente e rividi la stessa ragazzina che aveva intralciato il mio progetto di conquista! Era venuta a riprendermi! Per quale assurdo motivo stava facendo una cosa simile? Provava compassione verso di me? Era preoccupata per colui che considerava un nemico terribile da stroncare ad ogni costo?


«Cosa stai facendo ragazzetta? E dov'è Giratina? Non riportami sulla Terra! Non farlo!» non voleva sentire ragioni. Ricordo solo che mi prese la mano e mi strattonò con una forza inaudita verso un bagliore talmente luminoso che mi fece serrare le palpebre, e poi, così, all'improvviso, ecco che ci ritrovammo ad Arenipoli.
Stavo per prenderla per le spalle, percuoterla, estorcerle delle risposte ma.. Ecco il pronto intervento delle autorità. Mi presero a peso morto senza che lei dicesse nulla e mi trascinarono in quella che adesso è la mia prigione, senza neppure processarmi o darmi la possibilità di appellarmi ad un avvocato. Ma non avrei spiaccicato parola comunque. Non parlo più da quel giorno, cerco di muovermi il meno possibile, di non reagire agli stimoli esterni. Molti qui attorno pensano che lo shock subito nel Mondo Distorto mi abbia reso pazzo, mi abbia privato dell'anima, ammesso che esista e che ne abbia mai avuta una, mi abbia tolto ogni facoltà mentale. Sciocchi. Mi fanno pena, chi più chi meno.

Appena giunto c'erano solo Giovanni, Max e Ivan. Il primo è sempre stato un attaccabrighe vanaglorioso e attaccassimo al denaro, l'ultima parola deve sempre esser la sua, ha sempre qualcosa da fare e quando non fa nulla è perennemente pronto ad aizzare una rissa tra detenuti. Che parassita insopportabile. Gli altri due mi sembrano, detto schiettamente, due imbecilli. Sia per il modo in cui si son fatti catturare, sia per il loro atteggiamento. Ivan ha il QI inferiore alla media di parecchio e non fa altro che allenare i suoi muscoli per mettersi in mostra e sentirsi qualcuno, che pallone gonfiato. Max almeno sembra intelligente, d'altronde anche lui è uno scienziato, ma basta un nonnulla per farlo innervosire, e quando si innervosisce è peggio di una donnetta isterica, e la sua isteria è contagiosa, certi momenti riesco a stento a trattenermi dal reagire in modo brusco ai suoi schiamazzi acuti. Ma tutto si può sopportare, quando si ripone la speranza in qualcosa di più elevato e gratificante, e la mia è riposta nel ritorno di Giratina, sarebbe tornato prima o poi.

Riesco comunque a mantenere la calma e l'apatia, durante il giorno cerco di dormire per poi esser attivo la notte mentre tutto tace e nessuno mi guarda. Ma ecco che giungono altri due altri detenuti, come se i miei vicini non bastassero, e vengono stipati nella cella di fronte: un vecchio acciaccato dall'età con una lunga chioma verde e uno strano monocolo rosso, traboccante d'ira da tutti i pori, e accanto a lui un altro scienziato alto e snello con un paio di occhiali e uno strano ciuffo azzurro che gli orbita attorno alla testa. Quest'ultimo non pare per nulla turbato dalla prigionia, anzi, guarda tutti con un'aria di superiorità mista a rassegnazione che lo fa apparire freddo e sadico. Meglio distogliere lo sguardo, o potrebbero insospettirsi. Torno quindi a guardare quello che Ivan definisce " un punto nel vuoto", che in realtà è un punto strategico e ben studiato: nella parte interna dello stipite della porta che chiude la mia stanzetta ho attaccato con delle gomme da masticare alcuni pezzi del grande specchio che si trovava nel mio bagno prima che lo rompessi, e, in altri punti ho appiccato altrettanti frammenti attraverso i quali, cambiando semplicemente l'angolazione, riesco a vedere le immagini riflesse di quel che accade nelle altre celle o fuori dalla finestra, spostandomi semplicemente di pochi metri, dal letto alla sedia, dalla sedia alla scrivania o anche per terra. Così ho un modesto controllo su ciò che accade qui attorno senza far nulla. Mi muovo talmente poco, anche nell'ora d'aria, che adesso le guardie entrano senza timore nella mia camera per portarmi da mangiare, e se non mi mettono il piatto davanti agli occhi faccio finta di non accorgermene neppure, per poi mangiare molte ore dopo, con una flemma ineccepibile. Mi crederanno incapace d'intendere e di volere, così chiederanno un trasferimento di postazione e a quel punto, quando nessuno se l'aspetta, scapperò via.

Filerebbe tutto liscio, se non ci fosse quel dannatissimo Maxie che non si fa mai gli affari suoi e tenta sempre di parlarmi, di estorcermi una qualsiasi parola, di trattarmi come un bambino bisognoso di tutto e di difendermi dagli insulti di quel depravato di Ivan. Qualsiasi cosa sia, altruismo o semplice compassione, mi disgusta. Rischierei davvero di danneggiare la mia sanità mentale con questo atteggiamento di chiusura, se non ci fosse uno strano Clefairy che, ogni notte di luna piena, viene alle sbarre della mia finestra per farmi compagnia con la sua presenza eterea, e la sua sola visione mi dona un senso di pace indescrivibile. Ci fissiamo intensamente e provo a comunicargli i miei pensieri, che pare intendere e comprendere. Nessuno ci ha mai visti, né quelli della sicurezza dal momento che non rientra nel raggio di visuale della telecamera (e per essere un carcere di sicurezza, devo dire, i sistemi di sorveglianza sono alquanto scarsi e alcuni neppure funzionano, il mio quartier generale a Rupepoli era molto più fornito), né gli altri carcerati, chi perché dorme chi perché come quell'accoppiata di scostumati pensa a far cose poco pudiche a letto illudendosi anche di " tanto non ci sentirà nessuno Maxie!" Mi fanno una pena indescrivibile quei due, mi chiedo se anche loro, come me, hanno assunto quell'atteggiamento ridicolo per un qualche scopo, o sono proprio idioti per natura. Ad ogni modo, sono alquanto stufo di tutto ciò, perché Giratina tarda a venirmi a prendere? Che si sia dimenticato anche lui di me? Sento che qualcosa sta per succedere, ancora non per molto dovrò atteggiarmi così. Cambierà, lo percepisco nell'atmosfera.




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Capitolo 3
*** 3. Check Raise [By Lily] ***


3. Check Rise
3. Check Raise*
By Lily

giovix


Il cielo è oscurato da enormi nuvoloni grigi, la pioggia e violente raffiche di vento ricoprono il cortile fuori dalla struttura e lo rendono impraticabile, la forza del mare in tempesta è eccellente per far comprendere agli esseri umani di come sono deboli e fragili davanti alla natura. Nell'arco della settimana le condizioni atmosferiche si sono dimostrate catastrofiche e io, Giovanni, sono costretto all'interno di un'ampia stanza insieme agli altri detenuti, ci possiamo svagare come meglio ci aggrada.
Ma per me...No, no. Il biliardo o la lettura non mi interessano.
Sono seduto nel punto più illustre della tavola dalla forma circolare, impegnato mentalmente e fisicamente in una partita a Poker con alcuni cattivoni di cui a stento conosco i nomi. Grazie agli avvertimenti di Ivan, so con certezza che quei tizi ignoti si sono aggiunti al gioco, solo per ottenere qualche oggetto di vitale importanza. Ma c'è poco da fare, sono il più forte e domino ogni omuncolo che si mette contro di me, vinco sempre con le mie strategie da buon uomo d'affari e mi accaparro gli effetti più interessanti che i rivali mettono al c'entro del gioco. Sigari di ottima qualità, fedi o altri gioielli in puro oro zecchino, fiaschette di alcool, monete che mi aiutano a corrompere le sentinelle a guardia della mia cella e, nelle occasioni più rare, posso mettere le mani su alcuni attestati di proprietà. Con l'aiuto dei miei trucchetti sono diventato il proprietario di alcuni territori sparsi in ogni parte del mondo, dentro a queste mura hanno un valore abbastanza dubbio, ma preferisco metterli da parte. Prima o poi me ne andrò e sfrutterò quei possedimenti a favore del Team Rocket.

Uno. Due. Tre.

È il numero degli sfidanti che abbandonano la sfida, abbattuti dalla perdita dei tesori per cui nutrivano un valore affettivo. Ma non è colpa mia se non hanno la stoffa per essere dei veri vincitori, non ci posso fare niente per cambiare l'andamento degli aventi, devo dimostrare la mia abilità nel gioco delle carte, mi ricorda il mondo delle battaglie Pokémon.
Ah, quanto mi mancano le deliziose creature! Una fonte di guadagno nella regione di Kanto.
Mi accendo un sigaro in santa pace mentre qualcuno si prende l'impiccio di mischiare le carte, il mio è un pretesto innocente per scrutare i personaggi che sono sopravvissuti. Ivan è alla mia destra che a stento regge in mano il mazzo di carte, è un innocuo ragazzone con più muscoli che cervello ma che negli ultimi mesi uso per strappare le informazioni esterne, ha un buon rapporto con ogni detenuto del carcere e questo particolare mi frutta qualcosa di concreto, ma ancora sono incredulo di vedere che ha un'abilità discreta in un gioco in cui i conti sono essenziali...Forse ha imparato le regole basilari e si impegna per difendersi dall'oppressione che provoco. Alla mia sinistra godo della presenza di Max, io stesso lo definisco come la “controparte” di Ivan, per l'occasione resta seduto in una posizione ridiga e composta sulla sedia, osserva le carte che gli hanno passato senza emettere un fiato, è già concentrato sulle mosse che gli servono per mettermi i bastoni tra le ruote perciò non lo perdo mai di vista. I suoi occhiali dalla montatura spessa gli nascondevano gran parte del viso, i suoi lunghi capelli rossi sono impeccabili nell'acconciatura di sempre, da questi proviene un delicato profumo di pulito e non può farmi che piacere. Quel soggetto mi ricordo la versione più adulta di mio figlio Silver, per questo gli concedo la mia protezione.
E infine ci sono i due nuovi arrivati, Acromio e Ghecis. Sopravvissuti per miracolo alla mia strage.
Anche quei due condividono la solita cella, ma non li ho mai sentiti parlare. quasi mai. Noiosi e ridicoli. Due palle al piede, insomma.
Le carte che ho in mano sono ottime, faccio un'altra boccata con il sigaro e lascio uscire il fumo dalla bocca senza farlo passare dai polmoni, decido di intervenire.

«Perché non proviamo a rendere piccante questa sfida, visto che siamo rimasti in cinque?».
Ghecis alza lo sguardo, Acromio invece mi ignora completamente.
Mi mette una curiosità addosso quel tizio dai lunghi capelli verdognoli, lo conosco dalla fama ma non sono al corrente delle sue malefatte nella regione di Unima.
«E cosa vorresti proporre di interessante Giovanni? È solo una partita e ti sei già preso tutto» esclama Max per poi perdersi in un sonoro sospiro, sono minuti che indirizza lo sguardo verso la figura neutrale e assente di Cyrus, che si trova nell'angolo più buio della stanza per osservare la pioggia che si infrange sul vetro della finestra. Max è l'unico che si interessa alle condizioni di quel tipo, non capisco nemmeno come mai.
«Con il potere che ho qui dentro: colui che vince questa partita si potrà infiltrare in una delle roulotte, quelle che a fine mese servono alle coppie per le visite coniugali. Dovete sapere che c'è una donna che è rimasta vedova da poco, quindi ha bisogno di un “marito” per essere soddisfatta.
Badate bene, perché questo servizio lo faccio sempre pagare. Ma se mi battete posso fare uno strappo alla regola, solo questa volta» affermo senza vergogna per far venire l'acquolina in bocca a uno dei due novellini, tanto per metterli alla prova, conosco il rapporto che c'era tra Ivan e Max quindi sono sicuro che quei due non cercheranno mai di accaparrarsi quello strano premio.
Ma solamente Ghecis presta ascolto, il secondo è ancora alle sue carte. «Allora Ghecis, cosa ne pensi? Quella donna potrà rimetterti un po' in sesto, ti vedo un po' troppo malandato».
Ho gli occhi di tutti addosso, finalmente attiro l'attenzione generale.
«Non ho bisogno di una donna in questo momento, tanto meno mi interessa la prostituzione. Mi sono unito a ciò che voi definite come una normale partita a Poker, perché volevo conoscere il mio vicino di cella...Ma noto solamente un branco di ruffiani senza spina dorsale, che preferiscono rifugiarsi dietro alla figura più importante per restare alla larga dai problemi. Mi fate solamente ribrezzo, tutti quanti» borbotta Ghecis in risposta ma senza scomporsi, Ivan e Max a quel punto si sono lanciati delle occhiate sbalordite ma hanno mantenuto il silenzio per non entrare nella discussione. Io sono al settimo cielo a differenza loro, almeno gli ho levato le parole di bocca.
«Vedo che qui c'è qualcuno che ha la lingua più avvelenata di un Arbok, non c'è bisogno di così tante parole per nascondere il fatto che sei impotente. Lo sappiamo tutti che è portata dalla vecchiaia, non c'è niente di cui vergognarsi tra uomini».
«Sono più grande di te e questo non lo metto in dubbio, ma ancora mi funziona».
«E allora come mai non vuoi passare un pomeriggio in compagnia di una femmina? Sei forse dell'altra sponda come questi due che ho accanto? Beh, sarebbe la soluzione più azzeccata. In fin dei conti quei capelli ti danno l'aria della femminuccia, non dirmi che te la fai con lo scienziato che ti sei portato da Unima...Haha, questo sì che sarebbe divertente!».
Ghecis si ferma prima di aprire bocca, indirizza l'occhio scoperto sul personaggio che ha vicino. Lo scienziato non sembra turbato dalle parole che sono uscite dalla mia bocca, ho detto la verità o è semplicemente insensibile? Un evento davvero curioso.
«Cosa devo fare per farti smettere di parlare a vanvera, Giovanni? Mi sto stancando della strafottenza con cui mi stai parlando, non sono di certo un bamboccio».
«Affrontami, se hai coraggio».
«Come se avessi paura di un semplice pallone gonfiato».
«Dimostralo che non hai paura Ghecis. Se vincerai la partita non solo ti donerò quel pomeriggio nella roulotte, ma ti concederò tutto il bottino che ho vinto questa sera. Ma vediamo...Sarai capace di soddisfare anche il mio appetito? Non mi accontento di pochi spiccioli, esigo qualcosa di veramente importante».
Ghecis a quel punto abbassa le carte sul tavolo e con l'unica mano che riesce a muovere recupera il bastone che usa per camminare, lo appoggia direttamente sul tavolo: «Questo non è un semplice bastone, si tratta della chiave della mia nave, la Fregata Plasma. Se vinci è tua».
La sfida lanciata dal Leader del Team Plasma è in grado di farmi venire l'acquolina in bocca, sembra un buon affare e non posso farmelo sfuggire.
«Davvero interessante Ghecis, non ti facevo così stupido e...Voi tre? Continuate la partita o preferite smettere sul più bello?» esclamo, osservo i tre uomini che sono rimasti fuori dalla discussione.
«No Giovanni mi sono stancato di giocare, vado a vedere come sta Cyrus» afferma Max con un leggero accenno di stanchezza nelle parole, si alza per poi avanzare verso il Leader del Team Galassia, che è rimasto nella solita posizione.
«Anche io smetto, forse Max ha bisogno del mio aiuto» farfuglia in fretta e furia Ivan, abbandona il “campo di battaglia” per stare a stretto contatto con il rosso.
«Io? Beh, non continuo. Però guardo volentieri!» e quelle sono state le parole di Acromio, sono minuti che usa le carte per costruire una sottospecie di piccolo castello.
«Perfetto. Scopriamo le carte Ghecis».

Un grido si sollevò nell'aria quella sera.
Il re era caduto e con lui andò giù anche il suo castello.







Glossario:

*Check Raise — Quando un giocatore fa check e successivamente rilancia sulla puntata di un avversario all'interno del medesimo round di puntate. Sebbene fare check e poi rilanciare sia una pratica legale e largamente accettata dalla maggior parte delle poker room, in alcune è contro il regolamento. È sempre una buona idea controllare le regole della casa prima di prendere parte a una qualsiasi partita di poker. Il "check raise" è un modo di giocare altamente produttivo ed è una dimostrazione di forza al tavolo da poker.
 

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Capitolo 4
*** 4. Mala Parta male dilabuntur [By Xavier] ***


4. Mala parta male dilabuntur
4. Mala parta male dilabuntur
By Xavier

ivanemax2

Che mal di schiena. Questa mattinata non è iniziata nel migliore dei modi… A stento riesco a mettermi seduto sul mio letto a causa dello stiramento muscolare procuratomi ieri durante i lavori forzati. Non sono abituato a questo genere di attività, cosa devo farci insomma?!?
«Ehi scricciolo, che ti prende stamattina? Andiamo alzati, non vorrai perderti la colazione?»
Eccolo. Anche Ivan, il più dormiglione di tutti, s'è destato. Lui non pare risentirne minimamente della fatica, non ha mai un acciacco o un crampo muscolare, fortunato.
«Scusa Ivan ma non me la sento proprio di alzarmi. Mi faresti un enorme piacere se prendessi la mia porzione e me la portassi a letto…»
«Maxie? Vuoi fare la principessina? Alza le chiappe e fa' da solo! Non sono il tuo maggiordomo, accidenti.»
«Allora va' al diavolo! Ti ho chiesto solo una piccola cortesia, hai paura di sciuparti se me la porti a letto?»
«Non vorrei che poi prendessi l'abitudine. Già ti muovi poco di tuo, se adesso non ti stacchi neppure dal tuo bel lettino caldo..»
«Dannazione, Ivan! Ho mal di schiena, mi faresti il sacrosanto piacere di portarmi qualcosa da mettere sotto i denti?»
«Solo se mi dai un bacetto all'oland-»
«FOTTITI!».
Quanto lo odio? Quanto lo odio quando fa così? Mi fa passare per ridicolo, non voglio essere lo zimbello dei cattivoni, ho pur sempre una dignità.
«Dai Maxie, non alterarti e abbassa la voce!»
«Col cavolo, Ivan! Col cavolo! Quando Giovanni ti chiede un favore accorri subito come un cagnolino, perché con me devi fare tutta questa scenata? Eh?»
«Non mettere in mezzo Giovanni, adesso! Stavo solo scherzando, perché devi sempre prendertela tanto? Su, andiamo signorinella!»
«S-Signorin..» non faccio in tempo a replicare quell'assurdo nomignolo che con un solo gesto delle sue possenti membra mi carica in braccio, come se il mio peso fosse nullo. «I-IVAN FAMMI SCENDERE!» gli urlo contro, picchiandolo sulla testa col giornale, inutilmente. Ecco che il quotidiano si spagina in mille fogli volanti che fluttuano qua e là all'interno della cella! Potrebbe andare peggio di così?
«E va bene! Scendi!» con fare maldestro mi poggia a terra. Una fitta dolorosissima mi sale lungo la spina dorsale e son costretto a poggiarmi al muro; mi mordo le labbra e strizzo gli occhi, per non gridare parolacce a prima mattina.

Odio il momento della colazione. Una volta svegliati, le guardie vengono ad aprire le nostre celle, a piccoli gruppi di una decina di detenuti per volta, e ci conducono alla mensa comune, dove troviamo una tavola imbandita con fette di pane avanzato del giorno precedente che possiamo condire con marmellata o burro e delle tazze di caffè, tè o latte. Io e gli altri capi siamo fortunati ad essere i primi serviti, non oso immaginare cosa rimanga agli ultimi arrivati. Dopo una ventina di minuti, neanche il tempo di leggere le notizie del giorno, ci smistano nei vari reparti per fare i lavori forzati, in catene, nel mentre un'altra squadra di detenuti va a "godersi" il pasto mattutino. Inizio ad incamminarmi lungo il corridoio, strisciando una mano sulla parete per avere un appoggio ma… Ho dimenticato gli occhiali. Ce la farò a tornare indietro?
«NEEEEERD!» Ivan mi scorrazza intorno, reggendo e tenendo sollevato da sotto le braccia come fosse un gattino quel povero martire di Cyrus, al quale ha anche messo i miei occhiali.
«Ivan no! Ridammeli! Sono graduati, potresti rovinargli la vista, somaro!»
«Se proprio ci tieni, riprenditeli! La vista dello psicopatico dipende solo da te, Maxie!»
«Grrrr! Quanto sei idiota!» allungo alla cieca la mia mano per riprendermi le lenti, ci sono quasi, ma Ivan improvvisamente alza ancor di più l'uomo, vanificando i miei sforzi.
«Ah Ah! Scricciolo e anche nanerottolo. Adorabile, Maxie.»
«Ivan! Spero ti vengano tante ernie spinali quante sono le tue vertebre!»
Inizio ad alterarmi seriamente, fomentato dalle sue risa sguaiate ma…


«Signori, con permesso…» quel novizio di Acromio ci passa in mezzo, dividendoci. Sospira e prende i miei occhiali dal volto di Cyrus, il quale lo squadra con un accenno di curiosità, e dunque me li restituisce, dopo aver ripulito le lenti sulla sua divisa. «Ivan, non dovresti giocare così con questo genere di oggetti, ha ragione Maxie, potresti danneggiare la vista altrui. E ora, se non vi dispiace…»
Dà una pacca sulla testa di Cyrus e, silenzioso, così com'era arrivato, si allontana, con un alone di fascino e mistero unici. Non faccio neppure in tempo a ringraziarlo.
«Wow, hai visto? Che classe, che eleganza, che passo felpato e felino, che portamento nobile e altezzoso..»
«E che chiappe!»
«IVAAAN!» restiamo un paio di minuti a fissarci sbigottiti dalla sua apparizione per poi dirigerci tutti e tre nella sala mensa. Come mio solito, mi siedo in un angolino e imburro una fetta di pane, che accompagno con una bella tazza di tè caldo, mentre raccatto un nuovo quotidiano da leggere in santa pace. Nulla di interessante oggi, i soliti fatti di cronaca nera, una rapina qua, un sequestro di persona là, ma ecco che alla terza pagina qualcosa attira la mia attenzione:

"Team Flare, una nuova minaccia per la regione di Kalos?"

Dannazione, non faccio in tempo a leggerlo tutto 'che son venuti a prelevarci. Senza troppi giri di parole e con un tono di stizza spiego ad una guardia il mio disagio fisico, la quale, senza polemizzare, per fortuna, mi indirizza in infermeria. Qui mi fanno delle domande e qualche controllo, mi applicano dei cerotti terapeutici nei punti che mi dolgono ed infine mi rimandano in un'altra grande stanza adibita ad accogliere gente infortunata o incapace di lavorare. Mi guardo un po' attorno ed infine decido di andarmi a sedere accanto a Ghecis, intento a guardare fuori dalla finestra, voglio parlarci e fare conoscenza.
«Ehm, buongiorno, Ghecis. Come mai anche tu qui? Non ti dispiace se mi siedo accanto a te, vero?» non mi degna neppure di uno sguardo, continuando a guardare fuori dalla finestra,
«Secondo te, quattrocchi?» che uomo nervoso e freddo, evidentemente non ha molta voglia di discutere con me. Solo dopo mi accorgo che ha una spalla ed un braccio totalmente immobili.
«C-Capisco.. Non hai molta voglia di parlare, mi pare di comprendere. Tolgo il disturbo, allora». Sospiro e accavallo le gambe, riprendendo a sfogliare il mio quotidiano finché non ritrovo quella pagina:





"
TEAM FLARE, UNA NUOVA MINACCIA PER LA REGIONE DI KALOS?

Stamani alle prime ore dell'alba la fabbrica di
Poké Ball a nord di Romantopoli è stata presa d'assalto
da una nuova banda criminale che si fa chiamare con l'appellativo di Team Flare.
I dipendenti sono momentaneamente tenuti in ostaggio all'interno della fabbrica stessa,
le cause di tale sequestro restano ancora ignote.

Le autorità stanno procedendo a trattative, tutte le emittenti tv stanno assiduamente seguendo la vicenda".


Prendere d'assedio un'industria di quel calibro non è roba da poco, questa nuova gang dev'esser ben organizzata, non di certo un gruppetto di teppistelli, mi chiedo chi sia il loro capo. Il mio giornale si riempie di bricioline, mi volto e con gran sorpresa noto che Cyrus era venuto a sedersi accanto a me ed era ancora intento a mangiucchiare del pane tostato che spezzettava con le mani, portandosi i bocconi alle labbra. Forse anche lui aveva letto.
«Ehi, dove sono gli altri? Già finito di lavorare?».

Una pioggia intensa e fitta inizia a martellare sul vetro, mi sporgo dalla finestra e noto tutti i detenuti correre dentro per evitare di bagnarsi. Le previsioni meteo prevedevano brutto tempo per i prossimi giorni, quello era solo l'inizio. Ghecis a quel punto si alza dalla panca e si allontana, arrancando a fatica col proprio bastone. Evviva, c'era qualcuno messo peggio di me allora! Mal comune mezzo gaudio, quel vecchio dalla lunga chioma mi fa una certa pena.

«Ghecis, hai bisogno di una mano?» chiedo, avvicinandomi a lui, ma ecco che mi sbraita in faccia parole incomprensibili, puntandomi contro il supporto, e riprende a camminare. «Crisi di mezza età, pff… Vieni Cyrus, torniamo anche noi in cella!» gli sorrido in modo solare, per portare un po' di luce in quella giornata tetra e deprimente, ma per lui è indifferente. Gli prendo la mano e lo aiuto ad alzarsi, dunque imbocchiamo il corridoio per "rincasare". Non pondero minimamente le beffe e le male voci che ci latrano contro gli altri prigionieri, non c'è assolutamente nulla tra me e lui, semplicemente mi sta a cuore la sua salute. Perché? Lo stimo molto, era un uomo dalle ampie vedute, è riuscito a metter su un grandissimo Team di sostenitori col quale ha catturato ben cinque Pokémon leggendari! I tre protettori dei laghi e le due divinità, dello spazio e del tempo. Non solo, è anche riuscito a sopravvivere al Mondo Distorto, del quale si sa pochissimo, e a tornare sulla Terra. Quindi, vedere adesso un Ulisse del suo calibro ridotto ad un corpo privo di emozioni e di anima, muto, indifferente a tutto quel che lo circonda, mi dispiace enormemente e cerco di fare il più possibile. Anche lui era uno scienziato, sono convintissimo che se riuscissi ad aprire una comunicazione con lui, potrei discutere insieme un metodo su come evadere da qui. Sarebbe bellissimo, penso, scappare via da questo inferno e dargli un posto come tenente del team Magma! Da quanto ho capito adesso lui è solo, non c'è più traccia del team Galassia e i suoi comandanti hanno disertato. Ma questo Ivan non lo capisce, per lui ogni pretesto è buono per fare il geloso e tempestarmi di domande, creando situazioni alquanto imbarazzanti per il sottoscritto.
Siamo di nuovo insieme, chiusi in cella, vado immediatamente a stendermi a letto per stiracchiarmi, e la mia schiena scricchiola alquanto rumorosamente.
«Maxie! Stai diventando croccante!» ridacchia Ivan, mentre si toglie i vestiti bagnati dalla pioggia per metterli sul calorifero acceso, in modo da farli asciugare rapidamente.

«Croccante? Tch, sta' zitto. Già è un miracolo se riesco a camminare!»
«Era un modo carino per dire che stai diventando vecchio e decrepito, hmhm!»
«VECCHIO DECREPITO A CHI, PALLONE GONFIATO?» mi sporgo pericolosamente dal letto, in uno scatto d'ira, per tirargli un'altra giornalata in testa, fallisco il colpo, perdo l'equilibrio e chiudo gli occhi mentre mi sento precipitare di sotto. Li riapro, e mi ritrovo supino tra le braccia del mio rivale.
«E ora testiamo la tua croccantezza!»

«I-Ivan no! Fammi scendere!» le parole sono totalmente inutili contro quell'energumeno. Affonda le labbra nell'incavo della mia clavicola e del mio collo, tempestandoli di bacetti o morsi o qualsivoglia altra cosa disgustosa! Mi metto a ridere e sbraitare, perché soffro tremendamente il solletico in quelle zone, e nel contempo con entrambe le mani cerco di allontanargli la testa dalla mia pelle. Passano ben dieci minuti, e finalmente molla la presa, riponendomi nel mio lettino.
«Arrr! T'è piaciuto? L'ho imparato dal mio Sharpedo! Quando deve abbattere una preda mira sempre a quei punti e non la lascia andare finché non respira più!».
Non so che rispondergli. Se dicessi che ho apprezzato, se ne approfitterebbe, se al contrario dicessi che è stato orribile, ci rimarrebbe male e si comporterebbe da offeso.
«Hmm… Il mio Mightyena avrebbe saputo farla meglio, una cosa simile!» a quell'affermazione scoppiamo a ridere entrambi come due amici di vecchia data che si scherniscono amorevolmente a vicenda. Dalle altre celle sento rimbombare le risate di Giovanni e degli altri che hanno assistito alla scena, insulti e fischi rivolti a me, come se fosse colpa mia e mi lasciassi trattare in quel modo senza reagire, da passivo totale! Poco importa, se sono soltanto parole sputate da lingue avvelenate, invidiose del bellissimo rapporto che s'è instaurato tra me e Ivan. La sua gelosia in fondo non è poi così male, se penso che grazie a ciò nessuno osa avvicinarsi a me con cattive intenzioni, per timore del mio compagno. E dire che non è stato sempre così! All'inizio il nostro odio e la nostra rivalità, talmente erano elevati e accesi, sfociavano in azioni abominevoli, mettendo contro non solo noi leader del team Magma e del team Idro, ma anche i nostri rispettivi seguaci e reclute. Adesso, ragionandoci, mi pare una cosa assurda che delle persone debbano odiarsi tra di loro, senza neppure conoscersi a fondo, solo perché facenti parte di due squadre diverse con ideologie differenti. Ma questo l'abbiamo capito quando ormai era troppo tardi, quando ogni forza dell'ordine di Hoenn ci stava alle costole ed eravamo ricercatissimi in ogni punto della regione. Solo a quel punto, per sfuggire ad un nemico comune, abbiamo deciso di allearci, ma non c'era più tempo. Siamo stati catturati, ma almeno abbiamo dato scampo ai nostri tenenti e alle nostre reclute, e penso che il saper salvaguardare la salvezza degli altri membri sia una qualità indispensabile per un comandante che si rispetti, per cui tutto sommato posso dire di esser in pace con la mia coscienza. Quei farabutti dei carcerieri ci hanno messo nella stessa cella, insieme, sperando che così ci saremmo scannati come cane e gatto fino alla fine. Mi spiace ma, abbiamo deluso appieno le loro aspettative. In una situazione critica come questa bisogna restare il più uniti possibile e lasciar da parte rancori e acredini personali, se si vuol in qualche modo alleviare la sofferenza e, perché no, trasformarla in qualcosa di quasi vivibile e piacevole; ma quando lo capiranno gli altri?

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Fulmini, pioggia e grandine sono sempre uno spettacolo estasiante per la vista, sebbene mi facciano un po' paura, mentre Ivan pare totalmente affascinato e preso da questi fenomeni naturali. Ce ne stiamo comodi, seduti sul mio letto, a guardar fuori dalla finestra, non avendo nulla di più gratificante da fare.
«Sai Ivan, oggi sul giornale ho letto che nella regione di Kalos, ben lontano da qui, è in azione un nuovo Team, che si fa chiamare Team Flare. Sembrano far sul serio, sin da subito. Pensi che potrebbero venire a liberarci tutti? Ci stavo sperando».

«Non illuderti, Maxie. Nessuno verrà mai a salvarci. Perché rischiare la pelle per noi? Ormai siamo dimenticati da tutti, l'unico modo che abbiamo per fuggire è fare tutto da noi stessi.»
«
Già, penso tu abbia ragione purtroppo. Ma se qui nessuno si muove, cosa possiamo fare soli, noi due? Vedi Giovanni, a lui va benissimo così, ha la TV in camera, pasti caldi ad ogni ora del giorno, può uscire liberamente quando vuole, da dietro le sbarre riesce comunque a gestire i suoi traffici criminali ed è rispettato anche dai custodi. Vedi Cyrus, neanche a torturarlo caccerebbe una sillaba. Vedi i nuovi arrivati, infine, quel vecchiaccio a momenti mi sbranava stamattina, e mi ero proposto di aiutarlo. Lo scienziato mi sembra un freddo menefreghista, non mi fiderei di un tipo come lui.»
«Calma Maxie, neppure noi possiamo lamentarci. Stiamo insieme adesso, no? Quest'occasione ci ha fatto capire quanto possiamo benissimo andare d'accordo, sebbene le idee diverse. Non finiremo i nostri giorni marcendo in questo sgabuzzino, vedrai, e se così dovesse finire… Per me sarebbe un onore, passare il resto della mia vita al tuo fianco. Ti voglio bene, amico mio.»
«Anche io Ivan, anche io..».

Neanche ci appoggiamo mollemente l'uno sull'altro, che udiamo lamenti e proteste provenire da tutto l'edificio. I prigionieri sono in rivolta, dal momento che per via del maltempo ci sono state tolte le ore d'aria e di svago a passeggio nel cortile del carcere. Hanno ragione a ribellarsi, rimanere chiusi in pochi metri quadrati per oltre ventiquattr'ore è insopportabile, per questo hanno deciso di concederci delle ore di libertà all'interno dell'enorme sala giochi posta al centro della costruzione, traboccante di tavoli per i più disparati giochi d'azzardo, dal Poker Texano alla Roulette, tavoli da biliardo, slot machines e qualsivoglia altro divertimento che possa intrattenere un detenuto, infine c'è anche una piccola ma ben fornita libreria, dalla quale spesso e volentieri attingo qualche testo da leggermi in santa pace. Vorrei fare così anche oggi, ma Ivan mi ha trascinato alla famigerata "tavola rotonda" capeggiata da Giovanni, il re dei giochi d'azzardo, poiché abbiamo come avversari due nuovi "moschettieri" e pensa che questa sia un'ottima occasione per conoscerci meglio. Ma io quel vecchio già non lo tollero! Questa situazione mi mette un'ansia assurda addosso, preferirei perdere tutti e subito quei pochi spiccioli che ho puntato e abbandonare la partita, piuttosto che continuare e trovarmi faccia a faccia con uno dei due boss. Mi distribuiscono le carte, le scopro piano, una ad una.. Dannazione! Mi è capitato un full, e io dovrei lasciare il gioco adesso? Un colpo di fortuna del genere non mi capita neppure se mi riempio le maniche di assi. Alzo appena gli occhi per osservare Ivan, posto esattamente di fronte a me, ma a quanto pare è ancora impegnato a capire quale sia il senso corretto di King, Queen e Jack, dal momento che è da due ore che non fa altro che rigirarsi in mano le solite tre carte. Come glielo devo spiegare che sono la stessa figura messa in modo speculare? E si lamenta anche di perdere sempre. Sarà la volta buona, decido di stare al gioco. La prima puntata me l'aggiudico io, sono al settimo cielo ma… Ecco che i due più anziani si mettono a discutere e la posta in gioco si alza. Uno punta il proprio bastone e l'altro tutto l'incasso, in più una nottata con una donna. Non abbiamo nulla da dare, né io né Ivan, è la volta buona per battere in ritirata, il gioco si sta facendo sporco, e se Giovanni l'imbattibile ha alzato così tanto la posta, significa che qui gatta ci cova.
«No Giovanni mi sono stancato di giocare, vado a vedere come sta Cyrus» replico alla sua domanda riguardo alla mia permanenza nel poker. Stanco e assonnato vado a sedermi accanto al leader del team Galassia, intento a fissare quasi incantato i fenomeni atmosferici che si stanno abbattendo là fuori; «bella la forza della natura, non trovi? Così come ci dà la vita, è capace di togliercela via in un istante con la sua furia incontrollab…»
«MAXIEEEE!» Ivan corre verso di me agitando una stecca di cioccolato al latte come fosse un trofeo vinto con il sudore e con il sangue. «L'ho presa ad una guardia, corrompendola con la misera vincita di oggi. L'ho fatto per te!»
«Grazie Ivan. Beh Cyrus, è di tuo gradimento questo dolciume? O preferisci quello fondente?» la scarto e gliela agito sotto il naso, sperando se ne accorga, ma mi degna appena del suo tipico sguardo atarassico e torna a mirare fuori. Ivan invece mi lancia un'occhiataccia e fa per andare via, infuriato, non avevo minimamente pensato alla sua cupidigia nei miei confronti in quel momento, troppo preso a tentare invano di strappare un sorriso all'uomo, ma ecco che sentiamo Giovanni urlare come mai aveva fatto in vita sua e il silenzio cala nella sala. Che abbia.. Che abbia perso? Alquanto impossibile.
Lascio lo snack sul davanzale della finestra e corro da Ivan, prendendogli la mano per trascinarlo sul campo di battaglia, dove una scena tanto unica quanto eccezionale si prostra sotto le nostre pupille: Giovanni è stato sconfitto. Ha perso, tutti i suoi averi e i suoi record, ma, più di tutto, ha perso la sua fama di bluffatore invincibile. Com'è possibile?!? Nessuno, e ribadisco, mai nessuno in tanti anni era riuscito a competere con lui. Questo Ghecis deve essere un prodigio, con la vincita di oggi si è praticamente guadagnato il rispetto e la stima di tutti. «Ivan, ma noi rimaniamo fedeli a Giovanni, non è vero? Lui è il nostro protettore, sarebbe sciocco voltargli le spalle di punto in bianco dopo tutto quello che ci ha offerto».

«Non lo so, Maxie, ma Ghecis mi affascina. Un vecchio autoritario e regale alto due metri, per giunta abilissimo nel poker, dove lo trovi uno così? Giovanni ormai è passato di moda, ed è durato fin troppo per i miei gusti».
«Ivan! Non dovresti sputare nel piatto dove hai mangiato. La situazione si sta scaldando, non voglio rimanere qui. Andiamocene a letto adesso». Mi volto verso Cyrus per portare via anche lui da quell'atmosfera che ben presto sarebbe diventata una ressa, ma con enorme stupore noto che è sparito, e con lui anche la barretta di cioccolato. Quell'uomo mi stupisce sempre di più. Ivan allora, come vede che la situazione è diventata alquanto caotica, mi prende come un sacco di patate alla sua solita maniera e di corsa mi riporta in cella, stendendomi sul letto. So già cosa mi aspetta, per farmi "perdonare" il gesto di prima, ma con la schiena a pezzi sarà molto più doloroso del normale.
«Ivan perché non rimandiamo a domani?»
«Perché ne ho voglia adesso, e mi sento rifiutato, messo da parte»
«Ma cosa vai dicendo? Volevo solo vedere se reagiva». Arrabbiato e deciso, lo sento salire e stendersi sul mio corpo appiattito contro il materasso duro e scomodo di quel giaciglio che definiscono "letto", ben presto l'ardore del suo corpo mi invade e mi schiaccia, non nego di essere in tensione e ciò non farà che aggravare quel che sta per avvenire, tanto vale serrare i denti e aspettarsi il peggio da questa situazione senza via di scampo…
«Accidenti, Maxie! Non possiamo più farlo!»
«E-Eh? C-Come mai Ivan?»
«Ci fissa. Ci sta fissando coi suoi poteri psico-autistici!».

Scoppio a ridere alla sua affermazione e volto il capo, notando che effettivamente il mio adorato vicino di stanza ci stava puntando con il suo sguardo ghiacciato capace di raggelare il sangue nelle vene di chiunque, e Ivan ha una paura infondata di Cyrus quando lo fissa negli occhi col suo tipico modo di fare, assolutamente inoffensivo. Nel men che non si dica, il mio compagno scivola via da me e va a mettersi nel proprio giaciglio, affossandosi per bene nei lenzuoli fino a tirarseli oltre la testa.
«Buonanotte Maxie. Domani ti sistemo».
«Buonanotte Ivan, non aspetto altro».


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Capitolo 5
*** 5. Voices [By Lily] ***


5. Vocies
5. Vocies
By Lily

ueeee

Voci.

Sento centinaia di mormorii scorrere alle mie spalle ogni volta che cammino per i lunghi e stretti corridoi del carcere, non ho il tempo di voltarmi che i miei coetanei si sono già raccontati le vicende più bizzarre sul mio conto: “Ho sentito che ha perso l'occhio e il braccio per colpa del suo Pokémon” oppure “Sapete che è riuscito a battere Giovanni in una partita a Poker? Secondo me ha barato”. Ho una voglia immensa di fermarmi per sbraitare contro quei dannati maiali ma, la sentinella che possiede l'incarico di scortarmi verso la cella, mi strattona il braccio con una certa violenza per costringermi a tornare sui miei passi. Ovviamente ha puntato sull'unico che muovo, maledetto bastardo.
Per fortuna il tragitto che devo percorrere è piuttosto breve e, il motivo che mi spinge a cimentarmi in questi mille spostamenti, è dato dal mio pessimo stato di salute: ogni mattina una sentinella si preoccupa di prelevarmi dalla cella così, quando i detenuti sono a faticare sotto ai cocenti raggi del sole, io vengo sbattuto nell'infermeria per sottopormi a molteplici analisi, poi mi abbandonano in una stanza fredda e spoglia in cui sono obbligato ad aspettare l'ora di pranzo prima di uscire; ma quegli incompetenti non sono in grado di curare la parte destra del mio corpo, rimasta semi paralizzata appena sono riuscito a entrare in contatto con i poteri glaciali del leggendario Kyruem, pare che il braccio sia quello che ha accusato maggiormente il colpo visto che non riesco a spostarlo di un millimetro e la carnagione si è colorata di un orripilante nero simile a quello della pece, è talmente insensibile che se vengo colpito in quella zona non percepisco il minimo dolore. In molti durante la colazione hanno provato a infilzarlo con le forchette, inutile dire che sono stato abile nel recuperare il mio bastone per usarlo come arma difensiva.
«Buon pomeriggio Ghecis, com'è andata la visita medica di stamani?».
Quello è stato il benvenuto nella cella da parte di Acromio, il mio “inseparabile” compagno di disavventure, ogni volta che si rivolge a me cerca di mantenere il classico comportamento che utilizzava all'interno del Team Plasma: educato, sofisticato e con un piccolo accenno di malizia per decorare al meglio l'immagine che offre al prossimo.
Dal giorno in cui sono stato rinchiuso per colpa di Bellocchio non mi faccio più scrupoli a ignorarlo, conosco fin troppo bene la perfidia che si nasconde dietro a quel viso angelico, per cui preferisco procedere sui miei passi senza chiedere il suo aiuto.
Però molte volte il mio corpo mi costringe a tendere una mano verso di lui, maledetta vecchiaia.
«Bene».
«Tutto qui? Ancora non ti hanno dato nessun risultato? Accidenti Ghecis, hai deciso il momento peggiore per ammalarti» .
Insieme a quell'assurda frecciatina Acromio mi ha dato una mano a raggiungere il letto, lo scienziato già conosce il fatto che i Dottori si siano messi a parlare di amputazione, quindi sta cercando di farmi perdere le staffe: «Almeno sai come si maneggia il monocolo? Resti da solo ogni mattina, saresti un inetto a non fare pratica con quel fantastico oggettino».
«Sai già la risposta, Acromio».
«Già è vero, l'incontro a Poker con Giovanni. E tu che non volevi farmi installare i raggi X, lo vedi che ti sono tornati utili?» e una leggera risatina è uscita da quell'essere ripugnante, il quale ha preso posto proprio vicino a me.
Inutile dire che mi sono scostato, non lo voglio attorno: «Se hai vinto è solo grazie al mio intervento Ghecis caro, quindi che ne pensi di dividere ciò che hai ottenuto con la tua vincita? Non vorrai che da questa boccuccia uscisse la verità sul tuo trionfo, sono sicuro che sarebbe divertente vedere la reazione del nostro Giovanni».
«Tappati quella boccaccia, Acromio».

Il sole è tornato a risplendere dopo i giorni di pioggia, quindi posso godermi a pieno il piazzale che è stato costruito apposta per noi detenuti e, anche se lo nascondo, sono contento di essere qui; iniziavo a detestare sul serio quella misera stanza piena di arnesi poco interessanti, i carcerati colmavano l'ambiente con il fumo delle sigarette e ciò rendeva l'atmosfera a dir poco nauseante. Adesso sono su una sorta di panchina, ormai diroccata, mi guardo attorno e mi rendo conto che questo spazio aperto sembra più una landa desolata, almeno verso ovest si innalzata l'inferriata che separa la zona maschile da quella femminile. Da quello sputo di terreno spuntano delle donne veramente assurde, tra tutte hanno uno sguardo omicida e alcune di loro hanno un aspetto talmente mascolino, che faccio fatica a comprendere come mai siano state inserite lì.
Eppure i maschi ronzano continuamente attorno a quella barriera di ferro, non si fanno problemi a nascondere la malizia nelle parole oppure le guardano come se fossero delle dee scese in terra. Ciò mi dà la nausea, per cui stringo il mio amato bastone e svolto gli occhi altrove. A momenti vomito il poco che ho mangiato per colazione.
«Gheeeeeecis!»
Di nuovo lui, Acromio, si sta avvicinando a me e sembra abbastanza allegro. Fin troppo.

No. No. No.
Stavo così bene senza nessuno attorno, perché è venuto qui se prima si divertiva con Ivan e Max? Di sicuro sta escogitando un piano azzardato per separarli, ormai conosco quella volpe e sono sicuro che i suoi piani porteranno scompiglio tra il marinaio e il secchione.«Ghecis caro non sai che notizia è arrivata alle mie orecchie».
«Smettila di chiamarmi in quel modo, portami un po' di rispetto Acromio».
«La pianterai di fare il cane con me appena i medici ti taglieranno via quel braccio, è solo una questione di tempo. Poi verrai a piangere da me perché ne desideri uno meccanizzato, ma sappi che ti ho già fatto fin troppi favori con il monocolo e il bastone, perciò non farmi arrabbiare troppo o mi riprendo tutto e subito».
«Acromio cerca di darti una mossa, non ho molta voglia di parlare con te oggi».
«Grazie a Max ho scoperto che tra un mese i Leader dei Team potranno incontrare la loro squadra di Pokémon, e questo capita solamente una volta all'anno. Siamo stati fortunati a essere rinchiusi vicino a un giorno così speciale, no? Non vedo l'ora di abbracciare di nuovo i miei tesorini. Mi mancano!».
A quelle parole a momenti esplodo dalla gioia, ma non rispondo al discorso e mi alzo malamente dalla panchina. Per cui afferro saldamente il bastone e inizio a zoppicare verso l'enorme porta, l'ora d'aria è vicina alla fine e ogni carcerato deve prepararsi alla cena.
Davvero avrò l'occasione di rivedere Hydreigon?
Sapere che potrò stare in contatto con il mio vecchio amico riesce a farmi sorridere.
«Ghecis perché non mi hai risposto?».
«Perché sono stanco Acromio, voglio andare a letto presto questa sera».
«Ma non hai sentito la parte più importante, riguarda Giovanni!».
«Giovanni?» giro la testa e guardo il mio collega negli occhi, aggrottando le sopracciglia: «E cosa vuole da me?».
«Gira voce che sta cercando di tornare quello di un tempo, quindi sta architettando un piano per schiacciarti davanti a chiunque. Perciò stai attento a quello che fai. Se i miei calcoli sono esatti...Beh...Forse ti lancerà una sfida Pokémon. Te la senti di lottare Ghecis?».
«Vuole davvero farmi questo per una stupida partita a Poker? Che venga pure da me, io non aspetto altro. Non permetterò a nessuno di schiacciare me, Ghecis, capo del Team Plasma».
E detto questo mi incammino nella struttura, ne ho abbastanza ormai di questa storia.
Da quando ho fatto ritorno nella mia cella ho tenuto la mente impegnata sul bastone, l'ho lucidato a fondo e mi sono anche preoccupato di rendere scintillante lo stemma del Team Plasma, Acromio invece si è rifugiato sul letto superiore per leggere così non ha aperto bocca e finalmente sono riuscito a godermi un po' di meritato riposo. Anche se il silenzio non regna sovrano, ma bisogna sapersi arrangiare nella vita.
La sera è calata velocemente sul carcere e la cena non è stata nemmeno un granché, la solita poltiglia dal colore grigiastro e dall'odore nauseante che le guardie ci rifilano, mi scoppiano i nervi nel sapere che la spacciano per cibo commestibile quando loro sono i primi a ingozzarsi di schifezze. Però evito di brontolare e passo la mia misera razione al mio compagno di cella, il quale sembra più bisognoso di cibo visto che è secco allampanato, domani mattina saprò soddisfare il mio stomaco così non toccherò più niente. Ormai faccio un solo pasto abbondante al giorno, almeno evito di ingrassare o di inghiottire schifezze simili.
Alla fine scoccano le sette di sera e il mondo mi crolla addosso appena vedo arrivare la sentinella, ho dimenticato che oggi è Domenica la giornata dedicata alla doccia. Per cui abbandono il mio piatto ancora pieno senza fare storie e, con l'aiuto del bastone, mi avvicino al corridoio dove gli altri Leader dei Team sono già pronti. Ogni fine settimana i tanti detenuti che sono chiusi qua dentro vengono divisi in gruppi di sei persone e spediti all'interno delle docce, così si possono lavare a loro piacimento ed evitano di puzzare come somari, per fortuna noi Boss abbiamo il privilegio di usarle per primi altrimenti i sanitari sarebbero stati scandalosi. Per non parlare dell'acqua, quella calda funziona solo per un breve lasso di tempo.

Condividere un attimo così intimo con altre cinque persone è veramente imbarazzante, specialmente per un individuo come me che ha il corpo in pessime condizioni, detesto da morire far vedere agli altri che il mio braccio sembra quasi il piumaggio di un corvo.
Però arrivato a destinazione evito di perdermi in chiacchiere, entro dentro al box doccia fatto in legno e appoggio il bastone in un angolo. A quel punto mi spoglio della vestaglia logora, poi mi levo il monocolo dall'occhio e finalmente apro il rubinetto.
Un getto caldo mi investe fin dal primo momento, mi sento quasi in paradiso.
Allora evito di osservare il caos che stanno combinando Ivan e Max, quei due si comportano più come due bambini dell'asilo che da uomini, e comincio a lavarmi velocemente. Non vedo l'ora di tornare dentro alla cella per infilarmi nel letto, sono talmente stanco che temo di crollare da un momento all'altro, in piedi oppure sdraiato.
«Vedo che le voci sul tuo braccio, allora, sono vere».
Roteo gli occhi verso il soffitto nel sentire quella voce, Giovanni. Di nuovo lui. Accidenti.
Proprio accanto al mio box si doveva mettere?
Maledetto bastardo, giuro che se mi innervosisce saprò sfruttare bene la punta del mio bastone.
«Cosa vuoi, adesso? Non ti è bastata la lezione che ti ho dato giorni fa? Vuoi forse il bis?».
«Hai vinto solo perché hai sfruttato il giocattolino che ha creato il tuo amico, Acromio me ne ha parlato».
Mi mordo il labbro dal nervoso, poi inizio a insaponarmi alla meglio il corpo. È un po' difficile visto che sono mezzo paralizzato, ma sono sicuro che ce la posso fare.
Acromio. Quel bastardo, questa me la paga cara.
«Anche tu hai la meglio sulle partite con le truffe, secondo te ero così fesso da non accorgermene? Io ti ho solo fatto assaggiare la tua stessa medicina, almeno capisci cosa si prova nel perdere qualcosa di veramente caro. Perdente».
«Sì, sì, certo. Comunque avevo voglia di parlare con te, due semplici chiacchiere. Siamo colleghi».
«Colleghi? No. Per le mani ho già Acromio e mi basta».
«Oh beh, ti volevo chiedere di fare coppia fissa con me qui dentro, sai quanti vermi possiamo schiacciare se diventiamo soci in affari?»
«Mi dispiace Giovanni, ma solamente una persona ha il diritto di essere il Re e il tuo turno ormai è finito».
A questo punto mi avvolgo dentro all'asciugamano che le guardie hanno lasciato a disposizione ed esco dal box insieme al bastone, avvicinandomi alle panchine in legno con l'intenzione di asciugarmi e vestirmi. Finalmente questa tortura è giunta al termine.
Non ne posso più.
Se è la guerra che Giovanni desidera, allora l'avrà.
Non vedo l'ora di mettere le mani sulla Pokéball di Hydreigon, così vedremo chi tra i due avrà la meglio.


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Capitolo 6
*** 6. Quantum sufficit [By Xavier] ***


6. Quantum Sufficit
6. Quantum Sufficit
By Xavier

dannatoacromio


Meno uno, niente male. Vedo l'idrotenente Alan venir portato dentro, ammanettato, nell'altra ala del carcere, ben lontano da Ivan che, gridando disperato il suo nome, si avvinghia alle sbarre della sua stanza come fosse un vero e proprio Octillery, le scuote con una tale forza da riuscir quasi a scardinarle, ma ecco che, sfinito da tutto quel furore, ci rinuncia e scivola sulle ginocchia, ansimando dalla prostrazione, e poi accorre Maxie a consolarlo, lo stesso Maxie che in questo momento mi lancia sguardi omicidi, che non mi intimidiscono per nulla; mi fanno così pena quei due! Mi ricordano esattamente due piccole cavie chiuse in gabbia, esauste dopo molteplici test ed esperimenti alle loro spalle, che tentano in tutti i modi di aprirsi un varco tra le inferriate, coi denti, con le unghie, con la violenza…. inutilmente. Ma non sanno che ancora il peggio deve arrivare, che non vi è modo di uscirne vivi e illesi dalle grinfie di uno scienziato dedito solo e soltanto al proprio lavoro, che non dà ascolto a nient'altro che non sia la propria ragione o il proprio scopo. Ebbene, da quando sono stato catturato anche io, assieme al mio ex capo, non faccio altro che collaborare con le autorità per ricevere uno sconto di pena e tornare al più presto in libertà. Ad insaputa di Ghecis, ho confessato loro ogni covo del team Plasma e a quest'ora tutti i seguaci saranno già stati braccati e presi. Vorrei tanto vedere la faccia di Ghecis, quando lo scoprirà! Non solo, sono anche riuscito ad ammaliare quel rozzo marinaio di Ivan con le mie belle parole e i miei gesti raffinati, è stato facilissimo, che persona scostumata e disgustosa, per delle piccole e frivole attenzioni di "un uomo galante e soave" come usava definirmi, ricorrendo ai più remoti meandri del suo dizionario, ha spifferato informazioni segretissime e importanti, come il nascondiglio del suo sottoposto; l'altra, Ada, è riuscita a mettersi in salvo appena in tempo. Mi è stato richiesto dal direttore di trovare informazioni anche sui rimanenti del team Magma, ho usato la stessa tecnica con Maxie ma non ha funzionato. Quell'ometto non pecca in astuzia certamente, ma il motivo della sua diffidenza risiede nel muro di rivalità che ha innalzato tra noi due. Evidentemente non sopporta la concorrenza di un nuovo "studioso sapientone" accanto, o ancora, molto più probabilmente, mi odia per il fatto che dal mio primo giorno Ivan non fa altro che venirmi dietro come un depravato, oh la gelosia, che sentimento sciocco e futile!

«Acromio! Dannazione! Sei diventato sordo? Acromio della malora!».
Ah, quel vecchiaccio vuole qualcosa di nuovo, non posso rilassarmi un momento. Mi volto verso di lui, poggiando la schiena alle sbarre:
«Ghecis? Dimmi pure, ti stavo ascoltando, mentre contemplavo quel quadretto patetico composto dai cattivoni di Hoenn…».
«Non mi interessa! Vieni subito qua, non riesco ad alzarmi, e una bastonata in testa non te la leva nessuno! Che sia la volta buona che tu ti morda quella lingua biforcuta!» cerco di non ridere, è troppo ridicolo quando sbraita, preda degli acciacchi della vecchiaia.
«Ghecis, se mi dici così io non mi avvicino. Le cose vanno chieste con una certa gentilezza, non sono il tuo valletto».
Digrigna i denti nervosamente e prova a calmarsi con un sospiro, una calma forzata e artificiosa, e mi rivolge nuovamente la parola:
«Acromio, dammi una mano a tirarmi su. Mi duole il femore, quest'oggi». Inizia a farmi seriamente pena anche lui adesso, e ancora non sa la bella sorpresina che gli ho preparato.
«Andiamo Ghecis, afferra la mia mano e tirati su». Lo aiuto a mettersi in piedi, nonostante la sua stazza non indifferente che raggiunge i due metri in altezza, e per motivi di sicurezza, rimango con lui mentre il resto degli altri detenuti va a fare colazione. Io mangerò dopo, e sceglierò personalmente cosa mangiare, una delle tante piccole comodità che spettano a chi collabora con la giustizia! Attendo pazientemente e finalmente le nostre guardie personali vengono a prelevarci. Le saluto cordialmente, solo per far arrabbiare Ghecis che continua a comportarsi in modo ostile verso tutti.
«Ma buongiorno! Mi auguro siano rimaste uova e pancetta questa mattina, sarebbero l'unica cosa capace di mettermi in moto stamani»
«Scienziato, ti stai prendendo troppe libertà, ti ricordiamo che sei pur sempre un detenuto accusato di crimini contro i Pokémon. Abbassa le tue aspettative».
Sospiro e mi becco anche uno scappellotto da Ghecis, mi massaggio il capo e taccio, il vecchio non deve sapere del traffico di informazioni. A sua insaputa veniamo portati direttamente in sala operatoria, senza passare dall'infermeria com'era solito avvenire. Leggo il disorientamento nei suoi occhi.
«Acromio, perché siamo qui? Non erano questi i patti! Che significa tutto ciò?». «Visita di routine, avanti non fare così, mettiti sul lettino e attendi pazientemente che i dottori…».
«
Figlio di un raticate! Oggi ti squarto!» è pronto a prendermi a bastonate, peccato che sia troppo lento e che intanto sia stato bloccato da ben cinque infermieri che tentano in tutti i modi di tenerlo a letto. Non l'ha presa bene il vecchiaccio, no no!
Me la svigno rapidamente e mi faccio scortare dal direttore, mi siedo alla scrivania di fronte a lui e lo ascolto, mentre consumo la mia deliziosa colazione al bacon. Non mi metto mai all'opera, se prima non mi danno il mio carburante.

«Scienziato, innanzitutto ti ringraziamo per la collaborazione, siamo già riusciti a stanare i restanti del team Plasma e un tenente degli Idro. Di questo passo, potresti addirittura meritarti gli arresti domiciliari».
«
Arresti domiciliari? Interessante. Ma non ho una residenza tutta mia, dove mi stiperete?».
«Spiraria. Avrai una residenza tutta tua, ma sarai costantemente sorvegliato e non potrai allontanarti dal raggio di un chilometro».
«
Interessante, ma non basta. Io voglio un laboratorio fornito delle più sofisticate attrezzature, dove poter continuare le mie ricerche..»
«
Avrai anche quello».
Rispondo con un ampio sorriso e mi scintillano gli occhi a quella frase! Finalmente potrò lavorare per me senza dar conto a nessuno, pagato e mantenuto, dedicarmi alla scienza per tutta la vita, non potrei chiedere di più.
«D'accordo direttore, sono a sua totale disposizione. Qual è il mio prossimo compito?».
«
Cyrus. Devi riuscire a scoprire che fine ha fatto il team Galassia, innanzitutto. Questo non basta però, lui è l'unico umano ad esser sopravvissuto al Mondo Distorto e vogliamo saperne qualcosa a riguardo. Pensi di esserne all'altezza, scienziato?» mi porge scartoffie e documenti riguardanti quell'uomo, mi metto a leggere il tutto con attenzione, so ben poco di Cyrus, ma scopro cose alquanto allettanti su di lui. Mi sta già simpatico, per il solo fatto che dicono sia privo di emozioni ma colmo di risorse ed intelligentissimo.

Sarà un piacere farlo cantare. Restituisco piatto e posate e mi alzo, sono proprio curioso di vedere come se la sta passando il mio vecchio. Varco la soglia della sala operatoria: sono da poco riusciti a sedare quel bestione, accanto a lui vi sono ben tre anestesisti pronti ad agire in caso di risveglio improvviso, un infermiere che gli tiene bloccate entrambe le gambe ed infine altri quattro chirurghi che si stanno occupando dell'operazione vera e propria. Indosso anche io uno di quei camici bianchi sopra alla divisa da carcerato e mi avvicino cautamente alla scena. Anche a me, durante degli esperimenti mal riusciti, capitava di dover amputare uno o più arti alle mie cavie, ma non sono mai sopravvissute all'intervento. Solo adesso ne capisco il motivo! I chirurghi hanno innanzitutto bloccato la circolazione sanguigna del braccio di Ghecis, passaggio che ho sempre sorvolato. Ah, ad averlo saputo mi sarei risparmiato ore ed ore di pulizia dei residui delle emorragie fatali di quei Pokémon ormai inutili. Ecco, adesso stanno procedendo al taglio vero e proprio a metà dell'omero, sarebbe un vero peccato se… uhm! Scaffali ricolmi di siringhe e flaconi di ogni tipo. Approfitto della loro distrazione e ne rubacchio qualcuno che finisce dritto nelle mie tasche, insieme a un bel bisturi.

«Posso tenermi il camice, non è vero? Mi fa sentire più sicuro..».
«Fa' che vuoi, ma adesso esci di qui, non vedi che siamo occupati?».
«
Oh, perdonate l'intrusione allora». Me ne esco dalla stanza e intanto noto con piacere che il trasferimento di cella è avvenuto: ora non sarò più con Ghecis, bensì con il comandante del team Galassia, per facilitarmi l'interrogatorio ma soprattutto per evitare la furia iraconda del vecchiaccio dopo questa sgradita "sorpresina". Era certo di poter recuperare la funzionalità del braccio tornando di nuovo da Kyurem, ma io ho convinto i medici che si trattasse di gangrena da curare il prima possibile e che quello che confabulava Ghecis era frutto della sua immaginazione e della vecchiaia.
Con puntualità impeccabile, mentre tutto il resto dei detenuti è ancora fuori a godersi l'oretta d'aria, Cyrus viene ricondotto in camera come avevo richiesto, onde evitare di render pubblico il mio operato. Eccolo lì, con la sua altezza imponente, spalle larghe e solide, fisico snello ma incredibilmente robusto, che presenta qualche accenno di affievolimento dovuto forse alla scarsezza di cibo che vige qui, e ciò mi lascia immaginare a quanto dovesse esser stato maestoso costui prima di finire dietro le sbarre! Ma ciò che più mi colpisce è il suo sguardo incredibilmente gelido che schizza per un istante su di me, mi scruta, mi contempla, mi analizza… e dopo aver raccolto informazioni nel giro di un secondo si abbassa e viene appena appena velato da un battito di palpebre, e così rimane, semichiuso, mentre placido egli si accomoda sul letto, accanto a me, e fissa il pavimento senza apparente motivazione. Ha le mani legate con una fune dietro la schiena, e questo non va bene! Avevo detto di lasciarlo libero, perché non mi danno ascolto? Non esito a sciogliergli il nodo e liberargli i polsi, segnati da escoriazioni cutanee, mentre noto che per un brevissimo istante la sue pupille si erano rivolte a me, segno evidente che diffida, di me.

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«Un uomo così alto e forte che fa il timido con questo misero quattrocchi? Su, non aver timore e guardami in faccia, se proprio devi. Non fai altro che spararmi occhiatine fugaci da quando sei entrato!». Mi alzo dal suo letto e inizio a camminargli davanti, su e giù, guardando per terra in modo da lasciarlo libero di studiarmi senza che si senta in soggezione. Non accenna ad aprir bocca, mi toccherà nuovamente rompere il ghiaccio. «Oh, perdonami, sono stato molto scortese a non presentarmi. Dunque, io sono Acromio, mente geniale dell'ormai sciolto team Plasma. Sono uno scienziato anche io, non penserai forse che questo camice ce l'abbia per bellezza? Anche!» sfoggio un sorriso per smorzare la tensione, un sorriso che lascia il tempo che trova. «Sei più laconico di quanto pensassi. Vuoi che sia io per primo a parlare, e ti dirò subito che nutro profonda stima per te! La storia delle tue eroiche gesta è giunta anche ad Unima, addirittura il grande Ghecis ti teme! Sai che onore e che fama? Adesso devi dirmi come hai fatto a costruire la rossocatena, forse non uscirò mai fuori di qui, non avrò mai la possibilità di farne una tutta per me, ma ti sarei infinitamente grato se mi svelassi il procedimento». A quel punto mi blocco esattamente di fronte a lui e mi chino, alzandogli il mento con un dito per metterlo faccia a faccia con me. Ci ammiriamo intensamente per un tempo indeterminato, troppo concentrati l'uno nel carpire le intenzioni dell'altro, due, tre, quattro battiti di ciglia, Cyrus rimane impassibile, inizio seriamente a sospettare che abbia, come dicono, qualche problema psicologico dovuto al trauma. No! Non può essere così, sta solo recitando, esperto com'è a nascondere ogni tipo di emozione. Mi sento quasi a disagio in questa situazione, sotto scacco, non otterrò nulla se continuerà a fingere, e continuerà a farlo! Sono disposto a tutto pur di raggiungere i miei obiettivi, e questo caso non rappresenta per alcun motivo un'eccezione alla regola. Lo afferro con una certa determinazione per la mandibola e mi avvicino ancor di più a lui, prima piano, poi con uno scatto rapido e impercettibile finalmente le nostre labbra s'intersecano in una sorta di violento bacio, le mie palpebre automaticamente si serrano. L'azione è celere, percepisco appena la bocca di Cyrus schiudersi in un sussulto e allontanarsi di qualche millimetro dalla mia, sento il suo fiato spezzarsi sul mio e i suoi occhi puntati su di me. Questo non mi basta, la mia mano sulla sua mascella è ancora ben salda, lo avvicino per la seconda volta senza che lui opponga resistenza, scosso com'è dal mio comportamento, e trovo le sue labbra ancora semiaperte ad accogliere le mie. Sta ansimando, la sua lingua tremola e indietreggia per evitare il contatto con la mia. Mi va bene così. Lo mollo immediatamente tornando in posizione eretta e lui riprende a respirare rumorosamente, lasciando piombare la testa verso il basso per non farsi vedere in quella condizione. Ritorno seduto accanto a lui e scorgo sulle sue gote e sui suoi zigomi un lieve rossore in contrasto alla sua candida pelle, chiara conseguenza di un certo imbarazzo. Sono soddisfatto al 50%, questo azzardo mi era necessario per capire se effettivamente fosse privo di emozioni e coscienza, in modo da evitare un interrogatorio che sarebbe terminato con un buco nell'acqua. Non gli dò neanche il tempo di realizzare il tutto e riprendersi, che la mia mano gelida scorre lungo il suo collo, traccia il contorno dello sternocleidomastoideo fino a raggiungere il punto esatto in cui si sente pulsare l'arteria (eccome se pulsa!) ed infine con l'altra gli conficco l'ago della siringa, iniettandogli una buona dose di lorazepam rubato in precedenza che lo terrà tranquillo e quieto per un bel po'. Lorazepam! Che sedativo eccezionale. Veloce e duraturo, una sola boccetta calmerebbe anche un Bouffalant infuriato. Ecco che la mano incerta di Cyrus si allunga fremendo verso la puntura, gliela afferro accarezzandone il dorso col pollice e la rimetto come prima, posata sulla sua coscia. «Non è niente, non ti ho avvelenato. Ti ho solo somministrato un calmante, voglio assicurarmi che tu non sia arrabbiato con me e non voglia vendicarti. Certo che no! Perché mai? Non dirmi che era il tuo primo bacio quello..!». La sua respirazione torna normale, poggia i gomiti alle ginocchia e si regge la testa, segno dell'effetto imminente del farmaco. «Chi tace annuisce. Il mio sarà il primo e l'ultimo bacio che ricevi, se adesso non collabori. Non penserai certo che ti abbia sedato per farti dormire, hm?». Scuote il capo indolenzito e poggia una mano sul bordo del letto, quindi con le buone lo faccio accomodare sul giaciglio, gli afferro le caviglie e gli distendo anche le gambe sul materasso, la comodità è tutto. «Adesso va meglio, vero? Vedi di non lasciarti cadere tra le braccia di Morfeo, o sarò costretto a destarti bruscamente. Fatta questa premessa, adesso risponderai a tutte le mie domande. Dovresti ben sapere che la curiosità per uno scienziato è tutto, quindi non hai speranza di sfuggirmi. Primo quesito! Come hai costruito la Rossocatena?». Mi allontano da lui e vado a controllare l'orario, ho ancora 55 minuti prima del ritorno degli altri detenuti. «Allora? Hai avuto parecchio per pensare, esigo una risposta». Poggio le mani sullo schienale del lettino e lo fisso, mentre si copre la visuale con un polso, infastidito dalla luce. «Cyrus, non è il momento di dormire. Se collaborerai ti lascerò in pace, mi sembrano chiari i patti». Che abbia abbondato con la dose? Improbabile, il suo corpo dovrebbe essere in grado di reggere, ma non si sa mai. Faccio il giro e salgo sul materasso, sprofondando seduto a cavalcioni sul suo ventre, facendolo trasalire di colpo.


«
Oggi ho proprio la testa tra le nuvole! Ho dimenticato di dirti una cosa importantissima. Ascolta, ho fatto occasionalmente disattivare la telecamera della tua stanza, quindi per ancora 50 minuti potrai comportarti normalmente senza che nessuno si accorga di te. Avanti, è la tua occasione! Là fuori pensano tutti che tu sia psicopatico, non sarò certo io a rovinarti la reputazione». Si stropiccia gli occhi, ormai appannati da un sonno incombente, arrossati e lacrimanti e tenta con le forzute mani di spodestarmi dalla mia posizione, ma non mi ci vuole nulla a bloccargli i polsi per rimetterlo in riga, indebolito com'è. Ma forse ha ragione, sono seduto sul suo stomaco e ciò gli dà fastidio. Scivolo un po' più dietro e, stufo di attendere, estraggo dalla tasca del mio camice l'affilatissimo bisturi della sala operatoria, puntandoglielo esattamente sullo sterno. «Sai, il fatto che non ci sia sorveglianza è un'arma a doppio taglio. Non vedono te, ma neppure me, e quindi sono libero di agire coi metodi meno ortodossi. Non ti metterai a gridare, certamente, non è da te.» Contrae gli addominali, forse tenta di alzarsi, ma si trova stretto nella morsa delle mie gambe e abbandona l'idea di sollevarsi. «Lascia stare la Rossocatena, parliamo di qualcosa di più importante. Ah, e guai a te se provi a temporeggiare!» per fargli capire che faccio sul serio, infilzo la lametta sotto il pettorale sinistro, tracciandone tutto l'arco di contorno, lasciando che un piccolo rivolo di sangue prenda a sgorgare. «Ora quello che ha fretta non sono più io, ma sei tu. E se muori, dico che ti sei suicidato e mi crederanno. Non se ne fanno nulla del tuo corpo, non hai parenti, non hai amici, nessuno verrà a reclamare la salma o a sporgere denuncia verso la struttura. Hm? Ora che ci penso, solo soletto non sei. Gli altri comandanti del Team Galassia? Loro dove sono, adesso?». Lascio il bisturi conficcato nella sua carne e osservo il suo viso contrarsi in uno sbuffo di sofferenza. Potrà anche essere immune alle emozioni, ma non al dolore fisico. «Cyrus allora? Non vorrai porre fine alla tua splendida esistenza qui e oggi! Voglio sapere che fine hanno fatto i tuoi colleghi, m'interessa e forse so come contattarli. A loro certamente importerà di te, farebbero di tutto per venirti a prendere».

Attendo ed estraggo la lama, un piccolo fiotto di sangue m'insozza la divisa, incrocio le braccia al petto e aspetto. Non pare importargliene molto del suo futuro, tanto meno dei suoi collaboratori, devo far leva su qualcos'altro. «Sai, ho iniziato la mia carriera di scienziato come biologo. Avevo scoperto questa mia passione vivisezionando piccoli e docili Pokémon nel mio laboratorio improvvisato nel garage di casa. Non disponevo di sedativi chimici, quindi mi limitavo a inchiodare i loro arti ad un pannello ligneo. Pensavo, oggi potrei improvvisamente appassionarmi all'anatomia umana! Non ho mai riservato lo stesso trattamento ad un umano, ti andrebbe di essere il primo?» sfoggio un sorriso tra i più maliziosi e freddi, ma non noto nessuna reazione in lui. Stiamo perdendo troppo tempo, con un veloce fendente gli procuro una lacerazione diagonale lungo tutta la palpebra e parte dello zigomo, destando di nuovo la sua attenzione. «Con te non sarebbe divertente una cosa simile, non emetteresti un singolo gemito. O forse mi sbaglio? Le urla di dolore sono musica per le mie orecchie!». Faccio roteare davanti ai suoi occhi il coltellino, le sue pupille spalancate seguono ogni mio movimento con evidente terrore, è prossimo a confessare?

acromiodellamalora

Invano muove confusamente la mano sinistra per togliersi l'arnese davanti, ma la mia è più veloce e ne approfitto per infliggergli altri taglietti sul viso e sulle mani. Adesso basta giocare, glielo punto esattamente sulla trachea lasciando scivolare il gelido fil di lama sul pomo d'Adamo, senza infierire, quanto basta per tenerlo in guardia. «Perché ti opponi in questa maniera? Disprezzi davvero la tua vita? Genitori assenti, infanzia difficile, forse anche abusi in famiglia… è quel che dicono, è per questo che sei così? Avanti parla!» sono incerto che la tortura psicologica funzioni con un soggetto simile, ma tentare non mi costa nulla, il tempo stringe e non ho ancora ottenuto niente di tutte le cose che voglio sapere. «Forse si sbagliano. Forse la caduta nel Mondo Distorto ti ha rimbambito, penserei davvero che tu sia un rimbambito se solo non ci fosse quella perfetta architettura di specchi sull'architrave che da qui riesco a vedere. Ingegnoso, davvero ingegnoso. Tranquillo, non dirò nulla di tutto questo, nessuno sa niente. Piuttosto, adesso hai risvegliato un'altra mia curiosità. Com'è il Mondo Distorto? Cosa c'è laggiù? Buio? Antimateria? Assenza di tempo?».
Scosto il bisturi e lo passo, leggermente premuto, lungo tutti i suoi pettorali marmorei, gli addominali, i fianchi e il costato, tracciando circonferenze e linee che ben presto si vivificano di rosso scarlatto e, ordinate e lente, si riversano cremisi sulla sua pelle eburnea, irrorando ogni solco, ogni fessura, ogni incavo, mischiandosi le une nelle altre, ribollendo di fredda vitalità e terminando il corso in tante piccole cascate che si riversano sul candido lenzuolo. L'uomo inizia a tremare sotto di me, ma non si agita per evitare che il battito cardiaco aumenti e perda più sangue.
Mancano solo 10 minuti al ritorno degli altri, non posso lasciare le cose così. «E va bene Cyrus, sei stato più bravo di me. Non sono riuscito ad estorcerti niente, neppure coi mezzi più illeciti. Questo è un vero peccato collega, sai perché? I superiori hanno detto che vogliono disfarsi di te, che tu non servi in queste condizioni. Sei solo un peso inutile e le spese per uno psichiatra costerebbero troppo e sarebbero di esito incerto. Era la tua ultima chance quella di collaborare con me, oggi stesso decideranno quando e come condannarti a morte. Se nel frattempo non muori dissanguato, ovviamente. Ma dovresti resistere, non ti ho reciso alcuna vena». Sfogo tutta la mia frustrazione per non esser riuscito nella mia missione con una sguaiata risata di sadismo, fissandolo trucemente da dietro le lenti dei miei occhiali: «Speravi di poter scappare, vero? Carino il tuo piano, ammiro la tua atarassia, ma non sempre la pazienza è la virtù dei forti. Ci rivedremo all'inferno!». Non mi era mai successo che qualcuno rimanesse zitto sotto le mie torture, ottengo sempre quello che voglio e proprio per questo sono uno scienziato ricercatissimo, l'idea che una cavia non abbia ceduto mi sconforta parecchio, sebbene Cyrus non sia una cavia qualunque. Con entrambe le mani gli serro la gola in una morsa e inizio a stringere… Stringo, stringo, premo i miei polpastrelli sui suoi nervi, tendini e muscoli, mentre le mie gambe gli immobilizzano il busto e le braccia distese lungo esso. Spalanca finalmente le palpebre in un'espressione terribile, glaciale, non più apatica e vacua come prima, riesco quasi a percepire i suoi pensieri attraverso quelle iridi così squisitamente cerulee e delicate da farmici perdere! Basterebbe fermarsi un attimo a contemplarlo per venire irrimediabilmente affascinati dall'aura di imponenza e solennità che emana, che sia questo il segreto di tanta adesione al Team Galassia? In questo momento uno dei suoi occhi è rigato dalla sferzata di prima e la sclera s'è tinta di porpora, fiammeggia, rendendo maledettamente più viva e concreta tutta l'ira e la vendetta che sta covando dentro nei miei confronti. Vorrebbe, gli piacerebbe potermi uccidere, e l'idea che non possa farlo mi aggrada come poche cose in questo mondo. Inizia a non ricevere abbastanza ossigeno, il suo fisico freme e finalmente apre anche quelle belle labbra sottili e armoniose alla ricerca di più aria. Ansima, singhiozza, soffoca gemiti nel profondo della trachea che adesso riesco quasi a sentire sotto la mia pelle, attendo che stia quasi per perdere i sensi e allento la presa, piano, gradualmente, dandogli appena il tempo di calmarsi e, a quel punto, alla sua prima distrazione, mi precipito sulle sue irresistibili labbra, assaporandole con avidità e malizia quasi fossero di mia proprietà. La sua fiacchezza gli impedisce di reagire e l'occasione fa l'uomo ladro, non mi accontento e m'impossesso anche della sua bocca ammaliante dal piacevole sapore di cacao, dei lembi, delle guance, degli zigomi irsuti e appuntiti, della fronte e delle palpebre, che lambisco bramosamente togliendo via ogni goccia del suo prezioso sangue dal sapore divinamente metallico.

Negligo momentaneamente lo scorrere del tempo, percependo un altro tipo di scorrere, quello delle mani di Cyrus sui miei fianchi, un tocco spasmodico, confuso, palpitante, ma estremamente piacevole e delicato. Lo lascerei fare per tutto il raggio di durata del Lorazepam, ma la campanella che indica il termine dell'ora d'aria è appena squillata e, anzi, sono anche in un certo ritardo. Balzo giù dall'uomo e mi prendo la briga di coprirlo fin sopra la testa con il lenzuolo, per permettergli di dormire e soprattutto di non esser visto dagli altri, e con "altri" intendo specialmente Maxie. Cyrus è la MIA cavia e solo io posso occuparmi di lui. Mi appendo alle sbarre e richiamo l'attenzione di una guardia, dalla quale mi faccio scortare nella camera del direttore per fare rapporto.

«Sono immensamente desolato dell'insuccesso. Temo di necessitare di qualche giorno in più per ottenere qualche risultato».

«Ancora niente? Hai avuto un'ora abbondante. Dunque sentiamo, sei riuscito almeno a farlo parlare, anche solo una parola?».

Digrigno i denti quasi a sorridere, in realtà non sto facendo altro che celare la mia frustrazione: «Nessuna parola. Ma gli occhi, i suoi occhi, comunicano più di mille parole. Comunicano la pazzia latente che lo divora, giorno dopo giorno, la totale assenza di ogni sentimento umano, l'atarassia da ogni emozione. Cyrus è un corpo senz'anima, direttore, le chiedo una cortesia. Qualora riuscissi a dimostrarle che è incapace di intendere e di volere, lei me lo lascerebbe per alcuni… esperimenti?». «Cosa? Che genere di esperimenti? Sai che va contro i diritti umani fare questo genere di cose, non posso concederti un permesso simile».

«Niente di crudele o disumano, direttore. Dai documenti risulta che dall'arrivo di Cyrus in questa struttura mai nessuno si è recato a fargli visita. Deduco che non abbia famigliari, ergo nessuno verrà a sapere niente e la reputazione del carcere rimarrà al sicuro. Allora, me lo concede?» lo fisso intensamente con fare docile e mite, sperando in un consenso che ben presto arriva. Mi alzo trionfante dalla scrivania e seguo una sentinella che mi conduce in una stanza sotterranea del carcere: una sala enorme, illuminata da potentissimi neon pensili, pavimento lucidissimo e riflettente, file e file di scaffali metallici contenenti miriadi di strumenti interessanti e altrettanti tavoli da autopsia con tutte le attrezzature necessarie. Sarà qui, il luogo del prossimo "colloquio". Mi precipito, con la gioia di un bambino, verso un microscopio elettronico di nuovissima generazione, capace di ingrandire di sei milione di volte un minuscolo frammento in osservazione. Mi trovo talmente a mio agio che rimarrò qui fino al termine della giornata.


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Capitolo 7
*** 7. Be here again [By Lily] ***


7. Be here again
7. Be here again
By Lily




archiebald






Il mio amico.
Il mio migliore amico.
È stata tutta colpa mia se Alan è finito dietro alle sbarre da circa una settimana, non dovevo rivelare quelle informazioni segrete ad Acromio, mi sono comportato da verme e adesso devo pagarne le conseguenze. Sono giorni che Max non mi rivolge più la parola o cerca di evitarmi, evidentemente è stato abbastanza in gamba da capire ciò che è successo con il secondo scienziato. Volevo comunque consumare un rapporto con un altro uomo, non posso biasimarlo.
In questo istante è in vigore l’ora d’aria e sono seduto su una sedia diroccata, alle spalle ho le mura del carcere e sono abbastanza lontano dal resto dei detenuti, ho deciso che un drastico isolamento mi sarà utile se voglio trovare un modo per rimediare ai guai. Ma sono dell’idea di procedere a passo lento, l’ultimo con cui tornerò a parlare sarà sicuramente Max.
Il mio Max.
Nemmeno oggi è uscito dall’edificio per passeggiare lungo il cortile, resta dentro alla cella per controllare Cyrus.
Cyrus, sì, quel maledetto vegetale dalla chioma azzurra. Abbiamo saputo dalle sentinelle che quel bastardo, non appena è rimasto da solo, ha provato a auto infliggersi delle ferite e nessuno è in grado di spiegare bene le dinamiche dell’incidente. Solamente Max è così preoccupato per lui che non è in grado di accettare la storia dell’autolesionismo, sta puntando i nastri della video sorveglianza come un cane da tartufo e, se continua di questo passo, le guardie lo puniranno e io non potrò fare nulla per fermarle.
Dannazione.
Anche questa non ci voleva.
È passato poco tempo dall’inizio della pausa giornaliera, però questi mille pensieri sono già riusciti a farmi venire il mal di testa. Per cui ho afferrato l’unica sigaretta che tenevo nascosta, è un miracolo se non si è spezzata dentro al taschino della tunica, l’ho accesa con un gesto veloce della mano e ho guardato il panorama ostile che offre il cortile. Ho notato subito la figura imponente di Ghecis. Sta zoppicando verso la mia direzione e a malapena si regge in piedi, non ha più la faccia temibile con la quale si è presentato, sembra più un anziano bisognoso di cure e attenzioni. È rimasto solo come me, forse sono l’unico qua che lo capisce veramente.
«Posso…?».
Questo è stato il suo unico commento, vuole sedersi.
«Certo, certo, fai pure Ghecis» la mia risposta è stata piuttosto chiara, quindi ho liberato il posto senza esitare.
«Grazie».
E poi si è accomodato con dei movimenti molto goffi, ha sbuffato per trattenere un’imprecazione e si è messo a guardare il carcere. Il silenzio è scivolato tra di noi. Inutile dire che l’ho spiato per diversi minuti, devo ammettere che non voglio invecchiare in quel modo.
«Cosa hai da guardare, Ivan?»
«Niente, niente, ero solo perso nei pensieri»
«La pianti di ripetere sempre le stesse parole? Sembri un disco rotto»
«Scusa»
«Non fa niente, pare che parlare in questo modo sia molto comune tra voi del Team Idro. Ho avuto modo di conoscere il tuo amico, non ricordo come si chiama, ma anche lui non è il tipo che brilla con il lessico. Faccio ancora fatica a comprenderlo, sono sincero».
Sono rimasto spiazzato dalle sue parole, talmente tanto che mi è caduta la sigaretta dalle labbra: davvero Ghecis si è messo a parlare con Alan? E in quale circostanza? Impossibile. Non riesco a credere che sia vero. Come mai tutti questi cambiamenti? Cosa sta succedendo?
«Tu hai parlato con Alan?»
«Sì, il giorno in cui è arrivato. Non guardarmi in quel modo Ivan, non sono stato io che l’ho cercato»
«Ah, davvero?»
«Esatto. Avevo finito l’operazione quando mi hanno concesso l’ora d’aria, alcuni carcerati volevano approfittare della mia nuova condizione, ma lui è riuscito a farsi rispettare. Sembra che il tuo amico detesti la prepotenza».
Adesso la situazione è davvero più chiara, conosco benissimo Alan e in fin dei conti è sempre stato il tipo pronto a difendere i più deboli, per cui lo stupore è già passato. Non è un caso se ha cominciato ad allenarsi con una frequenza assurda, voleva essere abbastanza forte da proteggere le Reclute del Team, Ada e me.
«Alan ha avuto i suoi motivi per prendere le tue difese Ghecis, grande e grosso com’è poteva farsi rispettare anche senza alzare un solo dito. Non è difficile spiaccicare quella mandria di acciughette salate, specialmente se si è provvisti di muscoli come i suoi».
Non potevo descriverlo con parole migliori il mio fedele idro tenente e, per un solo attimo, i miei occhi sono scivolati sul resto cortile, da qui riesco a identificarlo benissimo. È vicino alla recinzione che separa gli uomini dalle donne, ovviamente sfrutta l’assenza della maglia per mettere in mostra i pettorali. Non è un caso se oggi molte donne sono vicine alla zona degli uomini, di solito le femmine snobbano tutti.
Maledetto farfallone, è disposto a vendersi la madre pur di attirare l’attenzione.
«Ne sono consapevole, Ivan». La mia realtà è appena tornata da Ghecis, mi domando se anche lui ha notato l’atmosfera che si è creata a pochi passi da noi: «Mi chiedo come mai non sei andato a salutarlo, sono giorni che ripete a tutti il tuo nome. Ti sta cercando».
Ecco che iniziano le famose note dolenti e sono insicuro se aprire o no la bocca, sapevo che prima o poi il discorso avrebbe avuto una svolta del genere. Devo forse prendere la palla al balzo e liberarmi? Oppure diffidare? Ghecis è comunque il collega di Acromio, quel bastardo dalle buone maniere. Però di recente ho notato che è rimasto solo, è pure riuscito a crearsi un discorso con Alan, forse devo procedere con estrema calma. Non è il momento adatto per commettere altri errori.
«Dubito che mi tratterà come un fratello, dopo quello che è successo»
«Cosa hai combinato, Ivan?»
«Il tuo amichetto non te ne ha parlato, Ghecis? Si è avvicinato a me solo per farmi canticchiare, poi da buon canarino è andato a riferire tutto alle autorità. Se Alan si trova qui dentro, è solo colpa mia»
«Canarino, hai detto?»
«Sì canarino, hai capito bene Ghecis. Oltre al Leader dei Magma era l’unico ad avere delle informazioni riguardo al rifugio, e Max non è così subdolo per fare del male a qualcuno»
«Non ti giudico per ciò che hai fatto Ivan, però ti sarei grato se tu mi ascoltassi»
«Certo Ghecis, dimmi tutto»
«Conosco fin troppo bene quella dannata faina, ormai è chiaro che sta piantando discordia solo per ottenere qualcosa. Per cui noi Leader dobbiamo cercare di eliminarlo, non possiamo lasciare che si muova indisturbato».
Ghecis non aveva tutti i torti per questo ho promesso di schierarmi dalla sua parte, in effetti solo con un’alleanza ferrea si può combattere un nemico simile. Ma come? Non è un progetto facile da realizzare. Assolutamente.
Giovanni non ha alcun legame amichevole con Ghecis, sono sempre sul punto di farsi la guerra. Max e io siamo separati da un litigio bello tosto, mai ha tenuto il muso per più di una settimana. E Cyrus…Beh… Lui è il primo soggetto su cui non farei mai affidamento, quindi l’ho eliminato immediatamente dalla lista. È evidente che si tratta di un tipo mentalmente instabile, potrebbe reagire in modo negativo al primo accenno di stress, non voglio mettere in pericolo la vita degli altri. Specialmente quella di Max. Se parlassi con il rosso forse lo prenderebbe con le buone maniere, ma la fortuna non gira dalla nostra parte.
Almeno non per ciò che vogliamo realizzare.
Accidenti.




«Senti male Ivan?»
Questa è stata l’unica domanda che mi ha posto Gerardo nell’ultimo quarto d’ora, si tratta di un grande amico che ho “conosciuto” durante i lavori forzati, ma in realtà la prima volta che l’ho incontrato prestavo servizio come Recluta Rocket, ero molto giovane a quei tempi e lui era un ventenne dagli occhi scuri che non parlava molto, a stento si è aperto con me, ma già allora lo vedevano come un ottimo scassinatore. Quelle mani sono magiche, veloci e dalle dita snelle, infallibili ogni volta che le usa per mettersi all’opera seriamente.
Devo ammettere che è stato bello notare il suo cambiamento, però mi si stringe il cuore nel sapere che dovrà passare anni dentro a questo maledetto carcere.
La sua condizione familiare è un po’ triste, ma questo non è il momento giusto per ricordarla. Troppo dolore a causa dell’ago, maledizione.
Cercando di nascondere il nostro passato, mentre si parlava di interessi che avevamo in comune, all’improvviso quel moretto mi ha proposto di farmi un tatuaggio ed io ho accettato senza esitare, è anche il più esperto in circolazione quindi la fiducia è molta per lui. Ovviamente non ho raccontato niente a Max, lui odia talmente tanto questo genere di cose, che avrebbe fatto un discorso lungo e ben pianificato per farmi rinunciare all’impresa.
Ma dare retta al rosso è solo un optional per il sesso, adesso che siamo in lite sono sicuro che passeranno mesi prima del prossimo bacio, per cui ho afferrato la palla al balzo e mi sono fatto rinchiudere nella cella del mio amico. Sono adorabili le sentinelle quando sei uno scagnozzo di Giovanni, ti permettono di fare cioè che preferisci solo perché nomini il suo nome. Naturalmente ho sfruttato i servigi dati in precedenza, nessuno è a conoscenza del piano che metterò in piedi insieme a Ghecis. Ancora dobbiamo discuterne nei minimi dettagli, perciò mi reputo dalla parte del buon vecchio boss.
In questo momento sono circondato da ben cinque detenuti, in realtà sono i compagni di cella di Gerardo e non possono stare altrove, percepisco un dolore immenso e mi sto consolando con una sigaretta che ho scroccato. Ma sono pronto a sopportare questo malessere, visto che sul braccio sinistro avrò una bellissima ancora circondata dal corpo maestoso di un Gyarados. Potente Pokémon degli abissi, talmente feroce che non ho mai avuto il coraggio di allenarne uno.
Guarda caso Cyrus ne tiene uno in squadra, è veramente pazzo quell’uomo.
«No, non sento male. Vai pure avanti».
Ho mentito, ho mentito spudoratamente.
«D’accordo Ivan».
Ha borbottato lui, evidentemente la mia espressione mi ha tradito, poi dai cinque carcerati sono venuti fuori commenti sulla sua opera d’arte. La stanno apprezzando e ciò mi rende veramente felice, sapevo di poter contare su quest’amico.
Chissà se anche Max lo vedrà di buon occhio. Penso proprio che dovrò prepararmi a una bella ramanzina, ma cosa ci posso fare? Resto comunque uno spirito libero.


Finalmente la tortura è giunta al termine, Gerardo ci ha messo veramente poco ma ha detto che domani dovrò passare da lui per ulteriori ritocchi, però per ora posso tornare nella mia cella e sono felice. Mi considero un vero galeotto, adesso. Ma non è il momento adatto di festeggiare o esultare, anche perché sono tornato nel mio spazio e sento lo sguardo di Max addosso.
L’ho ignorato completamente, poi sono sprofondato tra le coperte ruvide del letto. Voglio riposarmi e basta, è stata una giornata molto faticosa per me.
«Dove sei stato, Ivan?».
Oh, finalmente la principessa si è decisa a rivolgermi la parola.
«Da quando sei diventato mia madre Maxie? Fatti gli affari tuoi, per una volta»
Ho borbottato senza calibrare la cattiveria, poi mi sono acceso una sigaretta sotto ai suoi occhi. Voglio dargli filo da torcere, ancora non si è capito?
«Con che coraggio mi parli in questo modo, Ivan? Non sei nella posizione giusta per essere arrabbiato, sei tu quello che ha sbagliato da principio. Dovresti solo vergognarti»
«Vergognarmi, io?!».
Sono sul punto di mettermi a urlare dalla rabbia, però sono riuscito ad alzarmi senza perdere le staffe. Almeno non del tutto. Ho fatto un tiro alla sigaretta, poi gli ho sbuffato del fumo sul viso.
Al diavolo le carinerie, al diavolo il tatuaggio. Al diavolo tutto. Ormai ne ho fin sopra ai capelli di questa storia, non mi interessa più la sua reazione. Sono abbastanza uomo da decidere ciò che è meglio per me, non posso passare la mia esistenza sotto la sua influenza:
«Sei tu quello che ha cominciato a stare dietro a quel cavolo di nerd, lo capisco che lo stai facendo per ripicca. Mi credi forse idiota?!»
«No, non ti credo idiota Ivan. Lo sei e basta, vedo che la natura non è stata molto gentile con te. Ti ha donato dei muscoli, ma vedo che non si è sforzata per crearti un cervello e…
No, quello che hai in mezzo alle gambe, di certo non lo è
».
E poi si è sistemato gli occhiali, non ha trattenuto il suo solito sorrisetto beffardo. Odioso. Infame.
Sono persuaso dalla voglia di spaccargli il viso con un solo pugno, non si scherza con il Leader del Team Idro, ma non voglio attirare l’attenzione delle guardie e mettere entrambi nei guai.
«Pensi che dicendo così mi ferisci, Maxie? Sono anni che me lo ripeti, ormai ci sono abituato».
«Forse perché lo sei, ecco perché ti sei abituato. Passi il tempo a preoccuparti solamente di te stesso, di come ti manca il tuo bel mare e a soddisfare le tue malsane voglie. Hai condannato un tuo amico a una sorte come la nostra, e per cosa? Per una sveltina con uno scienziato.
Se prima provavo un briciolo di stima per te, se prima pensavo che fossi almeno una brava persona, adesso sono sicuro che mi sbagliavo sul tuo conto e che non ci si può proprio fidare di te
».
Sento che il battito cardiaco è accelerato, il sangue scorre velocemente nelle vene e la rabbia, mista a un po’ di disprezzo, ha preso il sopravvento sulla mia ragione. Una bestia, ecco in cosa mi sono trasformato.
Ho afferrato il nerd per il colletto della divisa a strisce, poi l’ho avvicinato ai miei occhi per poterlo scrutare, inutile dire che l’ho scosso con un movimento poco galante. Mi sento cattivo in questo momento, in collera con l’intero mondo.
Le iridi di Max sono a stretto contatto con le mie, sono in grado di percepire la sua paura, quell’odore inconfondibile ha penetrato di netto le mie narici. È quasi piacevole, a dirla tutta.
Ma è mai possibile che non sono in grado di costruire un discorso, di trovare le parole adatte per ferirlo emotivamente? Devo veramente ricorrere alla violenza?
Non mi sento all’altezza di fargli del male, è solamente andato a toccare un argomento ormai noto a chiunque, prima o poi doveva arrivare la batosta della verità.
Io lo amo.
E lui si è innamorato di un verme.
Perciò lo lascio andare e mi porto alla sigaretta alle labbra, mi dedico a un profondo tiro mentre lui è già crollato in terra, sta tremando come una foglia e mi sta guardando. Forse si sta facendo alcune idee sulla mia prossima mossa, magari starà cercando di indorarsi la pillola per conto suo, però non ho alcuna intenzione di parlargli.
Non adesso. Mai più, credo.
Non sono ciò che mi aspettavo di essere, ciò che poteva accompagnarlo durante il corso della vita. Mi sono illuso, semplicemente.
Credevo di essere abbastanza forte, capace, intelligente fino al punto giusto.
Ma quelli erano inutili castelli di sabbia che ho costruito durante la prigionia, evidentemente mi aggrappavo a quel corpo esile perché non avevo altre consolazioni, infatti è bastata una piccola scossa di terremoto che i nostri progetti sono andati a terra.
Chissà se è questo il momento adatto per dirci addio, se la magia di quegli attimi di puro amore è andata persa, magari devo uscire dalla sua vita per non causargli altri dolori in futuro.
Forse soffrirà, ma sono sicuro che tutto passerà.
Più in fretta di quello che immagino.
Ormai è inutile continuare a essere la sua ombra.
«Ivan…»
Ha mormorato Max all’improvviso, la sua voce trema ma è già in piedi.
Mi giro per poterlo osservare con indifferenza, sbuffo il fumo dalle narici, poi mi attacco nuovamente al filtro marroncino della sigaretta. L’amore è veramente uno schifo, a qualsiasi età.
«Vedo che ti sei fatto un tatuaggio…» ha sussurrato allora, evidentemente vuole cambiare discorso, poi ha accarezzato la pelle olivastra attorno allo schizzo. «Sei un vero idiota, lo sai? L’inchiostro che viene usato nel carcere è dannoso, potresti fare la stessa fine di Ghecis e…»
«Max, non ha importanza».
L’ho fermato subito, basta parlare, non me la sento. Sono stanco per la miseria.
Ancora non ha intuito che è finita?
Maledizione Max, sei proprio un ragazzino.





Non c’è voluto molto per separarsi da Max, è bastato avvicinarsi alle guardie per chiedere un trasferimento.
Me l’hanno concesso, fortunatamente, ho afferrato l’attimo più giusto.
Adesso ho Ghecis come “coinquilino” e devo ammettere che non è poi così male, alcune volte lo sento che mi chiama per ricevere un aiuto fisico, è talmente anziano che non è in grado nemmeno di alzarsi dal letto. Pover’uomo, rimanere senza un braccio a un’età così avanzata.
Non lo invidio per niente.
Per il resto è molto silenzioso, è raro udire la sua voce. Il fatto che ancora non abbia accennato al piano mi fa innervosire, ma sono dell’idea che stia aspettando il momento giusto per farlo, evidentemente qualcosa di losco frulla in quella mente malvagia.
Ma io non sono in vena di chiacchierare, questi attimi di silenzio mi saranno utili per riprendermi dalla batosta, infatti scendo sempre meno dalla brandina fissa alla parete. Almeno qui posso stare in alto, fin da bambino avevo il letto a soppalco, mi piace da morire.
Dalla finestra di questa stanzetta è impossibile vedere il mare, si nota solamente la sabbia che ricopre il cortile destinato all’ora d’aria, piatta, noiosa e silenziosa. Odio la terra!
Prima Max, poi il mare.
Non ho più niente per le mani, ma è ciò che mi merito.
Mi domando a cosa stia pensando Max, evidentemente dalla separazione ha capito che è finita, ho preferito lasciare spazio ai gesti e non alle parole.
Se solo riuscissi ad addormentarmi presto, è un po’ impossibile dato che Ghecis verso una certa ora inizia a russare, almeno eviterei di percepire il modo in cui singhiozza.
Sta piangendo a causa mia, sono io la causa del suo più grave dolore.
Ho un peso tremendo sullo stomaco.
Ma sono sicuro che prima o poi passerà.
Max tornerà a essere felice, quello di un tempo.
Peccato che allora io non sarò al suo fianco.


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Capitolo 8
*** 8. Velle est posse [ By Xavier ] ***


8. Velle est Posse
8. Velle est Posse
By Xavier

ciiiiiroooo

Quanto ho dormito? Ma soprattutto, dove mi trovo adesso? Non mi sembra la mia cella, questa. Un freddo secco, metallico oserei dire, mantiene serrate le mie braccia lungo il busto supino, abbandonato in un gelido giaciglio privo d'ogni mollezza che possa accogliere il fardello devastato del mio corpo. Il clima del Tempio di Nevepoli, ove io mi recai anni addietro per catturare un esemplare di Sneasel da annettere al mio Team, è nulla messo a confronto con il gelo che aleggia in questa stanza. Sento un languore serpeggiare nelle mie viscere, da quant'è che non mangio? Sto forse per.. morire? No, non posso permetterlo, non prima di essere evaso da qui e non dopo tutti i miei sforzi di ricerca per un universo migliore. Che miserabile destino sarebbe il mio, se morissi tra queste sudicie quattro mura per colpa di uno scienziato esecrando e libidinoso? Non mi interessa vendicarmi per quello che mi ha fatto, per quanto ignobile e vituperabile possa esser stato, voglio semplicemente riprendermi e uscire da qui, per adesso.
Provo a rimembrare cosa sia successo precedentemente, ma gli unici ricordi che affiorano sono i suoi fendenti sferrati con sadica crudeltà. Perché gli uomini sono sadici, perché amano vedere la sofferenza stampata nei volti dei loro simili? Cosa li spinge a spargere afflizione e tormento negli animi? Ma il caso di Acromio è già più semplice da analizzare: voleva delle informazioni ed era disposto a tutto pur di ottenerle. Già, anche io sono disposto a tutto pur di ottenere il mio mondo, ma il mio fine è qualcosa di positivo per tutti, non mi sarebbe importato se la mia scia si fosse tinta di rosso sangue alla buona riuscita, ne sarebbe valsa la pena. Il fine giustifica i mezzi, sempre.
Quello scienziato, lui sì che è un criminale. Il suo scopo era il suo stesso egoismo, a che gli sarebbe servito conoscere i segreti della Rossocatena, se non ad una propria sete di curiosità? E le altre faccende sul Team Galassia e il Mondo Distorto? Erano domande che mi son sentito ripetere sin dal primo giorno di permanenza in questo penitenziario, e non ho mai dato a nessuno la soddisfazione di alcuna risposta. Il bastardo dunque spera di essere scarcerato facendo da spia, collaborando con quella cosa che mi fa inorridire anche solo a chiamarla "giustizia", se questa è giustizia, allora davvero non c'è speranza per il genere umano.
Basta rimuginare a vuoto, devo trovare la forza di alzarmi e prendere in mano la situazione. Apro gli occhi ma i fasci di luce che filtrano dalle imposte mi saettano dritti nelle pupille, mi abbagliano e son costretto a richiuderli nuovamente, coprendomeli con un avambraccio. Bruciano, uno in particolare, quello sfregiatomi da Acromio, fatica anche solo a muovere la palpebra. Quantomeno non sanguina più, ma avrebbero anche potuto applicarmi una benda sterile per agevolare la guarigione. Un momento.. perché mi hanno gettato in questa specie di obitorio? Non avranno pensato che io sia morto? Se così fosse me ne scapperei anche ora .. per poi stramazzare al suolo dalla fame dopo nemmeno due passi.
Ahaha, faccio così pena!


Non ho scampo, ma ora un'altra preoccupazione mi torna in mente: la faina aveva detto qualcosa riguardante la mia condanna a morte, che non mi avrebbero mandato, come mi aspettavo, in una sorta di manicomio di riabilitazione, ma dritto dritto al patibolo per risparmiare sulle spese. No! No non può essere, non dopo due dannatissimi anni che son qui a fingere pazientemente e reprimere ogni minimo impulso di volontà. Perché attendere così tanto, poi? Mi avrebbero potuto far fuori dopo appena un anno, senza problemi, quella volta che mi rifiutai di mangiare per ben tre giorni di seguito, non per autolesionismo o ripicca, semplicemente perché il cibo faceva schifo. Non che qui io possa permettermi le deliziose lasagne di Baccagrana che sapeva preparare Giovia o i Dolci Gateau alla marmellata di Baccaliegia di Martes, ma in quella settimana gli "chef" del carcere superarono loro stessi: quel pane era vecchio di cinque giorni, duro e ammuffito, l'acqua era un evidente scarico putrido di qualche pietanza lavata alla buona, e la carne era di così bassa qualità che per trovare qualcosa di commestibile e poco poco nutriente dovetti spezzare gli ossi alla ricerca del midollo.
Fu Maxie a salvarmi, ad accorgersi che non toccavo più pietanza; ma sì, lui poteva permetterseli, i cibi decenti, grazie agli agganci con Giovanni. Divise la sua "abbondante" porzione con me, finché io non mi fui almeno in parte ripreso. In circostanze diverse avrei rifiutato un gesto così misericordioso e pateticamente compassionevole, ma in quel caso lasciai da parte il mio orgoglio e i miei ideali, lo stomaco vuoto prevalse su tutto, ne andava di mezzo la mia sopravvivenza. Maxie… avrebbe fatto lo stesso, se il cibo non fosse stato abbastanza per entrambi? Oppure si sarebbe comportato da ingordo egocentrico, come son tutte le persone? Questo è uno dei tanti quesiti che, in casi come questo, mi ritornano alla mente, pungolando fastidiosamente le parti più remote dei miei pensieri.
Non mi sta proprio andando di alzarmi, sarà ancora l'effetto del Lorazepam, ma credo che per il momento sia meglio starmene qui, seduto, con la testa poggiata di lato alla parete destra, quasi il mio collo non riuscisse a reggerne il peso, gambe penzoloni dal lettino e occhio semi-aperto, in modo che possa abituarsi alla nuova luminosità. Coi piedi sfioro il liscissimo pavimento che, per quanto possa esser freddo, mi trasmette uno strano senso di tepore lungo le piante, indice evidente di quanto il mio corpo sia a rischio di ipotermia. Dove avranno messo i miei vestiti? Non possono buttarmi in questa cella frigorifera con solo un asciugamano addosso! Ritiro le ginocchia, serrandole al torace, in modo da poterle abbracciare e disperdere il meno calore possibile con una posizione ben chiusa. Sono un uomo di Sinnoh, la regione più fredda tra tutte, dovrei reggerlo bene, eppure, ironia della sorte, sono nato e cresciuto ad Arenipoli, un'energica città sul mare dal clima piacevolmente temperato che fa eccezione alla regola, dunque mi sento un po' a disagio conciato così.
Sebbene quella città non mi vada a genio, visto tutto quel pullulare di gente mattina e sera per via del fiorente mercato, odiosa attrazione che richiamava turisti da ogni parte, in questo istante ne sento una fastidiosissima mancanza quasi nostalgica. Era da veramente tanto, tanto tempo che non ci pensavo. Non m'è mai piaciuto ripensare al mio passato, alla mia infanzia in particolare, avvolta da un alone di malinconia e perpetuamente immersa in una nebbia di mestizia difficile a diradarsi. Non ho quasi mai conosciuto la spensieratezza e l'allegria tipica dei bambini, subivo sempre e solo le pressioni dei miei genitori e avevo addosso il terrore di deludere le loro aspettative, terrore che ben presto si materializzò in illusione, odio, apatia.

Nella maggior parte dei casi, cosa si aspetterebbero due genitori dal proprio figlio? Che sia educato, rispettoso, si comporti bene e ottenga buoni voti a scuola per garantirsi un futuro e l'indipendenza quando essi saranno divenuti vecchi e bisognosi. Non peccavo in una sola di queste cose, ma per qualche motivo non era mai abbastanza, non erano mai soddisfatti del loro pargolo. L'impotenza e la frustrazione che in questo momento attanagliano la mia psiche altro non fanno che trascinarmi nel baratro orrendo e sconfinato della mia mente dove risiedono tutte le mie memorie, rimbombano i miei sbagli e tutto ciò che mi strugge riecheggia, mi sembra di essere un oggetto privo di volontà in balia dello spazio siderale, m'è bastato un piccolo stimolo e come per inerzia mi trovo costretto a fare un'anamnesi di tutto ciò che mi ha portato ad essere quello che sono.
Il naufragar non mi è certo dolce in questo mare…

Mio padre lavorava come impiegato in un ufficio adiacente alla zona commerciale della città, per circa 8 ore al giorno e, quando tornava, non voleva sentir ragioni, né da parte mia e né da parte di sua moglie. Non gliene facevo una colpa, il suo lavoro era davvero una sfida alla pazienza, io non avrei retto un giorno alle prese con tutti quei clienti, uno più imbecille dell'altro. Lei, piuttosto, aveva studiato come stilista ma non era mai riuscita a diventare famosa e rinomata, non per questo si arrese, sebbene fosse suo marito a portare soldi a casa, lei dal canto suo confezionava vestiti che disegnava da sé, e alcune volte qualcuno li acquistava anche, cosa che le dava enorme gioia. Io ero molto diverso da loro due, non avrei mai seguito le loro orme e lo esplicitai più volte, sia quando mio padre tornò dal lavoro dicendomi che s'era impegnato tantissimo ad ottenere, per me una volta divenuto maggiorenne, un posto nella sua agenzia, sia quando mia madre espresse il suo volere di farmi entrare nel mondo della moda, come modello precisamente (lo dicevano tutti che ero un bel bambino e che una volta adulto avrei potuto far carriera col mio aspetto), e così appena divenuto abbastanza famoso avrei potuto sponsorizzare i suoi capi d'abbigliamento e coronare finalmente il suo sogno mancato di diventare una stilista illustre e andare a lavorare a Kalos. I due litigavano, litigavano spesso su questa cosa, per mio padre, convinto maschilista, sarebbe stato assurdo se il suo unico figlio maschio avesse trovato impiego in un "settore femminile", come se i mestieri si dividessero tra quelli per maschi quelli per femmine, assurdi luoghi comuni di questa becera società. Mia madre, tutto al contrario, avrebbe voluto una figlia femmina che avesse potuto realizzare ciò che lei non aveva ottenuto, e anche il solo fatto che io fossi nato un maschietto rappresentava una profonda delusione per lei, ma almeno aveva capito che un tipo come me non poteva assolutamente svolgere un lavoro da scrivania per tutte quelle ore al giorno. E mentre loro bisticciavano, io avevo già scelto quello che avrei fatto: sarei diventato un astronomo, un astrofisico oppure un astronauta. Mio nonno, l'unica persona che mi trasmetteva affetto e sicurezza concreti, fu entusiasta della mia scelta, tant'è vero che fu proprio lui a trasmettermi la passione per ogni cosa che avesse a che fare con l'universo. Quando mi lasciavano da lui non facevamo altro che leggere libri e manuali di ogni tipo, astrologia, mitologia, storia e leggende, fisica e matematica, e se rimanevo a dormire da lui, appena calato il crepuscolo, mi portava sul terrazzo a guardare le costellazioni col suo telescopio, e dopo un certo orario, inevitabilmente, cadevo addormentato e mi risvegliavo la mattina dopo nel mio comodo lettino, abbracciato ad una Poké-Bambola a forma di Clefairy. Non volevo più tornarmene a casa mia, mi piaceva la zona di periferia esente da inquinamento luminoso dove abitava il nonno.
Decisi comunque di comprarmi un telescopio tutto per me, al mercato dell'usato di Arenipoli, un modello poco costoso che potevo permettermi. La notte stessa, dopo averlo calibrato adeguatamente, salii in terrazzo e lo puntai verso quella magnifica luna piena, perfetta, lucente e tersa, ma quando mio padre si destò e mi colse in flagrante, non si risparmiò a darmele con la cintura di cuoio, e mia madre ad urlarmi contro, perché "
quell'aggeggio è uno spreco di soldi!" e "i bambini della tua età dovrebbero dormire a quest'ora! Altrimenti si ritrovano con le occhiaie e non sono più carini e graziosi". Le occhiaie effettivamente già ce le avevo…. A ben poco servì quella lezione, le mie idee erano chiare e non le avrei cambiate per nulla al mondo. Ero già lo scolaretto più bravo della classe, soprattutto nelle materie scientifiche, anche grazie al supporto di mio nonno, un ex matematico; pure per questo motivo molti dei miei compagni mi detestavano, sfogavano su di me i loro insuccessi scolastici dovuti alla loro poca voglia di studiare o direttamente alla loro inettitudine. Brutta cosa l'invidia, non era certo colpa mia se loro andavano male e preferivano far altro piuttosto che i compiti. L'odio ben presto divenne reciproco: loro erano contenti, uscivano da scuola e trovavano i loro genitori ad abbracciarli, a coccolarli, a premiarli per un buon voto o ad incoraggiarli a far di meglio ad uno negativo. I miei no, non venivano mai a prendermi, tornavo da solo, mi avevano regalato una bicicletta proprio per quello. Arrivavo a casa e provvedevo a prepararmi qualcosa per pranzo, poiché mia madre era perennemente occupata alla macchina da cucire e il pasto caldo al rientro glielo permetteva giusto a mio padre, che rincasava nervoso e affamato come una belva. Mangiavo in camera mia, solo, unica compagnia la TV accesa e qualche fumetto. Non durava neppure tanto quella quiete, presto infranta dalle sue grida: “Cyrus! Lava i piatti! Cyrus, pulisci la tua camera! Cyrus metti a posto i tuoi giocattoli!" ed eran guai se osavo replicare, quel battipanni era sempre in agguato. Finite le faccende domestiche, passavo tutto il pomeriggio sui libri, chiuso nella mia stanzetta. La conoscenza era uno dei pochi piaceri che davvero apprezzavo, insieme alla cioccolata calda e alla volta stellata del cielo notturno.

Verso la fine della quinta elementare le maestre ci chiesero di portare in classe i nostri Pokémon per farli conoscere ai compagni. Ma io non avevo ancora un Pokémon, pregai i miei di prendermene uno, ma fu tutto inutile. Non mi arresi, volevo un Pokémon tutto mio e l'avrei ottenuto. Così, dopo il rifiuto, salii in sella e mi diressi verso la spiaggia: reperiti ramoscelli lunghi e resistenti e un semplice spago al quale avevo legato una graffetta deformata a mo' di amo, creai una canna da pesca rudimentale eppure funzionante, con la quale non mi fu difficile pescare il mio primo Pokémon, nientemeno che un… Magikarp. Si fece catturare subito con una semplice Poké Ball e sebbene non fosse il massimo, mi rese soddisfatto, almeno per quella sera. Ritornai a casa e non dissi nulla a nessuno, cenai in fretta e furia e mi barricai in camera, dunque lo lasciai uscire e lo sistemai in un acquario, dandogli anche da mangiare, rimboccai le mie coperte e finalmente mi coricai. La mattina seguente avevo addosso un insolito entusiasmo, che non passò inosservato, anzi. Ero ancora un bambino d'altronde, non sapevo gestire questo mio lato emotivo, purtroppo. Avevo legato la sua Poké Ball alla cintura dei miei pantaloni e, sfrecciando per le vie di Arenipoli, col vento in faccia, mi sentivo come un vero allenatore di Pokémon che parte all'avventura, libero. Un piccolo stupido momento di gloria, come possiamo essere liberi se siamo condannati a morte nell'istante stesso in cui nasciamo? Tutti noi esseri viventi siamo passivamente vincolati come da una piccola clessidra che scandisce il tempo delle nostre vite in fragile equilibrio, e basta un nonnulla in un momento qualsiasi ad arrestare il suo flusso continuo, decretando il nostro decesso. Chissà, chissà se la mia clessidra cesserà di travasare sabbia oggi stesso, in questo frigido obitorio. Giunto in classe mi sistemai al mio banco attendendo pazientemente il mio turno, in ordine di elenco. Tutti quanti avevano Pokémon molto più belli e potenti del mio. Qualcuno si era addirittura procurato uno starter proveniente da regioni esotiche e lontane come Hoenn, alcuni dei loro genitori avevano girato in lungo e in largo tutto il mondo pur di acchiappare un Pokémon che potesse soddisfare le esigenze di un piccolo allenatore alle prime armi, altri li avevano semplicemente aiutati ad acciuffare uno Shinx o uno Starly nell'erba alta, altri ancora avevano regalato ai propri figli un uovo in modo che potessero occuparsene personalmente, e poi c'ero io… Toccava a me, quell'entusiasmo di prima andava via via smorzandosi dopo aver visto le loro esibizioni, ma provai comunque a non demoralizzarmi. Lanciai la sfera, si aprì e Magikarp schizzò via, iniziando a saltare per terra come in preda a convulsioni, forse spaventato da tutti gli altri scolaretti. Lo raccolsi dal pavimento e provai a tenerlo in braccio, ma quello si liberò dalla mia presa e balzò sulla cattedra, riprendendo quello sguazzare spasmodico e poco elegante. Scoppiarono risate generali, insulti, offese e per evitare che la situazione degenerasse lo ritirai immediatamente, tornando a sedere. L'imbarazzo era tantissimo, a momenti mi mettevo a piangere per quella figuraccia, mi sentivo in totale disagio. Dopo di me toccò ad una ragazzina trasferitasi ad Arenipoli per motivi di lavoro legati al mestiere dei suoi genitori, la quale da poche settimane aveva iniziato a frequentare la mia scuola.

babyciro

Era già abbastanza alta, vestiva in maniera raffinata e al tempo stesso graziosa, aveva capelli biondi e lisci come il manto di un Ninetales, lunghi ben oltre le spalle e decorati con fermagli o broches variopinti, sempre profumati di lavanda. Sì, Cynthia, proprio lei. Mi chiedevo che cosa potesse mai tirar fuori quella meraviglia, un Beautifly? Un Espeon? Una Gardevoir? Un Altaria? Niente di tutto ciò. Aveva un misero Feebas, persino più brutto del mio Magikarp. Incredibilmente, però, quel pesciolino d'acqua dolce conosceva già mosse come Geloraggio e Dragopulsar, tant'è vero che con una sfida riuscì a sconfiggere senza problemi il Grimer di quell'odioso bulletto che mi aveva preso di mira. Tanti applausi e onore per lei. Iniziarono tutti ad andarle dietro. Tutti tranne me, chiaramente; non che non apprezzassi, semplicemente avevo molti altri interessi e preoccupazioni in quel periodo. Terminata la lezione sgattaiolai via di fretta, sperando di non incontrare più nessuno, ma lei era lì ad aspettarmi.
«Se sei qui anche tu per dirmi quanto abbia fatto pietà Magikarp.. beh, levati, ho fretta di tornare. Ah, complimenti per il tuo Feebas, se vuoi sentirti dire questo».
«Non dire così. L'hai catturato da poco, non è vero? Ha solo bisogno di essere allenato. Dovete fare un po' di pratica. Comunque lo trovo molto carino! E anche tu lo sei».
«E tu? Perché voi siete così forti invece? Sei anche te un'allenatrice alle prime armi. Se proprio ti piace prenditelo, facciamo uno scambio. Io voglio un Pokémon valente». Si mise a ridere, come potrei dimenticarlo? Pagherei oro per risentire ancora la sua soave voce femminile in contrasto con l'inquietante silenzio di questa stanza che mi opprime, e che viene a mia volta oppresso da tutte queste reminiscenze.
«Smettila di dire sciocchezze, Cyrus! I miei genitori mi hanno spinto nel mondo delle lotte Pokémon già da quando avevo cinque anni, Feebas fu un regalo di compleanno, e non lo scambierei per nessun motivo al mondo. Piuttosto, ho dimenticato le chiavi di casa, mi inviteresti a pranzo?»
«Allora un giorno Magikarp diventerà un enorme Gyarados capace di distruggere interi villaggi, e io a quel punto sarò diventato un genio della scienza! Così dimostreremo a tutti di cosa siamo capaci. Comunque, per me non ci sono problemi, ma se i miei scoprono che adesso ho un Pokémon… farai meglio a scappare, mio padre fa paura quando si arrabbia». Altroché. Mio padre era già davanti all'uscio con la famigerata cintura e mi stava urlando contro cose a distanza, deglutii, che figura avrei fatto davanti a quella ragazzina? Mi ero già preparato a subire quando, incredibilmente, lei prese le mie difese, contrastando le parole dell'uomo con un discorso solido e acceso, sembrava un'avvocatessa in tribunale, e rimaneva tuttavia adorabile e graziosa. Ammutolì mio padre e lasciò senza fiato mia madre, totalmente affascinata da Cynthia che venne riempita di lodi come "ahh ho sempre desiderato avere una figlia come te!" e bazzecole simili. Si ottenne che Magikarp potesse restare in camera mia, nell'acquario, a patto che non si evolvesse. Era già un passo avanti. Posso benissimo affermare che da quel giorno io e lei eravamo diventati amici, era l'unica compagna di banco che sopportavo, l'unica ragazza che mi comprendeva e mi conosceva fino in fondo, poiché d'altronde era stata l'unica a conoscere i miei e la mia famiglia, l'unica alla quale non mi dispiaceva passare quei banali esercizi di fisica o chimica che non sempre riusciva a svolgere, e l'unica verso cui provavo sinceramente qualcosa. La nostra amicizia proseguì e si intensificò nella stagione estiva, il più bel ricordo che mi sia rimasto, un qualcosa di infinitamente dolce e letale, come l'ambrosia degli dei, deliziosa ma intoccabile dai miserabili uomini. Le mattine scorrevano quiete e placide, come le acque del litorale di Arenipoli dalla soffice sabbia chiara e fina, che tanto odiavo, quando si incollava alla mia pelle bagnata dopo un tuffo in mare. A lei invece piaceva giocarci e piuttosto odiava nuotare, per via della fastidiosa salsedine che s'insinuava tra i suoi morbidi capelli biondi, più dorati della rena riflessa dal sole di mezzogiorno. I pomeriggi, allo stesso modo, volavano via in una squisita routine quotidiana fatta di semplici, piccoli gesti che rimangono immortalati per sempre monotoni e serafici, come passeggiate nei boschi, picnic all'aperto ed escursioni. Il momento più bello rimaneva comunque la notte, che si calava giù dai meandri dell'universo, puntuale, spingendo negli abissi marini il breve ma intenso crepuscolo che tingeva di rosso e arancione l'orizzonte, l'arenile, le onde e tutto ciò che ci circondava. Il vello cobalto dello spazio, maculato da galassie e puntellato da costellazioni, si slanciava abbracciando tutta la volta celeste, chiudendola in un alto recinto di stelle che parevano sorriderci e bisbigliare tra loro, invidiose, ciance e voci su quei due ragazzini distesi in spiaggia, mano nella mano, intenti a contemplarle e a chiedersi stupidamente se esse non si sentissero in imbarazzo a venir insistentemente fissate da quegli occhietti vispi e colmi di curiosità verso quel mondo tutto di misteri da scoprire. Fu in una nottata così limpida e perfetta che commisi uno degli errori più gravi della mia gioventù: mi dichiarai. Non riuscivo più a tenermelo dentro, non era una di quelle stupide cotte passeggere tipiche dell'età, sentivo che era qualcosa di molto più spinto e concreto, bastava la sua sola presenza a farmi dimenticare ogni dolore esistente, presente e passato, a farmi sentire… felice. Tutti i mali che avevo subito altro non fecero che rendere incredibilmente più beato e meraviglioso quel tanto agognato "sì" e il successivo primo bacio per entrambi. Le sue labbra carnose e delicate s'incastravano perfettamente tra le mie, sottili e spigolose, riuscendo ad aprirle in un raro sorriso sincero e spontaneo, che in nessuna situazione avrei mai sfoggiato. Nessuno venne a sapere del nostro piccolo segreto, per timore di possibili calunnie e gelosie, come poteva infatti, la ragazza più carina della classe, essersi messa insieme a quello scarto asociale di Cyrus?

La mia vita era divenuta stupenda, perfetta, da sogno… destinata a disciogliersi. L'euforia toccò l'apice quando il nonno mi regalò un cucciolo di Houndour, molto più attivo e sveglio di Magikarp, che aveva per caso ritrovato nel suo giardino. Cynthia aveva tanto insistito per mettergli un collare rosa a fiori che detestavo e che accettai controvoglia, e così lo portavamo legato al guinzaglio durante le nostre avventure. Una sera, improvvisamente, mentre ci trovavamo fuori, scoppiò un violento temporale estivo e fummo costretti a rifugiarci al coperto per evitare di far bagnare il Pokémon di tipo fuoco. Unico rifugio disponibile un'insenatura rocciosa in una falesia, abbastanza accogliente per tutti e tre nella sua ristrettezza. In breve però ci rendemmo conto che non eravamo un trio, bensì cinque. Uno Zubat prese a volteggiare sulle nostre teste, emanando ultrasuoni che ben presto rimbombarono in tutta la caverna mandando in confusione Houndour e, ancor più dietro ben nascosto da un masso, un rarissimo Spiritomb provava a spaventarci con Furtivombra. Non eravamo i benvenuti. Ci trovavamo nei guai, pensai fosse mio dovere proteggere Cynthia, provai a dare ordini a Houndour ma era troppo confuso per potermi comprendere e agire di conseguenza. A lei, il mio angelo custode, venne in mente la geniale idea di spostare il conflitto all'esterno, in modo da poter sfruttare l'abilità Nuotovelox dei nostri Pokémon d'acqua per batterli in velocità sotto la pioggia. Feebas si muoveva in modo magistrale sotto quel tempaccio, e sferrò un Idropulsar talmente rapido da abbattere Zubat in volo, che venne poi mandato al tappeto da un Azione del mio Magikarp. Spiritomb, sebbene avesse subito la medesima mossa in pieno, non dava cenni di cedimento, anzi, era pronto a contrattaccare con Inseguimento e venne bloccato solo da un repentino Neropulsar del Pokémon Buio che lo fece tentennare, permettendo alla ragazza di lanciare un' Ultraball che lo catturò all'istante. Io avevo una Pokéball con me e non esitai ad usarla su Zubat: adesso avevamo due nuovi compagni di squadra. A me inizialmente risultò difficile prendermi cura di tre Pokémon contemporaneamente, ma grazie al suo sostegno e ai suoi consigli degni di una veterana e non di una semplice ragazzina di 11 anni, ben presto iniziai a destreggiarmi discretamente bene nelle lotte, sebbene non l'abbia mai sconfitta. Era troppo forte. Verso la fine di quell'estate, una mattina, non vedendola scendere in spiaggia al solito orario, nel solito posto, iniziai a preoccuparmi. Che le fosse successo qualcosa? Corsi e corsi a perdifiato per raggiungere la sua abitazione il prima possibile, preceduto dal Pokémon Volante-Veleno che fendeva l'aria con le sue alette affilate e sottili. Arrivato lì notai diversi camion adibiti a trasloco, nei quali alcuni Machoke addestrati si stavano curando di stipare i mobili e gli arredamenti di casa. Cynthia stava dando una mano ai genitori sistemando le proprie cose in scatoloni di cartone chiusi da del nastro adesivo.
«Cynthia? Dov'è che ti stai trasferendo? Potevi dirmelo, sarei venuto ad aiutarti». La mia mente ingenua da undicenne sperava inconsciamente che sarebbe venuta ad abitare in un posto ancora più vicino a casa mia. Stupido me. Sobbalzò nel vedermi col fiatone e con uno sciocco sorriso addosso, restò in silenzio per interminabili secondi e finalmente si decise a parlare:

«Mi dispiace. Non volevo dirtelo per non ferirti. Sapevo fin da subito che sarei dovuta ben presto ripartire per Memoride, torno da mia nonna».
Fingevo di non comprendere, o forse non comprendevo sul serio quello che voleva dirmi
.
«Se le cose stanno così, fai bene ad andare da tua nonna. Anche io dovrei andare a trovare più spesso il mio. Sarò qui ad aspettarti, non temere».
«Cyrus non hai capito. Io me ne vado da qui per sempre. I miei genitori mi hanno avviato alla carriera di allenatrice Pokémon, dovrò viaggiare, sconfiggere Allenatori, Palestre, vincere Medaglie, e anche studiare tanto, tantissimo. Non volevo che tu…»
Io. Sì proprio io. Sarei rimasto nuovamente solo e isolato, abbandonato in quel modo dalla persona che amavo di più. Ma quella era la sua strada, il suo sogno, sarei stato uno schifoso egoista ad impedirglielo solo per averla al mio fianco. Non ero e non sono un tipo possessivo, tanto meno geloso. Non ne avevo motivo con Cynthia, non mi avrebbe mai tradito con un altro ragazzo. E qualora l'avesse fatto, avrebbe avuto tutte le ragioni di questo mondo. Avevamo trascorso un piacevolissimo tratto di strada insieme, era giunto il momento di dividerci. Aveva preferito non dirmi nulla per farmi sentire felice e spensierato fino all'ultimo giorno, e poi sparire. Dopo la sua partenza troncai ogni contatto umano e iniziai a trascurare i miei Pokémon. Che senso aveva provare emozioni e sentimenti verso gli esseri animati, riporre in loro speranze e aspettative? Prima o poi se ne sarebbero andati tutti, lasciando dentro di me un vuoto incolmabile. Provare emozioni equivaleva a soffrire, provare sentimenti ad esser debole. Parlavo sempre meno e le mie giornate alternavano le ore di scuola alle ore di studio chiuso in camera mia, ormai divenuta un piccolo e attrezzato laboratorio, a smontare e costruire piccoli congegni elettronici. Le macchine, loro sì che erano gratificanti. Non mi sentivo mai solo in loro compagnia, sono così perfette da sole, basta un piccolo input, un generatore e un circuito ben piantato per farle partire e funzionare all'infinito. Può una persona lavorare così ininterrottamente senza lamentarsi e perdere la voglia? No, certamente. E questo perché? Ovviamente perché prova emozioni ed è debole. Se dicessi che ero felice, sarebbe un paradosso, non lo ero e non lo sono affatto. Ma non ero neppure triste o depresso, cosa che probabilmente sto diventando, lontano da ciò che mi faceva stare semplicemente bene, a mio agio. Ero in equilibrio con me stesso in quell'angolo di paradiso tecnologico, non avevo bisogno di nessuno, se sentivo freddo mi bastava avvicinarmi ad un motore in surriscaldamento per riscaldarmi e sentirmi protetto, più di un banale abbraccio tra persone. Scendevo da lì solo per mangiare e andare in bagno, e quelle rare volte che veniva a trovarmi il nonno. A lui non andava per niente bene il mio nuovo comportamento, non conosceva la storia finita male con Cynthia, ma aveva intuito che mi era successo qualcosa di grave che i miei genitori ignoravano e coi quali lo sentivo spesso litigare per ottenere la mia adozione. Loro si rifiutavano, sempre, dicendo che erano troppo attaccati a me per potermi cedere in quel modo. La verità era che faceva comodo avere un piccolo elettricista aggiusta-tutto in casa, quando si guastava un elettrodomestico. Adesso mi vien spontaneo chiedermi che fine abbia fatto lei, spero si sia sistemata, abbia trovato un compagno o una compagna degni di lei con cui condividere la sua vita e, soprattutto, si sia dimenticata di me.

rossocatena,rossocatena!ohrossocatena!

Ma cosa vado a pensare… questa prigionia mi sta denaturando.
A me non deve importare nulla di nessuno, che non sia me stesso. Sento un rumore, uno strano cigolio, ombre, figure umane mi si stanno avvicinando. No, non può essere, non quell'infame di Acromio!
«C-Cyrus? Cyrus sei sveglio?». Questa è la voce di Maxie, credo sia la sua, è orribilmente distorta e spezzata da singhiozzi. Schiudo una palpebra e metto a fuoco con estrema difficoltà: sì, è proprio lui, accompagnato da due altri detenuti a lui fedeli, forse ex membri del Team Magma. «Cyrus sei ancora vivo! Cosa ti hanno fatto? Chi è stato? Mi sono spaventato tantissimo quando ho visto che ti portavano qui!». Si siede accanto a me e mi stringe forte, a momenti gli cado addosso, ma almeno è così.. caldo.
«C-Cyrus, stai piangendo?». Sussurra lieve, dietro quegli occhiali appannati e pieni di impronte. Cosa? Cosa diamine ha detto? Impossibile, io non.. mi strofino gli occhi con l'avambraccio e trasalisco nel notare gocce porpora sulla mia pelle. Non capisco cosa mi stia succedendo, mi sento improvvisamente accaldato, mi manca il respiro, voglio prendere a calci qualcosa..
«Ehi stai fermo, così si riapre la ferita. Lascia fare a me». Lascio fare a lui, sa essere premuroso e accurato quando si tratta di queste minuzie. Intanto gli altri due mi porgono i miei vecchi indumenti, aiutandomi a vestirmi. Troppa, troppa gentilezza Maxie, perché? So benissimo che in questo stato faccio pena, ma sfidare ed eludere la sicurezza solo per venire a darmi una mano mi pare esagerato, senza un tornaconto personale. O, più probabilmente, si tratta di una carenza d'affetto dal momento che, se non erro, ultimamente la sua situazione sentimentale con Ivan si sta sgretolando. Che ci stia provando con me? No! Maxie non puoi farmi questo! Rimarresti tremendamente deluso, non sono più capace di amare, è una cosa che mi fa ribrezzo. Termina di medicarmi il taglio e mi applica una benda bianca, la smette di singhiozzare e fruga tra le sue tasche, tirando fuori due stecche di cioccolato fondente purissimo. Mi lecco le labbra.
«
Sarai affamatissimo, tieni, le ho prese per te corrompendo le guardie con una misera vincita a poker, puoi mangiarle tut…» che importa come le ha ottenute, sto morendo di fame e mi fiondo sul palmo della sua mano contenente tre quadrati, a pochi centimetri dalla mia bocca, faccio attenzione a non morderlo e li mando giù in un solo boccone. Deliziosi. Tutti e tre iniziano a ridere per il mio impulso di cafonaggine repressa; Maxie che almeno ha finito di piangere ordina ai due di controllare che non vi siano altri nei paraggi e poi ricomincia ad imboccarmi un pezzo per volta. Ci ha preso gusto, ma se non si velocizza gli stacco le falangi a morsi. «Cyrus, mi ricordi tantissimo il mio Ivan, a volte ci divertivamo così quando avevamo l'occasione di permetterci dei dolci. Adesso ci siamo divisi, non ho più nessuno con cui stare, mi rimani solo tu». Santa pazienza, non paragonarmi a quello scaricatore di porto. Non gli somiglio neppure un poco e non sono il tuo confidente o l'agenzia dei divorzi! Maxie dovrebbe smetterla di stargli appresso, si sta solo rovinando e soffre inutilmente. Uno scienziato così bravo che si mette a piangere per un marinaio di sobborgo che non ha neppure un quarto della sua intelligenza? Che cosa assurda è mai questa, se non quell'obbrobrio che chiamano "amore"? Se Maxie fosse stato come me, freddo e calcolatore, e avesse evitato quel rapporto con Ivan, molto probabilmente adesso avremmo già trovato un piano per evadere via, solo noi due. Per farlo tacere gli mordo una mano, guardandolo in modo serio e minaccioso e lui a sua volta deglutisce e mi guarda alquanto spaventato, ritraendo l'arto. Gli ho fatto male, non volevo arrivare a tanto. Mi sento un balordo adesso, sarà la seconda se non la terza volta che Maxie mi salva la vita e io non gli ho mai dimostrato un briciolo di gratitudine, eppure lui continua a starmi accanto. La sua è un'alleanza preziosissima per me, non posso permettermi di perderla. Prima che possa sgridarmi abbasso umilmente la testa con fare dispiaciuto, non so più chiedere "scusa". Per fortuna i gesti sono più chiari delle parole e Maxie coglie al volo il messaggio, abbracciandomi e accarezzandomi la schiena. Brividi.
«Non fa niente, non l'hai fatto di proposito. Dovrei dimenticare Ivan, dici? Forse hai ragione, ma lui è l'unica persona che amo sul serio, è parte integrante della mia vita, abbiamo condiviso gioie e dolori e separarci in una situazione come questa è terribile. Non voglio rimanere da solo». Povero ingenuo Maxie, siamo tutti da soli, e detto così mi sembra che il loro sia una sorta di patto di convivenza e protezione, piuttosto che un rapporto amoroso vero e proprio. «Adesso non voglio pensarci, finisci la tua cioccolata così poi usciamo da questa gelida sala e andiamo in cortile. C'è una sorpresa per te. Qualcuno, in anonimo, è venuto a portarti i tuoi Pokémon e ci sono anche i miei. Voglio farti conoscere Camerupt». A momenti mi va di traverso il bolo a sentirlo. L'anno scorso non era venuto nessuno, perché quest'anno sì? Lascio da parte ogni briciola di galanteria e inizio a masticare voracemente a bocca aperta tutto il restante dolce, entratomi a forza nella cavità orale.
«Calma calma, non vorrai strozzarti? Aggrappati e tirati su!». Provo a fare tutto da me, ma la testa mi gira e sono costretto ad usare Maxie come appoggio, almeno per salire le scale. Gli altri due seguaci ci fanno segno che la via è libera e rapidamente sgattaioliamo via, ritrovandoci in breve nel cortile all'aperto. Aria, aria pulita! Ci accomodiamo sulle panchine in legno all'ombra di una robusta quercia e attendiamo il nostro turno. Prima a lui, poi a me, vengono consegnate tutte le Pokéball in una cintura nera in cuoio che si può anche legare al busto. Maxie è impaziente e trepida, non ci mette molto a lanciare in aria le sfere facendo uscire rispettivamente Camerupt, Crobat e Mightyena, tutti quanti euforici e allegri. Uggiolano, mugolano e riempiono il proprietario di attenzioni.
«Cyrus vieni qui, Camerupt è curioso di conoscerti. Puoi accarezzarlo, è molto socievole e riscalda meglio di un piumone». Non sono bravo in queste cose, in più ho sentito dire che se uno di quei cosi Terra/Fuoco si arrabbia, erutta e diventa pericolosissimo. Hm, sarebbe un bel modo per evadere dopotutto. Il grosso muso di quel Pokémon si avvicina a me, incuriosito, iniziando ad annusarmi e riempirmi di leccate, tirandomi per i vestiti e poggiando l'enorme zampa sulla mia gamba. Tutto ciò mi fa ribrezzo! Dannatissimo Rosso Malpelo, non vedi che a momenti mi sbrana? Toglimelo di dosso accidenti! Tossisco rumorosamente nella vana speranza di richiamare la sua attenzione, focalizzata adesso sulle figure di Ivan e Gerardo ad una ventina di metri da noi. Il marinaio non sembra sofferente, anzi, suppongo abbia già sostituito Maxie con un nuovo amichetto, a giudicare dal suo tono di confidenza col quale ci dialoga e dal fatto che stia socializzando con il Roserade e il Venusaur dell'altro. Tra i due avviene un rapido, fugace scambio di sguardi, gli occhi del pirata gaudiosi e frizzanti calano repentinamente in un'espressione torva, crucciata, quasi minacciosa all'incrocio con quelli di Maxie velati da una lucida patina di gelosia. Lascio uscire dalla Pokéball Houndoom e, afferrando un lembo della manica dello scienziato, lo strattono con forza a tornare seduto sulla panca, mentre lascio avvicinare il tipo Buio ancora un po' sbigottito nel vedermi. Abbaia, scodinzola e con un balzo mi è addosso a lambirmi il volto con la sua lingua calda e ruvida. Non faceva così da quand'ero un ragazzetto. Maxie pare divertito e affascinato dal tipo Fuoco, proprio come immaginavo, dunque inizia ad accarezzarlo lasciando perdere Ivan che adesso mi fissa in modo intimidatorio. Crede di spaventarmi? Pfff…
«Non pensavo avessi un Houndoom! Complimenti, è un esemplare meraviglioso e sembra volerti molto bene. Potrei conoscere anche gli altri tre Pokémon?» fisso le rimanenti sfere. Ne manca una, quella di Gyarados, ma forse è meglio così, quel bestione è alquanto ingombrante e se si lasciasse andare all'euforia sarebbe un bel guaio. Tutto il furore di curiosità che avevo prima ha lasciato posto ad una stranissima sensazione mista di trepidazione e ansia, non mi sento pronto a rivedere i miei compagni dopo tutto questo tempo. Non voglio lasciarmi andare o farmi immortalare in atteggiamenti affettuosi con esseri animati, non sarebbe da me.
«Allora, Cyrus?» Se questo servirà a distrarre Maxie, ben venga. Ne prendo una a caso e la lancio: vien fuori Weavile, atterra, si volge e mi punta con gli occhietti lucidi. Perché mi guarda così? Non mi sono mai curato di lui, l'ho solo usato per lottare fino all'ultimo sangue, cosa che ha sempre fatto impeccabilmente, eppure adesso muore dalla gioia di vedermi. Si arrampica sul mio corpo e mi cinge il busto con le braccine, affondando il viso nel mio torace. Questa scena mi mette in un incredibile imbarazzo poiché adesso tutti gli sguardi sono puntati su noi due, cerco di ignorarli, fare l'indifferente, strabuzzo le pupille in tutte le direzioni non facendo altro che incontrarne di altre, sospiro, sbatto la palpebra, guardo in basso. Weavile singhiozza di felicità e alza la testolina, schiudendo il musetto in un enigmatico sorrisetto, come per chiedermi se anche io sia contento di rivederlo. Il comandante dei Magma, intenerito dalla scena, allunga una mano verso quell'esserino accoccolato su di me, in procinto di accarezzarlo. Mi aspetto una reazione violenta da parte di Weavile, non si fa toccare da nessuno ed è sempre pronto a sfoderare gli artigli per difesa, eppure, stranamente, non contrattacca alla carezza di Maxie, anzi pare gradirla. Che sia stato rieducato in mia assenza? Che cosa assurda, chi mai si prenderebbe la briga di rieducare quella bestiolina indomabile appartenuta ad uno dei peggiori criminali? Proprio non capisco. Vorrei poter ricambiare le sue moine, ma la mia reputazione di uomo freddo e privo di sentimenti verrebbe meno, e con ciò tutto il mio lavoro durato due anni di prigionia. Mi dispiace, mi dispiace davvero. Il suo giubilo si spegne gradualmente, mi pungola con gli artigli ma non reagisco. Deluso dal mio atteggiamento si lascia prendere in braccio da Maxie, il quale si occupa di regalargli qualche gesto d'affetto. Mi fa malissimo avercelo a pochi centimetri e non potergli dimostrare quanto in realtà mi sia mancato, lui e tutti gli altri, gli unici che mi abbiano seguito davvero fino alla fine. Non so perché lo abbiano fatto, ma se ci penso è qualcosa di sublime. Che sia lo stesso tipo di.. "amore" che intercorre tra due umani? O forse una forma di gratitudine, come quella che devo io a Maxie? È qualcosa d'invisibile, eppure incredibilmente forte, un po' come la forza di un campo elettromagnetico o quella dell'attrazione gravitazionale. Il rapporto che si instaura tra Allenatori e Pokémon, dunque, è circa come quello che c'è tra il nucleo di un atomo e i suoi elettroni? 

Mi perdo in queste fantasticherie chimeriche ma ben presto son costretto a destarmi: al centro del cortile Giovanni e Ghecis, coi rispettivi Nidoking e Hydreigon si sono lanciati in un duello e siamo stati appena sfiorati da delle schegge di un Dragobolide. Mi lego la cintura con le restanti sfere e insieme al rosso arranco in un posto più riparato dal quale seguire la battaglia. Sono dei bambinoni, quei due, a giungere a tanto per una stupida giocata a Poker vinta con l'inganno dal nuovo arrivato e persa con la troppa vanagloria dell'altro. Certo che la sfida si sta facendo interessante, il drago seppur acciaccato dalla potenza di quella mossa riesce ad evitare maestosamente ogni Geloraggio sparato dal nemico, che va a colpire zone di cortile a destra e sinistra, spargendo il panico tra gli altri detenuti. Una lotta alla pari, nessuno prevale sull'altro, terminerà in un prolungato logoramento se nessuno dei due si deciderà a cambiare strategia. Poiché tutti sono concentrati su quello che sta accadendo e posso passare inosservato, raccolgo Weavile e, per la prima volta dopo tanti, tantissimi anni, gli concedo un caloroso abbraccio, o almeno è quello che sto cercando di fare. Non sono più capace neppure di un gesto così naturale. Annuso il suo pulitissimo pelo scuro e una nebulosa di lavanda inonda i miei polmoni; amo questo aroma. Si accomoda supino tra le mie braccia e mi accorgo di un particolare tutt'altro che trascurabile: qualcuno gli ha attaccato al collo un piccolo papillon dello stesso colore della sua pelliccia, nero, che potrebbe sfuggire ad una prima occhiata disattenta. Non è la prima volta che vedo quell'accessorio. Un flusso di reminiscenze galoppa nella mia mente fino a materializzarsi in una sola ed elegante figura umana: Cynthia. Non sono solo. Esisto ancora per qualcuno, lì fuori. Qualcuno di molto importante. Chissà il nonno come sta, se è a conoscenza della sorte del suo adorato nipotino che non vede da un buon lustro di anni, se… se è ancora vivo e ha bisogno di un ausilio. No, non posso starmene qui con le mani in mano ad attendere un'ipotetica esecuzione capitale in balia della vacuità e tra le grinfie di Acromio. Lui, quell'infame, non si è neppure reso conto di aver perso il bisturi. Non è stato per nulla difficile sfilarglielo dalla tasca del camice mentre s'intratteneva in luride effusioni e nasconderlo sotto il materasso. Fin troppo semplice, che l'abbia fatto di proposito e che abbia un piano per incastrarmi? Non riesco a prevederlo, ma so per certo che quella lama mi tornerà utile, prima o poi. Che peccato, le sentinelle sono intervenute per porre fine allo scontro tra i due, li hanno immobilizzati e confiscato loro ogni Pokéball. Mi stavo divertendo. Guardo Maxie, intento a giocare con Houndoom e Camerupt, regalo qualche ultima carezza a Weavile e lo poso delicatamente per terra, è ora di tornare alla realtà di sempre, seppur ancora per poco. Consegnamo indietro i nostri Pokémon, mi duole non esser riuscito a rivedere Crobat e Honchkrow, ma ciò mi sprona ad ingegnarmi con la massima dedizione per escogitare un piano d'evasione infallibile e ben pianificato.


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Capitolo 9
*** 9. Un piccolo favore [By Lily] ***


9. Un piccolo favore
9. Un piccolo favore
By Lily




giovix2



Se c'è qualcosa che adoro più del mio amato Persian, sicuramente è la Domenica.
I lavori forzati sono sospesi fino a Lunedì, le ore di svago si prolungano nel pomeriggio, e la sera i detenuti si sollazzano sotto al getto caldo della doccia. Mi ritengo un uomo abbastanza pulito, ordinato ed elegante; detesto sguazzare nella sporcizia, per non parlare del sudore e del fetore che può provocare, odio l'idea di passare sei giorni a secco. È complicato prendersi cura del proprio corpo, specialmente se non si hanno a disposizione acqua e sapone. Credetemi, so bene quel che dico.
Se durante la settimana non dovessi spaccare pietre, non avrei alcun motivo per polemizzare. Ho provato più volte a corrompere le sentinelle, a quei tempi promettevo soldi in cambio dell'attestato di invalidità, così da non creare scompigli vari con il resto dei carcerati, ma le guardie non si sono mai piegate alle mie volontà. Non mi sono mai arreso e ho continuato a insistere, adesso la durata del mio turno si interrompe dopo un'oretta scarsa.
Mai Giovanni dovrà spaccare pietre sotto al sole cocente, spezzarsi la schiena con un movimento brusco e puzzare come un animale. Anche se chiuso in carcere resto il Leader di una nota banda di criminali, ho una dignità da mantenere se voglio guadagnarmi del rispetto, quei maledetti insetti che vivono a stretto contatto con me devono tremare dalla paura, devono percepire il bisogno di scappare a gambe levate nello stesso attimo in cui mi vedono arrivare.
Sono l'unico Dio qui dentro.
E la nomea del malefico Boss è crollata a causa di un'insulsa partita a Poker. Ero in grado di controllare ogni antro nascosto del carcere, non poteva succedere qualcosa che arrivava subito alle mie orecchie, poi è spuntato dal nulla quel vecchio decrepito di Ghecis e ogni sacrificio è andato sprecato. Dannazione.
Del suo compagno di merende non ne parliamo neanche. Acromio è quella persona che si limita a mostrare sorrisi o gentilezze varie ma, se prende confidenza, lo sciacallo famelico che c'è in lui esce allo scoperto. È chiaro che devo gettare nella spazzatura quel rifiuto umano.
All'inizio ha messo in ginocchio Ivan con l'arresto del suo sottoposto, in un secondo momento l'ha separato da Max per renderlo vulnerabile. Poi è passato direttamente a Cyrus, l'ha torturato per strappargli informazioni. Almeno è l'idea che si è creata nella mia mente, rifletto sull'episodio da quando ho saputo l'agghiacciante notizia.
Il ventisettenne dai capelli azzurri è sempre stato calmo, fin dal primo giorno dormiva o passava le giornate a osservare il vuoto. Nessuno mi ha permesso di esaminare le ferite, ma sono certo che non aveva alcun motivo per porre fine alla sua esistenza. È evidente che sotto c'è lo zampino dello scienziato.
E io sono il prossimo della lista quindi le scommesse, il Poker, la rivalità con Ghecis e gli altri affari potranno sicuramente attendere, c'è in gioco la mia reputazione e non posso lasciarmi sconfiggere.

Scrollo le spalle e mi lecco velocemente i denti, poi i miei occhi si mettono a esplorare con calma l'ambiente semi buio che mi circonda, una stanza priva di finestre dalle pareti e i pavimenti scuri, decorata da un tavolo lungo e stretto messo in risalto dalla luce bianca del neon. Accendo un sigaro e mi concedo un meritato tiro, ne tengo sempre uno di scorta per i casi di emergenza, più precisamente nel taschino della tuta. Sospiro e continuo ad aspettare l'arrivo di Acromio, ieri l'ho avvicinato e gli ho dato appuntamento; evidentemente è talmente occupato a parlare con il direttore (mentecatto anche lui) che si è dimenticato di raggiungermi.
Cominciamo male. Molto male. Veramente male.
Finalmente la porta si apre e vengo colpito da un fascio di luce, rimango abbagliato e strizzo gli occhi per non lacrimare, lui intanto si avvicina con indifferenza e indignazione, poi liquida le sentinelle che l'hanno accompagnato. Qui saremo da soli, nessuno ci potrà mai sentire, sempre se non dispone di un microfono nascosto.
Devo stare attento. Essere prudente, i fallimenti non sono i benvenuti.
...Come mai queste preoccupazioni? Solamente oggi mi sono passati per la mente dei pensieri simili, da giovane non mi facevo problemi a divorare i nemici che incontravo. Sto forse invecchiando?
Evidentemente è così e devo farmene una ragione, lo scontro di Pokémon con Ghecis ne è la prova schiacciante, è stata la prima volta che ho visto Nidoking in seria difficoltà, quel drago a tre teste a momenti aveva la meglio sul mio fedele compagno di squadra. Ma gli anni trascorsi alla Palestra di Smeraldopoli hanno dato i loro frutti, ho gestito al meglio le potenzialità dell'imponente creatura e ho terminato la battaglia con una parità. Durante la lotta sono stato ferito da una scheggia di vetro, è saltata in aria dopo un attacco Dragobolide ben piazzato, mi ha colpito all'altezza della fronte e i medici hanno impiegato ore a lavorarci sopra, ma almeno posso mostrare con comportamento fiero la nuova cicatrice.

Ghecis non è forte o robusto come me, sul suo conto circolano solo dei pettegolezzi infondati, già è in prossimità di rinunciare e ciò glielo si può leggere in faccia.
Stai attento capellone. Sei sulla mia lista nera.
«Sei un vero maleducato a invitarmi in un posto simile, Giovanni. Disponi di così tanti servigi, potevi farmi accomodare in una stanza più confortevole, un po' di luce naturale non guastava. Voglio evitare di far stancare i miei occhi. Se trovavo la tavola imbandita di tè e dei pasticcini, ero al top, è risaputo che sono ottimi per garantire una buona conversazione. Ma visto che mi devo accontentare...Be'...perché hai insistito per vedermi?».
Acromio biascica quelle parole con un portamento infantile, non ho ancora aperto bocca e già si lamenta del più e del meno, è tipico dei cocchi degli agenti pretendere ogni meraviglia presente al mondo. Si sta tradendo da solo, che sciocco.
Dalla prima volta che l'ho incontrato non mi ha fatto una bella impressione, adesso che è d'accordo con la polizia sento la nausea appena punto lo sguardo su quel viso sbarazzino. Pelle ben curata dalle guance rosee e paffute, a prima vista pare ricoperto da un involucro di seta pregiata; i suoi lineamenti sono perfetti e armoniosi, il suo volto infatti ha la forma di un preziosissimo topazio. I particolari rimangono ben nascosti sotto alla montatura leggera e ovale degli occhiali metallizzati, che gli donano un'aria da vero intellettuale. È abbastanza eccentrico come soggetto, non posso negarlo.

Ammetto che mi affascina questo suo particolare, in genere le persone che hanno dimestichezza con lo studio non sono portati per la cura dell'estetica, sono più sciatti del normale e basta metterlo a confronto con Cyrus (quel ragazzo ha delle borse sotto agli occhi così profonde da sembrare dei crateri lunari), per far capire anche a un caprone come Ivan che Acromio è in grado di distinguersi dalla massa. Il suo fisico potrebbe fare invidia a qualsiasi modello, scommetto che con il camice da laboratorio farebbe una bella figura qui dentro:
«Con calma, Acromio, lasciami almeno il tempo di salutarti. Sei arrivato in ritardo all'appuntamento, non vorrai farmi credere che correrai direttamente al sodo» esclamo per tranquillizzarlo, poi appoggio il sigaro marroncino su un lato del posacenere circolare. Lo lascio consumare per diversi minuti e mi lecco i denti con un gesto istintivo, così facendo una nuvola grigiastra si solleva delicatamente verso il soffitto, è elegante notare quella straordinaria danza astratta.
Mi divide da Acromio. La contemplo, mi rilassa: «Ho parlato con le sentinelle prima del nostro incontro, avranno modo di presentarsi solo quando avremo finito di consultarci. Perciò faresti meglio a rilassarti».
«Ti ringrazio per questo gesto Giovanni, è divertente vedere come ti impegni a mantenere alto il tuo ego. Da quando mi sono messo in mezzo per la partita a Poker, hai ricevuto delle belle batoste da parte di Ghecis. Non è forse così?» il volto dello scienziato si macchia con un ghigno, dovrebbe essere un sorriso, ma le sfumature grottesche che racchiude mi saltano subito all'occhio.
Ci sta provando, vuole stuzzicarmi e smontarmi. Povero illuso.
Mi calmo istantaneamente e scrollo le spalle robuste, non devo cadere nella sua tela. Se ci fosse il mio adorato Persian, offrirei un'immagine più minacciosa e autoritaria. Mi sarebbe di grande aiuto, ma in questo momento devo cavarmela con le mie sole forze, come ho sempre fatto: «Esattamente, devo ammettere che sei un tipo abbastanza intelligente, Acromio caro» scoppio a ridere: «Devo ringraziarti per quella soffiata sull'apparecchio elettronico, da quando l'ho saputo mi hai aperto un mondo».
«È stato un piacere poter dare una mano a Giovanni, il Leader del famoso Team Rocket. Da sempre sento i racconti delle tue imprese, ammiro ciò che sei riuscito a realizzare» vaneggia, dal tono di voce sembra convincente, i suoi occhi sono ricchi di pure emozioni. Non lo facevo un attore così bravo, meriterebbe un premio per la performance che sta offrendo: «Ma non posso immaginare che, un uomo così sofisticato e potente, sia costretto a fare la muffa in un luogo così scadente. Come sei riuscito a farti arrestare dalla polizia? Il tuo nascondiglio alle cascate sembrava ottimo. Avanti, dimmelo, sono curioso!».
Mi sforzo di sorridere, riprendo il sigaro e mi rilasso con qualche tiro. È un metodo eccezionale per pensare a una risposta, Acromio è così bene informato sul mio conto. A quanto pare il direttore si è offerto di aiutarlo, dovevo immaginarmelo: «Non mi sono fatto catturare» lo correggo, infine mi rilasso sullo schienale rigido della sedia di plastica: «A un certo punto mi sono annoiato, poi mi sono costituito. Se resto dentro al carcere è solo per trarne dei benefici, semplici profitti, la mia è una vera pausa di riflessione Acromio
».
«Pausa di riflessione? Benefici? Oh Giovanni, sei un uomo dalle mille sfumature. Non ti immaginavo così arguto, così intelligente da fare un passo talmente estremo!» noto la luce nelle sue iridi cristalline, sono riuscito a catturare il suo interesse, adesso comincerà il suo interrogatorio: «E cosa hai in mente di fare? A me puoi dirlo, dopo ciò che ho fatto per te posso considerarmi tuo amico. Vero Giovanni?».
«No» scuoto la testa, rido e poso nuovamente il sigaro: «Assolutamente no» ripeto e, questa volta, scandisco bene le parole. Lo guardo negli occhi, dimostro di non provare alcun timore per lui: «Al massimo possiamo considerarci conoscenti, non accetto amicizie dopo un misero favore. Le mie sono informazioni assolutamente riservate e private, non le dirò a nessuno, nemmeno a Ivan e a Max che in passato hanno avuto modo di aiutarmi. Me le porterò direttamente nella tomba, specialmente se in caso di fallimento».
«Ivan e Max? Quei due? Quale ruolo hanno in tutto questo?».
«Niente di interessante, te lo posso garantire» sono felice di aver cambiato argomento, forse le domande sul Team saranno finite.
«Può darsi, ma non ci casco» annuisce pensieroso, infine si sistema gli occhiali da vista: «In che modo sono riusciti ad aiutarti? Ho letto molto su quei due, ma non ho mai trovato un collegamento con il Team Rocket. Solo delle assurde imprese da ambientalisti, episodi frivoli per la storia della criminalità».
«Eppure i due si sono conosciuti all'interno della mia organizzazione, entrambi si sono arruolati per un motivo diverso dall'altro. Ivan non ti ha parlato di ciò?» racconto senza provare vergogna e spengo il sigaro, in effetti è vero che i due Leader si sono conosciuti nel periodo del reclutamento, entrambi giovani e con le menti rivolte su un futuro provvisorio e incerto.

Sorrido compiaciuto e mi passo la mano tra i capelli scuri, non mi sono mai dimenticato di quella strana coppia. Anche io allora avevo anni in meno sulle spalle, ero meno stanco dopo una giornata passata in ufficio.
«No, non sono stato informato» lo scienziato è teso, noto con piacere che la notizia l'ha messo in confusione. Assume una posizione rigida, stringe così forte le mani da far sbiancare le nocche, non è più il ruffiano di pochi secondi fa. Adesso che la maschera è andata in frantumi, posso divertirmi.
«È un vero peccato, mi hai veramente deluso Acromio. Un canarino che si rispetti dovrebbe avere i mezzi necessari per compiere il suo dovere» mi lascio trasportare in una fragorosa risata, questa volta molto più cattiva della precedente, così intreccio le braccia al petto.
Osservo l'uomo che sta seduto davanti a me, è sbiancato come un cencio, è scosso e non ha la forza per cercare argomentazioni con cui rispondere. Colpito e affondato.
Giovanni è sempre in grado di cogliere di sorpresa il nemico, anche il più intelligente e sofisticato: «Pensavi davvero di farla franca?».
«Le tue sono delle parole campate in aria, non hai prove concrete per dimostrarlo» borbotta e annuisce soddisfatto, si schiarisce la voce con un colpo di tosse e sospira. Poi sistema gli occhiali, il riflesso che si è creato con la luce del neon oscura le iridi dello scienziato: «La base delle tue teorie si concentra all'arresto di Alan, non è forse così? Non mi vergogno a dire che ti sbagli, Giovanni. Ero a conoscenza di quelle informazioni perché è stato Ivan a rivelarmele, forse vaneggiavo distrattamente con Ghecis quando, gli agenti a guardia della mia cella, hanno origliato la conversazione e si sono dati da fare».
Sicuramente Acromio è nato per essere un criminale, sono in pochi i soggetti che si creano una giustificazione in cinque minuti di pausa. Devo dargli un merito, almeno si guadagna la medaglia del professionista, è molto credibile: «Stronzate» lo blocco immediatamente, la mia intenzione è quella di smascherarlo: «Non ho mai parlato del tenente Idro, hai forse la coda di paglia Acromio?».
Un sorriso beffardo nasce sul mio viso, adoro tenerlo in pugno:
«Volevo precisarlo, è scomoda la colpa del canarino».
«Forse perché lo sei?».
«Il tuo discorso non ha alcun senso Giovanni, prima di puntare il dito dovresti avere delle certezze. Ma vedo che ne sei sprovvisto, quindi è il caso di chiudere qui la faccenda se non ti dispiace» scrolla le spalle e appoggia le braccia sul tavolo, poi unisce le mani. È stanco, glielo si legge chiaramente sul volto. Forse è meglio lasciarlo andare, per oggi non sono riuscito a ottenere ciò che speravo, però mi avvicinerò alla sua confessione e solo allora sfrutterò i suoi servigi per ottenere la libertà. È questo a cui miro, non è nel mio interesse dare una mano a Ivan o a quello psicotico di Cyrus, ho un'improvvisa voglia di uscire e lui è la sola chiave per farlo.
In maniera pulita, sembrerebbe.
«Ti preferivo quando eri addosso a Ghecis» commenta, è nervoso.
«Con lui non ho ancora finito, sono ancora all'inizio».
«Oh interessante, mi terrò aggiornato» ridacchia. È irritante.
«Non accetto il tuo sarcasmo in mia presenza, quindi sparisci».
«La sai una cosa, Giovanni?».
«No, che cosa?».
«Da quando hai iniziato questa rivalità con Ghecis, confesso che entrambi vi somigliate molto. Più di quello che pensi».
Stringo il pugno e mi mordicchio il labbro, le sue parole sono un vero oltraggio. Mai Giovanni somiglierà a qualcun altro, specialmente se il diretto interessato è un essere nauseante come Ghecis: «Oh, ma davvero? E cosa te lo fa pensare?».
«Tu e Ghecis avete molte caratteristiche in comune. Specialmente una».
«Quale?».
«Anche lui ha un figlio».


SHIPSHIPSHIP




Quelle parole mi frullano costantemente nella testa, non riesco a pensare ad altro e la rabbia cresce in me. Vorrei urlare, spaccare tutto in preda a un attacco d'ira, ma nella mia cella ci sono dei mobili costosi che la trasformano in un mini appartamento, non me la sento di rinunciare alla loro presenza. Non è facile corrompere le sentinelle, gli uomini in divisa mi accontentano per farmi spifferare informazioni importanti sul Team Rocket, ma Giovanni non è l'individuo che si piega così facilmente. Hanno molto su cui lavorare.
Ghecis. Padre.
Non me lo immagino mentre culla con amore un neonato, che lo allatta con un biberon senza lamentarsi, oppure mentre gli cambia il pannolino. Sono convinto che l'avrà fatto fare a qualcun altro, sporcarsi le mani non è da lui. Non mi darebbe così fastidio la notizia, se non ci fosse quell'essere di mezzo. Da quando l'ho conosciuto non riesco a scrollarmelo di dosso, ogni volta che provo a rilassarmi, il ricordo di quei lunghi capelli verdognoli e di quella partita a Poker mi assale. È vero che ha avuto la meglio grazie a uno strambo congegno elettronico, l'ha nascosto bene dato che si tratta del monocolo che gli oscura la cicatrice sull'occhio, ma non posso dedicarmi ad altro se è riuscito a mettermi i piedi in testa. Con o senza aiuto esterno.

Appena c'è il cambio delle guardie e vengo lasciato da solo, sprofondo sulla poltrona con un gesto secco e torturo la benda sulla fronte, recupero un sigaro dal tavolino in stile moderno, infine l'accendo con l'acciarino che se ne sta sempre nel taschino della divisa a strisce bianche e nere. Il mio sguardo intanto si incastra in un punto vuoto della cella, la mia mente per un attimo la pianta di concentrarsi su Ghecis e il suo pargolo, così riesco a visualizzare alla meglio il volto giovanile di Silver e dei suoi capelli rossi ereditati dalla madre, Ariana.
Una donna dal fisico eccezionale, carattere forte e molto fedele nei miei confronti, così tanto da garantirsi un rango abbastanza alto nel Team Rocket, ha avuto la meglio anche sul mio interesse da uomo. Maledetta arpia succhia soldi, era fantastica come amante, avrò passato numerosi notti a dormire sul suo morbido seno. Ricordo ancora quando mi confessò di essere rimasta incinta: era inverno e la pioggia cadeva dal cielo da diverse ore, io e lei avevamo appena finito di crogiolare nei piaceri della carne. Me lo sussurrò con dolcezza quando ero impegnato a rivestirmi, lei mi amava e scoppiava di gioia, i suoi occhi brillavano come delle meravigliose gemme.

Ma io ero talmente stupido da non ricambiare. Veramente sperava di creare una famiglia con il suo superiore?
La mia reazione è stata negativa e l'ho lasciata da sola in quel letto, ero giovane e troppo indaffarato con gli scopi del Team per preoccuparmi della situazione; Ariana, però, era così forte che non si azzardò a comunicare il disagio in cui era inciampata, era gelida e silenziosa come l'aria che penetrava dalla finestra lasciata aperta. Abbiamo passato settimane a litigare per la gravidanza, io le imponevo l'aborto ma lei non voleva rispettare i miei ordini, non accettavo l'idea di crescere un figlio e di assumere certe responsabilità, sentivo la nausea quando percepivo il pianto o la risata di un bambino. Nel momento in cui ero arrivato al limite della pazienza, ho preso la decisione di trasferirla nel rifugio di Mogania, attualmente si trova nella regione di Johto. Il mio scopo era quello di farle trascorrere una gravidanza gradevole, poi avrebbe ripreso in mano i ranghi e tutto sarebbe tornato alla normalità. Con o senza marmocchio.
Però ero rimasto di sasso quando tornò dal viaggio, non c'era nessun bambino e io pensavo che fosse deceduto dopo il parto.
Solo dicei anni dopo avevo scoperto che Ariana aveva trovato una sistemazione per lui, l'aveva fatto crescere all'interno del rifugio da cui scappò senza esitare, a quanto pare il signorino non condivideva il "credo" sui cui si basava il Team. Io ero già diviso dagli affari dei Rocket, quindi dal mio nascondiglio seguivo attentamente i suoi passi e lo individuai nel villaggio più piccolo di Johto, si aggirava attorno allo stabilimento gestito dal Professor. Elm e lo puntava da diversi giorni. Silver, questo era il nome del bastardello che era venuto al mondo, era stato così coraggioso da rubare un Pokémon in quel laboratorio, anche se aveva l'opportunità di chiederlo e di comportarsi civilmente.
Già a dieci anni era in grado di rendermi fiero, aveva messo le mani su un Totodile cioè un Pokémon talmente raro da essere introvabile.
Le nostre vie si sono incrociate un'unica volta. Ero stato io a fare il primo passo.
Scoppiavo di gioia quando ci siamo ritrovati faccia a faccia, se non mi sbaglio in squadra aveva dei Pokémon particolari e che allenava secondo un rude criterio, ma era troppo tardi per recuperare il rapporto, sentivo l'odio che provava nei confronti miei e della mia organizzazione, quindi non potevo reclutarlo per garantire un prossimo Leader al Team Rocket. Perciò ci siamo confrontati con una critica battaglia e, al termine dello scontro, gli ho dato la possibilità di tornare sui suoi passi, aveva perso e ciò sottolineava che il suo percorso da allenatore non era finito.
Da allora non l'ho più sentito nominare, ero già in manette quando era scomparso dalla circolazione, quindi non potevo seguirlo in segreto e garantirgli la protezione che meritava. Ero suo padre, accidenti.
Ma non ha importanza se con lui ho commesso una lunga serie di errori, adesso sarà grande e i suoi Pokémon provvederanno ad aiutarlo, non ha bisogno di me.



«Giovanni, preparati, è l'ora della doccia».


Massaggio le tempie con movimenti circolari, sospiro e spengo il sigaro che si è consumato tra le dita. Il mio continuo rimurginare ha preso il controllo totale, limita ogni mio movimento più semplice, è il momento perfetto per tornare alla realtà con un bagno caldo. Servirà per rilassare i nervi, è una settimana che non dormo adeguatamente. Osservo l'uomo in divisa che mi ha appena interpellato, dalla sua espressione apprendo che si è svegliato con la luna storta (stare a contatto con i criminali non deve essere una passeggiata, non lo invidio per niente), perciò annuisco senza aggiungere una delle mie sentenze e abbandono il posto a sedere, raggiungo la porta e aspetto che si apra. Il tempo di fare un passo che ho già le manette ai polsi, cinque poliziotti sono già pronti per scortarmi fino alla parte opposta del corridoio.
Partirò da solo, poi arriveranno anche gli altri.
Noi boss siamo costretti all'isolamento più totale, ci troviamo all'ultimo piano dell'edificio, in una sezione desolata ma pronta a ospitare i soggetti più pericolosi della malavita. Dalle sei del mattino ci mescolano al resto dei carcerati, così facciamo colazione nella mensa e ci spediscono ai lavori forzati, durano fino all'ora di pranzo. Nel pomeriggio non possiamo fare altro che aspettare l'ora d'aria, ma alle cinque torniamo nei nostri angoli ristretti. La sera gli inservienti, detenuti che cercano la libertà tramite un impiego onesto, iniziano a bazzicare tra le celle dei Leader per servire la cena e, dopo un'ora esatta, le luci si spengono automaticamente a causa del coprifuoco.
È noioso essere un detenuto, molti impazziscono nel restare chiusi qui dentro, però dalla mia bocca non escono mai lamentele e continuo la routine come se niente fosse, Giovanni è in grado di adattarsi a qualsiasi circostanza. Grazie ai mille favori, godo di una situazione adagiata e tranquilla e, i giri che ho creato, impegnano la mia mente a ogni ora del giorno.
Ma con le riflessioni ho chiuso definitivamente per oggi, le sentinelle mi hanno liberato dentro alla stanza delle docce, quindi posso finalmente rilassarmi.
Sorrido deliziato. Attendo quest'attimo da sei giorni.
In breve tempo mi rintano tra i separè di legno e, mentre i miei compagni di disavventure prendono postazione sotto gli occhi delle guardie, l'acqua bollente scorre sul mio corpo robusto e leggermente muscoloso, così dimentico gli eventi che sono successi nell'arco della settimana.
«Entra, non fare il timido».
Apro gli occhi all'eco di quella voce, poi punto la parete lignea posta alla mia destra. È Max, a quanto pare è insieme a qualcuno.

È forse tornato con Ivan?
Non ci posso credere.
L'ultima litigata dei due è stata micidiale, sfido chiunque a sistemare una relazione dopo ciò che si sono detti, dopo anni Ivan ha mostrato il lato da barbaro per cui è diventato famoso.
Un ghigno divertito si impossessa del mio volto però, quando mi arrampico per dare una sbirciatina nella doccia accanto, la scena che mi si para davanti è in grado di sottrarmi l'entusiasmo.
Quello che vedo è sicuramente Max e il suo corpicino snello, ma in questo caso è in compagnia di Cyrus. Il vegetale.
L'ha messo sulla sedia che era riservata all'ultimo compagno del rosso, se ne sta curvo per coprire l'intimità maschile, ma non dà alcun segno di vita. L'altro invece è entusiasta della nuova compagnia, è talmente occupato a insaponargli gli inspidi capelli azzurri che non si è accorto di me. Movimenti circolari, lo sta sottoponendo a un massaggio.
Confesso che lo invidio.
«Ehi, Maxie».
Lo chiamo.
Lui sussulta, spaventato, poi mi guarda.
«Ciao, Giovanni» risponde con calma, infine torna a coccolare quel coso.
«Vedo che ti sei fatto un nuovo amichetto, sono contento» sghignazzo: «Dove l'hai mandato il tuo dolce marinaio?»
«Non lo so e non mi importa» afferma, ha gli occhi lucidi.
«Va bene, ho capito, non sei dell'umore» scrollo le spalle e incrocio le braccia sopra al bordo in legno, poi ci appoggio il mento. Continuo a fissarlo, è imbarazzato dalla mia presenza, devo cercare di essere il più veloce possibile: «Non vorrei disturbarti in un momento simile ma, io e te, dobbiamo fare una chiacchierata. Appena hai finito con quel coso fai un salto nella mia cella, ceneremo insieme stasera»
«Non posso, Cyrus ha bisogno di qualcuno che l'aiuti a mangiare e...»
«Quel coso si può ingozzare da solo» lo interrompo bruscamente, non amo essere rifiutato: «Sii puntuale, ho bisogno che tu mi faccia un piccolo favore».



Pulito e abiti profumati, non posso chiedere di meglio.
Dopo il mio invito Max si è presentato in tempo per la cena, appena si è messo a sedere sulla poltrona per gli ospiti, gli inservienti sono arrivati con le pietanze. Due bistecche al sangue, proprio come piacciono a me, contornate da patate arrosto e un buon bicchiere di vino rosso. Non guasta mai. Giovanni non mangia spazzatura, specialmente se ha ospiti:
«Perché mi hai fatto venire, Giovanni? Di cosa mi volevi parlare?».
Scrollo le spalle all'affermazione e mi stendo contro lo schienale, poi accendo il sigaro e lo guardo direttamente negli occhi. Max non è cambiato molto, è rimasto il ragazzo che ho conosciuto anni fa.
Adesso è un uomo, ha solo qualche ruga in più:

«Prima di cominciare, in realtà, volevo soffermarmi un attimo sulla tua situazione» esprimo dopo minuti di pausa, intanto giocherello con il sigaro marroncino: «Sei veramente sicuro di ciò che stai facendo?»
«Non capisco dove vuoi andare a parare»
«Perché stai facendo coppia fissa con Cyrus? Quel tipo è senza speranze»
«Non dire così» afferma, nelle sue parole è presente un leggero accenno di rimprovero: «Ha bisogno di qualcuno accanto, sono sicuro che un po' di compagnia gli farà bene. Quando abbiamo incontrato i nostri Pokémon, era diverso. Dovevi vederlo».
«Non ha importanza» sbuffo e faccio roteare gli occhi: «Anche prima eri apprensivo, ma ora stai esagerando. Ti rendi conto che gli dedichi attenzioni per ripicca? Non ti starai mica prendendo una cotta per lui?»
Max abbassa la testa, poi incrocia le mani tra loro. Forse è arrossito, quello scienziato è imprevedibile: «Non ho la mentalità adatta per dedicarmi completamente a un'altra persona, anche se volessi non ci riuscirei. Sai delle mie condizioni attuali, forse più di chiunque altro»
«Lo spero bene. Cyrus non è l'uomo che fa al caso tuo, fidati»
«Accetterò il tuo consiglio ma ti ricordo che non sono tuo figlio, quindi smettila di comportarti come se fossi mio padre» conclude e resta immobile.
Schiocco la lingua contro al palato e lo fisso senza replicare, ha ragione. È talmente simile al mio Silver che non riesco a trattenere gli istinti...Vecchiaia, sento il tuo peso sulle mie spalle. Dannazione.
Ma è il momento di mettere da parte i sentimenti per passare agli affari, mi disgusta perdere tempo per discutere su situazioni da fiction per casalinghe depresse.
«Max, cosa sai di Acromio?».
«Niente di particolare, solo che è un bastardo» sussurra tra i denti e volta lo sguardo verso la finestra, percepisco lontano un chilometro l'odio che scorre nelle vene dello scienziato. Ha tutte le ragioni del mondo per detestarlo: prima l'ha separato dalla persona che più amava, poi si è accanito con quella specie di animaletto domestico.
Cyrus era sul punto di fare le fusa, lo giuro su mia madre.
«L'ho notato, ho avuto il piacere di scambiarci due chiacchiere proprio ieri. Bisogna tenerlo sotto stretto controllo, ogni suo spostamento è sinonimo di guai» spengo il sigaro nel posacenere lì vicino, poi rilasso i muscoli stanchi sullo schienale della poltrona.
«Scommetto che è stato lui a mettere le mani addosso a Cyrus» conferma con un tono di voce talmente sottile da sembrare un sibilo, se lo guardo sembra un Arbok pronto ad attaccare una preda tanto ambita: «I tagli che ha riportato sono degni di un chirurgo provetto e, secondo ciò che mi è stato detto, Cyrus ha più familiarità con le macchine e non con la medicina».
«Ma queste non sono prove sufficienti, se Acromio lavora insieme alle autorità lo proteggeranno, dobbiamo mettere le mani su qualcosa di concreto. Appena il resto dei detenuti vedrà il tradimento, correranno ad acchiapparlo».
«Ci sono i nastri della video sorveglianza, lì ci deve essere la risposta alle nostre domande».

Mi lecco i denti e sorrido sotto ai baffi, la sete di vendetta di Max è capitata a fagiolo dentro al mio piano diabolico. Se riesco a mettere le mani sul video che incastra quel canarico, di sicuro sarà un gioco da ragazzi metterlo in ginocchio. Poi lo ricatterò senza farmi alcuno scrupolo, lo convincerò a lavorare per conto mio e sarà quel bastardo ad assicurarmi la via d'uscita. Il direttore non si potrà rifiutare, gli ho fatto fin troppi favori da quando sono dietro alle sbarre.Ero d'accordo con lui ancora prima di finire in galera, quello sporco soggetto lavorava per il mio Team anche se era schierato verso la giustizia.


Poliziotti corrotti, sono adorabili.
Lui doveva portarmi in cella per 0ttenere una promozione, io con le mie informazioni l'aiutavo a scovare i criminali più incalliti delle regioni e, quando la mia presenza non gli garantiva più una buona condizione, doveva liberarmi o favorirmi una possibilità di fuga. Ma non ha mantenuto la sua promessa, è stato così assetato di soldi e fama quando sono venuti a galla il Team Galassia e il Team Plasma. Anche lui merita una punizione, forse quella più brutale, ma avrò modo di vendicarmi in futuro. Adesso è in circolazione una nuova banda di criminali, il loro nome è comparso sul quotidiano di qualche settimana fa, se non levo le tende il prima possibile mi terrà chiuso qui dentro per scovare anche loro.
«Ricordi quando ti ho chiesto un piccolo favore?» domando, Max è ancora lì che aspetta un mio segnale di vita.
Accidenti, oggi sto riflettendo così tanto che a momenti assomiglio a Cyrus.
«Sì».
«Ecco, è un compito talmente semplice che anche un bambino lo saprebbe fare. Tu dovrai portarmeli, non sarà difficile procurarseli visto che al tuo fianco hai uno scassinatore provetto come Gerardo» comincio a raccontare con il volto macchiato da un sorriso deliziato, poi mi lecco il labbro per assaporare il gusto estremo della vittoria: «In cambio farò due chiacchiere con il direttore, annullerò la condanna a morte di Cyrus.
Il giorno del misfatto è stabilito per la prossima domenica, sette giorni.
Hai le ore contate Maxie».

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Capitolo 10
*** 10. Ben fatto Maxie [Xavier] ***


10. Ben fatto Maxie
10. Ben fatto Maxie
By Xavier

maxinah

"Il giorno del misfatto è stabilito per la prossima domenica, sette giorni. Hai le ore contate Maxie".

Erano state queste le sue ultime parole. Le ultime parole di Giovanni, il più temuto tra tutti i capi delle organizzazioni criminali Pokémon. Mi sale l'ansia solo all'idea, sebbene sette giorni non siano così pochi, se si pensa che Dio abbia creato tutto l'universo in questo breve lasso di tempo (per come la vedono i creazionisti), mentre io dovrei solo rubare dei nastri dall'archivio delle registrazioni. No, no! Questo non basta, dalla mia riuscita dipende anche la vita di Cyrus, pover'uomo, non c'entra nulla con tutta questa storia, non ha mai fatto del male a nessuno da due anni a questa parte, eppure grava su di lui la peggior conseguenza di un ipotetico fallimento. Ci mancava solo Giovanni, mi sembra di esser tornato indietro di almeno vent'anni, quando ero ancora una sua recluta e dovevo obbedire ai suoi ordini senza discutere, pena l'abbassamento del salario. Non è cambiato di una virgola, lui, lascia sempre il lavoro sporco agli altri. Potrebbe benissimo procurarseli con le sue risorse, e invece mi ha messo in mezzo coinvolgendo inevitabilmente anche "il coso". Vuole farmi sentire in colpa, responsabile, ormai mi conosce bene e sa quali sono i miei punti deboli. Cosa farò? Che cosa farò se giustizieranno il mio unico amico rimasto? Non voglio rimanere da solo e scontare in solitudine il resto dei miei giorni tra queste quattro mura, è qualcosa di denigrante e disumano. Non voglio neppure tornare in ginocchio da Ivan dopo quanto è successo, sebbene la sua mancanza si stia facendo sentire sempre più come la soma appesantita sul dorso di un Rapidash lasciato a briglia sciolta. Sospiro esausto e affondo la testa nel cuscino dopo essermi tolto gli occhiali ed averli riposti sul comodino accanto al letto: non ho sonno, sebbene sia stata una giornata piuttosto intensa e il mio fisico ormai non è più quello di un giovanotto adolescente. Non è la prima volta che mi capita di vivere una situazione simile.

Quando ero a capo del Team Magma e urgeva elaborare un piano di riserva o qualcosa di simile, non andavo mai a dormire prima di aver concluso, anche a costo di stare in piedi più di 36 ore con l'aiuto di qualche tazza extra di tè o caffè. Fa parte della mia natura, non riesco a rilassarmi se prima non ho portato a termine il mio lavoro.
Mi giro e rigiro più volte nel giaciglio, nella vana speranza di trovare una posizione accomodante e che mi concili il sonno finché, stufo, non mi decido a prendere un libro qualsiasi tra quei pochi che mi hanno concesso di portare in cella, così per ammazzare il tempo. "Vulcanologia e minerali". Ah, ma tu guarda, proprio il manuale che adoperai ai tempi dell'università, quand'ero poco più che un adolescente. Quanti ricordi, quanta dedizione e quanto entusiasmo ci misi nella mia tesi di laurea! Non posso far a meno di sorridere amaramente, ripensando a quegli anni. La mia enorme passione per la Terra e per tutto ciò che la concerneva mi ha reso ogni lavoro successivo quasi un divertimento, mai un peso.

Le ricerche, le spedizioni, i calcoli minuziosi, tutti compiti odiati e disprezzati dai miei compagni di corso, erano per me una fonte di diletto e di gioia. Non fui mai più così felice come quando diventai il capo del Team Magma, a comando di tante tantissime reclute, tutte dedite e devote alla medesima passione. Com'ero felice… Sbadiglio rumorosamente e ripongo il libro al suo posto, per poi distendermi di fianco e prendere finalmente sonno. Un sonno per nulla tranquillo, ma sufficiente a recuperare le energie e rinfrescarmi la mente.

Mi alzo alle prime luci dell'alba e passo un buon quarto d'ora a stiracchiarmi come si deve, facendo scattare ogni singola articolazione del mio esile corpo, è una sorta di riscaldamento per me. Come al solito mi sciacquo per bene il viso e gli occhi nel lavello e poi pulisco delicatamente le lenti dei miei occhiali. Non deve esserci neppure un'impronta digitale o un granello di polvere a compromettere la mia visuale! Ultimati questi preparativi di routine attendo che arrivino le guardie per scortarci fino alla mensa; oggi come non mai ho bisogno di un'abbondante colazione e un carico di zuccheri. Sì, voglio togliermi questo peso il prima possibile, oggi stesso, se non si era capito. Per mia fortuna il mio fisico è alquanto acciaccato e non ho mai dato problemi al personale penitenziario, per cui la loro attenzione nei miei confronti è alquanto blanda e non sospettano mai nulla di tutto ciò che mi frulla per la testa. Non hanno idea di quanti piani di fuga io abbia pensato e continui ad escogitare, solo perché sono alquanto silenzioso. Ma chi, mai, progetterebbe un omicidio ad alta voce? Che ingenui.
Una volta giunto in sala mi siedo al solito posto, accanto a Cyrus. Lo osservo con una certa compassione, dritto negli occhi. Forse a lui neppure importa tanto di vivere o morire e mi sto affannando per nulla. Questo non lo so e probabilmente non lo saprò mai, ma so solo che sto facendo la cosa giusta che quantomeno mi eviterà futuri sensi di colpa. Consumo con flemma le mie fette di toast inzuppate nel caffellatte, ma ho ancora fame e sono nervoso.
"Amico mio, vorrai perdonarmi, ma probabilmente dopo mi ringrazierai" sussurro al mio compagno e celere celere gli soffio via la sua merenda. Lui non dice nulla, ovviamente, ma d'altronde non sembra avere molto appetito. "Un giorno usciremo da qui, vedrai. E tu sei ancora giovane, rispetto a me o a Giovanni. Non deprimerti, ci riprenderemo la dignità e non commetteremo più certi errori". Gli lascio una pacca d'incoraggiamento sulla spalla, per rafforzare la mia affermazione, e inizio a guardarmi intorno. La situazione è quella di tutti i giorni, né troppo né poco controllo. Devo innanzitutto capire dove si trova la sala archivi. Ma sarà al piano di sopra, suppongo, dal momento che non l'ho mai vista e ho solo accesso ai piani inferiori e al cortile. La grande orda di carcerati pian piano si sposta verso l'esterno per andare a fare i consueti lavori forzati. Che io non voglio fare e non farò! Cammino contromano, cercando di mischiarmi con la folla e passare inosservato ma..
«Ehi, Rosso Malpelo, non ti funzionano gli occhiali oggi? Stai sbagliando direzione» mi ammonisce una delle sentinelle. Ormai quello è il mio epiteto.
«Meglio rosso che pelato come te» rispondo con astio, faccio un colpo di tosse e riprendo a parlare: «ebbene ho dimenticato la custodia dei miei occhiali in cella. Come potrei spaccare le pietre con loro addosso? Se dovessero rompersi non potrei fare proprio nulla e poi…»
«Sì sì certo, ma fa' in fretta. Tanto non puoi scappare».







Annuisco e mi trascino per la mia via, sparendo dietro la parete dell'angolo.
La via sembra libera, dovrò fare molto in fretta. Cammino velocemente con passo silenzioso lungo il corridoio, fermandomi ad un cartello attaccato al muro che riporta la pianta dell'edificio: bingo! Proprio come pensavo, per raggiungere la stanza di video sorveglianza devo salire un'altra rampa di scale, giungere quindi all'ultimo piano e proseguire dritto. Dovrò fare molta attenzione perché sia a destra che a sinistra vi sono le camere con dormitorio delle guardie carcerarie, le quali, data la posizione di questa struttura, isolata da tutto e da tutti, lavorano e dormono qui a turni di mesi. Ci vogliono almeno 5 ore di navigazione per raggiungere la costa più vicina e 2 ore di elicottero per fare tutta la traversata di mare che ci separa dalla terraferma. Ciò parla da sé, anche per questo tutto sommato la sicurezza non è attentissima, proprio perché non c'è modo di scappare. L'unico modo sarebbe fuggire dal carcere, scavalcare le altissime mura con filo spinato e poi rubare uno dei mezzi di trasporto rigorosamente vigilati.
Impossibile in pratica.
Bene, sono arrivato.
Non sento alcun rumore, probabilmente, come avevo previsto, la gran parte del personale in questo momento si trova in cortile a sedare le risse e a controllare che i detenuti svolgano i lavori, o a ripulire le camere, la mensa, i bagni e il soggiorno. Ogni tanto si degnano di fare queste pulizie, d'altronde anche loro vivono qui e di certo sono abituati ad un tenore di vita nettamente migliore. E poi, detto in tutta sincerità, non hanno granché da fare e si annoiano, ed è meglio che si diano da fare con qualche faccenda domestica piuttosto che scontare la loro frustrazione sui carcerati.
Inspiro ed espiro più volte per rallentare i miei battiti talmente tamburellanti che mi pare di udirli e calmare i nervi tesi come cavi d'acciaio che reggono un ponte. Ora mi sento più pronto e avanzo. Passo due, quattro, sei stanze e tutto sembra tranquillo: le aule sono vuote, i letti appena rifatti e le imposte spalancate per far entrare quanta più luce possibile. Mi sento più tranquillo adesso, come protetto da una buona sorte e favorito dal destino, ammesso che esista. Un altro paio di camere e sarò arrivato a… No, troppo presto per parlare, riesco a sentire una voce provenire dalla prossima a destra. Accidenti! Che sia un ritardatario che non ha sentito la sveglia e si sta alzando solo adesso? Ben venga, sarà ancora stordito dal sonno e non si accorgerà di me. Mi appiattisco al muro e tendo le orecchie per capire meglio e le voci adesso sembrano esser diventate due. Avanzo un poco fino a scoprire che la porta di tale camera è chiusa. Tiro un lungo sospiro di sollievo. Sollievo che vien presto stroncato nell'istante in cui riesco a riconoscere una delle due voci: Acromio! Sebbene la mia voglia di dargli una bella lezione sia tantissima, adesso ho altro per la testa. E poi che diamine ci fa nella stanza del direttore? Scivolo via tutto acquattato e giungo finalmente alla mia tanto anelata meta; è ancora presto, dunque l'addetto alla sorveglianza ancora non è arrivato, sarà ancora giù a fare colazione quindi devo sbrigarmi e non perdere tempo. Sono sempre più convinto di avere il fato dalla mia parte, oggi, e devo giocarmi al meglio tutte le mie carte. Mi siedo alla scrivania che si apre su innumerevoli schermi che mostrano gran parte degli angoli dell'edificio. Avevo un'attrezzatura simile nel rifugio del Team Magma, quindi so bene come muovermi su questi congegni informatici. Forse per questo Giovanni ha mandato proprio me, perché si fida e mi ritiene in grado di eseguire un compito tanto complesso che necessita di calma, intuito e soprattutto praticità tecnica. Mi fa piacere che abbia questa buona opinione di me, lui, che mi ha dato le prime speranze sul futuro quand'ero una giovane recluta. Mi chiedo quale opinione abbia su Ivan a questo punto. O forse… no, meglio di no, non è il momento di pensare a queste sciocchezze e non sarà mai più il momento di pensare a Ivan, devo dimenticarlo. Osservo per un poco tutti gli schermi notando, come previsto, che tutto il personale è occupato a sedare una rissa in cortile, forse per una sigaretta o una dose di tabacco; continuate! Continuate pure e scannatevi. Ad esser sincero, mi aspettavo molte, molte più telecamere. Tanti punti della struttura sono senza sorveglianza, che gran parte delle videocamere siano fasulle? Che ci diano solo l'illusione di essere monitorati anche nel bagno, ma che in realtà, la vigilanza è alquanto scarsa, giustificata dall'impossibilità materiale di una fuga? Tutto è possibile. Ma adesso torniamo a noi. Mi sposto al monitor che dovrebbe contenere tutti i nastri di video sorveglianza, sistemati in ordine di data.

Basterà inserire il giorno (del quale sono a conoscenza) e l'orario, approssimato a tutta la mattinata fino all'ora di pranzo. Quella della cella di Cyrus dovrebbe essere la numero 0.4. Hm sì, perfetto. Digito tutti i dati necessari, trepidante dal ricevere il resoconto ma una voce meccanica smorza il mio entusiasmo: "informazione non trovata". Come? Come sarebbe a dire? Scrollo tutta la cronologia e noto, con mia grande sorpresa, che per un'intera ora la telecamera non ha ripreso proprio niente, e per le restanti ore mattutine non è successo assolutamente nulla all'interno delle sbarre. Come.. Com'è possibile? Che sia saltata l'elettricità proprio in quel lasso di tempo, e Acromio ne abbia approfittato? O che l'abbia disattivata lui stesso? Sì ma in che modo? Assurdo, impossibile. Ci penserò dopo, adesso devo scappare, mi auguro solo che Giovanni non vada su tutte le furie e mi creda, e creda che io abbia davvero rischiato la pelle per un buco nell'acqua.
Esco dalla sala di controllo e non posso far a meno di fermarmi dietro la porta dello studio del direttore per origliare la loro discussione. Non riesco a distinguere benissimo quel che si dicono, colpa in parte della tenue voce dello scienziato, ma metto mano sul fuoco che abbia detto "Cyrus" più di una volta. Ma che intenzioni ha? Perché vuole rovinarci? Non sarebbe meglio se si alleasse con noi, dal momento che è in una situazione analoga alla nostra? Cosa spera di ottenere col suo atteggiamento doppiogiochista?
«Ehi, Rosso Malpelo! Cosa diamine ci fai qui?» la possente voce della guardia mi tuona improvvisamente dietro e trasalisco, urtando col gomito la maniglia. Il dialogo tra i due si arresta. Cosa posso dire, adesso?
«Ehm… Io… Temo di aver sbagliato strada, ecco, non vedo granché bene e…»
«Ah! E speri che io me la beva? Sai come vengono puniti i trasgressori, hm?». Annuisco e mando giù rumorosamente.
«I trasgressori vengono messi in isolamento, le loro razioni di cibo drasticamente diminuite e diventano lo sfogo preferito dei carcerieri più cattivelli! Non dirmi che non lo sapevi, oh povero Maxie…» la fastidiosissima voce di Acromio risuona alle mie spalle.
«Potevi risparmiarti lo sproloquio, ne ero già a conoscenza. Non mi oppongo a tale castigo, ma prima, per cortesia, vorrei scambiare due parole con Giovanni, tempo di pochi secondi… Ugh!». Vengo immediatamente colpito al ventre dalla ginocchiata dell'energumeno e sono costretto a piegarmi a terra. Non riesco ad alzarmi. «Solo… Due parole..» replico con un ultimo sforzo, ma di rimando ricevo un altro strattone. Se solo, se solo avessi un briciolo della prestanza fisica di Ivan. Se solo ci fosse lui qui! Adesso non m'importa più dell'orgoglio o delle promesse fatte a me stesso, il dolore reprime tutto, desidero ardentemente la sua presenza, la sua protezione, com'è sempre stato da quando ci hanno catturati. E lui… come reagirebbe se mi vedesse in questo stato? Correrebbe in mio soccorso, come sempre, o a questo punto non gliene importerebbe più nulla? Io non…
«E alzati! O vuoi essere trascinato come un sacco di patate, eh?». Raccolgo le forze e mi tiro sulle ginocchia, mi appoggio al muro e mi alzo in piedi, barcollante e instabile. Ho la vista un po' offuscata ma riesco a distinguere nettamente la figura del biondino.
«Acromio… Perché tutto questo? Cosa pretendi da Cyrus, da me, da noi tutti?». La sua unica risposta un ghigno alquanto inquietante che non promette nulla di buono. So già cosa mi aspetta… Non oppongo resistenza e mi lascio ammanettare per essere condotto nella cella d'isolamento per non so quanto.
Giovanni, ho fallito, mi dispiace, mi dispiace tantissimo.
Cyrus… vorrei poterti chiedere scusa in questo momento, è solo e soltanto colpa mia se ti accadrà qualcosa di brutto.




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Capitolo 11
*** 11. Il ritorno [By Lily] ***


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11. Il ritorno
By Lily

chuchu


Il sole si innalza nella volta celeste, gli schiamazzi delle sentinelle mi perforano le orecchie. Apro gli occhi e sbuffo, sposto una ciocca di capelli dietro l'orecchio sinistro e agguanto il bastone, mi alzo dal letto senza fare troppe storie. Un'altra giornata è appena cominciata, da carcerato non posso fare altro che rimanere immobile, a lasciarmi scorrere addosso il susseguirsi degli eventi.
Sospiro silenzioso e poso lo sguardo sulla finestrella, da qui è possibile intravedere i colori pastello dell'aurora, dolci e morbidi come i disegni di un infante. Questa tortura si placherà con l'avvenire della mia stessa morte, la legge ha deciso di punirmi con un ergastolo. Sono stato trattato come un animale destinato al macello, mi hanno sbattuto in mezzo al marciume della società, composto da esseri ripugnanti come il loro passato, che si ammazzano l'un l'altro solo per accaparrarsi un misero pacchetto di sigarette, alcoolici o un giornaletto che raffigura le vere bellezze delle curve femminili.
Patetici, davvero patetici.
Se non ho perso il conto sono passate tre settimane da quando sono stato rinchiuso, Acromio non ha perso tempo e ha messo il suo zampino nella vita di alcuni carcerati, l'aria che si respira dentro alle celle è cambiata radicalmente. Prima potevo contare sull'anonimato, agire nell'ombra come un verme per nascondere i miei delitti contro la regione di Unima, ma la rivalità che si è creata con Giovanni mi ha messo sotto alle luci dei riflettori.
Ovunque mi giro si parla di me, Ghecis, l'uomo che ha sconfitto un tiranno che, per anni, ha controllato la miglior organizzazione criminale della storia. Ma non mi stupisco più di tanto se sono riuscito nel mio intento, il suo è solo un muro di ipocrisia, sfrutta l'immagine per controllare i più forti e schiacciare i deboli. Adesso è dietro alle sbarre come un comune mortale, è un perdente proprio come tutti gli altri, un fallito che sopravvive grazie al gioco sporco, un re che ha perso la sua corona cosparsa di smeraldi luccicanti.
E così anche io. Non sono da meno.
Cosa racconterò ai figli delle nuove generazioni? Cosa mi resta delle mie imprese? Niente. Un cumulo di polvere e amarezze.
Sono un fallito, un prigioniero condannato a spaccare pietre sotto il sole.
E basta.
«Ghecis? Sei già sveglio?».
Ivan.
Un ragazzo sopra le righe ma dal cuore d'oro, un altro soggetto che ha provato a sconvolgere il mondo con le sue imprese catastrofiche. Fallendo miseramente.
Mi volto verso di lui con movimenti lenti e precisi, sorrido amabile. Lui si deve fidare di me, seguire il mio progetto senza provare dubbi o incertezze.
Sarei uno sciocco a farlo tentennare proprio adesso, abbiamo l'opportunità di avviare il mio piano e non posso commettere errori.
Se i Boss delle organizzazioni si aiuteranno tra loro, sarà un gioco da ragazzi evadere da questo posto. Ma è una vera sfida far ragionare quei testardi, a quanto pare ognuno ha un pretesto valido per litigare o tenere il muso.
E Ivan non è da meno. Sappiamo già cosa è successo con Max, lo sanno tutti ormai.


Peccato che non conosca la notizia che circola nei corridoi, non sarà contento quando la verrà a sapere. Meglio procedere con calma.

«Non riesco a dormire con tutti i miei dolori, lo sai»
«Sì...» borbotta qualcosa di incomprensibile, si stropiccia gli occhi e sbadiglia. «Sai che ore sono?»
«Non di preciso» mi volto verso la finestra per un'ultima volta, ho imparato a leggere l'orario grazie allo spostamento del sole. «È presto, la colazione sarà servita a momenti»
Finisco di parlare e la sentinella arriva a prelevarci.
La mensa è la sala che detesto di più, come il cibo scadente che viene servito. Il primo pasto è commestibile rispetto al resto delle pietanze giornaliere, cerco di farmelo bastare per non farmi prendere alla sprovvista dalla fame.
Al tavolo la situazione è caotica come sempre. Da diverso tempo Ivan è accompagnato dai suoi amici del cuore, Alan e Gerardo. Il secondo è un ragazzo con cui non ho mai conversato, ha il volto angelico incorniciato da una massa di capelli scuri che tiene schiacciati sotto a un buffo cappello, occhi color ambra e una barbetta folta che gli ricopre gran parte del mento. Mi piace quel ragazzo, apre bocca solo se viene interpellato, una caratteristica che apprezzo. Di solito rimane in un angolo per leggere il giornale, ma una notizia in particolare ha cambiato il corso degli eventi, sembra aver qualcosa di interessante da dire.
«Prima i lavori forzati, adesso questo. Non posso crederci!».
Ivan e Alan restano di sasso e smettono di azzannare le fette di pane imbottite di confetture, lo guardano senza capire.
«Guardate qua» mormora il moro senza nascondere la sorpresa, poi mette l'articolo di giornale sotto agli occhi di tutti. «Hanno intervistato il direttore del carcere, quella faina ha trovato un modo per spillare soldi al comune e arricchire la struttura».
«E in che modo?» borbotta Ivan, incredulo.
«Ma non sai leggere?! Qui dice che, nelle prossime settimane, un gruppo di detenuti si trasferirà a Unima. Lì lavoreranno per ristrutturare la via ferroviaria del paese, questo significa che il direttore intascherà soldi senza muovere un dito».
«Davvero un'ottima pensata» esclama Alan, da quest'angolatura posso intravedere un misto di emozioni negli occhi di quel gigante, non sembra terrorizzato dall'idea di separarsi dal suo capo per andare a sgobbare in una regione che non conosce. Ma non riesco ad afferrare la pagina del quotidiano, lui l'agguanta per leggerla per conto suo. «Ma le pietre che spacchiamo ogni giorno, a cosa servono?»
Domanda legittima, direi.
«Le utilizzano per creare materiali utili nel campo dell'edilizia, sono molto richieste da queste parti» risponde Gerardo con il sorrisetto sulle labbra.
Stiamo per proseguire con la conversazione, ma l'atmosfera viene interrotta dall'entrata rumorosa e brusca di Giovanni.
Il solito guasta feste.
Sono giorni che è nero di rabbia, il motivo è sconosciuto a chiunque, ma non si fa scrupoli a urlare in faccia sui pochi che incrociano il suo cammino. Cerco di non badare al suo comportamento, mi nascondo dietro alla figura imponente di Alan per non inciampare nell'ennesima lite.
Secondo me è solo un esibizionista.




«Giovanni si è svegliato con la luna storta, è meglio andare via».






Il momento in cui mi hanno messo sotto ai ferri per amputarmi il braccio è stato orribile, questo ricordo resterà impresso nella mia mente fino al giorno della mia morte.
Un solo braccio.

Questo è il prezzo che ho dovuto pagare per essere entrato in contatto con la potenza glaciale di Kyurem, anche se l'operazione non era così necessaria, è stato Acromio a raggirare i medici con racconti inesistenti sulla mia salute. Quel maledetto bastardo, un giorno la pagherà cara.
Sospiro per levarmi di dosso i pensieri negativi, in questi momenti di solitudine dovrei concentrarmi per organizzare l'evasione perfetta, ma gli elementi che compongono il mio nuovo stile di vita sono molteplici, mi distraggono e non riesco mai nel mio intento iniziale. Se continuo con questo ritmo rischio di fare la muffa, devo sbrigarmi se voglio far intervenire gli altri e correre verso la libertà.
E' una parola, a stento riesco a muovere una gamba. Scrollo le spalle e mi lascio andare in una risatina aspra, punto la coda dell'occhio verso la finestra per vedere i miei colleghi mentre lavorano sotto al sole. Siamo in primavera e la temperatura è ottimale, ma non voglio pensare a ciò che succederà con il sopravvento dell'estate. Sono sicuro che ci sarà una carneficina, il caldo si porterà via i cuori dei più deboli. Non c'è motivo per stupirsi così tanto, è il ciclo della natura che stabilisce le regole fin dal principio, i più forti sopravvivono e chi non si adatta perisce.
L'invalidità
mi impedisce di intervenire direttamente come vorrei, non posso aiutare i miei compagni se sono sprovvisto di un arto, ogni mattina resto chiuso dentro a questa stanza spoglia, decorata da una misera panchina traballante e una finestra chiusa dalle sbarre. Di inverno sarà difficile combattere contro al freddo glaciale, qui è pieno di spifferi che mi penetrano le ossa e mi riempiono di dolori.

«Permesso».
Una voce mi distoglie dalle riflessioni più intime, la saletta si riempie con il rumore dei passi.
Volgo lo sguardo sulle nuove figure intente a chiudere la porta principale, due sentinelle vestite di tutto punto sono venute a farmi visita. Perché?
I lavori forzati non sono ancora terminati, è successo qualcosa di cui sono all'oscuro?
Non parlo e guardo fuori dalla finestra senza preoccuparmi dei due, non ho niente da dire e preferisco tacere. Se mi porteranno via, lo faranno senza chiedermi il permesso.
«E' da molto che non ci vediamo, non riconosci tuo figlio quando lo vedi? Padre, mi stai invecchiando male».
Sgrano gli occhi a quell'affermazione, intanto i due si tolgono i cappelli dalla testa per svelare la loro identità. Il primo è mio figlio N, ha gli occhi chiari e una massa informe di capelli verdognoli che gli incorniciano il viso, il suo sorrisetto è beffardo e vispo come al solito. Al suo fianco è presente un ragazzo dai capelli rossi che non ho mai visto in vita mia, la sua espressione imbronciata mi ricorda vagamente qualcuno, ma dalla confusione non riesco a inquadrarlo come dovrei. Perché è insieme a mio figlio?
«Cosa ci fai qui?»
«Non essere scorbutico padre, volevo solo rivederti dopo tutto questo tempo»
«on hai motivo per essere qui, non capisco come mai continui a chiamarmi padre, dall'ultima volta pensavo di essere finito sulla tua lista nera».
Sbotto e provo ad alleviare la tensione stringendo il bastone, devo mantenere la calma per non mandare a rotoli la conversazione, inoltre non posso mettere in imbarazzo il terzo elemento. Con N non ho mai avuto la pazienza di un padre, per me è sempre stata una marionetta per i miei sporchi piani, non ho allevato quel selvaggio per pura carità cristiana.
Però...Se questi due marmocchi sono riusciti a raggiungermi senza insospettire la sorveglianza, significa che questo non è il carcere di sicurezza che immaginavo. La mia posizione non mi permette di dare fiducia al prossimo, N potrebbe essere qui solo per strapparmi delle informazioni utili alle autorità, il che spiegherebbe la sua visita inaspettata. È meglio tenerlo d'occhio, non si sa mai.
Per un attimo porto lo sguardo sul rosso, è impassibile e tiene le mani nascoste dentro alle tasche, non spiccica nemmeno una parola e si guarda intorno con indifferenza. Quello sguardo è troppo familiare, devo indagare su di lui.
«Non ti smentisci mai, vedo che il carcere non è servito per cambiarti»
«Sei qui per farmi la morale come tutti gli altri? Vedere Bellocchio mentre mi metteva le manette, non ti è bastato per soddisfare il tuo ego personale? Anche tu eri un membro del Team Plasma N, a quest'ora dovresti essere a marcire dentro a una cella. Non dimenticartelo»
«A differenza tua ho capito dove fermarmi» mi zittisce come se niente fosse, il suo sguardo si fa più intenso e cupo, poi ricomincia a parlare. «Se ancora non ci sei arrivato, ti faccio presente che ho affrontato diverse peripezie solo per farti evadere».
Il silenzio cade su di noi, provocando una situazione al limite dell'imbarazzo. Perché? Non capisco. Giuro che quel ragazzo resterà un mistero anche per me, oppure ha delle rotelle fuori posto.

Lui si inginocchia davanti a me, afferra la mia mano con una dolcezza insolita.
«Ti stai mettendo in un grosso guaio N, tu e il tuo amico non dovreste impicciarvi in queste situazioni. Ho già pianificato tutto e a breve evaderò, non mi serve il vostro aiuto».
«Sono mesi che io e Silver lavoriamo su questa fuga, abbiamo conquistato la collaborazione dell'esercito di Genesect, appena arriverà il momento giusto libereremo i Pokémon per creare scompiglio e...»
«L'esercito di Genesect?! Sei pazzo N, completamente pazzo».

«Non sono pazzo padre, ho solo preso dal migliore. L'unica cosa che ti chiedo è... quella di prestarmi il tuo bastone, senza la chiave non possiamo far partire la Fregata Plasma».
Quell'affermazione mi lascia spiazzato, eppure dovrei conoscere mio figlio e dovrei aspettarmi certi tiri mancini. Mi pento per non avergli dato così tanta importanza in passato, se mi comportavo da vero padre potevo evitare di finire in carcere insieme a quello scienziato da due soldi.
Sospiro e annuisco, non posso fare altro.
«E va bene, avrai la chiave della nave. Ma... Dimmi... Come sei riuscito ad arrivare fin qui? Nessuno sospetta di te?»
«Non preoccuparti, io e Silver sappiamo mimetizzarci a meraviglia. In questa camera non sono presenti delle videocamere di sorveglianza, siamo due fantasmi qui dentro»
«Vedi di non farti scoprire, non vorrei rivederti come compagno di cella».





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Capitolo 12
*** 12. Captatio Benevolentiae [By Xavier] ***


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12. Captatio Benevolentiae
By Xavier

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Sono molto combattuto, ultimamente. Se da un lato son riuscito a dissociare Maxie, neppure per merito mio oltretutto, dall'altro lato mi son quasi fatto fregare da Giovanni e non ho concluso un bel niente con Cyrus. Qualcun altro potrebbe dirsi soddisfatto, ma non io, non di certo io, Acromio! Se non riesco al 100% in ciò che faccio non posso dirmi soddisfatto, mai. Tuttavia i fallimenti fanno parte della carriera di uno scienziato, senza di essi non si può migliorare ed aspirare alla perfezione, per cui evito di prendermela più di tanto, ho ancora molte carte da giocarmi.
Un nuovo giorno è iniziato e decido di prendermela comoda, mentre consumo la colazione nella sala del dirigente, chissà cosa avrà da chiedermi oggi. Mastico molto piano, con la testa poggiata mollemente sulla mano sinistra e il gomito sul tavolo: guardo fuori. Ancora un altro giorno di vento e pioggia, a me non dispiace affatto, anzi devo dire di apprezzare il clima cupo in certi giorni come questo, mi aiuta a riflettere meglio e non può che farmi bene. Gli altri detenuti ovviamente non la penseranno così, per loro le brutte giornate sono una tragedia dal momento che non possono uscire fuori a prendere una boccata d'aria senza rischiare una polmonite. Povere stelline senza cielo!

«Scienziato, ti decidi a finire? Ho una certa fretta, ricordati che sei pur sempre un carcerato e ciò che ti sto concedendo è pure troppo!»
Abbiamo un altro più nervoso di me, a quanto vedo:
«mi perdoni, direttore, non era mia intenzione farle perdere il suo preziosissimo tempo, devo essermi un attimo perso tra i miei pensieri. Sa, tutta questa pioggia, di questi tempi…»
«Acromio! Vuoi farmi uscire fuori dai gangheri?»
Accenno un adorabile sorrisino per tranquillizzarlo e riprendo a mangiare con più ritmo, finendo la mia porzione in pochi minuti. Odio quando mi mettono fretta mentre mangio… Mi ripulisco educatamente le labbra col tovagliolo, lo ripiego e lo ripongo nel piatto sporco, insieme alle altre posate, è importante dargli una buona impressione.
«Mi dica pure direttore! Come posso servirla oggi?»
Assumo un aspetto invitante, addolcendo il tono di voce e schiudendo gli occhi in uno sguardo mellifluo, le mie preoccupazioni non devono trasparire. Devo dimostrarmi sempre accondiscendente e sicuro al suo cospetto, solo così potrà fidarsi di me.
«Senti qua, Acromio: il tuo aiuto è stato certamente prezioso, facendo un resoconto ci siamo accorti che, se catturassimo Ada, l'ultima Idro-tenente, potremmo dichiarare annientato il Team Idro. Senza un capo quelli non sono nessuno, capisci che intendo? Vorrei che scoprissi il suo nascondiglio».
Ada… Ma sì, certo, so già a chi chiedere, un lavoretto facile facile, così potrò avere tutta la giornata libera e una nuova promozione.
«Certamente direttore! Lasci fare a me! Mi metterò subito all'opera» dico tutto contento mentre mi alzo dalla sedia, ma ecco che l'uomo mi afferra per una manica tirandomi indietro:
«Non ho ancora finito, scienziato, rimettiti seduto».
Deglutisco, parecchio imbarazzato dal mio scatto d'euforia e obbedisco all'ordine, rimettendomi sullo sgabello.
«Mi perdoni, non volevo assolutamente svignarmela, credevo solo avesse finito di impartirmi…»
«Vuoi stare zitto un attimo e lasciarmi parlare?»
Male, lo sto facendo innervosire, avevo capito che fosse un tipo permaloso, ma non così tanto, devo stare più attento se voglio ingraziarmelo per bene. Deglutisco ancora e mi ricompongo, posando le mani sul tavolino e osservandolo con la massima attenzione.
«Per quanto riguarda Cyrus, non so bene cosa tu abbia combinato l'ultima volta, non voglio neppure saperlo, ma gradirei che provassi ancora una volta a estorcergli informazioni. Del Team Galassia non sappiamo praticamente nulla, ci sono ben tre comandanti a piede libero e questa cosa non va assolutamente bene!»
Eccolo, ci risiamo, guarda caso rientrava nelle mie intenzioni andare a fare una visitina a quella magnifica creatura.
«Ah ma certo! Certo che sì. Se non le dispiace però mi occuperei prima di Ada, voglio andare sul sicuro, solo dopo vedrò cosa potrò fare con Cyrus. Ah, comunque tengo a precisare che ha fatto tutto da solo, io non ho mosso un dito, ha provato a suicidarsi, probabilmente devo avergli in qualche modo provocato un qualche...»
«NON perderti in chiacchiere! Fuori di qui, lesto! Non mi importa cosa fai prima e cosa fai dopo, ma datti una mossa ed esegui il mio ordine!»
«Come desidera, direttore. Sarà eseguita ogni cosa».
Finalmente mi alzo e me ne vado, non lo stavo sopportando più. Certo, se sapesse cosa ho in mente, in questo momento, mi ritroverei al posto di Maxie, quindi non è il caso di lamentarsi, è solo un Growlithe che abbaia tanto e morde raramente, giusto se gli viene pestata la coda. D'altronde quando ero sotto il controllo di Ghecis non mi andava meglio, i loro caratteri sono molto simili verso i sottoposti, posso benissimo sopportarlo per quel poco che mi resta da fare qui dentro. La fuga è sempre più vicina!
Cammino allegro su per i corridoi del carcere guardando in modo altezzoso tutti i detenuti che si trovano dietro le sbarre, rabbiosi e frustrati per il brutto tempo che impedisce l'ora d'aria, mi stanno letteralmente sbranando con lo sguardo, che carini! Mi avvicino ad uno in particolare, un uomo alto e nerboruto con una faccia da Carvanha, e mi chino per scrutarlo meglio, tenendomi comunque a distanza di sicurezza:
«Ma tu guarda! Non trovi che la pioggia sia un fenomeno bellissimo? Voglio dire, miriadi di stille cristalline che precipitano, all'unisono, drip drop, drip drop, e che si schiantano sulle vetrate, frammentandosi in altre goccioline ancora più piccole e luminose e… Oh? Ti sto forse… annoiando?». Osservo compiaciuto il viso letteralmente ringhiante di quell'uomo, sull'orlo dei nervi, e faccio per andare via: «Mi dispiace di averti tediato, è che adoro queste giornate tempestose, mi mettono una certa voglia di danzare sotto la pioggia!»
Mi rigiro con una semi-piroetta e torno sui miei passi, adesso mi sento più carico per affrontare Maxie. Non se la starà passando bene in isolamento, deve essere terribile, dunque se i miei calcoli sono giusti il vulcanologo farà qualsiasi cosa pur di uscire da quella topaia, e lo manipolerò coi guanti di velluto.



Mentre scendo la ripida scalinata che conduce ai sotterranei sono costretto a stringermi di più nel camice a causa degli spifferi di vento e pioggia che entrano dalle inferriate sempre aperte, rendendo quell'ambiente umido e gelido, assolutamente invivibile.
Giunto nel sotterraneo mi metto a ricercare la cella di Maxie, con enormi difficoltà dal momento che devo abituarmi le pupille alla scarsa luminosità di questa specie di catacomba.

«Maxie, batti un colpo se mi senti!»
Mi fermo e tendo bene le orecchie: sento appena appena il rumore di qualcosa che struscia per terra e poi il suono metallico delle mani che si avvinghiano alle sbarre di ferro. Mi decido a seguire quei rumori e ben presto mi ritrovo faccia a faccia con il prescelto.
«Maxie, carissimo Maxie! Deve essere una rogna stare qui, non ho ragione?»
La sua piccola cella di appena 4x4m è corrosa dall'umidità, la pioggia penetra dal soffitto con innumerevoli infiltrazioni da ogni dove, gocciolando perennemente sul pavimento ormai scivoloso, e un forte odore di muffa permea tutta l'aria. Non lo invidio per niente.
«Acromio… cosa sei venuto a fare qui? Cosa vuoi da me? Non mi hai già rovinato abbastanza?»
Maxie si regge a stento in piedi, tossisce rumorosamente, sembra parecchio ammalato, ha un pessimo aspetto.
«Maxie, perché ti metti subito sulla difensiva? Ti ho forse fatto qualcosa di male hm?».
Sbotta improvvisamente:
«hai anche bisogno di chiederlo?».
Rimaniamo interminabili istanti a fissarci. Lui ansima, riprende fiato, digrigna i denti verso di me, io intanto mi siedo su uno sgabello e inizio a tamburellare le dita sulle ginocchia, così per gioco, mentre il mio sguardo si perde nel suo e viceversa. Devo andarci con estrema cautela, è una bomba ad orologeria pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Tossicchio e mi raddrizzo gli occhiali:
«Sì, ne ho bisogno. Ragiona un attimo Maxie, non pensare a questo momentaneo isolamento, dammi retta».
Forse ho attirato la sua attenzione, non riesco a capirlo bene talmente sta tremando di freddo. Resta zitto.
«Non sei contento di esserti diviso da Ivan? Shh! Non rispondere subito!» gli faccio cenno di mantenere il silenzio, avvicinandomi col viso al suo, dunque riprendo a parlare, ho catturato la sua attenzione: «Ce l'hai con me, tu, si legge lontano un miglio. Ahh, quando si è innamorati è normale non ragionare lucidamente, posso capirti…».
V
engo bruscamente interrotto- «perché, tu sei stato mai innamorato in vita tua?»
Non mi aspettavo una domanda simile, dove vuole arrivare? Che stia soltanto delirando?
«Maxie, non essere scortese, sto finendo di parlare. Tu ce l'hai con me perché Ivan ti ha tradito, vero? Ma non ci arrivi da solo? Avrebbe potuto tradirti con me, come con qualcun altro. Ci fosse stato Cyrus al posto mio? Sarebbero cambiate le cose? No Maxie, ovviamente no! La colpa del tradimento è assolutamente la sua, se fosse stato un compagno fedele e affidabile non ti avrebbe tradito neppure se si fosse trovato davanti la bellissima Orthilla! Inoltre non ero a conoscenza della vostra relazione…» cerco di apparire mortificato, abbassando lo sguardo e girandomi altrove. Maxie rimane seduto per terra, con le braccia attorno alle ginocchia tenute strette al petto. Devo aver fatto breccia con quelle parole.
«Maxie…?» provo ad avvicinarmi a lui. «Maxie, guardami adesso, posso tirarti fuori da qui».

Alza di scatto la testa, con gli occhi velati di lacrime, è troppo scosso per poter parlare. Che scena straziante! Davvero commovente, ma adesso deve smetterla o non otterrò nulla. «Tieni Maxie, copriti, non credevo che quell'infame ti sbattesse in un luogo così freddo…» mi sfilo il camice bianco, rabbrividendo, e glielo metto addosso attraverso le sbarre ma in un gesto fulmineo il rosso scosta violentemente la mia mano, lasciando che l'indumento cada per terra.
«Oh… perché mai? Era un gesto carino il mio, tutta questa umidità ti penetra nelle ossa e fa male, sarebbe stato meglio coprirsi… ma pazienza».
Alzo le spalle e torno a sedermi.
«Non mi importa, Acromio. Se ti fa piacere, il tuo camice sarà ottimo come carta igienica sai, non ho nemmeno quella qui dentro».
Non riesco a trattenere una risatina ingenua, ma che faccia tosta! Ho ancora molto da lavorare con lui, non credevo…
«Potresti risparmiarti certe spavalderie, le broncopolmoniti sono un tantino peggiori rispetto ad un sedere sporco. Ma non importa, perché se collabori ti faccio uscire da qui».
«E dovrei crederti? Dopo tutto quello che hai fatto per sbattermi qua dentro?» ringhia il rosso.
«Qua dentro ti sei cacciato con le tue stesse mani, Maxie. Lo sanno tutti che è vietatissimo gironzolare ai piani alti, ti ci ho mandato forse io?»

Scuote la testa e stringe i denti:
«…no. Non proprio».
«Spiegati meglio!» lo incalzo energicamente.
«Ci sono andato perché volevo rubare i nastri e vedere cosa hai combinato al povero Cyrus, razza di infame. E poi c'eri anche tu, nella sala del direttore, cosa stavi facendo?»
Bravissimo, sta tutto andando secondo i miei piani. Quant'è prevedibile un uomo messo alle strette? Mi sto divertendo da morire, ben presto confesserai ciò che mi serve mio caro.
«Cyrus? Ah! Dovevi vederlo, era completamente uscito fuori di testa. Mi sono seduto al suo fianco per parlargli e, come gli ho rievocato certi ricordi riguardanti il mondo distorto e Giratina, è impazzito! Ha preso una scheggia di vetro e ha provato a lesionarsi il volto e il torace, ho fatto di tutto per fermarlo, proprio di tutto, sono arrivato a mettergli le mani alla gola! Temevo potesse ferire anche me! Alla fine per fortuna sono intervenuti facendogli un'iniezione di Lorazepam». Annuisco, fomentato dalla narrazione degli eventi, quasi fosse andata realmente così. «Quell'uomo è pazzo, devi credermi. Basta innescargli una scintilla di ricordi del passato che esplode di furia come un Electrode, è un caso perso, pover'uomo».




Chino il capo, in segno di dispiacere e rimango così per indefiniti secondi. Maxie mi scruta molto attentamente, alla ricerca di un qualche tratto fisiognomico che possa far trasparire la menzogna. Ma io sono più bravo!

«Acromio… è davvero andata come dici tu? Non mi hai ancora risposto alla domanda riguardante il direttore… Cosa ci facevi là?»
Tiro un gran sospiro e placo il tono di voce, quindi ricomincio a parlare:
«è andata davvero così. Cyrus purtroppo ha ormai perso contatto con la realtà, la sua anima è rimasta in qualche modo legata a quegli eventi, a quel mondo. Deve aver visto cose orribili laggiù, che l'hanno condotto alla follia e, ti dirò Maxie, col direttore parlavo proprio di questo…».
Mi passo una mano tra i capelli per fare giusto una pausa e ponderare meglio le parole da usare con lui, è un momento delicatissimo questo, non mi è concesso nemmeno il minimo margine d'errore, se voglio ottenere ciò che voglio. Mi inginocchio, in modo da stargli ancora più vicino, talmente tanto da fargli percepire il calore del mio fiato sul collo.
«Sia a me sia al direttore interessa sapere cos'è successo laggiù. Sono uno scienziato dopotutto. Volevo sapere i segreti della Rossocatena e qualche informazione su Giratina e, dal momento che sia io che lui ci trovavamo d'accordo, ha deciso di lasciarmi un po' da solo con Cyrus, sperando si trovasse a proprio agio con un suo collega, ma così non è stato, come ben sai…» sibilo lievemente le ultime parole, mi lecco le labbra e mi discosto un poco dal mio interlocutore. Maxie rimane incredulo, sbalordito, ancora una volta non sa come rispondermi. Gli lascerò del tempo, intanto scarto uno snack al cioccolato rubato prima dal porta cioccolatini del dirigente e lo annuso con un certo languore. Che delizia. Scruto Maxie con la coda dell'occhio, deve essere parecchio affamato.
«Acromio… Ti avevo posto un'altra domanda. Sei mai stato innamorato?»
Stavo per mordere la merendina, ma mi blocco di scatto, non credevo insistesse tanto con questa faccenda! Che rogna.
«Questa domanda così a sproposito? Se proprio vuoi saperlo, applico il metodo scientifico anche all'amore. A me piace sperimentare, se qualcuno o qualcuna mi affascina, ci provo. Se va bene mi diverto, altrimenti lascio stare e aspetto un'altra persona, tutto qui. Non mi sono mai seriamente innamorato, per fortuna. Una relazione stabile comprometterebbe il mio lavoro, sto bene così».
Mi guarda incredulo, prova a balbettare qualche sillaba incomprensibile ma lo metto a tacere:
«che importa? Sono ancora giovane. Anche tu lo sei, in effetti, e avresti tutto il tempo di rifarti una vita. Non devi per forza affezionarti ad una persona, puoi anche sperimentarci qualcosa di divertente e poi non rivederla più. Non sei d'accordo?» gli porgo il dolce che ormai aveva riempito l'aria di quella golosa fragranza, ma Maxie non pare volerlo.
«Oh, credi ti voglia avvelenare?» ne stacco un morso e lo mando giù, dunque gli lascio il resto. Sto divagando troppo? Forse sì, ma se tutte queste frasi languide serviranno ad aumentare la sua fiducia nei miei confronti, posso anche dirne di altre. Non mi era mai capitato, tuttavia, di confessare mie questioni personali in questo modo, che debba un po' tirare il freno? Sistemo lo sgabello vicino alle sbarre e mi siedo, usandole come fossero una sorta di schienale e lo osservo compiaciuto mentre ingurgita lo spuntino.
"
«i disprezzi forse per la mia sessualità promiscua? Non saresti il primo. Per questo è un argomento tabù per me, ne parlo solo con chi reputo degno di comprendermi».
Maxie finisce di mangiare e scuote la testa:
«non mi importa chi hai avuto a letto. Non mi importa nemmeno di Ivan, a questo punto. Tu volevi solo sperimentare, giusto? Lui mi ha volutamente tradito e ti ha anche detto di Alan,ma perché sei andato a riferirlo?»
Lo blocco di scatto, facendogli cenno di tacere.
«Quelle cose me le ha dette così, per caso, perché tra detenuti ci si confessa anche le cose più segrete. Lo stesso ho fatto io con Ghecis, per il medesimo motivo, ma non mi sono accorto che una guardia era lì ad origliare… Mi spiace. Tuttavia che importa? Sicuramente Alan è un tipo come lui».
Allungo una mano verso Maxie, scostandogli una ciocca di capelli dietro l'orecchio, per guardarlo meglio in viso:
«fossi in te mi preoccuperei più di Cyrus, che di quell'altro. Ha i giorni contati, è una spesa inutile per il carcere, come ben sai. Nessuno mai verrà a reclamarlo..»
«Ti sbagli, Acromio. C'è ancora qualcuno, là fuori, che tiene a lui. Non lo sapevi? Qualcuno ha portato i suoi Pokémon, ben nutriti e curati. Cyrus deve avere una sorta di angelo custode, là fuori».

Diamine, non lo sapevo! Il direttore non mi aveva parlato di questo dettaglio, che non lo sappia nemmeno lui? Questa faccenda è molto sospetta, che gli dico adesso?
«Oh, ma davvero? Chi mai potrebbe assumersi un onere simile? Che io sappia, i suoi Pokémon sono bruti e aggressivi, nessuno rischierebbe tanto…».
«Ti sbagli Acromio, ti sbagli anche adesso. Ho avuto modo di passare del tempo con loro, sono dei Pokémon normalissimi, docili, giocherelloni e attaccatissimi al proprio allenatore».
Inizio a non capirci più niente, immagino solo che chiunque si sia preso questa briga sia un allenatore eccellente, o comunque qualcuno che ha avuto legami stretti con Cyrus, sicuramente uno dei suoi comandanti. Devo scoprirlo, accidenti!
«Caspita, questa sì che è una bella cosa. Dimmi, Maxie, tu hai qualche ipotesi a riguardo?»
Scuote il capo in segno negativo, deve essere un mistero anche per lui.
«Non fa niente, ma angelo custode o meno, Cyrus è destinato al patibolo. Come lo so? Me l'ha detto il direttore. Lo tiene in vita solo perché gli serve, ma se non si decide a parlare è inutile, ha commesso dei crimini gravissimi. Gli metteranno del cianuro nei pasti e lo faranno morire così, diranno che gli è venuto un infarto e il caso verrà chiuso. La cosa positiva è che soffrirà poco, meno di noi sicuramente». Maxie all'improvviso alza lo sguardo e si aggrappa alle sbarre, leggo la disperazione nei suoi occhi, devo aver fatto centro, manca solo il colpo di grazia.

«Già, hai capito bene. Dobbiamo farlo parlare, Maxie! Io ci ho già provato, l'ultima speranza sei tu, Cyrus si fida ciecamente di te, ne sono certo».
Maxie sembra aver preso confidenza con le mie parole, quant'è sciocchino, ancora un poco e cederà.
«Ascoltami bene, possiamo prendere due Pidove con una Baccarindo. Sai dove si nasconde Ada? Se me lo dici lo riferirò al direttore, diamo un altro smacco a Ivan e otterrò di farti spostare di cella, mi sembra un'ottima offerta».
«Già» - conferma Maxie- «questa situazione tuttavia è assurdamente paradossale. Ancora non mi fido completamente di te, Acromio, se lo faccio è solo perché sei l'ultima sponda e voglio a tutti i costi uscire da questo buco che a breve potrebbe diventare la mia tomba!»
Perfetto! Così! Non attendevo altro, è tutto filato liscio secondo i miei piani.
«Avrai modo di fidarti al 100%. Diventeremo buoni amici noi due, un giorno».
«Questo non lo so, tuttavia… Ada dovrebbe trovarsi in un bunker posto sempre nel rifugio Idro di Alghepoli. Vi è un bunker nascosto non ancora stanato, non so altro. Probabilmente avrà cambiato postazione dopo la cattura di Alan, questo non posso saperlo, mi spiace».
Tutto secondo i piani, non è stato per nulla difficile far leva sulla voglia di vendetta di Max nei confronti di Ivan, mi chiedo come la prenderà lo scaricatore di porto, sarà divertentissimo vedere la sua reazione, non me la perderò per nulla al mondo!
«Eccellente Maxie, eccellente… lascia fare a me il resto. Dirò al direttore che il tuo aiuto è fondamentale per far parlare Cyrus, dunque lo costringerò a riportarti di sopra. Fa tanto il duro, in realtà è il tipico uomo insicuro che fa di tutto pur di avere vita tranquilla, non gliene importa granché di farti scontare la punizione».
Gli porgo la mano e lo aiuto a rialzarsi, quindi gli sorrido per infondergli maggiore sicurezza.
«Acromio, io non ci sto capendo più nulla qui dentro, voglio solo fare la cosa giusta. Come si usa dire, il Mightyena sarà sempre cattivo, se si ascolta soltanto la versione dei Mareep, e tutti parlano male di te, tanto che senza neppure una prova mi sono fatto influenzare dal loro giudizio. Ancora però non mi è ben chiara la vicenda delle telecamere. Perché sono state disattivate durante quell'ora?».
Dannazione, me ne ero dimenticato, la scelta di spegnere le telecamere s'è rivelata un'arma a doppio taglio. Calma, calma, non devo farmi prendere dall'agitazione, non andrà com'è andata con Giovanni! Mi sistemo gli occhiali e tergiverso un po', mi lecco le labbra con un briciolo di nervosismo e di scatto riprendo a guardare Maxie:
«Semplice. Dalla bocca di Cyrus sarebbero dovute uscire informazioni segretissime che nessun altro al di fuori di me e del direttore avrebbe dovuto sapere, dunque ha preventivamente fatto spegnere la sorveglianza perché, come sai, non è troppo difficile hackerare i sistemi di sicurezza e qualcun altro se ne sarebbe potuto impossessare, a quel punto sarebbero stati guai grossi se un suo emulatore o seguace avesse ritentato l'impresa». dico tutto d'un fiato.
«Hai ragione… Tuttavia, lo metto in chiaro fin da subito, non confesserò mai le postazioni dei miei tenenti, chiaro Acromio?»
«Chiarissimo, amico Maxie. Adesso preparati, la tua permanenza qui sta per finire. Mi è piaciuto tantissimo collaborare con te, credo che diventeremo ottimi amici!»
«Non correre, Acromio»- dice in tono severo e fermo-«non siamo ancora amici, è una parola grossa che non ti affibbierei dopo appena una chiacchierata».
Com'è orgoglioso, guardalo, si vede che è stato allievo di Giovanni, lo adoro!
«Ti ricrederai Maxie, un giorno o l'altro».
Gli accarezzo il volto e sguscio via velocemente, l'aria dei sotterranei è insopportabile, non so come abbia fatto a resistere là sotto per tutto quel tempo.


Mentre attraverso i corridoi un pensiero molesto inizia a ronzarmi in testa, così senza preavviso, mi pungola e non riesco ad ignorarlo, dunque mi fermo un attimo e mi appoggio coi gomiti sul davanzale di un'enorme finestra per guardare al meglio il tempaccio e riflettere con calma. Decisi di allearmi con Ghecis per pura simbiosi, avevo bisogno di strumenti e soldi per ottenere ciò che desideravo, ovvero un mezzo per estrapolare il vero potenziale dei Pokémon, e lui ne avrebbe tratto beneficio a sua volta. Ci sono in parte riuscito, ma non era ciò che mi aspettavo realmente. Qualcun altro però ci è riuscito, da solo, con le sue sole forze e quel qualcuno è nientemeno che Cyrus. Quali sono i segreti della
Rossocatena? Come può aver creato un dispositivo che permette di imprigionare tutto il potere di due Pokémon divini come Palkia e Dialga e di poterlo poi usare a proprio piacimento? Cyrus è… geniale, assolutamente geniale, farei qualsiasi cosa pur di estorcergli il segreto, anche allearmi con Maxie se necessario. E una volta che avrò saputo tutti i misteri della Rossocatena, cosa mi conviene fare? Collaborare con Cyrus o metterlo a tacere per sempre? Sono troppo confuso a riguardo, dovrei prima capire bene che uomo sia e solo dopo prendere una decisione. E se… Se riuscissi a scappare e a portarmelo dietro? Sarebbe perfetto! Un fragoroso tuono piomba nel cortile, sfiorando la finestra e per lo spavento trasalisco e arretro, ancora ansimante. Mi accorgo che sto perdendo troppo tempo, quindi mi affretto a ritornare nella stanza del dirigente con passo veloce.
«Direttore, direttore! Buone notizie. Ho saputo dove si nasconde Ada, possiamo dichiarare annientato il Team idro!»
irrompo giulivo e gaudioso nella sua camera, mentre lui era evidentemente intento a sonnecchiare. Sobbalza dalla sedia quasi cadendo all'indietro e si ricompone, lanciandomi un'occhiata torva:
«Acromio! Non lo sai che si bussa? E no, non stavo dormendo! Fallo un'altra volta e ti sbatto fuori prendendoti per la cuticagna».
Non ce la faccio, mi fa troppo ridere per quanto mi faccia pena, tossisco rumorosamente e mantengo l'atteggiamento mite e docile:
«oh, le mie più profonde scuse. Ero talmente euforico di comunicarle questa notizia che ho tralasciato le buone maniere. Non si ripeterà più per il bene della mia collottola e del suo… Della sua privacy!»
«Bene bene, vedo che ragioniamo, manderò il prima possibile una squadra per stanarla. Piuttosto, novità del Team Galassia? Ci basterebbe scovare anche un solo comandante per dirci soddisfatti». Abbasso la testa dispiaciuto e la scuoto lentamente a destra e a sinistra in segno di negazione, quindi riprendo a parlare con un mugugno costernato:

«Ancora no, volevo chiederle una mano, altrimenti mi sarà impossibile far parlare Cyrus».
«Ancora? Che cosa vuoi, sentiamo!».
«Ho bisogno di Maxie. Deve riportarlo alla sua cella originaria, è un punto di riferimento per l'ex comandante del Team Galassia, non ci avevo pensato prima e ci sono arrivato solo adesso, se riprovassi a parlargli con la sua rassicurante presenza molto probabilmente… e poi Maxie non merita una così grave punizione per essersi trovato al posto sbagliato nel momento…»
«Ho capito! Va bene basta, manderò subito l'ordine di trasferirlo. Ma questa è la tua ultima chance, Acromio, non voglio perdere ulteriore tempo appresso ad uno psicopatico del genere. E adesso va'!»

«
Sissignore» mi inchino in segno di rispetto e mi avvio, chiudendomi la porta alle spalle senza far rumore.
Bingo! Sgattaiolo via insieme agli uomini della sicurezza addetti al trasloco del rosso, tuttavia mi fermo davanti alla cella di Cyrus e avvinghio le mani alle sue sbarre, fissandolo intensamente in quegli occhi apparentemente vuoti. Mi sale un'emozione che non riesco a decifrare, che sia invidia? No, certo che no, deve trattarsi di ammirazione ovviamente:
«Salve, chi si rivede. Ti converrà parlare la prossima volta, potrebbe essere l'ultima…».




 

** Angolo di Lily **


 

Ciao!
Mi presento per chi non mi conoscesse. Sono Lily e, insieme al mio "collega" Xavier, sono autrice del profilo di KomadoriZ71.
Dopo un periodo prolungato di inattività siamo riusciti a rendere pubblico il capitolo di Acromio e, di conseguenza, mandare avanti questa fan fiction che è prossima alla fine. Non è ancora arrivato il momento dei saluti e dei ringraziamenti vari, quindi potete tirare un bel sospiro di sollievo.
Però vi avverto che la strada è ancora in salita, ma il passo che ci separa dalla discesa è più breve di quel che sembra.
Colgo l'occasione per scusarmi con i lettori che ci seguono dal giorno in cui siamo comparsi sul sito, senza di voi questo profilo non esisterebbe e ci dispiace se i periodi d'attesa sono fin troppo lunghi. Proveremo a rimediare come meglio possiamo, però abbiamo i nostri impegni e preferiamo dedicarci alla scrittura creativa quando l'umore ce lo consente.
Per il resto...
Non so.
Vi chiedo solo di non esagerare con i termini / confidenze quando scrivete una recensione, specie se questa è tutt'altro che positiva.
Non dico che io && Xavier siamo perfetti perché sappiamo impostare il capitolo di una fiction, ma bisogna capire che nella vita bisogna essere costruttivi e giusti. E' necessario guardare le storie da ogni prospettiva, fare un complimento a chi se lo merita è cosa buona e giusta, non importa se la storia che vi proponiamo si avvicina o meno alle vostre preferenze.
Ci tengo a precisare che Efp nasce per darci la possibilità di condividere la nostra passione per la scrittura, dovrebbe unirci e darci la possibilità di migliorare grazie alle recensioni dei lettori. In passato ho ricevuto diversi consigli da parte di una ragazza che saluto calorosamente e questi, se uniti alla presenza del mio amatissimo collega, mi hanno aiutata a rivalutare il mio stile per riuscire a portarvi dei testi ben scritti e con un'impaginazione che si avvicina alla decenza.
Se qualcuno è in difficoltà, se qualcuno ha delle carenze perché non riesce a capire gli errori che commette, va aiutato e non deriso.
Vi faccio presente che le offese o le prese in giro sono severamente vietate nel regolamento del sito, perciò evitiamo di fare i saccenti perché si ha avuto la possibilità di leggere i manuali.
E' vero che esistono i casi umani, quelli che pubblicano storie solo per trollare le persone, ma cerchiamo di sfruttare la materia grigia che ci è stata concessa e di cominciare a separare queste due fazioni. ;)

See you later!

- Lily

Ps: Nell'introduzione di una fiction noi aggiungiamo sempre degli avvertimenti relativi al contenuto e, usare una recensione per lamentarsi del genere su cui si basa il racconto perché non si è speso cinque secondi per leggere i vari tag. . . Scusatemi, ma questo è un comportamento che reputo da babbei.
Adesso posso lasciarvi stare, siete belli e vi voglio bene <3

ccc




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Capitolo 13
*** 13. Il Diversivo [By Lily] ***


13. Il diversivo
13. Il diversivo
By Lily

ff

Le giornate scorrono lente da quando Ghecis mi ha informato del suo piano di fuga, è cominciato un conto alla rovescia che rende l'atmosfera molto più ansiosa e tetra del previsto. Mi sono preso la libertà di informare Alan e Gerardo a riguardo, anche loro fanno parte della squadra e io necessito del loro contributo per portare a termine l'unico incarico che mi è stato assegnato. Devo creare il diversivo perfetto per mettere in difficoltà le guardie durante la fuga, ma è un'impresa da eroi attirare l'attenzione di ogni sentinella che lavora dentro al carcere.
La mia sola speranza è quella di chiedere consiglio a Max e di sfruttare la sua mentalità da scienziato, nell'ultimo periodo non si separa mai da Giovanni e sarà difficoltoso avvicinarlo senza attirare l'attenzione. Altra impresa eroica che non entra in sintonia con la mia personalità impulsiva da pirata, stavolta non voglio collezionare fallimenti e dovrò arricciarmi le maniche per raggiungere il risultato desiderato.
Stamani i lavori forzati si sono prolungati più del dovuto, sono giorni che il direttore si presenta nel cortile per selezionare i carcerati che dovranno essere trasferiti a Unima, io faccio del mio meglio per continuare a spaccare pietre come se niente fosse, ma dentro di me comincio a temere il peggio. Alan è un uomo abbastanza robusto e con la forza fisica di uno Swampert Megaevoluto, questa caratteristica può farlo finire nel centro del mirino e la sua partenza provocherà dei dolori che voglio evitare a ogni costo. Non mi sono dimostrato come il Leader migliore del mondo durante il periodo di prigionia, devo impedire di farlo partire per una regione lontana e sconosciuta o, almeno, confessargli l'errore che ho commesso per chiedere il suo perdono e scrollarmi di dosso il senso di colpa.
«Io e te dovremo parlare uno di questi giorni».
Gerardo riesce a prendermi alla sprovvista ogni volta che apre bocca, mi giro di scatto per guardarlo con un'espressione confusa e, senza rendermene conto, lascio andare il manico del piccone che si schianta contro al suolo sabbioso del cortile. «Come, scusa?!»
«Dovresti aver capito da solo, sono giorni che assomigli a un'anima in pena» mormora con un sogghigno sfuggente, grattandosi con calma la barbetta scura che gli ricopre gran parte del mento. «Anche Ghecis si è accorto che c'è qualcosa che non va, forse non è stata una buona idea affidarti un incarico al di fuori della tua portata»
«Ma cosa dici?!» esclamo senza alzare troppo il tono della voce, attorno a noi ci sono troppe orecchie indiscrete e non è il caso di correre dei rischi. «Non dovresti mettere in discussione le mie capacità, ti ricordo che l'ultima volta che l'hai fatto ho sorpreso l'intero Rifugio dei Rocket con il mio discorso di benvenuto!»
«Hehe...» Gerardo sospira con aria sognante. «Quelli sì che sono stati dei bei momenti, ma stavolta non stiamo parlando di due parole messe in croce. Ivan non puoi continuare a negare l'evidenza, sono giorni che tenti di avvicinare il Growlithe che custodisce le chiavi delle celle con un osso di pollo!»
«Ehi, è un piano astuto e ben architettato! Ieri sera quel cagnaccio si è avvicinato di qualche centimetro!»
«E poi? Cosa hai intenzione di fare quando aprirai la porta della cella?»
«Improvviserò».
Gerardo scrolla le spalle davanti alla mia uscita e si dilegua con il resto dei carcerati, il segnale acustico ci avvisa che i lavori forzati sono appena giunti al termine, recupero il piccone da terra e mi incammino con il gruppo. Avrò l'intera giornata per riflettere su una strategia eccezionale e che servirà a impressionare i miei nuovi colleghi, ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. Sospiro e appoggio il piccone nell'apposito contenitore, ne approfitto per accendermi una sigaretta visto che tutto questo pensare mi ha appena chiuso lo stomaco, confesso che in questi casi vorrei una mente brillante e geniale come quella di Max.
Già, Max. Quel rosso è sempre nel mezzo.
Mentre procedo urto qualcosa con la spalla, sono costretto a interrompere i miei passi per voltarmi. Mi paralizzo all'istante appena intravedo Max chino sul suolo sabbioso a cercare gli occhiali, il silenzio mi permette di percepire le imprecazioni che sussurra sottovoce. Nemmeno lui è messo bene dal giorno della nostra separazione, noto con molto dispiacere che ha perso peso e mi commuove l'idea di vederlo in quello stato a causa del mio ennesimo capriccio. Lui e la sua intelligenza non si meritano di essere in mezzo a un branco di balordi, è colpa della mia testardaggine se la polizia è riuscita a mettergli le manette ai polsi.
Scrollo le spalle e mi abbasso per rimediare, prendo con delicatezza la montatura squadrata per posarla tra le sue mani. Lo vedo sussultare, a quanto pare non si aspettava un aiuto esterno.
«Dovresti prestare più attenzione, di questo passo finirai per romperli»
«...Ivan?!» la sua voce è più squillante e sorpresa del solito, è passato molto dall'ultima conversazione e nessuno dei due sembra preparato a un incontro simile.
«Sì...» mi mordo il labbro inferiore e sospiro per recuperare un po' di coraggio, mi attacco al filtro della sigaretta e sbuffo una nuvola di fumo per alleviare la tensione. Sono sicuro che questa conversazione non è casuale, forse qualcuno dei piani alti ha deciso di darmi l'ultima opportunità per riuscire a rimettermi in carreggiata, tra poco non sarò più un carcerato e devo recuperare la fiducia di Max per portarlo via con me. Ghecis non è stato molto chiaro ma, se la Fregata Plasma è in arrivo, significa che solo i suoi sottoposti hanno il privilegio di darsi alla fuga e sarebbe sleale lasciarlo indietro perché ha preferito fare il bravo ragazzo e sostenere il volere di Giovanni.
Non importa se non siamo più una coppia di amanti, o se il destino ha voluto dividerci per un motivo che non ci è chiaro, ma so che in questi casi bisogna mettere da parte l'orgoglio e fare la cosa giusta senza pensare alle conseguenze. Ghecis capirà le mie motivazioni, mi conosce e sa di che pasta sono fatto, sono sicuro che si dimostrerà molto comprensivo a riguardo e che accetterà l'idea di far salire Max sulla sua nave volante.
«Vorrei chiederti come stai» blatero dopo un minuto di pausa, credo di essere arrossito.
«Mi dispiace Ivan, preferisco non approfondire la faccenda».
Mi rendo conto della sua innaturale pazienza nel momento in cui inforca gli occhiali, non mi convince il tono freddo e distaccato che utilizza per mandare avanti la conversazione. Conosco il suo modo di fare e il suo atteggiamento parla chiaro, vuole allontanarmi per impedire di scatenare l'ennesima lite che ci metterà l'uno contro l'altro e, a giudicare dall'espressione del suo viso, ne ha abbastanza di soffrire per delle sciocchezze prive di significato.
«Scusa se ti ho fatto cadere gli occhiali, non era mia intenzione e...»
«Non preoccuparti Ivan, lo so che hai sempre la testa tra le nuvole».
Mi da sui nervi il fatto che tronca i miei discorsi con una facilità impressionante, per lui sono come un libro aperto e capisce in anticipo ogni mia mossa. In questo caso non so come comportarmi, mi sembra di tornare ai periodi in cui mi spronava a imparare il gioco degli scacchi, ma ogni partita finiva con il mio Re che veniva messo alle strette dalla sua Regina.
Una Regina molto agguerrita oserei dire.
«Già...Hai perfettamente ragione, hehe, lo sai che sono un disastro»
«Dove vuoi andare a parare, Ivan?»
«Come...?!»
«Dopo tutti questi anni ho capito che non ti tradisci mai, appena finisci di nutrire il tuo ego personale torni da me strisciando come un verme» resto immobile per colpa della sorpresa e getto la sigaretta, devo lasciarlo parlare se il mio intento è quello di portarlo via con me, è lui quello che ha il coltello dalla parte del manico e non posso fare niente per difendermi. «Sono lieto di sapere che la tua vita fa schifo senza di me, che l'aiuto dei tuoi nuovi amici non basta, ma hai oltrepassato ogni limite e non credo che ti darò il permesso di trattarmi come un ripiego»
«Stavolta è diverso Maxie...Io...»
«Non chiamarmi così!»
Credo di averlo fatto arrabbiare sul serio, con una forza impressionante mi afferra per le spalle e mi inchioda al muro dietro di me. Trattengo un gemito di dolore e sento il fiato mancare a causa dell'impatto, se guardo i suoi occhi...Posso...
Posso vedere il mare.
Perché sì, è lui il mio mare, lo è sempre stato. È grazie a lui se sono riuscito a sopravvivere dentro a una cella, ma allora ero troppo interessato a soddisfare la mia personalità per rendermene conto.
«Max...Lasciami spiegare...È importante».
«Ivan...non ho alcuna intenzione di sentire le tue chiacchiere, ne ho abbastanza di essere trattato come una seconda scelta».






«Non poteva andare peggio di così!»
Alan e Gerardo sono seduti al tavolo per ascoltare le mie lamentele mentre giocano a carte, di recente hanno la brutta abitudine di invadere la cella che condivido insieme a Ghecis, io ne approfitto per unirmi ai loro giochi. Il mio reale compagno di “stanza” non ha niente da dire in merito, non sembra turbato dalla presenza dei miei amici e non è la prima volta che Alan e Gerardo lo paragonano a un fantasma. Ma come dargli torto? Trascorre la maggior parte del tempo a dormire, quando è sveglio resta seduto sul letto per osservare il panorama fuori dalla finestra senza spiccicare una parola.
«Non so Ivan...» mormora Gerardo con aria dubbiosa mentre mischia le carte, le sue mani sono talmente svelte che è impossibile intercettare il singolo movimento, potrebbe barare in mille modi diversi grazie alla sua innaturale agilità. «Tutto il carcere ha sentito la vostra lite, come ti è saltato in mente di parlarci come se niente fosse?! Devo ammettere che per certe cose resti il capoccione di sempre»
Roteo lo sguardo, scocciato.
«Capo...» ora è Alan a parlare. «Questo qui ha assolutamente ragione, lo sai che non brillo di intelligenza e che non ho mai avuto relazioni più lunghe di una settimana, ma è risaputo che con...Insomma...Ci vuole delicatezza con il gentil Sesso o roba simile...»
«Alan! Max non è una femmina!».
«Lo so...hehe...» Alan mi tira una gomitata con fare complice, grazie al cielo afferro il tavolo o rischio di cadere per terra come una pera cotta. Sono stufo di essere sballottato da una parte all'altra. «Ada diventerebbe bianca come un cencio se lo venisse a sapere... Il grande Capo del Team Idro che inciucia con il suo acerrimo rivale! Sarebbe lo scoop più incredibile degli ultimi tempi, lasceresti di stucco tutte le nostre Reclute! HAHA!»
Sospiro e divento rosso come un pomodoro, vorrei replicare per metterlo a tacere una volta per tutte, ma il discorso viene interrotto dal notiziario trasmesso dalla cella di Giovanni. Anche Ghecis esce dal suo stato di trance per voltarsi, tutti noi siamo increduli della notizia appena comunicata.


Il Team Flare è di nuovo in agguato!
Sono passati giorni dall'ultima volta in cui i membri del Team Flare sono stati avvistati nei pressi di Romantopoli, ma la loro sconfitta non è servita ad allontanarli. Stamani le autorità hanno ricevuto diverse segnalazioni dai cittadini di Luminpoli, i quali attestavano di aver intravisto gruppi di uomini dalle bizzarre acconciature e vestiti di rosso aggirarsi tra i vicoli bui.
Stanno tramando qualcosa nell'ombra?
I cittadini di Kalos non vivono più sonni tranquilli a causa della nuova organizzazione criminale, invitiamo le autorità del luogo a prendere seri provvedimenti, consigliamo ai giovani allenatori di Pokémon di viaggiare in gruppo e di prestare attenzione durante le ore notturne.
E questo è tutto, linea allo studio


«Team Flare? Non è la prima volta che lo sento nominare» il mio sguardo finisce direttamente sulla figura di Gerardo, che si è fatto molto più serio da quando ha appreso la notizia. Vorrei scoprire il motivo di così tanto turbamento, è mio il compito di tranquillizzare l'animo del mio migliore amico, ma oggi ho rischiato grosso e non sono dell'umore adatto per toccare certi tasti dolenti.
«La scorsa settimana sono finiti su tutti i giornali, hanno preso il controllo della fabbrica di Pokéball di Romantopoli e questo gesto li farà entrare nella storia» esclama Gerardo per interrompere il silenzio, poi scrolla le spalle e posa il mazzo di carte prima di alzarsi dalla sedia. «A breve avremo dei nuovi amici con cui dividere le nostre celle».
Io non ho aggiunto altro.


Quando scatta l'ora d'aria io e Alan ci precipitiamo nel cortile, queste sono le uniche occasioni in cui possiamo sfruttare il nostro animo infantile e divertirci come ai bei vecchi tempi, non perdiamo tempo e andiamo a nasconderci dietro al nostro “rifugio segreto” per conversare su tutti gli argomenti che ci balenano in testa. In realtà non è niente di speciale, il nostro angolo di paradiso è composto da un cumulo disordinato di tubi e di rottami vari, ma cerchiamo di indorare la pillola come possiamo portandoci dietro una buona scorta di sigarette e bevande alcooliche scroccate dagli altri carcerati.
«Capo...»
«Sì? Dimmi»
«È vero che Ghecis ci aiuterà a fuggire da qui? Sei sicuro di fidarti di un simile personaggio? Non sono molto informato sul suo conto, ma so che è diventato famoso per essere un paroliere, molti si sono uniti alla sua causa dopo aver sentito i suoi discorsi di amore nei confronti dei Pokémon e...Guarda com'è andata a finire».
Mi fermo per un attimo e osservo il fumo che esce dalla sigaretta, accompagno il filtro alle labbra per concedermi un unico e profondo tiro.
Confesso che non ho mai pensato a una conseguenza del genere, ero talmente accecato dall'idea di sconfiggere Acromio che mi sono fidato subito del Leader del Team Plasma, non ho mai avuto l'occasione per riflettere sulle conseguenze delle mie azioni. Alan mi ha appena aperto un mondo, una possibilità che non posso escludere, anche se non è una buona idea piantare il seme del dubbio in un momento così delicato.
«Non lo so, ma vedi soluzioni migliori?»
«Non molte in realtà...»
«Ecco, allora non preoccuparti e fidati delle mie scelte. So che ti ho fatto finire qui dentro, ma prometto che ti tirerò fuori alla velocità della luce»
«...Come?...Cosa vorresti dire?!».
Caspita. Sono nei guai adesso.
«Non te l'ho mai detto ma...» mi mordo il labbro inferiore. «Sei stato arrestato per colpa mia, ho fatto il canarino per riuscire a entrare nelle grazie di uno scienziato» sospiro, sprofondando nella più totale vergogna. «So di aver fatto schifo di recente e...Che ho deluso diverse persone a causa delle mie decisioni, ma sono cambiato da allora e...Credimi, se potessi tornare indietro giuro che non lo rifarei.
Tu sei troppo importante per me Alan, non ti meriti un torto simile. Ti sei ritrovato sotto al comando del Capo più imbranato della storia, anche quel vegetale di Cyrus è mille volte meglio del sottoscritto e...»
«Ivan»
«Cosa?»
«Finiscila di commiserarti e di comportarti come una vittima» mi rimprovera lui. «Ho capito che sei cambiato da quando sei finito qui dentro, ma non mi aspettavo di ritrovarti in queste condizioni. Ti sei rammollito, mi manca la spavalderia che un tempo ti ha reso così famoso.
Sei o non sei un pirata? Non dovresti preoccuparti di come stanno gli altri, so che hai commesso un errore ma sono felice di essere vicino a te, per questo ti perdono e vado avanti per la mia strada»
Sorrido. Non riesco a non farlo.
Non capisco come mai Alan continua a seguirmi nonostante i mille errori e le incertezze, mi aiuta a far tornare il sorriso quando sono giù di morale, arriverebbe a piangere insieme a me se fosse necessario. È l'unico che non dubita mai di me, accetta le mie decisioni senza fiatare.
Per questo gli voglio bene e lo tratto con un minimo di riguardo, è il fratello che ho sempre desiderato.
«Ti voglio bene, fratello»
Mormoro poco prima di trovare rifugio tra le sue braccia.
«Ti voglio bene anche io Ivan, ma devi essere forte. Il direttore mi ha detto che sono stato scelto per andare a Unima, per questo non devi permettere agli altri di schiacciarti».




Non riesco a credere che la situazione sia degenerata così tanto, quando ho visto Ghecis e Acromio per la prima volta non mi sarei mai immaginato di arrivare fino a questo punto. Prima la lite che mi ha separato da Max, poi l'alleanza, l'arrivo e la partenza dell'unica persona che riesce a farmi tornare il pirata spavaldo di un tempo. Non c'è tempo da perdere e devo affrettarmi, posso solo seguire la decisione di Ghecis e creare il diversivo perfetto, ciò che permetterà a molti di scappare da questo schifo di posto e correre verso la libertà.
Sogghigno quando penso che riuscirò a rivedere il mare per una seconda volta, ancora non posso immaginare come sarà la mia vita quando oltrepasserò le mura del carcere, ma sono sicuro che recupererò ciò che resta del mio Team per partire verso la regione più remota che conosco. Voglio ricominciare a vivere senza dover scappare dalle autorità, rimediare ai miei errori tramite un'esistenza modesta e pacifica anche se non ci sarà Max. Non sono molto pratico dei mari esterni alla mia adorata Hoenn, ma l'unico posto che si adatta alle mie esigenze è Alola, la regione di cui si sente parlare nelle pubblicità che trasmettono alla televisione.
Sembra così esotica e bella, un vero paradiso per ogni pirata che si rispetti. Ciò di cui ho bisogno per allontanarmi dalla vita da criminale e tornare la persona spensierata di un tempo, quella che si alza la mattina presto per andare a lavorare e senza troppi problemi nella testa. Forse dovrei smetterla di farmi questi film mentali, grazie al mio passato non potrò mai godere di un simile trattamento, ma in questi casi la speranza è l'ultima a morire e ne vale la pena combattere per una giusta causa. Ognuno di noi deve avere una seconda possibilità, no? In fin dei conti sono stato arrestato per aver risvegliato un Pokémon troppo cresciuto, non mi sono macchiato le mani con del sangue innocente e le mie gesta non sono state distruttive come sembravano. Un po' grazie all'intervento di due marmocchi, ma questo è uno dei tanti discorsi a cui non voglio pensare, si tratta del passato perciò deve rimanere come tale.
Entro dentro alla cella e sospiro, non è stato bello dover salutare Alan per l'ultima volta, ma cerco di essere sereno perché andrò a salvarlo quando evaderò del carcere. Mi guardo intorno e noto la figura di Ghecis rannicchiata sul materasso, a quanto pare ha rinunciato alla cena per andare a dormire. Divoro le due razioni di cibo con una foga incredibile, il cibo non deve essere sprecato, poi mi arrampico in silenzio per raggiungere il letto appeso alla parete grazie a delle catene dall'aspetto discutibile.
«Hai pensato al diversivo?»
Domanda lui.
«Non ancora, ma sono a un buon punto»
«Ivan...La Fregata Plasma sarà qui a breve, sei sicuro di avere il piano perfetto per un momento così delicato? Sarà difficile fuggire dalle guardie, bisogna distrarle per arrivare indisturbati fino al cortile. È questo il piano»
«Lo so» mormoro e mi stendo su un fianco. «Ma l'hai visto anche tu, la situazione si è sviluppata sotto una luce che non mi aspettavo e non è facile inventarsi qualcosa»
«Oggi volevi chiedere a Max ti venire insieme a te, non è forse così?»
«Ehm...» sospiro. «Sì, ci avevo pensato. So che il nostro rapporto non è uno dei migliori, ma abbiamo passato così tanto tempo insieme che mi dispiace l'idea di doverlo abbandonare qui...Non è...Giusto».
«Ti capisco» sussurra lui. «Ma non dovresti far entrare qualcuno nei piani solo perché ti è amico, non sappiamo cosa frulla nella testa di quel rosso e potrebbe rivelarsi un traditore»
«Ti sbagli!» urlo, quasi. «Conosco bene Maxie e so che è un tipo leale e sincero, non farebbe mai una cosa del genere»
«Oh Ivan, sei grande e grosso ma ancora vivi nel mondo dei sogni».

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Capitolo 14
*** 14. Dum Spiro, Spero - parte prima - [By Xavier] ***


14. Dum Spiro, spero
14. Dum spiro, spero.
(parte prima)
By Xavier

cirosvegliatièprimavera


Cosa mi spaventa più della morte? Acromio, certamente. Prima, ciò che più temevo era proprio perire entro queste quattro mura, giovane o vecchio poco importava, impossibilitato ad evadere per tornare ai miei studi e ai miei piani. Adesso, temo il suo sguardo più di qualsiasi altra cosa, temo di finire sotto le sue grinfie ed essere sottoposto ad ogni suo trattamento, proprio come una cavia. Porto ancora i segni delle sue torture, non andranno via presto e fanno male, tanto male. Sento la mia pelle bruciare ad ogni tocco ma, ancor di più, sento ardere la mia voglia di libertà e la otterrò, la libertà, anche a costo di scavarmi un tunnel nel pavimento con un cucchiaio, finire in mare e diventare pasto per gli Sharpedo che infestano la zona. Almeno morirei libero, e potrei vantarmi di essere evaso! Purtroppo però, ho solo un bisturi al mio servizio, quella maledettissima arma usatami contro da quel pazzo, e non ho intenzione di sprecarla nel vano tentativo di segare le sbarre, sarebbe inutile.
Non dormo da oltre ventiquattr'ore, da quando è passato a salutarmi non sono più riuscito a chiudere occhio. Come potrei dormire sapendo di avere quella spada di Damocle puntata sulla mia testa, pronta a ferirmi? Non so cosa abbia in mente, ma non sibilerò neppure una lettera in sua presenza, morissero con me tutti i miei segreti!
Ma, a quanto pare, non sono l'unico in questa condizione. Vedo che anche Maxie fatica a rilassarsi, mangia poco ed è piuttosto nervoso, deve aver litigato con Ivan, forse gli manca, che sciocco, se crepa prima di me sono davvero spacciato. Che abbiano scelto anche il pirata tra coloro che dovranno partire per Unima? Fortunato, ma considerando quant'è stupido non coglierebbe neppure l'occasione per scappare. Ah, se solo avessero scelto me, accidenti! Ma come avrei potuto prevedere una cosa simile?
Mi stropiccio le palpebre per un minuto intero, le riapro e vedo un'immagine ancora sfocata al di fuori della cella, è un'ombra o è reale? Sembra una figura snella e slanciata con le mani posate sulle sbarre metalliche, che sia…?


«Cyrus, buonasera! Ti sei appena svegliato? Sai che ho proprio voglia di una bella chiacchierata con te adesso?».
Dannazione! Perché proprio lui? Ormai mi ha visto sveglio, non posso più fingere di dormire, alzo appena l'angolo sinistro del labbro superiore con una smorfia di disgusto e mi metto a guardare altrove, sembro uno scolaro impreparato che spera di non essere interpellato dal professore mettendosi a frugare nello zaino, solo che io frugo sotto il materasso, con le mani dietro la schiena, alla ricerca della piccola lama; questa è la volta buona che gliela faccio ingoiare, se solo osa metter piede qui dentro!
Comincia a camminare su e giù, osservandomi malizioso da dietro le sue lenti ovali. Odio quel sorrisetto, è lo stesso che aveva stampato in viso l'ultima volta e non è finita bene, mi vergogno ad ammetterlo ma mi fa raggelare il sangue. Io, Cyrus, mi sono davvero ridotto a questo? Ad un animale prigioniero ed impaurito da un essere come lui? Se solo ci fosse Cynthia qui, gli farebbe mangiare la polvere! Che dico, mi basterebbero i miei Pokémon e gliela farei mangiare io stesso, da solo!
«Acromio, lascialo stare! Così lo infastidisci e basta, non riuscirai mai a dialogarci se ti comporti così».
Questa voce non può che appartenere a Maxie. Non ne comprendo il motivo, ma prende sempre le mie difese, senza che tragga mai alcun profitto da me, perché lo fa? Voglio capirlo, diamine!
«Hai ragione Maxie, sembra piuttosto nervoso oggi, forse ha fame» -ribatte lui, osservandomi come fossi un Pokémon sotto esperimenti- «facciamo così allora: tornerò sul tardi, dopo l'ora di cena, così saremo tutti e tre più tranquilli e faremo salotto come si deve!»
«Non te lo garantisco, Acromio. Dopo cena andrò subito a dormire e credo che Cyrus farà lo stesso, non vorrai mica destarci?» chiede Maxie, un po' allarmato.
«Oh, se vuoi riposare non ti sveglierò certo» - fa schioccare la lingua sul palato e dopo una pausa di riflessione riprende- «beh, significa che mentre tu farai i sogni d'oro io e lui discuteremo!»
«Acromio, no! Non erano questi i patti! Dobbiamo provare a farlo parlare insieme, te ne sei dimenticato? Acromio! Fermati!» grida Maxie, avvinghiandosi alle sbarre, ma l'altro lo ignora e torna a fissare me, di nuovo, con quel maledetto sorriso: «ci vediamo più tardi, ci conto!» mi fa un occhiolino, poi gira i tacchi e sparisce nel lungo corridoio, come un Seviper sparisce nell'erba alta quando capisce che il momento non è propizio per attaccare la preda.
Guardo Maxie, il mio sguardo questa volta trasmette un misto di rabbia e sospetto, trasmette finalmente qualcosa dopo anni di apatia. Di che "patti" parlava? Com'è possibile che si siano messi d'accordo dopo tutto quello che è successo? La solitudine dopo il distacco da Ivan gli ha fottuto il cervello a tal punto? Sto perdendo le staffe, stringo forte i pugni fino a sbiancarmi le nocche e continuo a puntarlo; è affranto e scomposto, poggiato mollemente all'inferriata. Deve essere allo stremo anche lui, ma non è da lui prendere decisioni sconsiderate, tantomeno tradire quelli che considera "amici", e anche io rientro in questa categoria, seppur non gli abbia mai dimostrato un briciolo di gratitudine. Forse… forse s'è stancato di me e ha deciso di… "vendermi" a quello squilibrato? Per il sacro diamante di Dialga! Si sarà stufato di me, Maxie ha un irrefrenabile bisogno di compagnia, di qualcuno con cui parlare, di affetto, tutte cose che non ho mai potuto né voluto dargli. La sua reazione è più che lecita, me la sarei dovuta aspettare, prima o poi. Sospiro rumorosamente e mi metto le mani tra i capelli, coi gomiti poggiati sulle ginocchia, seduto sul mio giaciglio. Cosa posso fare?
Dovrei davvero prendere in considerazione l'ipotesi di affidarmi alle mani di Acromio? Sarà un sadico e un bastardo, ma non un beota, forse ha già in mente un piano per evadere e sta solo aspettando me, gli servo vivo, vuole informazioni sui miei studi dopotutto, e questo non è il luogo adatto per disquisire sulla Rossocatena o sul Mondo Distorto. Inoltre, posso fare affidamento sulla presenza di Maxie, lui non gli permetterebbe mai di usarmi violenza.
Ahah, ma che vado a pensare? Io, il grande Cyrus, offrire su un piatto d'argento fior di anni di studi a quello scellerato, per cosa? Per un'incerta libertà? Giammai! Mai il grande Cyrus dovrà piegarsi a qualcuno!
Mi mordo freneticamente le labbra, sono alquanto nervoso, devo darmi una calmata o qualcuno mi noterà e inizierà a sospettare. Maxie fortunatamente sembra essere troppo assonnato per potersi accorgere di me. Decido allora di distendermi prono sul mio letto, con la faccia nel guanciale, e rimarrò così, immobile, in attesa della cena; sono sempre l'ultimo ad essere servito, e a me tocca ciò che gli altri non mangiano. Perché? Semplice, perché sanno che, al contrario degli altri, non mi lamento mai, infatti non mi considerano più neppure una persona, non vedono l'ora ch'io tiri le cuoia, e se non le ho ancora tirate è solo per merito di… ah, lasciamo perdere. Maxie probabilmente non ha ben chiaro in testa quali fossero i miei piani, nei quali credo ancora adesso, altrimenti mi disprezzerebbe ed eviterebbe come fanno tutti i nostri "colleghi".
Nel mentre di queste riflessioni, un rumore sordo giunge alle mie orecchie, proviene da fuori, da lontano, e man mano lo sento avvicinarsi ad intervalli regolari. Alzo il viso dal cuscino e presto attenzione, sembra la sirena di una nave, possibile che…?
Scivolo giù e mi arrampico fino a sporgermi dalla finestra sbarrata che dà sul mare, scruto accuratamente l'orizzonte e noto la sagoma di una grossa nave farsi sempre più nitida. Per tutte le spire di Giratina, deve essere l'imbarcazione destinata al trasporto dei detenuti per Unima! Questa è la mia occasione, non posso assolutamente fallire adesso!



Non appena odo il chiacchiericcio delle guardie, ritorno seduto composto sul giaciglio, serrando nel pugno nascosto l'affilatissimo bisturi. Riesco a distinguere nettamente due voci, una più grave e profonda, l'altra più acuta ed insicura, deve essere nuovo costui. Si accostano alla stanza di Maxie e prendono dal carrello la sua porzione, l'ultima rimasta d'altronde, e la poggiano sul suo tavolino, destandolo dal dormiveglia. Il più giovane della coppia si volta verso di me, fissandomi incuriosito: «e lui? Non è rimasto niente per lui?» chiede preoccupato. Ci mancava solo la compassione di un carceriere per rendere ancora più patetico il mio status!
«Ah sì, quello…» -sbuffa il più vecchio- «aspetta che gli altri abbiano finito, poi potrai dargli quello che avranno lasciato. Qualcuno dovrà pur lavare i piatti stasera, no ahah?» mi schernisce, si crede simpatico, piuttosto che lambire i loro piatti mi taglierei la lingua, e già me la sarei dovuta mozzare dopo quel turpe contatto con Acromio!
«Ma ne sei sicuro? Non è un comportamento molto umano!» ribatte il più piccolo.
«Si vede che sei appena arrivato. Questo… questo essere qui, è tutto fuorché umano, è un automa, non parla, non ha espressione, non prova emozioni, fatti meno crucci e sbrigati» gli consegna le chiavi, facendo per andare via.
«Aspetta! Vorrai mica lasciarmi solo? Dove vai? Dobbiamo essere in due!»
«Te la caverai, quel coso neppure si muove. Ho fretta, il PokéQuiz sarà già iniziato, ci sono delle priorità nella vita!» bofonchia in fretta e furia e arranca via verso i piani superiori. Spero rotoli giù dalle scale, quel Grumpig.
Quello rimasto, scuote il capo a destra e sinistra, sbigottito dall'atteggiamento del suo superiore, ne ha da imparare; Maxie intanto, con la lentezza di uno Slakoth, manda giù qualche boccone controvoglia. Mi chiedo se anche qui prenda GiubiloTV, ricordo che da bambino seguivo sempre i quiz con mio nonno e non ne sbagliavo mai una, era così orgoglioso di me… spero soltanto che stia bene, chissà magari anche lui ora sarà seduto davanti allo schermo intento a seguire il nostro programma preferito.
«Tu devi essere Cyrus, giusto?» mi domanda, sedendosi sui talloni per poter scrutare il mio sguardo. Lo ignoro.
«Sai, si parla spesso di te, ti conoscono un po' dappertutto. Sei affamato, vero?»
Continuo ad ignorarlo.
«Perché non parli? Ti hanno offeso le parole di quel bifolco? Non dargli retta, è un cafone, fa così con tutti…»
Santo cielo che pesantezza, crede di essere in un asilo? La nave sarà già approdata, se non troverò un modo per uscire da qui mi sarò giocato l'occasione d'oro per scappare!
«Sono sazio, dagli pure quello che resta» biascica Maxie, lasciando pietanza e posate, poi si sistema sulla branda, quella un tempo occupata da Ivan.
La sentinella si rialza e va da lui per riprendere il piatto, io intanto mi sfilo la maglia a righe e la lascio penzolare da un braccio, non posso permettermi il minimo margine d'errore. Il garzone torna, apre la mia cella, entra dentro e posa il tutto sulla mia scrivania, poi ancora mi fissa, sembra incuriosito dalle mie cicatrici. A mia volta, lo studio di soppiatto: è davvero giovanissimo, non avrà più di ventidue anni, il suo sguardo è colmo di speranza e sincerità, perché ha scelto di lavorare qui? Non fa per lui, diamine, che spreco! Quasi mi spiace che si trovi nel posto sbagliato al momento sbagliato, avrei preferito ritrovarmi quel tanghero di prima, farei un favore a tutti se lo eliminassi; mi auguro solo che il giovanotto non abbia famiglia. Bah, ma che differenza fa? Si vede lontano un miglio quanto sia debole, non è degno di sopravvivere in questo mondo, finirebbe comunque sopraffatto da qualcun altro, prima o poi.
«E queste? Come te le sei procurate?» - mi si accosta, ha persino dimenticato di richiudere la porta- «ti fanno ancora male? Spero non sia stato uno dei miei colleghi…» una goccia di sudore mi scivola dalla tempia, finisce sulla spalla e scorre rapida lungo il mio arto, il mio cuore pulsa a mille: è il momento!
In un gesto fulmineo più rapido di un secondo gli sono addosso, il mio avambraccio avvolto nel tessuto gli serra la gola con una morsa più tenace degli artigli di uno Staraptor conficcati nella preda, prova a dimenarsi, a scalciare, a chiedere aiuto, ma la mia lama ha già spento i suoi lamenti ancor prima che possano uscirgli di bocca; le bianche righe della mia maglietta presto si colorano di porpora. Eccellente, i suoi vestiti non si sono sporcati. Adagio delicatamente quel corpo sul letto, lasciando che le lenzuola assorbano ciò che gli rimane.
Maxie s'è destato ed è subito saltato alle sbarre, deve aver visto tutto: «C-Cyrus! Cosa… cosa hai combinato!?»
Finisco di scambiare i miei abiti consunti con la sua divisa da poliziotto, mi metto il berretto sulla testa e finalmente mi volto a rispondergli: «evado Maxie, sai è stato un piacere averti come vicino!»
«Sei pazzo! Come speri di scappare? A momenti sarai circondato! Non puoi farcela da solo, liberami avanti!» sibila a bassa voce, ma nonostante ciò si intuisce bene la sua agitazione.
«Queste non mi servono più» - dico con strafottenza e gli passo il mazzo di chiavi- «spero tu abbia ancora abbastanza meningi da non arrischiare la vita dietro a quell'idiota di un marinaio. Addio, Maxie!»
«Quello sconsiderato sei tu, razza di incosciente! Se ti beccano, nessuno ti toglierà il cappio dal collo!» mi sbraita da dietro e si affretta ad aprire la sua cella, poi corre in direzione opposta alla mia. Stolto sarà lui! Si farà fregare così, ma tanto meglio, almeno una volta fuori di qui non dovrò né sopportarlo né sdebitarmi dei suoi aiuti, potrò dimenticare tutto e tutti e ricominciare una nuova vita, solo con le mie forze. Ma che mi importa, poi? Infilo le mani in tasca e cerco di apparire quanto più naturale possibile, se riesco a fingere bene passerò inosservato senza problemi. A quest'ora, saranno tutti riuniti in sala pranzo a guardare la tv e bersi qualcosa, non faranno troppo caso a me. Attraverso tutto il corridoio con lo sguardo basso, raggiungo la famigerata camera e, come previsto, trovo i miei "colleghi" attaccati al televisore ad esultare davanti alla partita: chi si ringalluzzisce per una squadra, chi si dispera per l'altra, chi ancora cerca di metter mano al telecomando per cambiare canale, non è facile far andare d'accordo così tanti uomini uno diverso dall'altro ma, in fondo, tutti uguali, ugualmente stolti, ammassati in quattro pareti. Nessuno fa caso a me. Sfilo silenzioso come un'ombra nella notte, favorito dalla semioscurità dell'ambiente: i neon infatti sono spenti, l'unica fonte di luce è lo schermo dell'elettrodomestico. Solo qualche Arcanine accucciato ai piedi del tavolo mi annusa con sospetto, ma se manterrò la calma riuscirò a non farmi smascherare, l'importante è non andare nel panico, i Pokémon potrebbero avvertirlo e ringhiare o avventarsi su di me. Vedo già il cortile, mi basterà attraversarlo e…Repentinamente, tutte le luminarie della sala si accendono all'unisono, mi fermo terrorizzato e getto un'occhiata agli interruttori con la coda dell'occhio… non è possibile!







"Cyrus! Dovevi proprio essere ansioso di vedermi, se sei addirittura arrivato fin qui da solo!"





- Fine prima parte -


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Capitolo 15
*** 14. Dum Spiro, Spero - parte seconda - [By Xavier] ***


14. Dum spiro, spero.
(parte seconda)
By Xavier
 



 
 
 
 

Non posso crederci! Stava tutto filando così liscio, perché Acromio è qui a rovinare il mio piano? Come diamine ha fatto a riconoscermi?
«Non muovetevi! Gettate le armi, subito!» - grido con tutto il mio fiato in gola, tirando a me una guardia un po' alticcia, poi le punto la pistola d'ordinanza alla tempia- «ritirate anche gli Arcanine, o gli faccio saltare la testa!»
Tutti i carcerieri, colti alla sprovvista, obbediscono ai miei ordini, ritrovandosi ben presto disarmati ed inermi, ma più che dalla mia Colt sono spaventati dal vedere il buon caro Cyrus fuori dalla sua cella e pronto ad evadere, e loro sanno bene ciò che combinerò una volta evaso!
«Suvvia Cyrus, non c'è bisogno di essere così violenti, stavo scherzando!» sghignazza e mi si avvicina, con le mani in alto e quel dannatissimo sorriso stampato in faccia.
«Stammi lontano, non sei nella condizione di farti gioco di me!» ringhio, a denti stretti, mentre lo fisso con due occhi intimidatori come quelli di un Honchkrow che usi Malosguardo sui suoi sottoposti, o almeno ci provo, poiché in realtà sono sgomentato dalla sua presenza, le mie dita tremanti sul grilletto lo fanno ben intendere e lui lo sa.
«Altrimenti che fai, spari? Non vorrai mica uccidermi, mio caro!»
«E invece lo vorrei, ma la circostanza non me lo permette, dunque sparisci finché sei in tempo» rispondo, con voce ferma mentre continuo a puntarlo.
«Oh, è questo il tuo modo di ringraziarmi? Non smetti proprio mai di essere scorbutico, vero Cyrus?» - continua ad avvicinarsi, non capisco cosa abbia in mente di fare- «Ma te lo concedo, d'altronde hai già fatto il tuo dovere!»
«…dovere? Ma di che diamine stai parlando?» vuole solo provocarmi, immagino.
«Cyrus suvvia, pensi che quel bisturi te l'abbia lasciato lì per mera dimenticanza? Ti facevo più sveglio!»
«N-Non… non rivangare quella vicenda, screanzato!» maledetto, maledetto bastardo, vuole in tutti i modi farmi perdere le staffe ma no, non ci riuscirà, non con me, serro meglio la pistola nel pugno e ogni vena del metacarpo si gonfia a fior di pelle, sto sudando, non deve cadermi di mano.
«Sarò pure uno screanzato, ma faceva tutto parte del mio piano e tu l'hai seguito alla perfezione, e tra poco saremo liberi!» - avanza, e come avanza di un passo, io ne arretro due- «avanti, dammi l'arma, fidati di me!»
«Giammai, dopo avermi usato speri pure di guadagnarti la mia fiducia? Scordatelo!» grido ancora, mentre il mio fiato si fa sempre più corto.
«Allora proprio non capisci Cyrus, mi costringi alle maniere forti così…» - incupisce la voce e si sistema gli occhiali, quel gesto non promette nulla di rassicurante- «come speri di salvarti, da solo? Guarda, i cancelli esterni sono chiusi, a breve saremo circondati, solo io conosco una via di fuga che ci permetterà di uscire da questo posto illesi, ma devi consegnarmi l'arma e affidarti completamente al sottoscritto! Non te lo ripeterò una seconda volta!»
Merda. Ha ragione, ha fottutamente ragione, non ho modo di oltrepassare la cancellata esterna che mi separa dall'imbarcazione diretta a Unima. Rimango in silenzio, ansimando, fissando un punto imprecisato del pavimento, non voglio credere che la mia unica chance di sopravvivenza sia proprio lui.
Un tintinnio metallico pizzica i miei timpani e mi costringe a seguire con lo sguardo il movimento delle sue mani: ha appena estratto dall'ampia tasca un mazzo di chiavi e dopo averne infilato l'anello all'indice inizia a farlo roteare intorno al dito. Deve essersi impossessato di uno degli elicotteri di vigilanza, non posso freddarlo o non saprò mai dov'è parcheggiato. E se stesse semplicemente bluffando? Calmati Cyrus, calmati dannazione! Dev'esserci un'alternativa! Il fragore dirompente scaturito dall'abbattimento di una porta desta entrambi e ci costringe a voltarci a destra dove, dalla breccia appena aperta, vediamo spuntare Maxie e Ivan alla testa di un folto branco di altri detenuti appena scagionati, pronti a confluire nella sala da pranzo.
«E chi ti ha detto che sono da solo, Acromio?» -sogghigno allo scienziato, godo nel vedere la sua faccia sorpresa e sbalestrata- «divertiti, sono sicuro anche loro fossero ansiosi di vederti» e detto ciò, scaglio via l'ostaggio e approfittando del caos appena creatosi fuggo via verso l'esterno.

Corro.
Sto correndo a perdifiato, gambe e petto mi dolgono, ho la vista annebbiata, non so quanto ancora potrò resistere in questo stato, raggiungo l'inferriata e mi ci accascio contro, battendo i pugni sul portone d'uscita, ho bisogno di riacquistare le energie prima di cimentarmi nell'arrampicata. Odo qualcosa sovrastare il monotono susseguirsi dei miei sospiri, una specie di ronzio ferroso e rombante d'incerta provenienza, che sia frutto del mio cervello? Sto forse per avere delle convulsioni? È così… insopportabile!
Mi rivolto adagiando la schiena alle mura e mi copro i padiglioni auricolari con i palmi, ma proprio in quell'istante adocchio qualcosa che non avrei mai voluto adocchiare in una situazione come questa: uno degli Arcanine carcerieri sfrecciare verso di me a fauci spalancate.
Cerco freneticamente la Colt, è a pochi centimetri da me, la brandisco, prendo la mira ma sono troppo agitato per far centro, sparo il primo colpo, il secondo, al terzo lo ferisco di striscio ma non s'arresta anzi, è diventato ancora più aggressivo ed io ho finito le munizioni.
Ho bisogno di qualcosa per difendermi, dopo avergli scagliato addosso anche la rivoltella, e alla svelta, un bastone, una pietra, qualsiasi cosa andrà bene, ma mi ritrovo soltanto con un pugno di sabbia e ghiaia, alquanto inutile. L'Arcanine si slancia, serro le palpebre e porto gli avambracci a coprirmi il viso dall'imminente attacco… che succede? Percepisco un tonfo e poi il canide rantolare davanti a me, riapro gli occhi e lo vedo atterrato da un enorme Feraligatr, e dietro quest'ultimo un ragazzo adolescente dai capelli rossi balzato da chissà dove.
«Ottimo lavoro Feraligatr, adesso usa Idropompa!» ordina il giovane al proprio Pokémon, riesco giusto in tempo ad appiattirmi al suolo per evitarla e permettergli di sfondare il cancello col devastante attacco di tipo acqua. Sono davvero stato salvato da un marmocchio?
«Ehi, tu!» - irrompe l'Allenatore, afferrandomi con una mano per il colletto- «dimmi dov'è mio padre, se ci tieni alla tua pelle!»
Come pretende che io lo sappia? È la prima volta che vedo il suo viso, non mi sembra familiare, ma a giudicare dai capelli direi che è imparentato con Maxie.
«Credo sia lì, tuo padre…» gli rispondo titubante, indirizzandolo con un'occhiata verso la figura dello scienziato che, zoppicante e appoggiato ad Ivan, sta ora uscendo dal penitenziario.
«… non è lui, razza di idiota!» sbotta il fulvo, spintonandomi indietro. Se non avesse lui il coltello dalla parte del manico, gliela insegnerei io la buona educazione, cosa che, evidentemente, questo suo famigerato padre non ha fatto. Che maniere.
«Ragazzino, dove credi di andare? Se tuo padre è ancora vivo lo vedrai uscire a breve, aspetta qui» provo a trattenerlo, potrebbe ancora servirmi.
«Mi chiamo Silver, dannazione!»
«Bene, Silver, ti sconsiglio vivamente di entrare là dentr-»
«Stai zitto, non m'interessano i tuoi consigli» replica girando i tacchi, e scapicolla in direzione della struttura. Che tipo, ma è pur sempre il figlio di un carcerato, non c'è da stupirsi.
Mi rialzo e mi scrollo la polvere di dosso, quindi finalmente valico la cinta muraria e una volta all'esterno faccio un'interessante scoperta: perché ci sono ben due navi? Una è quella diretta ad Unima e l'altra… ha le sembianze di un veliero e da entrambi i suoi fianchi fuoriescono giganteschi pannelli solari. Non ho mai visto nulla del genere in vita mia, che appartenga a qualche vanitoso riccone?
«Oh, tu devi essere… Cyrus, giusto?» un'accomodante voce maschile mi giunge alle orecchie, mi volto nella sua direzione: «hm? Ci conosciamo?» domando, squadrando da capo a piedi il mio interlocutore, un altro ragazzo probabilmente coetaneo di Silver, dalla folta chioma verde.
«Ho sentito molto parlare di te. Puoi chiamarmi N, ma ora non c'è tempo per le presentazioni, dunque ti prego di ascoltarmi»
«Silver è dalla tua parte? Cosa sta succedendo e cos'è quell'imbarcazione?» chiedo con apprensione, non mi piace l'estrema pacatezza dei suoi modi, esattamente opposti a quelli dell'altro moccioso.
«Sì, Silver mi sta aiutando. Sono venuto qui per liberare mio padre, ma sulla Fregata Plasma c'è posto anche per te e per gli altri… colleghi»
Non può che essere il figlio di Ghetsis, si somigliano tantissimo, ma questa precisazione preferisco non esplicitarla, non sia mai che sbagli un'altra volta.
«N, penso tu abbia calcolato male. Per quanto possa esser grande la Fregata Plasma, ci saranno almeno un centinaio di uomini là dentro, come credi di fare?»
«Gli altri detenuti prenderanno quell'altra nave» -spiega con calma, riferendosi a quella diretta ad Unima- «il mio esercito di Genesect ha già neutralizzato le sentinelle, adesso è pronta all'uso». Questo spiegherebbe il fastidioso ronzio di prima, ho sentito parlare dei Genesect ma personalmente non ne ho mai visto uno, sembrano Pokémon interessanti.
Rifletto per un istante sulle sue parole: «buon piano, ma dobbiamo darci una mossa prima che arrivino i rinforzi. Il tuo amico s'è precipitato all'interno, va' a vedere che sta combinando e non fate tardi, o partirò senza di voi»
«Cyrus, non hai una bella cera, ti senti bene?»
«Mai stato meglio, non perdere tempo» mento, in realtà sento le forze abbandonarmi, non mangio né dormo da un giorno.
«Hm, d'accordo… aspettami sul ponte allora, non ci vorrà molto» dice infine e anche lui prende la stessa via di Silver.

Arranco fino alla scalinata d'accesso del natante, salgo e mi metto a sedere sul bordo dello scafo, così da avere una buona visuale: Ivan e Maxie sono i primi a tirarsi fuori da quel guazzabuglio infernale, quest'ultimo accoccolato tra le braccia dell'altro. Ci mancava solo la scena patetico-romantica, santo cielo…
«Ehi, vegetale! Maxie è ferito, fa' qualcosa!»- mi grida a gran voce il marinaio, dopo esser giunto presso la nave- «se me lo fai crepare in mia assenza, diventerai un delizioso bocconcino per gli Sharpedo, ci siamo intesi?!» e dopo avermi minacciato adagia lo scienziato sul ponte, davanti a me, poi torna di nuovo indietro a dare manforte agli altri compagni, a quanto pare le guardie stanno dando loro del filo da torcere. Sbuffo e mi inginocchio davanti all'infortunato, non posso fare altrimenti: «che ti sei fatto? Te l'avevo detto di non fare sciocchezze, Max»
L'altro si alza un risvolto dei pantaloni e scopre una caviglia arrossata con evidenti segni di zanne: «sono stato morso da un Arcanine, ho cercato in tutti i modi di fermarlo quando ho visto che ti aveva preso di mira ma… beh, non ci sono riuscito»
Rimango interdetto per qualche secondo, che cos'è tutta questa filantropia oggi?
«… deve bruciare molto quel Rogodenti» - desumo mentre gli osservo la ferita- «però non sembra che sia rotta, hai solo una brutta ustione, sopravviverai» concludo e strappo un lembo della mia divisa così da improvvisargli un bendaggio.
«Grazie, Cyrus… ero sicuro che avessi anche tu un lato buono»
«No, non cominciare, lo sto facendo solo perché non voglio finire stritolato da Ivan»
«Ed ero anche sicuro che avresti risposto così. Non c'è nulla di male in un po' di gratitudine, nessuno è morto ringraziando, sai?»
Ci mancava solo il moralismo di Maxie. Ma non potevo finire sbranato da quel cane, a questo punto? La sua voce stridula è l'ultima cosa che voglio sentire dopo questa giornataccia.
«Max ti prego, non è il momento di farmi la morale, risparmiatele per dopo queste rampogne»
«Proprio no Cyrus, questo invece mi sembra il momento più adatto, dato che siamo soli, e un buon amico ti difende in pubblico ma ti corregge in privato, e non fare quella faccia!»
Faccio per alzarmi ed andarmene, visto che lui è zoppo e non avrebbe modo di seguirmi, ma improvvisamente avverto un fastidioso capogiro che mi costringe a rimanere acquattato a terra, diamine, dev'essere un calo di zuccheri.«E da quando in qua mi consideri un amico, adesso?»«Da sempre, da quando sei finito nella cella di fronte alla mia. Dovevamo essere tutti amici là dentro, aiutarci a vicenda, abbiamo commesso degli errori e questo non lo nego, ma a tutti va data una seconda chance…»
Se non fosse che sono sotto lo scacco di Ivan, a quest'ultima affermazione lo getterei dritto in mare.«Senti, lo sai bene che non credo a queste baggianate come l'amicizia o la fratellanza tra umani, sono cose frivole, lo capisci? Non bisogna contare su queste cose, ma solo su se stessi» sbotto infine, incrociando le braccia al petto e guardando altrove.
«Certo, ma certo, contare su se stessi, bravo» - inizia ad applaudire con scherno- «come hai fatto tu oggi, ad esempio? Senza il nostro aiuto non saresti uscito vivo di lì! Abbi almeno l'onestà di ammetterlo, che è stato un lavoro di squadra, sii coerente!»
«Ce l'avrei fatta anche da solo, so quel che faccio dannazione, per chi mi hai preso?»
«Tu? Ma per favore Cyrus, non hai nemmeno trent'anni, cosa credi di saperne? Io ammiro il tuo intelletto, i tuoi progressi scientifici, i tuoi studi, si vede che sei un uomo intelligente ma, lascia che te lo dica… sei ancora un ragazzino immaturo, emotivamente immaturo…»
Non replico, non saprei proprio cosa dire, tanto meno sono in vena di litigare, mi limito a scrollare le spalle con strafottenza, e lui infierisce: «lo vedi che ti comporti come un adolescente ribelle? E vuoi sapere una cosa?» vorrei solo tappargli la bocca e coricarmi, ma preferisco tagliare corto: «sì, voglio sapere che fine ha fatto Acromio. L'avete ammazzato e appeso da qualche parte immagino, giusto?» Stava per espettorare un'altra delle sue catilinarie, ma si ferma, sorpreso, deglutisce e poi balbetta: «n-no veramente… è riuscito a scappare, credo, non chiedermi come».
Non ci posso credere che l'abbiano fatto scappare! Ma che branco di imbecilli sono? Erano cento, cento fottuti uomini contro uno! Mi sale il sangue al cervello, serro i denti, i pugni, inizio a sentirmi male, ho le vertigini, la mia vista si annebbia, mi accascio su di un fianco e mi sento venir meno.

 

 

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Capitolo 16
*** 15. La resa dei conti [ By Lily ] ***


13. Il diversivo
15. La resa dei conti
By Lily

rocket

La luce bianca e fredda del neon illumina la stanza, solo la porta chiusa mi separa dalla ribellione provocata dai carcerati. Le grida e i rumori molesti della rivoluzione penetrano all'interno con una violenza unica, un canto confuso che mi riempie il cuore e l'animo di speranza.
La libertà è più vicina di quel che pensassi, la mia vittoria sarà rapida e indolore.
Davanti a me c'è la figura invecchiata e grassoccia del direttore del carcere, non emette alcun fiato e tiene la testa rivolta verso il pavimento, le corde che lo legano alla sedia gli impediscono di compiere anche il movimento più semplice e naturale.
Schiocco la lingua contro al palato, sbuffo una nuvola di fumo dalla bocca e lo fisso con un sorrisetto divertito sul volto. Non è stato complicato scortarlo fin qui, mi è bastato indossare un travestimento per prelevarlo dal suo ufficio e condurlo nella mia trappola, ma non ci sarei mai riuscito se non fosse intervenuto Max.
Non sono informato sull'episodio che ha permesso a quel testone rosso di entrare in possesso delle chiavi, è successo tutto così all'improvviso, non sono in grado di raccontare il vero corso degli eventi. Non ho potuto trattenere un'espressione di sorpresa quando lo scienziato ha aperto la porta della mia cella, non mi ha detto niente in particolare, si è limitato a correre verso gli altri prigionieri con un Extra-rapido talmente agile da fare invidia a un Arcanine appena evoluto.
Avrei potuto sfruttare la libertà per fuggire e dimenticare questo postaccio, ma la sete di vendetta mi ha spronato a mettere in atto il mio piano diabolico.
E ora sono qui, a fissare quel verme ambulante.
Resto immobile nella mia posizione, le spalle sono posate contro al muro e tengo le braccia incrociate al petto. Nella mano destra stringo il sigaro pregiato che ho acceso poco fa, ci giocherello prima di scrollare la cenere in eccesso.
«Davvero siamo arrivati a questo?»
Borbotta lui dalla sua postazione, lasciandosi sfuggire un colpo di tosse.
Rido.
Ha smesso di fare il gradasso ora che non è seduto dietro alla sua scrivania, non ha più niente per le mani. È soltanto un uomo come tanti altri, incatenato a una sedia senza la possibilità di difendersi. «Giovanni, adesso ti diverti a fare il Dio? Non ti facevo così schizzato, se l'avessi saputo prima ti avrei rinchiuso insieme a quel vegetale e mi sarei sbarazzato della chiave».
«Una mossa fin troppo intelligente per uno del tuo stampo» intervengo con una punta di sarcasmo, porto il sigaro alle labbra per concedermi un tiro e sbuffare il fumo senza aspirarlo. «Ma non mi sarei fermato, sarei risorto comunque dalle mie ceneri»
«E per cosa? Per avere la soddisfazione di legarmi e maltrattarmi? Tu sei malato, proprio come gli altri scagnozzi che ti seguono come cagnolini!»
«No!» sbotto dalla rabbia e mi avvicino a lui come una furia, gli afferro il mento e gli strattono la testa per alzarla. Voglio costringerlo a guardarmi negli occhi, ad assimilare tutta la cattiveria e il malessere che mi porto dietro da anni. «Non ho niente da spartire con quella mandria di schizzati, sono solo dei bambocci incapaci di gestire un vero giro d'affari.
Sono solo capaci di arraffare tutto quello che trovano lungo il loro cammino, proprio come i parassiti della peggio specie.
Bramano potere per realizzare degli ideali campati in aria, non sanno cosa significa essere un vero criminale!»
A quel punto lo lascio andare, sbraitando qualche altra imprecazione.
«Eppure sei qui grazie a uno di loro, o sbaglio?» ride. «Smettila di fare il grosso, Giovanni, sei soltanto un Persian selvatico che continua a leccarsi le ferite.
Sei solo un uomo come tanti altri, fuori di qui vali meno di un Pokémon sterile»
Scrollo le spalle.
È incredibile, quell'uomo non demorde e continua a sorprendermi.
Ho sempre apprezzato la sua personalità, anche come poliziotto non era male. Era un individuo ben addestrato e devoto alla giustizia, a quei tempi aveva una famiglia a carico e un sogno da realizzare.
Lo incontrai quasi per caso, avevo abbandonato il Team Rocket e mio figlio da poco per dedicarmi a un viaggio personale, intenzionato a migliorare le mie doti da Allenatore.
Agli inizi giocavamo a fare il gatto e il topo, era divertente affrontarlo o scappare dalla sua caccia. Solo alla fine abbiamo avuto modo di confrontarci, di frequentarci per stabilire un legame amichevole e malsano.
La sua proposta saltò fuori all'improvviso, quando il suo lavoro andava avanti a stento e il suo matrimonio iniziava a riempirsi di falle. Accettai solo per permettergli di diventare qualcuno, ma lui non rispettò la sua parte e preferì tenersi i meriti della mia cattura.
Diventò corrotto e occupò il posto al carcere solo per tenermi d'occhio, per controllare i miei spostamenti e impedirmi di fuggire.
Ma quei tempi sono finiti, è ora di dare inizio a una nuova era.
«Non parlerei in quel modo se fossi al tuo posto».
Mi infilo il guanto nero, estraggo la pistola che tengo nascosta dentro alla tasca della divisa da sentinella e carico l'arma.
Lo guardo senza aggiungere altro e la punto contro alla sua tempia.
«Giovanni...» sussurra, in preda al panico. «Cosa vuoi fare?»
«Non lo sapevi, mio caro?» borbotto divertito, leccandomi i denti con un gesto rapido della lingua. «È ora della resa dei conti».



Il corpo morto del direttore giace dentro la stanza, con un foro di proiettile nella tempia destra.
Prima di abbandonare il luogo dell'omicidio mi sono preso diverse precauzioni, non solo ho eliminato ogni segno del mio passaggio, ma ho slegato il cadavere per fargli impugnare la pistola e inscenare un suicidio.
Sono uscito da lì dopo aver controllato il dettaglio più piccolo e insignificante, mi sono interessato anche ai polsi, per fortuna non c'è alcuna traccia della corda che ho usato per legarlo.
In questo modo le autorità non indagheranno più del dovuto, lo individueranno come un gesto disperato, la ribellione che c'è in corso è un movente molto efficace per nascondere la realtà dei fatti.
In un'altra occasione avrei chiesto a qualcuno di farlo al posto mio, non sono il genere di uomo a cui piace sporcarsi di sangue, ma in questa situazione mi sono dovuto arrangiare. Sbuffo dalle narici e attorciglio la corda nella mano, cammino raso muro per evitare di essere individuato dalle telecamere o da uno dei trogloditi che sta devastando la struttura. Raggiungo il bagno senza compiere lo stesso tragitto di prima, mi avvicino al lavabo e guardo il mio riflesso che compare nello specchio.
Non posso fermarmi a pensare, il tempo non è dalla mia parte, apro l'acqua per togliermi di dosso le macchie di sangue. Devo trovare il modo più semplice per sbarazzarmi delle prove, non devo destare alcun sospetto o le conseguenze potrebbero essere spiacevoli.
Mi tolgo la divisa da sentinella imbrattata di sangue, guardo il corpo privo di vita dell'individuo morto sotto alla furia dei carcerati, lo stesso che ho spogliato prima di dirigermi dal direttore. Mi abbasso sulla carcassa e mi preoccupo di rivestirla, sono tentato dall'idea di lasciargli la corda nella tasca ma desisto all'idea.
Lì fuori sta accadendo il pandemonio, potrebbe tornarmi utile in un secondo momento.
Sospiro per scrollarmi di dosso ogni pensiero, mi alzo e mi volto in direzione della porta.
Adesso posso continuare la mia vendetta, non mi darò pace fino a quando non avrò rimesso le cose al loro posto.
Proseguo la mia traversata con il passo di un felino, vago tra i corridoi del carcere con le stesse movenze di un Persian in piena caccia, sono pronto a lanciarmi sulla mia preda in qualsiasi momento.
Ghecis.
Non ho in mente altro, il suo nome mi echeggia nella testa.
È l'uomo che mi ha complicato l'esistenza qui dentro, prima del suo arrivo ero venerato e temuto. Ma non gliela farò passare liscia, lo farò pentire dei torti che mi ha fatto.
A partire dalla sconfitta a Poker fino ad arrivare al nostro ultimo scambio di battute.
Adesso sono libero e pieno di rancore.
Posso agire come preferisco, niente e nessuno potrà mai fermarmi.


* * *




«Ero sicuro di trovarti qui».
Affermo nel preciso istante in cui sbarro la strada al Boss dei Plasma, lo guardo e ridacchio prima di avvicinarmi a lui. La sua altezza non mi spaventa, nemmeno il suo sguardo mi invoglia a fare un passo indietro.
Anche lui è solo, proprio come mi immaginavo.
Durante la fuga nessuno si è preoccupato di aiutarlo, non potrà andare molto lontano con le gambe che si ritrova.
Un punto a mio favore, sarà divertente dargli ciò che si merita e facendo passare l'episodio come uno sfortunato incidente.
«Giovanni...Cosa ci fai qui? Non sei insieme agli altri?» domanda con perplessità, appoggiandosi al muro con una mano.
È strano, non vedo il suo bastone. Dove sarà finito?
«So che non abbiamo dei trascorsi positivi, ma non credi che sia il caso di mettere da parte le nostre divergenze e fuggire?» continua lui.
Mi fermo e lo guardo.
Davvero è caduto così in basso?
«Solamente una persona ha il diritto di essere il Re e il tuo turno ormai è finito» gli sputo in faccia le stesse parole che mi ha riferito il giorno in cui ho provato ad approcciarlo nelle docce. «L'hai detto tu...O sbaglio?»
«Sì...» borbotta, insicuro. «Ma non avrei mai immaginato di arrivare a questo, non così almeno»
«Non posso farci niente Ghecis» esclamo con tranquillità, avvicinandomi a lui per riuscire a guardarlo negli occhi. «Ti sei rovinato con le tue stesse mani».
Sfrutto la sua distrazione per spingerlo, la mia forza riesce a fargli perdere l'equilibrio. Poco dopo il Boss dei Plasma si ritrova a terra, cascando con un unico schianto. Meglio così, farà fatica a muoversi.
«Si può sapere cosa ti prende, figlio di un Arcanine?!» urla lui senza trattenere il suo caratteraccio, ringhiando a causa della rabbia che si va a mischiare con il dolore dovuto dall'impatto.
«Non hai il diritto di rivolgermi la parola!» sbraito e afferro la corda che tengo in tasca, la stendo per allacciarla intorno al collo di Ghecis e cominciare a stringere. Forte, come un Arbok intento a stritolare la sua preda.
Lui si muove a fatica sotto di me, sento il fiato di quel vecchio che si spezza.
Una melodia malsana, che mi entra dentro alle orecchie per arrivare dritto al cuore. «Cosa c'è? Adesso non parli più, mh?»
Sto per rafforzare la presa, quando...

«Leva le mani da mio padre, mostro!»

Un urlo, poi percepisco un dolore lancinante.
Ricevo un colpo forte alla testa, sono talmente stordito che crollo e impatto contro al suolo.
Nel farlo sbatto il mento sul pavimento. Sono dolorante e in bocca sento il sapore metallico del sangue.
Mi giro ringhiando, poi mi fermo quando vedo un ragazzo vicino al corpo di Ghecis. È giovane, i lunghi capelli verdognoli sono raccolti in una coda, gli regala un'immagine selvaggia e spigliata.
Addosso ha dei vestiti normali.
Non fa parte del carcere? Non capisco.
«Padre...»
Sussurra lo sconosciuto, accucciandosi accanto alla figura imponente di Ghecis. «Come ti senti?»
Sgrano gli occhi.
È davvero lui, il figlio di Ghecis?
Non ci posso credere!
«Sto bene!» interviene Ghecis. «Grazie...»
Voglio intromettermi con una frase sarcastica, tanto per interrompere quel dolcissimo quadretto, ma un calcio ben piazzato allo stomaco mi blocca il respiro.
Poso la mano sopra al punto colpito, poi alzo lo sguardo.
Non ci posso credere. No, no.
«Silver?!»
«Almeno ti ricordi il mio nome» borbotta lui prima di sbuffare, poi si inginocchia per guardarmi negli occhi.
Lo squadro da testa a piedi, incredulo.
Sono passati anni dall'ultima volta in cui l'ho visto, devo ammettere che è cambiato molto da allora.
Ma non parlo di una trasformazione fisica, in fin dei conti è rimasto gracile come al suo solito, ma di qualcosa di interiore. I suoi occhi sono molto più mascolini e affilati, da vero uomo.
«Che ti è saltato in mente?»
«Io...».
Mi interrompo, non so più cosa dire.
«Non cambi mai» sbuffa e si volta verso gli altri due.
Ghecis è tornato in piedi, si regge alla spalla di suo figlio e mi fissa con uno sguardo omicida.
Il sangue continua a ribollirmi nelle vene.
Ma non posso fare altro, mio figlio e il suo nuovo amichetto mi impediscono di continuare ciò che ho cominciato.
«Dobbiamo andare, non c'è tempo per le spiegazioni» esclama il ragazzo dai capelli verdi.
Silver annuisce e si volta verso di me, si piega sulle ginocchia per porgermi la mano. «Vieni con noi, vecchio, oppure preferisci marcire qui dentro?»
Scrollo le spalle e gli afferro la mano.
«Solo perché non vedo l'ora di uscire da questo inferno»

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Capitolo 17
*** 16. Nunc est bibendum! [ By Xavier ] ***


max
16. Nunc est bibendum!
By Xavier



maxina




Finalmente siamo usciti da quell'inferno di carcere, quasi non mi sembra vero, dopo tutto questo tempo passato tra le sbarre, ed è ancora più incredibile che dopo la rocambolesca fuga siamo  sopravvissuti, più o meno. La mia caviglia fa ancora un po' male, sebbene sia stata medicata con un rimedio a base di Baccafrago, e Cyrus non si è ancora destato dal suo svenimento, per cui abbiamo deciso di adagiarlo su un letto del dormitorio maschile.
Nonostante la stanchezza, abbiamo imbandito una cena a bordo della nave, a cui sto partecipando anche io, per celebrare l'evasione, rifocillarci e appianare qualche divergenza che s'è instaurata durante la permanenza nel penitenziario.
Come capotavola, abbiamo Ghetsis da un lato e Giovanni dall'altro, e alla loro destra rispettivamente N e Silver. Io sono posto tra quest'ultimo e Ivan, ed infine c'è un posto vuoto che sarebbe riservato al Capo del Team Galassia; sia Gerardo sia Alan hanno deciso di salpare con l'imbarcazione destinata agli altri detenuti, per cui non sono presenti.
L'atmosfera è apparentemente tranquilla, dal momento che siamo tutti esausti ed affamati e non vediamo  l'ora di andare a dormire, nonostante questo però si può chiaramente avvertire della tensione nell'aria, tensione dovuta agli sguardi torvi che di tanto in tanto saettano tra i due più anziani commensali. Non sono mai andati d'accordo quei due, fin dal primo giorno non hanno fatto altro che sfidarsi in maniera più o meno esplicita, eppure qualcosa mi dice che tra di loro deve essere successo qualcosa di particolarmente grave e recente, e sebbene io voglia capirne di più, credo sia meglio che mi faccia gli affari miei per il momento, sono adulti e vaccinati e troveranno il modo di fare pace, ne sono sicuro, anche perché ora hanno i loro due figli accanto, sarebbe imbarazzante se si mettessero a bisticciare come ragazzini proprio davanti a loro!

Mi verso dello champagne appena stappato nel bicchiere e inizio a berlo, a piccoli sorsi, ci voleva proprio questa rinfrescata, il mio palato deve riabituarsi a dei piatti così saporiti e pieni di spezie, ed è la prima volta che assaggio le tipicità di Unima, meglio andarci adagio.  Scuoto la testa e sospiro spossato, Ivan invece non ha proprio il senso del "contegno", si sta abbuffando di cibo a più non posso con una voracità unica, insozzandosi la barba e i vestiti e producendo rumori molesti.
«Ivan… potresti fare più piano? Ti stanno guardando tutti…»
«Nom nom stai zitto Maxie, nom nom… non sottovalutare l'appetito di un marinaio!»
«E tu non sottovalutare gli standard di educazione del padrone di casa!»
«Zitto e mangia»
Mi ritrovo con la faccia nel piatto, grazie alla spinta del mio compagno, scena che desta l'ilarità degli altri commensali. Mi tolgo gli occhiali, li pulisco e mi risistemo, tutto pronto a tuonare una catilinaria nei timpani del pirata, ma a vedere le risa degli altri banchettanti, finalmente uniti e sorridenti, mi fermo, è un'occasione più unica che rara, e sorrido anche io.
Ci lasciamo un po' andare, sarà anche l'alcol che fa effetto, sarà l'ebbrezza della libertà, l'aria frizzante della notte, saranno un po' tutte queste cose a farci uscire da noi stessi ma, per Arceus,  quand'è stata l'ultima volta che io abbia avuto modo di esprimere una spensieratezza tale? Dovrei risalire ai tempi del reclutamento nel Team Rocket, o forse anche prima, ma non è il momento di tuffarsi in questi pensieri, adesso!

«Beh, allora? Un bel brindisi a Maxie non lo facciamo?» un Giovanni non particolarmente sobrio si alza in piedi, rivolgendomi il suo calice colmo di spumante.
«Un brindisi… per me?» chiedo un po' confuso.
«Sei sordo, quattrocchi? Ci hai salvato la pellaccia, per questa sera, e per questa sera soltanto, devo ammettere che hai avuto fegato ahah, avanti raccontaci come hai fatto a ottenere quel mazzo di chiavi, sono curioso!»
Giusto, loro non sanno la verità, quasi mi dispiace smorzare il suo entusiasmo.
«Temo, Giovanni, di dover rifiutare l'onore di questo brindisi…»
«Eh? Maxie che fai? Ti sembra il momento di metterti a fare il modesto solo per ricevere altri complimenti?» - farfuglia Ivan con la bocca piena- «sempre a fare la principessa preziosa!»
«Ma che c'entra questo, Ivan? Posso finire di spiegare prima di ricevere il tuo giudizio universale?»
«Dai, Ivan, lascialo finire, e ingoia quel boccone per piacere!» interviene anche Ghetsis in mia difesa, sono sollevato.
«Dicevo… in realtà è tutta opera di Cyrus, è stato lui a prendere le chiavi da una guardia, si è liberato e poi me le ha passate e non ho perso tempo a venire da voi. Ribadisco, senza il suo intervento non sarei riuscito nell'impresa, se proprio dobbiamo brindare alla salute di qualcuno, beh quel qualcuno è decisamente lui».
Cala il silenzio sulla tavola, mentre tutti iniziano a guardarsi sbigottiti tra di loro.
«Maxie, quanto hai bevuto? Sul serio quel vegetale è riuscito a fregare una sentinella?» Giovanni non sembra molto convinto della mia testimonianza e sbraita.
«Sono più sobrio di tutti voi messi insieme e so bene come sono andati i fatti! Mi spiace solo che Cyrus non sia qui a testimoniare!»
«Cyrus sarebbe il tizio con i capelli azzurri? Tsk!  Ma fammi il piacere, credeva che tu fossi mio padre, Maxie! Quel tizio è un idiota senza speranze» interviene anche Silver, maldisposto come sempre.
«Su, non dire così…» - la voce delicata di N, l'unico a non aver toccato un goccio d'alcol, lo zittisce all'istante- «non ti ha mai visto, non avrebbe mai potuto indovinare di chi sei figlio, e quando ci ho parlato, m'è parso spaventato e disorientato, ma nonostante ciò sono riuscito a dialogarci con calma, non lo definirei affatto un idiota…»
«Tsk!» è l'unica risposta che esce dalle labbra dell'altro adolescente, le cui gote sembrano essersi mimetizzate col colore dei suoi capelli.
N sorride celatamente alla sua reazione, poi mi rivolge la parola: «le va di raccontarci cos'è successo veramente?»
«Purtroppo non ho avuto modo di vederlo nitidamente» - mento, ricordo benissimo la scena, non sarà facile dimenticare un omicidio di quel calibro- «inoltre, sarebbe meglio chiederlo al diretto interessato, no? La mia deposizione potrebbe essere fallace»
«Hm, capisco, ha ragione…» - replica un po' amareggiato il ragazzino, poi si alza dal tavolo e va via, seguito a ruota dal coetaneo leggermente brillo- «beh, è stato un piacere, buonanotte!».
Poco dopo anche i loro padri, delusi dalla mia confessione, prendono vie separate sparendo dalla mia vista. Rimaniamo solo io e Ivan.
«…Ivan hai finito di ingozzarti?» gli pongo la domanda retoricamente, incrociando le braccia al petto.
«Ma se ho appena iniziato, nom nom… e ora che hai fatto andare via tutti con le tue lagne, posso spazzolare anche i loro piatti, eheh, grazie Maxie!»
«Come se fosse colpa mia!» mi giro con stizza alla sua affermazione e faccio per andarmene, ma la sua mano unta di olio mi blocca per una spalla: «nom nom… dove credi di andare, adesso?»
«Hm, fammi indovinare, lontano da te?  E non toccarmi con quelle zampe fecciose!» mi libero dalla sua presa e lo fisso in malo modo, sa che non sopporto le sue maniere avventate.
«Vuoi andare da Cyrus, non è così?»
«Or dunque? Voglio assicurarmi che stia bene, ti pare una cosa tanto strana? Vuoi fare il geloso anche adesso?»
«Ma non ho detto proprio nulla, Maxie!»  trasalisce alla mia frecciatina.
«Non fare il finto innocente adesso! Ti conosco fin troppo bene per sapere che stai mentendo…»
«Pensala come vuoi, Maxie. Ad ogni modo, sbrigati con quel vegetale azzurro, perché poi devo parlarti, da solo!»
«Non dirmi di sbrigarmi, non posso sapere quanto tempo ci vorrà, perché non vieni anche tu piuttosto? Sai, sarebbe gentile da parte tua dopo quello che ha fatto!» gli ringhio contro, non ha un briciolo di gratitudine!
«Va bene hai vinto, ti aspetterò a prua, vicino al bompresso» - termina la sua frase con una sonora eruttazione e mi porge un vassoio riempito con bacche e altri avanzi della cena- «e portagli da mangiare a quel disgraziato!»
Rimango esterrefatto dal suo gesto, per una volta ha dimostrato di saper fare un gesto carino verso qualcun altro.
«Grazie, sarà affamato… a dopo, Ivan»
«A dopo, Maxie».




Mi dirigo con il piatto in mano verso il dormitorio maschile, sembra che tutti siano già andati a letto, regna il silenzio, posso solo udire il soffio mite del vento. Entro nella camera in punta di piedi e scorgo la figura dell'uomo seduto sul giaciglio, con le ginocchia tirate al torace e la testa tra le mani: accanto a lui, un esemplare di Clefairy.
«Cyrus, come stai?» - mi avvicino silenziosamente, posandogli una mano sulla spalla  e il recipiente sul comodino- «sei riuscito a riposare almeno un po'?»
«… e così avete deciso di salvarmi, hm» replica, il suo tono è basso e cogitabondo.
«Sì, dopo che sei svenuto, ho chiesto a Ivan di portarti fin qui, al sicuro. Dubitavi, forse?»
«Potevi risparmiartelo questo disgustoso dettaglio. Perché l'hai fatto? Perché non mi avete abbandonato sulla riva?»
«E perché mai avremmo dovuto abbandonarti? Sei il nostro eroe! Volevano dedicarti un brindisi a cena, sai?»
«Forse perché siamo tutti criminali senza scrupoli, Max?»
«Senti…» - sospiro e vado a sedermi alla sua sinistra, sotto lo sguardo incuriosito del Pokémon- «tutti abbiamo commesso errori, è un discorso che ti ho già fatto, ma in qualche modo questa esperienza ci ha uniti, e proprio questa unione ci ha permesso di evadere, insieme. Adesso puoi dirmi come stai?»
«Mpf, lo sai che questi discorsi sono al di fuori della mia comprensione. Ad ogni modo, sto meglio».
Tiro un sospiro di sollievo, credevo che le sue condizioni fossero molto più gravi, Cyrus ha proprio  una pellaccia dura!
«Mi fa piacere, anche perché, se te la senti, vorrei chiarire una questione con te».
Mi guarda con gli occhi sbarrati, sorpreso dalla mia richiesta: «… che questione?»
«Riguarda Acrom…» non riesco a finire la frase perché vengo interrotto bruscamente da lui: «No! Non nominarmelo nemmeno!»
«Per favore Cyrus, è una cosa importante, non ti agitare!»
«Non capisci, Max? Non voglio discuterne, soprattutto perché è ancora vivo».
Lo osservo preoccupato, sta ansimando e ha iniziato a sudare, devo aver toccato un tasto molto dolente, sembra quasi che stia per avere un attacco di panico, non l'ho mai visto così irrequieto.
«Questo non lo sappiamo per certo, ad ogni modo… perché non  mandi giù un boccone?  Guarda che è tutto buonissimo» suggerisco, indicandogli  le varie pietanze.
Si mette a fissarle, analizzandole una per una, indeciso su quale prendere; improvvisamente il Clefairy, rimasto immobile per tutta la discussione, prende il piattino su cui avevo messo un pezzo di torta e glielo porge, squittendo allegro.
«Ah, ma è tuo quel Pokémon?» chiedo, deliziato dalla scena.
«No» - risponde, iniziando a manducare il dolce- «quando mi sono risvegliato l'ho trovato accanto al mio cuscino e non voleva scollarsi da me. Sarà di qualche recluta»
«Devi piacergli molto, che io sappia sono Pokémon abbastanza timidi...»
«Taci».
Mi lancia uno dei suoi sguardi minacciosi, al quale rispondo con un sorriso, e torna a mangiare, mentre io ne approfitto per regalare qualche carezza al nuovo compagno fatato.

Una volta terminato il pasto, ripone le stoviglie sporche sul comodino e continua a leccarsi le labbra con gusto, deve aver apprezzato molto, e sembra anche essersi calmato assai rispetto a prima.
«Senti Maxie…» - drizzo subito le orecchie a sentir pronunciare il mio nome, cerco di guardarlo negli occhi ma il suo sguardo continua ad essere puntato per terra- «se risolviamo adesso quella questione, mi riferisco al bastardo… poi te ne vai e mi lasci in pace almeno fino a domattina?»
Rimango alquanto sorpreso dalla sua richiesta e non sono sicurissimo di voler rivangare quei fatti, poiché noto dai suoi gesti che ha comunque degli scatti di nervosismo.
«Ti lascerò in pace fino a quando lo vorrai, in tal caso»
«Bene» - si schiarisce la voce con un colpo di tosse e riprende- «avanti, dimmi cosa vuoi sapere, sii celere»
«Voglio solo sapere se… se è stato lui, a conciarti in quel modo, quel giorno… mi riferisco a quando ti abbiamo ritrovato ricoperto di tagli ed escoriazioni…»
«Sì, sì ho capito a cosa ti riferisci» - mi interrompe praticamente subito- «e sì, è stato lui, quel maledetto, dopo avermi drogato… contento adesso?»
E me lo chiede pure? Come potrei essere contento di una cosa simile? Ho mille pensieri che mi frullano per la testa, mi sono fatto davvero prendere in giro così facilmente da quel doppiogiochista? Sono stato davvero tanto sciocco?
«Volevo sapere solo questo… capisco… mi dispiace davvero per tutto quello che hai dovuto passare...»
«Perfetto, non mi pare di aver richiesto la tua pietà, quindi adesso sparisci, voglio dormire».
Detto ciò, mi fa cenno di togliermi dal suo giaciglio ed io obbedisco all'istante, così da permettergli di infilarsi sotto le lenzuola.
«Buonanotte, Cyrus» sussurro con un filo di voce, e con l'aiuto di Clefairy raccolgo le varie scodelle della cena ed esco dal dormitorio, chiudendo la porta alle mie spalle senza fare il minimo rumore. Sospiro pesantemente, mirando il cielo stellato che si estende all'infinito, visuale magnifica che vorrei condividere con una persona in particolare, e riporto i piatti sulla tavola, dove alcune reclute di Ghetsis hanno già iniziato a sparecchiare, poi mi reco nel punto accordato con Ivan.
Eccolo là, Ivan, poggiato al parapetto e intento a fumare una sigaretta.

«Ma quanto ci hai messo, Maxie?» chiede, girandosi nella mia direzione.
«Giusto il necessario» - rispondo in modo secco- «piuttosto, vedo che tu non perdi mai l'abitudine di rovinarti la salute, vero?»
«Beh se ti fossi sbrigato prima, non mi sarei innervosito, e se non mi fossi innervosito, non avrei sentito il bisogno di accendermi del buon tabacco! Sempre colpa tua, Maxie!»
So che non lo pensa davvero, cerca solo di  giustificare il suo vizio.
«Questa mi è nuova, e sai che ti dico? Sembra proprio che il tuo metodo non funzioni più, non mi pare tu sia rilassato!»
«Quante storie! Possiamo parlare, adesso?»
Mi sistemo gli occhiali sul naso e annuisco, dunque vado ad appoggiarmi di schiena al parapetto, proprio accanto a lui, sebbene il fumo mi infastidisca un poco.
«Adesso sì, fortunatamente ho risolto la questione con Cyrus anche se, devo dire… avrei preferito non farlo…»  incomincio il discorso, mordendomi il labbro inferiore ad ogni pausa.
«Perché? Di cosa avete parlato, eh?» replica, guardandomi un po' torvo, come se stessi nascondendo qualcosa.
«Ho semplicemente scoperto che è stato Acromio a conciarlo così quel giorno, non era un tentato suicidio, tutto qui. Non deve essere stata una bella esperienza, Cyrus ne era evidentemente traumatizzato»
«Suvvia Maxie, se la caverà, è sopravvissuto al Mondo Distorto, cosa vuoi che siano quattro molestie di uno scienziato?» risponde e getta via la sigaretta, sbuffando l'ultima nube dalle narici.
«Non possiamo saperlo, ognuno reagisce in maniera diversa alle situazioni che capitano» -  affermo con un tono serio e stanco, scuotendo la testa- «… ma adesso basta parlare di lui, mi ha chiesto di essere lasciato in pace. Che dovevi dirmi?»
«Beh volevo parlare di noi due!» esclama concitato, lasciandomi un po' sbigottito.
«Del nostro rapporto, vuoi dire?»
«Esattamente. So di non essermi comportato benissimo nel carcere, ma io, ecco…»
«Tu, cosa?»  insisto, lo vedo titubante.
«Insomma, tu ci tieni ancora a me, giusto? Non mi odi?»
«Perché mai dovrei odiarti?»
«Perché ti ho tradito, ma te lo giuro… ho capito di tenere a te più di chiunque altro» e si volta a pronunciare le ultime parole, rosso dall'imbarazzo.
«Sono solo arrabbiato, ma non ti odio. Prima o poi mi passerà» lo tranquillizzo posandogli una mano sulla schiena.
«D-Davvero?»
«Dipende da come ti comporterai da oggi in poi, devi riconquistarti la mia fiducia…  e non sarà facile»  sibilo con una certa malizia, tanto da farlo sussultare.
«C-Cosa devo fare di preciso? Portarti a cena? Lume di candela? Regalarti fiori e cioccolatini, eh? So che sei una sirenetta pretenziosa!»
Osa chiamarmi in quel modo in una situazione come questa? Sul serio?
«Per esempio potresti smetterla di usare quell'epiteto!»  sbotto infuriato.
«M-Ma Maxie! Ti chiamo così perché tu sei come una sirena, nel senso che… mi hai ammaliato…»
«Ivan…» rimango sorpreso dal suo intervento, credevo usasse quel termine per prendermi in giro, e invece no, c'era un significato più profondo e serio.
«M-Maxie?»
«Niente, per una volta sei riuscito a dire qualcosa di sensato e lievemente carino, fai progressi…»
«Quindi adesso possiamo baciarci?» chiede tutto speranzoso, afferrandomi per i fianchi.
«C-Cosa baciarci ora? No Ivan, I-IVAAAAN!»
E ci ritroviamo improvvisamente abbracciati, come un tempo, a intrecciare le nostre labbra in bramosi baci.



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