I figli dell'angelo

di Black Iris
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il demone ***
Capitolo 2: *** Piano di fuga ***
Capitolo 3: *** Ricordi ***
Capitolo 4: *** Voci e sogni ***
Capitolo 5: *** Mi dispiace ***
Capitolo 6: *** Il rito ***
Capitolo 7: *** Il paradiso ***
Capitolo 8: *** La lettera ***
Capitolo 9: *** Paradiso, prigione e fuoco. ***
Capitolo 10: *** Madre e padre. ***
Capitolo 11: *** Un pomeriggio infernale ***
Capitolo 12: *** Oblio ***
Capitolo 13: *** Vivian, non perdere la speranza ***
Capitolo 14: *** Un nuovo alleato/non è stata colpa tua ***
Capitolo 15: *** Piccoli segreti/Ilaj ***
Capitolo 16: *** dubbi/l'ascesa di un demone ***
Capitolo 17: *** Adele ***
Capitolo 18: *** L'inizio dello scontro ***
Capitolo 19: *** Angeli danzanti ***
Capitolo 20: *** Un piano per la salvezza ***
Capitolo 21: *** E' guerra ***
Capitolo 22: *** Ritorno/ scambio ***
Capitolo 23: *** La fine è solo il preludio dell'inizio ***



Capitolo 1
*** Il demone ***


Era una torrida mattina di giugno quando Heather si svegliò di soprassalto sul suo letto spaventata dal rumore dei clacson fuori dalla finestra.
Si era trasferita là il giorno prima e non immaginava che ci sarebbe stato un tale risveglio.
Scese da quel comodo materasso nuovo e si affacciò per vedere cosa le aveva impedito alle sette di mattina di godersi il suo meritato sonno.  Non si sorprese particolarmente di quello che vide. C’era solo il treno che passava e le sbarre si erano abbassate dieci minuti prima. Tutto quel caos per dieci minuti senza muoversi. Sentiva la gente che gridava insulti e che lanciava bestemmie senza un vero valido motivo. Infondo non era colpa di nessuno se il treno non passava.
Tutto ciò sarebbe stato molto normale se Heather avesse saputo che cosa fosse un treno o per lo meno il motivo per cui le persone si erano tanto innervosite. Per quanto aveva capito che erano molte le cose che doveva ancora imparare, e quel evento era tra i tanti, ormai  c’erano così tante cose che non sapeva che se capire quella in particolare o no sarebbe stata solo un inutile perdita di tempo.
Scese le scale dopo essersi cambiata e vide sua sorella maggiore preparare la colazione.
-buongiorno Nicole- disse sbadigliando.
-buongiorno- rispose lei sorridendole.
Stava preparando l’occhi di bue, mentre il bacon friggeva. Quella era ormai la tipica colazione per lei, anche perché il classico latte e biscotti sembrava che nessuno lo sapesse fare. Insomma in quella famiglia sapevano fare bene le cose complesse, ma rimanevano un mistero le cose semplici.
Entrò in cucina anche Isabelle, la sorella maggiore di Heather di un anno e le si sedette acconto.
-buongiorno- disse con gli occhi chiusi –che sta succedendo fuori?- chiese cercando di rimanere sveglia. certo, si desse Heather  la finestra di camera sua non si affaccia sulla strada, ma sul cortile. Felice allora di sapere qualcosa che qualcosa di cui qualcun altro non sapeva aprì bocca per rispondere alla domanda, ma fu bloccata dal fratello che entrò in cucina correndo.
-buongiorno  e arrivederci- disse tutto d’un fiato. Prese una brioche e corse fuori.
-Christan, aspetta, la colazione…- gli gridò invano NIcole.
Scese per un attimo un silenzio tombale nella cucina. Nicole sbuffò e Heather provò di nuovo a dare una risposta alla domanda di Isabelle. Un altro tentativo. Un altro fallimento. Entrò rovinosamente Hashish, l’husky, abbaiando forte verso la porta che dava sul retro. Nicole gli si avvicinò e lo prese il collare.
-non devi stare in casa, lo sai. Hai la cuccia fuori!- gli gridò, ma il cane sembrava ostinato ad abbaiare contro qualcosa fuori, in giardino. Nicole capì e lo zittì subito. Ci fece un gesto con la mano indicandoci il cassetto in cui teneva il teaser elettrico. Isabelle si alzò e andò verso la mensola e io presi il teaser. Lei attirò via il cane. Nicole aprì la porta di scatto facendola sbattere contro il muro e fuori vedemmo un uomo in borghese. Capelli brizzolati e robusto. Non aveva l’aria molto amichevole. Teneva le mani incrociate dietro la schiena.
-ciao- disse con voce rauca –io sto ancora aspettando- continuò muovendosi sempre di più verso Nicole con passi decisi, ma lenti, -sto aspettando una risposta esauriente-.
-vattene!- lo minacciò Nicole. A lui gli si dipinse un sorriso di giubilo sul volto tondo.
-non sto ai tuoi ordini- disse con ironia –sto molto più in alto- disse poi indicando il cielo con il dito, mentre continuava ad avanzare verso di noi.
-da noi non avrai niente- disse ringhiando lei ventenne.
-vorrei vedere- disse di nuovo l’uomo e si fermò. Farfugliò qualcosa e scomparve per riapparire dopo un secondo dentro casa, dietro Heather.
Lei si scansò veloce schivando un pugno e gli piantò il teaser elettrico sul fianco dato che era molto più bassa di lui. Non lo mancò, ma la scossa non sembrò nemmeno scalfirlo. La tirò su per il collo cercando di soffocarla, ma intervenne Nicole scaraventandolo in salotto. Batté forte la testa sulla libreria, ma si rialzò in fretta. Nicole anche se piuttosto gracilina era molto forte e sembrava che l’uomo a terra l’avesse capito fin da subito. Gli occhi diventarono neri e senza pupille. Solo un uniforme e lucido nero. Vuoto.
-Heather vattene!- le orinò Nicole.
-ma io…- cercò la giovane di protestare.
-ho detto vettene via subito!-
Heather uscì fuori alla ricerca di isabelle. Non doveva essere andata molto lontana. Tirò fuori il cellulare e chiamò Kaleb, il fratello maggiore.
-Kaleb, siamo in pericolo, siamo state attaccate da un demone, devi venire presto!-
-sto arrivando, sorellina, tu cerca Isabelle, e Christian e mettetevi in salvo io chiamo Kevin-
-ma io…-
-niente ma. È pericoloso e voi siete ancora troppo piccoli! Obbedisci e basta!- gridò lui dietro al cellulare.
Heather con le lacrime agli occhi si allontanò di casa e si diresse verso la fabbrica abbandonata, il punto di ritrovo in caso di pericolo, dove con ogni probabilità c’era anche Isabelle con il cane e adesso lei avrebbe chiamato anche Chris.
Quello che più temevano si stava avverando e ormai c’era solo un modo per risolvere la situazione: chiamare loro padre! Non c’era molto tempo, i demoni erano venuti a prenderli perché non si poteva appartenere alla razza dei Nephilim, ne in paradiso, che all’inferno, che sulla terra.

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Capitolo 2
*** Piano di fuga ***


In un epoca remota gli angeli caduti si unirono alle donne umane e generarono delle creature tanto potenti quanto impure. Intrisi di corruzione i nephilim furono cacciati e allontanati e gli angeli caduti furono tutti sterminati per il loro peccato, o quasi…
Nella fabbrica c’era silenzio. Nessuno osava parlare o dire qualcosa. Hashish era seduto sul pavimento e vicino a lui c’era Isabelle che lo accarezzava. Chris le si sedette accanto invitando anche Heather. La sedicenne appoggiò la tesa sulla spalla del fratello maggiore e chiuse gli occhi.
Nessuno si era fatto vivo per delle ore e i tre, anzi quattro, si stavano preoccupando.
-ma insomma dove saranno? Perché non hanno ancora chiamato?- si lamentava Isabelle.
-torneranno, vedrai- cercava di rassicurarla Chris. Mentre Heather teneva la bocca chiusa. Si era immaginata quel momento tante volte. Loro nascosti e gli altri che combattono. Cercava di trattenersi, ma era un’impresa. Si mordeva il labbro e non faceva domande per paura della risposta. Chris se ne accorse e la strinse a se baciandola sulla testa.
-andrà tutto bene- le bisbigliò. Era strano come con poche parole sapeva confortarla.
-e se non tornano?- chiese Isabelle cercando di trattenere le lacrime.
-se non tornano ce la caviamo- disse – e poi dubito che non ce la faranno. Loro sono bravi, allenati e vedrai che nessuno potrà batterli- concluse con un sorriso. - noi finché non avremo vent’anni e non avremo dei poteri non possiamo fare niente.- aggiunse con rammarico. Infatti lui ne aveva solo diciannove.
Il cane alzò le orecchi e cominciò a scodinzolare guardando la porta. I tre si alzarono e si misero alle loro postazioni: Isabelle e il cane si misero dietro ad una scrivania rovesciata con in mano solo un piolo trovato lì ed il guinzaglio del cane, Heather, che non aveva mai mollato il teaser elettrico, si mise dietro a dei macchinari e Chris rimase in agguato dietro alla porta armato di un bastone di metallo con sopra delle incisioni. Si preparano facendo quello che avevano imparato da Kevin; nervi saldi, sangue freddo, muscoli tesi, orecchie all’erta. La porta pigolò e si aprì. Si buttarono tutti verso l’entrata, ma bastò un gesto della mano di Kevin a respingerli e a farli sbattere contro il muro.
-siete pazzi? Volevate forse uccidermi?- chiese con voce arrogante. Dietro di lui c’erano anche Kaleb che teneva in braccio Nicole.
-spostatevi, la devo appoggiare- disse. Aveva uno sguardo preoccupato. Nicole aveva un labbro spaccato e una striscia di sangue che le scendeva dalla nuca.
-portatemi dell’acqua, un panno e del disinfettante!- ordinò e noi obbedimmo.
La medicò per quanto possibile in quelle condizioni e la lasciò riposare. Aveva gli occhi chiusi e sguardo più sollevato. Anche Kaleb sembrava essersi calmato.
-ascoltate- disse fissando il vuoto -  dobbiamo partire al più presto. Dobbiamo andare a Friburgo, in Germania, dove ci aspetta un amico di nostro padre- deglutì e ricominciò fissando sempre un punto imprecisato – ora che i demoni ci hanno trovato anche noi dobbiamo darci da fare- prese una mappa dallo zaino a tracolla. Su di essa vi era disegnato il cosmo e c’erano anche delle iscrizioni nella stessa lingua del bastone di Chris. -  è questo che cercano. Nostro padre fece un patto con un demone tempo fa- il suo volto divenne cupo. Kevin stava sulla soglia della porta cercando di evitare i nostri sguardi. Era nervoso.
-nostro padre promise questa mappa in cambio il demone avrebbe lasciato vivere i suoi figli. Ragazzi, voi sapete che cos’è questa?-. Noi ci guardammo, ma nessuno di noi conosceva la risposta.
-questa è la mappa per la gabbia di Lucifero-
-perché nostro padre avrebbe dovuto stringere un patto del genere?- chiese Chris a bassa voce.
-era stato privato dei poteri allora e non poteva fare altrimenti per permetterci di vivere-
-però il demone ha detto che aspettava una risposta esauriente e che prendeva ordini da molto più in alto e ha indicato il cielo, perché?- chiese a voce più alta il moro.
-non lo so- disse semplicemente Kaleb - ma lo scopriremo!- disse con sicurezza.
Kaleb era il più grande di tutti e aveva ventisei anni., studiava medicina. Era alto e moro. Come fratello era affettuoso e gentile, tutto il contrario di Kevin. Lui era più piccolo di due anni e aveva i capelli più chiari. Lavorava in un officina, ma come fratello non era ne caldo, ne affettuoso, ne niente. Era freddo e distaccato e manteneva lo sguardo duro anche con Heather, la più piccola.
-…per permettervi di vivere…- bisbigliò piano Isabelle. Lei aveva tutto il diritto di riferirsi ai gesti di suo padre nei loro confronti con un ‘voi’. lei e Heather erano state vendute al paradiso in cambio del perdono, ma anche se loro padre era stato riammesso in paradiso adesso doveva riconquistare la fiducia dei suoi figli o come minimo delle due più piccole che si erano risvegliate da un lungo sonno solo un anno fa.
-io andrò con voi due- disse Kaleb indicando le sorelline - mentre voi altri e il cane starete sul pick-up di Kevin, abbiamo già fatto i bagagli con l’essenziale e gli abbiamo caricati…-
-quando?- chiese Chris.
-appena ci siamo trasferiti ho preparato io dei bagagli d’emergenza-
Kevin lo guardò sorridente e lui ricambiò.
-partiremo appena Nicole sarà nelle condizioni di viaggiare in macchina- concluse – si va a Friburgo-. 

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Capitolo 3
*** Ricordi ***


Io e Paride combattevamo nella stessa legione, in prima linea quando ci fu la guerra contro i caduti. Eravamo forti e ci guardavamo le spalle a vicenda, come due amici, no, come due fratelli.
Poi, però, la guerra finì. Noi eravamo guerrieri, sapevamo pregare solo per sopravvivere e non per ringraziare. Non conoscevamo le regole del paradiso e lui decise di diventare un custode di anime. Era portato per un lavoro così leale. Ma fu la sua stessa lealtà a tradirlo.

 
Bussarono alla porta. Aidan si alzò dalla poltrona.
-arrivo, arrivo- gridò - ma chi è che bussa così?- bisbigliò piano.
Aprì la porta e si bloccò sull’orlo. Oltre c’erano sei ragazzi.
-che Dio mi fulmini…- disse sbalordito.
-bhe, non ci fai entrare?- disse Kaleb.
-ma certo, ragazzi, entrate pure accomodatevi- disse.
Aveva un appartamento nel quartiere storico di Friburgo con tre camere abitabili, soggiorno incluso, un bagno e una cucina. La stanza era buia e sporca e aveva un certo odore di alcool. Sulle pareti c’erano tanti scaffali con tanti libri e foto. Heather fu attratta da una in bianco e nero che sembrava essere molto vecchia. Si riconosceva Aidan con affianco un uomo molto più alto di lui. Aveva gli stessi tratti del fratello più grande e l’espressione di Chris quando era felice. Aveva in mano un martello.
-ti piace?- disse lui – siamo io e Paride al crollo del muro di Berlino- Heather annuì senza dire una parola.
Li fece accomodare in soggiorno e gli offrì da bere e da mangiare. Si soffermò un attimo a guardare Isabelle e Heather con dolore.
 
Lei era dolce, lui le sorrideva. Aveva  in mano una neonata.
-voglio chiamarla Heather- dissee sorridendo a Paride – non trovi che sia un nome perfetto?-
-se lo hai deciso tu è senza dubbio perfetto- le diceva lui guardandola negli occhi.
Si amavano. Dove la trovava Paride la forza di sorridere? Sapeva che non sarebbe durato e lui non poteva fare niente se non pregare, ma non sapeva farlo, non aveva mai voluto imparare e adesso era inerme dinnanzi al destino, al volere di suo padre che gli stava togliendo sua moglie.
-vedo che sei pensieroso Paride, qualcosa non va?-
Aveva una certa premura per quell’angelo peccatore. Paride era diventato un custode ed era per custodire l’anima di Adele, la sua custodita. Lasciato dal fidanzato era caduta in un circolo di depressione, droghe e alcool. L’unico modo che Paride trovò per farla sentire di nuovo amata fu prendere sembianze umane e starle accanto, ma tra i due si formò una sorta di affetto inaspettato e pochi anni dopo si sposarono. Paride era fuggito dalle guardie del paradiso ed era venuto da me.
Io avevo abbandonato il paradiso ed ero un ricercato dai guardiani. Io non sopportavo essere servile. Dopo la guerra dovevamo servire le anime del paradiso. Fu per superbia che anche io divenni un caduto. Persi le ali e i poteri, ma mi restava l’immortalità e la voglia di vivere.
Quando rividi Paride fu come se avessi ritrovato tutta la mia famiglia. Avevano avuto cinque figli e quel pargoletto era il sesto. Kevin e Nicole si sporgevano dalla finestra della stanza d’ospedale per vedere.
-entrate- li invitò dolcemente la madre.
-è un maschi o una femmina?- chiese subito Kevin.
-una femmina- rispose la madre.
-evvai, ho vinto io- esultò Nicole alzando i pugni al cielo. Erano così piccoli. Kaleb aveva solo dieci anni allora.   
 

-non so cosa dire- disse Aidan - non vi aspettavo-
-ci dispiace del disturbo, ma ti chiediamo solo di ospitarci per pochi giorni, almeno finché uno di noi non troverà lavoro. Diremo che sei il cugino di nostro padre-.
-Paride sarebbe fiero di voi, e anche Adele-
 
-andrà tutto bene- disse Paride vedendo entrare Adele nella stanza della chemioterapia, però aveva le lacrime agli occhi e faticava a non farle scendere.
-certo- disse lei - è sicuro!- ma non ci credeva veramente.
Morì di tumore al cervello poche settimane dopo lasciando un marito e tre figli soli.
Paride era disperato. “dov’è dio? Perché me l’ha tolta? È questa la mia punizione? Perché? Perché? Perché?”. Io come amico non potevo fare molto, ma potevo consigliarlo, aiutarlo a cercare la pace per se e per i suoi figli.
-se ti fai riammettere in paradiso forse riesci a ritrovare la sua anima e a riportarla tra i vivi-
-non mi faranno mai rientrare in paradiso- disse sconsolato.
-se tu dessi loro qualcosa che cercano forse potrebbero ridarti la redenzione-
Guardò le due culle. Si alzò e si avvicinò. Erano troppo piccole per essere cacciate dagli angeli guardiani. Una lacrima gli solcò il viso “piccole mie, papà vi vuole bene. Ricordatelo sempre e vi scongiuro non odiatemi per quello che sto facendo. Io lo faccio anche per voi, perché possiate conoscere vostra madre e vivere un giorno in un mondo dove potrete essere voi stesse senza dover combattere e lottare per una colpa che non esiste. Siate forti, come vostra madre e non dimenticate mai che anche lei vi voleva molto bene. Vi adorava e adorava anche gli altri. Noi ci separeremo, ma sarà solo temporaneo. Vedrete, verrà un giorno in cui potremo riabbracciarci e vivere felici dove vogliamo, ma fino ad allora dovrete essere pazienti. Io vi darò ai guardiano, ma loro non vi faranno del male. Vi confineranno in un limbo e appena Kaleb avrà compiuto vent’anni verrà e vi libererà. Gli angeli sanno che siete figlie mie e sappiate che non vi sto vendendo. Vi sto mettendo al sicuro fino a quando non arriverà il momento. Papà vi vuole bene non dimenticatelo mai”.

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Capitolo 4
*** Voci e sogni ***


Friburgo era una città molto accogliente circondata dalla foresta nera. Era divisa in due parti: quella storica e quella ecologica in cui avevano trovato casa i nostri protagonisti. La loro abitazione a due piani contava quattro camere da letto, en soggiorno, un bagno e una cucina. Dal salotto del piano di sopra si accedeva ad un balcone con vasi e fiori colorati tipici della regione del Baden-Württemberg.
Per la maggior parte del quartiere si estendevano case azzurre o arancioni, quella abitata dai sei fratelli era invece rossa. Come tutte le case ecologiche di Friburgo non aveva  né finestre né garage, in quanto aveva aria condizionata e non era permesso tenere le macchine vicino a casa, ma c’erano i garage per tutta la parte ecologica poco fuori dal loro quartiere. Anche se in molti compravano la macchina intestata ad un parente vicino per tenerla sempre nei dintorni della casa.
Era circa l’inizio di luglio quando i sei fratelli si trovavano nella Martinskirche. Faceva caldo e la sala era gremita di gente. Aidan era seduto vicino a loro. nel mese che seguiva li aveva aiutati il più possibile. Aveva messo una buona parola su di loro dove cercavano lavoro e li stava anche allenando. Il buon uomo teneva infatti in casa dei libri antichi scritti nell’arcana lingua degli angeli. Gli aveva parlato di loro padre e insegnato qualche parola in tedesco.
 
Il prete iniziò la messa di quella ennesima domenica. Dalla finestra entrava una luce colorata e il rosario proiettava nella navata principale colori forti che illuminavano i visi dei credenti.  Fu mentre il prete cominciò a dire i salmi che accadde per la prima volta. All’inizio parve solo un bisbiglio come quelli che sentono nei sogni. Sembrava che l’avesse detto qualcuno tra le persone dentro. Heather alzò la testa e si guardò intorno sicura che qualcuno l’avesse chiamata, ma nessuno pareva essere interessato a lei. Dopo poco tempo la risentì, la voce. Poco più percettibile, quasi familiare, ma di nuovo non era stata chiamata. Aveva una consistenza strana, come se il suo nome fosse stato detto parlando da un rotolo di cartoncino. Provò a convincersi che fosse la sua immaginazione, ma non ne fu totalmente convinta.
Appena si alzò per uscire dalla chiesa, una volta che il prete ebbe finito di parlare sentì di nuovo quella voce che la chiamava che non sembrava venire da nessuna parte. Heather sentì di nuovo, Heather. Ma di nuovo nessuno la stava chiamando.
-tutto bene?- le chiese Kaleb.
-tutto bene- rispose lei.
 
Come ogni domenica pomeriggio erano tutti a casa di Aidan ad allenarsi. Mentre i tre figli di Paride minori di vent’anni leggevano tomi storici e torici, i maggiori si allenavano nello sviluppo dei poteri e nella prestazione all’uso delle armi angeliche e divine, di cui Aidan aveva un intera collezione. Possedeva anche una libreria piena di libri antichi, ma ben conservati, che spiegavano cose come l’essenza dell’angelo, la gerarchia angelica, la grande guerra santa e quella incomprensibile lingua che usavano tutte le creature celesti. Era proprio uno di quelli che stava in quel momento consultando la più giovane, mentre Aidan era nell’altra stanza a spiegare a Nicole il controllo dell’energia.
Lo aprì. Non c’era molto: qualche spiegazione, etimologia, e le parole più importanti. Heather cercava una delle parole che aveva sentito nella chiesa. Sfogliò tutte le pagine di tomi interi e dizionari arcani finché finalmente non ebbe tra le mani la pagina che spiegava quella parola: apocalisse.
Rimase per un attimo compiaciuta di se stessa per esserci riuscita e poi si soffermò sulla parola trovata. L’aveva sentita pronunciare un paio di volte ai fratelli e spesso dagli umani, anche se le avevano detto che loro la pronunciavano in modo profano senza considerare il significato originale. Per quello che ne sapeva stava a significare un momento in cui Lucifero sarebbe ritornato e Michele lo avrebbe definitivamente battuto. Allora gli umani sarebbero stati giudicati e portati nel regno dei cieli, mentre i peccatori sarebbero rimasti sulla terra in quanto l’inferno era giunto trainato da un angelo oscuro.
Perché mai quella parola? Cosa significava? Dove voleva portarla la voce?
Consultò altri libri ancora finché non trovò informazioni concrete sull’apocalisse. Il libro diceva che per rievocare Lucifero nel mondo dei viventi bisognava porre fine alla sua prigionia nelle profondità dell’inferno. Per farlo bisognava compiere un rito a mezzanotte nel luogo in ci era stato crocifisso san Giorgio. Al cospetto delle tenebre bisognava poi sacrificare sei demoni, sei angeli e sei nephilim.
Sei nephilim.
Le si gelò il sangue nelle vene e deglutì. Non riusciva a credere alle parole che leggeva e neanche al fatto che fossero tutte coincidenze. Era troppo strano che loro fossero in sei. Era troppo strano che gli angeli avessero rinchiuso lei e sua sorella in un limbo piuttosto che ucciderle fin da subito. O almeno fino ad allora quel fatto le era parso strano. E suoi fratelli sapevano? Glielo avrebbero mai detto? E Aidan? Perché lui non ne aveva mai accennato?
Si alzò e andò verso il soggiorno vide Kevin seduto a gambe incrociate che cercava di concentrarsi per percepire le aure, Kaleb non c’era. Probabilmente era uscito ad indagare sul demone di quella mattina di giugno. Non aveva poi neanche trovato grandi risultati se non il nome: Vathek. Un nome che non significava ancora niente.
Tornò in cucina. Scosse la testa. No, si stava sbagliando. Aidan glielo avrebbe insegnato prima o poi e i suoi fratelli glielo avrebbero detto. Era solo un caso. Eppure aveva sentito quella voce che glielo sussurrava.
 
Andò a letto riflettendo sulla giornata. Non era ancora il momento di dirlo agli altri. Si sarebbero spaventati o avrebbero preso provvedimenti contro qualunque cosa fosse. Lei, invece, voleva sapere di che cosa si trattava, di chi era la voce e perché le parlasse. Si sentiva cambiata, quasi importante, una cosa che fino ad allora non aveva mai provato.
Quella notte fu lunga, non aveva sonno, ma quando si addormentò finalmente sognò.
 
Una foresta. Un cielo estivo. Io. Corro. Perché corro? Sto scappando. Da che cosa? Mi fermo. Rifletto. Non c’è nessuno da cui scappare. Fa caldo. Troppo. Caldo. C’è odore di fumo. Da dove viene? Vado a controllare. C’è un sentiero. Lo seguo. Mi porta a Friburgo. Brucia. Friburgo brucia. I miei fratelli non ci sono. Aidan non c’è. Non c’è nessuno. Solo gente. Fa caldo. Troppo caldo. La cattedrale è ancora in piedi. Non è bruciata, forse sono tutti là. Ci vado anche io. Il fuoco mi tocca, ma non mi brucia. Entro nella cattedrale. Avevo ragione. Sono tutti qui perché Friburgo brucia. Friburgo brucia

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Capitolo 5
*** Mi dispiace ***


Heather aveva col tempo imparato a controllare gli incubi che la perseguitavano da ormai settimane. Prima di andare a dormire prendeva una tisana alle bacche di Goji e quando dormiva cercava di controllare la propria mente. Era sicura che quei sogni erano un avvertimento chiaro. Avevano tutti la stessa ambientazione ed erano tutti sullo stesso argomento. Spesso mentre sognava c’erano elementi in più, a volte elementi in meno, ma l’argomento preferito dei suoi incubi sembrava essere Friburgo in fiamme.
Adesso mentre sognava aveva iniziato a spostarsi dai luoghi ormai classici per capire di più di quella vicenda. Non aveva ancora trovato nessun significato, anche se in realtà un significato c’era, quella voce che le bisbigliava ogni tanto, ma lei voleva ignorare quel senso.
La voce però la perseguitava e le bisbigliava parole nella lingua degli angeli, parole strane e sconnesse l’una dall’altra.
 
Fu mentre cercava sul dizionario arcano la traduzione di una parola che bussò qualcuno alla porta.
Aidan andò ad aprire. Lei dalla cucina ascoltava ciò che accadeva. Un uomo era entrato di fretta e confuso.
-dovete andarvene…- aveva semplicemente detto.
-Octavian, che cosa ci fai qui?- aveva detto Aidan sorpreso.
-dov…. do….. dovete andarvene….. loro stanno venendo, sono molto vicini….- parlava tremando. Aidan lo fece sedere e cercò di calmarlo.
-no, voi non capite, sono molto vicini….- diceva battendo i denti
-chi, chi sono vicini?- chiedeva Aidan.
- i demoni-. 
 
Per gli angeli caduti i demoni erano un grosso pericolo. Avendo loro perso i poteri erano vulnerabili e i demoni potevano farli fuori. erano creature diverse dalle classiche creature bibliche. Erano anime di peccatori e alcuni di loro obbedivano direttamene a lucifero, altri soltanto al più forte.
L’uomo entrato in fretta e confuso, Octavian, era un angelo caduto, amico di Aidan. A differenza sua però aveva deciso di seguire Lucifero nella guerra e se ne era da tempo pentito. Viveva poco lontano dalla città e lavorava come impiegato in una azienda. Era totalmente integrato nella società e segretamente si occupava anche della sicurezza di Friburgo. Aidan aveva raccontato che era scomparso anni fa.
-spiegaci- aveva detto Kevin che era in soggiorno  quando tutto era accaduto.
-sono stato alla ricerca di una cosa per tantissimo tempo e quando l’ho trovata ho scoperto una cosa terribile- disse stringendo i pugni - quando gli angeli vennero a Friburgo per Paride restarono qui qualche giorno in più- disse - Cercavano qualcosa. Io volevo scoprire cosa e li seguii, indagai, ma non raggiunsi a nessuna conclusione, finché non incontrai un demone qualche settimana fa, Vathek. Lo incastrai nell’oblio e mi feci raccontare tutto. Era un demone che aveva a che fare con Paride prima della sua riammissione in paradiso, mentre era ancora un caduto. Era andato a trovarlo tempo fa e gli aveva proposto il patto e lui gli aveva risposto che avrebbe dovuto aspettare per secoli la risposta e lo aveva buttato nell’oblio-
Vathek. Ecco che cosa voleva, una risposta. Era uscito fuori dall’oblio ed era libero. Da quello che aveva letto pochi giorni fa l’oblio era un luogo ai confini dell’inferno in cui potevano essere spediti temporaneamente i demoni. Chiunque poteva recitare la formula che era nella lingua degli angeli.
-andando avanti mi disse anche che c’era un'altra cosa- proseguì - Friburgo sarebbe bruciata all’arrivo dell’angelo oscuro e presto anche.
Pensateci bene, il patrono di Friburgo è S. Giorgio. Qui probabilmente aveva chiesto di essere sepolto, il cavaliere, perché qui sotto poteva combattere ancora contro i demoni e impedire che la porta della gabbia che sta proprio sotto Friburgo si aprisse.-
Silenzio. Nessuno parlava o cercava di contraddirlo.
-mi disse anche che l’ora era vicina-
 
Quando i demoni stavano per cadere nell’oblio venivano purificati perché là dentro non si poteva portare il male e diventavano per un attimo mortali. Ciò era un grande problema se una volta morti andavano di nuovo all’inferno e questo era peggio che stare al gioco degli angeli per quei pochi secondi in cui gli venivano poste delle domande.
 
 
Una parola bisbigliata piano all’orecchio di Heather. All’inizio incomprensibile e dopo realizzò che era nella lingua degli umani e non in quella degli angeli. Arrivo anch’io. Non avere paura.
Non riusciva a capire chi le avesse parlato. Se era stata la solita voce o se era invece qualcuno. Si guardò intorno spaventata, non capiva. Guardami. Aveva di nuovo parlato, aveva di nuovo usato la lingua degli umani. Era sconcertata. La voce era quella di sempre, ma questa volta aveva un tono diverso.
Devi fare quello che ti dirò. Sei così piccola ancora. Heather, sono io Paride.
Heather si bloccò sul posto. Quello che sentiva non poteva essere suo padre.
Ascolta ho poco tempo per parlarti in lingua umana. Ascoltami bene. Voglio scendere e venire sulla Terra, ma ho bisogno del tuo aiuto. Aiuteresti tuo padre?
Non sapeva se rispondere o meno e aveva le lacrime agli occhi. Suo padre le stava parlando in tono dolce e da settimane le era ormai accanto.
Ho cercato di avvertirti mentre dormivi, ma eri proprio testarda. Non mi lasciai fare. Poi ti ho parlato nella lingua degli angeli perché non è intercettabile e tu sei stata bravissima. Sei stata brava anche a non dire niente, Kaleb si sarebbe sicuramente preoccupato e mi avrebbe impedito di comunicare con te, anche se inconsapevolmente. Sei stata molto brava, figlia mia, molto.
 Heather scoppiò in lacrime. Fino ad allora aveva pensato di odiare il padre che l’aveva abbandonata e invece si era sbagliata. L’aveva giudicato senza conoscerlo e si sentiva in colpa. Era felice che suo padre le parlasse in tono dolce, la faceva sentire veramente figlia sua. Si riprese e si mise a ragionare, come faceva ogni volta in questo genere di situazioni che la emozionavano tanto.
-ma perché solo adesso?- aveva chiesto al padre con voce bassissima. Temeva che dal soggiorno la sentissero.
Mi ci è voluto quasi un anno per collegarmi e riuscire a parlarti.
-ma perché solo adesso?- ripeté piano con più decisione. Per un attimo ci fu un triste silenzio che Heather parve infinito.
Non bisogna fidarsi di nessuno. Aveva risposto.
-neanche di Aidan?-
Non lo so. Ma tu adesso ascoltami, ora puoi dirlo solo ai tuoi fratelli e insieme dovete fare una cosa perché io ritorni tra di voi.
-ma perché hai parlato proprio con me?- chiese tra le lacrime.
Mi dispiace, il mio tempo sta per scadere. Ti riparlerò più tardi, ora non riesco.
Heather, per tutto quello che vi ho fatto passare, mi dispiace.

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Capitolo 6
*** Il rito ***


Hashish era fuori che abbaiava e tirava il guinzaglio mentre Isabelle lo tirava perché non scappasse. Paride era stato chiaro con Kaleb prima di andare in paradiso, ‘dovete tenere il cane al sicuro fino al mio ritorno, perché servirà a farmi tornare’; peccato che Kaleb fosse stata una scocciatura finché non trovò Isabelle, che aveva ereditato dalla parte angelica la capacità di infondere fiducia negli esseri viventi.
Era il dieci di agosto e il cielo avrebbe dovuto illuminarsi di stelle cadenti e invece sembrava che sarebbe venuto un temporale.
Stavano aspettando che la luce della luna colpisse l’altare. Non era altro se non un tronco d’ebano coperto da un telo di lana d’agnello su cui erano incise delle formule nella lingua degli angeli. Simboli ed ideogrammi disposti a cerchi che si intersecavano a vicenda, era questa la loro scrittura. Era perfetta, ogni cerchio era uguale all’altro e i punti in cui si intersecavano uguali per tutti. Era stata Nicole a disegnarlo. Era fiera di quel lavoro e sorrideva compiaciuta.
Stavano sistemando il cane sopra l’altare. Le regole per evocare un angelo erano complesse, ma su tutte vigeva una regola: per ogni anima pura che si toglie al paradiso esso ne esige un altrettanto pura. Il cane risultava essere perfetto. Non aveva mai commesso peccati o quant’altro e visto che per gli angeli un anima valeva l’altra, questa volta non sarebbe stato diverso. L’unico problema però era che gli angeli controllavano personalmente le anima che arrivavano in paradiso. Per questo Paride aveva preso il primo animale che aveva trovato, un cane e ci aveva posto un incantesimo, in modo da non essere mai localizzato, un po’ la stessa cosa che fece con i suoi figli. Ora però potevano procedere al rito senza problemi, quello che facevano era attendere. Gli angeli si potevano evocare solo la notte di San Lorenzo e solo imprigionando la forza di una stella cadente per tirarlo fuori.
E forse le stelle cadenti ci sarebbero state, ma bisognava aspettare. Erano le dieci e mezza e il tutto doveva accadere prima della mezzanotte o San Lorenzo sarebbe passato e si sarebbero ritrovati l’undici di agosto, un giorno praticamente inutile.
L’attesa si prolungava e sembrava che quell’anno non avrebbero avuto le stelle cadenti, ma mentre stavano perdendo la speranza videro qualcosa scintillare in cielo e muoversi orizzontalmente lasciando una scia illuminata dietro di se. Una stella cadente. In poco tempo anche altre stelle cominciarono a passare illuminando il cielo.
Quella era la prima volta che Heather e Isabelle vedevano una notte del genere. Ne avevano già sentito parlare, ma vederlo era tutta un'altra storia.
Kaleb teneva aperto uno dei libri di Aidan nella pagina in cui c’era la formula da recitare.
Appena una stella passò sopra l’altare Kaleb recitò prontamente le parole. Quella si bloccò in cielo vibrando, come se fosse stata indecisa se continuare per la sua strada o fermarsi. Vibrò tanto velocemente e si lanciò dritta verso la sua direzione originale.
-Mi dispiace ragazzi l’ho persa- disse Kaleb sudato.
-Fa lo stesso, sarà per la prossima stella, ma questa volta non mollare- dissero all’unisono Kevin e Chris.
Kaleb ripartì ad osservare il cielo in attesa che un'altra stella passasse sopra l’altare. Non dovette aspettare molto; una stella passo sopra e il ragazzo cominciò a recitare la formula acquisendo più sicurezza della volta prima. La stella si fermò, vibrò e sembrava attratta dall’altare. Si avvicinava sempre di più. Ad un certo punto si blocco e sfrecciò via come quella precedente. Kaleb cadde in ginocchio ansimando. Era evidentemente un incantesimo troppo difficile.
Nicole e Isabelle andarono a soccorrerlo e lo aiutarono ad alzarsi.
-Tutte bene?- chiese preoccupata Isabelle.
-Che domande sono? Certo che non sta bene!- la sgridò la sorella.
-posso ancora farcela…- disse allora Kaleb con un filo di voce.
-non che non puoi, lascia fare a me!- disse Kevin –e evidente che non ce la fai per un altro tentativo-.
-si che ci riesco- disse sorridendogli con sfida - sta a guardare-.
Si rialzò e riprese in mano il libro che gli era caduto. Lo aprì nella pagina dell’incantesimo e ritornò ad osservare il cielo. Anche questa stella non si fece aspettare. Passò veloce sopra l’altare, tanto veloce che Kaleb riuscì a malapena a fermarla esattamente sopra.
Si bloccò, vibrò e rimase ferma per una quantità di tempo che parse infinita. Poi cominciò a scendere lentamente verso l’altare. Hashish cominciò a fare dei versi che sembravano delle lamentele e Isabelle cercò di rassicurarlo.
Kevin era dietro a Kaleb pronto a sorreggerlo in caso fosse caduto di nuovo. Infatti gli stava sanguinando il naso e gli tremavano le gambe.
-Forza, Kaleb- disse Heather - sei tu il più forte!-
Lui non staccava gli occhi dal libro anche se ormai aveva imparato la formula a memoria e continuava a biascicare quelle parole incomprensibili eppure dal significato così ovvio.
La stella era sempre più grande e sempre più vicina, mentre i fratelli erano sempre più preoccupati.
Kaleb non ce la fece, cedette. Cadde sorretto dal fratello. Era svenuto.
-oh, no, Kaleb!- aveva mormorato Kevin - credo che non stia bene, forza aiutatemi ad allontanarlo da qua- disse.
Tutti si allontanarono dall’altare e portarono Kaleb vicino ad un tronco tagliato. Ve lo appoggiarono e cercarono di svegliarlo.
Sentivano che erano osservati. Chris, si voltò e si guardò intorno. Non c’era nessuno a prima vista, peccato che nessuno potesse eludere il suo sesto senso.
-fatti avanti!- ordinò all’entità sconosciuta.
-Ma certo- rispose una voce.
Dagli alberi si fece avanti un uomo tozzo con i capelli brizzolati. Aidan.
-Avreste dovuto dirmelo che cosa volevate fare, vi avrei aiutato- disse  -non ce la fa?- chiese.
-no, è svenuto- rispose Nicole.
-Ho capito, può succedere. Voi riportatelo a casa mia, io resto qua ad evocare vostro padre-
Kevin prese sulle spalle il fratello e accompagnato da Chris lo portò sul viale che andava fuori dalla foresta per giungere in un marciapiede poco frequentato.
 
-Allora- disse Heather -come hai fatto a scoprirci?-
-è stato semplice- disse Aidan raccogliendo il libro -innanzitutto questo era scomparso e voi ultimamente vi comportavate in modo strano, ah, già, un ultima cosa, il cane. Quando siete venuti a casa mia non avevo percepito la sua presenza finché non l’ho visto. Sospetto da quel momento che Paride avesse in mente qualcosa.-
Si mise davanti all’altare, accarezzò il cane e tornò ad osservare il cielo –lasciate che vi aiuti- disse sorridendogli con tutti i denti che aveva in bocca.
-restate pronti- li avvertì.
La quarta stella ci mise un po’ a passare sopra l’altare. Aidan la fermò in cielo e la attirò verso l’altare senza che vibrasse. Recitava quelle parole anche senza guardare il libro e usava un accento strano.
La stelle prese velocità verso di loro e l’uomo smise di parlare.
-allontanatevi- gridò alle ragazze.
Loro corsero a rifugiarsi dietro agli alberi. L’aria era diventata pesante e calda, mentre la stella si avvicinava sempre di più verso il cane.
Fu un attimo. Le ragazze e l’uomo si voltarono a vedere cosa facesse quel rumore metallico sopra di loro e videro una sfera di luce appoggiarsi sopra librare in aria, sopra la testa di Hashish che guardava in alto spaventando e facendo dei lamenti.
-pensavo che le stelle fossero…- disse Heather.
-queste non sono stelle normali. Quelle di questa notte sono fatte apposta per evocare gli angeli. Si rimpiccioliscono man mano che scendono e non visibili dagli esseri umani dopo che sono state marchiate dall’incantesimo.- spiegò Aidan.
La sfera si abbassava molto lentamente sulla testa del cane. Le ragazze guardavano stupefatte. Non avevano mai visto niente del genere. Quella fu per loro una notte indimenticabile.
La sfera si trovava a meno di un metro dalla testa dell’animale. Vibrò velocemente sopra di lui e gli cadde addosso trapassandolo e provocando una luce accecante che costrinse i presenti a chiudersi gli occhi.
Quando la luce scomparve poterono finalmente riaprire gli occhi.
Al posto del cane videro un corpo steso sull’altare, la natura intorno a lui carbonizzata e i simboli del’evocazione erano scomparsi dal telo.
Aveva due ali possenti che gli uscivano dalla schiena e indossava pantaloni di cuoio, una maglia di lino di colore scuro. Le candele vicino a lui erano totalmente esaurite.
Si alzò e cadde dal tronco. Gli ci volle un po’ per avere consapevolezza di cosa era successo.
Aprì gli occhi che probabilmente gli bruciavano molto.
Un angelo. Soltanto un angelo, niente di più. Isabelle gli puntò contro la torcia e lo vide in viso. Aveva i capelli biondi e ricci, tenuti corti. Due occhi piccoli e blu e nessuna ruga.
-Tu chi sei?- chiese Aidan
-Keiran- rispose lui -della terza legione di Raphael- rispose.

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Capitolo 7
*** Il paradiso ***


Keiran e Paride si erano conosciuti nell’esercito di Raphael, con la differenza che il primo era un angelo custode sin dalla nascita e insegnò a Paride i trucchi del mestiere. L’angelo gli era sempre stato molto riconoscente.
Durante il periodo in cui Paride era salito in Paradiso era stato molto aiutato dall’amico che lo aveva ospitato e che lo aveva spesso coperto. All’inizio lo aveva aiutato a cercare l’anima di Adele e più tardi a lo aveva supportato in quello che era il piano di Paride e cioè il controllo totale del paradiso. Certo come piano puntava molto in alto e l’unico problema secondo Paride era il tempo che avrebbe dovuto lasciare soli i suoi figli sulla terra. Non era salito lassù con tali intenzioni, ma aveva messo in atto il suo piano dopo aver visto in che condizioni era messo il Paradiso…
 
-Keiran, che è successo qui?- chiese Paride dopo che si risvegliò.
-dopo che molti generali hanno seguito Lucifero c’era già il caos, ricordi?- chiese l’amico, Paride annuì, -bene allora, sappi che la situazione è andata degenerando e per circa un secolo qui ha regnato l’anarchia- disse scuro in volto.
-Perché- chiese Paride sorpreso, era sicuro che c’erano motivi validi per una ribellione.
-Il problema- disse Keiran -è che da millenni ormai non c’è nessuno che controlli l’andamento delle cose-
-di quali cose?-  
-come di quali?- disse Keiran -i Nephilim!-. Paride non poteva immaginare che problema ci fosse con quelle creature. -finché vivranno ci sarà la possibilità che scoppi l’apocalisse e il paradiso si è separato: da una parte chi voleva che venissero sterminati e dall’altra chi preferiva che venissero solo chiusi nel limbo in modo che potessero un giorno tornare utili. Infondo anche tu sai che la loro potenza è sia celeste che terrena e con un tale potere potrebbero essere utili, ma anche molto pericolosi-
Il racconto di Keiran su che cosa era successo in Paradiso provocò un grande blocco a Paride. Mentre cercava Adele non poteva non vedere che cosa era successo lassù: abitazioni distrutte o abbandonate, cadaveri di angeli per le strade, e i guardiano potevano solo impedire che scendessero sulla terra. Gli arcangeli nel frattempo erano nei quartieri più ricchi del Paradiso e l’unico provvedimento per i traditori che volevano sterminare i Nephilim era la prigione a vita.
Quando non trovò l’anima della moglie, dopo tre anni di estenuante ricerca, decise che non se ne sarebbe andato senza sistemare quel problema. Il suo più grande desiderio era che un giorno i suoi figli avrebbero vissuto in Paradiso e sarebbero stati rispettati, ma ciò non sarebbe mai accaduto finché avrebbe regnato la desolazione e il peccato pure lassù, nel suo Paradiso.
Con Keiran aveva unito un gruppo di circa una dozzina di angeli loro inclusi per combattere le bande ribelli e l’indifferenza degli arcangeli della situazione. Per prima cosa riuscì a prendere il controllo di alcune zone del Paradiso e in seguito aveva catturato alcuni ribelli e li aveva “fatti parlare”. Per dei mesi era stato ricercato e solo grazie all’insabbiamento delle prove era scagionato dalle accuse di complotto e tortura. Insomma, ne era uscito pulito.
Per molti anni aveva impedito ai ribelli di prendere il controllo in molte zone e alla fine del decimo anno era stata riconosciuta la sua opera di pulizia. Non era questo, però, che aveva in mente Paride, lui voleva avvicinarsi al ceto sociale più alto ed entrare nelle grazie degli arcangeli. Da lì sarebbe davvero cominciata l’ascesa al potere e avrebbe reso il Paradiso un posto migliore.
Quando venne a sapere che ci sarebbe stata un imminente apocalisse la sua mente corse subito ai suoi figli lasciati soli sulla terra. Di nascosto, quando poteva apriva un varco per guardare come stavano e quando era stanco e prosciugato delle forze richiudeva il varco. In paradiso si poteva parlare solo la lingua degli angeli, non che fosse un obbligo, ma c’era solo quell’opzione e allora decise di parlare anche con uno dei suoi figli per avvertirli del pericolo. Heather era in chiesa ed essendo la più piccola era anche quella con la resistenza minore, era stato quindi facile riuscire a comunicare con lei.
Gli unici angeli a saperlo erano lui e Keiran.
Con l’arrivo di Octavian le cose cambiarono. Avendo lui in passato combattuto dalla parte di Lucifero, Paride non poteva fidarsi di lui e vedendo che Aidan si fidava molto decise che non era sicuro farglielo sapere e che al suo ritorno avrebbe controllato personalmente l’amico. Stando lassù aveva ormai perso la fiducia negli amici di prima, visto che molti si erano schierati contro di lui.
Fu allora che decise di scendere ad aiutarli e lasciare il suo ruolo in mano a Keiran.
Purtroppo però riemerse la questione del complotto e della tortura e i guardiani andarono a recuperarlo nella sua dimora. Lo trovarono che cercava di completare un rito per scendere sulla terra e lo arrestarono.
Al suo posto decise di scendere Keiran per avvertire gli altri dell’accaduto e anche perché era l’unico angelo del Paradiso di cui si fidasse Paride.
 
-Quindi è così che stanno le cose- disse Kaleb seduto sul divano evidentemente stanco.
-dovremmo andare a liberarlo- disse Keiran.
-non possiamo- gli rispose Aidan -è troppo pericoloso, se ci scoprissero ci condannerebbero a morte-
-c’è una cosa che vi devo ancora dire- disse deglutendo - probabilmente lo hanno condannato al patibolo- disse.
Nella stanza scese il silenzio.
-se le cose stanno così- disse Kevin –dobbiamo assolutamente andare- disse deciso. Aveva una certa luce negli occhi.
 
Pochi giorni dopo tutto era pronto per partire. Sarebbe rimasti a terra solo i tre fratelli con meno di vent’anni, mentre i tre angeli e gli altri tre fratelli erano pronti per il viaggio.
Heather quella mattina guardava fuori dalla finestra la sottile nebbia avvolgere Friburgo. La luna era ancora alta in cielo.
 
Octavian era solo nella stanza buia. Un altare con sopra un teschio era l’unica cosa che c’era dentro. L’angelo si prostrò davanti all’altare pregando nella lingua degli angeli e versò in una ciotola del liquido rosso. Una voce incorporea uscì dal teschio e la mandibola cominciò a muoversi.
-Padrone, manca poco e tornerò in paradiso-
-ben fatto- disse la voce.
-padrone- disse esitando Octavian -c’è un problema: non sarò solo e comunque tre di loro resteranno qua-
-bene- rispose la voce -hai quello che ti ho chiesto?-
-si, mio signore- ed estrasse da una borsa un sigillo dorato e lo immerse nella ciotola piena di sangue. 

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Capitolo 8
*** La lettera ***


Heather guardava la nebbia fuori dalla finestra, anche quello era un modo per nascondersi. Avrebbe cancellato gli odori, ma lei era stanca di nascondersi.
Octavian era ancora via e tra qualche ora sarebbero andati via tutti tranne Chris e Belle.
Era triste di non sentire più la voce di suo padre. Ed era anche triste che al suo posto fosse sceso un altro angelo. Tutti gli ultimi avvenimenti fecero sì che non uscì dalla sua stanza fino al momento della partenza. Anche questa volta si sarebbe celebrato un rito, ma questa volta diverso, anche perché non avevano altri sei Hashish.
Questa volta sarebbero andati e basta dato che Keiran conosceva tanti metodi per eludere i guardiani.
Per l’ora di pranzo erano già partiti e loro erano nella loro casa rossa nel ecologico quartiere di Friburgo a contemplare la solitudine.
-che ne dite di fare qualcosa per passare il tempo?- chiese Chris alle sorelle.
-a che cosa vorresti giocare?- gli chiese Belle senza interesse -sono tutti via, anche volendo non potremmo fare incantesimi, non abbiamo giocattoli…-
-io ho dei gioccatoli- disse Heather come attratta dal discorso.
-non credo che tu abbia capito- le disse la sorella.
-potremmo cominciare col pulire casa- disse Heather -è divertente pulire la casa-
-no, Heather, non lo è- le rispose lei scocciata.
-e se prendessimo un altro cane- azzardò Chris.
-neanche per idea, Nicole non ce lo permetterebbe mai-
-Nicole non vede, Nicole non sa- disse Chris.
 
Il cane che avevano preso al canile non era come il primo, era un incrocio tra due razze irriconoscibili e non voleva né mangiare, né giocare. Passava tutta la giornata a dormire, un po’ come Heather quegli ultimi tempi.
I fratelli, non potendo giocare e fare incantesimi, passavano la giornata a guardare la tv e cercare impegni che potessero soddisfare la loro sete di divertimento.
-dov’è Charlie?- chiese Heather, l’unica che cercava di coinvolgere l’animale nelle attività quotidiane.
-chi è Charlie?- chiese Belle.
-Il cane-
-pensavo che si chiamasse Billy- le disse la sorella.
-e io pensavo che si chiamasse Biscotto- intervenne il fratello.
Erano passati tre giorni da quando gli altri erano partiti e di conseguenza anche tre giorni che tenevano con loro quel noioso cane.
-penso che dovremmo portare Charlie/Billy/Biscotto al canalile- disse Belle -con noi si annoia, noi con lui ci annoiamo, sarebbe la soluzione migliore- concluse.
-ok, ho capito ci vado io- disse Chris.
Il canile si trovava fuori dal quartiere ed era nient’altro che una costruzione scura e rettangolare. Chris entrò dall’entrata principale. Dentro non c’era nessuno, né un impiegato che un custode. Pensò di essere il primo cliente del giorno e andò verso il banco dove, dietro ad una vetrata, c’era l’ultima volta una giovane donna e che adesso non c’era più, proprio come il resto delle persone che c’erano la prima volta che ci era entrato.
-tu aspettami qui- disse al cane.
Il suo sesto senso era scattato nel momento in cui si era avvicinato al bancone.  Sentì i canee dalla stanza accanto abbaiare e mordere le sbarre. Si avvicinò alla porta che dava accesso a quel lungo stanzone. Aprì lentamente la porta facendola cigolare. Una mano gli toccò la spalla spaventandolo e facendolo sobbalzare. Istintivamente prese la mano dell’aggressore e la torse sulla schiena. Non vide però un mostro o un demone. Girata e attaccata al muro c’era solo la giovane donna del bancone. Chris la lasciò e lei si voltò a guardarlo spaventata più di lui.
-mi dispiace- le disse Chris rosso in volto -non era mia intenzione farle male, ma lei mi è venuta da dietro e mi ha spaventato-
-va bene- gli disse la donna -adesso però dobbiamo andare- era totalmente incurante delle scuse del ragazzo e anche del continuo abbaiare dei cani. Da come parlava  e si comportava sembrava aver visto un fantasma.
-cosa è successo qui?- gli chiese Chris.
-cosa non è successo- le disse lei cercando di tirarlo per il braccio fuori dall’edificio.
Uscirono e andarono al parco. Chris riuscì solo lì a calmare la donna di cui aveva scoperto il nome: Julia.
-si calmi ora e mi racconti che cosa è successo- disse Chris in tono tranquillo. La donna però fece segno di no con la testa.
-si fidi di me- le disse Chris. Quanto avrebbe voluto avere lì Belle, lei le avrebbe subito ispirato fiducia e la donna avrebbe raccontato tutto senza paura, ma Belle non c’era e quindi si dovette arrangiare.
-guardi che io non sono  pericoloso e qualunque cosa lei mi dirà io le crederò- disse il ragazzo.
La donna cominciò a parlare ansimante e toccandosi in continuazione i biondi e ricci capelli, totalmente in contrasto con i capelli scuri e lisci di Chris.
-non so che cosa fosse successo- cominciò a raccontare -io stavo solo facendo il mio lavoro e al bancone è arrivata una donna molto carina. Non ha detto una parola e ignorando il custode è entrata nella stanza dei cani che hanno cominciato ad abbaiare. Ha gridato qualcosa che non sono riuscita a capire e tutti dentro la sala d’attesa hanno cominciato a gridare. Io mi sono chiusa le orecchie e mi sono nascosta sotto al bancone. C’era un rumore insopportabile. Un fortissimo ronzio e c’è stata pure una scossa. È uscita fuori armata di un pugnale e ha ucciso delle persone a terra… lei le ha uccise… le ha uccise…- ripeteva con le lacrime agli occhi -poi si è avvicinata al bancone e ha detto qualcosa in una lingua che non conosco. Ha tirato fuori dalla borsa una ciotola e ha raccolto il sangue che sgorgava dalle ferite delle persone a terra. Io ho allungato la meno verso il telefono vicino al fax, era a un metro da me. volevo chiamare la polizia e lei si è voltata e mi ha vista. Ho pensato che per me fosse la fine-.
Seduti sulla panchina Chris ascoltava attentamente il racconto di Julia.
-ascolta- disse lei -mi sono accorta solo allora che erano tutti morti e lei mi si è avvicinata ha messo la mano nella giacca e mi ha consegnato un foglio- tirò fuori dalla tasca del giubbotto un foglietto ripiegato in quattro parti. Esitò.
-dovremmo andare dalla polizia- disse.
-si, andremo anche dalla polizia, ma adesso non pensarci, continua a raccontarmi- disse Chris.
-perché sei interessato alla mia storia?- gli chiese la donna.
-io… sono un giornalista- si inventò Chris.
-ah, si, un giornalista?- disse lei alzando la voce -e pensi che la mia sia una storiella?-
-no, non lo penso affatto…-
-avrò anche solo diciannove anni, ma non intendo apparire come una pazza davanti a tutta la Germania!-
Diciannove anni, e pensare che ne dimostrava ventotto. Rimise nella tasca il foglietto e si alzò dalla panchina.
-aspetta dove vai?- cercò di fermarla Chris.
-dalla polizia, dove sarei dovuta andare sin dall’inizio-
-aspetta, ragiona, la polizia non ti crederà mai e ti prenderanno per pazza, probabilmente ti incolperanno di tutto e non sarebbe sicuro- le prese il braccio e la fermò.
-non ho altra scelta- gli disse sottraendosi dalla presa di Chris e allontanandosi.
-si invece, non andare dalla polizia e restare. Io posso aiutarti…-.
-certo, per mettere tutto sui giornali!-
-no, non per questo, ma perché io ti credo-. Julia si fermò e si voltò verso il ragazzo.
-ci credi se ti dico che mi ha detto che mio nonno mi salutava-
-si- rispose lui semplicemente.
-non, puoi farlo, mio nonno è venuto a mancare tempo fa-
-ma anche a questo c’è una risposta- disse -io forse so che cosa è successo  e credimi che in queste occasioni la polizia è inutile-
-perché dovrei fidarmi di te?- chiese con tono interrogativo.
-perché io sono tuo amico-.
 
A casa dei fratelli l’aria sembrava più calma, tutto merito di Belle e della fiducia che sprigionava. Erano seduti in salotto e stavano bevendo the.
-continua, Julia- disse Belle dopo che la ragazza ebbe raccontato la parte iniziale.
-allora, lei mi ha parlato in tedesco e mi ha detto che ora sapeva dove andare e che adesso le cose sarebbero cambiate per… il suo signore- ansimava e sembrava lo stesso molto preoccupata.
Alle parole “suo signore” i fratelli avevano intuito di chi si trattasse e ciò voleva dire che qualcuno stava dando la caccia ai Nephilim e agli angeli.
-mi ha dato questo foglio e mi ha detto di darlo a questo indirizzo e ci indicò un angolo del foglio in cui c’era scritto l’indirizzo a cui andava portato. Era lo stesso in cui abitava Aidan.
-poi se n’è andata e mi ha minacciata- concluse.
-non preoccuparti, adesso sei al sicuro- le disse Belle.
Aprì il foglio e lo mostrò finalmente ai ragazzi.
-la cosa peggiore è che non capisco che cosa c’è scritto-
Era inchiostro nero e c’erano segni simili a quelli nell’altare durante il rito e alcuni erano senza dubbio parole che conoscevano, era senza dubbio la lingua degli angeli.
Pensarono a che cosa potesse trattarsi solo dopo aver calmato Julia e averle spiegato il minimo indispensabile e cioè che era in pericolo e doveva solo fare finta di nulla e chiamarli in caso di pericolo.
Lessero bene e più volte la lettera capendo ben poco quel che c’era scritto. Oltre ai caratteri che conoscevano, a formare i cerchi perfetti e intersecati di parole c’erano anche simboli tra un cerchio e l’altro. La maggior parte non significava niente, ma quel linguaggio apparteneva probabilmente ai demoni e forse un demone era anche la donna entrata nel canile. Secondo i fratelli aveva rapito le persone sopravvissute per un qualche demoniaco scopo. Poi restava il mistero di che cosa volesse da Aidan un demone.
Julia voleva aiutare, ma ad ogni suo tentativo veniva ammutolita e l’unica cosa che aveva compreso da quello che stava succedendo era un emerito niente, cosa che la faceva imbestialire.
 
Heather si sistemò gli occhiali sul naso e cominciò a leggere la lettera, senza troppe aspettative. Il primo cerchio era piuttosto chiaro: saluti e ringraziamenti per tutto ciò (qualunque cosa fosse) che era successo. Il cerchi ad esso intersecato invece faceva tanti riferimenti a Nephilim e come renderli invisibili agli occhi di qualcuno che non era riuscita a tradurre. Il terzo cerchi era invece totalmente incomprensibile così come tutti gli altri tranne uno. Il penultimo cerchio diceva poche cose tra cui un pericolo imminente e il fatto che “lei e gli altri” erano schierati dalla loro parte, ma con delle condizioni.
Fuori cominciò un temporale fortissimo e tuonava molto forte. Heather non ci fece molto caso, era molto concentrata su quello che c’era scritto. Chris le si avvicinò lentamente alla sorella
-che cosa vuoi per cena?- chiese piano per non spaventarla.
-quello che ti pare- rispose senza dare troppo peso alle parole del fratello.
-non dovresti stare così tanto sui libri- le disse.
-non voglio deludere nessuno-
-non deluderai nessuno se ti riposi-
-no- gli disse in tono dolce –ma grazie lo stesso-.
 
Fuori tuonava, tuonava fortissimo, il motivo per cui si era scatenato un temporale all’improvviso era lo stesso per cui i suoi fratelli e gli angeli erano andati in paradiso: liberare Paride. 

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Capitolo 9
*** Paradiso, prigione e fuoco. ***


È meglio correre il rischio di salvare un colpevole piuttosto che condannare un innocente.
                                                                                                                                                              -Voltaire
 
 
Le sei essenze (angeli e Nephilim) erano giunti senza problemi nel regno dei cieli. Keiran era probabilmente il migliore in questo genere di cose.
La prima tappa fu il luogo in cui si riunivano gli angeli di Paride quando combatteva contro i ribelli. Non era altro se non un antico ripostiglio di armamenti nella periferia del paradiso. Dentro c’erano tre angeli che nel veder arrivare Keiran e compagnia bella avevano calorosamente accolto il loro arrivo. Erano stati portati nella nuova base: la casa di un angelo. Entrarono dentro e Keiran vide con grande sorpresa chi comandava dopo che lui se ne era andato.
-Diana, ti trovo in forma!- esclamò entrando nella stanza nascosta dietro ad una tenda.
-anche io non pensavo di vederti così presto!- disse lei sorridendogli.
I due amici si abbracciarono e si vedeva quanta fiducia avessero l’uno nell’altro.
-Aidan, ciao! Non immaginavo che ci saremmo mai rivisti!- la ramata era entusiasta di rivedere vecchie conoscenze e di farne delle nuove. Tutti erano contenti del loro arrivo tranne Octavian che veniva escluso dalle discussioni e ignorato. Nessuno aveva dimenticato il suo tradimento. Là non era il benvenuto.
Diana ascoltò la loro storia tenendo le orecchie sbarrate per le incredibili cose che le stavano raccontando.
-ebbene, noi aveva un piano per scagionare Paride prima del prossimo giorno del riposo, quando è stata fissata la sua condanna-
-cosa intendete fare?- chiese Keiran.
-vogliamo entrare furtivamente nella prigione e scappare sulla terra subito dopo-
-vi darebbero la caccia-
-lo sappiamo. E combatteremo-
-e riguardo all’apocalisse? Non pensate di fare niente?- si intromise Nicole.
-quello non è affar nostro, ma degli alti vertici. Se loro vorranno faranno qualcosa, se no, noi non possiamo fermarla- disse triste l’angelo.
 
Giunse il giorno in cui dovevano andare nelle prigioni del paradiso.
L’edificio era enorme ed era ornato con scene di morte e di vittorie. In grande in alto e in posizione centrale la scritta nella lingua degli angeli “La giustizia è più forte di ogni peccato”. E loro sapevano che Paride non era totalmente innocente e sapevano del crimine che aveva commesso, ma erano certissimi del suo pentimento.
 
Gli angeli entrarono nell’edificio travestiti da guardie senza destare alcun sospetto. I tre Nephilim aspettavano invece il momento giusto per uscire allo scoperto. Erano nascosti in dei sentieri sotterranei. Il paradiso per loro era una cosa nuova in cui non avrebbero mai pensato di andare. Non era come gli era sempre stato descritto, somigliava sempre di più a quello descritto da Keiran e questo li faceva apprezzare sempre di più quello che aveva fatto loro padre.
Octavian non era stato invitato a partecipare, nessuno aveva fiducia in lui, visto che non ce l’aveva neanche Paride, il loro leader fino a poco tempo prima.
La spedizione di salvataggio era guidata da Aidan, perché era lui il guerriero più forte tra tutte le legioni da che si ricordava.
Diana e Keiran erano con lui, mentre altri erano disposti nelle cucine, nei vari reparti e in luoghi precisi da cui potevano intervenire in caso di bisogno.
L’operazione “senza nome, perché se ci scoprissero e sapessero le nostre vere intenzioni saremmo nei guai anche noi ” poteva cominciare.
Inizialmente, fu solo Aidan a dirigersi verso la parte della prigione in cui era tenuto Paride, l’ala di Orione (tutto in paradiso aveva il nome di costellazioni). Era proprio nella cintura in cui si trovava la sua cella.
Aidan era preparato per l’operazione, non era né nervoso, né spaventato. Lui era un guerriero e non si sarebbe certo lasciato spaventare da un luogo buio da cui emergevano grida di angeli straziati.
Aidan andò dal diretto interessato delle celle del reparto e lo congedò.
-sei nuovo?- gli chiese quello assonnato.
-no, sono nuovo solo di questo reparto-.
Uscì dallo stanzone circolare. C’erano circa un centinaio di celle, tra quelle doveva esserci anche il suo amico. Passò a controllare tutte; la maggior parte dei prigionieri dormiva e quelli svegli fissavano tutti un punto vuoto dritto a loro e non rispondevano nemmeno ai più semplici istinti. Era opera di una cosa chiamata “benedizione”, un potere che avevano alcuni angeli di addormentare per un tempo imprecisato gli altri angeli, in questo periodo le vittime obbedivano agli ordini di chi li aveva benedetti, ma non uscivano illesi dall’accaduto. Il primo ad usare una tecnica del genere fu Lucifero per soggiogare alcuni angeli.
La cella di Paride era circa a metà cerchio. Aidan si sporse per guardare, ma l’angelo era in ombra.
-che cosa volete adesso?- chiese scocciato.
-pensavo che potresti cominciare col ringraziarmi, amico- disse Aidan scherzoso.
Paride si alzò, aveva le catene alle caviglie e alle braccia. Aveva tagli e ferite e la sua maglia era sporca di sangue.
-devi andartene di qui, è una trappola- disse. Aidan non ebbe il tempo di capire quello che era successo, che fu colpito alla nuca.
 
Diana era in una sala vuota e altri angeli stavano facendo la guardia.
-Aidan ci sta mettendo troppo- si disse -c’è qualcosa che non va. Claire, quanto tempo è passato?- chiese ad un angelo che sporgeva fuori.
-è passato un quarto d’ora in più del tempo massimo previsto, signora- disse piano.
-ok, partiamo col piano b- disse. Si diresse verso la cintura di Orione seguita da Claire e altri due angeli, tra cui Keiran.
Claire entrò nella sala circolare delle celle e vide che nessuna era stata aperta e Aidan non c’era.
Keiran andò verso lo scorpione, dove venivano portati i criminali colti sul fatto e all’istante.
Diana era andata invece verso l’orsa maggiore. Là avrebbe potuto aprire un varco di sicurezza per la terra.
Travestiti da guardie nessuno sospettava di loro o li fermava per strada a chiederli indicazioni.
 
Claire andò ad avvertire il secondo angelo, perché lo dicesse alla squadra delle cucine in caso dovessero intervenire, mentre lei rimase a cercare Paride.
Keiran si trovava davanti alla porta in cui stavano entrando molti soldati, entrò anche lui per osservare più da vicino i prigionieri di quella sera. C’erano Paride e Aidan in ginocchio davanti ad un angelo in armatura bianca. Una guardia si fece avanti.
-signore, abbiamo catturato Aidan, della prima legione di Michele, disertore, traditore impostore, mentre cercava di liberare il qui presente prigioniero Paride, della prima legione di Michele, disertore, traditore, impostore, complotti sta, torturatore e accusato di aver avuto un relazione con…-
-chiudi quella fogna- gli ordinò Paride.
-mi dispiace, non sei tu che comandi- disse l’angelo con l’armature bianca -qui comando io- e fece un gesto con la mano ad una guardia vicina. Quella vibrò forte il bastone sulla schiena di Paride che trattene un grido e strinse i denti.
-Paride!- chiamò Aidan preoccupato.
-tu non immischiarti- disse -con te faremo i conti più tardi- e fece lo stesso gesto ad una altra guardia, solo che questa volta il colpo era indirizzato ad Aidan, anche lui però strinse i denti.
Keiran avrebbe voluto intervenire, ma in quelle condizioni sarebbe stato catturato anche lui e allora tutto quello che aveva fatto sarebbe stato inutile. Contava sul fatto che presto sarebbe arrivata Diana e la squadra delle cucine.
-allora, Paride, ancora non lo capisci che per i tuoi gesti sei condannato a morte? Forse non te ne sei accorto, ma domani la tua testa cadrà ai miei piedi e gli angeli esulteranno di gioia sapendo che finalmente un mostro come te è stato punito- disse con orgoglio.
-mi fai vomitare- gli disse Paride -sei un corrotto e un vigliacco-
-taci, non profanare oltre-
Keiran cercava di ricordarsi dove avesse già visto il volto dell’angelo in armatura bianca.
-e te, Aidan, sei davvero caduto in basso. Avresti potuto avere un posto d’onore vicino agli arcangeli-
-preferisco essere libero sulla terra, piuttosto che schiavo del paradiso-
-ah ah ah… schiavo del paradiso… forse tu non hai capito come stanno le cose-
-ho capito che l’apocalisse è imminente e nessuno di voi fa niente, ma aspetta ordini, se arriveranno-
-esatto!- gridò –perché siamo angeli, non demoni, noi dobbiamo aspettare e non fare di testa nostra, per rovinare dei piani futuri! Sai chi si comporta così? I demoni!-
-e tu sai chi ignora la sofferenza? Gli indifferenti, e sono loro che vengono puniti da Dio-
-taci, tu non sai di che cosa stai parlando!- una guardia vibrò il bastone sulla schiena dell’angelo più volte.
Keiran distolse lo sguardo schifato dalle risate dell’angelo in bianco e strinse i pugni ripetendosi più volte di non intervenire o sarebbe stato peggio, ma sentiva che se non avesse fatto qualcosa sarebbe morto.
-basta!- tuonò Paride –smettetela!- gridò ancora alla guardia, ma aveva letteralmente le mani e i piedi incatenati e non poteva fare niente.
L’angelo in bianco rise di gusto e fece fermare la guardia dando respiro ad Aidan.
Paride lo guardava furioso.
 
Claire era nella squadra delle cucine e avvertì che era arrivato il momento giusto di intervenire. Uno di loro fu mandato a chiamare Diana. Adesso erano pronti per il combattimento.
 
Nella sala sedeva su un trono l’angelo in bianco. Keiran si era finalmente ricordato il suo nome: Zaccaria. Era un comandante che durante la guerra aveva sacrificato tanti dei suoi uomini, ma non era mai stato punito, ma premiato per un gesto d’onore, infatti mandando i suoi uomini a combattere su un fronte aveva permesso ad un’altra legione di avanzare verso un fronte opposto. Le perdite di quella giornata erano state altissime.
Zaccaria si alzò e impugnò una spada, anche Keiran tenne pronta la mano sulla sua. Ad un certo punto alzò e posò la lama sul collo di Paride.
-perché non mi affronti quando sono libero?- gli chiese Paride con sfida.
-tu non meriti la libertà- e alzò la lama in aria per colpire Paride e mozzargli la testa di netto. Aidan girò la testa, non voleva vedere. Keiran estrasse la sua e con un colpo fu davanti a Zaccaria. Mise la sua spada tra quella di Zaccaria e il collo di Paride.
-che cosa stai facendo?- gridò furioso verso Keiran.
-il mio dovere di amico- rispose lui sicuro e facendo volare via la spada dell’angelo.
-cosa state lì fermi? Fate qualcosa!- ordinò alle altre Guardie nella sala e quelle estrassero le spade.
Keiran tagliò di netto le catene di Paride e di Aidan e li liberò. Dalle porte alle pareti della sala uscirono angeli vestiti di scuro, tra cui c’erano anche Diana e Claire.
-vi siamo mancate?- disse Diana con tono interrogativo.
-moltissimo- rispose Keiran.
Il combattimento iniziò. Tra le varie fazioni cominciarono a sentirsi spade che vibravano e fendenti che mancavano il bersaglio.
Zaccaria, steso a terra, si rialzò e raccolse la sua spada. Questa volta il suo bersaglio era Keiran. Lo attaccò con un fendente ben parato dal suo nemico. Affondava e continuava ad avanzare mettendo in difficoltà l’angelo che con fatica parava ogni suo colpo. Aidan e Paride avevano preso delle spade tra quelle attaccate alle mura e stavano combattendo anche loro. Tra tutti spiccavano molto Aidan  e Claire, entrambi dei grandi guerrieri.
Gli angeli di Paride erano in difficoltà, non riuscivano a tenere testa alle guardie allenate. Diana vedendo la gravità della situazione e sapendo che non era sicuro che il piano avrebbe funzionato si allontanò verso le finestre e prese una torcia. Sapeva anche lei che quello che stava per fare non sarebbe stato sicuro.
-allontanatevi subito!- ordinò e gli angeli allontanarono verso l’uscita lasciando ad una lato della sala solo le guardie. Diana prese un profondo respiro e soffiò il fuoco della torcia verso i nemici, ustionandoli.
Gli altri stavano scappando, nella sala ormai in fiamme era rimasto solo Keiran che voleva a tutti i costi riportare indietro Diana. Lui aveva capito cosa aveva in mente. Voleva farli scappare e attirare tutta l’attenzione su di sé per permetterli di fuggire, ma non sarebbe successo, non finché Keiran l’aveva chiamata tante volte amica. E poi sapeva che se l’avessero trovata ci sarebbe stata lei al posto di Paride. La trovò stesa a terra su una pozza di sangue, ma non morta.
-è stata la mia spada, angelo, che siate tutti maledetti!- era la voce di Zaccaria. Keiran si avvicinò al corpo steso a terra e ferito del maledetto. Alzò la sua spada e vibrò un colpo diretto al cuore che avrebbe spaccato l’armatura bianca e gli avrebbe tolto quel dannato sorriso dalla faccia. Ma si fermò.
-non mi abbasserò al tuo livello- e sputò per terra.
Prese Diana in braccio e saltò giù dalla finestra. Nella caduta due ali gli spuntarono sulla schiena che gli permisero di volare. Schivò le frecce e si diresse verso la finestra in cui sarebbe potuto tornare sulla terra. Entrò infrangendo la finestra e cadendo rovinosamente. Si accorse solo allora che un paio di frecce gli perforavano le ali da parte a parte.
I tre Nephilim stavano tenendo aperto il portale. Tenevano le mani unite e si concentravano. Videro Claire scendere nel varco tenendo sulle spalle il loro padre che aveva perso conoscenza.
Tutti passarono a per scendere e alla fine anche i fratelli si tuffarono. All’appello mancava solo Octavian.
Il varco aperto così tanto a lungo aveva provocato un temporale a Friburgo, la loro destinazione.

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Capitolo 10
*** Madre e padre. ***


-Mia signora, ho fatto come mi ha detto- disse la ragazza bionda.
-e che cosa hai scoperto?- chiese lei seduta sulla sedia a leggere un giornale di gossip e sorseggiando un cappuccino.
-sono caduti, mia signora, erano circa una ventina e alcuni erano feriti-
-c’era anche lui?-  chiese alzando la testa.
-si, mia signora, sembrava ferito- . La donna apparve visibilmente preoccupata –vai avanti-.
-i sei fratelli ci sono tutti e sono in forma, avevano preso un cane, ma lo hanno riportato indietro e anche seguendo le tracce che avevo impresso alla bestia comunque non potevo avvicinarmi alla loro casa per via di tante trappole cosparse per la città e al canile, mi sono anche procurata le vittime per il sacrificio-
Mia signora, hanno recepito loro la vostra lettera- disse lentamente.
-cosa?! Hai sbagliato?- si alzò in piedi rovesciando la tazza.
-non è stata colpa mia, la donna incaricata lo ha dato ai fratelli…-
-è così eh?- la interruppe lei -tanto anche se ce l’hanno loro non riusciranno mai a tradurla- disse soddisfatta. Era alta e bionda, forse un po’ attempata, ma lo stesso molto carina, con gli occhi verdi e con un certo riflesso giallo.
-hai detto che sono scesi una ventina di angeli?-
-si, mia signora- rispose rimanendo inginocchiata.
-c’era anche Octavian tra di loro?-
-no, mia signora, probabilmente non è ancora sceso.- rispondeva sempre a voce bassa e con tono rispettoso.
-capisco. Quello è un dannato traditore, avrà fatto apposta a non tornare. Lo detesto- sentenziò
-com’è la situazione a Friburgo?- sembrava un interrogatorio.
-la città sarà inaccessibile a poco, mia signora, gli angeli la cospargeranno di trappole ovunque- disse delusa.
-meglio, così i demoni non potranno metterci piede…-
-ma noi, mia signora, siamo demoni!- la interruppe.
-Vivian, noi dobbiamo aiutarli, no rallentarli, anche se di nascosto. Non vorrai mica che il mio padrone mi scopra? Già è stato troppo dover dare ad Octavian quel sigillo delle maledizioni e se ora devo anche giustificarmi con il mio signore, sarebbe troppo umiliante- disse alzando gli occhi al cielo.
-mia signora, pensavo che volesse vederli- disse Vivian confusa.
-si, e lo voglio ancora, ma non si può fare, e poi vedrai ce la faranno anche senza la loro mamma! Hanno preso tutto dal papà-.
 
A casa dei fratelli c’era il delirio più totale. Una decina di angeli abitava a casa da loro e in quel momento erano tutti disperati e tra di loro si era diffuso il panico più totale.
Keiran salì sulla tavola per reclamare attenzione e calma, ma fu sgridato da Heather per esserci salito con le scarpe. Nessuno inoltre gli stava dando ascolto.
Diana era nella stanza di Heather sdraiata sul suo letto mentre un medico angelo tra quelli che erano caduti  cercava di medicarle la ferita. Era per lei che erano tutti in pensiero, non sapevano se ce l’avrebbe fatta. Era Keiran però quello più preoccupato di tutti, lui conosceva Diana da sempre ed erano cresciuti insieme come fratelli.
A casa di Aidan intanto si stavano tutti sistemando e aspettavano che qualcuno gli chiamasse per sapere di Diana. Nella piccola casetta si era sistemato il resto degli angeli, che non riuscivano a riposare.
Erano a Friburgo da meno di un ora.
Paride era invece a casa sua, cioè dei suoi figli sdraiato e ancora addormentato sul letto di Kaleb. Kevin era seduto vicino al suo letto, e stava aspettando il suo risveglio. Voleva che le sorelline lo vedessero, ma loro erano sotto che cercavano di calmare le acque e poi non era sicuro che lo avessero perdonato. Prese una decisione, aprì le finestre per far entrare il freddo e tolse le coperte al padre, poi mise via il secchio con acqua e buttò a terra gli stracci da mettergli sulla fronte.
Molti degli angeli non avevano mai conosciuto e tantomeno sentito parlar bene dei Nephilim eppure sembravano fidarsi ciecamente. Questa era un’altra opera di suo padre.
si fece forza e andò sotto per chiamare una delle due, consapevole che senza una soltanto là sotto si sarebbe da tempo scatenato un putiferio.
-Heather, andresti per favore da nostro padre? Se si sveglia avrà bisogno di qualcuno vicino, non credi?-
Heather obbedì e senza neanche rispondergli o fare un gesto per fargli capire che era d’accordo salì sopra, la primo piano. Suo padre era sdraiato sul letto di Kaleb, vicino alla finestra, “che idiota, ha lasciato le finestra aperta e non lo ha nemmeno coperto. Vuole forse farlo ammalare?”. Chiuse le finestre e gli rimboccò le coperte. “ma dove sarà il secchio?”; lo cercò nella stanza e lo trovò sotto al letto, gli stracci poco distanti e sporchi “capisco che non è un infermiere, ma almeno il minimo!”. Cambiò l’acqua nel bagno che dava sulla camera e cambiò anche gli stracci.
Dietro alla porta della stanza c’era Kevin che la spiava, “ben fatto sorellina” pensò “allora ci tieni a nostro padre!”
Heather si sedette sulla sedia affianco al letto. Guardò suo padre, era proprio come nella foto a casa di Aidan, moro, alto, chissà di che colore aveva gli occhi? Li teneva chiusi. Le sarebbe piaciuto che fossero come i suoi, ma non poteva saperlo. Poi si chiese della sua voce, non poteva essere come quella con aveva parlato poche settimane prima. Forse ce l’aveva calma, o rauca, o forse nessuna delle due. Magari essendo un angelo aveva la voce melodica, come quella di Keiran. E con che accento parlava? Italiano? Tedesco? Anche a lui piaceva leggere come a lei? Scherzava o era uno molto serio? Sapeva che cos’era un treno? E se lo sapeva come l’aveva scoperto? Non se le era mai poste tutte queste domanda prima, poi venne la domanda più importante “se mi chiedo tutte queste cose, vuol dire che infondo gli voglio bene?”.
 
Al piano terra intanto Keiran aveva calmato le acque e li aveva spronati a fare silenzio in modo che i due feriti gravi potessero riposare.
Solo allora si accorse che Octavian non c’era.
-ehi, qualcuno di voi ha visto Octavian?- chiese
-gli abbiamo dato un sigillo del teletrasporto per andarsene senza farsi trovare prima di iniziare la missione- rispose Claire.
Dalle scale scese l’angelo medico, ovvero, come lo chiamavano loro, il curatore.
-adesso possiamo solo aspettare- disse.
-si, ma come sono le sue condizioni?- chiese Keiran.
-ha perso molto sangue e la ferita è grave. Non sono riuscito a rimarginarla, è stata provocata da un’arma in adamantio e, come tutti voi sapete, quello è come un materiale mortale per noi. Tutto dipende da come reagisce in futuro. Mi dispiace, ma non ci sono vie di mezzo, o si sveglia presto e cioè entro domani, o non si sveglia proprio-.
 
Heather dal piano di sopra assaporava finalmente il silenzio. Teneva fra le mani la lettera indirizzata ad Aidan. Voleva tanto sapere che cosa c’era scritto. Dopo aver cambiato gli stracci, si mise gli occhiali e cominciò a leggere. Le poche cose che aveva capito non significavano niente.
-non sapevo che capissi anche quella lingua- Paride si era svegliato. Heather lo guardava con gli occhi sbarrati, -pa… pa… padre…-
-ha, ha, ha, padre… guarda che puoi chiamarmi anche solo ‘papà’- disse lui. La sua voce non era né calda, né rauca, ma sembrava una voce da doppiatore, non aveva alcunissimo accento, mentre gli occhi erano come i suoi, castani e grandi. Heather esplodeva di gioia nel vedere per la prima volta suo padre. Se lo era immaginato tante volte quel momento, ma in nessuna delle sue fantasie era così tanto entusiasta. Gli saltò al collo abbracciandolo forte e il padre ricambiò.
-vado a dirlo subito agli altri!- disse lei con una certa luce negli occhi.
Scese di corsa le scale e andò nel salotto.
-piccolina, che succede? Perché corri?- chiese Kaleb.
-papà si è svegliato! E non chiamarmi piccolina!- disse ritornando sopra.
Nel salotto gli angeli stavano morendo di gioia, almeno uno era in buone condizioni. Andarono tutti nella stanza di Kaleb e entrarono facendo rumore. Tutti tranne Keiran, che era nella stanza delle sorelline a badare a Diana.
-ti sei svegliato!- esultò uno.
-bentornato nel mondo dei vivi- disse un altro.
-ti sei fatto una bella dormita?- chiese un angelo donna.
-più o meno- rispose lui ridendo.
Heather teneva nella tasca della giacca la misteriosa lettera. Che cosa intendeva dire suo padre con “anche quella lingua”?
 
Vivian disegnò un cerchi con dei simboli simili a quelli della lettera che in quel momento si trovava nella tasca della giacca di Heather.
Al centro del cerchio c’era la sua signora.
-mia signora, ne siete sicura?- chiese col suo solito, basso tono.
-certo, procedi- ordinò.
Vivian prese la ciotola in cui c’era del sangue, ci versò sopra delle polveri e recitò una formula che non era né nella lingua, umana, né in quella degli angeli, era il modo con cui comunicavano i demoni, una lingua tutta loro, simile, ma diversa da quella che si usava in paradiso.
Nello stanzone buio, erano apparse tre luci violacee che volteggiavano intorno ad Adele. Più la demone recitava l’incantesimo, più luci apparivano. Sulla schiena di Adele apparvero le ali di pelle dei demoni e le sfere le colpirono, senza urtarle troppo forte.
Finito con le sfere Adele si alzò.
-come vi sentite, mia signora?- chiese Vivian.
-non saprei- rispose lei -mi sento uguale a prima, sei sicura che la forza negativa delle vittime sacrificali sia tutta qui?-
-si, mia signora, fino all’ultima goccia, ne sono certa-
-hai scritto bene l’incantesimo per terra?-
-controllate voi, se non vi fidate!-
-forse l’hai recitata male…-
-mettete in dubbio le mie capacità? Sapete anche voi che non c’è nessuno migliore di me!-
-hai ragione, Vivian, scusa, credo che debba andare a testarlo non trovi?-.
 
C’era poca luce e i lampadari non aiutavano a vedere meglio in una cittadina vicino a Friburgo. Per tutti quella era una notte comune e calma, se non fosse stato per il temporale di poco prima.
Adele e Vivian stavano camminando per strada cercando una vittima. C’era un vecchio, barbone che dormiva vicino a della spazzatura. Adele gli si avvicinò e gli diede un calcio allo stomaco svegliandolo.
-cosa succede? Cosa ho fatto? Non sono stato io- balbettò.
-svegliati, ho un lavoro per te- disse Adele.
Il vecchio si alzò in piedi. Non aveva idea di cosa volessero quelle due, sperava solo che lo pagassero per un qualche servigio di qualunque genere.
-adesso farai tutto quello che ti dirò- disse Adele fissandolo negli occhi.
-non lo so, se è illegale questa volta mi sbattono dentro- disse.
-non, non hai capito- sospirò Adele –tu adesso sei sotto il mio controllo- disse fissandolo ancora negli occhi.
-signora, si sente bene?- chiese lui.
-tu devi obbedirmi!- disse arrabbiata -Vivian, non funziona, qualcosa non va- la sgridò.
-sapevate che ero ricco?- chiese lui intromettendosi.
-sta zitto, umano!- disse Adele alzando la voce. -Vivian, non riesco a controllarlo, perché non ci riesco?-
-forse ci vuole un po’ di tempo…- disse insicura.
-ve lo giuro avevo uno yacht, e una villa a Rio- si intromise di nuovo il vecchietto.
-taci!- gli gridarono entrambe.
-possibile che ogni volta che qualcosa non va deve sempre essere colpa mia?- si lamentò Vivian.
-non l’ho fatto io l’incantesimo!-
-allora vuol dire che non siete abbastanza potente!- disse la donna.
-e avevo un casinò a Las Vegas, con tante luci…- disse di nuovo.
-chiudi la bocca, inferiore- gli dissero all’unisono.
-ma è vero, poi ho perso tutto con il gioco d’azzardo-
Adele, arrabbiatissima, allungò la mano verso lo il petto del vecchio per strappargli il cuore, invece, dai suoi polsi uscirono lame che si conficcarono nella gola dell’innocente. Cadde a terra cercando di dire qualcosa, non riuscendoci.
-mia signora- chiamò Vivian -i vostri occhi…-.
Adele non capiva. Prese lo specchi che aveva nella borsa e si guardò le pupille. Erano gialle, quasi dorate.
-effetti collaterali- concluse con stizza, -dobbiamo tornare al nascondiglio e tu devi spiegarmi cosa succede-
-si, mia signora- obbedì Vivan.
Adele aveva offerto un sacrificio al suo oscuro signore per avere un potere illimitato e tra le varie capacità scritte con i caratteri dei demoni c’era il controllo mentale, che in quel momento non era riuscita a imporre al vecchio. Un’altra cosa che aveva chiesto era un arma in adamantio, indistruttibile, infinita, per combattere gli angeli, non quelli che volevano uccidere Paride, ma i suoi nemici. Più si comportava da demone e più la sua natura emergeva e gli occhi dorati erano solo l’inizio. Ma lei non voleva diventare un demone senza pietà.   

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Capitolo 11
*** Un pomeriggio infernale ***


Gli angeli vivevano a casa dei fratelli e di Aidan. La maggior parte di loro non vedeva la terra da centenni e facevano difficoltà ad integrarsi.
-quindi, se non ho capito male, lui va su un’isola disabitata, e cerca di sopravvivere- disse Omar, un angelo dalla pelle olivatta, che viveva a casa di Paride.
-si, esatto finalmente l’hai capito!- esultò Chris.
-ma perché lo fa? Perché non si porta dietro del cibo?- chiese.
-perché deve illustrarci come sopravvivere- spiegò Chris cercando di mantenere la calma. Era da quando era cominciato il programma di Bear Grylls che faceva domande, impedendo al giovane di seguire le vicende.
-ma perché non si teletrasporta via dall’isola con un sigillo?-
-Perché lui non è un angelo!- disse più forte di quanto avrebbe voluto.
Diana, che si era ripresa, stava in piedi in cucina con Nicole e Claire e cercava di capire come si facessero i Braunis.
-ok, ascolta, è semplice, basta seguire la ricetta alla lettera- disse Nicole, -guarda si comincia preparando l’impasto- e iniziò a miscelare tutti i vari ingredienti. Intanto Claire guardava concentrata il libro di cucina. Alzò la mano, scocchiò le dita e fece apparire un piatto di Braunis uguale a quello dell’immagine sul libro di cucina.
-ma così è sleale- si lamentò Nicole.
-no, non è sleale, è solo un metodo più veloce- disse lei sorridendole.
Keiran e Paride erano in giardino ad allenarsi, mentre Kevin li guardava divertiti, poche volte aveva visto anzi combattere. Keiran però sembrava in difficoltà, forse perché aveva l’ala ferita. Bastò un attimo di esitazione perché Paride lo buttasse a terra con il bastone e gridasse ‘vittoria’.
Heather stava facendo i lavori di casa con Belle, gentilmente aiutata, da alcuni angeli. In camera di Kaleb la finestra spalancata, nonché unica della casa (presto ne avrebbero fatte aprire altre), faceva entrare una piacevole brezza. Belle la chiamò per spostare dei mobili.
-aspetta, lascia fare a me!- si offrì uno degli angeli. Allungò la mano verso il sofà del salotto e con la forza della mente lo alzò da terra.
All’incirca tutti si stavano rendendo utili, in attesa che qualche indizio sul quando venisse fuori.
Mentre a casa di Aidan, gli angeli erano già all’opera e stavano dando la caccia a qualcosa, probabilmente un demone, che la notte prima aveva ucciso un barbone di una cittadina adiacente. Forse era lo stesso che aveva preso tutte le persone del canile.
Una parte di loro analizzava invece la lettera misteriosa, ma senza buoni risultati. Che quella fosse la lingua dei demoni, non c’era dubbio, ma nessuno la conosceva. Forse Aidan, ma era andato a dormire presto per la stanchezza e la mattina era uscito presto per andare a lavoro. Anche Paride conosceva la lingua, ma non aveva ancora letto la lettera. Aveva avuto solo l’opportunità di vederla in mano a Heather riconoscendone la calligrafia: quella di sua moglie, ma gli altri angeli non sarebbero mai riusciti a tradurla e quindi poteva stare sicuro.
 
-ehi, ragazzi, ho scoperto una cosa incredibile!- disse Omar -c’è quella cosa, in salotto, quella scatola con le immagini e stanno parlando di noi!-
Tutti si precipitarono a vedere. In tv, c’era un documentario sugli angeli. Loro lo guardavano incantati e ridevano quando le voci fuori scena facevano delle gaffe, perché ovviamente non tutto quello che si sapeva sugli angeli era vero.
Per pranzo erano tutti a casa dei fratelli, seduti sull’ampio tavolone della cucina. Ridevano e scherzavano su cose insensate che i fratelli non capivano. Il cibo si alzava in aria e lo stesso facevano le posate. Usare la telecinesi era un abitudine. Aidan li guardava divertito e invidioso, visto che a lui i poteri erano stati tolti.
-non puoi ancora usare i tuoi poteri, Diana, sei ancora troppo debole- la sgridava Keiran.
-lasciami in pace, non farmi da mammina- replicava lei ad ogni sua premura.
Il pomeriggio fu un totale disastro.
 
-che bello! Non ci sono libri del genere in paradiso- disse Malcolm facendo librare il libro sopra di lui, mentre era sdraiato sul divano.
-quello è di Chris, e si arrabbia se tocchi i suoi libri- lo apostrofò Claire prendendogli il libro di mano.
-ti prego, Heather riporta ‘Siddharta’ dov’era prima che Chris se ne accorga- supplicò alla sorella.
Salendo le scale incontrò Fleano che scendeva di corsa le scale e la urtò facendola quasi cadere.
-Fleano, sta più attento!- gridò Heather. Al piano di sopra sembrava fosse scoppiata una guerra. E pensare che aveva pulito solo quella mattina. Beccò Ireneo che stava uscendo dalla stanza di Chris.
-cos’è successo qui?- domandò arrabbiata.
-non saprei, io stavo dormendo- si giustificò lui.
La sua versione dei fatti fu fatta a pezzi quando dalle scale salì Lia.
-vai, Ireneo!- esultò –li hai stracciati tutti!- e andò in balcone.
-che cosa sta dicendo Lia?- chiese lei facendosi avanti.
  -può darsi- cominciò cercando un’altra giustificazione -che forse, e dico forse abbiamo giocato a quello che voi umani comunemente chiamate ‘Paintball’….-
-cosa avete fatto?- gridò Heather fuori di sé dalla rabbia. Ireneo corse via salutandola velocemente e chiedendo mille volte scusa. Lei ripose il libro nello scaffale dei libri della stanza e uscì fuori furibonda.
Andò in balcone per prendere un po’ d’aria e rilassarsi. C’erano Diana, Claire, Lia e Nicole che stavano curando delle piante.
-ciao, ragazze, cosa state facendo?- chiese esausta.
-curiamo delle piante- disse Nicole, -guarda questa è estinta e anche questa lo è, ma Claire le ha fatte comparire e…-
-non possiamo tenere piante estinte, immaginate cosa succederebbe se i vicini ci scoprissero?- disse lei preoccupata.
-non temere, la signora Müller non sente niente ed è tanto vecchia che non vedrà a più di due metri dal suo naso, non c’è alcunissimo rischio!- la rassicurò lei.
Dal balcone si vedevano Paride, Kevin e Keiran che si allenavano. Kevin impugnava quello una specie di pugnale la cui lama era nera e viola e rifletteva molto la luce del sole, Paride aveva di nuovo il bastone e Keiran usava due pugnali simili a quelli di Kevin. Era un tutti contro tutti e non si capiva chi stava avendo la meglio, quasi sicuramente però suo padre. Decise di portargli qualcosa da bere.
Andò in cucina. Abominio non era abbastanza per descrivere quello che vide. Belle e Chris erano stesi a terra, sanguinanti e con gli occhi girati all’indietro. Si avvicinò tremando e tocco il polso della sorella. Era freddo, ma soprattutto non c’era battito, lo stesso valeva anche per il fratello. Fu pervasa dal terrore e lanciò un grido fortissimo.
-aiuto, vi prego aiutatemi!- gridò, ma la porta della cucina dietro di lei si chiuse. Lei corse per aprirla, ma la maniglia era bloccata. Elia si materializzò dietro di lei. Si voltò di scatto spaventata.
-E…E…Elia…- farfugliò.
-si, sono stato io. Mi dispiace, ma il mio signore voleva le loro anime- disse.
-cosa? Sei un traditore! Perché l’hai fatto?- e prese il primo oggetto che trovò, vale a dire una pentole. Con quella cercò di colpire Elia in testa, l’angelo scansò non poco facilmente il colpo, cadendo a terra.
-fermati! Era solo uno scherzo!- disse -non li ho uccisi!-
Chris e Belle si alzarono dal terra  immacolati.
-fermati! Non siamo morti!- disse Belle -era solo uno scherzo! Elia, sa creare l’illusione della morte-
-si, ma lo uso solo come fanno gli opossum- disse fiero di se.
-non è stato divertente, mi avete quasi fatta morire di paura! E tu- disse indicando l’angelo -non c’è niente di cui esseri fieri, hai capito?- appoggiò la pentola e uscì fuori dimenticandosi il motivo per cui era entata.
Fu un pomeriggio infernale.
 
-Vivian, sono tanto triste- si lamentò Adele; era sempre nella stanza buia, stesa sul divano, -voglio vedere i miei piccoli- continuò.
-manca poco- rispose lei, -andremo a trovarli il prima possibile- e le sorrise.
La stanza buia, era a dire il vero, solo una baita abbandonata, nella foresta nera. L’unico nascondiglio sicuro e insospettabile, vicino a Friburgo. Meno di un chilometro da quella baita si innalzava una barriera azzurrognola, invisibile agli umani che impediva l’accesso ai demoni, tutta la città ne era circondata.
-mia signora, non crede che dovremmo fare qualcosa riguardo a Octavian?-  chiese Vivian.
-e anche se fosse? Finché non cade non possiamo fare niente. E poi è nelle grazie di Lucifero, non possiamo torcergli un capello. Cosa credi? Anche io sono stanca di fargli dei favori, senza avere in cambio niente!- disse mettendosi a sedere.
-Vivian, chiama a raccolta tutti i miei uomini, ho un piano- le ordinò. La donna rimase un po’ interdetta.
-ma mia signora, sono io il vostro unico uomo, anzi donna- .
-ah, già, è vero, allora vai a chiamare Vivian che devo parlarle- disse.
-mia signora, Vivian sono io- disse confusa. Adele si risdraiò e si mise un cuscino sull’orecchio
-Dio, quanto sei pignola, vai a chiamarla e basta!-
Vivian uscì dalla porta per entrare un paio di minuti dopo
-mi avete fatta chiamare, mia signora?- e si inchinò.
-si, ho un piano- disse restando sdraiata e con il cuscino sull’orecchio  -pensavo che potevo usare i miei nuovi poteri per collegarmi con loro telepaticamente, come fece Paride con Heather, ma in scala più grande-
-penso che sia una pessima idea, mia signora- disse, -la potrebbero scoprire.
-va, bene ti congedo- Vivian uscì e non sapeva se rientrare o meno e così rimase fuori. Non capiva che cos’era successo ad Adele, forse i nuovi poteri le stavano mandando in tilt il cervello. “pregherò per voi, mia signora” pensò. 

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Capitolo 12
*** Oblio ***


Adele non aveva mai avuto atteggiamenti da demone, ma ora che li stava avendo la sua parte umana stava pian piano svanendo. Aveva gli occhi gialli e da un po’ di tempo aveva dei forti mal di schiena, segno che le ali da demone sarebbero uscite a poco. Non le voleva quelle ali. Avrebbe volentieri preferito le ali piumate degli angeli, quelle da demone le ricordavano ancora di più l’inferno.
Vivian aveva invece una missione speciale: intrufolarsi a Friburgo. “Niente di più facile” pensava con ironia.
Aveva preparato un incantesimo arcano che le permetteva di trasmettere il suo riflesso ovunque.
 
Julia non lavorava più da quando il canile era stato chiuso e sequestrato dalla polizia. Le sue giornate erano ridotte a lavora in casa, uscire delle volte e ultimamente andava spesso in giro con Chris. Da lui aveva capito che c’era una situazione molto fragile e che Friburgo era sicura. Quello che sapeva però non sarebbe bastato a metterla in pericolo e poteva dirsi contenta.
Era nella sua stanza ad ascoltare in loop la stessa, triste canzone. Il comodo letto circondato ai lati da pupazzi era uno dei pochi posti in cui si sentiva a casa e lì poteva anche sfondare sul materasso quando era stanca e fu così che fece quando entrò, con le cuffie alle orecchie. Era sfinita, in altri giorni sarebbe uscita a cercare lavoro fuori dalla città, ma sapeva che sarebbe potuto essere pericoloso.
Davanti a lei si materializzò una figura di donna, molto carina, che la guardava con occhi penetranti: Vivian.
-che fai? Dormi?- chiese spaventandola.
Julia si alzò dal letto di scatto e rimase di sasso nel vedere di fronte a lei la stessa figura che c’era al canile. Provò a gridare aiuto, ma il fiato non usciva dalla bocca e riusciva solo a balbettare cose incomprensibili.
-Julia, vero?- disse Vivian osservandola compiaciuta, -noi due ci siamo già incontrate, ricordi? Come non potresti ricordare?- continuò, -c’è una cosa che devi fare per me: morire.- e le scagliò contro una luce oscura che le avvolse tutto il corpo. A quel punto Vivian scomparse e al suo posto rimase solo un penetrante odore di zolfo.
 
-Signora Entschuher, sono Chris, mi farebbe entrare per favore?- disse il Nephilm alla porta principale della casa di Julia.
Dentro, anche se ci era stato tante volte gli sembrava sempre più buio e l’incredibile passione della madre per i gatti lo inquietava. Andò nella stanza dell’amica, al primo piano. Bussò chiamandola un paio di volte, ma non ricevette risposta. Abbassò la maniglia, con cautela, il suo sesto senso era in allarme.
Dentro c’era l’inconfondibile puzza di demoni. La madre gli aveva detto che non era uscita, ma dentro lei non c’era. Corse fuori a cercarla nei posti che frequentava abitualmente con lei, magari era solo andata ad aspettarlo da un’altra parte, “forse mi sto solo illudendo”, pensava.
 
Quando Julia aprì gli occhi le sembrava di essere dentro ad un sogno, i rumori e la concretezza delle cose sembravano finte. Davanti a lei c’era una figura alata, ma non le ali degli angeli che aveva visto sulla schiena di Keiran una volta e neanche le ali da Nephilim che aveva visto in un immagine. Erano ali maestose, bellissime ai suoi occhi, con venature color fuoco e quasi diafne. La figura restava immobile davanti a lei illuminato da una luce potente che li impediva di vedere bene il volto, però intravedeva bene due corna da ariete e gli occhi dorati che la fissavano profondi. Disse qualcosa a voce alta, ma era incomprensibile, sembrava quasi che pronunciavano gli angeli quando parlavano tra di loro, ma con un tono più malvagio e quasi più umano.
-la capisci la lingua dei demoni, umana?- chiese la figura davanti a lei.
-No..- biascicò cercando di dimostrare che non aveva paura, ma le tremavano le gambe.
-seguimi- disse la figura aprendo sempre di più le ali.
Intorno a lei si creò un panorama che non aveva mai visto prima. Era un immensa valle, circondata da mura di fuoco nero e si vedevano anime dentro di esso che bruciavano. Orribile sentire quei lamenti. Lei fluttuava in aria e sotto di lei c’era un trono d’ossa. Cadde nel trono e le piombarono addosso anche una corona di rovi e sulle gambe cadde un tridente. Era spettacolare, aveva gemme sconosciute incastonate nel manico, mentre i denti erano di fuoco.
-questo è l’inferno?- chiese quasi tra le lacrime.
-no- rispose il demone, -questo è l’olio. Un luogo in cui vengono mandati i demoni e in cui la nostra essenza viene purificata- spiegò con voce fredda.
-e io sono morta?- chiese trattenendosi più che poteva.
-no, cioè si, ma solo parzialmente. Adesso ti spiego: tu sei un anima pura e quindi non puoi morire, ma se intendi che il tuo cuore si è fermato e che i tuoi organi non funzionano più, si, sei morta-
-cosa? No, non puoi dire veramente.. non posso essere morta..- disse con un filo di voce.
-ma quella terrena non è l’unica morte- disse con un sorriso perfido stampato in volto, -ce n’è una peggiore ed è la morte della tua essenza, se morisse quella tu cesseresti di esistere-
Julia abbassò la testa e cercò di fare una domanda, ma fu interrotta dal demone.
-non sei ufficialmente morta, se questo ti è d’aiuto e no, le anime pure non vanno in paradiso- le poteva leggere le domande in volto, -vedi, per le anime pure non esiste una morte terrena, ma solo un’estinzione spirituale. Le anime pure non vengono mai macchiate dal peccato e sono tra le creature più potenti del creato. Tutto il tuo potere sarebbe inutile in paradiso, la tua forza è paragonabile solo a quella dei Nephilim e solo tu puoi purificare le anime, cancellare il peccato, rimuovere gli errori-.
-E questo cosa centra con queste cose?- disse indicando la corona e il tridente.
-Tu e solo tu puoi spegnere il fuoco dell’oblio con quel tridente e la corona fa in modo che i demoni ti obbediscano. Qui gli viene data la possibilità di redimersi dalle loro malefatte e decidere se restare demoni o andare in paradiso. Optano quasi sempre per la prima- disse quelle ultime parole trattenendo un moto di risata, -e poi, se cercano di scappare sei autorizzata ad ucciderli definitivamente. Allora, ti piace la mia proposta?-
-Neanche per idea! Non ho intenzione di restare qui a fare da guardia ai demoni, voglio andarmene di qui!- gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
Il demone spalancò le ali e alzò un forte vento verso la ragazza, si alzò in aria e pronunciò qualcosa nella sua lingua.
-E sia, ma per tornare in vita dovrai sconfiggermi, perché sono io l’attuale Re dell’oblio, l’unica e sola anima pura che è nata da migliaia di anni. Affrontami e se vincerai ti sarà data la vita, se no mi sostituirai in questo mondo e io non sarò più vincolato da niente-.
 
Vivian era nello scantinato della baita e lì davanti ad uno specchio aveva recitato la formula che le aveva permesso di  materializzare una copia di lei davanti all’anima pura. Se sarebbe andata al posto dell’attuale Re dell’oblio quel demone sarebbe tornato e si sarebbe alleato con loro, visto che neanche lui voleva l’apocalisse. Julia invece essendo amica dei Nephilim avrebbe sicuramente seguito le loro indicazioni impedendo ad ogni demone di lascare l’oblio fino a quando la possibilità di scatenare l’inferno in terra non si sarebbe concretamente annichilita.
Quello che sia lei che Adele volevano era impedire ad altri demoni di portare avanti la pazza idea di liberare Lucifero. Forse era stata una scelta un po’ azzardata quella, visto che avrebbero attirato l’attenzione dei demoni, ma con i nuovi poteri di Adele non c’era modo di sconfiggerla.
In quanto alla sua pazzia, avevano trovato un rimedio istantaneo: mangiare anime di buoni. In questo modo avrebbe assorbito energia a sufficienza per equilibrare il male che la stava divorando.
Con mangiare non si intende il significato letterale. Per i demoni mangiare le anime voleva dire assorbirne l’energia vitale e le vittime (che Vivian si procurava fuori da Friburgo) svenivano istantaneamente e sembrava proprio solo un calo di zuccheri, se non fosse per il fatto che bisognava recitare una formula davanti a loro, cosa che spaventava molti che scappavano via lasciando la giovane demone senza preda. Quando estraeva l’energia di un anima doveva stare assolutamente ferma.
 
Tra gli angeli era scoppiato il caos. Che i demoni potessero entrare a Friburgo non era una cosa normale, specialmente ora che c’erano tanti dubbi sull’apocalisse. La scomparsa di Julia sembrava casule, infatti loro non potevano riconoscere le anime pure.
Sembrava che non sarebbero mai riusciti a fermare l’arrivo del demonio. Non avevano tradotto la lettera e soprattutto l’avevano persa, non avevano protetto una persona e non avevano scoperto assolutamente niente su chi avesse compiuto una carneficina al canile.
Gli unici a sapere qualcosa erano Paride e Aidan. Il secondo aveva mantenuto i contatti con Adele anche dopo la sua morte e dalla lettera ricevuta aveva capito quello che stava succedendo e che stava facendo l’amica. Dopo aver detto tutto a Paride avevano concordato che per la sicurezza di Adele non bisognava dire niente a nessuno fino al momento in cui non si sarebbe rivelata lei.
-e così tu e Adele vi sentite ancora! Perché non è mai andata dai bambini?-
-è sempre stata vicina, ma di nascosto, senza farsi scoprire. A volte era la maestra delle medie, altre era la fornaia vicino a casa, il tutto cambiando sempre aspetto. In fin fine non si è mai allontanata dai bambini-
-capisco. Nessuno vorrebbe sapere che la madre è un demone.
Dannati angeli del paradiso che non l’hanno classificata buona abbastanza!- e imprecò qualcosa nella sua lingua.
-vedrai che alla fine avrai la tua famiglia felice, vedrai-.

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Capitolo 13
*** Vivian, non perdere la speranza ***


In un castello da qualche parte in Romania durante il medioevo..
Ilaj era fuori dalla sua camera e aspettava che venissero a chiamarlo per il suo turno di guardia, ma quella notte serbava per lui tutt’altro finale. Il castello dormiva, gli ottomani erano lontani e quella notte non si sarebbero visti fuoco e fiamme. Gli accampamenti del nemico erano così tanto simili a quelli in cui era stato lui. C’era ancora gente in piedi tra di loro, proprio come lui e anche tra di loro c’era qualcuno felice di non vedere fuoco e fiamme.
Una guardia gli posò la mano sulla spalla e gli diede il cambio.
Gli pesava molto quella maglia di cotta a lui, che aveva un fisico molto slanciato e se la trascinava dietro con malavoglia.
Salì su una delle torri principali, da lassù si vedeva ancora meglio come si erano sistemati i nemici.
Una donna salì dopo di lui e gli portò una cena poco abbondante.
-mi dispiace- disse, -ma i mori hanno dato fuoco ai campi-
-si figuri!- rispose Ilaj, -ne vuole un po’ anche lei?- chiese porgendole una fetta di pane.
All’inizio la donna esitò, ma poi si sedette vicino alla guardia e mangiò con lui quella che era una povera cena, ma che a lei parve più di quanto avesse mai mangiato.
-da dove venite?- chiese la donna interessata.
-dalla Lotaringia- rispose.
-dev’essere bellissima la Lotaringia- disse in tono sognante.
-se vuole prima o poi ce la porto- disse lui come fosse un invito.
-io sono ungara- disse con disprezzo, -siete sicuro di voler essere visto con una donna ungara affianco?-
-non ci vedo niente di male- disse con un gesto della mano. A quei tempi la cosa più importante era la provenienza, venire dalle terre abitate dagli Ungari, era paragonabile ad essere un mostro. Ad Ilaj non era mai interessato l’origine delle persone, quello a cui puntava quando conosceva una persona era l’animo.
-mi sorprendete, sapete? Come vi chiamate?- disse la donna.
-Ilaj- rispose la guardia, -al vostro sevizio- disse baciandole la mano, -e voi?- aggiunse.
-io mi chiamo Viviana- disse la donna, -pronta a servirvi-.
Tra i due nacque un intesa. Continuarono a vedersi altre notti e passavano il tempo a chiacchierare; parlavano del più e del meno, della guerra, raramente di loro due. Una notte Viviana salì per incontrarsi con Ilaj, ma al suo posto incontrò un uomo che non conosceva. Era sicura di aver azzeccato la torre, ma non riusciva a capire.
-che vuoi?- le chiese l’uomo maleducatamente.
-devo aver sbagliato torre- disse lei piano e si girò per andarsene, ma l’uomo le prese il braccio e la tirò a se.
-sei la donna ungara, vero?- le chiese stringendole il braccio.
-lasciatemi, mi fate male, ve ne prego- disse lei spaventata.
-neanche per idea- ripose ridendo, -in Ungaria ho perso la mia famiglia, e sai cosa penso di voi animali?-
-lasciami ti prego! Io non ti ho fatto niente!- disse lei cercando di eludere la presa dell’uomo.
-tu CREDI di non avermi fatto niente- la corresse lui gettandola a terra. La donna sbatté violentemente sul pavimento. Non riuscì a rialzarsi che sentì forse il calcio allo stomaco dello sconosciuto. Cerco di rialzarsi, ma lui la ributtò a terra e le mise un piede sulla gola.
-non arriverai viva a domani, ungara- le disse con disprezzo.
Viviana si dimenava, non aveva più respiro.
Quando cominciò a perdere le speranze dalla porta d’accesso della torre entrò Ilaj.
-ehi, lasciala stare- gridò all’uomo saltandogli addosso con la spada. L’uomo lo schivò veloce e Viviana si alzò e corse dietro ad Ilaj.
-che succede qui?- chiese alla guardia.
-non immischiarti in affari che non ti riguardano, ragazzino!- disse. Certo che Ilaj era giovane, aveva solo venticinque anni, ma non si poteva chiamarlo ragazzino.
-Viviana, tu vattene- le disse Ilaj.
Viviana corse giù dalle scale alla ricerca di aiuto, speranzosa che qualcuno aiutasse una donna ungara.
Davanti a lei si materializzò l’immagine di un uomo abbastanza vecchiotto e ben vestito. Viviana balbettò qualcosa senza tirare fuori una frase sensata.
-sono qui per aiutarti- le disse l’uomo, -era questo che cercavi, vero?-
Viviana rimase interdetta, doveva ancora realizzare che un uomo si era materializzato davanti a lei.
-sai che Ilaj sta perdendo? Non sarebbe il caso di uccidere l’uomo che vuole farlo fuori?- cominciò a girare intorno a Viviana.
-che cosa vuoi da me?- chiese lei come volesse fidarsi di quel uomo.
 
-non hai speranze contro di me!- gli gridò l’uomo e diede un forte affondo, schivato a bruciapelo da Ilaj. Il ragazzo era molto in difficoltà, non era abituato a combattere e se le cose fossero andate avanti a forza di colpi che poteva solo schivare sarebbe morto. L’idea lo fece trasalire, soprattutto perché non poteva lasciare Viviana da sola.
L’uomo lo disarmò e lo buttò a terra con facilità.
-è la tua fine-
-non credo- disse una voce dietro di lui. Alle sue spalle era apparso uno sconosciuto che gli aveva conficcato la mano sulla spina dorsale. Cominciò a colargli sangue dalla bocca e gli occhi si stavano girando all’indietro. Ilaj, davanti, non poteva crederci. L’uomo cadde a terra con un grande tonfo, dietro di lui l’uomo incontrato da Viviana. Dalla porta entrò la donna di corsa e aiutò la guardia a rialzarsi. Ilaj non riusciva a capire, ma non ci pensò e abbracciò forte Viviana. Lei affondò la testa nel suo petto e scoppiò in lacrime.
-Viviana, ricordati i patti- gli rammentì l’uomo prima di sparire.
 
La donna spiegò l’accaduto dopo aver nascosto nel bosco il cadavere dell’uomo che stava per ucciderla.
-hai venduto l’anima?!- disse Ilaj incredulo.
-ho dovuto farlo, o saresti morto- si giustificò lei.
-non era necessario-
-si che lo era- disse lei arrabbiata, -tu non capisci! Sei l’unica persona che mi abbia trattata alla sua pari e io mi sono affezionata a te, non avrei mai potuto lasciarti morire!-
Prese un grande respiro.
-non ho avuto scelta- disse più piano.
A casa sua regnava il disordine più totale, così come nella testa di Ilaj.
In cuor suo sapeva che l’avrebbe persa prima o poi, ma se la sua anima avesse bruciato all’inferno lui sarebbe stato l’unico responsabile, o almeno così credeva.
 
Viviana morì pochi anni dopo di peste, morì tra le braccia di Ilaj. L’uomo gridò al cielo furioso, sapeva quale sarebbe stato il suo eterno destino e giurò vendetta.
Seppellì il corpo in Ungaria e cominciò la sua caccia all’assassino di Viviana.
"Viviana non perdere la speranza" diceva nei suoi sogni a quell'immagine che rincorreva tra le mura del castello, "ti riporterò indietro".

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Capitolo 14
*** Un nuovo alleato/non è stata colpa tua ***


Si stava facendo tardi. Ormai le ricerche erano arrivate al limite e Julia non si vedeva da nessuna parte.
Un gruppo stava ancora cercando il modo che i demoni avevano usato per infiltrarsi a Friburgo. Non avevano concluso niente.
 
-Vivian- una voce la chiamò da dietro, facendola sobbalzare. Si girò, ma non vide nessuno. La porta della stanza era chiusa, la finestra semiaperta faceva filtrare una lugubre luce che colpiva in pieno lo specchio sul comodino.
-chi è la?- chiese lei prendendo il pugnale.
-ma come? Non ti ricordi di me?- la voce sembrava provenire dallo specchio. Vi si avvicinò con passo felino.
-fatti vedere- disse mantenendo il tono alto e dando l’impressione di essere sicura di se.
-eccomi- sentì. Delle ombre entrarono nello specchio e andarono a formare una figura umana, con delle corna e delle ali da demone. Inizialmente pensò che fosse un demone qualunque, poi strizzò gli occhi e vide meglio.
-non posso crederci…- disse incredula. Il demone nello specchio la guardava con occhi sbarrati e allo stesso tempo contenti.
-mi sei mancata tanto, Viviana-
 
Heather stava leggendo un libro arcano mentre vide i suoi fratelli e gli altri angeli entrare demoralizzati dalla porta di casa. Erano circa le due di notte, ma non avevano trovato niente.
-non vi chiedo neanche com’è andata- disse lei vedendo entrare Chris.
Si sistemarono in cucina e mangiarono qualcosa prima di andare a dormire, anche se controvoglia.
-ascoltatemi- disse Paride, -noi abbiamo un vantaggio su di loro, con noi ci sono i miei figli e finché ci saranno loro, non potranno fare niente. Tenete su il morale, domani cominciamo la caccia, nessuno è migliore di noi nella caccia, o sbaglio? Li staneremo e ci libereremo di loro una volta per tutte. Non hanno nessunissima speranza contro di noi! Deve ancora venire il demone che ci imbroglia e ne esce illeso, giusto? Domani vedranno di che pasta sono fatti i veri angeli!- tutti esultarono e applaudirono, come se quello fosse stato il migliore dei discorsi, chissà quanto tempo non ne sentivano uno.
La caccia consisteva nel cercare e trovare i demoni, come fossero prede, o insetti in una casa da disinfestare. L’idea eccitava molto gli angeli, che da tempo volevano combattere contro il male. Paride con poche parole risvegliò l’animo guerriero degli angeli.
 
Chris stava facendo il suo letto e pensava a Julia, che fino a pochi giorni prima le sorrideva e si sentiva rassicurata dalle sue parole. Si sentiva stupido per non essere riuscito a proteggerla fino in fondo. Era totalmente assopito dai suoi pensieri, non riusciva a pensare ad altro. Cercò di distrarsi, prese Siddhatha e cominciò a leggerlo da dove l’aveva lasciato. Dannazione, era arrivato alla parte in cui si parla di Kamala. Non aveva voglia di sentir parlar di belle donne, proprio no. Si buttò sul letto, mise le mani dietro la testa e lascò il libro aperto sul petto. ‘stupido, stupido, stupido’ continuava a ripetersi.
Dalla porta entrò Heather e lo salutò sorridendo, si sedette anche lei nel letto e cominciò a fargli il solletico. Chris rideva, si dimenava e dibatteva finché non riuscì a spingerla giù dal letto.
-la tua percezione del pericolo non funziona con me- gli disse, -che cos’hai? Oggi a cena non hai toccato cibo?-
-è per via di Julia- spiegò alla sorella, -mi sento responsabile-
-non è stata colpa tua- disse lei cercando di rassicurarlo, come già lui aveva fatto con lei tante altre volte.
-ma potevo sforzarmi di più per proteggerla dai demoni, come minimo dovevo metterle un sigillo per sapere sempre dove stava-
-hai già fatto abbastanza- disse lei.
-no invece. Avrei dovuto percepire il pericolo, avrei dovuto sapere che era rischio-
-ma non potevi- disse Heather, -nessuno poteva, non è stata colpa di nessuno-. Gli appoggiò la mano sulla testae gli spostò i capelli da un lato per stampargli un bacetto sulla fronte.
-sai una cosa?- disse lui sorridendole, -da che ricordo, faceva così anche la mamma- e si mise seduto, -mi sistemava i capelli e mi dava un bacino sulla fronte, proprio come hai fatto tu-
-davvero?- disse lei. Dentro era lusingata.
-si, sorellina. Chissà dov’è la mamma?-. Heather aveva di colpo un viso cupo. Non le piaceva molto sentir parlare della madre.
-già, chissà?- disse lei, -buonanotte Chris-.
-buonanotte-
 
C’era buio, ma Vivian riusciva a vedere benissimo. Allungò una mano verso lo specchio e la appoggiò sul volto della figura facendo come il gesto della carezza.
-dove sei stato tutto questo tempo?- chiese lei con le lacrime agli occhi.
-nell’’oblio- rispose, -a comandare le anime, ma adesso sono qui- sogghignò, -c’è un ultima cosa che devi fare per me-
-sono ai tuoi ordini- rispose lei.
 
Adele stava rientrando. Aveva in mano una testa che colava di sangue.
-Vivian, sono tornata- disse lei per farsi sentire, -ti ho portato un regalo, vedrai ti piacerà, è uno molto intelligente, come piace a te. Viavian, ci sei?-
-si, mia signora- disse uscendo dalla sua stanza.
-cosa stavi facendo?- chiese appoggiando la testa sulla tavola e togliendosi la sciarpa e il cappotto.
-stavo pulendo, mia signora, perché stavate tardando e la casa è molto sporca-
-e questo ti impediva di rispondermi?-
-no, mia signora- disse a testa bassa, -voglio farvi conoscere una persona: avete presente il re dell’oblio? È venuto da noi ed è dentro lo specchio delle mie stanze-
-è venuto a farci visita un ospite, bene!- disse andando nella stanza, -non ti capisco, Vivian, perché tutto questo buio?- disse accendendo la luce e illuminando la stanza.
-ci potrebbero vedere, mia signora- disse lei preoccupata.
-chi se ne importa, abbiamo un ospite importante- disse avvicinandosi allo specchio. Dentro si materializzò il demone allo stadio finale, con ali, corna, pelle nera e tutto il resto.
-tu devi essere Ilaj?- disse guardandolo, -l’amico di Vivian-
-un po’ più di amico- la corresse lui.
-che ci fai lì dentro?- disse lei deridendolo, -pensavo fossi potente-
-certo, ma resto un anima pura, diventata demone, camminerò nel mondo dei vivi solo dopo che il mio ritorno sarà completo. Avrò bisogno di qualche anima- disse.
-ma certo, tutto quello che vuoi finché sarai fedele alla mia causa, ma devi restare nascosto, VatheK potrebbe tornare da un momento all’altro-
-non credo- disse lui, -lo riposto nella zona più lontana dall’uscita che c’è in tutto l’oblio. Per molto non sarà un problema-.

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Capitolo 15
*** Piccoli segreti/Ilaj ***


-siamo molto vicini, mio signore- il demone tremava al suo cospetto. Rimase in attesa di una risposta che non venne. Si allontanò e attese ordini, ma neanche quelli vennero. Dovettero passare ore prima di ricevere una risposta dal suo padrone.
-a che punto siamo?- chiese con voce rauca e atona.
-abbiamo i demoni, gli angeli, mentre i Nephilim sono tutti a Friburgo, mio signore, ma la città è protetta da un arcano incantesimo, per non far entrare i demoni- con quell’ultima frase deglutì e sperò solo che il suo signore avesse pietà: non adorava chi gli portava cattive notizie.
-e che problema c’è? Abbattete il muro, non importa con quanti demoni, basta che lo abbattete- disse al servo con voce monotona e continuando a battere il pollice sul bracciolo della sua poltrona. Una poltrona fatta da ossa, che con tutte le probabilità erano di angeli, angeli caduti durante la guerra.
-c’è un altro problema, mio signore, o potentissimo- si metteva sempre a lodarlo quando era in difficoltà e mentre parlava gli si impastava la lingua. Gli era difficile far uscire le parole di bocca, -i Nephilim sono difesi da alcuni angeli guidati da Paride-.
-sterminateli tutti-.
 
Paride stava salendo le scale, aveva appena salutato tutti quelli che dormivano al piano di sotto, “domani sarà una giornata difficile” pensava e pensava anche ai suoi figli. In quei giorni avrebbe voluto passare più tempo con loro, non solo come l’angelo che li ha concepiti, ma come un vero e proprio padre. Voleva accompagnarli a scuola, magari con una jeep, ne aveva una prima di tornare in paradiso, oppure voleva le vacanze in famiglia che si fanno in Canada, o meglio ancora voleva portarli tutti al mare, in una bella villetta bianca, dove poter fare un grande barbecue con tutti i suoi amici angeli. Però ormai era troppo tardi, erano cresciuti e non poteva fare molte cose che avrebbe potuto fare se fossero stati ancora così piccoli come quando lui viveva ancora con Adele ed erano felici di quel poco che avevano. A proposito di lei, aveva ancora in tasca la sua lettera scritta nella lingua dei demoni, lui la conosceva bene quella lingue. Aveva letto e riletto le sue parole fino ad impararle a memoria. Aveva memorizzato alla perfezione il suo piano, sapeva benissimo dove si trovava, tuttavia non poteva neanche lontanamente azzardarsi a farle una visita. Entrò nella sua stanza, anzi in quella di Kevin e Kaleb e si sedette sul bordo del letto del più grande. Osservò per un po’ il suo comodino, c’erano delle foto di molti anni fa e in alcune di quelle c’era anche Adele, poi c’era il braccialetto che Adele gli aveva dato per i suoi dieci anni, ormai quella vecchia catenina era tutta arrugginita. La prese in mano e la strinse in un pugno, quando riaprì la mano la catenina era come nuova, proprio come quando Adele l’aveva vista nella vetrina di un negozio passeggiando con lui un pomeriggio d’inverno. “Qualcosa posso ancora fare” pensò, “posso fermare l’apocalisse e ristabilire l’ordine in paradiso, posso dargli tutto quello che in tutto questo tempo gli ho negato: un esistenza felice e sicura. Che strano che io mi ritrovi come scopo quello che ogni padre fa quotidianamente!”.
Riappoggiò il braccialetto sul comodino e si sdraiò sul suo letto mobile, che era stato messo attaccato alla parete. In quel momento rientrò Kaleb. Sembrava esausto, sembrava che tutta la responsabilità sulla salvaguardia dei suoi fratelli ricadesse sulle sue spalle. “un’altra cosa d cui sono colpevole” pensò.
-sei stato tu?- gli disse mostrandogli la catenina.
-si-
-grazie- gli disse distogliendo lo sguardo, -ma mi piaceva così com’era- aveva un tono seccato. Si sdraiò a letto e spense la luce senza dare al padre la possibilità di giustificarsi.
Paride ci rimase male, ma non ci badò molto e si mise a dormire pure lui. Erano circa le quattro del mattino, ma non aveva sonno, era distratto dai suoi ultimi pensieri, quelli riguardanti a quale pessimo padre era stato. Finita quella storia le cose sarebbe andare meglio, o almeno lui se ne convinse.
Sentì la porta aprirsi e dalla luce del corridoio si vedevano Heather e Belle fuori dalla porta. Si alzò e uscì a vedere che cosa volevano.
-che cosa succede?- chiese preoccupato, -non riuscite a dormire?-
-papà, stiamo sognando cose strane- disse Belle, -sembrano sogni premonitori- aggiunse Heather, -è da quando siamo a Friburgo che ne facciamo- disse dondolandosi sul suo posto.
Andarono nella loro stanza e Paride si fece spiegare tutti per filo e per segno.
-credo che non siano sogni molto normali- disse Heather, -insomma, hai sentito cosa vediamo quando andiamo a dormire! Pensavamo che fosse il caso di dirtelo-.
-ma certo, avete fatto benissimo- disse Paride appoggiando le mani sulle spalle delle figlie, -vedrò cosa posso fare appena posso, però adesso sarà meglio fare il punto della situazione, perché non potrei essere più confuso in vita mia con tutte le cose che stanno succedendo. Allora, voi fate sogni dove ci sono visioni apocalittiche e anche questa grande figura alata che si alza in cielo e sovrasta tutto, poi Friburgo sta bruciando e Belle sei sicura che fossero angeli quelli che hai visto decapitati?-
-ti dico di si, avevano le ali piumate!- disse ancora.
-ascoltate, domani appena finita la caccia, cercheremo insieme il significato dei vostri sogni, anche se mi sembra evidente- fece alle ragazze un dolce sorriso e le augurò la buonanotte con un bacetto sulla guancia.
Entrarono nella stanza anche Diana e Claire, per andare a dormire nei loro letti mobili.
-abbiamo interrotto un appassionante argomento padre e figlie?- chiese sarcasticamente Diana.
-no, me ne stavo andando- rivolse un ultimo sguardo alle figlie, -buonanotte- disse.
 
Vivian aveva preparato tutto. Aveva trovato la zona giusta della foresta nera e aveva le vittime sacrificali tutte nei sacchi dell’immondizia, i corpi erano stati appositamente tagliati e spolpati come da rituale, il fuoco dell’evocazione era pronto, mancavano solo le anime con cui alimentarlo. Adele era affianco all’amica e la stava aiutando a sistemare l’ultimo teschio di demone nell’estremo del bastone conficcato nel terreno intorno al fuoco.
-sei pronta?- chiese amorevolmente a Vivian.
-dovresti esserlo tu- disse lei a testa bassa.
-e da quando in qua mi dai del tu?- disse lei guardandola negli occhi.
-avete ragione, mia signora, scusate, è tutta colpa dell’emozione- disse lei inchinandosi.
Adele pronunciò la formula e Vivian gettò i pezzi dei corpi dei demoni nel fuoco. Cominciò a tirare un grande fuoco, gli occhi di Adele si illuminarono di una luce arcana. Dal fuoco emerse una figura umana. Il fuoco intorno a lui si spense e finalmente Ilaj apparve davanti a loro, in carne e ossa e con dei segni arcani che gli ricoprivano tutto il corpo.
-bentornato nel mondo dei vivi, mio adorato- disse emozionata Vivian.
-bentornato nel mondo della gente ipocrita, mio fido alleato- disse Adele.
Si scambiarono degli sguardi di complicità.
Adesso che Ilaj, l’unica anima pura di tutto il mondo era tornato, i demoni non avevano nessuna possibilità. 

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Capitolo 16
*** dubbi/l'ascesa di un demone ***


Ammon era nella sua armatura scura, con le corna da montone che sporgevano dall’elmo. Aveva lo sguardo fisso su di una sola città: Friburgo. Si osservò la schiena, l’unica ala gli cadeva dolcemente sulla schiena, come se stesse riposando. La contrasse e la aprì, aveva un’ala da demone nerissima, con le venature rosse e almeno due metri solo quella. Peccato che fosse una sola. Brandiva l’ascia e la agitava minacciosamente, era impaziente. Friburgo non stava definitivamente dormendo, ma certamente non era sveglia, che ci fossero degli angeli a fare da sentinelle era sicuro, ma assalirli e sgozzarli con facilità, per lui, era altrettanto certo. Dietro di lui un centinaio di demoni con l’armatura e le armi, posizionati e in ordine come prima di una guerra. Ammon fece loro segno di marciare verso la città prescelta e loro lo seguirono.
“Me la pagherai cara per il tuo affronto, Paride, molto cara.”
 
Keiran non riusciva a chiudere occhio, continuava a riflettere su quanto le cose sembravano successe come se fossero state programmate; Julia e la lettera misteriosa erano scomparse insieme e ciò era successo perché un demone si era infiltrato nella città, ma era proprio questo il particolare che non gli tornava. Lui stesso si era occupato di controllare il muro ed era certo che la città fosse al sicuro da qualunque pericolo. Come aveva potuto, quindi, un demone attraversare la città fino a casa di Julia, senza far scattare nemmeno una trappola o senza lasciare tracce? Secondo lui c’era la possibilità che tra di loro fosse una spia.  Ragionò a fondo sul possibile colpevole e alla fine rimase solo con una soluzione, una soluzione che il suo cuore continuava a trattare come inverosimile. Eppure sembrava che Aidan fosse l’unico che poteva aver aiutato il demone. Era l’unico ad aver mantenuto i contatti con Octavian, il che significava che forse neanche lui era molto affidabile, aveva guidato lui l’operazione del muro d’energia e aveva posizionato lui quasi tutte le trappole, per non parlare del fatto che toccava a lui fare da guardia al lato della città dove abitava Julia. Tutto era perfettamente incastrato, e poi c’era quel particolare che lo incolpava più di tutto il resto, il fatto che la lettera fosse indirizzata a lui. Quanto avrebbe voluto combattere la ragione e ascoltare il suo istinto, che gli diceva che non poteva essere Aidan la spia! L’indomani gli avrebbe avrebbe parlato apertamente prima di partire per la caccia e sperava tanto che avesse delle giustificazioni meno vaghe di quelle che aveva dato fino ad allora.
 
Vivian osservava la luce della luna che filtrava dalla finestra della sua stanza, così come succedeva da quando avevano quella casa dispersa nel bosco. Ilaj stava dormendo nella stanza affianco e affianco ancora c’era Adele che mangiava le anime che le aveva preso la mattina. Da quando aveva cominciato la sua cura stava decisamente meglio, gli occhi erano tornati normali e generalmente i suoi discorsi avevano molto più senso, era davvero pronta per una possibile apocalisse, con tutto il potere che aveva assorbito era diventata il demone più potente che avesse messo piede sulla terra.
Come tutte le sere la luce della luna filtrava dalla finestra e lei si compiaceva della sua visione. Prese il libro che stava leggendo prima di incantarsi e lo ripose a posto vicino a tutti gli altri. Aveva addosso un vestito da notte bianco corto fin sopra le ginocchia e aveva i capelli sciolti e arruffati, non si era neanche fatta il bagno. pensò che fosse ora di andar a dormire e riposarsi, visto che l’indomani sarebbero entrati a Friburgo, nella casa dei Nephilim e avrebbero finalmente fatto la loro comparsa, sperando che Paride accettasse un’alleanza contro gli altri demoni. Era così strano pensare che lei a differenza di quelli della sua razza era di animo buono, ma attribuiva questa bontà al gesto che aveva fatto tanti anni fa Ilaj per lei, non solo quando l’aveva salvata, ma anche quando l’aveva rimandata sul mondo dei vivi dall’oblio e non ce l’aveva mai fatta tornare. Attribuiva il suo cambiamento successo centenni fa al fatto che Ilaj si era comportato con lei. “Se tutti i demoni vivessero delle esperienze con dei sentimenti umani anche loro sarebbero buoni” si diceva prima di sdraiarsi.
Appena appoggiò la testa sul cuscino sentì come un rumore di armature in movimento e l’orribile odore del zolfo la fece tossire violentemente. Si alzò allarmata dal letto e si avvicinò alla finestra per vedere cosa succedeva fuori da quella casa. Un esercito di demoni marciava verso Friburgo, davanti a loro una figura di demone allo stadio finale si muoveva fiero, dalla sua schiena una sola ala, la sua armatura nera, la sua figura possente; Vivian non aveva dubbi su chi fosse.
Corse nelle altre stanze a svegliare Ilaj e Adele. Il primo dormiva un sonno profondo, come se non avesse chiuso occhi da quando era morto, mentre la sua padrona, stanca era andata a letto poco prima di lei.
Videro l’esercito marciare a venti metri da terra, camminando come su un suolo e tutti riconobbero la figura che li guidava.
Entrarono a casa, nel seminterrato, dove c’era ancora il rito con cui Vivian era entrata a Friburgo, avrebbero usato quello per avvertire gli angeli, che dormivano beatamente nella città, ignari del pericolo incombente.

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Capitolo 17
*** Adele ***


La stanza di Julia non era cambiata. I genitori avevano deciso di lasciarla così come’era fino al suo ritorno, perché erano sicuri che la loro bambina sarebbe tornata.
“illusi” pensò Ilaj.
-muoviamoci-.
Adele era particolarmente abituata a dare ordini, pure quando era un umana. Quella sera aveva ancora la camicia da notte, lunga fino alle ginocchia, di colore viola e a fiori, non aveva né scarpe, né niente, mentre Ilaj era stranamente nella sua forma originale, quella di demone, l’unica cosa che non si immaginava era che una volta ritornati dall’oblio si diventava demoni. Ripensò a quella giovane ragazza che aveva facilmente battuto per poter pestare ancora con i piedi ilo suolo della terra, ma adesso che sapeva quale sarebbe stato il suo destino, se fosse tornata, non avrebbe mai accettato l’offerta che gli fece quel giorno Adele, quando gli chiese di tornare e unirsi a lei e alla sua causa.
“non si può tornare indietro” si disse amaramente.
 
-Svegliatevi, svegliatevi tutti-
Chris eruppe in ogni stanza gridando a squarciagola che bisognava alzarsi.
-Cosa succede figliolo?-
-Papà,- disse, -c’è un esercito di demoni che si avvicina e ce ne sono tre nella città-.
-e tu come lo sai?- chiese al figlio agitato più che mai.
-l’ho percepito- disse, -Il mio sesto senso ha acceso l’allarme un minuto fa, credo che siano vicini-.
Paride fece svegliare e preparare tutti, con armature, armi e tanto di ali. Heather vide Keiran che sfoderava le sue, non erano niente in confronto a quelle di suo padre. Le sue erano più grandi e più folte, molto più resistenti, visto che era nato come guerriero e non come guardiano.
Lei, Belle e Chris rimasero a casa, visto che non avevano ancora i loro poteri, mentre gli altri tre Nephilim potevano partire. Anche a casa di Aidan erano stati avvertiti e adesso si stavano radunando tutti da Paride per inventare un piano d’azione.
Nell’ampio soggiorno si materializzò Elia, nero in volto.
-brutte notizie, ragazzi.. vedo che le sapete già-.
-si, siediti e sistemati, si combatte- disse Paride all’amico.
Chris era seduto sulla sedia e teneva la testa fra le mani.
-cosa succede?- gli chiese Belle.
-non lo so, all’improvviso mi è venuto il mal di testa, credo che i demoni siano molto più vicini di quanti ci aspettiamo-
Dalla porta risuonarono tre rintocchi, una mano leggera, ma decisa aveva bussato alla porta. L’odore del Zolfo stava letteralmente invadendo l’aria. Gli angeli si misero sull’attenti e contrassero i muscoli, come per attaccare al primo movimento sospetto.
Paride si avvicinò lentamente alla porta e poggiò la mano sulla maniglia. L’aprì di scatto. Davanti a lui c’erano tre figure distinte: due donne e un demone allo stadio originale.
-A-a-dele- disse quasi sconvolto.
-con Vivian e Ilaj- aggiunse la donna sorridente e compiaciuta, -né è passato di tempo, vero maritino mio?-
Paride rimase senza parole, come tutti gli angeli lì dentro. Non sapeva come reagire in quella situazione, ma non poteva di certo stare fermo.
-Aidan, hai ricevuto la mia lettera, spero?- chiese all’angelo, che era l’unico che non si era sorpreso.
-si- rispose lui.
Gli angeli si girarono verso Aidan e lo guardarono esterrefatti, l’unico a sembrare deluso era Keiran.
-amico, cos’è questa storia?- chiese con la voce quasi spenta.
Aidan non sapeva cosa rispondere, sapeva che i suoi amici non avrebbero condiviso un’alleanza del genere e sapeva anche che avrebbe dovuto dirglielo prima, forse per prepararli, o forse solo per correttezza.
-io…- so bloccò. Non aveva pensato a cosa dire in quella situazione.
-ci siamo mantenuti in contatto dopo la mia morte- disse Adele, -per il ritorno di Paride- disse accarezzando il braccio al marito. Lui abbassò lo sguardo verso la sua mano e rivide la stessa che stringeva quando passeggiavano insieme. Sapeva anche lui che si sarebbero rivisti, ma non immaginava come si sarebbe sentito il giorno che ciò sarebbe successo e anche se si fosse fatto un’idea, non sarebbe mai stato neanche lontanamente paragonabile a quello che provava in quel momento. Era qualcosa di simile a felicità e tristezza insieme. Era felice perché rivedeva sua moglie, ma triste perché era un demone e ne percepiva il potere oscuro che usciva dai suoi occhi diversissimi da quelli che erano, adesso avevano un non so che di malvagio.
Adele sporse lo sguardo dietro di lui e non poté non riconoscere i tre seduti alla tavola: i suoi figli. Il sorriso a trentadue denti che aveva in volto brillava più che mai, tra le tante cose che aveva in programma prima dell’apocalisse era di rivederli, tutti e sei.
-ciao- disse piano, con una stretta alla gola, -siete cresciuti-. Era una frase scontata, certo, ma cosa poteva dire se non li rivedeva dalla sua scomparsa. Gli angeli continuavano a non proferire parola, ma quella scena gli fece tenerezza e capirono che c’era qualcosa di più dietro.
-qualcuno mi spiega?- chiese Omar interrompendo la scena. Gli altri gli rivolsero uno sguardo tipo “non impari mai a chiudere la bocca?”.
Si erano sistemati bene e Paride spiegò loro tutto la storia per filo e per segno. Parlò loro del fatto che aveva chiesto lui ad Aidan di non perdersi di vista con Adele e che se lui le aveva aiutata fino ad allora era solo per un suo volere e che se avevano qualcosa da ridire potevano esprimersi liberamente, ma tutti tacquero.
-quindi anche la scomparsa di Julia era pianificata?- chiese Chris, seduto vicino alle sorelle minori.
-si- rispose Ilaj, -da prima ancora che tutto questo cominciasse, ma per quello non c’entra tuo padre, sono stato io a volerla nell’oblio-. Disse con tono canzonatorio, come se al Nephilim potesse far piacere.
-penso che abbiamo già perso molto tempo, dobbiamo andare, ormai saranno già arrivati alle mura- disse Paride allo squadrone. Si alzarono e uscirono in fila e organizzati in gruppi da tre; Paride, Aidan e Keiran erano in gruppo insieme.
Prima che i tre Nephilim maggiori uscissero Adele li bloccò sull’entrata.
-siete diventati bellissimi- disse a tutti e sei, gli unici rimasti dentro. Accarezzò la guancia di Kaleb e gli prese la mano, -sei diventato un uomo- aveva praticamene le lacrime agli occhi.
-bambine- disse rivolgendosi a Heather e Belle, -quando tutto questo sarà finito, vi potrò finalmente conoscere-.
Le sorelle la abbracciarono amorevolmente e scoppiarono entrambe in lacrime, non sapevano se felici o di amarezza, per aver incontrato loro madre o per il fatto che fosse un demone, ma sapevano entrambe che non potevano staccarsi da lei.
-smettetela o farete piangere anche me- disse Kevin.
-mi dispiace tanto- disse Adele, -vorrei non essere un demone, vorrei non avervi mai abbandonato-.
-mamma, tu..- disse Kaleb senza riuscire a finire la frase.
-questo non cambia il fatto che sei nostra madre- disse Nicole.
Ci fu un lungo abbraccio di gruppo e i tre Nephilim con i tre demoni lasciarono la casa per andare a combattere. Adele si voltò verso i figli che restavano a casa aspettando il suo ritorno, come faceva a digli che non sapeva se sarebbe tornata. Pur essendo potente, sapeva che Ammon e il suo esercito erano imbattibili. Permise a una lacrima di scenderle giù dalla gote. Una lacrima fredda.

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Capitolo 18
*** L'inizio dello scontro ***


Per tanti la notte era solo una notte, magari da passare con gli amici in discoteca, o andare al cinema, o magari semplicemente dormire. In pochi, anzi nessuno poteva vedere l’armata di demoni che camminavano a mezz’aria. Gli angeli però erano diversi e i loro occhi guardavano oltre la materia, per loro c’era un’altra dimensione, quella dell’energia. Quella che si stava avvicinando a grande velocità era una grossa macchia nera nel cielo, che oscurava le stelle. Sbalorditi dalla quantità di demoni che erano venuti per lo scontro decisero che avrebbero giocato di testa e solo con le loro capacità. Erano già divisi in gruppi e decisero che ogni gruppo avrebbe dovuto fare la sua parte. Il primo passo era impedire che abbattessero il muro e sarebbe dopo seguito l’uscire e sconfiggerli, quella in teoria doveva essere la parte semplice, perché non avevano la minima idea di come si poteva impedire al muro di crollare, sarebbe stato più facile sapere qual’era la tattica dei demoni, peccato che dialogare non fosse tra i loro piani.
 
I demoni erano ormai a pochi metri dalla barriera. Gli angeli li osservavano come statue dalla parte opposta, armati e inermi, non per paura, ma per abitudine, non ci muoveva mai prima dello scontro. Anche loro a mezz’aria con le ali aperte dietro la schiena che battevano per tenersi a quell’altezza.
Davanti a loro Paride brandiva due spade corte, dalla bellissima impugnatura. Vi era rappresentato un drago che si girava per sputare il fuoco incandescente che era la lama. Partiva rossa e diventava sempre più lucida mana mano che raggiungeva la punta fino ad avere una sfumatura dal rosso fuoco al viola trasparente. Potevano sembrare due banali giocattoli, ma nelle mani di Paride quelle antiche reliquie erano un’arma difficile da contrastare.
 
-Paride- chiamò Ammon quando si trovava davanti al muro, -ti trovo in forma-.
-io no- rispose lui, -servi ancora Lucifero? Non hai ancora aperto le ALI della libertà?- disse canzonandolo.
-conservo ancora quella cosa informe che ti cresceva sulla schiena in una teca della mia casa in Paradiso- aggiunse cambiando espressione.
-smetterai di scherzare, credimi, ti strapperò le piume una ad una- disse minaccioso, poi si voltò verso il suo esercito alzando l’ascia.
-abbattete il murooo- lanciò quel grido e l’intero esercito si apprestò a lanciare fiamme verso la barriera, che però sembrava reggersi in piedi anche dopo tanti colpi.
Paride si lasciò scappare un sorriso.
-non ce la farete mai- disse sicuro di se.
-fossi in te non ci scommetterei- disse tra se e se il demone. Si voltò verso l’angelo e con un sorriso malizioso soffiò il fuoco nero simile a quello dell’oblio verso la barriera, ma quella non si graffiò nemmeno. Sbalordito il demone si arrestò, come avevano fatto gli angeli a costruire qualcosa di così resistente? Doveva per forza esserci un modo per abbatterlo, non poteva stare fermo mentre gli angeli lo guardavano con sorrisi derisori. Non era arrivato fin lì per tirarsi indietro. Stavano sicuramente usando una magia diversa per tenerlo eretto, mentre rimuginava sulla loro strategia notò il volto sorridente di Paride, un sorriso di trionfo.
Paride dal conto suo si aspettava qualcosa di più elaborato e complesso da parte di un generale demone, ma si era sbagliato, Ammon si era lasciato guidare dall’ira e non aveva calcolato bene le possibilità, a differenza di lui, che su quello scontro non ci dormiva la notte.
Ammon però aveva capito che gli angeli erano pochi in confronto a quelli che si aspettava, voleva vedere centinaia di angeli volare sul cielo di Friburgo, invece aveva davanti solo quella dozzina, ma anche così sembravano pochi,all’appello mancavano delle essenze, ne era sicuro. Tanto per cominciare Diana. Sapeva di lei perché era caduta ferita dal cielo e lui l’aveva vista, ma tra quella schiera non la trovava, possibile che non combattessero tutti?
Gli venne un’idea in mente, anche gli altri combattevano, ma non stavano lì forse per tenere in piedi la barriera, così si spiegava anche come fosse indistruttibile, in tal caso bastava colpire là dove era più debole e cioè dove poggiavano le mani degli angeli. Da lì l’energia si liberava per il resto della barriera ed essendo Friburgo una città grande e gli angeli dovevano sforzarsi molto per tenere eretta barriera e per farlo dovevano distribuire bene la magia, dove stavano loro non ce n’era bisogno, perché c’erano già a fare da guardia e quindi dovevano per forza essere quelli i punti deboli. Oppure c’era la possibilità opposta: cioè che l’energia fosse più debole nei punti più lontani.
Volteggiò in aria, sopra alla città e agli occhi di Paride che era già in posizione di contrattacco. Da là si poteva vedere bene la barriera, i punti più deboli erano infatti quelli in alto. Diede l’ordine.
Per gli angeli fu come una reazione naturale, si spinsero in alto con un solo battito d’ali. Sembravano pallottole pronte a infrangere un vetro, quando si fermarono formarono sotto di loro delle forti correnti d’aria. Fu Paride ad appoggiare la mano sul muro e a rilasciare una forza d’energia tale da lasciare sbalorditi i demoni.
-Non potete andare avanti così per sempre- disse Ammon.
-Neanche voi- replicò lui di tutta risposta.
Il demone tentò un altro attacco, andato a vuoto e dopo un altro ancora. Paride non sembrava cedere e nemmeno stanco, ma un sorriso beffardo si dipingeva sul suo volto ogni qualvolta Ammon non penetrava il muro di fuoco.
Fu quel sorriso a spingere Ammon nelle condizioni in cui resisteva adesso: divorato dalla rabbia e dalla frustrazione, un pessimo senso di inferiorità. Il demone parve perdere il controllo.
-Attaccate le città vicine- disse al demone affianco, -immediatamente!-
-Si, mio signore- rispose lui impaurito dallo sguardo folle del padrone.
-Paridee- chiamò forte, -finché non verrete fuori attaccheremo gli abitanti delle città vicine!-
-Cosa? Vi vedranno se li attaccate, gli umani non devono vederci,- fece lui come per rimproverarlo, però era così. Angeli e demoni non potevano farsi vedere dagli umani. Di solito usavano incantesimi per rendersi invisibili, come in quel caso, ma generalmente era vietato da entrambe le fazioni. Adele aveva coperto tutte le tracce della sua presenza e del suo passaggio ovunque era stata, perché era così che bisognava fare, lo stesso valeva per gli angeli. Anche durante guerre e grandi scontri gli umani non li vedevano e restavano sempre all’oscuro di tutto.
-Fermami allora- gli disse con un ghigno e si allontanò camminando sempre su quella strana lastra invisibile, su cui poggiavano piede tutti i demoni, di cui la metà lo seguì.
Paride strinse i denti, non sapeva se il demone stava facendo seriamente o se era solo un bluff, ma doveva assolutamente reagire. Scese a terra, dove in un negozio vicino ad un distributore di benzina c’erano Adele e gli altri due.
-avvertite gli altri che usciamo, NON DEVONO VENIRE TUTTI, QUELLI CHE DEVONO MANTENERE LA BARRIERA RESTANO QUI- disse schiarendo l’ultima frase.
-come vuoi tu, biscottino-.
-E ti prego non usare nomignoli in pubblico-.
-Ok, userò solo biscotto- gli disse lei prima che partisse il volo, anche se non sapeva se lo aveva ascoltato o meno.
 
I demoni atterrarono nella piazza della città vicina. A quell’ora della notte le strade erano deserte, ma il loro atterraggio risvegliò gli abitanti della zona anche a chilometri di distanza. Un passante che stava al cellulare li vide e cadde all’indietro.
-S-s-to sognando?- chiese a uno di loro.
-No- rispose quello, -sta morendo- e lo incendiò.
La prima vittima.

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Capitolo 19
*** Angeli danzanti ***


Non ricordo bene quando accadde, insomma stavo dormendo, ma sono certa che mi trovassi a Friburgo o nelle vicinanze quella terribile notte.
Casa mia si affacciava sulla piazza di una città vicina a Friburgo. Ricordo che dalla mia finestra entrò un aria freddissima, quasi invernale, eppure eravamo solo in autunno, le finestre si spalancarono da sole e sbatterono violentemente contro il muro. Fu il rumore a svegliarmi, la prima cosa che notai fu che il termometro dell’orologio indicava otto gradi sotto zero, pensai subito che si fosse rotto, solo poi mi accorsi dell’incredibile rumore che veniva da fuori, c’era gente ovunque, correvano via spaventati da non so cosa, l’ho detto, mi ero appena svegliata dal sonno. Vidi una donna girare l’angolo e sono quasi sicura che quello che uscì dal suo ventre fu un braccio nero come la pece, le passo lo stomaco da parte a parte, lei rimase in piedi per un po’, probabilmente quella donna aveva visto il suo assassino, ma io dalla finestra della mia stanza non capivo molto bene cosa stesse succedendo, solo vedevo gente scappare spaventata per la strada e gridare con un accento di incredulità che c’erano delle cose. Cose. Mai sentita definizione più vaga.
Presi il telefono, i miei genitori non vivevano lontani da Friburgo neanche loro, pensai di chiamarli, mi ero allarmata molto e volevo sapere come stavano o come minimo cosa stava succedendo, lasciai dei messaggi in segreteria, non mi rispondevano. Mi misi un giubbotto e uscii di casa anche io, intesi subito che fossimo stati attaccati da un paese confinante, magari la Francia, oggi realizzo quanto fossero stupidi i miei pensieri. Presi la macchina e mi precipitai verso Friburgo seguendo la strada che portava sulle sue vie principali. Il traffico era quasi insostenibile, non si riusciva a muoversi per le strade. Bloccata ad u incroci, impossibilitata a muovermi con la macchina da nessuna parte lo vidi per la prima volta, volava alto tra le nuvole e altre figure alate, ma era diverso, pareva danzare. Le altre figure alate parevano essere invece a metà tra un combattimento e l’equilibrio del fisico, sembravano pure un poco goffi, goffi, ma potenti, dalle loro armi si vedeva uscire un fiamma incandescente rossa o di altri colori, i loro simili neri invece non avevano armi del genere anche se sembravano in netto vantaggio numerico, ma molto più in svantaggio riguardo all’arte di danzare a mezz’aria. Non c’era dubbio che si trattasse di angeli e demoni, pure io che non credevo in dio me ne convinsi poco dopo. Spiccava molto una figura in particolare, un demone, sicuramente, con un ala sola, stava combattendo contro l’angelo danzante, furioso, iracondo, ma come se si divertisse.
Notando che il traffico non si muoveva, decisi di lasciare la macchina e di continuare a piedi, in quelle condizioni, non sarei arrivata a Friburgo prima, al massimo l’auto mi avrebbe solo rallentato.
Seguendo la strada riuscii a fare in cinque minuti quello che avevo fatto in un quarto d’ora.
Friburgo distava due ore a piedi, ma cosa erano due ore di camminata in confronto a quello che stava succedendo sopra le nostre teste.
In cielo ci fu una sorta di esplosione, una grande macchia rossa tinse le nuvole e sia demoni che angeli che umani si fermarono per un istante, un immagine strana si formò in quella luce, sembrava un cerchio di rune incastonato con un altro cerchio simile, un linguaggio incomprensibile. Lo spavento mi spinse a correre più forte, verso una città che poteva offrire protezione. Un grido straziato mi scosse dalla mia corsa, il grido veniva dal cielo, l’angelo danzante stava gridando contro l’immagine runica, ma il suono della sua voce non era quella cosa soave che ci aspetta da un angelo, sembrava distrutto, o meglio dire, straziato, non conoscevo l’origine di quell’azione, ma supposi fosse grave. Mi fermai vicino ad una fermata dell’autobus, non riuscivo più a correre, le gambe non reggevano la fatica.
L’angelo attaccò il demone sempre con più foga, avevo la sensazione che davvero stesse per abbattersi un’apocalisse su di noi, speravo fosse solo un sogno, un terribile incubo da cui ci si potesse svegliare la mattina dopo. Vidi l’angelo combattere e non danzare e dedussi dai suoi movimenti forti e attacchi potenti che fosse furioso. Cercai di correre verso la città di Friburgo dove si stavano dirigendo tutti e da lì avrei potuto trovare i miei genitori molto più facilmente, ma qualcosa mi bloccava, non era semplice fatica. La vista si appannò per un istante, e per quell’istante mi parve di vedere di fronte a me l’immagine sfocata di un uomo, che scomparve pochissimo dopo. Respiravo male, e coordinavo male i movimenti, infondo si trattava solo di correre, no? Eppure sembrava difficile, non riuscivo a mettere i piedi bene, caddi. Rotolai per un po’ su una strada che andava in discesa. Quando riaprii gli occhi non era cambiato niente, stava andando tutto uguale a prima, non era passato neanche un minuto, sentivo solo un gran male alla caviglia, me la ero slogata. Imprecai contro il cielo e provai a rialzarmi, ma senza risultato.
Dei passi dietro di me. qualcuno che si avvicinava con una tranquillità insolita.
-Ciao, hai bisogno di aiuto?- si trattava di un uomo vecchio e calvo, un po’ in carne.
-Chi sei tu?- chiesi preoccupata e arretrando.
-Mi chiamo Vathek- disse, -non te l’hanno mai detto che non bisogna mai allontanarsi dal gruppo, se si è soli è pericoloso- disse muovendo dei passi nella mia direzione.
-Che cosa vuoi?- chiesi cercando di sembrare pericolosa, ma con la mia vocina bassa non poteva incutere timore a nessuno.
Abbozzò qualcosa di simile ad un sorriso e non vidi più niente, solo nero sopra, sotto e ovunque intorno a me.
-Non preoccuparti, ti prendo solo in prestito- la voce veniva dalla mia testa. Capii che si trattava di un demone che si era impossessato del mio corpo, forse se ne stava impossessando già mentre correvo.
Imprecai e bestemmiai quanto più potei, ma non c’era modo di uscirne. Persi conoscenza e svenii.

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Capitolo 20
*** Un piano per la salvezza ***


“La terra sembra così lontana vista da qui. Nonostante ciò non c’è niente che non riesca a cogliere.”
Zaccaria stava ancora osservando dalla sua finestra. Stringeva i pugni, ma in vano, doveva aspettare. Voleva solo buttarsi nella mischia, uccidere tutti i demoni, e perché no, anche tutti quei disertori, ma non poteva, non ancora. Nel silenzio più assoluto, rifletteva sui suoi gesti, non era ancora sicuro di quando fossero giusti. Aveva deciso da tempo di conquistare il paradiso e renderlo ciò che MiKael non era riuscito a fare. Voleva che la giustizia scorresse tra le strade dei suoi fratelli come fiumi in piena e che magari, lo acclamassero, come veniva acclamato Paride dai suoi uomini. Ma lui non era tale. Lui non era Paride, era sporco e corrotto e la cosa peggiore era che ne era cosciente. Sapeva di aver peccato più volte, ma sapeva anche che il suo scopo era troppo importante per lasciar perdere.
“Mikael”.
Il pensiero che gli arcangeli stavano distruggendo la loro stessa casa lo mandava fuori di se, sentiva la rabbia ribollire alla sola idea che tutta la guerra combattuta millenni fa era stata inutile, perché Lucifero viveva, aveva potere, la corruzione era rimasta e con esso anche l’odio verso gli umani che erano ritenuti colpevoli di esistere. Aveva esitato molto, ma alla fine aveva ceduto, aveva permesso a Octavian di usarlo per i suoi subdoli scopi.
Si alzò dal suo scranno e andò da lui, esigeva che gli riferisse definitivamente cosa aveva in testa.
Rimase paralizzato dalla sua stanza. Gli aveva detto che poteva arredarla come voleva, ma non si aspettava niente del genere. Le pareti erano nere, ovunque regnava l’oppressione più assoluta capace di far sentir male persino un arcangelo.
-Octavian!- chiamò forte il suo nome. Lo trovò affacciato alla finestra, anche lui guardava in basso.
-Mira questo spettacolo, Zaccaria, gli angeli stanno danzando- disse in tono cupo, -non trovi anche tu che non ci sarà neanche bisogno del nostro intervento?-.
Zaccaria lo guardò senza rispondergli, sapeva che le sue erano solo provocazioni.
-Quali sono le tue vere intenzioni, Octavian? E’ evidente che non è per nostro fratello che sei voluto venire qua su-.
-Ti sbagli- rispose lui, guardandolo con la coda dell’occhio, -è proprio per lui che sono qui. Io lo voglio libero, sai?-
-Non ti capisco-
-semplice, tu, mio caro alla fine di tutto questo governerai il paradiso, mentre io diventerò l’incontrastato signore dell’inferno-.
Zaccaria poteva dirsi sconvolto. Era questo che bramava sin dall’inizio, aveva causato apposta questa guerra, aveva contattato Ammon, che desse inizio a tutto e poi aveva corrotto lui, perché lo facesse entrare in paradiso, dove sarebbe stato al sicuro da qualunque pericolo. Si sentì come una pedina su una scacchiera in cui lui valeva meno di un soldato. Prima che quella guerra finisse, sarebbe stato lui,con il suo esercito, ad intervenire e a sconfiggere Ammone e i suoi demoni, ma le cose erano andate diversamente, i piani dei due angeli non combaciavano.
-Che cosa vorresti dire con questo? Che hai intenzione di tradirmi?-
Octavian si voltò di scatto.
-Io? Fare una cosa così subdola?- aveva azzeccato in pieno l’aggettivo adatto. Era quello che più descriveva il carattere di Octavian.
-Come potrei io, con le mie sole forze liberare il demonio? Mi sembra evidente, Zaccaria che mi servono i tuoi uomini-.
Continuava a non capire di cosa stesse parlando il compagno. Non fece in tempo a finire un ragionamento che il gladio di Octavian già gli perforava l’addome costringendolo ad inginocchiarsi. Estrasse l’arma e mostrò un ghigno folle.
-D’ora in poi sei inutile, Zaccaria, tu non servi alla mia missione-.
Zaccaria cadde in una pozza di sangue nero e viscido. L’odore acre procurava a Octavian un senso di piacere. Non si fermò molto a contemplare la sua opera, prese le sembianze di Zaccaria e uscì dalla stanza.
 
Kaleb guardò in alto. C’era un volto conosciuto. Il sangue scendeva a fiotti dal petto, ma non voleva arrendersi. Octavian lo guardava senza un espressione definita. Girò il gladio ancora affondato nel suo sterno, per provocargli un dolore più atroce e farlo morire prima.
In cielo si formarono dei simboli, delle rune angeliche. Il grido di Paride salì forte, lo sentirono tutti. Era morto suo figlio, lui lo sapeva, quel simbolo era l’unica cosa che non avrebbe mai voluto vedere, gli si spezzò il cuore. Octavian lo osservava combattere in cielo, aveva fatto di tutto per non far venire i demoni a Friburgo, ma alla fine sarebbe stato un angelo a ucciderli tutti e sei.
 
Heather stava correndo, era come nel suo sogno, ma più spaventoso, Friburgo era in fiamme, proprio come aveva premonito, gli angeli in cielo ormai li avevano visti tutti. E lei aveva visto qualcosa in più, aveva visto Octavian che recitava una formula, una litania incomprensibile, però era lontano. Era d’istinto andata a cercare la madre, ma nel negozio vicino al distributore di benzina non c’era nessuno, neanche i due che la accompagnavano sempre. Disperata la stava cercando nei sobborghi, non aveva la più pallida idea di dove trovarla. Poi quella scritta in cielo, il grido di suo padre. Correva con le lacrime agli occhi, non riusciva a tenersi dentro il dolore, ma si era imposta di non arrendersi, di continuare. L’idea che qualcuno all’interno aveva ucciso suo fratello ,le divorava l’anima e il fatto che sua madre fosse scomparsa poco prima la riempiva di dubbi. “Dimmi che è solo una coincidenza, mamma ti prego, dimmi che mi sbaglio”.
Pervasa dalla paura, ecco cos’era. La corsa la portò d’istinto davanti alla cattedrale, entra. Era tutto come nel suo sogno, le persone si erano rifugiate dentro. Ormai lo avevano capito cosa sta succedendo, avevano cominciato a pregare anche chi non lo aveva mai fatto. Già, tutti dentro la cattedrale, perché Friburgo brucia. E Kaleb non c’è, non la può aiutare, neanche Chris è con lei, è andato via con il suo bastone appena ha visto Octavian, insieme a Kevin e a Nicole sta cercando di stanarlo, ha con se il suo bastone, lo ha sempre tenuto con se, da quando erano partiti dall’Italia. Era dentro. Si inginocchiò e scoppiò in lacrime, non ce la faceva a tenersi tutto dentro, la rabbia per essere così debole e inutile la divorava.
“Kaleb, ti prego dimmi che mi sbaglio, dimmelo, ti prego, toccami la spalla e dimmi che è solo un brutto sogno, Kaleb… Kaleb…”.
Mise d’istinto la mano nella borsa e ne estrasse la mappa, la stessa con cui Paride aveva barattato la sua salvezza, quella che indicava la gabbia del demonio. La fece in mille pezzi: se la vita era così dolorosa avrebbe voluto dormire in eterno. Quel pensiero la accarezzò in quell’attimo, dormire per sempre, se lei fosse morta, non uccisa da Octavian, sarebbe tutto finito, lui avrebbe lasciato stare, non poteva liberare Lucifero senza l’ultima chiave, ne era certa. Aveva bisogno di Elia.

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Capitolo 21
*** E' guerra ***


I corpi dei ragazzi giacevano a terra su pozze di sangue. Octavian teneva in mano il suo gladio e serrava i denti in un ghigno brutale. Nicole era ancora in piedi davanti a lui, con il bastone di Chris in mano, ansimante.
-Tanto non ce la farai- balbettò la ragazza.
-Come scusa? Non ho sentito- disse l’angelo muovendo dei passi verso di lei.
-TU NON CE LA FARAI-
Gridò in preda alla disperazione. Serrò sempre più forte i pugni sul bastone e con un grido si scagliò contro l’angelo cercando di colpirlo, ma i movimenti di Octavian erano troppo veloci per lei. Il bastone mancò il bersaglio andando a finire sul freddo asfalto. Da dietro sentì la lama entrare nella carne e passare proprio nel cuore. La lama ora era davanti ai suoi occhi e sbucava dal petto. Le sembrò quasi di non accorgersene quando accadde, semplicemente un dolore atroce e poi più niente, come se finalmente si potesse trovare la pace. Cadde a terra con gli occhi aperti e un grido muto sulla bocca. Era già il quarto cerchio che si disegnava in cielo.
-Ne mancano solo due- disse tra se e se l’angelo.
 
Adele stava davanti all’appartamento del marito. Entrò decisa e si precipitò nelle stanze dei figli.
-Dev’essere qui- aveva semplicemente detto.
-Cosa dev’essere qui?- aveva chiesto Vivian preoccupata che fosse tornata pazza.
-Adele, fermati un attimo e spiegaci- Ilaj l’aveva presa per un braccio e la stava tenendo ferma mentre lei cercava di divincolarsi dalla presa.
-loro l’hanno nascosto qui da qualche parte…-
-Di cosa parli- insistette Vivian.
-della catena- rispose lei guardando il vuoto e continuando a ripetere quella parola.
-Quale catena- adesso Vivian stava cercando di calmarla, le prese la testa e la costrinse a guardarla negli occhi, vide una grande paura e molto di quello che tutti vedevano all’inferno.
Si riprese, per quanto il suo sguardo stesse ancora vedendo qualcosa che lì non c’era.
-ero ancora viva- disse tra le lacrime, -io la volli comprare e Paride la benedisse-. Dal suo tono si capiva che stava viaggiando indietro nel tempo, stava attraversando tutti quei ricordi che riguardavano la sua vita prima dell’inferno.
-C’è un braccialetto che può risolvere tutto questo, ma non so dove sia- disse piano, -Mi piaceva tanto e glielo presi, poi Paride lo benedisse perché potesse sempre salvare come un piccolo angelo custode-
-Che cosa stai dicendo, Adele? Quale braccialetto o catena?- non capivano, ma la lasciarono un attimo, dato che sembrava essersi calmata. Vivian le accarezzò la testa le prese una mano.
-Mostramelo- le disse con un tono contenuto, che non lasciva trasparire la sua tensione.
-ce l’aveva Kaleb, ma non credo che oggi lo abbia preso con se, dev’essere in camera sua- le disse stringendole ancora di più la mano.
-Perché non mi dai più del lei?- stava tornando a peggiorare, di nuovo, la sua mente stava andando di nuovo in confusione, le anime si stavano ribellando al suo controllo, ancora un po’ e avrebbe più avuto il controllo del suo potere, niente più controllo.
-Portala via, al sicuro, incatenala da qualche parte e non lasciarla scappare- Vivian prese il controllo della situazione. Ilaj annuì e scomparve con Adele, Vivian si diresse immediatamente in camera del ragazzo. Il braccialetto era lì, sul comodino, sembrava nuovissimo ed emetteva una strana luce bianca purificatrice, ma non era letale per lei.
 
Heather stava ancora correndo verso un punto in cui lo scudo della città era più debole, non sapeva come, ma sarebbe riuscita a richiamare Elia, aveva un piano in mente, ma sembrava un suicidio, fino ad allora non aveva mai messo n gioco la propria sicurezza, ma quali altre scelte le rimanevano? Ad un punto della strade vide Ilaj trascinare sua madre per un braccio.
-Ehi, che le stai facendo?- corse incontro al demone e cercò di riprendersi la madre.
-Lascia- ordinò, -Tu non dovresti stare qui-.
-Non mi dici tu devo stare- aveva un espressione furiosa e decisa.
-Tu madre sta male, è fuori di testa, la sto portando al sicuro, ok? E adesso vattene e non farti trovare se ci tieni alla pelle-.
Heather lasciò la madre e vide nei suoi occhi quel che di folle di cui il demone le aveva detto, con le lacrime agli occhi.
“Mamma resisti, ti prego”.
La sua corsa fu bloccata da una donna. Alta di mezza età, ancora in pigiama, gli occhi completamente velati di nero, un demone. Doveva aver trovato il punto debole del muro ed essere entrato, per un attimo pensò che erano entrati anche altri. Era di pietra. Lei non sapeva combattere e tantomeno aveva dei poteri sviluppati come Kaleb, che avrebbe potuto affrontare quel mostro anche subito, magari vincendo, ma ora lui non c’era ed era sola, perché ormai nessuno c’era più.
-Ma dove vai con tutta questa fretta?- disse con una voce distorta, -Non dovremmo risolvere un piccolo problema, che abbiamo da molto tempo-
-Chi sei tu?- chiese indietreggiando. Non riusciva a nascondere la paura. Fino a quel momento le emozioni erano state tutte troppo forti per riuscire a coprirle con l’indifferenza.
-Ma come, non ti ricordi? Sono quel brav’uomo che vi da la caccia la sempre-.
Heather ci pensò un po’ su, non aveva dubbi su chi fosse ormai, ma le sembrava irrealistico.
-Non dovresti trovarti in mezzo all’oblio, Vathek?-.
-Dovrei, o non dovrei, chi lo sa?- aprì la mano e vi apparse una luce nera. Guardò Heather con la coda dell’occhio e la scagliò verso di lei, ma anche Heather aveva n senso sviluppato e anche se non si era allenata aveva dei bei riflessi. Schivò con facilità la sfera, prese un coltellino svizzero che teneva sempre con se, non era molto, ma meglio di niente. Vathek si materializzò a venti centimetri da lei e alzò un gladio dalla lama oscura che sembrava essere fatto di ombra per colpirla al collo, ma lei scartò di destra e infilò la lama nel collo del demone, senza ottenere alcun risultato. La mano di Vathek si strinse sul braccio cercando di romperlo, il coltellino era rimasto nel suo collo. Con un movimento rapido riuscì a fuggire alla sua presa e cadde a terra. Riuscì a malapena a vedere il gladio colpire la spalla e affondare fino a frantumare l’osso. Il dolore fu lancinante, le si annebbiò la vista. Con una mano teneva la spalla, non si sentiva più un braccio. L’ombra della lama affondò un’altra volta su una gamba, lacerandole una coscia. Con la gamba buona cercò di spingersi indietro, ma incontrò solo il vetro di un negozio. Aveva perso molto sangue e stava perdendo i sensi, lentamente il mondo perdeva consistenza, sotto la sua mano sentiva la spalla rotta, le ossa che facevano il rumore dei giocattoli quando si rompevano e non voleva sapere come stava la gamba. Pensò davvero che sarebbe stata la sua fine, chiuse gli occhi forte, consapevole che un altro colpo sarebbe calato su di lei, magari sulla pancia o sulla gola, sperò solo che non le facesse troppo male. Invece di un ultima stoccata sentì un boato di ali che si muovevano nelle vicinanze. Aprì gli occhi e davanti a lei vide Ilaj con una spada simile a quella di Vathek. Il demone aveva buttato a terra l’altro che adesso cercava di scappare, notò una grande macchia nera sullo stomaco di Vathek. Adesso strisciava all’indietro mentre Ilaj lo seguiva lentamente. Non poteva vederlo, ma era certa che avesse un ghigno perfido disegnato sul volto, infondo anche se era un alleato restava comunque un demone.
-Sei stato tu, Vathek- sbraitò al demone terrorizzato. Gli diede un calcio in faccia rompendogli la mandibola e lasciandogli un livido sullo zigomo.
-Tu hai mandato me nell’oblio e Vivian all’inferno. Sei stato tu a costringerci a questa vita da demoni, a questa miserabile esistenza. Ho sentito il tuo fetore a chilometri di distanza-.
La spada lunga di Ilaj affondò nella gola di Vathek, nell’istante stesso il suo gladio era penetrato nel petto del giovane Puro, anche se ormai demone. Dal corpo della donna si levò una luce nera che si dissolse poco dopo. Ilaj era caduto a terra, non definitivamente morto. Il gladio era arrivato al cuore, ma forse poteva ancora salvarsi. Heather si alzò su una gamba e andò zoppicando dal demone. Estrasse la lama con un colpo secco e la gettò via, poi prese una mano di Ilaj e la strinse forte.
-Grazie- bisbigliò piano al demone, -Mi hai salvato la vita, te ne sarò eternamente grata, grazie- disse ancora. Le mancavano le forze, ma vide Ilaj chiudere gli occhi e lo sentì diventare freddo. Anche lei cadde lì vicino, la testa sul suo petto imperlato di sangue, le forze la stavano lasciando, aveva perso molto sangue e non ce la fece a mantenere aperti gli occhi, non sentì neanche quell’ultima parola sulla bocca di Ilaj.
-Vivian…-.

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Capitolo 22
*** Ritorno/ scambio ***


Il buoi avvolgeva ogni singola cosa, i corpi, le luci, i suoni, l’unica cosa che si sentiva era il nulla, il resto erano solo ricordi, ma neanche in quelli che c’era suono o colore, il nero più assoluto.
Chris non sentiva più le sue mani, o le sue gambe, solo un sacco di confusione, ma non sapeva dove, nella testa forse, se solo avesse saputo dove stava. Sapeva che c’era Octavian e che aveva ucciso gli altri, restavano solo Heather e Isabelle e ovviamente sua madre e suo padre. Si sarebbe mosso se solo avesse sentito gli arti, ma niente, tranne qualcosa, qualcosa che sentiva poco più sotto di non sapeva cosa. Batteva a un ritmo veloce, ma misurato, senza il minimo rumore.
-Sei solo coscienza- la voce gli giunse familiare, ma non la sentì, era più qualcosa che sapeva di sentire, ma che non riusciva a farlo.
-Non preoccuparti, sistemerò tutto io- disse, anzi seppe di nuovo. Questa volta però era riuscito a ricordarsela: era Julia!
Provò di parlare, ma non ci riuscì, allora la voce gli disse ancora di aspettare, provò a rilassarsi, ma non ce la faceva, non aveva il minimo controllo di se stesso, non poteva percepire neanche una minima parte dei suoi nervi. Ad un tratto una luce bianca lo colpì irradiando l’ambiente e donando gli una sensazione sempre crescente di prendere possesso delle sue facoltà. Davanti a lui vide il sorridente volto di Julia. Ricambiò con tutto se stesso quello che vedeva.
-Julia...- riuscì a dire solamente, -io.. mi dispiace..- abbassò la testa per non incrociare i suoi occhi, ma lei gli alzò il volto fissandolo direttamente nelle pupille.
-Va bene così- fu la sua lapidaria conclusione. Senza dire niente gli prese la mano e lo fece uscire da dove si trovava, una buia stanza stretta, che sembrava una tomba, e lo portò in una zona illuminata di nero, intorno a lui fuoco, nero anche a quello e in mezzo alle fiamme: anime, o almeno suppose che si trattasse di quelle.  Julia lo teneva per una mano e lo tirava con dolcezza verso una colonna di fuoco nero, più vi si avvicinava più sentiva gli arti e la testa e i rumori non erano più solo una consapevolezza. Si rigirò per vedere da dove diavolo era uscito e mirò una colonna di fuoco altrettanto alta e imponente. Fu quando si voltò di nuovo verso Julia che notò che l’amica non toccava terra con i piedi, ma bensì fluttuava nell’aria.
Ad un passo dalla colonna di fuoco si fermarono e Julia gli lasciò la mano. Si mosse sicura dinnanzi a lei. Quello che fece poi lasciò di stucco Chris. Entrò nella colonna, rimase dentro per un indefinibile tratto di tempo e tornò portando anche sua sorella Nicole. Senza dire una parola indicò un punto non distante da loro, lì il fuoco era meno denso.
Scomparve, come se non ci fosse mai stata.
I due fratelli cominciarono a prendere possesso delle loro facoltà, il tatto, l’udito, il suono, la parola, l’equilibrio, sembrava tutto di nuovo nelle migliori delle condizioni.
-Siamo morti?- chiese Chris alla sorella maggiore.
-Sì- rispose lei senza che la sua voce tradisse un’emozione.
-Siamo nell’oblio, vero?- a differenza della sorella Chris mostrava una paura, insolita per lui. Nicole non ci fece caso e lo ignorò, lasciandolo privo di una risposta.
Si diressero verso la zona indicata da Julia dove vi era solo un grande lago nero, come tutto il resto.
Vi affacciarono per scorgervi qualunque cosa, ma quella che sarebbe dovuta essere acqua, che era invece fumo oscuro che si mescolava in continuazione, era impenetrabile.
Chris era concentrato sulla soffice superficie e cercava tra i vari disegni del fumo un appiglio,o almeno qualcosa che potesse aiutarlo a comprendere. Dietro di lui una mano fredda si posò sulla spalla, provocandogli la reazione istintiva di prendere la mano e girarsi torcendogliela, ma l’altro fu più veloce bloccando il polso che lo stringeva e piegandolo dall’altra parte facendo così girare tutto il corpo che cadde a terra. Chris vide sopra di lui la figura di Kaleb e dietro Kevin, che lo aiutò ad alzarsi.
-Bei riflessi!- si complimentò dandogli la mano.
Dopo un saluto durato quasi un secondo tra i fratelli, cominciò la solita sequenza di domande che Kaleb sottoponeva ai fratelli ogni volta che succedeva qualcosa che stava fuori dal suo controllo, o dalla sua conoscenza.
-Ne sappiamo quanto te- rispose Nicole con le braccia incrociate, -siamo morti probabilmente e temo che questo sia l’oblio, ma non so cosa ci facciamo qui, anche da voi è venuta Julia a prendervi?-.
I fratelli annuirono all’unisono.
-Ci ha indicato questo luogo, non so bene perché, non ha detto niente- spiegò Kaleb passando una mano sui capelli fradici, -forse vuole che ci immergiamo o che beviamo..-.
-Ma non è acqua- interruppe Chris, -è fumo-.
Posarono lo sguardo sulla distesa senza scorgervi la minima traccia di risposta.
-Per favore sbrighiamoci, qui è inquietante- disse Nicole riferendosi al fuoco che brucava le anime. Kaleb le mise una mano sulla spalla e la attirò a se accarezzandole il braccio.
-E’ fuoco purificatore, non c’è niente di cui avere paura-. Di tutta risposta Nicole si calmò. Anche Kaleb, come Chris aveva una particolare capacità di calmare chiunque avesse paura, era una cosa ereditata dalle capacità di custode del padre. Fu facendo questo piccolo ragionamento che Chris ebbe un illuminazione.
-Sentite, se Vathek è scappato dall’oblio vuol dire che un passaggio c’è da qualche parte, no?-.
-Si..- risposero scettici i fratelli.
-E se ce l’ha fatta un demone, allora perché non dovrebbero farcela dei Nephilim?-
-Non capisco- disse Kaleb.
-Semplice: se Julia ci ha indicato il “lago”, forse è perché è questa la via di fuga!-.
I fratelli lo guardarono come se fosse un lunato passando gli occhi dal lago a Chris. Certo, ovviamente erano pronti a fare di tutto per finire quella guerra, ma se non fosse stato così? Se si fosse trattato solo di un fiume di fumo?
-Io mi fido di Julia- disse Chris interrompendo il filo dei loro pensieri, -e voi?-.
I fratelli si guardarono negli occhi incerti sulla decisione da prendere, ma alla fine concordarono che quella fosse la soluzione migliore.
-E sia!- disse Kaleb, -ci immergeremo nel lago-. Lo disse con un tono basso e dimesso, quasi rassegnato.
Chris immerse un piede subito e l’altro compiendo così tanti piccoli passi. Gli altri lo imitarono raggiungendo così a non toccare il fondo, semplicemente stavano galleggiando nel fumo nero. Nicole fu la prima a scendere giù con la testa e a riemergere.
-Non si vede niente- sentenziò.
A questo punto quello che fecero fu semplicemente nuotare nel fumo sempre più in profondità. Aveva la stessa consistenza dell’aria ed era gelido, tanto che fino alle ossa si sentiva il freddo. Non si poteva nuotare così tanto senza riemergere, ma risalire su era fuori discussione, anche se avevano male alle braccia e alle gambe. Chris non ce la faceva più, i movimenti erano sempre più lenti, anzi, percepiva che il fumo lo stava spingendo sempre di più verso la riva, sentendo ormai chiaramente che qualcosa lo stava tirando cominciò a divincolarsi per sfuggire alla presa, ma ad ogni suo singolo movimento sembrava che una stretta sulla caviglia si stringesse sempre più forte. Provò di aprire la bocca per gridare, ma il fumo gli entrò dentro arrivando fino quasi ai polmoni e bruciandogli la gola, non riusciva più a gridare. Era così buio che quando si girò a vedere cosa lo stesse prendendo da dietro non riuscì a vedere altro che fumo. Una mano gli afferrò il ginocchio e dopo anche un braccio, come se stesse scalando qualcosa per arrivare fino a lui, poi una mano gli prese l’altro braccio mettendosi proprio sopra di lui, a poca distanza dalla testa.
Gli parve di vedere la faccia di Julia per una frazione di secondo, ma la nebbia davanti ai suoi occhi era troppo fitta, sentì solo un qualcosa che si avvicinava al collo, ma nessun respiro. Sentì quella voce e allora non ebbe più nessun dubbio: era Julia quella che la trascinava verso la riva. La sua voce giunse sottile nelle sue orecchie e gli bisbigliò qualcosa.
Quella frase.
Chris rimase di stucco.
Julia scomparve tra le sue braccia, ma riuscì a scorgere i suoi occhi prima che scomparisse definitivamente, a tre centimetri dal suo naso, sorridendogli, forse, per l’ultima volta.
 
Piuttosto che riemergere su di una riva riaprirono gli occhi vedendo un cielo infuocato gremito di demoni e angeli che combattevano, tra le figure si poteva benissimo scorgere quella del padre e anche quella più in carne dello zio Aidan.
Erano nei loro corpi, esattamente dove gli avevano lasciati, esattamente come gli avevano lasciati, nessuno era andato a cercarli, o forse nessuno sapeva dove trovarli.
Il ricordo di Octavian bruciava ancora vivido nelle loro menti e accendeva una luce nei loro occhi. Anche Chris si era alzato da quel sonno, ma al posto della faccia del lurido traditore si materializzò nella sua mente implacabile l’immagine di Julia e delle sue ultime parole, quella frase che gli bisbigliò nell’orecchio e che rimbombava ovunque nella sua testa.
-Ce l’abbiamo fatta!- esultò Nicole alzando i pugni al cielo.
-E’ stato inutile- ringhiò Kaleb battendo i suoi di pugni sulla terra, -quattro su sei sono già fatti, anche se siamo tornati indietro è stato inutile!- strinse i denti e si rialzò.
-Forza, cerchiamo Belle e Heather- disse Kevin facendo un cenno con la testa.
-Dobbiamo trovare prima Octavian- protestò il fratello maggiore.
-Tu va da Octavian, io cerco le piccole-.  Disse rivolgendosi alle sorelle con quel termine dolce, ma canzonatorio, anche se lo usò più per abitudine che per altro.
Decisero di dividersi in gruppi: Kaleb e Chris cercavano Octavian, mentre Nicole e Kevin cercavano le “piccole”.
 
Vivian aveva in mano il braccialetto, ma non sapeva come usarlo.
Vagava alla ricerca dei figli dell’amica, ma senza risultato, più le sembrava di avvicinarsi, più loro si allontanavano. Gli odori erano confusi e mischiati, troppi quelli delle persone e del fuoco, era stordita, non aveva mai visto nulla del genere, ma non voleva arrendersi, ormai mancava poco, non doveva lasciare che anche le altre due fossero uccise da Octavian o sarebbe davvero stata la fine, quello che si definisce inferno in terra.
Notò che le mura difensive della città stavano lentamente cedendo verso i punti deboli. Neanche per quello poteva fare molto, non era di sua competenza e anche se lo fosse stato c’erano questioni più importanti da risolvere.
Mise il braccialetto in tasca e corse verso una direzione, fidandosi del suo naso e del suo istinto.  Seguiva l’odore dei Nephilim come meglio poteva, ma era confuso e mischiato a quello di angelo e di demone, per non parlare del fatto che lei era stanchissima, non che ce ne fosse una vera e propria ragione, ma aveva dato molto per calmare Adele e bloccare temporaneamente la sua pazzia e ora le forze venivano meno. Svoltò verso una strada sentendo un forte odore di Nephilim e di demone molto intensi, mischiati a una nota di sangue.
Dopo che svoltò l’angolo quasi non crollò. Ilaj era steso per terra con un rivolo di sangue che sgorgava dallo stomaco. La più piccola delle figlie di Adele giaceva non distante da lui, con la testa appoggiata sul petto e gli stringeva una mano. Poco distante da loro c’era invece una donna da cui veniva un inconfondibile odore, quello di Vathek, come se fosse stata posseduta da lui, ma la gola della donna era stata perforata, forse da uno dei colpi di Ilaj.
Capì subito che per lui era troppo tardi, ma il cuoricino di Heather batteva ancora, lentamente, ma batteva. Quando Vivian la scostò dolcemente dal corpo di Ilaj, trattenendo le lacrime se morse un labbro. La gamba e la spalla avevano delle gravi ferite e la ragazzina aveva perso molto sangue, ma c’era ancora speranza. Aveva in tasca l braccialetto, che avrebbe potuto fare molto per aiutarla, ma non aveva la più pallida idea di come si dovesse usare. Forse bisognava solo metterglielo al polso ed era fatta così, ma poi? C’erano formule magiche da pronunciare? Riti forse?
Tentò il tutto per tutto, prese il bracciale e lo guardò per l’ultima volta, sperando forse in una risposta. Lo aprì e stava per chiuderlo sul polso di Heather quando uno strillo la blocco. Era la stridula voce di un Adele pazza.
-Fermati!- la sua voce era così vicina e preoccupata che Vivian saltò quasi sul posto. Quando si voltò vide la sua amica avvicinarsi piangendo.
-Bambina mia..- prese la testa di Heather tra le braccia e poi anche la schiena e cominciò a dondolarsi abbracciandola.
-Adele, si può salvare?- chiese Vivian per distrarla, dato che era completamente pazza, anche se c’era qualcosa di lucido nel modo in cui trattava la figlia. Secondo i suoi calcoli a questo punto Adele sarebbe dovuta essere completamente divorata dalla pazzia, ma apparte le ali e gli occhi di un rosso cremisi praticamente inscrutabile, in lei c’era poco di diverso da prima. Aveva sottovalutato le capacità dell’amica che era riuscita a riprendere il controllo di se stessa, ma sarebbe durato poco.
-Mia signora, che cosa intende fare? Non vuole salvarla con il bracciale, o..-
-Taci!- le gridò il demone, -non funziona così. Lei ancora viva e poi.. e poi..- lasciò la frase in sospeso per un breve lasso di tempo, ma non anche se ci provò, non riuscì a completarla.
-Non ce la faccio, Vivian, non mi resta molto, tra un po’ anche io non ci sarò più, non è una cosa che posso controllare, se va avanti così, mi divora e io non potrò mai più tornare indietro, ma mi resta una cosa da fare- disse stringendo ancora di più sua figlia facendo attenzione alla spalla.
-Addio, Vivian- disse con le lacrime agli occhi.
Strinse Heather in un abbraccio materno che forse non era mai riuscita a darle e pronunciò delle parole nella lingua dei demoni. Vivian conosceva quelle parole, ma non voleva credere che Adele le stesse pronunciando. Si trattava di un antico incantesimo, qualcosa di arcano: lo scambio della vita.
‘La mia vita per la tua’
Era la traduzione più vicina ad una lingua umana. Quell’incantesimo serviva a ridare vita ad un cadavere, o ad un semimorto, in cambio della propria, così che si potesse mantenere un equilibrio naturale tra gli eventi, ottenendo lo stesso un risultato buono, quale la vita di qualcun altro. Vivian lasciò che le lacrime solcassero il suo viso e non cercò nemmeno di bloccarle, il gesto di Adele era nobile, non da demone, ma da umano.
Una luce bianca fortissima avvolse Adele e Heather. In quel involucro Adele poté dire alla figlia le ultime parole, consapevole che anche se non aveva gli occhi aperti, la stava ascoltando.
-Piccola mia, tesoro mio, mi dispiace per tutto questo, avrei dovuto esserci, venire più spesso, ma non ho potuto, non ci sono riuscita, ma sappi che ci sono sempre stata per voi, anche se non mi vedevate, ero nelle scuole e nei parchi e voi mi avete vista, ma non mi avete riconosciuta, mi feriva, ma vedervi felici, mi rendeva la persona più contenta del mondo, tesoro mio. Sono la tua mamma e lo sarò sempre, ti ho sempre voluto bene e non smetterò mai di volertene, anche se non ci sarò più. Vorrò sempre bene a tutti voi, tutti. Vi amo tanto-.
Dagli occhi chiusi di Heather scese una lacrima in tono con la sua espressione triste, perché stava ascoltando e non voleva smettere di ascoltare la voce di sua madre. Adele le diede un bacio sulla fronte, l’ultimo.
L’energia si trasmise da Adele a Heather. La luce diventò sempre più lucente e poi semplicemente svanì.
Lasciò al suo posto una Heather sana, senza un graffio e una Adele senza ali, senza vita.
-Mamma!- gridò Heather cercando di rianimarla con piccoli colpetti, ma Vivian le prese un braccio e la staccò dal corpo esanime della madre.
-Dobbiamo andarcene via, subito, questa cosa ha senza dubbio attirato l’attenzione- disse cercando di mantenere la mente lucida. Senza neanche badare a Heather la tirò e cercò di portarla il più lontano possibile, mentre lei allungava le braccia verso il copro della madre, chiamandola come una bambina piccola chiama i genitori quando si sbuccia un ginocchio.
-Non puoi fare niente ora, lo vuoi capire? Non c’è niente che tu posso fare, questa è stata la sua decisione-.
Heather si bloccò e cadde in ginocchio, disperata.
-Non le ho mai detto che le volevo bene- disse tra le lacrime.
-Lei sa che glie ne volevi- le disse accarezzandole una guancia, -credimi, sapeva che ogni notte speravi di vederla e di conoscerla, lei lo sapeva, sapeva tutto, la voglia che avevi di abbracciarla e tutte le altre cose, lei le sapeva-. La abbracciò forte e insieme si allontanarono dal posto.
-Dove andiamo?- le chiese Vivian.
-Da Elia- rispose Heather con la voce che ancora tremava, -ho un piano per attirare Octavian in una trappola- disse cercando di regolare la voce.
Mamma, mamma, mamma.

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Capitolo 23
*** La fine è solo il preludio dell'inizio ***


Lo sguardo si perdeva in ogni angolo della strada, ormai Elia distava pochi minuti, ma i passi erano lo stesso troppo pesanti. Quello che era successo nelle ultime ore era stato a dir poco terrificante, si era trovata così vicina alla morte da dimenticare quanto le piacesse respirare, ma ora non poteva provare piacere per ciò. La perdita della madre era stata una cosa pesante e inaspettata, sembrava che il suo cuore si rifiutasse di ammetterlo, litigando così con la ragione.
C’era un vecchio capanno circondato da simboli angelici e incantesimi vari davanti a lei adesso, Elia era dentro che innalzava il muro difensivo, tutt’intorno non c’era nessuno. Chiamò forte il suo nome correndo. Entrò e senza dare spiegazioni irruppe nella sala del rito. Elia era seduto sul pavimento e teneva le mani congiunte a preghiera mentre recitava una litania incomprensibile.
-Elia- lo chiamò Heather interrompendolo.
-Ma che ci fai qui? Tu non dovresti essere a …-.
-Taci- disse lei ignorandolo, -non ho tempo per questo, devi fare una cosa subito-.
-Non capisco- disse lui, -di cosa parli?-
-Devi uccidermi-.
Elia la fissò un momento con una faccia sbigottita, non credeva che gli stesse davvero chiedendo una cosa del genere. Per un attimo pensò che fosse colpa di quel demone di sua madre, ma scacciò indietro il pensiero, in quanto sciocco, dato che la madre non aveva motivo di volerla morta. Poi osservandola bene notò che aveva gli occhi rossi e gonfi e che le tremava la voce.
-Cosa è successo?- chiese muovendo dei piccoli passi in avanti.
Non voleva assolutamente riepilogare quella serata, così decise di ignorare la domanda.
-Se io fossi già morta, cosa farebbe Octavian?-
-Credo che si fermerebbe, ma cosa vuoi fare?-
-Intendo attirarlo in una trappola e all’ultimo fingermi morta con il tuo aiuto, lui vedrà di non poter fare niente e poi.. non lo so, ma meglio di questo di sicuro. Ti prego, mi serve il tuo aiuto-.
-Octavian va ucciso- disse a testa bassa, -bisogna usare una spada da angelo per lui. Io ne ho una, ma Heather- disse prima che la ragazza potesse saltargli addosso abbarcciandolo, -abbiamo solo una possibilità, la mia è una spada fragile, fatta per fare miracoli, non per uccidere. In battaglia è pressoché inutile-.
Heather contenuta come poche volte nella annuì convinta.
 
Nicole si guardava intorno alla ricerca di Heather e Isabelle, ma Friburgo era vuota, non c’era anima viva. Mentre lei cercava nella città Kevin era diretto verso la cattedrale.
Isabelle era lì dentro che calmava le persone. In un certo senso era nata per aiutare il prossimo, lo si notava dalla sua capacità innata di calmare  il prossimo con un solo sguardo o solo un tocco. Quando entrò dentro Kevin la vide parlare con una donna di mezza età che piangeva e balbettava qualcosa in tedesco sulla perdita di un bambino che non riusciva più a trovare. Isabelle le accarezzava la schiena dandole trentamila buoni motivi per continuare ad avere fiducia. Nel secondo dopo che aprì la porta della cattedrale gli occhi delle persone erano puntati su di lui. La sorella lo vide entrare e quasi non ci credette, gli corse in contro pizzicandolo per capire se era un sogno.
-K..Kevin..- balbettò qualcosa sul cielo e sui cerchi indicatori apparsi come conto alla rovescia e poi non riuscì a spiccicare una sola parola. Kevin la avvolse in un caldo abbraccio e quando si staccò da lei disse:
-E’ una lunga storia, te la racconto dopo, ma adesso devi venire con me- le prese un polso e cominciò a tirarla, mentre lei non si oppose minimamente se non a parole:
-Queste persone hanno bisogno di me, non posso lasciarle-.
-E io non posso lasciarti qui- disse, -è per il tuo bene- si fermò e si girò verso la cattedrale, qualcuno si era voltato verso di loro e ora li osservava come gufi, -capiranno quando saremo tutti sani e salvi. Non si oppose, non protestò, seguì ciecamente Kevin, ovunque la stesso portando.
Intanto Nicole non aveva trovato nessuno, neanche l’ombra di una persona, mentre sentì vibrare il suo cellulare che era in tasca forse da tutto il tempo. Quando lo aprì notò che c’era pochissimo campo, allora per rispondere si mise sopra ad un auto.
-Pronto? Kevin?-.
-Isabelle.. me.. piazza..- poi perse il segnale, ma il messaggio era chiaro. Scese dalla macchina e andò verso la piazza.  Dopo non molto incontrò Vivian con un espressione tutt’altro che concentrata, anzi sembrava che i suoi occhi volassero da destra a sinistra, come se non potessero fermarsi in un punto. Cercava e cercava in ogni ombra e in ogni angolo, sembrava non essersi per niente accorta di Nicole finché la giovane Nephilim non la chiamò.
-Vivian, vero? Vivian, ma dove vai, perché mia madre non è con te, Vivian?-
Il demone la guardò e le si inumidirono gli occhi, accennò ad un no con la testa senza dire niente, d'altronde quanto poteva essere sensibile a riferire certe cose un demone?
-Cerco Octavian, non dimentico la missione- disse con voce tremante, insolita per lei.
Nicole non rispose, ma le fece cenno di seguirla. Non aveva assolutamente aperto bocca, aveva la testa ferma al pensiero che sua madre non ci fosse più. Cercò di rimanere lucida, scacciare dalla testa quel pensiero. La strada che conduceva alla piazza era quella antica con i sassi al posto dell’asfalto ed edifici rossi che ne seguivano il percorso fino alla piazza stessa. Ma i colori si distinguevano poco nella notte blu scuro che li sovrastava. La luna brillava molto, ma gli angeli ancora di più. Suo padre aveva detto di non preoccuparsi, che la sua “equipe” era una delle migliori, ma a vedere così quella situazione non sarebbe mai detto. Erano davvero a un passo dall’apocalisse, sua madre non c’era più e non sarebbe mai ritornata, mentre suo padre era ancora un mistero, lassù combatteva ancora, forse neanche lo sapeva che loro erano riemersi dall’Oblio.
Nella piazza c’era Kevin seduto su una panchina, con la testa tra le mani e piegato. Isabelle era affianco a lui in silenzio. Alzò lo sguardo e le corse in contro, come con Kevin, la abbracciò stringendola forte. Era stato intenso il sentimento di non poterla più rivedere. Nicole ricambiò l’abbraccio con uno ancora più forte, non solo perché anche lei non pensava di ritornare, ma perché ora aveva assolutamente bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi.
-Kevin, Isabelle, nostra madre è..- non riuscì a terminare la frase, le si bloccarono le parole in gola. Bastò uno sguardo a Vivian per capire cosa era successo. Il demone teneva la testa bassa e gli occhi socchiusi, però stringeva i pugni.
-Abbiamo una cosa da portare a termine, no?- esortò con una voce imponente, -Non è questo il momento di piangersi addosso. Sarete liberi di piangere quanto vorrete quando salveremo il mondo-.
Lasciò gli altri senza parole e senza farli ribattere aggiunse:
-Heather è andata da Elia, aveva un idea, dobbiamo andare anche noi, lei mi aveva mandato a cercare la rossa, ma ora non ce ne bisogno, muovetevi. Ah, tu- disse indicando Kevin, -questo è di uno di voi, dovrebbe essere benedetto, ma non so come si usa- disse tirando il braccialetto di Kaleb.
-Benedetto, hai detto? In che senso- chiese il Nephilim afferrandolo al volo
-E io come faccio a saperlo? Sono specializzata in maledizioni, non in queste cose da angeli-.
Kevin osservò il braccialetto, quella catenina appartenuta a Kaleb che non faceva mai toccare a nessuno. Alzò lo sguardo al cielo cercando tra quegli angeli suo padre. Lo trovò tra la luna e due stelle brillanti che agitava quelle sue strane spade corte fatte apposta per combattere i demoni. Ne aveva già abbattuti molti e ora combatteva contro Ammon incalzandolo ad ogni colpo. Cosa poteva aver fatto suo padre al braccialetto?
-Non sai proprio niente?- chiese Isabelle.
-So che può salvare la vita- le venne in mente Adele per cui era stato impossibile salvarla. Nel vedere i fratelli camminare così tristemente verso una macchine le si strinse il cuore.
-Vostra madre- disse, -E’ morta come un’eroina, ha dato la vita per salvare Heather-.
Nessuno dei fratelli rispose, e anche se l’avessero fatto, cosa avrebbero detto? Grazie, mamma? Sono così fiero che non ci sia più? Non c’era niente in tutta quella faccenda che poteva andare bene, se non il fatto che tutti i fratelli fossero vivi. Salirono su una Volks Wagen aperta, probabilmente era stata abbandonata lì nel panico totale. Al volante si mise Kevin.
-Prima andiamo a prendere Anche Kaleb e Chris-. Neanche questa frase ricevette una risposta.
 
Tra le nuvole gli angeli stavano combattendo da ore, senza che una fazione prevalesse sull’altra, semplicemente gli angeli uccidevano demoni, ma per ogni demone che abbattevano ne saltavano fuori altri due. Keiran guardava le spalle di Paride, Aidan guardava le spalle di Keiran e Omar guardava le spalle di Aidan. La battaglia proseguiva, mentre tutti guardavano ogni tanto verso il basso, chissà se avrebbero visto i famosi Nephilim? Per quanto ne sapevano loro quattro erano già morti e ne restavano solo due. L’angelo Octavian era la sottospecie di verme più strisciante che un demone potesse conoscere, subito dopo Lucifero.
Ammon parava con destrezza ogni fendente di Paride, il quale combatteva senza più nessun criterio, semplicemente arrabbiato e frustrato. Ammon avanzò un paio di passi e menò un colpo dall’alto costringendo Paride a spostarsi verso la sua destra, allora fu libero di menare un altro colpo stavolta più veloce, che Paride schivò con un eleganza insolita per quella furia, non fu però abbastanza veloce da salvare la sua ala. La lama dell’ascia affondò quasi completamente su un ala. Paride capì allora quanta poca attenzione stesse facendo nel combattimento. Cosa avrebbero fatto i suoi figli e gli altri angeli se lui fosse morto? Non che si sentisse importante,ma sapeva anche che un ruolo di rilievo come il suo non si poteva trascurare così. L’ala pulsava sangue, cercò di ignorare il dolore. Il suo volo, però, cominciò a perdere quota e anche se a scatti cominciò a cadere; l’ala ferita non poteva sopportare il peso e quando Ammon se ne accorse piombò con un calcio al petto dell’angelo che fu scaraventato verso il suolo, ma riuscì a rallentare la sua caduta e a risalire anche se a velocità ridotta. Un altro balzo di Ammon lo costrinse a schivare il colpo provocandogli molto sforzo all’ala. Ammon era totalmente preso dall’euforia, per come era conciato Paride avrebbe potuto ucciderlo in qualunque momento e invece stava giocando con la sua preda. Neanche la ferita all’ala era un caso, ma bensì un altro sporco trucco, come per dire che anche lui sapeva prendere ali.
Quando Ammon si scaraventò contro di lui una terza volta Paride scartò di lato prendendolo per un braccio. Con la mano libera impugnava una delle sue spade corte, ne infilzò una nella gola del demone che boccheggiò un po’ e poi smise totalmente di vivere.
-Queste è per tutto il male che hai portato alla mia famiglia- gli bisbigliò all’orecchio. Il sangue nero colava dal collo come acqua. Paride lasciò cadere il corpo e poco dopo cadde anche lui, per il troppo sangue perso dall’ala. Quando Keiran lo trovò lo aiutò a rialzarsi e fece di tutto per medicargliela, con ben pochi risultati.
-La benda che messo non basterà- gli disse, -si infetterà se non la curi subito.
I demoni vedendo che Ammon era stato sconfitto avevano battuto in ritirata e ora gli angeli potevano scendere a Friburgo, esausti dalla battaglia, ma felici per la vittoria, tra tutti però Paride non riusciva a essere felice.
 
Erano tutti e sei da Elia, adesso e si stavano organizzando per il piano, rimaneva solo trovare Octavian. Gli angeli avevano appena smesso di combattere, ma non era ancora tutto compiuto. Mentre l’alba si apprestava a venire i Nephilim pattugliavano la città insieme ad altri angeli, ma il traditore sembrava scomparso nel nulla.
Isabelle e Heather si erano messe in punti strategici a fare da esche, sorvegliate solo da due angeli, quei pochi che erano rimasti illesi dallo scontro. La barriera era stata totalmente abbassata, quindi ora erano anche a rischio demone, ma da molto non succedeva assolutamente niente. 
Heather era in una delle piazze principali, quella vicina alla cattedrale, teneva ben nascosta nella giacca una spada corta da angelo, perché ormai quella di Elia non serviva più. Faceva piccoli giri intorno alla cattedrale cercando con gli occhi quell’angelo maledetto. Lo stesso valeva per Isabelle che si era posizionata in una zona più lontana, ma più tecnologica, la strada piena di auto vuote, dentro ad alcune c’era un angelo soltanto: Diana.
Heather sentì un strano presentimento dietro le spalle, qualcosa che l’aveva seguita fino a lì. Dietro di lei si era materializzato Octavian, con un ghigno più malvagio che mai.
-Ma bene- disse, -guarda che abbiamo qui: una piccola Nephilim-. Non sembrava essersi accorto degli angeli intorno. Heather piuttosto spaventata cominciò a indietreggiare.
-No- disse l’angelo, -non avere pura, non farà male. Dovresti essere contenta invece, stai andando dai tuoi fratellini cari-.
La ragazza non aveva replicato e non aveva intenzione di farlo, doveva semplicemente continuare a camminare all’indietro fino a dove stava uno degli angeli, allora ci avrebbe pensato lui. Fare l’esca non era proprio il suo passatempo preferito, ma dopo tutto c’era di peggio.
Octavian seguiva la sua figura impugnando la spada corta già impregnata di sangue, quello dei suoi fratelli e di sua sorella. Ireneo, l’angelo che un giorno non molto lontano aveva passato la giornata a giocare a paintball a casa dei fratelli, ora stava appoggiato ad una parete in attesa che alla sua destra uscisse Octavian, la spada in mano. Heather fu la prima a essere intravvista. Strinse la mano sull’elsa pronto a colpire. Appena il corpo do Octavian uscì fuori menò un fendente verso l’angelo che parò senza problemi respingendo il colpo. Con un'altra mossa lo strinse al muro cercando di infilare la sua spada nel suo petto, ma anche l’angelo era stato alquanto forte da respingere il colpo, ma non ci volle molto perché fosse di nuovo alla mercé di quel mostro. Con un colpo lo ferì al braccio e la spada cadde per terra. La lama era puntata dritta al cuore dell’angelo. Alzò la spada contro Ireneo.
Una frazione di secondo.
Una sola dannata frazione di secondo più tardi e la spada sarebbe affondata nel cuore. La lama di una spada corta usciva dal petto di Octavian, dietro di lui c’era Heather che tremava per lo spavento e l’emozione. Octavian si voltò verso la ragazza, ma non riuscì a dirle niente, cadde di lato con un gran tonfo.
Era finita? Era davvero finalmente finita? Nessun problema, nessun intralcio? Il piano aveva davvero più o meno funzionato? Sembrava impossibile.
 
Era tutto finito, la questione era stata risolta, Paride stava bene, tutti stavano bene. Certo, Friburgo non era proprio la città più bella del finesettimana, ma per lo meno adesso le cose erano state sistemate. I corpi di Ilaj e di Adele erano stati sepolti non lontano dalla foresta nera, gli angeli erano tutti in ospedale e il mondo intero credeva in una tempesta di fulmini per il cielo. E come biasimarli? Loro non avevano visto gli angeli e i demoni sopra Friburgo, ma solo nelle città confinanti, loro non sapevano tutto quello che era successo e forse non lo avrebbero mai spiegato razionalmente.
-Quando succede questo genere di cose il paradiso si abilita e fa dimenticare tutto a tutti- spiegò Paride.
-E’ solo questione di tempo, prima o poi tornerete alle vostre vite- proseguì Keiran, -dopo torneremo in Paradiso: abbiamo una questione rimasta in sospeso-.
-Vi prego, restate- avevano supplicato i fratelli, ma Keiran era stato irremovibile.
Paride li aveva presi da parte un attimo per parlare con loro, dato che c’era molta confusione.
-Sentite, so che dovrei rimanere, ma ora c’è davvero molto in ballo. In questo momento il paradiso è fragile e mi deve un favore per averlo salvato. Io vi voglio bene, lo sapete, ne volevo molto anche alla mamma, ma non posso. Verrò a trovarvi sempre e ci sentiremo ve lo assicuro e appena possibile potrete venire lassù-.
-A questo proposito- intervenne Chris, -Julia mi ha detto una cosa prima che ritornassi dall’oblio: mi ha detto che questo era solo l’inizio, che altri demoni avevano in mente piani del genere-.  omise la parte in cui dichiarava che provava qualcosa per lui, perché era troppo intimo per divulgarla. Non sapeva se ricambiava o meno, ma saperlo lo rendeva felice.
-Quando verranno, noi saremo pronti- disse Paride, -li combatteremo e li sconfiggeremo e se ci sarà bisogno di voi, questa volta vi rinchiuderò in un bunker a prova di demone- lo disse come se fosse bello, ma i fratelli non sembravano condividere pienamente.
L’immagine di Paride e anche degli altri angeli cominciò a brillare e a dissolversi nella luce.
-Ci rivedremo di sicuro, e quando succederà tenetevi pronti, perché saremmo di nuovo tutto ciò che eravamo quando vostra madre era viva e umana. Verrò a prendervi presto, promesso-.
La sua immagine sorridente scomparve insieme a tutto il resto. Ormai tutto sembrava essere stato solo un sogno che come loro si dissolveva.
-Bene- disse Isabelle, -ci voleva andare vicino così all’apocalisse per sistemare le questioni della famiglia-.
Chris le diede una pacca sulla spalla e le sorrise pienamente.
Ora potevano dirsi tutti felici, ora sapevano che potevano essere felici e liberi di Essere Nephilim anche in paradiso, pure se da tempo era la terra la loro caso.
Le stelle della notte brillavano illuminando il buio. Sopra Friburgo c’erano degli angeli custodi che vegliavano la città e in particolare un non-ordinaria famiglia di fratelli.
 
 
Angolo dell’autrice:
WOW!
Non riesco a crederci, ma l’ho finita davvero? Non è che questo è solo un sogno e io in realtà sono nel mio letto a dormire, vero?
Comunque sia, sono contentissima di essere arrivata alla fine. So che la storia non è meravigliosa, spesso era piena di errori e non specificavo il punto di vista, facendo sembrare così incoerente la parte del narratore.
Spero che vi sia piaciuta e spero anche che in un modo o nell’altro l’abbiate aprezzato.
Alla prossima fantamitica avvenura,
The_Black_Iris

 

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