Icarus

di rowiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Alayna ***
Capitolo 3: *** CHAT ***
Capitolo 4: *** Barrette al cioccolato ***
Capitolo 5: *** INCONTRI NOTTURNI ***
Capitolo 6: *** Una serata diversa ***
Capitolo 7: *** Happy birthday ***
Capitolo 8: *** Fragilità ***
Capitolo 9: *** L'effetto butterfly ***
Capitolo 10: *** Emozioni nuove ***
Capitolo 11: *** Amicizia ***
Capitolo 12: *** Ciocogoduria ***
Capitolo 13: *** Fear ***
Capitolo 14: *** Blackout ***
Capitolo 15: *** Dopo la tempesta ***
Capitolo 16: *** Break ***
Capitolo 17: *** Una spalla su cui piangere ***
Capitolo 18: *** Pain ***
Capitolo 19: *** Mistake ***
Capitolo 20: *** Conseguenze ***
Capitolo 21: *** La fine dell'estate ***
Capitolo 22: *** Il folle volo ***
Capitolo 23: *** Tom ***
Capitolo 24: *** Dietro le apparenze ***
Capitolo 25: *** Dangerous eyes ***
Capitolo 26: *** Ombre dal passato ***
Capitolo 27: *** Breaking news ***
Capitolo 28: *** La lista dei requisiti ***
Capitolo 29: *** Perdita ***
Capitolo 30: *** Sogno o realtà? ***
Capitolo 31: *** Confessioni ***
Capitolo 32: *** Fuori dalla nebbia ***
Capitolo 33: *** Con amore, Alex ***
Capitolo 34: *** Il momento giusto ***
Capitolo 35: *** When dreams come true ***
Capitolo 36: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 37: *** The end... ***
Capitolo 38: *** Ringraziamenti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


intro

Quest'anno ho imparato molte cose.
Ho imparato che la vita non è come nei libri, non si può restare a guardare aspettando che succeda qualcosa. Vivere significa correre rischi, osare, amare.
Ho imparato l'importanza di commettere errori, perché solo così si può imparare e crescere.
Ho imparato ad amare, senza paura né riserve, senza aver timore di lottare per ciò che si vuole e senza scappar via.
Ma soprattutto ho imparato che nella vita i limiti servono solo a soffocarci e che piuttosto che sprecare la mia intera esistenza rispettando dei confini, preferisco assaporarla infrangendoli tutti.
Quest'anno ho imparato che per riuscire a volare si deve essere disposti anche a cadere.



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Capitolo 2
*** Alayna ***


1
Un altro sabato tranquillo.
Stavo rileggendo Persuasione per la milionesima volta. Adoravo quel libro. Era stato il primo ad avermi toccato il cuore, il primo ad avermi fatta piangere, il primo che aveva dato forma a quelle che i miei amici definivano “fantaromanticherie”. Lo avevo letto così tante volte da aver imparato a memoria la lettera del Capitano Wentworth e nonostante questo continuava ad emozionarmi.
Era un po' sciocco ma speravo che un giorno anche io avrei avuto un amore epico e bellissimo, in grado di darmi più gioia di quanto le parole potessero esprimere. Tuttavia per ora potevo solo sognare il mio e vissero felici e contenti visto che il ragazzo per cui avevo perso la testa era a mala pena consapevole della mia esistenza. Lui, Alex Davis ventidue anni di puro splendore, ed era il migliore amico di mio fratello Tom.
Alex era il principe azzurro per eccellenza, non solo perché era bello da togliere il fiato, ma perché era anche popolare, brillante e sicuro di sé. Era la classica persona che tutti notavano quando entrava in una stanza. Era un essere semplicemente perfetto. Lui era il mio sole personale, la sua presenza mi faceva brillare.
Era per lui che avevo passato gli ultimi venti minuti accoccolata sul divano pretendendo di leggere, quando invece l'unica ragione per cui ero lì era che volevo rivederlo. Da quando la settimana scorsa Tom aveva detto che sarebbero tornati a casa insieme ero andata in fibrillazione, iniziando a contare i giorni, le ore, i minuti che mi separavano da questo momento. Stavo per rivederlo e il solo pensiero mi faceva impazzire. Ero una drogata, affetta da Alex-dipendenza, e stavo per avere la mia dose dopo un lungo periodo di astinenza.
Finalmente la serratura scattò ed istintivamente strinsi più forte il volume tra le mani. Stavano entrando.
Cercai di darmi un contegno riportando lo sguardo sul libro. Sarebbe stato troppo imbarazzante farmi trovare a fissare nella loro direzione in trepidante attesa, come la stalker che ero. Anzi, per evitare ogni possibile figuraccia decisi che mi sarei concessa solo una breve occhiata, giusto per placare il bisogno che mi stava consumando. Avrei finto di alzare la testa per controllare chi stava entrando. Era un piano semplice e di facile esecuzione, a prova di idiota.
Come da programma Tom ed Alex arrivarono ed io alzai lo sguardo.
Cavolo!
Alex stava ridendo con mio fratello per qualcosa. Dio quant'era bello!
Era una visione paradisiaca, il mio sole sfavillante. Anche se indossava una semplice camicia bianca e un paio di jeans, sprizzava sesso da tutti i pori. Forse erano i due bottoni lasciati aperti o le maniche tirate su fino al gomito, ma no, era solo lui ad essere terribilmente sexy. Non si spiegava altrimenti il suo essere così magnificamente indecente da mandare in tilt ciò che restava del mio cervello.
Persa com'ero nell'adorazione del mio Apollo, mi resi conto che non sarei riuscita a distogliere lo sguardo. Non volevo farlo. Ero come un alcolista che decideva di farsi un ultimo giro, ma che alla fine andava avanti con un altro ed un altro ancora. Fermarsi era una follia.
Cominciai a sentire un gran caldo e dieci anni di esperienza mi dicevano che le mie guance dovevano già essere in fiamme visto i pensieri poco casti che mi si agitavano in testa. Stupidi ormoni adolescenziali! Mi tradivano ogni volta sabotando il mio studiato autocontrollo.
Fortunatamente nessuno dei due mi stava prestando attenzione e, se riuscivo a non fare cavolate per dieci secondi attirando la loro attenzione, avrei potuto evitare di mettermi in ridicolo, per una volta. Come al solito, la buona sorte non mi sorrise e Tom, invece di tirar dritto, si buttò sul divano accendendo la Tv.
«Ehi!», protestai fingendomi irritata, «Io starei leggendo.»
Salvare le apparenze era il mio nuovo mantra e lo avrei seguito fino alla morte.
«E allora?»
«Allora c'ero prima io.»
«E ed ora ci siamo noi.», mi rispose enfatizzando l'ultima parola, «Sparisci forza.»
Più che le parole, fu lo sguardo a zittirmi. Gridava forte “Niente cazzate” e anche “Lascia stare il mio amico”. Quello che Tom proprio non voleva capire era che non c'era alcun rischio che io facessi qualcosa. Infatti per quanto amassi sognare, avevo i piedi ben piantati a terra e sapevo che i ragazzi belli e popolari come Alex non guardavano le sedicenni imbranate come me. Eravamo come il giorno e la notte, due opposti per natura.
«Non te la prendere. È da stamattina che è di pessimo umore.»
Mi voltai istintivamente e per poco non mi venne un colpo. Alex mi stava sorridendo.
Il mio dio personale mi stava parlando e, a differenza di mio fratello, era stato dolce e gentile. Alex lo era sempre con me e fortunatamente si comportava come se non sapesse che ero innamorata cotta di lui, anche se era ovvio che lo sapesse. Non che gli avessi detto niente, ma ogni forma di vita senziente del nostro sistema solare lo sapeva.
 «Cosa stai leggendo?», continuò con  voce calda.
Tre parole. Tre semplici parole bastarono a trasformare la mia cupa amarezza nel carnevale di Rio, con tanto di fuochi d'artificio. Solo Alex era in grado di farlo, solo con lui sentivo le farfalle nello stomaco. Con lui nella stanza il respiro mi si accorciava, il cuore galoppava e tutto in me si risvegliava. I colori, i sapori, i profumi, tutto diventava più vivido. Era una magia. Era l'essenza stessa della vita. Era la mia droga.
Di nuovo sopraffatta dalle mie fantaromanticherie, mi resi conto troppo tardi che ero rimasta a fissarlo imbambolata senza rispondergli e, dal sorriso divertito che Alex aveva stampato in faccia, era ovvio che la cosa non gli era sfuggita.
Arrossii un po' cercando di ricordare come parlare, ma ero talmente abbagliata che il cervello si rifiutò di collaborare abbandonandomi a me stessa. Traditore!
Non sapendo cos'altro fare, ricorsi alla comunicazione visiva mostrandogli il titolo del volume e allora il suo sorriso si allargò. Aveva capito che non riuscivo a parlargli.
«Avrei giurato che fossi più tipo da Orgoglio e pregiudizio.», commentò grattandosi il sopracciglio destro con l'indice.
Un sorriso scemo mi si stampo sul viso senza un motivo particolare.
«Non oggi.», sussurrai con un filo di voce.
«Non oggi.», ripeté lui scuotendo la testa come se la mia risposta avesse un qualche senso logico.
Non mi importava se stava ridendo di me, del mio imbarazzo, della mia goffaggine, ero felice che per una volta, per un momento, Alex stesse guardando me.
«Sei ancora qui?», sbuffò Tom acido interrompendo il mio momento di gioia.
Non lo capivo quando faceva così. Normalmente non era male come fratello maggiore, un po' rompiscatole forse, ma sopportabile. Quando c'era Alex però diventava un'altra persona e non perdeva occasione di sminuirmi e trattarmi male. Ma che problema aveva?
«E tu piantala di darle corda o finirà per mettersi in testa strane idee.», aggiunse.
Alex si irrigidì, ma non disse niente. Il suo disagio però divenne palpabile. Se lo scopo di Tom era ferirmi, c'era riuscito. Non mi ero mai sentita tanto piccola e fuori posto in vita mia. Prima che le lacrime affiorassero, mi rifugiai in camera con la coda tra le gambe e lanciai via Sms il mio grido di aiuto.
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Capitolo 3
*** CHAT ***


3


Ryler, Roxy e Kailyn risposero immediatamente all'appello ed io, scrivendo concitatamente, li informai di ciò che era appena accaduto.
La loro risposta fu breve ed unanime.

Stronzo!

ALY Voglio morire! Aveste visto la faccia che ha fatto Alex! :'(

RY Ma se muori, noi come ci divertiamo? ;)

KAY XD XD

ROXY Non dovevi andartene.

ALY E cosa avrei dovuto fare, scusa?

ROXY Dovevi dire a Tom che è un grande stronzo e che ha rotto le palle con questi modi del cazzo!

KAY Bonjour finesse. XD

RY Ma Kay non lo sapevi che mia sorella è una vera lady? XD XD XD

ROXY Ma perché non andate tutti e due a farvi fottere? :P

ALY Ragazzi cosa devo fare? Help!!!!!!

RY Non dargli peso e concentrati sulle cose importanti. Alex ti ha parlato...

ALY :) :) :)

KAY Dovresti parlare con Tom e chiarirti una volta per tutte. Capire perché si comporta così.

ROXY Col cavolo. Dovresti tornare di là, mandare a fanculo Tom e goderti Alex.

Conoscevo abbastanza Roxy da sapere che non avrei dovuto fare domande, ma vedere insieme le parole godere ed Alex, mi annebbiò un po' la mente e prima che me ne rendessi conto avevo già digitato la domanda.

ALY Come?!

ROXY Fisicamente è ovvio. Lo prendi, lo appiccichi ad una parete e gli infili la lingua in gola e poi succederà ciò che deve succedere. ;)

KAY Non per fare la guasta feste, ma ce la vedete Aly a fare una cosa del genere. A mala pena riesce a mugugnare qualcosa quando lo vede.

ALY Ehi!

KAY Scusa, ma è vero o vuoi per caso negare?

ALY Non è colpa mia se quando lui mi guarda non riesco a respirare! E oggi... non potete capire...

KAY Visto? Solo pensandoci inizi a farfugliare. :P

RY Dai non è vero. Non essere cattiva.

ALY Grazie Ry! Solo tu mi vuoi bene. :*

RY Lo sanno tutti che Aly non farfuglia, al massimo sbava come un Sanbernardo davanti ad una bistecca.

KAY XD XD XD XD

ALY Grazie mille ragazzi! Non so come farei senza di voi. :P

KAY Noi lo diciamo per il tuo bene.

ROXY E poi è una vita che ti diciamo che se stai con le mani in mano non andrai da nessuna parte. Se vuoi Alex, devi andare a prendertelo.

KAY Per me faresti meglio a togliertelo dalla testa e cercarti un altro ragazzo. Uno reale con cui uscire e divertirti. Non ha senso perdere tempo dietro ad una fantasia.

ROXY Puttanate! Se vuoi Alex prenditelo, conquistalo.

ALY Ma hai presente con chi stai parlando?

ROXY Non esistono prede impossibili. Ricordati Aly che tutti gli uomini sono dei cretini. Davanti a due tette non capiscono più niente.

RY Ehi!

ROXY Ok. Ok. Riformulo, tutti gli uomini etero sono dei cretini! Contento? :P

RY Stronza!

KAY Ragazzi, siamo realisti. È di Alex Davis che stiamo parlando. Devo ricordarvi le sue ex?

RY E allora? Aly non ha da invidiare niente a nessuno.

Adoravo Ryler per il supporto, ma purtroppo Kailyn aveva ragione. Con Alex non avevo mezza possibilità. Bastava guardare le sue ex per capirne il motivo. L'ultima, di una lunga lista, sembrava la copia di Jessica Alba: occhi da cerbiatta, fisico da urlo e carnagione dorata. Era tanto bella da essere quasi irreale. Tutte le sue ragazze lo erano. E poi avevano tutte qualcosa che non sapevo descrivere. Era come una luce, una sensualità che non aveva niente a che fare con la bellezza fisica. Era una cosa che gli veniva da dentro e che rifletteva il loro sentirsi sicure, forti e femminili.
Secondo Roxy ogni donna, a modo suo, aveva questo fascino, ma io non ero d'accordo, perché quando guardavo lo specchio vedevo solo una ragazzina col seno troppo piccolo ed il fianco prosperoso. Non c'era niente di sexy o femminile in me, per questo sapevo che Alex non poteva vedermi nel modo in cui io sognavo mi guardasse.

RY Se solo Alex la conoscesse un po' se ne innamorerebbe al volo, garantito. Le tette non sono tutto nella vita.

ROXY Saresti più credibile se ti piacessero le donne. :P

ALY Sì, ma in pratica io che devo fare?

KAY Hai due scelte: o ti butti e ci provi, o lasci perdere. Fantasticare e basta non ha senso.

ALY X' no? Io sono felice. A me basta guardarlo, davvero non voglio altro.

ROXY Certo, come no? Forza Aly non venirci a dire che non sogni che ti infili la lingua in gola x' non ci credo.

ALY Ma che centra... Solo so che non accadrà mai.

KAY Se non farai niente è ovvio che non accadrà niente.

ROXY Ripeto. Se lo vuoi va a prenderlo.

RY Devi buttarti Aly, pensa a come sarebbe bello se diventasse tutto vero. :) Tu avresti il ragazzo dei tuoi sogni e noi i suoi amici da spartirci.

ROXY Non l'avevo mai vista sotto quest'ottica. Mi piace! XD

KAY Anche a me.

ALY A mala pena sa che esisto.

ROXY E tu ricordaglielo. Ogni uomo è seducibile, dobbiamo solo capire cos'è che fa perdere la testa ad Alex Davis.

RY Ti aiuteremo noi! Che la missione “Conquista Davis” abbia inizio.

ALY No, no, no, no. Ragazzi no. Tom mi ammazza.

ROXY Che vada a farsi fottere.

KAY Lascia perdere Tom e pensiamo ad un piano.

ALY Io no posso... Non ce la faccio.

ROXY Forza Aly, tira fuori le palle!

ALY Ma io non le ho! :(

RY Non preoccuparti, ti presto le mie! ;)

Ryler era il migliore, la mia anima gemella. Sì, se non fosse stato gay fino alla punta dei capelli e non lo avessi amato come un fratello. Io e lui eravamo spiriti affini, due sognatori incalliti, di quelli che ancora credevano nelle favole. Adoravo il suo incrollabile ottimismo e la sua personalità frizzante.
Sua sorella era l'opposto. Roxy era una tosta, decisa, che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. La chioma di ricci rossi e il look ribelle, le davano un fascino particolare che la rendeva popolare con i ragazzi. Vedendola insieme Ryler nessuno avrebbe detto che erano fratelli, figurarsi gemelli: lui moro con gli occhi scuri, lei rossa con gli occhi verdi. Per questo li chiamavamo i gemelli diversi.
Kailyn invece era la coscienza del gruppo, quella che ci teneva tutti con i piedi per terra. Era la persona più meticolosa, pragmatica e razionale che conoscessi. Lei viveva di programmi e aveva un amore maniacale per il controllo. Occhi azzurri e capelli color miele, sembrava la classica ragazza della porta accanto.
Ci conoscevamo da tutta la vita ed erano la mia seconda famiglia. Erano i miei moschettieri, avrei fatto qualsiasi cosa per loro, così come ero certa che loro avrebbero fatto qualsiasi cosa per me.
Tom una volta aveva detto che noi quattro insieme facevamo una persona quasi normale. Quasi.

KAY Ragazzi, non per cambiare argomento, ma avete studiato per lunedì?

ROXY Kay che palle che sei!

KAY Lo so, ma ho l'ansia da prestazione. :)

ROXY Tranquilla tesoro, è un problema più comune di quanto pensi.

ALY E se non lo sai tu Roxy... XD XD XD

RY Ma x' dovevamo studiare qualcosa? o_O

ROXY Solo cazzate. A cosa mi servirà mai studiare roba scritta da un tizio 1000 anni fa.

ALY Shakespeare non è un “tizio”, ma uno dei più grandi scrittori mai esisti. E non è vissuto 1000 anni fa. :<

KAY È un modo per dire che tu hai già studiato? :o

ROXY Certo che ha studiato! Aly con la roba melensa è nel suo elemento.

ALY :P

RY Allora gruppo di studio.

ALY Davvero?! Come l'ultima volta?

RY No, giuro stavolta il libro lo porto.

KAY Io porto gli appunti ed il programma.

ROXY A me toccano le provviste.

ALY Ed immagino che io debba metterci la casa ed il mio immenso sapere. ;)

KAY Sììììì!

ROXY Mi pare il minimo.

ALY E sia. Vi concederò questo enorme privilegio. :) Quando ci vediamo?

ROXY Dopo cena.

KAY No. X' dopo? o_O

ROXY X' io prima ho da fare.

RY Tizio nuovo... :o

ROXY Già e se fate i bravi stasera vi racconto i dettagli piccanti. ;)





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Capitolo 4
*** Barrette al cioccolato ***


4
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Barrette al cioccolato

Come al solito la prima ad arrivare fu Kailyn, poi arrivò Ryler e l'ultima, quella che non riusciva ad essere in orario nemmeno mettendole l'orologio indietro di mezz'ora, fu ovviamente Roxy.
«Sai, io non capisco come tu faccia ad essere sempre in ritardo.», la accolse Kay.
«Puro talento!», le rispose fingendo di lucidarsi le unghie.
«Che hai portato di buono?», andò al sodo Ry puntando la busta.
«Di tutto.», ci rispose orgogliosa con un sorriso che non me la raccontava giusta e rovesciando sul tavolo ogni genere di schifezza che si potesse immaginare.
«Addio dieta.», sospirai già sconfitta iniziando a perlustrare la mercanzia in cerca della prima preda.
«Stasera qualcuno finisce in coma diabetico sicuro!», osservò Kay aprendo le patatine.
«Sì, però io non vedo il mio Bounty.», protestai.
Ormai era tradizione: ogni volta che studiavamo insieme ci abbuffavamo fino a scoppiare, ed io iniziavo la scorpacciata con un Bounty. Senza quello non riuscivo a concentrarmi. Cocco e cioccolato, erano una goduria a cui non sapevo resistere.
Roxy tirò fuori la barretta dalla borsa e la gettò sul tavolo. «È per questo che ho fatto tardi. Sono dovuta andare in un altro super.”
«Brava dai la colpa a me ora e non al tizio nuovo.» , replicai facendole la linguaccia.
«A proposito com'è andata?», si informò curiosa Kay.
«Non ha concluso.», soffiò con una smorfia.
Scoppiammo tutti a ridere in modo poco delicato, immaginandoci la scena. Roxy non era il tipo da prendersela ed in genere era la prima a trovare certi racconti divertenti, ovviamente tranne quando ne era la protagonista. Ciò che però ci fece piegare in due dalle risate fu pensare a come doveva aver reagito davanti alla défaillance, visto che la delicatezza non era mai stata il suo punto forte.
«Ti prego dimmi che non hai infierito.», riuscii a dire a fatica.
«Io?!»
«Mi sembra di vederti, mentre sbuffi come una ciminiera.», rincarò la dose Ry.
«Avevo le mie buone ragioni per essere contrariata.», gli rispose acida la sorella.
«Però pensa a come stava lui.», ridacchiò Kay e scoppiammo di nuovo tutti a ridere, «Sarà già andato a frasi prete.»
«Credetemi, non è una grande perdita per il genere femminile.», sbuffò Roxy evidentemente scocciata.
Quella di sicuro non era la sua serata: prima la défaillance e ora Shakespeare con le sue bellissime scene d'amore, proprio il genere di cose che lei odiava di più. Roxy non era una ragazza da fiori e cioccolatini, era il tipo che andava al sodo e viveva con leggerezza e, dovevo ammettere, un po' la invidiavo per questo.
«Che faccia ha fatto la commessa quando ti ha visto con questa roba? La mia l'ultima volta mi ha guardata come se avessi dei serpenti al posto dei capelli.», cambiò saggiamente argomento Kay.
«Il mio, ti assicuro, non ha guardato la spesa.», ci informò tornando a sorridere.
«Sei senza vergogna.», fece Ry scuotendo la testa.
«E mi ha fatto perfino un bello sconto.»
«Già, ma tu cosa gli hai fatto?», gli chiesi.
«Niente. Per ora.», aggiunse mostrandoci trionfante il biglietto con il numero di telefono.
«Io ti odio.», soffia scoraggiata.
Ma era possibile che Roxy riuscisse a trovarsi un uomo facendo la spesa ed io non venivo nemmeno notata? Non poteva essere solo una questione fisica. Roxy era carina, ma non era come una delle ragazze di Alex. Allora cosa aveva più di me? Perché riusciva a fare cose che io solo a pensarle arrossivo?
«Mi dici come fai a rimorchiare solo respirando?», continuai un po' acida.
«È questione di atteggiamento. Io non accetto un no come risposta. Te l'ho detto mille volte Aly. Se vuoi qualcosa devi prendertela. Sii sfacciata. Osa.»
«Non dirle certe cose.», intervenne Ryler abbracciandomi da dietro, «Non vorrai che diventi come te. Lei è perfetta così com'è.»
«Sfigata ed imbranata.», conclusi proprio nel momento in cui l'ultima persona al mondo che doveva sentire arrivò.
Non pensavo che Tom ed Alex fossero ancora a casa, ero convinta che fossero usciti ed invece eccolo lì, bello come il sole. Una visione in giacca di cuoio e jeans slavati che risvegliò le fantasie più audaci. Cosa non gli avrei fatto...
Una vocina, da qualche parte nel cervello, mi suggerì di non fissarlo in quel modo, ma non riuscivo ad impedirmelo. Vederlo due volte in un giorno era una rarità e per festeggiare i miei ormoni stavano improvvisando un flash mob. Con i pensieri completamente fuori controllo mi ritrovai a notare che il castano dei suoi capelli mi ricordava il colore scuro del cioccolato.
«Tesoro controllati, stai sbavando», mi sussurrò Ry sghignazzando.
Altro che sbavare, a me era venuta un'acquolina. Chissà che sapore avevano i suoi baci.
«Forse però sbavo un po' anch'io.», aggiunse dopo un po' quell'idiota facendomi ridere. Ovviamente così attirai l'attenzione di Alex. Aveva un sopracciglio sollevato e un'espressione tremendamente sexy. Cercai di ricompormi, ma il cuore batteva esageratamente forte facendo affluire troppo sangue al cervello, alimentando fantasie tanto indecenti quanto irreali.
«Seratina interessante, vedo.», commentò avvicinandosi e fissando le porcherie disseminate sul tavolo.
«Poteva andare meglio.», sbuffò Roxy facendoci ridere.
Alex non capì di cosa stessimo parlando e per fortuna non fece domande. Anche solo sfiorare l'argomento sesso con lui nei paraggi sarebbe stato troppo.
Da dietro le sue spalle Kay e Roxy mi fissavano con insistenza facendomi segno di dire una cosa qualsiasi per non far cadere la conversazione, ma, come sempre nel momento del bisogno, la mia mente era vuota. Black out totale.
«Perché non rimani? Magari ti offriamo qualcosa.», lo invitò allora Roxy.
Alex lanciò un'altra occhiata al tavolo. «Un'altra volta.», rispose infine sorridendo.
Una brutta sensazione mi raggelò. Afferrai la mano di Ryler e lui me la strinse a sua volta. Aveva già capito tutto. Sopraffatta da un misto di gelosia e vergogna, mi girai verso di lui e gli appoggiai la testa sulla spalla.
«Ha bisogno di affetto.», disse accarezzandomi la testa e schioccandomi un bacio alla base del collo.
Sperai con tutto il cuore che non stesse parlando con Alex.
«Credevo che a questo servissero i dolci.», lo sentii rispondere.
«No, quelli sono solo un palliativo.»
Senza volere scoppiai a ridere. Ryler era matto, ma era il miglior matto che una pazza come me potesse incontrare. Con le lacrime agli occhi, un po' per il riso un po' per il resto, tornai a voltarmi.
«Questa prima o poi me la spieghi.», brontolò Alex confuso.
Incapace di rispondergli mi limitai a scuotere la testa. Nemmeno sotto tortura gli avrei detto che mi bastava vederlo parlare con un'altra per diventare verde di invidia. Per fortuna prima che potesse aggiungere qualcosa, Tom lo raggiunse. Per una volta la sua presenza era stata provvidenziale, salvandomi da quella che prometteva di diventare l'ennesima figuraccia.
«Be' allora buona serata.», ci augurò rubando un cioccolatino dal tavolo.
Purtroppo la mia buona stella, che sembrava essersi presa un lungo anno sabbatico, non mi impedì di notare che Alex aveva preso proprio il mio Bounty e, prima che potessi fermarmi, mi uscì un «Ehi!» di protesta.
I miei moschettieri risero senza ritegno, mentre Alex sorpreso si fermò e fece dietro front.
«Che c'è? Non posso?», mi domandò guardandomi dritta negli occhi e mandandomi fuori uso quei due neuroni che mi restavano.
Mayday. Mayday. Aly a qualsiasi divinità in ascolto. Aiuto!
«No. No. F-figurati.», balbettai affogando nel suo sguardo.
Consapevole di avere gli occhi sgranati e l'aria di chi si era appena fatta un acido, maledii me stessa e la mia boccaccia. Ma perché per una volta non mi ero evitata la solita figura da cerebrolesa?
Alex fece un altro passo e si piazzò ad una distanza non di sicurezza per me e la mia sanità mentale. Il suo sguardo si fece più intenso e penetrante, come se volesse leggermi l'anima. Il blu dei suoi occhi era profondo e affascinante ed io ne ero incantata. Anche se sentivo le guance in fiamme e gli ultimi barlumi di lucidità dissiparsi, non riuscii ad interrompere quel contatto. Era troppo vicino, troppo intenso, troppo bello.
Nemmeno lui però sembrava intenzionato a spezzare l'incantesimo che ci aveva legati, che percepisse la magia? O forse voleva vedere se riusciva ad uccidermi solo con uno sguardo? No, perché poteva farlo benissimo, non c'erano dubbi a riguardo.
Un mezzo sorriso gli affiorò sulle labbra, risvegliando pensieri indecenti su come sarebbe stato assaporare quelle stesse labbra, che ero sicura fossero capaci di baci infuocati. Poi d'un tratto, non so come, mi resi conto che Alex lo stava facendo apposta. Mi stuzzicava liberando nuvole di feromoni per poi godersi beato il mio imbarazzo. E davvero non so cosa mi prese. Forse fu lo stato di completo rincretinimento in cui ero caduta, ma invece di scappare, di arrossire o di correre a nascondermi, mi piccai. Puntai i piedi e, per alleviare il nervosismo, iniziai a giocare con una ciocca di capelli.
Non so quanto tempo durò, ma alla fine fu lui a cedere scuotendo la testa divertito. Soddisfatta e orgogliosa per avergli tenuto testa, mi abbandonai ad un sorriso spontaneo. Alex mi fissò ancora qualche secondo poi raggiunse Tom senza dire niente. Sospirai sollevata. Forse stavolta il mio amor proprio era salvo.
Però invece di uscire, loro se ne restarono lì a confabulare e lanciare occhiate nella mia direzione. Quando Alex mostrò a Tom il Bounty realizzai con orrore di essere l'oggetto della conversazione. Pregai che mio fratello per una volta tenesse il becco chiuso e si facessi gli affaracci suoi. Ma Tom poteva perdere l'occasione di mettermi in imbarazzo? Ovviamente no ed infatti Alex sorrise e si voltò fulminandomi con uno sguardo tanto intenso da farmi rabbrividire.
«Ryler ti prego uccidimi ora se mi vuoi bene.», lo pregai sentendo l'imbarazzo sopraffarmi.
«Shh. Ecco che torna.», mi avvertì svelto.
«Tieni.», disse restituendomi la barretta.
Ecco se c'era un momento buono per venir colpita da un fulmine, era questo.
Accidenti a Tom e alla sua lingua da comare. Questa me l'avrebbe pagata cara.
«Sul serio. Tienila.», rifiutai decisa.
Alex si grattò il sopracciglio. Un sorrisetto gli increspò le labbra. «Non è mia abitudine lasciare una donna insoddisfatta.».
Il tono caldo e allusivo non mi sfuggì. 
Il cuore inchiodò e la mascella cadde a terra lasciandomi con l'espressione da baccalà. Era una mia impressione o Alex Davis stava flirtando con me?
Con discrezione feci scivolare lo sguardo su Roxy e Kay. Anche loro sembravano allibite, ma mi mostrarono quattro pollici in su.
Non potevo credere che stesse accadendo davvero. Cercai di trattenere il solito sorriso scemo che lottava per affiorare mordendomi il labbro. «Sul serio?»
Alex sorrise un po' spiazzato. «Sicura di non volerla?»
«Certo, goditela.».
Di colpo sentii caldo. Il ricordo della scena descritta da Roxy, di me che appiccicavo Alex al muro infilandogli la lingua in gola, tornò a galla dando un senso tutto nuovo a quell'espressione. Goditelo, aveva detto.
La temperatura nella stanza superò quella di fusione del vetro e prima che Alex o chiunque altro potesse leggermi negli occhi fantasie a luci rosse, abbassai lo sguardo.
«Ho qualcosa di buffo?», domandò non capendo cosa aveva scatenato l'ilarità dei miei amici.
«Ce l'hanno con me.», risposi con un filo di voce continuando a fissarmi i piedi.
«Capisco.». Dal tono sembrava quasi compiaciuto, ma non osai alzare lo sguardo per controllare.
Se davvero aveva, anche solo lontanamente, intuito qualcosa, stavolta mi sarei chiusa in un convento di clausura per sempre.
«Dividiamo.», propose ancora ostinato.
Mi limitai a fare no con la testa e lo sentii sospirare. L'avevo offeso o fatto arrabbiare? Il dubbio lancinante superò la vergogna e finii di nuovo per perdermi nel suo sguardo.
Non volevo che pensasse che non avevo apprezzato il gesto. «Meglio non lasciarsi tentare.».
«Però è così bello cedere alla tentazione.», mi rispose mordendo la barretta a metà e poggiando l'altra direttamente sulle mie labbra.
Il sapore corposo ed esotico mi invase la bocca, scivolandomi giù lungo la gola. Sapeva di cioccolato, di cocco, di Alex.
«Ah. Ah.», farfugliai completamente in estasi.
Soddisfatto Alex mi regalò un sorriso spontaneo che mi arrivò dritto al cuore.
«Hai finito di fare lo scemo? È tardi.», sbraitò Tom.
«Sì, sì arrivo.», gli rispose.
«Ci vediamo.», salutò come se nulla fosse successo, «Ciao Aly.», aggiunse ammiccando nella mia direzione.
Il campanello nella testa annunciò la fine dell'incontro e la mia totale disfatta per K.O. tecnico.

«Oh mio Dio! Oh mio Dio! Oh. Mio. Dio.», gridò Ryler una volta che se ne furono andati.
«E brava la nostra Aly.», si complimentò sua sorella.
«Tesoro, forse è meglio se ti siedi. Non hai una bella cera.», intervenne Kay un attimo prima che le gambe cedessero.
Era stato pazzesco. «Lui... lui ha... ed io... e lui...», farfugliai in stato confusionale.
Ma era successo davvero o ero completamente impazzita e mi ero immaginata tutto?
«Ora però ci devi spiegare da dove hai tirato fuori quell'atteggiamento da gatta morta.», mi domandò Roxy curiosa.
La guardai come se le fosse appena spuntata una seconda testa. Gatta morta? Io?!
«Non guardarmi come se non sapessi di cosa parlo.», continuò mettendo le mani sui fianchi.
Ecco, ora era la copia di mamma quando mi rimproverava. Anzi peggio, sembrava papà.
«Ti abbiamo vista. Eri tutta sguardi languidi e sorrisi maliziosi. Per non parlare del modo in cui giocavi con i capelli. Era il repertorio al gran completo, quasi non ti riconoscevo.»
«Il tuo Alex sembrava piacevolmente sorpreso e affatto indifferente.», sghignazzò Ryler sgranocchiando patatine.
Ma forse non avevamo vissuto la stessa esperienza, perché nella mia c'erano panico, imbarazzo ed un completo stato confusionale. Per tutto il tempo non avevo avuto la più pallida idea di cosa stavo facendo e dicendo.
«Sapete,» , disse Kay studiandomi attentamente, «non credo che si renda conto.»
Ry mi afferrò per le spalle e mi guardò dritta negli occhi. «Aly, sei stata perfetta. L'atteggiamento, il tono di voce, le risposte... hai attirato la sua attenzione. Non ti toglieva gli occhi di dosso.»
«In effetti sembrava molto preso.», ammise perfino Kay.
Era inutile; non avevo la più pallida idea di cosa parlassero.
Mano a mano che mi tranquillizzavo sentivo il cuore tornare ai suoi ritmi e il sollievo per essere sopravvissuta prendere il sopravvento insieme ad un incontrollabile voglia di ridere, ridere davvero, ridere fino a scoppiare. Cercai di trattenermi mordendomi il labbro, ma gli angoli della bocca si erano già piegati in un sorriso.
«Secondo me un po' gli piaci.», fece Ry continuando a pescare senza pietà dalla busta di patatine.
«Adesso non iniziamo con i soliti voli di fantasia. Per una volta prendiamo le cose per come stanno, ok?»
«E le cose stanno che Aly e Alex hanno flirtato.», insistette Ry.
«E di sicuro se l'è goduta un sacco.», aggiunse Roxy.
Suo fratello annuì energicamente. «Se solo non ci fosse stato Tom...»
«Non vi pare di stare esagerando? Hanno solo parlato.», provò di nuovo a placare gli animi Kay.
«Chi esagera? È stato Alex ad iniziare. Questo vorrà pur di qualcosa, no?». Quando Ryler si metteva in testa una cosa non gli si faceva cambiare idea facilmente.
Io ascoltavo passivamente, non riuscivo ancora a crederci. Forse dovevo darmi un pizzicotto. «Ma è successo davvero?».
Invece di una risposta ottenni un mega abbraccio di gruppo e, a dirla tutta in quel momento ne avevo davvero un gran bisogno.
«Certo che è successo.», mi rassicurò Kay, «Voglio solo che tu stia attenta e non ti faccia troppe illusioni. Non voglio vederti con il cuore a pezzi.»
Roxy sbuffò spazientita. «Nessuno lo vuole, ma dopo stasera mi pare chiaro che ha una possibilità.»
«Sono d'accordo, sono d'accordo.», disse Ry saltellando accanto alla sorella.
«Non dovete convincermi. Anche io sto dalla sua parte.»
Non ce l'avevo con Kay per il suo atteggiamento da bastian contrario, anzi le ero grata, perché se fino ad ora avevo contenuto i danni e le delusioni era soprattutto merito suo. Avevo bisogno di qualcuno che mi riportasse alla realtà, vista la mia naturale tendenza ad abbandonarmi alla fantaromanticherie.
«Quindi ricapitolando direi che la serata di studio ha dato i suoi frutti. Di sicuro abbiamo imparato due cose fondamentali.», affermò Roxy.
«Tipo?», chiesi sempre più confusa.
«Primo: ora sappiamo come solleticare l'interesse di Alex.», riprese rigirandosi tra le mani l'incarto vuoto del Bounty, «Ma soprattutto abbiamo capito che Alex non è così inavvicinabile come vuol sembrare.»
I moschettieri ridevano tra sé, mentre io arrancavo sempre di più. «Io non ho afferrato.»
«È normale. Il tuo dio del sesso ti ha appena squagliato il cervello.», sghignazzò Ry facendomi di nuovo arrossire.
«Tu ed Alex avete flirtato ed è una buona cosa.», spiegò Kay parlandomi come se fossi ritardata.
Alex non poteva aver flirtato con me. Non volontariamente. Voglio dire lui era... be' lui, ed io ero solo io. Non era possibile, una cosa del genere non era nemmeno immaginabile, giusto? «Magari voleva solo essere gentile.»
Roxy si coprì gli occhi con la mano e sospirò esasperata. «E il bacio come lo spieghi?»
«B-bacio?», balbettai con voce stridula, mentre la testa trillava come una slot machine impazzita.
Deglutii un paio di volte a fatica, mentre la faccia di Alex e la parola bacio cercavano di incastrarsi nella mia immaginazione. Avevo di nuovo caldo. Molto caldo.
«Solo una provocazione.», commentò Kay.
Ok, le possibilità erano due: o ero impazzita, o i miei amici parlavano in una lingua sconosciuta, perché io davvero non riuscivo a dare un senso alle loro parole.
«Prima le sue labbra e poi le tue... chiaro no?», fece Ry con un'alzata di spalle.
No. No che non era chiaro.
«La barretta Aly!», urlò infine Roxy sottolineando l'ovvietà della cosa.
Ripensare a lui mentre mordeva il Bounty mi fece girare la testa. Era così vicino e non aveva fatto che fissarmi. Ma si potevano avere fantasie vedendo mangiare uno snack? Ma chi volevo prendere in giro, certo che si poteva e d'ora in avanti non ne avrei avuto di altro tipo. Ne ero sicura.
Finalmente mi si accese la proverbiale lampadina, ma brillò così forte da fulminarsi.
«No...di sicuro lui....lui non ha... non di proposito.», farfugliai sfiorandomi le labbra che ancora avevano il sapore intenso del cioccolato.
«Credimi, il tuo Alex sapeva esattamente cosa stava facendo.», mi rispose con l'espressione di chi la sapeva lunga.
Il cuore stava per scoppiarmi e la testa mi girò pericolosamente. Io ed Alex. Le mie labbra e le sue...
Una cosa era certa, non avrei più guardato una barretta al cioccolato allo stesso modo.



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Capitolo 5
*** INCONTRI NOTTURNI ***


incontri notturni

~~CAP 4
I quindici giorni seguenti furono una tortura. L'impazienza di rivederlo crebbe mano a mano che il tempo passava, mentre si faceva spazio la consapevolezza che se non stava più sempre con Tom era perché doveva aver trovato una nuova ragazza. Era sempre stato così, ormai riconoscevo i segni.
La gelosia tornò a mordermi. Avrei dovuto esserci abituata, eppure continuava a darmi fastidio. Quante volte ancora dovevo ripetermi che era normale che si trovasse una ragazza e che volesse passare ogni secondo libero con lei invece che con quello scimmione di Tom. Ed io non avevo nessun diritto di sentirmi dispiaciuta ed infastidita per questo. In fondo non volevo anche io che lui fosse felice?
Forse però il punto era che non volevo saperlo, non volevo pensarlo con un'altra, perché poi inevitabilmente usavo la ragazza come pietra di paragone e non c'era verso per la mia autostima di uscirne illesa.
Poi una sera tornando a casa me lo ritrovai davanti, così senza preavviso. Jeans e t-shirt bianca, bello da infarto con quell'accenno di barba che gli dava un'aria dannatamente sexy. Lo stupore mi colpì allo stomaco facendomi boccheggiare. Mi resi conto troppo tardi di aver sgranato gli occhi e aperto la bocca come un pesce lesso, lasciandomi, per altro, con le stesse capacità cognitive.
“Tua madre mi ha invitato a cena.”, disse lui accorgendosi che lo fissavo.
“Ah.”
Un media scolastica discretamente alta, anni di vita a leggere e assimilare espressione dei più grandi scrittori mai esistiti e tutto ciò che la mia mente fu in grado di partorire fu un «ah» piuttosto acido.
“È un problema?”, mi chiese aggrottando le sopracciglia.
“Ehm... credo di no...”, farfugliai.
“Credi?”, rimarcò.
“No...volevo dire no.” e prima che chiunque potesse dirmi qualcos'altro scappai in camera. Cercai velocemente il cellulare in borsa e inizia a digitare. Solo Ryler era on line.

«È qui!»
RYLER «Chi?»
«Apollo!!»
RYLER «Bene!!!» »
«Credo di avergli dato l'impressione di esserci rimasta male quando l'ho visto.»
RYLER «Cosa te lo fa pensare?»
«In pratica me lo ha detto.»
RYLER «E tu?»
«Al solito.»
RYLER «Farfugliamenti senza senso?»
«Aggravati dalla sorpresa»
RYLER «Tranquilla ormai ci sarà abituato.»
«Ry ma perché faccio così?»
RYLER «Perché ti sei ustionata. >D»
«Stupido sole!»
RYLER «Da uno così mi farei bruciare volentieri anch'io! ;D»
«Non vorrai mica provarci, eh?»
RYLER «Chissà...»
«Sono gelosa!!»
RYLER «Di lui o di me?»
«Di entrambi. E poi non ho bisogno di altra concorrenza!»
RYLER «Perché pensi possa avere una chance?»
«Sempre più di me. Scemo!»
«Mia madre mi chiama, devo andare. Ry prega per me!»

Cercando di riprendermi un po', presi un respiro profondo e andai a cena. Alex non mi degnò di uno sguardo. Passò tutta la cena a parlare con Tom e mio padre, mentre io mi limitavo a guardare il piatto. Le cose sembravano essere tornate alla normalità: io morivo per lui mentre lui non si accorgeva di me.
Poco dopo cena uscirono. Avevano un appuntamento ed il resto potevo immaginarlo. Fui sollevata di vederli andar via, anche se non diminuì il disagio che provavo. Non mi era piaciuto venire ignorata, non dopo aver provato il piacere di scherzare con lui, ma forse era meglio così. Dovevo ricordarmi qual'era il mio posto e qual'era il suo. Il nostro rapporto in fondo era regolato dalle stesse leggi che regolavano il moto della terra intorno al sole; se la terra si fosse allontanata o avvicinata  troppo dal sole la vita sarebbe cessata. Era una questione di equilibrio.
Incapace di star ferma, alle 23 mi misi ad impastricciare qualcosa in cucina. Amavo cucinare e soprattutto mi rilassava. Se ero nervosa o arrabbiata prendevo un po' di farina ed uova e iniziavo a sfogarmi sull'impasto e la tensione spariva. In oltre avevo notato che spesso quando preparavo un dolce la sera, Tom al rientro ne approfittava, anche se non lo aveva mai ammesso.
Quella sera decisi di provare qualcosa di nuovo: sfogliatine fritte. A causa della dieta normalmente restavo su ricette leggere, ma avevo bisogno di cibi grassi e malsani per quietare il mio malumore.
Presi il grembiule con la scritta «Kiss the cook» regalatomi dai miei amici, accesi la radio nel MP3 per non svegliare i miei ed iniziai a preparare i dolcetti. Arrivata al secondo giro di frittura ogni malumore era sparito. Sballettavo come una scema, contenta e soddisfatta per l'aspetto delle sfogliatine e canticchiavo compiaciuta la canzone di Taylor Swift che passavano alla radio. Solo quando mi girai per prendere delle altre sfoglie lo vidi.
Alex era appoggiato allo stipite della porta e mi guardava divertito.
“Ti prego non fermarti.”, mi disse.
Fulminata dalla consapevolezza dell'immane figura di merda, mi irrigidii. Presi i pezzetti di pasta e mi voltai, ignorandolo mentre mi maledicevo.
Che ci faceva lui lì? Perché erano già rientrati? Perché mi aveva vista proprio in quel momento, mentre sembravo più scema del solito?
“Che fai, mi ignori?”, mi chiese avvicinandosi.
Si, questo era il piano. Magari non tra i più brillanti ed originali, ma sul momento non mi era venuto niente di meglio. Anche lui però poteva sforzarsi un po' di cooperare invece di rendermi le cose dannatamente difficili.
“Che cucini di buono?”, insistette.
“Niente.”, mi uscì seccata.
“Allora ti sei accorta che ci sono.”, constatò soddisfatto.
“Io me ne accorgo sempre.”, dissi con un filo veloce, sperando però che lui non mi avesse sentita.
Tuttavia non potevo restare per troppo tempo di malumore quando lui era nella stanza, per cui in un paio di minuti tornai a bearmi della sua presenza. Eravamo soli per la prima volta. Il cuore iniziò a battere più forte e la dolcezza spazzò via ogni altro sentimento.
“Come mai siete tornati così presto? Non dirmi che vi hanno dato buca.”, feci più dolcemente.
“Tuo fratello non stava bene. Credo abbia la febbre.”, spiegò.
Mi voltai di scatto pronta a chiedere delucidazioni ma lui fu più rapido.
“Tranquilla sopravviverà.”
Era carino a volermi rassicurare ed era impossibile per me non sentirmi sollevata se lui faceva così. La sua voce era una carezza gentile, tanto delicata da farmi percepire il desiderio di placare la mia agitazione.
“Mi dispiace che ti abbia rovinato la serata.”, dissi sincera.
“E chi ha detto che lo sia?”, fece.
Già. Ovviamente non lo era. Lei lo stava aspettando. Era solo venuto ad accompagnare mio fratello e ci aveva guadagnato una grassa risata a mie spese.
“Allora vai, non vorrai farla aspettare.”, lo esortai stringendo un po' di più il mestolo.
“Chi?”, chiese confuso.
“La tua ragazza.”, risposi come se fosse la cosa più ovvia del mondo, “Non si fa mai aspettare una donna.”
Non ci credevo. Lo stavo spingendo ad andare da un'altra. Ma si poteva essere più cretine?
“La mia ragazza?”, fece fingendo di non capire.
“Ragazza, innamorata, amante... insomma la persona che ti aspetta.”, chiarii il concetto.
Qualche volta Alex era un po' stronzo, ma fino a quel momento l'avevo considerato parte del suo fascino. Ora era solamente fastidioso.
“Non c'è nessuno che mi aspetta.”, mi disse lui.
Non era vero. Io lo aspettavo da una vita, ma era impensabile che lui lo sapesse.
“Ok.”, risposi seccata.
Odiavo essere trattata da stupida, perché sapevo di non esserlo e non mi piaceva l'idea che Alex mi considerasse tanto cretina da non capire, o ancor peggio che stesse mentendo per cercare di non ferire la stupida sorella del suo amico che aveva una cotta per lui.
“Cosa ti fa pensare che ci sia?”, mi domandò curioso.
Perché io ti conosco, avrei dovuto rispondere. Perché ti guardo sempre e so leggere le espressioni del tuo volto, so cosa ti piace e cosa odi e so capire al volo quando vedi una donna. Invece dissi tutt'altro.
“Ho tirato ad indovinare, mi sono sbagliata?”
“No.”, mi rispose, “Ma stasera ormai è andata.”
“Mi dispiace per te.”, feci poco convinta.
“Davvero?”
No, non ero dispiaciuta che Alex fosse con me invece che con lei, ma di sicuro dispiaceva a lui.
“Davvero.”, confermai.
Per qualche attimo calò il silenzio. Io continuavo a cucinare, mentre lui continuava a fissarmi. Non capivo perché rimanesse lì, ma non mi dispiaceva averlo accanto.
“Io ti piaccio non è vero.”, domandò di punto in bianco.
Cosa dovevo rispondergli? Avrei potuto negare, ma sarebbe stata una bugia così palese da essere ridicola. Ammetterlo così apertamente però mi sembrava rischioso e se mi avesse detto di smettere o che gli dava fastidio?
“Si, mi piaci.”, confessai alla fine con un filo di voce senza guardarlo.
Il silenzio che seguì fu atroce da sopportare. In quel momento avrei voluto solo lasciare ogni cosa e sparire. In fondo cosa gliene importava a lui se io avevo una cotta? Era una cosa mia, non lo riguardava. Non gli avevo mai chiesto niente, allora perché doveva importargliene?
“Non dici niente?”, feci cercando una reazione che non venne.
“Quelli sono per me?”, disse puntando i dolci.
Aveva cambiato argomento. Non era un buon segno. La lacrime cercarono di fare capolino, ma le ricacciai indietro. Non volevo fargli una scenata o farlo sentire a disagio.
“No, avevo voglia di cucinare e poi pensavo che a Tom avrebbe fatto piacere.”
“Tom?”, domandò alzando un sopracciglio scettico.
“Si. Credo che gli piacciano i miei dolci, anche se lui nega.”
“E cosa te lo fa pensare?”
Sembrava divertito da qualcosa anche se non capivo dov'era la battuta.
“Li mangia sempre quando uscite, anche se non capisco cosa gli costerebbe ammetterlo.”
Sta cosa mi aveva sempre un po' seccato. Che bisogno c'era di negare l'evidenza?
Con la coda dell'occhio vidi Alex passarsi una mano sul volto. Lo faceva sempre quando era a disagio. Non potevo credere di averlo messo così tanto in difficoltà. Forse non ero una delle sue barbie, ma non ero neanche un mostro tale da giustificare quella reazione. E poi se gli davo così fastidio perché rimaneva?
“Ehm...in realtà non è Tom a mangiare i tuoi dolci.”, ammise un po' in imbarazzo.
Era la prima volta che lo vedevo così, di solito era sempre sicuro di sé. Era tremendamente dolce. Non so cosa avrei dato per poterlo stringere forte. Cercando di rimanere con i piedi per terra, spostai l'attenzione da lui alle sue parole.
“Certo che è lui.”, risposi piccata.
Alex scosse la testa, aspettando che capissi, cosa che avrei fatto se non avessi parlato con lui. Alla fine si ritrovò costretto a spiegarmelo apertamente.
“Sono io.”, disse tutto d'un fiato, “Sono io a mangiare i tuoi dolci.”
Ora avrebbe pensato che ero cerebrolesa e, a dire il vero, qualche dubbio cominciavo ad averlo anche io. Poi di colpo fui colta da un'illuminazione. Finalmente tutto aveva un senso.
“Tu stai aspettando le sfogliatine, non è così?”, esclamai sorridendo.
Non sapevo neanche io se ero più divertita o delusa dalla piega presa dalla situazione. Mi faceva piacere sapere che ad Alex piaceva ciò che cucinavo, che lo mangiava, ma sentii una punta d'amarezza nel constatare che non era lì per parlare con me, voleva solo i suoi dolci.
Presi lo zucchero a velo e lo versai sulle sfoglie già fredde che poi poggiai sul tavolo.
“Serviti pure.”, dissi un po' delusa.
“Al tuo ragazzo starebbe bene se lo sapesse?”, mi fece addentando una sfogliatina.
“Ragazzo?!”, ripetei con la voce più alta di un'ottava.
“Si, il moretto che è sempre qui.”, spiegò lui, “Me lo ha detto tuo fratello.”
Tom. Di nuovo lui. Stavolta era morto.
“Ryler?! Tom ti ha detto che sto con Ryler?”, mi uscì con una rabbia tale da shockare Alex, “Lo uccido! Stavolta lo faccio fuori, giuro!”
“Perché? È un segreto?”, domandò divertito.
“No, è solo una delle sue cazzate!”, sbuffai furiosa.
“Non è il tuo ragazzo?”
“No, ovviamente no! Ryler è un amico e mio fratello sa benissimo che è così. Non capisco perché dica una cosa del genere. E poi perché parlate di me voi due?”, presa dalla rabbia me la presi anche con lui.
Quante cose non vere poteva avergli raccontato Tom? E soprattutto quante cose vere gli aveva detto? L'istinto di soffocarlo col suo stesso cuscino divenne quasi un bisogno impellente.
Si poteva far passare il soffocamento come la complicanza di un'influenza?
“Sei un ottimo argomento di conversazione.”, rispose Alex calmo facendo spallucce.
La mia faccia si accese come un semaforo. Non potevo credere che... non volevo neanche pensarci.
“Oh Dio...”, sospirai coprendomi il volto con le mani.
“Dice solo cose carine su di te.”, cercò di rassicurarmi.
“Si, certo! Come attribuirmi un fidanzato gay.”
Perché Tom mi faceva questo? Non poteva farsi gli affari suoi?
Tolta l'ultima sfoglia dal fuoco, mi piegai al bisogno di sottrarmi a quell'umiliazione.
“Io vado a letto.”, dissi tenendo lo sguardo basso.
“Dai non...”
“Buonanotte Alex!”, lo interruppi prima di scoppiare a piangere per il nervoso.

La mattina dopo stavo da cani. Avevo pianto per buona parte della notte ed ora mi ritrovavo con gli occhi gonfi e arrossati, delle occhiaie mostruose e un aspetto generale degno di un mostro. Ero ancora molto arrabbiata con Tom o forse più che arrabbiata ero delusa. Perché parlava alle mie spalle? Perché lo faceva proprio con Alex?
La cucina fortunatamente era deserta, così non dovetti fingere con i miei che tutto fosse a posto, ma non feci in tempo a finire di fare colazione che Alex e Tom mi raggiunsero. Alex doveva aver dormito da noi, visto che indossava un pigiama di Tom (neanche a dirlo su di lui faceva tutto un altro effetto).
Mio fratello sembrava essere guarito, ma non ero sicura che il suo stato di benessere sarebbe durato. Se solo non ci fosse stato Alex...
Senza neanche darmi il buongiorno allungò la mano verso le sfogliatine sul tavolo proprio davanti a me. Stizzita com'ero gli colpii il palmo della mano con il cucchiaio.
“Ahi!”, protestò massaggiandosela, “Ma ti ha dato di volta il cervello?”
“Non sono per te.”, risposi acida.
Alex cercò di soffocare una risata. Io non ci trovavo niente da ridere. Stavolta ero davvero arrabbiata.
“E per chi sarebbero?”
“Per il mio ragazzo. Sembra che io mi sia fidanzata.”
Tom sbuffò ignorando il mio sguardo omicida.
“Si può sapere che hai stamattina? Ti sei alzata col piede sbagliato?”
“No, sono solo un po' stronza. Avrò preso da te, magari sei contagioso.”, il mio sguardo non concedeva sconti.
“Sentiamo che ti avrei fatto stavolta?”, fece alzando gli occhi al cielo.
“Chiedilo a lui.”, dissi indicando Alex che sentendosi chiamato in campo si irrigidì. “È colpa sua se ce l'ho con te.”
Poi mi alzai e, preso il piatto con le sfogliatine, me ne andai in camera.
Solo dopo essermi calmata e vestita notai un piccolo pezzo di carta sul pavimento. Lo aprii e per poco non caddi a terra per lo shock.

«Sei adorabile quando sei in imbarazzo. Grazie per le sfogliatine.
Alex»

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Capitolo 6
*** Una serata diversa ***


~~CAP 5
PDV ALEX

Avevo accettato di buon grado l'invito della madre di Tom a fermarmi per cena. Non avevo altri programmi ed ero stanco di mangiare da solo. L'atmosfera di quella casa era calda e accogliente e Mrs. Williams mi trattava quasi come un figlio. Una volta ogni tanto era bello passare una serata tranquilla.
Inoltre speravo che Aly avesse cucinato qualcosa per dessert. Dio, era davvero brava in cucina.  C'era qualcosa di diverso nei suoi dolci, un sapore particolare che non riuscivo ad identificare, ma che gli dava un gusto unico. Tom spesso smusava e si rifiutava di assaggiarli, ma non sapeva cosa si perdeva. Se avessi avuto io una sorella come lei avrei dovuto aumentare drasticamente le ore in palestra per compensare.
Quella sera però Aly non c'era e sentii lo stomaco contrarsi per la delusione. Mi consolai con il pensiero di ciò che mi aspettava dopo. Darla. La sola idea risvegliò un tipo diverso di appetito. Non vedevo l'ora di metterle le mani addosso, erano settimane che non facevamo altro che stuzzicarci a vicenda. Stasera sarebbe stata mia. Sapevo che mi voleva, glielo leggevo negli occhi ed era troppo tempo che dormivo da solo.
Lei era la quinta essenza di ciò che cercavo in una donna. Era sexy, sicura di sé, forte, indipendente e tremendamente intelligente. Aveva un corpo perfetto e non bramavo altro che poterlo esplorare.
Cazzo! Ero già eccitato come un ragazzino.
Prima che potessi rendermene conto mi ritrovai davanti ad Aly. Mi guardava sbalordita con la bocca aperta. Sembrava un cartone animato. Dovetti sforzarmi molto per non scoppiare a ridere.
“Tua madre mi ha invitato a cena.”, le spiegai con un sorriso.
Sapevo l'effetto che avevo su di lei e, per quanto la cosa facesse incazzare Tom, io mi ci crogiolavo. Mi divertivo a stuzzicarla, bastava così poco per farla reagire.
“Ah.”, disse semplicemente.
Sembrava piuttosto seccata. Non me lo aspettavo. Non era così che faceva di solito. Forse era di malumore.
“È un problema?”, le domandai.
“Ehm... credo di no.”, borbottò accigliata, ma non sembrava troppo convinta.
“Credi?”, la rimbeccai.
Sgranò gli occhi e arrossì prima di balbettare “No...volevo dire no.” per correre poi via.
Era davvero una ragazzina molto ingenua, bastava così poco per farla innervosire. Non avevo mai conosciuto un tipo così. Era bizzarra così fragile ed insicura. Capivo perché Tom fosse tanto protettivo verso di lei. Era praticamente priva di qualsiasi autodifesa.
Un pugno mi colpì alla spalla riportandomi alla realtà.
“Ti sei bevuto il cervello!”, urlai a Tom massaggiandomi la parte offesa.
“Che le hai fatto?”, mi chiese serio.
Eccolo di nuovo. Tom in modalità fratello maggiore iperprotettivo, maniaco del controllo. Alle volte  esagerava con quel suo atteggiamento da chi-tocca-mia-sorella-muore. In fondo anche lei prima o poi doveva pur iniziare ad uscire con i ragazzi, anche se sinceramente non invidiavo per niente il poveretto che avrebbe dovuto affrontare Tom. Per essere un tipo tranquillo, cambiava fin troppo quando c'era in ballo Aly.
“Le ho solo detto che restavo a cena.”, gli spiegai con noncuranza.
“È mia sorella.”, sottolineò.
“Ma dai?!”
Possibile che non si fidasse? Sapevo benissimo che sua sorella era off-limits, non che fossi interessato. La trovavo carina, ma non mi interessava, non in quel modo. L'idea di Darla tornò a sfiorarmi, dandomi un brivido d'eccitazione. Non potevano essere più diverse lei e Aly.  La verità era che ero un po' geloso di Tom; avevo sempre desiderato una sorellina più piccola, un tipo esattamente come Aly.

Cenammo tranquillamente parlando con Mr. Williams di sport e uscimmo subito dopo. Ero impaziente. Fremevo per l'eccitazione.
Quando entrammo nel locale Darla era già lì. Era seduta al bancone parlando con un paio di amiche. Si era messa in tiro. Aveva un abito succinto che lasciava davvero poco all'immaginazione e un lunga catena d'argento che le finiva tra i seni.
Cazzo quanto mi eccitava.
“Ciao.”, la salutai con il mio sorriso più abbagliante.
“Ehi, straniero.”, ricambiò lei con quel suo modo di fare ammaliante.
“Sei davvero stupenda stasera.”, le dissi
“Anche tu non sei male.”, mi sussurrò all'orecchio mordendomi poi il lobo.
Avrei voluto prenderla lì, in quel momento. Quel suo modo di guardarmi così lascivo, quel suo modo di provocarmi... sapevo cosa stava facendo, voleva portarmi al limite, ma era un gioco che si poteva fare in due.
Le feci scivolare l'indice lungo la schiena lasciata nuda dallo scollo vertiginoso dell'abito e la vidi rabbrividire. Mi guardò divertita.
“Non mi chiedi di ballare?”, mi fece mettendomi le braccia al collo.
La attirai ancora di più a me prendendola per i fianchi. In realtà non mi fregava un cazzo di ballare con lei, volevo solo toglierle quel vestito, ma non volevo rovinare tutto.
“Io non chiedo. Mi prendo ciò che voglio.”, le sussurrai con voce roca trascinandola in pista.
“E cosa vuoi ora?”, chiese con una strana luce negli occhi.
“Te.”
Senza pensarci le presi il volto e la baciai con passione. Basta giochini, ora volevo fare sul serio. Lei rispose al mio assalto con la stessa passione. Sentivo il suo corpo strusciarsi al mio, le dita tra i miei capelli.
Chi aveva detto che ballare è l'anticamera del sesso, doveva aver conosciuto Darla. Il modo in cui si muoveva era perfetto, sensuale e provocante. Ci mise meno di un'ora a portarmi al limite.
“Andiamo.”, le ordinai.
Le annuì eccitata passandosi la lingua sulle labbra. Bruciavamo entrambi di desiderio.
Appena fuori dal locale, ci saltammo addosso, finendo per fare l'amore sul sedile della mia auto.
“Alex...”, mugolò ancora su di giri.
Non mi accontentavo di una sveltina sul sedile dell'auto. La volevo nel mio letto. Mi sistemai alla meglio e mi misi al volante.
“Quello non è Tom?”, mi fece notare lei mentre si tirava su il vestito.
In quel momento non mi importava un cazzo di Tom. Poteva anche essere vestito da drug queen.
“Guarda, sembra ubriaco fradicio.”, continuò lei divertita, “Allora non è così serio come vuol sembrare!”
Svogliatamente spostai lo sguardo verso il punto indicato da Darla e vidi Tom traballante e malfermo andare verso la macchina.
Sembrava davvero ubriaco.
“Forse dovrei andare a vedere...”, mi uscì controvoglia.
“Sono sicura che possa cavarsela da solo.”, mi assicurò lei passandomi una mano tra i capelli.
Lo guardai per qualche secondo con la mano sull'accensione indeciso su cosa fare. La parte razionale mi diceva di controllare, ma l'altra mi spingeva a fregarmene e continuare la mia serata.
“Dai metti in moto.”, mi soffiò Darla all'orecchio.
In quel momento però vidi Tom perdere l'equilibrio e cadere a terra rovinosamente. In un attimo ero già fuori e lo avevo raggiunto.
“Mi sono cadute le chiavi.”, sbiasciò confuso.
Ma quanto cazzo aveva bevuto?
“Dove vorresti andare in questo stato idiota?”, feci incazzato.
“A casa... Non mi seno bene...”
“Questo lo vedo! Si può sapere quanto hai bevuto?”
Aveva scelto davvero una bella serata per ubriacarsi in quel modo. Idiota!
“Niente.”, mi disse portandosi le mani sugli occhi, “Cazzo ho la testa che mi scoppia!”
Reprimendo il desiderio di picchiarlo per avermi mandato a puttane la notte di sesso con Darla, lo aiutai ad alzarsi rendendomi conto solo in quel momento che aveva gli occhi lucidi e la faccia rossa.
“Dammi le chiavi Alex, voglio andarmene...”
Non era ubriaco, stava male. Glielo si leggeva in faccia. Doveva avere la febbre o qualcosa del genere.
“Non sei in grado di guidare. Ti accompagno io.”, feci secco.
“Sei un coglione.”, mi rispose.
“Come prego?”
Stavolta rischiavo seriamente di finire per fare a pugni con lui.
“Sei un coglione. Invece di stare con Darla...”, ma non riuscì nemmeno a finire la frase.
La rabbia si attutì. Si preoccupava per me quando non si reggeva nemmeno in piedi, questo era tipico di Tom. Sembrava essere cronicamente incapace di chiedere aiuto.
“Che vuoi che ti dica. Anche tu hai il tuo fascino.”, scherzai.
“Lo dirò ad Aly...”, farfugliò ormai in pieno delirio.
Anche se nel mezzo di una tremenda incazzatura, riuscì a farmi ridere. Era davvero irrecuperabile.
Dovevo avvertire Darla. Girandomi la trovai intenta a fissarmi con aria gentile.
“Tom sta male.”, dissi telegrafico, “Lo accompagno.”
“Ok.”, mi rispose lei aiutandomi a metterlo in macchina.
Prima che potessi salire anch'io però mi afferrò per la camicia e mi tirò a se per baciarmi con passione.
“Sei davvero un bravo ragazzo Alex Davis.”, aggiunse.
“E?”
“Trovo la cosa tremendamente eccitante.”, concluse con un sorriso che mi lasciava ben sperare che il discorso iniziato nella mia macchina fosse solo rimandato.

Messo Tom a letto mi avviai in fretta verso la porta; forse potevo ancora raggiungere Darla. Presi il cellulare ma ancor prima di poter fare il numero fui distratto da un profumo dalla cucina. Non avevo notato prima che la luce fosse accesa. Mi affacciai piano e vidi che Aly se ne stava ai fornelli canticchiando e saltellando.
La mia attenzione ricadde subito sul vassoio di dolci che le stava accanto. Avevano un aspetto delizioso.
Restai a guardarla per un po'. Era talmente buffa da far svanire ogni residuo di incazzatura. Era impossibile essere di malumore nel vederla così. Sembrava rilassata. Non era mai così quando io ero presente.
D'un tratto si voltò per prendere qualcosa dal tavolo e mi vide. Si bloccò di colpo. Per un attimo  impallidì come se fossi stato un ladro o chissà chi. Sembrava che un'incudine le fosse appena piombata in testa.
“Ti prego non fermarti.”, la incoraggiai.
Non so nemmeno io perché lo feci. Era una situazione così assurda che non riuscii a fermarmi. Lei passò dal pallore ad un rosso accesso. Era così palesemente imbarazzata da farmi venire ancora più voglia di punzecchiarla.
Aly, muovendosi quasi a rallentatore, prese ciò che le serviva e tornò a voltarsi. Stava fingendo di non avermi visto? La cosa mi indispettì alquanto. Non ero abituato ad essere ignorato.
“Che fai mi ignori?”, le feci ridacchiando.
Vidi che perfino le orecchie avevano preso colore, ma ciò nonostante continuava a non rispondermi. Bene, voleva giocare? Allora avremmo giocato.
Entrai in cucina e mi avvicinai fissandola. Il suo corpo si fece più rigido, ma non si mosse. A giudicare da come fissava la padella che aveva davanti sembrava dovesse contenere il segreto della vita eterna.
“Che cucini di buono?”
Sobbalzò lievemente nel sentire la mia voce.
“Niente.”, si limitò a rispondermi evitando di guardarmi.
Di nuovo quel tono. Teso e vagamente seccato. Era forse arrabbiata con me? Trovai l'idea inspiegabilmente divertente.
“Allora ti sei accorta che ci sono!”
Lei alzò gli occhi al cielo e borbottò qualcosa che la fece arrossire, ma che non riuscii ad afferrare. L'attimo dopo però il broncio che aveva messo su vedendomi era scomparso, rimpiazzato da un'espressione dolce e tenere. Aveva gli occhi pieni di meraviglia.
“Come mai siete tornati così presto?”, fece più calma.
Il pensiero di Tom e della mia serata andata a puttane per un attimo risvegliò l'incazzatura.
“Tuo fratello non stava bene. Credo abbia la febbre.”, le risposi in modo più duro del voluto.
Aly si voltò verso di me per la prima volta. Aveva gli occhi sgranati che lasciavano trasparire tutta la sua preoccupazione. Doveva essere un tratto genetico, Tom non era l'unico a essere protettivo.
Sentii una fitta di gelosia; di nuovo desiderai anch'io avere una sorellina pronta a preoccuparsi così.
“Tranquilla, sopravviverà.”, cercai di rassicurarla.
Lei tornò a voltarsi verso la padella. Ogni traccia di timore era sparita. Possibile che fosse bastato quello per rassicurarla?
“Mi dispiace che ti abbia rovinato la serata.”, mormorò poi.
Fui preso alla sprovvista. E questa da dove usciva? Da dove le era venuta questa idea? Non mi sembrava di avere l'aria scocciata e di solito ero bravo a dissimulare, a far vedere alle persone solo ciò che volevo.
“E chi ha detto che lo sia?”, le risposi.
In effetti potevo ancora chiamare Darla. Avevo il cellulare in mano, non era troppo tardi.
“Allora vai non farla aspettare.”, mi liquidò.
Ancora una volta aveva usato quel tono. Stavolta però era più facile capirne la causa; era gelosa. Però come poteva sapere a cosa stavo pensando. Non poteva di certo conoscere quali fossero i miei piano per la serata, eppure mi era sembrata così sicura.
“Chi?”, chiesi facendo lo gnorri.
“La tua ragazza. Non si fa mai aspettare una donna.”
Sicuramente era un buon consiglio, anche se suonava strano sentirlo da lei.
“La mia ragazza?”
“Ragazza, innamorata, amante... insomma la persona che ti aspetta.”, sbuffò.
Darla mi stava aspettando? Ne dubitavo. Era più il tipo da far aspettare il resto del mondo, piuttosto che essere lei ad aspettare qualcuno. Misi via il cellulare, dicendo così definitivamente addio alla mia serata.
“Non c'è nessuno che mi aspetta.”, le dissi.
“Ok.”
L'avevo fatta arrabbiare. Sembrava essersi offesa. Le donava quell'aria tra l'imbronciato e l'imbarazzato, le si addiceva molto.
Rimasi colpito dall'intuito che aveva dimostrato. Dubitavo che Tom le avesse parlato di Darla, per cui doveva per forza aver tirato ad indovinare. Mi infastidiva un po' il fatto che riuscisse a farlo così facilmente.
“Cosa ti fa pensare che ci sia?”, feci curioso.
“Ho tirato ad indovinare. Ho sbagliato?”, lo disse con una lieve esitazione dandomi l'impressione che non fosse veramente ciò che pensava.
“No. Ma stasera ormai è andata.”, le confessai senza ragione.
“Mi dispiace per te.”, disse tornando a rilassarsi.
“Davvero?”
“Davvero.”, confermò con un lieve sorriso.
Non aveva l'aria molto dispiaciuta e la cosa mi fece sorridere.
“Io ti piaccio, non è vero?”, domandai di colpo.
Aly sobbalzò. Arrossì di nuovo e per un attimo esitò, come se non conoscesse la risposta. Poi si morse il labbro e con un filo di voce ammise:
“Si, mi piaci.”
Fu spiazzante. Non mi ero aspettato che lo dicesse così con semplicità. Aveva pronunciato quelle tre parole con una dolcezza mai sentita, come se fossero importanti. Non nascondevano altro, esprimevano semplicemente quello. Non era la prima volta che una ragazza si dichiarava, ma generalmente alla confessione si univa la speranza di venire ricambiata. Raramente finiva così. Il genere di ragazze che piacevano a me se la tiravano troppo per confessarsi così ed era uno dei motivi per cui le preferivo. Non ero bravo con queste cazzate.
Aly invece non si aspettava niente. Aveva semplicemente detto ciò che sentiva lasciandomi senza parole.
Mi fece sentire a disagio. E ora cosa dovevo dirle? Avevo iniziato per prenderla in giro, eppure ora il discorso si era fatto serio. Era proprio il genere di conversazioni che evitavo come la peste.
“Non dici niente?”, mi chiese.
Ero un coglione. Ovviamente si aspettava che dicessi qualcosa, ma cosa? Era la sorella del mio migliore amico, non potevo liquidarla come le altre. Volevo metterla in difficoltà ed invece ora ero io ad annaspare.
“Quelli sono per me?”, le dissi cambiando argomento.
Lei non batté ciglio.
“No.”, rispose subito, “avevo voglia di cucinare e pensavo che a Tom avrebbero fatto piacere.”
“Tom?”, chiesi incapace di nascondere il mio stupore.
“Si. Credo gli piacciano i miei dolci, anche se lui nega.”, mentre mi rispose un sorriso dolce le affiorò sulle labbra.
Voleva bene a suo fratello, ma stentavo a credere che stessimo parlando dello stesso uomo.
“E cosa te lo fa pensare?”
“Li mangia sempre quando uscite.”, rispose con un'alzata di spalle, “anche se non capisco cosa gli costerebbe ammetterlo!”
Improvvisamente fu tutto chiaro. Piccolo bastardo approfittatore. Ecco perché voleva sempre che lo riaccompagnassi. Non potevo credere che fosse così calcolatore. E così aveva fatto credere a sua sorella di essere lui a mangiare i dolci. Voleva fare la figura del bravo fratello maggiore...
L'incazzatura per la serata tornò a farsi viva. Brutto coglione, questa era la volta buona che gli rompevo le uova nel paniere.
“Ehm... in realtà non è Tom a mangiarli.”, iniziai.
Cercai di non essere troppo diretto. Volevo sputtanare Tom, ma senza offendere Aly.
“Certo che è lui.”, fece allora lei.
Era ammirevole la fiducia con cui lo aveva detto, segno evidente della sua ingenuità. Doveva pur sapere che a suo fratello non piacevano i dolci. Le feci di no con la testa, aspettando che capisse, ma lei continuò a fissarmi con i suoi grandi occhi, sempre più smarrita e confusa.
“Sono io. Sono io a mangiarli.”, sputai fuori abbastanza irritato per aver dovuto ammettere ad alta voce qualcosa che generalmente preferivo tenere per me.
Non mi sentivo così imbarazzato da anni. Era incredibile che fosse stata quella ragazzina ingenua a farmici sentire. Ero abituato a dare una certa immagine di me.
Aly mi fissò sbigottita  per qualche istante, poi, realizzando ciò che le avevo detto, scoppiò a ridere. Diverse emozioni si susseguirono sul suo volto: gioia, ilarità, sorpresa, imbarazzo...
Normalmente mi avrebbe dato fastidio, ma era la prima volta che sembrava così rilassata in mia presenza che non riuscii a sentirmi risentito.
“Tu stai aspettando le sfogliatine, non è vero?”, disse poi.
Era così? Indubbiamente ero entrato spinto dai dolci, ma stavo trovando piacevole parlare con lei, soprattutto senza Tom tra i piedi. Era buffa, simpatica e molto gentile. Assomigliava molto a suo fratello.
Si voltò verso le sfogliatine, armeggiò un po' e poi ne depose un piatto sul tavolo.
“Serviti pure.”, mi disse tornando a cucinare.
Non me lo feci ripetere due volte. Avevano un aspetto invitante.
“Al tuo ragazzo starebbe bene se lo sapessi?”, le chiesi tanto per fare conversazione.
Mi era venuto in mente che Tom mi aveva accennato qualcosa e mi sembrò carino domandarglielo visto che se fossi stato io sarei stato molto geloso di quei dolci.
Al primo morso ero già in estasi. Erano così croccanti ma allo stesso tempo delicate. Avevano un sapore dolce e leggermente agrumato. Si scioglievano in bocca. Semplicemente perfette.
“Ragazzo?!”
La voce stridula di Aly mi fece sobbalzare cogliendomi di sorpresa. Notai che mi stava fissando facendomi sentire come quando da bambino la domestica mi aveva beccato mentre frugavo nel vaso dei biscotti. La sua espressione era un misto di incredulità, imbarazzo e sgomento.
“Si, il moretto che è sempre qui. Me lo ha detto Tom.”, ci tenni a specificare.
Per la prima volta vidi Aly furiosa. Aveva uno sguardo assassino eppure sembrava buffa come un gattino arruffato.
“Ryler.”, ruggì, “Ti ha detto che sto con Ryler?!”
Avevo la sensazione che stavolta avevo messo Tom davvero nei guai. Non volevo farla arrabbiare ancora di più per cui cercai di trattenermi dal ridere, anche se fu molto, molto difficile.
“Perché? È un segreto?”, domandai calmo.
“No, è solo una delle sue cazzate!”
“Non è il tuo ragazzo?”, feci confuso.
“No, ovviamente no! Ryler è un mio amico e mio fratello lo sa benissimo. Non capisco perché dica una cosa del genere. E poi perché parlate di me voi due?”, continuò il suo sfogò guardandomi per la prima volta dritta negli occhi.
Quella reazione così accesa mostrò che sotto la sua timidezza Aly dovesse avere un caratterino niente male. Il discorso però aveva preso una piega inaspettata, che metteva sempre più a dura prova il mio autocontrollo.
“Sei un ottimo argomento di conversazione.”, provai a stuzzicarla ancora.
Per l'ennesima volta la vidi avvampare, ma non ero certo se fosse per l'imbarazzo o per la rabbia.
“Oh Dio...”, sbuffò contrita.
Mi strappò un sorriso dolce. Era piccola e delicata, così tanto fragile da farmi tenerezza.
“Dice solo cose carine di te.”, gli dissi allora provando a tranquillizzarla.
“Si certo. Come attribuirmi un fidanzato gay.”, sputò fuori.
Possibile che Tom fosse arrivato a tanto? Alle volte proprio non si rendeva conto di esagerare. Allo stesso modo sua sorella sembrava completamente ignara di quanto lui fosse geloso e iperprotettivo nei suoi confronti. Erano davvero una bella coppia.
“Io vado a letto.”, annunciò finito ciò che stava facendo.
Mi dispiaceva lasciarla andar via così, mi sentivo un po' responsabile.
“Dai non....”
“Buonanotte Alex.” mi liquidò andandosene.
La guardai lasciare la stanza ridendo tra me. Era stato divertente.
Addentai un'altra sfogliatina dolce e delicata e senza volere mi ritrovai a pensare che quei dolci fossero proprio come la piccola Aly.

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Capitolo 7
*** Happy birthday ***


~~CAP 6

Finalmente era arrivato. Il 22 giugno, il giorno del mio diciassettesimo compleanno. Non avevo mai dato peso a certe ricorrenze, ma quest'anno era diverso. Questo sarebbe stato il miglior compleanno della mia vita. Il motivo? Uno solo, Alex.
Dopo giorni di suppliche avevo sfinito Tom costringendolo ad invitare Alex per cena. Stavolta non mi importava cosa gli aveva raccontato, l'unica cosa che mi importava era che avrei passato la serata con lui.
Certo, non era una cenetta romantica, ma era più di quanto avessi avuto l'anno prima. La sola idea mi aveva mandata su di giri per giorni, anche se sapevo che l'unico motivo per cui Tom aveva ceduto non era per pura bontà, ma solo perché gli avevo abbonato il regalo e gli avevo solennemente promesso di contenermi.
Volevo che fosse una serata perfetta. Avevo organizzato tutto: il menù, gli addobbi, ogni cosa era stata curata nel minimo dettaglio. Avevo cucinato personalmente ogni portata, dall'antipasto al dolce. Tutto era pronto, mancavano solo loro.
Non ero mai stata così agitata, eppure stavo bene, mi sentivo viva e, cosa che non succedeva spesso, mi vedevo perfino carina nonostante il vestito troppo corto che mi avevano convinta a comprare. Presa dall'entusiasmo infatti mi ero perfino fatta convincere dai miei amici ad andare a fare shopping con loro.

“Hai delle belle gambe, mostrale!”, aveva detto Ryler facendomi arrossire.
Non ero brava ad accettare complimenti. Mi mettevano a disagio, soprattutto quelli che riguardavano il mio aspetto fisico.
“Metti in mostra la mercanzia. È così che si vende!”, rincarò la dose Roxy, mentre frugava tra gli scaffali.
“Io non devo vendere niente a nessuno. Voglio solo passare una bella serata.”, risposi sospirando esasperata dalle continue frecciatine.
“Con il tuo Alex...”, mi scimmiottò Kay.
“Non è mio.”, dissi mettendo il broncio come una bambina, “E vorrei, per una volta, non sembrare ridicola!”
“Se vuoi farlo tuo tesoro devi osare. Metti questo e lo sarà, fidati!”, mi disse Roxy mostrandomi un completino intimo talmente assurdo che arrossii solo guardandolo.
“Le stai suggerendo di cenare in intimo?”, chiese Kay.
“Perché no. Così di sicuro avresti i suoi occhi addosso...”
“Per non parlare di quella dei miei! Vi devo ricordare che ci saranno altre persone, voi compresi?”
“Se siamo di troppo, basta dirlo!”, fece Kay fingendosi offesa.
“Ma dai!!! Sarei persa senza di voi!”, confessai sorridendogli.
“Con questo vestito e una volta che ti avremmo aggiustato trucco e parrucco vedrai che sarai perfetta.”, mi disse Roxy.
“Nemmeno Alex potrà non notarti.”, aggiunse Kay.
“E se ci prova, ci saremmo noi a ricordarglielo!!”, finì Ryler.
Sorrisi, tremando all'idea di ciò che poteva venir fuori durante quella cena, ma sicura che, comunque sarebbe andata, con accanto i miei moschettieri sarei stata al sicuro. Adoravo passare il tempo con loro, qualsiasi cosa facessimo e gli ero davvero grata per la pazienza con cui mi ascoltavano e sostenevano. Mi rendevo conto di essere spesso monotona e che forse non fosse facile capire perché mi ostinassi tanto dietro ad un ragazzo che non mi calcolava. La verità era che non lo capivo nemmeno io, semplicemente non potevo farne a meno. Pensare ad Alex mi faceva star bene, mi causava quel dolce batticuore che mi scaldava l'anima e mi riempiva di meraviglia gli occhi. Il calore che si sprigionava era così piacevole da dare dipendenza, così come le sensazioni vivide ed intense che solo lui sapeva farmi provare.
“Stai davvero bene, Aly.”, mormorò piano Kay.
“Allora lo prendo?”, chiesi forse per la trecentesima volta.
Tre pollici in su e il vestito era mio.

Ed ora ero in piedi in salotto tutta agghindata, con dei tacchi dolorosissimi, i capelli tirati su con le forcine ancorate direttamente nel mio sistema nervoso e il cuore che già andava a mille. Tra poco sarebbe arrivato. Non riuscivo a stare ferma, né a smettere di sorridere.
“Aly sei snervante!”, sbuffò Roxy.
“Lasciala stare!”, mi difese subito Ryler, “Non lo vedi quant'è felice!”
“A me più che felice sembra un'anima in pena.”, gli rispose lei.
E lo ero. Ero un'anima in pena in attesa di veder sorgere il sole. Ma come sempre, quando si aspettava tanto qualcosa quella sembrava non arrivare mai.
“Sei davvero al top stasera!”, mi disse Ryler cercando forse di distrarmi.
“Tutto merito del nostro lavoro.”, fece Kay ammiccando.
“Per non parlare del vestito... se non ti spoglia con lo sguardo giuro che lo picchio!”, aggiunse Roxy e conoscendola non c'era da prenderla troppo alla leggera.
Per un attimo mi immaginai la scena e mi chiesi cosa fosse peggio: vedere Alex che mi lancia un'occhiata del genere o Roxy che lo picchiava perché mi aveva ignorata.
“Sai Aly sono un po' invidioso.”, confessò Ryler, “Mi manca questa parte. La trepidazione, il batticuore, l'attesa, l'ansia di vederlo...”
“Per non parlare del totale rincretinimento.”, aggiunse sua sorella..
“Ha perfino accettato di andare a ballare dopo.”, sottolineò Kay con enfasi.
In effetti era un evento degno di nota nella mia esistenza dedicarmi ad una qualsiasi attività considerata normale per un adolescente tipo. Andare a ballare era una delle cose che odiavo con ogni fibra del mio essere e che evitavo come la peste. Le ragioni erano diverse: primo odiavo i locali affollati, secondo odiavo la musica a palla e terzo (e punto da non tralasciare) ero totalmente e assolutamente incapace di muovermi a ritmo e anche se ci riuscivo sembravo un pesce fuor d'acqua che si dimenava in agonia.
“Aly, Aly...”, mi disse Roxy mettendomi un braccio sulle spalle e scuotendo la testa, “In amor vince chi fugge, quante volte te lo devo ripetere?”
“Ed infatti il signorino si sta facendo desiderare.”, osservò Kailyn.
“Poteva almeno sforzarsi di arrivare puntuale.”, infierì.
“Si starà facendo bello per te.”, buttò lì Ry ammiccando.
Non era plausibile come spiegazione, ma la sola idea bastò a farmi sorridere come una scema. E poi Alex era già perfetto com'era, ma questo evitai di dirlo ad alta voce.
Sentii il telefono squillare, ma facendo finta di essere presa dalla conversazione cercai di svicolare. Volevo evitare di rispondere, anche se probabilmente era qualche parente che chiamava per farmi gli auguri. Mi rendevo conto di essere un po' esagerata, ma non volevo essere al telefono quando Alex sarebbe arrivato o rischiavo di riappendere in faccia a qualcuno.
Rispose mio padre, e dopo un paio di minuti lo vidi riagganciare; evidentemente non era per me.
“Chi era?”, chiese mia madre.
“Tom.”, rispose mio padre stranamente serio.
La mia attenzione si catalizzò tutta su di lui.
“Stanno arrivando?”, chiesi saltellando e rimpiangendo ora di non essere corsa al telefono.
“No Aly, non credo che verranno stasera.”
Il mondo parve fermarsi di colpo, mentre tutta la gioia provata finora scivolava via lasciando posto all'amarezza. Già sentivo le lacrime affiorare, ma mio padre non aveva ancora finito.
“Alex ha avuto un incidente. Tom è con lui in ospedale.”
Per un attimo non riuscii a respirare. Provai un dolore indescrivibile, tanto forte da spazzar via ogni altra cosa: il pensiero del mio compleanno, l'agitazione, la gioia e tutto ciò che finora aveva colorato il mio mondo. Ciò che fino ad un minuto prima era caldo e piacevole divenne duro e freddo come il ghiaccio. E contemporaneamente sentii come un click nella testa e senza preavviso mi ritrovai completamente al buio.

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Capitolo 8
*** Fragilità ***


~~CAP 7

Eccomi lì finalmente ai piedi del letto di Alex. Lui stava bene, adesso lo vedevo. Aveva qualche escoriazione e dei lividi, ma escluso il grosso gesso non c'erano conseguenze evidenti. Se pensavo a come poteva andare sentivo il groppo di emozioni sussultare. Aveva perso il controllo della moto per evitare una macchina sbucata all'improvviso ed era caduto sbattendo la testa. Se non avesse avuto il casco...
Scossi la testa per ricacciare quei pensieri. Dovevo attenermi ai fatti. Lui era lì. Stava bene. Perché allora non riuscivo a rilassarmi? Perché sentivo ancora quel peso opprimermi l'anima?
Appagato il mio insano desiderio, tornai a ragionare normalmente sentendo la naturale avversione per gli ospedale emergere. Non mi erano mai piaciuti. Erano posti freddi, pieni di rumori ed odori molesti, con un'atmosfera troppo carica e strana. Avevo sempre evitato di andarci, anche per trovare parenti ed amici, e se per caso riuscivano a portarmici iniziavo a provare ad uscire non appena varcata la porta.
Stavolta invece avevo fatto il diavolo a quattro per venirci. Volevo vedere Alex. Dovevo andare da lui.
Nel momento in cui papà aveva pronunciato la parola «incidente» il mio mondo si era fermato e per un attimo avevo sentito un dolore così forte da soffocarmi. Era come se qualcuno mi avesse legato un masso al cuore, che mi schiacciava ad ogni battito, lacerandomi dentro. Non mi importava quante volte mi ripetessero che stava bene, che se l'era cavata con qualche graffio e una gamba ingessata. Io dovevo vederlo, ne avevo bisogno.
Nessuno però lo capiva: né i miei genitori, né tanto meno i miei amici. Per loro era un desiderio assurdo ed irrazionale. Continuavano a ripetermi che presto lo avrebbero dimesso, ma io non potevo aspettare. Anzi non volevo. Non sapevo perché, ma era così e basta.

Restai a fissarlo per un po' imbambolata, fino a che non sopraggiunse la consapevolezza. Improvvisamente mi resi conto di quanto Tom avesse ragione. Non avrei dovuto essere lì. Non ne avevo diritto, non facevo parte della sua vita. Mi sentii sbagliata e fuori posto, mentre dal profondo qualcosa lottava per emergere.
“Ciao Aly!”, mi salutò sorridendo.
La voce calda e avvolgente di Alex andò dritta al magone che avevo dentro. Avvertii  le bolla che lo conteneva iniziare ad incrinarsi aumentando il mio malessere.
Temevo ciò che poteva succedere se si fosse rotta. Non potevo gestirne il contenuto, ero stata così brava ad evitarlo finora. Ero riuscita a mettere tutto da parte: il dolore, l'angoscia, la preoccupazione ed ora lui stava bene ed io non avevo più bisogno di quei fardelli.
“Mi dispiace per averti rovinato il compleanno.”, si scusò.
Il mio compleanno. Sentii un crampo allo stomaco al solo pensiero. Non volevo più nemmeno sentirlo nominare. Se non lo avessi invitato, Alex non sarebbe mai finito in ospedale. Era in moto perché doveva venire a cena. Era in ospedale solo per causa mia.
Il mio Alex. Se gli fosse successo qualcosa non mi sarei mai perdonata. Se pensavo che avrebbe potuto morire... Un brivido freddo mi risalì la schiena.
“Aly che fai, ti metti a fare scena muta dopo che hai smosso questo mondo e quest'altro per farti portare qui?”, fece mio fratello dandomi una spintarella verso il letto.
Tom era ancora irritato per il mio comportamento lo capivo dalla sua voce e ora cominciavo a capirne il motivo. Doveva essere imbarazzante per lui avermi portata lì, ma gli ero molto grata per averlo fatto, nonostante non approvasse. In qualche modo lui sembrava aver capito o forse gli avevo solo fatto pena.
“Davvero?”, chiese Alex divertito.
“Dovevi vederla. Se non la portavo io era capace di scalare tutti e cinque i piani ed entrare dalla finestra. Non ha voluto sentire ragioni.”, gli spiegò.
Avrei dovuto arrabbiarmi o dire qualcosa, ma non ci riuscivo. In fondo Tom aveva ragione. Ero disposta a tutto pur di riuscire a vederlo. Avevo scoperto una forza ed una determinazione che mai avevo sospettato di possedere. Perfino mio fratello era rimasto sorpreso vedendomi scappare dalla finestra. Purtroppo il tempismo non era mai stato il mio punto forte e la mia fuga era finita ancor prima di cominciare. E mentre lui iniziava la sua predica io già elaboravo un nuovo piano.
Non so se vide qualcosa nei miei occhi o se era semplicemente esausto e voleva andarsene a dormire, ma mi promise di accompagnarmi da Alex non appena avesse potuto ricevere visite chiedendomi però di «non fare sciocchezze».
“Sono contento che sia venuta a trovarmi.”, gli rispose guardandomi.
Alex era gentile, non sembrava irritato o infastidito, però io iniziavo a sentirmi a disagio. Più restavo, più mi rendevo conto che non c'era nessun rapporto che mi legava a lui ed ero lì solo grazie all'amicizia con Tom.
Non avevo ascoltato nessuno, anche quando mio fratello aveva provato a spiegarmi che Alex non aveva bisogno delle mie follie, ma di starsene tranquillo insieme ad amici e parenti, ed io ovviamente non facevo parte né degli uni, né degli altri.
Improvvisamente sentii l'impulso di andare via. Per quanto forte era stato il bisogno di arrivare lì, adesso lo era quello di fuggire quanto più lontano mi fosse possibile.
“Io vado a prendermi un caffè.”, se ne uscì Tom di punto in bianco.
Avrei voluto offrirmi al suo posto, ma le parole non uscivano. Ero pietrificata.
Non appena rimanemmo soli sprofondammo in un silenzio assurdo. Io continuavo a tenere lo sguardo basso sentendomi sempre peggio, mentre lui teneva i suoi occhi argentati puntati su di me. Era una situazione surreale.
“Quello è per me?”, domandò dopo un po'.
Inizialmente non capii a cosa si riferisse, ma poi mi ricordai dell'oggetto che tenevo saldamente tra le mani; una scatola di dolcetti al cioccolato e cocco che avevo preparato per la festa. Li avevo fatti per lui, e senza rendermene conto li avevo portati con me quando ero uscita. Realizzare che gli avevo fatto un regalo aumentò il mio sgomento.
“Posso?”, fece allungando la mano.
Per assurdo che potesse sembrare in quel momento avrei preferito buttare la scatola dalla finestra che consegnarla a lui, ma ormai li aveva visti e avevo promesso a Tom di non fare sciocchezze.
“Sono solo dolcetti.”, mormorai ritrovando un filo di voce, “Non sono granché.”
“Questo non dovrei essere io a dirlo?”, mi rispose sorridendomi e tendendo ancora una volta la mano.
Incapace di trovare un modo per sottrarmi, mi arresi all'idea di consegnargli la scatola. Mi avvicinai  al letto indolenzita e legnosa, come se, invece di pochi minuti, fossi rimasta immobile per ore. Poi allungai la mano accorgendomi solo allora che stavo tremando.
Nell'afferrare la scatola Alex inavvertitamente mi sfiorò. Ritrassi la mano come se mi fossi  ustionata, mentre la bolla scoppiava liberando il marasma che avevo disperatamente represso. Dolore, paura, preoccupazione e angoscia mi travolsero facendomi scoppiare a piangere senza ritegno. Per quanto io cercassi di asciugarle, le lacrime cadevano inesorabili.
“Aly...”, mormorò con dolcezza e preoccupazione.
“No, non è niente...”, farfugliai, “Ora però è meglio che vada.”
Non volevo che mi vedesse in quello stato. Non volevo che scoprisse quanto ero patetica e disperata. Avrebbe rovinato tutto. Alex non avrebbe più voluto saperne di me ed io avevo un disperato bisogno di averlo nella mia vita. Volevo scappare ma me lo impedì afferrandomi il polso.
“Aly...”, ripeté più dolcemente.
Era così  umiliante.
“Ho avuto tanta paura...”, confessai tra i singhiozzi, “Ti prego non farlo mai più.”
Per un attimo, un attimo soltanto avevo creduto di averlo perso e il dolore che avevo provato era stato indescrivibile. Era stata la sensazione più brutta che avessi mai provato e ora avevo paura. Nemmeno vederlo davanti a me sano e salvo mi stava aiutando, l'angoscia non si chetava, non riuscivo a tranquillizzarmi.
“Hmmm... immagino quindi che dovrò annullare il bangee jumping.”, cercò di scherzare lui.
Stupido Alex. Stava cercando di farmi stare meglio, anche se gli avevo imposto la mia presenza, mi ero resa ridicola e gli stavo facendo una scenata degna di una pazza isterica.
No so come mi ritrovai tre le sue braccia. Le sue mani gentili mi accarezzavano la testa con dolcezza. Era assurdo quanto quel gesto mi facesse sentire bene. Piansi per un po' dando sfogo a tutta la paura, l'angoscia e la disperazione che l'idea di perderlo mi aveva causato, sentendomi protetta ed al sicuro tra le sue braccia.
Lentamente il peso che mi opprimeva parve sparire e sentii riaffiorare sensazioni più familiari e piacevoli. Il gelo che mi aveva invasa si era finalmente sciolto, lasciando posto al vitale calore che solo Alex sapeva farmi provare.
Dopo una lunga notte il sole era tornato a splendere.

 

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Capitolo 9
*** L'effetto butterfly ***


~~CAP 8

Pdv di Alex

Quando Tom chiamò per chiedermi se Aly poteva venire a trovarmi, rimasi stupito. Era strano. C'era qualcosa sotto, me lo sentivo. Lui aveva sempre cercato di scoraggiare la cotta nei miei confronti perché, anche se lo negava, era terribilmente geloso e protettivo verso sua sorella.
Ora che era davanti a me era tutto chiaro. Qualcosa non andava. Aly era strana, diversa dal solito.  Aveva lo sguardo spento, velato da un'ombra. Capivo perché Tom fosse tanto preoccupato, sua sorella sembrava malata. La guardavo ai piedi del letto, con lo sguardo basso, rigida come un pezzo di legno. Ero abituato a vederla con il viso arrossato, trepidante per l'imbarazzo, con quel misto di dolcezza e goffaggine che ogni volta mi faceva venire in mente un gattino arruffato, mentre oggi era pallida e aveva l'aria stanca. Non si muoveva, non mi guardava, non parlava.
Tom aveva provato a stuzzicarla, ma invece della solita risposta stizzita, Aly era rimasta  indifferente e chiusa nel suo silenzio.
Mi era bastato uno sguardo per leggere sul volto del mio amico la delusione. Probabilmente aveva sperato che portandola da me si sarebbe sbloccata. Mi dispiaceva vederla così, ma davvero non vedevo cosa potessi fare per lei.
L'ultima disperata idea di Tom fu quella di lasciarci da soli, ma non appena lui uscì noi piombammo entrambi in un silenzio imbarazzante che fece irrigidire Aly ancora di più. Vederla così mi faceva sentire strano. Dovevo dire qualcosa, ma come rompere il ghiaccio? Come potevo io, che non la conoscevo neanche, aiutarla?
L'intensità delle sue emozioni era intollerabile e il suo nervosismo era tale da aver reso l'aria pesante ed irrespirabile.
Infastidito ed irritato desiderai cancellare quelle emozioni moleste. In realtà non era la prima volta che mi sentivo strano a causa del suo sguardo, ma non ne ero mai stato davvero infastidito. Normalmente non mi dispiacevano le sue attenzioni, lusingavano il mio ego, semmai ne avesse bisogno.
Ora però sentivo che in qualche modo aveva sorpassato un limite. Dannazione! In che casino mi ero messo?
Quando spostai di nuovo gli occhi su di lei, mi accorsi che stava tremando. La scatola di metallo, che stringeva con una tale veemenza da farsi diventare le nocche bianche, ondeggiava facendo sbattere il contenuto.
“Quello è per me?”, azzardai pur di rompere quell'assurda tensione.
Seppur in modo impercettibile la vidi sussultare. Se fosse stata del suo umore normale probabilmente sarebbe già arrossita. Non lo dicevo a Tom, ma un po' mi piaceva stuzzicarla. Era divertente.
“Posso?”, feci con più insistenza allungando la mano verso di lei.
“Sono solo dolcetti... Non sono granché.”, sussurrò con un tono piatto, quasi si stesse giustificando. La voce le tremava e sembrava fosse sul punto di spezzarsi.
Era incredibile come poche parole fossero bastate ad accendere il mio interesse. Avevo lo stomaco già in subbuglio. Non sapevo cosa avesse portato, ma a questo punto volevo assolutamente quella scatola.
Ripensai alla prima volta che avevo assaggiato dei biscotti fatti da lei. Aly aveva iniziato da poco a pasticciare in cucina e Tom mi aveva sfidato dicendo “Perfino tu avresti difficoltà a mangiarli.”.
Erano i biscotti più brutti che avessi mai visto: informi e bruciacchiati, eppure pur di non dargliela vinta ne presi uno e lo misi in bocca. Rimasi di stucco. Erano molto più buoni di quanto sembrassero. Avevano un gusto unico. Da allora ero diventato dipendente da quel sapore che solo lei sapeva creare.
“Questo dovrei essere io a dirlo.”, le feci notare.
Aly si fissava le mani smarrita. Non sembrava contenta di darmi i dolci e per un attimo mi sfiorò l'idea che non fossero destinati a me, ma, ad essere sinceri, non mi sarei fatto fermare da un dettaglio così insignificante.
Finalmente si decise a passarmi la scatola e nell'afferrarla azzardai a sfiorarle la mano. Non ebbe la reazione che mi ero aspettato. Avevo immaginato che sarebbe arrossita, che avrebbe preso a mordersi il labbro o qualcosa del genere, invece tirò via la mano in modo brusco, perdendo altri due toni di colore. L'attimo dopo piangeva e con gesti frenetici cercava di arginare l'esondazione di lacrime.
“Aly...”, mormorai confuso.
“Non è niente... ora però è meglio che vada.”
Una nota di urgenza le sporcava la voce, quasi sentisse il bisogno di scappare da me, eppure, d'istinto, le afferrai il polso. Non volevo lasciarla andare via così.
“Aly...”, feci ancora.
Non era stata una buona idea farla venire, solo ora me ne rendevo conto. Invece di aiutarla l'avevo fatta stare peggio. Era davvero una situazione irritante. Che diavolo era saltato in mente a Tom? Mi rabbuiai per un attimo, allibito. Il suo sguardo carico di angoscia e apprensione mi fece sentire goffo e a disagio. Non ero bravo con queste cose.
“Ho avuto tanta paura... ti prego non farlo mai più.”, confessò con la voce impastata.
Stava così per me. L'idea mi colpì come un macigno. Perché? Non eravamo amici, non eravamo niente eppure era per me che si era preoccupata tanto da rischiare di ammalarsi. Non capivo.
Che fosse a causa della sua cotta? Non poteva, non aveva senso. Tuttavia più la guardavo più mi rendevo conto che quella di Aly non era una semplice cotta, anche se faticavo a trovare una definizione più appropriata L'idea mi gelò il sangue nelle vene. Era la sorella del mio migliore amico non potevo... Non sarebbe mai stata nulla di più, ma temevo che se le avessi spezzato il cuore, Tom mi avrebbe ucciso. 
Per un attimo i nostri sguardi si incrociarono. Rimasi folgorato dai suoi occhi tormentati. L'irritazione e il fastidio scomparvero, rimpiazzati da una tenerezza sconfinata. Non riuscivo ad essere arrabbiato con lei per ciò che provava, soprattutto ora. Era così vulnerabile ed indifesa da farmi desiderare di proteggerla, dal dolore che involontariamente le avevo inflitto. Prima che me ne rendessi conto, mi ritrovai a preoccuparmi per lei. La sua tristezza e quel dolore, che sfiorava così amaramente l'angoscia, non le si addicevano. Volevo che tornasse la ragazzina spensierata che mi divertito a stuzzicarle. Per una volta volevo provare a fare qualcosa per farla stare meglio.
“Hmmm... quindi devo annullare il bangee jumping?”
Che battuta scema mi era uscita, ma non mi era venuto niente di più intelligente per cercare di calmarla. I singhiozzi ormai erano talmente forti da scuoterle le spalle.
Sentii una fitta di inquietudine e quando mi resi conto di stringerle ancora il polso, con dolcezza la tirai verso di me. Aly non oppose resistenza e si accomodò tra le mie braccia. La strinsi forte e la accarezzai la testa e la schiena cercando di tranquillizzarla.
“Shh...”, continuavo a sussurrarle dolcemente.
Pianse per quasi mezz'ora fino ad addormentarsi esausta. Il peso che la opprimeva sembrava scomparso e un'espressione serena le coloriva il volto. Quando Tom rientrò la trovò ancora tra le mie braccia, mentre io mi godevo i suoi dolcetti.
“Meno male che avevo detto niente sciocchezze!”, sbuffò.
“Giuro non è come sembra!”, scherzai.
Tom mi rivolse uno sguardo poco amichevole e affatto divertito. L'ultima volta che mi aveva guardato così era stato quando avevo “accidentalmente” stuzzicato Aly condividendo con lei una barretta al cioccolato. Appena usciti mi aveva colpito con un pugno alla spalla “invitandomi” a non rifarlo.
“Mi sembra stia meglio.”, disse guardandola.
“Già.”,confermai, “Era solo molto spaventata. Penso sia passata.”
“Si, questo l'avevo immaginato.”, mi rispose pensieroso.
“Non avevo capito che ci tenesse così tanto.”, mi limitai a commentare.
Non volevo parlare di quello e soprattutto non con Tom. Era una situazione strana, di quelle che odiavo profondamente, anche se dovevo ammettere che in quel momento, con lei appisolata tranquilla sul mio petto, non mi dispiaceva più di tanto.
Tom non parlò per qualche minuto.
“Non è normale Alex. Questo suo attaccamento per te, non credo vada bene.”, mi disse serio.
La preoccupazione di Tom, seppur comprensibile, mi sembrò esagerata. Ok, forse la cotta di Aly era più seria di quanto immaginavamo, ma comunque non era un problema. Era un sentimento molto forte ed intenso, ma puro, privo di ogni malizia, troppo forse per essere etichettato come «sbagliato». Non ero d'accordo, ma non stava a me dirlo.
“Cosa vuoi che faccia?”, chiesi.
Non volevo che Aly soffrisse a causa mia, non volevo spezzarle il cuore. Non ero io il ragazzo per lei e di sicuro non era lei la donna per me.  Aveva la dolcezza di una bambina, ed era carina a modo suo. Quell'aria ingenua, timida ed un po' imbranata la rendevano deliziosa, ma era lontana dal genere di ragazze con cui uscivo. Era troppo giovane, fragile ed inesperta per me. Per questo mi sarei limitato a fare ciò che Tom riteneva fosse meglio; l'ultima cosa che volevo era rovinare la nostra amicizia a causa sua.
“Forse dovrei farmi vedere di meno.”, proposi.
“No. Non dopo questo.”, mi rispose indicando la sorella ancora addormentata e saldamente ancorata alla mia maglia, “Non credo reagirebbe bene.”
“Vuoi che le parli?”, chiesi sperando che non accettasse.
Cosa le avrei detto? Come avrebbe reagito al mio rifiuto? Ancora non aveva risposto e già mi ero pentito di aver parlato. Odiavo quel genere di conversazione, non le avevo mai sapute gestire. Le avrei fatto male, era troppo vulnerabile ed io decisamente troppo poco delicato.
“Tu?!”, sottolineò Tom scettico, “Apprezzo il gesto, ma no grazie. Anzi mi dispiace per averti tirato in questo casino.”
Mi conosceva abbastanza da sapere quello che mi passava nella mente, anche se non ero sicuro che lo avesse detto per premura nei miei confronti piuttosto che per timore nei confronti di Aly.
“A me non dispiace. Anzi direi che dopo tutto è piuttosto piacevole.”, scherzai.
“Dimmi Alex, stai cercando di allungare la tua degenza in ospedale?”, mi rispose innervosito.
“Che c'è? Non ti fidi?”, dissi trattenendomi a stento dal ridere davanti alla sua espressione.
“In questo momento? Non molto direi.”
Per tutta risposta aumentai leggermente la stretta su Aly che si accoccolò ancora di più su di me.
“Ops.”
“Ops un cazzo. Guarda dove metti le mani se non vuoi romperti qualcos'altro.”, urlò.
“Hai qualche suggerimento?”
“Se vuoi chiamo Darla così sentiamo lei!”, mi fece, “A proposito, dov'è la tua dolce metà? Non dovrebbe esserci lei a disperarsi al tuo capezzale?”
“Passerà più tardi.”, risposi con noncuranza.
Tom non commentò e gliene fui grato. A lui Darla non piaceva, me lo aveva detto chiaramente, ma nonostante questo si era sempre astenuto dal fare commenti inappropriati.
Mi rabbuiai sentendola nominare. Tom aveva la rara capacità di toccare tutti i miei nervi scoperti. La verità era che Darla era a mala pena venuta a trovarmi in ospedale e quando lo aveva fatto non si era fermata per più di dieci minuti. Non sembrava veramente interessata al mio stato di salute e lentamente si era fatta strada in me la sensazione che il suo interesse non solo non fosse profondo quanto mi aveva fatto credere, ma che addirittura non fosse realmente sincero.
Era tutto così assurdo. La calma indifferente di Darla risaltava ancora di più ora che si era scontrata con l'impetuosa e irragionevole reazione della piccola creatura che mi stava tra le braccia. Il suo sguardo smarrito e preoccupato... era inutile che continuassi a pensarci, Darla semplicemente non mi vedeva così e non ero sicuro che sarebbe mai stata in grado di farlo.
Il mio sguardo tornò a spostarsi su Aly che ancora dormiva con espressione angelica e le labbra a formare una «O» come quelle dei bambini. Sembrava così serena adesso. Con la mano poggiata sulla schiena sentivo il suo cuore battere ad un ritmo così pacato da infondere anche dentro di me una sensazione nuova, strana ma piacevole; un misto di calore e pace. In fondo non potevo negare che fosse piacevole essere amato così tanto, anche se a farlo era l'ultima persona al mondo che avrebbe dovuto.

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Capitolo 10
*** Emozioni nuove ***


~~CAP 9

Continuavo a sentirmi strana. Perché? Davvero non riuscivo a capire. Alex era stato dimesso da un paio di giorni. Alla fine se l'era cavata con poco e nel giro di qualche settimana sarebbe tornato come nuovo. Non ero sicura che per me sarebbe stato lo stesso. Dalla visita in ospedale mi sentivo... non so come mi sentivo, ma non ero più io.
“Aly, mi stai ascoltando?”
Ryler mi stava schioccando le dita davanti agli occhi per riportarmi alla realtà. Era esasperato e aveva l'espressione scocciata di chi sa di non essere ascoltato.
“Si può sapere cos'hai?”, sbuffò.
“Niente. Tutto ok. Cosa mi stavi dicendo?”, feci riprendendomi dalle mie fantasie.
“La festa Aly! È almeno un'ora che te ne parlo.”, urlò.
“Oh!”, mormorai dispiaciuta. Non lo facevo apposta, ma avevo difficoltà a concentrarmi ultimamente, “No, non mi va. Non me la sento.”
“Avanti! Perché fai così?”, mi chiese.
Non lo sapevo nemmeno io. Andava tutto bene, era tutto tornato alla normalità eppure io mi sentivo “rotta”. Stavo allontanando tutti e perfino i miei moschettieri cominciavano a trovare difficile sopportare il mio perpetuo malumore. Ero scostante, agitata e nervosa.
“È ancora per l'incidente di Alex?”, azzardò Ryler.
Il solo sentir pronunciare il suo nome mi fece sussultare, mentre un groppo mi salì in gola. Feci cenno di «no» con la testa, sapendo che stavo mentendo. Da quando ero andata a trovarlo avevo evitato di pensare a lui e a ciò che era successo, ricacciavo ogni pensiero che mi riportasse in quella stanza, non volevo nemmeno sentirlo nominare.
Dall'ospedale era cambiato tutto. Non riuscivo più a pensare a lui come prima e questo mi riempiva di un'amarezza strana. Mi sentivo vuota, ma non potevo raccontarlo a Ryler. Lui non avrebbe capito ed io non ero certa di riuscire a spiegarlo.
“Credevo stesse meglio...”, fece.
Annuii. Alex stava alla grande ed era stato così dolce e buono con me. Se solo ripensavo allo sfogo psicotico che aveva dovuto sopportare mi sentivo morire. Non aveva detto niente, non si era arrabbiato, mi aveva stretto e lasciato sfogare finché non ero crollata, ma quando mi ero svegliata la consapevolezza di ciò che era accaduto mi aveva colpito come una vergata.
Avevo rovinato tutto e non sapevo cosa fare. Ogni volta che ci pensavo questo groviglio di emozioni confuse risaliva rendendomi intollerante. Ormai non riuscivo a sopportare più nessuno.
“Parla con me Aly.”, mi disse Ryler con sguardo supplicante.
“Ti voglio bene, Ry. Ma non voglio venire, non voglio stare in mezzo a gente che si diverte, non voglio ascoltare la musica, non voglio sentire stupide chiacchiere inutili. Voglio essere lasciata sola. Ho bisogno di starmene in pace.”, cercai di spiegargli senza suonare troppo patetica.
“Non mi va lasciarti qui da sola ad abbrutirti.”, mi disse lui.
“Ti prego, Ry...”
“Lo sai vero che io sono il re dell'abbrutimento? Potrei stare qui a farti compagnia...”
Era davvero il miglior amico che potessi avere. Stava davanti a me di sabato sera pronto a rinunciare ad una fantastica festa per guardarmi mentre mi abbandonavo alla depressione più profonda. Avremmo guardato un vecchio film melenso sul genere «Tutti insieme appassionatamente» mentre mangiavamo schifezze e poi gli avrei pianto sulla spalla fino ad addormentarmi. Una parte di me era tentata, ma non volevo essere così meschina ed egoista.
“Sei davvero dolce, ma preferirei stare da sola. Magari la prossima volta, ok? Tu vai e divertiti anche per me, così poi mi tirerai su il morale con i racconti delle tue conquiste.”
“Hmmm.... posso provare a divertirmi, ma quanto alle conquiste credo che quello sia campo di Roxy!”
Abbozzai un sorriso. Solo Ryler era in grado di farmi sorridere anche quando ero di quell'umore.
“Non voglio insistere troppo. Sai che per qualsiasi cosa ti basta solo uno squillo?”, chiese con dolcezza.
Annuii di nuovo e gli schioccai un bacio sulla guancia.
“Io allora vado...”, iniziò riluttante, ma prima che potesse finire la frase il portone si aprì.
Alex, sorretto da due stampelle, entrò seguito da Tom.
Cazzo.
Il sangue smise di affluirmi al cervello. Improvvisamente cominciai a sudare freddo e sentire un caldo asfissiante. Mi sentivo oppressa, faticavo a respirare. Le pareti della sala mi sembrarono stringersi intorno a me. Sentivo la testa offuscata e la tensione immobilizzarmi il corpo. Volevo scappare. Dovevo scappare.
Non volevo vederlo.
Non volevo che mi vedesse.
Lanciai uno sguardo disperato a Ryler, che mi fissava confuso.
Ed ora?
Alex, che ormai lo aveva raggiunto, guardò nella mia direzione ed io riuscii solo ad abbassare lo sguardo. La mia unica via di fuga era bloccata.
Panico. Ero in trappola.
“Ciao ragazzi, stavate uscendo?”, chiese cordiale.
La sua voce fu come una pugnalata dritta al groviglio delle mie emozioni confuse. Non avrebbe dovuto essere qui.
Nella testa, in un loop infinito, si ripetevano le immagini di ciò che era successo all'ospedale: le parole che avevo detto, il modo in cui avevo pianto...
“No, Aly preferisce restare a casa.”, gli rispose Ryler attirando l'attenzione su di sé, “Tu piuttosto tutto ok?”
“Ho avuto momenti migliori, ma poteva andarmi peggio.”, fece con un alzata di spalle.
“L'hai scampata bella.”
“Puoi dirlo forte.”, convenne.
Il solo ricordo di ciò che avrebbe potuto succedere mi causò uno spiacevole brivido freddo lungo la schiena. Non volevo ripensare a quello, non volevo ricordarmi della folle paura che per un attimo aveva oscurato il mio mondo. Strinsi più forte i pugni, desiderando un qualsiasi modo per dileguarmi.
“Allora Aly non esci?”, mi chiese Tom.
Scossi la testa. Non riuscivo a parlare.
“Vuol dire che ci terrai compagnia!”, commentò scherzoso Alex.
Mi sentii morire. Dov'era il batticuore? Dove erano le farfalle nello stomaco, l'agitazione e la trepidazione? Dov'era l'emozione che mi scaldava il cuore? Non riuscivo più a sentirla, non riuscivo  più a sentire niente.
Per la prima volta mi ritrovai a non volere la sua compagnia. Non ce la facevo, tutte quelle nuove emozioni erano insopportabili per me. Sentivo il suo sguardo addosso. Mi attraversava, depositandosi sotto pelle. Voleva leggermi dentro ed io non volevo che vedesse. Non di nuovo.
“Aly, stai bene?”, mi chiese d'un tratto.
Se n'era accorto.
Come se la sedia fosse diventata incandescente balzai in piedi facendo ammutolire tutti.
“Felice che tu stia meglio.”, sparai prima di scappare, ma  mentre gli passavo accanto Alex, per la seconda volta, mi afferrò per il polso.
Mi bloccai. Era come in ospedale, e come allora il suo tocco sembrò ustionarmi costringendomi a ritrarre bruscamente il braccio.
Mi rendevo conto di comportarmi come una pazza, che il mio atteggiamento non aveva senso ed il mio gesto era stato eccessivamente brusco. Tutti mi stavano guardando basiti ed io non mi ero mai sentita tanto piccola ed in soggezione.
Guardai Ryler in cerca di sostegno e lui mimò un profondo respiro. Forse voleva che mi calmassi. Facile a dirsi per lui. Tom invece aveva uno sguardo severo. Doveva essere furibondo. «Niente sciocchezze» aveva detto ma io non facevo che farne una dietro l'altra.
“Senti Tom, ti posso parlare un attimo?”, fece Ryler trascinando fuori mio fratello.
NO!!
Che stava facendo? Perché se ne andavano? Non volevo stare sola con Alex, non ne ero in grado.
Che potevo fare ora? Forse potevo correre via, di certo lui non poteva rincorrermi. Però le mie gambe non sembravano capaci di muoversi, anzi erano sul punto di cedere da un momento all'altro.
“Tutto ok?”, chiese di nuovo Alex.
Era l'ultima situazione in cui volevo trovarmi. Senza rendermene conto avevo preso a ballettare da un piede all'altro.
“Parlami.”, mi disse in tono perentorio.
Lo stavo facendo arrabbiare. Ma non riuscivo, non potevo parlare. Le parole mi ronzavano confuse nella testa ed io non riuscivo ad articolarle.
“Io...”, farfugliai.
“Avanti Aly.”, mi incoraggiò più dolcemente.
“Oh Dio!!”, mi uscì in un moto d'angoscia mentre con la mano libera mi coprivo il volto, “Oh Dio!!”
Le lacrime cominciarono a far capolino contro il mio volere. Stavo di nuovo piangendo davanti a lui. Stavo di nuovo mostrando quanto fossi patetica all'unica persona al mondo che non avrebbe mai dovuto vederlo.
“Ok, me ne vado. Mi dispiace.”, fece evidentemente dispiaciuto.
NO!!
Non doveva essere lui ad andarsene. Non doveva essere lui a scusarsi. Alla fine, dopo tutto quello che lo avevo costretto a sopportare, ci mancava solo che lo facessi sentire in colpa.
“È colpa mia.”, sussurrai allora senza più pensare, “È tutta colpa mia. Dio, mi dispiace così tanto...”
Le parole cominciarono ad uscire liberamente. A quel punto non potevo più fermarle.
“Sono così mortificata... vorrei non aver... mi dispiace...mi dispiace davvero. Ti prego perdonami.”
Alex mi guardava esterrefatto e confuso. Sembrava non capire ciò che stavo facendo e nemmeno io ero proprio certa di dove volessi andare a parare.
“Non dovevo. Non avrei mai dovuto. Mi dispiace.”
“Si può sapere di che diavolo stai parlando?”, sbottò.
Il suo tono duro e vagamente irritato mi colpì tanto da farmi alzare la testa per guardarlo. Lui davvero non capiva.
“P-per l'ospedale.”, mormorai distratta dal suo sguardo, “Non sarei dovuta venire, ma ero così spaventata e avevo così tanta voglia di vederti...”
“È per questo che ti stai scusando?”, sembrava infastidito e non potevo dargli torto.
“Si.”, ammisi con un filo di voce tra le lacrime.
Non so come mi ritrovai tra le braccia di Alex e di nuovo fui invasa da un senso di pacata sicurezza.
“Non voglio che ti scusi. Non devi sentirti dispiaciuta o imbarazzata o mortificata o in qualunque modo tu ti senta. Io sono contento per ciò che è successo e non mi dispiace sapere che tieni così tanto a me da star male all'idea che potesse essermi successo qualcosa. Non è una cosa brutta, Aly.”
Non era arrabbiato con me. Il suo cuore batteva un po' più forte del normale, lo sentivo chiaramente con la fronte poggiata al suo petto.
“Sei innamorata di me, vero?”, mi chiese con un sussurro.
Mi limitai ad annuire. Negare sarebbe stato ridicolo a quel punto. Stranamente non provai imbarazzo nell'ammetterlo. Lo amavo, lo avevo sempre fatto e non mi importava se lui lo sapeva.
“Pensi di dovertene vergognare?”, fece alzandomi il mento con un dito per costringermi a guardarlo.
Ci pensai un attimo. No, non mi vergognavo dei miei sentimenti. Adoravo le sensazioni e le emozioni che solo lui sapeva far nascere, erano preziose, qualcosa da proteggere e custodire. Ero solo io a non andar bene.
Scossi la testa debolmente.
“Perché ti sei scusata allora?”
L'intensità del suo sguardo mi stordiva. Non riuscivo a pensare. A mala pena mi ricordavo come respirare.
“Per tutto il resto... è tutto sbagliato. Mi dispiace tanto...”, mormorai.
Volevo che mi perdonasse. Volevo che dicesse che non era arrabbiato o offeso o disgustato da quello che provavo. Avevo bisogno di sapere che non sarebbe sparito dalla mia vita. Per un attimo, dopo la telefonata, avevo sentito il vuoto che la sua assenza poteva generare ed ora avevo paura. Non avrei potuto sopportarlo ancora. Ero letteralmente paralizzata all'idea che potesse ripetersi.
“Smettila di scusarti.”, mi disse asciugandomi una lacrima con il pollice.
Era così buono. Gli sorrisi debolmente.
“Ok...Scusa...”, sbiascicai senza rendermi conto di averlo fatto di nuovo.
“Va bene così.”, sussurrò dolcemente.
“No, non va bene. Tu eri in ospedali ed io...”, mi fermai prima di scusarmi di nuovo.
“Ok, forse è stato strano, ma non sbagliato. Non mi è mai passato neanche per l'anticamera del cervello una cosa del genere e non capisco come possa pensarlo tu.”
Feci spallucce. Era semplicemente così che mi sentivo. Sbagliata e fuori posto.
“Non voglio ferirti Aly.”, confessò dopo un po' cogliendomi di sorpresa.
“Non è colpa tua. Ho fatto tutto da sola, faccio sempre tutto da sola.”, risposi.
“Tu sai che questa frase può essere fraintesa, vero?”, azzardò dopo un breve silenzio con un mezzo sorriso stampato in faccia.
Scossa com'ero ci misi qualche secondo per capire il doppio senso che aveva attribuito a ciò che avevo detto e quando alla fine ci arrivai avvampai di brutto.
“Alex!!”, lo sgridai finendo poi per ridere.
Di colpo il peso che avevo sentito addosso, l'urgenza, l'agitazione erano scemati. Stretta tra le sue braccia mi era impossibile provare emozioni spiacevoli. Mi trasmetteva pace e sicurezza. Tra le sue braccia stavo bene.
“Aly, tu lo sai che io... che tu ed io...”, balbettò allontanandomi un po'.
Lo fermai con un gesto facendo un passo indietro. La leggerezza era sparita di nuovo e brutalmente.
“Lo so. Sarò anche pazza, ma non stupida.”, mi limitai a dire.
Non avevo bisogno di sentirgli dire che non mi voleva.
“I-io sto vedendo qualcuno...”, farfugliò.
Era a disagio. Non mi piaceva sapere che ero io a farlo sentire così. Non ero abituata a vederlo tanto insicuro. Anche se così sembrava più reale rispetto all'immagine del perfetto dio Apollo che dava di solito.
“Senza contare che tuo fratello mi strapperebbe le palle e le attaccherebbe al muro se...”
Arrossii come un pomodoro per l'immagine che mi si dipinse in testa e non mi aiutò il pessimo tempismo con cui Tom rientrò interrompendoci. La situazione era diventata così assurda che entrambi girandoci a guardarlo, dopo uno sguardo complice, scoppiammo a ridere. Risi così tanto da non riuscire più a tenermi in piedi. In qualche modo, anche se non era cambiato niente in realtà, mi sembrò di aver risolto qualcosa e di stare molto meglio.
“Si può sapere che avete da ridere?”, fece Tom infastidito.
“Fatti nostri.”, rispose Alex.
Nostri. Suonava bene. Dio quanto mi piaceva. Non potevo credere di avergli detto che ero innamorata di lui. Ora cosa sarebbe successo?. Mi avrebbe evitato? Saremmo tornati all'indifferenza di prima?
“Aly”, mi sussurrò Alex, “e se provassimo ad essere amici? Che ne pensi?”
Lo shock per poco non mi stese. Non ero sicura di aver capito bene, non potevo credere che me lo stesse chiedendo sul serio. Non dopo tutto quello che era successo.
“Allora, vuoi essere mia amica?”, fece di nuovo godendosi la mia espressione inebetita.
“Io e te?”, gli chiesi per sicurezza.
“Tu ed io.”, mi rispose ammiccando.
Adoravo quando ammiccava. Era così sexy. Era abbagliante.
Una parte di me stava già ballando la samba festeggiando con  un entusiasmo tale da far impallidire perfino il carnevale di Rio, l'altra però, quella razionale, cercò di mettermi in guardia. Poteva essere la mia rovina, avrei potuto perdermi irrimediabilmente.
“È abbastanza?”, mi chiese colto da un dubbio improvviso.
Perché pensava che potessi volere qualcosa di più? Io?!
“È più di quanto sognassi.”, ammisi ancora sotto shock.
Nel giro di pochi minuti il mio umore aveva subito un cambiamento radicale. Tutte le paure erano state spazzate via in un soffio, rimpiazzate da qualcosa che non avevo mai osato neanche sperare nei miei sogni più assurdi. Amici...
“Così se dovessi finire di nuovo in ospedale...”, provò a scherzare
Mi si gelò il sangue nelle vene e sgranai gli occhi. Non era divertente.
“Ok, scusa.”, si corresse subito notando la mia reazione, “Prometto di non farlo più, ok?”
Annuii.
“Ora possiamo passare a cose serie.”, annunciò.
“Perché finora abbiamo scherzato?”, sbottai con più naturalezza di quanto mi aspettassi.
Alex mi sorrise e tirò fuori dalla tasca della giacca un pacchetto. Il mio cuore prese a galoppare.
“Non ti ho ancora dato il regalo per il tuo compleanno.”, mi disse porgendomelo.
“Regalo?”, la voce uscì piuttosto stridula per la sorpresa.
Mi aveva comprato un regalo. Una cosa che aveva scelta per me. Solo per me. Volavo già a due metri da terra.
“Forza aprilo.”, mi ordinò.
Scartai il pacchetto in tempi record. Era un cappello di quelli che si vedono agli chef di un acceso rosa shoking su cui era stato ricamato «Aly» in argento. Era stupendo. Accarezzai le lettere ricamate con delicatezza, quasi temessi di rovinarle. Non solo mi aveva comprato qualcosa, ma ci aveva fatto mettere il mio nome.
Me lo provai. Era perfetto. Ero così emozionata da sentire di nuovo le lacrime agli occhi. Ogni volta che l'avrei indossato avrei ripensato a questo momento.
“Ti piace?”, mi chiese curioso.
“Non so cosa dire...”, farfugliai emozionata.
“Prova con grazie, scimmia.”, fece Tom rovinandomi il momento.
“Hai un bel coraggio a parlare, visto che non mi hai fatto il regalo.”, lo rimbeccai invasa di colpo da una voglia matta e viscerale di litigare lui.
Purtroppo però raramente quando venivo invasa da questo desiderio consideravo le conseguenze o mi preoccupavo di chi fosse presente o del fatto che Tom giocasse sporco.
“Niente regalo?”, fece Alex curioso.
“È colpa tua.”, si limitò a spiegare mio fratello.
“Tom!!”, cercai di fermarlo.
“In che senso colpa mia?”, gli chiese Alex tra il curioso e il divertito.
“Aly mi aveva chiesto di invitarti a cena.”, gli rispose facendo spallucce.
Volevo strozzare Tom con le mie mani e se non fossi stata impegnata a nascondere la testa nello scollo della felpa, in pieno stile tartaruga, sicuramente lo avrei fatto.
“Davvero?”, sentivo dal tono della sua voce che stava ridendo.
“Non sai quanto ha insistito!”, continuò mio fratello.
“TOM!!” urlai dal mio guscio.
“Che c'è? È la pura verità.”, fece noncurante, “A proposito Alex perché non resti qui stasera.”
“Che opportunista! Vuoi sfruttarmi per pagare il tuo debito.”, gli rispose fingendosi indignato, “Non farti fregare Aly, fatti fare un regalo costoso da quel tirchio!”
“Puoi sempre dire di no.”, sbuffò Tom.
“Mamma e papà non ci sono...”, dissi anche se non centrava niente.
“Allora vorrà dire che cucinerai tu...tanto l'avevi fatto anche per il tuo compleanno senza fare vittime no?”, Tom stava gongolando, ma prima o poi saremmo pur rimasti soli.
“Avevi cucinato tu?”, chiese sorpreso Alex.
Qualcosa nel tono della sua voce mi incuriosì a tal punto da spingermi a uscire parzialmente dal mio guscio improvvisato.
“Niente di speciale...”, cercai di minimizzare.
“Me lo immagino. Hai detto la stessa cosa dei dolcetti che mi hai portato, che a proposito erano sensazionali.”, mi disse con uno dei suoi sorrisi mozzafiato.
Sentii arrossire perfino le orecchie.
“Se accettassi di rimanere cucineresti per noi?”, fece con un tono di voce estremamente suadente, al limite dell'illegale.
Deglutii due volte prima di essere in grado di annuire. Come facevo a dirgli di no quando mi guardava così?
Troppo tardi mi venne il sospetto che questa amicizia poteva costarmi quel po' di sanità mentale che mi rimaneva. Alex mi sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Al suo tocco il mio corpo parve risvegliarsi attraversato da un milione di scosse elettriche. Oh Dio, in che guaio mi ero cacciata!

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Capitolo 11
*** Amicizia ***


CAP 10

Amicizia /a-mi-cì-zia/ sostantivo femminile

Reciproco affetto, costante e operoso, tra persona e persona nato da una scelta che tiene conto della conformità del volore o dei caratteri e da una prolungata consuetudine.

Amico /a-mì-co/ persona che dimostra o denota solidarietà, affetto, disponibilità

Per eufemismo amante, innamorato.

Era tutto il giorno che avevo in testa queste definizioni e che cercavo di farle combaciare con il concetto di me e Alex. Persone legate dal reciproco affetto... bastava questo a farmi ribollire. Voleva forse dire che mi voleva bene?
Più ci pensavo, più non riuscivo a smettere di sorridere. Era tutto così buffo.
Guardai la torta ancora in corso d'opera. Pendeva un po' a sinistra ma una volta ricoperta con la crema non si sarebbe visto niente. Potevo dirmi soddisfatta. L'avevo preparata per Ryler, Roxy e Kailyn. Era il mio modo di chiedere scusa per l'atteggiamento che avevo avuto ultimamente, ma volevo anche festeggiare la novità.
Avevo fatto una red velvet. Dalla foto sul sito mi era sembrata favolosa: tre strati di pan di spagna rosso alternati a crema bianca. Aveva un che di peccaminoso. A guardarla meglio sembrava più un dolce per il proprio ragazzo piuttosto che uno con cui scusarsi con gli amici. Alla fine gli avevo perfino dato una forma a cuore. Ma non era una grande sorpresa, non avevo fatto che pensare ad Alex mentre la preparavo.
Passai la spatola un'ultima volta per lisciare bene la superficie e poi, decorai con la sac à poche e per completare cosparsi la parte alta con un po' di briciole di pan di spagna giusto per far risaltare il contrasto bianco rosso. Feci un passo indietro e ammirai la mia opera con soddisfazione. Stavolta li avrei stupiti.
"Davvero ammirevole."
La voce di Alex sussurrata al mio orecchio mi fece sussultare strappandomi un urlo. Non l'avevo sentito entrare.
I battiti del cuore arrivarono a mille in meno di tre secondi.
Dall'ultima volta sembrava leggermente abbronzato. Oh Dio quant'era bello. Un fantastico Apollo vivente.
"Dio Alex!", gli urlai, "Prima o poi finirai per farmi venire un infarto.", pensai ad alta voce pentendomene all'istante.
"Deliziosa...", mormorò piano senza smettere di fissarmi.
Il suo sguardo esercitava un potere magnetico su di me, aveva una forza a cui non potevo sottrarmi nonostante il forte imbarazzo. Ero come ipnotizzata, mentre le guance erano già in fiamme.
Sul volto aveva dipinta la stessa espressione di un bambino che stava per compiere una marachella. Era semplicemente adorabile.
"Posso?", chiese allungando la mano verso la torta.
Rincretinita com'ero ci misi più del dovuto a capire a cosa stava puntando e, senza volerlo, lo fermai colpendogli la mano con la spatola che ancora avevo in mano.
"Ehi!", protestò, "Picchi uno con le stampelle!"
"Non è per te!", lo brontolai cercando si rimanere seria.
Come un bambino Alex mise il broncio. Era così sexy! Mi faceva venir voglia di.... cercai di non seguire il filo di quei pensieri.
"È per i miei amici.", spiegai abbassando lo sguardo.
"Ma noi siamo amici.", fece lui addolcendo la voce e avvicinandosi ancora.
Oh Dio! Questa era la volta buona che ci rimanevo. Non poteva fare così. Non ero psicologicamente preparata.
Amici... persone legate da reciproco affetto...
Merda! Perché mi tornava in mente proprio ora?
Improvvisamente cominciai a sudare e sentire un gran caldo e non ero più in grado di capire se era lui ad emanare calore o se ero io a surriscaldarmi quando era in zona.
"Si...no....si...", farfuglia non sapendo neanche io cosa stavo dicendo.
Lo vidi sorridere mentre faceva un altro passo.
"Non posso averne neanche un pezzetto piccolo piccolo?", chiese guardandomi sempre più intensamente.
Oh mamma! Perché non c'era mai nessuno quando ne avevo bisogno.
"Alex non è giusto...", mugolai.
"Cosa?", mi rispose con un sussurro caldo.
"Non dovresti comportati così con me.", borbottai imbronciata.
"Ah no?"
"Sai bene l'effetto che mi fai, non dovresti approfittartene.", mi lamentai.
Non poteva giocare così. Possibile che non si rendesse conto di cosa mi faceva?
"Hai ragione.", mi rispose riprendendo il suo tono normale, "Ho esagerato.", aggiunse sfiorandomi la guancia con l'indice.
Sentii una scarica elettrica attraversarmi il corpo. Avevo voglia di piangere per l'intensità delle emozioni che aveva scatenato.
"Cosa hanno fatto i tuoi amici per meritarsi quella meraviglia?", mi domandò allora andandosi a sedere sulla panca vicino al tavolo.
"Mi hanno sopportato. Ultimamente non sono stata una buona amica.", risposi.
Quello era l'eufemismo dell'anno. Ero stata davvero terribile. Irritabile, nervosa, insopportabile. Al loro posto non mi sarei più rivolta la parola.
Sbirciai verso Alex e vidi che ancora guardava verso la torta alle mie spalle. Era davvero un gran golosone e la cosa mi fece ridere.
"La vuoi davvero così tanto?", mi arresi.
Vidi il suo sguardo accendersi. Altro che uomo maturo a vederlo così sembrava ancora un ragazzino. Però più lati scoprivo di lui, più mi piaceva.
Improvvisamente mi sentii audace e coraggiosa.
"Contrattiamo.”, proposi.
L'idea sembrava divertirlo. Un lampo gli attraversò lo sguardo.
“Io ti faccio assaggiare il dolce se tu rispondi ad una domanda personale, che ne dici?”
Non riuscì a trattenere un sorriso, ma  non rispose subito come avevo sperato.
Se davvero eravamo amici finalmente potevo soddisfare ogni curiosità sulla sua vita e in quel momento c'era una domanda in particolare che necessitava di una risposta.
“Facciamo che mi fai la domanda ed io valuto se è il caso di rispondere.”, ribatté.
“Andata!”, accettai al volo, ma non appena lo dissi tutto il coraggio che mi aveva invasa sparì nel nulla e rimanemmo di nuovo solo io ed il mio perpetuo imbarazzo.
Alex mi guardava con un'intensità nuova cercando di leggermi e non dubitavo che gli riuscisse. Tom mi aveva sempre detto che ero un libro aperto, ero cronicamente incapace di nascondere ciò che avevo dentro. Mi sentivo messa a nudo sotto i suoi occhi inquisitori, ma allo stesso tempo ero invasa da un piacevole senso di sicurezza.
Fissarlo però non mi aiutò a ritrovare la capacità di parlare. Ero completamente ammaliata dal suo fascino, dall'energia che sprigionava.
“Il gatto ti ha mangiato la lingua?”, mi stuzzicò vedendomi esitare.
Sapevo che lui avrebbe capito il motivo che mi spingeva a fargli quella domanda, ma ormai avevo fatto trenta... tanto valeva andare fino in fondo. Presi un respiro profondo, raccolsi tutta la forza che mi restava e guardandomi i piedi sputai:
“Ti sei mai innamorato?”
L'avevo detto. Chissà cosa avrebbe risposto. Poteva essere che con tutte le donne che aveva avuto non si fosse mai innamorato? E se mi avesse risposto sì come l'avrei presa? Forse avrei dovuto considerare questi dubbi prima di parlare.
Aspettai in religioso silenzio, sempre più concentrata sui miei piedi.
“Lo sai che vedo qualcuno...”, iniziò confuso lui.
“Ma non è questo che ti ho chiesto.”, sussurrai con un filo di voce, “Ti sei mai innamorato? Innamorato sul serio intendo?”
“Che vuol dire «sul serio»?”, chiese sorridendomi.
Sorrisi a mia volta, sollevata. Avevo avuto la mia risposta.
Andai al frigo e presi il vassoio dove avevo messo i ritagli della torta. Sentivo le gambe molli  come gelatina, ma cercai di fingere un passo sicuro. Si era già divertito abbastanza per oggi.
Inizialmente la red velvet era rettangolare, poi però mi era arrivata l'ispirazione della forma a cuore, così dopo averla farcita l'avevo ritagliata. Avevo pensato di lasciare “gli scarti” ai miei. Pazienza, mamma e papà sarebbero rimasti a dieta per questa volta.
Mi misi ad armeggiare sistemando i vari pezzi come tessere di un puzzle in modo che prendessero grossomodo la forma di una «A».
A di Alex. A di amici. A di amore...
Con la sac à poche la decorai un po' e poi gliela presentai.
“Io non ho risposto.”, mi disse lui.
“Si, invece.”, borbottai senza ancora il coraggio di guardarlo negli occhi.
Mi squadrò scettico per qualche attimo, poi fece spallucce e si concentrò sulla torta.
Si poteva essere sexy e infantili allo stesso tempo? Alex ci riusciva perfettamente.
“Spero sia venuta bene.”, gli dissi mentre mangiava, “è la prima volta...”
Sul volto gli comparve un'espressione che non avevo mai visto e che mi provocò un tremito. Non capivo se fosse un segno di apprezzamento o repulsione.
“Fa schifo, vero?”, piagnucolai.
Merda! Merda! E ora come facevo? Non avevo il tempo per prepararne un'altra. I ragazzi sarebbero arrivati a momenti ed io non avevo che le mie patetiche scuse accompagnate da un dolce immangiabile. Forse però potevo provare a fare i biscotti...
“Aly.”, mi chiamò Alex, mentre io già pensavo a cosa procurarmi: farina, uova, zucchero...
“Aly.”, fece di nuovo a voce più alta.
Mi voltai a guardarlo. Mi stava facendo segno di avvicinarmi. Obbedii.
“Assaggia.”, ordinò.
Che avevo combinato? Messo il sale invece che lo zucchero?
Mi allungò la forchetta con un pezzo di torta ed io dovetti chinarmi per mangiarla. Il mio volto non era mai stato così vicino al suo. Potevo sentirne il respiro sulla guancia.
Fui invasa da una sensazione inebriante. Non so se era dovuto al dolce, alla vicinanza di Alex o ad entrambe le cose, ma sentivo il corpo attraversato da scariche elettriche in punti inimmaginabili. Era straordinariamente eccitante.
“Non è così male”, azzardai.
Alex mi mise un dito sotto al mento e mi costrinse a guardarlo.
“Non è male? Aly è fantastica.”, fece entusiasta.
Di colpo riuscii a dare un nome all'espressione sul suo volto: piacere. Prima che me ne rendessi conto la mia mente era già volata lontano trasportando quell'emozione in un altro contesto molto più intimo e personale. Schizzai in piedi come una molla.
Cosa stavo immaginando?
Mi tolsi il grembiule. Faceva caldo. Molto caldo.
E se lui se ne fosse accorto? Stavolta mi sarei sotterrata viva.
“Che c'è?”, mi chiese tranquillo.
“N-niente.”, balbettai.
“Vuoi che venga lì a chiedertelo?”, chiese con una dolce minaccia.
“Avevi un'espressione d-diversa me-mentre mangiavi...ecco.”
Un altro argomento. Mi serviva un altro argomento. Non potevamo parlare di quello, non dopo ciò che aveva partorito la mia mente malata ed eccitata.
“Diverso come?”, mi chiese lui interessato.
Oh Dio! Oh Dio! Che dovevo dirgli, che sembrava godere un mondo e che la cosa sovra eccitava la mia povera mente malata?
“Be'... ecco... appagato.”, dissi sul punto di esplodere.
Alex mi fissò per qualche istante. Un mezzo sorriso gli affiorò sulle labbra, mentre il suo sguardo divenne lascivo.
“Oh, lo sono”, rispose con voce bassa mangiando un altro boccone.
Ero all'inferno. O forse era il paradiso? Non faceva molta differenza; con lui sarei andata ovunque. Guardò il mio volto in fiamme gongolando. Se il suo scopo era farmi eccitare, c'era riuscito.

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Capitolo 12
*** Ciocogoduria ***


~~CAP 11

Finalmente avevo iniziato ad abituarmi all'amicizia con Alex. Era bello poter parlare con lui e sentirlo ridere (anche se principalmente rideva di me). Stavo addirittura imparando a parlare guardandolo in faccia. Non propriamente negli occhi, ma quasi.
Purtroppo però si era fatto vedere poco ultimamente. Ovviamente il suo tempo libero lo passava con la sua nuova ragazza. Stavolta sembrava davvero preso. Non che fosse qualcosa di cui avessimo parlato, mi era bastato osservarlo.
Per puro masochismo lo avevo convinto a farmi vedere una loro foto, anche se poi per poco non mi ero messa a piangere. Lui la guardava con aria sognante. Lei, neanche a dirlo, era bellissima. Aveva lunghi capelli biondo paglia super curati, un corpo perfetto ed i lineamenti delicati. Perfino Barbie in confronto sarebbe sembrata una befana. Non provai nemmeno a fare il paragone.
“Ha sicuramente le tette rifatte.”, decretò Kay.
Appollaiati in quattro davanti allo schermo del mio pc spiavamo le foto del profilo facebook di «lei». Da quando gliene avevo parlato erano diventati mostruosamente curiosi.
“Sicuro.”, confermò Ryler.
“Così sembrate due zitelle invidiose.”, osservai.
E lo ero anche io, da morire. Lei aveva tutto. Era bellissima, affascinante e non dubitavo che fosse popolare e desiderata, ma non era questo che le invidiavo. Lei aveva la cosa più importante, quella per cui io avrei fatto follie. Aveva l'attenzione di Alex. Se solo per una volta avesse guardato anche me come faceva con lei.
“Io la sfiderei a prendere un aereo per vedere che succede.”, rincarò la dose Kay facendomi ridere.
Quando si metteva in testa qualcosa sapeva essere molto testarda.
“E poi guarda come se la tira...”, riprese Ry.
“E lo capisci da una foto?”, gli chiesi scettica.
“Certe cose si sentono a pelle.”, mi rispose ammiccando.
“Io vi adoro!”, dissi abbracciandoli mentalmente.
“Piuttosto dacci ragguagli piccanti sul tuo nuovo «amico».”, si intromise Roxy.
Aveva lo sguardo famelico. Ma possibile che ancora non avesse capito che la mia vita di succoso non aveva niente?
“Non c'è niente da dire.”, sospirai amaramente.
Erano diversi giorni che non si faceva vedere o sentire ed io cominciavo a sentirmi in astinenza come chi tratteneva il fiato troppo a lungo.
“Vi siete visti o sentiti? Dai cazzo racconta!!! Non farti tirar fuori tutto con le pinze come al solito.”, sbuffò esasperata.
“Non lo vedo da un po' e ovviamente non l'ho chiamato.”, risposi senza pensare.
“Aspetta, aspetta. Che vuol dire? Non dirmi che hai il suo numero?”, squittì con una luce inquietante negli occhi.
Oh merda! Non si metteva bene. Questo è il tipo di informazione che Roxy non avrebbe mai dovuto avere.
“Si può sapere cosa aspetti a chiamarlo?”, ruggì entusiasta.
“E per dirgli cosa?”
“Inizia con «ciao Alex, come va?» e poi vedi come continuare.”, suggerì Kay.
“No, non se ne parla. Morirei dall'imbarazzo. E se poi lo disturbo?”, mi opposi.
Eravamo annoiati a morte, ma mi sarei fatta spellare viva piuttosto che fare quella che sarebbe stata la telefonata più imbarazzante di tutta la mia vita.
“Se ti ha dato il numero ha dato per scontato che l'avresti usato. Su forza!”, aggiunse Ry,
Per un attimo considerai l'idea: telefonare ad Alex... dovevo ammettere che era  terribilmente eccitante. Ma che gli potevo dire? Si chiamava una persona con uno scopo ed io volevo solo sentire la sua voce, di certo però questo non potevo dirglielo. Mentre riflettevo mi cadde l'occhio sui tortini che stavamo mangiando e mi venne un'idea.
Presi la forchetta lo tagliai a metà per far colare il ripieno di cioccolato bianco, gli feci una foto col cellulare e prima di cambiare idea lo inviai ad Alex su what's up. I miei amici mi guardarono scuotendo la testa. Loro avrebbero preferito la telefonata.
Trenta secondi dopo il cellulare vibrò.
«Mi stai stuzzicando?»
Mi morsi il labbro per frenare il sorriso da idiota che lottava per affiorare. Era stato rapido, molto più di quanto pensassi. Tre ombre comparirono di scatto alle mie spalle.
«Io?!»
«Non fare l'innocentina con me, sai?»
“Oh! Promette bene.”, ridacchiò Roxy soddisfatta, “Fai l'indifferente. Tiratela!!”
«Non so di cosa parli.», risposi seguendo il consiglio.
«Ora vengo lì e te lo spiego.»
Sentii un formicolio scuotermi il corpo e per un attimo guardai la porta come se mi aspettassi seriamente di vederlo entrare. Dio quanto volevo vederlo!
“Aly, avanti rispondigli!”, mi urlarono i miei amici.
“Come?”, feci un po' frastornata.
“Sfidalo. Ai ragazzi da una noia assurda.”, mi spiegò Roxy.
“Allora perché dovrei farlo?”, chiesi confusa.
“Perché è l'ABC della seduzione!”, disse esasperata.
«Provaci.»
Sentivo l'adrenalina scorrermi nelle vene e il cuore rimbombarmi nelle orecchie. Era divertente. Bastava quello a farmi sentire incredibilmente viva. Inoltre non averlo fisicamente vicino mi rendeva più impavida e sfrontata. Ero al riparo dal suo effetto ammaliante e da eventuali ritorsioni. Cominciai a prenderci gusto.
«Ne dubiti?»
«Ovviamente. E poi non te ne lasceremmo nessuna.»
Aggiunsi lo smile con la linguaccia giusto per sembrare ancor più impertinente. Così imparava a non venire a trovarmi per tutto quel tempo.
«Plurale?»
«Sono con i miei amici e tu?»
«Con Darla.»
Ahi. Questa fece male.
“Stronzo!”, urlarono in coro i moschettieri.
“Aly non farti mettere sotto!!”, mi incoraggiò Roxy.
“Oltretutto messaggia con te mentre è con lei.”, osservò Ry.
«Non è carino smessaggiare durante un appuntamento. Ed io che ti facevo un gentleman!»
«Le apparenze ingannano... scommetto che nemmeno il dolce è buono come sembra.»
“Ehi!”
Il mio orgoglio protestò. Non accettavo critiche da chi aveva sempre spazzolato senza lamentarsi ogni cosa che avessi cucinato. Certo che quando ci si metteva Alex sapeva essere proprio stronzo.
“Qui urge una rappresaglia.”, esclamò Roxy.
“Vuoi rapirgli il cane?”, scherzò Kay.
Lei non le rispose, ma consegnò a tutti il proprio dolce poi mi sfilò il cellulare dalle mani.
“Ora mangiate e fate una faccia da orgasmo.”
Com'era una faccia da orgasmo? E soprattutto perché voleva farcela fare?
“Che vuoi fare?”, chiesi con voce tremante.
“Gli mando una foto. Ora ubbidite.”, ordinò severa.
“Noi ci hai dato le forchette.”, osservò Kay.
“Usate le dita. È più sexy.”
“Sembri il fotografo di una rivista porno.”, commentò suo fratello.
L'esempio ci sembrò calzante e senza pensarci troppo facemmo come ci aveva detto. Poi la vidi armeggiare con il telefono e rinsanendo mi resi conto della pazzia che stava per fare. Cercai di sfilarglielo, ma ormai era tardi.
Aveva inviato la foto ad Alex con sotto scritto:
«Ciocogoduria: il piacere al cioccolato...»
“Roxy!!!”, urlai isterica.
E ora cosa avrebbe risposto? E se si fosse offeso o arrabbiato?
Ripensai all'espressione che aveva l'ultima volta che aveva assaggiato un mio dolce.
Oh Dio! Oh Dio!
Il cellulare vibrò.
«Poi ne riparliamo...»
MERDA!
I ragazzi si misero a sghignazzare.
“Che cazzo avete voi da ridere!”, sbuffai con le lacrime agli occhi.
“Oh tesoro,”, mi spiegò Roxy, “dovresti essere contenta, quella è una promessa.”, fece compiaciuta.
“O una minaccia.”, puntualizzò Kay.
“In ogni caso è molto sexy.”, concluse Ryler.
Mi presi il viso tra le mani. Loro parlavano bene. Non ci sarebbero stati quando avrei rivisto Alex ed io cosa avrei fatto? O peggio cosa aveva intenzione di farmi lui?
Un pensiero fece capolino tra la disperazione strappandomi un mezzo sorriso. Forse non sarebbe stato troppo spiacevole.

L'afa di quel sabato era opprimente. O forse era la noia a renderla tale. Non avevo voglia di far niente, i miei amici erano partiti per il mare ed io mi ritrovavo sola come un cane.
Nella vana speranza di ottenere una tregua dal caldo mi ero piazzata davanti al ventilatore che però non faceva che smuovere l'aria torrida. Spinta dalla disperazione andai in cucina a prepararmi una limonata fresca.
“Sono tornato.”, annunciò Tom.
“E chi se ne frega!”, gli risposi dalla cucina.
Mi versai la limonata e, cominciando a sorseggiarla, mi diressi nuovamente al ventilatore. Oltrepassata la porta però mi ritrovai davanti Alex. Per poco non gli sputai tutto addosso. La limonata mi finì di traverso facendomi tossire compulsivamente.
“Ora non sei più neanche in grado di bere normalmente, scimmia!”, mi sgridò Tom.
Non riuscii a prestargli attenzione. I miei occhi erano fissi su Alex e sul suo sguardo che gridava ora-ti-faccio-pentire-di-avermi-stuzzicato.
Oh merda! Oh merda! Oh. Merda.
Stupida Roxy, Stupido sms! Era terrorizzata ed eccitata allo stesso tempo.
“C-che ci fai qui?”, balbettai con la gola secca.
“Mamma e papà?”, chiese Tom ignorando la situazione.
Dovetti sforzarmi per spostare l'attenzione su di lui.
“In giro. Papà voleva sapere dove hai messo la busta della farmacia.”, feci con la voce malferma sentendo uno sguardo perforarmi.
“Cazzo! La farmacia!”, urlò mio fratello colpendosi la fronte, “Mi sono completamente dimenticato!”
“Papà ti ammazza! Però forse se vi sbrigate fate ancora in tempo.”, gli dissi cercando di rimarcare il plurale.
Se Tom se lo portava via, ero salva. In un attimo afferrò le chiavi della macchina.
“Io ti aspetto qui, ok?”, disse tranquillo Alex lanciandomi un'altra occhiataccia.
Stronzo!
Sorrisi fiduciosa. Tom non lo avrebbe mai lasciato a casa da solo con me. Aveva già paura che combinassi casini quando lui era presente. Forse, per una volta, la mia buona stella mi aveva assistito.
“Ok. Non ci metterò molto.”
Ma una cosa che andasse come doveva mai?!
Il mio sorriso divenne una smorfia di puro sgomento. E ora?
Non appena il portone si richiuse, Alex si voltò verso di me.
“Ehmm... come va la gamba?”, chiesi indietreggiando.
“Molto meglio.”, rispose avanzando sorridendo compiaciuto.
Più lui veniva verso di me, più io arretravo, fino a che non mi trovai spalle al muro. Alex poggiò le braccia all'altezza del mio volto ingabbiandomi. Era incredibilmente stimolante.
“Ehmm...gamba...sedere... dovresti...”
Cosa stavo dicendo? Il suo sguardo era troppo intenso e troppo vicino. Mi mandava a fuoco il cervello, mentre il cuore faceva gli straordinari. Come minimo avevo la pressione alle stelle. E se fino a poco prima sentivo caldo, ora dei brividi gelidi mi risalivano piacevolmente la schiena.
Alex stava sorridendo. Evidentemente non gli era sfuggita la mia incapacità ad articolare una frase sensata.
“La tua grammatica è migliore nei messaggi.”, commentò.
Aveva attutito il tono della voce per renderla più carezzevole e suadente. La sentivo scivolarmi dentro e percorrermi il corpo. Era talmente piacevole quasi da fare male.
“S-si.”
“Bene...Dove eravamo rimasti allora?”
Sentivo il suo profumo avvolgermi, il calore della sua pelle riversarsi sulla mia ad ondate.
Lo volevo. In quel momento lo desideravo. Non era un pensiero astratto o un sogno romantico. Era il prorompere di un bisogno fisico. Volevo accarezzarlo, toccargli i capelli, baciargli la pelle e quelle labbra... No, non potevo. Lui aveva una ragazza e noi eravamo solo amici. Come era amara ora quella parola.
Abbassai lo sguardo, sentendo gli occhi inumidirsi. Mi sentivo scossa da un'emozione che non riuscivo a gestire. Era troppo vicino.
“Alex...”, lo pregai con un filo di voce.
“Lo voglio, Aly. Dammelo o non rispondo di me.”, mi minacciò.
“Cosa vuoi Alex?”, piagnucolai.
“Che fai mi prendi in giro? Sai bene di cosa parlo!”, fece stizzito.
Alzai lo sguardo confusa. Solo allora capii cos'era venuto a cercare e di colpo mi sembrò tutto così ridicolo da non riuscire a trattenermi. Scoppiai in una risata fragorosa.
“Lo trovi divertente?”, fece in evidente imbarazzo.
“S-si.”, ammisi.
“Se non me lo dai subito, giuro che ti torturo fino a farti piangere.”, mi minacciò piccato come un bambino.
“I-io non ce l'ho.”, gli risposi ancora ridendo, “Te l'ho detto che l'avremmo mangiato.”
Alex mi fissò smarrito. Aveva pensato che stessi scherzando? E poi era davvero goloso fino a quel punto? Dove si sarebbe spinto per una fetta di torta?
Realizzando che non avrebbe avuto la sua Ciocogoduria crollò poggiando la testa sulla mia spalla. Esitai un po', ma alla fine gli poggiai le mani sulla nuca.
Mi sentivo così vicina a lui in quel momento.
“Sei perfida. Una perfida tentatrice.”, mugolò,
Io cercai di non ridere, ma non era facile. Le mie spalle sobbalzavano, ma tenevo le labbra serrate cercando si soffocare tanta ilarità.
Perfida tentatrice. Ecco due parole che mai avrei sognato di sentir riferire alla mia persona. E poi lui si lamentava quando ero io a sentire il suo respiro sul collo provocarmi brividi di piacere. Non so quando ma le sue mani si erano spostate sui miei fianchi.
“Potevi lasciarmene un pezzettino”, mormorò triste.
“Ed io come facevo a sapere che saresti passato. È un secolo che non ti fai vedere.”, lo rimproverai.
Alex alzò la testa per guardarmi negli occhi. Sembrava sorpreso ma non so se per ciò che gli avevo detto o per il tono con cui mi era uscito.
“Ti sono mancato?”, sussurrò sorridendomi.
Aveva lo sguardo dolce, uno di quelli che avrebbero sciolto il polo nord e che mi mandavano in brodo di giuggiole l'anima.
“Si.”, ammisi avvampando brutalmente.
“Anche tu.”, rispose cogliendomi di sorpresa.
Chiusi gli occhi. Erano bastate due parole a rendermi totalmente e completamente felice. Alex aveva sentito la mia mancanza. Avrei voluto abbracciarlo. Il mio corpo fremeva ordinandomi di farlo, ma non potevo. Lui non era mio.
Sapevo ciò che sarebbe dovuto succedere, sentivo la tensione crescere. Se fossi stati in uno dei romanzi che leggevo questo sarebbe stato il momento in cui il protagonista baciava l'eroina. Un bacio desiderato, sentito, la rappresentazione di tutti i sentimenti che aleggiavano nell'aria. Ma Alex non provava niente e gli unici sentimenti presenti erano i miei.
“Credo che ti siano mancati di più i miei dolci.”, borbottai per allentare la tensione che ci aveva circondati.
“Bè... diciamo che mi siete mancati entrambi.”, ammise sorridendo.
Alzò lentamente la mano e mi accarezzò la guancia, sfiorandomi le labbra con il pollice. Mi sentii morire. Il suo tocco caldo e delicato mi lasciò una scia bollente sulla pelle, scatenandomi fremiti per tutto il corpo. Stavolta non poteva non essersene accorto.
“Se ti preparo qualcosa mi lasci andare?”, gli chiesi in tono supplicante.
“Vuoi che ti lasci andare?”, mi domandò serio.
“No.”, confessai.
Non avevo voglia di cucinare, non avevo voglia di spostarmi di un centimetro da dove mi trovavo. Mi sentivo bene vicino a lui, anzi volevo stargli più vicino, molto più vicino.
Lui mi sorrise. Almeno non era infastidito dalla sempre più palese attrazione nei suoi confronti.
“Perché mi hai mandato la foto?”, mi chiese serio.
“Volevo sentirti.”, gli risposi.
“Perché la foto?”, ripeté.
L'intensità del suo sguardo faceva di nuovo male.
“Perché così avresti risposto.”, lo dissi strizzando gli occhi fortissimo come se mi aspettassi da un momento all'altro una sberla, “Volevo parlare con te.”
Alex non rispose. Lo sentii sospirare. Era arrabbiato? Forse si era pentito di avermi dato il suo numero. Non avrei dovuto contattarlo. Strinsi forte i pugni  per la rabbia.
“Hai detto che siamo amici...”, sussurrai al limite mentre una lacrime sfuggiva al mio controllo.
Lui la asciugò con la sua mano e mi accarezzò con dolcezza la guancia, riportando i miei occhi nei suoi.
“Si... amici.”, mormorò piano.
Ci scambiammo una lunga ed intensissima occhiata. La sua espressione era indecifrabile, ma incredibilmente seria. Mi stava scrutando, leggeva la mia anima ed io glielo lasciai fare. Non mi importava se vedeva quando ero follemente innamorata di lui, anche a costo di sembrare patetica ed illusa. Forse non ero all'altezza della sua ragazza, ma nessuno lo amava e mai lo avrebbe amato quanto me. Poi, quando ebbe finito, mi prese la mano tra le sue e mi disse piano:
“Mi hai promesso un dolce, non vorrai mica lasciarmi di nuovo insoddisfatto?”
Sospirai esausta da quell'otto volante emotivo. Lui si lamentava, ma ero io quella insoddisfatta ed ero destinata a rimanere tale.
“Sei davvero goloso.”, gli sussurrai lasciando che mi accompagnasse in cucina.

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Capitolo 13
*** Fear ***


~~CAP 12

Ero a casa da sola. Tom era uscito con i suoi amici e i miei genitori stavano ancora lavorando. Roxy, Ryler e Kailyn non erano ancora tornati dal mare.
Odiavo rimanere a casa da sola la notte. Era tutto così cupo e silenzioso. Ma ero troppo grande ormai per fare i capricci, avevo diciassette anni, anche se ciò non mi impediva di sentirmi tesa e nervosa. Come sempre avevo acceso tutte le luci e chiuso a chiave tutte le porte, anche quelle delle camere. Mi faceva sentire al sicuro. Il telefono era a portata di mano.
Accesi la Tv non per guardarla, ma perché mi tenesse compagnia. Era quasi mezzanotte, tra poco più di un'ora i miei sarebbero rientrati.
D'un tratto sentii un colpo secco provenire dal portone. Il cuore mi si fermò. L'ansia schizzò alle stelle mentre una brutta sensazione mi invase brutalmente. Andai ad origliare al portone. C'erano delle voci.
Le gambe si fecero molli e caddi. Dall'altra parte i rumori cessarono. Gattonai fino al divano.
Dove avevo messo il cellulare? Dovevo chiamare aiuto. Dovevo chiamare qualcuno.
Feci il primo numero che ricordai. Uno squillo, due, tre...
Alla porta un nuovo colpo.
Provai di nuovo. E poi un'altra volta. Finalmente qualcuno rispose.
“Aly che c'è?”, sentivo a pena la voce con la musica del locale.
“Tom...aiuto!!”

PDV Alex

Era stato piacevole passare la serata con Darla e non solo fisicamente. Era una donna affascinante, ma soprattutto era semplice stare con lei. Mi ricordava chi ero e cosa volevo.
Era già molto tardi quando raggiungemmo il gruppo. Appena arrivati al tavolo Darla raggiunse le sue amiche ed io mi girai in cerca di Tom, senza però trovarlo. Sulla sua sedia c'era solo la giacca.
“Dov'è Tom?”, urlai per farmi sentire.
“Se n'è andato.”, mi rispose Sam.
Strano. Non era da lui dimenticarsi qualcosa. Mi misi al suo posto e presi la giacca. Era pesante. Controllai per accettarmi che non avesse lasciato le chiavi di casa o roba del genere e trovai il suo portafoglio. Un campanello mi risuonò in testa.
“Dov'è andato?”, dissi afferrando Sam.
“Non lo so...mi pare a casa...ha chiamato la sorella.”
Aly. Cos'era successo per farlo correre via? Si era forse sentita male? L'agitazione salì così velocemente da spiazzarmi.
Presi il cellulare. Cazzo! C'erano quattro chiamate perse e un messaggio in segreteria. Non era buon segno. Uscii per ascoltarlo.
«Alex è successo  un macello... Aly è a casa da sola, c'è qualcuno alla porta... Merda! Ti togli dalle palle! È ancora giallo!!!.. Muovetevi! Dannazione!»
Il resto erano solo imprecazioni senza senso. Lo riascoltai due volte. Non si capiva molto, ma aveva detto abbastanza da spaventarmi.
Aly è a casa da sola...c'è qualcuno alla porta...
Come mai l'aveva lasciata sola? Lui che era sempre così attento e protettivo. Ma non li leggeva i giornali cazzo? Chiamai un taxi al volo e provai a telefonargli. Tom non rispose.
Provai a quello di Aly, ma era morto. Un brivido mi risalì la schiena. Avevo scelto un'espressione infelice.
Il taxi arrivò velocemente e assicurai al taxista la più alta mancia mai vista se mi avesse portato dai Williams in tempi record. In mezz'ora mi ritrovai a destinazione. Il vialetto era un arcobaleno di sirene. C'erano due volanti della polizia, un camion dei pompieri e un'ambulanza. La sensazione amara che mi aveva invaso lo stomaco aumentò.
Cercai di entrare ma un agente mi bloccò.
“Lei chi è?”, mi domandò.
“Un amico di famiglia. Cos'è successo? Come sta Aly?”, lo incalzai.
“Si calmi, va tutto bene. C'è stata un'effrazione.”
Va tutto bene un cazzo! C'era un dispiegamento di forze dell'ordine da seconda guerra mondiale. Cercai di mantenere la calma, ma non fu facile. Tremavo per la rabbia, ma anche per la paura. E se le era successo qualcosa? Non so perché ma il pensiero mi paralizzò. Iniziai a cercarla con lo sguardo, ma di lei non c'era traccia.
Finalmente vidi Tom. Sembrava avesse perso dieci anni di vita. Stava parlando con un altro agente. Gli feci cenno mostrandogli la giacca e lui mi rispose indicandomi con lo sguardo ciò che stavo cercando. Aly era seduta sul divano avvolta in una coperta pesante, nonostante fossimo a luglio. Era pallidissima e tremava come una foglia. Davanti a lei c'era un paramedico intento a pulirle una ferita alla testa. Aveva tutta la parte alta della fronte coperta di sangue.
Sentii una stretta allo stomaco, ma al contempo fui colto da un profondo sollievo. Era viva. Andai da lei, ignorando l'agente che aveva ripreso a parlarmi.
Il paramedico cercava di calmarla, mentre lei lo fissava con sguardo assente.
“Ancora un punto e abbiamo finito, ok? Vedrai che presto tornerai come nuova e sarà solo un brutto ricordo.”, le fece gentile.
“Aly...”, la chiamai piano.
Voltò la testa di scattò. Aveva gli occhi spauriti. Tremava così tanto da battere i denti. Mi si strinse il cuore nel vederla così. Provò a farmi un sorriso, ma invece finì per piangere.
“Su, signorina. È finita bene.”, fece il paramedico.
Ma cos'era sta fissazione? Era andata bene, era finita bene. Era assurdo dirglielo mentre le ricuciva la testa.
“Sei più tranquilla ora che c'è il tuo ragazzo?”, le domandò.
Aly, che normalmente sarebbe arrossita ad una frase del genere, non reagì. Continuava a singhiozzare sommessamente.
Cosa le avevano fatto? Nella testa si susseguirono mille idee, una più atroce dell'altra. La mia piccola Aly...  Immediato, e inatteso, emerse prepotente il desiderio di proteggerla, di consolarla e di tenerla al sicuro. Non riuscivo a vederla così, mi faceva male.
Mi misi a sedere vicino a lei. Avevo l'impressione che sarebbe bastato un soffio di vento per romperla stavolta. Era così fragile.
“Ehi!”, le mormorai piano accarezzandole la guancia.
Aly piegò la testa verso la mia mano stringendo le labbra per trattenere il pianto. Dio, odiavo vederla piangere in quel modo.
“Shh... è finita!”, le sussurrai piano prendendole il viso tra le mani.
Volevo infonderle coraggio, scacciare la paura dai suoi occhi, ma non sapevo cosa dirle. Le posai un casto bacio sulla fronte e poi ci poggiai la mia. Era gelata.
Mi sentivo completamente inutile, impotente davanti a tutto quel dolore, alla paura che potevo leggerle in volto. Era come in ospedale. Così feci l'unica cosa che potevo, con delicatezza le feci appoggiare la testa sul mio petto e la circondai con le braccia. La sentii sospirare.
“Stia attento potrebbe sporcarsi.”, mi avvertì il paramedico.
Stava fissando la mia giacca firmata. Ma davvero pensava che me ne fregasse qualcosa? Erano solo vestiti e Aly era infinitamente più importante.
“Vi lascio un attimo da soli.”, aggiunse dopo poco.
Annuii grato. Baciai Aly tra i capelli respirando il suo profumo dolce. Sapeva di vaniglia. Ci mise un po', prima di iniziare a rilassarsi, ma poi sentii la tensione allentarsi mentre anche i tremiti  scemavano. Aspettai che fosse del tutto calma prima di scostarla leggermente e prenderle di nuovo il volto tra le mani.
“Stai bene?”, le chiesi.
Lei annuì con il labbro tremulo. Stava ancora trattenendo le lacrime.
“Sicura?”
La scrutai per assicurarmi che non stesse minimizzando.
“Mi fa male la testa...”, aveva la voce tremante e estremamente flebile, ma mi sentii meglio nel sentirla parlare.
“Direi che è normale.”, commentai guardando il brutto taglio che aveva in fronte.
Probabilmente non era il momento migliore, ma io avevo bisogno di sapere cosa le era successo. Chi era stato a farle del male? La mia fantasia inaspettatamente florida partoriva immagini raccapriccianti che non facevano che torturarmi.
“Ti va di dirmi che è successo?”
Un brivido le percorse il corpo ed io la strinsi di nuovo.
“Non fa niente. Non ti sforzare.”
“No...va bene...”, disse tirando su col naso, “Ho sentito dei rumori e delle voci... erano dietro la porta. Hanno cercato di sfondare la porta...il portone ha ceduto... un tonfo, un tonfo enorme...”
Aspettai che continuasse, ma lei sembrava essersi incantata. Non volevo forzarla, ma dovevo sapere.
“Sono stati loro...T-ti hanno toccata?”, lo sussurrai piano tramando all'idea di cosa poteva dirmi.
Anche lei rabbrividì.
“No. N-non m-mi hanno t-trovata...ero nascosta.” disse facendo cenno di no con la testa e finalmente vidi le guance prendere un po' di colore. Ecco la mia Aly, perennemente imbarazzata.
Esitò un po', ma poi vedendo che continuavo a fissarla si decise a continuare.
“È stato un salvadanaio.”, ammise con un filo di voce.
Tra il sollievo e l'assurdità di quella risposta non potei non ridere. Risi come non facevo da molto, così tanto da farmi venire le lacrime agli occhi. Quando la guardai di nuovo Aly aveva decisamente ripreso colore.
“Un salvadanaio, eh?”, feci asciugandomi le lacrime.
“Non sei carino a ridere.”, mi sgridò con il sorriso sulle labbra, “Mi sono fatta male.”
“Aggredita da un salvadanaio.”, ripetei ancora una volta.
Lei era così: assurda, incomprensibile, irresistibilmente goffa.
“Mi è caduto in testa quando mi sono nascosta.”, aggiunse.
Era bello vederla sorridere dopo averla vista così smarrita e spaventata. Volevo che continuasse a farlo.
“Doveva contenere una piccola fortuna a giudicare dal danno?”, commentai.
“Si è persino rotto.”, confessò senza il coraggio di guardarmi.
“Allora ha ragione Tom a dire che sei una testa dura.”
Aly fece un'espressione indignata e stava per dire qualcosa, ma una fitta alla testa ci riportò entrambi alla realtà.
“Ho avuto tanta paura.”, mi confessò con un filo di voce.
Le bacia di nuovo la fronte. L'avevamo avuta tutti quella notte.
“Mi sembra vada meglio ora.”, fece il paramedico tornando per finire la medicazione.
“Si.”, confermò lei con un piccolo sorriso.
“Deve essere un fidanzato coi fiocchi” commentò sorridendole a sua volta.
Fidanzato? Era la seconda volta che mi definiva così e stranamente non provai il minimo disagio.
“Non lo chieda a me. Ma se vuole la mia opinione ne dubito.”, gli rispose ritrovando la sua irritante impertinenza.
Le diedi un pizzicotto sul fianco facendola sobbalzare, mentre le guance prendevano ancora più colore. Si stava lentamente riprendendo e la cosa non faceva che allentare tutta l'angoscia che mi aveva invaso nel vederla in quello stato.
“Perché, non state insieme?”, domandò sorpreso il paramedico.
Non capivo se le faceva quelle domande per distrarla o perché voleva qualcos'altro, ma in ogni caso non mi piaceva. Anzi, per dirla tutta, mi stava proprio sulle palle.
“Io sono cotta, ma lui non mi calcola.”, ammise Aly candidamente.
Per poco non mi prese un colpo. Ma da dove le tirava fuori certe risposte? Si vergognava a chiamarmi per nome e poi diceva certe cose senza nessun problema. Non sapevo se lo trovavo più divertente o irritante.
“Da come la stringe non dire che «non la calcola»”, osservò lui facendola arrossire.
Ma quel coglione non poteva fare il suo lavoro restando zitto? Per caso gli davano un extra se diceva un po' di stronzate? Non mi piaceva il modo in cui le parlava o le sorrideva e mi irritava la libertà che si stava prendendo con lei. L'aveva fatta arrossire.
Le strinsi più forte, riportando la sua attenzione su di me. Le sorrisi dolcemente e lei tornò a rilassarsi tra le mie braccia.
“Se dovesse avere giramenti di testa o nausea portatela in ospedale, ok?”, mi raccomandò.
Annuii di nuovo. Finalmente il tizio si tolse dalle palle, lasciandoci soli, per quanto lo si potesse essere in una stanza piena di gente.
Tra le mie braccia Aly sembrava essersi finalmente tranquillizzata e anche io dovevo ammettere di sentirmi molto meglio. Mi sorpresi a pensare che mi piaceva abbracciarla, nonostante normalmente avessi sempre considerato quei gesti delle puttanate da romanzo rosa. Lei però gli dava un significato diverso: una carezza, o un abbraccio con lei sembravano essere qualcosa di più.  Era piacevole ed intenso.
“C'è tuo fratello.”, le dissi vedendo Tom avvicinarsi.
“Salutamelo.”, commentò lei.
A me venne da ridere e anche lui sembrò sollevato dalla sua totale mancanza di rispetto. Se stava di nuovo abbastanza bene da litigare con lui, il peggio era passato.
“Eri meno indisponente quando hai chiamato.”, fece Tom.
“Ho dovuto chiamarti tre volte prima che ti degnassi di rispondere.”, lo sgridò lei.
Tre volte? Mi sforzai di non dire niente. Cosa cazzo stava facendo suo fratello per non risponderle? E se le fosse successo qualcosa? Cercai di calmarmi stringendola un po' più forte.
“Lo so, mi dispiace.”, fece mortificato.
Aly alzò la testa sentendo il tono contrito di Tom. Lo guardò un attimo e poi allungò le braccia verso di lui come una bambina. Lui le si mise accanto e la strinse. Non li avevo mai visti insieme così.
“Sei il mio eroe.”, gli disse mostrandogli tutta la sua gratitudine.
“Mamma e papà saranno qui a minuti.”, bofonchiò lui cambiando argomento.
Non ci potevo credere. L'imperturbabile Tom era a disagio, quasi in imbarazzo. Potevo contare sulle dita di una mano le volte che l'avevo visto con un'espressione simile.
“Gli prenderà un colpo. Mamma diventerà isterica.”, fece Aly con una punta di nervosismo nella voce.
“Tranquilla ci penso io. Tu dovresti riposarti.”
“No!”, disse scattando in piedi troppo velocemente a giudicare da come ondeggiò.
Tom ed io la afferrammo al volo.
“Lo vedi? Non fare i capricci.”, quando le parlava così sembrava più suo padre che suo fratello.
“Ho paura...”, mormorò allora lei.
“Tranquilla. Non sei sola.”, la rassicurò.
Provai una fitta di invidia, ma me la feci passare. Era giusto così, era sua sorella.
Dieci minuti dopo Aly dormiva aggrappata al suo braccio in stile koala.
Tom aveva l'aria completamente stravolta.
“Stai bene?”, gli chiesi.
“Ho avuto momenti migliori.”, disse iniziando ad accusare il colpo.
Gli misi una mano sulla spalla, poco sopra la testa di Aly.
“Non ho mai avuto tanta paura.”, mi confessò con gli occhi lucidi, “Quando le ho risposto e l'ho sentita... Non faceva che chiedere aiuto.”
La sola idea di quello che doveva aver provato mi fece accapponare la pelle. Se pensavo a cosa poteva succederle mi veniva la nausea. Non sarebbe dovuta rimanere da sola, era troppo piccola e indifesa.
“Mi sembrava di non arrivare mai.”, sospirò.
“Mi sorprende che tu non ti sia ammazzato per strada visto il messaggio che mi hai lasciato.”, commentai ricordando la sfilza di imprecazione registrate sulla mia segreteria.
“Davvero? Non me lo ricordo. A proposito grazie per la giacca.”
Gli feci un cenno. Ero felice che avesse dimenticato la giacca. Se non lo avesse fatto, probabilmente sarebbero passate delle ore prima che vedessi le chiamate e sentissi il suo messaggio e allora sarebbe stato tardi per raggiungerli.
“Cos'è successo?”, chiesi.
“I poliziotti credono che i ladri sapessero che Aly era sola, visto come sono entrati. Hanno praticamente preso a spallate la porta quando si sono resi conto che lei li aveva sentiti.”
Tom si passò la mano sulla faccia, mentre io rabbrividivo. Quanta paura doveva aver avuto, la piccola creatura che ora dormiva serena tra di noi. Le poggiai delicatamente la mano sulla testa. Era lì. Stava bene.
“Le ho detto di andare a nascondersi, poi ho chiamato la polizia e quando ho attaccato con loro l'ho richiamata. Le ho detto di non parlare, così avrei sentito tutto. Cercavo di tranquillizzarla... non avrei dovuto lasciarla sola.”, fece prendendosi il volto tra le mani.
Lo conoscevo abbastanza da sapere quanto dovesse sentirsi in colpa, ma, nonostante la vena di irritazione che ancora sentivo per la sua mancanza di cautela, sapevo che non era colpa sua e mi dispiaceva vederlo così.
“Non pensarci più. Per come poteva andare, è finita bene.”, gli dissi cercando di consolarlo.
“Si...”, rispose poco convinto.
“Mi spieghi perché c'erano anche i pompieri?”
“Aly ha chiuso a chiave tutte le porte. Da una parte è stata meglio così perché ci ha dato tempo, ma dall'altra quando poi siamo arrivati e lei non veniva ad aprire...”
“Non veniva?”
“La botta in testa.”, sbuffò Tom più irritato che divertito, “Le avevo detto che quell'affare era pericoloso. Ma lei deve fare sempre di testa sua!”, la sgridò mentre dormiva beata, “L'ha presa di spigolo. Quando l'ho trovata era priva di sensi. Non faceva che svenire. C'era sangue ovunque...”
Se pochi minuti prima lo stesso racconto mi aveva fatto ridere, ora lo trovavo raccapricciante. Riuscivo quasi a vedere la scena. Aly al buio in una pozza di sangue bianca come un cencio. Non era divertente.
“E i ladri?”
“Li hanno presi. Erano ancora dentro quando la polizia è arrivata. È stato un bene che non sia stato io a trovarli. Giuro Alex, non so come avrei reagito.”, fece serio.
I Williams arrivarono qualche minuto più tardi e ci mettemmo un po' a spiegargli tutto e a tranquillizzarli.
Tom mi invitò a dormire ed io accettai di buon grado. Non avevo i mezzi per tornare a casa, ma soprattutto non avevo nessuna voglia di allontanarmi da Aly. Dopo lo spavento provato, avevo bisogno di saperla vicina, perché solo così avrei dormito tranquillo. Era incredibile che qualcuno che fino a qualche mese prima a mala pena consideravo, ora fosse in grado di sconvolgermi tanto profondamente.

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Capitolo 14
*** Blackout ***


~~CAP 13

Era la prima volta che mi lasciavano sola dall'incidente. I miei erano stati chiamati per un imprevisto e Tom aveva trovato un lavoretto in un ristorante per il resto dell'estate. Ci avevo messo ore a convincerli che potevano andare senza preoccuparsi. Quante probabilità c'erano che mi succedesse qualcos'altro? Inoltre papà aveva fatto installare un super allarme e una porta blindata. Quella non sarebbe venuta giù a spallate.
Per dirla tutta ero stanca di venir trattata come una bambina. Ovunque andassi c'era sempre qualcuno che mi controllava, se non era mio fratello, erano i miei genitori e perfino i miei amici si erano uniti alla congiura. Erano preoccupati per me, lo capivo e apprezzavo davvero le loro attenzioni, ma iniziavano a soffocarmi.
Tuttavia ora che ero sola e la casa era di nuovo cupa e silenziosa, cominciai a pentirmi della mia ostinazione. Non ero così coraggiosa. Forse era troppo presto. Ogni scricchiolio o strepitio mi faceva sobbalzare. Era inutile negarlo, ero terrorizzata.
Stavo per chiamare Tom chiedendogli di tornare, quando sentì il cancello aprirsi. Il cuore mi si fermò. Mi ero dimenticata di chiuderlo!
Non volevo passarci di nuovo. Cercai il telefono con le mani tremanti. Poi sentii bussare. Due colpi secchi. Trattenni il fiato e mi gelai. Altri due colpi. Sussultai.
“Aly, ci sei?”, da fuori la voce di Alex arrivò attutita.
Sospirai sollevata. Ma che ci faceva lui qui?
“Alex?”, chiesi tanto per stare sicura.
Non che fosse possibile per me non riconoscere la sua voce.
“Aspettavi qualcun altro?”, fece pungente.
“Forse.”, gli risposi.
Lo sentii ridere dall'altra parte.
“Hai intenzioni di aprirmi o dobbiamo continuare così?”, mi domandò.
“Per me possiamo continuare.”, gli risposi ridacchiando.
Ogni traccia di nervosismo o paura era evaporata. Era assurdo che mi bastasse sentire la sua voce per sentirmi protetta e al sicuro.
“Poi non venire a piangere se mi prendo una polmonite, però.”, si lamentò.
Come scusa era deboluccia, visto che eravamo in piena estate. Poteva inventarsi di meglio.
“Non mi commuovi.”, replicai.
“Ahi.”, lo sentii gridare.
In tre secondi aprii la porta e mi ritrovai la faccia compiaciuta e strafottente di Alex davanti agli occhi. Mi aveva presa in giro.
“Bugiardo!”, lo accusai colpendogli la spalla.
Mi aveva fatta preoccupare. Avevo creduto che si fosse fatto male alla gamba.
“Ehi, il fine giustifica i mezzi.”, mi rispose entrando come fosse casa sua.
“Sei un prepotente ed un bugiardo.”, dissi mettendo il broncio, “Un prepotente bugiardo.”
“Nemmeno tu sei stata molto ospitale a lasciarmi fuori con questo tempaccio.”
Ora che ci facevo caso Alex era fradicio. Era uno spettacolo indecente. La maglietta era diventata una seconda pelle rivelando l'addome scolpito e dai capelli zuppi delle gocce scendevano ad accarazzargli il viso scivolandogli lascive lungo il corpo. Dio stavo avendo una fantasia erotica.
Sentii il sangue andarmi al cervello e altre parti del corpo scuotersi. Improvvisamente non mi ricordavo più come respirare, mentre il resto del corpo rischiava l'autocombustione. Non ero sicura di avere abbastanza autocontrollo da potergli stare vicino. Non riuscivo nemmeno a guardarlo.
Mi affacciai un attimo fuori per controllare che piovesse davvero, mentre cercavo di calmare i miei bollenti spiriti con un po' di aria fresca. In effetti stava diluviando. Come avevo fatto a non accorgermene?
“Piove davvero!”, commentai sbalordita.
“Ma dai!”, rispose acido.
Si sarebbe veramente preso un accidente.
“Dovresti toglierti i vestiti.”, dissi senza pensare.
“Be' vai subito al sodo.”, mi rispose divertito.
Sentii il volto in fiamme. Non potevo credere che glielo avevo detto davvero.
Perché quando lui era presente il filtro tra testa e bocca andava in crash? Che avevo fatto di male?
Evitando di parlare ancora a sproposito andai a prendergli degli asciugamani e dei vestiti di Tom in modo che potesse cambiarsi. Forse con un aspetto meno indecente la mia immaginazione si sarebbe placata.
“Tieni.”, gli dissi ancora rossa e su di giri.
Lui aveva uno sguardo che non mi piaceva. Aveva in mente qualcosa.
Senza il minimo pudore Alex si tolse la maglietta bagnata rivelando il fisico da urlo.
Stava cercando di uccidermi. Sarei morta di infarto e tutti l'avrebbe ritenuta una fatalità. Il crimine perfetto.
“Alex!”, urlai ridendo coprendomi gli occhi con le mani.
La testa mi girava, mentre i pochi neuroni sani commettevano un suicidio di massa.
Dio quant'era bello. Lo volevo, lo volevo disperatamente. Cosa avrei dato per toccarlo anche solo una volta.
Lui mi guardò compiaciuto e divertito. Sapeva di aver un bel corpo e di sicuro non ignorava l'effetto che mi faceva.
“Qual'è il problema? Non mi stavi guardando comunque?”, fece con finta innocenza.
Volevo sotterrarmi. Se n'era accorto. Ovvio, come poteva non farlo? Praticamente avevo la faccia di chi guardava un porno. E in effetti...
“E hai pensato che spogliarsi  fosse una buona idea.”, lo brontolai.
“Sei stata tu a dirmi che dovevo togliermi i vestiti.”, commentò pacato.
“Non intendevo davanti a me.”, urlai al limite dell'imbarazzo.
“Perché non ti piaccio?”
Avevo uno sguardo malizioso. Mi stava provocando, ma era un gioco crudele. Non potevo averlo eppure non lo avevo mai desiderato tanto.
“Sei bellissimo... e non hai bisogno che sia io a dirtelo.”, mormorai, “Brutto presuntuoso arrogante.”
Un lampo cadde vicinissimo alla casa e il tuono conseguente fu così forte da far tremare i vetri, strappandomi un urlo. Improvvisamente ci ritrovammo al buio.
In un secondo le braccia di Alex mi avevano circondata.
“Tranquilla.”, mi sussurrò.
Era più facile a dirsi che a farsi. Lui mi stringeva ed era ancora mezzo nudo. Stavo toccando il suo petto, pelle contro pelle. Le gocce dei suoi capelli mi finivano sul pigiama, scendendomi lungo la schiena. Stavo tremando e non per la paura.
Quando la luce tornò, avevo la fronte poggiata sul petto di Alex.
“Tutto ok?”mi domandò accarezzandomi la guancia.
“No.”, sospirai.
“Colpa mia o del temporale?”, fece con un mezzo sorriso stampato in faccia.
“Di tutti e due.”, ammisi.
Presi l'asciugamano che aveva sulla spalla e glielo misi in testa per tamponargli i capelli. Almeno così non vedevo il suo sguardo. Lui restò immobile a farsi asciugare come un bambino.
Ora che non poteva guardarmi osservai con cura il suo corpo. I muscoli tonici risaltavano quel tanto che bastava. Non potevo pensare che là fuori c'era una ragazza che non doveva trattenersi dal toccarlo, che poteva accarezzarlo e baciarlo liberamente, che poteva fare l'amore con lui.
Scossi la testa per scacciare quei pensieri. Non dovevo mettermi in testa strane idee. Dovevo ricordarmi che non ero il suo tipo, che lui ce l'aveva già una ragazza e che noi eravamo solo amici. Se perdevo di vista questo rischiavo di rovinare tutto.
Notai che sul fianco aveva alcuni graffi.
“Questi te li sei fatti nell'incidente?”, domandai piano sfiorandoli con il polpastrello.
Lo vidi sussultare.
“Si.”, aveva la voce roca.
“Ti fanno male.”, sussurrai.
“No.”
Controllai allora in cerca delle altre ferite. Esaminai accuratamente la spalla e poi il braccio ed infine la schiena. Le ferite peggiori erano sul gomito, ma era difficile credere che se le fosse fatte in un incidente. Avrei voluto baciarle come si fa con le sbucciature dei bambini, ma di nuovo mi resi conto che non potevo.
“Vuoi giocare al dottore?”, riprese a punzecchiarmi con tono più mellifluo.
“Stavo solo controllando.”, spiegai.
“E?”
“Sei stato fortunato. Davvero molto, molto fortunato. Potevi farti male.”, sospirai.
“Potrei dirti la stessa cosa.”, fece sfiorandomi la fronte, “Come va la testa?”
“Funziona male come al solito. Tom sperava che il colpo mi facesse rinsanire.”, provai a sdrammatizzare.
“Non ascoltarlo. Tu vai bene così, esattamente come sei.”, mi disse serio.
Per un attimo restò a fissarmi e il mondo intorno a noi parve sparire. Non so cosa avrei dato per poter fermare il tempo e vivere per sempre in quell'istante sospeso.
“Vado a vestirmi.”, aggiunse dopo un momento.
Solo quando rimasi sola mi resi conto che stavo trattenendo il respiro e avevo le lacrime agli occhi.
Cosa stavo facendo? Che mi era preso? La verità era che non mi bastava essere sua amica perché più mi avvicinavo a lui, più volevo stargli accanto, e allo stesso tempo però mi rendevo dolorosamente conto che non potevo. Che non avrei mai potuto, non almeno nel modo che sognavo. Non ero capace di essere sua amica e temevo che, prima o poi, lui se ne sarebbe accorto finendo per liquidarmi.
Presi un profondo respiro cercando di riprendere il controllo. Dovevo solo evitare di trovarmi in situazioni come queste. Sforzarmi di mantenere una distanza fisiologica.
“Hai fame?”, gli urlai dalla cucina.
“Sempre.”, mi rispose dalla stanza di Tom.
“Preparo la cena se ti va di restare.”
“E il dolce!”, aggiunse.
Avevo dato per scontato che volesse anche il dessert. Se avessi mangiato come lui probabilmente sarei diventata centoventi chili. Era proprio vero che certe persone avevano tutte le fortune.
Mi misi all'opera partendo proprio dal piatto che preferiva. Non avevo voglia di accendere i fornelli così mi limitai ad una crema al limoncello con fragole fresche. Feci giusto in tempo a mettere nel frigo le coppette che fuori ci fu un altro lampo seguito da un blackout.
Stavo bene. Stavo bene. Stavo bene.
Forse se continuavo a ripeterlo si sarebbe avverato, come un desiderio. Mi resi conto però che tremavo e avevo il cuore in gola. Non stavo bene affatto.
Sentii una mano sulla spalla.
“No!”, urlai indietreggiando.
“Sono io.”, la voce di Alex era cauta.
Mi buttai tra le sue braccia senza pensarci. Lui non mi strinse. Era stranamente rigido.
“Perché se hai paura sei rimasta a casa da sola Aly?”, mi sgridò.
“I miei dovevano lavorare. Non volevo creare problemi.”, mi giustificai.
“Ma se non te la sentivi non dovevi sforzarti. Cosa sarebbe successo se non fossi passato?”
Perché ora era arrabbiato con me? Forse si era infastidito perché mi ero aggrappata a lui? Non lo avevo fatto di proposito, mi era venuto spontaneo. Più ci pensavo, più mi sentivo nervosa.
“Me la sarei cavata.”, mentii.
“Ha un bel coraggio a dirlo mentre tremi come una foglia.”, mi accusò.
Mi staccai da lui di colpo e la luce ci sorprese mentre ci guardavamo arrabbiati.
Per la prima volta sembrò seccato da ciò che provavo. Glielo leggevo negli occhi il fastidio che sentiva e mi si spezzò il cuore vedendo ogni mio più oscuro timore prendere lentamente forma. L'inevitabile verità era che lo stavo perdendo, se mai si potesse perdere qualcosa che non si era mai nemmeno posseduto.
“Io sto bene!”, gli dissi.
“Cazzate. Tu hai paura. Sei solo una ragazzina spaventata.”, urlò.
Cercai di ricacciare indietro le lacrime. Non volevo piangere. Non lo avrei più fatto davanti a lui, me l'ero ripromessa.
“Non ti ho detto io di venire. E se sei stanco di farmi da baby sitter la porta è da quella parte.”, gli dissi fingendo una calma che non avevo, mentre sentivo la terra sotto i piedi venire meno.
Lui mi guardò un attimo spaesato prima di tornare in sé.
“Aly...”, iniziò cercando di prendermi un braccio, ma svicolai. Non avrei sopportato di venir toccata in quel momento.
“È meglio se vai ora.”, gli dissi.
“Mi stai cacciando?”, mi chiese.
“Si.”, gli risposi mentre sentivo una lacrima scendermi lungo la guancia.
Lasciai tutto com'era e andai in camera mia a piangere. Iniziavo a rendermi conto che forse era stato tutto un grande errore. Non avrei mai dovuto avvicinarmi a lui, non avrei mai dovuto desiderare ciò che non poteva essere mio. Ingenuamente avevo creduto che mi sarebbe bastata la sua amicizia che invece si stava rivelando una lenta e brutale tortura.
Dopo qualche minuto sentii bussare alla porta. Anche se non risposi Alex entrò ugualmente.
Non accese la luce, si limitò a lasciare la porta della stanza aperta facendone filtrare un po' dal corridoio. Cosa voleva ora? Era ancora arrabbiato? Era venuto per dirmi che non voleva più saperne di me?
“Mi dispiace.”, sussurrò.
La sua voce era morbida come una carezza e colma di gentilezza e rammarico. Era tornato l'Alex di sempre, il mio Alex.
Si sdraiò alle mie spalle abbracciandomi da dietro.
“Mi dispiace tanto Aly.”, si scusò di nuovo.
“Perché hai detto quelle cose?”, gli gridai arrabbiata.
“Perché sono un'idiota.”, rispose.
Un singhiozzo mi fece sobbalzare e lui mi strinse un po' più forte con un braccio, mentre con l'altro mi accarezzava la schiena cercando di tranquillizzarmi.
“Stavo litigando con Darla quando è andata via la luce. Ho riattaccato per venirti a cercare e ho finito per prendermela con te.”, si giustificò.
“Dovevi uscire con lei stasera?”, gli chiesi con un filo di voce.
“Si.”
“Perché sei venuto qui allora?”, domandai voltandomi e ritrovandomi completamente sovrastata.
Ero tra le sue braccia eppure non potevamo essere più lontani. Faceva male. Era intollerabile. Con lui ogni sensazione era così intensa da far male e anche se gridavano e strepitavano per venire ascoltate, io non potevo cedere, soprattutto in quel momento.
“Tom mi aveva detto che eri sola...”, iniziò.
“E ti ha mandato a fare il baby sitter.”, conclusi al suo posto.
L'amarezza di quella confessione fu difficile da sopportare. Ma che mi ero messa in testa? Che fosse venuto per me? Ero una stupida se davvero, anche solo per un secondo, avevo creduto a queste illusioni. Quante volte dovevo ancora ripetermi che lui non era mio, che aveva una ragazza ed io non ero e mai sarei stata niente di più di un'amica?
Paragonato alla ferita che mi si era appena aperta nel cuore, il taglio sulla fronte sembrava la puntura di uno spillo. Mi coprì gli occhi con le mani, prendendo un profondo sospiro per non perdere il controllo. Non avrei pianto. Non di nuovo.
“Dovresti andare da lei.”, gli sussurrai anche se dirlo fu come strapparmi il cuore.
“Non ti lascio sola.”, si ostinò.
Sapevo che Alex era un amico leale e se aveva detto a Tom che sarebbe rimasto a sorvegliarmi non lo avrei persuaso facilmente a cambiare idea. Tuttavia dovevo almeno provarci.
“Sono solo un paio d'ore, non morirò. Sei stato carino a passare, ma non è necessario che resti.”, gli dissi con il tono più freddo di cui ero capace.
Dovevo solo ripetergli quello che avevo detto a Tom e ai miei genitori. Avevo convinto loro, avrei convinto anche lui. Non lo volevo lì, non in quel modo.
“Sono al sicuro ed in caso di bisogno posso chiamare Tom.”, sussurrai stanca.
“Davvero convincente.”, commentò, “Ora ripetilo guardandomi negli occhi.”
“Non dovresti essere qui e non importa cosa hai promesso a Tom.”, dissi al limite del masochismo.
“Non mi ha chiesto lui di venire.”
Gli rivolsi un sorriso triste. Doveva per forza essere stato Tom. Avevo visto la sua espressione dubbiosa quando era uscito, avevo capito di non averlo convinto del tutto, ma mai avrei immaginato che avrebbe chiamato Alex. Ero umilianta per essermi illusa, ma soprattutto era doloroso, vederlo lì sapendo che avrebbe voluto essere da un'altra parte, con un'altra donna.
“Davvero puoi andare.”, la voce mi tremava non avrei retto ancora per molto.
“Non è stato Tom a dirmi di venire.”, ripeté in tono più fermo alzandomi il mento per potermi guardare dritto negli occhi.
“Allora perché?”, gli chiesi completamente disorientata.
“Non lo so... Non sopportavo l'idea di saperti sola in casa dopo ciò che è successo.”
“Eri preoccupato per me?”, chiesi titubante.
Lui annuì accarezzandomi il volto. Le sue dita scivolavano gentili sugli zigomi, lungo la guancia, sfiorandomi la mascella e le labbra, scatenandomi brividi di piacere lungo il corpo. Era sbagliato. Stavo di nuovo male interpretando la situazione.
“Mi dispiace che tu abbia litigato con la tua ragazza per colpa mia.”, balbettai confusa.
“Non è colpa tua. È lei che era in vena di melodrammi.”, fece irritato.
Ancora gli bruciava la discussione che avevano avuto. Glielo leggevo negli occhi. Ed io non riuscivo a non sentirmi in colpa. Se non fosse stato per me e per quello stupido di mio fratello...
“No, non è vero.”, sussurrai.
“Ma se non sai neanche di cosa abbiamo discusso.”, mi accusò pentendosi subito del tono usato.
“Hai preferito un'altra persona a lei. Chiunque si sarebbe arrabbiato.”
“E tu come fai a saperlo, sentiamo.”, sbuffò alzando gli occhi al cielo.
Conoscevo fin troppo bene la pena del vedere la persona che amavi scegliere qualcun altro, l'amarezza di capire di non essere al primo posto.
“Chiamalo sesto senso.”, gli dissi cercando di sembrare non curante con un'alzata di spalle.
Alex mi fissò intensamente in silenzio. Non era il solito sguardo inquisitore, stavolta era diverso. Avvertii una vicinanza nuova, più forte di quella fisica, qualcosa che diede improvvisamente all'atmosfera della stanza una nota molto intima.
“Sei davvero una ragazza assurda Aly.”, mi sussurrò riprendendo ad accarezzarmi il viso.
“Nel senso di pazza e scompensata.”, scherzai, mentre il cuore galoppava imbizzarrito.
“Più come totalmente incomprensibile.”, mi corresse divertito.
Finsi di rifletterci su un attimo.
“Lo prenderò come un complimento, allora.”
“Non sono sicuro che volesse esserlo.”
Gli pizzicai il fianco per punizione. Facendolo sorridere.
Era più facile parlargli nella penombra. In quel momento sentii che avrei potuto confessargli qualsiasi cosa. Non mi succedeva spesso di stargli così vicina senza sentirmi intimorita o inadeguata. Per una volta sentivo di essere al posto giusto.
“Allora posso restare?”, mi chiese dolcemente.
“Sai che non sei tenuto a farlo, vero?”
“Sono esattamente dove voglio essere, Aly.”
Arrossii mentre il mio cuore suonava la rumba, lottando per ricacciare un pensiero pericoloso. Almeno per quella sera Alex aveva scelto me.

Mangiammo in tranquillità senza altri drammi o blackout parlando un po' di tutto: degli studi, dei nostri interessi, degli hobby... avevamo più cose in comune di quante immaginassi, prima tra tutte la lettura. Per lui era un amore nato da bambino, io avevo imparato ad amare i libri perché piacevano a lui, ma questo evitai di dirglielo. Mi confessò di sognare di diventare un editore un giorno e di arrivare a fondare una propria casa editrice.
Mi piaceva parlare con lui del futuro e dei sogni che avevamo.
Dopo cena ci spostammo sul divano per guardare un film, anche se io avrei preferito mille volte continuare a parlare.
“E il dolce?”, fece ad un certo punto cominciando a spulciare nella playlist dei film.
“Me n'ero quasi dimenticata!”, esclamai correndo in cucina a prenderlo.
Consegnai la coppetta ad Alex e aspettai che lo assaggiasse.
Accorgendosi che lo fissavo si fermò con il cucchiaio a mezz'aria.
“Che c'è l'hai avvelenato?” fece preoccupato.
Che scemo che era.
“Forse...lo mangerai lo stesso?”
Non gli piaceva quando usavo quel tono, eppure io lo trovavo dannatamente divertente. Roxy aveva ragione nel dire che gli uomini odiavano essere stuzzicati così, ma io non riuscivo proprio a resistere. Era come se avessi scoperto di avere un super potere fichissimo.
“Si e se morirò mi avrai sulla coscienza.”, mi disse.
“Se succederà ti seguirò in stile shakespeariano.”, esclamai melodrammatica.
Alex si soffermò a guardarmi un attimo, poi mi sfiorò la guancia con il dito. Amavo quel suo modo di toccarmi con dolcezza.
“Quindi io sarei Romeo?”, chiese poi alzando un sopracciglio scettico.
Trattenni a stento una risata immaginandomelo in costume.
“Preferivi Giulietta?”
Non mi rispose e finalmente si decise ad assaggiare il dessert. Poi fece una faccia strana si portò la mano alla gola  e si accasciò sul divano.
Recitava davvero male e non so perché la cosa mi fece ridere.
“Bravo!”, lo acclamai applaudendo con un pessimo accento francese.
Alex non si mosse.
Non capivo dove voleva andare a parare, ma mi venne un'idea. Era pazzesca ed imbarazzante, ma ormai quella sera di figure di merda ne avevo fatte di ben più grandi per cui raccolsi il coraggio a quattro mani ed iniziai a recitare a memoria.

«O mio amore, mia sposa!
La morte che ha già succhiato il miele
Del tuo respiro, nulla ha potuto sulla tua bellezza.
Ancora non sei vinta, e l'insegna di bellezza,
sulle labbra e sul viso, è ancora rossa, e la pallida
bandiera della morte su te non è distesa»

Sentivo il cuore battere forte nel petto e le guance si erano colorite, ma Alex non accennava a muoversi per cui continuai.

«O amata Giulietta, perché sei ancora bella?
Ti ama forse la morte senza corpo?
L'odioso squallido mostro ti tiene qui nell'ombra
come amante? Questo io temo, e resterò con te,
per sempre, chiuso nella profonda notte.
Qui voglio restare, qui, coi vermi,
i tuoi fedeli,; avrò riposo eterno,
e scuoterò dalla carne, stanca del mondo
ogni potenza di stelle maligne.»

La prossima volta che Roxy mi avrebbe chiesto a cosa servisse studiare Shakespeare, avrei saputo cosa risponderle.
Alex resuscitato dal suo stato di morte apparente mi fissò estasiato.
“Sono davvero colpito.”, confessò, “E ti assicuro che non è una cosa facile da fare.”
Alzai le spalle non sapendo bene come rispondere.
“Mi dici perché ogni volta che qualcuno ti fa un complimento tu reagisci così?”, mi chiese tranquillo.
“Non sono a mio agio.”, gli risposi sincera.
“Ecco qualcosa su cui lavorare.”, commentò più rivolto a se stesso che a me.
Non capivo cosa voleva dire, ma non me ne curai. Finalmente mi sentivo pienamente tranquilla dopo non so quanto tempo.
“Aly, posso dirti una cosa probabilmente inappropriata?”, mi fece con un sorriso birichino.
Ecco, lo sapevo. Mi ero rilassata troppo presto. Che aveva in mente adesso? Perché mi tremavano le gambe al solo pensiero? Perché invece di dirmela e basta mi aveva chiesto il permesso? E soprattutto volevo saperla? Ma chi prendevo in giro, ovviamente volevo.
Annuii agitata.
“Profumi di limone e fragola...”, fece guardando il bicchiere ormai vuoto, “Mi chiedevo se avessi lo stesso sapore.”
Il cuore saltò un paio di battiti, mentre io sussultai per il brivido che mi scivolò lungo il corpo. Cosa voleva fare, mangiarmi? Mi accesi come una lampadina di Natale e lui scoppiò a ridere.
“Dovrai morire col dubbio.”, gli risposi un po' offesa.
“Sicura?”, mi rispose diventando di colpo serio e rivolgendomi uno sguardo penetrante.
Non dissi niente, mi limitai a fissarlo scuotendo la testa. Non ero sicura che si rendesse conto che così rischiava di uccidermi. Morivo dalla voglia di baciarlo, ma per quanto lo volessi non ero il tipo che ci provava con i ragazzi impegnati, anche quelli dannatamente sexy.
Stupida integrità morale.
Il resto della serata passò fin troppo velocemente e nonostante fuori continuasse a infuriare la tempesta io mi addormentai senza problemi.
Quella notte feci sogni molto vividi al gusto di fragola e limone.

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Capitolo 15
*** Dopo la tempesta ***


~~CAP 14

Pdv Alex

Le labbra di Darla erano morbide e carnose e si muovevano vogliose sulle mie, eppure non  ero coinvolto da quel bacio. Avevo la testa da un'altra parte, occupata dal ricordo di altre labbra, di un altro bacio.

Aly era crollata a metà del secondo tempo. Aveva un'espressione così serena che non me la sentii di svegliarla. Così la presi in braccio per portarla a letto, ma quando l'adagiai sul materasso lei aprì gli occhi. Aveva lo sguardo assonnato.
“Oh Alex...”, sospirò poggiandomi con dolcezza una mano sulla guancia.
Aveva di nuovo quello sguardo, intenso e sofferente, come se cercasse di trasmettermi qualcosa. Lo sentivo sulla pelle. Lo sentivo scorrermi dentro. Succedeva ogni volta da quando era venuta in ospedale. Ogni volta che ero con lei sentivo una strana tensione avvolgermi. Era una sensazione nuova, pungente. Intensa, ma non spiacevole.
Mi incantai a guardarla. Era impensabile per me essere sconvolto tanto da una creatura così delicata e fragile.
Non mi accorsi di niente. Semplicemente in un battito di ciglia le sue labbra si erano poggiate sulle mie. Erano calde, morbide e soffici. Tremavano.
Fu un bacio semplice ed innocente ma allo stesso tempo così diverso da qualsiasi altro. Non c'era passione o bramosia, eppure mi trasmise un desiderio, un bisogno, un'emozione così forte da sconvolgermi. Era qualcosa di nuovo, qualcosa a cui non sapevo dare un nome.
Non risposi al bacio, ma non mi sottrassi. Restai lì immobile aspettando che Aly si staccasse da me.
Quando la guardai di nuovo aveva gli occhi lucidi.
“Ti amo così tanto...”, fece in un sussurro straziante.
Non so cosa mi prese. Persi il controllo. In qualche modo l'urgenza che le leggevo negli occhi mi contagiò. Le presi il volto tra le mani e la bacia con trasporto e quando alla fine la lasciai andare vidi che i suoi occhi si erano di nuovo chiusi.

Un brivido mi percorse la schiena al ricordo di quel bacio. Erano giorni che non facevo che pensarci. Dapprima mi ero imposto di dimenticare, poi lo avevo negato, avevo provato a banalizzarlo, ma alla fine non avevo potuto far altro che ammettere, almeno con me stesso, che io avevo voluto baciarla. Lo desideravo da quando avevo messo piede in casa quella sera e forse anche da prima. E a dispetto della situazione del cazzo in cui ero ora, non mi pentivo di averlo fatto.
Avevo preso il suo labbro inferiore e lo avevo assaporato lentamente, provando un brivido nuovo e morivo dalla voglia di farlo ancora, ma non potevo. Tom mi avrebbe ucciso ed Aly... le avrei spezzato il cuore. Non era cambiato niente. Quel bacio non significava niente.
Ciò nonostante dalla sera del temporale avevo evitato di andare dai Williams. La verità era che non sapevo come gestirla. Ero stato io a voler essere suo amico, ma non sapevo che sarebbe stato così. Mi ero aspettato che le cose sarebbero restate più o meno come prima ed invece era tutto diverso. Più imparavo a conoscerla, più scoprivo che persona straordinaria fosse, più mi trovavo a desiderare di starle vicino. Era la persona più incomprensibile che avessi mai incontrato. Intelligente, divertente, dolce, ingenua, completamente folle. Non sapevo mai come comportarmi con lei, passava dall'essere docile e timida all'essere impertinente e provocatrice. Arrossiva se le sfioravo la guancia e poi mi punzecchiava con una battuta. Mi intrigava. Non mi stancavo mai della sua compagnia. Parlare con Aly mi veniva facile al punto di averle rivelato cose che solo suo fratello conosceva. Non mi era mai successo niente del genere e ormai non sapevo più che pesci prendere con lei. Ma la cosa che più mi spiazzava era vedere il modo in cui si comportava quando era con me: il modo in cui mi guardava, in cui reagiva al mio tocco, alla mia voce, ai miei sguardi... era tutto così intenso da rendermi sempre più difficile rimanere indifferente.
“Alex!”, urlò Darla irritata.
“Che c'è?”, feci riscuotendomi dai miei pensieri.
Da quanto tempo stavo fantasticando? Di cosa stavamo parlando? Mi buttai sul divano improvvisamente esausto. Tutta quella confusione era estenuante. Erano passati sei giorni da quella sera e ancora non ero riuscito a fare un passo avanti. Sentivo le stesse emozioni confuse di quando ero tornato a casa.  Avevo gli stessi pensieri, gli stessi desideri.
“Si può sapere cosa ti prendere ultimamente?”
Era seccata. La capivo, non riuscivo più a prestarle attenzione. In realtà la sua compagnia aveva perso gran parte del fascino iniziale.
“Sono solo stanco.”, sospirai passandomi la mano sugli occhi, realizzando che lo ero davvero.
Le labbra carnose si tesero in un sorriso malizioso. Si mise a cavalcioni sopra di me, facendo attenzione a far aderire i nostri bacini. Il mio corpo reagì in automatico, anche se non avevo nessuna voglia di scoparmela in quel momento.
“Vuoi un massaggio?”, chiese con sguardo lascivo.
Era veramente accattivante e voleva solo me, ma io non riuscivo a farmi coinvolgere. Ultimamente ero stato con lei solo per non pensare. Ma a dispetto dei miei sforzi continuavo ad essere perseguitato dall'immagine di un  altro viso, dal sorriso timido e lo sguardo innamorato.
Negli occhi di Darla non c'era quella luce, quel tremito, quell'emozione. C'era passione e desiderio, curiosità e malizia, le stesse cose che conoscevo da sempre. Ma allora perché ora non sembrava bastarmi più?
“Sei arrabbiato con me?”, fece poi mettendo su il suo broncio sexy.
Stavo impazzendo. Non si poteva spiegare altrimenti come, mentre una delle ragazze più affascinanti che avessi mai incontrato si strusciava sopra di me desiderando solo che io la prendessi, io non facevo che pensare ad un'altra, verso cui non provavo neanche una vera attrazione. Era frustrante. No, di più, era folle.
“No, Darla. Ma davvero oggi non me la sento.”, le dissi.
Lei mi prese il viso tra le mani costringendomi a guardarla negli occhi. Tutta questa insistenza cominciava ad infastidirmi.
“Mi stai dicendo di no.”, sibilò.
Si era incazzata. Non doveva succederle spesso di venire respinta così, ma erano esperienze che facevano parte della vita. Si diceva che formassero il carattere.
“È così.”, le confermai perdendo ogni interesse a sembrare dispiaciuto.
Improvvisamente la sua presenza divenne fastidiosa. Volevo che se ne andasse e mi lasciasse in pace. E se pensavo alla fatica che avevo fatto per portarla nel mio letto, mi veniva da ridere. Non potevo credere di essere arrivato a questo punto.
“Credo di essermi preso qualcosa. Non sto bene.”, feci poi improvvisando.
La reazione di Darla fu immediata. Lasciò il mio viso e tornò a sedersi al mio fianco.
“Proprio ora?! Tra qualche giorno dobbiamo partire per il mare. Forse è il caso che ti riposi. Se siamo fortunati è solo un po' di sonno arretrato.”, sbuffò.
Dalla voce sembrava più scocciata che preoccupata all'idea che mi fossi beccato davvero qualcosa.
“Resti a farmi compagnia?”, le chiesi sapendo già quale sarebbe stata la risposta.
“Non credo che ti riposeresti molto con me.”, fece ammiccando. “E poi domattina devo alzarmi presto sai...”
Darla non aveva l'anima della crocerossina, questo lo avevo capito perfettamente dopo l'incidente, ma la sua totale mancanza di riguardo mi infastidì, soprattutto perché mi spinse a pensare che «qualcun altro» al suo posto si sarebbe comportato in modo diverso.
Mi liberai di lei, prima che finissi per dire o fare qualcosa di cui poi avrei potuto pentirmi. Avevo bisogno di una sbronza, una sbronza coi fiocchi. Tom però doveva lavorare e bere da soli era così patetico...
Il cellulare vibrò.

ALY « Ciao Alex, come va?»
L'ultima persona al mondo che volevo sentire. La fonte del dannatissimo caos in cui sguazzavo da giorni. Improvvisamente ribollii di rabbia. Lei e la sua stupida cotta. Ecco perché preferivo le ragazze come Darla, con loro non c'era il rischio di tutte queste complicazioni.
Buttai il cellulare sul divano senza risponderle.
Il telefono vibrò di nuovo. Cercai di ignorarlo, mi sforzai di non pensarci, ma non ce la feci.
ALY «Scusa se ti disturbo, ma mi sono ricordata che oggi toglievi il gesso e volevo solo sapere com'era andata? La gamba è ok?»
Dio, perché doveva essere così? Perché lei se n'era ricordata e Darla a stento aveva notato che non  lo portavo più? Perché lei era sempre così attenta e premurosa nei miei confronti?
Tutte quelle attenzioni erano piacevoli, ma venivano dalla donna sbagliata. Era tutto al contrario. 
«Tutto ok. Scusa ma non mi va di parlare.»
Secco. Conciso. Non volevo iniziare una conversazione. Volevo che mi lasciasse in pace. Doveva smettere di cercarmi, doveva farsi passare la cotta per me.
Rileggendo il messaggio però cominciai a pentirmi. No, avevo fatto bene. Dovevo allentare i contatti, ristabilire le distanze. Dovevo tenere duro fino alla partenza con Darla, poi ci avrebbe pensato lei a cancellare tutta quell'assurda confusione che Aly aveva creato.
Il cellulare vibrò ancora.
ALY «Scusa tu. Non volevo disturbarti. Mi dispiace.»
Ero uno stronzo. C'era rimasta male. Mi sembrava di vederlo il suo sguardo deluso, il sorriso spento, gli occhi lucidi... La conoscevo abbastanza da immaginarlo. Tre frasi, tre scuse, ed ero stato io a comportarmi di merda. Ma non era forse questo quello che volevo? Ferirla, solo un po' per farla allontanare. Allora perché continuavo a rileggere il suo messaggio sentendomi sempre peggio?
«Non scusarti. Sei stata carina a ricordarti. Mi ha fatto piacere. Davvero.»
Avrei dovuto risponderle così subito. Non avrei dovuto essere così duro, non con lei che era così fragile. Che idiota!
Aly non rispose. Se l'era presa? O l'avevo ferita più di quanto avessi voluto? E se l'avevo fatta piangere? L'idea mi infastidiva più del lecito.
«Te la sei presa?», digitai nervoso.
Di nuovo silenzio.
«Aly non ce l'avevo con te... è solo che...non mi sento al 100%»
Scrissi la prima cazzata che mi venne in mente per motivare il mio comportamento del cazzo. La risposta non tardò ad arrivare.
ALY «Stai male?»
Mi uscì un sospiro di sollievo. Mi aveva risposto. Al contrario di Darla, Aly si preoccupava per me. Ma forse era proprio quello il problema.
«Un po'.»
Perché le avevo mentito? Le dita avevano scritto il messaggio in automatico senza il mio consenso.
ALY«Hai la febbre? È colpa della gamba? Forse dovresti sentire un dottore... ti mando Tom quando esce da lavoro.»
Aveva bypassato il livello della preoccupazione per scivolare direttamente nella paranoia. Dio quanto era simile a Tom quando faceva così! Però era davvero piacevole sapere che ci teneva così tanto.
«Tranquilla. Non ho ancora un piede nella fossa.»
E accompagnai il messaggio con una foto della gamba non più ingessata.
ALY «Molto sexy... la terrò tra gli scatti osé. ;) »
Eccola di nuovo. Da timida a provocatrice. Quando faceva così non riuscivo a trattenermi.
«Se vuoi uno scatto osé non hai che da dirlo. Ho parti del corpo più fotogeniche della gamba!»
Mi immaginai la sua espressione nel leggerlo. Doveva essere arrossita fino alle orecchie. Non so cosa avrei dato per vederla.
ALY «Ti sei dato al porno?»
«Perché sei interessata? Ne possiamo parlare...»
Aspettai ma non rispose. Forse avevo esagerato. Senza pensarci spinsi il tasto di chiamata. Rispose al secondo squillo.
“Se mi chiami per qualche altra proposta indecente riattacco.”, mi salutò.
Riuscivo a sentirla a mala pena. Stava sussurrando. La cosa era stranamente eccitante.
“Quindi non sei interessata ad una telefonata erotica... peccato.”, le risposi.
La sentii tossire. Non mi piacque.
“Alex non dovresti prendermi in giro... finirai per farmi salire di nuovo la febbre!”, mi sgridò sempre con un filo di voce.
“Stai male?”, feci incapace di trattenere la preoccupazione.
Come mai non ne sapevo niente? Tom non mi aveva detto che stava male. Mi aveva parlato di mille cazzate e si era dimenticato di parlarmi di questo. Ma poi come cazzo si fa ad ammalarsi in piena estate?
“Niente di grave. Solo un po' di febbre.”
Stava minimizzando, ne ero certo. Aly era il tipo che non voleva pesare su nessuno. Avrebbe detto che stava bene anche in punto di morte.
“È alta?”, le chiesi apprensivo.
Volevo sapere tutto. Da quanto stava male, se era stata dal dottore, cosa le aveva detto... Se pensavo che era lei ad essersi preoccupata all'inizio mi sentivo in colpa.
“Se lo è, la colpa è tua.”, mi rimproverò.
Mi strappò un sorriso. Avevo ragione. L'avevo fatta arrossire, però non mi piaceva l'idea che la febbre le fosse salita. Doveva riposare, doveva stare tranquilla. Dovevo cercare di trattenermi e non agitarla.
La sentii sospirare, ma non nel solito modo. Sembrava sofferente. C'era qualcosa che non andava.
“Che c'è?”, senza rendermene conto ero scattato in piedi.
“Mi gira la testa.”, sussurrò con un filo di voce.
“Dovresti riposare. È tardi.”
In effetti ero sorpreso che fosse ancora sveglia a quell'ora.
“Non mi va di dormire... Sono sola in casa.”, ammise dopo un po'.
Un'altra volta? Ma perché continuavano a lasciarla da sola, possibile che non vedessero che aveva paura? Se Tom me lo avesse detto sarei andato a farle compagnia.
Un'idea mi sfiorò irritandomi. Possibile che non lo avesse fatto proprio per questo?
“Ti raggiungo in cinque minuti.”, dissi afferrando la giacca.
Era davvero impegnativo essere suo amico.
“N-no”, balbettò, “I miei torneranno a momenti.”
Mi fermai con la mano sulla maniglia della porta valutando se stesse solo cercando di rassicurarmi.
“Sei sicura? Non è che non hai voglia di vedermi.”, dissi fingendomi offeso.
“Io ho sempre voglia di vederti...”, sussurrò lei.
Era disarmante la sua sincerità. Non sapevo mai cosa dire quando faceva così
“Tu, invece come mai sei ancora sveglio?”, chiese cambiando argomento.
“Darla è appena andata via.”, le risposi senza riflettere.
“Ah.”
Ero il re dei cretini. Perché le avevo detto la verità?
Per un lunghissimo minuto nessuno parlò.
“Non avrei dovuto dirtelo.”, mi scusai goffamente.
“È la tua ragazza è normale fosse con te, soprattutto se stai poco bene.”, mi rispose.
E sapevo che lo pensava. Ricordavo quello che aveva detto la sera del temporale, come mi aveva spinto ad andare da Darla. Mi aveva colpito. Immaginavo quanto le fosse costato. Ma lei era così, premurosa e altruista. Pensava che Darla si fosse arrabbiata per la buca che le avevo tirato. Non poteva immaginare che per lei quello non fosse un problema, non mi aveva nemmeno chiesto dove dovevo andare o perché l'avevo mollata. Discutevamo per la meta delle vacanze. Avevo deciso di portarla a farle vedere la casa in campagna dove da piccolo passavo le estati, ma lei mi aveva detto, senza troppi giri di parole, che non ci voleva venire. Voleva che la portassi in una località più «in».
Infastidito da quel menefreghismo avevo poi finito per prendermela con Aly che mi aveva costretto ad ammettere che, se confrontati ai suoi, i sentimenti di Darla non solo non erano altrettanto profondi, ma a mala pena sembravano sinceri.
“Dovresti dormire.”, le dissi con dolcezza.
“Ma...”, provò a protestare.
“Non devi avere paura. Andrà tutto bene.”, feci cercando di farla sentire protetta, “ Se fai la brava domani vengo a trovarti.”
“Davvero?”, trillò lasciando trapelare il sollievo che provava.
Era così dolce e bastava così poco per farla contenta.
“Davvero.”, le confermai arrendendomi.
“Ok. Buona notte Alex.”, sussurrò dolcemente.
“A domani, piccola.” le risposi riagganciando.

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Capitolo 16
*** Break ***


~~CAP  15

Una morsa mi prese lo stomaco mentre riguardavo il video. Non ci potevo credere. Non poteva essere vero. E ora cosa dovevo fare? Dirglielo? Far finta di niente?
No, questo non potevo farlo. Non sarei mai riuscita a fingere così, non ne ero capace.
Doveva saperlo. Non le avrei permesso di ferirlo più di quanto avesse già fatto. Non le avrei permesso di ingannarlo. Dovevo proteggerlo. Senza pensarci oltre presi il cellulare.

«Ti devo parlare. È una cosa seria.»

Lo inviai prima di poter cambiare idea, cominciando a torturarmi le mani. Come avrei fatto a dirglielo? Come avrei fatto a spezzargli il cuore?

PDV ALEX

ALY «Ti devo parlare. È una cosa seria.»
Mi colse di sorpresa. Quel modo di scrivere era inusuale per lei. Non riuscivo ad immaginare cosa potesse volere. Erano giorni che non ci sentivamo.
Avevo deciso di riportare le cose a com'erano prima. Era la soluzione più semplice, la migliore.
«Che c'è vuoi rompere con me?»
Lo scrissi con leggerezza, anche se in realtà ero io che in un certo senso volevo rompere con lei. Era strano, non stavamo insieme, ma qualsiasi cosa con lei era strana.
ALY «Non sto scherzando.»
Il sorriso mi sparì all'istante. C'era qualcosa che non andava. Che fosse arrabbiata? Una parte di me protestò all'idea. Forse involontariamente avevo fatto qualcosa che la stava spingendo a chiudere la nostra amicizia. Sarebbe stata la soluzione ideale, avremmo avuto tutti quello che volevamo e nessuno avrebbe sofferto. Non volevo farle del male.
«Ti ascolto.»
ALY «No, non così. Ho bisogno di vederti. Puoi passare?»
Più andava avanti, più mi sentivo strano. Una sgradevole sensazione andava mano a mano diffondendosi. Ero curioso di sapere cos'era a darle quel tono serio, ma non lo ero al punto di volerla vedere.
Mi era costato molto riguadagnare lucidità. Aly mi confondeva con le sue emozioni e le sue attenzioni, mi offuscava la mente. Vicino a lei finivo per venir investito dal caos.
La lontananza degli ultimi giorni aveva riportato tutto nella giusta ottica. Mi ero ricordato chi ero e che non mi piacevano le ragazzine con gli sguardi sognanti; l'unico motivo per cui non l'avevo trattata come avrei fatto con qualsiasi altra persona era che lei era la sorella del mio migliore amico. Dovevo essere gentile con lei e per un attimo, perdendo di vista questo, mi ero fatto coinvolgere dalla situazione. Era stata solo una reazione empatica nata dopo l'incidente che mi era quasi costato la vita. Mi aveva fatto tenerezza, avevo abbassato la guardia e per poco non ero finito nella merda.
Ora che ero rinsanito dovevo chiudere quella... non sapevo come definirla, ma qualsiasi cosa fosse doveva finire. Io avevo Darla. A me piaceva Darla.
«Non posso. Ho delle cose da fare.»
ALY «Non ti ruberò molto tempo. Ti prego.»
Da una parte volevo sapere cosa aveva e perché sembrava così seria, ma dall'altra temevo di tornare al punto di partenza trovandomela davanti. L'indecisione mi torturava.
«Ok. Ma io non posso muovermi.»
ALY «Arrivo.»
Pochi minuti dopo la sentii bussare alla porta.
Andai ad aprirle già di pessimo umore per aver capitolato così facilmente sperando che almeno sarebbe finita alla svelta. Avevo elaborato un piano. L'avrei fatta parlare e poi l'avrei liquidata. Semplice, rapido ed indolore. L'indomani dovevo partire con Darla e al mio ritorno sarebbe stato di nuovo tutto come doveva.
Mi bastò guardarla per capire che non sarebbe stato tanto semplice. Era sconvolta. Aveva gli occhi spiritati ed emanava nervosismo da tutti i pori. Sentii l'istinto di tranquillizzarla, di placare tanto malessere e ciò non fece che peggiorare il mio umore.
“Entra”, le dissi senza tante cerimonie.
Lei si accomodò senza parlare. Era incapace di star ferma. Camminava nervosamente su e giù per la stanza torturandosi le mani. Il suo nervosismo era palpabile e contagioso.
“Allora?”, feci visto che non sembrava intenzionata a parlare.
“È successa una cosa Alex...ma non so come dirtela.”, iniziò con un filo di voce senza guardarmi negli occhi.
“Prima di tutto cerca di calmarti. Mi stai innervosendo.”, le dissi più duro di quanto volessi.
Lei annuì continuando ad andare su e giù. Poi di colpo si fermò.
“Stavi facendo le valigie...”, realizzò con un filo di voce.
“Si.”, anche se una parte di me si opponeva dovevo smetterla di trattarla con troppa attenzione.
Aly doveva sapere come stavano le cose, doveva mettersi l'anima in pace e andare avanti, così saremmo stati tutti meglio. Non ero il tipo per lei. Non era la ragazza per me.
“Parti con lei?”,mi chiese senza guardarmi.
Percepii il dolore nella voce e sentii una fitta al cuore. Stava soffrendo, lo sentivo, ma, ignorando l'istinto che mi diceva di non infierire, la misi difronte alla cruda realtà.
“Si.”, risposi senza nascondere il sollievo.
Aly si voltò e studiò il mio volto per qualche istante. Era strana. Non mi aveva mia guardato così, dritto negli occhi senza arrossire, senza imbarazzarsi. Di nuovo riemerse la consapevolezza che qualcosa non andava e, anche se non volevo, cominciai a preoccuparmi.
“Aly mi dici che hai? Hai detto che dovevi parlarmi, forza allora parla!”, la esortai.
Le lessi l'indecisione negli occhi. Cosa diavolo le era successo per farla piombare lì in quello stato?
“Non sarei dovuta venire.”, borbottò piano più rivolta a se stessa che a me, “Ho sbagliato di nuovo...”
“Aly...”, feci.
“Tom”, mi interruppe, “Che stupida che sono. È con lui che devo parlare. Stupida!! Stupida!!” fece colpendosi la testa.
Improvvisamente sembrò sollevata e l'impazienza della rivelazione che sembrava aver avuto la travolse come un fiume in piena. Senza neanche guardarmi tornò verso la porta.
“Mi dispiace, Alex. Scusa il disturbo.”, mormorò passandomi accanto.
Se ne stava andando. Era finita. Allora perché ero così insoddisfatto?
Non potevo lasciarla andar via così. Non volevo. Era venuta per parlare con me per Dio! Di nuovo la marea delle sue emozioni mi aveva travolto e destabilizzato a tal punto da farmi perdere la freddezza. Ero irritato e non riuscivo a controllarmi.
La afferrai, prendendole poi il viso tra le mani per costringerla a guardarmi. Stava tremando.
“Aly dimmi perché volevi parlarmi.”, le ordinai.
Lei abbassò lo sguardo. Mi stava nascondendo qualcosa, ce l'aveva scritto in faccia. I suoi occhi mi parlavano, non potevo sbagliarmi.
Mi prese le mani e le scostò dal suo volto. Non l'avevo mai vista rimanere così indifferente al mio tocco, alla mia vicinanza. Non era se stessa. Non mi piaceva.
“Devo andare da Tom. Ti parlerà lui, credo.”, fece tornando a voltarsi per uscire, “Si...credo che sia la cosa migliore.”
Non so perché ma mi intestardii. Qualunque cosa fosse non volevo sentirla da Tom. La afferrai di nuovo e la trattenni. Non volevo lasciarla andare.
“Ormai sei qui. Se c'è qualcosa che devi dirmi, fallo e basta.”, dissi sempre più irritato.
Lei mi guardò. Aveva lo sguardo smarrito. Mi colpì forte come un pugno allo stomaco, togliendomi per un attimo il respiro. Le presi di nuovo il volto tra le mani avvicinandola al mio.
Di nuovo quella tensione. Era come la notte del temporale. Sentivo lo stesso formicolio allo stomaco, lo stesso bruciante desiderio di baciarla. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quelle sue dolcissime, candide e soffici labbra. Ricordavo fin troppo bene il loro sapore.
Non capivo cosa stava succedendo. Non riuscivo ad allontanarmi, non riuscivo a lasciarla andare. Era così frustrante.
Aly, abbagliata dalla tensione che di colpo si era accesa, sbatté gli occhi confusa e per un attimo sembrò dimenticarsi di respirare. Non capivo cosa stava succedendo, cos'era quell'emozione che di colpo mi aveva invaso, ma era intensa, dannatamente intensa.
“Aly parla con me.”, le sussurrai.
Lei sbatté le palpebre un paio di volte e deglutì. Sembrava essere in difficoltà.
“Noi siamo amici? Lo siamo davvero?”, mi chiese con un filo di voce.
“Certo.”, le risposi senza pensare.
Non potevo credere di averlo detto davvero, io che fino a due minuti prima cercavo un modo per allontanarla.
“C'è una cosa, una cosa molto personale...”, riprese insicura.
Aveva gli occhi lucidi, come se fosse sul punto di piangere. Non lo tolleravo. Non sopportavo di vederla piangere e non capivo cos'era a farla stare tanto male.
“Su di me?”, chiesi.
Aly annuì.
“Non dovrei essere io... lascia che parli con Tom.”, mi stava supplicando.
Le feci di no senza smettere di guardarla. Lei sospirò, chiuse gli occhi ed infine sembrò decidersi. Tremante e incerta tirò fuori dalla tasca del giacchetto il cellulare.
“C'è una cosa che devi vedere.”, mi disse.
Girò lo schermo verso di me e schiacciò play.
Subito partì un video girato in un negozio. Non capivo. Poi la vidi. Darla. Non era sola.
“Allora come mi sta?”, chiese facendosi scivolare sensualmente le mani sul corpo.
“Mi viene voglia di togliertelo.”, le rispose un tizio baciandola.
“Bene.”, ridacchiò soddisfatta.
“Vuoi compiacere quel coglione del tuo ragazzo?”, sputò lui geloso.
Lei gli sorrise strusciandoglisi addosso senza rispondere.
“Ne sei innamorata?”
Darla si bloccò cambiando espressione.
“Non me ne frega niente di lui. È solo uno che mi scopo.”, rispose noncurante.
“Allora mollalo.”
“Per stare con te?”, rise sdegnosa.
“Stanotte non ti ho sentita lamentati mentre godevi.”
Lei gli sorrise e lo baciò con foga esagerata, mentre le mani di lui si insinuavano sotto il vestito.
“Perché stai con lui?”
“Per i vantaggi  che può offrirmi. Sono una donna esigente. Senza contare...”

Il video si fermò di colpo.

Non ci potevo credere. Ero furioso e ferito. Il mio orgoglio bruciava. Volevo gridare e sfogare tutto quello che mi ribolliva dentro.
“Alex, mi dispiace così tanto...”
Aly mi guardava afflitta. Sembrava addolorata. Allungò una mano per toccarmi, gliela afferrai di scatto.
Un argine, di cui ignoravo l'esistenza, si ruppe di colpo rilasciando il marasma che conteneva.
“Vattene.”, le dissi secco.
Non la volevo vedere. Non volevo che mi guardasse. Non tolleravo la sua presenza.
Era colpa sua. Da quando era venuta in ospedale le cose erano andate a puttane. Prima che entrasse nella mia vita, andava tutto alla grande. Improvvisamente mi sentii così arrabbiato con lei da riuscire a mala pena a controllarmi.
“Alex...”, balbettò smarrita.
“Vattene. Ora.”
Gli occhi le si riempirono di lacrime.
“No. Non ti azzardare a piangere. Basta con queste scenate del cazzo!”
“Non fare così... so che sei arrabbiato, ma...”
“Tu non sai niente.”, sputai fuori velenoso, “Sei solo una ragazzina ingenua... o forse non sei così ingenua dopo tutto. Dimmi cosa speravi di ottenere, eh? Sei felice ora che hai rovinato tutto?”
“Io non... ti prego... siamo amici...”, piagnucolò.
“Amici?”, le feci sdegnante, “No, noi non siamo amici. L'unico motivo per cui ti tollero è tuo fratello.”
Lei si voltò e corse via. Finalmente me n'ero liberato.
Non ancora soddisfatto, presi il telefono e cercai di chiamare Darla. Dovevo occuparmi anche di lei. Non mi rispose.
Presi la giacca e uscii con in mente un solo pensiero: la vendetta.

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Capitolo 17
*** Una spalla su cui piangere ***


Due parole al volo prima del capitolo. Volevo ringraziare tutti quelli che commentano e seguono la mia storia.
Oggi vi lascio con due capitoli (che fino a mezz'ora fa erano un pezzo unico) e non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate. Buona lettura!!


~~CAP 16

Non riuscivo a smettere di piangere. Erano ore che le lacrime continuavano a scendere incessanti. Faceva così male.
“Shh...”, fece Ryler accarezzandomi la schiena, “Avanti calmati.”
Non riuscivo a togliermi dalla testa l'immagine del suo volto. Lo sguardo furente, l'espressione dura. Era stato così freddo, così cattivo.
“Lui...lui...io...”, balbettai.
Alex mi odiava. Aveva sopportato tutto per Tom. Ogni mio timore si era rivelato vero. Era stata tutta una bugia, niente di più di una stupida illusione.
“Aly non pensi di stare esagerando?”, mi fece ancora il mio amico.
“È finita. È tutto finito...”, singhiozzai sentendo il dolore trafiggermi di nuovo.
“Non è vero.”
“Tu non lo hai visto!”, gridai.
“Ok, ma non ti è venuto in mente che forse si è comportato così perché era arrabbiato? Aly gli hai fatto vedere la sua ragazza che lo tradiva... insomma chiunque avrebbe sbroccato.”
Lentamente alzai la testa dal cuscino. I singhiozzi mi scuotevano le spalle violentemente.
“Non dico che non sia stato uno stronzo a prendersela con te e trattarti di merda, ma forse non era in sé. Voglio dire se lui l'amava...”, fece pronunciando l'ultima frase con un sussurro, “Prova a metterti nei suoi panni.”
Forse era la stanchezza per il lungo pianto, ma le parole di Ryler mi sembrarono sensate. Alex era ferito e arrabbiato. Potevo capirlo? In fondo io stessa ero rimasta shockata e se davvero lui era innamorato... la sola idea mi fece rabbrividire. Non osavo pensarci.
“Ma le cose che mi ha detto...”, mormorai.
“Era arrabbiato. Avrà detto cose che non pensava. Succede a tutti, no?”
Non era colpa mia se la sua ragazza lo aveva tradito, pensai stizzita. Poi riflettendo mi resi conto che anche io avrei potuto prepararlo invece che fargli vedere il video e basta. Avrei dovuto gestirla meglio o non gestirla affatto. Sarei dovuta andare subito da Tom. Lui di sicuro avrebbe saputo come parlargli, li conosceva entrambi. Non mi ero fermata a riflettere e avevo fatto un casino.
“Vedrai che quando gli sarà passata verrà a scusarsi.”, fece Ryler asciugandomi le ultime lacrime.
“Lo credi davvero?”, gli chiesi speranzosa.
Lui mi sorrise annuendo. Forse aveva ragione. Forse non era così nera come mi era sembrata in un primo momento. Alex era ferito e arrabbiato e aveva voluto solo sfogarsi, e forse io avrei dovuto capirlo di più invece di fare la ragazzina. Di colpo mi tornò in mente la notte del temporale e del litigio che avevamo avuto. Anche allora era stato cattivo con me. Anche allora lo era stato per colpa di lei. Subito dopo però si era scusato... senza volerlo sentii la speranza affiorare.
“Povero Alex.”, sospirai.
Ero un'egoista. Invece di pensare a lui e al dolore che stava provando, avevo finito per preoccuparmi solo di me stessa. Che bella amica che ero! Lo avevo lasciato proprio quando aveva più bisogno di una spalla su cui piangere. Voleva sfogarsi con qualcuno ed io invece di supportarlo avevo reagito come una sciocca e me l'ero presa. Conoscevo Alex, lui non era così.
Sentii nascere l'impulso di prendermi a schiaffi. Ero la solita ragazzina immatura!
“Voglio fare qualcosa per lui.”, feci sentendo nascere il bisogno di fare ammenda.
“Aly forse dovresti aspettare. Sai non mi sembra il caso...”, mi consigliò Ryler.
“Tranquillo non voglio andare da lui o roba del genere. Pensavo di fare qualcosa tipo dei biscotti da dare a Tom. In fondo gli zuccheri non aiutano nelle delusione d'amore?”
Avrei aiutato Alex come potevo. Se essere arrabbiato con me lo aiutava a superare il dolore, potevo sopportarlo. Per lui avrei fatto qualsiasi cosa. Gli avrei dimostrato che ero più forte di quanto pensasse, che poteva contare su di me.
Ryler mi guardò e mi sorrise.
“Allora forza usciamo di qui.”, mi disse tirandomi per un braccio.

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Capitolo 18
*** Pain ***


~~ CAP 17

Non c'era più. Non era rimasto nulla.
Da quanto tempo stavo camminando? Non lo ricordavo più. Il tempo improvvisamente aveva smesso di scorrere. Secondi, minuti e ore non avevano più senso.
Sentivo le gambe tremarmi. Ero stanca, ma non potevo fermarmi. Non ci riuscivo. Se lo avessi fatto mi avrebbe raggiunto. Dovevo continuare a muovermi.
Li avevo ancora davanti agli occhi. Alex e Roxy. Insieme. Lei gli teneva le mani intrecciate dietro al collo. Lui poggiava le sue sulle braccia di lei. Si erano baciati.
Per un attimo il mondo si era fermato. Ogni rumore era cessato ed io mi ero ritrovata in un silenzio assordante dove rimbombava forte il battito del mio cuore.
TAM. TAM-TAM. TAM. TAM-TAM.
Il cervello non era stato in grado di processare quell'informazione. Di impormi di voltarmi e scappare. Erano la mia migliore amica e l'unico ragazzo che avessi mai amato. Non volevo vedere, non volevo sapere eppure, come costretta da una forza oscura, non riuscii a sottrarmi. Lei gli aveva allacciato le mani al collo. Lui teneva le sue sulle braccia di lei. Poi era successo. Lei si era protesa, lui non l'aveva fermata...
TAM. TAM-TAM. TAM.
Sentii una fitta al petto. Qualcosa si era rotto andando in mille pezzi. La vista mi si appannò, mentre ogni cosa scivolava via.
TAM.
E poi non ci fu più nulla. Nessun altro battito. Nessun rumore.

Era buio. Ovunque intorno a me c'erano un buio fitto ed un freddo intenso che mi penetravano fin dentro le ossa. Il sole aveva smesso di splendere. Non ne vedevo più la luce, non ne percepivo il calore.
Possibile che fosse già sera? Il tempo era davvero assurdo a volte. Era volato via, trascinandosi dietro tutto ciò che aveva un significato. Quella mattina andava tutto bene ed ora non riuscivo a sentire più niente.
Non so come mi ritrovai a terra. Il cemento era duro e freddo. Non avevo la forza di alzarmi.
“Ehi. Tutto bene?”
C'era una voce. La sentivo anche se mi sembrava lontana come venisse da un altro mondo.
“Ma sei fatta?”
Di nuovo la voce. Parlava con me? Cosa voleva? Io non potevo... non riuscivo a parlare. Io volevo solo dormire e sparire. Mi raggomitolai cercando invano di ripararmi dal freddo.
Poi non avvertii più la durezza del suono. Stavo fluttuando. Qualcuno mi stava portando via. Chi era? Cosa voleva? Avrei dovuto preoccuparmi e avere paura, ma non mi importava più.
“Luke, Margie!!”, urlò la voce di prima, “Venite presto!”
Era strano. Ero lì, ma mi sembrava di assistere alla vita di un altro. Guardavo passiva ciò che accadeva come se fosse un film, qualcosa che non mi riguardava veramente. Ero vinta da un torpore annichilente. Ero vuota, finita. Non era rimasto nulla.
“Dio santo! Che le è successo?”
Era la voce di una donna. Sembrava preoccupata.
“Non lo so. L'ho trovata così.”
“Chi diavolo è?”, urlò un'altra voce più profonda.
“Non lo so però... Ho un'idea.”, di nuovo lo sconosciuto. 
“Che fai?”
“Cerco tra le ultime chiamate.”, rispose, “Ecco. L'ultimo numero è di un certo Alex. Ora lo chiamo.”
Quel nome. Lo strappo sembrò allargarsi.
“NO!!”, urlai.
Non ero io ad aver parlato. Non era la mia voce.
In quel momento il telefono prese a squillare. Qualcuno rispose. Voltai la testa e mi abbandonai al mio torpore. Non mi importava più niente. Ero sospesa nel vuoto assoluto.

Qualcuno mi chiamava. Era una voce familiare. Era angosciata e preoccupata.
“Aly! Aly mi senti?”, mi stavano scuotendo, “Dio, come ti sei ridotta... avanti sorellina guardami.”
Braccia calde mi stringevano. Conoscevo quella voce, conoscevo quel profumo.
“Tom.”, farfugliai.
Lentamente e con uno sforzo sovraumano misi a fuoco il volto angosciato di mio fratello. Era pallido e sconvolto. Chissà cosa gli era successo?
“Stai bene?”, disse guardandomi negli occhi.
Lo sapeva. Ogni resistenza crollò. Le lacrime dilagarono mentre il dolore da cui volevo scappare mi travolse. Roxy... il mio Alex...avevo perso tutto. Non ce la facevo, non riuscivo a respirare.
“Shh! Vedrai andrà tutto bene, piccolina. Ti porto a casa.”, mi sussurrò prendendomi in braccio e portandomi in macchina.
“Tom...”, sussurrai mentre mi allacciava la cintura.
“Lo so.”, rispose baciandomi sulla fronte.
Era tutto finito. Mi lasciai sprofondare giù verso un abisso oscuro e freddo da cui sentivo non sarei mai più riemersa.

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Capitolo 19
*** Mistake ***


~~CAP 18
PDV ALEX

Che cazzo avevo fatto. Tra tutte le stronzate della mia vita quella era di sicuro la peggiore.
Raccolsi i pantaloni e cominciai a rivestirmi velocemente. Dio non potevo credere di averlo fatto davvero.
“Vestiti e vattene.”, le ordinai.
La volevo fuori dal mio letto, dal mio appartamento, dalla mia vita.
Non riuscivo a guardarla. Mi sentivo colpevole. In mente avevo una sola persona; Aly.
“Che ti prende ora?”, squittì lei.
“Devi andartene.”
“Che c'è? Sta arrivando la tua ragazza?”, mi domandò accigliandosi.
Non volevo nemmeno pensare a quella troia di Darla. Non me ne fregava più un cazzo di lei. Anzi non me n'era mai importato niente.
“Roxy ascoltami bene. Questo non è mai successo.”
La mia non era una richiesta, era un ordine. Avrei dimenticato ogni cosa l'attimo stesso in cui  avrebbe attraversato la porta.
“Perché no? Ci siamo divertiti.”, mi sorrise impudente.
“Non succederà mai più. È stato uno sbaglio.”, le dissi troncando ogni fantasia.
Sentivo l'ansia aumentare insieme alla consapevolezza di quanto fosse sbagliato. Stavolta avevo davvero combinato un casino.
“Un'ora fa non la pensavi così.”, mi rispose offesa.
Un'ora. Una stupida ora. Sembrava impossibile fosse passata solo un'ora.
Avevo girato per un po' passando da un bar all'altro prima di incontrare Roxy. Volevo ubriacarmi, liberarmi dal casino che mi ribolliva dentro ed invece avevo finito per potarmi a letto l'amica di Aly.
Sentii una stretta allo stomaco nel pensare a lei. L'avevo trattata di merda. L'avevo ferita, aggredita, umiliata. Le cose che le avevo detto... non avevo scusanti.
Chissà poi perché me l'ero presa con Aly. L'avevo costretta io a parlarmi e lei non aveva fatto altro che dirmi la verità. Non era stato per il video, era il modo in cui mi aveva guardato che aveva fatto scattare qualcosa. Avevo voluto ferirla, farle male, male davvero.
Ma la cosa più assurda era che, dopo tutto questo, non stavo meglio. Al contrario stavo peggio di prima, molto peggio e non capivo perché. Non era la prima volta che usavo il sesso per sfogarmi, ma non mi ero mai sentito così sporco, pentito, colpevole. Era stupido ed irrazionale, ma non riuscivo a evitarlo. Sentivo di aver tradito Aly, ma era assurdo, lei non era la mia ragazza, a sento la consideravo un'amica. Allora perché il pensiero che potesse scoprirlo mi tormentava? Sapevo che se fosse successo le avrei fatto del male, molto più di quanto gliene avevo fatto urlandole contro. Se lo avesse scoperto, sarebbe finito tutto. Fu agghiacciante rendermi conto che era questo il punto; io non volevo che finisse. Non volevo che Aly uscisse dalla mia vita.
Fu un fulmine a ciel sereno.
“Dimentica tutto.”, le dissi in tono tagliente.
Roxy non rispose. Abbassò lo sguardo e iniziò a vestirsi. Cristo, avevo ferito anche lei. Dovevo calmarmi e recuperare il controllo. E se fosse corsa da Aly a raccontarle cos'era successo? Non potevo rischiare, non ora che avevo capito quanto avessi bisogno di lei e di quel suo modo di guardarmi.
“Senti, non è per te... voglio dire è stato bello, ma tu sai che non sarebbe dovuto succedere.”, feci cercando di suonare più gentile.
Lei ci pensò su ed annuì.
“Mi dispiace.”, le dissi sincero.
“Mi riaccompagni alla mia macchina?”, si limitò a rispondermi senza commentare.
“Certo.”
Guidai in silenzio perso nei miei pensieri. Dovevo trovare Aly e farle le mie scuse e ancora non avevo rintracciato Darla. Le avrei dato una lezione che non avrebbe dimenticato facilmente. Avrebbe capito che non ero un tipo con cui poteva giocare senza pagarne le conseguenze. Ma prima dovevo sistemare le cose con Aly.
Ero disposto a tutto pur di farmi perdonare, l'avrei supplicata se necessario. Più ci pensavo, più mi rendevo conto che ciò che desideravo davvero, ciò che avrei dovuto fare invece di cacciarla, era stringerla forte e non lasciarla andare.
Feci scendere Roxy e rimanemmo per qualche istante imbarazzati a guardarci sul marciapiede.
Era solo una ragazzina, dovevo essere delicato.
“Allora...”, mormorò a disagio.
Roxy teneva la testa bassa. L'avevo usata e  probabilmente non se lo meritava.
“Mi dispiace. Davvero.”, mi scusai di nuovo.
Lei fece spallucce rivolgendomi un sorriso.
“È stato divertente.”
“Sì, lo è stato.”, le dissi gentile.
“Be'... allora io vado.”, mi salutò senza però muoversi.
“Si.”
Fece un passo verso di me. Sapevo cosa voleva e non la fermai. Almeno questo glielo dovevo. Mi mise le braccia intorno al collo e si alzò per darmi un bacio. Prima però che potesse diventare troppo, le poggiai le mani sulle braccia per allontanarla dolcemente. Non indugiò oltre. Poi la vidi impallidire e sgranare gli occhi.
Un brivido mi percorse la schiena. Sapevo cosa avrei visto voltandomi. Mi sembrò di muovermi a rallenty . Lei era lì. Era con quel suo amico, quello di cui Tom mi aveva parlato. Anche lui ci guardava esterrefatto.
Per un attimo sembrò che il tempo si bloccasse.
Aly ci fissava, gli occhi sbarrati e l'orrore dipinto sul volto. Era pallidissima e sconvolta. Scuoteva la testa, mentre con le mani si copriva il volto.
Prima ancora che potessi pensare di muovermi lei schizzò via. Le corsi dietro chiamandola, ma non si fermò. Non poteva andarsene, non dopo ciò che aveva visto, non in quelle condizioni. Dovevo parlarle, dovevo spiegarle. Sentii il panico invadermi. Era così sconvolta... Se le fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato. La mia piccola, dolcissima e fragilissima Aly. Perché aveva dovuto vedermi? Perché era lì?
La cercai per ore come un pazzo, senza trovarla. Sembrava sparita nel nulla. Anche se sapevo che non mi avrebbe mai risposto, continuai stupidamente a telefonarle. Cominciava a fare buio, le strade non erano sicure. Chiesi in ogni negozio, bar o ristorante se l'avessero vista. Non mi sarei fermato finché non l'avessi avuta di nuovo tra le mie braccia. Se solo quella mattina non avessi reagito in quel modo, se non fossi stato così ottuso e testardo.
Scossi la testa. Non avevo tempo per quello, i rimpianti non l'avrebbero riportata da me. Dovevo trovarla.
Il cellulare squillò riportandomi alla realtà.
“Aly!”, risposi speranzoso.
“Alex amore.”, la voce di Darla mi colpì con disgusto.
Non avevo tempo per lei. Me ne sarei occupato in un altro momento. Riattaccai senza dirle niente.
In quel momento mi arrivò un messaggio.
«È con Tom. La sta riportando a casa.»
Senza pensarci corsi verso la macchina. Volevo andare da lei. Dovevo vederla.

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Capitolo 20
*** Conseguenze ***


~~CAP 19

PDV Alex
 

Quando arrivai dai Williams, la macchina di Tom non c'era. Ero nervoso. Continuavo a pensare ad Aly. Come stava? Dov'era stata tutto quel tempo?

Non faceva che tornarmi in mente la sua faccia in quella fottutissima strada. Se solo non avessi incontrato Roxy, se fossimo usciti prima, se non le avessi concesso quell'ultimo dannatissimo bacio. La mia Aly... dovevo sapere che stava bene. Volevo stringerla e chiederle scusa. Avevo bisogno che mi perdonasse.

Per quanto stupido e insensato sentivo di averla tradita. E la cosa ancora più assurda era che mi sentivo colpevole. Ero già stato infedele, ma non avevo mai provato rimorso, mentre per quella ragazzina che a stento conoscevo mi sentivo responsabile.

Presi a passeggiare su e giù. Perché Tom non arrivava? Poi un pensiero orribile. E se l'avesse portata in ospedale? Se le era successo qualcosa di brutto?

Le ipotesi più terribili presero forma nella mia mente lasciandomi impotente. Non potevo fare niente. Non potevo chiamare Tom, non mi avrebbe risposto. Ormai doveva sapere cos'era successo. Anche questo avrei dovuto affrontare, ma ora non riuscivo a preoccuparmene. Aly. Solo lei era importante.

Finalmente la luce dei fari annunciò il loro arrivo. Il cuore prese a pompare forte e l'adrenalina andò alle stelle. La trepidazione rischiava di uccidermi. Lei era qui.

 


Tom oltrepassò il cancello tenendo la sorella tra le braccia. Il cuore mi si gelò. Era peggio di qualsiasi cosa avessi immaginato. Aly stava lì inerme, senza esserci veramente. Aveva la testa poggiata alla spalla del fratello, mentre un braccio le ricadeva a peso morto. Lo sguardo vuoto. Non l'avevo solo ferita, l'avevo spezzata, distrutta. Sembrava morta.

“Aly...”, la chiamai con un filo di voce travolto dall'orrore di ciò che avevo causato.

Sussultò sentendomi. Gli occhi le si riempirono di lacrime, ma non si mosse, non mi guardò, non reagì. Uno spasmo doloroso sembrò attraversarla.

Tom mi incenerì con lo sguardo. Se non avesse avuto la sorella tra le mani, me le avrebbe date di santa ragione. Me lo meritavo. Mi sarei meritato anche di peggio. Non mi avrebbe mai perdonato per quello.

“Vattene. Vattene e non farti più vedere.”, sputò furioso prima di entrare in casa.

Non riuscii a parlare. Non riuscii a fermarli. Rimasi fuori al buio da solo.

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Capitolo 21
*** La fine dell'estate ***


CAP 20

CAP 20

Chiusi l'ultimo scatolone e gettai uno sguardo alla mia stanza. Era desolante. Fatta eccezione per i mobili, non era rimasto molto. Volevo disfarmi di tutto ciò che mi faceva ripensare a Roxy e al suo tradimento. Tuttavia, quando avevo cominciato, non avevo immaginato che alla fine non sarebbe rimasto niente.
Non mi ero mai accorta che quasi tutti gli oggetti a cui tenevo e di cui mi ero circondata venissero dai miei amici o, in un modo o nell'altro. Erano sempre stati importanti, ma ora pensare a loro significava pensare a Roxy e questo io non riuscivo a sopportarlo.
Era già passato un mese, ma la maggior parte del tempo ancora faticavo a respirare. Il dolore arrivava ad ondate al contrario del senso di vuoto che invece non mi abbandonava mai.
I primi giorni erano stati i peggiori. La ferita bruciava così tanto da inghiottire tutto il resto. Sentivo solo il dolore. Forte, prepotente, assoluto. Pensavo che non mi sarei mai ripresa, e in un certo senso era vero. Una parte di me era morta lasciando un buco che non avrei più colmato.
Ero riuscita a rialzarmi solo per amore della mia famiglia. Non sopportavo di vedere il mio dolore infettarli come una malattia, non sopportavo il peso dei loro sguardi colmi di paura e aspettative. Loro non capivano ciò che stavo passando ed io non riuscivo a parlarne. Il mondo era andato avanti, il sole aveva continuato a sorgere, ma non per me. Io ero rimasta indietro, al buio, da sola.
Mi asciugai alcune lacrime ribelli con il dorso della mano. Non doveva andare così. Non sarebbe dovuto succedere, non a me. Non era giusto.
Il campanello suonò salvandomi dall'incombente ondata di angoscia, ma quando aprii la porta rischiai di sentirmi male. Roxy. Fu se mi avessero dato un pugno fortissimo allo stomaco. Per un attimo mi mancò il respiro, mi si appannò la vista e non riuscii a pensare a niente.
“Ciao.”, mi salutò titubante.
Non potevo credere che fosse davvero lei, che avesse avuto la faccia tosta di presentarsi a casa mia. Avevo sperato che vedendo che non rispondevo né ai messaggi, né alle chiamate le sarebbe stato chiaro che non volevo più avere niente a che fare con lei.
Lo shock mi fece reagire con un attimo di ritardo. Cercai di chiuderle la porta in faccia, ma lei fu più rapida e me lo impedì.
“Dobbiamo parlare.”, disse decisa.
Era assurdo. Davvero sperava che sarei stata a sentirla dopo ciò che aveva combinato?
Il dolore, che a stento riuscivo a contenere, esplose dandomi la forza di continuare a spingere la porta quasi fino a chiuderla.
“O parliamo adesso o domani davanti a tutta la scuola.”, fece a mo' di minaccia, “Scegli tu.”
Lasciai automaticamente la presa. La sola idea delle voci di corridoio bastò a farmi desistere. Era già abbastanza umiliante così, non avrei sopportato di venire perseguitata da quella faccenda per il resto dell'anno, non dopo gli sforzi che stavo facendo per andare avanti.
Roxy si accomodò felice di averla spuntata. Purtroppo per me, sapeva bene quali tasti spingere, ma niente di ciò che avrebbe detto ormai poteva cambiare le cose.
Avevo immaginato diverse volte come sarebbe stato un confronto tra noi. Avevo immaginato di sputarle in faccia il mio dolore, di rivolgerle ogni tipo di insulto prima di buttarla fuori chiudendo per sempre la nostra amicizia. Invece non riuscii a parlare. La rabbia che avrebbe dovuto sostenermi non c'era, rimpiazzata da una schiacciante apatia.
“Ryler l'aveva detto sai, che avresti reagito così.”, commentò.
La nostalgia mi travolse. Sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi, ma le ricacciai indietro. Ryler, mi mancava da morire. Non lo avevo più visto dopo quel giorno. Non ci riuscivo, perché per quanto gli volessi bene non riuscivo a dimenticarmi che era sua fratello.
“So che sei molto arrabbiata in questo momento Aly e hai tutte le ragioni di esserlo, ma ti prego stammi a sentire. Io posso spiegarti tutto, giuro.”
Un fremito mi attraversò il corpo. Il dolore pulsava sempre più forte. Era quasi intollerabile sentirla parlare.
Credeva di potersi giustificare, che ci potesse essere una ragione valida che potesse spingermi a perdonarla. Se era davvero questo che si aspettava sarebbe rimasta molto delusa. E oltretutto significava che di me, in tutti quegli anni, non aveva capito niente.
“Cos'è che devi spiegarmi, eh? La situazione era fin troppo chiara!”, sputai acida.
Non riuscivo a guardarla mentre parlavo. Anche solo pronunciare quelle parole mi costò uno sforzo immane.
“Giuro che le cose non stanno come sembrano!”
“Quindi non ti ho visto baciare l'unico ragazzo di cui mi sia mai importato? È questo che mi stai dicendo?”, le chiesi sentendo infine arrivare l'irritazione.
Roxy sembrava sorpresa dal tono con cui le parlavo. Non mi ero mai comportata così. Io era quella calma, quella che non si arrabbiava mai, quella che perdonava tutto, ma non poteva pensare che lo avrei fatto anche stavolta.
“Hai frainteso. Guarda che è meno brutta di quanto può sembrare. Se solo mi lasciassi spiegare...”, cominciò lei in tono concitato.
“Io ho frainteso?!”, sbottai interrompendola, “Oh, ti prego illuminami! Dimmi cosa c'era da fraintendere!”
La rabbia cominciò a ribollirmi dentro. Non le avrei permesso di darmi della stupida. Cosa c'era da fraintendere? L'aveva baciato, li avevo visti e continuavo a farlo ogni volta che chiudevo gli occhi. Non c'era modo di fraintendere.
“Non fare così. Lasciami spiegare.”, mi supplicò.
“Che puoi dirmi per spiegare? Per caso vuoi farmi credere che sei inciampata atterrando casualmente sulle sue labbra? Io ero lì Roxy! Ti ho vista.”
“Tu non sai tutto. Non conosci tutti i fatti.”, mi disse sulla difensiva.
Cos'altro poteva esserci? In quel momento un'idea orribile mi attraversò la mente. E se quella non fosse stata la prima volta? E se non fosse stata l'ultima?
Una morsa mi strinse lo stomaco, facendomi venire la nausea. La sola idea bastava a raggelarmi il sangue.
“Vi siete messi insieme.”, lo dissi con un filo di voce appena udibile.
Sentivo una stretta alla gola togliermi il fiato ed impedirmi di respirare. Non volevo sapere. Non l'avrei sopportato.
“No, no, no! Niente del genere!”, si affrettò a dire Roxy gesticolando con enfasi. “È successo solo quella volta. È stato un caso, non era programmato.”
Sospirai sollevata, rendendomi però conto che questo in realtà non cambiava le cose.
“Alex era su di giri. Mi ha chiesto di seguirlo... io non ero in me. Devi considerare che avevamo bevuto...e poi tu non avevi fatto che dirmi quanto fosse speciale...”, iniziò a dire in modo sconnesso.
Lo stomaco mi si contrasse in uno spasmo doloroso. Stava cercando di dare la colpa a me? Voleva dire che ero stata io a spingerla a tradirmi?
La rabbia e l'agitazione si unirono in un mix che mi riempì di coraggio. Alzai la testa per guardarla dritta negli occhi e fu allora che le lessi in faccia che c'era dell'altro. Aveva lo sguardo colpevole.
“Giuro Aly è successo solo quella volta. Quando ci siamo resi conto di aver fatto una cazzata era tardi. Non succederà più! È stato solo uno sbaglio!”, mi disse disperata.
E improvvisamente mi resi conto che non stava parlando del bacio. Roxy c'era andata a letto.
Trattenni a stento un conato di vomito. Era disgustoso. Era peggio di qualsiasi cosa potessi immaginare. L'idea che lei avesse potuto arrivare a tanto non mi aveva nemmeno sfiorata. Ingenuamente avevo dato per scontato che non avrebbe fatto una cosa del genere, non a me.
Le lacrime iniziarono a cadere senza controllo. Un nuovo dolore mi invase annientando tutto ciò che ero riuscita così faticosamente a salvare. Non respiravo, non riuscivo più a respirare.
Roxy si avvicinò provando a toccarmi, ma la respinsi con un gesto rabbioso.
“Non toccarmi! Non osare avvicinarti a me!”, le gridai disgustata, “Te lo sei portato a letto! Mi fai schifo!!”
Solo allora lei si rese conto che io non lo sapevo. Ero stata così stupida da non crederla capace di farlo. Ero stata così stupida da pensare che quei sedici anni di amicizia l' avrebbero fermata. Quanto ero ingenua! Eppure la conoscevo. Era Roxy, lei faceva sempre così. Vedo, voglio, prendo, questo era il suo motto. Non le importava di nessuno oltre che di se stessa, non le importava di me.
“Aly io...”, balbettò in difficoltà.
“VATTENE!”, le urlai, “Va via e non farti più vedere! Per me sei morta!”
“Io... mi dispiace... credevo lo avessi capito... è stato solo un errore!”, fece con le lacrime agli occhi.
“Smettila! Basta! Non mi interessano le tue stronzate! Sparisci!”, le urlai.
“Non ha significato niente. Ti prego Aly devi credermi.”, supplicò, “Noi siamo amiche...”
“No, noi non lo siamo. Non più! Come puoi pensare che io possa perdonarti? Io mi fidavo di te!”, feci sempre più devastata dal peso di quella nuova e orribile immagine.
“Non possiamo rovinare tutto solo per un ragazzo.”, mi disse cercando di minimizzare.
“Dio Roxy, come fai a non capire! Lui non è solo un ragazzo! E dopo tutti questi anni non dovrei aver bisogno di spiegartelo. Come hai potuto farlo?”
Questa era la domanda che mi ronzava nella testa da quel giorno. Come aveva potuto una mia amica ferirmi così? Come aveva potuto portarmi via l'unica cosa che mi faceva battere il cuore?
“Non l'ho programmato. Non l'ho cercato io. È successo. È successo e basta.”
“No, le cose non succedono. Potevi dire di no. Dovevi dire di no. Se davvero tenevi alla nostra amicizia per una volta, una volta soltanto, avresti dovuto dire no.”
“So di avere sbagliato...”, provò ad insistere.
“E ora devi affrontarne le conseguenze.”, la interruppi, “Tu hai scelto di andare a letto con lui ed io ora scelgo di chiudere la nostra amicizia. Vattene Roxy. Non voglio più avere niente a che fare con te.”
La mia voce era fredda e tagliente, un tono che non ammetteva repliche.
Per qualche attimo nessuna delle due parlò più e scese un assurdo e raggelante silenzio. Era finita. Era davvero finita.
Roxy si alzò e si avviò verso la porta. Prima di uscire si voltò un'ultima volta a guardarmi.
“Tu lo sai vero che se lo farai perderai tutto?”, mi disse atona.
Ripensai alla nostra amicizia, a tutti i ricordi, a Ryler e mi resi conto che chiudere con lei significava chiudere con tutto il resto. Faceva male, ma in fondo avevo già fatto la mia scelta.
“Io ho già perso tutto.”, le risposi fredda come il ghiaccio.
Quando il portone si chiuse lasciai che l'amarezza mi riempisse piangendo tutte le mie lacrime. Non era rimasto più niente. Non era rimasto nessuno. Roxy si era presa tutto. Il ragazzo che amavo, il mio migliore amico...tutto. Era stata lei a tradirmi, lei mi aveva pugnalato alle spalle e nonostante questo ero io ad uscirne sconfitta.
Il nostro gruppo si era disintegrato. Non ci sarebbero più state serate a cazzeggiare, o a far finta di studiare, né tutte le altre cavolate che facevamo solo per il gusto di stare insieme.
Sapevo che Ryler avrebbe capito e che sarebbe sempre stato dalla mia parte, ma Roxy rimaneva sua sorella. Su quel marciapiede, poco prima che scappassi, mi aveva preso la mano e l'aveva stretta per un attimo prima di lasciarmi andare. Lui lo sapeva che non sarei più tornata indietro.
Kailyn invece mi era rimasta accanto, già in queste settimane era stata un appoggio prezioso, ma per quanto lo apprezzassi la verità era che non era lo stesso. Non sarebbe mai più stato come prima.
Non potevo più aggrapparmi né all'amore, né agli amici e capire questo mi fece sprofondare di una calma devastante, che portò con se una agghiacciante lucidità. Finalmente vedevo le cose con chiarezza. Anche io avevo commesso degli errori, forse i più gravi. In fondo ero stata proprio io a dare ad Alex e Roxy il potere di umiliarmi e farmi male aprendogli il mio cuore incondizionatamente.
Non avrei mai dovuto fidarmi di Roxy. Sapevo che era un errore. Quante volte le avevo visto fare la stessa cosa ad altri? Quante volte ancora avrei dovuto vederla tradire persone che diceva di amare prima di capire? Eppure stupidamente avevo creduto di essere diversa, speciale, che la nostra amicizia fosse vera, l'eccezione che confermava la regola.
Mi ero illusa. Avevo voluto vedere un affetto che non c'era, credere in una lealtà di cui lei più volte aveva dimostrato di non essere capace. Non era la prima volta che Roxy mi feriva, eppure l'avevo sempre perdonata in nome di un'amicizia che forse non era mai esistita.
Con Alex aveva fatto anche di peggio. Per anni avevo cullato e protetto un sentimento che non mi aveva mai dato niente di reale. Tutte le gioie in cui mi ero sempre crogiolata erano frutto delle mie fantasie romantiche. Mi ero aggrappata con cieca ostinazione ad un amore che, non solo non era ricambiato, ma nemmeno voluto. Avevo confuso ciò che volevo con ciò che era reale e questo era il risultato.
Erano state le mie stesse emozioni, le mie illusioni a tradirmi permettendo ad altri di ferirmi così profondamente da distruggermi, ma avevo imparato dai miei errori. Ora sapevo cosa fare. Alla fine anche per me era arrivato il momento di crescere, di liberarmi di tutte le fantasie infantili e di smettere di credere nelle favole. Ingenuamente però avevo permesso ai sentimenti che mi avevano tradita di mettere radici profonde, tanto che non c'era modo di sbarazzarsene senza distruggere ciò a cui erano legate. Ma a questo punto non aveva più importanza. Avrei dimenticato tutto, il dolore, i sentimenti, tutto. Lo avrei fatto anche a costo di strapparmi il cuore. Non avrei mai più pensato a ciò che era successo, avrei sepolto tutti i ricordi nell'andito più oscuro della mia anima e con loro anche il dolore che causavano. L'amore tradisce, le emozioni ingannano, ma se avessi imparato a vivere senza sarei stata al sicuro. Avrei costruito intorno al mio cuore un muro talmente alto che nessuno avrebbe mai osato provare a scalarlo. Non avrei più sofferto. Non avrei più amato.


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Capitolo 22
*** Il folle volo ***


Il folle volo

«Ero in piedi sulla scogliera. Sotto di me il mare si infrangeva con violenza sulle rocce. L'odore salmastro mi riempiva le narici.
Deglutii a vuoto un paio di volte. Avevo paura. Un altro passo e sarei caduto nel vuoto. Intorno a me c'erano solo sagome scure, il mondo era ancora immerso nell'oscurità che precedeva l'alba e che rendeva quel paesaggio inquietante.
Fissai le ali che avevo legato alla braccia  e mi ritrovai a chiedermi per l'ennesima volta se davvero quel misto di piume e cera avrebbe impedito al mio corpo di precipitare.
Decisi di rivolgere altrove il mio sguardo. Fissare la massa d'acqua scura che si agitava con violenza non mi avrebbe aiutato a saltare. Il cielo invece era sereno. Non c'era una sola nuvola ad oscurarlo e tutte le stelle erano già andate a dormire.
Non c'era più tempo. Presi la rincorsa, feci un paio di respiri profondi e mi lanciai ad occhi chiusi verso il mio destino. Quando li riaprii stavo volando. Ero sospeso tra terra e cielo, libero come gli uccelli di librarmi in aria. Era eccitante. Non mi ero mai sentito tanto vivo, il cuore mi batteva così forte da sembrare sul punto di esplodere, sentivo una strana e potente euforia scorrermi nelle vene.
Poi l'orizzonte cominciò a rischiararsi. I colori freddi e scuri della notte furono sostituiti da tinte più tenui e calde. Toni di rosa, lilla, arancio sostituirono le sfumature nero bluastre fino a che, dall'ombra piatta dell'orizzonte, non fece capolino il disco dorato del sole.
Il cuore mi si fermò. Non avevo mai visto uno spettacolo così bello. L'intera volta celeste si stava inchinando davanti al suo splendore. Non riuscivo a distogliere lo sguardo. Per un attimo mi dimenticai perfino di respirare. Ero completamente ipnotizzato.
Il calore che mi trasmise quel primo raggio sfiorandomi delicatamente la pelle, non l'avrei mai dimenticato. Non c'erano parole per descriverlo. Quella carezza delicata e impalpabile oltrepassò la barriera del corpo arrivandomi fin dentro all'anima. Era come essere avvolti in un abbraccio soave. Mi sentivo protetto, al sicuro.
Dovevo raggiungerlo. Non avrei più potuto vivere facendo a meno di quelle sensazioni. Era come se prima di fissare lo sguardo sul quell'abbagliante disco dorato i miei sensi non avessero mai funzionato pienamente. Ero nato nello splendore di quel momento. Vivere lontano da quella luce, voleva dire condannarmi alle tenebre. Non avevo scelta.
Comincia a volteggiare libero e felice, sempre più in alto, sempre più su. Più salivo, più il calore e lo splendore, che mi aveva stregato anima e cuore, si facevano forti e penetranti. Mi aspettava una vita nuova, una gioia che prima non avrei neanche potuto immaginare.
Poi però sentii le braccia tremarmi. Il vento le sferzava piegandole. Non ero più stabile in volo, non riuscivo più a cavalcare la potenza delle correnti. Solo allora voltai lo sguardo verso le mie ali e con orrore mi accorsi che non c'era rimasto molto. La cera si era sciolta, le piume mi volteggiavano accanto.
In un attimo la leggerezza scomparve ed inesorabile precipitai violentemente verso il mare.
Il mio ultimo sguardo andò al disco dorato.
“Perché?”»

Mi svegliai con il cuore in gola. Era stato solo un incubo, ma le sensazioni, quelle erano fin troppo reali.
Mi ero addormentata sui libri e ancora non avevo finito il noiosissimo tema che la prof mi aveva dato per punizione. Tutto perché mi ero appisolata a lezione. Stronza.
Rilessi ancora una volta la traccia sperando in un'illuminazione divina.“Icaro: il volo, il desiderio, la caduta”. Doveva essere un tema di 500 parole, ma per quanto mi sforzassi a me ne veniva in mente solo una: idiota. Icaro era uno stramaledetto idiota.
Presi la penna e lo scrissi sotto al titolo. Bene, ora ne mancavano solo 499.
Per un attimo mi cullai con l'idea di ripetere quell'unica parola per 500 volte e vedere poi come la prof avrebbe reagito. Aveva detto che dovevano essere 500 parole, non aveva specificato che dovessero distinguersi tra aggetti, verbi, avverbi ecc... Sorrisi per un attimo, ma poi tornai con i piedi per terra. Per una cosa del genere avrebbe anche potuto sospendermi.
Tornai a guardare il foglio vuoto e dopo altri dieci minuti di nulla, mi arresi. Accesi il pc e andai su internet. Avrei cercato l'ispirazione in rete. O per dirla tutta avrei copiato spudoratamente la prima cosa decente.
La mia buona stella però sembrava decisa a non aiutarmi. Non c'era un solo sito, forum o discussione su questo. Era assurdo. On line c'era di tutto dai gatti che suonavano il pianoforte ai dischi volanti, ma non c'era niente per il mio tema. A nessuno fregava un cazzo di Icaro.
Ripresi il mio foglio con quell'unica parola scarabocchiata sopra e mi sforzai di mettere insieme qualcosa. Cosa sapevo di Icaro? Era un'idiota, e poi? Aveva voluto volare verso il sole ed era morto. Mi sembrava il minimo.
Volare verso il sole... che idiozia! Come altro poteva finire? E poi se anche lo avesse raggiunto che avrebbe ottenuto? Si sarebbe ritrovato davanti un dio che non avrebbe mai degnato di uno sguardo un povero essere umano.
Ma poi perché uno dovrebbe andare verso il sole?
Era ufficiale. Odiavo quel mito. Odiavo Icaro e odiavo la prof che mi obbligava a stare in piedi a pensare ad una storia così patetica ed inverosimile da far apparire Cappuccetto Rosso come un thriller mozzafiato.
Per un attimo ripensai al mio sogno. Alle sensazioni che ancora chiaramente mi si agitavano in corpo: il senso di leggerezza, la carezza del vento e la delicata dolcezza dei raggi del sole. Riaprii di scatto gli occhi prima di mettere a fuoco l'immagine che quella parola evocava.
C'era un solo sole, quello che brillava alto nel cielo, mi dissi mentalmente. Niente di più, niente di meno.
Dovevo concentrarmi di più. Rilessi la traccia ancora una volta. “Icaro: il volo, il desiderio, la caduta.”. Forse se scomponevo il tema in più parti ne sarei uscita. Il volo... era inutile l'unica cosa che visualizzavo era la scritta lampeggiante “IDIOTA” come se fosse un insegna al neon.
Il desiderio... sentii un nodo allo stomaco e un lieve fastidio invadermi. Quello era il fulcro della questione. Ancora una volta erano le emozioni la causa di tutto. E di colpo mi fu chiaro il vero significato del mito, era sì un invito a non superare i propri limiti, ma non nel senso in cui la gente lo aveva interpretato. Il problema non era il volo. Icaro era riuscito a volare, era stato il desiderio la fonte della sua rovina.
La sua sorte era stata scritta nel momento in cui aveva alzato gli occhi verso il sole. Ne era rimasto abbagliato. La sua bellezza, il suo splendore, lo avevano risucchiato. Il sole aveva acceso in Icaro il desiderio e, ancor peggio la speranza. Era sempre quella a fregarti. Quella vocina assurda nella testa che ti diceva che potevi farlo, che, contro ogni buon senso, gridava «Perché no?». Ti riempiva di illusioni che puntualmente si infrangevano davanti alla realtà. Troppo tardi Icaro aveva capito. La cera si era sciolta lasciandolo da solo davanti alla cruda realtà.
La caduta era la punizione per chi credeva nei sogni. Per chi viveva con la speranza di poter avere ciò che desiderava. I greci avevano ben chiari quali fossero i limiti dell'uomo e chiara era per loro la fine che aspettava chi li oltrepassava. E personalmente non potevo essere più d'accordo.
Sentii la porta chiudersi. Tom era tornato presto, non era neanche mezzanotte. Ormai sapevo che prima di qualsiasi altra cosa sarebbe passato a vedere come stavo. Avevo l'impressione che si aspettasse che prima o poi mi sarei tagliate le vene. Non voleva capire che ormai il peggio era passato. Non stavo più male. Ero guarita.
“Ancora in piedi?”, disse facendo capolino dalla porta.
“Devo finire un tema per domani.”, sbuffai.
Ero grata a Tom per quello che aveva fatto in quegli ultimi mesi. Era stato la mia roccia quando ne avevo avuto più bisogno e sapevo di averlo spaventato a morte in più di un'occasione. Per questo non mi arrabbiavo se continuava a preoccuparsi anche ora che tutto era finito. Era mio fratello, mi voleva bene come io ne volevo a lui.
“Su cosa?”
“Icaro. Devo tirar fuori 500 parole.”, sibilai sempre più irritata da quella cifra assurda.
Istintivamente guardai il foglio sotto le mie mani e mi resi conto che avevo già scritto un bel paragrafo abbondante con le mie riflessioni. Finalmente vedevo la luce in fondo al tunnel. L'attimo dopo però tutte le mie speranze crollarono. La mia testa era di nuovo vuota. Come volevasi dimostrare, sperare non portava mai a niente.
Tom mi strappò il tema dalle mani e si mise a leggerlo. Ad un certo punto corrugò la fronte. 
“Allora che ne pensi?”, lo incalzai visto che non si decideva a parlare.
“Non lo so. È davvero questo quello che pensi?”, mi chiese serio.
“Be'...si.”, ammisi non capendo cosa ci fosse di strano “È questo il senso, l'insegnamento che vuol fare passare: non provare mai a superare i propri limiti o se ne pagheranno le conseguenze.”
“C'è tanta amarezza in queste parole, Aly.”, commentò tornando a guardarmi.
Aveva  le sopracciglia aggrottate, mentre le mani, congiunte come se pregasse, erano appoggiate alle labbra.
“È solo la verità.”, gli risposi un po' infastidita..
Non era colpa mia se le cose stavano così. E poi anche se era una lezione amara quella di Icaro rimaneva la verità. Non c'era posto per i sognatori. Nella vita bisognava porsi obiettivi concreti e raggiungibili e non puntare verso il sole. I sogni uccidevano chi li partoriva. Questa era la loro natura.
“Dì piuttosto rabbia.”, precisò lui con una schiettezza irritante.
Dal modo in cui mi guardava sentivo che mi stava dicendo altro, ma non lo volevo ascoltare. Era una storia chiusa. Era il passato e non c'era alcun bisogno di rivangarlo.
“Sono solo arrabbiata per il tema. Con tutti i miti che ci sono proprio il più idiota mi doveva toccare?”, minimizzai con un gesto della mano.
“Io lo trovo bellissimo.”, mi contraddisse nuovamente.
“Ma dai, Tom! È la storia di un suicidio premeditato. È deprimente, anzi peggio è stupido!”, ancora una volta mi tornò in mente quella parola, “Volare verso il sole...”, borbottai poi a mezza voce irritata.
“Magari è stato presuntuoso, ma non per questo ha sbagliato a provarci.”, mi disse con convinzione.
“Sì invece!”, gli risposi io infervorata.
Non so perché, ma volevo che Tom capisse. Era sbagliato, stupido, insano. E così invece di lasciar perdere continuai a discutere con lui sempre più coinvolta.
“Chissà forse per lui aveva senso. Forse ne valeva la pena.”, ipotizzò.
“Valeva la pena morire per inseguire il sole, senza peraltro riuscire a raggiungerlo?”, chiesi con la voce più alta di un'ottava.
“Se non lo sai tu.”, si limitò a dire.
Fu un colpo basso, una pugnalata al cuore. Tom sapeva che non volevo parlarne. Ero stata chiara a riguardo. Ero andata avanti e non volevo riaprire vecchie e stupide questioni. Li avevo già dimenticati, o quasi. Era stato sleale a trascinarmi in quella conversazione con l'inganno.
“Icaro si è sfracellato in mezzo al mare, morendo solo come un cane. Non credo che ne valesse la pena e se invece di guardare al sole avesse badato agli affari suoi, magari sarebbe invecchiato.”, sputai fuori decisamente arrabbiata.
“Invecchiare e vivere sono due cose diverse.”, puntualizzò Tom.
“Prova a fare paracadutismo senza paracadute, poi ne riparliamo. Non è piacevole. Scommetto che se fosse sopravvissuto ci avrebbe pensato due volte prima di alzare di nuovo gli occhi al cielo.”
“E quindi cosa intendi fare? Vuoi continuare a fingere che tutto vada bene?”, fece guardandomi dritto negli occhi.
Vedendo che non cedevo alle sue velate allusione, Tom optò per una via più diretta, che però attivò automaticamente tutte le mie difese. Eravamo in piena zona off limits.
“Io. Sto. Bene.”, gli ripetei per la milionesima volta lasciando emergere tutta la mia esasperazione.
“Tu non stai bene. Tu fingi di star bene. È diverso.”, mi rispose con lo stesso tono.
“Non vedo dove sia la differenza. O smesso di piangere, no?”
“No.”, rispose secco, “Piangi ancora quando dormi.”
Deglutii a vuoto senza riuscire a rispondergli. Sapevo che aveva ragione, ma non potevo farci niente. Non avevo controllo su ciò che accadeva mentre ero incosciente.
“Cosa vuoi Tom? Cosa ti aspetti che faccia ancora?”, gli domandai allora lottando contro le lacrime.
“Rivoglio mia sorella. La solita svampita e rompiscatole. Quella che mi dava il tormento a causa di...”
“No!”, lo fermai prima che dicesse quel nome.
La sola idea che stesse per pronunciarlo mi riempì di angoscia. Avevo iniziato a tremare. Il cuore era impazzito, il respiro accelerato. Sentivo il buco dove avevo seppellito tutto fremere come un vulcano sul punto di eruttare.
“E voi farmi credere che stai bene? Che l'hai superata?”, mi accusò.
Colta in fallo non potei far altro che abbassare la testa. La rabbia che mi stava attraversando mi fece stringere i pugni e liberò alcune lacrime ribelli. Ero ancora troppo debole. Avevo bisogno di barriere più alte, difese più solide per proteggermi. Il dolore non doveva più toccarmi. In un modo o nell'altro dovevo riuscire a dimenticare ogni cosa.
La mano di Tom mi accarezzò la testa con dolcezza e mi appoggiai alla sua spalla in cerca di quella forza che non ero certa di avere.
“Non volevo farti piangere.”, mi sussurrò allora più dolcemente, “Sono solo stanco di vederti soffrire.”
Alzai leggermente la testa. Aveva di nuovo lo sguardo piano di angoscia. Era lo stesso che aveva la sera che era venuto a prendermi dopo “l'incidente”. Era lo stesso che aveva avuto per giorni mentre mi guardava piangere disperata affogando sempre più nel dolore.
“Sta tranquillo”, gli dissi recuperando tutta la freddezza e la determinazione di cui ero capace. “Da ora in avanti non soffrirò più”
Mi asciugai le lacrime e lo fissai con uno sguardo che sottolineava ogni parola.
Tom mi guardò per un po', come ad assicurarsi che facessi sul serio. Poi, quando alla fine sembrò convincersi, chiuse gli occhi e scosse la testa.
“Non era questo quello che intendevo.”, sospirò.

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Capitolo 23
*** Tom ***


21_Tom Ciao a tutti,
 piccola modifica per comunicare che, dopo quello che definirei un vero e proprio parto, è nata la pagina Facebook di Icarus.
Per iniziare solo qualche foto, ma a partire dalla prox settimana insieme ai nuovi capitoli posterò tanti contenuti tutti da scoprire. Spero che la visitiate e mi facciate sapere cosa ne pensate!!!! :)
Spero anche di poter condividere questa nuova esperienza con tutti quelli che stanno avendo la pazienza di seguirmi e di avere così uno spazio per interagire più velocemente.
A presto!!!!

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CAP 21
PdV Tom

Strinsi il volante più forte. Fremevo dalla rabbia.
Era colpa mia. Se solo avessi ascoltato l'istinto, non sarebbe mai successo niente. Non avrei mai dovuto permettergli di avvicinarla. Conoscevo Alex, ma cosa mi era passato per la testa?
Idiota. Stupido che non ero altro.
Avrei dovuto fermarla, impedirle di innamorarsi di lui o almeno avrei potuto allontanarlo da lei, ma invece avevo permesso che tutto ciò si verificasse. Ero rimasto come un coglione a guardarlo ferire mia sorella. Eppure avevo sempre saputo che sarebbe finita così, dal momento in cui avevo visto quello sguardo sul volto di Aly. Tutto il dolore che ora la stava distruggendo era colpa mia. Non mi sarei mai perdonato per questo, ma sopra ogni cosa non avrei mai perdonato lui.
Come aveva potuto ferirla? Dopo tutte le volte che lo avevo messo in guardia, lo aveva fatto lo stesso. Era più forte di lui. Non mi potevo aspettare altro da Alex, lo conoscevo, sapevo come trattava le donne. Ero stato un dannato idiota a fidarmi. Dio, quanto ero stato cretino! Ma stavolta non l'avrebbe passata liscia.
Stavo andando a cercarlo per pareggiare i conti. Non sopportavo più l'idea che, mentre Aly passava le pene dell'inferno, lui fosse a divertirsi chissà dove. Mentre mia sorella stava perdendo se stessa, lui probabilmente aveva già dimenticato ciò che era successo. Era un tornado che travolgeva e spazzava via tutto lasciandosi dietro solo macerie e desolazione.
Riuscivo quasi a vederlo seduto al tavolo con Sam e gli altri a ridere raccontando di come aveva spezzato il cuore alla "stupida sorella di Tom". Era così che faceva. Rideva delle sue conquiste, le ridicolizzava orgoglioso. Non gli avrei permesso di farlo con mia sorella, non più.
Arrivai al pub con le mani che prudevano. Volevo gonfiarlo di botte, volevo rendergli parte del dolore che aveva causato, ma i ragazzi mi dissero che non c'era e che non lo vedevano da un po', il che non fece che aumentare la mia irritazione. Poteva essere ovunque. Nella maggior parte dei pub che frequentava non mi avrebbero mai fatto entrare. Era lui ad avere gli agganci, era sempre stato lui ad organizzare le serate, ma io sapevo come trovarlo. Lo avrei aspettato sotto casa, avessi dovuto restare lì anche tutta la notte.
Quando arrivai al suo appartamento vidi dalla strada che le luci erano accese. Strano. Forse era in dolce compagnia. Be' la serata non gli sarebbe andata come aveva previsto.
Bussai alla porta con così tanta furia che per poco non la buttavo giù. Ero sempre più impaziente. Sempre più smanioso.
Tesi le orecchie per cogliere ogni rumore dall'interno, aspettandomi di sentire qualche gemito o gridolino, ma sembrava non esserci nessuno. Stavo per bussare di nuovo quando di colpo la porta si aprì.
Successe in un attimo. Mi ritrovai davanti la faccia di Alex e prima ancora di rendermene conto lo avevo già colpito. Lui cadde a terra con un tonfo.
"Questo è per non aver mantenuto la parola!", gli urlai.
"Cominciavo a credere che non saresti venuto...", farfugliò cercando di alzarsi.
Come misi piede dentro fui sopraffatto da un forte di odore di alcol. Whisky o forse gyn. Alex doveva aver bevuto tanto per puzzare così e per un attimo mi ritrovai a pensare che era strano. Lui non beveva più quella roba.
Non so se a causa del pugno o dell'alcol ma ci mise un po' ad alzarsi. Era piuttosto instabile.
"Questo è per aver mandato tutto a puttane!”, dissi colpendolo di nuovo.
Stavolta non cadde, ma indietreggiò di qualche passo. Barcollava pericolosamente.
"Tutto qui?", disse come se non lo avessi neanche toccato.
Il suo tono altezzoso e sprezzante mi mandò in bestia.
"Tu devi sempre rovinare tutto, vero? Non potevi lasciarla stare, eh?", gli urlai furioso.
Alex non rispose e lo colpii ancora, tanto forte da farmi male alla mano.
"Alzati!", gli ordinai fuori di me.
Lui obbedì anche se ormai si reggeva a stento in piedi. In quel momento avrei voluto ammazzarlo di botte.
"Lei non lo meritava.", dissi preparandomi a colpirlo ancora, "Questo è per..."
"No!", urlò allora lui, "Non dirlo. Non dire il suo nome."
Rimasi con la mano a mezz'aria incapace di colpire. C'era qualcosa di familiare nel modo in cui lo aveva detto. Avevo già visto lo spasmo doloroso che gli aveva attraversato il volto quando stavo per fare il nome di Aly.
Una brutta sensazione mi invase.
"Guardami!", gli ordinai prendendolo per la maglia e attaccandolo al muro, "Guardami!"
Alex obbedì e solo allora mi resi conto dello stato in cui era. Aveva l'aria stanca, le occhiaie profonde, il colorito spento e una barba incolta. Era pallido, molto pallido e nel suo sguardo ritrovai un'emozione che ormai avevo imparato a riconoscere fin troppo bene. Ma non capivo perché.
Lui non aveva diritto di sentirsi così.
"Ti sei innamorato di lei.", dissi con orrore mollando la presa.
Alex scivolò con la schiena lungo la parete fino a ritrovarsi seduto a terra. Aveva le lacrime agli occhi e l'espressione da cane bastonato. Deglutì a vuoto un paio di volte senza rispondere. Potevo leggere chiaramente lo sgomento nei suoi occhi, il terrore che lo aveva sopraffatto. Si era innamorato, lui che per tutta la vita non aveva fatto altro che cercare di evitarlo. Guardava all'amore, come le persone normali guardano una brutta malattia infettiva. Tutte le regole sulle relazioni, i suoi principi, il suo modo di trattare le donne non erano serviti a niente. Stava vivendo il suo incubo peggiore.
"Mi dispiace. Mi dispiace davvero Tom.", gemette.
La disperazione che trapelò dalla sua voce mi colpì stroncando la rabbia. Indietreggiai fino a sedermi sul bracciolo della poltrona, ancora sotto shock. Non riuscivo a capacitarmi. Come era successo? Quando? Perché non mi ero accorto di niente? Perché non ero riuscito ad impedirlo?
Mi ero sempre preoccupato per Aly, ma l'idea che lui potesse ricambiarla non mi aveva mai nemmeno sfiorato la mente. Ora però cominciavo a capire qualcosa di più di tutta questa storia. Era così che Alex faceva, era il suo modus operandi: feriva le persone prima che potessero ferirlo, ma stavolta aveva sbagliato. Aly era incapace di fargli del male e non si era fermato a pensare che comportandosi così l'aveva distrutta.
Strinsi forte i pugni, cercando di mantenere la calma. Cosa dovevo fare adesso? Forse se le avessi raccontato del passato di Alex, Aly sarebbe riuscita a capire e superare tutto quel dolore, ma mi avrebbe ascoltato? Non dopo l'ultima volta. Da quella sera in camera sua era diventata ancora più schiva. Parlava poco e solo di cose superficiali. Teneva tutti a distanza. No, era impossibile, non mi avrebbe mai ascoltato.
“Lei come sta?”, mormorò dopo un po' con un filo di voce risvegliandomi dalle mie fantasie.
Non potei fare a meno di notare che non voleva o poteva pronunciare il suo nome. Non avrei mai pensato di vedere proprio Alex ridotto così. Era nelle stesse condizioni di mia sorella, ma almeno lui non si sforzava di negare la realtà.
“Tieni, leggi questo.”, gli riposi passandogli un pezzo di carta.
Voleva sapere come stava Aly? L'avrei accontentato. Volevo che sapesse di cosa si era reso responsabile. Stavolta avrebbe affrontato le conseguenze. Non gli avrei permesso di lavarsene le mani.
“Cos'è?”, domandò corrugando la fronte.
“Leggilo.”, gli dissi perentorio.
Era il tema che Aly aveva scritto. Era il concretizzarsi di tutte le mie paure. Leggendolo avevo capito che Aly non ne sarebbe mai uscita, non da sola. Il dolore che stava provando l'aveva sopraffatta e lei si rifiutava di affrontarlo. Forse pensava che negandolo sarebbe svanito e non si rendeva conto di come invece la stava cambiando. Aveva chiuso il suo cuore e non mi piaceva ciò in cui si stava trasformando.
“Chi l'ha scritto?”, mi chiese sempre più confuso.
“Aly.”, gli risposi secco.
La sua espressione cambiò di colpo. Perse colore e vidi lo sgomento dipingerglisi sul volto. Nei suoi occhi la stessa angoscia che avevo sopraffatto anche me.
“No!”, disse quasi urlando, “No, no, no, no, no, no, no, no. Non lei.”
Era assurdo che tra tutte le persone a cui avevo fatto leggere quel tema, tra tutti quelli a cui avevo esternato la mia preoccupazione, Alex fosse l'unico ad aver capito. Forse l'aver vissuto un dolore simile lo aveva reso capace di leggere tra le righe, di capire che se non trovavo il modo di impedirlo, ciò che rendeva Aly così speciale rischiava di svanire per sempre.
Quando era stato Alex ad attraversare un brutto momento, ricordavo perfettamente com'era andata. Le assurdità che aveva fatto, le strade a cui si era pericolosamente avvicinato. Era stato così vicino al rovinarsi la vita che... la sola idea che Aly potesse attraversare lo stesso calvario mi fece accapponare la pelle.
“Dio, che ho fatto! Non volevo... Tom ti giuro se potessi tornare indietro...”, balbettò con le lacrime agli occhi.
Ricordavo perfettamente l'ultima volta che avevo visto Alex piangere. Era un gesto che odiava, che, secondo lui, mostrava solo fragilità e debolezza. Ed era così che ora appariva, fragile. Per un attimo provai una forte compassione.
“Ma non puoi cambiare il passato, quindi la domanda è: cosa pensi di fare ora?”, gli chiesi severo.
Era stato lui a fare il danno, era giusto che almeno provasse a fare qualcosa per rimediare. Mi dava sui nervi l'idea che lui continuasse a starsene lì immobile con le mani in mano.
“Che intendi dire?”, fece confuso.
“Dici di essere innamorato di Aly, ma non hai mosso un dito per lei. Tutto quello che sai fare è pensare a te stesso e piangerti addosso. È lei la vittima Alex, non tu.”, lo accusai senza mezzi termini.
“Ma dopo ciò che ho combinato, lei non vorrà più saperne di me.”, cercò di giustificarsi con quel suo atteggiamento remissivo del cazzo.
Era un vigliacco. Erano tutte stronzate. Se davvero avesse voluto farlo, avrebbe cambiato le cose o ci avrebbe provato. Non era tipo da arrendersi, non se voleva veramente ottenere qualcosa.
“Puttanate! Sono tutte scuse. Tu fai sempre così. Combini casini e poi eviti di assumertene le responsabilità. Ma stavolta no, cazzo! È di Aly che stiamo parlando!”, dissi sentendo riaffiorare l'irritazione, “La ragazzina spensierata e sognatrice sta svanendo sotto i miei occhi ed io non posso permettere che accada. È mia sorella!!”
“Farei qualsiasi cosa per lei, ma non...”
“Te ne stai lavando le mani.”, lo interruppi, “Non te ne importa niente di lei. Possibile che non provi nemmeno un minimo di rimorso? Tu sai cosa sta passando e sai a cosa andrà incontro se non la fermiamo!”
“Non sta a me salvarla, Tom.”, mi rispose abbassando lo sguardo.
“Eppure sei il solo che può farlo.”, dissi realizzando solo nel momento in cui parlavo la verità di quelle parole.
Alex aveva sempre avuto un forte ascendente su Aly, qualcosa che lei non riusciva a controllare. Se c'era una speranza di infrangere il muro di indifferenza dietro cui si stava nascondendo, era quella di farle affrontare ciò da cui stava sfuggendo. Ma non sarebbe stato facile, era diventata molto abile ad evitare ogni cosa che le causava dolore, ogni cosa che la riportava a lui. Tuttavia ero certo che se si fosse trovata di nuovo faccia a faccia con lui non sarebbe riuscita a portare avanti la sua mascherata. Per quanto odiassi ammetterlo, Alex le toccava il cuore, quel cuore che da mesi ormai Aly teneva sotto chiave e che non lasciava più sfiorare a nessuno.
Ma lo conoscevo fin troppo per sperare che avrebbe fatto qualcosa. Lui era il tipo che odiava le responsabilità, i problemi, le preoccupazioni, non si sarebbe mai fatto carico del dolore di mia sorella. Dovevo trovare un altro modo per aiutarla. Forse potevo sfruttare i sentimenti che ancora nutriva per lui. Dovevo solo capire come raggiungerli.
Mi alzai e mi diressi verso la porta. Non avevo più motivo di restare lì. Prima di uscire mi voltai un'ultima volta.
“Sei un vigliacco.”, gli dissi guardandolo dritto negli occhi, “Aly ti ama veramente. Se non potevi ricambiarla, dovevi solo dirglielo. Sapevi che l'avresti distrutta. È colpa tua e se le succederà qualcosa sarà te che verrò a cercare, ricordatelo.”, lo minacciai sbattendo forte la porta alla mie spalle.

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Capitolo 24
*** Dietro le apparenze ***


Dietro le apparenze
CAP
Pdv Alex

Il volto di Aly.
Lo avevo sempre davanti agli occhi. L'espressione angosciata, lo sguardo vuoto e spento, il suo corpo inerme tra le braccia di Tom... cercai di reprimere l'angoscia che accompagnava il senso di colpa, mentre un brivido mi risaliva la schiena.
Da quella sera non l'avevo più cercata anche se avevo perso il conto delle ore passate a fissare il suo numero sul display del cellulare lottando contro il desiderio di chiamarla.
C'erano momenti in cui il bisogno di sentire la sua voce era graffiante, ma poi venivo travolto dal ricordo del suo volto e rinunciavo. Non avrebbe risposto. Non dopo quello che che le avevo fatto.
Forse però aveva ragione Tom; ero solo un vigliacco e le mie erano tutte stronzate. Non avevo il coraggio di affrontarla, perché guardandola non avrei più trovato il suo sguardo innamorato, quello sguardo tanto intenso da riuscire a sciogliermi il cuore. Lei ora mi odiava e ne aveva tutte le ragioni. L'avevo ferita in modo brutale, l'avevo colpita con lo scopo di farle male ed in questo ero un vero maestro.
Mi sembrava di impazzire. Ero squarciato da istinti contrastanti: il cuore mi gridava di andare da lei, la testa mi diceva di lasciarla andare.
No, non potevo aiutarla. Niente di ciò che potevo dirle avrebbe alleviato il suo dolore, attenuato la sua rabbia, risanato il suo cuore ferito. Stavolta non era compito mio salvarla.
Il mio sguardo scivolò distratto sul foglio spiegazzato che avevo lasciato sul pavimento. Era il tema di Aly. Ancora non potevo credere che lo avesse scritto davvero lei, la ragazzina con gli occhi pieni di meraviglia. Da quelle righe scarabocchiate con rabbia emergeva tutta l'amarezza e la disillusione di un cuore ferito ed io sapevo fin troppo bene cosa si provava. Emozioni così intense ti segnavano l'anima, cambiandoti per sempre.
Mi spaventava vedere dove l'avevo spinta e la stessa paura l'avevo letta negli occhi di Tom. Lui lo sapeva, lui era lì quando era stato il mio animo ad essere spezzato. Pensare che Aly stava passando lo stesso... sentii affiorare la nausea, non riuscivo a tollerarlo. Non lei. Il suo animo dolce ne sarebbe uscito distrutto, la sua spontaneità e l'ingenuità che la rendevano così speciale non sarebbero sopravvissute. Era totalmente impreparata. Non poteva sapere che stava imboccando una strada a senso unico che puntava dritta all'autodistruzione.
Io c'ero passato e ancora mi portavo i segni addosso, per questo sapevo che Aly non poteva perdonarmi. Io non non avevo neanche voluto provarci. Se mi ero salvato lo dovevo solo a Tom. Anche se avevo fatto cose di cui non andavo fiero, lui non aveva mollato. Non potevo nemmeno contare i modi in cui mi aveva aiutato. La sua amicizia era stata la mia salvezza ed ecco come mi ero sdebitato. Ero davvero senza speranza.
Era colpa mia se Aly era in questa situazione e sentivo che era mio dovere fare qualcosa per lei. Ma cosa? E come? Se non ascoltava suo fratello, perché avrebbe dovuto ascoltare me? E poi cosa potevo fare io che Tom non avesse già tentato?
Era lui quello responsabile, quello che sapeva sempre cosa fare. Io non ero bravo a gestire le situazioni, avrei rischiato di peggiorare le cose. Mi presi il viso tra le mani sempre più combattuto.
Aiutare Aly voleva dire rinunciare a non avere legami e complicazioni, accettando poi tutte le conseguenze. Se decidevo di farlo, non avrei più potuto tirarmi indietro, dovevo arrivare fino in fondo anche se questo avesse voluto dire farmi odiare da lei. Qualcosa protestò davanti a questa prospettiva. L'emozione che per anni avevo cercato di seppellire e dimenticare riaffiorò prepotente accompagnata dalla solita voce. Nessuno ti ama. Nessuno potrà mai amarti.
Aiutare Aly significava affrontare tutti i fantasmi del passato, tutte le emozioni e i ricordi che così a lungo e così strenuamente avevo represso. Ero davvero disposto a tanto?
Guardai di nuovo il foglio che tenevo in mano. Dovevo fare una scelta.
Chiusi gli occhi un istante. Feci un respiro profondo. Continuavo a vedere solo lei, la mia piccola Aly.
Per la prima volta da non so più quanto tempo avevo qualcosa a cui tenevo, qualcosa che non volevo perdere e mi resi conto che non dovevo fare una scelta, sapevo perfettamente cosa volevo. Era arrivato il momento di correre qualche rischio, di lottare per proteggere ciò che amavo e se alla fine avessi perso non importava. Aly era importante, solo lei.
Presi il cellulare e scrissi il messaggio senza esitare.
«Ci sto. Dimmi solo dove la posso trovare.»

Ciao a tutti!!
Eccomi qua con un nuovo capitolo! Iniziamo ad intravedere si cosa nasconde dietro l'apparente splendore di Alex. Che ne pensate?
Riuscirà Alex ad aiutare la piccola Aly? Ma soprattutto Aly vorrà essere aiutata proprio da lui?
Se vi va venite a discuterne sulla mia nuova pagina Fb o anche solo a curiosare e cliccate Mi piace!!!!
Come sempre non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate!
A presto!!!

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Capitolo 25
*** Dangerous eyes ***


Dangerous eyes
Ciao a tutte/i!
Ecco qui il capitolo "scabroso", che poi rileggendolo a mente lucida di scabroso non ha quasi niente! ;)
Vabbé meglio prevenire che curare e poi chissà che il cambio di rating non torni utile per il futuro...
Ora vi lascio alla lettura e mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate!!


CAP

Ero lì da neanche un'ora e già mi stavo rompendo a morte. La musica, la gente, la confusione non facevevano per me. Però in fondo non era questo il motivo per cui avevo accettato di uscire? Per fare qualcosa di diverso, che non fosse tipico di me? Se dovevo chiudere con il passato, dovevo cambiare radicalmente. Diventare una nuova Aly, era questo il mio obiettivo.
Volevo essere come tutte le altre, una ragazza normale che usciva a far casino e a divertirsi e l'invito di Marcus era arrivato con un tempismo perfetto.

Di un anno più grande, Marcus era il sogno erotico di ogni ragazza dell'istituto, dalle matricole a quelle dell'ultimo anno. Ovviamente io e lui non avevamo niente in comune per questo mi aveva sorpreso quando all'uscita di scuola mi aveva avvicinata. Era successo così, semplicemente. Me lo aveva chiesto dopo qualche minuto passato a parlare delle solite banalità.
"Perché tu e le tue amiche stasera non uscite con noi?", mi aveva detto sfoderando quello che doveva essere il suo sorriso più abbagliante, "Vogliamo provare un nuovo locare, ci divertiamo!!"
Alle sue spalle le mie amiche, che non si erano lasciate sfuggire una parola, già saltavano entusiaste trattenendosi a stento dal gridare strappandosi i capelli. Nonostante le mie buone intenzioni io però non riuscivo a condividere il loro stato d'animo.
"Su, avanti!", insistette davanti alla mia titubanza, "Non accetto un no come risposta!"
Doveva essere una cosa nuova per lui la mia mancanza di entusiasmo. Ma cosa potevo farci se a me non faceva effetto? Le mie compagne mi avevano sempre dato della matta per questo, ma io mi ero sempre giustificata dicendo che non si vedevano le stelle quando splendeva il sole. Ed era così. Per quanto affascinante fosse Marcus, il mio interesse era sempre gravitato altrove.
Guardandolo meglio però dovevo ammettere che era davvero carino. Avevo sempre sentito dire che avesse uno sguardo magnetico ed era vero. Era intenso e penetrante, ma mi lasciava comunque indifferente. Che fosse colpa mia? In fondo ero l'unica che non subiva il suo fascino. Non un accenno d'ansia, niente farfalle nello stomaco, le ginocchia non tremavano, il cuore batteva al solito ritmo pacato... niente di niente. O forse ero riuscita ad ottenere ciò che volevo eliminando tutte le emozioni che per anni mi avevano annebbiato? Se davvero potevo scegliere razionalmente, il punto era: io volevo uscire con lui? La risposta istintiva fu un feroce no.
Stavo per rifiutare quando Marcus, con un gesto gentile, mi sfiorò la guancia sistemandomi una ciocca di capelli ribelle dietro l'orecchio. Un brivido mi risalì la schiena. Non era la stessa sensazione di allora, non era come quando a sfiorarmi era lui. Bloccai il pensiero all'istante. Non dovevo più pensarci. Ogni sensazione, ogni battito che mi aveva rubato erano stati solo il frutto di un gioco crudele.
"Ok, va bene.", risposi d'impulso.
Dovevo dimenticare. Cancellare ogni traccia delle emozioni che ancora si agitavano sotto la superficie, essere una nuova Aly.
"Grandioso!!", esclamò soddisfatto.
Restammo a parlare ancora un paio di minuti per accordarci e poi corsi a prendere l'autobus.
Una parte di me esultò compiaciuta. Era il primo passo per il cambiamento: uscire, frequentare persone nuove, andare per locali. L'altra parte invece protestava: non voleva vedersi con Marcus ed il suo gruppo. Non so nemmeno io perché poi fossi tanto a disagio. Era stato gentile ad invitarmi ed era davvero carino. Ciò nonostante l'istinto protestava.
Dell'istinto però non potevo fidarmi, già troppe volte mi aveva fregata. Mi aveva lasciato amare Alex che mi faceva battere forte il cuore, mi aveva spinto a fidarmi di Roxy e a credere nella sua lealtà, standosene zitto quando invece avrebbe dovuto mettermi in guardia. Seguirlo mi aveva portato solo guai per questo ero tanto decisa a fare l'opposto di ciò che diceva.

"Allora ti stai divertendo?", mi urlò Marcus all'orecchio per farsi sentire.
Cosa dovevo rispondergli? Che mi sembrava di essere finita all'inferno? Che avrei preferito battere la testa contro uno spigolo che restare ancora lì?
Mi limitai ad annuire accennando un sorriso. Dovevo abituarmi.
"Tieni!", mi disse porgendomi un bicchiere, "Ti ho preso una birra!"
"Io non bevo!", risposi automaticamente.
"Davvero?!", fece sorpreso.
Vidi che alzava un sopracciglio sbigottito, neanche gli avessi detto che avevo un terzo occhio o roba del genere. Poi però mi guardai intorno e notai che tutti, ma proprio tutti, stavano bevendo. Le mie compagne, i suoi amici ed ogni altro ragazzo in sala che non fosse impegnato a ballare.
Dovevo omologarmi. Afferrai il bicchiere strappandoglielo letteralmente dalle mani mimandogli un «Grazie».
Non mi piaceva bere, ma l'avevo già fatto qualche volta. La prima birra ovviamente era stata con Roxy. Quelle erano il genere di cose che facevo solo con lei. L'amarezza, nel ricordare che non sarebbe più successo, mi colpì forte come un pugno. Senza pensare svuotai il bicchiere.
Il sapore della birra era schifoso, pungente e amaro. Quella poi era particolarmente cattiva, anche se l'avevo ingoiata così in fretta da sentirne a mala pena il sapore. Il disgusto mi fece contrarre lo stomaco quasi immediatamente.
"Dai balliamo!", disse Marcus trascinandomi per un braccio.
La pista era super affollata. Non c'era spazio per muoversi, non riuscivo a respirare. Sentivo caldo e avevo la testa leggera. Continuavo a venir sballottata a destra e sinistra da estranei che si muovevano convulsamente l'uno sull'altro.
Stavo per vomitare.
"Devo andarmene...", sbiasciai senza preoccuparmi che Marcus mi sentisse.
"Vieni ti accompagno a prendere un po' d'aria.", mi disse prendendomi di nuovo per mano e riprendendo a farsi largo tra la calca.
Pensavo che non sarei mai riuscita ad uscirne senza dare di stomaco, ma alla fine la gente cominciò a diradarsi fino a che non raggiungemmo una specie di anticamera semi deserta tra i bagni e l'uscita di sicurezza.
"Va meglio?", mi domandò.
Non ne ero sicura. La testa mi girava e mi sentivo confusa, senza contare che avevo ancora voglia di vomitare. Doveva essere colpa della birra.
Marcus mi si avvicinò cominciando ad accarezzarmi il viso. Di nuovo a quel contatto rabbirviddii. Non mi piaceva che mi toccasse.
"Sei molto bella, lo sai?", mi sussurrò all'orecchio.
Era la prima volta che qualcuno me lo diceva o almeno era la prima volta che me lo diceva un ragazzo. Possibile che fosse interessato a me?
Un moto di repulsione mi fulminò.
"Forse dovremmo tornare...", iniziai sentendo l'agitazione peggiorare il mio malessere, "Voglio andare a casa."
"Dev'essere davvero brutto... Voglio dire venire tradita dalla tua migliore amica...", mormorò lasciando la frase incompiuta.
Fu una stilettata al petto. Un fulmine a ciel sereno. Come faceva lui a saperlo?
Lo guardai sgranando gli occhi, sentendo il panico salire, mentre riguadagnavo un po' di lucidità.
"Le voci girano. Me l'hanno detto delle ragazze che l'hanno sentito raccontare da quella tua amica... com'è che si chiama?", si giustificò sforzandosi di ricordare.
Roxy!! No. Perchè?! Era l'ultima cosa che volevo, quella che avevo voluto evitare con tutta l'anima. Ora tutta la scuola sapeva. Le lacrime mi riempirono gli occhi davanti a quell'ennesimo tradimento.
"Deve essere dura.", mormorò comprensivo addolcendo la voce.
Istintivamente indietreggiai fino a trovarmi spalle al muro.
"Vedo il dolore nei tuoi occhi. Ma se vuoi posso aiutarti. Se vuoi posso farti dimenticare tutto.", sussurrò ormai così vicino da sentire il suo fiato sulla guancia.
Dimenticare. Poteva davvero farmi dimenticare tutto? Cancellare il buco che avevo dentro?
Valeva la pena tentare. Anche se Marcus non mi piaceva e non mi faceva battere il cuore, forse poteva davvero aiutarmi a lasciarmi tutto alle spalle. Lasciai che si avvicinasse, lasciai che per un attimo mi baciasse, ma non appena le sue labbra si poggiarono sulle mie, la repulsione esplose di nuovo. Non potevo.
"Scusa, ma non posso.", dissi cercando di sottrarmi.
Lui però non si fermò. Premette le sue labbra con forza sulle mie cercando di forzarmi. Provai ad allontanarlo, a divincolarmi, a colpirlo, ma mi sentivo stordita e lui era più forte di me.
"Dai, non fare la ritrosa. Ci divertiamo...", disse stringendo la presa.
In un attimo la sua espressione cambiò totalmente. Una luce fredda gli illuminò lo sguardo.
Col corpo mi imprigionò contro il muro impedendomi di muovemi, mentre tentava ancora di baciarmi. Io voltavo la testa per sfuggirgli, ma sepevo che non sarebbe bastato a fermarlo.
Cosa stava succedendo? Come ero finita in quella situazione? Cosa dovevo fare?
Sentii il panico sopraggiungere, insieme ad una disperata consapevolezza. Nessuno poteva sentirmi in mezzo a quel casino.
Provai di nuovo spingerlo via, ma senza successo. Ero troppo debole, troppo confusa ed intontita.
Visto che non riusciva a baciarmi, spostò le sue labbra sul collo scendendo fino alla spalla. Volevo fermarlo, volevo che smettesse, ma ero completamente inerme.
Avrei dovuto gridare aiuto, ma ero paralizzata. Ormai stavo singhiozzando invasa dalla paura più nera.
Marcus mi afferrò con la mano un seno stringendolo con forza.
Qualcuno mi aiuti! Ma il mio grido rimase solo nella mia testa.
Non volevo. Era la mia prima volta. Non così.
"Nooo... ti prego...", lo implorai piangendo.
Lo sentii ridere, mentre con la mano aveva preso ad armeggiare con i pantaloni.
Pregai con tutte le forze che qualcuno mi aiutasse, ponendo fine a quest'incubo. L'attimo dopo con mia sorpresa non lo sentii più. Qualcuno aveva esaudito la mia preghiera.
"Toglile le mani di dosso, schifoso bastardo!", ringhiò feroce una voce.
Anche se resa più roca e graffiante dalla rabbia, la riconobbi subito. La sua voce. Alex. Era venuto a salvarmi. Un'ondata di sollievo mi invase.
Mi imposi di aprire gli occhi e lo vidi. Stava tra me e Marcus con il braccio sinistro teso nella mia direzione. Mi lasciai cadere a terra. Era finita. Ora ero al sicuro.
"Fatti i cazzi tuoi, stronzo!", gli urlò Marcus.
"Lei è affar mio.", gli rispose, "Ora ti consiglio di andartene finché puoi farlo sulle tue gambe!"
Non avevo mai sentito Alex tanto minaccioso e paradossalmente mi fece sentire protetta. Indipendentemente da tutto sapevo che non gli avrebbe più permesso di toccarmi e anche Marcus lo capì perché, con la coda tra le gambe, fece per andarsene. All'ultimo momento però si girò e si scagliò su Alex colpendolo a tradimento.
"Dio, non sai quanto ho sperato che lo facessi!!", disse rispondendo al colpo tanto forte da scaraventarlo a terra.
Prima che Marcus potesse rialzarsi Alex lo afferrò per la maglia rimettendolo in piedi e sbattendolo con forza contro una colonna.
Non riuscii a sentire cosa si dissero, ma vidi Alex premergli un braccio contro la gola ed il volto di Marcus da rosso di rabbia divenne cianotico. Quando infine lo liberò, prima di scappare, si voltò verso di me per dire qualcosa, ma le orecchie mi fischiavano troppo forte perchè riuscissi a sentirlo.
E di colpo mi ritrovai da sola con lui. Di nuovo l'agitazione tornò ad aggredirmi, ma stavolta era una forma più dolce e decisamente più piacevole.
Alex esitò un attimo. Lo vidi prendere dei grossi respiri e passarsi più volte le mani tra i capelli.
Mi resi conto di stare trattenendo il fiato, aspettando il momento in cui finalmente si sarebbe girato verso di me. Era il momento prima dell'alba ed io stavo aspettando di veder sorgere il sole. Desiderio e paura si mischiarono nella mia anima. Morivo dalla voglia di vederlo, ma allo stesso tempo la sola idea mi terrorizzava. Lui era ancora il mio sole ed io mi reggevo su fragili ali di cera.
"Si può sapere perché non hai gridato o fatto qualcosa?", mi sgridò senza voltarsi.
Era arrabbiato. Era molto arrabbiato e questo era semplicemente ridicolo. Dopo tutto quello che avevo passato avrei dovuto essere io ad urlare, non lui ed invece stavo lì a guardarlo inebetita mentre lui mi rimproverava.
"Hai idea di quello che poteva accaderti, eh?", continuò la sua paternale.
Un brivido mi risalì il corpo gelandomi il sangue. Non ci volevo pensare. Ancora sentivo le sue mani addosso. Mi sentivo sporca e allo stesso tempo colpevole per aver permesso a Marcus di spingersi tanto oltre.
Finalmente Alex si voltò. Rimasi folgorata come la prima volta che l'avevo visto. Dopo tutto il dolore che avevo sopportarto, dopo tutto quello che mi aveva portato via, ero ancora inesorabilmente attratta da lui. Era ancora il mio sole, il mio Alex, il mio eroe.
"Ti ha fatto qualcosa?", mi domandò cauto con voce cada inginocchiandosi davanti a me.
La sua voce... Dio quanto mi era mancata! Poco importava che odiassi che ancora mi facesse lo stesso effetto. Mi era bastato sentirla per impazzire, per risvegliare ogni singola terminazione nervosa che avevo in corpo.
Scossi la testa incapace di parlare.
C'era tensione tra noi, ma non capivo se era dovuto all'incidente con Marcus o alla situazione in generale. Era tutto così assurdo, così inverosimile.
"Stai bene?", mi domandò premuroso.
Da tempo avevo imparato che quando qualcuno mi faceva quella domanda, non era realmente interessato alla risposta, ma voleva solo essere rassicurato, sentirsi dire «Si, va tutto bene.».
"No.", mi uscì invece, "Non sto bene. Non sto bene affatto.", piagnucolai.
Nonostante il numero di volte che avevo ripetuto a me stessa e agli altri che stavo bene, davanti a lui non riuscii a dirlo, perché la verità era che non stavo bene.
Alex non disse niente. In qualche modo sapeva che non stavo parlando di ciò che era appena successo. Per quanto grande fosse stata la paura che avevo avuto, non era niente rispetto al dolore che mi divorava.
"Ti porto a casa.", si limitò a dire dopo un po' distogliendo lo sguardo e offrendosi di aiutare ad alzarmi.
"No.", risposi ritraendo la mano come per timore di ustionarmi.
Non avrei sopportato di toccarlo. Il mio cuore non avrebbe retto.
"Ok.", riprese pacato, "Vado a chiamare i tuoi amici. Ti accompagneranno loro."
Di colpo mi invase il panico. Stava per andarsene. Stava per lasciarmi di nuovo. Prima di rendermene conto lo afferrai. Lui mi guardò confuso.
"Perché Alex?", gli chiesi allora quasi supplicando, "Perché?"
Erano mesi che quella domanda mi divorava. Perché era stato con Roxy? Perché mi aveva detto quelle cose? Perché per una volta non poteva guardare me come faceva con le altre?
Gli occhi gli si riempirono di una tristezza infinita. Non disse niente, ma mi strinse forte a sé. Sentii il calore del suo corpo riversarsi sul mio, il battito del suo cuore echeggiarmi nelle orecchie, le sue braccia cingermi la vita. E come per magia il cuore che da mesi era muto tornò a battere. Ero di nuovo viva. Ero di nuovo felice.
Poi però le immagini che così strenuamente avevo ricacciato e cercato di dimenticare riaffiorarono graffianti. Alex e Roxy...
Tutta l'angoscia, il dolore e la rabbia esplosero di colpo. Perché aveva dovuto ferirmi? Perché aveva dovuto rovinare tutto?
"Io ti odio!!", gridai iniziando a colpirlo con i pugni chiusi sul petto, "Mi hai capito? Ti odio Alex! Ti odio da morire!!"
Alex non protestò, né si sottrasse alla furia del mio sfogo. Continuò a stringermi finché non finii per singhiozzare poggiata al suo petto.
"Anch'io mi odio.", mi disse poi in un sussurro.
Alzai la testa istintivamente e i nostri sguardi, dopo non so quanto tempo, si incrociarono. Non so se fu per questo o a causa dell'alcol o se forse fu solo il bisogno che da troppo tempo mi bruciava dentro. Scattò qualcosa e mi ritrovai a baciarlo.
Non fu un bacio dolce o romantico. Non fu un bacio casto. Fu un bacio vero, intenso, passionale.
Le labbra di Alex si muovevano spasmodiche sulle mie, mentre con le mani mi accarezzava la schiena, le spalle, i fianchi. Quando la sua lingua sfiorò la mia pensai di morire.
In quel momento io ero sua e lui era mio. Intrecciai le dita ai suoi capelli stringendomi a lui con la forza della disperazione. Avevo il cuore che andava a mille e il corpo acceso da un arcobaleno di sensazioni ed emozioni diverse.
Poi di colpo Alex si staccò da me bruscamente.
"Mi dispiace Aly.", disse col fiato corto, "Io non avrei dovuto..."
Vidi che continuava a parlare, ma non riuscii più a sentire la sua voce.
Successe tutto in un attimo.
La testa mi girò violentemente, dei punti bianchi mi offuscarono la vista e un fischio mi tappò le orecchie. Indietreggiai per appoggiarmi. Sentii la superficie fredda dell'acciaio dell'uscita di sicurezza sotto le dita. Poi un click. La parete sparì e caddi nel vuoto.
Stupide ali di cera!

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Capitolo 26
*** Ombre dal passato ***


Ombre dal passato
PdV di Alex

Era già la terza volta che arrivavo all'ingresso del locale e poi tornavo in macchina. Ero davvero un coglione.
Tom mi aveva messaggiato il nome del locale e l'ora ed adesso che ero lì non sapevo cosa fare. Di solito quando ero nei casini era Tom ad aiutarmi, ma stavolta dovevo tirarmene fuori da solo. Lo avevo fatto incazzare di brutto e non sarebbe stato facile sistemare le cose, ma per avere una chance dovevo prima di tutto occuparmi di Aly.
Era però più facile a dirsi che a farsi. Ero partito pronto a spaccare il mondo ed ero finito a rintanarmi in macchina cercando un modo di venirne a capo.
Ma cosa pensavo di risolvere stasera? Mica potevo parlarle in discoteca con la musica a palla. Cosa volevo fare, trascinarla fuori e costringerla ad affrontarmi? Più ci pensavo, più non mi sembrava una buona idea. Che diavolo ci facevo lì? Era meglio aspettare un'altra occasione. Di sicuro ci sarebbero stati un momento e un luogo più adatti per quella che già si preannunciava come la chiacchierata più difficile di tutta la mia vita.
Senza pensarci oltre girai la chiave e misi in moto. Nello stesso istante qualcuno bussò alla finestrino. Tom.
“Vai da qualche parte?”, fece visibilmente incazzato.
“Si può sapere che cazzo ci fai tu qui?”, chiesi sbigottito.
Che Tom fosse protettivo verso sua sorella lo sapevo, ma arrivare a seguirla quando usciva era pura follia.
“Sapevo come sarebbe andata a finire.”, sibilò guardandomi con biasimo.
“Non è né il posto né il momento, Tom. Le parlerò, te lo giuro.”, mi giustificai sentendomi colto in fallo.
“No, invece è proprio questo il momento. Ma non lo vedi dov'è finita?”, gridò.
Aly era in discoteca e allora? Era uscita, ma non era certo la fine del mondo. Era normale alla sua età, e dopo quello che aveva attraversato era positivo che cercasse di distrarsi. Forse stava guarendo, forse non ci sarebbe stato bisogno del mio aiuto.
“Cristo Alex. Non puoi aver dimenticato!”, sbottò.
Dimenticato cosa? Mi guardai intorno perplesso. Non avevo mai sentito nominare quel posto in vita mia e, di certo, non rientrava tra genere di locali che ero solito frequentare. Eppure c'era qualcosa. Ora che lo guardavo meglio mi sembrava familiare.
“Ma di cosa mi sorprendo!”, fece Tom esasperato, “La maggior parte delle volte che ti ho raccattato da qui non eri nemmeno cosciente!”
Un flash. Un ricordo. All'epoca aveva un altro nome, ma di sicuro era lo stesso posto. Erano passati anni. Più ricordavo, più sentivo una morsa allo stomaco. Che cazzo ci faceva Aly qui?
Scesi di macchina a razzo determinato a portarla via a costo di dovermela caricare in spalla.
Non appena entrai fui sommerso dai ricordi. L'odore e l'atmosfera che si respiravano mi riportarono per un attimo indietro di una decina d'anni.
Era stato un periodo buio e, ad essere sincero, i pochi ricordi che avevo erano piuttosto nebulosi. Non andavo fiero di ciò che avevo fatto, della persona che ero stata: uno sregolato, un ribelle, un incubo per la mia famiglia. L'alcol, il fumo, le pasticche erano solo la punta dell'iceberg. C'erano state le risse, i ricoveri e un paio di volte avevo anche rischiato l'arresto. Ero così frustrato, così pieno di rabbia da arrivare quasi ad autodistruggermi e tutto per un cuore infranto. Il mio cuore.
Non avrei permesso ad Aly di commettere i miei stessi errori. Lei era migliore di me, era troppo intelligente e pulita per fare la stessa fine. No, era senz'altro un caso se si trovava lì. Lei non doveva sapere che tipo di locale fosse.
Questo pensiero non mi tranquillizzò, anzi mi rese ancora più teso. L'ignoranza non era una scusa, al massimo un'aggravante. E se invece sapeva? In fondo io sapevo ciò che facevo la prima volta che c'ero venuto. Ricordavo ancora chiaramente il desiderio di sfuggire al dolore opprimente, solo per un attimo, solo per una volta. Ma non era mai una volta sola.
Era davvero troppo pericoloso. Quel posto era pericoloso, la gente che lo frequentava lo era. Rabbrividii al solo pensiero della mia piccola Aly là dentro. Dovevo decisamente tirarla fuori.
Il locale era gremito e per un attimo mi prese il panico. Come avrei fatto a trovarla in mezzo alla bolgia?
“Finalmente! Si può sapere dove cazzo sei stato?”, gridò un ragazzo dietro di me.
Mi girai di scatto pronto a togliermi dalle palle chiunque fosse e mi ritrovai davanti Ryler che mi fissava con occhi truci. Ma cos'era la serata tutti contro Alex? Si può sapere cosa voleva lui da me e perché sembrava che mi stesse aspettando?
“Tom”, disse a mo' di spiegazione.
Non servì altro. Lo conoscevo abbastanza da riconoscere la sua firma in quell'organizzazione maniacale. Se c'era la sicurezza di sua sorella in ballo, non aveva lasciato niente al caso.
Dai muoviamoci! Ho lasciato Kay a tenerla d'occhio.”
Alla faccia dell'organizzazione. Tom era peggio della CIA. Ma cosa aveva fatto? Disseminato il locale di spie?
Frastornato gli andai dietro fino ad un piccolo palco affacciato sulla pista.
“Kay!”, urlò Ryler sfiorando il braccio ad una biondina.
Solo quando si voltò la riconobbi. L'avevo già vista dai Williams. Era una delle amiche di Aly.
“Lei dov'è?”, chiesi saltando i convenevoli.
Ero smanioso. Non ero abituato a quell'altalena di emozioni. Non ero abituato a preoccuparmi per qualcuno, non ero abituato a sentirmi così nervoso e agitato. Non ero abituato a vedere la mia pace dipendere da un'altra persona. Per anni avevo pensato a me stesso come ad un'isola. Sufficiente nella mia interezza.
“Marcus l'ha portata in pista.”, ci urlò.
Marcus? Chi cazzo era e cosa ci faceva con la mia Aly? Afferrai Ryler per un braccio.
“È venuta qui con un ragazzo?!”, mi uscì con un tono che non riconobbi.
Perché cazzo non ne sapevo niente? Certo, questo dettaglio Tom si era ben guardato dal condividerlo. Ero davvero un coglione. Io mi ero ammazzato di seghe mentali e lei era con un altro. Aveva fatto in fretta a dimenticarmi.
La frustrazione mi morse feroce, insieme ad una sensazione fastidiosa e pungente. Ero infastidito. No, ero incazzato, incazzato nero.
“La sta portando via.”, urlò la ragazza di cui già non ricordavo il nome.
Mi voltai di scatto seguendo la direzione del suo indice e la vidi. Era con lui. Lo teneva per un braccio. Sentii una fitta al petto e il bisogno di allontanarmi. Poi però notai che c'era qualcosa di diverso. La sua andatura era... strana.
Stavano andando verso il retro. Mi balzarono in mente diverse immagini: un luogo appartato, buio, loro due insieme...
NOOO!!!
Era disgustoso e squallido. Non potevo permetterlo. Quella era la mia Aly.
Furioso come non ero da anni cominciai a seguirli. Non era facile avanzare tra la folla, ma alla fine, perso anche l'ultimo briciolo di pazienza e buona educazione, presi a farmi largo in malo modo. Quando li raggiunsi, si stavano baciando. Quello stronzo stava baciando la mia Aly. Cercava di infilarle le mani sotto la maglietta. Poi mi resi conto che lei stava piangendo e capii. Non ci vidi più.
“Toglile le mani di dosso, schifoso bastardo!”, ruggii.
Mi scaraventai su quel verme come una furia strappandoglielo letteralmente di dosso e frapponendomi tra loro. Aly tremava come una foglia, sul volto un'espressione di puro terrore.
Cosa le aveva fatto? La mia immaginazione galoppava feroce accrescendo la rabbia che mi scuoteva il corpo. Le lanciai una rapida occhiata. Aveva la maglietta alzata e la pelle arrossata, ma non sembrava averle fatto niente di ciò che avevo immaginato. Ciò non placò il mio folle desiderio di fargli sputare l'anima.
“Fatti i cazzi tuoi!”, mi apostrofò indispettito.
Bastardo arrogante! Possibile che non capisse che era un miracolo se ancora non lo avevo massacrato? Come si era permesso di metterle le mani addosso? Di toccarla senza il suo permesso?
“Lei è affar mio!”, sbraitai, “Ora vattene finché puoi farlo con le tue gambe!”
Se voleva continuare a respirare senza bisogno di aiuto, quello era il momento di andarsene. Ero al limite. Un'altra sillaba e avrei perso il controllo. Erano anni che non sentivo il desiderio di picchiare brutalmente qualcuno. Pensavo di essermi liberato di quel lato del mio carattere quando avevo messo da parte tutto lo schifo, ma in realtà non mi ero liberato di niente, era ancora tutto lì sotto la superficie.
Fortunatamente il coglione pensò bene di non approfittare oltre della sua buona stella e fece per andarsene. Per quanto la voglia di fargli ingoiare i denti bruciasse, non volevo che Aly mi vedesse così. Poi però si voltò di scatto tirandomi un pugno. Mi venne quasi da ridere per quel colpo patetico, ma allo stesso tempo mi sentii sollevato.
“Dio, non sai quanto ho sperato che lo facessi!”, sibilai grato concedendomi un unico pugno.
Cadde a terra rintontito per la violenza con cui lo avevo colpito, mentre io lo guardavo insoddisfatto. Ora più che mai volevo vedergli sputare sangue. Il mio lato oscuro stava riemergendo portanosi dietro tutti gli impulsi  peggiori.
“Se vuoi fartela prima tu basta dirlo.”, ridacchiò strafottente.
Lo afferrai per la camicia alzandolo di peso o lo appiccicai ad una colonna. Tremavo di rabbia. Non sapevo quale santo mi stesse trattenendo. Potevo fargli male. Volevo fargli male.
Gli schiacciai la gola con il braccio e lui strabuzzò gli occhi cercando invano di farmi mollare la presa.
“Ora apri quelle orecchie del cazzo e ascoltami bene perché non te lo dirò una seconda volta.”, gli ordinai tagliente guardandolo dritto negli occhi, “Se proverai di nuovo anche solo a guardare nella sua direzione, io ti troverò e ti spezzerò le gambe. E se scopro che le hai fatto qualcosa... oh allora rimpiangerai il giorno in cui sei nato. Sono stato chiaro?”
Lui si limitò ad annuire ormai cianotico.
“Bene. Ora levati dalle palle, prima che cambi idea e visto che ci sei porgile le tue scuse.” gli ordinai mollando la presa.
Lui bofonchiò qualcosa e scappò via più veloce che poté. Non avevo dubbi che il messaggio gli fosse arrivato forte e chiaro e che non avrebbe più osato avvicinarsi a lei.
Aly. Di colpo mi ricordai di lei. Era scivolata lungo la parete finendo seduta a terra. Non fiatava, ma sentivo il suo sguardo trapassarmi le spalle. Eravamo soli. Mi irrigidii colto da uno strano nervosismo. Doveva essere terrorizzata, povera piccola, e di certo non l'aveva aiutata vedermi agire in preda ad una furia omicida.
Cercai di raccogliere le idee. Dovevo calmarmi, dovevo provare a rassicurarla. Facile a dirsi!
Mentre raggiungevo il locale mi ero preparato un discorso, ma non ne ricordavo più nemmeno una parola. Non ero mai stato tanto agitato in vita mia e la rabbia che mi ribolliva dentro non mi aiutava affatto. Dovevo calmarmi. Dovevo assolutamente recuperare l'autocontrollo. Aly aveva già avuto abbastanza emozioni forti per stasera.
Feci due profondi respiri. Mi passai le mani sul volto e sui capelli cercando di pensare. Dovevo dirle qualcosa o era meglio stringerla forte? Potevo farlo? Me lo avrebbe permesso? Forse dovevo solo chiamare Tom. Cercai con la mano il telefono nella tasca della giacca quando di colpo mi venne in mente di non averla sentita gridare e la cosa mi fece esplodere.
"Si può sapere perché non hai gridato o fatto qualcosa?”, le gridai di colpo senza ancora il coraggio di voltarmi a guardarla.
Lei sussultò, ma non disse niente. Possibile che non ci avesse nemmeno provato? E se non fossi riuscito a trovarla? E se l'avesse trascinata via, invece di restare lì? La sola idea rianimò il desiderio di spaccare la testa a quel bastardo.
“Hai idea di cosa poteva accaderti, eh?”, le dissi rabbrividendo al pensiero.
Cosa avrei fatto se le fosse successo qualcosa? Come l'avrei sopportato?
La sentii singhiozzare più forte. Doveva essere davvero molto scossa e le mie grida non la stavano aiutando. Feci un respiro profondo e poi lentamente mi girai.
Era bellissima. Anche se era sconvolta e spaventata, con il trucco disfatto ed i capelli sconvolti era semplicemente perfetta. Era la mia piccola, dolce e fragile Aly. Vederla così mi fece venir voglia di proteggerla, di prendermi cura di lei.
“Ti ha fatto qualcosa?”, le dissi inginocchiandomi davanti a lei.
Non sembrava ferita, ma di sicuro era sotto shock. Non riusciva a parlare. Si limitò a farmi un cenno negativo con la testa. Mi guardava con occhi sgranati. Sembrava tesa.
“Stai bene?”, chiesi di nuovo.
Forse era il caso di chiamare un'ambulanza. Mi sarei sentito più tranquillo se l'avesse visitata un medico.
“No. Non sto bene. Non sto bene affatto.”, rispose infine con voce rotta.
Aveva lo sguardo pieno di dolore e sapevo che per quello non potevo accusare nessuno a parte me stesso. Accusai il colpo in silenzio. Ero sempre stato consapevole di averla ferita, ma vederlo così era tutto un altro paio di maniche. Era colpa mia, ma non era questo il momento di chiarirsi. Era troppo sconvolta e decisamente provata. In più doveva aver bevuto perché non sembrava in sé e se davvero dovevo farlo, volevo farlo bene.
“Ti porto a casa.”, mi limitai a dirle.
Avrei dovuto chiamare Tom e affidarla a lui. Era sicuramente la scelta più saggia, eppure non lo feci. Volevo essere io a prendermene cura, volevo restarle vicino, o forse più egoisticamente non volevo separarmene. Dio quanto mi era mancata!
Allungai la mano per aiutarla ad alzarsi, ma lei la rifiutò ritraendosi bruscamente.
“No!”, gridò con dolore.
Non voleva che la toccassi. Faceva male, ma era giusto così. Aveva tutte le ragioni del mondo per non volerlo. Mi odiava e non c'era da sorprendersi che non volesse più avere niente a che fare con me.
L'avevo persa. Questo pensiero mi trafisse il cuore. Le lacrime mi pizzicarono gli occhi, ma le ricacciai indietro. Stavolta me l'ero meritato, avevo rovinato tutto.
“Ok. Vado a chiamare i tuoi amici. Ti accompagneranno loro.”, dissi cercando il mio tono più neutro.
Mi alzai in piedi ed esitai un attimo prima di andare, consapevole del fatto che probabilmente non l'avrei più rivista. Prima che potessi fare un passo però Aly mi afferrò il braccio con tutte e due le mani. Era una presa decisa, forte. Non capivo.
“Perché Alex? Perché?”, chiese implorante.
Avrei voluto avere una risposta, ma quali parole potevano cancellare l'angoscia e il dolore che sentivo spezzarle la voce? Anche se le avessi detto tutto, sarebbe davvero bastato o sarebbe servito solo a me per alleggerirmi la coscienza?
Smisi di pensare e la strinsi forte. Non sapevo nemmeno io da quanto tempo sognavo di farlo. La minima protesta sarebbe bastata per farmi desistere, ma lei non si mosse. Poggiò la testa al mio petto, le mani strinsero i miei fianchi.
Poi i muscoli le si contrassero e divenne rigida e tesa.
“Io ti odio!”, urlò lasciando esplodere rabbia e dolore, “ Mi hai capito? Ti odio Alex! Ti odio da morire!”
Gridava colpendomi al petto con una mano, ma con l'altra ancora mi stringeva, come temesse di venir lasciata sola. Non mi mossi. Mi mise addosso una tristezza infinita vederla così ferita, smarrita e spaventata. Lasciai che si sfogasse, lasciai che mi riversasse addosso tutto il dolore, la rabbia e la frustrazione che avevo causato. Alle fine esausta mi si appoggiò al petto singhiozzando.
“Anch'io mi odio.” pensai rendendomi conto solo quando Aly alzò lo sguardo che dovevo aver parlato ad alta voce.
Aveva l'espressione stravolta e stanca. Gli occhi erano lucidi, gonfi e arrossati, ma finalmente limpidi, privi dell'ombra che li aveva spenti. Mi stava di nuovo mostrando il suo cuore, quel cuore che io senza pensarci avevo strappato e buttato via. Che ancora non fosse tutto perduto?
Il verde brillante dei suoi occhi mi risucchiò inghiottendomi. Non so come, ma avevano un legame diretto con la mia anima, un accesso privilegiato al mio cuore. Solo Aly sapeva farlo, solo lei era capace di risvegliare emozioni profonde. Non avevo mai provato un sentimento così forte per qualcuno, non mi era mai importato di nessuno come mi importava di lei, non avevo mai desiderato tanto una donna in vita mia. La volevo, ma era un desiderio diverso dal solito che andava ben oltre il lato fisico.
L'aria tra noi divenne elettrica. Scattò qualcosa e sentii le sue labbra sulle mie. Non sapevo chi dei due avesse ceduto per primo e non me ne importava. Era il paradiso.
Nonostante tutte le donne che avevo avuto nessuna mi aveva mai trasmesso tanto. Era straordinaria la capacità di Aly di rendere gesti banali, come carezze e baci, così intimi, intensi e profondi. Se baciare qualcuno voleva dire provare quel tripudio di emozioni, allora dovevo ammettere di non aver mai baciato nessuno. Era incredibile, era esplosivo ed elettrizzante. Non mi ero mai eccitato tanto solo per un bacio.
Mi abbandonai a lei completamente godendomi il momento. Mi aveva stregato. Ero suo. Catturai le sue labbra morbide succhiandole con avidità. Adoravo il suo sapore dolce, anche se sporcato dal gusto della birra.
Aly si aggrappò forte a me, rispondendo con lo stesso impeto, palesando lo stesso bisogno che mi bruciava dentro. La strinsi in preda ad una smania, accarezzandole la schiena, le spalle, i fianchi... La volevo. La volevo da morire.
Risvegliato dall'impeto del desiderio mi staccai da lei bruscamente.
“Mi dispiace Aly. Non avrei dovuto, non così. Non voglio approfittarmi di te.”, le dissi cercando di non farla sentire rifiutata, perché Dio solo sapeva quanto desiderassi farla mia, ma era ubriaca e stavolta volevo fare le cose per bene.
Abbassai lo sguardo per un attimo, il tempo di riprendere il controllo e quando lo rialzai mi resi conto che era diventata pallida, troppo pallida. Ondeggiava incapace di stare in piedi, cercando di appoggiarsi alla porta antincendio dietro di lei.
Tom mi chiamò ed istintivamente mi voltai. Fu una distrazione fatale. Sembrò che il tempo rallentasse. Aly si appoggiò al maniglione antipanico, la serratura scattò con un rumore secco, la porta si aprì e lei cadde.

Eccomi di nuovo qua!
La parola torna ad Alex, che finalmente rivela qualche aspetto di quel passato misterioso che lo tormenta tanto. Ma è solo la punta dell'iceberg.... ;) ;)
Non ero certa di voler postare questo cap, ma alla fine non ho saputo resistere. Spero che vi sia piaciuto e se vi va fatemi sapere!!!!
Un saluto!!! A presto!!!

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Capitolo 27
*** Breaking news ***


Ricovero
CAP

Aprii gli occhi disorientata. Dov'ero finita? Non era la mia stanza.
Avevo male dappertutto. La testa sembrava sul punto di esplodere. Pulsava forte, causandomi un dolore sordo e fastidioso, ma non era niente confronto alla gamba. Abbassando lo sguardo vidi, nonostante la penombra, che era ingessata. Come avevo fatto a romperla? Quando era successo?
Non ci capivo niente. Continuai a scrutare la stanza cercando di raccapezzarmi. C'era un filo che sembrava spuntarmi dall'indice, avevo un ago conficcato nel braccio e un bip fastidioso mi rimbombava in testa. Poi finalmente unii i puntini: l'ingessatura, l'ago, il bip, il letto scomodo... Ero in ospedale. Era la prima volta come paziente. Non mi piaceva.
Volevo andare a casa. Volevo andarci subito.
Spostai febbrilmente lo sguardo da un lato all'altro della stanza e solo allora notai che papà dormiva sulla poltrona alla mia destra. Dall'altro lato Tom si era appisolato appoggiato al letto. Mamma era sul divanetto sotto la finestra. Erano tutti lì.
La lacrime arrivarono immediate, mentre l'agitazione un po' scemava. Allungai la mano verso Tom visto che papà era fuori portata. Mi dispiaceva svegliarlo, ma doveva assolutamente portarmi via. Gli toccai il braccio e lui grugnì qualcosa, ma non si mosse. Ecco, era il solito ghiro. Non lo svegliavano nemmeno le cannonate.
“Tom.”, lo chiamai con la voce impastata.
Avevo la gola secca. Era sgradevole.
“Lasciami dormire...”, farfugliò lui assonnato.
L'attimo dopo scattò su come una molla. Aveva gli occhi spiritati. Faceva quasi paura.
“Aly!!”, esclamò sorridendomi, “Dio ti ringrazio! Come stai sorellina?”
Lo fissai sbigottita. Era la rappresentazione fisica del sollievo. Mi accarezzava i capelli con delicatezza, cercando di ricomporsi. Aveva gli occhi lucidi. Non ci credevo, Tom stava per piangere. Stavolta l'avevo combinata davvero grossa!
“Voglio andare a casa.”
“Non cominciare. Non puoi andare a casa.”, sbuffò passandosi la mano sul volto.
“Ma io...”, piagnucolai.
“Aly sei incosciente da quasi ventiquattrore, non hai fatto che aprire gli occhi e svenire e ti sei quasi rotta la testa rotolando giù per due rampe di scale, quindi tu ora resti qui e smetti di fare i capricci, intesi?”, fece perentorio.
Annuii sforzandomi di non piangere e di fermare il fremito del labbro.
Tom sospirò e mi baciò in fronte.
“Ci hai fatto spaventare tutti.”, mi sussurrò più dolcemente.
“Vado a chiamare il dottore.”, aggiunse poi dopo l'ennesima carezza.
L'ora successiva la passai tra le visite dei dottori e i lamenti isterici di mamma. Alla fine ero così stravolta che mi addormentai di botto. Al mio risveglio nella stanza c'era solo mio fratello. A giudicare dalla luce abbagliante il sole doveva essere già alto.
“Dove sono mamma e papà?”, borbottai ancora mezza addormentata.
“Li ho convinti ad andare a riposarsi un po'. Ne avevano davvero bisogno.”, mi rispose stiracchiandosi.
“Anche tu sembri stanco. Hai una faccia...”
“Senti chi parla! Non sono io quello in un letto d'ospedale.”, ribatté col solito tono da Tom.
“Va un po' meglio?”, mi domandò dopo un po'.
“Insomma... la testa mi scoppia. Mi sento un po' confusa.”
“Mamma pensa di metterti in punizione a vita.”, mi disse con un mezzo sorriso.
L'idea sembrava divertirlo.
“Stavolta credo di essermelo meritato.”, mormorai colpevole.
Mamma era davvero spaventata e papà... oh, lui non aveva gridato o fatto scenate. Non era nel suo carattere, ma in qualche modo quel suo silenzio era stato anche peggio. La sua angoscia e la preoccupazione mi erano arrivate dritte al cuore.
“Mi dici cosa mi è successo?”, chiesi visto che per quanto mi sforzassi non ricordavo niente di niente.
“Non lo sai?”, ribatté Tom aggrottando le sopracciglia perplesso.
Feci cenno di no con la testa. Pessima idea. La stanza iniziò a girare pericolosamente.
“Ricordo la discoteca, il locale... ero con i miei amici, ci stavamo divertendo...”
Tom mi scrutò come per assicurarsi che non stessi mentendo. Non ricordavo davvero, non era colpa mia! Poi la sua espressione cambiò, si fece pensieroso e prese a massaggiarsi il mento. Brutto segno.
“Ti sei sentita male.”, disse infine, “Ti sei appoggiata alla porta antincendio aprendola inavvertitamente e sei caduta per due rampe di scale.”
Un brivido mi risalì la schiena. Quelle parole risvegliarono una brutta, bruttissima sensazione. Era come se il mio corpo cercasse di dirmi qualcosa.
Fortunatamente qualcuno bussò distogliendomi da questi pensieri. L'attimo dopo le teste di Kailyn e Ryler fecero capolino da dietro la porta. Un sorriso spontaneo mi comparve sul volto, mentre facevo loro cenno di entrare. Non se lo fecero ripetere due volte e come bambini si buttarono di corsa sopra il letto travolgendomi in un super abbraccio.
“Ehi, ehi! Voi due piano.”, li ammonì Tom facendoli scendere.
Anche se mi faceva male, era comunque bello essere travolti così. Nonostante fossi tutta rotta mi sembrava di non stare così bene da tanto. Mi sentivo leggera.
“Allora come sta?”, chiese Ryler.
Mi stupì che non rivolgesse la domanda direttamente a me. Cosa c'è pensava che non lo sapessi? Anche se non ero al 100%, ero ancora la miglior fonte d'informazione sul mio stato di salute.
Sbuffai offesa, ma nessuno mi calcolò.
“Tutto considerato poteva finire peggio.”, rispose mio fratello mesto.
Ma come? Aveva appena finito di dire che avevo fatto preoccupare tutti a morte e ora mi liquidava così?
Provai allora a schiarirmi la voce, giusto per ricordare che ero presente anch'io, ma di nuovo nessuno mi prestò attenzione. La cosa mi mandò in bestia. Per un attimo pensai di mettermi ad urlare, giusto per vedere se riuscivano ancora ad ignorarmi.
“Io vado a prendermi un caffè.”, fece d'un tratto Tom uscendo, non prima però di aver lanciato una stranissima occhiata a Ry e Kay.
Che stava succedendo? Mi ero per caso svegliata in una specie di assurdo mondo parallelo? Perché i miei amici se la facevano con mio fratello? Cosa mi stavano nascondendo?
“Allora Aly come stai?”, mi chiese Kailyn non appena rimanemmo soli.
Ok, questo era troppo. Mi stavano prendendo in giro? Ero finita in una candid camera?
“Piuttosto confusa.”, mormorai studiandoli con attenzione.
“Be' non che tu abbia avuto le idee granché chiare ultimamente.”, commentò Ryler.
“E questo che vuol dire?”, chiesi piuttosto acida.
“Solo che da un po' di tempo a questa parte hai fatto della confusione uno status quo.”
“In ogni caso poteva andarti molto peggio, non pensi?”, intervenne Kay cambiando argomento, “In fondo sei rotolata giù per la scala antincendio... avresti anche potuto romperti l'osso del collo.”
Era vero. Aveva ragione. Non ci avevo pensato, ma dovevo ammettere che mi era andata di lusso. Forse per una volta la fortuna era stata dalla mia. Avevo il lato sinistro del corpo dolorante, ma a parte la gamba rotta me l'ero cavata solo con graffi ed escoriazioni superficiali. Un vero miracolo!
“In effetti... Credo di dover andare in chiesa ad accendere una candela !”, ammisi.
“Magari meglio un cero...”, fece Kay.
“Diamo direttamente fuoco alla chiesa che si fa prima!”, esagerò Ryler.
“Sei sempre il solito!”, lo rimproverai divertita.
“Perché cambiare quando si è raggiunta la perfezione!”, si vantò ammiccando.
Non riuscii a rimanere seria. Quando ci si metteva Ryler era davvero assurdo.
“Bene ora passiamo a cose serie”, riprese mettendosi a frugare nella tracolla, “C'è un lavoro da fare.”
Kailyn scosse la testa divertita, mentre io li guardavo confusa. Di che lavoro parlavano?
Prima che potessi dire qualcosa Ryler aveva già tirato fuori due pennarelli indelebili e si era messo all'opera.
“Ok, ok.”, ridacchiai, “Ma niente volgarità!”
Sapevo bene che se non mettevo subito dei paletti me ne sarei pentita.
“Oh...”, bofonchiò Ryler fermandosi di colpo.
Ma porca miseria!! Davvero? Aveva si e no stappato il pennarello.
“Be'... suppongo di poterlo camuffare, più o meno!”, disse mordicchiando il tappo nel pennarello con la faccia di chi è immerso in profonde riflessioni.
“Si può sapere cos'hai in testa?”, dissi fingendomi arrabbiata.
“Be' te lo stavo giusto disegnando...”
A quel punto scoppiammo tutti a ridere. Mi facevano male le costole e per una volta non era per piangere che avevo le lacrime agli occhi. Quanto era scemo Ryler!
Nonostante l'atmosfera leggera e giocosa però avevo l'impressione che Kailyn e Ryler mi guardassero in modo strano. Ogni tanto si scambiavano occhiate cariche di preoccupazione e questo non faceva che esasperare il mio brutto presentimento. Mi stavano nascondendo qualcosa e questo non era normale, così come non lo era la morsa che mi aveva preso allo stomaco. C'era qualcosa, qualcosa di brutto, me lo sentivo dentro.
Tom rientrò di colpo facendomi sussultare. Aveva un'espressione strana, pensierosa e, cosa più importante, non aveva nessun caffè in mano.
Quando Ryler e Kailyn lo videro, assunsero la stessa espressione.
Ne avevo abbastanza.
“Forza, sputate il rospo.”, ordinai.
“Di che rospo stai parlando?”, cercò di scherzare Ry.
"Mi state nascondendo qualcosa. Vi si legge in faccia.”, li accusai.
Loro si scambiarono di nuovo quello sguardo, intenso e preoccupato e tutta l'ilarità e la leggerezza svanì nel nulla. Non avevo mai visto espressioni tanto cupe.
“Ora basta! Se avete qualcosa da dire allora ditela e basta.”, urlai.
“Sei sicura di volerlo sentire?”, chiese Tom con tono grave.
Annuii decisa. Era per il mio incidente? Forse ero più grave di quanto sembravo? E se avessi dovuto rimanere in ospedale per giorni, o peggio per settimane? L'ansia mi attanagliava. Qualunque cosa fosse volevo sapere. Ero pronta.
“Alex è in coma.”, mi confessò a bruciapelo.
Fu una secchiata d'acqua gelida. Una pugnalata al petto. Ogni muscolo del corpo mi si contrasse e l'aria mi evaporò dai polmoni. Tutto il dolore sparpagliato lungo il corpo si concentrò in un solo punto; il cuore, mentre la gravità di quelle parole mi si incideva a fuoco nella carne. Alex era in coma.
“Non mi riguarda.”, dissi cercando di suonare fredda.
Era solo una vecchia, brutta abitudine. Non dovevo preoccuparmi per lui. Non dopo quello. Non era più affar mio, anzi non lo era mai stato. Io non pensavo più a lui, la cotta mi era passata. Non faceva più alcuna differenza per me se lui era vivo o morto. Allora perché avevo voglia di piangere? Perché ogni singola cellula del mio corpo mi urlava di andare da lui?
“Dovrebbe visto che si è fatto male per salvarti la vita.”, continuò mio fratello infliggendomi una nuova coltellata.
Qualcosa scattò e alcuni ricordi tornarono. Marcus mi aveva portato in quel posto appartato e aveva allungato le mani. Alex mi aveva salvata, poi si faceva tutto confuso, ma ricordavo bene, la sua voce che urlava il mio nome e lui che mi stringeva forte al petto. Perché si era buttato? Perché aveva rischiato la vita se era evidente che di me non gli era mai importato niente?
“Quando la porta si è aperta ti si è letteralmente buttato addosso per afferrarti, e siete caduti entrambi.”, spiegò Kailyn con gli occhi lucidi.
“Non me lo ricordo.”, mentii con un filo di voce tenendo gli occhi sulle mani serrate a pugno, mentre combattevo contro un nuovo dolore.
“Ti ha voluto proteggere”, aggiunse Ryler con dolcezza, “Ti ha stretta mentre cadevate, per questo non ti sei fatta niente. Lui invece...”
Le lacrime cominciarono ad uscire contro la mia volontà. Non volevo piangere, non per Alex. Quello stupido! Perché lo aveva fatto?
“Non gli ho chiesto io di farlo.” , mi ostinai.
Non avrei riperto quel casetto, non dopo la fatica che avevo fatto a chiuderci dentro tutti i miei sentimenti per lui. Era colpa sua. Non avrebbe dovuto. Non per me. Non doveva, non doveva e basta.
“Ma ti rendi conto di ciò che stai dicendo?”, mi sgridò Tom, “Alex può essere anche stato un bastardo Aly, ma ha rischiato la vita per te. E, visto che ne stiamo parlando, quante volte ti ho detto com'era fatto? Quante volte ti ho detto che non era il ragazzo per te? Non hai voluto ascolare, non mi hai creduto anche se ti avevo messa in guardia. Lui è fatto così, lo è sempre stato. Quindi ora fa un favore e smettila con questo vittimismo del cazzo!” e detto ciò uscì fuori come una furia.
Io e i ragazzi rimanemmo sbigottiti in silenzio.
“Aly...”, fece timidamente Kay.
“No”, dissi alzando una mano per liquidarla, “Non ne voglio parlare.”
“Spero solo che tu non debba pentirtene.”, sussurrò serio Ryler.
“Per favore lasciatemi sola.”, bisbigliai.
Esitarono qualche istante, ma alla fine fecero come avevo chiesto e non appena la porta si chiuse alle loro spalle lasciai che le lacrime che tanto premevano per uscire mi travolgessero. Alex era in coma. Il mio Alex.


Ciao a tutte/i!!!!
Stavolta vi ho fatto aspettare un po', ma con questo caldo non avevo voglia di accendere il pc!!
Stasera però mi sono messa di impegno ed ecco il nuovo capitolo. Che ne pensate della novita? Sorprese? Come sempre fatemi sapere!!!
Un bacio!
A presto!

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Capitolo 28
*** La lista dei requisiti ***


La lista dei desideri CAP

La porta si aprì piano. Non mi voltai. Guardavo il sole tramontare senza vederlo veramente. Avevo la mente lontana, persa.
“Posso?”, sussurrò Kay.
Non le risposi. Non mi importava. Non prestavo attenzione, non riuscivo a concentrami. Il pensiero di Alex in coma era l'unica cosa che mi riempiva la mente.
“Vorrei parlarti.”, continuò cauta.
“Se vuoi farmi la predica puoi andartene. Perderesti solo tempo.”, le risposi secca.
Ormai avevo finito la scorta di pazienza e buone maniere. Chiunque era entrato oggi si era sentito in diritto di dirmi cosa dovevo provare, come mi dovevo sentire, come mi dovevo comportare. Mamma, papà, Tom e perfino Ryler non avevano fatto che esprimere giudizi, senza sforzarsi di capirmi. Non potevo dimenticare tutto solo perché adesso Alex era in coma, quello che aveva fatto non cancellava il dolore e la confusione, non funzionava così. Tuttavia saperlo in coma, sapere che rischiava di... era troppo per me. Non potevo affrontarlo. Non ci riuscivo.
“Non pretendo di sapere cosa tu stai passando o come ti senta. È una situazione assurda e so che, per quanto tu faccia finta di niente, in realtà hai paura. Siamo tutti spaventati.”, continuò sempre con delicatezza, “Ma non sono venuta per parlarti di Alex. Vorrei dirti una cosa che riguarda me, se vuoi ascoltarmi.”
Le sue parole mi incuriosirono. Anzi fu il tono più che le parole in sé. Sembrava a disagio e un po' imbarazzata, e questo non era da lei. Mi guardava con affetto e sorrideva gentilmente aspettando la mia risposta. Mi limitai ad annuire.
“Ho conosciuto un ragazzo.”, confessò con un filo di voce.
Rimasi basita. Era l'ultima cosa che mi aspettavo di sentire. Avrei dovuto essere felice per lei e festeggiare ed invece mi si gelò il sangue nelle vene. Sgranai gli occhi e la guardai come se mi avesse appena detto che le restavano tre mesi di vita.
“É più grande. Si chiama Elijah e Aly credo di essermi innamorata.”
Ok. Doveva essere un incubo o magari ero impazzita e quella era una brutta allucinazione. Kailyn era quella razionale, non era una che perdeva la testa per un ragazzo. Lei aveva dei progetti. Lei era quella che pianificava sempre tutto.
“Come... quando...”, farfugliai shockata facendole segno di venire a sedersi sul letto.
“Che vuoi che ti dica. Non lo so come. L'ho conosciuto e mi è piaciuto subito. L'ho sentito a pelle.”, fece tenendo gli occhi bassi.
No! No! No!
Chi era quella e che ne aveva fatto della mia Kailyn? Dov'era la ragazza che aveva deciso di non perdersi dietro ai ragazzi fino al college? Dov'era la ragazza dalle scelte ponderate?
“Mi da ripetizioni di inglese.”, ammise sempre più a disagio.
Ripetizioni? Kailyn?
“Ma se lo parli meglio di una madrelingua?”, sbottai per lo stupore.
Lei arrossii e io capii. Era solo una scusa per vederlo.
Oh.
Mi crollò il mondo addosso. Era molto peggio di quanto pensassi. Questo non era razionale, non era sensato, non era da Kailyn. Certe pazzie, certe follie erano più roba da me...cioè la vecchia me.
Fu una doccia fredda e per un attimo mi lasciò disorientata. Come avevo fatto a non accorgermi di niente? Possibile che Kailyn fosse stata così abile da non lasciar trapelare niente? Mi sentivo un po' delusa ed ingannata.
“Da quanto?”, chiesi col tono di un'amante tradita.
“L'ho conosciuto sei mesi fa tramite amici in comune.”, disse con un sorriso scemo dipinto in faccia.
Rabbrividii. Sei mesi! E non mi aveva mai detto niente? Perché?
Mi fermai un attimo a guardarla pronta a rimproverarla e allora lo notai. Kailyn era diversa. I suoi tratti si erano ingentiliti, era più curata e gli occhi le brillavano di una luce speciale, mentre un rossore familiare le colorava le guance. Provai una fitta di nostalgia che affrettai a scacciare.
Come avevo fatto a non notare tutti quei cambiamenti che ora mi sembravano così lampanti. Quel sorriso timido, quell'atteggiamento distratto e impacciato, lo sguardo sognante... eppure conoscevo bene quelle sensazioni. Se chiudevo gli occhi poteva ancora sentirle schiudersi dentro di me.
“Perché me lo dici solo ora?”,le chiesi senza nasconderle il disappunto.
E se le fosse successo quello che era successo a me? E se questo ragazzo le avesse spezzato il cuore? Lei era troppo intelligente per passarci ed io le volevo troppo bene per permetterlo. Se me lo avesse detto prima, l'avrei messa in guardia, avrei potuto dissuaderla.
“Gli ultimi mesi per te sono già stati abbastanza... difficili.”, disse scegliendo con cura le parole, “Non volevo farti preoccupare per me.”
Era per questo che non me l'aveva detto dunque. Sapeva come avrei reagito e capirlo fu come prendere uno schiaffo improvviso aprendomi bruscamente gli occhi. Ma che razza di persona ero diventata se la mia migliore amica non si sentiva libera di confidarsi con me? E la risposta che trovai non mi piacque, non mi piacque affatto.
Guardando indietro mi resi conto che negli ultimi mesi non avevo fatto altro che concentrarmi su me stessa. Era come se al mondo non esistesse altro che il mio dolore. Mi ero disinteressata di ogni altra cosa. Non avevo la più pallida idea di ciò che era successo nelle vita di Kay e Ry, come del resto di qualsiasi altra persona avevo intorno. Ero stata distante e sprezzante e avevo preteso di avere la priorità su tutto, come se io fossi l'unica ad aver mai avuto il cuore spezzato. Ero stata un'egoista, no peggio un'egocentrica e questo mi aveva trasformata in una pessima, pessima amica.
Abbracciai Kailyn di slancio con forza, sentendo la colpa invadermi.
“Mi dispiace. Mi dispiace tanto di non esserci stata.”, mi scusai con tutto il cuore.
Lei era sempre stata lì. Sempre. Aveva sopportato per anni i miei sfoghi e le mie lagne, mi era stata vicina nel momento peggiore e quando invece era stata lei ad avere bisogno l'avevo lasciata sola. Ero davvero una persona orribile.
Kay ricambiò l'abbracciò.
“Non devi scusarti Aly. Posso solo immaginare quello che hai passato e sinceramente non so al tuo posto cosa avrei fatto. Quello che Roxy ti ha fatto... non ci sono parole.”, disse piano.
Non ce la facevo a parlare di quello. Faceva ancora male. Bruciava ancora troppo. La mia migliore amica...
“Sai Aly devo confessarti che ti ammiro molto. Ho sempre pensato che fossi una persona debole e che quella per Alex fosse una fissazione, una scusa che usassi per non affrontare la realtà. Ora però mi rendo conto di non averti mai capita davvero.
Ci vuole un coraggio pazzesco ad amare come fai tu, dando il cento per cento, senza rassicurazioni, senza volere niente in cambio. Sei davvero una persona straordinaria e sono contenta di averti come amica.”, fece commossa.
Non avevo mai parlato così con lei, non le avevo mai sentito dire quelle cose e mi fece venire le lacrime agli occhi, le prime da mesi che non erano amare e dolorose, ma belle e confortanti. Stavo scoprendo un lato di Kay che ignoravo ed era come se la nostra amicizia stesse rifiorendo diventando più forte e più profonda di quanto fosse mai stata.
“Non sono sicura di essere così forte.”, le confessai, “Ne' di essere una buona amica. Guarda quello che ho combinato.”
“Non credo che tu abbia sbagliato. Voglio dire non credo ci sia un modo giusto e uno sbagliato di gestire certe situazioni. Hai fatto del tuo meglio. Solo che non dovevi per forza affrontarlo da sola, anche se credo di capire... è difficile fidarsi dopo che sei stata tradita da chi ti era amico. Credo che se non si fosse trattato di Roxy sarebbe stato tutto diverso.”, commentò.
Se non si fosse trattato di Roxy sarebbe stato tutto diverso.
Quelle parole mi colpirono profondamente. Kailyn era davvero una persona acuta e in una frase era riuscita a centrare ciò che io non avevo capito in mesi. Mi aveva aperto un mondo, che non ero certa di voler esplorare.
“Be'...insomma... quello che volevo dirti è che comunque vada, qualsiasi cosa tu voglia fare sappi che io ci sono, ok? Puoi contare su di me.”, mi assicurò ancora emozionata.
Annuii troppo commossa per dire qualcosa. Quella conversazione era la prima cosa bella che mi capitava da non so quanto tempo. Mi faceva sentire compresa e supportata ed era questo ciò di cui avevo bisogno, non di sentirmi dire cosa fare. Quello dovevo capirlo da sola.
“Vorrei dirti ancora un'altra cosa Aly, ma se mi spingo troppo oltre non esitare a fermarmi. Voglio solo farti sapere che il modo in cui hai sempre guardato Alex, in cui lo guardi ancora, è... bellissimo. Dimostra che sei capace di un sentimento così grande, così intenso che... non lo so. Solo non rinunciarci troppo alla svelta, ok?”
Inspirai profondamente. Sentivo il mio corpo tremare per l'emozione. Ero grata a Kay per la delicatezza che aveva mostrato nel toccare l'argomento. Era stata l'unica a farlo con tanto riguardo.
Immerse nella luce dorata del tramonto restammo un po' sedute l'una difronte all'altra in silenzio. Alla fine, dopo tutto il dolore, finalmente arrivava qualcosa di positivo. Vedevo la nascita di un nuovo legame con Kailyn, un'amicizia che mi avrebbe riservato tante belle sorprese.
Poi però mi resi conto che l'avevo fatto di nuovo. Avevo di nuovo portato l'attenzione su di me, anche se Kay era venuta per parlarmi di lei. Ero davvero irrecuperabile. Quello era il suo momento e toccava a me ascoltare.
“Allora com'è questo ragazzo?”, le chiesi riportando il focus su di lei, “Che punteggio ha sulla tua lista?”
“Zero.”, ammise sorridendo.
“Zero?!”, ripetei sbalordita.
La lista dei requisiti di Kailyn era una leggenda. L'aveva stilata quando avevamo dieci anni includendo tutti i requisiti fondamentali che doveva avere il suo Principe Azzurro.
Ogni ragazzo che aveva frequentato era stato sottoposto all'insindacabile giudizio della lista e poi conseguentemente valutato. I punteggi da 7 a 9 indicavano i tizi con cui poteva considerare di uscire, sotto il cinque non valeva neanche berci un caffè insieme, ma avrebbe fatto sul serio niente di meno che con un 10 su 10.
Tirò fuori dalla borsa la lista e me la passò. Il foglio ovviamente era ancora in perfette condizioni. Conoscevo già i punti, ma lo aprii lo stesso, sempre più sbalordita dal fatto che stessimo parlando di un ragazzo che non aveva neanche una delle caratteristiche che a lei piacevano. Guardando Kay mi resi conto che lei era stupita anche più di me.
Indicò il primo punto.
1- Deve avere i piedi per terra, porsi degli obiettivi concreti e avere un piano per raggiungerli.
“Elijah è un sognatore, uno che vive alla gioranta.”, cominciò a spiegare con un sospiro.
Poi scese al requisito seguente.
2- Deve essere un tipo deciso.
“È capace di impiegare anche 20 minuti per scegliere i gusti del gelato, nonostante finisca per prendere sempre i soliti.”, continuò con lo stesso tono divertito e rassegnato.
3- Deve essere ponderato.
“Mai vista una persona più impulsiva. Fa ciò che gli passa per la testa senza pensarci due volte. L'altro giorno è entrato per caso dal barbiere per chiedere un'informazione e ne è uscito rapato a zero. Ha detto che ha avuto un'illuminazione improvvisa.”
Cercavo di trattenere le risate, ma sentivo le spalle sobbalzare. Più andava avanti, più mi si delineava l'identikit di un tipo divertente, ma molto lontano dall'ideale che Kailyn sognava.
4- Deve essere capace di mantenere una relazione monogama e stabile.
“È un donnaiolo incallito.”, disse perdendo per un attimo il sorriso.
Questo punto doveva bruciarle più degli altri. Conoscevo la sensazione.
“Non è l'unico, tesoro.”, cercai di consolarla.
Mal comune mezzo gaudio, no?
5- Dobbiamo condividere gli stessi interessi.
“Viviamo su pianeti così diversi che l'unica cosa che abbiamo in comune è che respiriamo entrambi ossigeno.”
6- A 25 anni dovrà vivere da solo.
“Ne ha 27 e non pensa di schiodarsi dall'appartamento sopra il garage dei suoi.”
Wow. Ventisette anni. Era più grande di dieci anni. Questo era potenzialmente un problema, ma evitai di dirlo ad alta voce e poi Kailyn era molto più matura della sua età.
7- Deve essere preciso.
“Ogni volta che va via dopo le ripetizioni sembra che in casa sia passato un tornado. È letteralmente sconvolgente. La prima volta per poco non mi è preso un colpo.”, disse coprendosi gli occhi con la mano in modo enfatico.
Conoscendo la compulsione di Kay per ordine e il perfezionismo, non dubitavo di quanto questo aspetto potesse sconvolgerla. Era davvero l'ultima persona di cui si sarebbe dovuta innamorare, ma forse era una regola innamorarsi della persona sbagliata. Mi auguravo solo che lei avrebbe avuto più fortuna di me.
8- Deve avere un'altezza compresa tra il metro e sessanta e il metro e settantacinque.
“È alto 1,88. Vicino a lui mi sento una lillipuziana.”
Questo era il punto più ridicolo della lista, quello su cui l'avevo brutalmente presa in giro per anni chiedendole se ogni volta al primo appuntamento si portasse dietro il metro per controllare che il poveretto rientrasse negli standard.
9- Deve avere un fisico atletico e amare lo sport.
“Non è grasso, ma la sua idea di esercizio fisico è guardare la partita in tv con gli amici.”
10- Deve curare il suo aspetto, ma non essere vanitoso.
“Non sto neanche a dirtelo.”, concluse sconsolata.
Zero su dieci. Era un record.
“Guardala in un altro modo. È un 10 su 10 al rovescio.”, le dissi cercando di vedere il lato positivo,“Hai detto che doveva avere 10 su 10, ma non hai specificato se dovesse possedere tutti i requisiti o nessuno.”
Kailyn si passò le mani sul volto disperata. Era una cosa nuova per lei. Era abituata che le cose si svolgessero così come lei le aveva pianificate e ad avere tutto perfettamente sotto controllo, ma in amore difficilmente le cose prendevano la piega voluta.
“Non scherzare. È un macello! Sono rovinata! Sognavo un uomo preciso in giacca e cravatta e mi sono innamorata di un hippie.”, sbuffò lasciandosi cadere indietro sul letto.
Effettivamente non avrebbe potuto trovare un tipo più lontano dalle sue fantasie nemmeno impegnandosi.
“Però se ti sei innamorata qualche pregio dovrà pur averlo, no?”, le feci notare.
Si rialzò di scatto mostrandomi quel sorriso stupido tipico di chi era cotto fino al midollo.
“È intelligente. Sa un sacco di cose che le persone normali ignorano.
Adoro la sua passione. Quando trova qualcosa che gli piace ci si butta a capofitto dedicandosi corpo e anima.
È divertente, con lui non mi annoio mai e non ho mai conosciuto qualcuno che mi facesse ridere tanto.
Mi sta ad ascoltare, anche quando gli parlo di cose stupide.
È generoso e altruista. Si preoccupata sempre di chi gli sta intorno.
È sincero, totalmente incapace di mentire. È imbarazzante quando ci prova.
È folle, nel senso che fa cose che sono davvero fuori dall'ordinario. Ha un modo di vivere così pieno ed intenso che non so... non credo di poterlo spiegare.
E poi ha un culo da urlo.”, disse.
“Kay...”, urlai scandalizzata.
“Che c'è? È vero!”, rispose.
Per un attimo ci guardammo, poi scoppiammo a ridere.
Era decisamente una cosa seria. Il trasporto con cui ne parlava non lasciava molti dubbi. E guardandola mi ricordai di quanto poteva essere bello belloinnamorarsi.
“Dillo.”, mi fece seria, “Dillo, forza. Sono la regina dei disgraziati!”
“Tesoro, non sei nemmeno un'aspirante al titolo. Hai davanti l'unica e sola che può reclamare a buon diritto la corona.”, le dissi risoluta.
“Ma la lista...”, si impuntò cocciuta, “Sono nella merda. Dovrei togliermelo dalla testa, vero? Che c'entra un tipo così con me?”
Titubai un attimo. Una voce nella testa mi gridava di dirle di lasciarlo perdere prima di farsi molto male, ma sarebbe stato meschino da parte mia. Solo perché Alex non mi amava, non voleva dire che Kailyn non potesse essere felice. Era la sua storia e aveva tutto il diritto di viversela e come sua amica io dovevo sostenerla ed incoraggiarla, proprio come lei aveva sempre fatto con me.
“Kay ascoltami. Non puoi basarti su quella lista, trovare l'amore non è come fare la spesa.”, lei mi guardò scettica, “Mettila così, forse non è il ragazzo ad essere sbagliato per la lista, ma la lista che è sbagliata per il ragazzo.”
“Falla più semplice.”
“Forse non è il tipo di uomo che volevi, ma è quello di cui hai bisogno. Sembra un tipo spontaneo, forse vi compenserete a vicenda. L'unico modo che hai per sapere se è quello giusto è provarci.”, le dissi facendole l'occhiolino.
“Temevo che l'avresti detto.”, sospirò
“Guarda il lato positivo, ora Ryler avrà qualcun altro a cui dare il tormento!”, ridacchiai.
“Bella consolazione!”, sbuffò.
Ero grata a Kailyn per avermi aperto il suo cuore. Era stato bello e toccante. Forse quella era la prima vera conversazione che facevamo da sole e volevo in qualche modo sdebitarmi per la fiducia che mi aveva dimostrato. Volevo fare qualcosa, condividere qualcosa che non avevo mai condiviso con nessuno, compreso Ryler. Mi allungai per tirare fuori un foglietto dal comodino vicino al letto. Era un pezzo di carta tutto sgualcito e macchiato. Glielo passai aspettando in silenzio la sua reazione.
Kailyn aggrottò le sopracciglia, poi vidi lo shock dipingerlesi sul volto.
“Questa è...”, iniziò sgomenta e sorpresa allo stesso tempo.
“La mia lista.”, ammisi imbarazzata.
Io e gli altri avevamo preso in giro Kay per così tanto per la sua lista, che ora mi sentivo sprofondare nell'ammettere che avevo finito per scriverne una anche io. Risaliva a qualche anno fa, ma i punti che la componevano non erano mai cambiati.
1 Non Deve essere più grande di me.
2 Non Deve essere un tipo popolare.
3 Non Deve essere sicuro di sé.
4 Non Deve essere affascinante
5 Non Deve avere un sorriso in grado di sciogliermi il cuore.
6 Non Deve avere uno sguardo in grado di leggermi l'anima.
7 Non Deve farmi sentire speciale.
8 Non Deve infondermi sicurezza e protezione solo standomi accanto.
9 Non Deve amare i dolci.
10 Non Deve essere il mio sole.
“Oh Aly...”, mi disse Kay comprensiva prendendomi la mano.
Era davvero un disastro. Perfino io mi rendevo conto che c'era una sola persona che rispondeva a tutti i requisiti. L'unica che avevo in mente mentre la scrivevo, l'unica che avevo ancora in mente quando, qualche settimana fa, avevo scarabocchiato quei «non» credendo che bastassero a cambiare ciò che volevo.
“Ti rendi conto vero che...”, cominciò lei guardandomi comprensiva.
“Lo so. Non dire niente.”, sospirai coprendomi gli occhi con il braccio.
“Aly, ma tu Alex lo ami ancora?”, mi chiese allora lei.
Ed eccola lì. La domanda da un milione di dollari, quella che mi tormentava, quella a cui non potevo o non volevo rispondere.


Mi sono impegnata (e armata di ventilatore) e ecco qua il risultato.
Come avevo preannunciato ero indecisa su questo capitolo; ho optato per dividerlo in due. La seconda parte (moooolto breve) arriverà entro fine settimana  (ma forse anche prima)!!
Spero come sempre che vi piaccia! Fatemi sapere!! ;)
A presto!

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Capitolo 29
*** Perdita ***


perdita
Cap

Mi appoggiai al muro per riprendere fiato. La gamba mi faceva un male cane. Non pensavo che stando in piedi avrebbe iniziato a pulsare, senza contare che ogni volta che sfioravo accidentalmente il pavimento mi sembrava di venire infilzata da decine di spilli. Ma non mi importava. Ero rimasta due giorni con questa spada di Damocle sulla testa, ora dovevo sapere. Volevo vederlo a qualsiasi costo.
Avevo cercato di essere indifferente, di prendere le distanze, di fingere che non mi importasse, ma era stato tutto inutile. Più mi sforzavo, più il pensiero di Alex tornava ad ossessionarmi. Lo immaginavo in un letto d'ospedale, attaccato ai macchinari, con mille tubi che gli uscivano dal corpo e ogni volta il cuore sembrava volermi scoppiare. Si era fatto male per proteggermi, volevo solo assicurarmi che stesse bene, mi dicevo.
La voce di Kay «Ma tu lo ami ancora?».
“Signorina!!”, gridò alle mie spalle un'infermiera.
Sussultai per lo spavento, riconoscendo al volo la voce. Era Margaret, l'infermiera che si prendeva cura di me. Ne ero sicura perché aveva la stessa voce della prof di lettere quando chiamava per l'interrogazione; formale e severa.
“Che ci fa in piedi?”, mi sgridò rivolgendomi uno sguardo poco amichevole.
A dispetto del suo aspetto cordiale e rubicondo, Margaret era un osso duro e non si lasciava impietosire facilmente. Non avrebbe capito che io dovevo vederlo.
“Io... vede... volevo andare...”, balbettai.
“L'unico posto in cui andrà è il suo letto.”, sentenziò.
“No, no, no. La prego! Io devo davvero vederlo. Solo un attimo, la supplico.”, piagnucolai sapendo che se non l'avessi convinta non avrei potuto far niente per oppormi e non avrei avuto un'altra occasione.
Lei mi guardò da sopra gli occhiali, rivolgendomi un'occhiata spazientita.
“E sentiamo chi è che vorrebbe vedere?”
Era davvero assurdo quanto fosse simile alla prof.
“Alex!”, mi affrettai a dirle, “Alex Davis. Credo sia in rianimazione, mi hanno detto che è in coma. Mi ha salvato la vita io...”
Respiravo come se avessi appena corso la maratona di New York. Mi girava la testa, ma non potevo mollare. Volevo andare da lui. Dovevo andare da lui.
“Se è lì, non può fargli visita. Forza, torniamo nella sua stanza!”, disse prendendomi per un braccio.
“NO!”, gridai liberandomi dalla presa, “Lei non si rende conto! Io... lui...”, balbettai nel panico.
Nella testa ancora una volta le parole di Kay «Ma tu lo ami ancora?».
“È il mio amore.”, ammisi sopraffatta.
Alla fine era quella la verità. Nonostante tutto il dolore, la rabbia, la delusione io amavo ancora Alex, non avevo mai smesso di amarlo e probabilmente non lo avrei mai fatto. Era stato stupido fingere che non fosse così ed ora ero stanca di mentire a me stessa, di cercare di convincermi che ciò che provavo non esisteva. Dopo la chiacchierata con Kailyn avevo capito molte cose: una di queste era che io ero totalmente, indiscutibilmente e irrimediamilmente innamorata di Alex Davis. Inoltre avevo capito di avere la mia buona dose di colpe in questa storia; negli ultimi mesi non ero stata una bella persona, avevo gestito male l'intera faccenda e avevo finito per fare del male a tutti quelli a cui volevo bene, Alex compreso. Indipendentemente da ciò che aveva fatto non si meritava questo. Era in un letto d'ospedale per causa mia, il minimo che potevo fare era cercare di riparare. Per questo volevo andare da lui subito, prima di perdere il coraggio, dovevo parlargli e assicurarmi che stesse bene.
“La prego.”, la implorai appoggiando la fronte alla sua spalla.
“Oh, benedetti ragazzi!”, sbuffò sospirando esasperata cingendomi le spalle con il braccio.
“Ehilà Jenny!”, gridò d'un tratto, “Capiti giusto a proposito! Senti per caso sai niente di un certo Davis. Dovrebbe essere nel tuo reparto.”
Scattai sull'attenti per guardare la nuova infermiera. Lei sapeva, lei poteva portarmi del mio Alex.
“Davis... Davis...”, ripeté tra sé battendosi il dito sul mento, “No, mi spiace, ma non mi dice niente. Quando l'hanno ricoverato?”
“Tre giorni fa.”, risposi io, “Mi hanno detto che è in coma.”
Margaret mi lanciò un'occhiataccia, ma la ignorai.
“Coma? Be' non saprei... non ero di turno in questi giorni.”, disse un po' incerta.
“La pregooooo!”, supplicai, “Davvero non lo ha visto? È un ragazzo alto, moro, è...”, ma non riuscii a trovare le parole per esprimere ciò che sentivo.
Lui era tutto. Questo era la verità e al diavolo il resto. Mi ero fatta più male cercando di negare e soffocare ciò che sentivo che se avessi affrontato la situazione di petto. Ora però ero stanca di soffrire a causa di questo. Era il momento di cambiare, di crescere.
“Be' c'era un ragazzo...”, mormorò piano scambiandosi con Margaret un'occhiata che mi gelò il sangue nelle vene.
Sgranai gli occhi sentendo un brivido freddo sotto la pelle. Quello sguardo... «c'era». Al passato.
“Non so se era lui... era un ragazzo giovane, aveva diverse lesioni... ci sono state delle complicazioni...”, disse lasciando la frase in sospeso e spalancando le porte dell'inferno.
Nella testa mi risuonò un forte e potente slam. Come se una porta, di cui non conoscevo nemmeno l'esitenza, si fosse chiusa di colpo isolando quelle parole dal resto. Ogni altro pensiero cessò, rimase solo Alex: che mi prendeva in giro, che mi faceva arrosire, che mi sfiorava la guancia, che mi stringeva quando avevo paura, che mi diceva che non eravamo più amici...
Aveva divese lesioni... ci sono state delle complicazioni...
Le lacrime sgorgarono innarestabili, mentre l'orrore di quelle parole mi invadeva l'anima.
No, non era vero. Non poteva essere vero. No, no, no!! Non il mio Alex!
Ero arrivata tardi. Ora non avrei più potuto vederlo o parlare con lui. Non lo avrei più sentito ridere e prendermi in giro. Non potevo più sistemare le cose. Lui non c'era più ed era solo colpa mia.
Se non fossi andata in quel maledetto locale, se non avessi stupidamente accettato l'invito di Marcus, se avessi ascoltato il mio cazzo di istinto, se... se... se Alex non fosse venuto a salvarmi... Avrei prefeito quello a... Gli avevo detto che lo odiavo. Era l'ultima cosa che gli avevo detto e ora non avrei più potuto rimangiarmela. Lui non avrebbe mai saputo quanto lo amavo.
Mi si chiuse la gola. Non riuscivo a respirare. Le pareti erano troppo vicine. L'aria...io non riuscivo...
L'ultima cosa che sentii fu Margaret chiamare aiuto.
Che cosa avevo combinato?


Allora che ve ne pare? Sorprese/i?
Mi odiate (spero proprio di no)? E se si quanto? (spero non abbastanza da smettere di seguirmi)
Come promesso ecco la parte che ho staccato dal capitolo precedente. Breve ma intensa (insieme al caldo potenzialmente mortale)!!  Mi è sembrava più appropriato separare questi due momenti così emotivamente diversi. Voi che ne pensate?
Non vedo l'ora di saperlo... muoio letteralmente di curiosità!!! :)
Come al solito vi lascio di seguito tutti i miei link!
A presto!!!!!!

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Capitolo 30
*** Sogno o realtà? ***


Sogno o realtà?
Ebbene eccoci di nuovo qui, dopo una settimana piena di imprevisti e guasti tecnici di varia natura. :)
Fino all'ultimo sono stata indecisa su cosa postare, perché in effetti di questo capitolo esistono due versioni ben distinte che vanno in due direzioni diametralmente opposte.
Questa è stata la mia scelta, spero vi piaccia!!!



CAP

«Stavo dondolando su un'altalena. Era divertente come quando ero bambina.
Avevo sempre voluto un'altalena vecchio stampo, di quelle attaccate ai rami di un grande albero, come si vedevano nei film. Mi piaceva arrotolarmici e fare la trottola.
Il prato era di un verde brillante rallegrato qua e là dai colori vivaci dei fiori di campo. Il cielo sopra di esso era di un turchese intenso intervallato solo da paffute nuvole bianche. Nell'insieme sembrava di stare in un bellissimo e sgargiante dipinto.
Vuoi che ti spinga?”, mi chiese gentile.
Alex. Il suo profumo mi avvolse completamente. Sapeva di brezza estiva e agrumi.
Annuii.
Non troppo forte per favore.”
Le sue mani indugiarono sulla mia schiena un attimo prima di iniziare a spingere.
Mi piace questo posto.”, commentò.
Anche a me.”, concordai.
L'atmosfera era serena e pacifica. Era il mio paradiso. Un posto senza dolori e problemi. Lì c'era solo ciò che amavo.
Sai di non poter restare, vero?”, mi domandò dopo un po'.
Perché no?”, chiesi.
Ci sono delle persone che ti aspettano. Non puoi farle aspettare.”
Preferisco restare con te.”
Ma non puoi. Ormai è troppo tardi”
Mi voltai di scatto, ma Alex era sparito. Alle mie spalle c'era solo desolazione: un prato arso e nero sovrastato da un cielo plumbeo e minaccioso. »

Mi svegliai di soprassalto. Dov'ero? Dov'era Alex?
Sentivo ancora il suo profumo circondarmi. Poi ricordai. Lui non c'era più. Io l'avevo ucciso.
Inspirai profondamente. Potevo davvero sentire la sua fragranza fresca e leggermente fruttata. Strinsi più forte il pungo. Dopo quello che avevo fatto mi meritavo quella sofferenza. Sarebbe stato il mio castigo, la pena che ogni secondo di ogni minuto di ogni giorno mi avrebbe ricordato il mio tremendo peccato.
“Aly, sei sveglia?”
La sua voce mi fece sussultare. Alla fine era successo, ero impazzita. Perderlo era stato troppo.
“Piccola mia... avanti!”,supplicò angosciato.
Mi stava spronando, ma a fare cosa? Forse a rinsavire, ma per farlo dovevo lasciarlo andare ed io non volevo. Se dovevo scegliere tra un mondo senza Alex e l'insanità mentale, potevano portarmi la camicia di forza.
Chiusi gli occhi più forte temendo che se li avessi aperti l'illusione sarebbe svanita. Non mi importava se non era reale, mi bastava saperlo con me.
Poi sentii la sua mano sulla guancia. Merda! Dovevo davvero essere fuori perché era ancora più bello e intenso di come lo ricordassi.
Per un attimo mi chiesi se potessi anche vederlo. Mi ero esercitata tutta la vita ad immaginarlo al mio fianco, quanto poteva essere difficile avere un'allucinazione?
Con cautela aprii un occhio e poi l'altro. Era pazzesco. C'era davvero. Altro che camicia di forza, ero da camera imbottita, ma andava bene così.
“Oh piccola! Finalmente!”, sospirò sollevato baciandomi sulla tempia.
Se avessi saputo che l'insanità mentale era così, avrei perso il senno molto prima. Ma chi me lo aveva fatto fare di torturarmi per anni quando bastava rinunciare alla realtà per vedere realizzata ogni fantasia?
“Se sono matta tanto vale osare.”mormorai tra me.
Mi allungai per toccargli il volto. La mano tremava per l'emozione, lo desideravo da così tanto.
Avrei preferito non immaginarlo così tumefatto però. Aveva un grosso cerotto sulla tempia, un sopracciglio spaccato, un occhio nero, graffi sullo zigomo e ancora i segni del colpo che aveva preso da Marcus. Forse era così che la mia mente mi puniva per ciò che avevo fatto. Non mi importava, anche malconcio era sempre bellissimo.
Gli sfiorai con delicatezza lo zigomo e lui sussultò chiudendo un occhio. Gli avevo fatto male.
“Scusa.”, mormorai sorpresa di quanto fosse perfida la mia immaginazione.
C'erano ancora le stesse regole. Guardare ma non toccare.
Ok, potevo accettarlo.
Feci per allontanare la mano un po' delusa ma lui la afferrò portandosela alle labbra. Mi baciò il palmo e le dita, una ad una. Poi passò al polso, all'avambraccio, la curva interna del gomito, il bicipite, la spalla, la base del collo, la mandibola, la guancia...e ad ogni tocco il cuore impazziva. Sospiravo rumorosamente mano a mano che si avvicinava alla bocca, sopraffatta da un piacere inatteso. Le sue labbra, le sue bellissime e caldissime labbra, mi stavano lasciando una scia infuocata sul corpo accendendo un desiderio dirompente.
Qualcuno tossì schiarendosi la gola.
Chi cazzo era adesso? Dovevo avere una natura masochista se mi interrompevo da sola proprio sul più bello.
Mi voltai svogliatamente.
“Dottore.”, fece Alex a mo' di saluto continuando a lasciarmi lievi baci sul volto.
Il suo respiro mi accarezzava la pelle provocandomi la pelle d'oca. Brividi di piacere mi risalivano la schiena rendendomi ipersensibile. Che dolce follia!
“Signor Davis non dovrebbe essere a letto?”, lo ammonì il medico severo.
“E non lo sono?”, ribatté lui con uno dei suoi sorrisi smaglianti.
Gli specializzandi che lo accompagnavano ridacchiarono.
“Intendevo nel suo letto.”, sottolineò non apprezzando l'umorismo di Alex.
“Oh... bé questo offre maggiori vantaggi.”, fece stringendomi ancora di più.
“Questo è poco ma sicuro.”, se ne uscì uno dei ragazzi.
E in quel momento mi si accese la proverbiale lampadina.
Non era allucinazione. Non ero pazza. Era tutto vero: io... Alex... e d'un tratto realizzai cosa stava succedendo. Ero letteralmente aggrovigliata ad Alex. Le mie gambe erano avvinghiate a lui ed ero accoccolata comodamente sul suo corpo. E se ripensavo alla scia dei suoi baci e ai miei sospiri... Merda! Non eravamo soli. Avevano visto tutto.
Cazzo! Cazzo! Cazzo!
“Oh merda!”, esclamai avvampando.
Mi presi il viso tra le mani e mi nascosi nel petto di Alex. Volevo sparire, sprofondare per la vergogna. Tutti i monitor cominciarono a suonare come impazziti, palesando il mio imbarazzo.
I dottori più giovani ridacchiarono divertiti per quel concerto di bip. Di certo avevo offerto loro uno spettacolo insolito per il giro di visite.
“Vediamo...”, riprese il loro insegnate “Di cosa ha bisogno la paziente?”
Almeno lui mi aveva concesso la grazia di fingere che non fosse successo niente, ma non osai comunque alzare la testa. Oltretutto tra le braccia di Alex stavo da Dio!
“Di qualche minuto da sola con il suo ragazzo!”, commentò uno degli specializzandi facendo scoppiare a ridere i compagni.
“Oh mamma!”, sospirai ancora più imbarazzata.
Anche Alex se la stava ridendo. Sentivo il petto sobbalzare. Avrei voluto strangolarlo. Lui doveva saperlo che non eravamo soli. Mi alzai di scatto pronta a dirgliene quattro ma non appena incrociai il suo sguardo la mia rabbia evaporò, rimpiazzata da un profondo sollievo. Lui era vivo.
Gli poggiai la mano sul petto quasi per accertarmene e sentii con il palmo il suo cuore battere. Non c'era suono più bello. Gli poggiai di nuovo la fronte sul petto lasciandomi sfuggire un sospiro liberatorio.
“Grazie a Dio!”
Alex mi accarezzò la nuca e mi posò un bacio dolce tra i capelli. Non mi importava più delle risatine dei dottori. Ero con il mio Alex. Lui era vivo e stava bene.
L'attimo dopo sentii la sua mano scivolare lungo la schiena fino a fermarsi sul mio sedere. Schizzai su come una molla con gli occhi sgranati per la sorpresa. Il viso di nuovo in fiamme.
“ALEX!!”, urlai fingendomi indignata, senza però riuscire a reprimere una risata.
“Finalmente! Bentornata!”, disse accarezzandomi la guancia rosso fuoco, “Non sai quanto mi è mancato questo!”
Mi voltai a guardare il medico ai piedi del letto. A differenza dei suoi sottoposti, aveva l'aria piuttosto scocciata, ma non sembrava essersi accorto di ciò che era successo sotto le lenzuola. Alla fine, visto che non gli era possibile fare il suo lavoro, uscì sbuffando, seguito a ruota dai ragazzi che invece ci lanciarono gesti di approvazione e ammiccamenti vari.
“Sei davvero uno scemo!”, lo sgridai rimasti soli.
“Perché che ho fatto?”, chiese con aria innocente.
“A parte mettermi volutamente in imbarazzo?”, sbuffai.
“Io?!”, fece fingendosi costernato, “E sentiamo come avrei fatto?”
“Tu hai... hai... Oh! Sai benissimo cosa hai fatto!”, feci indispettita da quel tono.
“Sei tu ad esserti stretta a me! E poi continuavi a sospirare«Non te ne andare» «Non mi lasciare».”
Merda!
Dovevo aver parlato nel sonno. Era una cosa che mi succedeva spesso ultimamente, però non era carino rinfacciarmelo! Non avevo controllo su ciò che dicevo quando ero incosciente. Non che con lui presente ne avessi di più, ma in ogni caso non poteva usare le mie parole contro di me.
“Be' mai sei tu ad essere nel mio letto!”, osservai credendo di averlo messo spalle al muro.
“Vuoi che me ne vada?”, chiese di colpo serio.
“No!”, risposi d'impulso.
“Quindi Aly Williams è così, mi vuoi nel tuo letto.”, sottolineo con quel tono sexy e ammiccante che poteva benissimo costarmi la vita.
Boccheggiai senza riuscire a replicare, mentre il volto mi diventava di mille colori.
“Sei cattivo, ti diverti a prendermi in giro.”, dissi imbronciata.
“Oh... solo un po'. Credimi mi sto trattenendo.”, ridacchiò.
Mi accarezzò con l'indice il profilo, facendo di nuovo salire le pulsazioni alle stelle. Era imbarazzante sentire le mie emozioni risuonare così forte.
Alex si voltò verso il monitor sorridendo soddisfatto.
“É davvero imbarazzante!”, mormorai, “Ed è anche ingiusto che sia solo io a dover essere messa a nudo.”
Mi sorrise ed io avvampai leggendo l'ombra di malizia nel suo sguardo. Accidente a lui ed ai suoi doppi sensi!
“Smettila di gongolare!”, lo sgridai divertita.
Lui allora mi prese la mano e se la mise sul petto.
“Senti. Anche il mio cuore batte forte, proprio come il tuo.”, disse e non c'era un'ombra di scherzo nel suo volto.
Lo guardai imbambolata trattenendo il fiato. Mi aveva stregata. Ero ammaliata, completamente in suo potere.
Stavolta avrei avuto un infarto, sicuro. Be'... almeno ero già in ospedale.
“Magari non proprio forte come il tuo.”, aggiunse ammiccando.
Crollai di nuovo sul suo petto. Con l'orecchio rimasi per un po' a sentire quel suono così rassicurante. TAM-TAM. TAM-TAM.
Era pazzesca la sensazione che mi dava. Dopo aver pensato di averlo perso era un miracolo averlo lì, sentirlo ridere e vederlo prendermi in giro. Era come se gli ultimi quattro mesi non fossero mai esistiti. Eravamo di nuovo noi.
Ma non potevo far finta di niente, ci avevo già provato combinando un casino che per poco non gli era costata la vita. Ero fortunata ad avere una seconda chance. Stavolta dovevo fare le cose per bene, dovevo prendere il coraggio a quattro mani e fare chiarezza dentro di me affrontando la verità, qualsiasi cosa volesse dire.
“Stai bene?”, mi domandò dopo un po'.
“Ora che so che tu stai bene, sì.”, gli risposi sospirando ancora una volta per il sollievo.
“Perché pensavi che mi fosse successo qualcosa?”
“Tom aveva detto che eri in coma... e l'infermiera mi aveva detto... aveva detto...”, balbettai senza riuscire a dirlo ad alta voce.
Lui mi strinse forte e riprese ad accarezzarmi la schiena, provocandomi brividi in tutto il corpo. Dio quant'era bello sentire le sue mani su di me. Dopo tutta l'oscurità che mi aveva avvolta era una sensazione rigenerante.
“Ssh. Tranquilla. Sto bene.”, disse posandomi un altro bacio tra i capelli.
“Si, lo vedo.”, osservai sarcastica.
Oltre la faccia tumefatta, aveva un tutore alla spalla destra, probabilmente doveva essersi rotto qualche costola visto che sentivo una fasciatura avvolgergli lo sterno e aveva un altro tutore alla gamba destra. Senza contare i lividi e le escoriazioni che dal fianco sembravano diramarsi alla schiena.
Si, stava davvero bene!
Accoccolata com'ero su di lui non potei non notare che le sue ferite erano complementari alle mie. Il suo lato destro, il mio sinistro.
“Poteva finire peggio, no?”, commentò facendo spallucce come se invece di essersi quasi ammazzato si fosse solo sbucciato un ginocchio.
“Non avresti dovuto farlo.”, lo sgridai di colpo arrabbiata.
Come gli era saltato in mente di fare una stupidaggine del genere? Che pensava di fare buttandosi giù dalle scale? E se fosse morto davvero? Cosa avrei fatto io allora? Possibile che non ci avesse pensato?
“Non potevo lasciarti cadere.”, rispose con un candore disarmante.
“E se ti fossi rotto l'osso del collo?”, dissi con orrore mentre un tremito mi risaliva lungo il corpo, “Tu...tu potevi...potevi...”
Alex mi impedì di continuare poggiandomi l'indice sulle labbra. Mi stava di nuovo leggendo dentro. Lentamente fece scivolare la mano lungo la guancia sfiorandomi con le altre dita il collo, intrecciando infine la mano tra i capelli. L'atmosfera si fece crepitante. L'aria mi evaporò dai polmoni. Il suo sguardo magnetico mi aveva inchiodata. Non ricordavo più neanche il mio nome. Si chinò poggiandomi le labbra sulla fronte e inspirò profondamente.
“Hai un profumo delizioso.”, sussurrò con voce roca.
“Detto così sembra quasi che tu voglia mangiarmi.”, osservai imbronciata.
Aveva cambiato argomento.
“Quasi...”, sussurrò con uno sguardo carico che mi provocò nuovi brividi.


Allora che ne dite?
Alla fine ha vinto il mio lato romantico, anche se la versione dark non mi dispiaceva.
Cmq spero davvero che vi sia piaciuto. Come al solito fatemi sapere le vostre impressioni.
A presto!!!

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Capitolo 31
*** Confessioni ***


Confessioni
CAP

PdV Alex

«Era inconfondibile il profumo dolce e vanigliato che si era diffuso nella stanza. Lo avrei riconosciuto tra mille: Aly.
Mi stava spiando nascosta in un angolino. Aveva le guance arrossate, ma gli occhi brillavano birichini. Il rossore del volto li faceva risaltare ancora di più; erano due smeraldi. Era il canto di una sirena. Il suo corpo cantava per me ed io ne ero completamente ammaliato.
Come avevo fatto a non accorgermi finora di quanto fosse bella?

Con un cenno la invitai ad avvicinarsi. Lei mi sorrise mordendosi l'indice indecisa, ma alla fine avanzò. I nostri sguardi erano incatenati, imprigionati da uno strano incantesimo. Era intenso e bellissimo.
Il desiderio divampò di colpo; la volevo. Non avevo mai desiderato  una donna così tanto in vita mia e non era solo per il sesso. Da lei volevo di più. Da lei volevo tutto.
Era un'agonia, lei avanzava lentamente mentre il mio bisogno già bruciava impetuoso. Volevo stringerla tanto da sentire il calore del suo corpo avvolgermi, il suo respiro solleticarmi la pelle, il battito del cuore riempirmi il petto. E in qualche modo sapevo che anche per lei era lo stesso.
Oh Aly!”, sospirai tra l'estasi e la frustrazione.
Ssh!”, mi zittì lei posandomi l'indice, lo stesso che aveva mordicchiato, sulle labbra.
Incapace di resistere lo addentai. Aveva il suo sapore. Era delizioso.
Lei ridacchiò portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e guardandomi con trepidazione. Cosa mi stava chiedendo? Cosa voleva la mia piccola Aly?
Prima che potessi rispondere lei salì sul letto mettendosi a cavalcioni sopra di me. Sorrideva compiaciuta, mentre io faticavo a deglutire. Poi iniziò a strusciare il suo bacino contro mio. Sarei potuto morire in quel momento.
Non era più la sorellina di Tom o la ragazzina ingenua che per anni avevo ignorato, era una donna bella e sensuale, forte e determinata, anche se timida ed inesperta e si stava offrendo a me. A me.
La afferrai per la nuca reclamando la sua bocca. Aly mugolò qualcosa intrecciando le dita ai miei capelli. Mi stringeva forte e mi baciava con un trasporto e un'intensità che non avevo mai provato.
Era incredibile ed io ero dannatamente fortunato, perché tra tutti aveva scelto proprio me. Ero completamente pazzo di lei. Ogni cosa di lei mi faceva perdere la testa: le labbra soffici, il respiro fresco e il sapore... oh quello era indescrivibile. Lo avevo appena assaggiato e già ne ero dipendente. Ne volevo ancora, ne volevo di più.
L'afferrai per i fianchi e alzai il bacino. Volevo che sapesse che anche io la desideravo, volevo che capisse ciò che mi stava facendo.
Sospirò forte buttando indietro la testa e lasciandomi libero accesso al collo. Che dolce invito!
Lì il profumo era più intenso, tanto quasi da stordirmi.
Ormai avevamo entrambi il fiato corto. Il desiderio ci stava letteralmente consumando. Aly mi tirò di nuovo a se prendendo possesso della mia bocca. Era terribilmente eccitante il suo essere timida e al tempo stesso così audace. Sentivo la sua lingua accarezzarmi con impeto, ma incerta.
Feci scorrere le mani sul suo corpo, prima in modo dolce, poi, mano a mano che la passione cresceva, divenni più audace. Le mie carezze si fecero più intime, più insistenti, più spinte generando gemiti e gridolini di puro piacere.
Ero al limite.
Come se mi avesse letto nel pensiero, Aly si tirò su a sedere e si sfilò il camice restando nuda sopra di me. Era bella da togliere il fiato.
Cominciai a baciarla ovunque fino ad arrivarle al seno. Come lo sfiorai Aly andò in estasi. Era molto sensibile. L'adoravo.
Inarcò la schiena offrendosi ancora una volta a me.
Mi voleva, la volevo. Mi liberai dai vestiti e ribaltai la nostra posizione. I suoi occhi mi sorridevano, colmi di desiderio e malizia. Il viso era ancora arrossato. La feci mia.
Alex!”, gridò. »

“Alex?”
Mi svegliai di soprassalto. Ero immerso nel buio.
Merda! Era solo un sogno. E che sogno!
Mi coprii gli occhi con il braccio, cercando di ricompormi. Avevo il fiato corto e i battiti alle stelle. Ma che cazzo mi stava succedendo? Non facevo un sogno erotico da... da... bé non ne avevo mai fatto uno tanto intenso. Ero quasi venuto e ora avevo un grosso, grosso problema, di quelli che richiedevano una doccia gelata per essere risolti.
“Alex.”
Mi voltai di scatto colto di sorpresa e trovandomi davanti Aly imprecai.
Cazzo! Da quanto tempo era lì? E soprattutto cosa aveva visto?
“Scusa, non volevo spaventarti.”, disse con un filo di voce.
E ora come me la cavavo? Non era quello il momento per una visita. Non con le immagini che ancora mi vorticavano in testa. Non con l'eco dei suoi gemiti che mi scorreva nel corpo. Non con il desiderio che ancora mi infiammava.
Mi sembrava di essere il Lupo davanti a Cappuccetto Rosso. Avevo la stessa acquolina e lei era vicina. Molto vicina. Troppo vicina.
“Non dovresti essere qui.”, mi uscì in modo inaspettatamente brusco.
Ero talmente su di giri da non riuscire a guardarla. In mente avevo solo una cosa e non volevo che lei lo capisse. Per fortuna era abbastanza ingenua da non saper leggere la mia palpabile eccitazione, anche se trovavo questa sua caratteristica estremamente intrigante.
Alt. Non dovevo assecondare quei pensieri. Si trattava di Aly e non volevo che pensasse che fossi un maniaco o un depravato. La sua opinione su di me era già scesa abbastanza in basso.
“Il dottore non ti ha detto che devi restare a letto?”, la rimproverai cercando di suonare meno duro.
“Senti da che pulpito.”, mi rimbeccò imbronciata strappandomi un sorriso.
Era vero. Anche io avevo disobbedito andando a trovarla quel pomeriggio, ma era diverso. Come potevo non andare da lei dopo che Tom mi aveva detto che, dopo essere collassata, non accennava a svegliarsi? Dovevo farlo. Dovevo e basta, anche se alzandomi avevo fatto saltare i punti della ferita chirurgica rischiando di avere altre complicazioni.
Era già un miracolo che fossi ancora vivo, dopo la caduta e l'operazione d'urgenza al mio ricovero. Ero stato in coma per un paio di giorni, e non ero ancora del tutto fuori pericolo. Tuttavia un conto era che io giocassi con la mia salute, un altro era che lo facesse lei.
“Volevo vederti.”, disse piano.
Aly era terribilmente seria. Qualcosa non andava. Non era dell'umore con cui l'avevo lasciata qualche ora fa. Sembrava nervosa e spaventata. Di tanto in tanto la vedevo rabbrividire e non nel modo che avevo imparato ad amare.
“Posso dormire con te?”, chiese con voce tremante.
Un fremito mi attraversò da capo a piedi. La volevo nel mio letto più di qualsiasi altra cosa, ma se l'avessi avuta tra le braccia non ero sicuro di come mi sarei comportato. Inoltre se si fosse infilata sotto le coperte, per quanto ingenua potesse essere, si sarebbe accorta del «problemino» che avevo.
Doveva sapere che mi piaceva, ma non così. Era una ragazza romantica e non c'era niente di romantico in questo.
“Non credo sia il caso.”, le risposi addolcendo ancora di più il tono.
Gli occhi le si riempirono di lacrime, anche se cercò di non darlo a vedere.
“Ok.”, mormorò con un filo di voce, “Scusa.”
Forse fu il tono che usò a illuminarmi o l'espressione mortificata che le si dipinse in volto, ma d'un tratto mi resi conto che se voleva dormire con me doveva esserci un motivo serio. Se non fossi stato così dannatamente eccitato mi sarei reso conto prima che non c'era rossore o imbarazzo sul suo volto. Non era qui per quello.
Ora che la guardavo meglio era piuttosto pallida e decisamente impaurita.
Avevo commesso un altro errore.
“Aly...”, mormorai pentito cercando di prenderle la mano.
Lei si ritirò bruscamente portandosela al petto arretrando.
Ero un idiota. Un maledetto coglione. L'avevo ferita, di nuovo. Era venuta da me ed io l'avevo scacciata.
“Non dovevo venire. Scusa.”, borbottò confusa continuando ad arretrare.
Se ne stava andando. Dovevo trovare un modo per fermarla, per convincerla a restare, ma non potevo alzarmi dal letto.
Oh, al diavolo le raccomandazioni!
Mi tirai su provando a sedermi, ma una fitta mi fulminò strappandomi un urlo. L'attimo dopo sentii le mani di Aly sorreggermi.
“Alex!”, gridò allarmata, “Stai bene? Ti sei fatto male? Hai bisogno del dottore?”
La sua preoccupazione mi fece tenerezza. Nessuno si era mai preoccupato per me come faceva lei. Era una cosa nuova. Era una cosa bella.
“Sto bene.”, la rassicurai ancora dolorante.
“Dovresti rimanere sdraiato. Non voglio che ti faccia del male. Non voglio rischiare di perderti ancora.”, mi confessò angosciata.
“Tranquilla. Non vado da nessuna parte.”, le disse accarezzandole la guancia.
Era calda. Aveva gli occhi lucidi, forse aveva un po' di febbre. Non avrebbe dovuto alzarsi in questo stato.
Mi rivolse un sorriso forzato prima di poggiarmisi sul petto.
“Solo un attimo, per favore.”, mi supplicò.
Avevo paura a toccarla. Sembrava sul punto di rompersi. Non sapevo cosa le stava succedendo e cosa fare per aiutarla. Sapevo solo che non sopportavo di vederla così e che dovevo fare qualcosa. Era un impulso profondo, primitivo quello che mi spingeva a prendermi cura di lei e proteggerla.
“Perché sei qui Aly?”
“Perché solo vicino a te mi sento al sicuro.”, confessò in un sussurro riempiendomi il cuore di un'emozione senza nome.
Lei rabbrividì senza aggiungere altro. Aspettò ancora un attimo poi si rimise in piedi vicino al letto. Si strinse le braccia al petto per proteggersi e abbassò lo sguardo.
“C'era qualcosa nel bicchiere”, iniziò con la voce incrinata, “Marcus... al locale... quella sera.”
Ogni traccia di eccitazione sparì all'istante, rimpiazzata da una furia dirompente. Strinsi forte i pugni, rimanendo in religioso silenzio mentre il respiro mi si accorciava.
“I dottori... le analisi...”, farfugliò confusa prendendosi il volto tra le mani, “Hanno detto che ho avuto una brutta reazione alla sostanza...”
“Stai bene?”, soffiai cercando di nascondere la rabbia.
“Mi ha drogata Alex. Lui...lui...”
Che domanda idiota! Ovviamente non stava bene, come poteva? Quel piccolo bastardo non solo le aveva messi le mani addosso, ma l'aveva perfino drogata. Avrei dovuto ucciderlo quando ne avevo avuto l'occasione. Avrei dovuto mandarlo in ospedale, levandomi la soddisfazione di dargli una bella lezione. Se solo non fossi costretto in un letto d'ospedale...
Oh, ma non sarei rimasto qui ancora a lungo e allora avremmo fatto i conti.
“Alex...”
Inspirai profondamente. Dovevo calmarmi. Avrei pensato a quel verme più tardi. Ora dovevo occuparmi di lei.
Aly si era fatta piccola piccola. Il corpo le tremava scosso da brividi. Era come se di colpo si fosse resa conto del pericolo che aveva corso.
“Vieni qui.”, dissi invitandola a sdraiarsi vicino a me.
Lei scosse la testa. Stava singhiozzando.
“Lui voleva... voleva... le sue mani... me le sento ancora addosso.”, ammise infine quasi con vergogna.
“Vieni qui.” feci di nuovo e stavolta lei obbedì.
La strinsi a me forte cercando di cancellare quei ricordi accarezzandole la schiena, le braccia, la testa fino a che piano piano iniziò a rilassarsi.
“Non ricordo quasi niente. Solo qualche flash: noi che ballavamo, io che mi sentivo strana... Poi ricordo solo le sue mani addosso ed io non volevo... non volevo davvero che lui mi toccasse. Se non fossi arrivato tu...” fece lasciando la frase a metà.
“Non ti sarebbe successo niente, Aly. I tuoi amici non ti hanno persa di vista un secondo e tuo fratello era venuto a prenderti. Se non fossi arrivato io, ti avrebbe salvata qualcun altro.”, ammisi a malincuore.
Per quanto il mio ego si crogiolasse nell'idea di essere il suo eroe, la verità era che era solo grazie a Tom se Aly era salva. Lui mi aveva detto dov'era, lui mi aveva spinto a cercarla, lui era andato al locale per portarla via quando io facevo avanti e indietro come un cretino. Aly non aveva bisogno di me.
“Io non volevo.”, sussurrò.
“Certo che non volevi. Nessuno pensa che sia colpa tua.”, dissi piuttosto sorpreso.
Come poteva pensare una cosa del genere? Era la persona migliore che conoscessi, la più onesta, la più sincera, la più splendida creatura di questo mondo.
La risposta però la conoscevo bene perché ricordavo come il senso di colpa viscido ti strisciasse dentro a tradimento, insieme alla vocina che continuava a ripeterti «Se non avessi fatto questo» o «se fossi stato più attento».
“Aly ascoltami.”, le dissi prendendole il mento per costringerla a guardarmi “Non è colpa tua.”
Lei smise di respirare per un attimo. Mi guardò smarrita e un po' abbagliata.
“Però io...”, farfugliò.
“No. Non è colpa tua.”, feci senza smettere di fissarla.
“Ma...”
“Non. È. Colpa. Tua.”, ripetei scandendo ogni sillaba.
Per un po' Aly mi guardò senza dir niente, come se soppesasse il peso delle mie parole, ma alla fine annuì sollevata. Tuttavia qualcosa ancora non andava. Teneva lo sguardo basso e si mordicchiava l'indice nervosamente. Come nel mio sogno.
Merda! Alex, non ora. Non. Ora.
“Sei caduto per salvarmi.”, disse riaccoccolandosi su di me.
“Te lo ricordi?”
Lei fece cenno di no. Sentii una fitta, ma la ignorai.
“Però ricordo quando sei arrivato. Eri molto arrabbiato.”, osservò sbadigliando.
“Si lo ero.”, ammisi secco.
Dire che ero arrabbiato era l'eufemismo del secolo. Ero preoccupato, spaventato, agitato e mille altre cose ancora, ma di sicuro quando gli avevo visto quel bastardo addosso era stata l'ira a prevalere sul resto. Fremevo letteralmente di rabbia e lei se n'era accorta. Aveva visto il mio sguardo omicida? Si era resa conto di quanto fossi stato vicino a perdere il controllo?
Era finita. L'immagine da bravo ragazzo che così faticosamente avevo costruito era ufficialmente andata a puttane. Ora Aly sapeva che era tutta una bugia e che ero marcio dentro.
“Mi ha fatto ripensare a quando ero piccola. Avevi spesso quell'espressione arrabbiata.”, continuò pacata.
Ogni singolo muscolo del corpo si trasformò in pietra. Come diavolo faceva a ricordarlo? In quel periodo lei non poteva avere più di sette o otto anni e non andavo così spesso dai Williams. Non poteva averlo notato.
“Ti osservavo sempre, anche allora sai.”, mi confessò e quasi riuscii a vederla arrossire.
La baciai tra i capelli respirando il suo profumo, cercando di disperdere il panico che lottava per prendere il controllo.
“Davvero?”
“Ho passato tutta la vita a guardarti Alex. Fin dal primo momento che hai messo piede in casa nostra e non ho mai smesso.”
“Mai?”, sottolineai scettico sapendo che ormai non lo avrebbe più fatto.
“Mai.”, confermò sorprendendomi, “Ma ci ho provato. In questi ultimi mesi ho fatto l'impossibile per dimenticarti, ho provato perfino ad odiarti, ma più lottavo per non pensarti, più eri al centro dei miei pensieri e più succedeva, più mi arrabbiavo con me stessa. Era un circolo vizioso.”
Un raggio di speranza mi sfiorò il cuore.
Aly sospirò, ma non era più un sospiro rotto, era carico di emozione, la stessa che riempiva l'atmosfera intorno a noi. Eravamo in una bolla, racchiusi nel nostro universo privato.
“Quando credevo che fossi morto Alex, ho rischiato di impazzire. Continuavo a pensare che l'ultima cosa che ti avevo detto era che ti odiavo. É stata una orribile e tremenda bugia.
Io non ti odio Alex, non posso. Dio solo sa se ci ho provato. La mia vita sarebbe molto più facile se ci riuscissi.”
Fu come se mi avesse tolto un enorme macigno dal petto. Aly non mi odiava. Era più di quanto avessi osato sperare. Ci sarebbe voluto del tempo per riconquistare la sua fiducia, ma non era ancora detta l'ultima parola. Dovevo dimostrarle che poteva contare su di me e che tenevo a lei più di quanto riuscissi a dire.
“Ho commesso molti errori ultimamente e forse è il caso che inizi ad ammetterli almeno con me stessa. Se ti fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato.”, disse rabbrividendo.
“Tu non hai nessuna colpa, Aly.”, riuscii a farfugliare.
Ero ammaliato dal suo modo spontaneo di dire ciò che aveva nel cuore. Richiedeva una forza ed un coraggio che le invidiavo profondamente. Non aveva paura di esporsi, neanche dopo che l'avevo ferita brutalmente. Non conoscevo nessun altro capace di farlo.
“No, non è vero. Ho scelto di scappare invece di affrontare i problemi, ho scelto di tenermi tutto dentro invece di parlarne con chi mi voleva bene e cercava di aiutarmi. Ho scelto tutte le cose sbagliate.
In questi giorni ho avuto modo di riflettere un po' su tutto quello che successo e mi sono resa conto di avere una gran confusione in testa. Credo di aver bisogno di prendere un attimo le distanze e fermarmi a pensare.”
“Da cosa vuoi allontanarti? Da me?”, chiesi pregando che non fosse così.
“Anche. L'unica cosa che credo di aver capito per certo Alex è che le cose non possono più tornare com'erano prima.”, ammise.
“E questo che significa?”
“Non lo so. Non ne ho la più pallida idea.”, sospirò sconfortata.
Ecco, quello era il momento  che aspettavo, il momento in cui avrei dovuto dire qualcosa. Qualsiasi cosa. Era il momento in cui far uscire ciò che avevo nel cuore, di farle capire cosa significasse per me e quanto la sua presenza fosse diventata importante. Dovevo dirle come il suo amore mi aveva salvato, rendendomi un uomo migliore. Era quello il momento, l'attimo perfetto. E lo lasciai passare.
“Be' ora è meglio che torni in stanza prima che si accorgano della mia fuga. Grazie per avermi ascoltato e scusa ancora per averti svegliato.”, disse alzandosi.
Mi stava dicendo addio? La afferrai per il polso. Aly si voltò. Aveva gli occhi lucidi.
Chiuse gli occhi, inspirò profondamente e si chinò per darmi un bacio sulla fronte. Se ne stava andando. Mi stava scivolando tra le dita come sabbia.
Le afferrai la nuca per impedirle di allontanarsi. Forse potevo mostrarle ciò che non riuscivo ad esprimere a parole. Le presi il viso tra le mani, incatenando i nostri sguardi. I suoi occhi mi parlavano, lasciandomi vedere il mondo bellissimo che nascondeva nel cuore e anche io volevo che lei lo facesse. Per lei valeva la pena correre il rischio, abbassare le difese e lasciarla entrare.
Le accarezzai le labbra con il pollice, quelle labbra che morivo dalla voglia di assaggiare. Lei si afferrò il labbro inferiore con i denti, rabbrividendo e non per paura.
Mi avvicinai lentamente. Non volevo sorprenderla o forzarla. Aveva ancora la possibilità di fermarmi se non voleva. Chiusi gli occhi. Sentivo il suo alito sulle labbra, ancora pochi attimi e avrei poggiato la mia bocca sulla sua.
“Ero sicura che l'avrei trovata qui!”, ci sorprese una voce gracchiante accendendo la luce.
Ci staccammo di colpo presi alla sprovvista. Aly aveva il volto scarlatto e per una volta sentivo di non essere in una condizione migliore. Non riusciva a guardarmi, aveva l'aria confusa, come se si fosse risvegliata di colpo da un incantesimo.
“Se uno di voi si azzarda ancora una volta a lasciare la propria stanza, vi lego al letto, chiaro?”, ci minacciò l'infermiera.
Ma proprio ora doveva arrivare? Dannazione!
Aly, rossa come non mai, teneva lo sguardo fisso sulla coperta. Si stava di nuovo mordicchiando l'indice, le labbra piegate in un sorriso clandestino. Gli occhi le ridevano ed era contagiosa.
“E lei”, continuò l'infermiera con le mani sui fianchi rivolgendosi a me, “Non dovrebbe stare seduto!”
Non mi ero nemmeno accorto di essermi alzato. Ero evidentemente così distratto da non sentire nemmeno il dolore. Un sorriso scemo mi comparve sul volto.
Anche Aly ne aveva uno notai. Non riuscivo a smettere di sorridere. Poi i nostri sguardi si incrociarono di nuovo e il resto parve sparire. C'eravamo solo io ed lei, uniti, complici.
“Forza! Andiamo!”, le disse l'infermiera indicandole l'uscita.
Aly si voltò, poi però parve ripensarci. Tornò da me e si chinò per darmi un bacio sulla guancia, ma all'ultimo mi voltai, lasciando che le sue labbra finissero finalmente sulle mie. Le assaggiai il labbro inferiore. Era pazzesco, semplicemente pazzesco. Le intrecciai le mani ai capelli tenendola stretta a me e lei dischiuse le labbra. Era il mio segnale, mi stava dicendo sì, ma prima che potessi approfittarne l'infermiera me la strappò dalle mani.
“Adesso basta. Andiamo. Potrete amoreggiare quanto vorrete una volta fuori di qui.”, disse e Aly sgranò gli occhi avvampando.
Mi fece un cenno con la mano e poi sparì dietro la porta ed io mi ritrovai di nuovo al buio con il cuore al mille e un sorriso idiota stampato sul viso.
Wow!


Nuovo capitolo dal pdv di Alex, che ne pensate?
E se da un lato Aly sogna altalene e prati, Alex invece... XD XD
Non vi avevo promesso che avrei sfruttato il cambio di raiting più avanti? Ho mantenuto  la parolao no? XD XD
Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate! Commentate! Commentate! Commentate!

Per chi ha tempo e/o voglia qui sotto lascio il link alla pagina Facebook della storia, dove ho postato la foto del “mio” Alex e della “mia” Aly. E se con lui è stato quasi amore a prima vista, dare un volto a lei è stato abbastanza faticoso. Volevo una ragazza semplice, normale, un tipo acqua e sapone. Cmq alla fine queste sono le mie scelte e mi piacerebbe da morire sapere cosa ne pensate ( o se vi va mandatemi le vostre).
Non so se c'è un modo per inserirli anche qui, ma se sapete come farlo non esitate a dirmelo!!
Un bacione!
A presto!

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Capitolo 32
*** Fuori dalla nebbia ***


Fuori dalla nebbia
CAP

“Aly, vuoi fare attenzione!”
La voce esasperata di papà mi riportò alla realtà. Avevo rotto un altro bicchiere.
“Possibile che tu sia sempre distratta ultimamente? Si può sapere a cosa pensi?”
Abbassai lo sguardo colpevole. Nelle ultime settimane avevo combinato un disastro dopo l'altro. Il bicchiere era solo l'ultimo delle mie vittime. Prima di quello c'era stato il caffè sulla tastiera del PC di Tom e l'allagamento del bagno la settimana scorsa. Per non parlare di tutte le cose che avevo rotto o macchiato o danneggiato.
“Sono sicura che Aly sia già abbastanza dispiaciuta, tesoro.”, intervenne mamma condiscendente.
Papà sbuffò, ma non disse altro. Non riusciva a sgridarmi quando avevo l'aria da cane bastonato.
“Mi spiace tanto papà. Vado in camera mia.”, sussurrai.
Sospirai buttandomi sul letto. Mi ero di nuovo persa e dire che in ospedale mi sembrava di aver visto la famosa luce in fondo al tunnel. Invece ero più incasinata di prima. Avevo l'impressione di essermi smarrita in mezzo ad una nebbia fittissima da cui non sapevo come uscire.
Il motivo? L'ultimo in ordine cronologico era che Alex mi aveva baciata.
Non facevo che pensarci e ripensaci, rivedendo l'intera scena con la moviola. Non dormivo più, non mangiavo più, non facevo che pensare solo, soltanto e solamente a lui e alle sue labbra e la cosa mi mandava nel pallone.
Alex Davis aveva baciato me. Me. Perché?
Se non ne venivo a capo stavolta rischiavo la camicia di forza.
Avevo bisogno di consigli, di un punto di vista oggettivo, avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse a pensare. In poche parole avevo bisogno dei miei amici.
Ormai ero talmente in confusione da non capire neanche se ero felice di quel bacio. Certo all'inizio erano stati tutti fuochi di artificio, poi erano arrivati i dubbi: perché lo aveva fatto? Cosa significava per lui? Era stato mosso dalla pietà o era stato un bacio amichevole? E se fosse stato un bacio di scuse? Non si diceva, un bacietto e pace fatta?
Non ci capivo più niente e a peggiorare tutto c'era poi quel pensiero, timido e irrazionale, che insinuava che forse Alex potesse provare qualcosa per me.
No, non era possibile. Qualsiasi altra spiegazione sarebbe stata più plausibile di questa.
Il cervello mi stava scoppiando. Avevo un disperato bisogno di Ryler e Kailyn, ma non potevo vederli visto che dall'incidente ero in super mega maxi punizione e ciò escludeva ogni contatto col mondo esterno. Niente internet, niente pc, niente telefono, niente uscite e niente visite. Andavo a scuola e poi dritta di nuovo a casa.
Mamma e papà stavolta c'erano andati pesanti, anche se non avevo nessuna pietra di paragone visto che non ero mai stata punita prima.
Tuttavia non potevo dire di non essermelo meritato. Avevo fatto spaventare i miei a morte, senza contare che gli avevo mentito per uscire, mi ero vista con un ragazzo più grande, ero andata in un locale dove girava di tutto e avevo bevuto dell'alcol. Per non parlare del fatto che avevo quasi ammazzato me stessa e Alex. A vederla così ce n'era abbastanza da meritare l'ergastolo e, conoscendo mamma, non era escluso che decidesse di tenermi in punizione vita natural durante.

Quando, qualche minuto più tardi, papà mi raggiunse in camera, mi preparai a ricevere l'ennesima ramanzina sulla mia sconsideratezza e mancanza di senso di responsabilità.
“Io e tua madre abbiamo parlato.”, iniziò con quel suo tono severo, “E visto che in questo mese non ti sei mai lamentata e ai rispettato tutte le regole, crediamo di poter sospendere la punizione.”
Ero allibita. Ora capivo cosa volesse dire un fulmine a ciel sereno.
“Sono libera?”, farfugliai shockata.
“Ovviamente alcune cose cambieranno, ci saranno regole ferree d'ora in avanti, ma credo che tu abbia imparato la lezione. ”
Ah sì? Lo avevo fatto?
Ricordavo di essermi ripromessa di usare il tempo della reclusione per sviscerare fino in fondo la questione di Alex e Roxy, di capire dove avevo sbagliato e da dove mi erano venuti tutto quell'odio e quella rabbia, ma in realtà non avevo fatto che pensare e ripensare al bacio. Era passato un mese, ma ero ancora al punto di partenza.
“Non dovresti mostrati un po' più contenta?”, mi chiese spiazzato dalla mia reazione.
Dovevo? A dire il vero, tutta quell'inattesa libertà faceva una paura del diavolo. Finché restavo chiusa in casa non dovevo affrontare niente e nessuno, e ovviamente quando dicevo nessuno intendevo Alex. Un paio di volte aveva provato a chiamarmi, ma io non sapevo cosa dirgli e la punizione era stata la scusa perfetta per evitare di affrontarlo
“E lo sono... più o meno.”
Papà non era convinto. Lo capivo dal modo in cui mi guardava, era tale e quale a Tom, quando faceva così.
“Mah...”, borbottò infine, “Comunque tua madre pensa che potrebbe farti piacere invitare i tuoi amici stasera. È la vigilia di Natale e non voglio vedere musi lunghi, intesi?”
Non ci credevo. Ryler e Kailyn.
Mi buttai addosso a papà allacciandogli le braccia al collo.
“Grazie, grazie, grazie!”,
Lui farfugliò qualcosa di indecifrabile e tossicchiò imbarazzato. Non era il tipo da effusioni.
“È stata un'idea di tua madre.”
Gli schioccai un bacio sulla guancia e gli regalai un sorriso smagliante. Era davvero adorabile quando cercava fare il burbero.
Non appena uscì riesumai il cellulare dal cassetto e mi affrettai a chiamare i miei amici.

Le ore cominciarono a scorrere veloci come minuti. Avevo ancora un mucchio di cose da fare prima di rivedere i miei amici. Presi di prepotenza possesso della cucina e cominciai a preparare tutto ciò che mi passava per la testa, dagli stuzzichini al dolce.
Volevo festeggiare alla grande la reunion e c'era un solo modo per farlo come si doveva; con tanto cibo ipercalorico da sfamare mezza popolazione mondiale.
Mi sentivo pimpante e piena di energie come non succedeva da tempo. Mi piaceva essere impegnata, mi aiutava a non pensare. In più amavo cucinare ed era appagante tornare ai fornelli. Da quando avevo visto Roxy e Alex, mi era venuto come un blocco e non ero più riuscita a bollire nemmeno una pentola d'acqua.
Sniffai l'impasto che avevo davanti scettica. Mancava qualcosa, me lo diceva il naso. Mi girai verso il tavolo per controllare la ricetta e per poco non ci rimasi secca. Roxy era sulla porta.
“Mi ha fatta entrare tua madre.”, si giustificò.
“Che ci fai tu qui?”, le domandai passato il primo momento di smarrimento.
“Volevo vedere come stavi.”, fece con un'alzata di spalle, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Bé non lo era. Non per me.
Averla davanti agli occhi riaccese qualcosa, una sensazione pungente e sgradevole.
“Sto bene, grazie.”
La mia voce suonò gelida perfino a me, ma non potevo farci niente. Quando ero con lei il gelo io ce lo avevo dentro.
“E Alex?”, domandò cauta.
Fu orribile la sensazione che mi attraversò il corpo nel sentirle pronunciare quel nome. Mi si drizzarono i capelli in testa. Come faceva a comportarsi come se non fosse successo niente? Come poteva ignorare l'aria così carica di imbarazzo e tensione da essere quasi irrespirabile?
Non mi piaceva quell'atmosfera, né ciò che stava affiorando.
“È vivo.”, sibilai.
“Non ne sembri troppo felice.”, buttò lì con un mezzo sorriso.
“Non mi va di parlare di lui. Soprattutto non con te.”, troncai l'argomento.
Stupidamente mi sentivo gelosa. Non volevo condividere con lei nessuna informazione su Alex. In realtà mi dava fastidio che lei avesse pensato a lui, anche se sapevo che in quella situazione era normale. Era irrazionale, eppure non riuscivo a tollerarlo.
“Ok, lo capisco.”, sospirò mettendosi le mani nelle tasche posteriori dei jeans.
Io no, non ci riuscivo. Non capivo come avessero fatto le cose ad arrivare a questo punto. Non capivo perché era dovuta andare così. Non capivo perché ogni volta che la guardavo sentivo ribollirmi dentro una cosa che non riuscivo a definire.
“Davvero Roxy apprezzo la visita e tutto il resto, ma non credo di poterlo fare. Parlare con te, intendo.”
“Forse però dovresti sforzarti. Se ci provi, magari potremmo chiarirci e, col tempo, le cose potrebbero aggiustarsi. Non ti piacerebbe buttarci alle spalle tutto e tornare come eravamo prima?”
Presi un respiro profondo, cercando di fermare il tremito che mi aveva preso dentro. Faceva male, come se qualcuno mi stesse infilzando il cuore con degli spilli.
“Le cose non torneranno mai com'erano.”, ammisi ad alta voce, cominciando a realizzare come stavano davvero le cose.
“Non puoi dirlo senza averci nemmeno provato.”, recriminò.
Mi fermai un attimo a guardarla e d'un tratto le parole uscirono spontanee accompagnate da una pungente delusione.
“Ma io ci ho provato. Per mesi non ho fatto altro. Tu non hai idea di quanto io ci abbia provato.
Ho tentato di tutto per trovare il modo di perdonarti. Ho perfino provato ad odiare Alex, ad incolparlo di tutto, pur di scusare te. Non sai le balle che mi sono raccontata per riuscirci.
Se potevo convincermi che lui non era il mio amore, tu forse potevi non essere la sgualdrina che senza riguardo mi ha pugnalato alle spalle portandosi a letto il ragazzo che amo.
E quando non ci sono riuscita, allora ho fatto tabula rasa. Nel profondo avevo la speranza che se dimenticavo tutto, poi avremmo potuto ricominciare da capo.
Mi dispiace di non esserci riuscita, mi dispiace davvero. Se avessi potuto scegliere tra voi due, io avrei scelto te. Ma non funziona così. E solo ora mi rendo conto di quale è stato il mio errore.
Ho sbagliato a cercare di perdonarti, perché l'unica cosa che ho ottenuto è stato ingannare me stessa. Mi sono sforzata così tanto e così intensamente che alla fine ho dimenticato la verità e mi sono persa. Sono diventata una persona orribile, una persona che non riconosco, che non mi piace e ho fatto cose discutibili. Tutto questo per te, perché Roxy io ti voglio bene come ad una sorella e nonostante tutto, non riesco ad odiarti.
Però avrei dovuto essere più onesta con me stessa, avrei dovuto ammettere fin dall'inizio che, nonostante l'affetto che provo per te, non posso perdonarti per ciò che hai fatto. Non avrei mai dovuto provare a coprirti scaricando tutto su Alex o peggio cercando di cambiare me stessa. Ho causato un sacco di dolore inutile a tutti.
Io ti voglio ancora bene, ma non voglio più essere tua amica.”
Finalmente riuscivo ad ammatterlo. Tutta la rabbia, la frustrazione, il rancore che mi ribollivano dentro avvelenandomi, erano solo il frutto del mio non voler affrontare la verità. Avevo soffocato i sentimenti per Roxy riversandoli su Alex perché era più facile affrontare la delusione di averlo visto con un'altra, che il dolore di aver scoperto la mia migliore amica pugnalarmi alle spalle.
Avevo fatto di tutto per non pensarci, per non ammetterlo, perché accettare questo voleva dire affrontare anche la diretta conseguenza; la fine della nostra amicizia.
“E con lui?”, mi chiese piangendo.
Stranamente, nonostante il dolore bruciante che sentivo, non uscirono lacrime dai miei occhi. Tirare fuori quel grumo di emozioni che così caparbiamente avevo represso e nascosto fu liberatorio e mi sorpresi nello scoprire di avere una forza che non sospettavo. Io potevo farlo, potevo affrontare quel dolore.
“Non lo so.”, risposi sinceramente, “Nemmeno con lui le cose possono tornare com'erano. Io lo amo ancora, ma questo non basta più. Voglio qualcuno che mi ami a sua volta. Mi merito qualcuno che mi ami. E Alex... non credo... lui non...”
La frase mi morì in gola. Non volevo dirlo ad alta voce, perché sapevo dove mi avrebbero portato quei pensieri.
Alex non era il ragazzo giusto per me. Amarlo da lontano non mi bastava più. Volevo qualcuno che mi amasse, un ragazzo con cui uscire e che mi facesse sentire innamorata. L'amore a senso unico non scaldava il cuore. Per la prima volta non ero più sicura dei miei sentimenti. Lo amavo ancora, ma una parte di me voleva chiudere quella storia inutile ed andare avanti verso un nuovo amore.
“Voglio farti vedere una cosa.”, sussurrò Roxy dopo un lungo silenzio iniziando a frugare in borsa finché non tirò fuori il cellulare. Toccò per qualche istante qua e là sullo schermo e poi lo rivolse verso di me.
“Un altro video? Davvero?!” gridai stridula.
“Guardalo.”
Scossi la testa decisa a cavarmi gli occhi piuttosto che fare una cosa del genere. Roxy amava i suoi video amatoriali e per anni ci eravamo divertiti alle spalle di perfetti estranei colti in situazioni bizzarre, ma dopo l'ultima volta avevo imparato ad odiarli.
“No. È così che è iniziato tutto, con uno dei tuoi stupidi video. Se tu non avessi filmato la ex di Alex a fare la puttana in giro per negozi, non mi avresti mai mandato il video, io non lo avrei fatto vedere a lui e...”
“Alex starebbe ancora con quella sgualdrina.”, concluse lei.
“Forse, ma almeno io avrei ancora te.”, le risposi con amarezza.
Si, perché alla fine era questo che mi bruciava di più. Roxy mi aveva mandato il video per aiutarmi e mi si era ritorto contro nel peggiore dei modi ed io ero arrabbiata con lei e con me stessa per non aver saputo far niente per impedirlo. Se Roxy non fosse stata in quel negozio, se solo lei non mi avesse mandato il messaggio ed io non fossi stata da sola quella mattina, se solo fossi andata subito da Tom invece di voler parlare con Alex, ora non starei stata lì a mettere in discussione i pilastri di una vita, mettendo fine ad uno dei rapporti a cui mai avrei pensato di dover rinunciare.

Dopo che se ne fu andata, restai per un bel po' a rimuginare da sola. Avevo un gran voglia di piangere. Tutto il buon umore e l'entusiasmo erano stati inghiottiti dal vuoto che Roxy aveva lasciato. Affrontare la verità era stato insieme difficile e allo stesso tempo liberatorio e mi ci sarebbe voluto un po' per digerire quella storia. Non doveva finire così, non era giusto e mi faceva una rabbia tremenda pensare che avremmo potuto, anzi dovuto, evitarlo. Ero così furiosa che avrei voluto mettermi ad urlare o spaccare qualcosa, invece rimasi accucciata stringendo forte al petto il cuscino.
Quando quella sera Ryler e Kailyn arrivarono, mi trovarono ancora immersa nelle mie rimuginazioni.
“Ehi, è così che accogli i tuoi amici?”, mi sgridò Kay vedendo il mio muso lungo.
“Ho visto Roxy nel pomeriggio.”, annunciai senza tanti preamboli.
Ry annuì silenzioso, mentre Kailyn sgranò gli occhi rimanendo a bocca aperta.
“E allora?”, mi incalzò.
“Abbiamo chiuso. Le ho detto che non posso perdonarla.”
Per un attimo restammo in silenzio. Vedevo sul volto dei miei amici la stessa delusione che mi aveva invaso l'anima. Le cose non sarebbero mai più state quelle di prima.
“Stai bene?”, mi domandò Ryler dopo un po'.
Feci spallucce.
“Almeno adesso vi siete chiarite.”
“Ry, se per te è troppo strano o difficile... si, insomma lo capisco. Lei è tua sorella.”
Quelle parole mi tagliarono la gola come lame affilate, ma era giusto a questo punto affrontare tutte le conseguenze della mia scelta.
“Alt. Ne ho già discusso con lei e le ho detto che non mi sarei fatto condizionare. Posso essere tuo amico e suo fratello.”
“Sicuro?”, chiesi non riuscendo a nascondere il sollievo.
“Oh yeeees!!”, ammiccò facendo OK.
Ryler era sempre il migliore. Sapeva sempre cosa fare per sdrammatizzare anche le situazioni peggiori.
“Di che avete parlato?”, mi chiese Kay riprendendo la conversazione.
“Di noi... e anche di Alex.”
“Alex?!”, esclamarono in coro stupefatti.
Annuii. Mi rendevo conto che era assurdo aver parlato di lui, eppure mi era venuto naturale risponderle in quel momento. Non mi pentivo di averlo fatto, in qualche modo era stato giusto così.
“Non è che ci siamo dette chissà che. Voleva sapere se lo avrei perdonato ed io ho solo risposto che non lo so.”
“Io credevo lo avessi già fatto... in ospedale mi sembrava fosse tutto risolto.”, disse sorpresa Kay.
“Forse non si tratta proprio di perdonare. Non è che lui mi abbia tradita. Più che altro delusa, ecco. Solo che non so più come comportarmi con lui.”
“Spiegati meglio.”
“Non posso tornare a sognare guardandolo da lontano come prima, ma non posso nemmeno averlo quindi...”
“E questo chi l'ha detto?”, mi interruppe Ry.
“I fatti. Alex non è interessato ad una storia seria. Non è il tipo da avere una ragazza soltanto e anche se fosse, non sarei mai io quella ragazza.
Sono anni che mio fratello non fa che ripetermelo e finalmente ho capito cosa voleva dire. Io non vado bene per lui e lui non va bene per me.”
“Questo non puoi saperlo.”, brontolò Ry.
“Sì, invece. È stato lui a chiarirlo quella mattina, dopo aver visto il video.”
“Ma era arrabbiato, Aly. Avrà detto sicuramente cose che non pensa e tu, dopo quello che hai passato, dovresti capirlo bene.”, fece Kay.
“O forse è stato brutalmente sincero. In fondo che motivo ho per pensarla diversamente?”
“Intendi oltre al fatto che era disposto a morire pur di salvarti?”
Un ting dal computer mi salvò dal rispondere a quella domanda scomoda. Mi ero dimenticata che il pc era ancora acceso e connesso a Facebook.
Controllai pigramente lo schermo per vedere di cosa si trattava; era un messaggio di Roxy.
Per un attimo mi dimenticai di respirare. Perché mi aveva scritto? Cos'altro rimaneva da dire dopo oggi?
Quando mi voltai Ryler e Kailyn erano già al mio fianco e rincuorata dalla loro vicinanza iniziai a leggere.

«Dopo che me ne sono andata oggi ho riflettuto a lungo.
Non riesco ad accettare di chiudere così la nostra amicizia, non senza prima dirti quello che penso.
Sulle prime mi hai fatta davvero arrabbiare. Farla finita per un ragazzo! Davvero non capivo cosa ci fosse di così speciale in lui da non permetterti di perdonarmi. Dopo oggi però credo di aver capito. Alex non c'entra niente. Questa cosa riguarda noi: te e me.
Stavolta mi sono spinta troppo oltre. Non ho pensato nemmeno per un secondo che avresti reagito così, che saresti arrivata a mettere in discussione la nostra amicizia. Ho agito con leggerezza e superficialità, dando per scontato che alla fine mi avresti perdonata comunque. Non è la prima volta che ti ho fatta infuriare, perché avrebbe dovuto essere diverso? Ora lo so. C'era un limite a ciò che potevi sopportare ed io l'ho superato abbondantemente. Capisco di averti delusa e tradita, però credimi che non l'ho fatto per ferirti e, se posso, voglio far qualcosa per rimediare.
Da quando ti conosco Aly non hai fatto che decantare (e sì, ho usato proprio decantare) le lodi del tuo intramontabile amore per Alex. Però non hai mai mosso un dito per avvicinarlo. E se qualcuno te lo faceva notare tu avevi già pronta la scusa perfetta: come poteva un ragazzo del genere ricambiarti? Ma questa è solo una gran stronzata e tu lo sai.
Sai cosa credo invece? Credo che tu non abbia paura di sentirti dire no, tu hai una paura fottuta che Alex ti dica sì.
Ma lascia che ti chiarisca un po' le idee. Il vissero felici e contenti, è un'illusione che va bene solo nelle favole. La vita è diversa, è caotica, imprevedibile, disordinata e non la puoi controllare.
Viviamo in un mondo imperfetto. Ciò significa che Alex non è perfetto. Tu non sei perfetta. E, se doveste avere una storia, nemmeno quella sarebbe perfetta. Sai perché? La perfezione non esiste. La perfezione è sopravvalutata. La perfezione non serve ad un cazzo.
Forse è arrivato il momento di smetterla di nascondersi dietro alle tue fantaromanticherie e affrontare il mondo reale. Non puoi sognare per sempre Aly, ad un certo punto devi anche iniziare a vivere.
Per cui accetta un consiglio spassionato (e so che non è né richiesto, né voluto): smetti di farti mille seghe mentali e muovi il culo.
Prendi il toro per le corna, e chiarisciti una volta per tutte le idee.
Niente più scuse. Guarda il video. Ti meriti di essere felice.»

Arrivata in fondo un nodo mi aveva chiuso la gola e le lacrime mi bagnavano le guance.
Eccola, quella era la mia Roxy. La pazza senza peli sulla lingua. Il dolore si fece più intenso e bruciante, ma non cercai di reprimerlo o ignorarlo. Avrei sempre sentito la sua mancanza, ma col tempo potevo imparare a conviverci. Avevo imparato la lezione: non si può scappare dalle emozioni perché quelle trovano sempre il modo di fregarti. Dovevo accettare di essere stata ferita e darmi il tempo che mi serviva per guarire.
Paradossalmente se non le avessi voluto così bene, forse sarei riuscita anche a perdonarla, ma era stupido crogiolarsi con l'idea di «come sarebbe stato se».
Un secondo ting segnalò l'arrivo del video. L'immagine dell'anteprima era scura e sfuocata. Non c'erano indizi su cosa contenesse. Aprirlo fu un atto assoluto di fede.

Erano solo pochi minuti, eppure ci volle più di un'ora prima che le immagini che vedevo mi arrivassero al cervello. Non facevo che guardarlo e riguardarlo, sempre più incredula.
Era stato girato la sera dell'incidente. Si vedeva Alex salvarmi dalle grinfie di Marcus, ma, molto più shockante, si vede Alex baciarmi. Baciarmi davvero intendo. Il tipo di bacio che lasciava poco da interpretare. Il modo in cui mi aveva afferrata, in cui le sue mani mi scivolavano addosso o in cui io mi aggrappavo a lui...
Come mai non mi ricordavo niente? Come avevo fatto a scordare una cosa così?
Con le mani mi accarezzai piano le labbra come potessi ancora sentirci il suo calore, o meglio il suo sapore. Con tutte le cose orrende di quella sera, perché avevo dimenticato proprio quello. Perché? Perché? Perché?!
“E brava Aly!”, si complimentò entusiasta Ry battendo le mani.
“In che senso scusa?”
Cominciai a mordicchiarmi l'indice sentendo il panico salire. Che dovevo fare ora?
Perché quel bacio? Perché Alex non mi aveva detto niente in ospedale? Era pentito? Non ci capivo più niente.
“Oh no, no, no! Non provarci neanche a fare la gnorri, capito?”, mi avvertì mettendosi le mani sui fianchi e sbattendo ritmicamente il piede a terra.
“Sono sicura che non è come sembra.”, feci con un filo di panico nella voce.
“A me sembra che ti abbia infilato la lingua in gola, ma sono disposto ad ascoltare la tua interpretazione.”
Kailyn ridacchiò ed io sentii un'improvvisa ondata di caldo avvolgermi. La temperatura era bruscamente aumentata tanto da farmi venir voglia di spalancare la finestra.
“Direi che questo risolve ogni dubbio su cosa provi Alex.”, aggiunse lei facendo ripartire il video.
Guardai il monitor con la coda dell'occhio, sentendo i battiti aumentare mano a mano che si avvicinava il momento del bacio.
“Col cavolo. Un paio di bacietti non risolvono proprio un bel niente, anzi è proprio il contrario.”, dissi quasi urlando
“Un paio?”, rimarcò Kay.
Merda!
Accidenti a me e alla mia testa disfunzionale. Non avevo ancora raccontato a nessuno ciò che era successo in ospedale. Loro non sapevano del bacio, l'unico per inciso di cui mi ricordassi.
“C'è qualcosa che vuoi dirci per caso?”, mi incalzò.
“Bé... veramente... insomma... può darsi che mi sia scordata di dirvi che in ospedale io e Alex...come dire, ci siamo baciati.”, ammisi riducendo il volume mano a mano che andavo avanti.
“COSA?!”, gridarono in coro.
“Solo un bacietto piccolo.”, sussurrai colpevole.
“Con la lingua?”, fece Ry per sondare la gravità dell'omissione.
“No...si... forse... un po'....”, inciampai non sapendo neanche io come rispondere.
Certo se Margart non fosse arrivata forse avrei avuto meno dubbi. Se ci ripensavo sentivo ancora il fuoco incediarmi le vene.
Ero decisa ad andare via, ma l'idea che avrei potuto non rivederlo più mi aveva reso insolitamente coraggiosa. Mi ero chinata su di lui e Alex si era voltato all'ultimo momento. Mi aveva afferrata e il resto era un ricordo confuso di bocche avide che si assaporavano.
“Aly è una domanda semplice: o la lingua c'era o non c'era.”
“Non lo so... siamo stati interrotti.”, borbottai raggiungendo un nuovo livello di imbarazzo, “ Oh! È tutto un gran casino.”
Mi lasciai cadere sul letto a peso morto, sprofondando nella mia confusione.
“A me non sembra.”, disse allora Kay, “A me sembra piuttosto che tu non voglia vedere le cose per come stanno. Alex ti ha baciata e invece di fare salti di gioia tu stai qui a cercare una scusa con l'aria da cane bastonato. Si può sapere cosa c'è che non va?”
Abbracciai forte Rusty, l'orsetto di peluche che Tom mi aveva regalato quando avevo cinque anni, cercando di dare un nome a quella cosa che mi si agitava dentro.
“Ho paura.”, ammisi infine.
“Di cosa?”, chiese Ry.
“Di illudermi e finire di nuovo col cuore a pezzi.”
I miei amici mi guardarono comprensivi, si sedetterono al mio fianco e poggiarono le loro mani sulle mie.
“Lo capiamo, ma Aly in qualsiasi relazione si corre questo il rischio. Non pensi che valga la pena almeno fare un tentativo?”
Era questo il punto, non ne ero più tanto sicura. L'idea di poter stare con Alex mi faceva volare ad altezze mai nemmeno immaginate, ma allo stesso tempo rendeva il ricordo dei mesi passati ancora più terribile. Era come per Icaro, tanto più si volava verso il sole, tanto più grande era il rischio di cadere.
“Pensate davvero che lui provi qualcosa per me?”, chiesi cercando qualcosa a cui aggrapparmi.
Non volevo lasciare che la speranza si insinuasse nel mio cuore. Non così velocemente. Avevo bisogno di qualche certezza.
“SI!”, risposero subito in corro rivolgendomi un sorriso avvolgente.
“Allora perché non mi ha mai detto niente. Le occasioni non gli sono mancate. Senza contare che dopo che l'ho visto con Roxy non si è più fatto vivo. Non avrebbe almeno dovuto provare a scusarsi, se davvero ci tiene a me?”
Nessuno rispose confermando i miei dubbi.
“L'unico modo per avere delle risposte Aly è chiederlo direttamente a lui. Puoi passare anche il resto della vita a fare congetture, ma solo lui può darti le risposte.”, disse Kay pragmatica come sempre.
“Anche se”, si intromise Ry, “alle volte i gesti valgono più delle parole, non credi?
Guarda i fatti. Ti sei mai chiesta cosa ci facesse Alex al locale quella sera? Non è certo il genere di posti che frequenta e casualmente ci viene la stessa sera in cui ci sei tu. Non ti pare strano?
E poi Aly era pronto ad ammazzarsi per salvarti. Aggiungi i baci allo scenario e non credi che ce ne sia abbastanza almeno per un ragionevole dubbio?”
Ryler sapeva essere davvero convincente quando ci si metteva e anche se volevo con tutte le mie forze evitare di sperare in qualcosa, una sensazione familiare mi stava già riscaldando il cuore.
“Quindi voi dite che dovrei buttarmi?”, chiesi mordendomi il labbro inferiore.
Loro annuirono decisi.
“E se mi spezza il cuore?”
“Allora i tuoi fedeli amici arriveranno a consolarti carichi di gelato e di ogni altro cibo spazzatura, pronti a rigare la macchina all'infame e a rapirgli il cane.”, fece Ry in tono solenne.
“Alex non ce l'ha il cane.”, gli risposi con un sorriso un po' forzato.
“Prima glielo regaliamo e poi lo rapiamo, semplice no?”, disse ammiccando.
Gli buttai le braccia al collo un po' rincuorata. Kay si aggiunse a noi in un abbraccio a tre.
Forse avevano ragione loro. Avevo già deciso di non voler tornare a guardarlo da lontano, per cui non mi rimanevano che due soluzioni possibili: rassegnarmi e togliermelo dalla testa o provare a renderlo mio.
Cosa avevo da perdere? Avevo già provato a dimenticarlo e sapevo quanto potesse essere difficile e doloroso. Almeno se mi fossi concessa un'opportunità non avrei avuto rimpianti e anche se le cose fossero andate male ci sarebbero stati i miei amici ad aiutarmi.
“Non lasciare che la paura ti fermi, Aly.”, mi sussurrò Kay.
Nello stesso istante Tom aprì la porta senza bussare sorprendendoci ancora abbracciati.
“Interrompo qualcosa?”
“È questo il modo di entrare?”, lo sgridai.
Lui fece un gesto noncurante, come se non fosse un problema suo. Odiavo quando faceva così!Mi dava veramente sui nervi.
“Sei venuto per una ragione o solo per rompere le scatole?”
“Tieni scimmia!”, disse lanciandomi al volo un pacchetto.
“Un regalo? Per me?”, feci cambiando subito tono, guardandolo con occhi pucciosi.
Wow!
I regali di Tom erano una rarità, e ciò bastava a renderli speciali e preziosi.
Guardai il pacchetto, non più grande del palmo della mano. Morivo dalla voglia di aprirlo, ma conoscevo la regola di Tom sui regali: mai aprirli in sua presenza.
“E il bigliettino non glielo dai?”, lo stuzzicò Ry curioso come una spia.
Tom abbassò lo sguardo sulla busta che teneva in mano cambiando espressione.
“Questa te la manda Alex.”, si limitò a dire.
“Ah.”
Non riuscii a partorire di meglio. La testa era completamente vuota e silenziosa. Che il mio sistema nervoso centrale fosse in sciopero visto i ritmi spasodici degli ultimi tempi?
“Perché non è venuto lui?”, chiese Kay a cui rivolsi un sorriso pieno di gratitudine.
Leggila.”, ordinò porgendomi la lettera, “Venite ragazzi, lasciamola un attimo sola.”
Loro sembravano confusi quanto me dal comportamento di Tom, ma non obiettarono.
“Noi ti aspettiamo di là, ok?”, mi dissero prima di uscire.
Rimasi a guardare la porta chiudersi come uno stoccafisso. Mi sembrava di tenere in mano una bomba ad orologeria. Tremavo all'idea di ciò che avrei trovato aprendola, ero divisa tra paura e trepidazione. Alex mi aveva mandato una lettera.
Presi un profondo respiro, radunai tutta la calma che mi restava e scoperchiai il vaso di Pandora.


Stavolta vi ho fatto aspettare un po' più a lungo, ma spero che ne sia valsa la pena! :)
Scrivere questo capitolo mi ha portato via più tempo del previsto, perché pur avendolo chiaro in mente non riuscivo proprio a metterlo nero su bianco. Spero di esserci riuscita nel modo migliore (anche se non ne sono proprio sicura)!
Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate!
Un abbraccio grandisssssssimo! :)

Come sempre per chi vuole lascio i link alla pagina facebook di Icarus (l'ultima novità postata è un estratto del cap "Blackout" affiancata da un 'immagine proprio speciale...)
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Poi vorrei lasciarvi anche il link ad un blog con cui mi è stato chiesto di collaborare. Non è niente di speciale, solo un piccolo articolo che ho voluto dedicare alle fanfiction per cui se vi va andate a dare un'occhiate. Oltre al mio troverete tanti altri contenuti interessanti!!!
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Capitolo 33
*** Con amore, Alex ***


In my heart

«Mia piccola e dolcissima Aly,

sono settimane che muoio dalla voglia di sentirti e ormai ho raggiunto il limite. Tu non vuoi o non puoi parlarmi ed io non so più cosa pensare.

Ti prego non odiarmi. So di meritarlo, ma ti prego, ti prego non farlo.

Mi dispiace per averti fatta soffrire, mi dispiace per averti fatta piangere e mi dispiace di non essere l'uomo che meriti di avere accanto.

Dovrei darti più tempo per riflettere, ma non posso stare a guardare mentre tu mi scivoli via dalle mani. Non voglio perderti, non posso accettare che finisca così. Ci sono delle cose che ancora non conosci, ma che vorrei condividere con te. Avrei dovuto dirtele quella notte in ospedale, ma non ne ho avuto il coraggio. Sono un vigliacco, me ne rendo conto.

È solo colpa mia Aly. Tutto quello che hai passato, tutto il dolore che ti ha travolta. Io volevo farti del male, o almeno pensavo di volerlo. Poi ti ho vista tra le braccia di Tom e mi sono sentito morire. Quando ho capito cosa ti avevo fatto, ho avuto orrore di me stesso. Non potevo credere che proprio io avevo causato lo stesso dolore che mi era stato inflitto. Tutti questi anni di fredda indifferenza mi hanno trasformato in un mostro, anzi peggio mi hanno fatto diventare come mia madre.

So che questo per te non ha senso, e come potrebbe? Non ho mai parlato di lei con nessuno, però ora voglio provare a spiegarti come ho fatto ad arrivare ad essere ciò che sono. Per settimane non ho fatto che rifletterci, torturandomi nel rimorso e nel senso di colpa, senza nemmeno pensare di provare a chiederti scusa, perché io al tuo posto non mi perdonerei. Ma tu sei migliore di me e per questo prego che tu ci riesca.

Non so neanche se ciò che voglio dirti ti farà stare meglio o peggio, se ti aiuterà a capire o ti confonderà ancora di più. Non sto cercando di giustificarmi, non ho scusanti per averti maltrattata. Voglio solo farti capire.

Da piccolo credevo di avere una famiglia perfetta. Sai, di quelle che si vedono negli spot alla tv. Eravamo felici. Dal mio punto di vista non c'erano crepe o difetti.

Poi un giorno, tornado a casa da scuola, scoprii che mia madre era sparita. Se n'era andata, senza dare una spiegazione, senza nemmeno un saluto. Se n'era andata e basta.

Avevo solo sei anni.

Non credo che esistano parole per descrivere il maremoto di emozioni che mi travolse. Mi sentii abbandonato, messo da parte, buttato via, come un cosa vecchia e inutile. Mia madre se n'era andata così, con semplicità.

Non riuscivo a capirlo, non volevo accettarlo.

Papà andò su tutte le furie. Penso che quella sia stata l'unica volta in cui l'ho visto veramente perdere il controllo. Era così arrabbiato da farmi paura. Fece sparire tutte le cose di mamma, strappò le sue foto, urlò per giorni maledicendo il suo nome. Da quel momento tutto ciò che la riguardava divenne un tabù. Non mi disse cos'era successo, si limitò ad ordinarmi di dimenticarla, di fare come se non fosse mai esistita.

Io non volevo. Non volevo scordarmi di mia madre. Mi aggrappai alla speranza che prima o poi sarebbe tornata, che un giorno saremmo stati nuovamente una famiglia felice. Forse può sembrarti sciocco, ma ero solo un bambino e volevo che la mia mamma tornasse.

Ci misi settimane a realizzare che non sarebbe successo. Il dolore e la delusione furono così travolgenti che pensai di morirne. Ancora adesso se chiudo gli occhi posso sentirli. È qualcosa che non augurerei al mio peggior nemico. In un battito di ciglia il mondo mi si era sgretolato davanti agli occhi ed io non avevo potuto fare nulla per impedirlo.

Vorrei riuscire a spiegarti meglio la situazione, a descriverti il dolore che si prova a venire abbandonati da chi ti mette al mondo, la rabbia per essere lasciati indietro e la delusione di aver creduto in chi non se lo merita. Non credo di esserne capace, ma confido nel tuo buon cuore. Hai un animo sensibile e credo non farai fatica ad immaginarlo.

L'abbandono mi ha segnato profondamente e mi ha insegnato che le emozioni tradiscono. Non potevo fidarmi del cuore.

Le cose comunque andarono avanti, ma non fu più lo stesso. Senza mamma sparì anche il senso di essere una famiglia, c'eravamo solo io e papà. Lui lavorava quasi ventiquattro ore al giorno, io imparai ad apprezzare la solitudine di una grande casa vuota.

Non chiedermi perché, ma più passava il tempo più mi convincevo che la colpa di tutto dovesse essere di mio padre. Mi dicevo che dovesse averle fatto qualcosa di orribile da averla spinta a scappare, e quindi era solo questione di tempo prima che mamma venisse a portar via anche me.

Ma il tempo passava e di lei non c'era traccia. Imparai a sopportare il dolore e il senso di vuoto. Ingoiai rabbia e delusione e andai avanti, senza mai abbandonare del tutto l'idea che lei alla fine sarebbe tornata.

Al primo o secondo anni di liceo scoprii come stavano le cose. Ricordo come se fosse ieri che a scuola ci era stato chiesto di ricostruire il nostro albero genealogico ed io ero entusiasta di avere una buona scusa per indagare un po' sul ramo materno della famiglia. Non conoscevo quasi nessuno dei parenti di mamma e mi illusi che se avessi trovato un numero o anche solo un nome, forse avrei potuto ritrovare anche lei.

Credevo che il motivo per cui ancora non si era fatta viva fosse che papà glielo stesse impedendo.

Non trovai nomi, né numeri, ma in compenso trovai un diario. O meglio una serie di diari. Erano tutti di mia madre.

Andai in fibrillazione, ma invece di darmi sollievo, quelle pagine furono la mia rovina.

La donna che mi ritrovai davanti leggendo non assomigliava minimamente alla madre dolce e amorevole che ricordavo. Era capricciosa, vuota e superficiale. Parlava con disprezzo di tutto e tutti senza eccezioni.

Fu uno shock scoprire che la famiglia perfetta in cui avevo creduto di vivere in realtà fosse tutta una farsa. Quel diario raccontava una storia diversa, fatta di ripetute infedeltà e recriminazioni, la più grande delle quali ero io.

Non so se puoi capire cosa provai quando scoprii che la mamma che veneravo, che avevo messo su di un piedistallo e che amavo incondizionatamente, in realtà non mi voleva. Non mi aveva mai voluto. Se non fosse stato per papà io non sarei nemmeno venuto al mondo. Dovette arrivare a minacciare di toglierle tutto se non avesse portato a termine la gravidanza.

Per lei ero il parassita che le aveva sottratto l'amore, la libertà e la giovinezza. Era una prima donna e non voleva dividere le luci della ribalta con nessuno, incluso suo figlio.

Non c'era una sola parola di affetto nei miei confronti. Non provò mai il desiderio di tenermi in braccio, di allattarmi, di fare tutte le cose che ogni mamma fa naturalmente con il suo bambino.

Papà fu costretto ad assumere una persona per accudirmi e badava sempre che non restassi solo con lei.

Con gli anni le cose non migliorarono. Lei diventò sempre più intollerante nei miei confronti. Il solo vedermi la mandava su tutte le furie. Mi guardava e vedeva tutto ciò che non poteva più avere e quando non riuscì più a sopportarlo, se ne andò. L'ultima frase del diario diceva chiaramente che aver avuto me era stato il più grande errore della sua vita.

Se mi avessero strappato il cuore dal petto, probabilmente mi avrebbero fatto meno male. L'amavo così tanto che capire di non essere ricambiato, di essermi illuso, fu devastante. Tutte le mie fantasie si erano scontrate con la brutale realtà sgretolandosi e lasciandomi con l'amara consapevolezza che non era colpa di papà, ero stato io a rovinare tutto. Era solo colpa mia.

Di nuovo mi mancano le parole per farti capire cosa sento tutt'ora ripensandoci. Sapere che la donna che ti ha messo al mondo non ti ama è la cosa peggiore che si possa provare. Ti fa sentire inadeguato nel profondo, come se ci fosse qualcosa di tremendamente sbagliato nel solo fatto che esisti, un errore tanto grave da impedire a chiunque di amarti.

Sono passati anni da allora, eppure ancora adesso mentre scrivo la mia mano trema. Certe ferite Aly lasciano nell'anima segni profondi, cicatrici che sono destinate a non guarire mai.

Quello fu il periodo peggiore della mia vita. Ho fatto cose di cui non vado fiero, ma di questo può parlarti Tom. Lui era lì nella mia ora più buia e probabilmente se non fosse stato per lui adesso non sarei qui a scriverti. È un amico prezioso, anche se non ho saputo dimostrargli quanto lo apprezzi.

Fu lui a salvarmi dalla strada autodistruttiva che avevo imboccato. Credo che a questo punto, dopo tutto ciò che hai passato, tu possa capirmi almeno un po'. Ce l'avevo col mondo. Odiavo lei, odiavo me, odiavo la vita in generale.

Freudiani, Junghiani, comportamentisti, cognitivisti... sono stato in cura da tutti gli specialisti che papà poteva permettersi, ma nessuno di loro è riuscito a sradicare l'amara convinzione che c'è qualcosa di sbagliato in me per cui nessuno potrà mai amarmi davvero. Mi hanno detto che non era colpa mia, che non ero io il problema, ma era scritto nero su bianco, è da me che lei è voluta scappare..

Col tempo mi sono calmato, ho imparato a gestire la rabbia e ho rilegato tutte quelle emozioni pericolose e spiacevoli nel buco più remoto della mia anima, trovando un nuovo modo di esistere, un modo che mi tenesse al sicuro da altre delusioni. Bastava non far avvicinare nessuno, non creare legami, non innamorarmi e sarei stato al sicuro. Era una questione di sopravvivenza e per un po' ha funzionato.

Poi sei arrivata tu, dolce e tremendo uragano. Hai incasinato tutto, mi hai sconvolto la vita, ribaltando tutte le mie convinzioni e regalandomi un mondo pieno di colori e sfumature mai nemmeno immaginate.

Mi hai insegnato che l'amore può essere silenzioso e discreto, ma soprattutto costante. Ero sicuro che tenendoti a distanza alla fine avresti mollato, e invece sei sempre stata lì a guardarmi da lontano e la cosa più shockante è che sembrava non richiederti alcuno sforzo. Amarmi per te sembrava semplice e naturale, come se non ti rendessi conto che io non potevo essere amato. Non avevo mai pensato che si potesse amare così in modo tanto puro e disinteressato.

Quando mi guardavi vedevo nei tuoi occhi la meraviglia. Credevi fossi speciale, mi avevi messo su di un piedistallo e mi rendo conto solo ora che in te devo aver rivisto, almeno un po', me stesso da bambino.

Non volendo hai liberato emozioni che avevo represso e non ero pronto ad affrontare.

Per questo quando mi hai offerto il tuo cuore su un piatto d'argento io l'ho buttato via senza pietà. Volevo dimostrare a me stesso che alla fine anche il tuo amore sarebbe venuto meno.

Se non avessi avuto così tanta paura di innamorarmi mi sarei reso conto prima della fortuna che ho avuto incontrandoti. La verità pura e semplice Aly è che mi spaventi a morte e avrei fatto qualsiasi cosa per non ammettere di aver bisogno di te e del calore che solo tu riesci a trasmettermi.

Ora l'ho capito, l'ho accettato e riesco perfino a goderne, ma qualche mese fa non era così. Qualche mese era intollerabile per me l'idea di legarmi a qualcuno, soprattutto ad una donna e quando, non volendo, mi sono trovato indissolubilmente legato a te mi è preso il panico. Mi sono sentito in pericolo e ho fatto l'unica cosa in cui sono bravo: ho distrutto tutto. Eri una bomba ad orologeria ed io dovevo allontanarti e per farlo ho provato a disfarmi del tuo amore.

Lo so, questo non basta a giustificarmi. Non ho scusanti. Non hai colpe e non avrei dovuto prendermela con te. Ho sbagliato Aly, ho sbagliato tutto. Perdonami. Perdonami ti prego, ne ho bisogno.

Avrei evitato a tutti tanta sofferenza se solo fossi stato onesto e fossi riuscito ad ammettere la verità.

Io ti amo Alayna Williams. Amo il tuo sorriso. Amo il tuo sguardo profondo. Amo il tuo profumo dolce. Amo il tuo essere gentile e generosa. Amo il suono della tua risata. Amo la tua ingenua spontaneità. Amo come mi fai sentire quando mi sei accanto. Amo il fatto che vicino a te non mi sento solo e soprattutto amo il fatto che tu sappia amare, amare davvero.

Potrei riempire pagine dicendoti quanto tu sia meravigliosa e speciale. Senza che me ne accorgessi sei diventata il centro di ogni mio pensiero. Più ti conosco, più rimango affascinato dal tuo essere donna e ancora bambina, forte e al tempo stesso anche così fragile. Potrei perdermi completamente in te. Guardandomi con i tuoi occhi, non vedo l'uomo che sono, ma quello che vorrei essere.

Mi hai salvato da una vita triste e solitaria sciogliendo il gelo in cui avevo nascosto il mio cuore e regalandomi un mondo di emozioni nuove e bellissime. Prima di questa estate io esistevo, ma è solo da quando sei entrata nella mia vita che ho iniziato a vivere.

So che adesso sei confusa e che hai bisogno di riflettere. Non voglio farti pressione. Hai aspettato una vita che io fossi pronto, adesso è il mio turno.

So già però che non riuscirò a mantenere questi buoni propositi restandoti vicino. Finirei per fare un'altra cavolata delle mie rovinando tutto quanto. Per questo ho deciso di andarmene per un po'.

Non pensare nemmeno per un secondo che ti stia dicendo addio. Non ti libererai così facilmente di me. A prescindere da ciò che deciderai, voglio che tu faccia parte della mia vita ed io voglio far parte della tua. Ne ho bisogno. Ovviamente quando sarai pronta, con i tuoi tempi.

Sei una donna meravigliosa, una creatura unica e speciale, un dono del cielo per qualsiasi uomo sia abbastanza furbo da non lasciarti scappare. Ti meriti tutta la felicità del mondo.

Ancora una volta scusami per tutto il dolore che ti ho causato.

Ti auguro di passare un Natale sereno circondata dalle persone che ami.

Tuo Alex»



Questa è la lettera di Alex. Queste le sue verità.

Che ne pensate. Vi è piaciuta? Era come ve l'aspettavate? E soprattutto ora che fareste al posto di Aly?

Non vedo l'ora di leggere i vostri commenti.

Un abbraccio grande a tutti! A presto!



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Capitolo 34
*** Il momento giusto ***


Il momento giusto
CAP

Non riuscivo a respirare. Non potevo muovermi. Non riuscivo a pensare lucidamente.
Un maremoto di emozioni mi aveva travolta, spazzando via tutto.
Alex. Solo lui era rimasto. Dovevo andare da lui, dovevo vederlo.
Mi precipitai fuori dalla stanza stringendo ancora i fogli in mano. Stavo tremando.
“Aly, stai bene?”, fece Kay venendomi incontro.
Cosa dovevo risponderle? No, non stavo bene. Ero felice ma sconvolta, completamente sotto shock.
Il mio amore mi amava, ancora non ci credevo. Lui, che aveva passato l'inimmaginabile e mi aveva confessato di non riuscire a sentirsi amato, amava me e anche se questo non cambiava ciò che era successo, in qualche modo lo rendeva più accettabile.
“A-Alex...”, blaterai.
“Hai l'aria sconvolta. Siediti.”
Feci cenno di no indietreggiando. Non avevo tempo. Dovevo andare da Alex.
Era di nuovo quel bisogno, lo stesso che mi aveva portato in ospedale a giugno. Era un imperativo assoluto.
Io. Dovevo. Andare. Da. Alex.
“Cosa c'è scritto?”, mi chiese Ryler guardando la lettera.
Mi portai i fogli al petto. Non potevo dirglielo. Era una cosa tra me e Alex. Mi aveva aperto il suo cuore, ora era mio compito proteggerlo.
Scossi la testa più decisa.
“Dov'è Tom?”, chiesi notando l'assenza di mio fratello.
“Fuori. Si è dimenticato una cosa o roba del genere.”, rispose Ryler con un'alzata di spalle.
“No. No, no, no,no. Io devo andare da Alex. Ora.”
L'urgenza che mi animava ruggì più forte il bisogno di correre da lui. Non riuscivo a respirare tanto opprimente era il desiderio.
Ryler e Kailyn si lanciarono un'occhiata confusa.
“Vuoi andarci così?”
Abbassai automaticamente lo sguardo verso i pantaloni della tuta logori e le pantofole a forma di cane. Mi limitai ad annuire.
“Avanti, io mi procuro un passaggio e nel frattempo ti tiriamo a lucido!”, disse Kay afferrandomi per un gomito e trascinandomi, insieme a Ry, in camera mia.
“Hai già deciso cosa gli dirai?”, mi chiese la mia amica intenta a realizzare uno chignon laterale non troppo ordinato.
Scossi la testa per la millesima volta. Non sapevo niente. Se possibile ero ancora più confusa del solito. Di una cosa però ero sicura: dovevo raggiungere Alex il prima possibile.
Dentro continuavo a sentire le emozioni divorarmi. Non mi importava più di quello che era successo, dei dubbi, delle angosce e di tutte le insicurezze. Volevo Alex e questo non sarebbe mai cambiato. Se c'era una cosa che questa brutta storia mi aveva fatto capire chiaramente era questa. Nonostante il caos dilagante ero certa che avrei saputo cosa fare quando me lo sarei trovato davanti, o almeno lo speravo.
“Non vuoi dirci proprio niente.”, piagnucolò Ry facendomi gli occhi dolci.
Non potevo. No, anzi non volevo, ma anche se avessi voluto non sapevo come esprimere ciò che provavo. Ancora non riuscivo a credere a tutto quello che il mio povero Alex aveva dovuto sopportare.
Ora si spiegavano tante cose. Ora tutto aveva decisamente più senso. Come biasimarlo per aver chiuso il suo cuore? Io ero disposta a farlo per il tradimento di un'amica, non potevo nemmeno immaginare cosa aveva provato con sua madre. E se pensavo a lei mi veniva fuori una rabbia furiosa. Come si faceva a lasciare il proprio figlio? Come si poteva non amare un ragazzo come lui?
Doveva essere una donna fredda e cattiva e Alex non se lo meritava. Nessun bambino si sarebbe meritato una mamma così.
Tra tutte le paranoie che per anni mi avevano ossessionato, l'idea che l'amore potesse far paura non mi aveva nemmeno sfiorata. Per me era associato al batticuore, alle farfalle nello stomaco, a quella dolce euforia che mi faceva sentire viva e non avevo mai pensato che per qualcuno potesse essere diverso. Eppure Alex, il mio Alex, era cresciuto evitando di amare e temendo di essere amato. La solitudine doveva essere stata insopportabile, la lettera ne era intrisa in ogni parola, in ogni spazio, in ogni virgola. Alex era stato un bambino solo, un ragazzo solo ed un uomo solo.
Tra quelle righe avevo scoperto un ragazzo diverso da quello che immaginavo nelle mie fantaromanticherie, diverso da quello che conoscevo, o che credevo di conoscere, eppure proprio per questo ancor più speciale. Quella lettera era una finestra sul mondo meraviglioso della sua anima. Leggendo quelle righe mi ero innamorato di Alex per la seconda volta.
Gettai ancora una volta lo sguardo su quei fogli che mi avevano dato il più grande dei regali, quello che non avevo osato chiedere. Sospirai sopraffatta dall'immensità del nuovo sentimento.
Presi la busta per riporre quel prezioso tesoro e sentii un fruscio. C'era qualcos'altro all'interno.
Il cuore mi balzò in gola. Con mano malferma l'aprii meglio e tirai fuori un foglio tutto stropicciato e un bracciale. Era molto semplice e delicato. La catenina dorata era interrotta solo dal simbolo dell'infinito su cui erano incisi i nostri nomi.
Un'ondata di calore dal petto mi risalì fino alla testa. Era la cosa più bella che avessi mai visto. Con la vista appannata guardai il foglio e rimasi sorpresa nel riconoscere la mia calligrafia. Era il mio tema su Icaro.
Sul fondo della pagina, sotto le parole piene di veleno, astio e amarezza, Alex aveva aggiunto poche righe.

«Non sono mai stato sicuro che la morale della storia di Icaro dovesse essere: "Non tentare di volare troppo in alto", come viene intesa in genere, e mi sono chiesto se non si potesse interpretarla invece in un modo diverso: "Dimentica la cera e le piume, e costruisci ali più solide".
(Stanley Kubrick)»

Scattai in piedi come una molla “Ragazzi devo andare da lui. Non posso più aspettare.”
“Bene. Cambiati al volo perché tra cinque minuti arriva il nostro autista.”, fece Kay ammiccando.
Non chiesi niente. Non mi importava come avremmo fatto, mi interessava solo arrivare dal mio Alex nel modo più veloce possibile. Tuttavia, davanti al maggiolone scassato che ci aspettava, rimasi un po' basita. Mi girai automaticamente verso Kay che mi sorrise arrossendo.
“Ragazzi, questo è Elijah.”, disse indicando il ragazzo alla guida.
Io e Ry ci guardammo. Lui sghignazzava compiaciuto. Di certo era la miglior vigilia di Natale che avesse mai passato. Aveva abbastanza informazioni da darci il tormento per almeno un anno.
“Piacere di conoscerti.”, lo salutai accomodandomi sul sedile posteriore, “E grazie per l'aiuto.”
“Figurati. K ha detto che era un'emergenza.”, fece guardandomi dallo specchietto retrovisore e strizzando l'occhio.
K? Ma davvero?
Guardai subito Ry. Anche lui non aveva gradito il nuovo soprannome, ma al momento era troppo compiaciuto per l'inatteso scoop per dispiacersene troppo. Qualcosa mi diceva che d'ora in avanti non sarei stata io l'oggetto del suo interesse.
Una sensazione pungente mi prese lo stomaco per qualche istante. Mi stavo comportando di nuovo come una pessima amica, me ne rendevo conto, ma promisi a me stessa che nell'anno nuovo mi sarei riscattata. Prima però avevo bisogno di questo ultimo momento di egoismo.

Venti minuti più tardi eravamo sotto casa di Alex. Lo stile di guida di Elijah era piuttosto disinvolto, per usare un eufemismo. Sembrava che per lui segnali stradali e semafori fossero elementi decorativi piuttosto che oggetti funzionali, ma non obiettai visto che mi fece arrivare velocemente dove dovevo essere.
Il problema fu che una volta lì non riuscii a muovermi. Dov'era finito il mio coraggio?
“Bé che fai ora, non ti precipiti fuori?”, mi domandò Ryler.
“Cosa gli dico?”, domandai impanicata.
“Io ti avevo detto di prepararti un discorso.”, mi apostrofò Kay.
“Stronzate.”, si intromise Elijah, “Va' e segui l'istinto.”
Kay si portò le mani al volto. Era decisamente uno 0 su 10 e la cosa mi strappò un sorriso. Capii da come mi guardava che anche lei stava pensando lo stesso.
“Aspetti questo momento da una vita! Su forza! ”, mi incoraggiò.
“Va' a prenderlo tigre!”, mi esortò anche Ry spingendomi letteralmente fuori dalla macchina.
Salutai i miei amici e ringraziai ancora una volta Elijah.
Avevo il cuore a mille. Tremavo e sentivo le gambe pesanti e al tempo stesso molli come gelatina.
“Aly se non muovi il culo giuro che vengo lì e ti prendo a calci fino a farti arrivare davanti alla sua porta, chiaro?”, mi minacciò Ry puntandomi il dito contro.
Quando faceva così era tale e quale a sua sorella. Il pensiero di Roxy, così vicino a quello di Alex mi fece male, ma non era il momento per farsi prendere dalla malinconia.
Sfiorai con le dita il braccialetto che mi aveva regalato, cercando un po' di coraggio. Mi voltai verso il maggiolone vedendo quattro pollici in su.
Scossi la testa davanti all'idiozia della scena e, preso un bel respiro, entrai nel palazzo. Era il momento, ora o mai più.

Rimasi cinque minuti di buoni a guardare il campanello cercando di riordinare i pensieri. Magari farsi un'idea di cosa dire non era poi una cosa così tremenda. Alex aveva la capacità di incasinarmi il cervello, che, allo stato attuale, era già abbastanza sconvolto di suo.
Prima di tutto dove dirgli che l'amavo. Dovevo dirgli che amarlo era la cosa più semplice del mondo e che cercare di dimenticarlo era stata una follia. Dovevo dirgli cosa significava e quanto importante fosse la sua esistenza per me. Lui, che non era capace di sentirsi amato, era il centro del mio universo da tutta una vita. Volevo che capisse che non era solo. Però più pensavo a come trasformare tutto questo in parole meno ne trovavo.
Alla fine suonai e basta. Il cuore batteva come le ali di un colibrì. Aspettavo questo momento da tutta la vita e non potevo credere che alla fine fosse davvero arrivato.
Attesi due lunghissimi ed interminabili minuti, ma la porta non si aprì.  Suonai di nuovo. Ancora niente. Provai a bussare, mentre una strana inquietudine si faceva strada.
Poi me lo ricordai.
Alex aveva detto di voler andar via. Il sangue mi si gelò nelle vene.
Cominciai a bussare freneticamente chiamando il suo nome, ma nessuno mi rispose.
Scivolai lungo la porta fino a ritrovarmi seduta a terra. Tirai le ginocchia al petto e scoppiai in un pianto disperato. Se n'era andato. Ero arrivata tardi.


Devo darmi alla fuga? Devo aspettarmi una folla inferocita con torce e forconi ad aspettarmi sotto casa? No, vero? XD XD
Una piccola curiosità (probabilmente non interessa a nessuno): tutta l'idea della storia è nata dalla citazione di Kubrick. Trovo che il messaggio che mandi sia davvero stupendo. Voi che ne pensate?

Vi lascio il link alla pagina facebook di Icarus dove posterò entro breve la foto che mi ha ispirato il regalo di Aly.

https://www.facebook.com/pages/Icarus/844699902233730?ref=aymt_homepage_panel


Il link anche all'articolo che ho scritto sul mondo delle Fanfiction (a cui presto ne seguirà un'altro)

http://www.caffebook.it/societa/item/198-fanfiction-un-universo-da-scoprire.html

Un abbraccio grande!!
A presto!!!! ;)

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Capitolo 35
*** When dreams come true ***


When dreams come true
CAP

Qualcuno mi stava chiamando.
Aprii gli occhi spaesata. Dovevo essermi addormentata. Ci misi qualche attimo a ricollegare tutto.
Ero ancora sul pianerottolo davanti alla porta dell'appartamento di Alex.
Lui mi guardava basito.
Non era partito. Non ero arrivata tardi.
Il sollievo esplose travolgendomi. Di slancio mi gettai su di lui e lo strinsi forte. Colto di sorpresa Alex cadde a terra, ma non esitò ad abbracciarmi a sua volta. Lo sentii sorridere per l'impulsività con cui l'avevo travolto. Non ricordavo più l'ultima volta che l'avevo sentito ridere. Amavo la sua risata.
Dio! Mi era mancato così tanto. Era una boccata d'aria fresca, era la gioia, la pace. Io lo amavo. Avevo bisogno di lui e stavolta dovevo farglielo sapere.
“Credevo fossi già partito. Credevo di averti perso.”, sussurrai felice di essermi sbagliata.
“Ero a cena dai miei. Parto domani.”, mi rispose lui.
“Non te ne andare.”, lo implorai.
“Aly...”, iniziò.
“Non te ne andare.”, feci di nuovo più decisa e prima che potesse rispondere o obiettare lo baciai.
Riversai in quel bacio tutto ciò che avevo. Non volevo più avere paura, non volevo più nascondermi, non volevo avere un altro rimpianto. Ne avevo già abbastanza.
Alex non mi respinse. Dopo lo stupore iniziale rispose al bacio con lo stesso ardore. Mi strinse attirandomi a sé, le sue labbra si muovevano con le mie.
Le mie dita si intrecciarono ai suoi capelli, mentre le sue mani mi accarezzavano. Non so come mi ritrovai a cavalcioni sopra di lui. Era dannatamente eccitante.
Non riuscivo a smettere di baciarlo, né lui sembrava intenzionato a permettermi di allontanarmi. Ogni volta che mi distaccavo quel tanto che bastava a prendere fiato, lui mi afferrava di nuovo trascinandomi in un turbine di desiderio che mi infiammava corpo e cuore. Il sangue mi ribolliva nelle vene e il mio corpo fremeva acceso dai suoi tocchi delicati.
Nemmeno nei miei sogni più sfrenati avevo immaginato sensazioni del così belle e intese.
“Ti amo Alex.”, gli dissi col fiato corto.
Per tutta risposta lui mi afferrò di nuovo e riunì la sua bocca alla mia. Nei suoi occhi leggevo lo stesso desiderio che mi ribolliva dentro, la stessa bramosia, la stessa fame.
“Fai l'amore con me.”, sussurrai vinta dal bisogno.
Alex si bloccò di colpo. Mi guardò sorpreso e solo allora io mi resi conto dell'enormità che avevo appena detto.
Non ci potevo credere. Glielo avevo detto veramente. Non che non fosse ciò che desideravo, lo volevo, lo volevo da morire, ma lo avevo detto ad altra voce mentre pomiciavamo seduti in un pianerottolo.
Sentii la faccia avvampare e il desiderio impellente di nascondermi. Possibile che dopo tutto ciò che avevo passato ancora non riuscivo a filtrare ciò che mi passava per la testa quando ero con lui?
“Vuoi farlo qui? In mezzo al corridoio?”, mi stuzzicò peggiorando la situazione.
Era ridicolo quanto fosse sensuale ed erotico il modo in cui la sua voce mi carezzava, il modo in cui solo sentirla bastò ad accendere il mio corpo facendo contrarre muscoli che non sapevo nemmeno di avere.
“Be' magari potremmo entrare.”, mormorai incapace di guardarlo negli occhi.
Alex mi mise un dito sotto il mento per costringermi a guardarlo in faccia. Ogni pensiero mi evaporò dalla testa davanti al blu sconfinato dei suoi occhi.
“Aly...”, fece tornando serio.
“Ho letto la lettera.”, lo interruppi.
“L'avevo immaginato.”, mi rispose lasciandomi un dolcissimo bacio sulle labbra.
Con un braccio mi cingeva la vita e con la mano libera mi accarezzava delicatamente il volto. Quel suo modo di toccarmi mi riempiva di così tanta gioia, di così tanta tenerezza da non riuscire a contenerla.
“Perché sei qui?”, mi domandò serio.
Voltai il volto quel tanto che bastava a baciargli il palmo. Era arrivato il momento di giocare a carte scoperte.
“Per dirti che io non voglio perdonarti.”, gli dissi guardandolo dritto negli occhi.
Sentii il suo corpo contrarsi come se fosse appena stato colpito a tradimento. Sapevo che aveva bisogno di sentirsi dire che lo perdonavo, ma io non potevo farlo.
“Non hai bisogno del mio perdono. Vederti con Roxy mi ha fatto male da morire, ma non è colpa tua se sono stata male. Mi sono arrabbiata con te, ma in realtà ce l'avevo con lei. È stata lei a tradirmi, non tu.
Ho fatto un gran casino. Ho confuso la delusione di vedere te con lei, con il dolore di scoprire lei con te, non so se riesci a capirmi... forse no... nemmeno io ci capisco molto.
Però il punto è che non avrei dovuto prendermela con te. Alex io non posso pretendere niente da te. Noi non siamo amici e tu non sei il mio ragazzo. Non puoi tradirmi.”
“Ti ho ferita di proposito, Aly. Ho cercato di spiegarti che...”
Lo fermai con un gesto della mano. Se non dicevo tutto adesso avrei perso il coraggio.
“Ti sto dicendo Alex che ti ho dato io il potere di farmi male. Mi sono messa io in quella posizione.”, presi un respiro profondo preparandomi a dire tutto ciò che ancora non gli avevo confessato, “Quando le persone normali si innamorano, non allontanano la persona che gli interessa, ma cercano di conquistarla, di farsi ricambiare. Io invece ti ho tenuto deliberatamente a distanza. Mi sono convinta che tra noi non potesse... che tu non potessi... che noi...
Era più facile pensarla così. Se il mio era destinato ad essere un amore non corrisposto non aveva senso provarci, espormi sapendo già che sarei stata respinta e ferita. Però allo stesso tempo invece di dimenticarti ho costruito un interno mondo intorno a te, senza chiederti di farne parte. A me bastava guardarti così era più sicuro e se stavo male vedendoti insieme ad ad un altra ragazza potevo arrabbiarmi con te o con lei, tutto pur di negare che ero io ad essermi messa in quella posizione, ad essermi negata ogni possibilità.
Amare a distanza è più facile, perché se non ci si mette davvero in gioco, non si può restare delusi. Per questo non voglio le tue scuse, Alex. Tu non hai fatto niente di male. Non c'era nessun tipo di impegno tra noi, non mi devi niente. È colpa mia, sono stata una vigliacca ed un'ipocrita. Volevo evitare una delusione e, senza rendermene conto, ti ho messo nella posizione di farmi molto male e oltrettutto per colpa mia hai discusso con Tom. In fin dei conti sono io che dovrei chiedere scusa.”
Alex mi prese il viso tra le mani e mi guardò come se mi vedesse per la prima volta. Era uno sguardo così intenso da togliere il fiato. Voleva parlare, ma aveva capito che non avevo ancora finito e stava aspettando che continuassi.
“Stavolta voglio fare le cose per bene. Voglio dirti tutto quello che avrei dovuto dirti fin dall'inizio. Voglio correre tutti i rischi che posso.
Per me Alex tu sei... Dio non ci sono parole per descriverlo. Sei il mio sole, sei il mio amore, sei il centro del mio universo. Quando tu entri in una stanza a me sembra che il mondo si illumini, il solo vederti rende le mie giornate migliori.
Ti amo da quel primo giorno di dieci anni fa. Avevi la guanciotte rosa ed i capelli ricci tutti arruffati. Mi è bastato uno sguardo. Non ci eravamo nemmeno parlati e mi ero già persa nel blu profondo dei tuoi occhi. Il semplice fatto che tu esista, mi ha stravolto la vita in modi che non so... non posso spiegare.
Ti amo da sempre e credo che lo farò finché avrò vita. L'amore che provo è enorme e profondo, tanto che a volte mi fa paura. Probabilmente se avessi potuto scegliere, avrei scelto un sentimento meno impetuoso, più adatto a me, ma il cuore non sente ragioni. Vuole te e te soltanto.
Ho passato gli ultimi mesi cercando di odiarti, di soffocare questi sentimenti, ma non posso, non ce la faccio. Io ti amo Alex, ti amo davvero. Ti amo e basta e voglio averti tutto per me. Non voglio essere tua amica, voglio essere tua.”
Espirai come se avessi appena finito di correre una maratona, sentendomi emotivamente stravolta. Ormai era fatta nel bene o nel male.
Le labbra di Alex mi presero alla sprovvista. La sua bocca reclamò il possesso della mia, cercando la mia lingua e assaggiando le mie labbra fino a farmi gemere. Riuscivo a sentire il desiderio vibrante diffondersi da quel bacio al resto del corpo come un fiume in piena.
“Alex...”, mormorai
“Direi che abbiamo parlato abbastanza.”, mormorò senza staccarsi.
“Forse è meglio se entriamo.”
Senza smettere di baciarci ci alzammo e raggiungemmo in qualche modo la porta. Le nostre bocche non facevano che reclamarsi febbrilmente. Sentivo la sua lingua lambire la mia, causandomi brividi di piacere. Non ero mai stata tanto viva e cosciente del mio corpo, come ora che ero tra le sue braccia.
I nostri corpi erano attaccati. Alex teneva una mano tra i miei capelli afferrandomi la nuca in modo da non farmi allontanare, con l'altra armeggiava con la serratura. Io mi aggrappavo a lui quasi con disperazione. Non era più desiderio, ormai era un bisogno.
“Alex... la porta...”, lo implorai.
“Ci sto provando...”, mi rispose, con la voce sporcata dalla stessa impellente necessità.
Provò a staccarsi per aprire, ed io inizia a lasciargli una scia di baci lungo la mascella, il collo, le spalle. Sentii i suoi muscoli contrarsi mentre mi premeva con più forza contro la porta.
“Se fai così non ci riuscirò mai.”, ridacchiò senza fiato.
“Non è un problema mio.”, gli risposi non curante.
Alex smise di armeggiare con le chiavi. Mi afferrò e mi sollevò facendosi circondare i fianchi con le gambe.
Oh mamma! Sentivo la sua erezione premere contro la mia gamba. Avvampai per l'imbarazzo di sentirlo così, era tutto nuovo, le sensazioni, i desideri. Rischiavo di impazzire.
“Piccola impertinente.”, mi sgridò divertito mordicchiandomi l'orecchio.
“Alex...”, mugolai.
“Che c'è?”, sussurrò iniziando a baciarmi il seno sopra il vestito.
Inarcai il corpo automaticamente. Non avevo mai desiderato così tanto essere toccata. Era così intenso da far male.
“Ti prego...”
Mi coprì la bocca con la sua, travolgendomi con una nuova ondata di desiderio. Era una spirale infinita. Ogni volta che credevo di non poterlo volere di più, venivo travolta da un bisogno più forte, più impellente che mi bruciava quasi fino a consumarmi.
Finalmente la serratura scattò. La porta dietro di me sparì e fu sostituita da una parete.
L'ultima volta che ero stata in quell'appartamento era quando avevo mostrato ad Alex il video di Roxy. Rabbrividii al pensiero di ciò che era successo dopo. Non volevo pensarci, non in questo momento.
“Tutto ok?”, la voce di Alex mi sorprese.
“Si.”, dissi cercando lavare via quei ricordi.
Lui smise di baciarmi e mi fece scendere. Se n'era accorto. Lui si accorgeva sempre di tutto. Maledetta me e il mio tempismo. Perché dovevo pensare proprio a quello? Perché proprio in quel momento?
“Aly, non devi farlo se non sei pronta... io posso aspettare.”
Io no.
La voce nella mia testa protestò a gran voce. Dieci anni. Avevo aspettato più che abbastanza.
“No, non è questo. È che mi è tornata in mente l'ultima volta che sono venuta qui.”, confessai incerta.
Alex sospirò. Non era facile nemmeno per lui. Appoggiò la fronte alla mia.
“Mi dispiace Aly. Ti giuro che mi dispiace tanto.”
Era la prima volta che lo diceva e sentivo che quelle scuse gli veniva davvero dal cuore. Nonostante quello che gli avevo detto sentivo la colpa incrinargli la voce. Gli accarezzai la testa con dolcezza, lasciandogli piccoli baci vicino all'attaccatura dei capelli.
“Rincominciamo Alex. Rincominciamo tutto da capo. Rincominciamo tutto da qui.”, gli dissi.
Nell'appoggiarmi alla parete dietro di me, sfiorai involontariamente l'interruttore accendendo la luce.
Rimasi accecata per un po', ma quando riuscii di nuovo a vedere per poco non mi prese un colpo. La stanza alle spalle di Alex era completamente invasa da scatoloni e ciò rese incredibilmente reale il fatto che lui volesse partire.
Mi si strinse il cuore e per un attimo mi mancò il fiato.
“Non te ne andare. Non lasciarmi!”, dissi con le lacrime agli occhi.
Alex rimase spiazzato dalla disperazione con cui pronunciai quelle parole. Poi notò il mio sguardo fisso sugli scatoloni e sorrise.
“Ok.”, sussurrò asciugandomi con un bacio una lacrima sfuggita al controllo.
“Ok?”, ripetei colta alla sprovvista.
“Si, ok.”
“Non prendermi in giro.”, piagnucolai.
“Sono serissimo.”
Non era vero. Stava sorridendo divertito della mia reazione.
“Cioè io ti dico di restare e tu annulli tutto e resti.”
“Esatto.”, confermò prendendomi il viso e iniziando a riempirlo di baci più o meno casti, “Se mi vuoi sono tuo.”
Il cuore mi si fermò. L'aveva detto. L'aveva detto davvero. Cercai di darmi un pizzico di nascosto.
Ahi!
Stavolta non era un sogno o una fantasia. Era mio. Il mio Alex.
Mi alzai in punta di piedi e lo baciai con tutto l'amore di cui ero capace. Mi chiedeva se lo volevo, la risposta non era ovvia? Certo che lo volevo, non desideravo altro da quando ero bambina.
“Sei mio.”, sussurrai ancora sorpresa, “Sono tua.”
Lui mi sorrise in quel suo modo dolce che mi mandava il pappa il cervello.
“Alex, voglio fare l'amore con te.”, gli dissi per la seconda volta, “Voglio che tu faccia l'amore con me.”
Stavolta non sentii nessun imbarazzo. Era la verità, era ciò che sentivo.
“Sicura di non voler aspettare? Non si torna indietro.”, mi chiese iniziando a lasciarmi una scia di baci lungo il collo.
“Sono stanca di aspettare.”
Sorrise contro la mia pelle prima di baciarmi con dolcezza. Poi mi passò un braccio introno alla vita e l'altro sotto le ginocchia sollevandomi da terra. Prima che potessi protestare le sue labbra mi coinvolsero in un bacio che non era né dolce, né casto e che bastò a farmi dimenticare perfino il mio nome.
Quando tornai sulla Terra eravamo in camera da letto. Lo sguardo di Alex era un misto di trepidazione e desiderio, mentre io ancora non riuscivo a credere a ciò che stava accadendo. Qualcosa però non andava, lui sembrava teso.
“Che c'è?”, sussurrai lasciandogli dei baci dolcissimi su petto e viso.
“Sono nervoso.”, confessò imbarazzatissimo.
Quella risposta mi fece ridere.
“Be' credo che tu ti sia confuso... è la mia prima volta. Dovrei essere io quella nervosa.”, lo punzecchiai intenerita da tanto candore.
“E non lo sei?”, fece riprendendo il suo solito tono.
“No.”, gli risposi guardandolo dritto negli occhi, “Mi fido di te.”
Lui mi fissò a lungo ed io non riuscii più a respirare. Nei suoi occhi potevo leggere un desiderio così intenso da farmi tremare le gambe. Mi attirò a sé senza esitare strappandomi un gemito. La testa mi girava a mille e le ginocchia smisero di sostenermi.
Quando Alex mi adagiò sul letto, io non fui più in grado di pensare. Lo stringevo a me desiderando di unirmi a lui in modo molto più profondo e completo. I suoi baci non mi bastavano più, le sue carezze non facevano che incrementare il fuoco che mi aveva travolto.
Le nostre gambe si aggrovigliarono. Eravamo così vicini che potevo sentire il battito del suo cuore. Il suo torace premeva contro il mio petto, le sue mani esploravano il mio corpo insinuandosi sotto il vestito, mentre con la bocca mi stuzzicava il seno facendomi impazzire.
Ero solo vagamente cosciente che Alex aveva preso a spogliarmi. Volevo farlo anche io, ma non sapevo cosa fare, come farlo o quando.
C'era per caso un galateo nei preliminari? Dovevo seguire un ordine cronologico? Ma perché nessuno insegnava certe cose? Non erano forse più utili queste informazioni delle funzioni aritmetiche?
Con gesti incerti inizia a sbottonargli la camicia. Le mani mi tremavano, per l'emozione e la paura di sbagliare, rendendo tutta l'operazione molto più goffa ed imbarazzante del necessario. Lui aveva uno sguardo divertito e paziente e intanto continuava a baciarmi con più foga, più a fondo rendendomi ancora più impedita. Quando alla fine arrivai all'ultimo bottone e Alex si liberò della camicia, i miei neuroni andarono in tilt.
Era uno spettacolo indecente, bello all'inverosimile, perfetto in ogni dettaglio e ora non dovevo più sforzarmi di non toccarlo. Appoggiai la mano sul suo petto e la feci scorrere delicatamente verso il basso fino a sfiorare i jeans e poi la faci risalire verso le spalle, scendendo lungo le braccia; sei mesi fa non osavo nemmeno sognarlo ed ora stava succedendo.
Incapace di resistere ancora reclamai la sua bocca, inizando a mordergli il labbro inferiore. Era buonissimo. Alex sorrise. La sua lingua prese ad accarezzare la mia facendomi impazzire e strappandomi mugolii di approvazione. Dio se ci sapeva fare!
La sua mano scivolò sul mio sedere e lo strinse facendomi perdere la testa. Un gemito d'impazienza mi uscì dalla gola e sentii Alex sorridermi sul collo. Spinta da un'urgenza mai provata mi riappropriai della sua bocca con  foga e passione.
Sorpreso da quel bacio profondo e appassionato Alex mi accarezzò con la mano la spalla scendendo poi giù fino al gomito scivolando poi sul seno. Iniziò ad accarezzarlo e massaggiarlo riempiendomi di brividi meravigliosi. Mi incurvai ancora di più verso di lui abbandonando la tasta all'indietro e lasciandogli libero accesso al collo.
Ormai avevamo entrambi il respiro corto. Alex mi prese la mano e mi baciò delicatamente il palmo ed io gli depositai un bacio casto all'altezza del cuore prima che le sue labbra reclamassero ancora le mie, trasportandomi direttamente in paradiso. Ero al limite.
Poi d'un tratto si allontanò mettendosi in ginocchio sopra di me e invitandomi a mettermi seduta tra le sue gambe. Capii cosa voleva fare solo quando abbassò la cerniera del mio abito. Era il momento.
Alex fece scorrere l'indice lungo la spina dorsale, strappandomi brividi e gemiti di piacere. Era gentile e delicato in ogni suo gesto. Io provavo a controllarmi, ma non ci riuscivo. Non riuscivo a trattenermi dal mugolare e sospirare avvinta dal piacere che mi invadeva. Era dannatamente bravo ed io ero in balia del suo potere. Non avevo mai provato niente del genere, ero impreparata alle reazioni del mio corpo che sembrava rispondere solo a lui.
Con gentilezza mi fece voltare iniziando a tempestarmi di baci anche la schiena, succhiando e mordendo ogni lembo di pelle e liberandomi infine dal vestito che ormai era decisamente di troppo. Lascia che mi sfilasse anche la biancheria ritrovandomi nuda davanti a lui.
Era strano, ma per qualche motivo non mi sentivo a disagio. Per quanto fossi sempre stata insicura del mio corpo in quel momento, davanti a lui, non mi sentivo sbagliata, però ero comunque imbarazzatissima. Sentivo il volto in fiamme, perfino le orecchie mi bruciavano. Quando anche lui si liberò dei vestiti il cuore smise di battere e per quanto avessi sognato questo momento, non riuscii a guardarlo negli occhi.
Alex mi prese per il mento e riportò i miei occhi nei suoi. Rideva divertito e compiaciuto del mio imbarazzo e, se non fossi stata così disperatamente eccitata, mi sarebbe venuta voglia di strangolarlo. Si chinò a baciarmi e mi sussurrò con voce sporca di desiderio “Non abbassare lo sguardo, Aly. Sei bellissima.”
Non so perché ma quelle parole invece di rassicurarmi mi fecero irrigidire. Non ero abituata ai complimenti.
“Sei una ragazza straordinaria Aly.”, mi sussurrò lasciando una piccantissima scia di morsi lungo il collo, “Giuro che farò l'impossibile per renderti felice.”
Mi voltai verso di lui e presi il suo volto tra le mani con delicatezza, come il più prezioso e fragile dei tesori “A me basta avere te per esserlo.”
Alex rimase spiazzato dalla mia risposta. Non disse niente, mi sorrise e si chinò a baciarmi dolcemente. Ero grata di essere con lui in quel momento. Ero grata di non aver perso l'occasione di dichiarargli il mio amore, donandogli insieme anche ciò che restava della mia innocenza.



Ciao a tutte!
Vi ho fatto aspettare più di quanto avevo immaginato, ma spero comunque ne sia valsa la pena.
Non sto a dirvi che giornate ho passato, ma comunque sono sopravvissuta (più o meno)!
Spero di essere riuscita a descrivere al meglio il momento che tutti aspettavano (compresa me), ancora non ho molta dimestichezza con queste scene.
Cmq come sempre aspetto i vostri commenti!



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Capitolo 36
*** Un nuovo inizio ***


Un nuovo inizio
CAP

Aprii pigramente gli occhi e mi stiracchiai. Erano secoli che non mi facevo una dormita così. Ero piena di energia e felice quasi fino a scoppiare. Mi veniva da ridere senza motivo. Stavo bene. Stavo davvero, davvero bene.
Per dirla tutta mi sentivo un po' indolenzita come dopo un allenamento in palestra, ma a parte questo piccolo dettaglio, ero in cima al mondo. Non mi ero mai sentita così forte e sicura di me in vita mia. Ero diversa o almeno mi sembra di esserlo.
Tutto merito dello splendido sogno che...
Oh merda.
Il cuore mi schizzò in gola ed io smisi di respirare. Ero nel letto di Alex. Ero nuda e nel letto di Alex. Ero nuda e sdraiata sul petto di Alex e, cosa assai più importante, lui era nudo.
Cominciai a sentire un caldo tremendo, raggiungendo una temperatura tale che nemmeno in pieno al deserto. Nella mente mi vorticavano una serie di immagini. Le mani di Alex, i miei sospiri, i suoi baci, i miei gemiti. Alex ed io... io e Alex... noi...
Oh mio Dio! Oh mio Dio! Oh. Mio. Dio.
Il sangue prese a ribollirmi pompato nelle vene a velocità supersonica, mentre io ancora annaspavo davanti alla visione di tanto ben di Dio nudo.
“Scommetti che indovino a cosa pensi?”
La sua voce mi colse alla sprovvista. Mi sentii avvampare. Avevo il fiato corto, neanche avessi corso la maratona di New York. Alex mi aveva colta in fallo. Beccata mentre avevo delle fantasie indecenti su di lui... bé non proprio fantasie. Non stavolta.
Affondai il viso nel suo petto inebriandomi del suo profumo. Non avrei mai più avuto il coraggio di guardarlo negli occhi.
“Riesco a sentire il tuo cuore battere da qui.”, sghignazzò divertito.
“Alex!!”, lo sgridai sentendomi sempre più imbarazzata e al contempo non riuscendo ad impedirmi di ridere.
Accidenti a lui e al suo buon umore!
“Davvero Aly, senti che roba!”
Se non fosse che di prima mattina emanava sesso da tutti i pori, a quest'ora mi sarei già arrabbiata. Invece il suono sexy della sua voce impastata dal sonno aveva sciolto il mio sdegno e acceso altri desideri. Più lo guardavo più mi veniva voglia di...
Alt.
Dovevo controllarmi. Dovevo darmi un contegno.
“Ridi, ridi. Finirai per farmi venire un infarto.”, brontolai imbronciata.
Perché dovevo essere solo io quella agitata? Perché lui era così calmo?
La mia vocina cattiva suggerì che per lui non era la prima volta. Che lui aveva dormito con molte ragazze prima di me. Per lui, forse, non era questa gran cosa.
“Non ho sentito lamentale stanotte.”, insinuò con uno sguardo ed un tono di voce che avrebbero dovuto essere illegali.
Ero così su di giri che stava per uscirmi il fumo dalle orecchie, mentre Alex aveva l'aria di chi aveva appena combinato una marachella. Mi afferrò il mento costringendomi a guardarlo e si avvicinò per darmi un casto bacio.
“Buongiorno.”, sussurrò rivolgendomi un sorriso che mi squagliò il cuore.
“Bu-buongiorno.”, farfugliai completamente stregata.
“Come ti senti?”, mi domandò senza smettere di guardarmi.
“Meravigliosamente.”, risposi con aria sognante.
Alex sorrise e scosse la testa. “Seriamente Aly, come stai?”
Sbattei le palpebre più volte cercando di pensare a qualcosa, ma il mio cervello, ancora in piena adorazione, non voleva saperne di collaborare. Era biologicamente impossibile per me concentrarmi su me stessa con accanto la mia fantasia proibita.
“Aly...”, mi chiamò per la terza volta improvvisamente serio.
“Ci sto provando, ok?”, mi uscì spazientita, “Non è mica facile concentrarsi con te in questo stato.”
Mi sarei voluta sotterrare. Quando il mio sistema nervoso decise di darmi una mano ormai l'avevo già detto.
Alex scoppiò a ridere arrossendo per la dichiarazione spudorata.
Se c'era un momento nella vita in cui un buco nero doveva aprirsi per farmi sparire, bene era questo. Chiusi gli occhi quasi aspettando di venire risucchiata chissà dove ed invece fui sorpresa da un dolcissimo, ma non molto casto, bacio.
Ma possibile che ancora non riuscivo a controllarmi quando ero con lui? Che dalla mia bocca uscisse qualsiasi stronzata partorisse la mia mente malata? Lui sembrava così a suo agio, così tranquillo, perché io ero un fascio di nervi?
Mi voltai dandogli le spalle per nascondere l'umiliazione. Perché accanto a lui finivo sempre per sentirmi sciocca e imbranata?
Alex mi abbracciò da dietro, facendomi capire che in fondo anche lui non era poi così indifferente. Mi posò un bacio lievissimo tra i capelli, uno meno lieve sul collo e quando mi diede un morso sulla spalla non riuscii a trattenere un brivido ed un sospiro di piacere.
“Uffa!!”
“Che c'è?”, mi chiese continuando quella meravigliosa tortura.
“Non riesco mai a controllarmi quando sono con te. È come se il mio corpo rispondesse più al tuo tocco che al mio volere. È imbarazzante.”
“Non dovrebbe. Io amo i tuoi brividi, amo vederti arrossire, amo l'intensità del tuo sguardo. Per niente al mondo vorrei che me ne privassi.”
Ero ancora un po' risentita, ma davanti ad una dichiarazione del genere, fatta da un semidio nudo, avrei sfidato qualsiasi donna a non sfoggiare il più stupido dei sorrisi compiaciuti.
Alex mi sfiorò il naso con il suo e mi fece voltare di nuovo verso di lui.
“Ti amo così tanto.”, gli sussurrai sfiorandogli la mascella con il dito.
Le sue labbra coprirono le mie in un bacio passionale. Quando cominciò a mordermi il labbro inferiore persi completamente la testa. Gli infilai la mano tra i capelli e lo tirai verso di me, mentre il mio corpo rispondeva alle sue audaci carezze inarcandosi verso di lui.
“Ti amo anche io.”, mi sussurrò senza fiato prima di baciarmi un po' ovunque.
Il cuore mi si gonfiò quasi fino a scoppiare.
Ecco, ora potevo anche morire, anzi a dire il vero ci mancò poco che succedesse davvero.
“Tu hai proprio deciso di farmi morire, oggi eh?”, ansimai tra un bacio ed una carezza.
“Il crimine perfetto.”, sussurrò lui senza allontanare le labbra dalla mia pelle.
Un nuovo brivido mi sconvolse, più intenso di quello di prima, abbastanza forte da far contrarre muscoli ancora dolenti e strapparmi un gemito.
Alex si fermò di colpo.
“Stai bene?”, chiese allarmato.
Annuii, ma lui non parve convinto. Allora gli presi il volto tra le mani e lo baciai sul naso e poi a fior di labbra.
“Sono solo un po' indolenzita e anche un po' incredula.”, ammisi con un sospiro.
“Aly...”
Improvvisamente i dieci anni che mi ci erano voluti per arrivare al suo cuore iniziarono a pesarmi.
Colto alla sprovvista dal mio repentino cambio di umore, Alex mi guardò aspettando che mi spiegassi.
“Ho aspettato così tanto.”, mormorai piano guidandolo fino a farmi poggiare le labbra sulla fronte.
“Non sai quanto ho desiderato di poterti toccare.”, continuai accarezzandogli il volto e facendo scivolare poi le mani giù fino al petto dove c'era la cosa più importante del mondo; il suo cuore.
“E che altro desideravi di fare?”, chiese alzando un sopracciglio.
“Non molto altro. Ho sempre avuto fantasie realistiche.”
“Quindi stai dicendo per caso che la realtà ha superato ogni più rosea fantasia?”, insinuò con un mezzo sorriso contagioso.
Annuii lasciandogli un bacio all'altezza del cuore e lui cominciò a tempestarmi di baci il volto fino a farmi tornare il buon umore.
“Tu sei tutto matto.”, dissi scuotendo la testa e coprendomi con le mani.
“Lo hai messo.”, sussurrò fermando di colpo il suo attacco e sfiorandomi il polso.
Non capivo di cosa stesse parlando finché non lo vidi fissare il braccialetto che mi aveva regalato.
“Ancora non ti ho ringraziato.”, dissi, “È davvero bellissimo.”
Alex mi posò un dito sulle labbra, mi diede un bacio veloce e si accoccolò tra le mie braccia. Per un attimo rimasi spiazzata da quel gesto ma poi cominciai ad accarezzargli i capelli, scoprendo un'intimità che aveva poco a che fare con il nostro essere nudi.
“Cosa vuoi fare oggi?”, chiese completamente rilassato.
“Non so. Tu che proponi?”
“Bé potremmo alzarci e uscire per fare colazione o...”
“O?”, lo incalzai.
“Oppure potremmo restarcene a letto tutto il giorno.”
“Solo io e te...” farfugliai, mentre Alex mugolava il suo assenso.
Per un attimo mi lasciai cullare dall'idea di restare tutto il giorno con lui, dimenticandomi del mondo. Avevo bisogno di sentirlo vicino.
“Allora è andata. Il miglior Natale di sempre.”, mormorò.
Natale!?!
Scattai su come una molla, quasi scaraventando Alex giù dal letto.
Oh merda.
Stavolta l'avevo combinata grossa. Nemmeno 24 ore dopo essere tornata in libertà avevo passato la notte fuori senza permesso. Mi avrebbero messo in punizione a vita. Mi avrebbero chiusa in camera e buttato via la chiava. O peggio, mi avrebbero chiuso in un convento di clausura.
“Dobbiamo andare.”, dissi iperconcitata, “Muoviti. Se non torno a casa per pranzo i miei mi ammazzano.”
“Chiamali e digli che starai fuori.”
Lo sguardo da cucciolo con cui Alex me lo chiese per poco non mi convinse, ma l'idea di quello che mi aspettava a casa fu più forte. I miei genitori... Tom...
“No.”
“Perché?”
Non lo avevo mai visto fare i capricci. Era stupendo. Nemmeno io avevo voglia di alzarmi e vestirmi, ma lo facevo soprattutto per il suo bene.
“Primo perché il pranzo di Natale a casa mia è sacro. Non sono mancata nemmeno l'anno in cui avevo la febbre a 40. Secondo perché te la immagini la telefonata?” feci portandomi la mano all'orecchio mimando un telefono, “«Ciao papà, ti dispiace se, dopo aver passato la notte da Alex, resto a pranzo da lui?». Saresti morto prima di riattaccare.”
Credendo che scherzassi Alex ridacchiò divertito.
“Tuo padre mi adora.”, affermò sicuro.
“No, mi padre adora l'amico di Tom. Dubito che apprezzerebbe nello stesso modo il ragazzo con cui ho perso la verginità.”
Lo vidi irrigidirsi.
“Giusto.”, mormorò dandomi un bacio veloce sulla spalla e alzandosi per vestirsi.
Per un attimo la vista del suo fondo schiena mi stordì tanto da costringermi a strizzare gli occhi fortissimo per cercare di riprendermi. Mi ci volle un po' per ricordarmi come si componevano le parole.
“E poi dobbiamo pensare cosa dire a Tom.”, aggiunsi ancora un po' confusa.
Alex si bloccò con il piede a mezz'aria mentre stava per infilarsi i pantaloni e si girò a guardarmi. Se c'era ancora una possibilità che i miei non avessero fatto due più due, Tom di sicuro sapeva dove avevo passato la notte e soprattutto poteva immaginare a fare cosa.
“Tuo fratello mi ammazza.”
“Si, questo è probabile.”
“No Aly non hai capito. Tuo fratello mi ammazza davvero.”
“Si, lo so.”, gli risposi seria.
Alex che si era seduto sul letto per allacciarsi le scarpe, si voltò per lanciarmi un'occhiataccia. Cercai di sforzarmi di non ridere e lo abbracciai da dietro. Era rigido come un pezzo di legno. Aveva ancora la schiena nuda ed io non ero vestita affatto. Ci mise un paio di secondi per tornare a rilassarsi.
“Tranquillo, ti proteggo io.”, gli sussurrai dandogli un bacio alla base del collo.
“Promesso?”, mi chiese sorridendomi.
“Promesso.”, confermai giurando a me stessa che non avrei permesso mai a niente e a nessuno di portarmi via ciò che così faticosamente avevo conquistato.




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Capitolo 37
*** The end... ***


The end?

Il volo di Icaro viene ingiustamente definito folle.

Folle perché nonostante gli avvertimenti del padre Icaro volò verso il sole.

Folle perché ignorando ogni regola e buon senso mise a rischio la propria vita per raggiungere ciò che desiderava.

Folle perché Icaro si fece sopraffare dalla passione.

Ci viene insegnato che la morale del mito è «non cercare mai di superare i propri limiti» e che da esso dovremmo imparare a vivere con moderazione, resistendo al fuoco della passione.

Be' io non sono d'accordo.

Icaro era un sognatore, un ragazzo passionale, che mirava a qualcosa di ben più grande di ciò che il destino gli aveva riservato. Lui voleva ciò che nessuno prima di lui aveva avuto. La sua anima, ben prima di lui, volava in alto.

Icaro voleva essere libero. Libero dalla prigionia, libero dai limiti che altri cercavano di imporgli e non gli importava se per cercare di farlo avrebbe dovuto pagare un prezzo molto alto. Chiamiamo folle il suo volo solo per la fine infausta, ma cosa sarebbe successo se invece fosse riuscito ad arrivare fino al sole?

No, Icaro non era un folle, ma un visionario, un uomo coraggioso che voleva vivere in modo pieno, senza accontentarsi. Per lui valeva la pena correre dei rischi e lottare per far avverare i desideri. Ciò che ci insegna è che l'istinto più bello che l''uomo possiede è quello di lottare per i propri sogni, di inseguire le proprie passioni, di oltrepassare i propri limiti. È vero che un desiderio così intenso può sopraffarci, può ferire profondamente e sciogliere le nostre ali e che se potessimo vivere senza conosceremmo la pace, ma vivere così, senza sogni, senza passioni, equivarrebbe a morire.

Il messaggio di Icaro non è un ammonimento, ma un canto di speranza per il futuro. Icaro ci dice “Vivete la vita fino all'ultimo secondo, perché è unica e preziosa. Non abbiate paura di sognare. Osate, correte dei rischi, buttatevi. Solo così alla fine potrete dire di aver vissuto veramente.”

Io ho scelto di ascoltare Icaro. Non mi importa di cadere e se perderò le ali, ne costruirò di più grandi e più forti. La vita è una sola e voglio viverla a pieno.


Alayna Williams







Con questo si conclude la nostra storia. Ho postato gli ultimi  insieme perché non aveva senso aspettare ancora.
Non so cosa ne pensate della scelta di dividere l'ultimo capitolo da questa piccola riflessione, però mi sembrava doveroso lasciare l'ultima parola ad Aly.
Che dire se ci sono incongruenze o errori chiedo scusa. Scrivere questi ultimi due capitoli è stato più difficile del previsto.
Come al solito aspetto i vostri commenti.

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Capitolo 38
*** Ringraziamenti ***


Ringraziamenti Ringraziamenti

Niente sorprese dell'ultimo minuto. Per il momento le avventure di Alex e Aly si fermano qui.
Volevo però ritagliarmi un piccolo spazio per dirvi un paio di cosette.
Scrivere Icarus è stata un'avventura. Ho iniziato per gioco, senza avere pretese o aspettative. Quel giorno avevo soltanto tanta voglia di scrivere.
Se sono arrivata alla fine però lo devo solo a chi mi ha seguita e a chi ha commentato incitandomi e continuare. Per cui vorrei davvero ringraziare tutti: da coloro che ci sono inciampati per caso, a quelli che mi hanno seguito pazientemente fin dall'inizio. Non so dirvi quanto il vostro supporto sia stato importante. Questa storia è stata scritta per voi che, come me, vi siete affezionati ad Aly ed Alex.
Un grazie speciale va a chi ha avuto la bontà di condividere con me i loro pensieri e le loro opinioni settimana dopo settimana.
Non voglio suonare troppo melensa, ma ci tenevo a prendermi uno spazio per ringraziarvi tutti e non mi sembrava il caso di farlo nell'ultimo capitolo.

Finito con le sviolinate,vorrei ancora dirvi un paio di cose. :) :)
Anche se la storia si è conclusa ( e già questo di per sé è un miracolo), il mio lavoro con Icarus continua e vorrei condividere con voi i miei progetti (chissà che non mi aiuti a rispettarli davvero)! :)
Primo: Tra qualche giorno inizierò la revisione (e chi mi conosce trema all'idea di ciò che questo può voler dire). Avendo iniziato a scrivere con un finale in mente ed essendo arrivata da tutt'altra parte, so che nella storia ci sono incongruenze ed errori da sistemare, ma è probabile (o meglio è praticamente certo) che non mi limiterò solo a queste correzioni.
Fare la revisione per me non significa semplicemente riguardare la grammatica o cambiare qualche parola qua e là, significa rivedere completamente il testo, quindi non è escluso che paragrafi o capitoli interi spariscano, che ne compaiano altri o che cambino di contenuto e/o forma. La trama (spero) non verrà alterata più di tanto, ma non prometto niente.
Di sicuro la prima cosa che sparirà sarà il prologo.
La versione attuale non mi ha mai entusiasmata, per cui lo sostituirò con quello che avrei voluto mettere fin dall'inizio.
Secondo: farò di Icarus un ebook. Non per la vendita. Non ho intenzione di distribuirlo su altre piattaforme. È stato postato su questo sito e qui rimarrà. È più una questione di soddisfazione personale. Ormai ho questa idea in testa, tanto vale la pena realizzarla.
Posterò tutte le info e gli aggiornamenti sulla pagina Facebook e se qualcuno poi volesse averne una copia non ha che da chiedere! ;)
Terzo: Non ce la faccio a lasciare così Aly e Alex. Ho lasciato alcune cose volutamente in sospeso perché non escludo di riprenderli in mano. Ho un paio idee che mi frullano in testa e se riesco a farle progredire dallo stato embrionale in cui si sono bloccate, potrei tornare a postare presto. (e non so se dovreste prendere questa frase come una promessa o una minaccia)! XD XD
Al momento però sto lavorando ad una storia per un concorso, per cui comunque ci vorrà un po'.
Grazie ancora di cuore a tutti!

Un abbraccio grande,

Alisya

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Questa storia è archiviata su: EFP

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