Non so chi sei

di Saja
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 2 ***


Robert si prese ancora un secondo per osservare la donna coricata di fianco a lui. Il suo profilo, i suoi capelli ramati, le lunghe ciglia, il naso, la bocca, la siluette che si intravedeva tra le lenzuola. Non ricordava l’ultima volta che fosse stato così bene ed in pace con se stesso. E pensare che tutto quello era iniziato così per gioco, perché lei aveva avuto la sfrontatezza di invitarlo a mangiare un semplice hamburger. Sorrise mentre con delicatezza percorreva le curve della ragazza con un dito.

Ma c’era un pensiero che Robert non riusciva a togliersi dalla testa. Cosa sarebbe successo ora? Cosa avrebbe detto lei quando si sarebbe svegliata? Era tutto vero quello che gli aveva detto la sera prima? Che era da tanto tempo che lo desiderava? O era solo una stupidata dovuta al vino? Gold si fermò, rabbuiandosi. E se lei si fosse svegliata e gli avesse detto che era tutto un errore? Se si fosse pentita di quello che aveva fatto?! Belle come percependo i suoi pensieri negativi si mosse nel sonno. Gold tremò un attimo, così prese la più facile delle decisioni: scostò le lenzuola, raccolse i suoi vestiti, si rivestì senza fare il minimo rumore ed uscì dalla casa.

Belle, si svegliò frastornata e con la testa che le scoppiava, si guardò un attimo intorno e riconobbe camera sua. La testa le pulsò ancora. Almeno aveva avuto la decenza di tornare a casa anche se ubriaca e non di finire nel letto di qualche sconosciuto. Scese dal letto, si precipitò in bagno a farsi una doccia e un’oretta dopo sembrava essersi ripresa quasi del tutto, così decise di scendere a fare colazione, ma mentre tirava le coperte per rifarsi il letto una cosa attirò la sua attenzione. Una cravatta nera faceva capolino da sotto il letto. La ragazza cercò di ricordare cosa effettivamente fosse successo la sera prima, ma nulla. Non le veniva in mente nulla. Al massimo dell’abbattimento, con mille pensieri in testa, prese il cellulare componendo il numero di Ruby ed attese, lei sicuramente l’avrebbe illuminata in quella situazione.

“Pronto Ruby! Sono Belle…”

“Ma buongiorno, Belle!” la salutò Ruby dall’altro lato del cellulare “Allora? Cosa hai fatto di così importante ieri sera, da non venire alla festa?” no, aspetta un attimo… lei non era andata alla festa?! E allora dov’era andata?! Con chi era andata?! Perché si ricordava di aver passato la sera in un locale, di avere bevuto champagne, forse, o un altro tipo di vino e di aver riso, riso tanto. Ci vollero ben 10 minuti a  Belle per ammettere e raccontare a Ruby di aver trovato una cravatta sotto il letto, ma di aver totalmente dimenticato quello che era successo la sera prima. L’altra rise di gusto, tanto che la ragazza ebbe quasi la voglia di chiudere la conversazione, ma l’altra le promise che l’avrebbe aiutata. Si accordarono per vedersi al Rabbit Hole per quella sera.

Il sabato sera al Rabbit Hole era un immenso caos, tutti i ragazzi di Storybrooke si accalcavano in quel locale, che era anche l’unico della città e Belle e Ruby ebbero non poche difficoltà a trovare un tavolo libero. Sedute, però Ruby tornò a guardarla divertita.

 “Allora, cosa mi stavi dicendo stamattina al telefono? Chi è il misterioso uomo che non poteva aspettare un altro giorno per avere un appuntamento? Vi siete div…”.
“Smettila Ruby!” l’apostrofò paonazza l’altra “mi vuoi aiutare o no?” chiese esasperata.

“Si si, scusami è che è troppo divertente!” cercò di darsi un contegno “ok, ora raccontami ancora tutto per filo e per segno quello che è successo”. Belle sospirò, non aveva molto da raccontare visto che ricordava molto poco ma cercò comunque di dare una spiegazione esaustiva all’amica, ammettendo che la cravatta incriminata, non sapeva come, ma le era famigliare. “E quindi…”

“E quindi tu con un poco di vino parti già in quarta e il giorno dopo soffri di crisi di memoria?! Dai, mi vuoi far credere davvero che non ricordi quasi nulla di quello che è successo?”

L’altra stava per ribattere, ma un ragazzo con in mano tre rose la fermò. “Per lei signorina” disse solo “Da quel ragazzo laggiù”. Il ragazzo dai capelli castani e gli occhi verdi, seduto al bancone, sentendosi tirato in causa alzò il bicchiere di whisky che stava bevendo.

“Lo conosci?!” chiese Ruby

“Si, è Keith Wood. Probabilmente lo avrai visto anche tu qualche volta in ufficio”. Ruby negò con la testa, se in ufficio girasse un tipo così carino di certo lo avrebbe notato.

“Ma si dai! É il manager di quell’atleta… quel Robin… quello che vuole aprire un conto con Gold”. Ruby Lucas tornò a guardarlo e strinse gli occhi. Wood… Wood… il nome non le era di certo nuovo. Si ricordava un Wood, ma era sempre vestito impeccabile con giacca, camicia ed occhiali da sole. “Quel Wood?!” chiese all’amica, poi, indicandolo con il dito.

“Si lui” bofonchiò Belle “chissà perché me le ha regalate” sospirò.

“Magari è lui il tizio della cravatta” suppose Ruby, poi senza nessun preavviso si sbracciò verso il ragazzo, invitandolo a sedere. La French divenne paonazza, che cosa stava facendo Ruby? E se fosse davvero lui il tipo della sera prima? Wood non se lo fece ripetere due volte e bisbigliato qualcosa ad un amico seduto di fianco a lui entrambi si alzarono ed andarono incontro alle due ragazze. “Buonasera” risero prendendo due sedie e sedendosi con loro. Ruby rise e rispose, Belle bofonchiò un altro po’, per poi arrendersi alla situazione.

La serata passò tra una chiacchiera e l’altra e quando la musica si fece più alta Ruby e l’amico di Wood pensarono bene di dileguarsi per andare a ballare.
Rimasta sola con Keith, Belle, si sentì a disagio. Se fosse stato davvero lui l’uomo della sera prima si stava comportando come se nulla fosse accaduto e questo, ad essere onesti, la innervosiva un poco.

“Belle, tutto bene?!”

“Eh?! Si… Cosa?!” chiese cadendo dalle nuvole.

“é da mezz’ora che sto parlando e non hai seguito nulla di quello che ti ho detto?” rise divertito.

“No, cioè… scusami… è che…”

“Ti ho chiesto se ti andasse di uscire una sera, con me, da soli” e guardò la coppia che ballava in pista. Belle rimase zitta. Uscire con Keith… forse non era lui il tipo della cravatta. Con il tipo della cravatta non solo c’era uscita, aveva fatto ben altro e quindi Keith le avrebbe chiesto di replicare. E poi perché dileguarsi la mattina dopo se alla sera le chiedeva già di uscire ancora? No, non poteva essere lui, ma per esserne certa…

“Keith per caso, non hai una cravatta nera, tu?” chiese boccheggiando.

“Cravatta nera?” rise lui, abbandonandosi allo schienale della sedia, che tipa strana lui le chiedeva di uscire e lei gli parlava di cravatte. “No” ammise “Per chi mi hai preso?! Per il tuo capo? Gold, quello si che di cravatte deve averne un arsenale” rise da solo della sua battuta.

A Belle mancò l’aria a sentire il nome di Gold. Ebbe come un flash back. Ecco dove aveva già visto quella cravatta! Al collo di Gold quando la metteva in ufficio! Ricordò che l’ultima persona con cui aveva parlato venerdì sera era proprio il suo capo. Ricordò il locale da Granny e ricordò due hamburger con due the freddi. Poi le cose iniziavano a farsi un po’ nebulose. La ragazza boccheggiò cercando di trovare più aria possibile, Keith preoccupato si alzò dalla sedia.

“Ho bisogno di una boccata d’aria fresca” ammise lei. Wood con una scusa qualsiasi la sorresse per le spalle ed entrambi lasciarono il locale.

Lunedì mattina, Belle, era ancora frastornata per quello che le era capitato venerdì notte. Aveva lottato parecchio con se stessa per decidere se andare o no in ufficio, Se non ci fosse andata, si sarebbe comportata da codarda ed avrebbe prolungato la sua agonia, se ci fosse andata, l’avrebbe rivisto e, mentre le gambe le tremavano, non sapeva davvero dirsi cosa avrebbe fatto.

Decise comunque di tentare, ma appena uscita dall’ascensore, davanti alla porta a vetri dello studio,  dove in nero campeggiava la scritta “Gold&Mills Associati”, la sua determinazione le mancò tutta. Purtroppo Ruby l’aveva notata e con un largo sorriso la salutò con la mano, incitandola ad entrare. Belle tolse l’auricolare e spense l’mp3, infilandolo a casaccio in borsa, di fianco al libro che aveva letto in metrò e varcò la soglia.

Ruby la guardò con lo sguardo di chi la sa lunga. “Buongiorno Belle” disse sempre sorridente marcando prontamente la parola “buongiorno”. Belle salutò a sua volta, voleva solo andare a  prendersi un caffè e sperare che arrivassero in fretta le 6 per scappare da quel posto. Ma l’altra parve non far caso al suo disagio. “Allora” iniziò mentre abbassava il microfono dell’auricolare.

“Allora?” chiese Belle non capendo.

“Com’è finito il tuo sabato sera? É stato scortese da parte vostra dileguarvi così. Bill era addirittura in macchina con Keith! Immaginati la sua faccia quando dopo essere usciti dal locale non ha più trovato la macchina di Wood. Per fortuna che noi avevamo preso su la mia!”. Belle non disse nulla così Ruby continuò “Comunque, dimmi… è lui il misterioso uomo della cravatta?”. Belle ingoiò a vuoto, mentre l’altra girava il coltello nella piaga. “Non mi sembra il momento ne il luogo migliore per parlarne, Ruby” sospirò. L’altra alzò le spalle. “Ok, ok, dimmi solo se hai passato una bella nottata con Keith Wood”.

“Buongiorno signorina French, signorina Lucas” la voce dell’uomo che non voleva vedere le fece sobbalzare entrambi. Ruby si apprestò a salutarlo mentre gli porgeva la posta, Belle si accontentò di farfugliare un “buongiorno” per poi zittirsi subito dopo. Lui disse qualcosa a Ruby, come un “Grazie daerie” poi si girò verso Belle. “Signorina French, l’aspetto tra cinque minuti nel mio studio” e sparì nel corridoio. Belle sospirò alzando gli occhi al cielo. Ecco, il momento della verità, era arrivato.

Bussò piano, mettendo la testa nello spiraglio della porta lasciata aperta da lui. Lo trovò alla scrivania, i gomiti sul tavolo, le mani intrecciate sotto il mento. La ragazza era tesa come una corda di violino. “Voleva vedermi?!”. Gold la studiò un attimo. Era vero quello che stava dicendo la Lucas? Che lei aveva passato sabato notte in compagnia di Keith Wood?! Il loro cliente, Keith Wood? Perché? Dopo essere stato con lui, la sera prima? Allora era vero che quello che era successo tra di loro era dato dal vino. Era vero che Belle non lo desiderava, come lui desiderava lei. Si sentì punto nell’orgoglio. Probabilmente quello che era successo tra di loro era stato architettato tutto da Wood e la French insieme. Pensavano di far crollare il mostro, l’uomo che non si era fatto scrupoli a mettere insieme il suo impero. Volevano distruggere la bestia. Per dimostrare a tutti che potevano rigirare Robert Gold come più gli pareva. Ah ma non l’avrebbero passata liscia. No. Certo che no. Fosse l’ultima cosa che avrebbe fatto.

 “Si” ammise. “Vorrei che chiamassi il signor Noland e fissassi un appuntamento per le due di domani pomeriggio e poi…”.

Belle prese nota di tutto quanto e qualche minuto dopo si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo quando si chiuse la porta dello studio alle spalle. Non sapeva bene quale colore avesse assunto il suo viso quando lui, dopo averle detto che poteva andare, l’aveva richiamata indietro dicendole che sperava che avesse passato un buon week end, imprimendo alla sua faccia quel ghigno che doveva essere un sorriso. Ecco, perfetto. Aveva sentito tutto quello che si erano dette lei e Ruby. Chissà da quanto tempo era lì. Si impose la calma e si sedette alla sua scrivania. Fece rotolare le rotelle della sedia, facendo fare un giro completo a se stessa e si concentrò sul pc. Chiamare Noland, battere al pc la presentazione per quel cliente che sarebbe arrivato in città la settimana prossima e poi…

“Ciao Belle!” la voce squillante di Wood, la fece sussultare. Si impose di sorridere e lo salutò cordialmente.

“Mi hanno detto che Gold è nel suo ufficio, sai, devo parlargli di quel contratto che Robin vorrebbe firmare…” lei mosse il capo meccanicamente e si alzò per bussare alla porta di Gold.

Due minuti dopo Wood spariva dietro quella porta. Belle si risedette alla scrivania ed iniziò a pigiare, con poca voglia, i tasti del pc per preparare la presentazione del cliente, quando delle urla provenienti dall’ufficio la fecero sobbalzare per la terza volta in quella giornata. Ma quant’era tesa? Un secondo dopo Wood apriva la porta e urlando ancora qualcosa a Gold la richiuse sbattendola.

“Ci si vede, Belle” le disse soltanto prima di imboccare il corridoio che portava alla hall. Belle rimase basita. Vide la porta aprirsi e Gold far capolino per vedere se l’uomo si era in effetti defilato. Poi spostò la sua attenzione su Belle. La ragazza tremò vedendo quanto odio c’era in quegli occhi. Lui richiuse la porta sbattendola.
Da quel momento tutto tornò come prima. Gold non la degnava neanche di uno sguardo e passava molto tempo insieme alla Mills. Sembrava che tutto fosse tornato a prima che lei lo scoprisse a piangere sulle foto del figlio. Sembrava che lui avesse rimesso con lei, la maschera che metteva con tutti. La ragazza veniva ripresa per qualsiasi cosa, Gold aveva ritrovato il suo lato cinico e scontroso e non perdeva l’occasione per farglielo notare. Tutto come prima, pensò demoralizzata. Andare al lavoro era diventato pesante, insopportabile, perché se prima si ripeteva che Gold non le avrebbe mai tolto il suo buonumore, ora capiva, che dopo essere stata con lui ed essere trattata così, era come se lui le stesse sgretolando il cuore.

Un giorno Gold era nello studio della Mills e dalle risatine che provenivano da là dentro, si intuiva che i due non stessero affatto parlando di lavoro. Entrambi erano avvinghiati l’uno all’altra. La mano destra dell’uomo vagava sulle gambe della donna seduta sulla scrivania, mentre la sinistra percorreva la sua schiena, lei spostava la bocca dal collo alle labbra dell’uomo, mentre le mani, una era ancorata ai suoi capelli e l’altra tirava la cravatta per tenere l’uomo più vicino a lei. Gold si spostò ed estrasse il portafoglio, aprendolo però imprecò. “Li ho finiti” ammise “Vado a vedere in ufficio se ne sono rimasti alcuni nel cassetto della scrivania”. Lei sorrise e gli sussurrò qualcosa che poteva essere interpretato come un “fai presto”. Robert non se lo fece ripetere e si incamminò verso il suo studio.

Arrivato a pochi centimetri dalla porta però si bloccò. Aveva sentito distintamente due voci, una era quella di Belle, l’altra doveva essere quella della segretaria di Cora, com’è che si chiamava… la tipa rossa… proprio non gli veniva in mente. Non che gliene importasse poi molto a dire il vero…

“Allora, pronta per stasera?!” le stava chiedendo la rossa a Belle “vedrai ci divertiremo! E finalmente vedrai come io ed Eric abbiamo arredato la casa nuova”.
Belle sospirò “Sicura che non dobbiamo portare nulla?”

L’altra rise “Tu preoccupati di portare Keith, al resto ci pensiamo io ed Eric! A proposito! Come va tra voi due?” Belle si morse il labbro, ecco un tasto che non voleva affatto toccare.

“Va” disse solo, ma nella sua voce c’era una nota stonata.

“Dai! Non mi dire che a letto lui…” cercò di tirarla su l’amica, facendo una battutina allusiva al sesso. Ci fu un secondo di silenzio, dove Robert si scoprì trattenere il respiro. “Aspetta un attimo!” si illuminò Ariel soppesando lo sguardo dell’amica “non dirmi che voi due non siete mai andati a letto insieme”.

“Sttt! Ariel” cercò di farle abbassare la voce Belle. Non le andava che metà, se non tutto l’ufficio sapesse i suoi fatti personali. “Diciamo solo che lui spinge molto su questo tasto, ma io… non me la sento proprio, non so… è…”.

“Io pensavo fosse lui il tipo della cravatta nera!” l’apostrofò sbigottita Ariel. Belle doveva aver scosso il capo, pensò Gold, facendosi più attento, perché l’altra continuò in tono più dolce “Pensi ancora a lui? Per questo non sei andata con Keith?” Ancora nessuna risposta da Belle “Ti sei ricordata qualcosa di quella sera? Hai una vaga idea di chi possa essere?” Gold serrò le labbra e si guardò la cravatta. Come poteva essere stato così stupido da dimenticarsi la cravatta a casa di Belle French? E poi quella cravatta era uno degli ultimi regali di Bae… e lui l’aveva lasciata lì, buttata chissà dove nella camera di quella ragazza.

“Ho una mezza idea…” Belle confessò e Gold tremò un attimo. Mille dubbi gli riempirono la  testa. Cosa intendeva Belle? E perché quella ragazza le stava chiedendo se si ricordava chi poteva essere l’uomo che era stato con lei, quella notte? “Di sicuro, non berrò mai più un goccio di vino in vita mia” rise Belle per sdrammatizzare la situazione. Gold si trovò suo malgrado a sorridere anche lui al ricordo di quella serata.

“Tranquilla, stasera non ce ne sarà” la rincuorò Ariel “Però io ed Eric potremo fare in modo che questa serata sia così romantica, che tu, a Keith, quando ti riporta a casa, non potrai dir di no” rise maliziosa e divertita dell’idea che le era venuta in mente.

“No, Ariel, no!” cercò di farla ragionare Belle.

Robert Gold mise la schiena contro il muro e chiuse gli occhi. Ora era tutto più chiaro. Si dette dello stupido per aver pensato male di Belle, quando la colpa era dello champagne che lui stesso aveva ordinato. Lei si era ubriacata e non ricordava quasi niente di quello che era capitato dopo. Però quello che era successo le doveva essere rimasto in qualche maniera impressa perché da allora lei aveva continuato a cercarlo, rifiutando anche quel damerino di Keith Wood. Ora però aveva un altro pensiero per la testa. La segretaria di Cora… se Belle fosse andata da lei quella sera con Wood allora forse i due sarebbero andati a letto insieme e questo, lui, doveva evitarlo. Doveva trovare un modo per stare da solo con Belle, per parlare con Belle, confessarsi, chiarirsi e non avrebbe mai, mai permesso che lei andasse a cena con Wood quella sera.

Entrò in ufficio e in quello stesso istante la segretaria di Cora balzò dalla sedia “Buongiorno signor Gold” farfugliò capendo di essere stata colta in flagrante mentre si faceva gli affari suoi sul lavoro. Robert non la degnò di uno sguardo, prese un post it dalla scrivania di Belle, ci scarabocchiò sopra qualcosa che doveva essere “Ho avuto un imprevisto. Ne riparleremo” e lo consegnò ad Ariel dicendole di consegnarlo a Cora Mills in persona.

Quando rimase da solo con Belle, entrò nel suo studio, prese il plico di fogli più grande che fosse riuscito a trovare a vista d’occhio, tra le pratiche che ormai non guardava più nemmeno lui e con un tonfo sordo lo posò sulla scrivania della ragazza. Le disse che voleva tutto quanto battuto a pc per la sera stessa.

Belle non credete alle proprie orecchie. Guardò l’orologio. Le 5.50 di venerdì pomeriggio. Tra 10 minuti lei avrebbe staccato, avrebbe dovuto correre a casa, farsi un bagno e vestirsi perché Keith la sarebbe andata a prendere alle 7.10, ma prima che potesse ribattere Gold si era chiuso nel suo ufficio ed a lei non rimase altro che iniziare a battere la prima pagina di quel tomo enorme.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Buonasera a tutti ^^!
Scusate il ritardo (come al solito con me ^^’) ma questa è la mia fanfic che dovrebbe partecipare all’iniziativa Rumbelle  Festival! La storia è un AU ambientata ai giorni nostri, sempre a Storybrooke ma al di fuori della Storybrooke delle favole.
Per quanto riguarda i prompst (CIOCCOLATO; ROSE; MUSICA; CHAMPAGNE; TOCCO; PASSIONE; FERITA; GRANDE CITTA’; PIOGGIA/TEMPORALE; CONFESSIONE; BAR/CAFFE’/LOCALE; PRIMO APPUNTAMENTO; CUCINARE; FILM; RABBIA) ho deciso di utilizzarli tutti.
Quello che spero è che la fanfic non risulti una via di mezzo tra una telenovelas sud americana e un telefilm nord americano dove tutti si fanno delle cappie mentali ^^. Spero solo che i personaggi (in particolare Gold e Belle siano Ic, od Oc,non so come si dice “nel personaggio” almeno un po’).  Se non è così evidentemente le AU non fanno per me ^^ ahahah!
Finito questo delirio, vi auguro solo che vi piaccia leggere la fanfic come a me è piaciuta scriverla!
A presto! Saja
 
Quando era stata assunta si era stupita del carattere scontroso e scorbutico del suo capo, ma si era detta, lui non le avrebbe mai, mai, distrutto il suo buonumore. Lì, al lavoro ogni mattina trovava sempre facce sorridenti. C’era Ruby la centralinista, Ariel la segretaria della signora Mills, Mary Margaret la veterana delle dipendenti dell’ufficio “Gold&Mills Associati” e molti altri. L’ufficio di banchieri “Gold&Mills Associati” era il più grande di tutta Storybrooke e lei, nonostante fosse stata contenta quando l’ufficio risorse umane l’aveva chiamata per assegnarle il posto di segretaria del signor Gold, in quanto quella precedente, Kathy , o Ashley, non ricordava bene il nome, era andata in maternità, era rimasta un po’ delusa. Lei desiderava fare ben altro nella vita, ma tanto per tirare avanti e non pesare sul padre che aveva un piccolo negozio di fiori in centro città andava più che bene.

Gold si era dimostrato sin da subito cinico e scontroso. Ogni cosa che lei faceva o diceva era un buon punto di partenza per schernirla, o a volte, come era capitato poco prima, lui la ignorava semplicemente chiudendosi a riccio in se stesso. Non seppe per la precisione quando iniziò ad avere una piccola simpatia per lui, seppe solo che giorno dopo giorno non riusciva a fare a meno di guardare quel viso, di pensare a quell’uomo. Forse l’aveva colpita il ricordo del suo viso mentre un giorno lo aveva sorpreso ad osservare le foto del figlio Bealfire scomparso chissà dove circa due anni prima. Il ragazzo dopo un violento litigio con il padre aveva solo sbattuto la porta dietro di se ed era scomparso nel nulla. Ma Belle, ricordava bene l’espressione dell’uomo davanti alle foto, quel giorno, quando, dopo aver bussato, una prima volta e non avendo ricevuto risposta aveva aperto la porta ed era entrata nello studio. Tristezza, solitudine, dolore? Tutti sentimenti che con quel viso ci potevano andare a nozze. E lei ne era rimasta turbata. Come poteva un uomo del genere celare un lato simile? Lui, con rabbia, le aveva ringhiato contro di andarsene, che non erano fatti suoi, ma lei voleva saperne di più. E nonostante tutto si era avvicinata, aveva chiesto e la rabbia, la reticenza di lui erano diventate solo frasi corte, pezzi di puzzle che Belle faticava a mettere insieme. Quella ferita non si sarebbe mai rimarginata e la realtà l’avrebbe scoperta molto tempo dopo, ma per il momento quello le era bastato.

Di Gold, Belle, sapeva anche un’altra cosa, che circolava in ufficio sotto voce soffusa, come un piccolo pettegolezzo. Che andava a letto con la sua socia Cora Mills. I due, si diceva, fossero amanti già prima di mettere in piedi l’ufficio e questa “collaborazione” andava tutt’ora avanti. A volte, Belle, osservava la signora Mills, come si muoveva, quello che diceva e non si stupiva affatto che due persone così simili fossero finite a letto insieme. Solo, non riusciva a collocare l’uomo che lei aveva conosciuto quel giorno, per sbaglio. Si chiedeva se la Mills stessa, ne conoscesse l’esistenza o, come tutti gli altri, si era solo preoccupata di vedere la maschera del mostro, che Gold amava mettere quando entrava in contatto, bhè… con il mondo intero.

Dal giorno dell’incidente delle foto anche Gold era un poco cambiato. La trattava con più rispetto, a volte le sorrideva pure, raramente, ma accadeva e quando la scherniva lo faceva per prenderla in giro. Battutine a cui Belle rispondeva, ma lo faceva con il sorriso sulle labbra. Andare in ufficio e stare a contatto con lui era diventato a poco a poco, divertente, importante, indispensabile. Ma c’erano momenti in cui Gold sembrava assente, scostante, la osservava e quando lei se ne accorgeva, lui distoglieva lo sguardo, in quei momenti cercava di evitarla, di starle alla larga, di chiamarla il meno possibile. Belle pensò che l’uomo avesse paura. Ma di cosa, non riusciva a spiegarselo.

Un giorno come un altro verso l’orario di chiusura Ruby volò direttamente da lei. “Stasera che fai?” si informò la ragazza. Belle ci ragionò su, di veder Gaston proprio non se ne parlava, il loro rapporto era chiuso già da tempo. E poi lui si sarebbe sicuramente consolato con qualche ragazza in qualche bar, se non poteva cercare di riconquistarla.  Così scosse la testa. “Nulla di particolare”.

“Perfetto! Così puoi venire con noi! Marco va in pensione, oggi era il suo ultimo giorno di lavoro e stasera si festeggia!” . No! A Belle, Marco stava simpatico, era l’inserviente delle pulizie ed era divertente scambiarci qualche parola la mattina di fianco alle macchinette, mentre lui finiva il turno e lei iniziava. Poi era una delle persone più gentili che lei avesse mai conosciuto.

“Allora pronte ragazze?” chiese Ariel che nel frattempo si era unita alle due con Mary Margaret.

“Si però questa volta poco alcool, Ruby…” sospirò Mary.

“D’accordo mammina!” rispose la ragazza facendo l’occhiolino a Belle ed Ariel. Una promessa fatta e sicuramente non mantenuta.

“Ehy guardate!” sussurrò Ariel alle altre tre, mentre con il dito indicava la sua capa, Cora Mills dirigersi verso lo studio di Gold.

“No…” sospirò Belle “Proprio ora che gli devo portare questi documenti!” .

Ruby rise e guardò l’ora “Ti conviene sbrigarti a disturbare i due piccioncini! O non aspetto la prossima metro, solo per aspettare te che aspetti i comodi della Mills e di Gold, chiaro?!” continuò ridendo.

“Ruby!” pianiuccolò Belle. E ora?

Intanto Cora era entrata nello studio e Gold dopo averle dato una rapida occhiata, tornò a guardare il pc.

“Mi ricordavo che un tempo eri felice di vedermi” buttò lì lei. Gold non distolse l’attenzione dallo schermo. Già, si rammaricò. Un tempo… Prima…. Prima che due occhi azzurri ed un viso di bambola si posassero su di lui. “Scusami, sono un po’ impegnato, daerie” mentì “vorrei finire questa cosa prima di stasera”. Lei rise scuotendo la testa “Che avrai di così importante da fare stasera?!”. Colpito ed affondato. Cora lo conosceva e lo conosceva bene. Quella sera sarebbe tornato a casa e si sarebbe seduto all’arcolaio a vedere una ruota girare. Perché quel gesto, quel movimento, gli liberava la mente. Aveva imparato quasi per gioco da bambino, quando aveva passato un’estate con due sue zie, che di mestiere facevano le filatrici. Alla sera il piccolo Robert, non potendo uscire perché troppo piccolo, restava ore e ore seduto all’arcolaio, lasciato da parte dalle zie che lo avevano utilizzato per tutto il giorno ed era come ipnotico. E lì, la delusione per suo padre, la morte di sua madre, tutto, veniva magicamente cancellato. Tutto. Ora sperava che funzionasse ancora una volta. Doveva cancellare due occhi di cielo e una bocca da bocciolo di rosa.

 “Immaginavo…” sogghignò.

“Che vuoi, Cora?” chiese, vedendola avanzare verso di lui e abbassare il viso fino al suo.

“Niente. Solo… renderti la serata più… interessante, rispetto a quello che avevi in mente”. Gli baciò il collo e sospirò nel suo orecchio, mentre una mano passava tra i capelli castani. Gold chiuse gli occhi e si immaginò una ragazza dal sorriso meraviglioso, dagli occhi lucenti del colore dell’acqua e dalle labbra… Spostò il viso verso Cora e vide i suoi occhi castani fiammeggiare. Doveva smettere di pensare alla sua segretaria. Lei, lei era stupenda è vero, lo aveva trattato con gentilezza anche quando lui le aveva mostrato, senza volerlo, le sue debolezze, vero anche questo, ma lei era pura e lui sporco. Lui era… un mostro e dei mostri le fanciulle virtuose non si innamorano. La passione animalesca che Cora gli dava, quello si che andava bene per lui, ma l’amore di quell’angelo, no. Aveva paura di sporcarla con se stesso. Così il corpo rispose prima della mente. Non perché Gold non fosse già cotto a puntino di Belle, ma come lesse in un libro una volta “Voi vi lavate i denti, no? Supponete che il vostro dentifricio preferito sia l’Aquafresh. Il negozio però lo ha finito, è rimasto solo il Colgate. Cosa fate? Usate il Colgate, giusto? Potete desiderare l’Aquafresh, ma quando non c’è altra soluzione, usate quel che avete per tenere i vostri denti puliti e bianchi come perle. ” (1). In queste poche parole con cui una donna aveva racchiuso l’essenza del sesso per un uomo, Gold vi aveva trovato un che di vero e vi aveva riso su.

Si alzò in piedi rubando le labbra di Cora in un bacio che di casto non aveva nulla. Le mani da prima ferme sui fianchi di lei, avevano preso una lenta risalita, poi… già poi… Un lieve bussare e una voce familiare, troppo familiare lo aveva riportato alla realtà, facendogli allontanare Cora da se stesso. Guardò la nuova arrivata stralunato. Lei diventò rossa e distolse lo sguardo. Nessuno dei tre parlò. Tempo prima Gold aveva avuto una moglie, Milah, che lo aveva tradito con un uomo, un certo Killian, un tipo carino, capelli neri, occhi verdi, il classico uomo da copertina. Bhè ora quando Belle li aveva colti in flagrante, si sentiva come se fosse lui ad aver tradito. Come se fosse stato lui ad essere venuto meno ad una promessa.

“Scusate io…” Belle provò ad articolare due parole. Cosa le sarebbe capitato ora? Gold era arrabbiato? E la Mills? Lei si, certo! La guardava come se volesse incenerirla. “Signor Gold” si fece coraggio, nonostante le gambe le tremassero un po’. Fai una cosa coraggiosa ed il coraggio verrà da se, amava ripetersi. Così puntò gli occhi sull’uomo cercando di fare come se nulla fosse successo. “Devo consegnarle questi documenti e se non ha un altro compito da assegnarmi, io andrei…”. Gold la guardò cercando di aprir bocca. Ma la richiuse subito. Guardò Cora che con un dito si indicò e con le labbra sembrò dirgli “da me” chiaro che si riferiva alla sera stessa, ma quello, a Gold passò inosservato e si schiarì la voce. “No… no… signorina French, vada pure. Grazie per i documenti”. Davvero non aveva trovato nulla di più sensato da dirle? Magari una delle sue battutine?! Ma lui si sentiva come il marito che aveva tradito l’amore della sua vita. Non aveva voglia di scherzare. Non ora.

Belle gli sorrise “Allora, buona serata, Signor Gold”. Lui avrebbe dovuto risponderle, avrebbe dovuto augurarle una buona serata, andare a casa e chiudersi dentro con il suo filatoio. Ma non lo fece. E sulla soglia la fermò. “Fa qualcosa di divertente, stasera?” aveva quasi boccheggiato nel pronunciare le parole ma era da tanto che non trattava da pari un altro essere umano.

“Oh bè stasera c’è la festa per il pensionamento di Marco e così….” Belle tacque. Qualcosa non quadrava. Possibile che Gold non sapesse che… no… impossibile.

“Ah capisco” si lasciò sfuggire l’uomo “Bhè allora, buona serata signorina French”. Lei mosse il capo meccanicamente e gli diede le spalle. Poi sulla soglia si fermò per la seconda volta. “Lei?”.

“Cosa?”

“Lei cosa fa, stasera?”

“Io?... Io me ne andrò a casa e mi dedicherò al mio hobby preferito, daerei”. Sorrise.

Belle ci pensò su. Era rischioso, ma tanto valeva provare. Se fosse andato male sarebbe morta per l’imbarazzo, ma a quello ci avrebbe pensato più tardi. “Le andrebbe un hamburger?”

Gold restò sorpreso. Gli stava chiedendo davvero di mangiare qualcosa con lei?

“Sa…” continuando al massimo dell’imbarazzo Belle “ho sentito che Granny fa degli hamburger ottimi e così mi sarebbe piaciuto provarli”. Ma l’espressione di lui tardava a cambiare. “Ok. Buona serata signor Gold”.

“Mi farebbe molto piacere” trovò il coraggio di dire “mangiare un hamburger con lei”. Vide il sorriso che amava tanto ridisegnarsi sul suo volto. “Ok, vado a prendere la giacca e la borsa e sono pronta”. Lui sorrise di rimando acconsentendo con la testa e preso il suo cappotto uscì dall’ufficio.

Dieci minuti dopo, ridevano e scherzavano per strada come due vecchi amici. Il locale era vicino ed avevano optato per fare un giro a piedi. “Si è così!” rimarcò Belle ormai rossa in viso dal troppo ridere “lei mi ha detto che il suo amico era abituato ad andare in moto, ma una volta accesa, non riusciva a superare i 20 km! La sorprenderebbe, se la conoscesse meglio, Ruby”. Gold la guardava e ogni tanto rideva, ma era un riflesso, perché rideva lei. Pensò che invece di conoscere Ruby, lui avrebbe volentieri conosciuto Belle. La vera Belle, quella dopo il lavoro.

Entrando nel locale si accorse che non era troppo affollato. Meglio così, pochi tavoli prenotati, più intimità per loro. Ordinarono due hamburger con due thè freddi, ma una volta finiti, Gold si propose di ordinare dello champagne, per brindare a quella magnifica serata. Belle non si tirò indietro, anche se non disse tutta la verità. Lei il vino non lo beveva mai e con un bicchiere si sentiva già la testa un po’ leggera. Ma il vino ordinato da lui sembrava reggerlo bene e tra una chiacchiera e l’altra, in poco tempo ben due bottiglie vuote facevano  bella mostra di se sulla tavola. Belle rideva molto più facilmente e anche lui sembrava un po’ alticcio.

“Forse è meglio andare” disse schiarendosi la voce e dando una rapida occhiata all’orario. Le undici. Lei doveva andare a quella stupida festa e lui… bè a casa, sicuramente dappertutto ma non tra le braccia di Cora. Quando avrebbe ripensato a quella sera l’avrebbe rivissuta come una delle più belle della sua vita e non voleva rovinarla sapendo di essere andato poi con un’altra.

Arrivare alla macchina fu un impresa ardua. Belle rideva e lui l’assecondava. Di quello che dicevano entrambi ne capivano la metà, se non nulla. Poi lei con naturalezza l’aveva preso sotto braccio, il braccio che di solito teneva il bastone e lui aveva sentito un altro calore propagarsi per tutto il corpo, non dato dal vino.

“Allora buona serata daerei” sogghignò, strascicando un poco l’appellativo. Respirò. Doveva guidare fino a casa, almeno che trovasse un po’ di lucidità.

“Buona notte signor Gold” rise lei mentre le braccia scivolavano intorno al suo collo e le labbra si posavano sulle sue. Gold restò per un attimo sorpreso, d’un tratto, per un tratto, la lucidità gli era tornata, poi chiuse gli occhi e approfondì il bacio, mentre lasciava cadere il bastone a terra e faceva aderire il suo corpo con quello di lei. Quanto tempo passarono così non lo seppero nemmeno loro. Ore? Giorni? Anni? “Forse è meglio andare” ripetè interrompendo il bacio e staccandosi a malavoglia da lei. La situazione stava andando fuori controllo e una parte ben nota del suo corpo aveva iniziato a dare segni di vita. Recuperò il bastone da terra. Si diresse verso il lato guidatore, ma messa una mano sulla maniglia si fermò e guardò l’altra che aveva sbiascicato un “Ok, a domani, capo!” e si era diretta all’uscita del parcheggio.

“Dove sta andando?” chiese Gold spostando lo sguardo nel parcheggio alla ricerca della macchina di lei.

“Eh? A prendere la metro, poi via a festeggiare!” sorrise anche Gold, poi tornò serio ricordando quello che le doveva dire “salga in macchina, non sia mai che un gentiluomo lasci una ragazza da sola a girare con la metro nelle sue condizioni”.

“Quale condizioni?” e giù un’ altra risata da parte di lei. Salita in macchina, si sporse verso di lui e dopo essersi assicurata di aver la sua attenzione lo baciò di nuovo sulle labbra. “Mi sei mancato” sussurrò passando una mano sulla guancia rasata. Gold chiuse gli occhi a quel tocco.

 “Non sono mai andato via, Belle”

 “Gold, ti desidero da tanto tempo”

“Oh” rise lui sulle sue labbra “allora poniamo fine a questa tortura, dearei”. Mise in moto la macchina.
  1. Cit. Libro: “Non cercarmi mai più” di Chase Emma.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Alle 6.05 come era prevedibile, Belle bussò piano alla porta di Gold. Lui guardò l’orario, era in ritardo di cinque minuti rispetto alla supposizione che si era fatto lui, ma il comportamento di lei non l’aveva deluso; come la sua testolina castana che fece capolino oltre la porta, visto che non aveva ricevuto nessuna risposta.

“Signor Gold…” iniziò titubante. “Ecco… io…” si schiarì la voce “Io dovrei andare”.

“Devo supporre che tu abbia già finito il tuo lavoro, daerie” cercò di non sorridere, vedendo la faccia accigliata di lei.

“No, certo che no. Ma vede, stasera ho un impegno e…”

“E quindi il tuo lavoro non ti interessa quanto l’impegno che hai preso” finì lui per lei.

“Non ho mai detto che il mio lavoro non mi interessi!” rimarcò risentita lei alzando un poco la voce “Le sto solo dicendo che ora non riesco a fare dello straordinario. Se vuole dalla settimana prossima posso prendermi del tempo in più per restare qui a battere quella pratica”.

“La settima prossima?” chiese “La settimana prossima potrebbe non servirmi più quella pratica” pensò che c’era del vero in quelle parole, perché la pratica, l’aveva ritirata fuori solo per far si che lei non se ne andasse con l’altro quella sera. Che se ne sarebbe fatto di quella pratica la settimana prossima?

“Se è per questo, neanche stasera” l’apostrofò lei.

“Come?” si alzò dalla sedia, cercando di restare serio e fronteggiandola.

“Suvvia! Quella è la pratica di Booth. August Wayne Booth non è neanche più in America! Lo ha detto lei stesso, Gold, che quell’uomo poteva marcire in Asia, lui e la sua idea di divertimento!” Robert non ce la fece più e sorrise. Davvero lei si era ricordata di una frase così stupida detta magari quando era infuriato?

“Magari, il nostro burattino potrebbe essere tornato” le puntò il dito contro.

“E vorrebbe ancora fare affidamento a quest’ufficio dopo il modo in cui lo avete trattato l’ultima volta?” Belle aveva stretto gli occhi a due fessure, credeva davvero che lei se la sarebbe bevuta?

“Bè, se l’è meritato”

Lei scosse la testa “Buona serata signor Gold, a lunedì”.

“No, aspetta!” lui la prese per il polso quando la vide voltarsi e dirigersi verso la porta. “Non andare” sospirò. Si pentì subito di quelle parole e del gesto, perché lei lo guardò sorpresa. Si dette un contegno e schiarito la voce tornò a darle del lei “Mi piacerebbe invitarla a bere un aperitivo, sa per farmi perdonare del…” cercò le parole “dello stupido scherzo che le ho fatto”. Cercò di sorridere mentre si sentiva un cretino nato. Niente di più intelligente da dirle, Robert? Lei scosse la testa “No, mi scusi, sono già in ritardo”.

“Signorina French! Le sto solo offrendo un ginger ale dalla vecchia Granny! Ci vorranno solo pochi minuti”.

Belle sospirò “Ok, solo pochi minuti” sussurrò. Gold si sentì trionfante.

Il locale, come quel famoso venerdì sera, non gremiva di clienti. I due si sedettero ad un tavolo, Robert aprì il menù mentre Belle abbandonata la borsa sul tavolo si dirigeva con il cellulare in bagno. Chiamò Ariel scusandosi al massimo per l’eventuale ritardo, sorvolando sul fatto che era in un locale con Gold, poi chiamò Keith inventando una scusa. Wood le aveva spiegato quello che era successo tra lui e Gold, quel giorno in ufficio e se l’uomo avesse saputo che lei era in sua compagnia oltre l’orario di lavoro si sarebbe alterato non poco.

Robert nel frattempo aveva alzato lo sguardo dal menu per concedersi di guardare la siluette della segretaria sparire dietro l’angolo che portava al bagno, poi un pezzo di stoffa nero che si intravedeva nella borsa di lei aveva attirato la sua attenzione. Gold si sporse per prenderla. La sua cravatta! La cravatta nera che gli aveva regalato Bae! La portò al naso ispirando, come se quel gesto gli permettesse di essere più vicino a suo figlio, ma scoprì che sulla stoffa si era sedimentato anche un altro profumo. Il profumo di lei. Un brivido gli corse lungo la schiena, Chissà, chissà come era coricarsi la sera sentendo quel profumo tra le lenzuola e sul pigiama e chissà com’era sentire quel profumo la mattina mentre si metteva la camicia. Com’era mescolare insieme il suo profumo e quello di Belle, il suo sapore e quello di Belle.
“Tutto bene?” chiese nascondendo la cravatta nella tasca del cappotto, mentre lei si risedeva.

Ma aperta la borsetta per metterci dentro il cellulare Belle si bloccò e lo guardò in trance. “Devo andare” disse solo alzandosi e dirigendosi alla porta, che aprì per chiudersela dietro le spalle subito. Lui prese il bastone e cercò di alzarsi, maledetti divanetti e maledetta gamba! Sperava che lei non fosse già sparita. Ma arrivato al marciapiede la vide poco distante. Con quei tacchi non poteva fare di certo molta strada.

“Belle! Belle! Aspetti” urlò. In risposta, lei cercò di andare più veloce. “Signorina French! La prego!” ringhiò. Lei sbuffò e tornò indietro. “A che gioco sta giocando Gold?”

“Come?”

“La sua cravatta se l’è già ripresa, che vuole ancora da me?” Robert indietreggiò come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco, davvero lei pensava che lui l’avesse invitata solo per riprendersi la sua cravatta?

“Senta, mi dispiace” cercò tutto il coraggio che riuscì a trovare “mi dispiace davvero. Per essermi comportato…”

“da stronzo?” Lui si schiarì la voce “stavo dicendo ‘in quel modo’, ma ok, quello che ha detto lei può andare”. Belle alzò gli occhi al cielo. “Ma vorrei rimediare”

“Aumentandomi lo stipendio, suppongo”

“Chiedendole di uscire con me”

A Belle scappò una risata isterica. “E cosa le fa credere che dopo il modo in cui si è comportato io voglia ancora uscire con lei?”. Il sorriso che si dipinse sul volto di Robert era un sorriso amaro “Senti Belle, ho sbagliato è vero. Ma ho… ho avuto paura, per questo sono scappato quella mattina”. La ragazza stette in silenzio un attimo, incrociando le braccia al petto.

“Paura di cosa?” di vederla struccata? Di doverle qualcosa?

“Che tu pensassi che tutto quello che era successo tra noi fosse dato dal vino” si zittì, ma Belle non sembrò voler ribattere “Tu… tu mi piaci davvero, Belle; e l’idea di sentirti dire che quello che era successo fosse un errore mi ha fatto tremare. E come faccio sempre ho preso la decisione più facile, quella sbagliata. Me ne sono andato per non affrontare la realtà” Ingoiò a vuoto perché quello che stava per dire gli era valso mille e mille anni di vita, volse lo sguardo lontano da lei. “Sono un codardo Belle, lo sono sempre stato. Ho cercato di rimediare impegnandomi per diventare qualcuno, ma sotto quest’armatura io… rimango sempre quel codardo e questo… questo non lo posso cambiare”.

Lei soppesò le sue parole, poi il suo sguardo si addolcì, Robert Gold le stava mostrando il suo cuore su un piatto d’argento e questo non era cosa da tutti. Sospirò passando una mano tra i capelli e puntò gli occhi in quelli dell’uomo che ora la guardava con uno sguardo da cucciolo supplichevole. Sperò che il suo cuore non la tradisse prendendo quella decisione, così parlò “E’ vero” ammise “forse quella sera non era la serata migliore per arrivare fino a quel punto. Ma tutti meritano una seconda opportunità, no?” Gold sorrise alle sue parole. “Quindi, signor Gold, se la sua offerta è ancora valida…”

“Direi che vista la situazione potrei inviarti al nostro vero primo appuntamento, Belle?” sorrise anche lei “con molto piacere, Gold”

 “Robert”.

“Cosa?” chiese divertita “Robert, va più che bene”.

“Ok, con molto piacere, Robert”. Si accordarono per la sera dopo a casa di lui. Quando si lasciarono Gold restò in macchina a fari spenti, nel parcheggio dell’ufficio a vedere Belle salire sulla macchina di Wood. Sperava solo che l’incontro che lui le aveva strappato l’avesse fatta ragionare nel caso i suoi amici l’avessero spinta tra le braccia dell’uomo, quella sera.

Belle French non si ricordava di essere mai stata così nervosa per un appuntamento con un uomo come in quel momento mentre suonava il campanello di quella villetta color salmone. D’accordo che le sue avventure amorose si potevano raggruppare solo tra Gaston e Keith, ma il suo cuore sembrava ammattito e volesse uscire dal vestitino nero che aveva messo per quell’occasione. Si lisciò la gonna, giocherellando poi con una ciocca di capelli mentre si mordeva le labbra aspettando di vederlo apparire sulla soglia. Ed eccolo lì vestito con un suo completo impeccabile nero, che le sorrideva e la invitava ad entrare. Belle si sentì avvolgere da una sensazione bellissima mentre lui l’aiutava a togliersi il cappotto e le porgeva una scatola di cioccolatini. “Per te” disse solo, poi notando la confusione nel suo sguardo e si affrettò ad aggiungere “ero indeciso tra dei fiori e i cioccolatini, ma poi ho optato per i cioccolatini, penso che sia troppo scontato che un uomo al primo appuntamento regali fiori, no?” chiese cercando di animare la conversazione mentre tirava fuori dal frigo un aperitivo. Belle sorrise, no che non era scontato, Gold sembrava un uomo di altri tempi, pensò che al giorno d’oggi i ragazzi non regalano ne fiori ne cioccolata al primo appuntamento, mentre per lui, quello era normale.

La cena passò nella più totale armonia, sembrava, come la volta prima da Granny. Belle parlava e rideva e lui l’ascoltava rapito, a volte ribatteva o rideva, di riflesso perché rideva lei. La vera scintilla scoppiò però prima del dolce. Gold le aveva proposto di uscire a comprare un gelato, ma mentre l’aiutava a infilarsi il cappotto, Belle potè sentire distintamente il respiro dell’uomo sul suo collo e questo le provocò non pochi brividi. Voltò il viso in direzione di lui e Gold non perse tempo per assaggiare di nuovo quelle labbra fresche da bocciolo di rosa. Il cappotto cadde a terra, tutto intorno a loro scomparve. Ora c’erano solo loro due, i loro baci, le loro bocche affamate, le loro mani che si cercavano, che si accarezzavano. Poi lo squillo di un cellulare li riportò alla realtà. Belle si accorse di essere addossata al muro e mentre Robert si spostava da lei risistemandosi la cravatta, schiarendosi la voce e raccogliendo la sua giacca da terra, lei si risistemava la gonna e la scollatura del vestito.

Tornò in salotto dove raggiunse la borsa ed estrasse il cellulare. Pregò mentalmente che non fossero Keith o Ruby e si stupì di leggere il nome del suo amico Filippo. Il ragazzo abitava da un paio d’anni a New York, aveva deciso di andare in quella grande città a cercare “miglior fortuna” rispetto a quello che poteva dare la piccola Storybrooke. Lì aveva trovato il lavoro e l’amore. Belle era rimasta in contatto con lui perché i due si conoscevano da quando erano bambini. Lei aveva chiesto ultimamente all’uomo di cercare di farle ottenere un posto per la ditta per cui lavorava, la “Happy Book”, una nota casa editoriale di New York. Il sogno di Belle. Leggere mentre lavorava. Copiare ogni genere di romanzo, in inglese. Conoscere l’ultimo romanzo di quel dato autore prima che fosse sugli scaffali di qualsiasi libreria. La ragazza schiacciò il tasto verde e salutò l’uomo, voltandosi verso Robert e facendogli un timido sorriso. Lui si accigliò un po’ sentendo un nome maschile, ma non disse nulla quando Belle scomparve dietro la porta a vetri che dava in giardino dalla cucina attaccata al salotto. Si sedette sul divano e portò indietro la testa, così che si perse a guardare il soffitto. Si ricompose quando sentì la porta chiudersi e una preoccupata Belle fare la sua comparsa davanti a lui.

“Era Filippo” ammise, “un mio vecchio amico. Mi ha detto che il posto di lavoro, per cui avevo fatto domanda qualche mese fa, si è liberato” evitò accuratamente di guardarlo in faccia e questo a Robert non sfuggì. “Ehy!” cercò quindi di sdrammatizzare lui “Se è quello che vuoi, fammi avere le tue dimissioni, lunedì stesso. Non c’è nessun problema. Mi dispiacerà non vederti più volteggiare in ufficio ma troveremo una soluzione” le prese una mano nelle sue. “No, non capisci” l’apostrofò lei guardandolo in faccia. Lui vide le lacrime fare capolino da quegli occhi turchesi. “Dovrei trasferirmi a New York” cercò con la mano libera di asciugarsi le lacrime prima che le cadessero sulle guancie, lacrime che dovevano essere di gioia invece erano solo di dolore. Perché l’idea di non vederlo più la faceva stare così male? Lui fece un sorriso tirato ma non parlò. Passarono qualche minuto così. Seduti sul divano, la sua piccola mano, tra quelle dell’uomo. Poi finalmente lui ruppe il silenzio.

“Va” le disse Robert.

“Cosa?”

“Belle, se quello è quello che desideri, va. É il tuo futuro, la tua felicità”. Lei sorrise, ma sentì che dentro voleva solo urlare. Lo baciò timidamente sulle labbra, tornò in anticamera, raccolse il cappotto da terra, dove lo avevano lasciato qualche minuto prima ed aprì la porta. Fuori pioveva a dirotto. Sembrava che il cielo manifestasse i loro sentimenti. ”Ti accompagno” le disse prendendo le chiavi dell’auto e infilandosi il suo cappotto “non sia mai che un gentiluomo lasci una ragazza da sola a girare a piedi con questo tempo”. Entrambi sorrisero riscoprendo un piccolo deja vù nelle parole di lui. Il viaggio in macchina fu straziante. Il silenzio regnava nell’abitacolo ed entrambi avevano paura perfino di guardarsi, così lei continuava a guardare fuori dal finestrino e lui, la strada.

Arrivati davanti alla biblioteca dove lei aveva l’appartamento lei lo salutò con un bacio “Addio e grazie” gli disse solo, poi scese dalla macchina, tirandosi il cappotto fino alla testa cercando di bagnarsi il meno possibile ed entrò in casa. Robert aspettò un po’ illudendosi che sarebbe tornata indietro. Passarono diversi minuti ma quella porta rimase chiusa.  “Addio Belle” disse. Poi mise in moto e ripartì.

ANGOLO AUTRICE:

Ciao a tutti!

Ho diviso il capitolo in due parti perché risultava un po’ lungo.

Spero solo che i personaggi non siano troppo “OOC” (si scrive così, vero Euridice? Grazie per la dritta ^_-).

Poi volevo farvi una domanda che ho in testa da tanto visto che ho parlato di Filippo, ma se Aurora dice a Mulan di essere incinta dopo che Cora viene sconfitta (quindi nella seconda stagione), ricordate? Adesso non ricordo di preciso il numero dell’episodio, ma spero che voi seguiate il mio ragionamento. Come fa Leroy a dire, quando sono da Granny, alla fine della terza stagione che Aurora avrebbe partorito una scimmietta se fosse rimasta scimmia ancora per molto? Mentre Mary Margaret si è fatta una gravidanza in una stagione sola? O___o questa cosa mi rende un po’ confusa… lo ammetto. Loro avevano dimenticato quello che era successo in un anno ma nessuno ha parlato che il tempo si era fermato come nella prima maledizione, no? Aurora ha la gestazione di un elefante? É la seconda gravidanza?
Anche perchè da quando lei parla con Mulan alla battuta di Leroy c'è tutta la parte della strega dell'Ovest e prima ancora Neverland...
Chi sa qualcosa mi illumini per favoreeeeeeee *___*, magari mi sono persa qualcosa io T___T.

Grazie! Un grazie di cuore va anche a chi legge questa fanfic e a tutte le fans Rumbelle del sito! Siete fantastiche ^^! A presto con l’ultimo capitolo.
Saja

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


6 ANNI DOPO

L’uomo spense la chiamata e posò la sua attenzione sulle tre foto che aveva sulla scrivania. Di quelle tre, prese l’ultima e dopo aver accarezzato i lineamenti del ragazzo poco più che vent’enne che sorrideva non guardando l’obbiettivo, gli si formò sul viso un sorriso amaro. Qualcuno gli aveva detto di aver visto Bae a New York e gli aveva anche dato il numero di telefono di una certa Emma Swan, che dicevano, fosse la più brava a rintracciare persone che non volevano farsi trovare. Proprio con lei stava parlando fino a qualche minuto fa Robert Gold.

Sospirò e rimessa a posto la foto, fece vagare lo sguardo sulle altre due, che gli fecero venire alla mente altre due telefonate avute quel giorno. La prima foto ritraeva lui e sua moglie il giorno delle nozze e questo gli fece ricordare la telefonata avuta con Regina Mills, la figlia di Cora, nonché sindaco della città di Storybrooke. La donna dopo una lunga e travagliata storia con l’atleta Robin, conosciuto proprio nell’ufficio di sua madre, si era sposata e ora viveva felice con il marito ed il figlio di lui, Roland. La donna lo aveva chiamato per dirgli che erano pronte le carte da firmare, che lui stesso aveva richiesto. Gold portò d’istinto la mano alla tasca della giacca che aveva appesa alla sedia, sentendo la scatolina rigida sotto le dita. Ancora qualche giorno, ancora qualche firma e sua moglie avrebbe ricevuto il regalo più bello che lui potesse farle.

La seconda telefonata e forse la più importante tra tutte, lo aveva fatto ridere per quasi tutto il tempo. Ad un certo punto durante il pomeriggio aveva sentito la melodia del cellulare e aveva letto sul display la parola “Casa”. Aveva risposto con un semplice “Pronto” ma dall’altro capo per qualche secondo era regnato il silenzio. Poi una voce di donna si era messa a sussurrare “Forza, di ciao al papà” ma ancora nulla. “Di: Ciao, papà” finalmente una voce infantile urlò con impeto “Papà!”. L’uomo rise e rispose “Ciao, piccolino, come stai?!”. “Di: bene” sussurrò di rimando la donna, ma il bimbo non voleva seguire il consiglio della madre, Robert se lo immaginò a guardare stralunato quell’aggeggio che replicava molto bene la voce di suo padre, così la donna aveva preso in mano la conversazione e si era messa a parlare con il marito. Gold guardò con affetto la foto al centro che ritraeva un bambino di appena due anni e una bimba di qualche mese. I suoi figli avuti dal suo secondo matrimonio. La donna prima di chiudere la conversazione gli aveva detto che avrebbe aspettato con impazienza le sei per vederlo arrivare a casa. Anche Gold non aveva nascosto il suo disappunto che non fossero ancora le sei per poterla di nuovo stringerla tra le braccia.

D’istinto guardò l’orologio. Le 5.45, si disse che per quella giornata poteva bastare. Spense il pc, prese il cappotto e sbirciò fuori dalla finestra. Continuava a piovere. Era tutto il giorno che pioveva. Pioveva, come quella sera, quando Belle… scosse il capo, si era chiesto molte volte cosa avesse fatto se Belle fosse… ma per non soffrire non si era mai dato una risposta. Non voleva darsi una risposta. Prese l’ombrello, spense la luce dello studio, salutò velocemente la sua segretaria Ashley Boyd che stava annotando gli ultimi appuntamenti per il giorno dopo e si diresse all’uscita.

Leroy, la guardia incaricata di aprire e chiudere l’ufficio con le chiavi e tutti i codici dei sistemi d’allarme si stupì di vedere Gold salutare ed uscire mentre l’orologio non batteva neanche le sei di pomeriggio. Di solito era abituato a sentirsi dire proprio dall’uomo che ci avrebbe pensato lui a chiudere tutto perché rimaneva in ufficio a lavorare fino a tardi. Non che non sentire tutti quei “daerei” in una sola frase, gli desse fastidio. A dire la verità non gli mancava affatto, anzi lo innervosiva. Da quasi tre anni, da quando dunque il signor Gold si era risposato la musica però era cambiata. L’uomo non rimaneva più in ufficio fino a tardi, anzi alle sei in punto lasciava l’ufficio e saliva sulla sua cadillac nera, qualsiasi fossero gli impegni presi quel giorno. Così il vecchio Leroy si era a poco a poco imparato tutti i codici dei sistemi di allarme a memoria a forza di farli. L’amore fa miracoli, pensò.

Ruby Lucas rise dell’espressione della guardia e non poté fare a meno di scuotere la testa. Guardò ancora una volta Leroy e  la sua tazza di caffè abbandonata sul bancone della hall, poiché il proprietario guardava con stupore prima il signor Gold che spariva oltre le porte dell’ascensore, poi il grande orologio appeso alla parete. Avrebbe dovuto telefonare a Belle, chissà che avrebbe detto del cambiamento del suo ex capo, magari ci avrebbero anche riso su. Chissà come stava. Era da tanto che non la vedeva, la sentiva ogni tanto e lei continuava a ripeterle che sarebbe passata, appena avesse avuto un po’ di tempo libero, ma questo non era ancora successo. Alcune volte Belle aveva invitato Ruby a casa sua, ma la ragazza con qualche scusa aveva sempre declinato l’invito.

Gold chiuse la porta di casa e sorrise mentre le parole di Lumiere e Tockins rimbombavano già dal corridoio. Si chiese perché suo figlio si intestardisse con quel film e perché sua moglie assecondasse la sua testardaggine. Poi sentì la donna dirgli “guarda che è arrivato papà” e mentre lui arrivava in cucina il bambino sceso dal divano dove era seduto vicino alla culla della sorellina, gli buttò le braccia intorno alle ginocchia, perché per l’altezza dei suoi due anni riusciva ad arrivare fin lì. Lui lasciò cadere il bastone e sedendosi sul divano prese in braccio il bambino stampandogli un bacio sulla guancia, poi lo rimise giù e si avvicinò alla bambina nella culla, che vistolo iniziò a sorridere, schioccò un bacio anche a lei, sulla testolina morbida come velluto. Il bambino si riattaccò alle gambe del genitore “no, io!” disse mettendo il broncio, tanto che Gold lo riprese in braccio e in quel momento la moglie gli si avvicinò, dopo aver dato un’ altro bacio al bambino ne dette uno anche a lei. Ancora il bambino disse “anch’io!” ed entrambi ridendo si fecero dare un bacio sulla guancia.

 La signora Gold finì di cucinare ed aiutata dall’uomo fece mangiare i due bambini che nel giro di un’oretta crollarono, così fu più che felice di portarli nel rispettivi letti. Quando ridiscese Robert, stava già iniziando a cucinare per loro. “Tu come stai?” chiese mentre le dava finalmente un bacio vero e poi sorridendole le toccava il pancino dove già al terzo mese il loro terzogenito si stava facendo notare.

“un po’ stanca ma sto bene” ammise.

“Sai” disse lui abbracciandola da dietro mentre lei stava iniziando ad apparecchiare “Quando piove così mi viene in mente quella sera” la signora Gold sorrise. “Mi chiedo cosa sarebbe successo se… se tu non fossi tornata qui”. Belle sorrise e finì di apparecchiare la tavola.

(FLASH BACK)
6 ANNI PRIMA.

Belle prese due valige da sopra l’armadio, quelle due valigie che aveva portato quando aveva messo la sua roba in quell’appartamento dopo essere andata via da casa di suo padre per costruirsi una vita propria. Anche se doveva essere felice che Filippo le aveva trovato il lavoro dei suoi sogni qualcosa dentro di lei urlava e le diceva che stava sbagliando, tutto. Era come se le fosse rimasto in bocca un che di amaro. Tolse il vestito per mettersi qualcosa di più comodo. Di andare a letto proprio non se ne parlava quindi il pigiama era fuori discussione. Optò per una maglietta e una gonna di jeans ed iniziò a preparare la prima valigia. Ma ad ogni indumento che metteva dentro la voglia le veniva a mancare. Sentiva di stare sbagliando tutto, tutto.

Così prese una decisione. Si mise le scarpe da ginnastica e uscì fuori. Fuori pioveva ancora ma lei aveva dimenticato l’ombrello. Poco male pensò iniziando a correre sotto la pioggia. Quello che doveva fare era molto più importante di un po’ di pioggia in testa.

Arrivò alla villetta color salmone, notando che l’unica luce accesa era quella del primo piano probabilmente quella della camera da letto. Si attaccò al campanello e poco dopo sentì un rumore di chiavi girare nella serratura.

Robert si sorprese a vederla lì davanti “Belle!”

“Hai detto che sarei dovuta andare incontro al mio futuro, alla mia felicità” iniziò, l’uomo mosse meccanicamente la testa “Bè, non c’è felicità senza di te” il viso era bagnato, lei stessa non seppe dire se fosse solo pioggia o le lacrime che aveva a lungo trattenuto. Lui la prese per un braccio, la fece entrare in casa, la ragazza era zuppa d’acqua dalla testa ai piedi, ma incurante di quello lui la strinse a se baciandola. Belle, la sua Belle era tornata da lui. Chiuse la porta di casa e da quel momento lei non lasciò più la villetta color salmone. Da quel momento loro divennero agli occhi di Storybrooke e del mondo, una coppia. Il fidanzamento durò tre anni e poi ci fu il matrimonio e quasi subito quella peste del primo figlio seguito quasi due anni dopo dalla piccola ed ora la famiglia Gold si apprestava all’arrivo del terzo piccolo Gold.
(FINE FLASH BACK)

6 ANNI DOPO

“Sicuramente mi saresti venuto a prendere a New York con il tuo cavallo bianco, come un vero principe azzurro”. L’altro ghignò “Daerei, non credo che una cadilac nera possa essere paragonata ad un destriero bianco, ne io ad un principe azzurro, più ad un mostro, direi” le disse sciogliendo l’abbraccio e tornando ai fornelli. Lei scosse il capo “Non credo che i mostri sappiano amare così, Robert”. Lui alzò le spalle.

“Forse la bestia, alla fine, si è trasformata in principe” sussurò lei. “Forse” ammise lui sorridendo. “Ah” si ricordò solo allora della piccola scatolina. Si avvicinò al divano e frugato dentro la giacca la prese e gliela pose. “Per te”. Lei lo guardò senza capire. “Aprila”. Al suo interno c’era una chiave, anonima, ma voltato il portachiavi Belle lesse la parola “libreria”. Lo stupore si dipinse sul suo viso. “Era un po’ che ci pensavo” ammise lui “è giusto che dopo la nascita del nostro terzo figlio tu abbia il lavoro che desideri”. Lei scosse la testa “Ma a me piace lavorare in ufficio”.

“Ma penso che un lavoro a contatto con i tuoi amati libri ti soddisfi di più. E poi quella libreria è chiusa da un’eternità, sarebbe ora che qualcuno riportasse un po’ di cultura in questa cittadina. Quando vuoi Regina Mills ci aspetta nello studio del sindaco per firmare le carte della proprietà. Poi potremo iniziare a restaurarla”. Belle gli buttò le braccia al collo. “Grazie! Grazie! Grazie”. Sarebbe stato difficile, lo sapeva, crescere tre figli e mandare avanti una libreria, ma ce l’avrebbe fatta. Magari avrebbe portato tutti i giorni i bambini in libreria e gli avrebbe letto delle storie, come aveva fatto sua madre con lei. Gold sorrise. Era sempre una gioia far felice Belle. Non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo. Ora doveva solo aspettare la telefonata della Swan, poi si sarebbe finalmente riappacificato con suo figlio. Non avrebbe chiesto nessun lieto fine più bello di quello, per se stesso.
 
ANGOLO AUTRICE:
Ciao a tutti ^^!
Devo ammetterlo ho aspettato un po’, perché questo capitolo non mi convince del tutto. Ho provato più di una volta a sistemarlo, ma il risultato ancora non mi convince proprio proprio, ma và bè… T__T.
Le frasi che Belle e Gold si scambiano verso la fine, inerenti al principe azzurro ed ai mostri, non è un copia ed incolla di un'altra mia fanfic, solo il dialogo l'avevo in realtà creato per questo capitolo, poi l'ho trovato carino e l'ho inserita nell'altra. Qui ho cercato di cambiarlo un pò. Mi sono auto-plagiata ^^'.
 
Comunque vi volevo ringraziare per essere arrivati fin qui. E in special modo volevo ringraziare DoctoRose91 ed Euridice 100, per aver commentato lo scorso capitolo. Grazie ragazze ^^.
E un grazie va anche a chi ha letto questa storia! Grazie di cuore.
 
A presto!
Saja

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