Don’t look at the world di Mao_chan91 (/viewuser.php?uid=507)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Ghost inside ***
Capitolo 3: *** 2.The dark side of the moon ***
Capitolo 4: *** 3.Broken Halleluja ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Don’t look at the world- You may cry now
[altresì
nota come Shamandalie]
Note iniziali:
Tendenzialmente basata sul manga, ma tendenzialmente priva di spoilers.
In
questa fic ipotizzo che Al abbia di nuovo il suo corpo e le vite di
tutti siano
tornate serene. Più o meno.
Se volete una fic con personaggi lucidi ed affatto confusi, uguali a
sé stessi,
una storia
d’amore stucchevole e serena,
amore ricambiato, una coppia strana ingiustificata e non trattata in
maniera
realistica, questo è ciò che NON troverete qui.
Quindi, se vi va, leggetela.
Apprezzo immensamente i commenti, anche perché la fic non
è ancora conclusa;
incoraggiamenti ed opinioni fanno sempre piacere. Anche se non si
può
discernere molto dal prologo, spero deciderete di seguire questa fic
mettendo
da parte il presupposto della coppia e che potrete apprezzarla.
Non sarà molto lunga, ma composta di altri tre capitoli ed
un epilogo; i capitoli
saranno in terza persona e decisamente più lunghi del
prologo.
La mia Beta-reader ci ha sul serio versato il sangue sopra. Si
è tagliato
stampando la fic per prendere appunti pezzo per pezzo: grazie (tante),
Sìl-Sìl,
per le informazioni per l’anima.
Se cedi anche un braccio o il tuo scalpo a Truth-kun potremo completare
la
trasmutazione di questa fic. Ops, che discordo stupido.
Oh, riguardo alla plausibilità dell’AlxWin
(sì, rivelo tutto da ora…), c’erano
graziose scene nel volume 11, uscito questo mese. Inoltre di solito Al
si
preoccupa per Winry quasi quanto Ed.
Ed entrambi
litigarono per sposarla,
quindi…trovatelo assurdo, ma io non lo trovo assurdo.
Anche se, è risaputo, parteggio per l’EdWin ed ho
scritto una EdxRiza: nella
vita si sperimenta tutto, eh.
E rendere plausibili coppie così è una bella
sfida.
Okay, vi ho annoiati abbastanza. Leggete e, ribadisco,
apprezzerò immensamente un
commento! è_é;
Prologo
Perché alla fine lo sapevo, che la sua testa non
sarebbe mai stata del tutto
piena di me.
Lo sapevo, che non ero, tra loro due, che il terzo incomodo, quello
ingombrante.
Ed era anche divertente, alle volte, fare battute concitate, deriderli
gentilmente per non scaricar loro addosso la mia desolazione in quella
situazione.
"Al, la cena è
pronta!"
E’ adorabile sentire la sua voce chiamarmi senza impronte
dissestate a renderla
un eco equivoco, un folto scintillio biondo che si volta senza
guardarmi.
Senza far sembrare che stia chiamando lui e non me, lui ed i suoi occhi
del
colore dei miei, ma che ai miei preferiva.
Io e lui eravamo una combinazione di colori identica, ma se lui era
rosso vivo
io ero, in contrasto, un ceruleo amabilmente scolorito. Scarni residui
di cielo
in un tramonto significativo.
Pacato, conciliante e di poco risalto, senza passione né
disperazione, solo
l’amaro conforto di fratello devoto e vittima contrita.
Perché non chiama me. Non cerca me, nei miei occhi, ma
affoga in un mare di
ricordi così denso che a volte potrebbe soffocarla.
Di sbieco, mi guarda dalla soglia di casa, un guizzo incolore degli
occhi
mentre mi scruta avida ed infelice.
Si sente confortata perché non me ne andrò mai
via, ma nel contempo sono un
qualcosa di soffocante, per lei, io e quello che rappresento. La
persona che
rappresento.
Non vorrei pensarlo, ma
Dio, quanto lo detesto!
Per colpa sua lei mi ama
ed odia così
tanto…
-
Continua
nel [capitolo 1.Ghost inside]
|
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Capitolo 2 *** 1. Ghost inside ***
Don’t look at the world- You may cry now
1.Ghost inside
You
have taken away the trust
you're the ghost haunting through her heart
Past and present are one in her head
(Restless, Within Temptation )
Ed è spaventoso, sai.
Che i morti
risorgano, in questa casa. Ma non lo dirò. Non lo
dirò mai.
-
Ha sempre pensato che Winry fosse
di un
biondo molto, molto più
grazioso e convincente di quello
suo e di nii-san.
Un biondo che cattura gli occhi in maniera semplice, e non stanca come
il loro,
troppo abbagliante.
Soprattutto quello di nii-san, che lo era in maniera incredibile. Ed
altrettanto incredibilmente sfregiava gli occhi, a vita.
"Grazie per il tuo aiuto in officina anche oggi, Aru-kun."
Si sente affaticato quando lascia le mani scendere sul divano
stancamente,
vicine ai fianchi, in un realistico gesto casuale.
"Mi fa piacere farlo, Win. Hai delle spalle così deboli per
fare un lavoro
così…" ridacchia scrollando il capo con somma
ironia.
Lei falsa un espressione di disappunto portandosi le mani sui fianchi
in una
posa sbarazzina ed assolutamente adorabile.
E guardi me, Winry? Me o lui?
Gli fa sul serio una grande tenerezza, ma si sento un invalido con una
sorta di
parafrasi facciale, perché sorride sempre senza tenerezza
né rancore. Perché
non c’è più niente, in lei.
"Non provocarmi, o patirai le pene dell’inferno!" lo minaccia
ella
tirando brevemente su un sorriso più largo d’ogni
possibile risata, e con esso
liberando dalla manica l’avambraccio tonico e serrandolo ad
evidenziare una
muscolatura inesistente.
Questo è diverso da come avrebbe agito con Ed, ed
è per lui una benedizione in
molti sensi; ad Ed avrebbe lanciato una chiave inglese in testa, non
mostrato
il braccio.
"Scusa, scusa." Al chiude gli occhi levando le mani in segno di resa,
giocoso.
Lei ride un poco e poi abbassa lo sguardo, incerta; avanza lentamente e
poi si
ferma; avanza lentamente e poi si tortura le mani in grembo.
[Qui crolla il sipario, e le macerie seppelliscono i
burattini. Ed il primo
a venir sepolto è il fantoccio che più si
è impegnato. Quello più stanco.]
Al resta interdetto e sulle sue, poi allunga un braccio, e con esso
accompagna
la sua mano a sé per un breve tratto, finché lei
la rifiuta tremante e stringe
gli occhi quasi a sangue, scuotendo il capo con sufficiente impeto da
stroncarsi la gola.
C’è qualcosa di incredibilmente violento, nel suo
rifiuto per lui e la sua
presenza, in alcuni momenti.
Qualcosa d’incontrollato e convulso, irrefrenabile tensione
al passato, che li
rende felici, e che una volta volti al futuro gela la luce e la calma
nella
stanza.
Il disgusto per la mia simulazione inerte e poco
convincente. Non rendo
nulla più semplice se non tento di essere come lui, giusto?
"Ehi, cosa c’è, Win?"
E forse le servirà qualcosa.
Lei osserva il suo viso solcato dalla preoccupazione, e decide che
è abbastanza
così.
Forse capirà che io posso servirle a qualcosa.
"Al…Al, io…"
E capirà che può chiederlo a me, quel
qualcosa.
"Dimmi."
E' dura per tutti, Win, sai. Ma addolcirmi la giornata con
questa voce
morbida può solo rendermi contento.
"No, non ha senso…"
Farò qualunque cosa ti sia necessaria.
"Win", la invita lui con una sorta di gentilezza corrucciata,
"se non mi parli e ti confidi a cosa posso servirti?"
Posso vivere per te, se lo vuoi. Ma almeno parlami, Win.
Lei sgrana gli occhi, attonita.
"Ma non devi mica
avere un impiego materiale, con me. Io…ti voglio bene, sei
qui per
questo."
Hai centrato il punto, Win. Solo che il tuo ti voglio bene
è diverso dal mio
amore. Tanto, tanto diverso.
"…allora?"
"E’…è stupido…"
"Win."
"…beh, senti, se…se io ho freddo e sono triste
posso…posso venire da
te?"
Questo lo sconvolge e scioglie in profondo affetto, per il quale
allunga ora
entrambe le braccia; la avvolge in sé e prende sulle
ginocchia, senza sdegno o
imbarazzo, che frena sul nascere.
Solo presenza mite e carezzevole, e vorrebbe farla scomparire dentro il
suo
petto per nasconderle tutto il resto della casa e poi tutto il resto
del mondo,
che è per lei una crudelissima fonte di inviti ad andare
alla luce del sole a
vivere, a spaventarsi, a soffrire.
Ha uno spassionato bisogno di fare tutte queste cose per lei, lo sa
bene, e
solo il timore di soffocarla lo spinge a raddolcire ulteriormente la
presa alle
sue spalle, ma non per questo rendendola meno solida.
Perché Ed si è portato via tutto.
Al, lei, i frammenti lacerati di quanto ha strappato, senza cura nel
lavarseli
via. Così qualcosa l'ha seppellito con sé e le
sue ossa.
Qualcosa che si agita ed è davanti ai loro occhi ovunque si
trovino.
Sapessi la stanchezza, nii-san, sul serio. Mi sento
infinitamente più
vecchio dei miei vent’anni.
Sente il viso accartocciarsi ogni giorno di più, senza cura,
senza sforzi,
perché non gl’interessa più niente, se
non lei.
Non che m’illuda di poter fare un’esigua
differenza, non sul serio. Ho perso
da tanto tempo la speranza di ottenere qualcosa da lei. Nemmeno
l’ho mai
preteso, questo qualcosa.
Lei respira piano e poi geme e si stringe le labbra tra i
denti ed è tanto,
tanto felice in quel caldo strangolante ed oblioso che le nega la vista
completa del corpo che la stringe. Ed è spaventata. Teme.
Rischia.
"Scusa, io non…io non
lo faccio per qualcosa, è…più
forte…di me."
Tantissime cose sono più forti di lei, ora come ora. Troppe.
Sai, ti voglio un bene troppo spassionato per poter
pretenderti, sul serio,
Win. Altrettanto ne volevo a nii-san, e mai macchierò il suo
ricordo facendoti
pressioni o facendoti soffrire.
"Ma se tu hai…paura,
io posso essere sempre qui. Non serve scusarti. Io voglio
essere sempre
qui, se posso esserti utile."
"Al…"
"Winry." la chiama poi, una nota scusa e seriosa intinta su viso e
labbra "Senti, Wìn. Se lo vuoi, restiamo qui."
Lei balbetta un poco e getta indietro il capo, confusa.
"…q-qui?"
"Qui. Sempre. Così vedrai che resterò. E non
dovrai più avere paura, a
poco a poco. Mai più."
La osserva mordersi un dito tremante, ed abbracciarlo, forte e affranta.
E non c’è miglior ringraziamento del suo respirare
farsi più quieto quando
crolla il capo, la fronte sulla sua, con un breve sorriso scuro.
-
Il suo nii-san è morto
in
una giornata fredda, sotto l’odore di foglie secche
dell’ospedale bianco.
Era autunno quando Ed era nato, gemendo a gran voce ed accettando a
malincuore
il latte materno.
Era autunno quando Ed e Al erano partiti, senza troppe chiacchiere
né
consolazioni.
Era autunno quando il sorriso di Winry era sorto splendente tra le sue
labbra
splendenti, al loro fatidico, salvifico sì– ed era
sì, è finita; sì, siamo
salvi; sì, siamo tutti qui.
Sempre, sempre tutti qui. E sì,
voglio passare la vita con te.
L’autunno generò la vita, ma l’autunno
divenne la stagione dei morti, nella
loro testa.
La morte del suo nii-san che ha annientato quanto di positivo ci fosse
nel loro
piccolo e sudato mondo, fatto di fatica e sorrisi gentili.
Nulla che la malattia di Ed non sia riuscita a sterminare in poco. Lei
non
aveva pianto, Al lo ricorda bene.
Si era stretta la pancia con occhi freddi e puro odio diluito in uno
sguardo
dolce mentre guardava prima le proprie mani strette al ventre, poi la
bara che
cadeva giù e lo allontanava sempre di più da lei.
Alla notte strangolava le urla più dolorose contraendo muta
la mascella, senza
fare rumore, senza svegliarlo.
Era venuto a stare da lei senza speranze, senza una vita.
Lei aveva vacillato, perso l’amore di una gioventù
e l’uomo dei suoi ultimi
anni.
Era venuto ad aiutarla senza un’occhiata, solo una porta
sempre aperta da cui
sgattaiolava fuori per non vederla uccidersi.
Lei aveva evitato di singhiozzare, perché il dolore per il
suo piccolo corpo
era stato troppo atroce per permettere di esternarlo ancora, di
emettere suoni
così patetici...
Era venuto lì per salvarla.
Lei aveva affogato il suo ventre in un cordoglio troppo salato, e perso
il suo
residuo di Ed in forma di bambino in un aborto spontaneo.
Aveva perso il suo nuovo, piccolo e denso di speranza, Ed.
Non sono mai utile. Perdo sempre, contro la vita. Ti sei
uccisa. Lo hai
ucciso. Ti sei uccisa nuove volte, sorridendo senza emozione e
sorridendo per
me, con me.
A nulla è valso osservare i tuoi sonni inquieti,
perché anche io ti ho ucciso,
e continuo a farlo.
E non sono riuscito a fare nulla, per te.
-
E’ una settimana che sono
lì in casa e lui non ha rimorsi.
Senza troppe domande un gentile vicino di casa ha acconsentito a fare
loro la
spesa per diversi giorni, e nemmeno c’erano domande da porre
agli occhi acquosi
e sporgenti sull’un tempo grazioso e ora emaciato visetto di
Winry.
Nessun dubbio che fosse molto, molto malata e bisognosa delle
cure continue
di Alphonse e che quindi nessuno dei due potesse uscire di casa, e
giorno dopo
giorno, nello sbiancarsi della loro pelle, scorgeva quietamente
anche un
aumento della loro desolata serenità.
Una serenità tombale.
Deve provare compassione per noi, per me…
Una così giovane vedova ed orfana che ha passato tante
disgrazie, e questo
poveraccio del cognato che la guarda con manifestissimo affetto e le
sta
accanto ad assisterla sempre, sempre, senza che nessuno glielo chieda.
Dovere morale, lo chiameranno. Amore servile. A senso unico.
Ma per me è tutte queste e nessuna di esse.
La mia grande cecità.
"Sono contenta." sussurra ancora e ancora lei, cercando di
convincere tutti e nessuno, sé stessa inclusa.
E’ diventata una sorta di
cantilena. Una
preghiera.
Perché se dice di essere felice, lo sarà davvero.
E lui capirà che apprezza il suo sforzo. E capirà
che tutto questo li farà
impazzire entrambi.
L’ha già realizzato dal momento in cui ha
accettato di perdere il sole e il
mondo, concentrando tutta la sua esistenza in quel corpicino ingrato e
non più
piacente, memore di un passato travagliato e che di esso porta ancora
salate
cicatrici.
I sorrisi sono l’ultima difesa dalla barriera che la sorregge
entro il crollo;
perché se esplicare il risentimento la renderebbe
più debole, farlo pronunziare
ad altri per lei concretizzerebbe la cosa.
E per il momento, ancora per un po’, tra quelle stanche mura
ed Ed, vogliono
solo sognare, sognare un po’ prima di svegliarsi e urlare al
risveglio. E’
quanto osino chiedere alla vita.
-
Continua nel [capitolo 2.The
dark side of the moon]
Note:
Stranamente,
mi sono decisa per pubblicare questo
capitolo presto. Spero sia lo stesso per il prossimo, ma da
lì in poi non so
cosa dire, perché non so decidermi di una versione adeguata
del terzo capitolo
e dell’epilogo dopo mille e mille modifiche.
E vi prego di fare attenzione al punto che Win è totalmente
a pezzi, a volte è
più visibile ed a volte meno.
Questa Win è un personaggio che diventerà, uhm,
estremo. Ma non anticipo nulla,
ovviamente.
Grazie al beta-readeraggio di Onda, risulta già un filino
meno a pezzi del
previsto, ma è perfettamente nella mia testa che la sua
reazione al dolore
priva di lacrime pubbliche sia logorante per la sua persona e la renda
più
facile al crollo ed inerme.
Sorridere senza
sentimento è sempre doloroso quanto inutile.
Spero non sia risultata una divagazione, se lo è stata vi
prego di perdonarmi,
ma trovavo importante precisarlo ^^;.
Già che ci sono, replico anche alle recensioni, in ordine di
arrivo:
mao92: E’ una AlxWin per modo
di
dire, direi; non potrà che essere più chiaro con
l’avanzare dei capitoli. Spero
che anche il primo capitolo risponda adeguatamente alle tue aspettative.
jacky_dragon: Mi rende molto felice il
fatto che ti abbia coinvolta a tal punto. Personalmente questa fic mi
ha
portato, più delle altre, via un pezzo di cuore in ogni
frase.
E’ stata una pena scriverla, ma sono felicissima che riesca a
toccare il cuore
anche ad altri.
Siyah: Ehm.
Non so quanto potrà
averti soddisfatta in quanto ad alleggerimento questo capitolo,
rispetto al
prologo ^^;, avevo precisato che a prologo ed epilogo sarebbe toccata
una
scrittura in prima persona; la mia terza persona è sempre
più pesante, ma
sinceramente meno pesante di altre mie fic.
Spero non risulti faticosa da seguire. Concordo in pieno sul discorso
riguardo
al rapporto odio-amore tra fratelli; nemmeno io sono figlia unica, e la
parte
dell’odio la capisco bene.
Anche se non nel determinato ambito trattato in questa fic, visto che
non ho
sorelle ma fratelli.
Puoi giurare sul fatto che la frustrazione di Al non
mancherà mai, perché qui è
una parte importantissima del personaggio. Per il confronto con Ed,
ehm, penso
sia visibile già da questo capitolo, ma a parte a livello
mentale, un confronto
in persona è logico che non potrà esserci ^^;.
Sono lietissima anche qui che ti sia piaciuto il prologo e spero
potrà piacerti
anche questo capitolo.
Onda: Oh,
non ho voglia di
sprecarmi a rispondere anche a te, noiosona.
Sappi solo che non merito alcuna delle tue buone parole e che ora
c’è un patto
di sangue tra te e Truth-kun. E’ ciò che conta,
uh. Magari sarò più fantasiosa
al prossimo capitolo.
A quello,
dunque, mia fida beta-reader.
ValHerm: Mi fa piacere sentirmi dire queste cose da
un’altra fan
dell’EdWin; dando io per scontata la canonicità
dell’EdWin, trovavo assurdo non
evidenziare la rilevanza di Ed nonostante tutto.
Ovviamente, spero di non deludere neanche te.
Oh, andrò in
crisi da prestazione. Ma mi fanno tanto piacere questi commenti, dunque
NON
smettetela XD;.
Al secondo capitolo!
|
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Capitolo 3 *** 2.The dark side of the moon ***
Don’t look at the world- You may cry now
2.The
dark side of the moon
There is no
dark side of the moon, really.
As a matter
of fact, it's all dark.
The only thing that makes it look light is the sun.
(Eclipse, Gerry
Driscoll - Pink Floyd)
Pregustare l’ambito risultato
renderà sì
più calcolati e lucidi i singoli passi, ma anche
più dolorosi, perché consci
tanto di quello a cui condurranno quanto di quello che potrebbero
perdere per
una mossa troppo azzardata.
Parlare al presente di quello che non si possiede può
rovinare tutto.
[Ed
ho fatto un errore.]
-
E’ mattino ed una smorfia
stanca si contorce sul volto di lui, mentre sale le scale a portarle la
colazione su un vassoio.
La luce è pallida e le imbratta ancora di più la
pelle di un bianco così
falsato ed intenso da parer pronto a scrostarsi, come un secondo strato
di
pelle. E’ la sua nuova barriera difensiva.
Al sente, con un brivido angoscioso tra lo sterno e la gola, che non
manca
molto perché un semplice mettere il naso fuori di casa la
bruci e logori come
solo le assenze hanno saputo fare, indebolendola con gli anni.
Dorme senza espressioni più nitide d’una curva
leggera di labbra, lei, con la
camicia da notte larga e a pieghe sulla vita sottile.
La stessa che ha portato in gravidanza, nota lui.
Un richiamo ad un ricordo felice, morbido e mai visto. Un secondo
involucro, e
lei non ha più pelle né cuore, solo altri strati
di carne inerte.
Buffo. Aveva tanto odiato quell’indumento– ma certo
non la condizione in cui
l’aveva indossata.
L’aveva sempre trovato troppo scomodo e troppo corto sulle
gambe. Se dovessi
andare ad aprire la porta così vestita, diceva
lamentosa, come farei?
Ma lui è entrato, e
sente
che non si scomporrà nemmeno troppo.
Ciononostante, si allontanerà per concederle un placido
sonno ancora lungo,
senza imporle la sua esistenza come ricordo di quella loro penosa,
nuova, vita.
Dopotutto, ha ancora il
sacrosanto diritto di tenere gli occhi chiusi finché lo
vuole, e così sarà,
senza dubbio.
Quasi a sfregio di quel pensiero innocuo, Winry apre un occhio mentre
lui posa
il vassoio sul tavolino da lavoro, e lo scruta di schiena, stanco e
curvo e vecchio,
d’una senilità cui l’ha lei
stesso condotto, senza rimorsi.
Resta in silenzio e non lo chiama a voltarsi, lo segue solo con lo
sguardo.
Vi è un angoscioso aggrapparsi a quell’immagine
scivolosa, nel suo sguardo
abbagliato dalla luce, e si sente compassionevole verso questa
sé stessa così
miserabile ed incapace di allontanarsi da un affetto né di
avvicinarlo più di
un minimo.
Così pigra–e non vuole
più soffrire, e non vuole più guidare nessuno con
la sua luce spenta, e non vuole più alzarsi e scottarsi al
sole.
Non vuole più tollerare il minimo dolore.
Al la sente, senza parole, fissandola di sbieco. E’ come se
lo chiamasse,
cercandolo quando sono a pochi e sottili passi l’uno
dall’altra.
E vuole illudersi che non la veda…
Lo cerca inconsapevolmente con occhi avidi e lucidi, allunga le braccia
piano
piano come una bambina che vuole essere presa in braccio, poi ci
ripensa e si
adagia più mollemente che mai sul letto, perché
lui la guarda, ora, e se anche
non le vedesse il viso, vedrebbe la sua nuca reclinata sul petto, che
non si
concede il riparo del cuscino per non dormire più.
Nemmeno in questo senso lui se la sente di arrogarsi il diritto di
ferirla
sostando lì a lungo, se Winry vuole ignorarlo un poco, ma
alla fine si
costringe e sussurra piano, senza parole non bloccate da un nugolo di
aria
pesante in gola.
"Vuoi che vada
via?"
"…no."
"Vuoi che resti qui?"
"Sempre."
Nemmeno alzano la testa per incontrarsi di propria volontà.
Lui si limita a sedersi al ciglio del letto senza guardarla oltre,
intrecciando
saldo e incerto le dita alle sue, per molte ore.
-
Non hanno mai smesso di
lavorare, in questi giorni.
E’ sempre stata e sempre sarà un’ottima,
sacra distrazione da tutto il resto
della loro vita.
Non hanno smesso di
ricevere i clienti in casa quando Ed è morto, né
quando lei ha perso l’agognata
maternità, dunque non c’è motivo di
farlo ora, nella loro testa. Alcun motivo.
Congedano l’ultimo
cliente
del giorno senza un sorriso, ma un semplice sbuffo affannoso,
perché era un
ragazzino non molto alto che ha fissato a lungo, quasi sconvolto, i
loro visi
devastati, poi scrollato le spalle compatendoli in silenzio.
Aveva un silenzio simile a quello di Ed, e questo li ha fatti
leggermente
sobbalzare, perché lo hanno pensato entrambi.
Così disilluso ed egoista, senza riserbo né
energie da convogliare nel
compatire anche gli altri.
A me mancano entrambe le
braccia,
era parso suggerir loro con
gli occhi, seccato, e voi che scusa avete, per essere
così tristi?
Già. Che scusa abbiamo per essere tristi?
Lui la guarda vacuo riporre gli ultimi attrezzi in un
cassetto, poco scossa
e molto ansiosa.
Quel suo cambio di respiro
così pesante a quella visione a lui non piace, non piace per
niente.
Ed è ovvio,
così
sorprendentemente ovvio…
Perché ogni giorno perdiamo qualcosa…
Alphonse riflette per pochi e grevi istanti lo sguardo
incerto di lei nei
suoi occhi.
La osserva tentare di tirar
su un labbro, ma pare lo trovi pesante e affilato come una mannaia, e
non ci
riesce.
Le si avvicina, alto su di lei, e timidamente le posa un dito
sul labbro
inferiore, tentando, per qualche disperato momento, di risollevarglielo
a forza,
ma è davvero pesante, e lei si scosta in breve,
interrogandolo mite e
terrorizzata.
"Cosa cercavi? Cosa
stavi cercando?"
"Qualcosa che non c’è più." ribatte lui
mesto nell’allontanarsi pian
piano, più tardi vergognoso nell’aver toccato, pur
se senza strani intenti,
qualcosa che non è suo e che è stato
più e più volte di suo fratello.
…e non manchiamo di averne colpa.
-
Il caldo è borioso nel
prendersi gioco di loro, afoso e sconcertante.
Sono stanchi e lei al risveglio si sta dirigendo in cucina, lenta e con
le
spalle mestamente curve, senza attenzione.
Preparerà la colazione e siederà un poco da
qualche parte, fissando la
finestra, la pioggia bruciante che potrebbe liquefarla e quindi
eviterà. Non
desidererà la pioggia. Non desidererà il mondo,
non ora, non per molto.
In un momento che è precipitato in un limbo vorticante, e
non è né in terra né
in cielo. Né esiste.
Queste sono le sue intenzioni, mentre cammina e le prude un poco un
fianco
coperto dalla lunga maglia del pigiama; si volta, rotea gli occhi ed
è in
trappola.
Questo è troppo, troppo
crudele…
La porta della stanza da
letto conduce aria filtrata da una finestra un poco schiusa.
Aria che rinnova.
Non era un errore da Al, sempre così attento ed apprensivo.
Non può essere stato Al.
Deve essere opera di qualcun altro. Sì, qualcun altro.
Posso aò
essere stato Al.
Deve essere opera di qualcun altro. Sì, qualcun altro.
verlo fatto io e poi dimenticato? Sì. Di certo
è così.
Le caviglie le si piegano debolmente, ma stringendosi stentatamente al
muro non
cade e avanza, avanza e le pareti sono bianche
nell’intimità quieta.
Il letto grande, le foto incorniciate sulle pareti e posate sul
cassettone,
rilucenti la soffocano.
No, non le piace, non le piace per niente.
E’ una morsa carbonizzante alle dita, che preme allo sterno
mentre forza un
sorriso debole e ignavo.
Il tutto ha qualcosa di sacro ed inviolabile e corrotto nel contempo,
in un
miscuglio che le risulta devastante.
Convulsamente inizia a graffiarsi il collo e sorride ancora, di un
sorriso
troppo esteso per essere reale che è solo una smorfia ben
costruita.
E ci sono dei passi, passi così familiari che irrompono
nella sua mente, e
chiude gli occhi per immaginare un istante, nella stanza che
è stata sua e di
Ed, sua e dei suoi genitori, il marito gentile che le si accosta di
lato perché
non gli piace prenderla alle spalle, e le strappa un gradevole bacio
con un
paio di dita posate sul suo ventre gonfio e che poi vi scorrono sopra,
e le
sorride senza muovere le labbra, perché lui è
fatto così, tante volte, troppe
volte.
Ma chi è giunto è solo Al che le strappa il polso
dal collo irritato e
rossastro per chinarglielo su un fianco, non più la gentile
e mansueta presenza
che era, ma di essa semplice relitto d’un dorato opaco.
No, non è Ed, ma questa non è una buona ragione
per voltare interamente il capo
e sopportare il suo sguardo penoso e disdicevole sulla mano con cui non
si
feriva ma si sfiorava da sola il ventre vuoto; si sottrae alla presa
decisa ad
affrontarlo, senza vergogne.
"Perché la finestra era aperta? La porta era aperta?" si
scompone, e
lui scuote piano la testa senza nuova magnanimità, ma troppa
fiacchezza.
"Perché la stanza stava invecchiando. L’ho
dimenticata ieri sera, mi
dispiace."
"…non mi piace, questa
stanza."
"No, infatti. Non ti piace." sorride brevemente, scuotendo la testa e
sfiorandole la testa con le dita in un banale tentativo di rassicurarla.
Mille e mille volte Ed aveva accarezzato così la testa di
entrambi, ma la sua
presa era sempre stata più salda e decisa ed
–almeno in questo– inconfondibile.
E non lo vedi, che fare questo mi costa tantissimo, ma per te
sono pronto a
farlo?
No, evidentemente lei non lo vede, questo.
Vede solo una stolta prevaricazione ostentata e si innervosisce
massimamente,
poco contegno rimastole a fronteggiare il sarcasmo senza energie di lui.
"La adori, ma non ti fa bene entrare qui. Mi
dispiace, sul serio.
Non dovevi entrarci."
"…"
"Win, sul serio, scusami."
L’aria si congela, mentre lei incrina il momento in cui
è –ed è
stata– debole e poco incline
all’opposizione a causa delle sue morbide abrasioni mentali,
socchiudendo gli
occhi seccata.
"…non mi piace che tu faccia così, Al. So badare
a me stessa."
"No, Win. Non direi proprio."
"…se anche fosse, non lo decidi tu!"
E pare riacquisire l’antico ardore d’indole,
gonfiando il petto tronfia e
rabbiosa.
"…sì, hai ragione."
Ma la di lei fiamma si spegne pian piano, velata in uno sguardo incerto
e perso
nei ricordi.
"…comunque, per un istante…sai, ho pensato che
fossi Ed."
"Ah."
"Mi…mi capita. Solo che, non so, lo sapevo che non eri lui,
lo
sentivo…"
"E’ normale. Lui non
c’è." ribatte con delicatezza lui, ma
una tempia inizia a pulsargli in
maniera piuttosto fastidiosa "E poi noi avevamo mille differenze, lo
sai…"
"Avete mille differenze. E
sì, hai ragione. Lui, quello
scorbutico. Di poche parole, rabbioso…tu sei sempre stato
quello…buono e
amabile."
"Dici?" inarca un sopracciglio lui, senza interesse, fissando
distrattamente la finestra ancora aperta.
Potrebbe essere ora di chiuderla, quella finestra. E quella porta.
Sarà seriamente una scelta da meditare a fondo.
"Oh, sì." si intenerisce lei sollevando le guance in una
smorfia
graziosa "Sorridevi tanto e in maniera gentile…"
"…e credibile?" suggerisce lui con un sorrisetto mai parsole
così
falso e collerico.
"…come?"
"Pensa ai tuoi, di sorrisi, Win. Pensaci." le propone morbidamente,
una curva fredda disegnata dalla contrazione delle palpebre "E pensa
anche
che forse, tra me e Ed, non ero io quello migliore. Pensa che non lo
sono mai
stato. Pensaci, sul serio. Ho sempre perso, nelle cose importanti,
contro di
lui."
"No, sei…più bravo,
più forte, più…"
Dovresti smetterla di parlare al presente, Win. E di essere
convinta di
farlo con cognizione di causa, anche.
Non ha senso.
"Quelle non sono cose importanti. Chi hai scelto, alla fine?"
"Al, questo non…" lei esita, brevemente. Ma troppo a lungo
comunque.
"Oh, sì che ha senso. Ma non voglio
turbarti con questo. E non hai
mai pensato che, forse, fosse lui a migliorare me e non viceversa? Il
supporto
più forte? Così abbagliante da far apparire anche
me migliore di quanto non
fossi? Perché Ed aveva i suoi magnifici ideali e
bontà che io assecondavo, in
quel fottutissimo corpo di latta, e lui era così buono e
poco grazioso che io
non avrei potuto evitare di essere altrettanto perfetto, no?" prorompe
acido lui, e non c’è più nulla di male
che non le abbia detto. Gli resta solo
da mostrarlo ed odia, odia profondamente Ed anche oggi.
Non aveva mai desiderato né osato sperare che lo scordasse,
dopotutto.
Perché lui stesso era stato forte nel reggere quello, ma lei
non aveva visto
che il proprio, di dolore, la propria parte crudele e da assecondare,
mentre
lui, sempre buono e gentile e piacevole, non aveva mai avuto forza di
riportarla alla realtà; solo di assecondare lei e il suo
egoismo.
E voglio che tu ami e conosca il peggio di me, ma questo non
è possibile,
vero? Non posso fare sempre scelte giuste.
"No, non…"
E’ arida e sprezzante, spietata, la
risatina bruciante di lui che gli
risale alla gola e suona profondamente disumana tra le sue labbra cortesi.
Si piega un poco sullo stomaco e ride, ride a lungo sino ad avere le
lacrime
agli occhi; poi li asciuga senza un sorriso, e quando può
guardarla dall’alto
la scruta, sperduta e scoraggiata con le dita tra i denti.
Odia Ed e sé stesso mentre le accarezza la mano in un tocco
leggero che le da i
brividi e cui lacrimando ella si sottrae; i suoi occhi sono azzurri,
limpidi e
liquidi, ma, soprattutto, non più fiduciosi.
Ma vedi, io posso fare questo. Posso fare questo e odiare me
stesso come
odierei Ed, perché io sono Ed, giusto?
"Oh, sì. Scusami se rido, ora, Win, ma io sono tanto, tanto
peggiore di
lui. Più cattivo. Egoista.
C’è tanto male in me, che in lui non
c’era. Ho dei desideri personali. Ho dei
desideri che non fanno il bene del prossimo. Voglio, ho voluto, te,
che
gli appartieni ancora e senza esitazione e per sempre sarai sua.
La mia unica carità è stata quella di
nascondertelo con calma, ma è stato per
non farti allontanare, non altro.
Anche se non credo abbia rilevanza, nel tuo mondo.
E scusami se me ne vado, Win. Ma contro di lui, contro di voi,
perderò sempre.
E niente avrà più senso. Non ce la faccio
più, è troppo anche per me, che sono
buono, tento di essere buono e di buono non ho niente.
E ti prego, non sforzarti più di essermi
affezionata e tutto. Non credo
proprio di poter sopportarlo ancora. Perché non sai niente e
non vedi niente
con chiarezza."
Questo non puoi curarlo, Win. Non in me.
Sai, dopotutto, ti voglio bene lo stesso. Apri pure gli occhi la
prossima
volta.
Ciao, Win.
-
Note:Il
nostro piccolo e mansueto Al sta per impazzire. Abbastanza normale,
dopotutto.
E la storia sta per raggiungere la sua fine. Un altro capitolo,
l’epilogo e
sarà conclusa.
Un piccolo appunto che è doveroso fare, però,
è che questi primi capitoli erano
già lucidi e pronti da postare non appena avessi avuto del
tempo.
Il prossimo è pronto, ma necessita di una revisione
accuratissima, qualche censura
(sono un tipo pudico, io. Insomma, quel capitolo
giustificherà il rating della
storia.) e poi sarà pronto.
Solo che, ehm, non so quando.
Al momento, la mia ispirazione è rivolta soprattutto ad una
nuova fic dal
pairing inusualissimo giustificata solo dagli eventi
dell’altra mia fic cui è
collegata (nonostante con i dovuti preamboli possa leggersi comunque
separatamente), Rewrite. Non la leggerà nessuno, suppongo,
ma pazienza, la mia
ispirazione ed il mio cuore sono lì ^^;.
Quindi se questa pubblicità occulta vi avrà
incuriositi, mi auguro vorrete
leggerla.
Aggiungerò nel mio account, assieme ai progressi nelle altre
mie fic e nella
succitata (Erase), anche i progressi ufficiali
nell’avanzamento del terzo capitolo
di Don’t look.
Se vorrete, potrete tener d’occhio lì la
situazione.
Ringrazio sommamente quelle creature di buon cuore che mi commentano e
chi ha
messo me/le mie fic tra i suoi preferiti. Anche se molti di quelli
fanno questo,
per strane ragioni, non commentano, li ringrazio comunque.
Replico, al solito, ai commenti qui di seguito (e, come al solito, non
rispondo
al commentone di Onda. Ma risponderò al prossimo, visto che
non l’ha ancora
letto del tutto ed è nella stessa condizione dei cari
lettori) :
Siyah: Direi che ti resta solo da
verificare quanto Win
potrà diventare estrema. Nel prossimo capitolo, soprattutto
*spoiler*. Grazie
per la comprensione di quelle creaturine in polvere che sono diventati
i due
X3;.
ValHerm: Sempre
lieta di essere tormentata a suon di recensioni, almeno quanto sono
lieta di
verificare che quanto scrivo comunichi emozioni. E che lo comunichi
anche ad
una buona “EdWinner”.
Kaho_chan: E’ prerogativa di questa
fic, ormai, trasmettere
maggior empatia e pietà verso Al piuttosto che Winry. Buffo
ma vero. Dopotutto,
lei ha una sorta di incoscienza e qualcuno che bada a lei.
A lui spetta un ruolo impotente anche se, come avrai visto in questo
capitolo,
alla fin fine non può essere sempre buono anche lui. Oh,
un’altra persona da
non deludere. Grazie per la fiducia e per apprezzare questa fic assurda.
Setsuka: Ma
guarda un po’ chi
si rivede ^^. Potresti precisarmi quelle che sono le
“imprecisioni a inizio
capitolo”? Giusto per correggere, sai, visto che non ho ben
capito cosa intendi
^^;.
Anche perché qui tra i commentatori ci sono delle prodi
EdWinner, non conviene
entrare in merito della questione Winry in questo ambito. Anche se mi
commuove
sul serio sentirti apprezzare la Winry di questa
fan-fiction. Detto da una persona che
comunemente la odia, ha molto valore. Grazie per aver messo la fic tra
le
preferite, anche. E mi fa tanto piacere che tu possa apprezzare il
linguaggio, l’atmosfera,
la trama ed i personaggi (un po’ tutto, quindi).
Per non arrossire e concludere lucidamente le note, ti ringrazio ancora
e
chiudo qui.
-Aggiungo inoltre che, essendo molto significative le citazioni in
inglese a
inizio capitolo, se a qualcuno tornasse utile la traduzione,
basterà farmelo
sapere nei commenti, ed accluderò volentieri al prossimo
capitolo la traduzione
di tutto ciò che ho citato fino ad ora.
Detto questo, mi congedo. A presto, spero (o per meglio dire, se
l’ispirazione
lo permette).
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Capitolo 4 *** 3.Broken Halleluja ***
Don’t look at the world- You may cry now
3.Broken
Halleluja
I've seen
this room and I’ve walked this floor
I used to live alone before I knew you
I've seen your flag on the marble arch
but love is not a victory march
it's a cold and it's a broken hallelujah
(Halleluja,
Jeff Buckley)
-
Ha camminato percorrendo
uno spazio che gli è parso largo miglia e miglia, scattando
al piano di sopra a
gettare scompostamente i suoi vestiti nella valigia aperta; poi si
è fermato, seduto
sul letto e ha sospirato.
C’è qualcosa di consumante nelle sue tonsille,
qualcosa che trema nelle sue
spalle e schiena robusta, ma la ragione in lui seda ogni rivolta;
congiunge le
mani, posandovi il viso stanco ed aspramente contratto.
Si alza e lo specchio riflette la sua immagine, le sue spalle basse e
la
camicia sbottonata, il viso rosso e scivoloso, le sopracciglia fissate
alle
palpebre, le labbra aride.
Lo specchio è rotto ed è perfetto
così. Non vuole vedere altro.
E non ci sarebbe futuro lo stesso. Io non
l’avrò, un futuro. Sono sciocco.
Sciocco ed egoista.
Trema un poco e si accorge di stare seriamente pensando
troppo; verranno
giorni migliori per pensare a questo.
Ora ci vuole solo una dissestata, tremula, sconvolta, ardua decisione,
nulla di
più, nulla di meno.
Ed il corpo è certo e disinvolto, nel richiudere di scatto
la valigia, ma
qualcosa si contrae nel suo stomaco al pensiero di una ragazza ossuta
rannicchiata in un angolo, polvere ad intaccare, in patina densa e
sconvolgente, la serenità di uno sguardo diritto e coinciso.
Confusa.
E’ piegata e
morirà sola.
Ed è davvero questo,quello che voglio? O voglio
restare qui per fuggire dai
sensi di colpa?
O per qualche altra stupida ragione?
Nemmeno il corpo è più un valido
sostegno, e la mano che tende alla porta
ricade in breve al suo fianco, senza volontà di fare altro.
Questo è perché la amo.
Chiude gli occhi, inspira profondamente e nulla è
cambiato.
Sarà un ragazzino senza spina dorsale mai pronto a slacciare
quella sorta di
cordone ombelicale che lo ha reso –lo rende–
succube di quella tela molle e
densa di aria viziata. Su di essa, lei tratteggia e scandisce i minuti
della
sua vita con maestria ed un vincolo impenetrabile al Cielo.
Anche lei è
lì, perché
vivere lì è vivere con lui, no? Meglio di
quest’imitazione. Meglio delle nostre
bugie.
Questo è quanto li
separi,
in pochi passi e tanti mesi. In una vita dall’irrisoria
durata, in un regno
senza né un re né una regina, ma stanchi sudditi
che alla rinfusa si accalcano
per esistere senza una guida o un pensiero logico.
E’ fermo e la sua rabbia è quanto di
più sincero abbia serbato in seno per anni
e anni: va al di là delle pulsioni fisiche quando
l’acqua della doccia
scrosciando la bagnava e lui era fuori dal bagno per coprirla
all’uscita,
quando i suoi occhi non lo vedevano e le serviva una guida, alla morte
di Ed –e
lei non piangeva ma nemmeno viveva–, sinuosa al tastarla
sopra all’accappatoio,
soffice e miracolosamente viva; al di là delle parole povere
di passione che
aveva dovuto pronunciare, senza espressioni ma ansia al funerale
fraterno–vita
precocemente strappata, fratello adorato, marito amorevole e scusatela,
non
ce la fa a parlare o non potrebbe più mantenere la calma e
lo abbiamo amato–;
al di là dell’ho seguito te e
seguirò ora
lei per sempre e grazie per avermela affidata.
La sua rabbia non è calcolata ma è spontanea,
sincera, sciolta da ogni vincolo
morale e immorale che la leghi a lui–e non conosce alcuna
morale, dopotutto–,
ed è stato buono ed una persona nuova e perfetta e piena di
pregi ed insopportabile.
E l’unica cosa che
avrebbe
potuto ottenere, sarebbe stato di allontanarla prima e mettersi al
riparo da
tutta quella pressione.
Mai deluderla, mai parlarle, mai evitare lo sguardo avido e
setacciatore di segni
di riconoscimento sul corpo meno esile e minuto –ma scavando
sino all’osso,
almeno il sangue sarebbe stato lo stesso.
[E dunque avresti potuto
amarmi, almeno per questo. Ma non sono nemmeno una buona imitazione.]
E allora non farti più vedere,smettila di gettare
all’aria ogni cosa che
costruisco. Lasciami una vita.
[Ma
nemmeno la cerco, una vita differente. Non c’è
futuro e lo so, io lo so
benissimo.]
Futuro erano bambini che non avrebbero mai visto la luce, bambini che
non
avrebbero mai giocato alla luce, bambini sperduti e bambini che
semplicemente
non vogliono tornare a casa, anche se la strada la conoscono benissimo.
Bambini come lei, come loro due. Come quelli che lui non avrebbe mai
potuto avere.
Non ha voglia di pensarci
nuovi istanti rispetto a quanti ne abbia sprecati a ripetersi che era
giusto
così e che era Ed l’unico uomo per lei e che le
sue gentilezze erano cortesie e
non significavano niente. Così come nullo è il
pensiero di soffrire come uomo
manchevole solo perché non avrebbe mai potuto avere figli
dalla donna che
amava, la donna che non avrebbe mai potuto essere sua come non si era
mai
nemmeno vagamente arrischiato a fantasticare.
Era soprattutto perché il problema ce l’avevano
lui e il suo corpo.
Forse a pensare a lei tanto
ed in
questo modo, finirò per avere davvero un problema col mio
corpo. Meglio
riabbottonare questa camicia e i pantaloni –nemmeno
lo avevo notato, che
la lampo era rimasta tirata giù da quando sono stato in
bagno. Dio, questo è
equivoco.
La risata genuina che genera a sfregio tale e tormentoso pensiero
è breve e
soffusa e non manca di spegnersi quando si appresta a rimetter mano
alla
valigia, indugiando; e non ci sono nuove ragioni di alzare la testa,
mentre
incomincia a gocciolare sulle finestre e pensa che forse lei
verrà a chiedergli
riparo e conforto dai tuoni e lui potrà chiederle scusa,
abbassando la testa e
tutto resterà uguale.
E’ sempre strato uno stramaledetto, dannoso –per
sé stesso, per tutti–, ottimista.
-
E lei, assurdo ma vero,
alla fine è arrivata sul serio.
E' arrivata con passo lento
e quasi atto a scavar fosse anziché impronte, stringendo
timorosa la maniglia
della porta e senza osare guardarlo in viso o semplicemente respirare
forte.
"Ti prego."
Ed il suo esordio è stato quello che lui si aspettava,
dopotutto. Anche se non
piangerà per i tuoni come una certa bambina soleva fare
quando lui e il
fratello restavano a dormire da lei e fuori l’acqua
scrosciava violenta.
Suonano come spari, aveva usato dire loro; nessuno
dei due fratelli
aveva avuto cuore di rifiutarle un riparo da qualcosa di
così terribile nelle
sue orecchie, durante i temporali.
Ed e Al si adeguavano sul divano, in caso la zietta non avesse tempo di
preparar loro un letto, come spesso capitava in quei giorni, in cui
c'era da
rimetter subito dentro il bucato e far entrare il cane in casa e cose
del
genere.
Così le facevano spazio tra di loro, e Ed le tastava la
testolina chiara in
cerca della parte più sensibile da confortare e scoprendo
che avrebbe fatto
prima a stringerla tutta, per farla smettere di tremare; e le ripeteva
che non
doveva essere stupida e temere qualcosa che non poteva ferirla, mentre
Al, con
un sorrisetto breve e morbido, capiva, prima di lui e del suo orgoglio,
che in
effetti era calore quello che le serviva. Così le
abbracciava teneramente le
spalle, incurante dello sbuffare geloso del fratello, che finiva per
dare loro
la schiena e, nel farlo, adagiarla a quella di lei. Senza cedere al
sentimentalismo venale, la scaldava comunque e lei lo aveva sempre
trovato più
che abbastanza.
E più significativo delle celeri ed affannose intuizioni di
Al.
"Ti prego."
Perché mi supplichi? Ho valore, ora? No, ora no.
Soprattutto non ora. Non
sono stato giusto con te e non lo merito.
"No." la fredda seccamente, scattando in piedi con
disinvoltura a
chiudere al valigia su cui ha indugiato così a lungo.
Ed è una tortura, averla lì davanti, con quelle
dita intrecciate e scorticate
dalle unghie incontrollate, averla lì con quegli occhi
sgranati e fissi su di
lui, percettibili con la chiarezza di un tocco anche senza guardarli.
Lo scrutano, cingono e soffocano.
E vorrebbe dimenticare tutto. Perdonarsi qualcosa e perdonare anche lei.
E' stanco di starsene chiuso lì con lei come suo unico
universo ed aria. Specie
considerando quanto problematica ed angosciosa sia questa convivenza.
Specie
considerando che lei è problematica.
Specie considerando che se quando alza gli occhi la vede
così leggera e serena,
deve ammetterlo, si fa spazio in lui un sublime desiderio di toccarla
che è
tanto tangibile nelle sue membra quanto disgustoso nella sua testa.
Perché sarebbe farle violenza.
"Non andare via."
Perché non avrebbe
significato.
"Non andrai via,
vero?"
Perché lui la ama, ma
lei non
ama e basta.
E quando lei gli si
scaraventa addosso umida di tante cose –pianto sanguigno
sulle labbra bagnate,
per lo più–, gli si preme contro stringendoglisi
ai gomiti e volgendo la nuca
al suo viso, tutta un tremolio, lui lo capisce, lo capisce benissimo
che sono
anni che sbaglia tutto e che, giunti a questo punto, riportarla
completamente
in sé sarà più arduo che mai.
"Winry, non…" balbetta, chinando lo sguardo al suo, incerto,
ed è una
visione terribile: una maschera di carne e dolore senza
dignità.
"…fare così, non toccarmi così,
lascia…"
"Sarò perfetta, te lo prometto. Non desidererai
più nulla perché da me
avrai ogni cosa."
Non ce l’ha sul serio, la forza di scansarla di peso: non
nella sua testa.
Prova puro fracasso tra le spalle che si irrigidiscono, mentre lei,
serrandosi
più forte alle sue braccia, si alza sulle punte dei piedi ed
ingoia le lacrime
che le si frenano tra i denti, mischiandole a sudore e saliva,
riversando tutto
il sudiciume che ha in sé tra quelle di lui e che lui
accetterà senza sgarbo né
odio, disperata, violenta e totalmente succube di sentimenti senza vita.
I suoi occhi logori sono ciechi quando rivolti a lui, come se la retina
si
fosse consumata in una vecchiaia che, di fatto, le è
totalmente estranea.
Ma il corpo non da altri segni di rigetto, limitandosi a seguire quella
sua
perseveranza malata nello stringerlo lì, anche a costo di
trattenerlo per i
piedi, di farsi calpestare, fracassare la testa.
Intreccia le dita alle sue e lo spinge, senza incontrare salde
opposizioni, sul
ciglio del letto vicino a loro, ove lui ne allontana con forza il viso
per
mordersi liberamente le labbra, frustrato e senza un minimo residuo di
quella
dannata potenza e meccanicità di mosse e corpo che sono
state sue da armatura.
Lei lo spinge ancora e gli si inarca addosso, sospirando forte ed
altrettanto
forte facendo scattare il petto ampio; pare indietreggiare con una
scossa del
fianco, socchiudendo gli occhi, ma si limita a prendere tra i denti
l'orlo
vicino al pube della sua camicia per tirarla su e muovere la lingua sul
suo
ventre.
Tiene il capo lì per un poco –e strangola i
sospiri, il giovane Al, tutto rosso
e scivoloso e turbato-, poi si costringe a guardarlo con un breve
sorriso a
decorarle il visino scolorito.
Non accetterà un ‘no’, Winry. Non
accetterà di essere di nuovo sola.
Perché le attese sono logoranti. La solitudine annienta.
La morte spezza la quotidianità, ma, facendo parte del corso
della vita, i
tralci strappati si riavvolgono pian piano tutti all'originale
sanità mentale
dell'individuo e tutto torna come prima, anche senza desiderarlo.
Succede e
basta, perché la morte è un dato di fatto.
La vita no. Quello che gli occhi non vedono, che non possono vedere
solo perché
troppo distante, no.
Ci si uccide da soli.
Ed è una prospettiva che fa terribilmente paura.
"Oh, Ed. Ed, Ed,
caro, adorabilissimo nii-san…" borbotta Al alzando gli occhi
al soffitto
senza minimamente tentare di dissimulare il malcontento delle iridi
feline; lei
lo osserva curiosa, seguendo goffamente il corso dei suoi occhi "Forse
avrei dovuto tentare di trasmutarti, di riportarti in vita. Forse non
avrei
fallito. Forse mi sarei almeno privato di questo strazio di vita con
questa tua
donna disperata. Niente più desideri o dannazioni." lui dice
brevemente;
la sua voce trema mentre, respirando in maniera accanita, le strappa
con
disinvoltura la presa sulla sua camicia.
Lei stringe forte le labbra. Morde le labbra. Le sfrega l’una
con l’altra,
impaziente.
"…mi odi?"
"Non lo so nemmeno io. Forse…forse sì.
Sì, potrebbe essere. Ne avrei il
diritto, no? Sei egoista."
"…sì. Ma non importa."
"…sai, forse avrei
dovuto tentare di riportarlo in vita sul serio. Per te. Per questo
finale degno
di un sadico e totalmente penoso cui siamo arrivati. Ma io l'avevo
accettato,
dopo tutte queste cose, di essere inutile in questo senso. Anche se
forse
saresti stata più felice senza nemmeno un
Ed con te. E stai facendo
questo per toglierti un peso dalla coscienza, Win. Vuoi continuare ad
essere
egoista?"
"Va bene così."
"Degenererà ogni cosa. Tutto quello che abbiamo costruito in
questi
anni."
"Sono molte le cose che non abbiamo più. Non essere
paranoico. Lui è
morto. Ma ci sei tu. E' l'importante." mormora lei socchiudendo gli
occhi
mentre allunga una mano ad accarezzargli il viso.
"Bella scoperta."
Convincine te stessa prima di cercare di convincere me.
"…ti amo da tanti anni, lo sai. Ti ho aspettato tanto.
Quindi, resta con
me."
Per non restare sola,
Win. Perché la solitudine sa di nuovo abbandono. E perdere
me è perdere Ed due
volte. Tre volte contando il bambino.
E non le sai mantenere, le promesse. Non se io e Ed rientriamo nella
stessa
frase.
[Ma
non rientrate nella stessa frase, no? Lei non sta facendo nomi.]
Sa benissimo che cose non
devono, non possono assolutamente andare così, e questo gli
è chiarissimo,
perché è tutto stupido e senza ragione.
Ed è solo un istinto animale e deve ricordarselo bene,
nonostante una forte
urgenza inizi a pulsare dentro di lui, che chiude gli occhi e si frena
desolato
per allontanarla con una rinnovata forza in corpo: si sente scoppiare.
Perché lui vuole esserci sempre, vuole lei, ma vuole sul
serio una sua identità
come Alphonse Elric, non come Edward Elric.
La vuole.
E’ vero che è quello, ciò che
vuole, ma non lo ha mai preteso. Né mai lo
pretenderà.
Abbassa il capo in avanti, chiudendo gli occhi e respirando a fondo, in
un
sospiro che però trova quiete tra i suoi seni che non vuole
vedere ma che il
suo viso tasta con un battito degli occhi.
Ed è una morbidezza inquietante ed un conforto durevole, un
respiro che entra
direttamente nel cuore di lei.
Si sforza di allontanare il capo, riprendendo fiato, l'un tempo fiero e
saldissimo auto-controllo vacillante.
E' così stanco, così
stanco...
"Win…Win, tu non mi ami. Ripetilo con me,
perché è così. Non-mi-ami."
Guardami, Win. Ehi, guardami, per una volta!
Inutile. Ancora quegli occhi che gli fanno un po' paura,
sopra quel
decorativo sorrisino spento ma incrollabile.
"Che cosa stupida, certo che ti amo."
Non mi ascolti, eh? Ma io sto parlando con te.
"Cosa?" mormora lui atono, scuotendo piano la testa per quanto
distante possa tenerla da lei "Il fatto che vuoi svendermi il tuo corpo
per legarmi a te e a questo posto? Trattenermi qua a morsi? Tu non mi
ami.
Nemmeno mi guarderesti -non lo stai facendo, Cristo-, se potessi, e se
lo fai
non vedi me. Ed è terribilmente crudele, da parte tua, Win.
Vattene, ora."
Allontanati, dài. Non è un tentativo
così scarso. Mi stai ascoltando, vero?
Perché non dai segno di starmi ascoltando? Perché
non mi parli, non pronunci
frasi lunghe ed articolate?
Sto parlando con te, Win. Parlami.
Rispondi!
Winry abbassa la testa su
di lui, serenamente ignorandolo, raggiungendo le sue labbra una nuova
volta.
Lui allunga le braccia tremanti ad allontanarla, stringendo forte gli
occhi, e
digrigna i denti.
"…Win, smettila! Se lo fai ancora giuro che ti
faccio male e non
voglio, ma mi stai facendo a pezzi, non hai un minimo di…"
Lei alza la testa e sbatte le palpebre con lentezza inquisitrice,
trapassandolo
con gli occhi chiari.
"Cioè, non intendevo…Win, è che
io…"
"Guarda che tu vuoi questo, io lo so. Quanto sei
stupido. E'
un'altra di quelle cose che dovresti dirmi a parole più che
farmela capire, ma
non importa. Sei sempre lo stesso." sorride ancora di più,
Winry,
pizzicandogli una guancia.
Ed alla fine lui lo realizza pacatamente, il punto della questione.
"Io…"
Lei non sta parlando con lui.
Non fa il suo nome.
Pian piano inizia a parlargli come parlerebbe ad Ed.
A comportarsi come si comporterebbe con Ed.
E' pronta ad amarlo per un
po', come avrebbe amato Ed per una vita.
"Winry, tu...mi stai ascoltando?"
"Certamente, Ed. Certamente."
Alphonse sospira piano e chiude gli occhi.
Sì, lo sta ascoltando. Sul serio.
O quantomeno lui il suo buon tentativo l'ha fatto. E non è
più forte di così.
Ma quel nome…
"…‘Ed’?"
"Sì, Ed. Con chi
dovrei stare parlando, in questa casa, se Al è morto, amore
mio?"
Alphonse trema. Si piega.
E poi si spezza, nel giro di qualche secondo. Però
è già pronto a rialzare la
testa, con uno scricchiolio doloroso ma necessario.
Ma non cambia, il volto di Al. Questa non è che l'ultima
stilettata a straziare
quella poltiglia informe da rimuovere che è il suo cuore.
O forse il suo cervello, non sa dirlo con certezza.
Non cambia più niente. E' come una frustata d'acqua:
dapprima ti sorprende, poi
ti scivola addosso e basta.
La assorbi, anche se sei più freddo di prima.
E meno pronto al
compromesso.
E' ora di porre fine a tale strazio, e sa bene come farlo, dopotutto.
Al
diavolo la morale e il cervello!
Al diavolo la bontà, perché tutte queste lacrime
indecenti e senza senso che
cercano di scivolargli giù dagli occhi acuiranno soltanto la
sua inadeguatezza
e la sua frustrazione.
Non voglio più essere una brava persona, dopo tutte
queste prese in giro.
Voglio essere felice.
[O che almeno il mio corpo lo sia.]
E mi stai ascoltando,
vero, Win? Mi ascolti quando dico queste cose? Perché io
queste cose le ho dette,
sai. A te.
"…va bene. Se seguirai la mia condizione, ti prometto che
resterò."
E mentre il respiro di entrambi si fa più affannoso, lui
realizza infine che ai
suoi occhi e a quel qualcosa cui non vuole dare un nome che ha
cominciato ad
agitarsi dentro di lui, non potrà davvero più
opporsi.
Forse…forse ho sempre desiderato di portargliela
via, dentro di me. Di
essere migliore di lui in qualcosa.
E’ l’ultima possibilità di tirarsi
indietro, non importa a chi tocchi.
Volevo avere qualcosa anch’io…volevo
sentire qualcuno pronunciare il mio
nome prima del suo.
E Winry inclina la testa di lato, serenissima nell'annuire.
Lui scuote la testa, avvicinandosi una mano di lei, rigida ed inquieta,
per
accarezzargliela con un breve sorriso amaro.
Volevo essere importante.
"Ti chiedo di chiamare il mio nome molte volte, se ci riesci, nel fare questo.
Chiamami e pensa a me come Alphonse Elric. Renderà le cose
molto più semplici.
Chiamami per nome. Chiamami Al. Perché io non sono Ed, cerca
di capirlo."
Lo sforzo è sommo ma lei non vi si può sottrarre,
dopo tutto questo.
Dopotutto sussultavo, se li scorgevo avvinti o con le labbra
congiunte.
Sussulterò anche oggi.
"…che gioco sciocco, Ed. Non so cosa tu possa trovarci di
piacevole. Hai
un complesso d'inferiorità nei suoi confronti? Guarda che
quello che amo sei
tu. Il migliore sei tu. Il sopravvissuto –Alphonse sospira,
dandole ragione- sei
tu.
Ma se ti fa piacere, giocheremo lo stesso, per oggi."
Al non può
più spezzarsi,
per quanto faccia male. Lui le sue buone parole le ha dette.
La sua, di coscienza, può essere a posto. Forse.
E se avesse bevuto? Se
avesse preso qualche strana medicina? E' strana, accidenti. E' strana.
E non
voglio questo. Voglio lei, non questa imitazione.
Voglio lei. Lei.
Vacilla
ma è domato in breve. Il suo
corpo freme, e lui ha titubato anche troppo.
Winry lascia che lui le
accompagni le dita alla cintura dei suoi pantaloni per slacciarli;
esegue
dunque l’operazione con la mitezza rassegnata di chi ha a che
fare con un
bambino piccolo.
"So già come muovermi,
scemo. Non è mica la nostra prima volta."
Si muoverà in lui per tanto, tanto tempo, una volta gettata
via la camicia da
notte. Bianca.
Alphonse si morde, nonostante tutto, un dito; quella camicia è
suo
nipote. E’ la perdita di Ed.
Ma è lui ad essere morto. E' lui e vorrebbe tanto,
tanto urlarlo, ma non ci
capisce più niente. Più niente.
E chi lo ha detto, che non
può illudersi ancora un po'? Nessuno. Assolutamente nessuna
legge scritta
glielo vieta.
Forse una qualche legge morale, ma anche lei vuole essere sua, per
questa
volta.
O di Ed. Ma lei lo ha proposto e lei gli è praticamente
saltata addosso
-pensando che fosse lui, Ed stesso, a
suggerirglielo con lo sguardo.
Non può esserci nulla di male, nell’amore
consapevole.
O nel sesso consenziente, a seconda dei punti di vista.
"Al."
Alphonse ansima piano e poi
tace. Winry l’ha gettata via, quella camicia da notte.
Vi ha rinunciato.
Ama crederlo, nonostante tutto.
"Al."
Guardami, nii-san.
Volevo davvero che ti dimenticasse, ma ora non sono felice.
Guardami e non perdonarmi mai.
E Winry bacia il suo petto più roseo di quello di Ed,
più ampio di quello di
Ed, più piatto di quello poderoso di Ed.
Percorre con le labbra il suo braccio destro, alla ricerca di una
cicatrice ed
un arto di metallo che Al non possiede.
Apre la bocca e trema. Gli lacrima scompostamente sul collo, crollando
indietro
–sulle ginocchia di lui- e gemendo forte.
E la giovane donna muta da carnefice a vittima senza ricordi. Non ha
più colpe,
è libera da esse e piena d’un odio che reprime
più e più volte.
"Alphonse."
Lo chiama con la morte nel cuore e masticando quel nome tra i denti
come per
ridurlo in pezzi da far scomparire in fretta.
"Tu non sei Ed. Mi hai
ingannata. Mi hai ingannata! Lo hai ucciso!"
Lui annuisce, senza particolari reazioni.
"Ridammelo, allora!
Ridammi indietro Ed! L'uomo che amo, mio marito..."
Ma Alphonse non si
allontana da lei. Le sfiora i capelli e le asciuga le guance arrossate,
sorridendo mesto.
"Domani, Win. Se puoi,
sopporta ancora un po'. Domani sarai di nuovo sua. Ma per oggi, mi hai
fatto
una promessa."
Lei piange ancora, confusa,
senza realizzare bene di chi sia la colpa per tutto questo.
Quando si riscuote, è vibrante di rabbia in una maniera
affatto calcolata.
I suoi occhi sono offuscati, e non vede che capelli d'oro sul cuscino,
due
liquide pozze dello stesso colore dove dovrebbe esserci il viso di Al.
E percepisce con chiarezza una smorfia desolata e contrita a salirle
sulle
labbra.
"Oh, bene. Benissimo.
E' questo quello che vuoi, allora...è perché ti
ho fatto sopportare tanto,
eh?"
Le lacrime le velano gli
occhi. Le lacrime le nascondono quello che solo le sue mani che non
hanno
percepito arti metallici nel suo corpo possono confermarle.
Lacrime crudeli, di un salato che fa male ad entrambi.
Lui scuote le spalle e sospira forte, senza risponderle.
"E' perché è
colpa
mia, vero, Al?"
E forse, come le suggerisce
una vocina seccante nella sua testa, in fondo, un briciolo di colpa
potrebbe
avercelo davvero.
Non ci è arrivata per magia, nuda, sopra di Al.
"Tu ti sei
approfittato della mia debolezza...ma è colpa mia, vero, Al?
Vero? Rispondi.
RISPONDIMI!"
"Sei libera di credere
quello che preferisci, se ti fa sentire meglio. Quindi se ci tieni
vatt..."
"Oh, NO. Non è una risposta negativa, sai. Io sono qui,
ormai. E ti devo
qualcosa, giusto?"
Lui ricambia con uno
sguardo piatto e senza risposte ed il labbro inferiore di Winry inizia
a
tremare scompostamente, nel portarsi una ciocca di capelli dietro al
viso con
uno scatto furente "Uno scambio equivalente, certo. La tua
libertà di
avere da me quello di cui ti ho prosciugato in questi anni. Bene,
benissimo. E
poi potrai ritenerti soddisfatto, VERO, AL?"
"Io non ti sto
chiedendo niente che tu non voglia darmi. Non ti sto imponendo nulla,
hai fatto
tutto da sola."
Cristo, è così stanco, così
dannatamente stanco...
Si asciuga una tempia calando piano le palpebre e si prepara ad
allontanarla
con uno scatto secco.
E' quanto la parte più
ragionevole del suo corpo gli proponga di fare, a discapito del resto.
Non lo sa nemmeno, come possa sopportarlo o farlo.
Semplicemente, può
esserne
in grado.
Sarà la stanchezza, a guidarlo. Sarà che si sente
ancora, ancora più vecchio ma
affatto saggio...
"Sai una cosa,
Al?" gli domanda lei retorica, con una strana luce negli occhi,
luminosa
"Lo farò. Ti renderò tutto, fino all'ultima
goccia di sudore delle
giornate estive spese chiuso in casa con me. Tutto. Tutto."
E tacciono entrambi. Al non sa bene cosa pensarne, perché lo
turba, più che il
viso distrutto di lei, con la mascella serrata e gli occhi feroci, il
fatto che
abbia ragione.
Il fatto che non gli stia mentendo né stia parlando con
altri che lui.
Inoltre, ha davvero poco
senso farsi ulteriori scrupoli.
Se ne è fatti in maniera vomitevole nell'arco di poco tempo,
ma non ha avuto un
atteggiamento vergognoso, fino ad ora.
Perché non agisce, Al, così come quando era
bambino.
Non si espone in prima linea, lui. E' un vecchio che è
tornato bambino, dimenticando
ogni antica lezione appresa.
E' un complice, una silente presenza che annuisce anche se senza
ascoltare.
Al suo primo tentativo rischioso, seguire la scelta di un altro lo ha
letteralmente portato all'inferno.
Ora che all'inferno c'è
il
colpevole di questo, suo fratello, si chiede solo cos'altro possa
esserci da
perdere.
Né la sua vita -lei non lo ucciderebbe mai, nel corpo-
né lei -lei non andrebbe
mai via, non dopo tutto questo.
Quindi va bene. Va bene anche se sarà la sua
dignità ad andare a suicidarsi, il
suo orgoglio (Quelli erano di Ed, Al. Non hai né
l'uno né l'altro. Solo
l'ombra di essi.) o la sua felicità (Quale
felicità? Cristo, QUALE?).
Dal canto suo, lei non
ragiona più in maniera lucida.
E' istintiva come non lo è mai stata prima, e non sopisce
più la rabbia.
Perché la condanna
peggiore, per Al, non sarà un suo rifiuto, ma la sua
presenza senza il diritto
di amarla.
Si tormenterà da solo,
l'indomani: Winry, per qualche strana ragione, questo lo sa con
chiarezza.
Non è più il
momento delle
favole buone, della bambina gentile che aspetta senza parlare, che non
importa
quante volte tu possa colpirla al cuore, non si spezzerà mai.
Non è mai stata tutto questo. Non è mai stata
incrollabile. Non è mai stata una
santa.
Loro, dopotutto, non hanno che continuato a sostenere un'inutile e ben
poco
durevole pagliacciata, in cui la loro spettrale cordialità
era divina.
"Spero che questo ti
renderà felice, Al." sussurra lei, tagliente.
Uno sguardo vacuo in risposta è la più grande
conferma che no, non lo renderà
felice, ma lui potrà cercare di illudersi comunque.
Una volta di più, una in meno. Basta non guardare.
Né pensare.
Ora non c’è soluzione che sia poco degradante ed
avvilente, soprattutto per
lei, che vorrebbe urlare ma si contiene.
La scelta più saggia
sarà
riconoscerlo pienamente come Al, digrignare i denti ed odiarlo.
Perché non può perdonarsi, ma nemmeno desidera
biasimarsi: odiare lui è il
migliore dei compromessi.
Sobbalza con forza ricrollandogli pesantemente addosso, tentando di
rendergli
almeno un poco meno gradevole il tempo.
Un'ora di gelido sesso
liberatorio senza un piacere pienamente condiviso è quanto
sfregerà in eterno
il loro futuro, ora suggellato da gemiti ed una voce sottile e astiosa.
Ore dopo, la vita riprende comunque, più grama,
più incerta, più rapida, ma
meramente soddisfatta e mai solinga.
Vi sono segni di morsi sul collo di lui, sfoghi frustrati, strazi che
sono
punizioni per avere, infine, sul serio tradito la vita e Winry con
essa. Il
ricordo.
Morsi che recano il nome gonfio di lacrime che appartiene ad Alphonse
Elric.
Perché Edward Elric è semplicemente morto da
più tempo di quanto si potesse
credere, mai rinato, solo seviziato come nome ed immagine.
Non rivivrà più a lungo che in qualche logora
foto nemmeno in questa casa
infestata dagli spiriti.
Fine
[Prossimamente,
l'epilogo]
-
Note
finali:
E'.Finita.
*Sbatte la testa sulla tastiera, sospirone*.
Sì, non credo
che una scena del genere la si
possa tirare realmente così tanto per le lunghe, ma i
protagonisti sono ragazzi
complessati, eh.
E sono esigenze di copione, non prendetevela con me, non avrebbe reso
altrettanto condensata in otto righe.
E tutto questo, solo per la cronaca, accade in non tantissimo tempo,
credo, considerando
solo i dialoghi. I moti mentali possono durare anche solo pochi
secondi, in
realtà.
Questo capitolo è stato
quel che si suol definire un parto. Un cesareo operato del mio nii-san
betatore
Onda (sì, lei è un nii-san al maschile
è_é), a dirla tutta.
Dopo lunghe sofferenze nel
scrivere qualcosa che trovavo totalmente arduo, anche perché
ero in dubbio su
alcune cose e per motivi un po’ scemi tra me e la mia beta si
era arrivati al
punto del “Ah, vuoi che abbia la sorpresina nel leggerla
direttamente online?
Allora anche se me lo chiederai non te la beterò.”
“Ma scherzavo…” “No, ormai
l’hai detto *risatina malefica e un po’
astiosa*.” “Sigh.”
Un punto increscioso, sì, ma mi sono ridotta allo stato di
Ed e le ho detto
quel che voleva sentirsi dire ma che ritenevo semplicemente sottinteso.
Benedetta donna *sospirone*. Oh, beh, almeno lei non ha chiavi inglesi
con cui
pestarmi, è confortante.
Così, alla fine ha accettato di betarla. E sono andata un
po’ in crisi perché,
nella prima versione del capitolo, Winry agiva come agisce anche qui,
ma in
maniera più scostante, tra la razionalità e la
follia.
Quando me l’ha fatto notare anche lei, mi sono messa a
struggermi perché non
sapevo come riparare. Almeno quanto mi sono tormentata per Halo, ma
credo di
più.
Temevo anche di dover sacrificare qualcosa come otto pagine tra
capitolo ed
epilogo, e miliardi di frasi che mi soddisfavano.
Ma mi ha dato un buon consiglio, ovvero "Se è al punto di
non ritorno,
portala lì e lasciacela", ovvero, "falla interamente a
pezzi, così
sarà chiarissimo che agisce così per lo status
mentale e non perché è diventata
scema o cosa".
Quindi, ne è venuta fuori una cosa più sensata.
Grazie, Sìl, senza di te non
avrei partorito questo bel (no, spassionatamente, lo dico solo per non
traumatizzarlo,
è orribile) bambino di un capitoletto assurdo.
Grazie per le tue pronte virgole e forbicine mentali tagliuzza-periodi.
E per
l'inflessibilità e l'oculatezza.
E per le tremila revisioni che mi hanno fatta impazzire. E per le
trovate e le
soluzioni.
Tutta quell'accidenti di una parte in cui Win decide di proseguire
comunque, è
un suo amorevole suggerimento.
Così come altre parti che mi ha suggerito di approfondire.
E non le ho potuto far betare l'ultima versione, ma se non funziona
nemmeno ora o riscrivo ancora qualche pezzo o
ci rinuncio, e d'ora in poi solo rating verdi pieni di fiorellini e
coniglietti
con tanto fluff *borbotta
imprecazioni
contro i fiorellini troppo colorati*.
Quindi, posso solo sperare
che quello che fanno i protagonisti non suoni tutto campato per aria,
ma
motivato ed umano.
Ce l'ho messa tutta, considerando il poco tempo e
l'angosciosità del riscrivere
determinati pezzi mille e mille modi per farli plausibili e diversi da
un OOC
immotivato, sotto la già nominata saggia guida di Onda.
E sono riuscita anche a salvare il più dell'epilogo, quindi
è tutto okay.
Il 17 parto per lidi sconosciuti (aka due settimane da Onda),
posterò l'epilogo
quanto prima (per lo scioglimento finale, un ulteriore sviluppo e
qualche
risposta ad alcuni dettagli è_é).
Con tante scuse per il
ritardo di questo UU;.
Ed ora, le risposte ai vostri adorabili commenti, dei quali amo anche
la
lunghezza, perché indica che questa fic vi sta lasciando
qualcosa,
un'impressione, un pensiero, beh, 'qualcosa'. Il che mi rende molto,
molto
felice.
The_Dark_Side: Guarda, personalmente io mi limito a
sfidare voi cari
lettori a stabilire chi sia il più sfigato dei sue
protagonisti. Scelta ardua,
uh? Lieta che la fic ti piaccia, comunque ^^.
Siyah: Apprezzo molto quella tua recensione,
infatti. So bene che, per
diverse ragioni, Rewrite è una fic difficile da,
uhm…accettare.
Ed i lavori per Erase procedono abbastanza, ma non so se
potrò darle la
precedenza, per ora, visto che a settimane parto e mi
mancherà il tempo (E
quella fic non è il mio genere, sento di starci combinando
un disastro, sì).
Ma se sei interessata e mi contatti via e-mail posso passarti molto
volentieri
alcuni pezzi, adorerei sentire un parere. E’ decisamente
diversa dal mio solito
ideale di fic, quindi ^^;…ma ovviamente solo se sei tanto
incuriosita. E se
riesci a farmi sapere prima che parta, se no andrà bene al
mio ritorno, a metà
agosto.
Altrimenti basta aspettare, devo ben decidere quanto sarà
lunga la fic, ma ora
come ora sono sulle 11 pagine nel mio solito stile e font, quindi non
so ^^;.
E grazie per essere interessata ad Erase, comunque. Almeno una lettrice
l’avrò
XD.
Kaho_chan: Ora devo chiederlo. Ti ha sorpreso Al,
alla fin fine? Povero,
povero ragazzo, lo amo tanto quanto l’ho torturato,
dopotutto. Il che è tutto
un dire XD;.
E non so che dirti, tecnicamente non sarà un finale
tristissimo –puoi vedere
fin da qui i presupposti-, ma felice no di certo.
Grazie, grazie mille per i complimenti.
ValHerm: Ah, ma quanti grazie
avrò da dire oggi? Grazie anche
a te per i complimenti e per lasciarti coinvolgere dalla fic. E per
avermi
messa tra gli autori preferiti; non c’è modo
migliore di lusingare un autore,
sul serio.
Non mancherò di leggere e commentare la tua nuova fic,
quando l’avrai postata
^^.
Wildheart: Oh, un’altra new
entry! Che cosa gioiosa XD. Quanto amo
sentire analizzato quel che scrivo, sul serio, mi diverte. E non
c’è nulla di
errato in quel che dici, quindi meglio ancora.
Lieta di averti coinvolta per bene e, uhm, manca ancora
l’epilogo, ma le cose
miglioreranno solo limitatamente per Al, rispetto a come è
messo da ora.
Mi fa piacere che questa visione di Al sia condivisa anche da te,
personalmente
trovo abbastanza angoscioso il fatto che abbia dovuto sopportare questo
in
silenzio.
E non è mica l’unica cosa, a farci
un’analisi completa, vien fuori che un Al
troppo buono è surreale.
Prima o poi esplodere è normale.
Solo che in questo capitolo *e qui ci metto un blush perché
scriverlo mi ha
anche turbata*, dopo tanti scrupoli non so più bene se chi
ha sbagliato di più
è lui o lei.
E lietissima che la mia recensione sia stata d’aiuto ^^,
volevo dirtelo lì ma
mi sembrava fuori luogo, ma se ti serve rispondere a qualche recensione
eventualmente puoi anche inserirle a fine fic, pur senza aggiornarla,
non
saresti la prima a farlo.
E grazie a te per la bella recensione :)
Onda: La conclusione di quel commento è
acida ;_;. Volevo dirtelo, anche
se alla fine hai betato tutto comunque XD.
Setsuka: Oh, no che non mi piace il pairing, sono un
tipo di larghe
vedute, avendo presente Rewrite e, prossimamente, Erase.
Solo che questa storia non è nata per essere felice. Anche
tante delle mie
EdWin sono angst, sì.
Se devo rammentare che la mia prima EdWin, Spegnersi, si concludeva con
un
nulla di fatto in cui Winry continuava comunque ad aspettare, che nella
mia
Halo (anche se a conti fatti non è davvero
un’EdWin) bene o male Ed ci lascia
le penne, forse devo anche pensare di essere stata anche troppo buona,
qui XD.
Ti ho comunque commentato anche la fic che mi hai suggerito, ma credo
tu
l’abbia già notato ^^.
Se mi capita di avere in mente una, non so, Royai o AlxWinry, visto che
non
sono tra le coppie escluse, partecipo volentieri, tutto sta
nell’esserci
ispirata.
Oddio, ho un’acerrima rivale RoyEd, quindi mi commenti questa
fic per il detto
“Conosci il tuo nemico”, sì? XD
L’epilogo di Rewrite
è
seppellito da altri progetti, devo dire che è in una fase di
“più poi che
prima”, visto che ho deciso di cambiarlo un po’,
quindi non è pronto, e di
farlo quando ho tempo, ed il 17 parto, quindi non so bene.
Bada bene poi, che per
“censurare” io intendo solo alleggerire qualche
scena di cui non mi piace
l’espressività.
Poi c’è anche il fatto che sono pudica e che
perché mi sembri di star scrivendo
una frase un po’ volgare od osé ci vuole
pochissimo, vero.
Io sono un tipo pudico e scrivo in modo pudico, semplicemente
perché sono
impacciata nel trattare certi argomenti.
E più che trattare certi argomenti senza cognizione di causa
o piazzare
descrizioni sciocche, preferisco essere un po’ velata.
Farebbe un po’ ridere qualcosa di spinto scritto da me,
perché mi basta
scrivere “seno” che mi sconvolgo da sola, ma almeno
quello non lo ometto.
Poi può darsi che prima o poi avrò fiducia di
scrivere qualcosa di veramente
arancione, ma non so dirlo da ora.
Già Erase mi sta obbligando a trattare temi del genere, e
questo mi lascia un
po’ perplessa, difatti mi ci prenderò un
po’ una pausa per riguardarla in
maniera oggettiva poi.
Ma non credo leggeresti Erase, quindi è un esempio stupido
XD;.
Comunque, spero di non aver deluso totalmente queste tue aspettative.
Anche perché questa sorta di atto erotico tra i due
è arrivato, ma fatto più di
dettagli velati e qualche affermazione che di altro.
Non pretendo da me stessa più di quanto la mia
sensibilità mi concederebbe di
leggere a mia volta, quindi mi va bene così, almeno per ora.
Grazie comunque per
l'incoraggiamento, lo apprezzo molto ^^.
|
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Capitolo 5 *** Epilogo ***
Mi
dispiace. Mi dispiace tantissimo di aver reso l’attesa così lunga.
Quindi
capirò benissimo se chi seguiva la fic non recensirà,
avrà perso l’interesse, avrà perso fiducia…vi capisco.
La
fic è restata in betaggio a
lungo, ma la mia povera beta ha esaurito il tempo materiale per occuparsene e,
piuttosto che infierire sul già scarso tempo a sua disposizione, ve la posto
finalmente, non betata ma comunque qui.
Perdonatemi ancora per l’attesa.
E,
se vorrete comunque leggere, spero non resterete delusi.
-
Don’t look at the world- You may cry now
Epilogo
Quando ci svegliammo lei
era girata su un fianco e radicalmente fuori dalle mie braccia, per quanto le
fosse concesso da un letto singolo.
Non rammentavo nemmeno lontanamente il suo calore o se avesse avuto gambe
vellutate o prive di carne piacevole al tocco.
Non le ricordavo, quelle gambe –troppo lontane. Non le ricordavo le sue labbra
–perché non avevano più sfiorato le mie da quando aveva realizzato chi ero (Che
modo stupido di dirlo, non l’ha realizzato nemmeno dopo!) .
Non ci eravamo guardati in faccia per neanche un secondo, dopotutto.
Perché guardarla mi avrebbe fatto paura.
Perché guardarmi l’avrebbe istigata a mordere più forte, stroncarmi la gola,
artigliarsi al mio petto trapassandomi il cuore –che cosa insensata, lei ci
era già riuscita, anche senza lasciare segni.
Ma dei lividi, sulla sua
schiena, c’erano comunque.
Quelli dei piccoli pugni che erano stati solo ossa percosse sulla sua carne,
quando lei ne aveva poca.
C’erano i graffi, sulle costole e sui polsi –proprio lì, aveva indugiato
allentando la presa solo quando mi ero deciso, ostinato, a guardarla
finalmente, negli occhi.
I miei occhi, non potrebbe mai ucciderli.
Ha detto di essere stata sciocca ma non ha pianto, comunque.
L’ha ripetuto più e più
volte strofinandosi le mani sugli occhi, indugiando su lacrime che non stava
affatto versando, mentre le accarezzavo i capelli, mite e rassegnato.
Potrei dire di essere stato uno di quei rari uomini violentati da una donna.
Ma non sono un bambino, né la sua violenza è stata di tipo carnale.
Proprio per questo, è dura riprendersi.
Proprio per questo, ho desiderato di ucciderla tanto quanto lei ha desiderato
di uccidere me.
Ma sfogandomi allora, potevo dirmi quieto, quietissimo.
Era stato abbastanza avere il suo corpo e non il suo cuore.
Era stato abbastanza guardarla muoversi con le anche flessuose sul mio bacino.
Era stato abbastanza guardarle il petto morbido agitarsi al suo respiro aspro.
Più di tutto, pensavo a come sarebbe stato bello vederla nuovamente tutta tonda
e gioiosa in dolce attesa, poi esausta e con un suo pezzo di carne urlante
attaccato al seno.
E non l’avrei mai vista, in tali vesti. Non di un bambino imparentato con me.
Mai, mai, di mio figlio.
La amavo, però. L’avevo voluta morta, ma l’amavo comunque.
Non ha confini, una cosa del genere.
Avevo fatto del mio meglio –sul serio, sul
serio!
Avevo desiderato renderla
sensibilmente felice.
Ma avevo invece finito per invocare ancora il suo odio.
Avevo finto di non vedere quello che il suo corpo
esprimeva, quello che le sue labbra fingevano di aver riconosciuto.
Mi ero illuso fino all’ultimo, di avere qualche speranza: non ne avevo mai
avuta.
Solo, sapevo essere più crudele con me stesso che con altri, alle volte.
Un po’ sempre, a dirla tutta.
Non sono ancora cambiato. Mi piace sognare, come un bambino. Vivere di false
speranze.
Quella è la parte più giovane che abita in me.
Quella, assieme alla mia
fertilità inesistente –come un ragazzino, altro che la bassa statura di mio
fratello!
"Non ci saranno prossime volte, te lo prometto. Resterò
comunque." le dissi, sentendola biascicare qualche parola soffusa nel
cuscino, appena svegliatasi.
"Me lo farò bastare,
sul serio. Sul serio. E…perdonami. Perdonami."
Silenzio denso e stritolante seguì la mia affermazione un poco ironica ma non
priva di genuina convinzione.
Lei lo infranse, voltandosi piano.
"Non
credere che mi serva sentirtelo dire.
E’ colpa mia, ora lo so. E posso crederlo davvero." rise
debolmente e scioccamente, senza osare guardarmi.
Io, invece, la osservai. Anche se non ne avevo più diritto di lei.
Emaciata, stritolata, con le labbra gonfie e il sangue sulle
lenzuola ("Il mio corpo non ci era più abituato, sai. Ed il corpo di Ed era molto diverso dal tuo, come proporzioni.",
aveva detto falsando una smorfia comprensiva sul viso risentito, allo
sciogliersi dal loro amplesso), ma per qualche strana ragione bellissima
comunque.
Con i seni coperti da un pudico braccio come se non vi avessi già posato lo
sguardo a sufficienza, i capelli sparsi scomposti ed elettrici sul cuscino, le
labbra aride ed appena dischiuse.
I suoi occhi fissavano il soffitto pallido e scrostato a tratti e parevano
essersi fatti nerissimi in quel paradiso bruciato di sue ossa e terra, così
simile alla pena e alla desolazione che aveva accolto in casa mia il corpo nero
del mostro che non era mia madre.
"Non dire sciocchezze,
io avrei dovuto evitarlo, io…"
"Ma io volevo questo, dopotutto. Ricordare ancora un po’. Provare un po’
d’amore senza sentirmi in colpa.
A costo di mentirti. A costo di farti soffrire, ho preferito accusarti, ferirti
nel corpo e nel cuore piuttosto che accogliere i tuoi sentimenti. E ti ho fatto
male comunque, vero, Al? Non nego di averlo voluto, ma
non ero io quella nel giusto."
"Nemmeno
io. Io…lo sapevo che non mi stavi
ascoltando. Ma non ti ho più fermata. Perché…" ed arrossii, quietamente
"…perché era vero che io lo volevo. Ma tu puoi considerare tutto questo
come un errore, va bene così, anche perché non ti ha certo fatto piacere. Possiamo…" colpo di tosse, viso tra le
mani, sorriso falsissimo "…dimenticarlo. Non credo mi
resteranno cicatrici, sai."
Le tremò la mano, nel tenderla al mio viso. La lasciò scivolare sulla mia
guancia dolcemente.
Avrebbe sorriso in maniera altrettanto morbida, se non fosse stata così
distrutta da non rammentare come simulare una qualsiasi espressione.
"Forse non è davvero una questione del tipo ‘Io ho
ragione e tu torto’. Puoi arrabbiarti con me, se vuoi, Al. Piangere, se
vuoi. Non lo saprà nessuno. Io non ne ho diritto. Hai pagato
abbastanza, ora lo capisco."
Pausa, silenzio tombale.
"Io non ti
odio, Win. Io ti amo e questo non cambia, eh. Non
cambia, ma posso sopprimerlo un po’, se vuoi che resti qui."
"…puoi
darmi uno schiaffo, piuttosto, se può sollevarti. E’ anormale che tu sia così
buono."
E se ne stette così, tanto calma quanto inespressiva,
solo una piccola smorfia disturbata a torcerle il labbro inferiore.
Dopo una breve pausa a
ponderare su quelle parole che la mia mente non aveva osato concepire come
vere, dilatai gli occhi, sconcertato.
"Ma io lo faccio per te. Per te.
Non ti ho mai chiesto ti ho mai chiesto qualcosa di così trascendentale come
l’amore.
Non ti ho promesso un ‘per sempre’. Non ti ho promesso
niente che implicasse un ‘noi’.
Ti ho solo promesso di
restare. Come prima, finché non avrai trovato qualcuno che sappia sostenerti
meglio di me. Perché chi poteva è morto, ed io non sono che lo scarto rimasto
alle sue spalle.
Calibro ogni parola per non ferirti, quando sono in me.
Doso ogni reazione per non restare solo.
Io sono falso, Win. Falso. Non so vivere. Io non sono
una persona che va bene, per te. Non sono abbastanza positivo da bilanciare la
tua negatività degli ultimi tempi. Non ora."
E risi come aveva fatto lei,
di una risatina angusta e tetra, che sfociò in un singhiozzo senza equilibrio,
strangolato dalla sua improbabile proposta pronunziata mentre fissava ancora il
soffitto, pacatamente svuotatasi.
"…sposiamoci."
"…eh?"
"Sposiamoci, Al. Proviamo ad essere felici,
almeno una volta. Proviamo a ricominciare daccapo, come una vera famiglia. Così che tu "
"Win, tu…non sai di che parli."
"Non c’è nulla di strano, in quello che ho detto, no?"
"Win…io non posso darti dei figli."
"…"
"…non…non potevi saperlo.
Lo sapeva a stento Ed. Questo è stato il mio prezzo per esser stato riportato
indietro indenne, come per la maestra. Ho saltato una fase del mio sviluppo; Ed
ha potuto supplirvi per me solo limitatamente. Il mio corpo è
sterile."
"…non cambio idea."
"…vuoi restare con me per sempre anche in queste condizioni? Non posso darti un “futuro” in forma di un piccolo, nuovo, Ed o dei
figli, se è questo che vuoi."
"La tua presenza sarà abbastanza. La tua presenza come Al."
"Ma se tu non mi conosci sul serio, non ha senso, resteresti ferita."
"No. Io ho deciso che vai bene comunque, perché basta che
tu tenga a me e io a te. Voglio conoscere il vero Al, se non eri tu. Con il tempo potrò amarlo."
Lì ci fu una sosta, e Winry sprofondò ulteriormente
nel materasso; dal cuscino la sentii ingoiare un singhiozzo depresso, senza un
battito di ciglia a tradirne l’esistenza, ma un rumorino soffuso senza sforzi e
colpevole.
"Guardami, come sono sottile e pallida oggi. Ti
pare il corpo di una che può partorire? Un rischio evitato, meglio così. Un
figlio potrebbe uccidermi. O il mio corpo potrebbe uccidere lui. Di
nuovo." allargò dunque un sorrisino eloquente, contratto come in un crampo
allo stomaco "Non voglio essere responsabile di altre morti. Non voglio che
ci siano altre morti per cui soffrire. Quindi, io sarò legata a te e a te
soltanto. Cerca di non morire, per favore. E poi…e poi io non
li voglio, dei figli."
"Win…le donne vogliono sempre dei bambini, un
marito amorevole ed adorato, una famiglia ampia e felice."
"No. Basteremo io e te. I
bambini non mi piacciono, sai."
"Non dire…"
"SUL SERIO. Non ne voglio, sono seccanti e
richiedono troppe cure."
"…"
Lei sospirò.
"…e…e ti si attaccano al grembo con quelle dita paffute e carine e ti
chiedono se ami più lui o il suo papà e non sai mai cosa rispondere loro, anche
perché sono veramente disastrosi e casi persi come il papà, a volte."
sussurrò piano, sigillando una lacrima sottile tra le labbra e premendosi forte
al cuscino, con un sorriso ingenuo.
Non pensai ci fosse altro da aggiungere; conoscevo bene il tipo di padre cui si
riferiva e che rimpiangeva, che non era certo il suo, né io.
"…va bene.
Proviamoci."
Le strinsi un dito,
incerto, accarezzandoglielo piano; poi ci addormentammo di nuovo, senza
ulteriore tormento.
Da allora abbiamo ricominciato ad uscire di casa senza fretta, poco per volta,
ma una malcelata ed insana voglia di non uscirne mai da soli,
ma mano nella mano.
Pensavo che sarebbe stata un’ottima moglie, dopotutto.
E lo è ancora oggi, vitrea e scostante ogni tanto, ma nonostante tutto viva e
fatta di carne e ossa.
Può suonare strano, ma penso sia questo quello che conta, dopo l’affanno con
cui ci siamo disperati a sporgerci verso il futuro per migliorarlo: nulla di
più di una vita monotona in cui ci siamo io e lei mano nella mano, anche se la
sua è fredda.
Ma staremo insieme comunque, fino alla fine dei nostri giorni, a ricordarci che
possiamo ancora esistere, se ci supportiamo l’un l’altro, senza bisogno di
nessun altro.
Che possiamo esistere anche senza vivere felicemente. Anche se lei non prova
più niente di diverso da timore scalmanato da anni e se col tempo smetterò di
farlo anch’io: queste cose non avranno più importanza, pian piano.
Siamo qui e siamo vivi.
Insieme.
Voglio credere –ho bisogno di credere- in questo, ora e tra molti anni.
Lo desidero disperatamente.
[Era
destino, dopotutto, che noi Elric avessimo un pessimo
rapporto con la vita. Mio fratello non era stato che il primo, tra noi due.]
-
Fine
-
Note finali:
A che vita amara li ho
relegati, eh?
Ma io, dopotutto, un po’ di
luce la intravedo.
Col tempo, con gli anni. E’
un inizio.
La felicità non è mai facile.
Risposte alle recensioni:
Siyah: Grazie
per le tue recensioni alle mie altre shots. Mi
migliorano la giornata, sul serio. Comunque, ho provato a mandarti delle
e-mail, ma non le hai ricevute, temo? Mi spiace molto, se è così.
La mia e-mail è mao_chan91@hotmail.com.
Se mi mandi e-mail basta dirmi chi sei, se mi aggiungi a msn
scrivimi tipo “Sono Siyah, aggiungimi”, ok?
Pregherei persone che non conosco altrettanto via commento di non aggiungermi,
aggiungo solo gente che conosco ^^;
Dai che ti aspetto per parlare di Erase, se ancora
t’interessa! XD
Spero
che anche l’epilogo ti sia piaciuto. E’ stato tutto pazzesco da scrivere, ma
posso dirmi soddisfatta. Credo.
Kaho_chan: Mi spiace per il magone, Kaho. O forse no XD.
Sarai
la prima a leggere il capitolo online, credo, e te ne sarò grata. Sei una puccioLé <3.
Mi riempie il cuore sapere che ti piacciono i personaggi. Sono totalmente miei
dopo questa fic.
Nel mio cuore. Ma Al c’era già (L).
ValHerm: I tuoi sono quei complimenti da Edwinner che
mi fanno sentire a)che non mi smentisco mai e b)che quasi quasi
ho scritto qualcosa di plausibile. Quasi quasi, eh.
Grazie di tutto. Non ti sento né vedo su msn da mesi,
e me ne dispiaccio molto.
Spero che tu possa tornare presto a farti viva, miss ya.
Damy: Ma cosa posso rispondere a un commento così?
*imbarazzo*
Sally_: Grazie mille anche a te, davvero ^^
Ora, non so cos’altro scriverò su FMA. Ho in lavorazione qualcosa su Nana,
qualcosa su Naruto.
Forse drabble su FMA. Erase.
Non so.
Per ora, sono quasi fuori dal fandom causa mancanza
di tempo.
Ma
prima o poi tornerò.
Tenete
un occhio aperto, e grazie per avermi seguita e sostenuta.
A presto.
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