Era una notte di luna piena

di merrow_star
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Era notte, una notte di luna piena. Soffiava una fredda ma delicata brezza, i rami spogli danzavano.
Le aule erano buie, in attesa del ritorno di quegli studenti che in quel momento erano avvolti dal famigliare calore del Natale tra le mura domestiche.
Era passata la mezzanotte, e i corridoi parevano vuoti.
Passi. Leggeri, corti, davano un ritmo alla muta sinfonia del silenzio. Ma non si vedeva nessuno.

*

Harry aveva ricevuto uno splendido regalo, qualche giorno prima; era sotto l'albero, vicino al caminetto nella sua Sala Comune. Incartato semplicemente, senza fiocchi o decori vari, un biglietto profumato al limone con scritto il suo nome.
Non aveva in programma di svegliarsi presto quella mattina, sapeva che quel vecchietto dalla barba bianca, Babbo Natale nella tradizione babbana, non sarebbe arrivato: lo aveva ignorato per dieci anni, non avrebbe iniziato a portargli doni dimostrandogli la sua presenza solo perché ora frequentava una scuola di magia. Harry era sempre Harry, con i suoi occhiali tondi, la bizzarra cicatrice sulla fonte e i vestiti di una taglia più grande, e Babbo Natale non gli avrebbe portato nulla. Inoltre, sapeva che Ron ne avrebbe ricevuti a bizzeffe, di regali, e preferiva non subire quell'umiliazione.
Invece l'amico dai capelli rossi lo aveva letteralmente buttato giù dal letto e trascinato di sotto, mostrandogli la montagna di pacchetti tutti per loro. Ne aveva preso uno: Ronald. Glielo aveva passato, e aveva letto altri cinque o sei Ronald mentre l'altro bambino scartava una scacchiera di seconda mano. Poi c'erano stati solo dolciumi, cioccorane e confezioni di Tuttigusti+1 a volontà, ma nessun Harry.
Anzi, solo uno, da parte di Molly, la mamma di Ron, che aveva confezionato per lui e il figlio due maglioni di lana. Quello dell'amico era sul bordeaux con un'enorme R ricamata mentre il suo era verde smeraldo come i suoi occhi: erano piuttosto fuori moda, ma a Harry questo non importava. Era il suo primo regalo, dopo la torta di Hagrid, ovvio, e lo teneva tra le mani ammirandolo come fosse un gioiello.
Ron era velocissimo ad aprire i regali, e come spesso fanno i bambini era partito da quelli di dimensioni più grandi con la carta colorata lasciando per ultimo il sacchetto a terra vicino al caminetto. Harry ne era incuriosito, poiché gli ricordava tanto sé stesso: piccolo e insignificante, un po' sciupato, tenuto da parte perché non bello o grande come gli altri. Era solo tra i cuscini, solo come lo era stato lui nel ripostiglio nel sottoscala mentre Dudley correva e giocava con i suoi amici (non che volesse uscire con loro, semplicemente avere qualche amico con cui passare il tempo non sarebbe stato male); sarebbe stato contento quell'anno, il cugino, di non averlo tra i piedoni grassi la mattina più bella dell'anno, ma la cosa era reciproca.
Ron si era accorto della presenza dell'ultimo regalo e lo aveva afferrato, per poi rendersi conto che Harry non ne aveva scartato nemmeno uno. “Forse questo è per te” aveva detto arrossendo dalla vergogna mentre glielo porgeva.
Vivendo in una famiglia così numerosa, Ron era sempre stato riempito di vizi, con cinque fratelli più grandi a proteggerlo e una sorellina che a dir poco stravedeva per lui, per cui a Natale vedeva coronati tutti i suoi sogni ed esaudite tutte le sue richieste. Quella mattina non aveva pensato che non era alla Tana, che non c'era Ginny con lui a guardarlo ammirata mentre disfava i pacchetti, o Fred e George che gli facevano scherzi, o Bill e Charlie che lo prendevano sulle ginocchia, o addirittura Percy che si vantava del libro usato ricevuto. No, quella mattina c'era Harry.
Harry che non aveva mai avuto una famiglia che gli volesse bene. Harry che quasi non sapeva cosa fosse il Natale, dato che mai lo aveva vissuto appieno. Harry che mai aveva ricevuto qualcosa in dono. Harry che era sempre stato messo in secondo piano… anzi, in nessun piano.
Ron si era preso mentalmente a sberle, per non averci pensato subito; sperando con tutto sé stesso che quel sacchetto fosse per il suo compagno di stanza, si era fatto piccolo piccolo sedendosi sul divano con un pacco di gelatine a osservare Harry, che cercava il biglietto su quel regalo.
Niente.
“Nessun nome” aveva sospirato. “Ron sarà sicuramente tuo: non avevano più cartoncini per scrivere Ronald, molto probabilmente”
E solo in quel momento era apparso un foglietto profumato al limone con scritto Harry.
Il bambino lo aveva scartato quasi con reverenza, rivelandone il contenuto: un meraviglioso mantello color della notte e riflessi argentati, come se il cielo stellato avesse preso forma.
“Da parte di chi credi che sia, Harry? Miseriaccia, è stupendo!” aveva domandato Ron.
“Non lo so. Babbo Natale non mi ha mai portato nulla, quindi di sicuro non da parte sua”
Poiché suo padre era un babbanofilo, Ron non si stupì al nome del candido vecchietto pronunciato dall'amico e lo aveva invitato a provarlo, ma che Harry scomparisse non era per niente nei piani.
Era un Mantello dell'Invisibilità, appartenuto a suo padre e quindi ora suo di diritto, un oggetto delicato del quale fare buon uso: questo diceva la lettera scivolata fuori dalle pieghe.
Harry non aveva compreso appieno quelle parole, ancora non sapeva quanto quel Mantello fosse importante, o quanto gli sarebbe stato utile in futuro. Sapeva solo che era l'unica cosa che possedesse del suo papà, e che glielo faceva sentire più vicino di quanto non lo fosse mai stato.
Sapeva che era la cosa più bella del mondo.



NdA
Eccoci qui alla mia prima long Drarry! ^^
Spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto e di aver reso bene il pov di Harry; non è mai stato uno dei miei personaggi preferiti, ma è perfetto con Draco (che io adoro con tutta me stessa) quindi… u.u
Ancora non si capisce molto bene dove la storia andrà a parare, ma mi auguro di avervi incuriosito e che mi farete compagnia in questa avventura! ^^
Ringrazio tutte le ragazze che mi hanno spronato a scrivere una long nelle recensioni alla mia OS, senza di loro forse non avrei trovato il coraggio di farlo! E ringrazio tantissimo anche chi legge e chi vorrà lasciarmi un commentino: mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate :)
Un bacio, merrow :*

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Era notte, una notte di luna piena. Soffiava una fredda ma delicata brezza, non c'erano nuvole.
I corridoi erano vuoti, silenziosi in attesa del ritorno di quegli studenti tanto chiassosi e vivaci che in quel momento erano sotto le coperte nei loro letti, cullati da Morfeo, esausti dopo l'ennesimo giorno di festa con la famiglia in occasione del Natale.
Era passata la mezzanotte, e le aule parevano vuote.
Note. Malinconiche, aggressive, davano voce al ghiaccio cristallizzatosi su un cuore.

*

Qualche giorno prima, quando si era svegliato, Draco non si era ricordato subito che giorno fosse. Ma come avrebbe potuto, dato che non lo aveva mai festeggiato?
Prima di notare lo splendido pacco argentato con un nastro smeraldino sul morbido tappeto che ricopriva il pavimento di pietra aveva già indossato la divisa; gli mancavano solo le scarpe, che ogni sera lasciava l'una vicino all'altra ai piedi del letto. Esattamente dove giaceva la sorpresa.
L’aveva guardata stupito per un attimo, le pallide sopracciglia inarcate verso l'alto, poi aveva collegato.
Era Natale.
Il preside aveva annunciato al banchetto di fine novembre che gli studenti sarebbero potuti tornare a casa per due settimane proprio in occasione di quella 'meravigliosa festa babbana', trascorrere giorni felici in famiglia e giocare con i doni che Babbo Natale avrebbe portato loro.
Draco non sapeva nemmeno cosa fosse un 'babbonatale'.
Era stato Blaise Zabini a spiegargli tutto, dal vecchietto dalla barba bianca alle letterine e ai regali sotto l'albero, e quasi gli era venuto un colpo: solo la plebaglia poteva credere ad un’assurdità del genere, e di certo lui non faceva parte della plebaglia. Un vecchio vestito di rosso che in un’unica notte riusciva a portare centinaia, migliaia di regali a tutti i bambini del mondo? Nemmeno un mago ce l’avrebbe fatta. I maghi per lo meno esistevano.
Appena era venuto a conoscenza della nuova bizzarra idea di Albus Silente, Lucius Malfoy si era precipitato a scuola ed era riuscito eccezionalmente ad avere un colloquio privato con il figlio.
“Non ti azzardare a tornare al Manor, mi hai capito? Il Natale è cosa da babbani, e noi non siamo babbani. Rimarrai qui, anche a costo di essere l'unico, anche a costo di stare due settimane da solo. Chiaro?”
“Certo, padre, come desiderate”
Nonostante il suo giudizio a riguardo, Draco era leggermente curioso di tornarsene nel Wiltshire per vedere in che modo mezzosangue e babbani avrebbero vissuto il periodo di festa, ma non sarebbe mai andato contro al volere paterno. Mai.
Cosa importava, comunque, passare con la famiglia due settimane? I Malfoy erano stati insieme tutti i giorni prima che il loro erede iniziasse a frequentare Hogwarts, e undici anni erano tanti.
Narcissa non era dello stesso parere, avrebbe rivisto suo figlio molto volentieri, ma anche per lei la parola del marito equivaleva a legge. Condivideva che il Natale non dovesse essere festeggiato, che era cosa da babbani e loro non erano babbani, ma non che Draco fosse costretto alla Biblioteca o alla Sala Comune in mancanza di qualcuno con cui stare; sapeva, grazie ai suoi contatti, che nessun Serpeverde sarebbe rimasto a scuola, e di certo Draco non avrebbe sprecato il suo tempo con gli appartenenti delle altre Case, considerate inferiori.
Dopotutto, però, era solo un bambino, un bambino cresciuto da Lucius Malfoy. Non aveva mai avuto giochi, solo libri su libri di storia della famiglia; non aveva mai avuto amici, solo elfi domestici a servirlo e riverirlo; non aveva mai potuto dire ciò che pensava né esprimersi come avrebbe voluto, solo ripetere a macchinetta gli insegnamenti del padre quasi fossero ancora ai tempi della regina Vittoria. Eccellente Serpeverde, nulla da dire, ma con un’idea di educazione leggermente strana.
Ecco perché aveva deciso di spedirgli quel pacco, proprio quella mattina.
Draco lo aveva preso tra le mani, il peso gli era famigliare; una lettera profumata al narciso aveva catturato la sua attenzione.

Buongiorno, Draco,
spero tu stia bene lì al castello. Ti avrei tanto voluto qui, anche se solo per poco, ma come ben sai non si può contraddire tuo padre quando ha preso una decisione.
Ho pensato molto a come rendere le tue giornate più piene e piacevoli, da quando ho scoperto saresti stato tutto solo; non travisare le mie parole, non ti sto considerando debole, l'assenza di amici con cui passare il tempo è solo un dato di fatto. E ciò che c'è nel pacco mi auguro ti faccia compagnia.
Mi sono consultata con tuo padre prima di spedirtelo, non è stato facile convincerlo a lasciarmi agire, per cui spero che ne sia valsa la pena.
Passa delle buone vacanze, e lascia il tuo cuore libero di esprimersi, perché ha molto da dire.
Con affetto, mamma.


Draco aveva sempre avuto la certezza che sua madre non lo considerasse un debole, era il suo bambino e lo sarebbe sempre stato, per cui non lo aveva infastidito la sua preoccupazione, anzi; inoltre, non c'era nessuno con cui mostrarsi spavaldo, quindi poteva anche permettersi di gongolare un po' per le attenzioni di Cissy.
Era stato definito egoista, vanitoso, egocentrico, il Principe delle Serpi che otteneva tutto ciò che desiderava con uno schiocco delle dita; era un purosangue, appartenente a una delle famiglie di maghi più importanti e antiche della storia nonché discendente di Salazar Serpeverde; meritava il comando, il prestigio. Tutto.
Solo Narcissa sapeva che Draco era diventato così a causa degli insegnamenti di Lucius, che la sua natura era ben diversa, che la sua anima aveva una melodia malinconica e delicata.
Suo padre non lo sarebbe mai venuto a sapere. Prima di Draco, doveva essere Malfoy.
Il bambino aveva appoggiato quel foglio profumato sul letto, cominciando ad aprire il regalo; a terra prima il nastro color dello smeraldo, poi la carta d'argento.
La custodia era ruvida al tatto, proprio come se la ricordava. L'aveva aperta lentamente, posando lo sguardo sull'oggetto al suo interno. Negli occhi grigi, una scintilla che gli illuminava il viso.
Il legno liscio, le corde tese, le iniziali DLM incise con la magia. Il suo violino. La sua voce.
Sorrise.



NdA
Anche questo è più un capitolo introduttivo che altro, e avrei anche potuto metterlo nel primo con il pov di Harry, ma ci tenevo che Draco avesse un capitolo tutto per sé ^^
Spero che vi sia piaciuto: ci ho lavorato molto, ma sono soddisfatta del risultato, dai. Sarei curiosa di sapere il vostro parere a riguardo ^^
Ringrazio di cuore chi ha messo la storia tra le seguite, chi tra le ricordate e chi ha recensito il capitolo 1: le vostre parole sono state per me una grande gioia, grazie :)
Un bacio, merrow :*

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


I passi leggeri si fermarono, appena udirono le note. Accarezzavano l’aria come una piuma, ma graffiavano il tempo, dando vita a una melodia aggressiva dalle sfumature malinconiche, ma delicata.
Harry ne era affascinato, si fece rapire da quella sinfonia sconosciuta e la seguì come se non gli importasse di null’altro al mondo. Vagò per i corridoi nascosto dal Mantello, giunse all’aula dalla quale proveniva quella musica; fortunatamente la porta era aperta quel tanto che bastava affinché entrasse senza sforzo. Inoltre, gli sarebbe dispiaciuto infastidire il suonatore: voleva solo che continuasse, fino all’alba e anche oltre.
Lo sguardo verde di Harry si era subito posato su di lui: i capelli biondi baciati dalla luna sembravano ancora più bianchi e sottili, la pelle ancora più diafana e delicata, gli occhi ancora più grigi e profondi. Con il violino appoggiato alla spalla e l’archetto in mano non sembrava proprio quel bambino arrogante e pieno di sé che il primo giorno di scuola aveva malamente offeso Ron.
Harry continuò ad avanzare catturato verso l’inconsapevole Draco, ma non fece attenzione al banco; ne urtò lo spigolo con la coscia, e il dolore fu così improvviso e acuto che non seppe trattenere un urlo.
Draco smise di suonare all’istante con un grido soffocato. “Chi c’è?”
Harry si era rannicchiato su sé stesso a terra, con le lacrime agli occhi, e fece di tutto per non fiatare, per non combinare ulteriori guai. Se Malfoy lo avesse scoperto…
“Chi c’è?” domandò ancora quello con voce isterica. Non gli piaceva, evidentemente, dover ripetere le cose. Ma Harry non si mosse, continuando a tacere.
L’altro bambino ripose il violino nella sua custodia, afferrando la bacchetta. “Se non esci subito fuori, giuro su Salazar che chiuderò a chiave quella maledetta porta e lancerò Schiantesimi per tutta la stanza finché non ti prenderò”
Silenzio. Anzi no, lievi respiri. Patetico. “So che ci sei, è inutile che ti nascondi”
Harry stava morendo di vergogna, era stato scoperto manco avesse cinque anni. Ma cosa poteva fare, se non starsene muto e aspettare che Malfoy se ne andasse? Rivelarsi e condannarsi a sette anni di prese in giro? Ne avrebbe volentieri fatto a meno. Sapeva però che la piccola serpe non stava scherzando, glielo leggeva nella tempesta che aveva al posto delle iridi, e non voleva giocare al gatto col topo con lui. Non di notte, non fuori dagli orari, non rischiando una punizione di dimensioni gigantesche. Che leone, eh?
“Non mettere alla prova la mia pazienza. Esci immediatamente!” sebbene lo nascondesse con maestria, Draco era terrorizzato. Qualcuno lo aveva visto, lo aveva visto suonare. Nessuno doveva saperlo, nessuno! Se la voce si fosse sparsa… non voleva nemmeno pensarci: addio alla gloria, addio al prestigio, addio a tutto. Sua madre non lo aveva specificato nella lettera di Natale, ma era ovvio che nessuno dovesse scoprire la sua passione. Il figlio di Lucius Malfoy, il suo unico erede, che si dilettava a suonare il violino come una stupida ragazzina sarebbe stato uno scandalo in piena regola. Certo, i suoi genitori... anzi, sua madre e basta - dal padre riceveva più che altro indifferenza - lo aveva sempre motivato a continuare perché era davvero bravo, ma sempre e solo tra le mura domestiche.
“La Comunità Magica dovrà esserne tenuta all’oscuro” Erano state le prime parole del padre quando Draco gli aveva chiesto un violino. Aveva solo tre anni e mezzo, ma non aveva dimenticato.
Non ricevendo risposta, puntò la bacchetta verso la porta e aprì la bocca per pronunciare l’incantesimo.
“E va bene, esco” Harry si tolse il mantello, alzandosi da terra. “Ciao, Malfoy”
“P-Potter?” Draco era esterrefatto. “Che diavolo ci fai qui? Non so se l’hai notato, ma mezzanotte è passata da un pezzo, non dovresti essere nel tuo lettino al calduccio a quest’ora?” ghignò incrociando le braccia.
“La mezzanotte è passata anche per te, mi pare. Che c’è, avevi paura del buio, nei tuoi sotterranei?”
“Non hai risposto alla mia domanda” disse Draco sulla difensiva. Effettivamente, un po’ di paura del buio ce l’aveva. Ma era normale, a undici anni, anche per un Serpeverde.
“Nemmeno tu” Harry non aveva intenzione di dargliela vinta, non poteva rivelare che la sua musica gli era piaciuta. Aveva letto da qualche parte che la musica è il linguaggio universale dei sentimenti e delle emozioni e associarne di belle a Malfoy era quanto meno surreale. E imbarazzante, a dirla tutta.
“Che vuoi, Sfregiato?” Draco era furioso.
“Ehi, calma, non c’è bisogno di scaldarsi tanto” Harry non capiva: lo aveva interrotto è vero, e gli aveva fatto prendere un colpo, ma nulla di così imperdonabile. Si detestavano dal loro secondo incontro, nessuno dei due smaniava dalla voglia di rimanere solo o parlare con l’altro, si ignoravano il più delle volte e di tanto in tanto si stuzzicavano. “Vagavo per i corridoi, ho sentito della musica e sono venuto a vedere”
“E non hai pensato che, forse, chi suonava avesse scelto di suonare di notte proprio per non venire disturbato dal primo deficiente? È allucinante, Potter!”
Harry restò a bocca aperta: la reazione di Malfoy era davvero esagerata. “Non avevo intenzione di disturbare sua maestà, anzi credevo di averti fatto una specie di complimento. Secondo te, uno che vaga per i corridoi di notte interrompe la sua passeggiata per una melodia da quattro galeoni?”
“Ma che ne so io!” Draco era arrossito, anche se arrossire per lui voleva dire acquisire un colorito roseo da persona normale sugli zigomi. Sapeva benissimo che la sua musica valesse molto di più di quattro galeoni, ma l’unica persona che glielo aveva detto era stata sua madre, e lei era ovviamente di parte. Suo padre non si era mai espresso a riguardo, e Dobby non aveva il diritto di poter proferir giudizio.
Quindi, a occhio e croce, quello di Potter era il primo vero complimento che riceveva. Assurdo.
E ne era pure onorato. Più che assurdo.
A lui non importava un fico secco né del Bambino Sopravvissuto né della sua opinione, gli bastava solo che tenesse chiusa quella bocca. “Guai a te se ne fai parola con qualcuno”
“Del fatto che non sai se una passeggiata notturna possa essere interrotta da una melodia?”
“Ci sono volte in cui mi chiedo se ci sei o ci fai, Potter”
“Non si può più scherzare, ora?”
Draco sospirò infastidito. “Non su una cosa così importante. Dì ad anima viva che sono un violinista e te la strappo a morsi quella lingua, chiaro?”
Il suo sguardo non ammetteva repliche. “Va bene, anche se non capisco perché ti scaldi tanto”
“Non ti riguarda. Ora sparisci” rispose più freddo e del ghiaccio e più duro del diamante, e si girò di nuovo verso la finestra, posando la bacchetta sul davanzale. Non aveva intenzione di andarsene.
Harry prese alla lettera le sue parole, si rimise il Mantello e uscì dall’aula silenzioso. Passi leggeri.
Le note ricominciarono a riempire l’aria qualche istante dopo.



NdA
Finalmente posso dire che la storia è iniziata per davvero, e la cosa mi rende felicissima :)
Questa è stata la prima scena che mi è venuta in mente, quella che ha dato vita alla storia, ed è un capitolo cui tengo molto proprio per tal motivo.
Non è proprio un approccio facile il loro, sono due bambini cocciuti e orgogliosi, ma tanto tanto teneri e io me li spupazzerei tutto il tempo - non sono solo io a pensarla così, vero? ^^”
Questo capitolo doveva essere un tutt'uno con il 4, che arriverà salvo imprevisti lunedì prossimo, ma poi ho preferito dividerli. Spero lo stesso vi sia piaciuto! ^^
Ringrazio chi segue e ricorda questa storia, chi solo di passaggio legge in silenzio (sappiate che non mordo) e chi ha recensito lo scorso capitolo :)
Un bacio, merrow :*

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Potter era sparito, così come era apparso.
Draco era attratto da quello strano Mantello che rendeva invisibili e non vedeva l’ora di scoprirne qualcosa in più, ma per il momento gli interessava solo essersi tolto di torno quel rompiscatole. Aveva interrotto il primo incontro dopo diverse settimane tra lui e il suo violino.
Dopo che Narcissa glielo aveva spedito, aveva aspettato fino a quel momento a prenderlo in mano, ma non sapeva bene il perché. Paura, forse, o ansia: e se quei giorni di inattività lo avessero arrugginito? Non poteva vivere senza quel violino, era il prolungamento del proprio braccio, ed era stato durissimo separarsene prima di entrare a Hogwarts. Si era rassegnato, per Merlino, rassegnato ad abbandonare la musica per sempre.
Lei però lo aveva seguito, non aveva accettato di lasciarlo andare, era tornata da lui all’improvviso. E Draco sapeva che non avrebbe sopportato un altro addio. Ecco perché aveva ignorato lo strumento. Almeno fino a quella sera.
Ricominciando a suonare con lo sguardo rivolto alla luna, sospirò. Potter non poteva parlare, non poteva, non poteva permettersi di rovinargli la vita. Già una volta lo aveva umiliato pubblicamente, rifiutando la mano che gli era stata posta davanti a tutti i bambini del primo anno, non avrebbe accettato che lo facesse ancora.
Avrebbe provato rancore a vita per Potter solo per avergli rubato il posto che gli spettava di diritto, quello di più popolare della scuola - Lucius non ne era affatto contento, e Draco odiava deludere suo padre -, qualsiasi altro smacco sarebbe stato pagato caro. Poco ma sicuro.
Le note erano forti e secche, si imponevano le une sulle altre, ma erano dotate lo stesso di grazia ed eleganza; nascevano con lo scopo di essere ascoltate e apprezzate, con la consapevolezza della propria magnificenza e senza riuscire a immaginare una melodia più bella della loro. Sapevano di essere destinate alla notte, unica spettatrice di quel concerto solitario, non sarebbero arrivate al cuore di nessuno, ma era meglio così.
Quella parte di Draco doveva appartenere solo alla luna.

*

Harry non aveva mai avuto intenzione di andarsene, la curiosità era troppa. Non riusciva a immaginare che Malfoy potesse dar vita a quella cosa stupenda, non con il cuore di ghiaccio che si ritrovava, e doveva avere la conferma che non fosse stato tutto uno scherzo di cattivo gusto. Non si sarebbe stupito in tal caso, forse la serpe aveva solo voluto prendersi gioco di lui nella noia di quei giorni.
Ma in cuor suo sapeva che le cose non stavano così.
La reazione dell’altro bambino non poteva essere stata una recita.
Tentando di imitare le fate in leggerezza, si riavvicinò alla porta che aveva lasciato aperta, e osservò Malfoy. Di nuovo, aveva lo sguardo rivolto alla luna, gli occhi leggermente lucidi. Per un breve attimo, Harry si perse a fissarlo, dimenticando chi fosse: in quel momento, era un bambino solo cresciuto nell’egoismo che dava sfogo ai suoi sentimenti. Ed era bellissimo.
Harry sentì le guance scaldarsi, e si schiaffeggiò mentalmente: non importava chi fosse a suonare, ma cosa venisse suonato e quale significato avesse. Un altro schiaffo.
Quella melodia gli entrò fin dentro le ossa, con l’impetuosità di un fiume in piena. Frustrazione per qualcosa che non aveva e che mai avrebbe potuto avere, rabbia per un rifiuto che aveva ricevuto, malinconia per la solitudine che era costretto a vivere, tristezza per la consapevolezza di aver deluso qualcuno di importante a causa di qualcosa di irrinunciabile. L’egoismo e la vanità di Draco venivano fuori tutti da quelle note, Harry però riuscì a intuire l’insicurezza e l’infelicità dietro di essi, si rese conto che per quei quattro mesi - anzi, forse per tutta la vita - Malfoy aveva sempre indossato una maschera.
Maschera che veniva tolta solo durante la melodia del violino.
Grazia ed eleganza contornavano e reggevano il tutto, come colonne portanti.
Harry si sentì un po’ in colpa, gli sembrava di violare l’intimità dell’altro stando ad ascoltare senza permesso quella manifestazione di anima e sentimento, ma nonostante ciò i suoi piedi non si mossero, piantati al suolo. Per la prima volta, vedeva Draco Malfoy.
Ed era… devastante.
Improvvisamente l’archetto cessò di strofinare le corde, le dita si bloccarono, il mento si staccò dal legno. La luna era stata nascosta da una nuvola portata dal vento.
Approfittando della distrazione di Draco, Harry corse via silenzioso per i corridoi tentando di non piangere.

*

Draco si ritrovò inspiegabilmente a sorridere, udendo quel leggero rumore di passi. Potter doveva fare molta pratica per riuscire a metterlo nel sacco, era davvero troppo stupido e ingenuo.
No, non avrebbe parlato, e fu solo grazie a questa certezza che non si mise a rincorrerlo per Schiantarlo.



NdA
Capitolo più corto degli altri, d'altronde avrebbe dovuto essere un tutt'uno con il terzo; spero nonostante ciò che vi sia piaciuto ^^
E' stato un po' difficile da scrivere, la musica parla per emozioni e non per parole, e qui è lei la protagonista - almeno, nella mia testa doveva essere così ahah, quindi mi auguro anche nella vostra ^^”
Ringrazio le persone che leggono, seguono, ricordano e recensiscono: mi fa sempre molto piacere leggere i vostri commenti, sono un grande incentivo a continuare :)
Penso di aver detto tutto, quindi… per ora vi saluto, gente!
Un bacio, merrow :*

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


La neve cadeva silenziosa, ricopriva tutto con il suo bianco luccicante. I prati, gli alberi, la capanna di Hagrid e i tetti del castello. Tutto era bianco.
Aveva iniziato a nevicare la notte dopo l'incontro tra Draco ed Harry, e al mattino i pochi studenti rimasti a Hogwarts erano rimasti estasiati di fronte a quella meraviglia di candore. La colazione quasi non era stata toccata, e tutti erano usciti: chi si rincorreva, chi giocava a palle di neve, chi faceva pupazzi cercando rametti e sassolini qua e là, chi si buttava a terra a fare l'angelo. Per diversi giorni l'entusiasmo era stato palpabile, poi man mano era andato scemando. Senza gli amici più cari non era poi così divertente giocare, e tirare le palle di neve ai fantasmi non dava alcuna soddisfazione.
Harry aveva tentato in ogni modo di tirare giù Ron dal letto in quei giorni, ma l'amico pel di carota proprio non voleva saperne: Ginny gli aveva spedito via gufo un voluminoso libro sui Cannoni di Chudley, la sua squadra di Quidditch del cuore, e per nulla al mondo lo avrebbe mollato sul divano a far polvere per della semplice neve; alla Tana, dove viveva lui, l'odiata neve portava solo scompiglio. Inoltre, faceva freddissimo: motivo in più per votarsi al calduccio del letto.
Harry decise di provarci un'ultima volta. “Dai Ron, ti prego. Solo dieci minuti”
“Scusa amico, ma non posso assolutamente interrompere questo capitolo ora. Magari più tardi”
“Si, certo” Quante volte aveva già sentito quella scusa? Forse sette. Sì, sette. E ne aveva piene le scatole.
Senza dire una parola, indossò la mantella pesante e uscì.
Harry non aveva mai visto la neve, non l'aveva mai toccata né tanto meno calpestata. I suoi zii lo chiudevano nello sgabuzzino oscurando le finestre: cosa avrebbero detto i vicini, se lo avessero visto nello stesso prato di Dudley a divertirsi? Vernon e Petunia inorridivano al solo pensiero che Harry potesse rubare la scena al loro dolce e tenero bambino. E poi, il figlio di quella scellerata che aveva perso la testa per un mago da quattro soldi non meritava certo quel trattamento di favore. Ergo, niente neve per Harry.
Era morbida, il piede affondava con facilità, ma faceva uno strano rumore simile alla pergamena accartocciata. Si trovò con i calzini zuppi dopo pochissimo tempo, per non parlare delle scarpe. Si adombrò, Ron poteva anche prestargli i suoi scarponcini, che tanto giacevano in fondo all'armadio intonsi, per evitare che bagnasse completamente l'unico paio che aveva.
Provò un certo fastidio nei confronti del compagno di stanza ma la sensazione passò quasi subito: non voleva rovinarsi quel momento da tanto atteso, anche se non poteva condividerlo.
Harry fece spallucce tra sé e sé, in cortile non c'era anima viva. Aprì la mano, per accogliere un fiocco tra le dita. Si sciolse praticamente all'istante, lasciando una piccola goccia d'acqua. Acqua.
Chissà il Lago, com'era. Camminò fino alle sue sponde, e rimase abbagliato dal riflesso del sole su di esse. Si avvicinò all'acqua, che nonostante il freddo polare non era ghiacciata: sicuramente era una magia creata per far continuare a vivere quella piovra gigante che abitava i fondali.
Prese un sassolino e lo lanciò lontano, semicerchi concentrici iniziarono a prendere vita e a muoversi.
“Sei una persecuzione, Potter”
Quel tono altezzoso poteva appartenere a una sola persona. Draco Malfoy era seduto su un masso più grande a pochi metri da lui, avvolto nella mantella e nella sciarpa. La punta del naso stava colorandosi di rosso.
“Non ti avevo visto” si giustificò, ma la voce era atona.
Nemmeno Draco voleva fare conversazione, così stettero in silenzio a osservare il Lago. Era così calmo, così a suo agio tra tutta quella neve. Harry sapeva che il Serpeverde era andato in quel luogo per trovare quiete e tranquillità e pensare in solitudine, ma non riusciva a muoversi. Esattamente come qualche notte prima.
“Non lo dirò a nessuno” mormorò scrutando l'orizzonte.
“Lo so” ed era vero. Draco non aveva bisogno di conferme, la lealtà dello Sfregiato era innegabile, e poi gli aveva già dato la sua parola in quell'aula.
Anche se aveva solo undici anni, un po' di conti sapeva farli: Potter era lì da solo, con le scarpe zuppe, a lanciare sassolini nel Lago senza nessun capello rosso o lentiggine nei paraggi. Qualcosa sicuramente non andava. “Non ti sei portato dietro Nanny Lenticchia?”
Lo smeraldo divenne cupo. “Sei dotato di occhi anche tu, puoi vederlo da te che Ron non c'è”
“Già non ti sopporta più, eh, Potter?”
L'interpellato fece spallucce. “Non lo so, dovresti chiederglielo quando lo vedi”
“Ma per piacere, mi vien da vomitare al solo pensiero!” e fece un'espressione schifata. L'atmosfera era tesa, e la cosa lo infastidiva.
Harry non sapeva cosa gli fosse preso, sentiva solo la rabbia montargli dentro. Rabbia per quell'imbecille di Ron, che non capiva quanto lui avesse bisogno di un amico; rabbia per Malfoy, che con quel fare arrogante pensava solo a sé stesso; rabbia per Voldemort, che gli aveva tolto la sua famiglia; rabbia per i Dursley che lo avevano fatto vivere peggio di un carcerato. Aveva davvero creduto che lì, ad Hogwarts, con quel preside che gli stava tanto simpatico, avrebbe trovato quello che gli era sempre stato negato?
“Se vuoi litigare, Malfoy, basta dirlo”
“Lo hai già fatto con pel di carota, non sei psicologicamente pronto a farlo con me” e sorrise strafottente.
Suo malgrado, anche a Harry venne da sorridere. “Hai ragione”
“E anche molto freddo, a dirla tutta. Quindi, ti farò un'ultima domanda prima di rientrare: davvero trovi che la mia musica valga più che quattro galeoni?” e lo guardò speranzoso. Anche Draco Malfoy, in fondo, era un ragazzino curioso; era innegabile volesse sentirsi fare dei complimenti da Potter, ma questo non lo avrebbe ammesso per tutti i galeoni del suo conto in banca.
Harry annuì serio. “E' il tuo ritratto”
Un ghigno. “Non capisci proprio niente allora, Potter. Se è il mio ritratto, può solo essere orribile”
“E' il ritratto di Draco, non di Malfoy” e lo smeraldo si fuse con l'argento. “La musica è il suono dell'anima, e la tua è quasi indescrivibile” e questa da dove gli era uscita? Arrossì immediatamente, proprio come il diretto interessato.
Di colpo, la rabbia era sparita; esistevano solo Draco e il suo rossore a imporporargli gli zigomi.
E qualcosa di indefinito e caldo nel petto.
Il Serpeverde dal canto suo non poté far altro che fissarlo, mentre un miscuglio di emozioni si agitava dentro di lui. Cosa fosse lo avrebbe scoperto solo molto tempo dopo.
“Tu suoni qualche strumento?” domandò, incapace di continuare il discorso precedente.
“Mi sarebbe piaciuto, ma non tutti hanno il papà ricco che paga” e non poté trattenere l'aspro nella sua voce mentre lo diceva.
Subito Malfoy si chiuse a riccio. “Cosa vorresti dire con questo?”
“Voglio dire che la gente normale deve fare sacrifici per ottenere quello che vuole, mentre alla gente come te basta fare un salto alla Gringott. Voglio dire che io sono cresciuto con le cose smesse di mio cugino, tu con il mondo a tua disposizione. Voglio dire che io sono stato picchiato fino allo svenimento quando ho chiesto allo zio cosa fosse quel suono che sentivo provenire dalla casa del vicino”
Aveva bisogno che qualcuno lo sapesse, ma forse non scelse proprio il momento giusto. Draco scattò in piedi e gli puntò un dito contro. “Mi dispiace per te, Sfregiato, ma mi duole dirti che tu non sai niente. A mio padre importa solo che la Comunità Magica non sappia di questo mio 'sciocco passatempo' che tanto ha già i minuti contati. Sì, è vero, ho il mondo a disposizione, ma non accusare me per la situazione che hai vissuto”
Si guardarono in cagnesco, confusi per come il tutto fosse precipitato. Tra loro non avrebbe potuto esserci altro che questo, lo scontro: i loro contorni cozzavano, non si incastravano per niente, e la sensazione calda all'altezza del cuore era solo un'illusione, la quiete prima della tempesta.
Senza dire una parola, Harry tornò verso il castello mentre Draco, dimentico del freddo, scagliò con violenza una manciata di sassi verso il sole splendente.



NdA
Eccoci ancora qui! ^^
Non ho molto da dire su questo capitolo, penso sia abbastanza eloquente da solo. Emerge chiaramente che io non sopporto Ron e Ginny (e i Dursley, ma sono scontati), quindi chiedo perdono a tutti coloro a cui, invece, i due fratelli Weasley piacciono.
Ringrazio sempre chi si ferma un attimo a leggere e (magari) anche a commentare, chi ha inserito la storia nelle seguite e chi ce l'ha tra le ricordate; grazie mille, infine, a chi ha recensito lo scorso capitolo.
Mi auguro che il dialogo al Lago tra Harry e Draco vi sia piaciuto :)
Un bacio, merrow :*

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Dopo il loro incontro al Lago, Harry e Draco non avevano più parlato. Non di quegli argomenti, almeno. Le frecciatine, gli insulti non proprio velati, l'ostilità palpabile tra loro: sembrava quasi ognuno vivesse per dare fastidio all'altro e stuzzicarlo e per le piccole risse in mezzo ai corridoi. Era di routine, ormai.
Nonostante ciò, però, Harry non aveva mai detto una parola a nessuno, nemmeno a Ron o a Hermione, sul talento di Malfoy. Non sapeva bene il perché, ma una promessa era una promessa indipendentemente dalla persona cui la facevi, e poi era segretamente contento di essere l'unico, a Hogwarts, a conoscenza del segreto di Malfoy. Li rendeva complici, in un certo senso, anche se appartenenti ai due fronti opposti in battaglia.
Draco, d'altro canto, aveva quasi dimenticato che Potter sapesse. Più che altro, aveva voluto dimenticare che Potter sapesse, ma non ci era totalmente riuscito; tuttavia, lo Sfregiato continuava a tacere e questo bastava.
Draco non aveva più suonato di notte al castello, ma solo tra le spesse e fredde mura del Manor durante le vacanze, vacanze che Silente si ostinava a fare nei periodi di festa babbani con sommo disprezzo di Lucius, il quale mal concedeva al figlio di tornare a casa, e solo e unicamente per amore di Narcissa.
La sua musica non ne aveva risentito, era sempre malinconica e a volte dilaniante da quanto era intensa, ma lui sì. Lui aveva iniziato a spegnersi, lasciando sempre più spesso che la polvere si addormentasse sul violino ben riposto nella sua scatola.
Aveva chiuso la sua sensibilità in una gabbia di egocentrismo, incatenato la sofferenza facendola passare per sufficiente fastidio, dimenticato volutamente cosa fosse la voglia e il piacere di suonare. Si era convinto che la sua passione avesse il valore di un capriccio, e come tale aveva iniziato a trattarla, anche se lei cantava sempre con la stessa emozione. È solo per la mamma, si ripeteva, solo per la mamma.
Si stava mutilando, lo sapeva, ma non poteva farci niente.
Era stato solo quando aveva iniziato a frequentare quei due energumeni di Tiger e Goyle che aveva compreso appieno le parole di suo padre, mormorate con distacco tanti anni prima.
Si era scoperto che Theodore Nott, oltre che per Incantesimi, avesse una sconfinata passione per l'arte; il suo compagno di stanza lo aveva spiattellato ai quattro venti gettandolo nel ridicolo, ed erano subito iniziate le risate di scherno, i commenti di cattivo gusto, degli osceni schizzi di vernice o sul suo banco o direttamente alla lavagna. Per mantenere un certo rispetto tra i Serpeverde e dimostrare che nonostante fosse poco più che un bambino aveva fegato e non aveva paura di niente, che era un duro, si era aggregato a Tiger e Goyle dando il via a una seconda ondata di scherzi per Nott.
Ecco perché aveva riportato il violino a Malfoy Manor, per evitare che gli succedessero le stesse cose di quel Theodore, che nemmeno era tanto male come compagnia a lezione. Non voleva che gli venisse distrutta una delle cose più belle della sua vita: se avesse mai voluto smettere con il violino, lo avrebbe fatto per sé stesso e per decisione sua, non perché tutto era stato annegato in escrementi di gufo gettati a palate.
Prima c'era Malfoy, poi Draco. La musica apparteneva al secondo, per cui andava messa da parte.
C'era solo una maschera pallida, con le occhiaie bluastre dovute all'insonnia, con le labbra screpolare sempre stirate in un ghigno cattivo che nascondeva un sorriso timido, con gli occhi grigi opachi e senza luce; le dita affusolate e fredde non avevano più nulla da stringere, ma solo qualcuno da indicare e schernire. La polvere non solo si accumulava sullo strumento, ma sullo stesso musicista, che ormai viveva solo di cattiveria. Finta, certo, ma costruita ad arte, per conservarsi un posto nella creme de la creme.
Crescendo, aveva perso sempre più quella sensibilità che solo Narcissa sapeva esistere, aveva ricristallizzato il suo cuore togliendogli la voce una seconda volta, aveva detto al padre che avrebbe smesso per dedicarsi anima e corpo agli affari di famiglia; Lucius aveva sollevato gli angoli della bocca e annuito, orgoglioso di quel figlio che aveva già capito che, specialmente di quei tempi e nella loro posizione, apparire fosse ben più importante che essere.
Dopo quelle parole, Draco aveva incrociato lo sguardo della madre, ben conscio di averla delusa. Invece, la donna si era avvicinata e gli aveva passato una mano tra i capelli. “Se per te va bene così, allora va bene così. E quando un giorno, forse, vorrai riprenderlo in mano, sappi che sarà al suo posto ad attenderti”
“Grazie, madre, me lo ricorderò”
Quel giorno, era ufficialmente nato il Principe delle Serpi, e Hogwarts poteva solo tremare.
Nessuna nota aveva più danzato nell'aria dei corridoi, almeno fino al quarto anno.
Ma non era di un violino.
Per i due anni successivi quella musica aveva tenuto sveglio Draco praticamente ogni notte; la sentiva flebile e lontana, di certo l'ignoto suonatore dava sfogo alla sua creatività in ali del castello abbastanza lontane dai sotterranei dei Serpeverde, però la sentiva.
Provava sentimenti contrastanti a riguardo. Da una parte, c'era l'invidia e la rabbia per aver dovuto soffocare quella parte di sé legata alla musica, mentre dall'altra c'era l'ammirazione e l'attrazione per quelle note. Più volte aveva avvertito l'impulso di uscire da sotto le coperte e andare a cercarlo, ma lo aveva sempre represso.
Andrò domani si ripeteva, girandosi nel letto.
Ma presto non ci fu più un domani. Il misterioso musicista smise di suonare alla fine del quinto anno.
C'erano state notti silenziose, in quei due anni, ma mai si era verificato un intervallo di pausa così lungo.
Draco si rassegnò, e mentì anche a sé stesso per un breve periodo raccontandosi che era meglio così, poteva finalmente dormire in pace. Poi si rese conto che il silenzio era il peggiore degli urli.
Si chiese perché, perché il suonatore avesse smesso, perché lui ne fosse dispiaciuto, ma soprattutto perché la musica lo avesse di nuovo lasciato solo, una zattera in mezzo al mare in tempesta. Dopo la rinuncia, c'era stato il sollievo. Ma dopo il sollievo, era inevitabile ci fosse la perdita, no?
Fortunatamente, la sua mente venne in seguito impegnata dall'Oscuro Signore e dal compito affidatogli.
Solo allora Draco si ricordò di quel dettaglio e di quelle parole a cui mai prima d'allora aveva fatto caso.
Aveva appena ricevuto il Marchio, il serpente sembrava stritolare il suo avambraccio dopo aver infettato il sangue con il suo veleno. Veleno che aveva un solo nome, che ancora non riusciva a pronunciare. Dolore, lancinante e accecante, e la sua pelle nivea era stata macchiata. Contaminata per l'eternità, come d'altronde lo era la sua anima. Sporca e perduta.
E tra tutto quel dolore sopportato senza versare una lacrima o lasciar sfuggire un lamento dalle labbra, con tutto quel freddo che si era impossessato dell'intero suo essere in netto contrasto con il fuoco che sentiva sulla pelle del polso, aveva osservato quelle lunghe dita pallide e gelide, e di colpo aveva collegato.
Non era un caso che la melodia notturna fosse iniziata e fosse finita proprio in quei periodi.
Nel cuore della notte, assistito dalla luna, la mano che tremava per la ferrea stretta del serpente che usciva dal teschio, con l'inchiostro aveva affidato a una pergamena un messaggio che, una volta inviato, non ricevette mai una risposta.

Mi dispiace, suonatore.



NdA

Questo capitolo doveva essere su Harry all'inizio: avevo in mente tutto, cosa sarebbe successo e i pensieri che avrebbe avuto, ma mi è bastato nominare Draco una volta sola che, beh, il risultato lo avete letto ^^” che ci volete fare, lo amo alla follia <3
E' stata comunque dura scriverlo, è stato modificato un sacco di volte, ma ora è qui pronto per voi! Spero vi sia piaciuto e, perché no, anche un po' emozionato ^^
Grazie a chi ha messo la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite, chi ha recensito il capitolo precedente e, soprattutto, a tutti coloro che leggono anche in silenzio.
Un bacio, merrow :*

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Quel suono era così bello, così delicato, eppure intenso ed emozionante; il suo vicino ci sapeva fare, senza dubbio. Ma con cosa esattamente, Harry lo aveva sempre ignorato; che strumento producesse quel fiume di sentimenti, Harry non lo aveva mai capito. Nei vecchi giornali o nelle consumate riviste di gossip che ogni tanto raccattava in giro per casa (più per far passare il tempo in quello sgabuzzino che altro) ci potevano essere tutte le immagini che voleva, ma i suoni ovviamente no.
Aveva 6 anni, e il vicino si stava destreggiando in quella che solo in seguito Harry avrebbe saputo essere una delle più celebri composizioni di musica classica; era uno di quelle rarissime sere in cui gli era permesso di uscire dallo sgabuzzino, e ne aveva approfittato per guardare fuori dalla finestra aperta tutto il tempo, la calda brezza di luglio mescolata a quelle note affascinanti.
“Cosa suona il nostro vicino?” aveva chiesto senza rendersene conto. Si era morso la lingua e irrigidito, gli era vietato parlare quando era fuori dal sottoscala; non venivano tollerati nemmeno i sì e i no, figuriamoci le domande.
Il rumore di una cintura che lasciava i passanti dei pantaloni per venir presa in mano. “Hai osato parlare?”
Harry aveva deglutito, e si era voltato verso lo zio; erano solo loro due in casa. Non aveva risposto, tanto non avrebbe cambiato nulla.
I colpi erano arrivati uno dopo l'altro, finché non aveva perso coscienza, ma dentro di sé non aveva sentito niente. Solo vuoto. Perché per quanto potesse non importargli ciò che gli stava facendo e ciò che gli era stato fatto in passato, non sapeva se avrebbe resistito a lungo. Non con la sua costituzione gracilina e le pessime abitudini alimentari.
Invece, contrariamente alle aspettative, aveva resistito per altri 7 anni.
Aveva toccato il cielo con un dito, quando era arrivato Sirius. Sirius che non era un assassino; che gli aveva lasciato casa sua, il 12 di Grimmauld Place, per evitare che continuasse a vivere - se vita poteva essere chiamata - a Privet Drive; che gli voleva bene come quel padre che mai aveva avuto.
Harry aveva sperato con tutto sé stesso che il padrino restasse a vivere con lui, ma per la legge Sirius Black era ancora colpevole e quindi gli era impossibile evitare di fuggire lontano con l'ippogrifo Fierobecco.
“Verrò a trovarti a Natale e a Pasqua, oltre che nelle vacanze estive, d'accordo?” gli aveva detto prima di spiccare il volo. E Harry non aveva potuto far altro che annuire.
Lo rivide nelle vacanze natalizie del suo quarto anno, che si era rivelato molto più interessante e eccitante del previsto grazie al Torneo Tre Maghi. Harry giunse a Grimmauld Place la sera del 22, Sirius due giorni dopo: avrebbero avuto due settimane da passare insieme in gran segreto.

*

“Parlami di mio padre”
Harry era rannicchiato sul divano in pelle davanti al caminetto acceso, vicino al quale era seduto Sirius; dopo Azkaban, non riusciva a farlo in nessun altro posto che non fosse il pavimento duro. I suoi occhi si accesero.
“Vieni” e lo condusse al piano superiore, nella camera chiusa in fondo al corridoio. “Tuo padre dormiva qui”
Il letto a una piazza era contro il muro, un bellissimo pianoforte a coda dominava la stanza.
“Mio padre suonava?” chiese incredulo muovendo due passi verso lo strumento.
“Oh, no, James non aveva un briciolo di pazienza per certe cose” rise Sirius. “Suonavo io, per lui”
Harry lo guardò da sopra la spalla, invitandolo tacitamente a continuare.
“Molto spesso si fermava a dormire da me, sosteneva che altrimenti mi sarei sentito solo senza di lui, dato che ero l'unico grifone di casa Black” sorrise amaro, ricordare faceva male. “Appena entrò, guardò prima il piano con sguardo stupito, poi me in cagnesco. 'Sul serio, Pad?' mi chiese melodrammatico, e io gli risposi 'Oh, si, e scommetto non potrai più farne a meno una volta che mi avrai sentito suonare', però mi guadagnai un pugno in testa. Ma avevo ragione”
“Davvero?”
“Eravamo appena tornati da una serata fuori con Remus e Peter, e lui non si reggeva in piedi. Lo buttai sul letto di peso, ma lui mi bloccò e mi supplicò, nel delirio, di suonare per lui. Da quella notte pretese una ninna nanna ogni sera”
Harry sorrise intenerito nel vedere quel lato nostalgico e dolce di Sirius. Lupin gli aveva raccontato di quanto fosse vanesio e adorasse stare al centro dell'attenzione, delle miriadi di lettere d'amore da parte di quasi tutta Hogwarts e degli scherzi che metteva in atto con Prongs ai danni di Piton, per cui mai si sarebbe immaginato di scoprire che, dietro le burle e il divertimento, ci potesse essere quella delicatezza e quella sensibilità. Era il migliore amico di suo padre, lo era anche in quel momento dopo anni dalla sua morte, e nessuno lo aveva conosciuto come lo aveva conosciuto lui.
“Cosa gli piaceva?”
“Di tutto, da Bach a Beethoven, da Chopin a Mozart. Non era di gusti difficili, ma ovviamente i suoi preferiti erano i pezzi più complicati. Mi avrà fatto suonare Sonata al Chiaro di Luna centinaia di volte”
“Vorrei ascoltarla”
Sirius si sedette al piano, e con dita esperte e veloci nonostante gli anni in prigione iniziò a suonare.
E il ricordo di qui colpi di cintura tornarono a bruciare sulla sua pelle.
Si accorse solo quando Sirius terminò l'esibizione di stare piangendo, una lacrima aveva percorso la guancia per poi posarsi sul dorso della sua mano, mentre altre gli inumidivano gli occhi.
“Era questo, allora” mormorò, attirando l'attenzione del padrino.
“Harry” esalò Sirius, non sapendo che fare. “Harry, cos'hai?”
“Era un pianoforte, Sirius, era un pianoforte” sembrava come impazzito. Per anni aveva pensato al suo vicino con la passione per la musica, focalizzandosi sempre sullo strumento anziché sul suono: era logico non ci fosse mai arrivato, ma ora Sirius gli aveva aperto gli occhi, con quella melodia ascoltata alla finestra così tanto tempo prima.
Gli raccontò tutto, senza estromettere nulla. Nemmeno la cintura, il dolore e il vuoto. Vuoto che fu riempito dalle parole di Sirius.
“Vorresti imparare a suonare il piano, Harry?”

*

Sirius era stato un maestro eccezionale, con una pazienza infinita e una giusta severità, ma era riuscito in poco più di un anno a fare di Harry un pianista davvero promettente. Aveva talento, non c'era nulla da dire, e le note sembravano ubbidissero alle sue dita come se non avessero fatto altro nella vita.
Essendo un partecipante al Torneo Tre Maghi e avendo tutti i docenti appurato che non era stato lui a mettere il proprio nome nel Calice di Fuoco, Silente gli aveva concesso sette giorni di riposo al mese, credendo che il ragazzo avesse bisogno di più tempo libero per sopportare lo sforzo della gara.
Lo stesso Silente che comunicava via camino con Grimmauld Place numero 12 ogni due settimane.
Harry trascorreva quei giorni tutti in compagnia del padrino, tra melodie antiche, sinfonie complesse, note piene di emozione e tante, tante storie sui suoi genitori.
Di come James sclerasse ogni mattina perché non riusciva a mettersi a posto i capelli, di quanto alla grossa russasse dopo un'ora nemmeno di studio di Storia della Magia, di come i suoi occhi si illuminassero quando parlava di Lily e dei suoi magnifici occhi verdi. Pomeriggi interi a descrivere le loro uscite nei boschi sotto le spoglie di Animagus, la prima volta che Lily aveva visto il cervo dentro James ed era andata con loro. Sirius, però, non accennò mai a Severus e al particolare interesse che nutriva per la madre di Harry.
E Harry ascoltava, desideroso di sapere sempre di più. Poi suonava, e a Sirius venivano gli occhi lucidi una volta sì e l'altra pure; quando il Grifondoro doveva tornare a Hogwarts, era una sofferenza per entrambi, ma fortunatamente Harry aveva a sua disposizione, a scuola, un pianoforte gentilmente concessogli dal professor Vitious, e quindi poteva evadere dalla realtà tutte le notti che voleva. Il padrino sapeva che lui era felice e gli andava bene così, per cui non aveva problemi a vederlo così relativamente poco.
Nonostante il Torneo, la morte di Cedric, il ritorno di Voldemort, nonostante tutto il dolore che impregnava le loro vite non avevano smesso di vedersi per delle lezioni di piano ogni tanto, più per stare insieme tutto il tempo possibile e non avere rimpianti in futuro che altro.
“Se nella battaglia tu dovessi...” cominciava Harry, ma Sirius lo interrompeva sempre.
“Non prendo nemmeno in considerazione questa eventualità, mio piccolo Beethoven”
Erano arrivati a Grimmauld Place, i Mangiamorte, l'Ordine era dovuto fuggire, era nato l'Esercito di Silente, ma ce l'avevano sempre fatta. Una melodia o due, magari neanche, solo qualche nota, ma ce l'avevano sempre fatta. E di notte lui non aveva mai lasciato il piano freddo.
Poi quel velo aveva cancellato tutto.



NdA
Questa volta sono un po' più lunghette del solito ^^”
Prima di tutto, in questo capitolo ho fatto cenno a una violenza domestica subita da Harry da parte dello zio, spero che la cosa non vi abbia turbato, ho cercato di descriverla più dal punto di vista interiore di Harry e con meno dettagli possibile: nel caso, mi dispiace. Nelle note relative alla storia questo avvertimento non c'è, sia perché questo sarà l'unico episodio violento descritto sia perché, sinceramente, all'inizio non era nemmeno previsto, ma se qualcuno dovesse ritenere che ci vada, me lo dica che provvederò :)
Considerata la storia finora, ho deciso di lasciare solo Draco ed Harry come personaggi. Blaise, Narcissa e Ron sono comparsi e compariranno ancora, ma mi sono resa conto che non sono tra i principali della ff, per cui preferisco togliergli dalla presentazione, scusandomi per il disguido.
Passiamo ora al capitolo in sé. Non si fa minimamente cenno a Draco, me lo sono promessa mentre scrivevo: non potevo permettere che occupasse di nuovo tutta la scena, e soprattutto non volevo che oscurasse Sirius, l'altro mio amore di HP <3 Ci ho lavorato molto e sono contenta del risultato, e spero che vi sia piaciuto ^^ Ringrazio chi l'ha aggiunta alle seguite, chi alle preferite, chi tra le ricordate, chi legge in silenzio e chi ha recensito lo scorso capitolo, mi fa sempre tanto piacere leggere i vostri commenti e le vostre impressioni.
Ultima cosa poi giuro che ho finito: è un periodo un po' pesante a scuola, la maturità si avvicina (aiuto! >.<) e non ho ancora fatto in tempo a finire il capitolo 8, ma spero di farcela per lunedì prossimo. È molto probabile che la storia, inoltre, verrà poi aggiornata ogni due settimane. Grazie, anche per aver letto sin qui!
Un bacio, merrow :*

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Le strade di Londra erano quasi deserte, quella notte, tutti preferivano il caldo del caminetto al gelo di fine novembre. Soffiava un forte vento, che muoveva le nuvole oscurando la luna piena a tratti.
Stretto nel suo lungo cappotto nero, Draco Malfoy camminava lento e a testa bassa, il vento che sembrava accarezzare i suoi capelli biondi.
Era stato a cena da Theodore Nott, ora uno dei pittori più famosi d'Inghilterra.
Dopo lo spiacevole incidente avvenuto così tanto tempo prima, si erano incontrati casualmente per le vie di Diagon Alley e Draco, spinto dal rimorso e dal senso di colpa, lo aveva invitato a bere una Burrobirra. Entrambi erano maturati, Malfoy in particolar modo dopo la sentenza che condannava il padre ad Azkaban, e volevano conoscersi meglio, ora che pareva ne avessero l'occasione. La prima conversazione era stata un po' fredda e piena di tentennamenti, ma Draco alla fine era riuscito a scusarsi e, volta per volta, incontro dopo incontro, era nata un'amicizia.
Certo, per Nott non fu così facile passare sopra a quelli che erano stati anni d'inferno, ma aveva capito che Malfoy all'epoca era solo un bambino sperduto in cerca della propria identità e succube del padre, era un piccolo emulatore di atteggiamenti autoritari e meschini convinto dell'importanza dell'apparenza.
Ecco perché era diventato un artista, un pittore: per fare in modo di trasportare l'essenza in primo piano.
E aveva capito che quella di Draco era stata soffocata anche troppo.
“Mi piacerebbe avere un Dorian Gray tutto mio” aveva sussurrato una volta Theodore, passeggiando con lui lungo le rive del Tamigi.
“La mia anima è dannata già da molto tempo” Erano passati otto anni, ma il Marchio ancora bruciava sulla sua pelle, e Draco lo copriva sempre, sia d'estate con camice di lino sia d'inverno con maglioni di lana.
Da quel pomeriggio, non era passato giorno in cui Theo non gli chiedesse di posare per lui. Aveva sempre rifiutato: non si sentiva a suo agio con sé stesso, guardarsi davanti allo specchio lo disgustava, figuriamoci sapere che esisteva un quadro con le sue fattezze...
È il tuo ritratto, Draco.
Quelle parole risuonavano nella sua mente destabilizzandolo ogni volta, convincendolo ogni volta di quanto Potter fosse stato stupido a pensare che lui fosse una bella persona, nonostante tutto.
La musica è il suono dell'anima, gli aveva detto sulle sponde del Lago. Ma quale anima? Quale musica? Il violino quasi non sapeva più che aspetto avesse, lo aveva preso in mano solo per riporlo in soffitta al Manor dopo aver constatato che non era più in grado di suonare, che il suono era stonato e sgraziato. Non c'era più posto per il violino, per la musica.
Non c'era più spazio per niente.
Rabbrividendo, si alzò il colletto del cappotto, ma non aumentò il passo. Da quando anche sua madre l'aveva lasciato solo al Manor per trasferirsi in Provenza, si sentiva un estraneo tra quelle mura, ma d'altronde quella era casa sua e non poteva lasciarla a sé stessa. Non se l'alternativa era trasferirsi in centro a Londra. Theo più volte gli aveva chiesto di restare da lui, anche solo per qualche giorno, ma preferiva di no: il pittore era una persona cristallina, semplice, e non riusciva totalmente a nascondere l'attrazione che provava per Draco, non negli sguardi luminosi e nei sorrisi complici o in quel delicato rossore che gli imporporava le guance. Lui non ricambiava quell'interesse e non voleva illuderlo, per cui fuggiva e si rintanava nella solitudine.
Stava percorrendo una via un po' nascosta, la più veloce per raggiungere il Camino che lo avrebbe riportato al Manor, quando le sentì. Note.
Si fermò un attimo, incerto sul da farsi. Sembrava un segnale, un segnale solo per lui, un richiamo sussurrato che sapeva tanto di casa. Un'ancora di salvezza cui decise di aggrapparsi. Virò a destra, seguendo la melodia lieve come il filo di Arianna, e giunse in una stradina un po' stretta sulla quale si affacciava un pub stile anni venti, uno di quelli che si vedono nei film. La musica veniva da lì. Non senza tremare entrò, e subito il calore lo avvolse. Il calore della gente, della pelle dei divanetti, dei lumi sul lampadario, del... pianista.
Era un uomo, sembrava sulla quarantina, dall'aspetto un po' trasandato, che suonava ad occhi chiusi. Draco non seppe riconoscere lo spartito, magari era un'improvvisazione, ma ne rimase comunque incantato. Gli si era risvegliato qualcosa dentro, quel qualcosa che aveva rinchiuso in una custodia e messo a prender polvere in soffitta, quel qualcosa che dopo tanto tempo tornava a battere.
Un signore si alzò da uno sgabello del bar, indossando il cappello per uscire, e quando gli passò vicino Draco non poté trattenersi dal fermarlo.
“Mi perdoni...” sussurrò a voce bassissima “Chi è il pianista?”
L'uomo lo guardò stupito. “Oh, nessuno lo sa. Viene qui ogni sera di plenilunio, si siede e inizia a suonare”
“Co-come nessuno lo sa? Non ha un nome?”
“Non parla mai. Quando termina l'esibizione, si alza e se ne va dalla porta sul retro, dopo un inchino” con un cenno del capo, si congedò augurandogli buona serata.
Draco doveva sapere chi fosse il misterioso pianista, così si appoggiò alla parete e incollò i suoi occhi su di lui, in attesa che aprisse i suoi, nascosti anche da un paio di spesse lenti.
Le emozioni si riversarono in lui travolgendolo, e si fece cullare da quella delicatezza decisa, da quell'amara sensazione di dolcezza perduta che sembrava senza speranza ma che invece si era rivelata una sorpresa, dalla gioia un po' triste di chi è partito con niente e ha dovuto fare tutto da solo.
Le dita si fermarono, accarezzando i tasti un'ultima volta prima di scivolare sulle cosce. Gli occhi si aprirono, e si fissarono involontariamente in quelli di Draco. Per Salazar.
Il pianista si alzò in fretta, sparendo dietro il palco come da copione, come aveva sempre fatto, mentre tutti i presenti iniziavano ad applaudire, alzatisi in piedi dopo aver assistito a un così grande talento. Diversamente dalle altre volte, però, qualcuno – un giovane uomo dai capelli biondi – lo aveva seguito, rincorso, spinto da una forza incontrollabile, perché no, non poteva essere...
La porta contrassegnata dal cartello 'uscita riservata' era già chiusa quando Draco la raggiunse, ma questo non lo fermò; la spinse talmente forte che sbatté contro il muro dell'edificio, mentre lui si guardò intorno individuando subito la figura che si stava allontanando con passo spedito.
“Potter!” urlò.
L'uomo si fermò e si voltò appena, ma non rispose. Draco fece due passi, andandogli incontro.
“Deve avermi scambiato per qualcun altro” mormorò il pianista. Sembrava davvero avesse quarant'anni, un principio di calvizie sulle tempie e piccole rughette intorno alle labbra nascoste solo in parte dalla barba di circa due giorni, ma Harry avrebbe dovuto averne 27, esattamente come lui. Draco per un momento vacillò, ma poi lo guardò di nuovo in quegli occhi di un verde impossibile.
“Ho passato anni a sfotterti, Sfregiato, quello smeraldo non si dimentica”
“No, davvero, deve essersi sbagliato...”
“Riconosco ancora un incantesimo quando lo vedo” disse, ma mentiva: non era mai stato in grado di vederli, aveva difficilmente creduto ai suoi occhi perfino quando, al quarto anno, i gemelli Weasley erano invecchiati di colpo davanti a tutti gli studenti per superare la linea dell'età intorno al Calice di Fuoco. Senza quel verde, non avrebbe mai collegato Potter con l'uomo che aveva di fronte a sé, ma aveva intenzione di tentarle tutte prima di dirsi sconfitto.
“In-incantesimo? Ma di cosa parla?” la voce però tradiva una certa ansia.
“Devo Schiantarti al muro per costringerti a parlare?” fece per tirare fuori la bacchetta che, tra parentesi, non aveva con sé. Non l'aveva mai, con sé.
Lo sconosciuto dagli occhi verdi si irrigidì. “Penso che abbia bevuto troppo per stasera… Addio” e corse via, sparendo nella notte di quel vicolo buio.
Draco non riuscì a trattenerlo, e non provò nemmeno a corrergli dietro. Rise di sé stesso: erano passati dieci anni, dieci anni dall'ultima volta che lo aveva visto, la memoria poteva averlo tradito. Eppure, era convinto che non avrebbe mai dimenticato il modo in cui Harry Potter lo aveva guardato il giorno del processo, dopo la morte di Voldemort e il ritorno della pace, costata la vita a troppi maghi e a troppe streghe, a troppi amici e anche a troppi nemici… che poi, chi era davvero un nemico e chi no? Davanti alla morte, si è tutti uguali.
Sospirò, guardando un'ultima volta il punto in cui lui era scomparso. No, non era Harry Potter. Harry Potter aveva fatto perdere le sue tracce dopo il processo dei Malfoy; i giornali lo avevano tartassato per un periodo lunghissimo, poi più niente, sparito nel nulla. No, non era Harry Potter.
Eppure…



NdA
Finalmente sono riuscita a postare il capitolo: scusate il ritardo di due settimane, ma con la gita a Madrid questa settimana e lo studio quella precedente questo è il massimo che sono riuscita a fare >.<
Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto! Siamo andati avanti di 10 anni, dalla fine della Seconda Guerra Magica, e ora inizia la seconda parte di questa storia: i capitoli fin'ora sono una specie di lunghissima introduzione, più che altro per spiegare bene l'universo che mi sono creata immaginando questa fic.
E' comparso Theo: sì, non era previsto, ma è spuntato fuori mentre scrivevo. Avete presente quando capita che i personaggi facciano di testa loro indipendentemente dall'autore? Ecco, con lui è stato così (ma la colpa è di un certo Ian Nott, del quale mi sono perdutamente innamorata, e dovevo rendere omaggio al cognome u.u ne approfitto per ringraziare le sue due creatrici, Ladyriddle e Pamaras <3 – non so come si facciano i collegamenti, scusate)
Vorrei tanto sapere cosa ne pensate, se questa svolta e questo salto vi hanno stupito, se vi sono piaciuti, se invece no… insomma, qualsiasi cosa pensiate sarei felice di saperla ^^
Ringrazio chi ha messo la storia tra le seguite, chi tra le ricordate e chi tra le preferite, chi ha recensito lo scorso capitolo e chiunque si sia fermato a leggere. Inoltre, grazie a Oscar Wilde, che con il suo capolavoro The Picture of Dorian Gray mi ha dato l'ispirazione. Bacio bacio a tutti :*
merrow

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


“ … allora lo faresti, per me?”
“ Sì… sì…” la voce gli si affievolì, lo sguardo che ancora vagava oltre quelle nuvole cariche di pioggia sul cielo londinese. Di neve ancora non se n'era vista, e mancava poco al Natale. Anche dopo tutto quel tempo, si sentiva strano nel festeggiare quel giorno: che fosse ad Azkaban o in un qualsiasi altro posto, suo padre lo avrebbe sempre tormentato, le sue parole e i suoi insegnamenti si sarebbero sempre fatti sentire. Sospirò.
“ … davvero?”
Erano passate tre settimane, e ancora c'erano volte in cui si perdeva a pensare a quegli occhi verdi e a quelle note così intense. Che abbaglio che aveva preso, e anche bello grosso: Harry Potter pianista, chi ci avrebbe creduto? Lui no di certo, se non lo avesse sentito suonare con le proprie orecchie. Sospirò di nuovo.
“Draco?”
Si riscosse. Stava prendendo un the con Theodore, alle cinque precise da buoni inglesi quali erano, ma non appena scorse le lancette dell'orologio appeso vicino alla cassa si rese conto di non averlo ascoltato per nulla fino a quel momento. E trenta minuti di monologo, per Theo, dovevano essere stati davvero lunghi.
“Non hai ascoltato una parola di ciò che ho detto, vero?” sorrise un po' triste. Lo trovava strano da un po', ma solo di recente aveva iniziato ad ignorarlo quando erano insieme e volare con la mente lontano, in luoghi che a lui non era concesso visitare. Dove andava con la testa? Cosa lo turbava?
“No, io… io ti stavo seguendo. Dicevi?” finse, ma non sperò nemmeno per un secondo di essere riuscito a dargliela a bere.
“Hai accettato di posare per me almeno tre volte, negli ultimi dieci minuti” ridacchiò, e questa era la prova che davvero Draco non era lì con lui. “Cosa c'è?”
Si strinse nelle spalle. “Niente, questo tempo mi manda in confusione, tutto qui”
Non gli aveva parlato di quella sera, del suo palese buco nell'acqua e della figuraccia che aveva fatto con quello sconosciuto. Che poi, era davvero uno sconosciuto? Scosse la testa, imponendosi di non pensarci.
“Non è il tempo, e lo sai meglio di me” mormorò. Non voleva costringerlo a parlare se non ne aveva voglia, ma lo stava preoccupando un po' l'atteggiamento di Draco. Non era mai stato troppo espansivo, e ancora si stringevano la mano senza abbracciarsi quando si incontravano, ma aveva iniziato ad aprirsi a modo suo e un sorriso leggero era praticamente sempre stampato sul suo viso durante le loro passeggiate. Fino a qualche settimana prima, almeno. “È successo qualcosa?”
Draco si morse il labbro, e abbassò lo sguardo. Non sapeva cosa fare. “Stavo pensando… a una cosa” disse sistemandosi meglio sulla sedia. “Ti ricordi quando ti ho invitato a prendere una Burrobirra?”
“E come potrei?” Non avrebbe mai dimenticato quell'espressione seriamente dispiaciuta e il conflitto che gli si leggeva in faccia poiché costretto a mettere l'orgoglio da parte. Si, quel giorno Malfoy lo aveva stupito per la prima volta in vita sua.
“Se non lo avessi fatto, a quest'ora non saremmo qui a parlare” sussurrò, chiedendosi ancora perché avesse agito in quel modo. Nott era solo un perdente, un artista senza futuro che non aveva passato i M.A.G.O. solo discretamente, eppure lui gli aveva teso la mano, si era fatto avanti per rimediare a un suo errore. Lo odiava per questo, per avergli fatto ripercorrere i suoi passi, ma gli era anche immensamente grato.
“Sicuramente no, anche perché io non sarei mai e poi mai venuto da te” disse, per poi chiedergli scusa con uno sguardo.
Non sarei mai e poi mai venuto da te. Perché per Potter sarebbe dovuto essere diverso? “Immagino”
“Ma perché mi stai dicendo questo?” lo vide adombrarsi un po', e si sporse di più sul tavolo.
“C'è una cosa che non ti ho detto” e gli raccontò brevemente dell'incontro con il pianista. “Io credo di… di conoscerlo” concluse, senza aver detto chi credeva che quel quarantenne misterioso fosse.
“Ma mi hai appena detto che...”
“Sì, lo so che ho detto, però i suoi occhi, Theo, i suoi occhi…” si infervorò, per poi calmarsi e lentamente tornare a guardare fuori dalla finestra i passanti con i loro pacchetti sotto il braccio. “Per quanto lui abbia negato di essere quella persona, io non riesco a convincermene fino in fondo, e il dubbio non mi lascia in pace un momento” sussurrò, la voce sempre più bassa. Da quando il Marchio lo aveva segnato non sapeva più distinguere con sicurezza cosa fosse giusto e cosa sbagliato, e il non avere certezze lo devastava ancora; aveva bisogno di un gufo da parte di sua madre ogni due giorni e regolarmente si informava delle condizioni di suo padre: aveva 27 anni, ma era insicuro come un undicenne alle prime armi, e non sapere cosa credere era fonte di fastidio e disagio. Doveva sapere.
“E allora tornaci”
“Dove?” domandò riscuotendosi dalle tenebre del suo animo.
“In quel piano bar, mi sembra ovvio. Devi rivederlo e risentirlo, solo così avrai le risposte che cerchi” sorrise tranquillo, per rassicurarlo.
Draco rimase in silenzio, annuendo impercettibilmente. Aveva bisogno di sbattere la testa contro il muro una seconda volta e ancora più forte, se possibile: solo così ci avrebbe messo definitivamente una pietra sopra. E poi, Potter non gli avrebbe più rovinato la vita.
Si alzò con eleganza, seguito dal pittore, e uscirono nel freddo. Theo abitava poco lontano, ma Draco doveva andare dalla parte opposta, per cui decisero di salutarsi lì.
“Per un momento mi hai reso l'uomo più felice di Londra, sai?” domandò Nott, nuvolette di vapore uscirono dalle sue labbra.
“Davvero? Quando?” chiese di rimando, voltandosi verso di lui.
“Quando hai detto sì” lo guardò intensamente, poi rise sospirando. Aveva davvero creduto di essere riuscito a convincerlo, a fargli capire quanto desiderasse ritrarlo e portare su tela la bellezza del suo vero io, ma i cenni di assenso di Draco gli avevano presto fatto intendere che manco lo stava ascoltando.
“Mi dispiace, Theo, sai come la penso a riguardo” Si strinse nelle spalle.
“Sì, purtroppo lo so” e preso dal momento gli diede un leggero bacio sulla guancia, sotto lo zigomo; arrossì, e guardandolo un'ultima volta negli occhi si allontanò sparendo tra la gente.
Draco lo seguì con lo sguardo, imbambolato. Theo lo aveva… baciato?
Si sentiva strano, lo stomaco che inspiegabilmente faceva sentire la propria presenza. Il gesto di Theo… Non sapeva come interpretarlo, forse nemmeno lo voleva. Le cose stavano cambiando tra loro, almeno da parte di Nott: era pronto per questo?
Scosse la testa, dirigendosi a casa mentre imbruniva. Mancava poco alla prossima luna piena.



NdA
Buon pomeriggio a tutti ^^
Per prima cosa, avviso che questa ff sarà aggiornata ogni due settimane, sempre di lunedì, perché gli impegni non mi permettono di fare di più. Nel caso in cui saltassi un aggiornamento, cercherò di pubblicare la settimana dopo. Bene, detto ciò…
Spero il capitolo vi sia piaciuto e non abbia deluso nessuno, anche se è stato scritto un po' in fretta per riuscire a postare oggi ^^” Adoro Theo, lo coprirei di baci tutto il tempo, è così tenero (magari non dovrei dirlo ma è quello che penso haha :3) e in questo momento sono qui con un forte dubbio: tra loro accade qualcosa o no? Help me D:
Ringrazio chi preferisce e chi ricorda questa storia, chi l'ha aggiunta alle seguite e chi ha recensito lo scorso capitolo: siete fantastici, dico davvero :)
Bacio, merrow :*

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


C'era odore di tabacco, non proprio si prima qualità, mischiato ai profumi delle signore presenti in sala.
Era la Vigilia di Natale, e Draco sperava che la gente avesse qualcosa da fare quella sera: cene di famiglia, la messa in chiesa, una riunione davanti al camino vicino all'abete addobbato. Insomma, cose natalizie e babbane.
Non avrebbe mai pensato di trovare così tanta gente in quel piano bar, ma era arrivato presto comunque; si era seduto in un tavolino circolare all'angolo, uno dei più vicini al palco, ma seminascosto da un finto albero di natale di plastica bianca e palline sull'argento. Tutto, in sala, era sui toni del bianco e dell'argento, e Draco trovava stonasse un po' con l'atmosfera calda data dalle pareti scure e dalle lampade a olio alle pareti. Ma a lui non importava, voleva solo vederlo ancora una volta. C'era la luna piena, anche se il cielo era nuvoloso, quindi aveva la certezza che lo avrebbe sentito suonare. Avrebbe atteso con calma che finisse e, sempre con calma, lo avrebbe seguito fuori per scusarsi e farsi dire la verità.
Non aveva voluto che Theo lo accompagnasse, era una cosa che doveva fare da solo.
Controllò l'orologio da taschino, e fece una smorfia notando una leggera riga sul vetro. Stava facendo il possibile per non focalizzare la propria attenzione sul palco, sui passi che stava sentendo sui gradini, sul fruscio del tessuto sullo sgabello al piano. Era nervoso.
Il pianista si sedette senza una parola, fece solo un cenno di saluto con la testa ai suoi spettatori, per poi voltarsi e suonare. Chiuse gli occhi dopo aver poggiato le dita sui tasti, ma bastarono quei pochi istanti. Ora ne aveva la certezza.
Passò la serata a pensare a cosa dirgli, a come avvicinarlo, a crearsi discorsi su discorsi in testa, ma senza distogliere l'attenzione da quel pianoforte, che così come prima sembrava un vecchio oggetto troppo pesante per quel palchetto ora appariva in tutto il suo antico splendore. Un suono chiaro, cristallino, chiudendo gli occhi si poteva vedere la neve danzare e turbinare a tempo di quelle note e creare immagini sublimi.
C'era anche freschezza, e cascate di acqua gli inondarono il cuore per poi raccogliersi in un lago profondo di sentimenti, emozioni, parole mai dette. Gli sembrava di averla già sentita, quella storia.
Quasi non si accorse di applaudire, o di sorridere a ogni nuovo pezzo, il nervosismo solo un lontano ricordo.
Poi suonò White Christmas, nonché prima melodia natalizia della serata, quindi anche l'ultima. Lentamente, tutti iniziarono a cantare, un modo per augurarsi Buon Natale. Solo alla fine Draco si unì a loro, fissando il pianista.

May your days be merry and bright
And may all your Christmases be white


Mentre tutti applaudivano, uscì senza farsi vedere nella notte, in quel vicolo, aspettandolo. Era ancora calmo, più o meno, ma l'aria gelida lo fece rabbrividire e la sensazione di calore passò.
“Ancora lei?”
Si voltò, piano. “Sì, ancora io”
“Senta, le ho già detto che io non sono chi lei crede io sia, quindi...”
“Harry, per favore” gli uscì, spontaneo. Harry… non lo aveva mai chiamato per nome.
L'uomo si bloccò, ma rimase in silenzio, a fissarlo negli occhi. Verde contro argento.
I minuti passarono, senza che nessuno dei due facesse niente, senza che nessuno dei due si arrendesse. Leone contro serpe. Come a Hogwarts, come era sempre stato: uno non cedeva, l'altro tanto meno. Uno scappava, l'altro rincorreva. Quella sera, però, nessuno avrebbe fatto fuggire nessuno.
“Che vuoi, Malfoy?”
Ecco. La certezza che aspettava. Ghignò. “Io non parlo con gli sconosciuti, signore
“Sai che la Pozione Invecchiante agisce per suo conto” rispose, duro.
“So anche che fa invecchiare solo di pochi mesi”
Scrollò le spalle. “Solo un po' di Tranello di Drago in più”
Tornò il silenzio, mentre in lontananza si sentivano i canti dei bimbi della chiesa. Mancava poco a mezzanotte.
“Che vuoi, Malfoy?” ripeté Harry, irritato.
Già… che voleva? Chiedergli come stava, come andavano le cose? Perché si era ritirato dal Mondo Magico? “E' da tanto tempo che non ci vediamo, precisamente da quando hai spedito mio padre ad Azkaban”
“Si è spedito da solo, tuo padre, ad Azkaban”
“… sì, hai ragione” sorrise triste. “E' stata solo colpa sua”
“Perché mi stai trascinando in un discorso del genere?”
Alzò le spalle. “Perché sei sparito?” non pensava gli potesse interessare così tanto.
“Sono affari miei e ora, se mi permetti” fece per andarsene, ma Draco lo trattenne per un braccio, fissando gli occhi nei suoi. Doveva sposarsi con la piattola Weasley, diventare Auror, diventare ancora più famoso di quanto già non fosse e andare a vivere in quella Tana popolata soltanto da pel di carota. Doveva continuare a essere Harry Potter, il Bambino che era Sopravvissuto. Il ragazzo che lo aveva salvato dall'Ardemonio. “No, non te lo permetto. Non ho ancora finito”
Harry non sbuffò, non si divincolò, da eccellente grifone. “Finisci in fretta, allora”
“Penso di essere in dovere di ringraziarti”
“E per cosa?” chiese, a metà tra l'amaro e il sorpreso.
“Per non avermi fatto finire bruciato vivo”
“Dovere” disse, piatto, staccandosi da lui.
Draco non si aspettava una reazione del genere, anzi non si aspettava per niente una reazione dato che non aveva mai avuto l'intenzione (almeno conscia, a questo punto) di ringraziarlo, ma quella risposta lo colpì come uno schiaffo. Dovere, già. Chi mai avrebbe salvato Draco Malfoy per... affetto? “Hai ripreso a suonare”
Stavolta fu Harry a bloccarsi. Riprendere? Nessuno aveva mai saputo Sirius gli aveva insegnato a suonare, nessuno aveva mai collegato le sonate notturne al castello a lui, nessuno tranne… tranne… “Sei stato tu?”
Draco rimase zitto, e voltò la testa per guardare lontano. “Dovere”
Si mise a ridere. “Sai, non sei cambiato per niente”
“Oh, il cricetino che hai al posto del cervello lo ha finalmente capito?”
“Indossi sempre quella maschera di ghiaccio e strafottenza, non mi meraviglia la cosa”
“Anche tu sei sempre lo stesso” incrociò le braccia al petto.
“No, io ho ripreso a suonare”
Una folata di vento. Una pugnalata di gelo. Un cuore di ghiaccio sotto la polvere.
Dodici rintocchi.
“Buon Natale, Draco”
Una goccia di freddo, sulla guancia. Un'altra, sulla mano, poi sulla fronte con il viso alzato verso il cielo.
Nevicava.



NdA
MI fa ridere aver scritto un capitolo sul Natale a metà maggio ^^” quindi, dato che non stiamo aspettando (abbiamo ancora qualche mese haha) alcun vecchietto rosso vestito e dalla candida barba ma gli esami (solo alcuni, per fortuna, ma io sono tra quelli T-T) invece che Buon Natale, auguro a tutti di passarli al meglio!
Comunque, sono soddisfatta di come è uscito questo capitolo, dove Harry è finalmente uscito allo scoperto! Sì, lo avevate già capito tutti che era lui il pianista, lo so, però ho voluto lasciare un filo di dubbio (ditemi che un pochino l'ho lasciato, vi prego!) fino ad ora. Non so se vi aspettavate una piega del genere – ve lo confesso, io in primis no di certo – però si è scritto quasi da solo… Chi vivrà, vedrà e leggerà ^^
La canzone in corsivo è White Christmas, di Louis Armstrong, e io la adoro <3
Ringrazio chi ha messo la storia tra le seguite o le ricordate o le preferite e mando un grosso bacio a chi ha recensito lo scorso capitolo. Un pensiero speciale lo vorrei mandare a HelenHM (non so fare il collegamento, scusate ><) che sta passando un momento difficile, e le vorrei dedicare questo capitolo per dirle che le sono vicina.
Un bacione a tutti, alla prossima, merrow :*

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Il ticchettio delle scarpe che salivano i gradini vennero smorzati dal tappeto davanti alla porta, di un semplice color pervinca. Draco suonò il campanello, e sentì il dling dlong echeggiare dentro casa. Le luci erano spente e regnava il silenzio, a parte per la musica flebile in lontananza.
Si accese una luce al secondo piano, ma nessuno fece capolino tra le tende: evidentemente sapeva benissimo chi fosse alla porta a quell'ora assurda. Draco dovette attendere poco, prima che Theo gli aprisse la porta, con un pigiama di seta e una vestaglia chiusa sul davanti, gli occhi assonnati e un po' rossi. “Draco?”
“Posso entrare?”
Mugolò qualcosa di affermativo, e aprì di più la porta per farlo passare; sbadigliando, lo fece accomodare in cucina. Gli indicò una sedia in un muto invito, mentre lui iniziava a preparare il caffè. Anche se era inglese, non c'era niente che lo tenesse sveglio come un buon caffè italiano. “Vuoi?”
“Sì, grazie” rispose, mentre si toglieva il cappotto e lo appoggiava all'appendiabiti prima di sedersi.
Theo mise sul fuoco la caffettiera e si voltò a guardarlo appoggiandosi al piano della cucina.
“Buon Natale e… scusa l'ora” mormorò Draco.
“Non c'è problema, sai che qui puoi venire quando vuoi. E buon Natale a te” disse sorridendo.
Draco ricambiò, ma il sorriso gli morì lentamente. C'era una leggera tensione nell'aria tra di loro dopo quel leggero bacio sulla guancia, ma entrambi la ignoravano; anzi, Draco la ignorava, Theo aspettava e basta.
Il pittore non poteva dirsi innamorato di lui, anche se subiva moltissimo il suo fascino. E d'altronde, come non avrebbe potuto farlo? Draco era così bello, le spalle esili ma comunque larghe, la vita stretta, i capelli lucenti e gli occhi argentei screziati d'azzurro; ma cosa nascondesse nella sua anima, questo ancora Theo non lo sapeva. “Che c'è?” gli chiese, delicato.
“Sono stato di nuovo in quel piano bar”
“Oh, bene!” esclamò entusiasta. “Hai rivisto quella persona?”
Draco annuì. “Sì, ci ho anche parlato”
Theo attese per un po' che continuasse da solo, poi il caffè venne su. Preparò due tazzine di porcellana nera e gliene porse una. “Attento, scotta” lo avvertì, prima di tornare ad appoggiarsi al banco.
Draco sorseggiò il caffè, amaro come piaceva a lui, mentre Theo metteva sempre due cucchiaini di zucchero. “Come tu faccia a berlo così maledettamente dolce è un mistero”
“Per me è un mistero come tu faccia a berlo così maledettamente amaro”
“E' caffè, è amaro per definizione!”
“Appunto, si mette lo zucchero proprio per quello”
“Ok, mi arrendo” ridacchiò e prese un altro sorso. “Concordi almeno sul fatto che quello solubile è orrendo?”
Theo rise esasperato. “Sì, Draco, quello solubile è orrendo” disse scimmiottando la sua voce.
Lo fulminò divertito. “Non è vero, ti piace anche quello!”
“Ma certo che mi piace, sono pressoché identici”
“Theodore Nott, si vede che sei inglese fino al midollo” sentenziò e finì il suo caffè.
“Come se non lo fossi anche tu” mormorò tornando a bere.
Posata la tazzina sul tavolo seguirono alcuni istanti di silenzio, quella mezza discussione aveva stemperato la tensione.
“Chi era, Draco?”
L'interpellato si fissò le dita, intrecciate davanti a sé. “Non ci crederai mai”
“Se non ci provi non lo saprai mai, e poi potrei anche stupirti”
Rassicurato da quel tono, tentennò solo un attimo prima di sussurrare “Potter”
Sgranò leggero gli occhi. “Harry? Harry Potter?” e Draco annuì. “Ma dai” continuò Theo, “allora era lui”
“Sì, era lui...” e intendeva sia a Hogwarts che lì a Londra un mese prima.
“Pozione Invecchiante?” chiese, vecchi rimasugli del tempo trascorso con Piton.
“Sì, anche se rivisitata”
“E avete parlato, hai detto?” disse andando a sedersi di fronte a lui.
“Non è possibile parlare con Potter, ha un criceto al posto del cervello” sibilò. “E spara sentenze senza sapere un bel niente!” poggiò i gomiti sul tavolo e incrociò le braccia, per poi affondarci dentro la testa.
Theo era confuso, non capiva che piega avesse preso il discorso. “Spara sentenze?”
Vide Draco irrigidire le spalle, per poi guardarlo alzando leggermente gli occhi. “Tu credi io sia cambiato?”
“Certo che lo sei...”
“Lui sostiene il contrario, quindi vedi che spara sentenze?” sbatté le mani sul tavolo e si alzò di scatto. “Io sono cambiato...” sussurrò, più a sé stesso che a Theo.
“Draco?”
“Anche se non ho ripreso a suonare, io sono cambiato!” ripeté alzando la voce.
Suonare? Lui suonava? E da quando? Queste domande affollarono la mente di Theo, ma non era quello il momento di farle. “Sì, lo sei… ma non c'è bisogno di urlare”
Il tono pacato del pittore lo fece calmare e mormorò delle scuse. “Avrai lamentele da parte del vicinato domani, scusa”
“Non preoccuparti” poi tacque un attimo. “Tu suonavi?”
Un senso di vergogna lo assalì, perché si rese conto che in tutto quel tempo non aveva condiviso quella parte della sua vita con Theo, che forse più di tutti lo avrebbe capito. Ma poi si disse che no, c'era troppa polvere, non c'era più nulla da capire. “Tanto tempo fa”
“Cosa?”
“Violino” dirlo gli fece uno strano effetto, sentì freddo alla spalla e un brivido di freddo gli attraversò il braccio. “Ma ero solo un bambino, era solo… un capriccio”
“Io vorrei sentirti” disse, semplicemente. Ecco cosa mancava, mancava la musica nella vita di Draco, tutto ora aveva un senso. Quella parte di sé che il biondo teneva nascosta al mondo altro non era che il violino, il suo violino, il suono della sua anima a lungo soffocata prima dal padre, poi dalla guerra.
“Oh, no, non è possibile. Non ne sono più capace”
Sorrise amaro, quasi quanto il caffè. “Almeno me lo porti da vedere?”
Draco fu sorpreso da quella richiesta. “Devo cercarlo, è da qualche parte al Manor. Perché?”
“Semplice curiosità”
Draco annuì e controllò l'ora. “È meglio che vada” disse alzandosi e andando a rimettersi il cappotto.
Theo lo accompagnò alla porta, e lo congedò con una pacca leggera sulla spalla. “Ah, Draco” lo richiamò appena iniziò a scendere gli scalini, e questi si voltò. “Sì?”
“Come faceva lui a saperlo?”
Sorrise tirando su un solo angolo della bocca. “È piombato nella mia aula mentre suonavo alla luna” e poi si Smaterializzò, con quel ticchettio delle scarpe sui gradini che ancora risuonava nella notte. Theo rimase sulla porta ancora un po', alzando gli occhi e ammirando la luna piena.
“Non vuoi posare per me, non vuoi suonare per me... Dimmi, c'è forse qualcosa che tu possa fare per me?”



NdA
Ciao a tutti! ^^
Innanzitutto, mi scuso di nuovo per l'enorme ritardo, però sono contenta di essere riuscita a pubblicare prima del 6 luglio - i vantaggi di essere all'ultimo turno degli orali lol - anche se il capitolo non è molto corposo ><
Anyway, spero vi sia piaciuto! :) Vi prego, non chiedetemi come sia uscita la discussione sul caffè… forse ne ho bevuto troppo in questi giorni ^^” Come ho già detto non succede molto, a dirla tutta non succede niente, ma spero apprezziate comunque!
Vorrei ringraziare tantissimo tutti coloro che continuano a seguire e recensire la storia e non mi hanno abbandonata nonostante il periodo di silenzio: vi adoro! <3 Un grazie anche a chi invece passa senza lasciare traccia, vedere i numeri delle visualizzazioni che aumentano un pochino ogni giorno mi rende davvero tanto felice :D Detto ciò, ditemi cosa ne pensate di questo capitolo scritto nella gioia di aver finito gli scritti! ^^
Un bacio, merrow :*

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


L'ultima cosa che si aspettava, dalla vita in generale, era ritrovarselo davanti.
Erano passati anni senza che non lo sentisse nemmeno nominare, quasi aveva iniziato a credere che se ne fosse andato dall'Inghilterra alla volta di qualche paese nordico, dove i suoi capelli e i suoi occhi chiari non avrebbero dato nell'occhio.
Non aveva più avuto modo di incontrarlo, dopo il processo, e quando tutta quella storia era finita aveva solo sentito il bisogno che si rifacesse una vita, lui come tutti gli altri, figli di Mangiamorte e non. La guerra aveva distrutto tutto, tutto doveva essere ricostruito da capo, e tutti avevano il diritto di ricominciare.
Anche Harry Potter.
La Comunità Magica, però, non la pensava così. Lui era l'eroe, quello che li aveva salvati, che aveva liberato il mondo dalla minaccia di Lord Voldemort, era il Prescelto; doveva essere la roccia sulla quale chiunque avrebbe potuto appoggiarsi, la spalla sulla quale chiunque avrebbe potuto piangere, il raggio di sole portatore di una nuova era. Chi avrebbe visto tutte queste cose in un semplice ragazzo di diciassette anni che aveva perso troppe persone che amava?
Harry non era mai stato forte da solo.
Anche se per i primi tempi quasi non si erano parlati e si facevano dispetti come i bambini che erano, Ron gli era sempre stato intorno, in un modo o nell'altro; il fatto che fossero compagni di stanza aiutava, che non lo sopportasse a pelle un po' meno, però alla fine era la prima persona che salutava al mattino e l'ultima cui dava la buona notte alla sera. Avevano sviluppato una sorta di sopportazione reciproca, poi era arrivata quella saputella di Hermione Granger a fare da collante. Nemmeno lei andava giù ad Harry, con tutte le sue regole da rispettare e qualche rotella fuori posto (perché pensare che l'espulsione fosse peggio della morte, beh, Harry faticava ancora adesso a concepirlo), però aveva la strana e particolare capacità di far andare d'accordo quella testa calda e stupida di Ron con quella più tranquilla e coraggiosa di Harry - anche se 'andare d'accordo' per loro voleva dire avere la stessa idea su qualcosa.
Era convinto che Ron stesse in sua compagnia solo per il suo essere 'il Bambino che è Sopravvissuto', ma al contempo che il più piccolo dei maschi di casa Weasley avesse sviluppato una sorta di affetto per lui e che con il tempo avesse iniziato a volergli bene, a modo suo, e anche Harry, alla fine, aveva ricambiato. C'erano stati momenti in cui avrebbe voluto letteralmente Cruciarlo - come quando lo aveva accusato di aver messo il suo nome nel Calice di Fuoco e averlo volutamente escluso, o quando si era messo con quella frivola di Lavanda, o anche quando aveva abbandonato lui ed Hermione nella Foresta - ma a conti fatti Ron era sempre tornato. Ed Harry aveva compreso che senza di lui si sarebbe sentito solo.
Stessa cosa valeva per Hermione: lei lo aveva aiutato in molte situazioni difficili e in cambio aveva solo preteso un bel po' di studio in più. Era intelligente, oltre che maledettamene secchiona e pignola, ma aveva anche un lato ironico che in rari momenti veniva fuori; la maggior parte delle volte era impossibile tenere un discorso con lei, non lasciava mai finire le frasi e non voleva sentir ragioni, però era l'unica persona in tutta Hogwarts che riusciva a far entrare qualcosa in testa a Ron. E si è detto tutto.
Harry li aveva avuti vicino quando era morto Cedric, quando Sirius era svanito dietro quel velo, quando si rese conto che non avrebbe mai più visto Edvige volare o Moody guardarlo storto.
Harry non era forte da solo, lo era proprio perché sapeva di non esserlo.
Dopo la Battaglia di Hogwarts, invece, si era ritrovato senza nessuno accanto, poiché era stato lui e solo lui a eliminare Voldemort. Lui era il solo che non poteva permettersi di crollare.
Eppure, lui non aveva mai desiderato fare l'eroe, non aveva mai voluto essere il cuore pulsante della speranza di vincere il Signore Oscuro, non aveva mai voluto essere prima Potter e poi Harry. Voleva essere solo un mago. Un mago e un pianista. Buffo, anche quello gli era stato tolto... Da quando Sirius se ne era andato non aveva mai più voluto nemmeno vederlo un pianoforte, faceva troppo male.
Era successo tutto il giorno dei funerali delle vittime della Battaglia, vicino al Lago Nero, lo stesso luogo in cui riposava Albus Silente. Minerva aveva fatto un discorso molto commovente: George non era riuscito a trattenere le lacrime al nome del fratello, un bambino aveva iniziato a piangere dopo l'estremo saluto ai suoi genitori, Harry aveva chiuso gli occhi accarezzando la lastra nera della tomba di Severus Piton.
Il senso di perdita impregnava l'aria di dolore, e per congedare le anime il professor Vitious aveva suonato una melodia al piano a tratti malinconica e a tratti allegra, con sfumature di suono caratterizzanti ciascun mago e ciascuna strega che avevano dato la loro vita.
Lentamente si erano alzati tutti, Smaterializzandosi nelle loro case.
“Harry, tu… tu non vieni?” gli aveva chiesto Hermione. Lui aveva scosso la testa. “Rimango ancora un po'”
“Se vuoi restiamo a farti compagnia” e con quel plurale intendeva lei e Ron.
“No, vorrei stare solo”
Hermione aveva annuito e insieme al neo fidanzato era tornata alla Tana.
Harry aveva guardato quel pianoforte e spinto da una forza invisibile si era alzato, andando ad accarezzare i tasti d'avorio per poi premerne uno. Il suono di quella nota era sembrato così eterno...
“Lo sai suonare?”
Harry aveva sussultato, non si era accorto della presenza di quel bambino, e poi aveva sorriso. I capelli lisci castano chiaro erano tornati neri e spettinati con ciuffi azzurri, e occhietti di due colori diversi avevano sostituito quelli nocciola. Ted Lupin aveva ereditato un dono davvero stupendo dalla sua mamma...
“Sì, Teddy, lo saprei suonare”
“Allora mi suoni qualcosa? Solo per me” tentava di sorridere, ma si leggeva solo sofferenza sul suo viso. Harry non aveva avuto cuore di rifiutare la sua richiesta e sentendosi un nodo allo stomaco si era seduto e aveva ammirato nostalgico quei tasti bianchi e neri. “Cosa ti piacerebbe?”
“Una ninna nanna”
Da quella notte pretese una ninna nanna ogni sera. Harry aveva dovuto trattenere le lacrime, ripensando al padrino, e poi aveva iniziato a suonare. Aveva capito cosa doveva fare della sua vita.

*

Stava ripensando a quel momento quando entrò in casa, una semplice villetta unifamiliare della periferia londinese che si affacciava sul Tamigi, nel cuore della notte. Tentò di non far rumore, ma a quanto pareva lui era sveglio comunque: la piccola abat-jour del salottino era accesa. “Non dovresti essere già a letto?”
Il ragazzino lo guardò un po' assonnato. “Ma è Natale, volevo essere il primo a farti gli auguri”
Harry andò a prenderlo in braccio, lasciandolo avvolto nella coperta patchwork. “Qualcuno ti ha battuto sul tempo, mi sa” sussurrò ridacchiando e portandolo al piano di sopra, in camera sua.
“Chi?” chiese visibilmente curioso, ma finì con lo sbadigliare accoccolandosi a Harry.
“Un... una persona fuori dal locale” Una persona che gli faceva ricordare in maniera troppo nitida quel tempo lontano dominato dal Signore Oscuro.
Il ragazzino annuì e si fece mettere a letto, rannicchiandosi. Doveva essere così stanco… “Allora sarò il secondo” altro sbadiglio, “Buon Natale” e chiuse gli occhi.
“Buon Natale, Teddy”



NdA
Gli esami sono finalmente finiti, yeeee! *festa con tanto di fuochi d'artificio* Ebbene sì, sono maturata, MA-TU-RA-TA, ancora non mi sembra vero… sono liberaaa! Sì, lo so, non sembra da questo sclero ma, ehi, luglio era già iniziato e io ancora stavo sui libri a studiare col caldo opprimente, capitemi almeno un po' ^^”
Quindi ora credo di avere molto più tempo per dedicarmi alla scrittura *-* me felice, e voi?
Ci voleva un capitolo su Harry, dopo così tanto tempo dedicato a Draco, no?
Spero vi sia piaciuto (mi sono impegnata molto per rendere questo Harry, ditemi cosa ne pensate *occhi da gatto con gli stivali*) e abbiate apprezzato l'entrata in scena di Teddy Lupin.
Piccolo appunto su Teddy: teoricamente dovrebbe avere qualche mese quando perde i genitori, lo so, ma ho deciso di farlo più grande, infatti ai funerali ha circa 3 anni. Non mi è mai andato giù che Remus e Tonks siano morti prima di vivere per un po' con il figlio, quindi nell'universo di questa long Ninfadora è diventata la signora Lupin durante all'inizio del quarto anno di Harry e ha dato alla luce Ted alla fine dello stesso :)
Grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo, chi ha messo la storia tra le preferite e ricordate e preferite e anche a chi passa in silenzio. Love you all <3 ah, e prima che mi dimentichi: pubblicherò ogni due settimane ancora per un pò, così da riuscire ad andare un pò avanti con la stesura e tornare a pubblicare ogni lunedì :)
Un bacio, merrow :*

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Era rannicchiato su sé stesso, le ginocchia al petto e il mento appoggiato alle braccia incrociate su di esse, con gli occhi scuri persi nel vuoto fuori dalla finestra. Andromeda stava preparando la cena, una semplice frittata alle verdure molto leggera: nessuno dei due aveva fame, non quel periodo, non quel giorno.
Aveva salutato il papà e la mamma, all’alba, quando ancora era a letto e intorpidito dal sonno. Non avevano parlato, Remus e Dora, si erano limitati ad accarezzargli la testa e baciargli la fronte; si erano guardati, tutti e tre, per interminabili secondi, poi Teddy aveva scostato le coperte e si era buttato in mezzo ai genitori, per farsi abbracciare.
“Vi voglio bene” aveva sussurrato il piccolo. “Anche noi, cucciolo” e poi se ne erano andati.
Teddy guardava il cielo nero e carico di pioggia, chiedendosi cosa stessero facendo, dove fossero, con chi, ma si rifiutava di chiedersi se fossero ancora vivi. Non era contemplabile quell’alternativa, non era pensabile per un bambino di poco più di tre anni vivere senza la mamma e il papà: chi gli avrebbe letto le fiabe di Beda il Bardo prima di dormire? Chi gli avrebbe insegnato a volare su una scopa o lo avrebbe portato alle prime partite di Quidditch? Chi lo avrebbe stretto assicurandogli che sarebbe certamente stato smistato in Grifondoro come tutta la sua famiglia il primo giorno alla stazione di King’s Cross?
Teddy aveva sospirato quando era stato chiamato a tavola, e aveva mangiato senza appetito e senza fiatare. Poi era arrivato quel gufo…
E tutto era diventato nero.
Aveva urlato e aveva pianto fino a non avere più un briciolo di voce o una goccia d’acqua in corpo, i capelli solitamente azzurro cielo si erano tinti di nero e afflosciati sul viso, riducendo quel viso così dolce e paffuto a una maschera vuota e sofferente.
Andromeda aveva dovuto dar fondo a tutte le sue capacità per convincerlo ad andare con lei ai funerali, e stringerlo forte a sé per non farlo scappare via nella Foresta. Aveva visto Harry, in prima fila, il ragazzo che Lupin e Tonks avevano scelto come padrino di Teddy, ma che a causa delle lezioni prima e della guerra poi non aveva praticamente mai incontrato; dopotutto, Potter era solo un ragazzo e di certo non pensava a cose come pannolini da cambiare, pappette da imboccare e notti insonni a calmare pianti disperati. Quando gli avevano comunicato che Teddy sarebbe stato il suo figlioccio, Harry era stato felice, lo aveva preso in braccio, ma niente di più: ognuno a casa propria, per intenderci.
Ma ora Teddy non aveva più una casa, non aveva più i genitori, solo Andromeda.
Il piccolo aveva guardato la schiena di Harry per gran parte della funzione, da quando la nonna gli aveva detto che quello era il suo padrino. È così giovane, aveva pensato. Ecco perché si era avvicinato a lui, quando lo aveva visto seduto al piano, perché sentiva che lui lo avrebbe capito.
Erano passate solo poche settimane, ed Harry aveva iniziato ad andare a trovarlo tutti i giorni: discutevano sugli argomenti più disparati, e Teddy si sentiva a casa, insieme a quel ragazzo dai capelli scompigliati e gli occhiali inguardabili, e attendeva con sempre più impazienza che arrivasse il giorno dopo, per poterlo vedere di nuovo. E per sentire ancora le melodie che gli suonava al pianoforte per farlo scivolare tra le braccia di Morfeo.
Una sera, però, Harry aveva fatto un po’ tardi e il piccolo si era già addormentato.
“Scusa, Andromeda - aveva iniziato a darle del tu - ma ho avuto un contrattempo…”
“Non ti preoccupare, posso immaginare il motivo” e gli aveva fatto l’occhiolino.
Ginevra Weasley era ritornata all’attacco e aveva letteralmente intasato la cassetta della posta del numero 12 di Grimmauld Place di lettere in cui lo pregava di incontrarsi, per chiarire. Avevano avuto una ‘relazione’ tra la fine del sesto anno di Harry e, beh, la guerra, ma era stata un’esperienza disastrosa: non solo non erano mai andati oltre i preliminari per la timidezza della ragazza, ma c’erano anche divergenze caratteriali che la venuta di Voldemort e la morte di Fred e tutti gli altri avevano reso impossibili da gestire.
Almeno finché la ragazza non si era resa conto di quanto le mancasse Harry... anzi, il Salvatore del Mondo Magico.
“Sono solo questo per lei, un ragazzo-trofeo da esporre per essere al centro dell’attenzione”
Ginevra lo aveva portato in un ristorante molto conosciuto e sempre accerchiato dai giornalisti per la presenza praticamente quotidiana di streghe e maghi molto famosi, e si era fatta fotografare nel momento in cui lo abbracciava per salutarlo. Solo per vedersi in prima pagina il giorno dopo…
“Harry, devi accettare quello che hai fatto, è ciò per cui sarai ricordato per sempre”
“Ma io non voglio che sia così! Io sono Harry, prima di colui che ha ucciso Voldemort”
Andromeda aveva taciuto per un po’, soppesando le parole appena udite. Era vero, Potter non aveva mai potuto essere solo Harry, non avrebbe mai potuto. A meno che…
“Se avessi la possibilità di essere solo Harry, come dici tu, cosa faresti?”
“Mi dedicherei a una vita normale, quasi senza magia, cercherei un lavoro, continuerei a venire a trovare Teddy senza prendere precauzioni per non essere scoperto e…” ma si era bloccando, guardando fuori dalla finestra.
“E…?”
“Suonerei il piano”
Andromeda aveva annuito, comprendendo perfettamente come si sentisse. La magia, il Mondo Magico, non era quasi mai clemente con nessuno, specialmente con gli eroi: Albus, Remus, la sua bambina, Harry, tutti ne erano stati vittime. E non voleva che anche il suo adorato nipotino lo diventasse.
“Potresti avere una vita del genere”
“Certo, come no, con questa cicatrice e questo viso…” aveva lasciato cadere il discorso.
“E se ti dicessi che c’è un modo, invece?”
Così Andromeda gli aveva spiegato il trucco della Pozione Invecchiante: non sarebbe più stato Harry Potter, ma avrebbe vissuto con una maschera la vita che voleva da sempre, e Teddy sarebbe stato al suo fianco.
“Non posso privarlo della magia solo perché io non voglio più averci a che fare” aveva protestato Harry.
“Ovvio che no, lo accompagnerai a prendere l’Espresso per Hogwarts sotto l’effetto della Pozione: nessuno ti riconoscerà, ma lui avrà un padre e la possibilità di amare la magia, anche se gli ha tolto i genitori”
“Io ho solo 18 anni, non posso essere padre!”
Avevano lasciato perdere il discorso, ma qualche mese dopo Ted espresse il desiderio di andare a vivere con il padrino, perché si era affezionato troppo e non tollerava se ne andasse, facendo capricci nonostante l’età; a quel punto, Harry non aveva avuto cuore di rifiutare, e aveva iniziato ad assumere la Pozione di Andromeda.
Era stato un po’ complicato trovare la quantità di Tranello di Drago in più da aggiungere, per le prime volte Harry aveva assunto aspetti molto diversi; solo quando era riuscito a tramutarsi nello stesso uomo sui 40 anni per tre volte di fila, aveva iniziato a uscire liberamente.
Nessuno riconosceva in lui Harry Potter, anzi i giornali si chiedevano tutti che fine avesse fatto: si erano appostati vicino alla Tana per acciuffare chiunque uscisse da quella porta, ma nessuno, da Ginevra a Ron e da Hermione a George, sapeva nulla. Harry Potter era scomparso.
Nel mentre, veniva acquistata una villetta in periferia e il piano bar iniziava a ricevere le visite di uno strano pianista che si faceva vedere solo con la luna piena.

*

Era la sera del 31 agosto, e Teddy fremeva per il domani, il giorno in cui sarebbe diventato un maghetto del primo anno alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Era sgattaiolato fuori dal suo letto e bussato alla porta di Harry, entrando dopo pochi secondi e trovando il padrino immerso nella lettura di uno spartito di un qualche compositore tedesco. “Harry?”
“Teddy” aveva sollevato gli occhi senza spaventarsi, sapeva che era solo questione di attimi prima che il suo cucciolino arrivasse. “Non riesci a dormire?”
Il bambino si era avvicinato e lo aveva abbracciato forte. “No, sono troppo elettrizzato per domani, chissà in che Casa il Cappello mi smisterà… Spero in Grifondoro, come te e il papà”
“Sapevo lo avresti detto, sai?” aveva ridacchiato Harry.
Teddy si era unito a lui, poi il tutto era scemato e il piccolo era tornato serio. “Domani non prendere la Pozione”
“Devo farlo, lo sai”
“Ma è solo per un giorno!”
“Basterebbe a farmi tornare i giornalisti attorno, a far scoprire questo posto, a dire addio alla tranquillità”
“E se ti portassi dietro una fiala e la bevessi nel bagno?”
“Così scoprirebbero anche l'altra mia identità e purtroppo non c'è più la possibilità di modificare la Pozione con altre quantità di Tranello”
Glielo aveva spiegato Andromeda qualche tempo prima, quando Teddy aveva iniziato a mal sopportare l'altro suo aspetto. Il corpo di Harry si era abituato a quella quantità di Tranello, e il ragazzo aveva anche smesso di manifestare tutti gli effetti collaterali della Pozione Invecchiante, come giramenti di testa e nausee appena dopo essere tornati normali; se avessero cambiato nuovamente le dosi, l'organismo sarebbe impazzito, avrebbe iniziato a rigettare l’intruglio, e Harry non avrebbe più potuto sperare di assumere la Pozione e invecchiare a proprio piacimento – tutte le prove che avevano fatto per creare quella che lo trasformava in Mr. Moon (come lo chiamava Teddy) non erano di aiuto, anzi. Quindi, sarebbe stato impossibile per Harry diventare ancora un'altra persona.
Teddy aveva sospirato, rassegnato, e sciolto l’abbraccio. “Vado a letto” ma si sentiva che qualcosa non andava.
“No, resti qui e mi dici che hai” Harry voleva capire perché non gli andasse giù che assumesse la Pozione solo da qualche mese, mentre prima quasi non si accorgeva che Harry usciva e rientrava come Mr. Moon, così lo aveva preso delicatamente per il polso e fattp sedere di nuovo sul letto accanto a sé.
“C’è che non me li ricordo”
Harry lo aveva guardato confuso, non capendo.
“Non mi ricordo la morbidezza della pelle della mamma, o il profumo del papà appena dopo la luna piena, o il suono delle loro risate… fatico a ricordarne persino la voce. Sono passati otto anni, ne avevo tre quando li ho persi, ed è normale, lo so, perché nessuno si ricorda di quando aveva tre anni. Li posso vedere nelle foto, ne abbiamo tante insieme dato che alla mamma piaceva tanto farle, ma li sono muti, fanno sempre la stessa cosa: posso rivedere all’infinito che mi abbracciano appena nato ma non sentirò più quelle braccia stringermi e il loro respiro sulle guance. Li sto dimenticando, e tutto quello che mi resta sono solo foto e racconti su di loro. Ho avuto tre anni, insieme a mamma e papà, e devo farmeli bastare per la vita, ma li sto dimenticando e io non voglio dimenticarli…” aveva gli occhi lucidi, ma non avrebbe pianto.
“Teddy…” non sapeva cosa dire, non capiva cosa questo c’entrasse con la Pozione.
“Harry, io voglio ricordarmi di te che mi accompagni a prendere il treno, di te che mi saluti oltre il finestrino, di te che mi sorridi mentre ti sistemi gli occhiali sul naso, di te che mi suoni il piano quando tornerò a casa per le vacanze. Di te, Harry, non di Mr. Moon”
“Hai paura di dimenticarmi?” aveva chiesto con un filo di voce mentre qualcosa gli si spezzava dentro.
Si era gettato tra le sue braccia in risposta, ed Harry lo aveva stretto. “Sono sempre io…” aveva mormorato, e Ted aveva capito che non avrebbe smesso di prenderla. Non quel giorno.
“Va bene” aveva detto con un filo di voce. “Buona notte” ed era tornato in camera sua.

*

Harry si svegliò di colpo, leggermente sudato. Guardò verso il suo comodino, ma al posto della sveglia c’era un libro sulle creature mitologiche marine e un bicchiere di vetro mezzo vuoto. Sentì qualcosa di caldo tra le braccia e si rese conto di essersi addormentato in camera di Teddy; lo guardò dormire, sembrava tranquillo.
Si alzò lentamente, per non svegliarlo, sentendolo mormorare “Harry” nel sonno, e scese in cucina a bersi un latte e cacao: adorava quando quella polvere scura si fermava sul fondo e poteva farne una crema pastosa con le ultime gocce di latte.
Da quel giorno di circa tre anni prima, Teddy non gli aveva più detto niente sull’argomento; non lo aveva dimenticato, ovviamente, ma sperava di non doverlo più affrontare. Invece, quel sogno, quel ricordo, lo aveva turbato... Buffo, diceva di essere cambiato, di aver ripreso a suonare come dimostrazione, ma in realtà l’unica cosa che faceva era nascondersi.
Per un momento, si vide davanti un viso pallido con due pozze grigie e dei capelli biondi, un viso che non era ricorso a nessuna pozione per continuare a vivere. Draco Malfoy ancora non si perdonava per ciò che aveva fatto, ancora non riusciva a prendere in mano quel violino che gli aveva visto suonare una volta sola: celava al mondo ciò che aveva dentro, ma non si nascondeva dietro un’altra faccia, aveva avuto il coraggio di andare avanti come l’erede di una delle famiglie Purosangue più importanti d’Inghilterra che era; doveva essere stato difficile, ma alla fine ce l’aveva fatta.
Lui invece non aveva neanche il coraggio di uscire di casa senza essersi controllato allo specchio.
Che senso aveva mostrarsi, donare emozioni, accettarsi internamente se poi rinnegava il suo stesso viso?
Guardò il fondo del bicchiere, sporco di cacao. Sì, Teddy aveva ragione.



NdA
Ciao a tutti ^^
Purtroppo la mia connessione ha amabilmente deciso di prendersi due giorni di ferie, quindi pubblico oggi anche se è mercoledì (non mi andava di far aspettare un’altra settimana). Anyway…
Sono stata molto contenta di vedere che Teddy è stato accolto con tanto amore (ma d’altronde, come si può non amarlo, è così cuccioloso :3) e spero che questo capitolo incentrato su di lui e sul suo rapporto con Harry vi sia piaciuto: sono soddisfatta del risultato, fatemi sapere cosa ne pensate :)
A titolo informativo, ho deciso di allungare un po’ i capitoli e di continuare a pubblicare ogni due settimane ancora per un po’ (e sempre di lunedì, a meno che la mia connessione non salti di nuovo)
Come sempre ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, chi segue, chi preferisce, chi ricorda, e tutti coloro che leggono: mi fa davvero felice sapere che la mia storia piace, inizialmente credevo non l’avrebbe letta nessuno, quindi grazie, grazie davvero! C:
Un grosso bacio, merrow :*

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Non ricordava quanto la soffitta del Manor fosse polverosa, probabilmente perché non ci era mai salito da quando aveva sette anni. Aveva ordinato a Dobby di nascondersi nel posto più difficile da pulire di tutta la villa, renderlo brillante come un cristallo trasparente e poi tornare da lui senza un briciolo di polvere sul corpo; solitamente Dobby ci metteva poco, era un elfo molto efficiente, ma all’ora di cena ancora non si era fatto vivo, e lui gli aveva dato quell’ordine al pomeriggio, per cui era andato a cercarlo e lo aveva trovato in soffitta, stremato, con ancora più di metà stanza invasa dalla polvere. Gli aveva quindi detto di smetterla, che andava bene così, e solo in quel momento, immerso negli acari da cima a fondo, si rese conto di quanto gli occhi dell’elfo lo avessero guardato con gratitudine, quel giorno. Gli dispiaceva, per Dobby…
Stava cercando il violino, ma non lo trovava da nessuna parte. Quando trovò un vecchio manichino con un abito di seta ormai logoro sul bianco e particolarmente ampio sul ventre, Draco capì che il suo strumento non poteva essere in soffitta. Sicuramente sua madre prima era stata incinta e aveva messo lì i suoi vestiti di quel periodo e dopo aveva ritirato le cose del suo bambino.
Scese le scale e andò dritto a farsi un bagno caldo, non sopportava di essere pieno di polvere. Si immerse completamente nella vasca, poi si appoggiò al bordo e chiuse gli occhi. Dove sei? Prese la spugna e si massaggiò le membra, poi il torace e il collo dolorante: era diventato alto ed era stato costretto a stare piegato tutto il tempo, in soffitta. Dove sei? Il violino lo attendeva al suo posto, questo gli aveva detto sua madre anni e anni prima. Ma se non era tra tutta quella polvere, allora dove poteva essere? Non suonava da troppo tempo perché fosse ancora…
Sbarrò gli occhi. Finì di lavarsi e indossò un accappatoio grigio perla per andare in camera sua, dopo essersi asciugato i piedi e un po’ i capelli per non sgocciolare per tutto il corridoio. Entrò e puntò sul suo baule in fondo al letto, dove teneva tutte le divise e i libri che aveva usato a Hogwarts, oltre che oltre alle ampolle e alle provette per le pozioni. Già, Pozioni…
Severus gli aveva sempre detto che sarebbe diventato un ottimo pozionista, che avrebbe potuto sostituirlo un giorno, ma non ci aveva più dedicato troppo tempo da quando lui era morto, ucciso dalle fauci di Nagini. Non aveva perso la mano, a volte preparava dei distillati così tanto per passare il tempo o mentre aspettava di uscire con Theo, e gli erano sempre venuti perfetti, ma provava una forte nostalgia per quell’uomo dai capelli perennemente unti… e poi, parliamoci chiaro, non voleva che i suoi facessero la stessa fine.
Aprì il baule, e la custodia era lì, ad attenderlo. La mise sul letto, senza sollevarne il coperchio e quindi vederne il contenuto, e andò a vestirsi: pantaloni neri, camicia con gilet, scarpe laccate e cappotto grigio antracite fino al ginocchio, che allacciò completamente perché gli riparasse il collo dal gelido vento dicembrino. Afferrò il violino, schioccò le dita per chiudere tutte le serrature del Manor e si Smaterializzò.

*

Theo era concentratissimo, stava dipingendo un vaso di gigli azzurrini, dando gli ultimi ritocchi di rosso per far risaltare una precisa tonalità di violetto; aveva il pennello a pochi millimetri dalla tela quando la porta di spalancò sbattendo, e quel bellissimo rosso Tiziano macchiò in modo irreparabile sia il petalo del fiore che la foglia. “Draco” lo salutò calcando sulle prime due consonanti, come a voler soffocare un ringhio.
“Oh, Theo, scusa, non sapevo che stessi dipin…” il pittore si scostò facendogli notare la chiazza rossa. “…gendo” e arrossì. “Scusa”
“Non fa niente, non è nulla di che”
“Nulla di che? Ma è perfetto” sentenziò togliendosi il cappotto, “Cioè, era”
“Mi annoiavo” disse riponendo pennello e tavolozza. “Era un modo di passare il tempo, tutto qui. Comunque, che ci fai qui?” Non che la cosa gli dispiacesse, eh, solo non lo aspettava.
“Volevi vederlo, no?” chiese mostrandogli la custodia del violino.
Theo sorrise leggero e annuì sospirando. Sapeva benissimo come era fatto un violino, non aveva bisogno di vederlo, però magari a Draco sarebbe anche venuta la voglia di suonarlo, a trovarselo di nuovo in mano.
Erano nella camera da letto del pittore, il posto dove più amava dipingere, così il biondo gli chiese con lo sguardo se poteva sedersi sul suo letto, e Theo acconsentì. Draco si portò quella valigetta sulle ginocchia e prese un respiro profondo, restando immobile. Aveva paura di trovarlo pieno di polvere, o con delle corde rotte, o addirittura marcio… non lo avrebbe sopportato. Non ci si accorge del valore effettivo di una cosa finché non la si perde, e lui aveva il terrore di averla persa.
Theodore dovette accorgersi del turbine di emozioni che lo sconvolgeva e andò a sedersi di fianco a lui. Non parlò né gli mise una mano sulla spalla, gli fece solo sapere, con quel gesto, che non era solo e doveva farsi forza. Draco apprezzò e fece scattare la serratura, aprendo la custodia.
DLM: si era ancora lui, intatto e perfetto. Lo accarezzò leggero, e sentì qualcosa svegliarsi dentro di sé.
Il pittore avrebbe voluto commentare, il violino era davvero bellissimo e l’espressione di Draco meravigliosa, ma non si sarebbe mai permesso di intromettersi tra loro in quel momento, così attese pazientemente che l’amico si voltasse verso di lui.
“È stupendo, non trovi?”
“Sì, e anche il suono non deve essere da meno”
Il viso di Draco si adombrò e tornò a guardare lo strumento. “Sì, aveva… aveva un bel suono”
“Ce l’ha ancora, ne sono convinto”
Chiuse la custodia e si alzò dal letto, andando verso la poltroncina sulla quale aveva lasciato il cappotto. “Devo andare”
“Aspetta” Theo lo afferrò per il braccio. “Che cosa c’è?”
“Niente” rispose fingendo indifferenza mentre indossava con lenti movimenti meccanici il cappotto.
“Draco, sai che con me non funziona” continuò in tono più dolce.
“Sì, lo so, ma questo non mi impedisce di mentirti e provarci lo stesso, no?”
Faceva sempre così quando si sentiva attaccato o troppo vulnerabile, diventava acido con l’unica persona che proprio non se lo meritava. Theo gli era sempre stato vicino, gli aveva parlato anche quando sapeva che lui non lo stava ascoltando, lo aveva aiutato ad andare avanti con la sua vita nonostante quello che gli aveva fatto in passato, non gli aveva mai chiuso la porta in faccia. Eppure questo sembrava non impedire al ragazzino dentro di lui di uscire in tutta la sua prepotenza.
Theo ci rimase male, per quella risposta, e non seppe replica re altro che silenzio. Davvero non capiva, cosa aveva fatto o detto per sentirsi rispondere in quel modo? Gli aveva semplicemente fatto dei complimenti per spronarlo a ricominciare a suonare, e non perché volesse con tutto sé stesso vedere quelle lunghe dita pallide sfiorare lo strumento, ma perché sapeva che era l’unica cosa che Draco desiderava davvero. Chi non sentiva il bisogno di essere libero, alla fine?
Draco stava già scendendo al piano di sotto, gli mancavano pochi gradini per arrivare all’ingresso e quindi alla porta per uscire, ma Theo non avrebbe sopportato di lasciarlo andare senza una spiegazione, quindi si fermò in cima alle scale e lo chiamò ancora. “Draco”
L’interpellato si voltò lentamente, senza fiatare.
“Dimmi che c’è, dimmi che ho fatto di sbagliato”
“Tu non hai fatto niente” e arrivò alla porta, pronto ad aprirla.
“E allora cosa ho detto? Non è da te fare così…”
“Oh, andiamo, davvero non ci arrivi, caro il mio pittore?” Non aveva intenzione di rispondergli così, ma voleva solo uscire da quella casa, allontanarsi da Theo, che consapevolmente o meno lo aveva fatto parecchio innervosire.
Theo lo guardò senza sapere cosa dire, perché davvero non sapeva cos… oh. Adesso era chiaro, e Draco glielo poté leggere in faccia che aveva capito. “Tu non mi hai mai sentito suonare, non sai che suono abbia il mio violino, né se sia bello o meno. L’unica cosa che sai è che ero un ragazzino che ti prendeva per il culo a Hogwarts, che imbrattava le tue cose con schizzi osceni e frasi offensive solo perché vivevi in un mondo tutto ed eri appassionato a qualcosa; un ragazzino che poi ha visto in che merda era finita la sua famiglia e ha provato a rimediare; un ragazzino che ti ha chiesto scusa, sì, ma non ti ha mai dato altro, non ti ho mai mostrato cosa c’è dentro di me. Quindi, piantala di dire quanto la mia anima sia bella e cose così, perché non ne hai la più pallida idea”
Seguì un lungo silenzio, Theo sembrava una statua di cera.
Draco si rese conto di aver un tantino esagerato, ma in quel momento non aveva importanza. Solo una persona, oltre a sua madre, lo aveva sentito suonare e gli aveva fatto dei complimenti, e solo quella persona aveva la possibilità di dire qualcosa in quel momento su cosa nascondessero quegli occhi argentei e tempestosi.
Ma quella persona non era Theodore.
Prima di richiudersi la porta alle spalle si voltò verso di lui, senza sapere il perché, e lo trovò che lo fissava con lo sguardo spento. “Non ti chiederò più di mostrarmi niente, tranquillo”
Forse non era la cosa giusta da dire o il momento giusto per farlo, ma con quel discorso era come se Draco gli avesse chiuso la porta in faccia. “Scusami”
Il biondo fece un cenno di saluto e uscì da quella casa.
Theo sperò con tutto sé stesso che non fosse uscito anche dalla sua vita.

*

Vagò per le strade di Londra per tutto il pomeriggio, con il colletto del cappotto alzato sia per proteggersi dal vento che per non farsi vedere: per la prima volta in vita sua passeggiava in pubblico con il violino con sé.
Era una sensazione strana, c’erano momenti in cui la paura che qualcuno lo scoprisse lo assaliva, ma poi si ricordava che a nessuno importava più di Draco Malfoy, nemmeno a Diagon Alley; certo, le occhiatacce le riceveva ancora, ma solo quelle: nessuno lo indicava più con disgusto, non c’erano mormorii che restavano impressi nell’aria dopo il suo passaggio, semplicemente tutti passavano oltre.
Ma perché, allora, lui era l’unico che non ci riusciva?
Si accorse che ormai si era fatta sera osservando i lampioni accesi. Non aveva voglia di andare al Manor, per cui si fermò su una panchina lungo il Tamigi, ad ammirare le luci colorate degli addobbi natalizi riflettersi sull’acqua.
Non c’era praticamente nessuno, a parte una coppietta che si sbaciucchiava un po’ più avanti e dei ragazzini che si divertivano dall’altro lato della strada, quindi non gli fu difficile sentire dei passi avvicinarsi. Tenendo la testa bassa guardò quelle scarpe, da ginnastica e abbastanza anonime, che mano a mano rallentavano mentre si avvicinavano a lui, finché non gli si fermarono davanti.
Solo in quel momento alzò il viso, e un ghigno sorpreso si dipinse sul suo viso.
“Sei una persecuzione, Potter”



NdA
Ciao a tutti C:
So di aver detto che avrei pubblicato ogni due settimane ancora per un po', ma sabato parto e starò in vacanza su un camper per la prima metà di agosto senza possibilità di postare, quindi ho deciso di farlo adesso. Scusate per queste irregolarità di pubblicazione, l'estate fa brutti scherzi ^^”
Spero che il capitolo vi sia piaciuto: è stato difficile scriverlo, ma allo stesso tempo si è scritto da solo (non ha senso, lo so, ma è così). Mi piacerebbe tanto sapere cosa ne pensate su cosa è successo tra il violinista e il pittore e, soprattutto, se siete contente che Draco ed Harry si siano incontrati di nuovo (finalmente, non ce la facevo più nemmeno io! xD): la prossima volta domineranno la scena, ve lo prometto <3
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, chi ha messo la storia tra le seguite, le ricordate e le preferite e chi legge in silenzio: siete sempre di più, aww :3
Ora vi saluto, passate delle buone vacanze, spero di ritrovarvi tutti al mio ritorno! ;)
Un bacio, merrow :*

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Li aveva notati da lontano, quei capelli così chiari da sembrare bianchi.
Aveva esitato un momento, prima di avanzare, chiedendosi se fosse il caso di mostrarsi così, senza maschera, dopo tanto tempo, e proprio a lui. Lui, che lo aveva appena salutato in quel modo, senza rendersi conto di una cosa abbastanza ovvia: non era Harry a perseguitare Draco, più che altro era il contrario.
“Loquace come sempre, vedo” ironizzò il biondo, dopo un attimo di silenzio dello Sfregiato. Sì, la cicatrice c’era ancora, un po’ meno evidente e nascosta in parte dai capelli, ma c’era ancora. Anche Potter era stato marchiato da Voldemort, esattamente come lui, ma il significato era diametralmente opposto.
“Certe cose non cambiano mai” ribatté Harry, la bocca impastata. Era strano parlare di nuovo con la propria voce a qualcuno che non fosse Teddy, o Andromeda, ma proprio per loro, in particolar modo per il suo cucciolino, aveva deciso di uscire nella notte londinese senza Pozione; certo, data l’ora sperava di non incontrare nessuno, soprattutto nessuno che conoscesse Harry Potter, anche se dopo anni e anni avrebbe dovuto ormai averlo capito che tra lui e la dea bendata non scorreva buon sangue.
“I tuoi occhiali sono una di quelle”
“Senza sono praticamente cieco, Malfoy, non è una novità”
“Intendo, questi occhiali” e gli indicò il viso, “tondi e spessi come fondi di bottiglia. Mi chiedo, Potter, li hai mai cambiati, in tutti questi anni?”
“Serve sul serio che io ti risponda?”
Draco finse un secondo di pensarci, poi scosse la testa. Ovviamente erano gli stessi. Sia gli occhiali che loro due. “Come mai hai deciso di deliziarci con il tuo vero aspetto, stanotte?”
Harry lo fulminò con lo sguardo, notando solo in quel momento la custodia appoggiata vicino alla sua coscia sulla panchina. “E tu come mai hai deciso di deliziarci con il tuo violino?”
“Io non ho deciso proprio niente!” urlò inviperito, tanto che i ragazzini che giocavano si zittirono per qualche istante prima di correre via in silenzio; la coppietta aveva levato le tende da un po’.
“Ehi, calmati, ho solo chiesto”
“Anche io ho solo chiesto, eppure tu non hai risposto” sputò, accavallando nervosamente le gambe e fissandolo con aria di sfida. Harry ingoiò il groppo che gli si era formato in gola e contenendo la rabbia: per Godric, come diamine faceva quel biondo ossigenato a fargli sempre questo effetto? Si prese la radice del naso tra pollice e indice, sospirando. “Perché fai sempre così?”
“Scusami?” la voce gli si alzò di un’ottava.
“Prendi tutto come un attacco diretto, quando magari è semplice curiosità”
“Curiosità, Potter? Sei curioso di cosa io faccia o non faccia con il violino? Cazzi miei, va bene?”
“Visto? Lo stai facendo di nuovo”
“Ma che cavolo vuoi, si può sapere?” si alzò di scatto, facendo traballare la panchina e cadere la custodia. Il tempo parve fermarsi, mentre si voltava per prenderla al volo, ma non riuscì a evitare che sbattesse a terra; si inginocchiò senza esitare o preoccuparsi di sembrare ridicolo, e la aprì per controllare: fortunatamente, il violino era salvo. Tirò un sospiro di sollievo.
Harry si accovacciò vicino a lui, vedendo che non accennava ad alzarsi. “Tutto bene?”
Draco annuì con troppa sicurezza restando a contemplare il violino, chiedendosi perché non sentisse il bisogno di chiudere la custodia di scatto e celare il suo strumento a quegli occhi verdi. Quando lo aveva mostrato a Theo, aveva provato una strana sensazione all’altezza dello stomaco, ma l’aveva ricacciata indietro sapendo quanto l’amico ci tenesse. Che poi, cosa aveva di speciale quel violino? A parte l’incisione DLM non era diverso da un qualsiasi altro… o sì?
Senza dire una parola, Harry chiuse delicatamente la custodia spostando le mani di Draco: la pelle era liscia e fredda, d’altronde con quella temperatura e senza guanti non poteva aspettarsi altro, e un piccolo brivido gli percorse la schiena; anche l’altro dovette provare la stessa sensazione, poiché si riscosse dalla specie di trance in cui era caduto rialzandosi in piedi di scatto. Lo colse un giramento di testa, e si appoggiò alla spalla di Harry per non cadere.
“Scusa” farfugliò, dopo essersi ripreso.
“Sicuro che vada tutto bene?” chiese di nuovo Harry, appoggiandosi alla ringhiera del ponte; la pressione della mano di Draco sulla sua spalla era stata leggera, troppo leggera per la sua altezza…
“Ti preoccupi per me, adesso, Potter?” mormorò con un sorriso sghembo sul viso.
Harry ignorò la domanda perché sì, si stava preoccupando per lui e solo Godric sapeva perché: era sempre Draco Malfoy, il suo cervello se lo stava forse dimenticando?
Il biondo rise amaramente. “Tanto non c’è mai stato nessuno che si sia preoccupato per me”
“Non avevi niente di cui preoccuparti, mi sembra”
“E cosa te lo fa credere? Avanti, illuminami”
“Oh, andiamo, non dirmi che con tutto il denaro che avevi…”
“Sai a chi gliene frega qualcosa solo del denaro! È il nome, quello che salva il culo”
“Salva il culo? Sì, a volte sì, te lo concedo, ma la maggior parte delle volte è solo una prigione”
“Non venirmi a parlare di prigioni, San Potter” disse gelido, stringendo le mani sulla custodia. Sì, era stato lui stesso a mettersi in gabbia, ma era davvero convinto che fosse la cosa giusta da fare a quel tempo, ma quando aveva realizzato ciò che aveva fatto, ciò che aveva distrutto, ormai era tardi, troppo tardi.
“Perché non provi a liberarti?” gli uscì spontaneo.
“La chiave è troppo arrugginita per entrare nel lucchetto”
“Però te la porti dietro comunque”
“Solo perché un amico ha insistito che gliela mostrassi, tutto qui. Adesso torna dov’era, in mezzo alla polvere”
A Harry scappò un mezzo sorriso. “Ti aspetti che ci creda?”
Draco lo guardò intensamente. “Non devi crederci tu”
Il vento si alzò all’improvviso, molto più gelido di quanto in realtà non fosse, scompigliando capelli e alzando cappotti. Per un attimo, sembrò loro di essere tornati su quel lungo corridoio, a 12 anni, al Club dei Duellanti, solo che allora erano solo bambini che si stavano antipatici e si punzecchiavano per il semplice gusto di farlo, ancora all’oscuro di quello che il futuro avrebbe loro riservato. Ora erano adulti, la loro vita apparteneva solo a loro, nessun burattinaio che tirava i fili, nessun Silente, nessun Voldemort, ma sembrava che Draco fosse ancora ingarbugliato in quella ragnatela tessuta troppo tempo prima. Non che lui, Harry, fosse messo tanto meglio…
“L’ho fatto per una persona” si trovò a dire, senza nemmeno sapere perché.
“Cosa?” Draco sussultò al cambio di argomento.
“Uscire con il mio vero aspetto. Prima mi hai chiesto come mai, no?”
Un rapido sguardo dietro le sue spalle. “Eppure con te non c’è nessuno”
“Perché non volevo lo sapesse, ovviamente”
Draco fece una smorfia confusa. “Potter, davvero ti aspetti che ci capisca qualcosa?”
“È una storia lunga, Malfoy, e dubito ti interessi” disse un po’ più piccato di quanto volesse.
“Oh, adesso chi è che prende tutto come un attacco diretto?” lo prese in giro, guadagnandosi una fulminata con lo sguardo seguita da un lieve sospiro.
“Cos’è, sei curioso?”
“Può darsi”
Harry soffocò una risata: dopotutto, senza battibecchi una conversazione tra loro sarebbe stata, se non impossibile, almeno surreale; doveva ammettere però che essere sé stesso in quel modo era… bello. Lo faceva sentire libero.
“Cos’hai da ridere?”
“Niente, solo che… sarà strano, ma mi mancava discutere con te, Furetto” ghignò all’ultima parola.
“Beh, a me no” rispose, punto sul vivo.
“Godric, avessi fatto tutte queste scene per ogni singola volta che mi hai chiamato Sfregiato…”
“Sei troppo Grifondoro per questo, mi spiace”
“E tu sei solo un Serpeverde permaloso”
“Come hai detto prima, certe cose non cambiano mai”
Il Big Ben rintoccò la mezzanotte, mentre si guardavano senza saper bene cosa fare, finché una nuova folata di vento fece rabbrividire Draco. “È meglio che vada, adesso”
Harry annuì. “Sì, si è fatto tardi”
“La mia curiosità dovrà attendere, mi sa” sospirò mentre si allontanava di qualche passo per poi fermarsi nuovamente.
“La nostra, vorrai dire” e per quanto potesse sembrare superficiale, l’affermazione era seria.
Draco abbassò lo sguardo, e con un cenno del capo iniziò ad allontanarsi nella notte.
Harry guardò quelle spalle leggermente incurvate in avanti andare via, e qualcosa si mosse dentro di lui. “Malfoy!” lo chiamò; gli camminò dietro e solo quando si trovarono di nuovo faccia a faccia gli tese la mano.
Draco spalancò gli occhi, perché no, non poteva essere che…
“Non vorrai mica fare amicizia con le persone sbagliate?” gli chiese Harry, per fargli intendere che sì, poteva essere benissimo.
Dopo un attimo di stupore, Draco ghignò. “Credo di essere capace di capire da solo chi sono le persone sbagliate, grazie” e afferrò la mano di Harry.



NdA
Eccomi di nuovo qui, dopo le vacanze: almeno un pochino, vi sono mancata? ^^
Finalmente si sono incontrati di nuovo, me felice *-* sono troppo in modalità fangirl adesso per scrivere delle note decenti, perché oh, Salazar, si sono incontrati di nuovo - forse non ha tanto senso che io, l’autrice, provi questo, dato che sono stata io a decidere di far passare così tanto tempo, però confesso che smaniavo dalla voglia di arrivare a questo punto ^^”
Voi cosa ne pensate? Siete contente?
Ringrazio chi legge, chi segue, chi preferisce e ricorda la storia e soprattutto chi ha recensito lo scorso capitolo: siete stupende <3
Un bacione, merrow :*

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Era da tanto tempo che non si svegliava grazie ad un profumino delizioso.
Sua mamma non era mai stata particolarmente abile in cucina, anzi Andromeda non l’aveva mai più fatta avvicinare a un fornello da quando aveva tentato di preparare una frittata dolce facendo venire i crampi allo stomaco per tre giorni a chiunque l’avesse assaggiata, ma suo papà aveva un dono naturale: tutte le mattine - a eccezione di quelle dopo il plenilunio - preparava loro la colazione, metteva qualcosa in frigorifero per il pranzo dato che lui sarebbe stato al lavoro, e la sera a cena si divertiva a indossare un grembiule bianco con disegnato un lupetto peloso sul petto e a parlare con un accento francese per far scegliere a Dora il menù.
Teddy ovviamente non se lo ricordava, aveva solo visto delle foto e ascoltato i racconti della nonna, era troppo piccolo, ma la sensazione della tavola imbandita di leccornie preparate dal suo papà, delle risate della mamma alle performance di Remus, del profumino che lo svegliava al mattino insieme al bacio del buongiorno, ecco, quelle se le ricordava bene, facevano parte di lui.
Harry non era un disastro come Tonks, ma non era certo ai livelli del vecchio amico di suo padre, o di Andromeda: era un tipo che sapeva come cucinare una pasta al pomodoro davvero buona, per intenderci, ma se già gli veniva chiesta una carbonara andava in crisi e finiva per ordinare qualcosa al take away più vicino. Poiché il suo essere pianista in incognito lo portava a stare fuori quasi sempre fino a tardi, si svegliava per l’ora di pranzo e la colazione finiva nel dimenticatoio, almeno finché Ted non tornava da Hogwarts per le vacanze. In quei giorni, era il ragazzino a svegliarsi per primo e a tirare fuori i biscotti e il cacao dalla credenza, il latte dal frigo e le tazze dal lavello, per poi andare da Harry, dargli un bacio sulla guancia e annunciargli che la colazione era pronta e stava aspettando solo lui.
Per questo quella mattina si stupì, aprendosi in un sorriso affettuoso mentre a piedi nudi scendeva in cucina.
Harry aveva appena tirato fuori dal forno una crostata alla frutta, e sul tavolo c’erano già i biscotti e una caraffa di spremuta appena fatta, gli spruzzi aranciati avevano macchiato la sua maglia bianca e anche il muro e il ripiano vicino al lavello - non era mai stato bravo con lo spremiagrumi: avrebbe potuto usare la magia, certo, ma non sarebbe stata la stessa cosa. A Teddy venne da ridere notando uno strofinaccio rosso a pois bianchi legato intorno alla sua testa, e Harry si voltò a quel suono.
“Oh, buongiorno”
Disperate Housewives ti ha fatto male, confessa”
“Dispe che?” domandò stranito senza capire.
Teddy fece un gesto noncurante con la mano. “È un telefilm babbano, se non mi sbaglio, del quale mi ha parlato allo sfinimento un mio compagno di stanza, che è fissato con quelle cose lì”
Si sedette su una sedia, portandosi poi un ginocchio al petto e allungando la mano per prendere un biscotto. “Però con quel coso in testa sei davvero ridicolo” e ridacchiò di nuovo.
Harry se lo tolse, arruffando ancora di più i capelli. “Era perché non cadessero sugli occhi”
“Potresti tagliargli, no? Staresti bene con un bel taglio rasato” disse scoppiando poi a ridere alla faccia sconvolta di Harry.
“Mai e poi mai, sembrerà strano ma senza non mi sentirei più io” spiegò mentre tagliava due fette di crostata.
“Mr. Moon mica ha quei capelli, no?” forse lo disse un po’ troppo acidamente, dato che Harry posò il coltello e lo guardò tormentandosi le mani. “Scusa” si affrettò a dire.
“No, hai ragione” lo interruppe Harry, “A tal proposito, c’è una cosa che ti devo dire”
Teddy prese la sua fetta di crostata e iniziò a mangiarla, in un muto assenso a continuare.
“Ieri sera sono uscito”
“Non mi pare avessi concerti ieri sera, già alla Vigilia sei andato al piano bar…”
“Non sono uscito per suonare”
“E allora perché?” Harry aveva sempre evitato come la peste di mettere piede fuori casa senza un motivo ben preciso, e se non c’entrava con il pianoforte…
“Ricordi cosa mi dissi il giorno prima di prendere l’Espresso per Hogwarts, tre anni fa? Mi pregasti di non prendere quella Pozione, e io rifiutai. Ho sbagliato a farlo, a non darti ascolto, e l’ho capito veramente solo questa notte, avevi ragione; non è giusto che io continui a nascondermi dietro una maschera, sia per me che per te, anche se questo mi fa vivere con te una vita tranquilla e serena, la vita che ho sempre voluto e che non ho mai potuto avere”
“Harry, so perché hai deciso di vivere come Mr. Moon fuori da queste mura, e lo capisco”
“Ma non lo accetti”
Teddy ammutolì, metà fetta di torta ancora da mangiare, così Harry continuò. “So cosa significa non avere nessuno da salutare, alla stazione, non vedere alcun viso sorridente della tua famiglia, ed è una brutta sensazione; è calmata dalla presenza dei genitori dei tuoi amici, certo, che sventolano quelle mani anche per te, ma non scompare. E ti chiedo scusa per non esserci stato, davvero”
Teddy continuava ancora a non dire niente.
“In tanti mi hanno fatto complimenti per la mia musica, e sento gli applausi dopo ogni mio pezzo, so di riuscire a donare delle emozioni, con il piano, ed è grazie a te. Sì, è stato Sirius a insegnarmi, ma sei stato tu a farmi riprendere, quel giorno ai funerali. Ecco perché ho deciso di smettere”
“Cosa stai cercando di dirmi?”
“Ieri sera sono uscito senza prendere la Pozione”
Teddy quasi si strozzò con il boccone che aveva appena ingoiato, e tossì forte anche dopo un lungo sorso di succo. “Cosa?”
“Sono arrivato fino al Big Ben, passando per il ponte”
Inizialmente non voleva che Teddy lo sapesse, sarebbe stata una parentesi di una notte, e se non si fosse sentito a suo agio avrebbe potuto ignorare l’accaduto e continuare come se niente fosse, ma l’incontro con Draco aveva mischiato le carte in tavola; aveva riflettuto tutto il viaggio di ritorno se mantenere il segreto o no, e alla fine aveva optato per la sincerità.
“E lo hai fatto per me?”
Sapeva bene cosa Harry avesse passato per colpa della cicatrice sulla sua fronte, l’impossibilità di fare due passi senza avere giornalisti e ammiratori attorno lo aveva sfinito, e se era arrivato al punto di rinunciare perfino al suo aspetto la situazione doveva essere grave. Harry non sopportava che il suo cognome avesse questo effetto sulle masse, non tollerava gli sguardi languidi che Ginevra gli lanciava unicamente per accaparrarselo prima delle altre e avere la sua sessione di fotografie sulle riviste patinate, e non voleva diventare un peso per le persone che gli volevano bene. Si, sebbene lo stesso Harry gli avesse confessato che all’inizio né Ron né Hermione incontravano i suoi gusti in fatto di persone simpatiche, col tempo aveva iniziato a tenere sul serio a loro, avevano condiviso troppo insieme e certe esperienze legano saldamente, e Teddy comprendeva quanto gli dovesse essere difficile non avere contatti con loro.
“Sì, è arrivato il momento di far cessare di esistere Mr. Moon”
Teddy si aprì in un sorriso e gli corse incontro, abbracciandolo stretto. “Grazie”
“Sarà una cosa graduale, però, spero tu mi possa capire”
“Certo, certo… senti, allora oggi andiamo a Diagon Alley?”
“Non è un po’ troppo affollato?”
“Ieri era Natale, oggi saranno tutti a casa stravaccati sui divani o a rimpinzarsi di cibo, e poi basta che ti metti un cappello e una sciarpa bella spessa ed il gioco è fatto. Ti prego” e Harry avrebbe giurato che, se Teddy avesse avuto la coda, in quel momento avrebbe scodinzolato tutto felice.
“E va bene, però andremo stasera, appena dopo cena”
“Affare fatto”
Teddy divorò un’altra fetta di torta e bevve quasi metà della caraffa di spremuta, che fu finita da Harry, e poi lo aiutò a rimettere tutto in ordine; quando finirono lo abbracciò di nuovo”
“Sono tanto contento, sai?”
Il più grande sorrise, intenerito. “Non avrei sopportato di perderti”
Teddy sciolse l’abbraccio dopo un tempo indefinito, per poi guardarlo con un ghigno malizioso.
“Che c’è?” chiese Harry.
“Hai detto di essere andato al Big Ben, giusto?”
“Ehm, si..?”
“E sei uscito dopo che io sono andato in camera mia e mi sono messo ad ascoltare la musica, se no ti avrei sentito… quindi dopo le dieci”
“Non capisco dove tu voglia arrivare”
“Sei rientrato…” e fece un rapido conto sulle dita, “tra mezzanotte e mezza e l’una”
“E tu che ci facevi sveglio, a quell’ora?”
“Ecco, io…” arrossì un pochino sugli zigomi, “avevo freddo e non riuscivo a prendere sonno”
Harry finse di crederci. “Sì, capisco”
“Comunque, che hai fatto per più di due ore e mezza? A piedi per fare avanti e indietro basta un’ora e mezza abbondante, se cammini veloce” e il suo sorrisino non avrebbe creduto a niente se non alla verità.
“Ho incontrato una persona”
“Chi?” i suoi occhi si sgranarono per la curiosità.
“Draco Malfoy”
Per Teddy, quel nome voleva dire poco e niente. Quando il processo aveva avuto luogo, lui aveva solo tre anni, e in seguito il nome dei Malfoy non era stato più nominato, vuoi per disprezzo, vuoi perché non aveva più nessuna importanza; sta di fatto che il piccolo Lupin era cresciuto senza alcun pregiudizio nei confronti delle famiglie i cui componenti erano andati a formare l’esercito di Lord Voldemort. Aveva sentito qualcosa tremare, però, nella voce di Harry.
“Ed è una brutta persona?”
“No” rispose di getto, senza pensarci. “Anche se in passato ho pensato lo fosse”
“Perché?”
“Lui e la sua famiglia combattevano per il Signore Oscuro, ma è normale che non ti ricordi di quel periodo, è passato tanto tempo”
“Quindi adesso non lo pensi più?”
Harry scosse la testa. “A essere sincero, è stato anche grazie a lui che ho deciso di smettere. Mi ha fatto riflettere”
“Allora non è la prima volta che lo incontri!” Teddy gli puntò il dito contro, lo sguardo malandrino, ed Harry si trovò ad arrossire. “Beh, no…”
“E ti piacerebbe rivederlo, vero?”
Sentì le orecchie andargli a fuoco. “Lo rivedrò, sì, ma…”
“Oh, padrino, non sapevo che lei avesse certi gusti” lo prese in giro, ed Harry aprì e chiuse la bocca un paio di volte senza trovare una risposta.



NdA
Ciao a tutti ^^ Scusate se pubblico in serata, ma questo è davvero il primo momento libero dopo essere stata fuori tutto il giorno per cause di forza maggiore.
Ora Harry non può più tirarsi indietro, dovrà proprio smettere, ma vi confesso che ne sono solo felice: Mr. Moon non piaceva praticamente a nessuno, ed è giunta l'ora che se ne vada u.u
Spero il capitolo vi sia piaciuto e di aver reso abbastanza bene cosa pensano Harry e Teddy: mi raccomando fatemi sapere attraverso un commento, che sono sempre ben accetti e mi sono d’aiuto per provare a migliorare :) sono un pochino nervosa, sarà perché l'ho scritto non nel migliore degli stati d'animo, non so, però spero vi soddisfi lo stesso!
Ringrazio chi segue, chi ricorda e chi preferisce e soprattutto chi ha recensito lo scorso capitolo, oltre a tutti i lettori silenziosi che passano di qui ^^
Detto ciò, il prossimo capitolo tra due settimane!
Un bacione, merrow :*

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Teddy aveva davvero pensato, quel pomeriggio, che il tempo si divertisse a giocare con lui. Perché lì, steso sul letto ad attendere l'uscita serale per le vie di Diagon Alley, sembrava che dieci minuti fossero secoli esattamente come quando a scuola l'ora di Storia della Magia non passava mai? Era snervante.
Dopo aver letto per l'ennesima volta Gli animali fantastici: dove trovarli e aver fatto una parte della marea di compiti di Trasfigurazione (evidentemente, la nuova professoressa voleva seguire le orme della ex preside Minerva McGonagall, che era andata meritatamente in pensione), decise di bussare alla porta di Harry per tentare di convincerlo a uscire prima. Era quasi ora di cena, quindi forse gli sarebbe bastato assumere l'aria da cucciolo indifeso e averla vinta: aspettava da troppo tempo di uscire con Harry, Harry e basta.
Bussò leggero un paio di volte, per annunciare la sua presenza, e poi aprì. “Harry, che...” ma si bloccò, poiché il padrino giaceva addormentato sul letto, gli occhiali storti sul naso e un libro chiuso appoggiato sullo stomaco, con due dita a tenere il segno.
Teddy sorrise e con delicatezza gli appoggiò The Picture of Dorian Gray sul comodino e gli tolse gli occhiali dal naso, ma questo lo fece svegliare. “Ted...”
“Scusami, non volevo svegliarti” sussurrò porgendogli di nuovo gli occhiali: Harry sarebbe stato in grado di parlare ad un cuscino credendolo una persona ma, sebbene fosse uno spettacolo esilarante cui più volte aveva avuto la gioia di assistere, quello non era il momento.
“Che cosa c'è, è già ora di andare?” domandò con voce impastata posando lo sguardo sulla sveglia.
“No, ancora no, ma è quasi ora di cena” spiegò, abbandonando ogni proposito di uscire prima. Lo aveva colpito la velocità con cui Harry si fosse ricordato del loro appuntamento e la preoccupazione di aver dormito troppo, per cui si limitò a sorridergli.
“Ma quanto ho dormito?”
“Non preoccuparti, avevi bisogno di riposo; le ultime due notti le hai passate quasi in bianco, tra il concerto e Draco” calcò volutamente sull'ultima parola, per poi ridacchiare vedendolo arrossire.
“Cosa vuoi per cena?” chiese forse un po' troppo di fretta, ansioso di non addentrarsi in argomenti strani.
“Possiamo scaldare le lasagne avanzate, ne hai preparate per un esercito!”
“Scusa sai se sono abituato alle tue abbuffate”
“Ero troppo emozionato, non vedevo l'ora per stasera” e gli brillarono gli occhi. A Harry si scaldò il cuore a vederlo così, ma allo stesso tempo un senso di malinconia lo invase: era davvero stato cieco a non accorgersi quanto Teddy ci tenesse…
“Dai, vai a vestirti”
“Eh? Non posso cenare così?” Indossava la tenuta casalinga, ovvero pantaloni della tuta e maglia a maniche lunghe.
“Al ristorante dubito ti sentiresti a tuo agio”
Teddy spalancò la bocca e sorrise insieme, e si fiondò in camera: dopo due minuti, tornò vestito di tutto punto, sembrava quasi un ragazzo normale se non fosse stato per quei capelli blu. Harry, che aveva appena infilato la camicia pulita nei pantaloni, lo guardò contrariato.
“Oh, andiamo, sai quanti Babbani si fanno la tinta di questo colore?”
Furono pronti nel giro di una decina di minuti: Harry dovette insistere per convincere Teddy a mettersi almeno un berretto, sia per il freddo che per i capelli, così il piccolo lo costrinse ad uscire con la sciarpa rossa e oro di Grifondoro. “Siamo sotto Natale, non darà nell'occhio”
Andarono a piedi al ristorante cinese, la strada non era lunga e la temperatura abbastanza gradevole, ed essendo relativamente presto lo trovarono vuoto, a eccezione di tre vecchietti dall'aria arzilla. Si sedettero e ordinarono, involtini primavera e nuvolette di drago per Teddy e spaghetti di soia con gamberetti per Harry: lì le porzioni erano enormi, non era necessario prendere altro.
“Lo sai che i dolci cinesi, per quanto tutto il resto sia buono, non riesco a mangiarli, vero?”
“Certo, infatti prenderemo il dessert da un'altra parte”
L'aria si era raffreddata e si era alzato ancora il vento, come la sera prima, ma c'era più gente per strada. Harry si irrigidì e affondò dentro la sciarpa fino al naso; non era pronto a nessuna pacca sulla spalla, a nessuna occhiata sorpresa, a nessun “Ommerlino, Harry Potter è vivo!” e a nessuno scatto da parte dei giornalisti… d'un tratto, gli sembrò di aver fatto l'idiozia più grande della sua vita ad uscire senza protezione, ed stava andando nel panico. E a Diagon Alley non erano ancora nemmeno arrivati…
“Rilassati” la voce di Teddy era calma e rassicurante, “È passato così tanto tempo che crederanno tutti di aver avuto le traveggole”
“Teddy, non so se sono pronto a essere me di nuovo” A casa e nella Londra Babbana era un conto, ma in quella Magica…
“Tu sei sempre stato te, semplicemente ti nascondevi, ma ora hai buttato via quella maschera e non devi avere paura. Negli ultimi tre anni, ho letto praticamente tutte le Gazzette del Profeta che il gufo di un mio amico di Corvonero gli portava da casa e sai in quante ho trovato accenni a te? Nessuna. Ok, sei scomparso e la cosa ha fatto scalpore, lo capisco, ma il mondo è andato avanti e adesso ci sono fatti più succosi di cui parlare, come il prossimo matrimonio del Ministro della Magia, o come se la passa la McGonagall in pensione. Non dico che tu non sia importante, quando tutti sapranno che sei ancora in circolazione per qualche mese non si parlerà d’altro e sì, avrai i giornalisti intorno a casa e in giro pronti a farti un agguato, ma poi tutto scemerà di nuovo e avrai la vita che desideri. Non ci credo che tu non possa superarlo”
Harry rimase in silenzio, l’ansia che ancora non lo aveva abbandonato del tutto.
“Non prenderla a male, ma non sono tutti lì ad aspettare te, a vivere nell’attesa del momento in cui li degnerai di nuovo della tua presenza, come ti ho detto sono passati tanti anni” disse dolcemente e con il sorriso sulle labbra. “Qualcuno c’è, certo, ma sai a chi mi riferisco, e sai anche che adesso saranno tutti alla Tana”
Harry gli aveva raccontato delle vacanze natalizie alla Weasley, dei deliziosi manicaretti che Molly preparava ogni sera, così abbondanti che era sempre un cenone unico, della miriade di regali che c’erano sempre sotto l’albero e sul divano, della sensazione di calore e famiglia che si respirava. Lui era sempre stato invitato a partecipare da quando aveva iniziato a frequentare Hogwarts (anche se il rapporto con Ron non si potesse considerare così stretto, il resto della famiglia lo aveva preso in simpatia) a parte il primo anno, poiché Molly, Arthur e Ginevra erano partiti per la Romania per trascorrere le vacanze con Charlie - non erano più andati poiché un drago aveva quasi bruciato la più piccola di casa, ma nessuno ne era a conoscenza oltre a loro e a Harry.
Pensare a quel Natale, non seppe perché, lo calmò. Annuì, più a sé stesso che a Teddy, e ripresero a camminare, arrivando al familiare muro (andarono in un luogo appartato per potersi Smaterializzare lì davanti senza passare per il Paiolo Magico): batté la giusta sequenza di mattoni, e un attimo dopo si stagliò davanti a loro Diagon Alley, con i suoi negozi, gli addobbi natalizi fissati ovunque e la luce dei lampioni a rischiarare la via. Harry sorrise, tutto era ancora dove doveva essere: la Gringott in fondo alla strada, il Ghirigoro, il negozio di Madame Malkin dove aveva incontrato Malfoy per la prima volta... no, aspetta, perché gli era venuto in mente proprio quel dettaglio? Hagrid gli aveva regalato Edvige, per esempio, e aveva visto per la prima volta una scopa - e non una qualunque, ma la Nimbus 2000! - e aveva comprato la sua bacchetta. Insomma, perché proprio lui?
“Andiamo?” Teddy lo prese per la manica del cappotto, trascinandolo con sé. Non era deserta, pochi maghi giravano comunque con un libro sotto il braccio o il giornale in mano, alcuni uscivano dai negozi che stavano chiudendo un po’ trafelati ma col sorriso soddisfatto per aver finalmente trovato, anche se un po’ in ritardo, il regalo perfetto per qualcuno di loro conoscenza. Si posarono su di loro sguardi curiosi, ma nulla di più, esattamente come aveva predetto Teddy.
“Dove vorresti andare?”
“Pensavo alla Gelateria Fortebraccio, dato che necessito del dolce” e sorrise a trentadue denti.
Harry si lasciò tirare un attimo, dopotutto era da un sacco che non si concedeva un buon gelato, però… “No, so io qual è il posto giusto” e lo condusse da tutt’altra parte.
Il rosso delle imposte delle finestre e il blu dei muri spiccavano tra i colori neutri degli altri negozi, così come l’insegna arancione e viola con una W nel centro e il formato gigante di uno dei gemelli nell’atto di mettersi un cilindro con un coniglietto sulla testa.
“I Tiri Vispi Weasley?” chiese incredulo Teddy, mentre una strega bionda usciva dal negozio. Harry attese che si allontanasse prima di avvicinarsi e aprire la porta facendo tintinnare il campanello.
Non era cambiato niente, né la disposizione dei prodotti né la scala di mogano che portava ai piani superiori né le stelle filanti che scendevano luminose dal soffitto e l’espositore rosa di filtri d’amore vicino all’entrata e alle Puffole Pigmee, oltre che ai tantissimi scaffali pieni di caramelle magiche, giochi e scherzi.
Spuntò subito una chioma rossa dal piano di sopra. “Mi spiace, ma stiamo chiudendo…”
“Ciao, George”
Harry si tolse la sciarpa e alzò gli occhi verdi su di lui, che aveva sceso gli ultimi gradini.
“Harry?”
“È da tanto che non ci si vede, eh?” disse stringendosi nelle spalle, un po’ a disagio.
George però gli corse incontro e lo abbracciò. “Harry, sei proprio tu?” e iniziò a sommergerlo di domande su dove fosse stato, che fine avesse fatto, perché non si fosse mai fatto vivo, né con una visita né tanto meno con una lettera.
“È una storia lunga”
Lasciarono Teddy a girovagare per il negozio, George gli aveva dato il permesso di prendere tutti i dolci che voleva a patto che stesse attento agli effetti collaterali, e si sedettero sulla scala. Harry gli spiegò tutto a grandi linee, sicuro che l’altro avrebbe capito lo stesso.
“Perché sei venuto proprio da me?” chiese George.
“Teddy voleva venire a Diagon Alley, e mi sei subito venuto in mente tu. Come vanno le cose?”
“Non c’è male, gli affari vanno alla grande, e Verity mi dà una mano”
George gli spiegò che era la sua aiutante, una strega bionda che gli ricordava tanto Luna Lovegood, e Harry la collegò alla donna che aveva visto uscire dal negozio appena prima che lui entrasse.
“E alla Tana?” la sua voce si ridusse a un sussurro, si sentiva un po’ in colpa per non sapere nulla.
“Mamma è sempre la solita, vive in cucina, papà continua a lavorare al Ministero e ad avere la fissa per i manufatti dei Babbani e Charlie torna una volta l’anno dalla Romania; Percy diventerà zitello se non si sbriga a trovarsi una donna che lo sopporti, contrariamente a Bill che vive felice e contento con moglie e figli a Villa Conchiglia”
“Figli? Quindi dopo…”
“Sì, dopo la nascita di Victoire la famiglia si è allargata, prima con Dominique e poi con Louis”
George dovette percepire il crescete disagio di Harry, per cui si interruppe aspettando che fosse lui a continuare, quando si sarebbe sentito pronto. Non doveva essere facile per lui, venire a sapere in una sola sera l’accaduto di dieci anni dopo una specie di isolamento volontario; poteva apparire un egoista, o un menefreghista, ma George ora sapeva quanto gli fosse costata quella decisione e aveva tutta la sua comprensione; inoltre, Harry era andato da lui, prima che da tutti gli altri, e non poteva nascondere di esserne immensamente felice. Gli piaceva, Harry, e gli era mancato, perché in quegli anni di scuola era diventato suo fratello in tutto e per tutto; non era riuscito ad arrabbiarsi con lui per la sua sparizione, perché doveva esserci un motivo valido dietro e prima di provare un qualsiasi sentimento di rancore doveva capire quale fosse. Adesso lo sapeva, ma non cambiava niente.
Harry si schiarì la gola secca. “Cosa mi dici di Ron e Hermione? Stanno ancora insieme?”
“Se stanno ancora insieme? Per Godric, sono sposati! Rose ha già due anni e Herm è incinta”
Harry sentì improvvisamente un vuoto dentro di sé, si era perso troppo di tutto. George lo aveva accolto a braccia aperte, ascoltandolo e capendolo, non poteva pretendere lo stesso dagli altri: non ci aveva mai pensato a quell’ipotesi, forse nessuno avrebbe più voluto avere a che fare con lui, e con ragione. In fondo, chi non ce l’avrebbe con uno che ha preso ed è sparito per dieci anni?
“Non sei arrabbiato con me per quello che ho fatto?” gli chiese alzandosi dal gradino.
“Perché dovrei? La rabbia appartiene a un tempo passato, a un tempo che mi fa male ricordare, ed è così per tutti, credimi”
Harry sospirò e chiamò Teddy, che tornò da lui con due Orecchie Oblunghe e una scatola di Fuochi Forsennati Weasley e George glieli regalò di buon grado, strappandogli la promessa che sarebbero tornati presto a trovarlo. L’uomo salutò il ragazzino dai capelli blu con una pacca amichevole sulla spalla ed Harry con un altro abbraccio. “Torna quando vuoi”
“Una di queste sere ripasseremo di sicuro, Teddy adora questo negozio” e sorrise in direzione del figlioccio.
“Non intendevo solo qui, Harry”
Lui annuì, serio, e poi scoccò a George un’ultima occhiata per pregarlo di non dire niente alla Tana, non ancora almeno, e dal sorriso che questo gli rivolse comprese di essere in una botte di ferro.
Uscirono insieme dal negozio, e con uno schiocco delle dita George spense tutte le luci. “Anche per oggi è finita…” sussurrò malinconico, forse perché un tempo lo diceva qualcun altro, qualcuno che non c'era più e aveva lasciato un vuoto incolmabile dietro di sé. “Buona notte, e a presto!” esclamò poi avvolgendosi nel mantello.
“Aspetta, ho ancora una cosa da chiederti”
“Certo, dimmi pure”
“… Ginevra?”
George esitò un attimo prima di rispondere. “Esce di nuovo con Dean Thomas, ma è un continuo tira e molla. L’ultima volta sono durati tre settimane, prima che lei lo bidonasse per l’Auror di turno per farlo ingelosire e tornare da lei con la coda tra le gambe e un brillante qualche giorno dopo” e con un’ultima scrollata di spalle e un sorriso se ne andò nella notte, mentre Harry e Teddy ripresero la strada di casa.
Se non altro, almeno la Piattola aveva deciso di tormentare qualcun altro…
“E tu che ci fai qui?”
Giusto, la Piattola non lo tormentava più perché evidentemente ci pensava già qualcun altro, ed era indeciso se chiamarlo Destino o Draco Malfoy.



NdA
Ciao a tutti ^^
Oggi inizia la scuola (ma non per me lol) e quindi buon primo giorno a tutti, spero sopravviverete in qualsiasi Casa il Cappello vi Smisterà e con tutti i professori ^^
È il capitolo più lungo finora, come vedete ho mantenuto la promessa di allungarli, contente? :D
Harry finalmente mette il musino fuori dal guscio e spicca il volo verso Diagon Alley - con Ted, ovviamente, da solo non so se e quando lo avrebbe fatto. Sono soddisfatta della prima parte, quella incentrata unicamente su loro due, credo di essere riuscita a esprimere bene ciò che avevo in mente e ne sono felicissima - certo, opinioni e pareri e, perché no, critiche sono sempre ben accetti :)
E poi è arrivato lui, George, che io adoro alla follia (se qualcuno fosse interessato, ho scritto anche una OS Forge, Profumo: so che non è digerita da tutti come coppia, però io li amo insieme, e spero che questa rivelazione non porti alcune di voi ad allontanarsi il più possibile da me ^^”): che dire, ve lo aspettavate? E che ne pensate? :)
Ah, ancora giusto due cosine: McGonagall mi piace molto di più rispetto a McGranitt, quindi ho deciso di chiamarla come nella versione originale, anche se tutti gli altri sono i nomi italiani; poi, Harry all’inizio legge una copia di The Picture of Dorian Gray (beh, sì, ormai avete capito che quel libro mi ha ispirato in alcuni dei precedenti capitoli ^^”) e volevo chiedervi: secondo voi, come lo ha avuto? Io mi sono fatta il mio film mentale, dimostratemi che non sono l’unica pls ^^”
Bene, dovrei aver detto tutto. Un bacione, e alla prossima, merrow :*

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Era andato a Diagon Alley, quella sera, proprio perché era convinto che sarebbe stato l’ultimo posto in cui avrebbe incontrato lo Sfregiato. Lo aveva preso in contropiede, sul ponte, sia per averlo aiutato con il violino a terra sia per avergli allungato la mano… Potter, la mano, a lui! Come se niente fosse mai successo. Come se non si fossero detestati per anni, come se non avessero tentato di uccidersi l’un l’altro, come se non si fossero salvati la vita a vicenda.
Non provava più odio verso di lui, forse non lo aveva mai odiato davvero, ma erano giovani, erano solo ragazzi, e l’orgoglio e la testardaggine, per loro, avevano fatto il resto. Un rifiuto, uno solo, ma il primo della vita, da lì era iniziato tutto. Anzi, no, non lì, ma prima… proprio nella sartoria a pochi passi da loro in quel momento.
“Malfoy” lo salutò Harry, stringendo la mano sulla spalla di Ted, sotto lo sguardo curioso di Draco.
“Buonasera” disse cordialmente il più piccolo con un mezzo sorriso. E così Draco era lui…
L’uomo osservò i due, chiedendosi chi fosse quel ragazzino dai capelli blu, per poi ricordarsi subito del figlio che sua cugina aveva avuto dal suo ex professore di Difesa contro le Arti Oscure: era piuttosto alto, ma d’altronde anche lui si era sviluppato in altezza nell’estate antecedente il terzo anno.
“E così tu sei il piccolo Lupin”
“Scusi, ma non mi definirei poi tanto piccolo” si difese arrossendo leggermente.
“Sei un Grifondoro anche tu?” ridacchiò Draco, colpito da quella sfacciataggine che doveva aver preso sicuro come l’oro alla Gringott dal padrino. Non era mai stato un segreto che Harry Potter fosse legato in quel modo a Teddy, ma i giornalisti avevano prima avuto il riguardo di non riempire di domande quel povero bambino che aveva perso entrambi i genitori e poi la paura di avvicinarsi al giardino di Andromeda Black pieno zeppo di piante carnivore, ovviamente Disilluse; per cui, Ted aveva sempre finto di non sapere niente su Harry, su dove fosse sparito e tutto, ma dopo un po’ la gente aveva anche smesso di toccare l’argomento con lui.
“No, sono stato smistato a Tassorosso” e sorrise fiero nel dirlo.
Draco lasciò cadere il discorso, tornando a guardare Harry in modo eloquente, come a chiedergli se fosse lui la persona per la quale avesse deciso di uscire di nuovo allo scoperto, e lui annuì mentre si sistemava gli occhiali sul naso, leggermente a disagio.
“Come mai vi conoscete?” chiese Teddy con finta innocenza.
“Andavamo a Hogwarts insieme” rispose, un po’ incerto, Draco: doveva dedurre che Harry non gli avesse mai parlato di lui? Beh, ma che ti aspettavi?, gli domandò acido il suo subconscio.
“Scusi di nuovo, ma lei non mi sembra un grifone…”
“Infatti era una serpe” si intromise Harry, parlando per la prima volta dopo il saluto, “della peggior specie, anche”
“Sai, avevo il mio bel daffare con il cuor di leone più irritante della scuola” ghignò.
“Che a sua volta doveva star dietro a un viziato figlio di papà che lo metteva nei casini un giorno sì e l’altro pure”
“Sei stato tu a farmi beccare la prima punizione della mia carriera scolastica, devo ricordartelo?”
“Non vi vedete da molto, immagino” rise Teddy spostando gli occhi ora viola da uno all’altro, e per non iniziare a ridacchiare per il loro teatrino si portò le mani rosse dal freddo alla bocca, ma quelle parole ebbero l’effetto di una doccia gelata e imbarazzante. Si erano incontrati la sera prima, Ted lo sapeva benissimo, ma entrambi avevano capito che quel ‘vedersi’ intendeva molto altro.
E nessuno dei due poté fare a meno di pensare che non avevano mai avuto una conversazione civile, se non la prima, su degli sgabelli di legno chiaro e con addosso delle divise troppo lunghe.
“Perché non andate a farvi un giro per recuperare? È una così bella serata”
“Teddy, tu dovresti andare a dormire…” disse Harry.
“Puoi portarmi a casa e poi tornare qui” propose il più piccolo con un sorriso.
“Ma Draco avrà anche le sue commissioni da svolgere…”
“A quest’ora? Ma sei serio? Potrei offendermi” scherzò lui, spontaneamente, apparentemente senza aver notato che lo aveva chiamato per nome.
Harry lo fulminò con lo sguardo e dovette arrendersi. “A te andrebbe bene?”
“Non ho nulla da fare, e c’è sempre tempo per qualcosa da bere” rispose, stringendosi nelle spalle.
Si stavano comportando così amichevolmente solo perché c’era il marmocchio, vero?
Harry annuì, sempre più a disagio. “A dieci minuti da casa mia c'è un bar...”
Teddy arricciò il naso, capendo cosa volesse fare il padrino: Smaterializzarli a casa loro e poi uscire da solo con Draco. Aveva in mente un'altra cosa, pensava che sarebbero andati da Madama Rosmerta o da Florian, ma comunque sempre lì nella Londra Magica! Doveva ammettere, però, che Harry aveva già fatto tanto in una sera e l'intrufolarsi in un bar a quell'ora non era così sicuro, se il rischio era che lo riconoscessero: maghi e streghe anzianotti erano sicuramente lì a farsi una partita a carte, e anche se si dimenticavano da un minuto all'altro cosa avessero detto avevano ben presente la faccia di un certo Prescelto…
Era fiero di Harry, e contento che avesse incontrato di nuovo quel bel biondino; sorrise furbetto, sentiva che ormai era solo questione di poco tempo prima che le cose migliorassero.
“Allora ci Smaterializziamo tutti a casa?” chiese aggrappandosi al braccio di Harry.
Draco lo guardò stranito e Teddy dovette notarlo, poiché disse “Devo andare a letto, così poi vi lascio liberi”
L'uomo non era del tutto certo di aver capito, ma scrollò lo stesso le spalle in segno d'assenso.
Harry gli porse la mano, e Draco arrossì. “So dove abiti, Potter, non serve che mi ci accompagni!” sibilò con una nota isterica.
“Non vivo più là” spiegò con voce atona, quasi non gli importasse più niente di quel luogo…
Draco si limitò ad annuire e ad abbassare lo sguardo e afferrò il gomito di Harry.
“Cerca di non pensare a niente” furono le ultime parole che sentì prima del tipico strappo all'ombelico.
Come se davvero Potter si aspettasse che lui pensasse a qualcosa mentre era aggrappato al suo braccio come se nulla fosse!
L'aria fresca gli colpì le guance qualche istante dopo, ed in quel momento aprì gli occhi: la strada era deserta e illuminata dai pochi lampioni che c'erano, si trovavano sicuramente in periferia. Si imbambolò un attimo davanti a quella villetta, così tanto in stile Potter: qualche scalino per arrivare alla porta, tre piani con poche finestre, cassetta delle lettere rossa, il camino in mattoni che svettava nella notte. Non era enorme come il Manor, ma aveva l'aria di essere una casa calda e accogliente come la sua villa non era mai stata.
Harry si schiarì la voce e lui lo lasciò andare. “Eccoci arrivati”
Teddy lo abbracciò forte e gli fece segno di dargli le chiavi: dato che lui non poteva usare la magia fuori dalle mura di Hogwarts e poteva capitare dovesse andare a trovare la nonna o a fare certe commissioni mentre era in vacanza avevano deciso di farsele fare, per essere pronti a ogni evenienza; se era con Harry lui ricorreva a qualche semplice incantesimo di apertura e chiusura, ma ciò accadeva raramente.
L'uomo gli consegnò il mazzo con tanto di portachiavi a forma di lupacchiotto (discutevano ancora se fosse un cane o un lupo, ma sorvoliamo) e si sporse per baciargli la fronte; Teddy ne approfittò per sussurrargli all'orecchio un “Divertitevi!” e rise della reazione di Harry. Fortuna che era buio...
“È stato un piacere conoscerla, signor Malfoy” sorrise il piccolo in direzione di Draco.
“Anche per me è stato un piacere. Ma ti prego, smettila di darmi del lei, mi fai sentire vecchio”
“Va bene, allora rifacciamo: è stato un piacere conoscerti e spero di rivederti presto!” e detto ciò corse verso casa.
“Non stare attaccato a quel coso infernale, vai a dormire!” gli urlò dietro Harry, ottenendo in risposta solo un occhiolino da parte del figlioccio prima che sparisse oltre la porta.
“Coso infernale?” chiese Draco alzando un sopracciglio.
“Si chiama I-pod, è un…”
“Sì, ho presente, ne ho visti un po' in giro per la Londra Babbana. Ma chi glielo ha regalato?”
“Un suo compagno di dormitorio, due anni fa, per il compleanno”
“Ah, mi sembrava strano che fosse un’idea partita da te”
“E ci mancherebbe altro! Quel coso non fa che sparargli musica orrenda nelle orecchie”
“Geloso, Potter?”
Harry rimase spiazzato da quella domanda. “G-geloso?”
“La tua perspicacia è leggenda” ironizzò l’altro con un ghigno.
“Di cosa dovrei essere geloso, scusa?” ripeté piccato.
“Quel coso non fa che sparargli musica orrenda nelle orecchie” gli fece il verso Draco.
Harry brontolò qualcosa in risposta, incomprensibile ad entrambi. Era convinto che le sonate al piano fossero molto meglio rispetto a quella serie di rumori sconnessi che Teddy ascoltava fino a tarda notte quando lui non c’era – infatti, sebbene fosse cresciuto, il piccolo non rinunciava mai alla sua ninna nanna personale, che variava ogni sera: Harry era migliorato moltissimo come pianista, e quasi non aveva più bisogno di spartito, ma alle volte succedeva che cambiava una nota e da lì nasceva una melodia tutta nuova e solo per Teddy.
Camminarono in silenzio per un po’, finché non intravidero il bar che aveva nominato Harry.
“È questo?” chiese Draco, squadrando il Pictures of London con sguardo critico.
“Sì, e non guardarlo così! Non è male dentro”
Effettivamente, fuori non era proprio così appariscente, a parte l’insegna luminosa e un graffito vicino alla porta, ma da dentro proveniva una musica bassa e leggera e si sentiva un brusio di voci allegre.
“Sarà meglio per te che tu abbia ragione, ho certi standard, io”
“Principino, si accomodi” disse aprendogli cortesemente la porta e prendendolo palesemente per i fondelli.
Draco stava per ribattere, ma la risposta gli morì in gola. Attaccate alle pareti c’erano decine e decine di foto di ogni parte di Londra: il Big Ben sembrava la Cattedrale di Rouen di Monet da quante volte era ritratto, il Tower Bridge e il Palazzo del Parlamento avevano dedicata a loro la parete in fondo, e le più strane e tipiche vie di Londra erano state immortalate nel più disparati momenti della giornata; c’era anche una foto della regina Elisabetta II, quando era giovane, che beveva un bicchiere d’acqua al bancone. Draco capì perché si chiamava così, quel bar.
I tavolini erano circolari e di legno ambrato, con due o tre sedie attorno, il bancone era lungo e dritto e sul lato destro del locale, mentre gli scaffali dietro al barista erano colmi di bottiglie di ogni genere; in fondo alla sala, vicino ai bagni, c’era un enorme Juke-Box. Non era affollatissimo, certo, ma nemmeno vuoto.
“Buonasera ragazzi, sedetevi dove volete!” lì accolse Hank, il barista. “Tra un attimo sono da voi”
Harry condusse Draco in un tavolino un po’ più separato dagli altri e si tolsero i cappotti, ordinando poi due semplici birre; arrivarono ghiacciate, cosa che fece arricciare il naso al biondo: perché era fredda?
“Non è Burrobirra, siamo tra i Babbani, ricordi?”
“Purtroppo sì, Potter, ricordo!”
“Mi dispiace, ma non me la sentivo di andare a Hogsmeade”
Draco lasciò cadere il discorso, non voleva parlare di quello con lui. Cosa gliene fregava del perché Potter non uscisse di casa? O perché fosse sparito e avesse assunto un’altra identità? E perché avesse cambiato casa per andare a vivere in quella villetta? No, non gliene importava niente.
“E così non vivi più a Grimmauld Place…” No, infatti, assolutamente niente.
“No, mi sono trasferito qualche anno fa insieme a Teddy”
“Perché?”
“Era diventato insopportabile, pieno di giornalisti e ficcanaso, non potevo uscire che subito mi assalivano e mi riempivano di domande. E non solo me, ma tutti quelli con cui avevo combattuto in guerra, per cui non potevo nemmeno chiedere loro ospitalità o aiuto per farmi sparire”
“E come hai fatto allora?”
“Tua zia mi ha dato una mano”
“Sì, è sempre stata abile in Pozioni…” Era una delle poche cose che sapeva di Andromeda Black: da quando aveva sposato quel Tonks, era come morta per la sua famiglia, ma Severus gli aveva rivelato, in confidenza, che aveva preso quel talento non solo da lui, ma anche da sua zia. Dedusse che Potter assumesse qualcosa per cambiare aspetto e anche che fosse stata proprio lei a insegnargli come fare, ma non fece altre domande: che Salazar lo aiutasse, ma quella curiosità nei confronti dello Sfregiato stava superando i limiti.
“E anche in Erbologia, il suo giardino mi ha salvato la vita”
“Non credo di capire” sogghignò Draco, ed Harry gli raccontò di quelle meravigliose piante carnivore che avevano amabilmente tenuto lontano i curiosi da Teddy.
“Ho soddisfatto almeno in parte la tua curiosità?”
“Per stasera sì, dai”
“Ora è il mio turno” sussurrò, e vide Draco sbiancare; finì in fretta la sua birra e si alzò di scatto, dicendogli che era tardi e che era meglio andare. Harry sospirò e andò a pagare, lasciando il bicchiere mezzo pieno.
“Tornate presto!” Hank era sempre gentile con tutti, era per quello che adorava quel bar.
Uscirono nella sera, e il silenzio tra loro si era fatto pesante, opprimente, ma nessuno dei due si azzardò a proferir parola fino a casa di Harry.
“Avresti potuto Smaterializzarti a casa direttamente là, Malfoy” fu la prima cosa che gli disse Harry.
“Per poi sentirmi in colpa se ti fosse successo qualcosa? No, grazie”
“So badare a me stesso”
“Come ti pare, almeno ho la coscienza a posto”
“Perché hai smesso di suonare?”
“Avevo paura”
“Perché non hai ripreso?”
“Ho paura ancora adesso”
“Di cosa?”
“Che il mio violino non mi riconosca più”
Draco si rese conto solo in quel momento che in quel botta e risposta aveva rivelato tutto sé stesso. E la colpa era solo di Harry. La colpa era sempre stata di Harry. Lui aveva rifiutato la sua mano, lui lo aveva sfidato sul campo da Quidditch, lui lo aveva quasi ucciso in quel maledetto bagno, lui era stato dalla parte giusta e sempre lui gli aveva salvato la vita. Merlino, perché sembrava che la sua vita fosse stata decisa da lui?
“Vaffanculo, Potter”



NdA
Buon pomeriggio miei cari ^^
Innanzitutto, spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto e che non mi maledirete o cose simili per come l'ho fatto finire: sono Potter e Malfoy, e non si inizia ad andare d'accordo da un giorno all'altro, per cui ho cercato di rendere il loro comportamento credibile. Credete riusciranno a sbloccarsi?
Un mio amico mi aveva detto, alla fine del capitolo precedente, che pensava che Teddy avrebbe avuto una brutta impressione di Draco, ma io gli ho saggiamente ricordato che il mio cucciolino è stato creato a mia immagine e somiglianza; sapete che ha risposto? 'Allora Teddy avrà una fuckin' ammirazione per Draco e lo sottintenderà Drarry' xD Sono soddisfazioni u.u
Ringrazio tantissimo i nuovi lettori (silenziosi e non) che hanno messo la storia tra le preferite, le ricordate o le seguite, e chi ha recensito lo scorso capitolo. Grazie grazie grazie <3
Oggi ho iniziato l'Università, ma l'orario dovrebbe comunque permettermi di non saltare aggiornamenti: nel caso succedesse, la colpa è sua *indica il suo Ateneo* e prendetevela con lui. Un bacione e a presto!
merrow :*

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Sentì la porta di casa sbattere violentemente e nascose immediatamente il coso infernale sotto il cuscino del divano: non aveva ascoltato troppo la musica, perché non voleva che Harry si arrabbiasse con lui dopo il sicuramente favoloso “appuntamento” che gli aveva combinato con Draco, ma un sano sottofondo musicale mentre si legge è praticamente d'obbligo, no? Preso dall'ansia di non far vedere le cuffie, non prestò subito così tanta attenzione al fatto che Harry avesse sbattuto la porta. Lui non sbatteva mai quella porta.
“Sei tornato presto” disse, un po' impacciato, sistemandosi in modo da avere il cuscino sotto il sedere.
“E tu non sei in camera tua” il tono era freddo e un po' inacidito, e ciò fece vibrare le antenne a Teddy.
“Stavo finendo di leggere” e si voltò per mostrargli Le fiabe di Beda il Bardo. Harry si era tolto il cappotto e le scarpe e si stava passando una mano tra i capelli, ma non come faceva di solito: spesso si spostava quelle ciocche scure e ribelli dagli occhi perché non gli permettevano di vedere bene ciò che stava facendo, ma quella volta sembrava spazientito, sembrava che si stesse sforzando di sembrare come al solito.
“Che c'è?” chiese il più grande, sentendosi osservato e, per la prima volta, a disagio sotto lo sguardo di Ted.
“O è andata meglio di quanto mi aspettassi oppure è stato un fallimento totale”
“Ma di che parli?”
“Non fare il finto tonto” lo prese in giro Teddy, arrivando alla sbagliata conclusione che la serata fosse stata perfetta e che si fossero divertiti come matti: dopotutto, chi non lo farebbe con un compagno di scuola che non vedeva da anni?
Harry si adombrò e sparì in cucina senza rispondere.
Ma cosa credeva, che il suo rapporto con Draco sarebbe cambiato schioccando le dita, che quella serpe bionda smettesse di essere un Malfoy costruito - perché ne era certo che fosse tutta una costruzione, la sua - e desse ascolto alla musica di cui era fatta la sua anima? Non aveva mai dimenticato come si era sentito quella notte, a undici anni, in quell'aula deserta e nascosto dal Mantello, con le note del violino di Draco ad accarezzare l'aria: in fondo, molto in fondo, sperava di ascoltarle di nuovo. Era la dimostrazione che c'era un cuore pulsante di propri desideri e passioni, idee e inclinazioni, un cuore vero. I dispetti che gli aveva fatto, i guai che gli aveva fatto passare, erano fatti apposta per palesare il suo odio nei propri confronti, come se il ragazzino biondo sentisse il bisogno di dimostrare da che parte stava, dimostrarlo alla sua famiglia prima e a Lord Voldemort poi.
Aveva pensato a lui, quando aveva ricevuto quel biglietto, Mi dispiace, suonatore, perché era l'unico a sapere che gli sarebbe piaciuto diventare un musicista un giorno, ma aveva scartato quell'ipotesi: non aveva senso che Draco Malfoy si dispiacesse per lui dopo la morte di Sirius, ma soprattutto non stava in piedi che sapesse che il pianista fosse lui. Al tempo, Harry aveva lasciato perdere e non ci aveva più pensato, almeno fino a quella sera fuori dal piano bar, quando aveva collegato che era stato lui. Ed aveva inconsciamente iniziato a sperare che presto avrebbe ascoltato di nuovo quel violino.
“Harry, ma che è successo?” chiese Teddy distraendolo dai suoi pensieri.
“Niente”
“Fingerò di non aver sentito la balla colossale che hai detto” ghignò, ma non troppo. “Andiamo, dimmi”
“Non è successo niente, ok? E adesso vai a dormire”
Harry sapeva che Teddy non poteva capire, soprattutto perché non riusciva a capire bene nemmeno lui. Si stava arrabbiando come un bambino cui hanno tolto le caramelle, stava prendendo a cuore una questione che non gli poteva né doveva interessare, la vita era di Draco e aveva il diritto di amministrarla come meglio credeva.
Lui non era più il Salvatore del Mondo Magico: aveva fatto di tutto, era arrivato a sparire sotto un altro nome, aveva costretto Teddy a vivere a quei ritmi, aveva rinunciato a tutte le sue amicizie e conoscenze, tutto pur di ottenere una vita tranquilla e lontana da quel mondo che gli aveva tolto troppe persone e gli stava stretto, non lo faceva respirare. Non era più il Salvatore di nessuno, non voleva più esserlo.
E allora perché sentiva quella strana sensazione famigliare in fondo allo stomaco se pensava a Malfoy?
“Piuttosto dimmi che non vuoi parlarne, ma non dirmi bugie!” e senza aspettare risposta se ne andò di sopra. Lo aveva irritato il modo in cui Harry gli aveva risposto, dopotutto lui aveva fatto tutto per regalargli una bella serata, per ricambiare quella che il padrino aveva regalato a lui: pensava davvero che incontrare Draco, parlargli, ricordare i vecchi tempi, lo aiutasse ad accettare ancora più profondamente chi era stato al fine di riprendere a camminare a testa alta come Harry Potter, non Mr. Moon. Non si poteva cancellare il passato, se lo ripeteva a mente tutte le sere guardando la foto dei suoi genitori, ma si poteva fare in modo che diventasse la base di uno splendido futuro.
Si ficcò le cuffie nelle orecchie e alzò il volume al massimo, per non pensare a niente. Sua nonna era sempre stata abbastanza iperprotettiva nei suoi confronti, indorava costantemente la pillola e a lui la cosa era iniziata a stare un po' stretta. L'unico che non aveva mai avuto questo atteggiamento era Harry, forse perché aveva vissuto sulla propria pelle la guerra: non che Andromeda non l'avesse fatto, certo, ma la donna non aveva avuto sulle sue spalle il peso dell'enorme responsabilità di dover uccidere Voldemort. Harry non era venuto subito a conoscenza del proprio destino, Albus Silente glielo aveva tenuto nascosto fino all'ultimo. In cuor suo, Teddy sapeva che Harry non avrebbe voluto quel trattamento, che non avrebbe voluto, appunto, che gli venisse indorata la pillola.
Il padrino, invece, quella sera non voleva nemmeno dargliela, e lui si sentì impotente e piccolo: era stato lui a insistere perché Harry uscisse con Draco e sarebbe stato corretto da parte sua spiegargli almeno i motivi per cui la serata non era andata come sperava, e invece niente, lo aveva ignorato. E a Teddy non era mai piaciuto essere ignorato, soprattutto quando faceva qualcosa per gli altri: non era egoista, semplicemente non pensava di meritarsi quella risposta.
Era steso a pancia in giù, per cui non sentì la porta aprirsi, né il sospiro e i passi di Harry, ma solo un peso in più sul materasso. Lentamente si tolse le cuffie e si voltò verso di lui.
“Mi dispiace” esordì Harry, un po' impacciato, ma Teddy rimase zitto, per cui continuò. “Non avrei dovuto parlarti così, scusa”
Il più piccolo annuì. “È che non capisco cosa posso aver fatto”
“Tu non hai fatto niente”
“Eppure te la sei presa con me”
“Non me la sono pr-” ma si interruppe allo sguardo di Teddy, che diceva esattamente sai che non è vero. “Sì, forse me la sono presa un po'” ammise con un mezzo sorriso colpevole, venendo subito ricambiato dal suo figlioccio. Non riusciva, Teddy, a restare arrabbiato con qualcuno, sosteneva che la vita fosse troppo bella per perdersi dietro certe inutilità. “Sei perdonato, ma adesso voglio sapere che è successo”
“Credo di aver fatto uno sbaglio”
Ted sospirò. “Non avrei dovuto insistere perché usciste insieme...”
“No, non mi riferisco a quello, anzi sono contento che tu l'abbia fatto”
“Lo sapevo!” esultò, con un ghigno. “Eh no, non puoi nascondermi nulla” continuò furbetto.
Harry lo guardò tra il confuso e il divertito. “Ma di che…?”
“Si continua a fare in finto tonto, poi mi dirai” e gli fece l'occhiolino. “Comunque, che hai fatto?”
“Sono stato… diciamo…” non riusciva a trovare le parole, “un po' troppo invadente, ecco”
“A che proposito?”
“Non te lo posso dire, gliel'ho promesso” Tanti anni fa, aggiunse la sua mente.
“Ingoierò questo rospo amarissimo” disse teatralmente, “ma se non mi spieghi niente non posso certo capire”
“Credo di soffrire un po' del complesso dell'eroe, hai presente?”
“Tu il complesso dell'eroe? Nooo, non l'avrei mai detto” e il suo sorriso si allargò.
“È una cosa seria! Io… io ho dovuto salvare tutti da Voldemort, sono morto io stesso per farlo”
“Ma adesso Voldemort non c'è più e tu devi vivere una vita normale, normale per Harry Potter” specificò, per poi corrugare le sopracciglia. “Ma cosa c'entra questo con Draco?”
“Lui non ha un pestifero Tassorosso che gli fa aprire gli occhi”
“Potrebbe avere te
Harry arrossì. “D-dopo stasera non penso vorrà più vedermi, tanto meno farsi aiutare”
“Con te ci sono voluti anni, prima che ti decidessi a mandare a quel paese Mr. Moon”
Harry lo guardò male per l'espressione usata, ma Teddy non aveva tutti i torti. “Sì, è vero, ma io… io ho te e il piano e… so chi sono, anche se ho sempre indossato una maschera, capisci?”
Molto probabilmente, Ted non ci avrebbe capito una parola, ma aveva bisogno di parlarne, comprese solo in quel momento, e lui era l'unica persona che potesse ascoltarlo.
“Lui non sa più chi è?”
“No, e ha paura a scoprirlo”
“Beh anche tu avevi paura, eppure guarda cosa sei riuscito a fare oggi: Diagon Alley, io e te, e conta che poco tempo fa non avresti nemmeno preso in considerazione l'idea”
“Hai fatto bene a non demordere” sorrise.
“E farai bene a non farlo nemmeno tu” gli puntò l'indice sul petto. “Mi hai capito?”
Harry annuì. Complesso dell'eroe o meno, aveva intenzione di aggiustare le cose con Draco: dopo la stretta di mano che si erano scambiati, sentiva che non poteva comportarsi diversamente. Così come aveva cercato di capire Ron ai tempi della scuola e perdonare i suoi sbagli (ovviamente, la cosa era reciproca) come l'amico che aveva imparato ad essere, allo stesso modo doveva chiarirsi con quel Serpeverde orgoglioso e impaurito che, forse, non aveva nemmeno idea di cosa significasse la parola 'amicizia'. Con Malfoy non ce l'aveva nemmeno lui, certo, ma sapeva più o meno quale fosse la linea guida generale da seguire.
“Adesso dormi, che è tardi” gli scompigliò i capelli prima di alzarsi.
“Non dimentichi niente?”
Harry teneva il pianoforte nella stanza di fronte a quella di Teddy, almeno poteva suonare per lui lasciandolo a letto; le porte restavano aperte, per permettere al suono di giungere più limpido alle orecchie del ragazzino.
Le note del secondo movimento della Sonata in F major di Mozart fecero addormentare Teddy con il sorriso sulle labbra.

*

Aveva aperto una bottiglia di Whiskey Incendiario ed era già al terzo bicchiere; seduto sulla poltrona, davanti al camino acceso, aveva lo sguardo perso nel fuoco reso verdognolo dalla sua magia: Lucius non aveva mai potuto tollerare i bagliori rosso dorati di una normale fiamma, per cui gli aveva insegnato a renderlo di un altro colore, o verde o argento, ciò le uniche tonalità che secondo lui si confacevano a quel luogo. Draco non ci aveva mai fatto particolarmente caso, ma quella notte capì finalmente cosa avesse provato suo padre tutte le volte che Dobby si sbagliava e accendeva un fuoco scarlatto.
Ma come si era permesso quello stupido Grifondoro di fargli quelle domande? Andavano troppo a fondo, toccavano corde troppo delicate quasi sul punto di rompersi, erano troppo personali.
Eppure, gliele aveva fatte con naturalezza e lui con altrettanta naturalezza aveva risposto: era stato semplice, ma solo in quel momento si rendeva conto che non sarebbe stato facile. Aveva dato quella chiave arrugginita in mano a Potter senza accorgersene e, conoscendo il soggetto in questione, avrebbe fatto di tutto per riuscire a infilarla nel lucchetto. E quando quel Grifondoro si metteva in testa una cosa allora la faceva, oh eccome se la faceva, si era pure fatto ammazzare per uccidere il Signore Oscuro!
Guardò il fondo del proprio bicchiere, dopo l’ultimo sorso, e si soffermò sulla minima quantità di liquore che era rimasta: si trovò a sperare che quella goccia non fosse la sua anima da violinista persa nel vuoto che sentiva dentro, soprattutto quando alla sera si trovava da solo tra le fredde mura del Manor. Per assurdo, si era sentito così anche quando si era trovato circondato dall’Ardemonio - e anche quella volta era stato l’eroe San Potter a salvargli la pelle - e quando… quando si era trovato riverso su delle piastrelle bagnate, gelide, e rese scivolose soprattutto dal proprio sangue.
Chiuse gli occhi perché una parte di lui non voleva ricordare chi lo avesse ridotto così, mentre l’altra gli faceva sentire dei brividi lungo tutto il corpo, soprattutto nei punti in cui si notavano ancora le cicatrici, se si guardava attentamente la sua pelle. Era stato a un passo dalla morte, forse anche meno, a soli sedici anni, e aveva capito a quanto avesse rinunciato per quella vita, per quella missione che era stata decisa unicamente dal cognome che portava ma che credeva - pensava di credere - fosse giusta, e aveva davvero rimpianto di aver abbandonato la musica. Se non fosse stato per Severus, sarebbe morto solo. Solo in tutti i sensi.
Qualcuno suonò alla porta. Draco aggrottò le sopracciglia poggiando il bicchiere sul tavolo e guardando l’ora: la mezzanotte era passata da quasi venti minuti. Aveva un’idea su chi potesse essere, ma non se la sentiva proprio in quel momento di parlare, quindi finse di non aver sentito; sicuramente, non sentendolo andare ad aprire, il visitatore se ne sarebbe andato: dopotutto fuori faceva freddo, per Salazar, che glielo avrebbe fatto fare? Invece quelle note profonde che Lucius aveva scelto come trillo del campanello tornarono a suonare. Una volta, due, tre. Continuarono per quasi dieci minuti, a intervalli più o meno regolari.
Sospirando esasperato si alzò e senza nemmeno chiedere chi fosse spalancò la porta, e una ventata gelida accompagnò le sue parole, della stessa temperatura dell’aria.
“Che cosa vuoi?”

*

Non si Smaterializzò davanti alla Tana come suo solito, ma sulla collinetta lì vicino, per potersi stendere e guardare il cielo immerso nel silenzio del prato di notte, fatto di goccioline che sfiorano l’erba rendendola ancora più verde ai primi raggi di sole e della muta melodia delle stelle. Non importava del freddo.
Lui e Fred ci andavano spesso, sgattaiolavano fuori dal loro letto a una piazza e mezza e si accampavano lì, in attesa dell’alba. Amava la particolare sfumatura che assumevano i capelli del gemello, in quel momento, e adorava passare la mano tra di essi con fare scherzoso. Più crescevano, più quelle albe diventavano rare, e al contempo speciali.
Da quando era morto, non aveva più resistito fino al sorgere del sole, si limitava ad osservare le stelle, e a volte parlava anche rivolto a loro, quasi Fred potesse sentirlo.
“Harry… quasi non ci credevo, sai?”
Una stella cadente attraversò il cielo notturno e George sorrise. “Dai, torniamo in quella gabbia di matti, di sicuro troverò Hermione in cucina a ingozzarsi di cioccolato…” ridacchiò, e raggiunse la Tana camminando veloce. Appena prima di entrare, guardò quella stella luminosa che i Babbani chiamavano pianeta Venere e, con misto di dolcezza e malinconia sussurrò “Mi manchi, sai?”
Come previsto, dalla cucina si sentivano dei rumori, così George raggiunse la cognata - non aveva dubbi che fosse lei. “Chissà come mai non lo trovo strano”
“George!” esclamò con un enorme pezzo di cioccolato in mano. “Non… non eri a letto?”
“Sono tornato adesso dal negozio, c’era un cliente abbastanza esigente che non voleva lasciarmi chiudere”
“Ti prego non dirlo a Ron” e George sapeva che non si riferiva a quel cliente, ma annuì lo stesso.
“Sempre cioccolato?”
“Ieri ho resistito a quello al latte, ma stasera al fondente… dimmi, si può resistere al fondente? No, non si può, te lo dico io. E con Rose è stato lo stesso, anche se con le crostate di frutta: albicocche, ciliegie, fragole, pure quella ai mirtilli di Molly… e a me non erano mai piaciute prima le crostate ai mirtilli di Molly! Solo che Ron non lo sa, né delle crostate né delle voglie, devo fare tutto di nascosto, perché lui non vuole che io stia poi male perché mi ingozzo e… ti prego non dirlo a Ron!”
George rise piano, lo divertiva molto vedere come Herm non riuscisse a frenare la lingua in certi momenti: le piaceva molto in stato interessante, oh sì. “Tranquilla, ho la bocca cucita”
Lei sorrise e rimise il cioccolato al suo posto, per poi accarezzarsi dolcemente il ventre. “Appena sarai un po’ più grande ti darò tutto il fondente che vuoi, a patto che tu mantenga un’igiene orale corretta”
“Ecco la vecchia Granger che viene a galla” ridacchiò, per poi farsi serio. “Sei preoccupata?”
“Un po’, ma ho già esperienza in queste cose, e un secondo parto non sarà tanto diverso, no?”
George le diede ragione e insieme si diressero ai piani superiori; appena prima che entrasse nella sua stanza dopo essersi augurati la buonanotte Hermione lo trattenne. “Non c’è stato nessun cliente esigente, vero?”
“C’è stato, sì, ma non stasera”
“Oggi il sole sorge presto…”
“È stata una lunga giornata e ho bisogno di dormire”
Solo lei sapeva della faccenda delle albe con Fred, non era riuscito a dirlo a nessun altro. Forse perché era in dolce attesa di Rose e lui aveva perso la testa per la nipotina, o forse perché era lì quando aveva sentito il bisogno di sfogarsi e condividere qualcosa che stava iniziando a fargli più male che bene: parlarne aveva fatto sì che il ricordo di quelle notti trascorse all’aperto tornasse a scaldargli il cuore, invece di congelarlo. Ma nonostante Hermione lo spronasse a farlo, ancora si rifiutava, non si sentiva pronto a vedere quel sole spuntare luminoso all’orizzonte. “Buonanotte, Herm”
“Buonanotte, George” e, dopo averlo visto sparire oltre la porta di mogano scuro, sospirò.



NdA
Hola ^^
Mi scuso per il ritardo, ma purtroppo mi hanno cambiato l'orario di alcuni corsi e questo è il massimo che ho potuto fare, mi spiace: spero comunque che il capitolo mi faccia perdonare, ho messo dentro sia Harry che Teddy, Draco amore mio e anche un pov George, sono stata un po' brava? <3
La differenza tra semplice e facile l'ho presa da uno dei miei film preferiti in assoluto, The Prestige (che vi consiglio caldamente di guardare), è una di quelle frasi che, appena sentite, ti fanno pensare 'io devo inserirla da qualche parte!', ed eccola qui.
Ringrazio tantissimo chi ha recensito lo scorso capitolo, chi segue e ricorda e preferisce, chi legge in silenzio – ormai sembra una formula religiosa di chiusura, ma è d'obbligo per me dire grazie a tutte quelle persone che entrano in contatto con questa storia in qualche modo. Spero che il capitolo sia piaciuto e che vogliate farmi sapere chec cosa ne pensate! ^^
Besos (sì, ho iniziato spagnolo l'altro giorno ^^”) a todos :*
merrow

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Gli sembrava che Draco lo volesse incenerire sulla porta, quel grigio tempestoso era duro e metallico, e la tensione che attraversava il suo corpo evidente. Si era sentito gelare il sangue nelle vene quando gli aveva aperto la porta e sputato in faccia quella domanda, che cosa vuoi?, e aveva provato per un minimo istante il desiderio di Smaterializzarsi altrove, prima di notare i suoi occhi lucidi e gli zigomi leggermente più rossi del normale.
“Hai bevuto?” gli uscì di getto, senza riuscire a trattenersi, e capì subito che non era la cosa giusta da dire.
“E se anche fosse?” la voce non tradiva alcuna emozione e Theo si strinse nelle spalle. “Posso entrare?”
Draco lo guardò assottigliando lo sguardo, poi si voltò con grazia e sparì dentro la sua fredda dimora, senza proferir parola ma lasciando la porta aperta. Theo lo seguì a disagio, limitandosi a slacciarsi solo i primi due bottoni del cappotto: sentiva troppo freddo, ma non avrebbe saputo dire con certezza se fosse solo per quel vento che soffiava fuori e che lo aveva quasi congelato nell'immobilità dell'attesa o solo per la mancanza di calore che aveva sentito dentro di sé di fronte al trattamento che gli era stato riservato.
Draco spostò lo sguardo da lui alla poltrona e gli fece cenno di sedersi, mentre si versava un altro bicchiere di Whiskey Incendiario; attese senza offrirgli da bere - anche perché sapeva che non impazziva per l'alcool, non in quelle circostanze almeno - che il pittore si sedesse e prendesse un po' di colore. “Che cosa vuoi?”
Theo sollevò lentamente lo sguardo, sospirando leggermente. Già, che cosa voleva? Vederlo, gli suggerì il suo subconscio, vederlo e sistemare le cose. Quando Draco se ne era andato, lui era rimasto a fissare la porta per non sapeva quanto tempo e senza accorgersene si era trovato seduto a terra, la schiena appoggiata agli ultimi gradini della scala, le mani tra i capelli. Aveva avuto seriamente paura che tutto fosse finito. Si era alzato, tornando in camera dove lo attendeva quel dipinto di gigli che Draco aveva definito perfetto: se non fosse stato per quella macchiolina cremisi avrebbe potuto esserlo davvero.
Aveva gettato quanto più colore rosso possibile sull'azzurro dei fiori, rendendoli simili a un macabro bouquet più che a una delicata composizione, e poi aveva urlato in silenzio. Era stato cieco ed egoista, aveva pensato solo ai propri desideri, non aveva mai guardato davvero le cose dal punto di vista di Draco perché troppo convinto di conoscerlo e sapere come era fatto dentro. Si era giustificato dicendosi che lui era un pittore, e che come tale aveva gli strumenti per andare oltre la mera apparenza.
Ma lui non era mai riuscito ad andare del tutto oltre Draco, l'attrazione per lui glielo aveva sempre impedito; non ne era innamorato, ma gli piaceva, tanto, ultimamente ancora di più.
“Mi dispiace” esordì, e poi rimase in silenzio, guardando il pavimento.
“Ti conosco da abbastanza tempo per sapere che non è tutto qui” disse Draco, alzando un angolo della bocca.
Theo si trovò a fare, inconsapevolmente poiché non poteva vederlo, lo stesso gesto. “Sì…”
Ancora un attimo di silenzio. “Io non… non so quale sia il suono del tuo violino, o il movimento che fai per appoggiarlo alla spalla e tenerlo con il mento; non ho mai visto il modo in cui chiudi gli occhi, nascondendo al mondo quelle due pozze grigie che hai, se chiudi gli occhi quando suoni, perché non so neanche questo. E no, non ho mai visto come le tue mani accarezzano quello strumento. È vero, io non lo so”
Sentì Draco trattenere il respiro, ma lui non aveva ancora finito e alzò leggermente la testa per poterlo guardare di sbieco. “Non lo so, ma ho la certezza del fatto che il violino sia la concretizzazione di quello che sei”
Draco ricambiò lo sguardo nello stesso modo, appoggiandosi col sedere allo schienale della sua poltrona. “Theo…”
“Io non ho conosciuto il Draco di Hogwarts, ne sono solamente stato vittima, ho ancora impressi nella mente quei malevoli schizzi di inchiostro e non credo riuscirò mai a dimenticarli, non posso e non voglio farlo, ma vedevo quello che vedevano gli altri. Vedevo quello che tu volevi far vedere agli altri. E sai quando l’ho capito? Quando sei venuto a chiedermi scusa, a offrirmi di bere una Burrobirra insieme a te, perché non me lo sarei mai aspettato, non da quel Malfoy che passava le giornate a sfottermi”
Draco fece una smorfia. “Quel ragazzo non…”
Ma Theo gli fece cenno di tacere, e farlo finire. “Tu non mi hai mai dato altro oltre alla tua apparenza fisica, non ti sei quasi mai aperto con me, a parte qualche commento disperso qua e là nei nostri discorsi. Ma anche se non l’ho mai vista e non so che forma abbia, che voce abbia, io so che dentro di te un’anima c’è, lo so. Lo so. Sarà perché sono un pittore, sarà perché ho costruito un rapporto con te senza il velo della guerra o delle costrizioni sociali del tempo, ma io so che c’è. Tu potrai non essere ancora pronto a vederlo o a sentirlo, o essere convinto di essere dannato per l’eternità, però io so che c’è. E non lo so solo io” e sapeva che Draco avesse capito perfettamente a chi si riferiva.
“Non lo so solo io” ripeté.
Draco intanto si era lasciato scivolare sul bracciolo, e lo guardava con consapevolezza.
“Mi dispiace di aver insistito, e avevo bisogno di venire a dirtelo”
Il violinista sospirò prendendo un lungo respiro. “Ho esagerato ieri, scusa”
“È colpa mia, non dovevo toccare corde così profonde senza sapere niente e…”
“Amavo suonare il violino” disse all’improvviso, interrompendolo. “Non era solo un capriccio, ci tenevo sul serio, ma mio padre nonostante apprezzasse la mia musica non era della stessa idea, ecco perché mia madre dovette insistere parecchio per avere il permesso di spedirmelo, il Natale del primo anno. Erano quattro mesi che non lo prendevo in mano, e avevo paura: cosa avrei fatto se il suono non fosse stato quello giusto? Non riuscivo nemmeno a pensarci, anche perché mi ero rassegnato ad abbandonarlo, capisci? Ormai ero diventato uno studente di Serpeverde, un adepto di Salazar, e non avrei avuto tempo per la musica, ma fu impossibile non ascoltare quel richiamo” e si perse un attimo a ricordare quel momento, quelle tre lettere incise sul legno marchiate a fuoco nella sua mente.
“E la tua paura prese vita?”
Draco fece un mezzo sorriso. “No, il suono era perfetto, era ancora il mio suono, il mio violino”
“Però hai smesso lo stesso” e l’altro annuì in risposta. Aveva sempre tenuto tutti chiusi fuori, e a parte quel testardo impiccione che era entrato senza neanche preoccuparsi di bussare nessuno aveva mai visto il luogo in cui il vero Draco risiedeva, nemmeno Theo; lui, però, era rimasto ad ammirare le decorazioni di quella porta immaginaria, il suo colore, il modo in cui qualche rara volta si apriva senza rumore per poi richiudersi con un sibilo, tanto per mantenere le apparenze, e aveva provato decine di volte a ritrarla, quando sembrava che spuntasse il sole e arrivasse a illuminare quella particolare sfumatura di legno, ma all’improvviso tutto tornava buio ed era costretto a riporre il pennello. Era normale che avesse cominciato a immaginare il colore della porta prima e l’interno della casa poi, il pittore che era in lui non avrebbe potuto fare diversamente, e tutto perché lui, Draco, non lo aveva mai lasciato entrare. Se Theo era sempre più convinto di sapere come fosse dentro era perché lui lo aveva sempre tenuto fuori concretizzando quell’idea inizialmente astratta.
E non aveva diritto di prendersela con lui per qualcosa che aveva creato con le sue stesse mani.
Ce l’aveva sempre avuta con Salvador Dalì, infatti. Theo lo aveva portato a una mostra dedicata a lui ed eran rimasti un sacco ti tempo ad ammirare - cioè, Nott ammirava, lui guardava e basta - Costruzione molle con fave bollite. “È come lui vedeva la guerra civile spagnola” gli aveva spiegato, e lui aveva ribattuto “E allora poteva intitolarla Guerra civile o meglio ancora La guerra civile spagnola, no?” un po’ inacidito, poiché non gli andava che qualcuno potesse interpretare male quel dipinto (come aveva fatto lui, immaginandosi Dalì a ricoprire di fave bollite una vecchia bambola rotta che aveva trovato nella soffitta di casa sua) solo perché l’autore non l’aveva presentato bene, né col titolo né tantomeno con il disegno in sé. Certo, qualcuno con un minimo di conoscenza di storia dell’arte avrebbe subito collegato il quadro alla guerra civile, ma lui non era tra quelli. E così come lui aveva fatto come Dalì, Theo era stato nei panni di quel Draco al museo.
“Perché?”domandò il pittore, riportandolo alla realtà.
“Credo che tu sappia meglio di me perché, no? Come abbiamo trattato la tua passione e come ti sei sentito per tutti quegli insulti purtroppo lo sai solo tu, ma io avevo realizzato un’altra cosa mentre imbrattavo il tuo banco di schizzi osceni, e cioè…” si bloccò, sperando che Theo terminasse per lui, ma non accadde. Sospirò per prendere un po’ di coraggio e continuò. “… che non volevo succedesse anche a me, al mio violino. Io… io non avrei sopportato di vedermelo distruggere in quel modo”
“Lo so” Nemmeno io so come ho fatto a sopportarlo aggiunse la sua mente, ma non lo disse ad alta voce.
Draco allungò una mano per poggiare il bicchiere vuoto sopra il camino. “Mi dispiace”
“È un capitolo chiuso, non ci pensare più” e gli appoggiò una mano alla base della schiena, rassicurante.
“No, non è affatto chiuso, è ancora aperto, e lo dimostra quella custodia” sussurrò, indicandola appoggiata sull’altra poltrona del salotto. “La mia paura non ha preso vita quando avevo undici anni, ma adesso…” e lasciò la frase in sospeso.
“Credi davvero che ci sia differenza tra quattro mesi e diciassette anni?”
“Certo che c’è…”
“E invece no. Se io smettessi di dipingere per quattro mesi o per diciassette anni e poi riprendessi in mano il pennello, cosa credi cambierebbe? Sì, i soggetti dei miei quadri sarebbero diversi, e anche la forma, le linee, i colori verrebbero mischiati in modo diverso, ma questo renderebbe quella mia tela meno mia?”
Draco rimase in silenzio, cogliendo il punto ma rifiutando di riconoscerlo.
“No” disse Theo al posto suo, “e la stessa cosa vale per il tuo violino. Hai detto di essere cambiato, in questi anni, e quelle corde non sono state accarezzate da un archetto per tanto tempo, quindi sì, è impossibile che il suo suono sia lo stesso di quando eri un bambino, ma resta sempre e comunque il tuo suono”
È il tuo ritratto.
Perché gli venivano sempre in mente quelle parole, perché solo nei momenti in cui cercava di dire a sé stesso che il suo suono ormai era bell’e che andato? Perché gli sembrava che quel piccolo grifone dei suoi ricordi avesse…
“Mi disse che la mia anima era quasi indescrivibile” e fece un mezzo sorriso, “e ciò gonfiò il mio ego ancora di più. Insomma, era la prima persona al di fuori della mia famiglia che mi faceva un complimento e io non seppi definire la sensazione che provai, ma ancora adesso me la ricordo. Me la ricordo perfettamente. E non hai idea di quanta voglia io abbia di risentirmi ancora così, o forse sì, non lo so, però…”
“Però?”
“Mi ero rassegnato, nello stesso modo in cui mi ero rassegnato a lasciare quel violino a marcire nella soffitta del Manor quando ho preso per la prima volta l’Espresso per Hogwarts, solo che stavolta non è intervenuta mia madre con un pacco postale, ma Harry Potter con un pianoforte”
La musica è il suono dell'anima, e la tua è quasi indescrivibile
“Ho sentito quella sensazione, Theo, la stessa che ha provato anche lui quando era solo un bambino - almeno questo è quello che mi disse al lago pochi giorni dopo - e io…”
“Tu vuoi essere di nuovo in grado di riuscirci”
“Ma ho paura che ormai non ci sia più nulla da fare” concluse in un sussurro.
Theo lo fissò per un lungo istante, capendo di aver appena finito di guardare il film muto più bello della sua vita. “Draco” mormorò, spostando la mano dalla base della sua schiena al suo collo in una leggerissima carezza mentre questi si voltava verso di lui abbassando di poco la testa. “Theo…”
“Shh” lo spinse lentamente sempre più giù, “per favore”e con delicatezza posò la bocca sulle sua, come una farfalla lo possa fare su un fiore appena sbocciato con la consapevolezza che sì, arriverà un’ape a coglierne il polline, ma che comunque in quel momento quei petali stanno accarezzando le sue, di ali.
Fu un bacio dolce, come una coccola, un semplice sfiorarsi di labbra schiuse.
Dopo qualche secondo, che avrebbe potuto benissimo essere qualche minuto, Theo si staccò, ancora gli occhi chiusi, e appoggiò la fronte sul petto dell'altro, che sembrava aver appena ricominciato a respirare.
“Non dire niente” lo pregò, non riuscendo a trovare il coraggio di guardarlo negli occhi. “Lasciami solo stare così per un pò”
Draco rimase immobile, ascoltando il respiro di Theo che gli scaldava lo sterno a un ritmo calmo e regolare, mentre il suo cuore aveva accelerato i battiti. Era inutile che lo nascondesse ancora, l'attrazione che il pittore sentiva per lui l'aveva notata da tempo, ed era solo questione di tempo prima che succedesse: Theo lo aveva baciato, ma quel bacio non diceva mi piaci, come se fosse un bigliettino intriso di timidezza di una ragazzina che si dichiara al suo primo amore, no, recava un messaggio ben più grande.
Anche se non aveva suonato per lui, per il pittore era come se lo avesse fatto, e si era innamorato. Entrambi però sapevano che era un sentimento che non sarebbe stato ricambiato, perché per quanto dolce fosse stato quel bacio Draco era certo di quello che sentiva in fondo allo stomaco, e cio che Theo sarebbe rimasto solo un amico, perché non era in grado di far suonare il suo cuore. E lo sapeva anche l'altro.
Theo si allontanò da lui e si alzò elegantemente dalla poltrona. “È meglio che vada adesso”
“Mi dispiace” sussurrò, ma la voce era decisa, non era solo una frase di circostanza e sperava lo capisse.
“Sei il mio periodo blu, Draco”
Periodo blu?” domandò, spiazzato.
“Picasso, un pittore che mi piace moltissimo, non ha sempre dipinto opere cubiste - ricordi quelle che ti ho mostrato in quel mio libro? - perché prima ha attraversato altre fasi, altri periodi, appunto. Il periodo blu è caratterizzato da una pittura monocromatica e fredda, malinconica, simboleggia l'esigenza di interiorizzare il fatto che esistono realtà senza speranza. Non c'è speranza per noi, almeno non per come mi piacerebbe, ma va bene così, e sembrerà strano ma non vorrei che le cose andassero diversamente. Capisci, vero?”
Sì, Draco capiva, e annuì con un lieve sorriso sulle labbra. “Ti ringrazio per i tuoi sentimenti, ma non posso ricambiarli. Però posso invitarti qui per il solito the domani, che dici? Non potrò essere il tuo periodo cubista ma…”
“Diciamo che preferirei incontrare un periodo rosa” rise piano, visibilmente più tranquillo. Alla fine non era stato così traumatico, aveva ancora l'amicizia di Draco e il loro legame non si sarebbe reciso: gli serviva solo un po' di tempo per mandare giù il boccone un po' amaro, ma sapeva che il peggio era passato. Aveva trovato la forza di aprirsi a lui nello stesso modo in cui l'aveva fatto l'altro, e non aveva senso prendersela per qualcosa che non poteva semplicemente essere.
“Intendi che cercherai una donna…?” domandò confuso Draco, che di Picasso sapeva poco e niente: aveva presente solo Guernica, che ovviamente di blu e di rosa non aveva niente.
Theo rise più forte. “Certo che no!”
Erano ancora loro, potevano continuare ad esserlo.
“E allora che vuol dire 'sto periodo rosa?”
“Te lo spiego domani. Alle cinque, giusto?”



NdA
Bonjour à tout le monde ^^
Capitolo 20 *-* mi sento emozionata *-*
Sono in mostruoso ritardo, me ne rendo conto, e vi chiedo scusa, ma tornando a casa tra le otto e le nove di sera tutti i giorni sono sempre nella fase 'tiratemi su col cucchiaino, vi prego'; scrivo appena trovo tempo da dedicare solo a me, ma è poco purtroppo, e faccio quello che riesco. Perdonate quindi se questo capitolo può risultare non proprio scorrevole al primo impatto, ma è stato un parto di due settimane, due lunghe settimane.
Spero lo stesso che vi sia piaciuto, anche perché è uno dei capitoli cui tengo di più (il mio bambino *-*): non voglio fare pronostici, non credo vi aspettaste il bacio - soprattutto perché non me lo aspettavo nemmeno io, è Theo che ha agito indipendentemente da me e non ho potuto non assecondare il mio piccino friendzonato – ma spero che non mi metterete alla gogna per tirarmi frutta e verdura marcia ^^”
Ovviamente desidero tantissimo sapere cosa ne pensate, e accetterò anche eventuali ortaggi in faccia ^^”
Passiamo ora ai ringraziamenti: uno speciale va a Ladyriddle, che ha segnalato questa storia per l'inserimento tra le scelte facendomi un regalo stupendo, grazie cucciola <3
Grazie poi a chi ha recensito lo scorso capitolo e a chi sta lasciando una traccia del suo passaggio nei capitoli precedenti, è sempre bello incontrare nuovi compagni di viaggio, e grazie a chi segue, ricorda e preferisce C:
Le note sono lunghissime e oggi è pure martedì, ma non potevo aspettare ancora ><
A presto (speriamo!) e un grosso bacio :*
merrow

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


“Harry, sai che ti voglio bene ma non puoi uscire così”
“Ma questi sono gli unici capi da me e non da Moon…”
“Come si vestiva era l’unica cosa che mi piaceva di lui. Fila subito a cambiarti!”
Aveva deciso di andare a scusarsi con Draco: ci aveva rimuginato su tutta la notte, mentre suonava, e si era reso conto che era stato molto poco delicato nei suoi confronti: scoperchiare così il suo vaso di Pandora quando meno se lo aspettava era stato un colpo basso, e tutto per soddisfare la sua curiosità. Non era colpa di Draco se lui, invece, aveva deciso di rivelare i come e i perché della sua vita dopo la guerra, se aveva sentito il bisogno di condividere, quasi, quei dettagli con qualcuno, con qualcuno che capisse davvero. Certo, Teddy aveva perso tanto, ma non l’aveva combattuta, non aveva avuto a che fare con la minaccia di Voldemort, non aveva percepito il suo fiato sul collo; Draco, indipendentemente dalla parte in cui stava, non era diverso da lui sotto quegli aspetti, anzi. Quel giorno del sesto anno, sarebbe potuto essere lui quello chinato a piangere su un sudicio lavandino di un bagno, avrebbe potuto essere lui quello incaricato di uccidere Silente, insomma avrebbe potuto benissimo giocare il ruolo di Draco, e viceversa, ma il destino aveva scelto così e nessuno poteva farci niente. La vita era andata avanti, chi per un modo e chi per un altro, su strade differenti: e se la soluzione fosse quella di percorrerne una soltanto, insieme?
Aveva capito che doveva andare a scusarsi subito prima che iniziassero i seri sensi di colpa che lo avrebbero portato sicuramente alla pazzia: la stessa strada di Draco Malfoy? Forse era già impazzito.
Era andato a cambiarsi, indossando un paio di jeans non troppo stretti e un maglione rosso di una taglia più grande sopra la maglia termica, e poi aveva svegliato Teddy, che subito aveva notato che il padrino non era in pigiama né portava gli abiti della sera precedente e aveva iniziato con le domande, mentre scendevano a fare colazione, che era stata preparata da Harry prima di salire.
“Esci?” aveva semplicemente chiesto per sondare il terreno.
“Sì, ho… ehm, una cosa da fare”
“C’entra con il discorso di ieri sera?” aveva ipotizzato posando la tazza di latte tiepido, “e con Draco?” aveva aggiunto più maliziosamente con un ghigno disegnato sul viso.
“È inutile che ti risponda, ragazzino, perché tanto la risposta la sai già” aveva borbottato.
“Probabilmente stai pensando di andare a casa sua per scusarti per il tuo pessimo senso della delicatezza”
“Di solito si cerca di farsi perdonare, quando si commette un errore” si era giustificato prendendo un biscotto dal barattolo quasi vuoto - dovevano comprarli.
“E dove abita?”
“A Villa Malfoy” aveva detto a bocca piena, “Almeno, credo”
Ma Teddy l’ultima parte non l’aveva sentita perché villa equivaleva a ricco sfondato oppure a molto elegante e quindi l’aveva obbligato ad andare a cambiarsi.
Quando Harry scese in camicia, jeans scuri a sigaretta e un maglioncino verde della taglia giusta che richiamava il colore degli occhi oltre a risaltare il torace tonico, il piccolo si ritenne soddisfatto e diede l’ok appollaiato sulla sedia vicino al bancone della cucina. “Sì, così va bene”
Harry sbuffò divertito. “Da quando sei diventato il mio stilista?”
“Da quando sembra che tu non abbia la più pallida idea di come vestirti da solo”
“Non ti facevo un esperto di moda”
“Non c’entra niente con la moda, c’entra con l’avere un minimo di amor proprio e senso dell’estetica”
“Parla quello con il pigiamone…” si mise il cappotto, dopo aver indossato degli scarponi color ocra.
Teddy sollevò un sopracciglio. “Almeno il mio di pigiamone, come lo chiami tu, è un completo, non una maglia bianca macchiata di chissà cosa e un paio di pantaloni a caso”
Scoppiarono entrambi a ridere nel medesimo istante, dopo qualche secondo: che conversazione stupida!
“Dai, adesso vado”
“Torni per pranzo o devo chiamare la nonna e dirle di venire qui a farmi compagnia?”
“C-certo che torno!” arrossì sugli zigomi, “Devo solo chiedergli scusa…”
“Magari ti invita a fermarti da lui?” Ma devo proprio spiegarti tutto? pensò, guardando Harry.
“Non penso lo farà…”
“Dai retta a me, lo farà” disse convinto. Non lo conosceva molto, era vero, ma era un Purosangue - se viveva in una Villa era per forza un Purosangue - e come tale sapeva come ci si dovesse comportare con un ospite. Inoltre, era appena passato il 25 dicembre, e tutti sono più buoni a Natale, no? “Chiedo comunque alla nonna di venire qui a pranzo” concluse facendogli l’occhiolino, “non si sa mai”
Harry arrossì di più e si coprì con la sciarpa. “A dopo” e si Smaterializzò non notando che sorriso a trentadue denti Teddy avesse stampato in viso.
Se lo ricordava bene, Malfoy Manor, eccome se se lo ricordava. Era lì che Draco (non) lo aveva riconosciuto di fronte a Greyback, a Lucius, a Bellatrix, era lì che era stato imprigionato insieme a Ron e dove aveva creduto sarebbe stato consegnato a Voldemort e ucciso: forse sarebbe finito nei sotterranei comunque, forse il Signore Oscuro non sarebbe stato chiamato lo stesso tramite il Marchio, anche se il giovane Malfoy non si fosse mostrato così insicuro sull’identità del prigioniero del lupo mannaro, ma di forse non si poteva vivere.
Si trovò nell’enorme giardino della Villa, un meraviglioso scenario d’inverno: la neve della notte di Natale si era posata delicatamente su tutto il terreno, sui rami degli alberi, sul tetto, sul cancello, ma era un velo sottile e quasi impalpabile, come una dolce ninna nanna che avvolge senza pesare sul sonno, quasi come se Morfeo donasse la propria coperta per riposare. Harry chiuse gli occhi, immaginando i fiocchi iniziare a cadere con un loro suono preciso: era simile alla Ninna Nanna di Brahms, ma dai toni meno fanciulleschi e più decisi e marcati, quasi fosse il preludio di un’opera raffigurante in note una tormenta di neve.
“Adesso mi irrompi anche in casa, Sfregiato?”

*

Contrariamente a quanto avesse pensato appena Theo se ne era andato, non ci aveva rimuginato sopra tutta la notte, anzi. Quel bacio e la conversazione seguita dopo gli avevano lasciato un senso di tranquillità, come se qualcosa si fosse appena messo a posto, nel giusto posto, dopo tanto tempo; era la sensazione che si provava quando si finiva un puzzle - o almeno, la sensazione che pensava si provasse quando si finiva un puzzle, dato che non ne aveva mai fatto uno: solo una volta ne aveva sentito parlare da quella Luna Lovegood durante una lezione di Incantesimi insieme ai corvi, e lei aveva fatto un commento su quanto quel piccolo Nargillo fosse stato dolce ad aiutarla nel ritrovare l’ultima tessera del puzzle che le aveva regalato suo padre, tessera che era stata perduta qualche anno prima - ed era rassicurante, sotto un certo punto di vista.
Prima di coricarsi si era fatto una lunga doccia calda nonostante l’ora tarda, ma non si era preoccupato molto della cosa visto che il giorno dopo - il giorno stesso, ma dettagli - poteva dormire tutto il tempo che voleva.
Già, le ultime parole famose.
Quando era rimasto il solo a vivere a Malfoy Manor dopo la condanna ad Azkaban di suo padre e la partenza di sua madre per la Francia così da permettergli di iniziare una nuova vita, aveva fatto un incanto alla villa: era una magia un po’ complessa, ma così almeno avrebbe saputo se qualcuno di estraneo, qualcuno che lui non aspettava, si fosse intrufolato entro i cancelli della sua dimora; lo avrebbe sentito grazie a una piccola scarica sottopelle, nulla di particolarmente forte ma abbastanza da farlo Smaterializzare a casa dovunque si trovasse oppure farlo svegliare all’istante. Era un incantesimo permanente, ecco perché quella mattina, che lui non avrebbe nemmeno voluto vedere perché desiderava passarla tra le coltri del suo caldissimo letto nella sua bellissima camera, aveva odiato con tutto sé stesso quella maledetta scossa.
Si era messo la vestaglia nera foderata in velluto tanto per non diventare un ghiacciolo nel momento in cui avrebbe aperto la porta; la scossa era stata più lieve del solito, quindi teoricamente l’ospite non era troppo pericoloso, e poi ci avrebbe scommesso il violino su chi fosse. E infatti…
San Potter era lì come un cretino a occhi chiusi, col naso all’insù, muovendo le mani in modo strano, come se… suonasse. Gli tornarono in mente quelle notti a Hogwarts, dove lui sentiva la musica ma non vedeva il musicista, in contrasto con quello che stava vivendo sull’uscio del Manor: non sentiva alcuna nota, non con le orecchie almeno, ma vedeva il suonatore. Quando la musica entrava dentro, non lasciava mai il cuore di chi l’aveva accolta, e Harry ne era un po’ la dimostrazione: riusciva a suonare nel silenzio, come in un piano bar le notti di luna piena e a scuola quando era più giovane. Quasi come se non fosse cambiato niente.
Allora magari anche per lui…
“Adesso mi irrompi anche in casa, Sfregiato?” esordì, sentendo il bisogno di dare una fine a quella visione che stava facendo prendere una piega ancora un po’ delicata ai suoi pensieri. L’interpellato si girò subito, con la consapevolezza di dove fosse e che cosa stesse facendo.
“Ehm, io…” Loquace come sempre, vedo, non sarebbe mai e poi mai cambiato, no.
“Spiegamelo dentro, che si gela qui fuori”
“Io veramente volevo solo…”
Non si prese la briga di ripetere, era ancora arrabbiato con lui si ricordò in quel momento, ma evidentemente quel piccolo Tassorosso (che sarebbe stato bene tra gli alunni di Salazar se non fosse stato per quel suo senso di altruismo senza limiti) che si ritrovava in casa lo aveva svegliato leggermente poiché Harry lo seguì senza fare ulteriori obiezioni. “Scusami per ieri sera, sono stato indelicato e non avevo il diritto di farti quelle domande” disse tutto d’un fiato, per evitare praticamente certi ripensamenti se avesse rimandato.
Draco aveva una sorta di deja-vu, ma decise di non farci caso. “No, infatti” disse, gelido.
“Non ho collegato il cervello”
“No, infatti”
“E non ho nemmeno pensato a cosa tu avresti potuto sentire a riguardo”
“No, infatti”
“Sai dire altro oltre a No, infatti?” chiese, leggermente irritato. Va bene che fosse Draco Malfoy, va bene che non avrebbe accettato niente di meno che un’intera urna di cenere cosparsa sul suo capo, però
“Sì, sono colpito dalla tua celerità, Potter. Non ti aspettavo già stamattina” disse con una punta di ironia. Non aveva avuto nessun dubbio, nessuno da quando era tornato alla villa la sera prima, su una prossima missione condotta dal prode Golden Boy in nome della loro neo pseudo-amicizia, ma non immaginava così prossima.
“Veramente non me lo aspettavo neanche io, ma sai, di notte succedono cose che di giorno sembrano irreali”
“Eppure tu mi sembri molto reale, e non solo perché mi hai buttato giù dal letto ad un’ora improponibile”
“Le undici e mezza non mi sembra così improponibile come ora del buongiorno”
“E tu che ne sai? Sei forse a conoscenza di quando io sia andato a dormire?”
“Ok che ci siamo stretti la mano sul ponte, ma non sono ancora arrivato a questi livelli”
“Mi spieghi perché stiamo discutendo come due bambini di 5 anni?” sbuffò esasperato.
“Sei tu che, fino a prova contraria, continui a rispondermi con lo stesso tono”
“E sei tu che, fino a prova contraria” gli fece il verso, “non ci metti un minimo di cervello”
“Ero venuto solo per chiederti scusa e andarmene”
“Oh, perdonami se sono stato educato e ti ho chiesto di entrare”
“Solo perché fuori il tuo nasino di piccolo lord rischiava di diventare un ghiacciolo”
“Questo è un altro discorso” ribatté piccato. Non era mai stato la gentilezza fatta persona, e non avrebbe di certo iniziato con qualcuno che indipendentemente da tutto aveva osato interrompere il suo fantastico sonno, per Salazar!
Si guardarono in cagnesco per un lungo istante, poi Draco distolse lo sguardo. “Che stavi facendo, prima?”
Harry lo guardò con un punto interrogativo al posto della faccia.
“In giardino, sembravi un matto appena uscito dal manicomio” e ghignò quando il rossore invase gli zigomi del ragazzo di fronte a sé, che si mise a posto gli occhiali sul naso.
“Ti potrà sembrare strano, ma stavo suonando”
Il giovane Malfoy alzò un sopracciglio: non sembrava lo stesse prendendo in giro, eppure…
“A te non è mai capitato?” continuò Harry, notando la sua reazione, “Insomma di... Di chiudere gli occhi e semplicemente sentire la musica attorno a te?” provò a spiegare, ma Draco era ancora a braccia conserte, un po’ teso. “Non hai mai suonato nel silenzio?”
A lui capitava spesso, ecco perché aveva una grande finestra nella sua stanza con il pianoforte, così poteva perdersi un attimo e guardare la luna o solo la notte nera puntellata da qualche minuscola stella, oppure l’aria che accarezzava i rami degli alberi producendo un dolce mormorio di foglie - mormorio che però poteva solo immaginare di sentire - o ancora il rumore della pioggia che batteva sui vetri. In quei momenti, a casa gli bastava abbassare le mani sullo strumento e suonare, ma quando si trovava fuori, senza tasti neri e bianchi o uno sgabello, si limitava a chiudere gli occhi e immaginare. Più volte Teddy, soprattutto quando era piccolo, gli aveva chiesto che facesse: sembri perso nel tuo mondo gli aveva detto col sorriso senza due incisivi una delle prime volte che lo aveva ‘beccato con le mani nel sacco’, e lui gli aveva semplicemente risposto che sì, lo era.
Draco abbassò lo sguardo. No, non aveva mai suonato nel silenzio, tranne… Tranne quel giorno al Lago. I sassolini che aveva lanciato erano caduti nell’acqua in momenti diversi, e il sole all’orizzonte aveva fatto il resto. Solo che lui non aveva alzato gli occhi chiusi al cielo né aveva fatto alcun movimento, era stato fermo mentre il tintinnio di quelle piccole pietre levigate dall’acqua dettava il ritmo di una sinfonia che sentiva solo lui nella propria testa.
“Allora?” lo incalzò Harry, che ancora non aveva ricevuto risposta alla sua domanda.
“Sì, una volta” sussurrò, e prima che quel prevedibile grifone potesse partire con un commento del tipo ma come solo una?e fare ulteriori domande, aggiunse “ma di certo non sono sembrato un cretino come te”
Harry lo guardò un po’ stranito e poi si mise a ridere, una risata vera e velata di imbarazzo, grattandosi il retro del collo: Teddy era passato a quella frase, crescendo, abbandonando quell’essere perso nel suo mondo che tanto lo inteneriva quando era un microbo di neanche 6 anni. Rise perché sì, sapeva di sembrare cretino eppure non si accorgeva di farlo, erano solo le voci altrui a riportarlo alla realtà.
“Rettifico, tu non sembri un cretino, lo sei” commentò un po’ acido, ma la tempesta era passata.
“E tu dovresti lasciarti andare un po’ di più” rispose col sorriso stampato in faccia. Draco si ritrovò a pensare che erano davvero rare le volte in cui gli aveva visto un sorriso così, ma mai era stato rivolto a lui: ai suoi nuovi compagni di Casa quando il Cappello Parlante lo aveva Smistato a Grifondoro, alla Nimbus 2000 che la sua civetta gli aveva fatto piombare sul lungo tavolo imbandito di leccornie, a quei suoi due amichetti uno più sfigato dell’altra e al professor Silente e ad Hagrid il primo giorno alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Quella era la prima volta che sorrideva così a lui, solo a lui, e si sentì contagiare leggermente da quella felicità che sembrava sprizzare fuori da ogni singolo poro della sua pelle leggermente ambrata quando si metteva a parlare della musica, oltre che arrossire un poco.
“Hai… Hai intenzione di restare lì tutto il giorno con quella faccia da ebete?”
“No, devo tornare a casa e preparare pranzo a Teddy”
“Potter, non vorrei contraddirti ma mezzogiorno è passato da un bel pezzo e ci scommetto quello che vuoi che il tuo piccolo cucciolo sveglio, contrariamente a te, si sia arrangiato a mettere qualcosa sotto i denti.
“È il tuo modo contorto per chiedermi di restare a pranzo?” domandò con un mezzo sorriso, nonostante fosse un po' scettico.
Draco ghignò. “È il mio modo semplice per dirti che puoi gentilmente offrirti di aiutarmi a cucinare qualcosa visto che mi hai svegliato a un’ora improponibile”



NdA
Ehm, ciao ^^”
Vi prego, non lanciatemi contro ortaggi, so di essere schifosamente in ritardo e di aver fatto aspettare quasi un mese per il capitolo, però tra i corsi che stavano finendo e gli esami che devo dare (ne ho uno giovedì ><) ho avuto un po' un blocco, e non volevo pubblicare solo una misera paginetta… Per cui, scusatemi
Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto, è tutto dedicato ai miei Drarry anche se c'è un po' di Teddy all'inizio (ma io lo amo troppo, come posso non metterlo? <3). Mi raccomando, fatemi sapere! C:
Ringrazio tantissimo chi ha recensito lo scorso capitolo, chi si è aggiunto nel commentare e nel seguire, e tutti quelli che leggono.
Chiedo venia ma sono un po' di fretta, ho giusto avuto dieci minuti per postare. Un bacione grande grande :*
merrow

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Certamente gli elfi domestici delle cucine di Hogwarts avrebbero fatto un lavoro migliore e più succulento, e anche più abbondante, non avrebbero bruciato niente né avrebbero rischiato di rompere un piatto, ma non avrebbero nemmeno riso né si sarebbero lanciati frecciatine con un ghigno sulle labbra.
“Cucini bene per essere l’erede di una delle Sacre Ventotto” disse Harry, finendo la sua seconda porzione di tortellini panna e salmone.
“E con questo cosa vorresti dire?”
“Credevo fossero gli elfi domestici ad occuparsi di questo” si giustificò un po’ incerto, non credeva possibile che un uomo come Lucius Malfoy potesse vivere senza qualcuno su cui sfogare la propria frustrazione e che gli facesse tutti i lavori domestici possibili e immaginabili.
“Sì, ma da quando mi sono trovato a vivere da solo le cose sono un po’ cambiate”
Quando si erano ritrovati senza servo a causa di quel maledetto calzino che aveva reso Dobby un elfo libero, i Malfoy avevano dovuto in fretta e furia procurarsene un altro, poiché Lucius non avrebbe potuto sopportare che una donna come Narcissa diventasse una moglie come Molly Prewett, sulle cui spalle pesavano tutte le faccende domestiche della casa (poco importava che, mentre loro avevano solo Draco, i Weasley arrivassero ad essere in quasi dieci nella stessa sala quando c’erano tutti, compresi i due figli più grandi) come il bucato, le pulizie o cucinare. Avevano approfittato di quei giorni per andare a pranzo dai Goyle e dai Tiger, dato che sembrava che Draco avesse legato con i loro eredi, e a cena dai Greengrass, cui sarebbe piaciuto accasare una delle due figlie con il giovane Malfoy, in attesa dell'arrivo del nuovo elfo domestico. Si chiamava Lyra e prima di imparare alla perfezione tutte le abitudini dei Malfoy era stata punita parecchie volte con il bastone di Lucius. Dopo la caduta di Voldemort, Draco l’aveva liberata guadagnandosi due occhioni pieni di gratitudine e di lacrime, e aveva apportato alcuni cambiamenti alla villa: aveva trasformato la cucina sotterranea, che era stata spostata al piano di sopra vicino al salotto, nel proprio laboratorio di pozioni, oltre che effettuato l’incantesimo che gli causava le scosse sulle intromissioni; aveva anche convertito la camera matrimoniale in una per gli ospiti, e lasciato senza apparente motivo una stanza vuota, quella con le finestre più grandi. Inizialmente la scelta di lasciar andare Lyra non gli era sembrata poi così geniale, e la cucina ne aveva risentito parecchio con scoppi improvvisi di fuoco e di fumo: sì, avrebbe potuto cucinare con la magia, ma di quella ne aveva abbastanza per il momento, di danni ne aveva fatti a sufficienza, e poi voleva imparare a sopravvivere senza il suo aiuto, visto il modo in cui lo aveva spinto verso il fondo. Non esisteva una magia buona o una magia cattiva, tutto dipendeva dal mago e dall’uso che egli decideva di farne: lui era una pedina nelle mani del Signore Oscuro, per cui la bacchetta che Ollivander gli aveva venduto sette anni prima lanciava malefici, e a guerra conclusa aveva preferito ritirarla per un po’. Dopo i primi disastri, era diventato man mano un cuoco niente male, anche perché aveva notato che non c’era praticamente differenza tra preparare una pozione o una teglia di crespelle, semplicemente ci si doveva sporcare molto di più le mani, nel senso letterale del termine, con ingredienti vari.
“Potresti facilmente trovare un lavoro in qualche ristorante, con delle mani così” commentò Harry.
“Non ho bisogno di lavorare, ho da parte galeoni a sufficienza per potermelo permettere”
“E cosa fai tutto il giorno?”
“Passeggio per Londra, mi vedo con Theo e lo aiuto, quando posso, nella realizzazione dei suoi quadri, vado a trovare vecchi amici, anche se non sono molti” spiegò, e concluse scrollando le spalle.
“E non hai nessun hobby? Perché va bene tutto ma passare dieci anni in questo modo mi sembra eccessivo...”
Non rispose, tirò via i piatti sporchi e li ripose nel lavello.
No, ovvio che non aveva passato dieci anni in quel modo, sarebbe impazzito. Narcissa, dopo l’incarcerazione del marito, non era subito partita, ma era stata un paio di settimane con Draco per aiutarlo a sistemare il più velocemente possibile tutte le questioni riguardanti i debiti, e nel giro di poco avevano ripagato tutto e tutti; il patrimonio ne aveva risentito, certo, ma grazie ai galeoni che in quei diciassette anni Narcissa aveva messo da parte per il figlio quando sarebbe diventato adulto le casse dei Malfoy erano tornate piene quasi come un tempo. Ecco perché la madre aveva deciso di andare a vivere in Provenza con gli ultimi denari che i Black le avevano lasciato quando si era sposata, per permettere che Draco vivesse la vita che gli sarebbe spettata se si fosse promesso a una delle figlie dei Greengrass: sapeva che lui non si sarebbe legato né a Daphne né alla più piccola Astoria, ma questo non era più compito suo. “Abbiamo sempre deciso noi per te” gli aveva detto, “ma ora è tempo che governi le redini della tua vita come meglio credi” e poi se ne era andata. Draco non era uscito di casa per diversi mesi, era stata Lyra a farlo mangiare come si conveniva e a convincerlo che, a fare così, non faceva il bene di nessuno. In quei momenti gli veniva in mentre la Granger, con quel C.R.E.P.A. o come caspita si chiamava, e rispondeva sempre meno acido a Lyra, che dava fondo a tutte le sue energie per il Signorino, e quando si era sentito pronto a vivere da solo, ma vivere davvero, l’aveva lasciata libera. Si era recato al San Mungo dove aveva fatto il Pozionista per qualche tempo, ma era parecchio noioso: non che non gli piacesse salvare vite o alleviare dolori, ma non andava molto d’accordo con i colleghi, troppo spaventati ancora dal suo cognome, e trascorrere le giornate unicamente in compagnia dei lamenti dei malati non era proprio il massimo; aveva anche tentato un approccio più carino con una giovane Medimaga, addirittura si era procurato due biglietti per il balletto Il Lago dei Cigni avendo sentito quanto lei ci tenesse e per fare una buona impressione: purtroppo la ragazza gli aveva dato buca, sicuramente condizionata dalle dicerie messe in giro da tutti gli altri, ma in compenso aveva scoperto quanto una ballerina potesse trasmettere muovendosi sulle note di un’orchestra. Il teatro divenne un po’ la sua seconda casa, dove scoprì di non essere indifferente alle forme maschili, anzi, di preferirle addirittura a quelle Odette e Giselle e via dicendo che aveva ammirato.
Non poteva confessarlo a Potter, si sarebbe scavato la fossa da solo.
“Ovvio che qualche hobby io ce l’abbia, non sono mica un automa, e poi qualche lavoro l’ho fatto pure io” ribatté sulla difensiva, era meglio mantenersi sul vago.
“Dove?”
Draco sbuffò leggermente: sul serio aveva creduto che restare sul vago con Potter fosse possibile?
“Al San Mungo, come Pozionista”
“Ci avrei scommesso che avresti fatto qualcosa del genere, a Hogwarts eri uno dei migliori”
“Ero il migliore, ovviamente, ma come avrei potuto non esserlo con Piton come padrino?”
Già, Piton. Un’ombra scura e triste passò sul viso di Harry, solo per un attimo, ma Draco se ne accorse lo stesso. “Che c’è?” domandò, senza pensarci.
Harry scosse la testa. “Nulla, è solo che quel nome porta a galla tanti brutti ricordi”
“Tante brutte T, vorrai dire” cercò di sdrammatizzare, non voleva rovinare quel pranzo che si sarebbe anche azzardato a definire piacevole con argomenti di quel genere.
“Certo, quelle popolano ancora i miei incubi, ogni volta che Teddy mi scrive che avrà un test”
“Spero che abbia preso dalla nonna, per quanto concerne Pozioni”
“Per ora non sta avendo problemi, quindi...” sorrise paterno, pensando a quanto fosse rassicurante che il suo cucciolo non fosse una potenziale catastrofe come lui in quella materia.
“Quindi siamo tutti salvi” ghignò il biondo, in risposta.
“Se ti piaceva fare il Pozionista, perché ti sei licenziato?”
“Era una noia mortale star lì dalle otto alle dieci ore al giorno a preparare sempre gli stessi intrugli e senza scambiare una parola con nessuno”
Harry tacque, sapeva che mondo di parole non dette ci fosse dietro quella semplice constatazione, ma preferì non fare l’elefante indelicato come la sera precedente e non chiedere niente, anche perché era certo che il suo ex compagno di scuola avesse capito che il vero messaggio fosse arrivato a destinazione. “E dopo non hai fatto nient’altro?”
“No, ho incontrato di nuovo Theo, Theodore Nott”
Harry lo guardò curioso, aveva già sentito quel nome svariate volte: avevano frequentato Hogwarts negli stessi anni anche se in Case diverse, adesso era uno dei pittori più famosi di Londra e Andromeda adorava i suoi dipinti; gli sembrava di ricordare, però, che non corresse proprio buon sangue tra loro a scuola. “Quel Nott che prendevate per il culo senza riserve nei corridoi tra una lezione e l’altra?”
“Ho compreso i miei errori e ho voluto rimediare, fortunatamente Theo me lo ha permesso e abbiamo stretto una bella amicizia” mormorò, senza far cenno ai sentimenti del pittore.
“Sono contento per voi” disse sincero: lui non aveva più sentito né Ron né Hermione né nessun altro dopo la comparsa di Mr. Moon, ma in fondo aveva sempre sperato di rivederli. Con Teddy piccolo non poteva certo rischiare che la sua copertura saltasse per la minima distrazione, ma adesso era cresciuto e lui aveva smesso di prendere la Polisucco, per cui forse non ci sarebbero stati problemi. Torna quando vuoi, gli aveva detto George…
“Da quel momento, per finire il discorso sul lavoro, ci sono state per lo più mostre e teatri”
Harry lo guardò curioso sentendo la parola teatri: che andasse a sentire concerti?
“So a cosa stai pensando, ma ti stai sbagliando”
“Scusa ma che altro potevi andare a fare a teatro?”
“Sono sicuro che con un po’ di concentrazione puoi arrivarci”
Harry contrasse le sopracciglia: non ce lo vedeva Draco ad ascoltare un’opera lirica, né ad assistere a uno spettacolo di recitazione, né tanto meno ad un balletto. Anche se forse…
“Balletto?” azzardò, ma no, dai, era impossibile… Eppure l’espressione di Draco, con gli zigomi arrossati e la bocca schiusa, parlava da sé.
“Mi stupisci, Potter” sussurrò piano, ma l’interpellato si era perso un attimo ad osservare il suo viso, il colore delle sue guance, trovandolo affascinante, bello… Scosse leggermente la testa per riacquistare quella ragione che sicuramente stava perdendo, e fece un risolino. “Serio, Malfoy?”
“Una Medimaga che ci provava spudoratamente con me mi aveva invitato e non ho proprio potuto rifiutare” disse con noncuranza, sperando che il Grifondoro ritornasse tonto e sorvolasse sul fatto che nessuno, al San Mungo, gli rivolgeva la parola di sua spontanea volontà.
“Già, proprio
Quel piccolo genietto sveglio che aveva per casa era un’arma a doppio taglio, se era riuscito a rendere Potter un minimo intelligente. Harry non poteva pensare che fosse stato lui a chiedere alla Medimaga di uscire, ma di certo aveva capito che la questione del provarci spudoratamente era una bugia. “E così ti piace il bal-”
“Tu dillo e ti strappo la lingua a morsi”
Gliel’aveva già fatta quella minaccia, quella notte di luna piena a Hogwarts, ma chissà perché l’immagine dei denti di Malfoy stretti attorno alla sua lingua… Arrossì vistosamente e abbassò lo sguardo.
“Ho… Ho forse detto a qualcuno del violino?” si difese.
“No” disse senza esitare.
“Io dovrei andare, adesso” e nel mentre si alzò dalla sedia. “Grazie per il pranzo”
Draco fece un gesto con la mano, come a dire sì, sì, prego, e lo accompagnò alla porta. “Alla prossima”
“Aspetta, devo ancora chiederti una cosa” e si voltò verso di lui.
“Parla, non sia mai che io non ti ascolti” sbuffò, leggermente divertito.
“Hai fatto il Pozionista, hai ricucito i rapporti che si erano recisi dopo la guerra con le persone cui tenevi, ti sei appassionato a quella cosa che non dirò perché alla mia lingua ci tengo, e ti sei perfino aperto all’arte”
“E con questo?”
“La musica del violino dove l’hai messa?” chiese, sapendo di sganciare una bomba potenzialmente letale.
“Non ho intenzione di ripetere quello che ieri mi hai estorto dalle labbra” rispose, gelido.
“Mi dispiace, so che non sono affari miei però… Però non lo accetto”
“Scusami?” domandò allibito: ma come si permetteva?
“Io ho sentito, quella notte di sedici anni fa, io ho visto” e gli poggiò un dito sul petto, all’altezza del cuore. “Ma non ho intenzione di ripetere quello che io ho provato a riguardo”
Rimasero immobili, i respiri leggermente accelerati, gli sguardi incatenati. Silenzio, solo il muto suono della neve che ricominciava a cadere.
“Alla prossima” sussurrò Draco, facendo un passo indietro per spezzare il contatto che quel dito sulla sua vestaglia - che non aveva nemmeno pensato di cambiare in favore di un abbigliamento più adatto a un pranzo - aveva creato. La sua mano era calda, troppo, in contrasto con la propria pelle fredda.
“A Capodanno faranno un concerto all’aperto, non lontano da casa mia, e non serve il biglietto”
“E me lo stai dicendo perché…?”
“Mi piacerebbe ci venissi con me” disse tutto d’un fiato, prima di poterci ripensare. Quella di Draco era solo paura di scoprirsi diverso, di ricominciare, e forse in compagnia di qualcuno che poteva capirlo davvero ce l’avrebbe fatta a superarla. Certo, non era affar suo, ma altrettanto sicuramente lui era l’unico che poteva fare qualcosa e rimettere il violino in mano a Draco, e non perché si sentisse un eroe e un paladino della giustizia come ai tempi di Voldemort. Anche se non gli era mai stato detto chiaro e tondo, sentiva che non aveva più suonato davanti a qualcun altro oltre a lui e ai suoi genitori, anche se gli aveva parlato di Nott.
Draco rimase spiazzato dall’invito, non credeva che Potter avrebbe azzardato tanto vista la piega che stava prendendo il loro discorso, e arrossì; non era un suo problema, se lui non aveva più preso in mano il violino e aveva quell’irrazionale paura di finire come Dorian Gray e provare le sue stesse emozioni di fronte a quel ritratto che ormai dell’antica bellezza non aveva più niente, però stava provando ad aiutarlo come poteva e ne era… lusingato. “E… E Teddy?” domandò, più per prendere tempo che altro.
“Ha invitato i suoi amici a casa, passerà la serata con loro” e mentre lo diceva si appuntò mentalmente di dire sul serio al figlioccio di seguire quel programma, a Capodanno.
“Sì, ma io… Io sono a cena da Theo, solitamente festeggio con lui”
“Non durerà più di un’ora e mezza, e dovrebbe iniziare per le nove, quindi prima di mezzanotte sarai a casa di sicuro”
Non demordeva, San Potter. “Posso provare a chiedergli di iniziare a mangiare un po’ presto, se ci tieni” aggiunse le ultime tre parole con le guance che si imporporavano sempre più. Ma da quando Potter mi fa quest’effetto?
“Sì, ci tengo” mormorò imbarazzato. Ma da quando Malfoy mi fa quest’effetto?
“Ti farò sapere…”
“Allora a presto” e con un ultimo sorriso timido a Draco si Smaterializzò.




NdA
Davvero sono riuscita a pubblicare non in ritardo? Davvero sono passate solo due settimane dal precedente capitolo? Wow, mi stupisco da sola, ultimamente sono stata così scombinata… ^^”
Non dico nulla su questa interazione tra Harry e Draco (si capisce che ho una voglia matta di farli avvicinare di più? Dopo più di 20 capitoli è normale, no?), ci tengo a sentire i vostri pareri a riguardo C:
Teoricamente questa parte doveva occupare circa un terzo dello spazio, perché inizialmente l’intenzione era quella di inserire altri pov per far procedere un po’ più in fretta la storia, ma questi due *indica Harry e Draco che fanno gli gnorri* hanno iniziato a parlare e non la finivano più - ma a voi non ha dato fastidio, vero? ^^ - quindi il tutto slitterà al prossimo aggiornamento.
Ringrazio tantissimo chi ha recensito lo scorso capitolo, chi ricorda e preferisce la storia e chi la segue o in silenzio oppure lasciandomi un commento.
Questo è il mio regalo per voi, auguro
BUON NATALE a tutte (o dovrei dire tutti? Magari c’è anche qualche maschietto) e un FELICE 2016! Passate buone feste, che sono sicura vi meritiate appieno, con Era una notte di luna piena ci si sente l’anno nuovo C: Bacioni :*

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


I Tiri Vispi Weasley aveva sempre fatto orario continuato, senza chiudere per pranzo come la quasi totalità dei negozi di Diagon Alley, più che altro perché non avrebbero fatto in tempo a tornare a lavoro se fossero dovuti andare a mangiare alla Tana, e quindi mamma aveva optato per preparargli qualcosa al mattino. Così non morirete di fame!, era il suo classico saluto prima di veder Smaterializzare i due gemelli.
Era da poco passata l’ora di pranzo ma George non aveva così tanta fame, nonostante sua madre gli avesse preparato dei panini spettacolari - che saranno stati pure semplici ma i panini di Molly Weasley, così come qualsiasi altra cosa prodotta dalle sue amorevoli mani in cucina del resto, erano la fine del mondo. Non ne farciva mai due con lo stesso ripieno, e da brava amante dei picnic li riponeva sempre tutti in un classico cesto di vimini con tanto di tovaglietta a quadri bianchi e rossi sulla quale imponeva un incantesimo riscaldante, così il pane rimaneva croccante e buonissimo come se fosse appena fatto, proprio come piaceva a lui, a loro.
George guardò il cesto che emanava un profumino delizioso e, capendo che anche quel giorno non avrebbe visto l’ombra di un cliente almeno fino al primo pomeriggio, andò al piano di sopra. Mangiare da solo non era il massimo per lui, perché gli ricordava troppo come fosse quando c’era lui con cui condividere tutto: un semplice panino poteva diventare motivo di scherzi, stupide litigate senza senso e risate, prese in giro che potevano continuare per giorni anche davanti ai clienti che, divertiti ma allibiti, li squadravano chiedendosi da che mondo fossero usciti quei due.
Sembrava che quei ricordi appartenessero a un’altra vita, ma poi guardava il cielo stellato e si rendeva conto che, in realtà, appartenevano solo ad un altro George.
Prese il primo panino che gli capitò sotto mano, avvolto in un tovagliolino colorato, e sorrise leggero. Fred si divertiva a scambiarli, poiché essi indicavano quale salume fosse contenuto tra le due metà di pane, perché le sfumature seguissero un ordine e quel cesto non sembrasse un enorme sacco di coriandoli di Carnevale - da quando Arthur ne aveva portato a casa un sacco per studiare quell’usanza dei Babbani e aveva per sbaglio riempito Ron e Percy dalla testa ai piedi aveva visto in loro dei temibili rivali contro i quali non si poteva vincere: dopo tre settimane, i loro due fratelli perdevano ancora quei pezzettini circolari di carta ovunque e loro, i gemelli Weasley, mai erano riusciti a protrarre per così tanto tempo gli effetti dei loro scherzi; quindi, viva il Merlino dei Coriandoli, ma gli bruciava quella sconfitta. George, dal canto suo, appena il gemello si distraeva rimetteva tutti i panini in disordine, guadagnandosi un broncio adorabile e fintamente offeso e poi un sorriso, insieme a un “Tanto li dovremo mangiare tutti”. Ed effettivamente, alla Tana tornavano solo i tovagliolini.
Al piano di sotto, la campanella vicino alla porta trillò allegra, annunciando l’entrata di un cliente.
“Arrivo subito!” urlò a bocca piena, aveva appena addentato un pezzo abbastanza grande.
“Fai con calma, sono solo io” rise Hermione, che probabilmente aveva intuito di aver interrotto un incontro ravvicinato del cognato con i manicaretti della suocera.
George la raggiunse scendendo la scala con quattro grandi balzi; le avrebbe detto di salire, ma sapendola in dolce attesa non gli sembrava il caso. “Ehi, tutto bene?”
“Benissimo” sorrise lei, accarezzandosi il pancione. “Hugo si fa sentire ogni giorno di più...”
“Ci credo che voglia uscire, non vede l’ora di conoscere la gabbia di matti in cui vive”
“Oh, ma lui vi conosce già tutti, proprio per questo sembra che non abbia più intenzione di aspettare”
“Mi stai dicendo che…?”
“Non lo so, credo. Stamattina mi sono venute le contrazioni e sono andata subito al San Mungo”
“Ma sei all’inizio dell’ottavo mese: non è un po' presto?” chiese, preoccupato.
“È la prima cosa che ho chiesto a Luna, ma lei mi ha fatto degli esami e ha detto che i valori sono tutti nella norma, che non c’è nulla di cui preoccuparsi; probabilmente è solo un pò agitato a causa delle festività...”
“Oppure è colpa dei Nargilli che si sono sicuramente nascosti nell’albero di Natale in salotto”
“Sì, è quello che ha supposto anche lei” Hermione scoppiò a ridere, poi si ricompose. “Hugo è in salute e, se anche dovesse nascere solo di otto mesi, Luna mi ha assicurato che non ci saranno problemi né per me né per lui” e nel dirlo si fece un’altra carezza sul ventre gonfio.
“Ron avrà bisogno d’altro, per stare tranquillo”
“Ancora non gliel’ho detto”
“Non vorrai dirmi che sei andata al San Mungo da sola...”
“No, certo che no, è venuta tua madre con me, e mi è stata di grande aiuto. Avrei chiamato Ron, che stamani è dovuto andare in Ufficio in fretta e furia per un incarico importante, ma ero così nervosa che penso… è brutto da dire, ma lui si agita più di me e…”
“Avevi un po' di paura, è normale, ma stasera ti conviene dirglielo, magari dopo una sana dose di coccole” e si aprì in un grande sorriso.
“È esattamente quello che ho intenzione di fare: ora sono tranquilla e so come gestirlo” disse, ricambiando il sorriso con un luccichio negli occhi: amava davvero moltissimo Ron, e George era convinto che il fratellino non avrebbe potuto trovare una donna migliore di lei al suo fianco. Il matrimonio e l’affetto di tutti i Weasley della Tana l’avevano un po' ammorbidita, era diventata meno bacchettona e la saputella che era in lei via via si era calmata, però non perdeva occasione di sfoggiare la sua indubbiamente vasta cultura e prendere in giro Ron. Persino il giorno delle nozze, durante il brindisi, si era voltata verso il neo-marito e gli aveva detto “E ricordati che è Levìooosa, non Leviosaaa” per poi baciarlo a fior di labbra. Era sempre la stessa Hermione e allo stesso tempo non lo era, George non aveva mai saputo spiegarlo, eppure non avrebbe mai immaginato di vedere la Granger di Hogwarts, in un futuro, diventare la mamma che era diventata per Rose, e invece…
“Brava, non avevo dubbi. Poi ora con la storia della promozione...”
“Già, è così eccitato e impegnato” mormorò con amore, “Dovrò scegliere le parole giuste, perché caro, oggi ho avuto le contrazioni ma ero troppo agitata per avvisarti e farti venire al San Mungo con me, non so, non mi convincono” disse con una punta di ironia, e George rise come a confermare la cosa.
“Verity non c’è?” chiese Hermione dopo un po', accorgendosene solo in quel momento.
“No, le ho lasciato qualche giorno di vacanza: sai, ci teneva a organizzare una bella festa di Capodanno per lei e il suo fidanzato” concluse facendole un occhiolino.
“Anche tu hai bisogno di vacanza, lavori troppo! Solo il giorno di Natale hai tenuto il negozio chiuso, perché ti abbiamo costretto!” gli puntò l’indice sul petto. Ecco che Hermione tornava alla carica…
“Ci sono donne che pagherebbero galeoni e galeoni per avere un marito come me, che vive per il suo lavoro” esclamò teatralmente.
“Non credo, perché non ti vedrebbero mai se non a colazione e la sera a letto”
“È quella la stanza sacra, no?” sussurrò facendo andare su e giù un sopracciglio, facendo ridere la cognata.
“Non me la dai a bere! Dopo Angelina, con la quale sei stato seriamente solo qualche mese, non c’è più stata nessun’altra donna” sorrise, ma non troppo. Si erano lasciati dopo quel giorno in cui George aveva perso la sua metà, in cui tanti avevano perso un fratello, in cui tutti avevano perso un amico.
“Nessun’altra donna che tu abbia visto, mia cara”
“Le pareti sono sottili e la tua stanza è di fronte alla mia, vi avrei sentiti”
“E del negozio che mi dici?”
“Ci tieni troppo anche solo per rischiare che qualcosa si rompa”
“E se adesso, al piano di sopra, ci fosse una bomba sexy e tu avessi interrotto la nostra performance?”
Hermione alzò un sopracciglio, l’espressione che diceva e secondo te io ci credo?, e George non poté fare a meno di scrollare le spalle in segno di resa. “Hai vinto”
“Lo sapevo già questo” ghignò, e iniziò a frugare nella sua borsa, tirando fuori poi una busta dorata decorata da un fiocco rosso. “Ecco perché ho un regalo per te”
“Hermione Granger in ritardo per i regali di Natale? Mi stupisci”
“Ci tenevo che fossimo solo noi, quando lo avresti aperto, e poi” George iniziò a scartare, “non mi sembrava bello dartelo proprio a Natale”
Il ragazzo la guardò un po' confuso, prima di buttare l’occhio su quel biglietto per… “Una mostra?”
“Sì, una mostra impressionista”
George capì perché glielo avesse fatto avere senza nessun altro intorno, era stato un pensiero molto delicato.
“Appena ho visto il manifesto ho subito pensato a te, e a… beh, lo sai a cosa, a chi
Lui però non rispose, gli occhi fissi sul quadro rappresentato sul biglietto: Impression. Soleil levant di Monet.
“Credevo fosse il regalo giusto, ti piace?”
Ancora silenzio, così Hermione abbassò gli occhi un po' mogia. “Scusa, forse non avrei dovuto...”
George si riscosse. “Cosa? No, no è perfetto...”
“Ma sembravi triste...”
“Non puoi pretendere che non lo sia se penso a lui. Il punto è che io non voglio più essere solo triste se penso a lui, non lo voglio da tanto, e questo tuo regalo mi ha scosso, mi ha detto che devo darmi una svegliata”
Hermione sorrise e lo strinse. “Sono così felice che ti piaccia!” e poi si staccò. “Ora scusami, ma devo andare da Rose, l’avrà scombussolata il fatto che me ne sia andata via così all’improvviso...”
“Tranquilla, e dalle un bacio da parte mia. A presto”
Lei si rimise il cappello e i guanti, poi fece per uscire per le vie di Diagon Alley, ma si fermò quando si sentì chiamare - “Hermione!” - e si voltò verso George. “Sì?”
“Grazie” le disse con un sorriso sincero, un sorriso che Hermione non gli vedeva da tanto tempo.

*

Theo arrivò puntuale a suonare alla sua porta. “Ciao, Dra-”
“Sono impazzito”
Il pittore rimase qualche istante a bocca aperta, spiazzato. “Eh?”
“Sono evidentemente impazzito, non c’è dubbio”
“Dovrei sapere di che parli?” chiese alzando un sopracciglio, ma non ricevette risposta, poiché il padrone di casa era già sparito dentro casa. Theo sperava che questa non diventasse un’abitudine...
“Permesso” mormorò prima di entrare e chiudersi la porta alle spalle. Il the era già stato versato nelle tazze e profumava l’ambiente con una fragranza agli agrumi. Comprese che doveva essere successo qualcosa di grosso perché quel particolare tipo di the non piaceva a nessuno dei due, soprattutto a Draco: lo avevano preso attirati dal colore vivace della confezione e dall’immagine di un’arancia e un pompelmo molto succosi, a detta del pittore quella tonalità era un buon segno, e invece si era rivelato il peggior acquisto di sempre; ma non avevano il coraggio di buttarlo, e poi dodici bustine non sembravano così tante da smaltire, o no? Ecco, no. “Hai presente che the hai preparato, vero?”
“Perché? È un classico Earl Grey”
“Questo odore mi dice una cosa diversa”
Draco afferrò la sua tazza e annusò, aprendosi poi in una smorfia schifata. “Per Salazar, è quello, vero?” ma non aspettò il cenno d’assenso dell’amico per andarlo a buttare nel lavello. “Questa ne è la dimostrazione”
“Di cosa?”
“Del fatto che sono impazzito!”
“Perché non ti siedi e mi spieghi tutto dall’inizio?” propose lentamente, sondando il terreno: non aveva mai visto Draco in quello stato, nemmeno quando stava per confessargli il suo amore per il balletto.
“Potter è stato qui, stamattina” esordì, quasi come se stesse testimoniando per un delitto. “Si è scusato per i suoi modi da uomo delle caverne, come se fosse una novità per lui, che mi sia piombato in casa mi sembra la dica lunga su questo, per non parlare del fatto che era lì come un imbecille col naso per aria! E ho dovuto pure invitarlo a restare a pranzo…”
“Hai dovuto?” strabuzzò gli occhi il pittore, che aveva capito solo a grandi linee l’accaduto.
“Sì, come minimo doveva aiutarmi a preparare qualcosa dopo quel suo irrispettoso comportamento, ti pare?”
A Theo scappò un risolino, Draco sembrava una principessa viziata ma ci pensò bene dal dirglielo: era buffo, con quei capelli un po’ più voluminosi del solito, come se ci avesse passato in mezzo le dita a lungo, e le guance leggermente più rosa del solito.
“E non ridere che è una cosa seria! L’imbecille mi ha chiesto di andare con lui ad un concerto a Capodanno e io gli ho detto che gli farò sapere”
Sembrava tornato il Malfoy dei tempi di Hogwarts, altezzoso e snob - anche se era sempre stata una specie di guscio protettivo - e con quella lingua biforcuta che, comunque, nessuno avrebbe mai potuto togliergli. Gli venne naturale, quindi, lasciarsi scappare un altra piccola risata quando l’altro si riferì di nuovo a Potter con quell’appellativo, ma poi realizzò cosa avesse aggiunto in seguito e strabuzzò gli occhi. “Cosa?”
“Hai capito benissimo”
“Quindi è per questo che proclami ai quattro venti di essere diventato folle?”
“Ma ti rendi conto di cosa ha fatto? Mi ha chiesto di uscire!”
In realtà, Theo intendeva l’altra parte della sua frase… “Veramente, non mi sembra una cosa così terribile”
“No? È più che terribile, è una catastrofe!”
“Non è forse la stessa cosa che hai fatto tu tanti anni fa, con me?”
“Ti ho solo chiesto di berci un Burrobirra…”
“E lui di andare un concerto a Capodanno. Avrà anche lui voglia di ricostruire un rapporto con te”
“Nessuno può volerlo, anche tu mi hai detto tempo fa che non saresti mai e poi mai venuto per primo da me”
“Ma io non sono Potter”
Draco rimase un attimo in silenzio, le dita affusolate intrecciate sul tavolo. Cosa poteva saperne lui di cosa passasse nella sua testa? Magari doveva piantarla di chiudersi sempre a riccio e provare a capire quali fossero le intenzioni di Harry, perché aveva usato proprio quell’occasione del concerto per un appuntamento... Che Merlino lo aiutasse, non aveva usato quella parola, vero?
“Hai detto che gli farai sapere, giusto?” chiese Theo interrompendo il filo dei suoi pensieri.
“Sì, ma non penso di accettare”
“Perché no? È per il fatto che siamo abituati a passare insieme Capodanno?” Draco annuì. “Allora facciamo così: vieni a cena da me un po' più presto del solito così da avere la serata libera, che ne dici?”
“Non so se...”
“Harry ci deve tenere tanto se ti ha chiesto di uscire proprio quel giorno, non sarebbe carino rifiutare. Inoltre, per me e te è una cena come tante altre, solo più lunga e con molte più pietanze. Tranquillo, non mi offendo” concluse con un sorriso, che sembrò convincere Draco dato che venne ricambiato.
“Mi passi un foglio e una penna, per favore?”



NdA
Ehi, ciao a tutti :D
I know, sono in mostruoso ritardo, scusatemi davvero. Ho ricominciato i corsi in università dopo il periodo degli esami e l’orario è qualcosa di terribile, arrivo a casa alle otto di sera tre giorni su cinque svegliandomi anche molto presto al mattino, per cui quando arriva il week-end io sono tipo da tirar su con il cucchiaino e il bisogno di dormire quanto più possibile mi toglie, purtroppo, la possibilità di scrivere quanto e come vorrei :(
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, mi sarebbe piaciuto inserire anche un pov Harry ma non avevo sinceramente voglia di attendere ancora per pubblicare (sì, oggi è martedì, ma credo che almeno fino alla fine di marzo sarà questo il giorno di aggiornamento, essendo la mia unica mattina libera); cosa ne pensate di Hermione? E di George? Oh, e inutile dire che sono un po' in ansia per il comportamento di Draco e Theo: ci tengo che siano almeno verosimili…
Ringrazio chiunque segua la storia, chi ce l’ha tra le preferite e le ricordate e le persone che hanno recensito lo scorso capitolo: grazie grazie grazie <3
Un bacione, e buon inizio anno - anche se un po' in ritardo ^^” baci baci :*
merrow

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Come aveva previsto, il suo padrino non si era fatto vivo per pranzo e gongolò tra sé e sé per averci visto lungo. Andromeda gli chiese perché avesse stampato in faccia quel sorriso trionfante ma il ragazzino non disse una parola né su Draco Malfoy né sul fatto che Harry fosse da lui in quel momento. “Oh, è solo perché ho iniziato il tema di compito per Trasfigurazione e mi sta venendo molto bene”
“Adoravo e adoro tuttora questa materia! Me lo dovrai assolutamente far leggere, allora”
“Certo che sì, appena sarà finito” sorrise di più; avrebbe chiesto ad Harry una mano, oppure avrebbe invitato la sua migliore amica nonché la cocca della sostituta della McGonagall per farlo insieme.
“Ci conto” e dopo uno sguardo un po' più penetrante si concentrò di nuovo sul suo piatto di lasagne; Teddy non sperò neanche per un momento di avergliela data a bere, ma in quel modo era riuscito a focalizzare l’attenzione della nonna su di lui e sulla scuola anziché sul padrino; inoltre era certo che Andromeda stesse già facendo congetture sul vero motivo di quel sorriso. E infatti…
“Sei sicuro che sia per Trasfigurazione e non per… una ragazza?”
“Non c’è nessuna ragazza” sbuffò divertito – che le congetture della nonna fossero corrette era tutto un altro paio di maniche, “è così strano?”
“Io alla tua età avevo già il fidanzatino...”
“A me avere una fidanzatina non importa” disse, ed era vero; non perché non ci fossero ragazze che gli facevano il filo o abbastanza carine, né perché fosse timido e temesse di essere rifiutato dopo un’ipotetica dichiarazione d’amore, semplicemente perché non gli interessava proprio. Finire a dire cose sdolcinate ogni due per tre con una costante faccia da ebete non gli interessava proprio.
“Adesso dici così, ma appena poserai gli occhi su quella giusta vedrai come cambierai idea”
“Se ne sei convinta, nonna...” e lasciò cadere il discorso con un lieve sorriso.
Finito di sparecchiare la tavola, Andromeda si offrì di restare lì con il nipote fino all’arrivo di Harry, ma Ted scosse la testa. “Non serve, grazie, e poi mi è venuto sonno e non sarei molto di compagnia” e sbadigliò, così sua nonna tornò a casa propria ricorrendo alla Smaterializzazione.
Il più piccolo, rimasto solo, andò di sopra per prendersi il suo I-pod, ma nel farlo passò davanti alla stanza del pianoforte; entrò mettendo con calma un piede davanti all’altro e andò ad accarezzare con tenerezza il lucido legno nero dello strumento. Quello era il piano che aveva dato voce anche al defunto padrino di Harry, Sirius Black, del quale gli era stata raccontata la tragica storia: ricordava ancora molto nitidamente quel momento.
“Harry, perché piangi?” gli aveva chiesto entrando nella stanza dello strumento con un orsacchiotto stretto tra le braccia; aveva sei anni, e quella era la prima volta che vedeva il padrino piangere: era accasciato sul piano, la fronte appoggiata alle braccia incrociate sui tasti coperti, singhiozzava e si era addirittura tolto gli occhiali. Quando aveva sentito la vocina di Teddy, si era subito rialzato.
“Non… non sto piangendo”
“Sicuro? Perchè hai proprio la faccia di uno che sta piangendo”
Colto in flagrante, Harry si era asciugato le guance e si era rimesso gli occhiali. “Brutti ricordi”
“Su cosa? Sulla guerra?” aveva chiesto, delicato. Anche se era piccolo, non gli era stata indorata la pillola su niente.
“No, non proprio. Stavo pensando a Sirius”
“Sirius?” aveva chiesto, ed era stato allora che aveva appreso tutto su Felpato: chi e cosa era stato per Harry, per il Mondo Magico. “E come mai ci pensavi?”
“Per questo” e gli aveva dato in mano lo spartito di Sonata al chiaro di luna, mettendolo al corrente di tutta la storia e spiegandogli quale fosse il suo significato.
“Quindi questo era il piano che Sirius suonava al tuo papà?” aveva chiesto, ed Harry aveva annuito; così lui aveva stretto dolcemente il proprio orsacchiotto al petto mormorando “Quando crescerò, tu per chi lo suonerai?”
“Continuerò sempre a farlo per te, che domande fai?”
“Intendo, per chi lo suonerai qui dentro” e aveva puntato il ditino sul cuore di Harry.
Teddy sorrise, ripensando a quanto si era dimostrato lungimirante a soli sei anni; accarezzò ancora i tasti, certo del fatto che non sarebbe passato troppo tempo prima che la sua domanda ricevesse una risposta.

“Teddy!” si sentì chiamare dal piano di sotto. Harry era tornato.
Scese e andò ad abbracciarlo. “Strano, e io che ti aspettavo per pranzo”
“Davvero? Ma tu avevi detto che… Non mi sarei fermato da Draco se...”
“Scherzavo” scoppiò a ridere, “e comunque… siamo arrivati a Draco, eh?” aggiunse, malizioso.
Ovviamente Harry divenne dello stesso colore di un pomodoro maturo. E si dimenticò del tutto di togliersi il cappotto. “Draco o Malfoy, non cambia nulla, sempre della stessa persona si tratta” disse cercando di darsi un tono.
“No, certo” e sorrise furbetto.
Harry sbuffò e scosse la testa. “Ti stai facendo strane idee”
“Oh, ti assicuro che per quanto strane possano essere sono perfettamente chiare”
“Senti, è solo una vecchia conoscenza...”
“Che però ti preoccupa non poco: devo forse ripeterti il nostro discorso di ieri?”
Harry rimase fermo per qualche secondo, poi si tolse in fretta il cappotto con movimenti impacciati. “A volte mi chiedo se tu non sia uno Psicomago in incognito”
Nah, ti capisco solo tanto bene, probabilmente più di quanto ti capisca tu stesso”
“Questa è magia, mica quella che insegnano ad Hogwarts” rise, seguito subito dal più piccolo. Sì, il complesso dell’eroe era evidentemente una patologia che non aveva cura.
“Ascolta, Teddy, volevo chiederti se tu avessi già preso degli impegni per Capodanno”
“Io? No. Insomma, pensavo che avremmo fatto come l’anno scorso: io, te e la nonna a cena”
“Ecco, che ne diresti di qualcosa di diverso? Potresti invitare qui i tuoi amici”
“Sarebbe fantastico” gli occhi gli si illuminarono, ma poi realizzò che… “Ma tu?”
“Io cosa?”
“Tu passeresti la serata insieme a noi?”
“Certo che no”
“E allora scusa ma non ho capito: tu che farai?”
“Vado al concerto in piazza, e poi… starò in giro” disse sul vago, ma per Ted quello era un segnale ancora più potente di venti sirene della polizia messe insieme.
“Hai chiesto a Draco di venire a sentire il concerto con te, vero?”
“Sì” rispose senza pensare, un po' come quando l’ex Serpeverde aveva rivelato i segreti del suo cuore dopo quella loro uscita al Pictures of London.
“Hai chiesto ha Draco Malfoy un appuntamento?” e la voce gli si alzò di un’ottava: Merlino, quel pranzo fuori non avrebbe potuto dare esiti migliori!
Si rese conto troppo tardi che quella era l’ultima parola da dire.
Harry si gelò sul posto. Mica aveva realizzato l’enormità di ciò che aveva fatto…
Sì, non accettava che Malfoy avesse lasciato il violino in soffitta, non poteva concepire l’eventualità che la guerra avesse portato via al giovane figlio di Lucius la propria voce, una voce che lui, Harry, aveva casualmente finito per ascoltare; era come se il destino avesse fatto sì che Draco lo fermasse fuori dal piano bar la sera della Vigilia, come a dirgli che tutti meritavano una seconda possibilità. Sì, aveva anche realizzato che non fosse proprio una così grama compagnia come credeva ai tempi di Hogwarts, ma d’altronde allora c’era uno spesso muro tra di loro, un muro che aveva lasciato il suo segno sul candido braccio di Draco, un muro che nessuno dei due voleva venisse ricostruito, per un motivo o per un altro. Sì, aveva capito che con Draco poteva nascere un’amicizia, un qualcosa di nuovo, su una nuova pagina bianca. Ma da lì a chiedergli un appuntamento… Che gli era saltato in mente? Sicuramente Draco gli avrebbe detto di no, anzi non gli avrebbe proprio detto niente! Aveva superato un confine senza nemmeno rendersene conto, e chissà ora che cosa stava pensando quella serpe, sicuramente stava ridendo di lui insieme a quel pittore… E adesso perché si stava facendo le paranoie come una ragazzina alla sua prima cotta?
Ted lo guardava ridendo sotto i baffi, il viso di Harry aveva passato tutti i colori dell’arcobaleno nel giro di pochi secondi e ora stava quasi annaspando cercando qualcosa da dire in sua difesa, qualcosa che dimostrasse che no, non aveva chiesto alcun appuntamento a nessuno, peccato che di elementi a suo favore non ce ne fossero proprio...
“Non… non è un appuntamento” balbettò, poteva almeno provare a negare l’evidenza, no?
“Ah, no? E allora cos’è?”
“Andremo solo a sentire insieme un concerto”
“Mh, e dimmi, ci saranno altre persone con voi? O sarete solo voi due?”
“Tutte le altre che verrano in piazza a Capodanno, ovvio che non saremo soli!”
Ted ghignò furbetto, adorava quando Harry si arrampicava sugli specchi. “Intendo, l’invito a venire a sentire il concerto con te è esteso a qualcun altro oltre a Draco?”
“Beh, no, ma...”
“E allora questo, almeno a casa mia, si chiama appuntamento. Devo ricordarti anche che casa mia è anche casa tua?”
Harry si sentì molto Neville, quando era stato pietrificato da una Hermione undicenne il loro primo anno a Hogwarts. Non potè far altro che abbassare la testa e capitolare. “L’ho seriamente fatto?”
“Mi dispiace darti questa ovvia notizia, ma sì, lo hai fatto”
“Devo essere uscito di testa”
“No, non lo sei, è perfettamente da Harry Potter fare questo genere di cosa”
“Questo genere di cosa, cosa?”
“Dare un’altra possibilità sapendo che c’è sempre un modo di far andare tutto meglio”
Harry tacque, riflettendo su quelle parole. Aveva invitato Draco al concerto per farlo avvicinare alla musica di nuovo, per dargli la forza di riprendere con il violino, sì, principalmente per quello. Teddy però non sapeva del talento nascosto di Malfoy, era logico che pensasse che quell’invito fosse una seconda possibilità per il loro rapporto e non per il legame di Draco con la musica… Ma se avesse potuto essere entrambi?
“Io e lui non ci sopportavamo, a scuola. Ho pure rischiato di ucciderlo”
“Questo potrebbe rendere il tutto un po' più complicato...”
“Però ci siamo anche salvati la vita a vicenda”
“Perfetto, allora non avrai problemi a farlo tuo” sorrise furbetto.
Harry arrossì furiosamente. “C-cosa?”
“Intendevo che non avrai problemi a dargli questa seconda possibilità” spiegò, con aria fintamente innocente, “pensi sempre male” concluse ridacchiando.
“Sei tu che non ti spieghi bene”
“È proprio vero che non esiste peggior sordo di chi non vuol sentire!” sospirò teatralmente. “Harry, non c’è nulla di strano se vuoi riallacciare i rapporti con lui”
“Sì, invece, contando che lui è lui e che io sono io”
“Così sì che è chiaro” commentò, ironico.
“Io combattevo per Silente, lui per Voldemort, non ci siamo mai potuti vedere”
Teddy aveva studiato bene la Guerra Magica durante le ore di Storia della Magia, per cui capì in che modo tutta la situazione angustiasse Harry. “Il passato è passato, ora viviamo in un mondo migliore in non ci sono più né Silente né Voldemort. E poi, non siete più ragazzini, una vostra testa ve la siete fatta senza l’influenza di quelle potenti forze magiche che vi hanno sconvolto la vita, o no?”
Harry si strinse nelle spalle. “Tutto dipende da se accetta o meno il mio invito...”
“Lo accetterà, vedrai. Anche lui avrà voglia di novità, di andare avanti”
“Io e Draco Malfoy amici… Davvero è un futuro possibile?”
Teddy si trattenne dal dire che i futuri possibili erano tanti altri, ci teneva alla sanità mentale del suo padrino, quindi si limitò ad annuire. “Hai detto che stai attendendo che ti risponda, no? Potremmo aspettare insieme e nel mentre” lo guardò con occhioni da cucciolo, “mi aiuti con Trasfigurazione?”
“Certo, che cosa devi fare?”
“Un tema sulla Trasfigurazione Umana”
“Quindi Animagi e lupi mannari”
“Già…”
Teddy andò a prendere tutto l’occorrente nella sua stanza e passarono un paio d’orette a studiare e a scrivere, finché non arrivò un Messaggio di Fuoco per Harry.

Potter.
Ho parlato con Theodore, il quale ha gentilmente accettato di anticipare la cena per permettermi di venire con te al concerto.
Non so dove sia questa piazza di cui tu mi hai parlato, per cui arriverò a casa tua per le otto e mezza circa, sempre se non è un problema e se nel frattempo non ti sei rimangiato l’invito. Fammi sapere,
D.L.M.


“Harry, azzardati a chiedermi cosa devi rispondere e giuro che ti metto della Polvere Urticante nel letto”

*

Theo era appena andato via, e lui si era seduto sul divano a leggere: conoscendo Potter, la risposta sarebbe arrivata a sera tarda, o addirittura il giorno dopo, e quindi aveva ripreso in mano The Great Gatsby. Era quasi alla fine, mancavano solo poche pagine…
Il Messaggio di Fuoco arrivò all’improvviso, stupendolo non poco. Di già?, pensò.

Malfoy.
No, non mi sono rimangiato l’invito. Alle otto e mezza va benissimo. Ci vediamo,
Harry


Si sarebbe aspettato un fiume di parole inutili per dire una semplice affermazione o negazione, non un’essenzialità del genere.
Lui non era un tipo che si stupiva facilmente, e si chiese con un lieve sorriso quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che qualcuno ci era riuscito.
E Potter lo aveva stupito per l’ennesima volta.



NdA
Ehm… Ciao a tutti ^^” *si protegge dietro uno scudo dalla frutta marcia che sa di meritarsi*
Lo so, è passato molto tempo da gennaio e dall’ultimo capitolo di questa storia – chissà se ve la ricordate ancora, la speranza c’è – e forse qualcuno ha pensato che avessi deciso di interromperla o cose simili: la risposta è no, purtroppo ho solo avuto un periodo parecchio intenso e pesantuccio su vari fronti e ciò non mi ha permesso di scrivere come avrei voluto. Scusatemi, davvero…
Ho lavorato molto su questo capitolo, e spero possa compensare un po' il silenzio: personalmente, mi sento soddisfatta, ma mi rimetto completamente al vostro giudizio :)
Ringrazio tantissimo chi ha recensito lo scorso capitolo, chi è diventato nostro compagno di viaggio da poco e chi, invece, è sempre rimasto qui ad aspettare che mi rifacessi viva. Grazie, di cuore <3
Un bacione,
merrow :*

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Dopo il Messaggio di Fuoco di Harry, si sentì inquieto.
Troppi pensieri gli affollavano la testa, troppi pensieri che non sapeva bene come spiegarsi. Ancora non credeva possibile che Harry – e si chiese nel mentre perché ormai non gli venisse più spontaneo riferirsi a lui come Potter – volesse dare un’altra occasione al loro rapporto, non dopo tutto ciò che era successo, non dopo che la guerra era entrata nelle loro vite: perché un conto era essere ragazzini che non si potevano sopportare, un altro era essere ai poli opposti di una battaglia all’ultimo sangue. Aveva fatto cose di cui non andava fiero, ma sapeva anche di non aver avuto molta scelta: allora, era la purezza di ciò che gli scorreva nelle vene ad avere la priorità su tutto, ed era per quella purezza che non aveva potuto dire di no a suo padre quando era entrato nelle fila di Voldemort. Ma adesso, era ancora importante? Non stava cercando una giustificazione per i suoi comportamenti passati, non ce n’erano, stava solo pensando che nella vita si commettono tanti errori, ai quali si può quasi sempre porre rimedio. Per anni aveva pensato che ai suoi non ci fosse, un rimedio.
Poi aveva incontrato Theo, si erano chiariti, erano andati avanti: da un errore, era nato qualcosa di bello, un’amicizia forte che non aveva mai condiviso con nessun altro, prima. Non era stato un vero amico per i suoi scagnozzi di Hogwarts, era come se fossero vincolati da una gerarchia che vedeva lui al vertice della piramide: poi Tiger era morto, e Goyle aveva troncato ogni rapporto con lui dopo i processi ai Mangiamorte. Tutti avevano troncato i rapporti con lui dopo i processi ai Mangiamorte.
Guardò la copertina della sua copia di The Great Gatsby, che giaceva sul tavolino in cristallo vicino alla poltrona: si era sentito solo, proprio come Jay Gatsby, ad aspettare che qualcuno si facesse vivo alla sua porta. Ma lui non voleva morire come il protagonista del libro, in attesa di quella Daisy che non sarebbe mai arrivata, e spinto da una forza interiore era uscito, aveva incontrato Theo, si erano bevuti una Burrobirra e avevano dato vita a qualcosa che nessuno dei due, da adolescente, avrebbe creduto possibile. E la stessa cosa, più o meno, gli stava succedendo in quel momento con Harry.
Lentamente si diresse nella stanza che aveva lasciato vuota, quella con le grandi finestre; si avvicinò a una di esse, poggiando delicatamente i polpastrelli al vetro. La luna, anche se non era piena, era di un bianco accecante e rendeva la sua pelle ancora più pallida e diafana.
Si ricordò di come Harry era entrato in quell’aula, nascosto dal Mantello, e rise piano tra sé e sé; era passato così tanto tempo, eppure non aveva dimenticato le sue parole, non aveva dimenticato come si era sentito dentro. Erano solo bambini, allora, senza la più pallida idea di cosa sarebbe successo.
Lo sguardo gli cadde sul Marchio Nero, che spuntava dal polsino abbassato della camicia, e il riso gli morì sulle labbra. A quello, c’era rimedio?
Si sentì schiacciato da sé stesso, da quel sé stesso che era stato costretto a diventare. La corazza che si era costruito era diventata giorno dopo giorno, anno dopo anno, sempre più spessa, soffocando la sua anima, quella stessa anima che ora, inspiegabilmente dopo così tanto tempo, premeva per uscire allo scoperto. E lui sapeva che non sarebbe sopravvissuta se avesse cercato di zittirla ancora.
Si tirò la manica della camicia fin sopra il gomito, ora tutto il Marchio era esposto alla luna, che lo rendeva meno intenso del solito, lo rendeva sopportabile.
A tutto poteva esserci un rimedio: lo aveva aspettato a lungo senza saperlo e alla fine, si concesse di sperare, alla fine era arrivato. Daisy, forse, lo aveva raggiunto.

*

“Finalmente è finito!” sospirò Teddy appoggiandosi allo schienale della sedia, “Grazie, Harry”
“Ma figurati, sai che non mi dispiace affatto aiutarti con i compiti”
“Sappi che da oggi sei ufficialmente assunto come mio aiutante personale nella stesura di temi: non mi pare di averne mai scritto uno più bello di questo, e nemmeno più lungo. La prof ne sarà davvero contenta”
Harry gli scompigliò allegramente i capelli turchini. “E mi dicevi che ha assegnato un tema diverso a ciascuno studente?” chiese, e Teddy annuì.
“Sei stato molto fortunato, tu, ad avere quello sulla Trasfigurazione Umana”
“Già. Probabilmente, sapendo la mia scarsità in materia, mi ha dato un argomento relativamente semplice” rise, ma Harry la pensava diversamente.
“Io credo sia stato per tuo padre, sai? Era un lupo mannaro, dopotutto”
Teddy guardò fuori dalla finestra, con aria malinconica. “Io non lo avrei mai detto. Quando me lo hanno rivelato, lui e la mamma, io non ci ho creduto: il mio papà non era un mostro, non era cattivo, e quindi non era possibile che fosse un lupo mannaro per me. In ogni caso, non cambiava niente, gli volevo bene lo stesso e non ho mai avuto nessuna paura di lui: ero felice perché avevo un papà che era solo un po' più speciale di prima” e sorrise teneramente.
“Lui aveva paura di quello che era, invece, era quello di cui aveva più paura al mondo”
“E tu come lo sai?” chiese, curioso, il piccolo. Tutti dipingevano i caduti in guerra con i colori della gloria, parlavano di loro come eroi, e solo in pochi parlavano apertamente dei loro difetti, dei loro limiti e delle loro paure: Harry era tra questi, e Teddy non poteva chiedere di meglio. Remus Lupin sarà stato anche considerato un eroe che si è sacrificato per permettere una vita migliore a coloro che avrebbero superato la guerra, ma per lui era semplicemente il papà che non c’era più ed erano i racconti come quelli del suo padrino a farglielo sentire ancora più vicino: perché anche se non era un lupo mannaro e non era neanche un eroe, anche se aveva tutti quei difetti e quelle paure, sarebbe potuto diventare un uomo come suo padre.
“Ero al terzo anno, e lui era il mio professore di Difesa; la lezione era sui Mollicci e noi studenti, a turno, dovevamo confrontarci con uno di essi, fargli assumere le sembianze della nostra paura più profonda e poi liberarcene con un Riddiculus. Io, poco tempo prima, mi ero trovato di fronte ad un Dissennatore, e il ricordo fece sì che il Molliccio diventasse uno di loro. Tuo padre si mise tra noi per proteggere me e tutti gli altri miei compagni, e il Dissennatore sparì, lasciando il posto ad una grande luna piena e bianca. La tua più grande paura è la paura stessa, mi disse poi, ma io non ebbi il coraggio di chiedergli cosa significasse quella luna, erano cose private e, sebbene lui fosse stato un grande amico di mio padre, non avevo il diritto di porgli quella domanda”
“Non ne avevo idea” sussurrò. “Insomma, da quello che ricordo, lui con me non si è mai mostrato così nei confronti di sé stesso”
“Non voleva che anche tu potessi averne paura, è per questo che lo nascondeva”
“Ma lui lo ha detto ai Malandrini quando frequentavano Hogwarts e loro sapevano come si sentiva”
“Veramente, è stato un po' diverso da come pensi” sorrise, e iniziò a raccontare ciò che Sirius, tanto tempo prima e seduto con lui al pianoforte, gli aveva narrato.
Remus, fin dal primo giorno del suo primo anno, aveva avuto la ferrea intenzione di non rivelare a nessuno la sua condizione di lupo mannaro; solo il preside Albus Silente ne era a conoscenza e per permettergli di frequentare le lezioni fece piantare il Platano Picchiatore in quel lontano 1971, dalle cui radici partiva un passaggio segreto diretto alla Stamberga Strillante, il luogo in cui il giovane Lupin avrebbe trascorso tutte le notti di luna piena. Per evitare di mettere in pericolo i suoi amici e compagni, Remus scompariva una volta al mese in corrispondenza dell’odiato plenilunio.
“Tuo padre era molto assennato e non voleva assolutamente fare a qualcun altro quello che Fenrir Greyback aveva fatto a lui, la sola idea lo terrorizzava a morte. Ecco perché si teneva in disparte e non voleva che nessuno stesse a contatto con lui durante quei giorni, non voleva rischiare di perdere il controllo. Era solo un bambino di 11 anni, dopotutto, aveva paura”
“E nessuno si accorse di queste sparizioni?”
“Lui non aveva molti amici, a parte i Malandrini, quindi a parte loro nessuno ci fece caso. Insomma, io mi sarei accorto se Ron o Hermione fossero spariti per una settimana al mese, ma non se la cosa fosse successa a un altro studente che non conoscevo”
Teddy tornò a guardare fuori dalla finestra. “Come si sono conosciuti?”
“Tuo padre era solo nello scompartimento sul treno per Hogwarts,e Sirius ci piombò dentro con la sua solida aria baldanzosa: non ci mise molto a stringere amicizia con lui. Poi al gruppo si unirono mio padre e Peter Pettigrew. Hanno fatto il viaggio insieme e il caso volle che fossero smistati tutti e quattro in Grifondoro”
Lo sguardo di Teddy si illuminò. “E il caso ha voluto che fossero anche tutti Animagi a parte papà?”
Harry scoppiò a ridere. “Oh, no, è stata l’amicizia che li univa a renderli tali”
E quando Teddy lo guardò confuso, gli spiegò di come i Malandrini erano venuti a conoscenza del segreto di Remus. “Sirius era già un elemento al secondo anno, sempre a cacciarsi in qualche guaio con mio padre James – erano sicuramente i più scalmanati dei Malandrini, ma dopotutto erano stati loro a creare il gruppo – per colpa sia della sua innata dote di andarseli a cercare in qualunque modo perché, a detta sua, lo faceva sentire libero e spensierato” il bambino che a casa Black non poteva assolutamente essere, aggiunse nella sua testa, “sia per la sua testardaggine. Aveva pensato per tutta l’estate a Remus e al problema che poteva avere; ne parlava a James in praticamente ogni lettera che riuscivano a scriversi, come puoi intuire la mamma di Sirius non era così materna, e quando si rividero a Hogwarts decisero di andare a fondo della faccenda. Sirius, una notte, seguì Remus e lo vide entrare in una tana ai piedi del Platano Picchiatore: e così scoprì non solo il passaggio segreto per la Stamberga Strillante, ma anche che tuo padre era un lupo mannaro”
“E che cosa hanno fatto?” chiese, interessato. Gli mancavano solo dei popcorn in mano.
“Sirius gli giurò che sarebbe riuscito a fare qualcosa per lui, qualsiasi cosa per alleggerirgli il peso che si portava sulle spalle. Quasi senza pensarci gli disse che se anche lui avesse potuto diventare un lupo non ci avrebbe pensato due volte a tenergli compagnia e a ricordargli chi era davvero, anche se si trasformava. E parlandone anche con gli altri Malandrini, la decisione di diventare Animagi fu presa in un attimo”
“Eppure non mi sembra una cosa facile...”
“Infatti seguirono tre anni di tentativi per riuscirci, ma ce la fecero. Per lui”
Teddy aveva quasi le lacrime agli occhi, però sorrise. “Io diventerei un Animagus, se volesse dire aiutare i miei amici”
“Anche io lo avrei fatto, per Ron ed Hermione” disse, senza pensarci e con un velo di malinconia.
“Non credi sia arrivato il momento di farmeli conoscere, allora? Sai, ora che il tuo esilio alla Moon è finalmente finito” sorrise e riportò la conversazione su toni più leggeri, “Sono sicuro che saranno felici di rivederti. Hai visto come ha reagito George”
“Sì, ma con lui il rapporto era diverso, non ha passato con me praticamente ogni momento durante tutti e sette gli anni a Hogwarts”
“Eppure non ti ha chiuso la porta in faccia né, credo, si è comportato diversamente con te rispetto a tanti anni fa”
Harry lo guardò confuso. “No, hai ragione, però...”
“Però niente. Lui ha capito, Harry, ha capito che hai avuto le tue ragioni per fare ciò che hai fatto. E se ci è riuscito lui, come pensi non potrebbero farlo Ron ed Hermione?”
“Li ho abbandonati, e non mi sono mai fatto sentire in nessun modo”
“Ti ripeto, avevi le tue ragioni. Ora, io non so cosa voglia dire salvare il mondo, ma penso proprio che abbia delle conseguenze grosse” ridacchiò, “Tu volevi una vita normale, una vita che da quanto mi hai raccontato non hai mai avuto, e nessuno può biasimarti per aver pensato una volta a te stesso, a te stesso e basta: tutti ne hanno diritto. Ron, ad esempio, non ha mai fatto nulla di egoista?”
Harry ci rifletté, il ragionamento di Teddy filava, eppure si stava sentendo una brutta persona per il modo in cui aveva lasciato tutto. Avrebbe potuto mandare almeno una lettera, o prepararli, ma non aveva fatto niente, non aveva voluto rischiare che lasciare una traccia delle sue intenzioni rovinasse tutto. Lui aveva avuto bisogno di tranquillità, pace e soprattutto anonimato.
Ma di cosa aveva bisogno ora?
“Non ho dubbi sul fatto che ti accoglierebbero a braccia aperte, anche se qualche spiegazione credo la pretenderanno” continuò Teddy, con il sorriso in volto. “Chi è Harry Potter senza Ronald Weasley o Hermione Granger?”
Harry sorrise piano. Prima che loro entrassero nella sua vita, lui era solo un bambino che viveva nel sottoscala al numero 4 di Privet Drive, l’odiata progenie di quella scellerata di Lily Evans che aveva dato il proprio cuore a un mago senza alcun valore; era solo. “Mi hai convinto”
Teddy esultò e raccattò le proprie cose. “Bene, ora che il mio lavoro è finito vado a dormire. Grazie ancora, e buona notte” lo abbracciò e trotterellò nella propria stanza, mentre Harry andava in quella del piano a suonare per lui.
Facendo volare le dita sui tasti, ripensò alla conversazione appena avuta con il suo cucciolo. Sì, era arrivato il momento di compiere anche quel passo, e lo avrebbe fatto a breve, ma prima si sarebbe recato di nuovo da George. Eppure, Ron ed Hermione non erano stati i primi che aveva incontrato: c’era stato Hagrid, Edvige e… lui.
Senza rendersene conto, e accorgendosi solo quando aveva già iniziato, si mise a suonare la melodia nata dalle corde di un violino che aveva sentito quella notte di luna piena di sedici anni prima.
Teddy gli aveva chiesto chi fosse Harry Potter senza i suoi amici, ma chi era senza Draco Malfoy?



NdA
Sono imperdonabile, quasi 5 mesi. IMPERDONABILE. *si autopunisce come Dobby*
Davvero, mi dispiace tantissimo, scusate se sono sparita ma dopo alcune cose che mi sono capitate la mia autostima è tipo crollata sotto i piedi e non riuscivo a mettere insieme più di due frasi. Ho avuto un blocco fatto e finito ma spero che ora sia passato, così come mi auguro che questo capitolo sia venuto fuori decente e che vi soddisfi almeno un pochino… Fatemi sapere :)
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo e chi invece lo ha letto in silenzio, ma soprattutto chi non mi ha abbandonato ed è rimasto in attesa del proseguimento della storia: spero di non annoiare nessuno – dato che a 25 capitoli Draco ed Harry non si sono dati neanche un bacio ^^”
Un bacio, e a presto (spero!)
merrow :*

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Per la prima volta, vide il cartello CLOSED sulla porta dei Tiri Vispi Weasley.
Qualcosa doveva essere successo, perché non solo era piena mattinata ma era anche il 30 dicembre, l’ultimo dell’anno era alle porte e, beh, il coloratissimo negozio di scherzi di George sarebbe potuto sopravvivere solo grazie agli acquisti di quel giorno. Lui negli ultimi dieci anni si era rifornito in un centro commerciale babbano vicino alla loro casetta per festeggiare come si doveva con Teddy e, a volte, anche Andromeda, ma aveva la certezza che la totalità degli abitanti del Mondo Magico andasse solo ed esclusivamente da George. Probabilmente la gente si svegliava anche un po' prima per comprare l’occorrente per dire addio all’anno passato, non aspettava il giorno prima, però aveva visto qualche mago prima arrivare tutto di corsa al negozio, per poi restare a bocca aperta notando il cartello infisso e poi Smaterializzarsi all’istante, magari diretto a casa a dichiarare che almeno per quell’anno non si sarebbe fatto nulla di scoppiettante oppure in un altro negozio di sua conoscenza, ma rigorosamente babbano.
“Come fa ad essere chiuso oggi?” esclamò Teddy, stretto nel suo cappotto, “Voglio dire, George non sa che è proprio oggi che la gente ha più bisogno di lui?”
“Dimentichi come vanno le pozioni d’amore a San Valentino” ridacchiò Harry.
“Ma a me non servono le pozioni d’amore, io volevo i Fuochi Forsennati! E adesso come faccio?”
La disperazione di Teddy era abbastanza comprensibile. Harry gli aveva dato il permesso di invitare a casa i suoi amici per festeggiare Capodanno e poter andare al concerto con Draco – gli aveva giurato e spergiurato che lo avrebbe lasciato dare la festa indipendentemente dall’appuntamento (si era arreso all’evidenza, ormai) con l’ex Serpeverde, ma Teddy gli aveva risposto un “L’importante è crederci” con tanto di ghignetto furbo: a volte si chiedeva sul serio perché Salazar non lo avesse reclutato tra i suoi adepti!
Comunque, Ted aveva subito scritto ai suoi amici, e non ci sarebbero stati problemi di sorta se la sua migliore amica Sarah non gli avesse chiesto all’ultimo di poter portare anche la propria gemella. Ora, se anche la suddetta gemella fosse stata Smistata in Tassorosso, Teddy non si sarebbe certo preoccupato di fare i suoi acquisti nel solito centro commerciale babbano come tutti gli anni scorsi, ma così sarebbe stato troppo facile.
Jade Macmillan era una Serpeverde.
E Ted Lupin non poteva permettere che i suoi fuochi d’artificio babbani diventassero la presa per il culo del secolo nei Sotterranei: il patriottismo per la propria Casa accomunava ogni singolo studente di Hogwarts e i Tassi non facevano eccezione. Quindi, urgevano assolutamente i Fuochi Forsennati dei Tiri Vispi Weasley, e Ted colse la palla al balzo per trascinare nuovamente il padrino a Diagon Alley – esperienza che poteva fargli solo bene, considerando quanto negli ultimi giorni fosse stato così disponibile a riaprirsi verso il Mondo Magico: vuoi perché Draco aveva risvegliato il lato di lui cui piaceva fare l’eroe, vuoi perché non voleva più deludere il figlioccio, vuoi perché aveva rivisto George e aveva capito che poteva riaggiustare le cose, fatto sta che Harry adesso era sempre Harry.
Dato che la lettera di Sarah era arrivata solo la sera prima sul tardi, aveva dovuto sacrificare la sua dormita mattutina fino a mezzogiorno per poter andare a Diagon Alley il prima possibile e riuscire ad avere almeno i Fuochi Forsennati rimasti – sperava che ce ne fossero, di rimasti.
Tutto questo per vedersi di fronte la parola CLOSED.
Si spostarono davanti alla vetrina, notando che all’interno di Fuochi Forsennati ce n’erano ancora scatole piene, e Teddy sospirò di sollievo. Nel frattempo, un’altra coppia di ragazzini si era fermata proprio di fronte al cartello, e rimasero come pietrificati sul posto, non sapendosi spiegare come mai fosse chiuso. Ted notò distrattamente una donna in evidente stato interessante avvicinarsi ai due.
“Non è che stando fermi lì davanti la porta si aprirà, oggi George non verrà” disse loro.
“Nemmeno nel pomeriggio?” chiese il più grande con una nota disperata nella voce.
“No, mi spiace...”
“Ma domani il negozio sarà aperto, vero?” e Ted drizzò le orecchie, improvvisamente attento alla discussione.
“Credo proprio di sì” e mentre i due ragazzini correvano via ringraziando la donna, Ted non riuscì a trattenersi e urlò “Hai sentito, Harry? Ha detto che domani sarà aperto!”
Harry. La donna si voltò verso di loro nel momento esatto in cui Harry alzò gli occhi su di lei.
I capelli ricci e ribelli erano momentaneamente domati da un cappello in feltro, le mani appoggiate al ventre gonfio e fasciato dal cappotto, gli occhi color cioccolato sgranati e fissi nei suoi.
“Harry?”
Ma prima che lui potesse fare qualcosa in più rispetto ad annuire, Hermione cadde in ginocchio, una smorfia di dolore dipinta sul viso e un gemito strozzato.
 

*


Hugo, ma proprio adesso?
Il bambino aveva deciso di fare un brusco movimento proprio in quell’istante, ma non era preparata: sapeva che il piccolo aveva preso tutta la sua grazia di elefante dal padre, ma così le sembrava un po' eccessivo, e poi poteva anche scegliere un momento migliore per ribaltarsi, no?
Luna le aveva detto di stare calma, le aveva spiegato che i bambini scelgono la posizione con cui venire al mondo proprio durante l’ottavo mese di gravidanza e che era quindi normale sentire quegli improvvisi dolori ogni tanto, dovuti allo spostamento del corpicino dentro di lei. Già qualche giorno prima aveva pensato di stare per partorire a causa delle contrazioni che aveva avvertito, ma anche quello era normale, nelle sue condizioni. La gravidanza stava procedendo alla perfezione e non era d’aiuto a nessuno, soprattutto a Hugo, se si agitava.
A casa era diventata brava a mascherare questi improvvisi dolori, o altrimenti Ron sarebbe andato fuori di testa una volta sì e l’altra pure; inoltre, adorava la sua espressione quando gli diceva “Hugo si sta muovendo, senti” e gli faceva poggiare la mano sulla pancia gonfia.
Lo shock di rivedere Harry dopo così tanto tempo doveva essersi riflesso su Hugo, che giustamente aveva trovato il modo di farsi sentire.
“Hermione, stai bene?” si sentì chiedere, due braccia forti che l’aiutavano a non cadere lunga tirata a terra.
“Sì, è il bambino, si muove spesso ultimamente...”
“Riesci ad alzarti? Ti do una mano”
Hermione accettò il suo aiuto e si appoggiò a lui, accarezzandosi la pancia. “Va tutto bene, Hugo, va tutto bene...”
Harry non ci aveva messo né uno né due ad aiutarla, dimentico dei dieci anni che non si vedevano, era riuscito solo a pensare che era incinta ed era caduta all’improvviso, per quanto ne sapeva lui di gravidanze poteva essere tanto un cattivo quanto un buon segno; fortunatamente Hermione non era preoccupata, evidentemente il bambino che si muoveva a volte faceva più male di altre, e quindi tirò un sospiro di sollievo.
L’imbarazzo arrivò subito dopo, quando lei lo guardò fisso negli occhi. “Sei proprio tu?”
Harry annuì. Il silenzio tra di loro, ricco di parole non dette, di lettere non spedite. Erano cambiati tutti e due, rispetto a quando andavano a scuola insieme: Hermione si era sposata con Ron, aveva avuto una figlia, sicuramente si era trovata un lavoro di tutto rispetto al Ministero della Magia, mentre lui si era dedicato alla vita babbana e tranquilla di cui aveva bisogno.
Per certi versi, ora erano solo due estranei l’uno per l’altra.
“Ricordi cosa dissi a Ron quando è tornato da noi con la spada di Grifondoro e il medaglione di Salazar Serpeverde distrutto, vero?” gli chiese Hermione, con tono duro, rompendo il silenzio.
“Sei un vero deficiente, Ronald Weasley”
“Ecco, ringrazia che io sia incinta o ti beccheresti ben altro”
Harry si trovò a sorridere, piano: forse aveva perso per sempre quei dieci anni, forse il loro rapporto non sarebbe più tornato come quello di una volta, ma lei gli aveva aperto uno spiraglio. Anche se era incazzata nera, lo capiva dalle sopracciglia aggrottate, e lui non aveva avuto una pallina di luce a toccargli il cuore e guidarlo, gli aveva aperto uno spiraglio.
“Dovrai spiegarmi molte cose” ordinò lei, il tono di chi non ammette un no come risposta.
“Lo so” e lei lo guardò con quel cipiglio arrabbiato che lui ricordava molto bene.
“Comunque, sei un vero deficiente, Harry Potter”
 

*


“Mi stai dicendo che sei sparito perché volevi una vita lontano dal nostro mondo?” chiese Hermione bevendo poi un sorso della propria cioccolata.
Per evitare di attirare attenzioni indesiderate; Ted aveva convinto Harry a invitare la vecchia amica al Pictures of London, dato che sapeva con certezza che al padrino un qualsiasi altro posto a Diagon Alley non sarebbe andato propriamente a genio; Hermione era una strega famosa, aveva conoscenze pressoché ovunque e il fatto che fosse anche incinta e prossima al parto avrebbe aumentato molto le probabilità che qualcuno si avvicinasse a loro, e avrebbero così riconosciuto Harry Potter. E Teddy non voleva rischiare che il padrino decidesse di scomparire di nuovo, non adesso che stava facendo così tanti passi avanti. Una persona alla volta poteva gestirla, ma una Comunità intera...
“Sì, io… ne avevo bisogno”
“E di noi, invece? Di noi non avevi bisogno?”
Harry tacque. Senza di loro non sarebbe arrivato da nessuna parte, anzi, sarebbe morto senza alcun dubbio, quindi sapeva perché Hermione fosse così arrabbiata: si era sentita abbandonata.
“Io non ce la facevo più ad essere solo il Salvatore del Mondo Magico”
“Sai che per noi saresti sempre stato solo Harry”
“Sì, ma non sopportavo i fotografi quando uscivo con Ginny, i giornalisti che si avvicinavano per un’intervista ogni volta che mi vedevano in giro, mi sentivo soffocare. Ed è stato in quel momento che mi è stata offerta la possibilità di cambiare le cose e non ci ho pensato due volte”
Hermione rimase in silenzio a lungo, così Harry riprese. “Vi ho abbandonati, e mi dispiace, però se non lo avessi fatto avrei perso me stesso e… sì, ho avuto bisogno di fare l’egoista, per una volta”
“E cosa ti ha fatto cambiare idea?”
“Non cosa, ma chi. È stato Teddy. Mi ha fatto capire che era finito il tempo di stare nel mio guscio” e così dicendo scompigliò i capelli al suo cucciolino, seduto lì con loro. A Hermione si strinse il cuore a quella vista, e si accarezzò spontaneamente la pancia.
Quando aveva ucciso Voldemort, Harry era solo un ragazzo coinvolto in qualcosa che sarebbe stato troppo grande per chiunque, Silente compreso, ma nonostante ciò aveva dovuto trovare la forza di sopravvivere, di uscirne vincitore. Inoltre, si era trovato a dover prendersi cura di Teddy Lupin, che con i suoi soli 3 anni era già orfano di entrambi i genitori. La vita di Harry era stata costellata da una serie di responsabilità, prima verso il Mondo Magico, poi verso un bambino. Hermione, da mamma, sapeva come ci si sentisse, ad avere la responsabilità di una vita, ed era dura, perché solo in quel momento ci si rendeva pienamente conto di cosa volesse dire. Ed Harry aveva avuto sulle sue spalle non una, ma migliaia di vite, e alcune le aveva perse, come era inevitabile che succedesse in una guerra. Capiva che Harry fosse arrivato alla frutta e avesse avuto bisogno di cambiare aria.
Si era sentita abbandonata, ed era stata male per quello, però non aveva mai smesso di credere che ci fosse una ragione, dietro il suo comportamento. Harry aveva voluto proteggere non solo sé stesso, ma anche Teddy, ed era sempre per Teddy che, a quanto pareva, era tornato.
Harry aveva fatto il papà, che ne fosse conscio o meno, e lei, da mamma, non poteva far altro che capire e perdonarlo.
“In realtà ero solo stanco di vedere quell’antipatico in cui si trasformava” rise Teddy, arrossendo un poco sugli zigomi, esattamente come faceva Tonks.
“Oh, non ne dubito” ghignò, complice, Hermione, per poi riportare la sua attenzione su Harry. “Ora devo andare, ho detto che sarei andata solo alla Gringott e a farmi visitare da Luna come da routine, ma non posso tardare oltre..”
“Certo, è naturale, allora vado a pagare” e andò alla cassa.
“Gli ho detto che avevo paura di dimenticarlo, come stavo iniziando a fare con i miei genitori” Ted si avvicinò a Hermione, che si stava rivestendo con movimenti lenti, “e nel giro di qualche giorno ha smesso di prendere quella roba. A me non è mai piaciuto che si nascondesse, ma poi ho capito il motivo per cui lo faceva. Aveva bisogno di essere qualcuno che non fosse solo Harry Potter e aveva bisogno di tranquillità, e con questo sistema ha ottenuto entrambe le cose. Non credere che non sia stato male, semplicemente è stato peggio e sapeva che sarebbe passato”
“È successo grazie a te”
“Oh, non solo grazie a me, ma di questo parleremo un’altra volta”
Infatti Harry stava tornando da loro, e nel giro di poco si trovarono fuori; Ted si fece dare le chiavi e saltellò verso casa, lasciando soli i due vecchi amici.
“Grazie, Hermione, per aver capito” le disse piano, abbassando gli occhi.
“Tra l’aver capito e l’aver accettato c’è differenza. Sono ancora molto arrabbiata con te, non puoi pretendere di rifarti vivo dopo tutti questi anni e aspettarti che tutto torni com’era, però ho capito, Harry, davvero, mi ci vuole solo un po' di tempo”
“Chi sono io per negartelo? Dieci anni mi sono preso”
Hermione si sistemò il cappello e si preparò a Smaterializzarsi. “Sai che con Ron sarà più difficile, vero? Tranquillo, non gli dirò niente, per ora, ma tu promettimi che ti darai una mossa e che almeno mi avvertirai quando sarai sul punto di bussare a casa nostra”
“Te lo prometto”
“Perfetto” si sistemò e si guardò in girò: nessuno in vista. “Mi hai detto che Ted è un Tassorosso?”
“Sì, perché?”
“Da come mi ha parlato mentre pagavi, sembrava molto Serpeverde”
“Certe volte non ho dubbi sul fatto che abbia convinto il Cappello Parlante a non Smistarlo lì solo per poterci depistare e agire indisturbato”



NdA
Buonasera ^^
Come state, tutti bene? Chiedo scusa, di nuovo, per essere sparita per così tanto, ma purtroppo di meglio non sono riuscita a fare, il tempo è quello che è e faccio come posso. Vi ringrazio per essere rimasti comunque con me e per essere così pazienti nell’attendere il nuovo capitolo, che spero tanto vi soddisfi (e che la reazione di Hermione sia verosimile!) ^^
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo e chi legge in silenzio, grazie <3
A presto, un bacio :*
merrow

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Nella fretta di uscire di casa, si era dimenticato di mettersi la sciarpa e il vento leggero ma gelido di quella mattina lo infastidiva non poco, battendogli sul collo niveo. Lo infastidiva la neve che, quasi del tutto sciolta e mischiata alle polveri delle strade londinesi, si appiccicava alle sue scarpe creando delle macchie umide sui suoi stivaletti scamosciati. Lo infastidiva il continuo andirivieni di adulti e bambini alla ricerca delle ultime cose per i preparativi di Capodanno. In sintesi, lo infastidiva tutto, e per questo stava andando da Theo, a sbollire.
​Q
uel cretino di Harry non si era più fatto sentire dopo quel Messaggio di Fuoco, ed erano passati tre giorni: chi poteva essere così senza cervello da prima invitare qualcuno a uscire e poi sparire per tre giorni? Draco si meravigliava di sé stesso per non aver capito prima che, suvvia, Potter era sempre Potter. Non gli aveva dato nessun dettaglio sulla serata che avrebbero passato insieme, se non il quando e il dove trovarsi, e non gli andava a genio non sapere niente. Che si fosse dimenticato?
​D
raco scosse la testa a quel pensiero: Harry non poteva essersi dimenticato di lui, non dopo che gli aveva acceso un piccolo barlume di speranza nel petto. Non distoglieva più lo sguardo, disgustato, dal Marchio Nero quando gli capitava di tirarsi su le maniche della camicia, né tremava più quando apriva la custodia del violino, semplicemente lo guardava assorto.
​E
questa attesa lo stava mandando fuori di testa. Attesa di sapere cosa Harry avesse in mente, attesa di capire come quella testa calda lo avrebbe convinto a riprendere in mano il suo violino e, sì, attesa anche di vederlo e basta, di parlarci, di urlargli contro anche – perché le vecchie abitudini, si sa, non muoiono mai. Lo infastidiva questo miscuglio di emozioni che provava.
Quando arrivò a casa di Theo, il pittore era appena uscito dalla porta. “Ehi, Draco...”
​“Dove stai andando a quest’ora?” gli chiese, senza volere, con un tono leggermente acido.

“C’è una mostra che mi interessa e vado a vederla, e dato che so quanto non ti piaccia l’arte non ci ho pensato proprio a chiederti di unirti a me. Ma che c’è, qualcosa non va?”
Draco distolse lo sguardo. “No, niente.”
Theo sospirò. “C’entra con Harry e con domani sera, vero?”
“Non si è più fatto sentire”
“E perché avrebbe dovuto? Vi siete già messi d’accordo, no? Magari ti starà organizzando qualcosa di speciale per convincerti a riprendere in mano il violino” sorrise, e poi si guardò l’orologio. “Ora scusa ma devo proprio andare, la mostra apre tra dieci minuti e sai che mi piace essere uno dei primi a entrare” e con un ultimo cenno del capo si Smaterializzò, lasciando solo un Draco palesemente in agitazione.
Qualcosa di speciale. Ma Merlino Santissimo, Theo lo sapeva che le parole, soprattutto certe parole abbinate a certe situazioni, potevano essere equivocate in mille modi diversi? Lui e Potter – sì, era tornato a Potter, e ci sarebbe rimasto finché l’altro non si fosse come minimo degnato di chiedergli scusa per quei giorni di silenzio – non erano una coppietta al primo appuntamento e, soprattutto, lui non era la ragazzina desiderosa di farsi stupire dal suo principe azzurro, quindi Potter non doveva nemmeno azzardarsi a organizzare per lui qualcosa di speciale. Lui non era speciale, era un cretino che si stava facendo pare mentali per un nonnulla.
Io non sono speciale e non mi merito qualcosa di speciale, si ripeté nella sua testa durante il tragitto fino al Manor – si rifiutò di Smaterializzarsi, aveva bisogno di camminare, di far passare il tempo.
Era inutile negarlo, almeno con sé stesso: gli sembrava di star aspettando quella famosa sera da una vita, non solo tre giorni, e la cosa era di una stranezza così estrema che Draco aveva quasi paura. Di cosa, precisamente, non lo sapeva e nemmeno voleva addentrarsi in quel labirinto che, ne era certo, lo avrebbe condotto solamente alla pazzia.
Appena entrato in casa, non ci pensò due volte ad andarsi a fare una doccia gelida per recuperare un briciolo di razionalità.
Nel momento in cui quelle gocce fredde toccarono la sua pelle, si rilassò un poco e il cervello prese di nuovo il controllo: la sera successiva sarebbe andato solo a un concerto con Harry Potter, era una semplice uscita tra neo amici – si erano stretti la mano sul ponte, no?, e quindi sì, neo amici poteva, forse, anche starci – con un interesse comune, quindi che hai da essere così agitato? Harry lo faceva solo per aiutarlo, perché lui era fatto così e doveva per forza sempre aiutare tutti, anche quando non era richiesto, anche quando la situazione non lo riguardava. Ma la situazione lo riguarda eccome, sospirò tra sé e sé, perché Harry lo conosceva, Harry l’aveva sentito suonare.
Si era sempre preoccupato prima degli altri, poi di sé stesso, anche il fatto che avesse deciso di smettere di recitare la parte del quarantenne con la calvizie dimostrava quando per lui venissero prima i desideri degli altri, di Ted Lupin in questo caso specifico; aveva cercato di fare l’egoista, di fuggire dal mondo, ma non solo non ci era riuscito, aveva anche ripreso quell’abitudine di pensare agli altri, di fare l’eroe. E ora stava facendo l’eroe con lui, si stava preoccupando per lui, ma per che motivo?
Avrà voglia di ricostruire un rapporto con te, gli aveva detto Theo.
Rimase diversi minuti sotto il getto gelido, nel silenzio più totale, a guardare l’acqua scorrere sulla propria pelle irrigidita dal freddo.
Era agitato perché aveva capito che aveva anche lui voglia di ricostruire un rapporto con Harry.
Era agitato perché gli sarebbe piaciuto sentirlo, in quei giorni.
Era agitato perché aveva paura della piega che stava prendendo tutta quella storia, perché lui non era mai stato uno incline a farsi aiutare, eppure era sorpreso, sorpreso e quasi felice che qualcuno si stesse dimostrando interessato a lui.
Il casino era, ovviamente, chi fosse quel qualcuno.
 

*
 

“Che cosa hai detto a Hermione, piccola serpe in incognito?” gli chiese appena lei se ne fu andata.
Teddy fece la sua tipica smorfia furbetta. “Le ho detto solo la verità”
“E cioè?”
“Che anche per te non è stato semplice fare ciò che hai fatto e che io non sono l’unico motivo che ti ha spinto a uscire dal guscio, tutto qui” disse con aria candida, ben sapendo la reazione che avrebbe suscitato nell’altro.
Da quando aveva mandato il Messaggio di Fuoco a Draco, Harry non gli aveva più detto neanche una parola sull’appuntamento programmato (anche se aveva notato che qualcosa bolliva in pentola). Anzi, si era impegnato anima e corpo nell’aiutarlo a organizzare la festa per i suoi amici, soprattutto dopo avergli detto che ci sarebbe stata anche Jade, la gemella Serpeverde della sua migliore amica. Harry aveva pensato a tutto: alla cena, ai giochi da fare aspettando la mezzanotte, e aveva anche allestito il salotto in modo tale che potessero dormire tutti insieme; pur di non parlare della questione Draco, aveva pure discusso con Teddy sul come dire ai suoi amici che Mr. Moon, quello che lo aveva sempre accompagnato a prendere l’Espresso per Hogwarts e che era sempre venuto a prenderlo, quello che tutti pensavano fosse il suo nuovo tutore data la scomparsa del Salvatore del Mondo Magico, in realtà non esisteva.
“Harry, se dici loro chi sei, sai quali saranno le conseguenze, vero?” gli aveva chiesto, una di quelle sere. “Lo diranno ai loro genitori e, beh, verrà fuori non solo che sei tornato ma anche dove abiti e tutto il resto...”
“Lo so, ma prima o poi deve succedere, non posso rimandare all’infinito”
Teddy si era sentito molto fiero di lui, che finalmente aveva ritrovato il coraggio di vivere la propria vita e smettere di nascondersi; era anche orgoglioso di sé stesso, ammettiamolo, perché senza mai demordere era riuscito a liberarsi di quell’antipatico Mr. Moon, ma sotto sotto sapeva che Harry era spinto anche da un altro motivo.
Un motivo alto, esile e biondo che rispondeva al nome di Draco Malfoy. Harry non poteva, come diceva un famoso proverbio babbano, predicare bene ma razzolare male, non poteva dire all’altro di non avere paura di riscoprire sé stesso e poi lui essere il primo a non affrontare la situazione.
“A proposito di questo altro motivo,” riprese Teddy, “l’hai più sentito in questi giorni?”
“E perché avrei dovuto?” rispose, sulla difensiva per non far trapelare l’agitazione.
“Non lo so, cosìma perché era così tardo, a volte?, “magari per non dare l’impressione che non te ne importi granché, ecco”
“Gli ho… gli ho già detto che ci tengo, quando l’ho invitato” balbettò, arrossendo. Sì, lui ci teneva a far riprendere a Draco il violino in mano, perché sapeva quale fosse l’emozione che scaturiva dal suonare il proprio strumento, dal dare voce alla propria anima. Ci teneva a vederlo di nuovo con quell’espressione serena che gli aveva visto dipinta sul viso la prima volta. Ci teneva a incontrare ancora quel Draco che aveva definito, e mai se lo sarebbe dimenticato, devastante.
Era agitato per come si stava evolvendo la situazione, l’aveva presa fin troppo a cuore, forse.
Era agitato perché, non si sa come, aveva davvero voglia di ricostruire un rapporto con Draco. Sarà che era cresciuto, che erano cresciuti entrambi, e le liti adolescenziali erano solo un ricordo sbiadito, fatto sta che era sempre più impaziente che il domani arrivasse. Soprattutto perché, il giorno dopo essere stato a pranzo al Manor, si era ricordato che anche a Berkeley Square c’era un concerto in programma, e aveva deciso di andare lì non solo perché era un luogo che più si addiceva, secondo lui, ai gusti di Malfoy, ma anche perché era anche più vicino al London Eye, dove ogni anno si teneva un grandioso spettacolo di fuochi d’artificio: una prospettiva un po' più allettante rispetto alla piazzetta che aveva proposto all’inizio. Non voleva dirlo all’ex Serpeverde sia perché avrebbe voluto vedere la sua espressione stupita sia perché non voleva dargli l’impressione che ci tenesse un po' più del dovuto, a questo appuntamento.
“E se stesse pensando che si sei rimangiato tutto?” gli chiese Teddy, schietto.
“Perché dovrebbe? Solo perché non mi sono fatto più sentire? E poi nemmeno lui se è per questo...”
“Ma sei stato tu a invitarlo, quindi arrivati a casa tu gli scrivi che lo aspetti domani sera come avete concordato”
“Non voglio che pensi che non stia aspettando altro che uscire con lui!”
Che tenero. “Ma nemmeno che tu te ne sia dimenticato, no?”
“Ovviamente no...”
“Ecco, allora sai già ciò che devi fare”

Inutile dire che scrivere quel messaggio fu un’impresa titanica, anche perché appena scoperto che il padrino aveva cambiato destinazione a favore di una decisamente migliore Teddy era diventato un duce in piena regola e pretendeva che la lettera fosse perfetta – l’unica cosa che gli concesse fu di non menzionare Berkeley Square, perché l’effetto sorpresa ci stava tutto.
Dovette aggiungere l’ultima frase su consiglio, leggi: ordine, di Teddy e apportare qualche modifica qua e là prima di poterla spedire tramite il gufo di Andromeda, momentaneamente alloggiato in casa loro essendo la donna andata a passare l’ultimo dell’anno in Scozia da una sua vecchia amica – aveva organizzato appena Teddy le aveva detto della festa.
Solo dopo averlo fatto, si poté preparare il pranzo, con Harry sempre più convinto che Teddy fosse in realtà una serpe travestita da tasso.
 

*


Se si fosse trattenuto sotto la doccia due minuti in più, quel gufo gli avrebbe sicuramente rotto il vetro, impaziente com’era di consegnare il messaggio; appena aveva aperto la finestra, il volatile gli aveva beccato con forza la mano prima di lasciar cadere la lettera e volare via, quasi fosse seccato di aver aspettato così tanto fuori al freddo, ma era stato meglio così: se fosse restato lì sul davanzale probabilmente Draco lo avrebbe preso e fatto arrostire.
Il suo umore non era migliorato, ma si era rilassato e si era imposto di mantenere la calma. Potter non voleva farsi sentire? Benissimo, lui avrebbe fatto il superiore e avrebbe smesso di aspettare - si dice che le cose capitino quando meno ce lo aspettiamo, no?, si era detto prima di giungere a questa conclusione.
Quando vide la calligrafia con cui il suo nome era stato scritto sulla busta, la così tanto agognata calma si dissolse in un attimo. Come si permetteva quell’essere di farlo aspettare così tanto da fargli perdere le speranze per poi scrivergli come se nulla fosse? Ma si rendeva conto?
Con violenza strappò la busta e prese poco delicatamente la lettera contenuta in essa tra le mani, mentre andava a sedersi sul divano.

Ciao, Malfoy.

E già iniziava male, come minimo scusa a caratteri cubitali doveva scrivere per prima cosa, però aveva avuto la chissà per quale caso fortuito del destino buona idea di rivolgersi a lui con il cognome.

Scusami se sono sparito, ma ho avuto molto da fare nell’aiutare Teddy coi preparativi per la festa, ti spiegherò meglio domani, se vuoi.

Ma cosa poteva importargliene a lui dei preparativi per la festa di Teddy! Non era una novità che Potter fosse così poco pratico nell’organizzare eventi, a maggior ragione se più di uno e per la stessa serata… però almeno si era scusato, non a caratteri cubitali ma si era scusato.

A proposito di domani, ti aspetto da me per le otto e mezza. Dato che il concerto inizierà alle nove circa, direi di Smaterializzarci lì così da prendere dei posti buoni mentre dopo, se non hai nulla in contrario, possiamo fare una passeggiata, così da parlare un po'.

Oh, ma allora non era proprio così imbecille, se lo ricordava che avevano un appuntamento e si era finalmente deciso a renderlo partecipe dei suoi piani! Posti buoni? Voleva il meglio, su questo non c’era dubbio, e quindi si fece l’appunto mentale di arrivare da Potter con dieci minuti di anticipo – era già cosciente che l’ex Grifondoro sarebbe stato in ritardo, se lo sentiva dentro proprio. Parlare un po'? Tutto dipendeva sia dalla qualità del concerto che dall’argomento che Potter voleva tirare in ballo, e non aveva molti dubbi su quale sarebbe stato, così come non ne aveva sul fatto che lui stesso non avrebbe sprizzato gioia da tutti i pori a parlarne.

Non mi sono dimenticato di te, per cui scusami se te l’ho fatto pensare. A domani sera.

E qui il suo cuore fece una capriola. Non mi sono dimenticato di te. Il piccolo barlume di speranza che aveva nel petto si mise a brillare un po' più intensamente, perché aveva davvero avuto paura di aver fatto male a sperare che qualcuno, a lui, ci tenesse. Potter ci teneva a fargli riprendere in mano il violino e si stava impegnando come poteva – considerando che erano rientrati l’uno nella vita dell’altro da neanche una settimana – per farlo credere che ce l’avrebbe fatta a suonare di nuovo, che niente era perduto.
Si era firmato semplicemente Harry.
Con una smorfia impettita posò la lettera accanto a sé. “Scuse accettate” mormorò piano, in tono concessivo. Sollevò il braccio quel tanto che bastava per far scivolare la manica dell’accappatoio – quel maledetto gufo e il suo becco appuntito non lo avevano nemmeno lasciato vestire in pace! – ed esporre la cicatrice che lo deturpava, sia dentro che fuori.
Forse era tempo di lasciarsi andare, di tuffarsi nel vuoto, e sperare che andasse tutto bene.
 

*
 

Era da un po' di tempo che ci pensava, a dipingere l’alba o il tramonto sul Tamigi, ma non l’aveva mai fatto, forse perché lui preferiva dare forma ai soggetti dei suoi quadri con linee precise, e solo una volta, con risultati disastrosi, aveva cercato di dipingere senza il disegno a matita a guidarlo. I quadri impressionisti lo affascinavano proprio per quel motivo, per quel loro non avere confini, era tutto un gioco di colori e pennellate, un lasciarsi andare totale. Lui e il lasciarsi andare erano proprio agli antipodi, solo quando aveva baciato Draco era uscito dai contorni, ma era stato un piccolo tocco di pennello che non si sarebbe ripetuto; anche quando dipingeva, era preciso e non si allontanava dal sentiero prefissato con la grafite della matita. Certo, gli piaceva sperimentare nuove tecniche, il grande genio di Leonardo Da Vinci sempre lì ad ispirarlo, però sentiva sempre la necessità di avere il pieno controllo su di esse.
Quando era venuto a sapere della mostra, aveva deciso di cogliere l’occasione e provare a studiare il metodo, la tecnica che c’era dietro a quel modo di stendere il colore sulla tela, che per lui era come concretizzare le emozioni. Se, da un lato, restava sempre senza fiato ad ammirare la perfezione de La nascita di Venere di Botticelli, dall’altro non sapeva come spiegare la sensazione che gli nasceva nel petto se guardava Impression. Soleil levant di Monet. Razionalità e perfezione contro emozione e disordine. Theo avrebbe voluto lasciarsi andare, perché si era sentito bene a baciare Draco, a fare qualcosa che desiderava da un pezzo, a zittire il cervello e lasciare agire il cuore. Non sarebbe stato un percorso facile, ma era più che pronto e motivato ad iniziare.
Stava ammirando il quadro di Monet da così tanto tempo che non si era accorto di non essere il solo a farlo, almeno fino a quel momento. Un uomo dai capelli rossicci era vicino a lui, la testa inclinata verso destra e l’espressione di chi non sa bene cosa stia guardando.
“Che c’è?” si trovò a chiedergli, pentendosene quasi subito: magari lo aveva infastidito, d’altronde nemmeno lo conosceva.
Lo sconosciuto si voltò, due occhi di un azzurro intenso si fissarono nei suoi. “Pensavo fosse un po' più grande” disse, senza dar segno di fastidio, e Theo tirò un sospiro di sollievo.
“In genere, succede con ogni quadro che ci venga in mente”
“Davvero? Non ci avevo mai fatto caso...”
“Prima volta al National Gallery, vero?”
“Colpito” ammise lo sconosciuto.
“Prima volta in un museo in generale, vero?”
“E affondato” rise.
Come un flash, a Theo venne in mente quando Tiger e Goyle, a Hogwarts, avevano fatto a pezzi un suo studio a matita sulle ali dei gufi tra le risa dei suoi compagni di Casa utilizzando proprio quella battuta, colpito (quando gli avevano strappato il foglio dalle mani) e affondato (quando lo avevano ridotto in frantumi). Già, Hogwarts… ora capiva perché il modo di parlare dello sconosciuto avesse un che di familiare, e che il suo viso non gli fosse nuovo.
“Weasley?”
Ehm, sì… ci conosciamo?” domandò stupito.
“Chi non conosceva i gemelli Weasley, a Hogwarts? Eravate famosi anche tra noi Serpeverde”
Lo sguardo dell’altro si incupì leggermente, ma solo un istante. “Puoi ben dirlo! Però scusa, mi sa che non mi ricordo di te...” ammise, con aria imbarazzata.
“Nott, Theodore Nott”
“Nott… l’artista?”
Theo gli fu grato per non aver proseguito con quello costantemente preso per il culo. “Sì, anche se qui, di fronte a questi maestri, non mi sento proprio di definirmi un artista”
“Perché, hai smesso?”
“Smesso? No, non potrei mai”
“E allora sì che sei un artista” disse, con semplicità, per poi tornare a concentrare l’attenzione sul quadro di Monet davanti a loro. Theo si rese conto che Weasley se ne stava andando lontano, con la mente, per cui decise di congedarsi.
“È meglio che vada ora, o non farò in tempo a vedere tutti i quadri esposti. Alla prossima”
“Ciao, Theodore… prima o poi verrò a vedere i tuoi quadri” lo salutò, e poi per lui ci fu spazio solo per quell’alba sul porto di Le Havre. Chissà a cosa stava pensando...
Theo si allontanò, lanciandogli ancora qualche occhiata di sfuggita mentre si dirigeva nella sala su Degas e le sue ballerine. Sì, era stata una bella sorpresa incontrarlo.



NdA
Weiii, buondì a tutti, ecco il nuovo capitolo, spero vi piaccia C: scusate il ritardo, però da adesso in poi cercherò di allungarli in modo da farmi perdonare per il tanto tempo tra uno e l’altro ^^
Voleva essere un capitolo tutto dedicato a Harry e Draco – come vi sembrano le loro reazioni? Sono almeno un po' verosimili? – però all’inizio avevo accennato di questa mostra e ho deciso di metterla alla fine. E così Theo e George si sono incontrati: che ne pensate? C:
Come sempre grazie a tutti quelli che leggono la storia e a chi ha recensito lo scorso capitolo <3 Fatemi sapere il vostro parere anche questa volta!
A presto, un bacio :*
merrow

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


 

“Quindi ci stai dicendo che non hai mai vissuto con un babbano ma con Harry Potter?”
I suoi amici di certo non si aspettavano una cosa del genere, Lysander era quasi svenuto a trovarsi Harry ad aprirgli la porta e Sarah aveva fulminato Ted con la classica espressione come hai potuto tenermelo nascosto? Aveva aspettato che arrivassero tutti, prima di spiegare come stavano le cose.
Harry aveva risposto più o meno tranquillamente a ogni domanda – la sua ansia, Ted lo sapeva, non era per niente dovuta a quei sei nuovi maghi presenti in casa sua – e non si era fatto alcun problema ad ammettere come e perché si era comportato in quel modo.
“Se Ted non vi ha mai detto niente è perché sono stato io a chiederglielo, quindi non prendetevela con lui” aveva concluso, sorridendo in direzione di Sarah, e poi aveva ordinato le pizze – non aveva avuto voglia di cucinare, in tensione per la serata con Draco, e aveva deciso con Teddy che la pizza sarebbe andata più che bene a tutti.
“Dovrai farti perdonare, Lupin” gli aveva sibilato Sarah nel mentre.
“I Fuochi Forsennati dei Tiri Vispi Weasley possono bastare?”
“Può darsi” gli aveva concesso lei, e Ted aveva capito che la bufera era passata.
Avevano mangiato parlando del più e del meno, senza toccare l’argomento ‘Harry Potter’, visto che il diretto interessato era ancora in casa; aveva lasciato che cenassero in salotto, mentre per lui si era preparato un semplice panino, anche se non aveva molta fame, ed era rimasto in cucina finché non era arrivato il momento di andare a prepararsi.
“Dove va?” aveva chiesto Lorcan, curioso come al solito.
“Ha un appuntamento importante, e tra poco avremo casa libera!” aveva esultato Ted.
“Ciò vuol dire che potremo iniziare a parlare di cose serie” si era intromessa Jade, con un fare che a Ted non era mai piaciuto: era la tipica Serpeverde con la puzza sotto il naso e la convinzione di far parte della Casa più importante di Hogwarts, e lui si stava ancora chiedendo perché l’avesse lasciata venire.
“Che intendi con cose serie?” a parlare era stato Aaron Finch-Fletchley, Tassorosso e compagno di stanza di Ted.
“Harry Potter è stato abbastanza vago sul perché abbia agito così, non vi pare?”
“Jade, non iniziare...”
“Andiamo, Sarah, sono l’unica a voler conoscere più dettagli? È il Salvatore del Mondo Magico...” e si era interrotta, sentendo il campanello suonare e il padrone di casa scendere le scale per andare ad aprire la porta.
Ted avrebbe potuto vivere ammirando l’espressione di tutti quanti, in primis quella di Harry, quando sulla soglia era comparso Draco Malfoy. Il cappotto nero lo avvolgeva come un guanto e metteva in risalto il chiarore del suo incarnato, per non parlare dei suoi capelli e del suo sguardo penetrante in direzione di quella marmaglia che infestava la sala di casa Potter: Jade rimase folgorata da quelle due pozze grigie quando si soffermarono brevemente su di lei.
Harry stava balbettando qualcosa sul fatto che dovesse solo mettersi qualcosa di pesante per essere pronto, quando Ted si intromise per salvare la situazione. “Draco, buonasera” e poi fulminò Harry per fargli capire di muoversi, tant’è che il diretto interessato si fiondò sull’appendiabiti a prendere il proprio cappotto. “Scusa, è colpa mia, l’ho trattenuto con noi in sala a parlare”
“Non preoccuparti, sono io che sono in anticipo”
Ted sorrise sornione, evidentemente il suo padrino non era il solo agitato per quella sera. “Magari con te imparerà ad essere puntuale” e diede una piccola pacca sul sedere al suo padrino, ora vestito di tutto punto, che arrossì all’istante.
“Io sono puntuale” borbottò, prima di tornare serio. “Noi andiamo ora, voi vedete di fare i bravi. Se possibile, uscite solo per fare i fuochi, va bene?”
“Sì, sì, saremo degli angioletti” tagliò corto il più piccolo, “ma voi, mi raccomando, divertitevi” e li spinse fuori casa, Harry rosso per l’imbarazzo e Draco abbastanza basito.
Appena la porta fu chiusa, ci fu un piccolo attimo di silenzio.
“Ora non solo voglio, ma esigo sapere tutti i dettagli” mormorò Jade con tono sognante.

*

“E dire che mi ero ripromesso di farmi trovare pronto, al tuo arrivo...”
“Io ci avevo scommesso che, invece, saresti stato in ritardo”
“Non pensavo arrivassi in anticipo!” sbottò, incamminandosi sul marciapiede illuminato dalla luce aranciata dei lampioni.
“Oh, e la novità del tuo non pensare dove sta?” ridacchiò, sarcastico. Aveva bisogno di alleggerire la tensione che sentiva dentro.
“Forse penso troppo a certe cose e ne dimentico alcune”
“Questo è sicuro, ma dimentichi quelle importanti
“Vedremo se a fine serata sarai ancora di questo parere” disse, e gli sorrise furbo. Harry Potter che gli sorrideva furbo. Qualcosa non quadrava.
Draco si accorse solo in quel momento di star camminando verso un piccolo parco giochi dall’aria lugubre, il lampione spento e i sedili della giostrina tutti ammaccati. “Scusa se te lo chiedo, ma sei sicuro di non aver sbagliato strada?”
“Certo, perché?” e di nuovo quel ghigno furbetto. Anche il perché chiedeva?
“Mi avevi accennato a una piazzetta in centro, non… questo” disse, con una smorfia di disgusto.
“Non riesci proprio a fidarti, vero?” gli chiese Harry, a bruciapelo, facendolo sentire a disagio. No, lui aveva problemi con la fiducia, considerato come le cose erano andate per lui dopo la Guerra. E sì, odiava dare la colpa di tutto alla Guerra, ma era così: lo aveva privato di ogni cosa e ancora non era riuscito a rimettere insieme niente.
Beh, niente forse no, pensò toccandosi istintivamente l’avambraccio marchiato.
Harry si dovette accorgere della nube che era scesa sul suo volto. “Potrei aver cambiato idea, per stasera” ammise, appoggiandosi al lampione spento.
“E hai optato per una chiacchierata in questo luogo da favola? Ho accettato per il concerto, io, mica per altro, sai?” sputò, sulla difensiva.
“Ho trovato un concerto migliore, in un posto migliore, con un programma migliore. Contento?”
Draco lo guardò in cagnesco per un attimo. “Prima di risponderti dimmi, mr. migliore Potter, questo posto sarebbe..?”
Harry gli porse il braccio, sorridendo malandrino. “Aggrappati e non fare domande”
Era ufficiale, Teddy rischiava seriamente di dover passare la vita solo con le piante carnivore di sua nonna.

Berkeley Square era carina, dovette ammetterlo. I platani orientali, tra i più antichi di Londra, erano addobbati con delle semplici luci natalizie bianche, messe in risalto dalla neve che ancora non si era del tutto sciolta, e facevano da cornice alle molte sedie pieghevoli trasparenti disposte a semicerchio attorno al podio del direttore d’orchestra e a quelle adibite agli spettatori. Nonostante le prime file fossero già occupate, Harry riuscì a prendere dei buoni posti, con un’ottima visuale sui violinisti.
Draco colse quel particolare e trovò il gesto di quell’imbranato con gli occhiali abbastanza, come dire, premuroso.
“Scusa, ti avevo promesso i posti migliori, ma siamo arrivati tardi...”
“Non fa nulla, questi vanno benissimo” e si perse ad osservare un ragazzo, avrà avuto vent’anni o al più ventuno, che stava tirando fuori il violino dalla custodia: gli ricordò molto sé stesso, quel Natale di tanti anni prima quando sua madre glielo aveva spedito a Hogwarts; il ragazzo, forse sentendosi osservato, alzò gli occhi e incrociò quelli di Draco.
Da quanto tempo non vedeva, nel proprio sguardo, la luce che animava il suo…
Mentre il ragazzo iniziava ad accordare lo strumento, Harry si voltò verso di lui. “Eri già stato qui?”
“Sì...” rispose distrattamente, stringendo un lembo di cappotto tra le mani al suono, leggermente acerbo, di quel violino; si sentiva chiaramente che aveva iniziato a suonare da poco.
“Va tutto bene?”
“Quel ragazzo ha appena cominciato, con il violino, è palese”
“Da cosa lo capisci?” chiese, con una nota curiosa nella voce.
“Dal suono. È ancora accademico, scolastico, non ha personalità”
“Ma sta solo accordando il violino, come puoi dire...” ma Draco non gli lasciò finire la frase. “È lì che comincia tutto, con l’accordarlo, con il fare in modo che ogni nota sia piena e che non stoni con le altre, è come quando si insegna a parlare a un bambino: all’inizio prendi esempio da come altri genitori fanno, ma poi capisci che ogni bimbo è diverso, che apprende in modo diverso, e quindi inizi a fare di testa tua. Lui sta ancora facendo come fanno gli altri”
Il suo insegnante privato glielo aveva detto durante una delle prime lezioni, e lui aveva fin da subito voluto trovare il suo modo di far parlare il suo violino.
“Ci sei passato anche tu, quindi?”
“Se ti dico che è l’inizio di tutto mi pare ovvio, no?” sbottò, un po' acido. Lucius aveva mandato via quell’insegnante appena gli aveva comunicato che lui, Draco, aveva trovato la sua voce. Non gli aveva mai nemmeno detto grazie, troppo impegnato a diventare bravo senza deludere suo padre.
“E chi ti ha insegnato?”
Ma non si stancava mai? “Quante domande! Mi avevi scritto che avremmo parlato, ma questo è un interrogatorio” e incrociò le braccia, dando un occhio al parco. La gente continuava ad arrivare, non c’era più alcuna sedia libera, e i musicisti avevano quasi finito di accordare i loro strumenti.
Vide Harry scuotere la testa. “Scusa, era un semplice tentativo di fare conversazione”
“Trovane un altro, allora” e fissò lo sguardo sul direttore d’orchestra, che stava salendo sul podio destinato a lui in quel momento. “Sta per iniziare”
“Goditi il concerto, Draco”
Si sentì arrossire un poco. “Grazie, anche tu” rispose, cercando di sembrare distaccato.

Era indubbio che il Concerto di Capodanno di Vienna sarebbe stato più bello, più ricco di pezzi di un certo livello, più importante, ecco. Ma Draco non avrebbe barattato quel parco londinese con il più prestigioso teatro austriaco per tutti i galeoni del suo conto alla Gringott. Non lo avrebbe, forse, mai ammesso a Potter, ma vedere quei giovani violinisti all’opera gli aveva fatto provare qualcosa, qualcosa di strano e indefinito, quasi dimenticato, ma travolgente.
La concentrazione sui loro visi mentre leggevano lo spartito, la lieve irritazione che contraeva le loro mascelle se commettevano un errore, la gioia di sentire tutto il pubblico applaudire per loro a brano terminato. La luce negli occhi tipica di chi sta facendo qualcosa che lo fa sentire vivo.
Draco si rivedeva in quei ragazzi, e la paura di essere ormai solo un riflesso sbiadito del violinista che era stato e una pallida imitazione di quello che voleva essere gli attanagliarono lo stomaco.
“Allora, ti è piaciuto?” gli chiese Harry, durante l’applauso finale.
“Te lo dico dopo” rispose, vago, incerto sulle proprie emozioni.
Si sentì osservato, ma non si voltò per incrociare gli occhi di Harry fissi su di lui con, ci avrebbe giurato, un sorrisino a completare il tutto.
Terminato l’applauso, il pubblico iniziò ad alzarsi. Draco non poté fare a meno di ascoltare stralci di conversazioni: c’era chi sarebbe andato a casa a guardarsi il film preferito sul divano in attesa del nuovo anno, chi sarebbe uscito a bere qualcosa, chi sarebbe andato a vedere i fuochi d’artificio.
Visto che, a essere sincero, era tutta la sera che voleva stuzzicare Potter su quel loro appuntamento, decise di cogliere la palla al balzo. “E adesso dove mi porti?”
Harry arrossì leggermente e si strinse nel cappotto. “Fanno i fuochi, sul Tamigi, vicino al London Eye”
Storse un pochino il naso. “Hai una vaga idea della folla che ci sarà?” erano importanti, quei fuochi, venivano a vederli da ogni parte del mondo, “Il ponte, le rive del fiume, le strade, saranno stracolmi di gente” e lui di al sottovuoto avrebbe fatto volentieri a meno.
Harry lo stava guardando divertito. “Tu non soffri di vertigini, vero, Draco?”

*

“Ma ti pare che potessi aver paura dell’altezza? Ti dimentichi che ero un Cercatore come te”
“Era una domanda retorica. E poi, come me, ti piacerebbe”
Draco lo fulminò con lo sguardo, lo stesso di quella volta al Club dei Duellanti, prima di tornare a guardare le luci della città: erano sul tetto del Big Ben, dove avrebbero avuto un’ottima visuale stando più tranquilli.
“Adesso me lo dici se il concerto ti è piaciuto?”
“Non so se voglio dirtelo”
“Come mai?” rise piano.
“Non che ti passi per la testa di continuare a chiedermi di venire a eventi del genere”
“Ti chiederei di andare da altre parti, nel caso” borbottò Harry, fingendosi molto interessato a un lembo del suo cappotto. “Voglio dire, gli amici fanno così, no?”
Amici. Già, erano amici, si erano stretti la mano. Faceva strano, un po', si era abituato alla presenza di Theo e adesso doveva abituarsi anche a quella di Harry, decisamente più... ingombrante. Non che fosse qualcosa di negativo, lui aveva bisogno di qualcuno che lo spronasse con costanza. Inutile dire che avrebbe trovato il modo di non rivelarlo nemmeno sotto Veritaserum.
“Sì... e sì, mi è piaciuto, più o meno”
Stranamente, Harry non gli chiese il perché e si girò a guardarlo, scoprendosi osservato a sua volta. Non gli avrebbe fatto altre domande, avrebbe aspettato che continuasse perché voleva e non perché si sentiva costretto. In quello era un po' un bambino, ma appena sentiva l’obbligo di fare qualcosa gli veniva in automatico il desiderio di fare l’opposto, quindi non gli fu difficile sciogliere la lingua sentendosi più libero, non vincolato a un botta e risposta.
“Non ho prestato molta attenzione al programma, sarò sincero, sono stato catturato dai violinisti, dal modo in cui suonavano. Anch’io ero così, da bambino, concentrato sullo spartito, attento alle note e a non sbagliare, era una cosa a cui tenevo molto e volevo farla bene. Il mio insegnante mi diceva sempre che avevo del talento e quindi mi faceva sentire bene, suonare sapendo di essere bravo: a chi e soprattutto a quale bambino non piacerebbe sentirsi così?”
“È lui ad averti detto quelle cose sull’accordo?”
Draco annuì. “Sì, e tante altre. Mi ha fatto capire che uno strumento non è solo un pezzo di legno o ottone, non è immateriale, cioè lo resta finché non incontra la sua anima gemella, il suo musicista. Il mio violino non avrebbe suonato così, in mano ad altri, né io avrei saputo far suonare così un altro violino”
“Più ti ascolto, e più mi viene difficile capire come tu ci sia riuscito...” mormorò Harry.
“A fare cosa?”
“A chiuderlo in soffitta”
“Non volevo essere considerato debole, più di quanto non lo fossi già. Col senno di poi, ho capito che il mio bullizzare gli altri era solo un modo per non prestare attenzione alla mia, di debolezza. Ero succube di mio padre, gli volevo bene e per me il suo parere era importante: lui voleva che io primeggiassi, su di te, su tutti, voleva essere fiero di me e io, quindi, gli obbedivo e basta” tacque un istante, ripensando a come Lucius Malfoy considerasse la passione di suo figlio per la musica, “era mio padre e non mi era stato insegnato a interagire con lui in modo diverso”
“Io ho odiato Ron, per un po', al primo anno, perché non voleva mai venire a giocare con me nella neve” disse Harry, così, dal nulla. E adesso cosa c’entrava Weasley?
“Mi spiace per te, ma cos-”
“Io non avevo mai visto la neve, e pensavo solo a come godermela appieno. Del resto, non avevo avuto nemmeno un amico, un amico vero, che non finisse per maltrattarmi solo perché mio cugino Dudley glielo ordinava. Quindi non sapevo interagire con Ron, perché nessuno mi aveva detto come si facesse” si bloccò e guardò Draco. “Come diceva il tuo maestro di violino, a un bambino le cose si devono insegnare e se tu sei stato educato in un certo modo, non è colpa tua”
Lo fissò per un attimo, senza saper bene cosa dire. “Io non...”
“Quello che voglio dire è che non è facile scoprire da soli che cosa si è e cosa no”
Un botto distolse l’attenzione di Draco, i fuochi erano cominciati; il primo era di un verde acceso, con dei riflessi dorati, e poi ne seguirono altri, sempre più variopinti e spettacolari.
“L’ho chiuso in soffitta perché a quel tempo avevo paura di essere preso di mira, come io prendevo di mira Theo per i suoi disegni. Poi la guerra mi ha cambiato e avevo paura di scoprire che il mio violino ormai impolverato non mi riconoscesse più come la sua anima gemella, per cui ho preferito rinunciare e provare a dimenticare”
Harry stava in silenzio, a guardare i fuochi, ma Draco sapeva che lo stava ascoltando, che stava cercando di dare un senso al tutto, di trovare il giusto modo di aiutarlo. Atteggiamento tipico dei seguaci di Godric Grifondoro, d’altronde.
“Vuoi sapere perché il concerto non mi è piaciuto del tutto?” gli chiese, a bruciapelo.
Harry rimase sorpreso dal cambio di tono. “Se ti va di dirmelo, sì”
“Io avrei potuto essere come loro, avrei potuto far parte di un’orchestra di maghi e streghe a guerra conclusa; non sarebbe stato facile col nome che mi ritrovo, ma sarebbe stato possibile con la buona volontà”
Un altro fuoco d’artificio, molto più grande dei precedenti, l’ultimo.
“Invece ho scelto di vivere un’altra vita. Ma è stata l’ennesima scelta sbagliata”
I tre colpi per decretare la fine dello spettacolo.
“Mi ha toccato vedere cosa, chi avrei potuto essere ora” e mi manca, il mio violino, mi manca come non mai.
Sentì la mano di Harry stringersi sulla sua spalla. “L’avevo capito”
A Draco quasi si staccò la mandibola. “Scusami?” ma come si era permesso quell’idiota patentato?
“Non era difficile arrivarci, ma volevo che tu lo ammettessi ad alta voce”
“Io adesso ti butto giù”
“L’accettazione della realtà dei fatti è il primo passo per ricominciare” disse con aria intellettuale.
“La caduta, invece, è l’unico passo verso la morte” e fissò la mano ambrat di Harry poggiata ancora sulla sua spalla. “Ti dispiace toglierla?”
L’altro lo fece, ridacchiando. “Sei sempre il solito, Furetto”
“Adesso che ci penso, una morte rapida non è quello che ti meriti, devi soffrire”
“È il tuo proposito per l’anno nuovo?”
Draco fissò gli occhi argentei in quelli verdi di Harry, tornando serio. “Non ci è riuscito Voldemort a farti crepare, è un compito evidentemente impossibile” e che notasse che aveva pronunciato quel nome. Harry lo notò, lo notò eccome da come gli sorrise: per Salazar, che lui e quel suo complesso dell’eroe andassero a farsi fottere una buona volta e bonjour finesse.
Dalla città si levò il coro del conto alla rovescia.
10… “Forse è perché c’era ancora qualcuno che aveva bisogno di me”
9… “Te lo hanno mai detto che forse soffri di megalomania? Già mi hai salvato la vita, a Hogwarts, e adesso che vuoi di più? Sei pesante” disse con il tono tipico di una serpe.
8… “Confucio diceva che si hanno due vite, mica posso lasciare le cose a metà”
7… “E io che pensavo che come amico fossi un po' più gestibile”
6… “No, per niente. Io sono quello che è sparito per dieci anni, te lo sei dimenticato?” disse, amaro.
5… “Sai che per quanto mi riguarda potevi sparire per altri dieci, si?”
4… “Devo ricordarti che sei stato tu a corrermi dietro fuori da quel piano-bar?”
3… Non riuscì a ribattere, arrossendo sugli zigomi, e Harry sorrise piano.
2… “Buon anno, Draco” gli diede una leggera pacca sulla spalla, quasi una carezza.
1… “Anche a te, Harry”
E i botti che seguirono coprirono quelli che si sentiva scoppiare nel petto.



NdA
Ciao a tutti *saluta con la manina*
Sono sparita (di nuovo), dopo che vi avevo detto che speravo di non farlo (di nuovo), scusate. È che quando avevo l’ispirazione non avevo il tempo, e viceversa; a ciò, aggiungete gli esami, il moroso, e l’estate, il sole, la settimana al mare. Appena posso, appena riesco, io scrivo, e se purtroppo questo non accade con costanza mi dispiace, ma sappiate che non ho intenzione di abbandonare questa storia e ringrazio chi continua a seguirla, a commentarla, senza perdere le speranze: grazie, davvero.
Comunque, le cose tra Harry e Draco sembrano essersi evolute un po', no? Spero, come sempre, che non siano state reazioni troppo affrettate – ma per questo mi rimetto al vostro giudizio, lasciate un commento, se vi va :)
Bene, mi sembra di aver detto tutto, quindi vi saluto! Alla prossima, baci :*
merrow

 

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