Hinata no haru [La primavera di Hinata] di Soly_D (/viewuser.php?uid=164211)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rinascere dalle proprie ceneri ***
Capitolo 2: *** Riparare un cuore ***
Capitolo 3: *** Dichiarazioni lasciate in sospeso ***
Capitolo 4: *** L’arrivo della primavera + Extra ***
Capitolo 1 *** Rinascere dalle proprie ceneri ***
contest
Hinata
no
haru
[La primavera di Hinata]
#01. Rinascere dalle proprie
ceneri
HYUUGA NEJI.
Offertosi in sacrificio per proteggere i
suoi cari
dopo aver combattuto valorosamente in
nome della Volontà del Fuoco.
Un soffio leggero accarezzò il volto di Hinata, portando via
lacrime invisibili.
I capelli si sollevarono appena nella direzione del vento e i girasoli
posti sulla lapide si piegarono, sporgendosi dal vaso, per poi
raddrizzarsi e continuare a dondolarsi mollemente sui sottili steli.
Il funerale si era concluso da pochi minuti, ma Hinata non aveva ancora
versato una singola lacrima. Forse perché Naruto le era
rimasto a fianco per tutto il tempo, forse perché
semplicemente non sentiva il bisogno di piangere. Aveva la sensazione
di essere in un sogno, come se da un momento
all’altro potesse svegliarsi e specchiarsi di nuovo negli
occhi del cugino, così simili ai suoi.
«Hinata».
Per un momento sperò che quella voce appartenesse a Neji, ma
non ci fu bisogno di voltarsi per capire chi fosse realmente.
«Kiba-kun», rispose, senza spostare lo sguardo
dalla lapide.
Il ragazzo le si accostò. Rimasero in religioso silenzio fin
quando Hinata non emise un sospiro.
«Pensi che a Neji-niisan piacciano questi
girasoli?».
Kiba li guardò. Effettivamente il girasole, con i suoi
colori caldi e luminosi, non aveva nulla a che fare con il freddo e
distaccato Neji Hyuuga. Rifletté sulle parole giuste da
usare. «Be’, forse questi fiori non gli si addicono
molto, ma ricordano il sole; il sole è luce e la luce
è vita, speranza, rinascita. Quello che conta è
che questi fiori siano stati portati dalle persone che gli volevano
bene».
«Che gli vogliono
bene», lo corresse Hinata.
Kiba la guardò perplesso. «Hai usato il
presente», si lasciò sfuggire, pentendosi subito
dopo.
«Nessuno ha smesso di volere bene a Neji-niisan»,
spiegò lei quasi con ovvietà.
Kiba si rese conto che qualcosa non andava. Lo capì dal tono
di voce di Hinata, insolitamente sicuro per la situazione; lo
capì dal fatto che non l’aveva ancora degnato di
uno sguardo, preferendo continuare a fissare con insistenza la tomba
del cugino, in attesa di qualcosa che non sarebbe arrivato.
«Perché parli di lui come se fosse ancora
vivo?».
Quella domanda gli era uscita dalle labbra ancora prima di averla
pensata.
Alla Hyuuga parve che l’amico avesse appena parlato in
un’altra lingua. «Cosa vuoi dire,
Kiba-kun?».
Fu allora che Kiba comprese la situazione: Hinata stava indossando una
maschera. Non voleva ancora convincersi della morte di Neji e si era
inconsciamente costruita un mondo immaginario in cui lui era ancora
vivo e sarebbe tornato.
«Hinata», disse, allungando la mano verso quella
della compagna.
Intrecciò le proprie dita nelle sue, ma ciò non
servì a farle staccare gli occhi dalla lapide.
«Hai bisogno di piangere, di sfogarti. Sono sicuro che non
l’hai fatto nemmeno una volta dalla fine della
guerra».
«Perché dici così?».
Kiba strinse più forte la mano della ragazza, nel vano
tentativo di farla tornare alla realtà.
«Non devi nascondere il dolore, così è
peggio. Lasciati andare».
«Kiba-kun, non capisco di cosa tu stia parlando».
Kiba avrebbe voluto spiegarglielo nel modo più delicato
possibile, ma non era nella sua natura e poi prolungare il discorso
utilizzando metafore o giri di parole non sarebbe servito a nulla.
«Neji
è morto», disse atono. «Ma
tu sei qui, noi siamo
qui, e dobbiamo andare avanti».
Hinata staccò finalmente lo sguardo dalla tomba e lo
puntò su Kiba, per la prima volta da quando lui era
arrivato. L’espressione della Hyuuga era indecifrabile. Il
ragazzo ebbe paura di averla ferita, ma non si pentì delle
sue parole: Hinata era già la dolcezza fatta persona e in
situazioni come quella aveva solo bisogno di grande forza.
«Kiba-kun, stai bene?», gli chiese lei in un
sussurro.
Kiba capì che la situazione era peggio del previsto: Hinata non voleva capire.
«Io sto benissimo, ma il punto è che Neji non
tornerà e tu devi fartene una ragione».
Quelle parole schiette, taglienti,
furono come una pugnalata per il cuore di Hinata. La ragazza
sgranò gli occhi, sentendoli pizzicare.
A quel punto Kiba sciolse la stretta tra le loro mani, rimaste
intrecciate fino ad allora, e afferrò la compagna per le
braccia, guardandola dritta negli occhi. «Torna in te,
Hinata. Neji non vorrebbe vederti così, ne sono
certo».
La ragazza abbassò lo sguardo, raccogliendosi in se stessa.
Le mani di Kiba strette intorno ai suoi gomiti facevano un
po’ male.
«Perché mi stai dicendo queste cose?».
Kiba sollevò una mano e le accarezzò una guancia,
notando che i suoi occhi si erano fatti lucidi.
«È per il tuo bene».
«Non è vero!», ribatté lei
con forza, allontanandolo bruscamente.
La sua espressione offesa sembrava quella di una bambina a cui era
stato tolto il suo giocattolo preferito.
Kiba si portò una mano sul viso, esasperato.
«Hinata, ascoltami...».
«No!», si impuntò ancora lei, avvertendo
le lacrime inondarle gli occhi e scorrere lungo le guance.
«Non avevo pianto nemmeno una volta fino a questo momento. Ma
ora lo sto facendo ed é tutta colpa tua, delle cose che mi
hai detto. Sei cattivo, Kiba-kun».
L’Inuzuka cominciava a pentirsi di essere stato
così duro. «Hinata, ti prego, non fare
così», tentò, avvicinandosi
maggiormente con l’intenzione di stringerla a sé,
ma Hinata si ritrasse con decisione un attimo prima che lui potesse
afferrarla e incrociò le braccia al petto, cominciando a
sfregarsele con le mani come se avesse freddo. Ma non era freddo.
«Va’ via Kiba-kun, voglio stare da sola. Per favore».
«Permettimi solo di−».
«Ho detto di andartene!». Il ragazzo
indietreggiò, turbato: Hinata non alzava spesso la voce.
Poche volte l’aveva vista così, con il volto
contratto dal dolore e le lacrime che rigavano inesorabilmente le sue
guance, gocciolando lungo il collo.
«Scusa, non avrei dovuto dirti quelle cose»,
mormorò, abbassando lo sguardo.
Era partito con le migliori intenzioni, ma ora si sentiva solo un verme.
«No, non avresti dovuto», ripetè lei,
voltandosi di nuovo verso la tomba.
Kiba la guardò un’ultima volta, capendo che aveva
realmente bisogno di riflettere in solitudine per capire come stavano
le cose. «Mi dispiace tanto, Hinata. Se hai bisogno, sai dove
trovarmi». Poi infilò le mani nelle tasche e si
allontanò.
Hinata, rimasta da sola, gli occhi liquidi che fissavano
insistentemente le lettere incise sulla lapide, crollò con
le ginocchia per terra.
«Niisan», sussurrò, abbassando la testa.
Piccoline goccioline salate colarono dai suoi occhi sulla superficie in
marmo della lapide.
Neji era morto. Morto. Morto. Morto.
Quelle parole le rimbombarono nella mente per interi minuti. Si prese
la testa tra le mani, tappandosi le orecchie come per placare
quella vocina persistente, e strizzò gli occhi, mentre il
pianto si faceva sempre più necessario, più
irrompente.
Il sole era alto nel cielo, un cielo azzurro e finalmente libero dalle
guerre, dalle devastazioni, dalla
morte, ma a Hinata veniva solo da singhiozzare. Fino a non avere più
lacrime.
***
Kiba camminava per le vie di Konoha con le mani nelle tasche dei
pantaloni e gli occhi bassi.
Non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine di Hinata in
lacrime china sulla tomba di Neji.
Lui, che si era ripromesso di proteggerla e di non lasciarla mai da
sola, lui che più di tutti desiderava vederla felice, lui che la amava,
proprio lui era stato la causa delle sue lacrime. Non riusciva a
perdonarsi per il modo in cui l’aveva
trattata: le aveva urlato in faccia che una delle sue persone
più care era morta, le aveva dato implicitamente della bambina per essersi
costruita un modo immaginario fatto di sogni e false speranze, e infine
se ne era andato con la coda fra le gambe, senza scusarsi, senza
cercare di consolarla. Si sentiva un mostro.
La verità era che Hinata era una delle persone
più forti che conosceva e Kiba sapeva bene che quella
maschera che indossava dalla fine della guerra era solo un modo per
seppellire il dolore: quale altra persona avrebbe potuto continuare a
sorridere mentre si sentiva morire dentro? Nessuna, solo Hinata era
capace di tanto. Tuttavia non avrebbe potuto continuare così
in eterno, perché prima o poi il dolore sarebbe venuto fuori
ancora più forte, più bruciante di prima. Kiba le
aveva solo mostrato come stavano realmente le cose
affinché potesse finalmente sfogarsi e trovare un barlume di
luce, di speranza, in mezzo a tutto quel dolore, affinché
potesse rinascere dalle
sue ceneri. Invece, con la durezza delle sue parole, aveva
solo ottenuto l’effetto contrario: Hinata, per colpa sua, si
era vista piombare addosso da un momento all’altro tutto il
dolore che aveva faticosamente cercato di nascondere. Se lei lo avesse
odiato, per questo, e non avesse più voluto vederlo, Kiba
avrebbe capito, avrebbe rispettato il suo volere, tuttavia in cuor suo
non se lo sarebbe mai perdonato: una vita senza la presenza costante di
Hinata non era vita.
Quando risollevò gli occhi, vide Naruto venirgli incontro.
«Kiba!», lo salutò l’amico,
solare come sempre. «Dove vai di bello?».
L’Inuzuka scrollò le spalle. «Facevo
solo una passeggiata. E tu?».
Naruto sorrise raggiante, sventolando la manica vuota della felpa.
«Oggi avrò di nuovo il braccio!».
Kiba annuì con poco interesse, quando gli venne in mente che
forse Naruto poteva sapere qualcosa a proposito di Hinata e, nonostante
ciò gli provocasse non poco fastidio, avrebbe messo sempre
la felicità della ragazza al primo posto.
«Ehm, Naruto... mi chiedevo... visto tutto il tempo che passi
con Hinata, per caso sai come sta?».
L’Uzumaki lo fissò confuso. Era vero, lui e Hinata
erano diventati particolarmente amici dalla fine della guerra, sia per
il sostegno che lei gli aveva dato in combattimento sia
perché aveva promesso a Neji di proteggerla e lui non era il
tipo da venire meno alle promesse. Sapeva che Hinata era innamorata di
lui ma, anche se la stimava molto, non avrebbe mai potuto prendere il
posto di Sakura nel suo cuore.
«L’ho vista proprio ieri», ammise Naruto,
rievocando l’immagine di un’Hinata che camminava
con passo spedito per strada. «Ci siamo salutati di sfuggita,
ma mi è parso che stesse bene... sorrideva».
Quell’ultima parola colpì profondamente Kiba.
Forse Hinata si era ripresa − lei era forte, lo aveva sempre
saputo.
Forse c’era ancora una speranza di farsi perdonare.
Solo allora Naruto si chiese perché Kiba, il migliore amico
di Hinata, gli avesse fatto una domanda del genere.
Chi meglio di lui
la conosceva e passava la maggior parte del tempo con lei?
«È successo qualcosa, per caso?».
«No, ecco... abbiamo solo litigato».
Il biondo gli diede una pacca sulla spalla. «Vedrai che tutto
si risolverà».
Kiba annuì, ringraziandolo, e lo salutò
velocemente per poi rimettersi in cammino.
Ma prima che potesse percorrere pochi metri Naruto lo aveva richiamato.
«Tra me e Hinata non c’è nulla, se te lo
stavi chiedendo».
Kiba, rincuorato, si lasciò facilmente trasportare dal
sorriso dell’amico. Ora sapeva cosa fare.
***
Villa Hyuuga era imponente, maestosa. Sembrava avvolta da un
incantesimo.
Kiba aspettò che facesse buio in modo da non essere scoperto
e scavalcò agilmente il cancello, attraversando il parco e
giungendo ai piedi dell’albero che con i suoi rami
raggiungeva la finestra di Hinata. Da ragazzino lo aveva fatto
parecchie volte: quando Hinata era costretta a stare a casa per
malattia o per altri motivi, lui non ci pensava due volte a salire su
quell’albero ed entrare nella sua stanza attraverso la
finestra, godendo del sorriso con cui lei lo accoglieva ogni volta.
Se davvero stava un po’ meglio, se davvero aveva ritrovato la
forza di sorridere – e la voglia di perdonarlo –,
lo avrebbe fatto sicuramente entrare come quando erano piccoli. Kiba ci
sperò con tutto il cuore.
Si arrampicò lungo il tronco dell’albero e si
appollaiò sul ramo più alto, nascondendosi bene
tra le foglie, per guardare attraverso il vetro della finestra.
Hinata era in piedi davanti al suo armadio. Kiba seguì con
lo sguardo il suo profilo, come incantato. Quanto le era mancata,
quanto avrebbe voluto irrompere nella sua stanza e abbracciarla... Ma
cosa avrebbe potuto pensare di lui? E se lo avesse cacciato di nuovo,
come il giorno del funerale?
Per un attimo Kiba perse tutto il coraggio con cui era arrivato fin
lì.
Poi tutte le elucubrazioni mentali andarono a farsi benedire nel
momento in cui Hinata portò le mani al bordo della maglietta
e prese a sfilarsela.
Kiba sentì la bocca improvvisamente secca: Hinata si stava
preparando per andare a dormire.
Ora aveva solo indosso una canotta che copriva malamente le sue forme
abbondanti.
Kiba scosse la testa. Non solo era un insensibile, ma era anche un
maledetto pervertito.
Perché quello aveva solo un nome: spiare una donna mentre si
spogliava.
Sbiancò per la paura quando Hinata voltò la testa
nella sua direzione e attraversò la stanza venendogli
incontro. Pensò che lei lo avesse scoperto e che ora lo
avrebbe denunciato, ma poi la vide semplicemente chiudere le tende,
impedendo al resto del mondo la visuale della sua stanza.
Kiba emise un sospiro di sollievo e prese a fissare con insistenza le
tende bianche della finestra.
Il solo pensiero che dietro quelle tende ci fosse Hinata nuda gli
faceva affluire il sangue sulle guance e non solo lì.
Non era semplice desiderio carnale, lui la amava,
viveva con quella consapevolezza da ormai da cinque anni.
“Resisti”
si disse, ma dall’altra parte pensava che non avrebbe fatto
male a nessuno se avesse dato solo una sbirciatina. Senza quasi
accorgersene, era uscito dal suo nascondiglio di rami e foglie, e si
era allungato verso la finestra. Sollevò un angolo della
tenda, quel poco che bastava per vedere Hinata girata di schiena,
completamente nuda se non fosse stato per gli slip.
Boccheggiò. Mai avrebbe pensato di ritrovarsi in una
situazione simile.
Le gambe di Hinata erano lunghe, bianche, perfette. I fianchi sinuosi,
la vita sottile, la schiena coperta dai lunghi capelli neri.
E lui la
desiderava da morire.
La vide sporgersi sul letto, lasciando intravedere una piccola parte
dei seni prosperosi, e poi prendere il pigiama per infilarselo.
Dopodiché si sedette sul letto, tirando fuori dal comodino
un portafoto. Quando chinò la testa, stringendosi
l’oggetto al petto e cominciando a singhiozzare, per Kiba non
fu difficile capire chi fosse il soggetto di quella foto.
Come aveva solo potuto pensare che il sorriso che lei aveva rivolto a
Naruto fosse stato sincero?
Capì che Hinata aveva semplicemente indossato la sua
maschera di felicità per non destare preoccupazione
nell’uomo che
amava, ma che in fondo il dolore non era scemato di una
virgola. E lui cosa diamine stava facendo? Prima faceva soffrire la
donna di cui
era innamorato, poi la spiava da vero maniaco qual era. E nel frattempo
lei continuava a piangere per suo cugino defunto.
Chiuse la tenda e scese dall’albero. Ora si sentiva un vero
schifo.
***
Hinata aveva voltato lo sguardo in direzione della finestra,
ricordandosi improvvisamente di non aver chiuso le tende e di essere
mezza nuda, ed era stato allora che aveva visto muoversi qualcosa tra
le foglie del suo albero. Imponendosi di rimanere calma, aveva
raggiunto la finestra e aveva guardato attentamente: era tutto
immobile. Forse si era trattato solo di un gatto o di uno scoiattolo,
forse era stata solo una sua impressione...
Chiuse le tende e si infilò il pigiama, per poi sedersi sul
letto con le mani strette intorno alla piccola cornice di legno
intarsiato che conservava accuratamente nel suo comodino. La foto
ritraeva una ragazza e un ragazzo con gli stessi occhi perlacei e la
stessa pelle diafana.
Hinata sfiorò con le dita la figura di Neji. Il suo sorriso
era più una smorfia, eppure non gli era mai sembrato
così vivo.
Per l’ennesima volta sentì gli occhi gonfiarsi di
lacrime e non fece nulla per trattenersi. Solo una volta, in
quell’ultimo periodo, era riuscita a sorridere: il giorno
prima aveva incontrato Naruto e si era lasciata facilmente trasportare
dal suo sorriso a trentadue denti, ma non appena aveva voltato lo
sguardo dall’altra parte si era sentita sprofondare, di nuovo.
Perché se di giorno fingeva che tutto andasse bene per non
causare ulteriori problemi alla sua famiglia, la notte finiva
inevitabilmente per scoppiare.
Pianse, Hinata, come ogni volta prima di andare a dormire. Quando si
sentì completamente svuotata, si infilò
tra le coperte con la foto stretta al petto e chiuse gli occhi,
pregando che la notte passasse velocemente.
***
La figura di Neji era incredibilmente luminosa, così
accecante che Hinata riusciva solo a distinguere i suoi capelli castani
e i suoi occhi perlacei, così simili ai propri. Intorno a
lui c’era solo bianco e nessun’altra macchia di
colore, un bianco purissimo, privo di qualunque imperfezione.
«Niisan, sono morta anche io?».
Neji accennò un sorriso, lo stesso con cui si era
sacrificato per salvare lei e Naruto.
«No», rispose. «Ed è per
questo che devi vivere anche per me».
«Ma io lo sto già facendo»,
ribatté la ragazza, facendo un passo avanti.
Neji scosse piano la testa. «Tu non stai vivendo, stai sopravvivendo».
Hinata lo guardò perplessa e Neji divenne improvvisamente
serio.
«Vivere è svegliarsi la mattina con uno scopo ben
preciso, mettersi d’impegno per raggiungerlo. Vivere
è sorridere, amare.
Vivere è andare avanti. Tu ti stai semplicemente facendo del
male, Hinata. Stai solo cercando di sopravvivere».
La ragazza sentì le lacrime inondarle gli occhi.
«E come posso vivere, se non ci sei tu qui con me?».
Neji le si avvicinò, poggiando una mano sul suo petto
all’altezza del cuore.
«Lo sai meglio di me che, anche se non ci sarò
fisicamente, rimarrò per sempre... qui».
Hinata abbassò lo sguardo sulla mano di Neji premuta contro
il proprio petto e nello stesso momento la figura del cugino la
trapassò, riscaldandola e lasciandola stordita. «Vivi, Hinata».
Era stato poco più di un sussurro, pronunciato un attimo
prima che divenissero un tutt’uno.
Rialzando lo sguardo, Hinata trovò solo
un’infinita distesa di bianco davanti a sé.
Inaspettatamente le giunse all’orecchio l’abbaiare
di un grosso cane e pochi secondi dopo notò che nel bianco
erano comparse due macchioline, una piccola e rotonda,
l’altra alta e allungata. Aguzzò la vista e rimase
esterrefatta nel vedersi correre incontro Kiba e Akamaru.
Non potevano essere lì. Loro
erano vivi!
Si stropicciò gli occhi con le mani nel tentativo di vederci
meglio ma, quando li riaprì, si ritrovò a fissare
il soffitto della sua stanza con le guance bagnate di lacrime. Neji le
era apparso in sogno e con lui anche Kiba.
Hinata si rese conto che l’Inuzuka, quel giorno al cimitero,
aveva avuto dannatamente ragione: non aveva versato nemmeno una lacrima
per Neji semplicemente perché nella sua mente non era mai
davvero morto. Kiba le aveva solo aperto gli occhi e, nonostante
ciò facesse malissimo, era pur sempre meglio che non sentire
nulla. Perché Hinata se ne rendeva conto solo ora: per
giorni, di fronte alla lapide del cugino, non aveva voluto sentire.
Hyuuga Neji era rimasta solo una scritta, i girasoli dei bei fiori, la
lapide una semplice lastra di marmo.
Solo ora Hinata capiva che lì c’era sepolto
Neji-niisan.
Pensò a tutte le lacrime che aveva versato dopo il suo
funerale e il litigio con Kiba, l’unico che aveva capito come
stavano realmente le cose, ma poi ricordò il calore che
aveva sentito nel sogno mentre la figura del cugino la attraversava e
si ripromise che quelle stesse lacrime che ora rigavano le sue guance
sarebbero state le ultime.
Avrebbe smesso di sopravvivere.
Avrebbe vissuto,
per se stessa e per Neji.
***
Hinata si rese conto che lei e Kiba non si parlavano dal giorno del
funerale.
Si sentì male al solo pensiero di avergli urlato contro e di
averlo cacciato, di averlo ferito e di non essersi scusata. Era solo
grazie a lui se aveva guardato in faccia la realtà e si era
resa conto di essere viva, che la vita continuava nonostante la perdita
dei propri cari, che c’erano tante altre cose belle per cui
essere felici. Doveva riparare immediatamente al suo errore.
Quella mattina si svegliò all’alba e, senza
nemmeno far colazione, uscì di casa per andare da Kiba.
Quando l’amico le aprì la porta, le venne da
sorridere. Aveva i capelli arruffati e gli occhi sbarrati, segno che si
era appena svegliato, ma nel vederla lì sotto la soglia
della propria porta si animò improvvisamente.
«Hinata!».
«Kiba-kun, sono venuta a−».
L’Inuzuka la strinse, la strinse forte respirando il suo
profumo a pieni polmoni.
La Hyuuga si ritrovò con il viso premuto contro il petto del
ragazzo, le sue braccia che la tenevano stretta, e si sentì
arrossire. «Hinata, non sai quanto sono stato male per averti
detto quelle cose al cimitero... mi sono comportato da vero
insensibile. In questi giorni sono passato più volte a casa
tua per scusarmi, ma non era sicuro che mi avresti aperto la porta.
Però ora sei qui... sei
qui».
La strinse ancora più forte. «K-Kiba-kun,
così soffoco».
A quel punto il ragazzo la scostò dal proprio petto e la
guardò dritta negli occhi, serio.
«Perdonami».
Hinata scosse la testa con decisione. «Perdonami tu. Senza di
te non avrei mai aperto gli occhi. Ed io volevo ringraziarti per
questo».
Kiba notò che il suo sguardo era un po’ triste.
C’era consapevolezza, rassegnazione, ma si poteva intravedere
anche un barlume di luce. Si era tolta la maschera, era uscita dal suo
mondo immaginario.
«Non ringraziarmi. Ti sei risollevata con le tue sole
forze».
«Non è vero, Kiba-kun. Tu sei stato
fondamentale in questo».
Kiba si grattò la testa, imbarazzato, e Hinata sorrise
dolcemente.
«Ti va di fare colazione insieme?».
«Certo, aspettami qui!». Il ragazzo
rientrò in casa per prendere il portafogli, poi
riuscì chiudendosi la porta alle spalle. «Ora
possiamo andare».
Hinata lo scrutava in modo strano. La vide avvicinarsi maggiormente,
sollevarsi sulle punte dei piedi e sistemargli i capelli arruffati.
Kiba seguì estasiato tutti i suoi movimenti, godendo del
contatto delle sue dita calde e affusolate sulla propria fronte.
«Ora sei pronto», concluse la ragazza, arrossendo
un po’, e Kiba la trovò adorabile.
Uscirono in strada e Hinata gli raccontò come in quei giorni
non avesse fatto altro che piangere, gli raccontò di aver
sognato Neji e di essersi resa conto che disperarsi non serviva a
nulla, che bisognava andare avanti. Omise che nel sogno aveva
intravisto anche lui. La cosa la imbarazzava un po’, ma in
cuor suo sapeva di averlo sognato semplicemente perché Kiba c’era sempre
stato per lei.
Note dell'autrice:
Si tratta di una storia di soli 4 capitoli, già
scritti visto che non sono brava a portare avanti le longfiction
(preferisco di gran lunga le raccolte). Spero che questo primo capitolo
vi sia piaciuto e che mi farete sapere la vostra opinione. Ci tengo a
precisare che, se la scena del funerale vi sembra familiare,
è perchè l'avevo già postata nel
prologo di una fanfiction che poi ho dovuto cancellare. Ma ci tenevo
troppo e quindi ho voluto riproporvela qui. GRAZIE a
tutti coloro che mi seguono e che vorranno leggere anche questa mia
ennesima storia.
Soly Dea
|
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Capitolo 2 *** Riparare un cuore ***
contest
Hinata
no
haru
[La primavera di Hinata]
#02. Riparare un cuore
Kiba, Shino e Hinata saltavano da un ramo all’altro diretti
verso Konoha. Il sole stava tramontando e la missione era stata portata
a termine con successo, merito soprattutto dell’infallibile
fiuto di Akamaru nello scovare indizi. Kiba guardò Hinata e
gli si strinse il cuore: i suoi occhi erano vacui, spenti. Era da un
po’ di tempo che aveva perso tutta la sua vitalità
e Kiba aveva paura che potesse essere ricaduta nel baratro della
disperazione a causa della mancanza di Neji, com’era successo
un anno prima, alla fine della guerra.
Erano ormai calate le tenebre quando il team 8 arrivò a
Konoha.
«Che ne dite di andare a mangiare all’Ichiraku
Ramen?», propose Kiba.
«Io ho da fare», rispose Shino, impassibile come
sempre. «Sarà per un’altra
volta».
Si salutarono a vicenda, poi Kiba si rivolse a Hinata che ne stava
tutta raccolta in se stessa. «Andiamo io e te,
all’Ichiraku?».
La Hyuuga si morse il labbro inferiore, indecisa. «Ehm, io
veramente... sono un po’ stanca».
Kiba non si perse d’animo, determinato a scoprire
cos’era che turbava tanto la sua Hinata.
«Ah-ah,
non voglio sentire storie. È da stamattina che non ci
fermiamo: ora andiamo a mangiare un boccone insieme e poi ti
riaccompagno subito a casa». La afferrò per mano
e, ignorando le sue alquanto deboli proteste, la trascinò
verso il locale.
Come sempre, lì dentro l’aria era calda e
profumava di ramen. Non c’era nessun altro cliente. Teuchi li
accolse con entusiasmo e i due si sedettero al bancone, ordinando la
cena. Mentre attendevano, Kiba si voltò a guardare la
compagna: era di nuovo assorta in chissà quali
elucubrazioni. Afferrò il proprio sgabello e le si
avvicinò maggiormente, poggiando un gomito sul
tavolo per guardarla meglio.
La Hyuuga gli rivolse una breve occhiata, sospirando.
«A cosa pensi?», chiese Kiba, scrutandola alla
ricerca di qualche indizio.
Hinata non voleva che l’amico si sobbarcasse i suoi problemi,
ancora.
L’aveva sempre incoraggiata quando sbagliava, sostenuta
quando falliva, rialzata quando cadeva.
Avrebbe cercato una scusa. Non le piaceva mentire, ma si era ripromessa
che non sarebbe più stata un peso né per lui,
né per chiunque altro. Aprì la bocca per parlare,
quando una voce squillante riecheggiò tra le pareti del
locale.
«Teuchi, prepara due scodelle di ramen belle abbondanti!
Naruto Uzumaki e Sakura Haruno hanno un appuntamento!».
Hinata e Kiba si voltarono a guardare. Naruto sorrideva entusiasta
stringendo la mano di un’imbarazzatissima Sakura, la cui vena
pulsante sulla tempia non preannunciava nulla di buono.
«Hinata, Kiba!», li salutò
l’eroe di Konoha, sedendosi al loro fianco seguito dalla
compagna di team. Naruto prese a raccontare stupidaggini, ricevendo di
tanto in tanto pugni sulla testa da Sakura, ma l’attenzione
di Kiba era totalmente rivolta a Hinata: nell’esatto momento
in cui i due membri del team 7 erano entrati nel locale, la Hyuuga
aveva sgranato gli occhi ed era rimasta a fissarli con espressione
indecifrabile. Poi era arrivata la sua scodella di ramen e aveva deciso
di lasciar perdere il teatrino inscenato da Naruto e Sakura, preferendo
girare e rigirare i tagliolini nel brodo con le bacchette, senza
mangiare realmente.
Kiba si rese conto che la tristezza di Hinata aveva a che fare con
Naruto, tuttavia non ne capì il motivo: non era la prima
volta che Naruto e Sakura mangiavano all’Ichiraku insieme e
Hinata non aveva mai fatto storie, consapevole che nonostante
l’interesse del biondo Sakura rimaneva pur sempre innamorata
di Sasuke. «Hinata», tentò, posandole
una mano sul braccio.
«Voglio andare a casa», disse la ragazza tutto
d’un fiato e Kiba capì che non doveva replicare.
«Ti accompagno». Lasciarono poche monete sul
bancone, salutarono velocemente Naruto e Sakura, ed uscirono dal locale.
Rimasero in silenzio per l’intero tragitto, l’uno
guardando la compagna con la coda dell’occhio e
l’altra camminando addossata al muro con gli occhi
perennemente rivolti verso terra.
Arrivati a villa Hyuuga, Hinata accennò un sorriso di
circostanza. Un altro.
«Grazie per la serata e... buonanotte».
Kiba afferrò il polso della ragazza un attimo prima che
potesse varcare il cancello.
«Perché, Hinata?», gli chiese
semplicemente, e lei non ebbe bisogno di chiedergli spiegazioni.
«Mi sono illusa. Ho aspettato, aspettato e ancora
aspettato... per un anno. Ma non è successo nulla, lui ama ancora Sakura,
è chiaro come il sole». I suoi occhi erano gonfi
di lacrime trattenute per troppo tempo.
Kiba le lasciò il polso e lei varcò il cancello,
percorrendo il vialetto in mezzo al giardino.
L’Inuzuka la guardò allontanarsi, aprire la porta
della villa e richiudersela alle proprie spalle.
Immaginò di sentire i singhiozzi di Hinata rimbombare tra le
pareti della casa e strinse i pugni lungo i fianchi.
Quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe permesso al
mondo di far soffrire Hinata.
***
Ad un anno dalla fine della guerra, le autorità di Konoha
avevano avuto l’idea di organizzare una festa per celebrare
una nuova era di pace e benessere. E chi avevano scelto come ospite
d’onore? Ma ovviamente lui, l’eroe: Naruto Uzumaki.
Kiba l’aveva sempre considerato uno dei suoi migliori amici,
ma anche uno dei più grandi rivali. Lo stimava profondamente
per la sua forza e tenacia, ma allo stesso lo invidiava
perché Naruto aveva tutto ciò che lui desiderava:
la fama e il rispetto dell’intero villaggio, il posto da
Hokage assicurato, l’amore di Hinata.
«Vedrai che ci divertiremo!».
Hinata scosse la testa come una bambina. «Non ne ho voglia,
mi dispiace tanto».
L’aveva invitata nella propria casa con il pretesto di
guardare un film insieme, ma la verità era che voleva
convincerla ad andare alla festa da quando aveva saputo di
quell’evento.
Kiba le sollevò il mento, costringendola a guardarlo negli
occhi. Vide la delusione per una risposta che non arrivava, la
tristezza per un amore consapevolmente non ricambiato, e
pensò che se Hinata glielo avesse mai permesso gli sarebbe
piaciuto asciugare quelle lacrime e ripararle il cuore.
«Non puoi stare così per un cretino del genere.
Naruto non sa cosa si perde!».
Hinata sollevò un angolo della bocca in quello che doveva
sembrare un sorriso.
«Vieni con me alla festa, sono sicuro che sarà
divertente. Ascolteremo il noiosissimo discorso dell’Hokage,
mangeremo fino a scoppiare, gireremo per le bancarelle, rideremo
e−».
«Kiba-kun, ti prego, non sono in vena».
Ma l’Inuzuka non si perse d’animo: non poteva, non
doveva andare a finire così. Decise di sfoderare
l’ultima carta, quella che teneva in serbo per il compleanno
di Hinata, ma che in quel momento era più necessaria,
affinché lei tornasse a sorridere almeno per una sera. A
cosa regalarle per i suoi diciotto anni, Kiba ci avrebbe pensato in
seguito.
«Peccato», commentò,
«chissà quando ti ricapiterà
l’occasione di indossare il vestito che ti avevo
comprato...».
Vide Hinata sollevare di scatto il viso, lo sguardo confuso e
incuriosito.
«Q-quale vestito? Mi hai comprato un vestito?».
«Aspettami qui», le disse, sparendo nella stanza
accanto.
Al suo ritorno porse a Hinata un pacco con tanto di fiocco. Lei lo
fissò ad occhi spalancati.
«Io... non me l’aspettavo. Perché,
Kiba-kun?», gli chiese semplicemente.
«Perché te lo meriti e voglio che tu venga alla
festa con me».
Hinata sorrise e questa volta per davvero. Scartò il pacco,
ne estrasse il vestito ordinatamente piegato in un rettangolo e si mise
in piedi per guardarlo tutto intero: un elegante kimono di colore lilla
chiaro che richiamava quello dei suoi occhi. Se lo poggiò
addosso, guardandolo estasiata, e Kiba pensò che con quel
vestito sarebbe stata ancora più bella di quanto
già non lo fosse.
«M-ma... dev’esserti costato
tantissimo!». Hinata ora lo fissava esterrefatta.
In effetti, per comprarlo, Kiba aveva dovuto utilizzare tutti i soldi
accumulati in un mese di missioni, ma non se ne pentiva. «Per
te questo e altro».
Hinata arrossì e poggiò delicatamente il vestito
sul divano.
«È bellissimo, grazie!», disse slanciandosi verso di lui.
Kiba la strinse a sé accarezzandole la schiena. Forse non
era tutto perduto.
«Allora ci vieni?», le chiese speranzoso.
Hinata accentuò il sorriso, mentre le sfuggiva un
“Sì” appena sussurrato.
***
Konoha, quella notte, era
illuminata a festa. Le rosticcerie erano addobbate con lucine
multicolore, ghirlande di fiori e lanterne rosse. Ovunque aleggiava un
tiepido odore di carne arrostita. Le voci dei bambini e le risate
amplificate dall’alcol si mescolavano con la musica, una
melodia energica e ritmata che faceva venire voglia di ballare.
Kiba si voltò a guardare Hinata che a sua volta fissava
incantata quel tripudio di luci e colori, avvolta nel kimono che lui
stesso le aveva regalato: era lei il vero spettacolo. Kiba avrebbero
voluto guardarla per tutta la notte, ma quando sentì urlare
il proprio nome in lontananza da una voce decisamente furiosa,
capì che avrebbe dovuto aspettare un po’ prima di
poter accompagnare Hinata per le rosticcerie e le bancarelle di Konoha.
«Kiba, fammi un favore: vai a vedere dove si è
cacciato quell’insensato di Naruto e digli di venire
immediatamente qui! Manca solo lui!», gli disse infatti
Tsunade, ormai in pensione, affiancata dal nuovo Hokage, Kakashi,
decisamente più calmo e ottimista.
E a nulla servì opporsi, dirle che aveva altro da fare.
«Torno tra cinque minuti», promise ad Hinata, che
teneva lo sguardo basso da quando aveva sentito pronunciare il nome di
Naruto. La ragazza gli sorrise comprensiva ed ora Kiba si ritrovava a
camminare per la periferia deserta di Konoha, diretto verso la casa di
quel baka di Naruto.
Svoltò l’angolo e l’oggetto della sua
ricerca si materializzò proprio sotto – contro? –
il suo naso.
L’impatto tra i loro corpi fu così forte che
caddero entrambi all’indietro.
«Diamine, Naruto, guarda dove vai!», si
lamentò Kiba, fulminandolo con lo sguardo.
Il biondo si massaggiò la fronte, rimettendosi in piedi.
«Scusa, è che sono in ritardo per la
festa!».
«Be’, faresti meglio a sbrigarti, perché
stanno aspettando solo te!».
Naruto si diede una manata in faccia. «Ci vediamo dopo,
allora!», esclamò partendo a razzo in direzione
del centro di Konoha, ma Kiba lo afferrò per un braccio,
bloccandolo.
«Naruto, vedi di parlare con Hinata il prima possibile... sta
ancora aspettando una tua risposta. Non sopporto di vederla
così... triste».
Naruto sgranò gli occhi. «Lo farò, te
lo prometto», disse all’amico, sorridendo.
Kiba annuì. «Mi raccomando, sii... delicato».
Naruto aggrottò per un attimo la fronte, poi assunse uno
sguardo decisamente consapevole e salutò l’amico
con un gesto veloce della mano, continuando la sua corsa sfrenata in
direzione della festa. Kiba sospirò, prendendo la stessa
strada per tornare da Hinata.
***
«...Certo, non ci sarà mai un solo giorno in cui
non sentiremo la mancanza dei nostri cari e il dolore sarà
forte, inevitabile, ma ricordiamoci che proprio loro avrebbero voluto
vederci felici. Godiamo del presente che ci hanno donato e costruiamo
un mondo nuovo. Niente più guerre: solo pace, amore e tanto
ramen!».
Konoha scoppiò in un mare di fischi e applausi quando Naruto
terminò il suo discorso in onore dei caduti in guerra. Non
era stato il solito discorso calcolato e prestabilito, aveva davvero
parlato con il cuore, come solo lui sapeva fare.
Kiba ebbe paura che le lacrime sul volto di Hinata non fossero solo di
commozione. Allora, mentre la folla tornava a festeggiare,
afferrò la mano della ragazza e la trascinò in
una rosticceria per farla svagare un po’. Ordinarono della
carne allo spiedo e attesero, quando Kiba si accorse della presenza di
Naruto alle loro spalle. Era sicuramente venuto per parlare ad Hinata,
come gli aveva chiesto.
«Ehi, ragazzi, come va?».
A quella voce, il volto di Hinata si adombrò
improvvisamente.
Kiba strinse i pugni lungo i fianchi. E pensare che Naruto era sempre
stato fonte di sorrisi per lei...
Ma come faceva, quello stupido, a non accorgersi di una come Hinata?
E cos’aveva Naruto, più di lui, da attirare
l’attenzione di una come Hinata?
Kiba non riusciva proprio a spiegarselo. Era una continua lotta
interiore: voleva che Hinata fosse felice e la felicità di
Hinata era Naruto, ma solamente immaginarseli insieme gli provocava una
morsa allo stomaco.
«Bel discorso, Naruto. Breve ma intenso», si
complimentò l’Inuzuka, guardando Hinata con la
coda dell’occhio.
Naruto si grattò la testa. «Be’,
grazie!». Poi si rivolse alla Hyuuga. «Hinata,
potremmo parlare io e te... da
soli?». Fece l’occhiolino a Kiba che
annuì in segno di approvazione.
La ragazza arrossì violentemente.
«S-sì», rispose, facendo segno a Kiba di
andarsene.
L’Inuzuka li lasciò soli, sperando che Naruto non
ne combinasse una delle sue.
«Ehm, allora, ti stai divertendo?».
Naruto la guardava con quel sorriso che riusciva ogni volta a mozzarle
il respiro.
«Io... sì», rispose, sempre
più rossa in volto. «Ma la parte più
bella è stata il tuo discorso».
Naruto sorrise ancora, un po’ imbarazzato. «Non
è stato niente di speciale».
Hinata non sapeva più cosa rispondere. Abbassò lo
sguardo, continuando a guardare Naruto con la coda
dell’occhio. L’Uzumaki afferrò uno
sgabello e si sedette vicino a lei, poggiandole una mano sul braccio.
Hinata sussultò, colta alla sprovvista.
«Hinata, non voglio girarci intorno. Credo di essermi
comportato male con te».
La ragazza trovò il coraggio di poggiare la propria mano,
piccola e fredda, su quella grande e calda di Naruto. Anni prima non
sarebbe mai riuscita a fare una cosa del genere, ma la guerra
l’aveva resa un po’ più forte, un
po’ più sicura di sé.
«Ma no, cosa dici? Tu non hai fatto niente...».
«Non è vero, tu sei sempre troppo buona con
me», la bloccò Naruto, ed entrambi ritirarono la
mano. «Mi hai confessato i tuoi sentimenti per ben due volte
ed io... ho preferito lasciar correre per paura di ferirti. Sono stato
uno stupido».
Hinata sgranò gli occhi con tutta l’intenzione di
ribattere – era lui, il meglio per lei! – ma Naruto
non gliene diede il tempo, continuando il suo discorso.
«Hinata, tu lo sai, vero?,
che io...».
«... che ami
Sakura, lo so», terminò la Hyuuga.
Quando Naruto aveva implicitamente chiesto a Kiba di andarsene, Hinata
aveva sperato con tutto il cuore che finalmente, dopo un anno di
attesa, Naruto si fosse accorto di lei. Ci aveva sperato solo per un
attimo e poi si era data mentalmente della stupida. Naruto aveva sempre amato Sakura.
E allora perché non si rassegnava? Perché
continuava a cercarlo con lo sguardo in mezzo alla gente?
Aveva trovato la risposta proprio in quegli ultimi giorni.
Hinata voleva che Naruto glielo dicesse apertamente, che gli sbattesse
in faccia la realtà così come aveva fatto Kiba
quando lei non aveva voluto accettare la morte di Neji.
Tutti a cercare di essere delicati con lei, tutti a cercare di non
farla soffrire.
Ma Hinata ormai aveva capito che la sofferenza era necessaria per rinascere dalle proprie ceneri.
Lo aveva imparato a sue spese ed ora non desiderava altro che sentirsi
dire, una volta per tutte, da Naruto, che non era lei la ragazza con
cui avrebbe passato il resto della vita. Solo acquisendo quella
certezza Hinata avrebbe potuto rassegnarsi e guardare avanti.
«Hinata». L’Uzumaki le sollevò
il mento con due dita, costringendola a incatenare i loro occhi. Quelli
di Hinata erano lucidi, prossimi alle lacrime, ma lui doveva farlo,
affinché lei capisse. «È vero, amo
un’altra, ma questo non significa che io non ti voglia bene.
Non posso dimenticare ciò che tu, tu e Neji, avete
fatto per me. Non posso ignorare che sei sempre stata pronta a morire per me,
nonostante io me ne sia accorto troppo tardi. Ti sarò sempre
grato per questo».
La ragazza non potè fare a meno di sorridere, le lacrime
impigliate tra le lunghe ciglia.
Per quanto amasse Naruto, per quanto la facesse soffrire il pensiero
che lui fosse innamorato di un’altra, in fondo tutto
ciò che aveva sempre desiderato era essere semplicemente notata da lui. E ci
era riuscita.
«Grazie», si lasciò sfuggire, e lui
scosse la testa, sorridendo.
Quale altra ragazza avrebbe ringraziato dopo essere stata rifiutata da
colui che amava?
«Sei incredibile, Hinata», disse, stringendole
forte una mano per farle capire che lui c’era.
«Non meriti uno come me, tu meriti...».
Kiba.
Naruto si stupì di quel pensiero improvviso.
In realtà non aveva mai pensato a Hinata e Kiba insieme,
come coppia, ma, riflettendo sul comportamento dell’amico in
tutti quegli anni e soprattutto negli ultimi tempi, Naruto si chiese se
per caso Kiba non provasse qualcosa di più per la Hyuuga.
«... meriti il
meglio», preferì concludere, e si
sporse verso di lei, baciandole una guancia.
Hinata divenne rossa come un pomodoro. Voltò lo sguardo
verso la porta di vetro che dava sulla strada, in completo imbarazzo, e
incontrò gli occhi di Sakura che guardavano nella sua
direzione con una certa insistenza. Hinata notò che spingeva
via chiunque gli bloccasse la visuale e che Kiba, al suo fianco, cercava di coinvolgerla in una conversazione, ma sembrava del tutto
inutile. Che Sakura provasse finalmente qualcosa per...?
Prese un respiro profondo. Le avrebbe fatto male, ma doveva farlo.
Lei era felice se lo era anche Naruto. E Naruto sarebbe potuto essere
felice solo con Sakura.
«Credo che dovresti andare da lei,
ora», disse tutto d’un fiato, indicando
l’Haruno fuori dalla rosticceria. «È
gelosa, sai?».
Naruto sgranò gli occhi e questa volta fu il suo turno di
arrossire. «Ma no, cosa dici...?».
«Dico quello che vedo», rispose Hinata,
improvvisamente più sicura di sé. «Non
devi stupirti. Tu l’hai sempre amata, Sasuke no».
Naruto rimase a fissarla, come incantato, rendendosi conto di non
conoscere colei che aveva di fronte.
Chi era quella ragazza riflessiva, consapevole, sicura di
sé? Cosa ne aveva fatto della timida, impacciata Hinata
Hyuuga?
«Forza, vai da lei», lo incoraggiò,
alzandosi dallo sgabello e tirandolo per una manica.
Naruto la seguì e insieme uscirono dalla rosticceria. Hinata
a quel punto gli sorrise, asciugandosi una lacrima scesa lungo la
guancia, e Naruto le sorrise di rimando, sentendosi improvvisamente
più leggero.
***
Hinata aveva visto Sakura afferrare la mano di Naruto per portarselo
via e aveva abbassato lo sguardo, rassegnata. La conversazione con
Naruto le aveva fatto male, dannatamente male, ma tutto sommato ora non
aveva più rimpianti e poteva guardare avanti, ricostruirsi
il cuore.
«Kiba-kun, mi accompagneresti a casa?», chiese all’amico, senza guardarlo in faccia. Non voleva che vedesse
i suoi occhi prossimi al pianto, non voleva recargli altro disturbo.
Kiba acconsentì e così i due si incamminarono per le strade illuminate e gremite di gente, fin quando al ragazzo non sfuggì la
domanda.
«Cosa ti ha detto Naruto?». Si pentì
subito di averglielo chiesto, rimproverandosi mentalmente. Hinata non
voleva, non doveva pensare
a lui.
«Mi ha detto che sono importante per lui, ma che ama
Sakura...».
«Quell’idiota!
Scommetto che non è stato per nulla
delicat−».
«Kiba-kun», lo bloccò Hinata.
«Naruto è stato fin troppo gentile e sincero con
me».
Kiba prese un profondo respiro, calmandosi, e così
continuarono a camminare in silenzio.
L’Inuzuka notò che la tristezza che Hinata provava
da giorni si era tramutata in freddezza. Era sempre così:
quando soffriva, indossava quella maschera che le permetteva di
mostrarsi tranquilla in pubblico e di piangere silenziosamente quando
era da sola. Kiba lo sapeva che Hinata avrebbe pianto quella notte, e
forse anche la successiva, perché per quanto si fosse
rassegnata all’idea che non avrebbe mai potuto essere
più di un’amica per Naruto, rimaneva pur sempre il
suo primo amore.
E quella era già la seconda volta che la riaccompagnava a
casa in quelle condizioni.
«Balliamo!», esclamò di getto,
bloccandosi.
Hinata aggrottò la fronte. «Cosa...?
Perché?».
«Balliamo», ripetè Kiba con
determinazione. «Non senti la musica?».
Hinata si voltò nella direzione in cui erano venuti. Il
centro di Konoha brillava in lontananza, facendo arrivare anche fin
lì una melodia appena udibile.
«Kiba-kun, perché dovremmo...?».
Non riuscì a terminare la frase. Kiba le aveva poggiato una
mano sul fianco, mentre con l’altra aveva cercato la sua mano
e l’aveva sollevata a metà del busto. Hinata
arrossì vistosamente, ritrovandosi il viso
dell’amico a pochi centimetri dal proprio. Le sorrideva
così apertamente che fu impossibile non lasciarsi contagiare
e poggiare la propria mano sulla sua spalla, completando
così la tipica posa del ballo di coppia.
«Voglio farti divertire, Hinata. Almeno per una
sera».
E fu tutt’altro che perfetto.
Kiba la strinse forte e prese a volteggiare in mezzo alla strada,
trasportandola con sé. Avanti e indietro, destra e sinistra,
poi una piroetta, e di nuovo da capo. Hinata seguiva con gli occhi i
piedi di Kiba, cercando di stargli dietro, ma non riusciva a coordinare
i loro movimenti. I passi dell’amico erano troppo confusi,
veloci, inaspettati. Allora preferì lasciar fare a lui,
muovendosi dove la conduceva il suo braccio saldamente ancorato alla
propria vita, e fu una delle cose più divertenti che avesse
mai fatto. La testa girava vorticosamente ad entrambi, si pestarono i
piedi più e più volte, rischiarono perfino di
cadere e ruzzolare nel prato oltre la strada, ma non vi badarono.
A Hinata parve che la musica si fosse intensificata, entrandole dentro.
La sentiva nelle orecchie, le rimbombava nel cuore e fuoriusciva sotto
forma di risata, una risata sincera, cristallina, che si mischiava a
quella di Kiba, più roca e gutturale. Le scappò
un urletto divertito quando lui la condusse in un perfetto casquet:
Hinata si aggrappò al suo collo per paura di cadere ma, nel
momento in cui si ritrovò piegata all’indietro con
le braccia di Kiba intorno alla vita, seppe che lui non
l’avrebbe mai lasciata andare, nemmeno se fossero dovuti
rimanere in quella posizione per tutta la vita.
Sorrise mentre Kiba la aiutava a rimettersi in piedi e si accorse che
la musica in lontananza si era placata, sostituita da rumori
scoppiettanti. Hinata alzò lo sguardo verso
l’orizzonte, dove il cielo era illuminato da mille luci
colorate. «Mi sono divertita tantissimo»,
confessò.
«Anch’io, ma non abbiamo ancora finito».
Hinata guardò l’amico con aria perplessa.
«Non senti?», le chiese, portandosi una mano dietro
l’orecchio come per aguzzare l’udito. «La
musica è cambiata».
«Kiba-kun... sento solo il rumore dei fuochi
d’artificio».
Kiba scosse la testa. «Hinata... come fai a non sentirla?
È una musica così lenta... così
dolce», le disse, cingendole la vita con entrambe la braccia
per avvicinarla a sé.
Hinata si allarmò. «N-non la sento.
Perché non la sento?».
«Chiudi gli occhi». La ragazza obbedì e
si lasciò andare tra le braccia di Kiba, ma
constatò tristemente di udire ancora il solo scoppiettare
dei fuochi d’artificio. Intanto lui aveva cominciato a
dondolarsi piano, prima su un piede e poi sull’altro,
inducendola a fare lo stesso. A Hinata venne spontaneo aggrapparsi alle
spalle dell’amico poggiando la guancia sul suo petto,
all’altezza del cuore, e fu proprio in quel momento che
sentì la
musica: il battito cardiaco di Kiba era regolare,
così rilassante da sembrarle una dolce e leggera
ninna-nanna. Hinata aveva la sensazione di essere cullata, come quando
era piccola e sua madre tentava di farla addormentare. Pensò
che le sarebbe piaciuto rimanere così per tutta la notte.
«Grazie, Kiba-kun».
“Oh,
Hinata”.
Note dell'autrice:
Ringrazio chi ha commentato il primo capitolo e chi ha cominciato a seguirmi,
spero tanto che anche questo sia all'altezza delle vostre aspettative e
che mi farete sapere cosa ne pensate. L'accenno NaruSaku (mooolto
evidente) era d'obbligo XD se seguite la mia raccolta NaruSaku, vi
sarete sicuramente accorti che questo capitolo è parallelo
al capitolo You
will always be my hero di quella raccolta (ho riscritto
alcuni parti con le stesse parole ma dal punto di vista di Kiba e
Hinata). Ora rimangono solo altri due capitoli in cui Hinata
raggiungerà piano piano la sua agognata primavera con
l'aiuto di Kiba *-* Alla prossima!
Soly Dea
|
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Capitolo 3 *** Dichiarazioni lasciate in sospeso ***
contest
Hinata
no
haru
[La primavera di Hinata]
#03. Dichiarazioni lasciate in
sospeso
Kiba si chinò a posare un girasole sulla tomba di Neji.
Hinata sollevò lo sguardo su di lui, sorridendo.
«Kiba-kun», lo salutò, poi
allungò la mano per accarezzare la testa di Akamaru che
scodinzolò contento.
Quando Hinata non era a casa, Kiba sapeva di poterla trovare
lì, piegata sulla tomba del cugino, intenta a sostituire con
fiori freschi quelli ormai secchi. I due rimasero in religioso silenzio
finché Hinata non decise che per quel giorno poteva bastare.
«Andiamo?».
Kiba annuì, porgendole una mano. Hinata la
afferrò e si alzò in piedi, poi i due si
allontanarono dal cimitero fianco a fianco, seguiti dal fedele Akamaru.
«Hinata, ti va di venire con me in un posto?».
La ragazza sorrise, senza chiedergli nemmeno dove. Si fidava ciecamente
di lui.
Quando raggiunsero il punto più alto della collina, Kiba si
buttò a peso morto sull’erba fresca, mentre
Hinata, sporgendosi dalla rupe e guardando verso il basso, rimase
estasiata dal panorama: riusciva a vedere ogni singola casa di Konoha e
le persone, da lì, erano solo minuscoli puntini in
movimento. Si voltò verso Kiba che se ne stava sdraiato per
terra con la testa poggiata sul manto bianco di Akamaru e si stese
accanto a lui. Il ragazzo allargò un braccio in modo che
Hinata potesse a sua volta poggiare la testa sulla propria spalla.
«È bellissimo qui», commentò
lei, strappando una margherita da terra e rigirandosela tra le dita.
Kiba sentiva i capelli di Hinata solleticargli il mento e il suo
profumo invadergli le narici. Avrebbe voluto rimanere così
per sempre. Sollevò il braccio che teneva stretta Hinata e
le accarezzò delicatamente la testa per poi intrufolare le
dita in una ciocca di capelli e percorrerla in tutta la sua lunghezza,
come per renderla più liscia di quanto già non lo
fosse.
«Vengo qui quando ho bisogno di riflettere, quando sono
preoccupato o... triste».
Hinata smise di rigirarsi la margherita tra le mani, notando come il
tono di voce di Kiba fosse calato nel pronunciare l’ultima
parola. Si scostò di poco da lui, sollevando il viso verso
quello del compagno che preferì continuare a guardare il
cielo per paura di specchiarsi negli occhi che amava e arrossire.
«Triste per cosa?», chiese lei, preoccupata.
Kiba rifletté sulle parole giuste da utilizzare, poi
sospirò. «Vengo qui quando sento che mi manca
qualcosa... o meglio, qualcuno».
Ci furono alcuni attimi di silenzio. «Sei innamorato,
Kiba-kun?».
«Sì», rispose senza indugio.
«E chi è la fortunata?».
Hinata si era messa a sedere ed ora lo fissava dall’alto.
Kiba si concesse qualche secondo per ammirarla. Era così
bella che avrebbe voluto tirarla verso di sé e tenerla
stretta. Tuttavia notò un’espressione
indecifrabile sul suo volto: non sorrideva come al solito e i grandi
occhi perlacei erano lievemente sgranati, come a volergli leggere
dentro. Non l’aveva mai vista così.
Sperò che fosse almeno un po’ gelosa.
E avrebbe potuto dirglielo, che
era lei la fortunata. Sarebbe stato semplice, veloce,
giusto. Ma non voleva rovinare la magia che si era creata in quel
momento tra loro. «Ti prometto...», disse,
togliendole la margherita dalle mani, «...che quando
avrò il coraggio di dichiararmi, tu sarai la prima a
saperlo». Le sistemò il fiore nei capelli,
accarezzandole poi una guancia. Hinata abbassò lo sguardo e
Kiba non potè fare a meno di sorridere di fronte al lieve
rossore che si era appropriato del viso della ragazza.
«Non ti fidi di me, Kiba-kun?», gli chiese lei in
un sussurro, torturandosi le dita.
Kiba gliele afferrò e le strinse nelle sue. Hinata
osservò le loro mani intrecciate, poi sollevò lo
sguardo su di lui, confusa.
«Hinata, sei la persona di cui mi fido di più.
È solo che non ha senso parlarne. Lei ama un altro».
La vide sgranare gli occhi. «Oh». Lei
sapeva cosa si provava a non essere ricambiati.
«Ma se tu provassi a farle capire che la ami, forse ti
noterebbe anche lei».
Kiba abbassò lo sguardo. «Ho paura,
Hinata».
«E di cosa? Tu sei così carino, così
dolce... ». Arrossì Hinata per le sue stesse
parole. «Sono sicura che almeno un po’ le
piaci».
Kiba scosse la testa. Hinata non aveva capito il punto della situazione.
«Non ho paura di essere rifiutato. Ho paura che lei mi
allontani per non farmi soffrire. Ho
paura di perderla».
«Sei proprio innamorato», mormorò lei,
sciogliendo la stretta delle loro mani e voltando lo sguardo di lato.
Kiba ebbe quasi la sensazione che la notizia non la rendesse troppo
felice. Che provasse anche lei qualcosa per... per lui?
«Ti posso aiutare io». Eccola lì, la
dolce Hinata sempre pronta a soccorrere tutti, eppure non sembrava
davvero convinta delle sue stesse parole.
«No, Hinata, non puoi».
“Non puoi,
dannazione, perché è te che amo!”,
avrebbe voluto risponderle e poi baciarla, e baciarla ancora e non
darle nemmeno il tempo di respirare. Ma la paura che Hinata potesse
allontanarsi per sempre da lui lo divorava.
Durante la conversazione con Kiba, Hinata aveva creduto di essere la
ragazza di cui lui era innamorato. Soffermandosi su alcuni gesti,
alcuni sguardi, alcune parole, aveva pensato che Kiba le si sarebbe
dichiarato da un momento all’altro. Poi il discorso aveva
preso una piega diversa, inaspettata, e lui era diventato
inspiegabilmente scontroso. Hinata non riusciva a spiegarsi
perché per un momento avesse sperato che Kiba la amasse, ma
soprattutto non capiva perché fosse rimasta così
delusa dalle sue ultime parole.
No, Hinata, non puoi.
Aveva sentito una sorta di fastidio in quelle parole e improvvisamente
si era sentita di troppo, come se non c’entrasse nulla tra
Kiba e la ragazza che lui amava. Perché in effetti lei non
c’entrava nulla. Lei era solo la sua migliore amica, solo
un’amica.
«Io... devo andare ora». Si mise in piedi, pronta
ad allontanarsi, ma Kiba la afferrò per un braccio.
Hinata si voltò di scatto, specchiandosi negli occhi del
compagno, che la imploravano di restare.
«Ho detto qualcosa di sbagliato?».
«No, io... mi sono ricordata di un impegno».
Kiba non le credette, ma le concesse ugualmente di andare, osservandola
scendere giù dalla collina con i capelli che ondeggiavano
sulla schiena ad ogni passo. Arrivata ai piedi dell’altura,
Hinata si era voltata a guardarlo. Kiba sollevò la mano in
segno di saluto e lei mosse appena la sua, per poi stringersela al
petto e correre via. «Dici che avrei dovuto
fermarla?», chiese Kiba ad Akamaru il quale abbaiò
in tutta risposta.
Era sempre così con Hinata: ogni volta che passavano un
po’ più di tempo insieme, ogni volta che la
conversazione si faceva più profonda, finiva sempre che uno
dei due era costretto ad andare via.
«Aaaah», si lamentò il ragazzo,
massaggiandosi le tempie, e poi ricadde sull’erba, tornando a
guardare il cielo.
***
Da quando Kiba aveva quasi dichiarato i suoi sentimenti ad Hinata, il
suo rapporto con lei si era ridotto a saluti formali e conversazioni di
poche parole. Aveva paura che la ragazza avesse intuito qualcosa,
decidendo così di erigere un muro tra loro per non farlo
soffrire. Odiava quella situazione.
Per giunta, era da una settimana che nemmeno Akamaru sembrava troppo
felice di vederlo.
Erano sempre stati insieme, dacché Kiba ne aveva memoria: da
piccolo lo portava sulla testa, ora invece era il cagnolone a tenerlo
in groppa quando dovevano spostarsi. Era il suo migliore amico, oltre
che un affidabile compagno di missioni. Gli mancava solo la parola:
sapeva ascoltarlo e consolarlo a modo suo – quante volte Kiba
gli aveva confidato i suoi sentimenti per Hinata, ricevendo in risposta
una bella leccata sul viso e una scondizolata? – e,
soprattutto, non lo lasciava mai solo.
Ma da un po’ di giorni le cose sembravano cambiate. Quando
mai si era ritrovato in un vicolo buio di Konoha, poggiato con la
schiena al muro, senza il suo fidato amico a quattro zampe?
Sospirò, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
Perché tutto doveva sempre giocare a suo sfavore?
Assorto com’era nei suoi pensieri, non si accorse della
presenza di qualcuno che, avendolo notato da solo, si era fermato ad
osservarlo.
«Kiba-kun?», chiese incerta Hinata, facendo un
passo avanti.
Kiba sollevò lo sguardo, colto alla sprovvista, e la ragazza
lo scrutò attentamente.
«Potrei sapere cosa ci fai lì tutto da
solo?».
«Nulla», rispose, andandole incontro, ma
evidentemente non era stato affatto credibile perché Hinata
gli sorrise con aria materna, socchiudendo le palpebre.
«Kiba-kun, so che nell’ultimo periodo non ci siamo
visti molto. È stata colpa mia, ho avuto delle cose da fare.
Ma ciò non significa che non ti puoi più fidare
di me. Avanti, dimmi cosa ti turba».
Kiba inarcò le sopracciglia, sorpreso. Non era sicuro che
Hinata avesse detto la verità riguardo alle “cose
da fare”, ma l’importante era che lei lo
considerasse ancora suo amico. Si era preoccupato per nulla, come al
solito.
«Akamaru si sta allontanando da me».
Hinata assunse uno sguardo dispiaciuto. «Perché
dici così?», chiese in un sussurro. «Voi
siete... inseparabili».
Kiba sorrise amaramente. «Lo eravamo, forse, ma ora si
comporta in modo strano. Si rifiuta di allenarsi con me, pretende il
doppio del cibo che mangiava prima e spesso sparisce per ore
intere».
«Perché non hai provato a seguirlo?»,
gli propose Hinata. «Con il tuo fiuto non sarebbe difficile
trovarlo».
Kiba si passò una mano sul viso con aria stanca. Ci aveva
già pensato, per la verità, ma voleva che fosse
Akamaru a fargli capire cosa stesse succedendo. «Non mi va di
spiarlo», rispose. Perché per lui Akamaru era come
un essere umano e aveva imparato a sue spese che spiare era una delle
cose peggiori che si potessero fare – il ricordo di Hinata
che piangeva nella sua stanza con la foto di Neji stretta al petto era
ancora indelebile nella sua mente. La ragazza, però, non
sembrava del suo stesso avviso.
«È l’unico modo per capire cosa
c’è che non va, Kiba-kun. Tieni ad Akamaru,
vero?».
Kiba, dopo un attimo di disorientamento, annuì vigorosamente.
«E allora cerchiamolo insieme, ti va?», gli chiese
lei con un sorriso.
Kiba pensò che in pochi minuti aveva recuperato il suo
rapporto con Hinata e forse quello che lei gli aveva proposto era
davvero l’unico modo per risolvere la faccenda di Akamaru.
«Andiamo», rispose, poi sorrise di cuore:
finalmente le cose cominciavano ad andare per il verso giusto.
«È andato nella foresta»,
decretò Kiba, dopo aver annusato attentamente
l’aria.
Lui e Hinata aveva seguito la scia lasciata dall’odore di
Akamaru ed erano così arrivati alle porte di Konoha. In
lontananza si stagliava la distesa di alberi che avrebbe dato la
risposta al problema, eppure Kiba non riusciva a capacitarsi del
perché Akamaru avesse cambiato improvvisamente atteggiamento
nei suoi confronti. «E se si fosse nascosto nella foresta
semplicemente perché non vuole vedermi?».
Hinata gli strinse una mano. «Non sarebbe plausibile, Akamaru
ti adora».
«O se peggio, avesse trovato un altro padrone... migliore di
me?».
«Impossibile», lo rimbeccò Hinata con un
nuovo sorriso.
All’ennesimo «E se...?», Hinata gli
lasciò la mano e cominciò ad avanzare da sola al
di là delle porte di Konoha.
«Se non ci muoviamo, non scopriremo mai la
verità!». Lei aveva ragione, come sempre.
Kiba la raggiunse, sentendosi orgoglioso di quanto Hinata fosse
maturata dalla fine della guerra.
Era una donna, ormai, ed era la donna che amava e che voleva al suo
fianco. Prima o poi avrebbe trovato il coraggio di dirglielo.
Arrivati nella foresta, l’odore di Akamaru si era fatto
ancora più forte.
Kiba faceva strada, saltando da un ramo all’altro, e Hinata
lo seguiva, scrutando l’ambiente circostante con il Byakuugan.
«Dev’essere lì da qualche
parte», proclamò l’Inuzuka indicando un
punto dove gli alberi si facevano più fitti.
«Sì, c’è una grotta. E vedo
qualcosa dentro», confermò Hinata, disattivando la
sua abilità oculare.
Scesero dagli alberi e proseguirono a piedi fino a quando non si
ritrovarono di fronte ad una caverna.
I due spostarono le pietre e i rami che nascondevano
l’apertura e guardarono all’interno.
Ciò che videro li lasciò senza parole.
Kiba sgranò gli occhi e Hinata si portò una mano
alla bocca, trattenendo un urletto eccitato.
Akamaru, sdraiato per terra, era circondato da una cucciolata: un
cagnolino si muoveva lentamente sulla sua testa, uno dormiva sulla sua
zampa, due se ne stavano sulla sua schiena, un altro si strofinava
contro la sua coda, un altro ancora cercava di salirgli in groppa.
Una cagnetta dal pelo color nocciola riposava, invece, poco
più in là. Intorno a lei c’erano
ciotole di latte e piatti pieni di croccantini.
«Il nostro Akamaru si è innamorato»,
sussurrò Hinata, addentrandosi nella caverna e chiedendo al
cagnolone il permesso di prendere tra le mani uno dei cuccioli. Kiba la
seguì con lo sguardo mentre afferrava delicatamente il
cagnolino dal muso di Akamaru e se lo portava la petto, per poi
accarezzarlo e coccolarlo come fosse stato suo figlio.
«Mi sono preoccupato per nulla...», si
lasciò sfuggire il ragazzo, scuotendo la testa.
Sorrise intenerito di fronte a quello spettacolo. Decisamente le cose
non potevano andare meglio di così. E tutto grazie a Hinata,
ancora una volta.
***
Avvolta nel suo caldo cappotto viola, Hinata camminava per le strade di
Konoha illuminate e decorate in vista del Natale e non poteva fare a
meno di sorridere di fronte ai bambini che, con la faccia spiaccicata
contro le vetrine dei negozi, imploravano i genitori di comprare quel
giocattolo così bello e colorato, o quel dolce
dall’aria particolarmente invitante.
Hinata adorava l’atmosfera natalizia ed era certa che quello
sarebbe stato il più bel Natale di sempre.
Nell’ultimo periodo pensava spesso a Kiba da un punto di
vista diverso.
Se aveva trovato la forza di ristabilire il suo rapporto con lui, in
fondo lo doveva solo ad Akamaru. Vedere Kiba così triste e
afflitto per l’indifferenza del suo cagnolone le aveva
provocato una stretta al cuore: in tutti quegli anni era sempre stata
lei quella debole, quella che sveniva, quella con le lacrime agli
occhi, mentre Kiba aveva sempre saputo come infonderle coraggio. Per la
prima volta i ruoli si erano invertiti e a Hinata era venuto naturale
aiutare come meglio poteva il compagno di team.
Compagno di team.
Kiba non era mai stato solo quello. Era suo amico, il suo migliore amico.
Eppure, da qualche tempo a quella parte, precisamente da quando lui le
aveva confessato di essersi innamorato, Hinata aveva cominciato a
pensare che il termine amicizia,
riferito a lui, fosse riduttivo.
Un’amica non sarebbe stata gelosa,
un’amica non lo avrebbe evitato per schiarirsi le idee come
aveva fatto lei. Le sembrava assurdo da credere, dopo tutte le lacrime
che aveva versato per Naruto, ma aveva la sensazione di cominciare a
provare qualcosa
per Kiba, qualcosa di confuso e di non ben definito, ma che la faceva
stare bene. E nonostante Kiba le avesse rivelato che amava
un’altra, nonostante il pensiero di loro due insieme non le
facesse propriamente piacere, si sentiva ugualmente in pace con se
stessa.
Senza che se ne stesse accorgendo, il nome di Naruto stava lentamente
scomparendo dal suo cuore, insieme alla delusione per
quell’amore non ricambiato e alla fragilità che la
caratterizzava fin da bambina.
Proprio in quel momento si accorse che aveva cominciato a nevicare.
Svelta si strinse nel cappotto e percorse gli ultimi metri che la
separavano dal locale in cui avrebbe passato la sera della vigilia con
tutti i suoi amici. Una volta entrata, si sentì subito
avvolgere dalla piacevole sensazione di calore e dal profumo di dolci
appena sfornati. Lo sguardo di Hinata catturò immediatamente
il grosso albero di Natale che svettava nell’ingresso, per
poi posarsi sulla tavola sontuosamente imbandita e su Naruto e Choji
che cercavano di rubacchiare qualcosa mentre Sakura e Karui erano
distratte.
Scosse la testa con un sorriso e salutò Ino che trascinava
per tutta la sala Shikamaru, a sua volta seguito da una Temari
piuttosto arrabbiata. Sasuke, Sai e Shino, seduti compostamente in un
angolo, sarebbero sembrati tre statue di marmo se non fosse stato per
le loro labbra che si muovevano impercettibilmente. Suigetsu e Karin,
poco più in là, bisticciavano come due ragazzini,
e a nulla servivano i tentativi di Juugo di calmarli. Non mancava
proprio nessuno: c’erano anche Tenten, Rock Lee e... No, lui non
c’era.
Hinata avvertì il cuore pesante, ma poi pensò che
Neji avrebbe voluto vederla felice e con un sospiro avanzò
all’interno della sala.
«Hinata!».
Fatti appena pochi passi, la Hyuuga si ritrovò bloccata
dalla figura di Kiba che le si era parato davanti con un bellissimo
sorriso stampato sul volto. «Kiba-kun»,
sussurrò, e non potè fare a meno di arrossire
quando lui le sfiorò la testa in una carezza, spiegandole
che aveva un fiocco di neve impigliato tra i capelli. Hinata si chiese
se Kiba riservasse quelle stesse attenzioni anche alla ragazza di cui
si dichiarava innamorato – la speranza che fosse lei, quella
ragazza, non riusciva mai ad abbandonarla completamente.
Quella sera, Hinata non si preoccupò di Naruto e Sakura che
si tenevano per mano, troppo concentrata a catturare le occhiate
sfuggenti di Kiba, a cercare di capire i propri sentimenti e quelli del
compagno. Dopo essersi abbuffata a sufficienza, si ritrovò
al centro della sala, sballottolata di qua e di là tra i
corpi degli amici, con la musica che le riempiva le orecchie e le luci
della palla colorata appesa al soffitto che si diffondevano a
intermittenza per tutta la sala.
Hinata si sentiva su di giri. Gettò le braccia al collo di
Kiba lasciandosi sfuggire un gridolino eccitato quando lui le fece fare
un giro su se stessa. Forse era un po’ brilla –
eppure le era sembrata acqua quando gliel’avevano offerta!
– ma, aggrappata alle spalle del compagno, sentiva di poter
andare avanti così anche tutta la notte.
Alle ventiquattro in punto, la musica si fermò e tutti gli
invitati rivolsero la loro attenzione a Naruto che urlò
«Buon Natale a tutti, ‘tebayo!»,
afferrando Sakura e stampandole un lungo bacio appassionato sulle
labbra. E mentre l’Haruno inveiva contro quella testa quadra
del suo fidanzato e il resto della combriccola scoppiava in urla e
fischi, Hinata riportò lo sguardo su Kiba e gli sorrise
guardandolo intensamente negli occhi.
«Buon Natale, Kiba-kun», disse, poggiando la testa
sul suo petto e chiudendo gli occhi.
«Oh, Hinata... ti amo».
Quando la Hyuuga si allontanò bruscamente da lui portandosi
una mano alla bocca per lo stupore, Kiba si rese conto di aver espresso
ad alta voce l’unico pensiero che gli riempiva la mente da
tutta la sera.
E si sentì irrimediabilmente stupido. Come aveva potuto
farsi sfuggire in maniera così superficiale quelle parole
tanto importanti? Avrebbe voluto dirgliele in un altro momento, in un
altro posto, in un altro contesto. Voleva che fosse tutto perfetto. Per
lei, per Hinata.
«No!», esclamò, afferrando la ragazza
per le spalle e avvicinando il viso al suo per captare ogni dettaglio
della sua reazione.
Hinata arrossì ad occhi spalancati.
«No?», chiese con aria vagamente delusa.
Kiba scosse la testa. «No! Cioè, sì!
Però non volevo dirtelo così... aaah, che
idiota!».
Si passò una mano sul viso, attendendo che lei gli chiedesse
spiegazioni – da
quanto tempo? perché non me l’hai detto prima? ero
io la ragazza di cui mi hai parlato? – ma da
parte di Hinata non arrivò nient’altro che
silenzio. Quando Kiba trovò il coraggio di incrociare i suoi
occhi, notò che la ragazza aveva assunto
un’espressione indecifrabile: teneva lo sguardo rivolto verso
di lui, ma in realtà sembrava che non lo stesse guardando.
Kiba ebbe l’impressione che il suo sguardo gli passasse
attraverso, che lei non fosse pienamente cosciente di sé.
«Hinata...?!».
Quando la vide chiudere gli occhi e gettare la testa
all’indietro, non ci pensò due volte ad afferrarla
da sotto le ascelle, evitando così che si accasciasse a
terra per l’ennesima volta da quando la conosceva.
«Ma non le era passata la cotta per il dobe?».
«Fatti i cazzi tuoi, Uchiha!».
***
Quando Hinata, quella mattina, aprì gli occhi, si accorse di
aver dormito con lo stesso vestito con cui era andata alla festa. La
sera prima aveva bevuto solo un bicchierino – la sua prima
sbronza, stentava a crederci! – ma evidentemente non era una
persona che reggeva l’alcol, perché aveva solo
ricordi sfocati di lei che ballava al fianco di Kiba fin quando...
Oh, Hinata... ti amo.
Be’, quello se lo ricordava benissimo. E non poteva esserselo
sognato perché la voce di Kiba nel pronunciare quelle parole
le rimbombava ancora chiara e nitida nella mente. E poi
cos’era successo? Non ricordava nemmeno di essere tornata a
casa.
Si sforzò di rievocare le immagini della sera prima, ma
finì solo con l’intensificare il dolore che le
martellava la testa.
Oh, Hinata... ti amo.
Non riusciva a smettere di pensarci. Da una parte aveva desiderato
sentirsi dire quelle parole, dall’altra aveva paura delle
conseguenze. Cosa avrebbe dovuto dire, ora, a Kiba? Cosa ne sarebbe
stato della loro amicizia? Era tutto troppo confuso.
Di una cosa, però, era certa: quello era il giorno di Natale
e forse passare da Kiba per dargli il suo regalo l’avrebbe
aiutata a schiarirsi le idee.
«Buon Natale, Kiba-kun».
Deja-vu.
Quando Kiba si ritrovò Hinata sotto la soglia della porta,
la scrutò attentamente alla ricerca di qualche particolare
che potesse fargli capire cosa ne pensava della sua dichiarazione della
sera prima, ma non notò nulla se non un dolce sorriso.
«Questo è per te», continuò
Hinata, mostrandogli un pacchetto rosso.
«Grazie», rispose Kiba confuso, scartandolo e
ritrovandosi in mano un braccialetto d’oro con un ciondolo.
Hinata gli sfiorò le dita per aprirlo e mostrargli il
contenuto: una minuscola foto ritraeva loro due insieme a Shino,
Akamaru e Kurenai-sensei.
«Così ci porti sempre con te»,
spiegò Hinata con un sorriso.
Kiba se lo rigirò tra le mani, sorpreso.
«È davvero bello». Avrebbe voluto
abbracciarla, ma non era ancora sicuro di poterlo fare dopo
ciò che era successo la sera prima. «Anche io ho
qualcosa per te. Aspettami qui».
Corse dentro casa e tornò con un pacchetto blu. Quando
Hinata lo aprì, si ritrovò tra le dita una
collana con un pendente di colore indaco.
«Mi ricorda i tuoi occhi. Ho pensato che ti sarebbe
piaciuto».
La Hyuuga guardò il regalo completamente estasiata.
«È bellissimo!», esclamò. Poi
si voltò di spalle, passandosi la collana intorno al collo.
«Me la metti?». Kiba quasi arrossì
afferrando le estremità della collana e armeggiando con il
gancio. Le sue dita sfiorarono la pelle calda e vellutata del collo di
Hinata che a quel contatto avvertì un brivido correrle lungo
la schiena. «Fatto», terminò Kiba, e
Hinata si voltò.
Con la mano stretta intorno al pendente, guardò
l’amico negli occhi.
«Kiba-kun, mi chiedevo... mi hai riportata tu a casa ieri
notte?».
L’Inuzuka sorrise sollevato. Per un attimo aveva pensato che
lei gli stesse chiedendo le dovute spiegazioni sulla dichiarazione
della sera prima.
«Stavamo ballando e ad un certo punto sei svenuta».
«Da-davvero?», disse lei arrossendo.
«Accidenti, pensavo di aver perso quel vizio
ormai...».
Kiba le mise una mano sulla spalla per rassicurarla. «Non
prendertela. Era la prima volta che bevevi, no?».
Hinata annuì, poi raccolse tutto il coraggio di cui
disponeva. Doveva parlargli della dichiarazione, non voleva rimanere
nel dubbio. Decise di buttarla sul vago. «Kiba-kun, ho come
l’impressione che tu mi abbia detto qualcosa di importante
ieri sera...».
Kiba sgranò impercettibilmente gli occhi per poi scuotere la
testa. «Uhm, no... non mi pare».
«Sicuro sicuro?», ritentò la Hyuuga,
avvicinando il viso al suo con aria sospettosa.
Kiba voltò la testa di lato: Hinata era l’unica in
grado di metterlo in imbarazzo.
«Sicuro», rispose, grattandosi una guancia.
«Eri ubriaca... forse te lo sei immaginato».
Ma Hinata era sicura di non essersi immaginata nulla, ciò
significava che Kiba si era pentito
di averle detto quelle parole.
Note dell'autrice:
Non ho nulla da dire su questo capitolo, spero solo che vi
sia piaciuto e che mi farete sapere cosa ne pensate.
Ringrazio chi segue la storia e ha voglia di commentare. Alla prossimo
ed ultimo capitolo ;)
Soly Dea
|
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Capitolo 4 *** L’arrivo della primavera + Extra ***
contest
Hinata
no
haru
[La primavera di Hinata]
#04. L’arrivo della
primavera
Quel giorno il team 8 e il team 10 erano stati convocati
dall’Hokage per una missione piuttosto impegnativa e, dopo
aver viaggiato per l’intera giornata, avevano deciso di
passare la notte in una vecchia locanda. Hinata cominciava ad essere
preoccupata per Ino: aveva detto che presto l’avrebbe
raggiunta, ma il suo futon era ancora vuoto. Avvolgendosi nelle
coperte, la Hyuuga si alzò e uscì in corridoio
per cercare l’amica, quando notò due figure sedute
in un angolo, l’una accanto all’altra. Nella
penombra Hinata riconobbe la folta chioma bionda di Ino e il viso
tatuato di Kiba illuminato dalla luce della luna che penetrava
attraverso la grande finestra del corridoio.
«Non piangere, sei bellissima quando sorridi».
«...non ci starai mica provando con me?».
«E anche se fosse?».
La risata cristallina di Ino rimbombò tra le pareti del
corridoio, mentre Kiba le intimava di fare silenzio, altrimenti avrebbe
svegliato tutti. Hinata abbassò lo sguardo offuscato di
tristezza, stringendosi maggiormente nella coperta che la avvolgeva.
Era da anni che Kiba ci provava con Ino, ma lei non se ne era mai
preoccupata, avendo avuto occhi solo per Naruto. Ma ora... ora le cose
erano ben diverse. Hinata era certa che Kiba, la notte di Natale, le
avesse confessato di amarla, anche se poi il mattino dopo
l’aveva negato, probabilmente per paura o per imbarazzo. E
allora perché lui continuava a rivolgere le sue attenzioni
ad Ino? E soprattutto, perché questo le faceva
così dannatamente male, quasi più male di quanto
le aveva causato guardare Naruto rincorrere Sakura per tutti quegli
anni?
Con un sospiro stanco Hinata rientrò in camera e si mise a
letto. Aveva come la sensazione che quella notte non sarebbe passata
così in fretta.
Dopo aver alloggiato nella locanda, i due team si erano subito rimessi
in cammino per portare a termine la missione. Si spostavano velocemente
e silenziosamente da un albero all’altro.
«Hinata, cos’hai?». Era la terza volta
che Kiba glielo chiedeva nell’arco di una mattinata. Hinata
gli aveva risposto altrettante volte «Nulla, Kiba-kun, sono
solo stanca... quel futon era un po’ scomodo». In
realtà il futon non c’entrava nulla: il motivo per
cui non era riuscita a chiudere occhio era ben diverso, ma questo
Hinata se lo sarebbe tenuto ancora per sé, nascosto nel
cuore, quel cuore che aveva così tanto sofferto e poi
conosciuto un barlume di felicità che però ora
sembrava svanita nel nulla.
«E dai, Hinata... sento che c’è qualcosa
che ti turba».
Hinata lo guardò, sembrava seriamente preoccupato per lei.
Non resistette alla voglia di sapere.
«Kiba-kun», cominciò. «Ricordi
quando mi hai confessato di esserti innamorato di una
ragazza?».
Kiba trasalì, schivando all’ultimo un ramo davanti
a sé. «Sì e allora?».
«È Ino?», gli chiese lei in un sussurro.
«È Ino quella ragazza?».
Dopo qualche attimo di esitazione, Kiba scoppiò a ridere.
«Cosa?! No! È senza dubbio una bella ragazza, ma
lei ama un altro e anche io... amo un’altra». Kiba
sembrava sincero. Hinata si morse il labbro inferiore, indecisa se
continuare o meno.
«E allora perché continui a provarci con
lei?».
«Hai ascoltato la nostra conversazione ieri sera?».
Hinata arrossì, mettendo le mani avanti. «Ti giuro
che non volevo, mi sono ritrovata lì per caso!».
«Aveva litigato con Shikamaru ed io l’ho solo
consolata», le spiegò Kiba.
A Hinata parve tutto più chiaro. Ecco perché Ino
singhiozzava nel cuore della notte, ecco perché Kiba era
stato così carino con lei. Da buon amico qual era, lo
avrebbe fatto con chiunque. Hinata si vergognò di se stessa
per essere subito saltata a conclusioni affrettate.
«Mi dispiace aver dubitato di te, Kiba-kun»,
ammise. «Io...». Non sapeva bene
cos’altro dire. Se ne avesse avuto il coraggio, gli avrebbe
confessato che quella conversazione tra lui e Ino
l’aveva fatta dannatamente ingelosire. Ingelosire... che
strana parola, che strano accostarla a Kiba.
«Non c’è bisogno che ti scusi,
Hinata», rispose l’Inuzuka sorridendo.
Hinata ricambiò il sorriso e per un attimo i loro occhi si
incrociarono senza riuscire a staccarsi. Gli occhi piccoli e ferini di
Kiba scrutavano quelli di Hinata alla ricerca di qualche indizio che lo
portasse a capire perché l’episodio della sera
prima l’avesse tanto turbata. Gli occhi grandi e perlacei di
Hinata scrutavano quelli di Kiba nel tentativo di riversarvi tutto
ciò che non riusciva a tramutare in parole. Fu come se i
loro compagni, il cielo azzurro sopra le loro teste, il verde del bosco
e i suoi rumori fossero miracolosamente scomparsi. Fu come se il tempo
si fosse bloccato.
E fu un errore che costò caro ad entrambi.
«HINATA, KIBA, ATTENTI!».
Avvenne tutto troppo velocemente. Hinata non ebbe tempo a sufficienza
per attivare il Byakuugan e non riuscì a notare il ninja che
precipitava dall’alto di un albero con una siringa in mano.
Ma Kiba fu più veloce: si gettò su di lei per
proteggerla lasciandosi iniettare nel corpo una sostanza che in seguito
sarebbe stata identificata come veleno.
Il corpo di Kiba si afflosciò su quello di Hinata come
privato di tutte le energie.
«Kiba-kun!», urlò la Hyuuga scuotendolo per le
spalle, mentre Akamaru abbaiava preoccupato.
Con un agile balzo Ino li raggiunse. «Hinata, vieni con
me!».
E Hinata non se lo fece ripetere due volte.
I ragazzi si occuparono di sbaragliare i nemici, mentre Ino e Hinata
trasportavano Kiba in un luogo appartato nella foresta. Lo poggiarono
per terra, sembrava svenuto ma gli occhi tremavano sotto le palpebre
chiuse e le labbra erano contratte in una smorfia di dolore.
«Credo che sia stato avvelenato»,
decretò Ino, tirando fuori dalla sua borsa
l’occorrente per rimuovere il veleno dal corpo di Kiba.
Hinata avvertì gli occhi umidi, ma si impose di mantenere la
calma. «Ino, ti prego...».
«Farò del mio meglio», promise la
Yamanaka. «Se Sakura è in grado di farlo, allora
non vedo perché dovrei fallire proprio io».
Formò con le mani una grossa bolla verdognola e la
avvicinò al petto di Kiba. «Saikan Chushutsu no Jutsu*».
La bolla penetrò nel petto e riemerse qualche secondo dopo
portando con sé macchie violacee.
«È il veleno?», chiese Hinata. Ino
annuì e continuò il suo lavoro in silenzio.
Hinata fissava preoccupata il volto contratto di Kiba, cercando di
captare qualsiasi segno di sofferenza o di guarigione. Si era scagliato
verso di lei per proteggerla, come
sempre, e si era beccato le
conseguenze al suo posto, come
sempre. Se solo fosse stata
più attenta, più veloce, se solo avesse attivato
il Byakuugan un secondo prima, avrebbe potuto evitare a Kiba tutta
quella sofferenza. Sarebbe stata disposta anche ad essere avvelenata al
posto suo: in fondo quel veleno era diretto a lei, non a lui. Era colpa
sua se Kiba giaceva su quel prato in quelle condizioni... era sempre
stata solo un peso, per lui e per l’intera quadra.
Cosa ci trovava Kiba di tanto interessante in lei? Hinata si strinse
nelle spalle, strappando un ciuffo d’erba con rabbia.
«Guarda, Hinata, si sta riprendendo». La voce di
Ino la riportò alla realtà. Lo sguardo della
Hyuuga corse velocemente al viso di Kiba, ora più rilassato,
tanto che sembrava stesse dormendo. Quel pensiero le ridiede speranza,
ma non riuscì a cancellare il senso di colpa che le
opprimeva il cuore. Strinse una mano a Kiba, sperando di
infondergli un po’ di forza come faceva sempre lui con lei.
Quando tutto il veleno fu rimosso dal corpo del ragazzo, Hinata si
gettò su Ino, abbracciandola. «Grazie, Ino, sei
stata fantastica».
La Yamanaka ricambiò la stretta, accarezzandole la testa.
«Non commettere il mio stesso errore, Hinata», gli
sussurrò in un orecchio. «Diglielo subito che sei
innamorata di lui o potrebbe essere troppo tardi».
Hinata arrossì di botto. «I-io non sono innamorata
di lui...».
«Oh, certo, e a me non frega nulla dei viaggi di Shikamaru a
Suna!».
Hinata si lasciò sfuggire un sorriso. Forse... forse avrebbe
dovuto seguire il consiglio di Ino, ma prima doveva scusarsi con Kiba.
Scusarsi per tutte quelle volte in cui era caduta e si era appoggiata a
lui per rialzarsi, scusarsi per essersi fatta travolgere da un amore
illusorio, non ricambiato, e per non essersi accorta prima dei
sentimenti che Kiba provava per lei.
Una volta a Konoha, Sakura insistette per fare alcune visite di
controllo a Kiba, nel caso in cui nel suo corpo ci fossero ancora
residui di veleno (cosa che irritò enormemente Ino,
convinta di aver già fatto abbastanza).
Kiba aprì gli occhi, rendendosi conto di essere in un letto
d’ospedale. Mosse un po’ il collo e le gambe...
tutto in ordine. La testa gli faceva male e si sentiva ancora piuttosto
debole ma, ricordando l’iniezione che gli aveva fatto il
nemico nella foresta, tutto sommato se l’era cavata piuttosto
bene, se riusciva ancora a muoversi e formulare pensieri di senso
compiuto.
Non gli ci volle molto per accorgersi della mano che stringeva la sua e
della chioma di capelli blu che invadeva il lato destro del suo letto.
Hinata era seduta su una sedia al suo fianco e dormiva profondamente.
Evidentemente aveva vegliato su di lui per tutto il tempo e, stanca
com’era dalla notte prima, aveva finito per addormentarsi
senza accorgersene.
Kiba sorrise. Era contento che Hinata stesse bene. L’ultimo
ricordo che aveva di lei prima di essere colpito erano i suoi grandi
occhi bianchi sgranati per la paura, con le vene del Byakuugan che
sembravano quasi voler esplodere, e la sua voce che gli rimbombava
nella testa. “Kiba-kun!
Kiba-kun!” Per fortuna era
stato abbastanza veloce da beccarsi quell’iniezione al posto
suo.
Le accarezzò dolcemente la testa e, nel farlo, la
svegliò. Kiba la vide sollevare il viso e stropicciarsi gli
occhi fino ad accorgersi che anche lui era sveglio.
«Kiba-kun!», esclamò infatti,
lasciandogli la mano come se scottasse. «Stai
bene!».
«Certo che sto bene», rispose Kiba, battendosi una mano
sul petto con orgoglio. «Ci vuole ben altro per mettere al
tappeto il grande Kiba Inuzuka!».
Hinata sorrise divertita, poi sembrò ricordarsi
improvvisamente di qualcosa e il suo sguardo si offuscò di
nuovo. «Sei stato avvelenato, sai? È stata Ino a
rimetterti in forma», gli spiegò e Kiba
annuì segnandosi mentalmente di andare a ringraziare la
Yamanaka. «Mi hai fatto prendere un bello spavento... non
farlo mai più», continuò Hinata con un
velo di tristezza.
Kiba scosse la testa. «Tu stai bene ed è questo
l’importante».
«No», ribatté lei con lo sguardo deciso.
«Stavolta no».
Kiba la guardò perplesso. Cosa le prendeva? Era forse
arrabbiata con lui? E per quale motivo poi?
«Ti ringrazio per quello che fai per me, Kiba-kun, ma mi sono
stancata di essere salvata. Non immagini quanto sia frustrante vedere i
miei amici...», fece una pausa, correggendosi,
«...vedere te sacrificarti a causa mia. Non lo
sopporto».
Kiba capì. Capì che Hinata era cresciuta, che non
era più una fragile principessa in pericolo, ma una
guerriera pronta a combattere. Eppure non poteva fare a meno di pararsi
di fronte a lei ogni volta che incombeva un pericolo. Gli veniva
semplice, naturale, come mangiare o camminare.
«Sono io a volerlo, Hinata. Non mi obbliga nessuno».
«Kiba!». Il ninja sussultò. Hinata si
era messa in piedi e aveva poggiato i pugni sul letto, sporgendosi
verso di lui con occhi carichi di determinazione e una punta di rabbia.
Inoltre non aveva usato il –kun, cosa che lo
lasciò interdetto. Quell’onorifico era il modo con
cui lei gli dimostrava affetto e fiducia. Perché non lo
aveva usato?
«Ascoltami bene perché non lo ripeterò
un’altra volta! Prova di nuovo a sacrificarti al posto mio e
dopo sarò io a farti ancora più male! Un bel
pugno qui sopra, proprio come quelli che Sakura dà a
Naruto-kun!». A conferma delle sue parole Hinata
poggiò la mano stretta a pugno sulla testa di Kiba,
lasciandolo a bocca aperta. Dov’era la ragazzina dolce e
innocua che aveva conosciuto qualche anno prima? Chi era quella donna
forte e sicura di sé? Eppure Kiba non poteva fare a meno di
amarle entrambe. Sorrise accondiscendente.
«Va bene, Hinata».
La ragazza, però, non sembrava convinta. Si
avvicinò al suo viso, come per leggergli dentro e scoprire
se stesse mentendo. «Promettimelo!».
«Promesso», terminò Kiba e Hinata si
allontanò soddisfatta.
Che stesse mentendo o no, in realtà non lo sapeva neanche
lui. Non sapeva se in futuro sarebbe stato in grado di starsene con le
mani in mano se Hinata avesse avuto bisogno di aiuto, ma per il momento
era quello che lei aveva bisogno di sentirsi dire per stare in pace con
se stessa e in fondo andava bene così. Quello di cui aveva
bisogno Kiba in quel momento, invece, era una bella doccia e una sana
dormita.
«Ora, però, voglio tornarmene a casa».
Fece per muoversi ma Hinata lo bloccò. «Sakura ha
detto che devi rimanere qui stanotte». Kiba ricadde sul
lettino con un sospiro stanco, ma le successive parole di Hinata gli
scaldarono il cuore e gli ridiedero forza. «Se vuoi posso
rimanere qui con te».
«Davvero lo faresti, Hinata?».
Hinata annuì, arrossendo un po’ sulle guance.
«Certo, tu mi sei stato vicino tante di quelle volte... ora
tocca a me».
Kiba le sorrise, i canini bene in vista, e lei fece altrettanto.
Più tardi Hinata si stese accanto a Kiba ed entrambi si
voltarono su un fianco, così da stare più comodi.
Kiba le circondò la vita, affondando il viso tra i suoi
capelli profumati.
«Buonanotte, Kiba-kun».
«’Notte», rispose lui.
Quando fu sicuro che lei si fosse addormentata, le scostò i
capelli dal collo e le depositò un bacio sulla pelle
scoperta.
Kiba non poteva saperlo, ma Hinata aveva rabbrividito a quel contatto.
***
Hinata correva per il prato premendosi il cappello di paglia sulla
testa per non farlo cadere e il suo vestito a fiori svolazzava
confondendosi con l’ambiente circostante. Kiba aveva quasi la
sensazione che lei volasse perché i suoi piedi, infilati in
un paio di graziosi sandali, non calpestavano duramente il suolo, ma
avanzavano leggeri come dotati di piccole ali.
Sembrava un angelo, Hinata, mentre si fermava in mezzo al prato e
gettava le braccia al cielo sgombro di nuvole per poi volteggiare su se
stessa e ridere, ridere felice e spensierata, e lasciare che la sua
risata cristallina riecheggiasse nell’aria. Kiba, steso sul
prato a pochi passi da lei, si lasciò presto contagiare: un
po’ perché Hinata era davvero buffa, un
po’ perché quel suo volteggiare faceva sollevare
continuamente la gonna e gli permetteva di intravedere le cosce bianche
della ragazza [e poco più su] e il che rendeva Kiba
imbarazzato ed euforico al tempo stesso.
Povera, piccola, innocente Hinata, ignara di cosa fosse in grado di
scatenare nel suo cuore [e nei suoi pantaloni...].
«Amo la primavera!», esordì la Hyuuga,
riportandolo alla realtà.
«Hai detto lo stesso dell’autunno e
dell’inverno, Hinata», le fece notare lui.
La ragazza smise di volteggiare e lo guardò contrariata.
«Ma la primavera...», cominciò, cercando
le parole adatte, «...insomma, è la
primavera!», concluse infine come se fosse la cosa
più ovvia del mondo. Si chinò sul prato, stando
ben attenta a non spiegazzare il suo bel vestito. «Ci sono i
fiori...», spiegò, strappando una margherita da
terra con delicatezza, quasi non volesse farle male, per poi
rigirarsela tra le dita. Dopo qualche secondo tornò in piedi
e alzò gli occhi al cielo. «... fa più
caldo e anche se c’è vento è piacevole.
Qualche volta piove, ma tanto torna sempre il sole». Qualche volta piove, ma tanto
torna sempre il sole.
Kiba pensò che quella frase rappresentasse perfettamente la
vita di Hinata. Aveva piovuto diverse volte nel suo cuore –
prima a causa dell’accanimento della rigida casata Hyuuga su
di lei, poi per la scomparsa di Neji, infine per il rifiuto di Naruto
– ma era sempre tornato il sole, bello, caldo, luminoso, in
grado di spazzare via la tristezza e le paure. E Kiba si sentiva
così fortunato all’idea di poter godere, anche
solo in parte, di quel bellissimo sole.
Mentre rifletteva, Hinata l’aveva raggiunto e si era chinata
verso di lui, le mani strette dietro la schiena e un sorriso birichino
stampato sul volto mentre continuava la sua descrizione di quella
stagione. «Ma soprattutto, in primavera, si può
stare stesi su un prato a guardare le nuvole senza fare nulla, vero
Kiba-kun?», lo punzecchiò, alludendo alla sua
pigrizia.
«Ah sì?», rispose l’Inuzuka
sorridendo malizioso. Approfittò della vicinanza di Hinata
per afferrarle un braccio e la tirò verso di sé.
Hinata perse l’equilibrio ed ebbe appena il tempo di sgranare
gli occhi e urlare «Kiba-kun!» prima di cadere in
avanti e ritrovarsi spalmata sul corpo del compagno. Quando
sollevò il viso e incrociò gli occhi di Kiba,
però, Hinata non trovò alcun motivo per
lamentarsi e scoppiò a ridere di nuovo, con lui che la
seguì a ruota. Risero, risero di cuore finché le
loro risate non scemarono nell’aria trasportate via dal vento.
Quando i loro occhi si incontrarono nuovamente, imbarazzati, Kiba prese
la margherita dalla mano di Hinata e gliela sistemò
delicatamente tra i capelli. Hinata arrossì e
abbassò lo sguardo, incapace di sostenere quello
dell’amico – amico?
Kiba pensò che quello era il momento perfetto per
dichiararsi. Hinata era così vicina a lui, così
bella, così spensierata, e l’atmosfera tra loro si
era fatta così romantica e l’amore che Hinata
aveva provato per Naruto ora sembrava solo un ricordo lontano e lui non
sapeva esattamente cosa dire e come dirlo, ma dover pur dire qualcosa.
«Hinata, io...».
«Sssh». Hinata gli tappò la bocca con un
dito, stupendolo. Sorrise e il rossore sulle sue guance
sembrò intensificarsi. «Io lo so da un
po’ di tempo, ormai. E credo... credo di provare lo
stesso».
Hinata chiuse la bocca e poi la riaprì come desiderosa di
aggiungere qualcos’altro, ma Kiba non gliene diede la
possibilità. Hinata sapeva e lo amava... sapeva e lo amava!
Le avvolse la schiena con entrambe le braccia e se la strinse al petto.
Hinata si lasciò abbracciare nonostante la posizione
scomoda, l’imbarazzo e il cuore che minacciava di scoppiarle
nel petto. Avrebbe voluto ricambiare l’abbraccio ma Kiba la
stringeva in maniera così decisa da impedirle di sollevarle
le braccia. Quando poi lui la allontanò da sé,
Hinata non fece in tempo a muovere un solo muscolo che si
ritrovò con le labbra premute contro quelle di lui.
Una folata di vento le sollevò il cappello dalla testa
trascinandolo via, ma non le importò.
Era il suo primo bacio e non lo aveva dato a Naruto, eppure
pensò che quel momento fosse a dir poco perfetto e che non
avrebbe voluto trovarsi da nessun’altra parte se non
lì, stesa su quel prato insieme a Kiba Inuzuka, il suo
compagno di team, il suo migliore amico, che la amava da sempre e che
aveva scoperto tardi (ma non troppo tardi) di ricambiare.
Quando si staccarono, Hinata sorrise poggiando la fronte contro quella
di Kiba e si sentì in dovere di puntualizzare la cosa
più importante.
«Voglio stare con te, Kiba-kun, e non come ripiego.
Capisci?».
Kiba notò che gli occhi di Hinata non avevano mai brillato
così tanto, nemmeno per Naruto. Sorrise a sua volta, felice
come mai in vita sua, e le sistemò una ciocca scura dietro
l’orecchio.
«Sì, Hinata».
Era arrivata la primavera, la primavera di Hinata.
Extra
Hinata no natsu –
L’estate di Hinata
Seduto per terra a gambe incrociate, Kiba
pensava che Hinata, seduta a sua volta di fronte a lui contro il tronco
di un albero,
non gli stesse prestando minimamente attenzione, intenta
com’era a sfogliare con occhi avidi le pagine di un libro
vecchio e polveroso. Un libro di antiche tecniche della famiglia Hyuuga
che Hinata aveva trovato per caso in un baule in soffitta durante le
pulizie di primavera.
La canottiera dalla scollatura moderata non riusciva a nascondere le
forme generose. E i capelli lisci e lucidi, raccolti in due bande ai
lati del viso, scendevano sul petto in contrasto con la pelle
chiarissima, facendola sembrare una fragile bambola di porcellana.
Forse il caldo estivo gli aveva dato alla testa, ma mai come quel
giorno Kiba sentiva il desiderio prepotente di strappare il libro dalle
piccole mani bianche di Hinata e baciarla, baciarla fino a toglierle il
respiro, e poi farci l’amore per tutto il pomeriggio,
lì, contro quell’albero. Diamine, era pur sempre
un giovane uomo con gli ormoni in subbuglio e una bellissima fidanzata
con la quale non era andato oltre i baci...
Kiba credeva che Hinata non sospettasse nulla di tutte quelle
attenzioni, ma la verità era che in un’ora la
Hyuuga era riuscita a leggere solo una misera pagina, incapace di
andare avanti a causa delle occhiate che Kiba le rivolgeva. Hinata non
se ne era lasciata sfuggire nemmeno una. Erano occhiate cariche di
sentimento, di desiderio, di passione. Quel desiderio infuocava gli
occhi ferini di Kiba, rendendoli liquidi, annebbiati. Quella voglia
irrefrenabile di toccarla non gli permetteva di starsene rilassato, lo
costringeva a stringere i pugni e deglutire per non mostrarsi
così disperatamente innamorato, bisognoso, voglioso di lei.
Kiba non poteva capire cosa quelle occhiate scatenassero
nell’animo di Hinata, che percepiva quel desiderio quasi
staccarsi dal corpo del compagno, vibrare nell’aria e
raggiungerla, posandosi su di lei. Il desiderio di Kiba le bruciava
sulla pelle diventando il suo stesso desiderio. Se le mani di Kiba
tremavano dalla voglia di affondare le dita tra i suoi capelli, allo
stesso modo Hinata avrebbe voluto accarezzare i suoi piuttosto che la
carta ruvida del libro. Così Kiba moriva dalla voglia di
baciarla, di toccarla, di farla sua, e Hinata lo sentiva e percepiva lo
stesso desiderio. Lo condivideva disperatamente. E se aveva resistito a
quel desiderio per tutta la primavera, era solo perché aveva
bisogno di conferme, di certezze, di trovare il coraggio e il momento
giusto.
Era qualcosa di nuovo, di mai provato. Solo un anno prima Naruto le
aveva gentilmente spiegato che il suo cuore apparteneva ad
un’altra e Hinata si era imposta di andare avanti, cadendo
miseramente. C’erano state le lacrime, le notti insonni, i
falsi sorrisi. Ma Kiba non si era mai allontanato, continuando ad
asciugarle le guance umide e a sussurrarle che era bellissima e che
Naruto non meritava il suo amore.
Era stato allora che Hinata si era accorta di quanto Kiba tenesse a
lei. Quella scoperta le aveva riportato il sorriso sul volto: sentirsi
amata, sentirsi donna era qualcosa che non le era mai capitato. E le
piaceva tremendamente, le faceva battere forte il cuore, la faceva
arrossire e desiderare qualcosa di più di una carezza o un
abbraccio. Aveva amato Naruto in modo platonico, con Kiba stava
scoprendo tutte le altre sfaccettature dell’amore. La
sessualità, ad esempio.
E non ci stava capendo davvero nulla di quel libro. Con un sospiro
rassegnato lo richiuse e lo poggiò per terra.
Quando alzò lo sguardo, Kiba la stava fissando con
un’intensità tale da farle tremare le gambe.
Hinata lo sapeva: per quanto lui fosse un tipo libertino, impulsivo,
non avrebbe mai fatto nulla senza il suo permesso. Aveva bisogno di un
segnale, di una spinta. Hinata si morse il labbro inferiore mentre
raccoglieva tutto il coraggio che aveva in corpo e andava a sedersi
accanto a lui, afferrandogli le mani per stringerle nelle sue. Lo
guardò negli occhi arrossendo come una bambina. Era quello
il momento giusto. O forse il momento giusto non esisteva, forse Hinata
aveva solo bisogno di essere amata e di amare in ogni modo umanamente
possibile.
«Sarebbe bello, no,
Kiba-kun?, fare l’amore qui, all’ombra
di quest’albero».
E quello bastò affinché Kiba le saltasse addosso
e la baciasse e le dicesse che l’amava e l’aveva
sempre amata e le togliesse tutti i vestiti di dosso per stringerla a
sé, pelle contro pelle, in un quell’afoso
pomeriggio d’estate.
*Saikan Chushutsu no Jutsu:
tecnica usata da Sakura in Naruto Shippuden per rimuovere il
veleno dal corpo di Kankuro
Note dell'autrice:
Pubblico il quarto capitolo di questa mini-long dopo tipo
3 anni e spero che perdonerete questo immenso ritardo, ma per vari
motivi mi ero allontanata dal mondo della scrittura e degli
anime/manga. Grazie
per le recensioni ai precedenti capitoli, la storia si conclude qui.
Alla prossima!
Soly Dea
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