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Il ristorante “Nekomata” era aperto
da nemmeno un ora e già aveva fatto tutto esaurito.
Il Maître, una giovane donna dai
lunghi capelli scuri appena ondulati, raccolti per l’occasione in una coda alta,
osservava dalla sua postazione la sala gremita e i camerieri danzare attraverso
i tavoli con grande soddisfazione.
Un leggero sorriso e tornava alle sue
mansioni.
Poggiata sopra un piccolo leggio
rialzato, illuminato da una abat-jour molto semplice, stava il registro delle
prenotazioni e non poté fare a meno di sentirsi ancora più orgogliosa e
soddisfatta; le prenotazioni arrivavano fino alle dieci di sera inoltrate.
“Questo in barba a tutti quelli che
dicevano che a ventisette anni non potevo raggiungere niente”.
Afferrò la penna poggiata nel libro e
cominciò a fare alcuni segni accanto ai nomi delle persone arrivate. Per lo più
si trattava di clienti abituali, altri erano uomini d’affari in città per
lavoro e desiderosi di mangiare in un posto elegante.
Il “Nekomata” era uno dei pochi
ristoranti in città che forniva ai suoi clienti un intreccio tra la cucina
occidentale con quella tradizionale, unito a un’atmosfera intima ed elegante
che permetteva ai suoi ospiti di rilassarsi e farsi viziare dallo staff che
lavorava alacremente e senza sosta per fornire il miglior servizio della città.
Quando il proprietario, dopo attenta
valutazione, l’aveva nominata Maître aveva sentito il cuore scoppiare dalla
felicità e si era data molto da fare per non deludere le speranze che le
venivano riposte.
Terminato il suo lavoro di controllo
tornò a guardare la sala.
Il parquet era coperto da una
finissima moquette che attutiva i suoni delle sedie quando queste venivano
spostate, l’immensa sala, che poteva ospitare fino a un massimo di duecento
coperti, era su uno stile antico che richiamava il gusto della tradizione
occidentale e un immenso lampadario con finte candele spiccava nel centro
esatto della sala.
Su ogni tavolo, invece, era posta una
piccola candela sopra un candelabro finemente ornato e di color argento. Su di
esso era impresso il logo del locale. I clienti andavano dai demoni agli esseri
umani.
Uno dei pochi momenti, pensò, in cui
nessuno si guardava con sospetto e dove potevano tranquillamente dialogare di affari
senza dover per forza alzare la voce. Infatti, solo un sommesso mormorio
percorreva la sala mentre una musica rilassante veniva diffusa dagli
altoparlanti, posti in punti strategici e nascosti alla vista dei clienti.
« Kagome … »
La voce di una ragazza arrivò alle
sue orecchie, risvegliandola dai suoi pensieri e catapultandola nuovamente
nella ragazza.
Era minuta, e molto, alla vista era
solamente una bambina con capelli argentei ornati da piccoli fiori ma in realtà
era un demone. Un demone particolare, a detta di molti, in quanto priva di un
odore particolare e di una qualsiasi aura demoniaca. Lavorava come contabile e
prendeva le telefonate durante gli orari di lavoro, nonostante l’apparenza era
un demone da molti, molti più anni di quanto Kagome osasse pensare.
« Dimmi Kanna. »
« C’è una chiamata per te. »
« Per me, dici? »
La bambina annuì e senza dire altro
la precedette negli uffici al piano superiore.
Si guardò un attimo attorno, cercando
uno dei suoi Chef de rang libero da impegni. Adocchiatone uno fece cenno di
avvicinarsi, pregandolo di tenere d’occhio la sala mentre lei andava a prendere
la telefonata.
“Che strano”, si trovò
improvvisamente a pensare, “Kanna non mi avrebbe mai disturbato se la chiamata
non fosse urgente. Sarà Sota? Sarà successo qualcosa al nonno? No, sa che in
quel caso mi deve chiamare sul cellulare e non a lavoro”.
Suo nonno era di salute cagionevole a
causa dell’età avanzata, qualche anno fa, prima della sua promozione, aveva
avuto un infarto al quale si era salvato solo per miracolo. Da quel giorno,
aveva detto a Sota, suo fratello minore, di chiamarla sempre sul cellulare che
portava con se in sala per poterla raggiungere immediatamente in caso di
pericolo o problemi di qualsiasi natura.
Attraversò la sala e aprì una porta
in legno scorrevole con sopra una targhetta placcata in oro con scritto
“staff”, al di là di essa c’erano delle scale e senza indugio le percorse fino
agli uffici e spogliatoi del piano superiore.
L’arredamento era molto meno
elegante, certo, ma non per questo meno curato. L’ufficio del proprietario,
dove Kanna lavorava alla contabilità, era in fondo al lungo corridoio. Il
rumore delle sue scarpe risuonava in quella quiete irreale.
Le mani salirono sino alla nuca per sciogliere
la coda e lasciando i capelli sciolti, liberi di ricadere sulle spalle e
incorniciando il viso dai lineamenti delicati.
Aperta la porta dell’ufficio del
proprietario trovò Kanna, seduta su una poltrona scura più grande di lei,
intenta a fare i suoi conti su una scrivania di mogano pregiato. Il telefono
era proprio poggiato lì, la spia luminosa dell’attesa attivata.
« Pronto, sono Kagome Higurashi … ? »
esordì, rispondendo dopo aver opportunamente tolto l’attesa di chiamata.
« Buonasera, signorina Higurashi, io
mi chiamo Sumisu Totosai e sono l’avvocato che ha curato il testamento della
sua defunta madre. »
« Il testamento della mamma? »
Kagome corrugò le sopracciglia mentre
ascoltava le parole di quell’anziano uomo.
« Mia madre non ha lasciato un testamento
vero e proprio, mi creda, forse ha sbagliato persona. »
« No, no … mi creda. Non ci sono
sbagli. »
« Mia madre è morta moltissimi anni
fa, quindi, creda a me, ha proprio sbagliato persona. »
Sospirò appena, ripensando al passato
e riflettendo sull’assurdità di quell’avvocato.
Forse, pensò, la vecchiaia aveva
rammollito il cervello che ora annacquava e non capiva le parole che lei gli
diceva.
« Signorina Higurashi, la persona che
ha firmato il testamento che ho qui sottomano è la signora Yukiji Higurashi e
uno degli eredi designati è proprio lei, signorina Kagome Higurashi. »
Si portò due dita sulla fronte,
riflettendo.
Sua madre aveva fatto un testamento?
Se è così, pensò, per quale motivo non ne avevano saputo nulla fino a quella
sera.
« Ho bisogno che mi raggiunga il più
presto possibile. »
« Ecco … Veramente starei lavorando,
signor Sumisu, non sarebbe possibile rimandare a domani mattina? »
Non poteva assolutamente allontanarsi
dal ristorante con così poco preavviso, senza contare che dopo, nemmeno una
mezz’ora, sarebbe arrivata la vera e propria ressa e ci voleva qualcuno che
organizzasse perfettamente la gestione della sala per evitare problemi.
« Temo di no, signorina, e mi creda
ho avuto anche io problemi a riguardo. »
Adesso la sua espressione appariva
chiaramente perplessa.
In effetti, aveva troppe domande da
fare, e sembrava non avere molta altra scelta a riguardo, per cui sospirò e
decise di accettare quell’incontro.
Afferrò una penna e uno dei post-it
usati da Kanna e segnò l’indirizzo dell’avvocato e chiuse la telefonata.
“Che scocciatura … Affiderò il
ristorante a Miroku, temo di non avere altra scelta”.
Spiegò velocemente la situazione a
Kanna e la pregò di farlo sapere al suo principale, Naraku, la piccola demone
si limitò ad annuire con un cenno del capo mentre tornava ai suoi doveri.
Kagome nel frattempo uscì dall’ufficio, raggiunse la prima porta sulla destra
ed entrò nello spogliatoio del personale. Dal suo armadietto riprese la giacca
e la borsa, per il resto era pronta. La sua divisa sarebbe andata più che bene.
Pantaloncini scuri a “sigaretta”,
stretti ed eleganti lungo le gambe che fasciavano con cura, una camicia bianca
e un giacchetto, anch’esso scuro, ma abbastanza elegante. Il tutto abbinato con
scarpe dal tacco basso.
Scesa in sala fermò un cameriere e
gli riferì prontamente il cambio di programma della serata affidato ora alle
abili mani di Miroku, il suo vice, per così dire, il quale doveva occuparsi
anche della chiusura.
Preso un taxi e dato l’indirizzo si
rilassò sul sedile posteriore, riflettendo sulla telefonata appena ricevuta e
su quello che comportava.
Sua madre era morta quando aveva solo
quattordici anni, ma era malata da tempo e in cura presso l’ospedale centrale.
Suo nonno si era preso cura di lei e di Sota, ancora piccolo a quei tempi, ma
non le aveva mai accennato a un testamento a riguardo.
“Perché non ne sapeva nulla nemmeno
il nonno? O forse, sapeva qualcosa ma ha preferito non farne parola?”
Nella sua mente, Kagome stava
cercando di mettere ogni cosa in ordine. Ogni singolo tassello.
Doveva trovare una spiegazione logica
e convincente, doveva e l’avrebbe fatto.
Il taxi si fermò. Ormai era arrivata.
Pagò velocemente l’uomo e scese dal
veicolo osservando l’edificio davanti a se. Non era niente di eccezionale, anzi,
era un comune palazzo adatto ad ospitare uffici – questo lo si poteva giudicare
anche soltanto dalle vetrate che lo ricoprivano.
Camminò verso il portone e suonò il
citofono con l’etichetta “studio legale Sumisu”. Un rumore sordo e la porta si
aprì, sospirando appena, entrando si accorse che sull’ascensore vi era una
specie di legenda dei piani attaccata vicino ai pulsanti di chiamata.
“Se non altro questo spiega perché
non ho sentito nessuno darmi spiegazioni”.
Chiamò l’ascensore e una volta
arrivato premette il pulsante con sopra segnato quattro. Una volta raggiunto il
piano trovò la porta dello studio semi aperta, una lieve luce filtrava
dall’interno e lentamente aprì la porta bussando.
Lo studio era arredato con un gusto
molto moderno, niente a che vedere con il ristorante, pensò Kagome sorridendo,
chiudendo la porta alle sue spalle mentre dal fondo del corridoio d’ingresso ne
veniva aperta un’altra.
Vi emerse un vecchio demone, la
fronte rasata e i capelli bianchi, ancora folti, erano legati in una piccola
coda alta dietro la nuca.
Kagome abbozzò un sorriso di cortesia
mentre si avvicinava, allungando la mano verso l’avvocato, vestito elegante
quanto lei, il quale ricambiò la stretta con prontezza.
« Buonasera, signor Sumisu. »
« Niente formalità, la prego, mi
chiami pure Totosai. Sono troppo vecchio ormai, essere chiamato signore non fa
proprio per me. » replicò bonariamente, sorprendo Kagome con quella richiesta
di semplicità.
Questi le fece cenno di accomodarsi
nella stanza da cui era uscito, aprendo meglio la porta a vetri per permetterle
di entrare.
La stanza, come si poteva notare dal
corridoio, si rivelò davvero essere arredata in stile moderno. Niente mobili in
legno pregiato, ma una scrivania lucidissima e coperta di scartoffie, due
divani si trovavano ai lati della stanza e davanti alla scrivania c’erano due
sedie in similpelle.
« Sorellina! »
La voce del fratello la riscosse
completamente, rendendosi conto solo in quel momento che su uno dei divani,
quello di destra, c’era suo fratello e il nonno.
« Sota! Nonno! Ma cosa … ? »
Il fratello e il nonno scrollarono le
spalle, spostando lo sguardo verso l’avvocato, nuovamente seduto sulla sua
sedia e intento a guardare l’ora sul suo orologio.
« Era importante che ci foste tutti.
Tra poco saliranno altre persone
coinvolte nel testamento. »
“Altre persone … ?”
« Mi scusi, signor avvocato, ma sta
parlando del testamento di mia nuora e gradirei sapere cosa sta accadendo! »
La voce del nonno tuonò imperiosa
nell’ufficio dell’uomo, Sota e Kagome annuirono entrambi. La ragazza aveva
poggiato una mano sopra la spalla del fratello, sorridendogli e sussurrandogli
poche parole: “lasciamo che se ne occupi il nonno”.
« Mi dispiace, signor Higurashi, ma
non c’è niente che posso fare a riguardo. Appena arriveranno gli ultimi ospiti
potrò spiegarvi tutto. »
Kagome osservò suo fratello
preoccupata.
Quando sua madre era morta lui aveva solo quattro anni, di lei non ricorda
niente. Nulla.
L’unico ricordo legame con una madre
che non ricorda sono delle fotografie e dei vecchi filmini, solamente questo, e
l’idea che fosse lì, ora, ascoltando un misterioso testamento la rendeva
inquieta. Non voleva causare a suo fratello nessun dolore.
Il nonno tornò a sedersi,
visibilmente seccato per non aver ricevuto una risposta, aiutato da Sota si
accomodò accanto a lui su quel divano a due posti mentre a Kagome non rimase
altro che sedersi davanti all’avvocato.
« Mi scusi, Totosai, potrei sapere
chi sono le persone che stiamo aspettando? » domandò Kagome, cercando di
spezzare la tensione che si era venuta a creare.
L’uomo non poteva, o voleva, parlare
del testamento che sua madre aveva lasciato e quindi, pensò Kagome, era meglio
avere altre informazioni per cercare di capire meglio quella situazione.
L’uomo si accarezzò con le mani la
barbetta sul mento, pensieroso e chiaramente indeciso se rivelarle o meno
quell’informazioni.
« Una famiglia di demoni cane, circa.
»
“Circa? O lo sono, o non lo sono”.
Assottigliò lo sguardo per fissare la
sua attenzione su quell’anziano avvocato, si chiedeva se la stava prendendo in
giro oppure, come aveva inizialmente pensato, si fosse bevuto l’intero cervello
con un pochino di seltz incluso.
“Inutile, da questo vecchietto non ne
caverò un ragno da un buco. Splendido, davvero”.
Il nonno sembrava essersi stizzito
quando aveva nominato la parola “demoni”, ma essendo lui un sacerdote, custode
del tempio di famiglia, era abbastanza normale.
Sorrise e in quel momento il citofono
nello studio suonò. Un suono sordo, acuto e abbastanza prolungato.
« Oh bene, alla fine sono arrivati. »
L’avvocato sembrò illuminarsi in quel
momento, sollevato e meno in tensione di quando lo aveva sentito al telefono
qualche minuto prima. Non attesero molto prima che la porta dello studio venne
aperta.
Kagome si girò sulla sedia, restando
con il busto lateralmente e davanti ai suoi occhi c’era uno spettacolo che non
capitava di vedere tutti i giorni.
Il primo a entrare fu un demone dai
lineamenti spigolosi, ruvidi per l’età, incuteva un certo timore e rispetto con
quei lunghi capelli argentei e quegli strani segni sul viso. Indossava un
kimono abbastanza elegante mentre teneva le mani nascoste nei risvolti dello
stesso, gli occhi ambrati si posarono proprio su Kagome che per poco non trasalì
come non le capitava da anni. Eppure, quello sguardo era in qualche modo
gentile.
Un cenno di saluto verso l’avvocato,
il quale si alzò, entusiasta e felice, andando a poggiare le mani sulle spalle
dell’uomo che ricambiò il gesto.
« E’ sempre un piacere rivederti,
amico mio. Vedo che sei in gran forma, come sempre. »
Il demone annuì, sorridendo appena e
scuotendo il capo.
« Il tempo passa anche per me,
purtroppo, non sono più forte come una volta. Dimmi, Totosai … » lo sguardo
ambrato del demone tornò su Kagome, sorridendole cordiale, spostandosi poi sul
resto della sua famiglia e sul nonno che gli lanciava occhiate di fuoco.
« Sono loro, vero? »
L’avvocato annuì, nel frattempo
entrarono altre due persone nello studio. Due ragazzi, per la precisione.
Il primo, somigliava molto al demone
che lo aveva preceduto ma, allo stesso tempo, c’era qualcosa di diverso nelle
sue iridi ambrate e nei lineamenti aggraziati ed eleganti. Kagome lo guardò a
lungo, sorpresa da se stessa, incapace di spostare lo sguardo da quella figura
così elegante ma fredda. Sì, quel demone, rispetto all’austerità che emanava
l’altro, era più “glaciale” nei modi e nelle movenze; era come se fosse
superiore a tutto quanto.
Non disse nulla, prese posto a sedere
sul divano e attese con pazienza il termine di tutte quelle cerimonie. L’ultimo
ad entrare fu quello che attirò maggiormente la sua attenzione.
Sembrava la personificazione del
detto “una mosca nel miele”, letteralmente.
Era un bellissimo ragazzo, al pari
del predecessore, lunghi capelli argentei e occhi dorati ma ciò che attirò
maggiormente l’attenzione di Kagome non fu la sua bellezza. Ad attirarla furono
due simpatiche orecchie da cane che spuntavano sulla sua nuca, gli occhi di
Kagome presero a brillare mentre le guardava.
“Cosa non darei per toccarle! Scommetto che sono morbidissime!”
Faticò parecchio a trattenersi dal
compiere quel gesto che sarebbe apparso molto più che scortese, prese un
profondo respiro e tenne le mani ferme al loro posto.
Quest’ultimo ragazzo non era solo diverso
a livello estetico, c’era anche dell’altro che non riusciva a inquadrare bene e
così si fissò a studiarlo un po’ troppo intensamente.
“I suoi vestiti sono più semplici … E
quelle occhiaie? Santo cielo, da quanti giorni non dorme?”
Rispetto a tutti i presenti, escluso
Sota, indossavano abiti formali o particolarmente eleganti. Lui, invece, era
arrivato con un paio di semplici jeans e un maglione con la giacca appoggiata a
un braccio.
Quando il suo sguardo color dell’oro
si spostò su Kagome questa spostò lo sguardo, scattando come una molla e
prendendo a torturarsi il labbro con i denti. L’aveva vista. Aveva visto che lo
stava fissando.
Se non si fosse spostata, però,
avrebbe potuto scorgere un piccolo sorriso increspare le labbra del giovane
demone.
« Bene, ora che ci siamo tutti direi
di cominciare! » esordì Totosai, facendo accomodare Inuyasha sulla sedia vicino
alla scrivania.
Calò un lungo, lunghissimo silenzio
che coprì la stanza come un velo per almeno dieci minuti buoni.
« Prima di cominciare, ragazzi … » lo
sguardo del demone si fissò in quello dei due ragazzi che aveva di fronte a se.
« Avete familiarità con il concetto della tontina*?
»
« Tontina? »
« In pratica è una sorta di contratto, simile ad
un’assicurazione sulla vita. Alla morte di uno dei membri, gli altri si possono
dividere la rendita che ne è generata. »
A parlare non fu altro che il giovane demone dai
lunghi capelli argentei, seduto sul divano.
« Molto bene, Sesshomaru. » si complimentò
l’avvocato, tornando a guardare i due giovani davanti a lui.
Kagome era sempre più confusa, lanciò una rapida
occhiata a suo nonno e suo fratello e anche loro, come lei, sembravano non
capire cosa centrasse questa storia con la loro madre.
« Scusi, ma cosa centra questa tontina con mia
madre? »
« … e con la mia, aggiungerei. » aggiunse il
ragazzo accanto a lei, sorprendendola con quel tono di voce basso e profondo.
Alle sue parole seguì un profondo e lungo
sbadiglio, gli occhi velati dalla stanchezza e sembrava sul punto di
addormentarsi da un momento all’altro.
« Un attimo di pazienza e ci arrivo! Inuyasha,
sei sempre il solito impaziente. »
“Inuyasha? Così questo ragazzo si chiama …
Inuyasha. Strano, mi sembra di averlo già sentito nominare. Molto tempo fa … “
I suoi ricordi erano una nebbia confusa e
incerta, piena di buchi e ormai completamente incolmabili.
Spostò lo sguardo verso di lui, osservandolo
ancora una volta e giungendo alla conclusione che no, non poteva averlo mai
visto prima di quel momento. Inuyasha, invece, la scrutò appena senza perdere
quel leggero sorriso che aveva sulle labbra.
« La signora Yukiji Higurashi e la signora
Izayoi Setsuna hanno stipulato una tontina, almeno qualcosa di molto simile
giudicando da quello che ho qui. L’avvocato Saya, uno dei miei colleghi,
purtroppo non è reperibile al momento e quindi sono costretto a sbrigare io
questa pratica. »
“In pratica, ha scaricato il barile e si è dato
alla macchia”.
Fu il pensiero comune di tutti mentre guardavano
l’espressione dell’avvocato Totosai, le dita frenetiche passavano al setaccio i
documenti e tutti i fogli presenti in quel piccolo raccoglitore verde.
« Normalmente, questo genere di cose vengono
sbrigate subito ma questo contratto è molto particolare. La signora Higurashi è
stata la prima a lasciare questo mondo, mentre la signora Izayoi è venuta a
mancare circa un anno fa. »
Lo sguardo di Kagome tornò a posarsi su quello
del ragazzo, Inuyasha, osservando la sua espressione cambiare da assonnata a
concentrato. I suoi occhi erano stanchi, ma in essi si poteva scorgere anche
una profonda malinconia.
Lo stesso sguardo lo ritrovò anche nell’uomo che
per primo era entrato, il padre sicuramente, teneva il capo chino e scuoteva
più volte il capo come affranto. L’unico che non sembrava turbato era il demone
chiamato Sesshomaru, confermando l’ipotesi di Kagome che doveva trattarsi di un
tipo di persona incapace di esternare i suoi sentimenti.
« Vecchio … » esordì quest’ultimo, con voce
glaciale e facendo trasalire l’intero studio. « Vedi di arrivare al punto. »
« Ci stavo arrivando, se mi fai finire di
parlare … » borbottò in risposta l’avvocato, il tono della voce deciso ma
velato da una certa nota di terrore.
« Stavo dicendo, il contratto di tontina che
hanno stipulato le vostre madri è molto particolare ma ugualmente legale. Alla
morte di entrambe, dopo un anno, questo contratto diventa vincolante e lega voi
due ragazzi … » tornò ad indicare con dei cenni i due ragazzi davanti a lui.
Kagome deglutì, decisamente spaventata e meno
incline di sapere il contenuto di quel contratto. Ora più che mai, sentiva il
bisogno di alzarsi e di tornare a lavorare al ristorante. Tornare alla
stabilità e alla quiete.
« Mi dispiace dirvelo, ma da oggi siete
ufficialmente sposati. »
« Cosa?! »
*Glossario:
La tontina prende il nome dal suo
ideatore, Lorenzo Tonti, è un’operazione finanziaria in cui si viene a
costituire una rendita vitalizia, il più delle volte aiutati dallo Stato. Alla
morte di uno dei contraenti, la sua parte veniva divisa tra gli altri
contraenti e alla morte di tutti i soci l’intero capitale passava allo Stato. Per
questa storia mi sono ispirata a questa forma di contratto, modificandone i
termini e tutto.
Salve a tutti!
Eccomi qui, con un nuovo esperimento. In questo periodo mi sento in vena di
provare cose sempre nuove.
La storia sarà una commedia romantica molto semplice, in realtà, ma per
me sarà la prima volta che ne scrivo una. Nella maggior parte delle storie che
ho scritto, anche in passato eh, l’amore era solo da cornice e non faceva mai
parte della storia in sé vera e propria. Questa volta, il sentimento romantico
sarà il vero protagonista.
Spero solo che il modo in cui deciderò di narrare la storia vi possa
piacere. Fatemi sapere le vostre impressioni e le vostre critiche nei commenti.
Ricordo, inoltre, le altre storie alle quali sto lavorando “Il marchio
del Drago” – capitoli in uscita ogni mercoledì e “9 persons; 9 hours; 9
doors;” in uscita di volta in volta alla settimana.
Un abbraccio forte a tutti voi
L’eco di un tonfo infranse la quiete mattutina
del “Nekomata”.
« Che cosa?! Sei … Sei sposata?! »
A battere con forza le mani sul tavolo, colta in
contropiede da quella rivelazione, altri non era stata una ragazza. Alta,
lunghi capelli scuri trattenuti in una coda alta e la divisa della cucina con
il logo del ristorante sulla maglia bianca.
Kagome poggiò l’indice sulle labbra per farle
segno di non urlare, decisa a non attirare più del dovuto l’attenzione.
« Non gridare, Sango, alcuni si stanno cambiando
al piano di sopra e con il tuo tono di voce ti avranno sentita fino in Africa.
»
La giovane sembrò così rendersi conto della
situazione e sospirò, scusandosi con un sommesso borbottio e rialzando la sedia
che aveva fatto cadere per lo stupore.
Kagome conosceva molto bene Sango, erano amiche
da tantissimi anni ormai. Si erano conosciute quando il ristorante aveva
aperto, all’inizio era solo un aiuto cuoco come gli altri ma la sua bravura, la
sua tenacia e resistenza, l’avevano portata alla promozione proprio com’era
accaduto anche lei. Adesso era lo Chef ufficiale e riconosciuto del ristorante,
una delle migliori della città e la più abile a gestire le comande durante
l’ora di punta.
« Sul serio, Kagome, stai scherzando vero? »
domandò nuovamente sedendosi al tavolo, poggiò il gomito sopra la superficie in
legno, coperta da una tovaglia scura semplice.
Nel palmo aperto appoggiò il mento, osservando
l’amica e collega con un’espressione indecifrabile. Un misto tra il preoccupato
e la perplessità.
Kagome sospirò, scuotendo il capo per l’ennesima
volta e guardando seriamente l’amica.
« Ti sembra che io abbia voglia di scherzare? »
« Beh, direi di no … Tuttavia, ammetterai che la
situazione è troppo assurda perché io ci creda. »
« Credici invece, perché è proprio la verità.»
« Si può sapere come diavolo è successo? »
La domanda di Sango era abbastanza lecita,
rifletté Kagome mentre si lasciava andare contro lo schienale della sedia.
Incrociò le braccia al petto rievocando gli
eventi della notte passata.
« Cosa?! »
A scattare in piedi non furono altro che Kagome,
suo nonno, suo fratello e il padre dei due demoni presenti.
Il nonno di Kagome, in modo particolare,
sembrava sul punto di avere un infarto nell’immaginare sua nipote in sposa a un
demone. Sota, invece, più calmo cercava di quietare suo nonno per evitargli
malori più tardi. Il misterioso demone, sembrava solo sinceramente sorpreso e
per nulla sconcertato dalla proposta. Sesshomaru accanto a lui era
perfettamente tranquillo, braccia conserte e un espressione assolutamente calma
in volto. Lo stesso si poteva dire per Inuyasha, il quale non aveva aperto
bocca pur essendo una delle parti chiamate in causa.
“Ma si può sapere i demoni che razza di concetto
hanno del matrimonio?”
« Quel testamento è sicuramente un falso! Mia
nuora non avrebbe mai fatto una cosa del genere alla sua adorata figlia! »
Fu la voce severa e insindacabile del nonno
Higurashi a interrompere quella strana atmosfera.
L’avvocato lo guardò intensamente con quei
grandi occhi, una mano intenta a lisciare la barba sul mento e l’espressione
sul viso completamente assorta.
« E’ quello che è accaduto, invece. Non capisco
dove sia il problema. »
Il nonno stava per replicare a tono esattamente
come prima, ma Kagome lo precedette e con mossa felina prese il raccoglitore
dalle mani dell’avvocato.
Suo nonno e Sota si avvicinarono per esaminare
quei documenti scritti in un linguaggio troppo tecnico decisamente
“avvocatese”, qualcosa che i meri mortali non potevano capire, ma di una cosa
furono sicuri. La firma infondo ai documenti era proprio quella di sua madre:
Yukiji Higurashi.
« Nonno … »
Non c’era bisogno di aggiungere altro, purtroppo. Persino suo nonno se ne
convinse, annuendo con un cenno del capo e ingoiando la bile. Aveva sperato che
almeno la firma non corrispondesse, in questo modo sarebbe stato facile andare
via, evitando alla sua nipotina un matrimonioforzato come quello.
Kagome non pensava affatto al matrimonio in quel
frangente, era l’ultimo dei suoi pensieri. Ad occupare la sua mente in quell’istante
erano due pensieri.
Il primo riguardava Sota, naturalmente, quando
Kagome aveva mostrato a lui e al nonno i fogli dell’avvocato aveva visto la sua
espressione velarsi alla vista della firma della mamma. La stessa madre di cui
serbava pochissimi ricordi. Il secondo problema, invece, era l’altra persona
che aveva firmato quel contratto. Izayoi Setsuna.
Lo sguardo di lei guizzò dall’avvocato al
ragazzo seduto accanto a lei. Fermo e immobile, non aveva fiatato dal momento
in cui avevano scoperto di essere sposati.
“Niente, non penso otterrei qualcosa da questo
tizio … “
Lo sguardo di Kagome si fissò nuovamente su
quelle piccole e soffici orecchie da cane, argentate come i suoi capelli, si
muovevano impercettibilmente captando le parole e i rumori nello studio legale.
Dovette nuovamente fare violenza su stessa per non avvicinarsi e toccarle.
Trasse un profondo respiro, calmandosi e rivolgendo la sua attenzione al demone
vestito con abiti tradizionali.
« Ecco, mi scusi signor … »
La sua figura era abbastanza torreggiante, ma
rispetto a quando era entrato poco fa Kagome non si sentì a disagio, nemmeno
sotto pressione. Lo sguardo di quel demone era infinitamente gentile, velato da
una profonda malinconia per la perdita della moglie.
« Niente formalità, per favore, ormai sono
troppo vecchio per questo. Chiamami semplicemente Akio. »
« Signor Akio … » insistette Kagome, avvicinandogli
ilfoglio del contratto con le firme.
« Questa è la firma di sua moglie, giusto? »
Improvvisamente nello studio calò il gelo più
totale.
Sesshomaru, perdendo la compostezza avuta
finora, lanciò uno sguardo poco amichevole nei confronti di Kagome che si sentì
fulminata da tanto rancore.
Cosa aveva detto di sbagliato?
Il suo sguardo guizzava da una parte all’altra,
aspettando una risposta mentre cominciava a sentirsi una stupida anche solo per
aver osato parlare.
« … Sì. E’ proprio la firma di Izayoi. »
La voce del demone, finalmente, ruppe quel
sottile filamento di silenzio che si tendeva come una corda in procinto di
spezzarsi.
In quel momento l’avvocato si era alzato e senza
troppa cortesia riprese i documenti, squadrando malamente la ragazza e
invitando nuovamente tutti a sedere.
Kagome, però, non era per niente intenzionata a
dargli retta e mise invece una mano sulla spalla di Inuyasha.
« Ehi! Non hai proprio niente da dire? Guarda
che siamo noi quelli che … »
Non finì la frase poiché si accorse del vero
motivo dietro al silenzio del ragazzo. Si era addormentato.
La testa ondeggiava lentamente in avanti, gli
occhi erano chiusi e dalle labbra appena dischiuse scendeva un rivolo di
saliva.
Un nervo cominciò a pulsare sulla fronte di
Kagome, la stretta sulla spalla del ragazzo si fece improvvisamente più salda
mentre un ghigno malefico si allungava sulle sue labbra.
« Svegliati! »
Senza troppi complimenti declamò quelle parole
nelle sue orecchie, sicuramente sensibili ai rumori più forti, scuotendolo a
destra e sinistra.
Alla fine il risultato sperato venne ottenuto.
Inuyasha, si svegliò.
Si portò una mano alla nuca mentre con l’altra
nascose uno sbadiglio. Kagome si trattenne dal colpirlo in testa, aveva
abbastanza sguardi puntati di se e non voleva attirare ulteriormente l’attenzione.
« Quanto clamore per una cosa da niente come
questa … »
« Una cosa da niente?! »
« Sì, da niente. Non capisco perché la fai tanto
lunga. »
Kagome lo guardava allibita, gli occhi sbarrati
e la bocca mezza aperta. E non solo lei, tutti i presenti guardavano i suoi
gesti con una certa meraviglia.
« Per quanto mi riguarda, le cose mi vanno bene
anche così. Essendo un mezzo demone
nemmeno dovrei lamentarmi, ma se proprio la cosa non ti va a genio possiamo
sempre trovare una soluzione per sciogliere il contratto. Fino ad allora, mi va
bene qualsiasi cosa sceglierai. »
Non riusciva a credere a quello che stava
sentendo e sì, la sensazione di volerlo colpire, e anche forte sulla nuca,
tornò a farsi sentire dentro Kagome.
Era già lì, pronta con un pugno quando vide le
piccole orecchie di Inuyasha muoversi, scattando velocemente per poi fermarsi.
« Quindi … » esordì Sango, una volta che il
racconto di Kagome fu concluso. « Hai ceduto perché quelle orecchie “adorabili”,
come le hai descritte tu, ti hanno ipnotizzato? »
Un lungo silenzio calò implacabile nella sala
del ristorante.
Nel frattempo alcuni camerieri, già cambiati e
pronti per il servizio, cominciavano a sistemare i tavoli per l’apertura e
controllavano lo stato delle posate e dei bicchieri.
« … Sì » ammise infine Kagome, completamente
sconsolata.
Sango sospirò leggera, incrociando le braccia e
lasciandosi andare con la schiena contro la sedia.
« Accidenti Kagome, sapevo che avevi un debole
per le cose “carine” ma non pensavo fosse così grave. Adesso cosa pensi di
fare? Sposerai davvero quel tipo? »
« Sinceramente non lo so. » ammise Kagome,
tornando a rilassarsi con il corpo mentre ripensava alla serata trascorsa.
Alla fine aveva accettato il compromesso di
Inuyasha, ma non era certa di quello che dovevano fare, ora.
« Kagome, non eri tu a dire che le relazioni
troppo strette ti facevano paura? »
« Questo è vero. Infatti, quando ho cominciato a
capire cosa stava accadendo, ho provato l’irrefrenabile impulso di scappare e
tornare qui. » ammise lei, senza bisogno di celare a Sango i suoi più profondi
pensieri.
« Però, sai Sango, non faccio che pensare alla
ragione dietro il gesto di mia madre. Sono convinta che avesse un qualche
motivo che ancora non conosco, ma per scoprirlo dovrei provare a frequentare
per un po’ questo Inuyasha e forse, a pensarci, non è nemmeno una cattiva idea.
»
« In che senso, scusa? »
« Qualche tempo fa il nonno ha avuto un leggero
infarto, niente di grave, ma sia io che Sota ci siamo spaventati molto. Questo
mi ha fatto capire che lui non ci sarà per sempre. Ho un buono stipendio, ne
sono consapevole, ma da sola non riuscirei a far fronte a tutte le spese di
casa e della scuola. Voglio che Sota realizzi il suo sogno e frequenti l’università,
ma se accadesse il peggio sarebbe costretto a rinunciare alle sue ambizioni e
non voglio niente del genere. »
Sango studiò attentamente sia le parole di
Kagome che la sua espressione, le braccia ancora conserte e gli occhi nocciola
puntati nei suoi.
Sapeva bene che tutto quello che faceva era
anche per suo fratello, lo stesso si poteva dire per lei e per molti altri che
lavoravano da loro, ma nessuno aveva la dedizione di Kagome. Seppure la
conoscesse da diversi anni, adesso non sapeva proprio così dirle per aiutarla a
trovare una risposta. L’ambiguità della situazione non aiutava certo le due
ragazze.
Sango rilasciò un sospiro arrendevole, chinando
il capo e scuotendo appena la nuca.
« La scelta è tua, io non posso dire niente. Se
si rivelasse un maniaco …» e marcò bene
quelle parole con una strana luce omicida negli occhi. « … Non dovrai nemmeno
preoccuparti. Ci penserò io, gli staccherò quella sua bella testolina e la
metterò su una picca. »
« Sango … Stai parlando di Miroku, adesso? »
Lo sguardo omicida dell’amica non prometteva
niente di buono, nemmeno per Inuyasha (anche se lei non lo conosceva) e Kagome
ne ebbe quasi paura.
Non fece nemmeno in tempo a finire di parlare
che il diretto interessato sbucò alle spalle di Sango, abbracciandola di spalle
e allungando una mano per toccare il seno. Prima che potesse farlo, però, la
ragazza si era già girata e con precisione chirurgica lo colpì in faccia
lasciandogli un bel segno rosso che recava l’impronta della mano.
« Eddai, Sango, io volevo solo salutarti … » si
scusò in fretta Miroku, una mano sulla guancia e l’altra alzata in segno di
resa.
Kagome sospirò appena, alzandosi dal suo posto.
Ora che Miroku era arrivato, non avrebbero più potuto parlare di niente.
« Piuttosto, Sango, ricordati di cominciare a
pensare al menu invernale per il ristorante e riferisci a Hojo di fare lo
stesso. Il nostro ristorante è l’unico della zona a vantare piatti adatti ai
celiaci, e non ho nessun desiderio di vedere calare la qualità. »
Non ottenne risposta, ma sapeva che l’aveva
sentita.
Miroku era un bel ragazzo, non aveva la bellezza
particolare e irraggiungibile di alcuni demoni, ed essendone ben consapevole
non perdeva l’occasione per corteggiare clienti e colleghe. I suoi occhi scuri,
con una sfumatura bluastra, rendevano il suo sguardo magnetico e le sue parole
avevano sempre l’effetto desiderato su tutte le ragazze che incontrava. Eccetto
Sango, ovviamente, la quale intuì subito la sua natura libertina e prese “provvedimenti”
a riguardo.
“Mi chiedo quando si decideranno a fidanzarsi.
Ormai è palese che si piacciono, lo sanno tutti qui al ristorante”.
Un sospiro e decise di rimandare i pensieri alla
pausa. Adesso bisognava lavorare.
Il pranzo era il momento più critico per il
ristorante.
I clienti entravano con la consapevolezza di non
avere molto tempo a disposizione, la coordinazione tra sala e cucina doveva
essere perfetta per garantire il miglior servizio nel più breve tempo possibile,
senza dimenticare la qualità.
Miroku, in questo, era un perfetto Chef de rang
e lo considerava il suo braccio destro per la gestione nei momenti più critici.
Ogni tanto, guardando la sala gremita, non
poteva fare a meno di ripensare a quello che era accaduto la scorsa notte dopo
le parole di Inuyasha. Suo nonno non era d’accordo, era irremovibile ma alla
fine, grazie anche all’intervento di Akio, riuscirono a placarlo ricordandogli
che non erano più in un epoca dove demoni e umani non potevano coesistere e
andavano purificati a forza, se necessario.
Il compromesso era fare in modo di trovare una
clausola, un appiglio, al quale fare riferimento per poter sciogliere i loro
legami e tornare ognuno alla vita di prima. Inuyasha non sembrava preoccupato,
al contrario, era molto calmo e quieto e forse per questo motivo aveva
accettato il biglietto da visita suo e di suo padre.
Appoggiata al leggio, sul quale spiccava il
registro presenze, rigirava tra le mani il cartoncino chiaro con sopra il nome
e cognome del ragazzo e la sua occupazione.
Inuyasha Taisho, capo editore presso la casa
editrice “Tama”.
L’altro, invece, era quello del padre di lui. Akio
Taisho.
“Non ho mentito a Sango, ma … ” pensò assorta
guardando i biglietti da visita. “Non so proprio cosa fare. La verità è che la
cosa mi terrorizza. E’ spaventoso. L’idea di affidare a qualcun altro il mio
cuore, è davvero terrificante”.
Da quella sera era passata una settimana.
Tenendo il biglietto da visita in mano alzò lo
sguardo sopra il grande edificio che ospitava la casa editrice seccata, anche
se il termine non si avvicinava minimamente a quello che provava.
“Quello stronzo … Aveva detto che si sarebbe
fatto sentire entro la fine della settimana! Invece, mi obbliga a venire a
cercarlo nel mio prezioso giorno libero”.
Per l’occasione aveva deciso d’indossare una
mini gonna scura con sopra ricamati dei piccoli fiori, abbinata a un
maglioncino color panna e che lasciava scoperte le spalle il tutto coperto da
una giacca senza maniche.
Strinse la corda della borsetta che teneva in
spalla prima di entrare in quel grande edificio, incuriosita e preoccupata
nello stesso istante. Sapeva bene quanto frustrante fosse essere interrotti
durante il lavoro, ma non c’era altra soluzione.
S’informò dalle due ragazze al bancone vicino
all’ingresso sull’ubicazione di Inuyasha in quel labirinto, ottenuto ciò che
voleva si diresse verso uno dei due ascensori ubicati contro la parete e ne
chiamò uno.
L’ingresso era tappezzato con alcuni poster e
cartelloni di libri di successo in loro produzione e qualche locandina di film,
ispirato probabilmente ai libri. Persino all’interno dell’ascensore trovò
alcuni poster più piccoli di qualche manga o libro, li guardò divertita mentre
saliva fino all’ottavo piano dove si trovava la collana “Shikon” il cui capo
redattore era proprio Inuyasha.
Le porte dell’ascensore si aprirono e mentre
stava per uscire qualcuno entrò, o meglio barcollò al suo interno,
sconcertandola non poco per l’espressione vuota e assente che aveva in volto.
Cosa cavolo era successo?
Si guardò attorno trovandosi davanti un lungo
corridoio costellato da file di piccole impalcature che dividevano le varie
aree, ricordando le parole della receptionist decise di proseguire cercando di
non intralciare il lavoro di nessuno.
“In fondo, non sono mai stata in un posto del
genere. Sembra interessante come lavoro”.
Evitando la fotocopiatrice posta all’angolo dopo
una stretta curva trovò l’ufficio, per così dire, di Inuyasha. Sul viso aveva
ancora accennato un sorriso, gli occhi colmi di curiosità, ma tutto questo s’infranse
improvvisamente.
Davanti a lei c’era uno spazio abbastanza ampio,
rispetto agli altri settori che aveva intravisto, ma al suo interno si
respirava un aria malsana.
Sul lungo tavolo ricoperto da libri, fogli,
altri libri e oggetti di uso comune per un ufficio stavano cinque cadaveri.
Kagome li guardò esterrefatta, gli occhi
sbarrati per lo stupore e la bocca aperta.
Erano riversi un po’ sulle sedie e un po’ sul
tavolo, e tra loro c’era anche una ragazza, le loro espressioni erano
completamente svuotate e nemmeno si erano accorti del suo arrivo.
“Che razza di lavoro fanno? E poi … Che diamine è questo fetore? Sembra di
essere nello spogliatoio di qualche squadra sportiva”.
Si portò una mano a coprire il naso, tappandolo
e cercando di non respirare troppo a fondo. C’era davvero un odore di chiuso e
di stagnante, non riusciva a credere che un essere umano, o demone, potesse
puzzare in quel modo.
Tremando, lentamente, la ragazza al tavolo alzò
lo sguardo spento e svuotato verso di lei. Era molto bella, pensò Kagome, aveva
dei tratti molto eleganti che uniti a quei lunghissimi capelli scuri la
rendevano quasi eterea. Tutto questo, ovviamente, stonava con le profonde
occhiaie che aveva sotto gli occhi e la voce stanca con cui parlò.
« Cosa … ? »
« E- Ecco … » improvvisamente si trovò senza
niente da dire, lo sguardo si perdeva nel piccolo spazio alla ricerca di una
qualche traccia del mezzo demone, ma senza un grande risultato.
« Cercavo Inuyasha …» borbottò, la voce alterata dalla mano che
copriva il naso.
Alzò il braccio, sempre molto lentamente,
indicando la parte opposta del tavolo.
« Se cerchi … Il suo cadavere dovrebbe essere da
quelle parti … » mormorò con voce spettrale, vinta dalla stanchezza si lasciò
nuovamente andare sul tavolo.
Deglutì appena, scostando la mano dal volto e
dirigendosi lentamente verso il punto indicato. Si muoveva furtiva, come un
gatto, evitando di urtare contro una delle sedie e appiattendosi contro gli
armadi a muro. Alla fine lo raggiunse.
Aveva occhiaie ancora più profonde della
settimana scorsa, i vestiti sembravano anche gli stessi, tra le altre cose,
Kagome lo guardò ancora sconcertata prima di poggiare una mano sulla sua spalla
per chiamarlo. Nel momento in cui lo fece, però, questi cadde a terra con un
sonoro tonfo ma continuò a dormire come se niente fosse.
“E questo tizio … Dovrebbe essere mio marito?!”
Salve a tutti!
E’ stato richiesto così intensamente che non ho potuto rifiutarmi di
completare tutto quanto prima.
Allora, qualche piccola spiegazione. Ho scelto il nome di Akio per il
padre di Inuyasha per due ragioni: la prima, il nome, con i kanji
corretti, significa “eroe glorioso”. Mi sembrava adatta al suo ruolo, soprattutto
per quel poco che sappiamo di lui anche nel manga. La seconda ragione, invece,
è più semplice. Avevo in sottofondo le ost di Utena.
Vorrei ringraziarvi tutti, dal primo all’ultimo, da chi ha aggiunto ai
preferiti ( o seguiti) la storia e tutti coloro che hanno commentato.
Per ora è un record avere quattro recensioni, davvero, così vi ho
soddisfatti subito e spero di non avervi deluso in qualche modo con lo sviluppo
della trama.
I capitoli usciranno di giovedì. Vedrò se riuscirò a rispettare subito la
data, altrimenti slitterà alla prossima settimana ancora.
Quel posto, più che la sede di una collana della
casa editrice, sembrava una vera e propria discarica comunale di esseri umani.
Lasciò a terra la borsa, avvicinandosi a
Inuyasha e poggiando una mano sulla sua spalla. Voleva almeno accertarsi che
fosse vivo.
« Ehi! Inuyasha! Sei ancora nel mondo dei vivi?
»
Lo scosse piano mentre parlava, aspettando una
qualche risposta o un cenno. Niente, non ottenne nulla di tutto questo. Il
mezzo demone continuava a dormire della grossa, nulla di quello che faceva
sembrava svegliarlo.
« Così non arriverai da nessuna parte … »
aggiunse una voce femminile.
Quando Kagome alzò lo sguardo si trovò di fronte
la stessa donna che l’aveva accolta prima, adesso, però, indossava degli
occhiali.
S’inginocchiò anche lei accanto al suo capo, le
braccia raccolte sulle ginocchia e l’espressione ancora assente di chi ha
bisogno di un lungo periodo di riposo.
« Botolo ringhioso … » sussurrò con voce bassa,
talmente lieve che pensava non potesse essere udita. Le orecchie di Inuyasha,
invece, si mossero leggermente e in un nano secondo aprì gli occhi scattando
poi in piedi come una molla.
« Che cosa hai detto, Kikyo?! Vuoi forse morire?
» sbottò Inuyasha, ora decisamente sveglio.
Kagome lo guardò sorpresa, sbattendo più volte
le palpebre come per assicurarsi che non era un miraggio, o illusione, ma solo
la realtà.
L’altra ragazza, Kikyo a quanto aveva capito, si
alzò sistemando indifferente le pieghe dei suoi pantaloni e nascondendo dietro
a una mano uno sbadiglio.
« C’è una visita per lei, capo. » biascicò prima
di tornare al suo posto, non prima di aver dato una scrollata al collega che
stava seduto accanto a lei.
Solo in quel momento Inuyasha sembrò accorgersi
di Kagome.
La guardò un lungo istante, decisamente sorpreso
di vederla lì, davanti ai suoi occhi. Un lieve imbarazzo s’impadronì di lui
facendogli portare la mano dietro la nuca, sfiorando così con le dita
artigliate i lunghi capelli argentei.
Non osava metterci la mano sul fuoco, ma dal
punto di vista di lei, in quel momento, Inuyasha sembrava felice di vederla
oltre che imbarazzato.
« Come mai sei venuta fin qui, Kagome? »
« Guarda che sei stato tu a dirmi, “mi farò vivo
io per la fine della settimana”. Non sopporto chi viene meno a un impegno, così
sono venuta io stessa nel mio prezioso, quanto raro, tempo libero per vederti
di persona. » si affrettò a spiegare la ragazza, raccogliendo nel frattempo la
borsa da terra e sistemandola sulla spalla.
« Sei venuta … per me? »
« C-Certo! Per chi altri sarei dovuta venire,
scusa? »
Kagome avvertì chiaramente le orecchie
cominciare a scaldarsi, segno che quella domanda, unita a quello sguardo
sinceramente colpito di lui, l’avevano parecchio emozionata.
Non capiva il motivo di quella reazione,
dopotutto era stato lui a mancare un impegno preso con lei, pensò, era normale
che prendesse provvedimenti a riguardo.
Inuyasha si mosse, stava per dire qualcosa
quando il suono del telefono fisso lo riportò alla realtà. Seccato fece
schioccare la lingua contro il palato, svogliatamente decise di prendere la
telefonata per poi scoprire che era uno degli autori.
« Attenda un momento, maestro … » alzò il capo,
fissando lo sguardo in quello della sua collega.
« Kikyo, porteresti Kagome a prendere un caffè?
Qui ne avrò ancora per un po’. »
« D’accordo. »
L’altra ragazza si alzò dalla scrivania,
barcollando e sbadigliando sonoramente mentre faceva biascicava qualcosa come
un “seguimi”. Kagome la guardò un pochino incerta mentre si lasciavano alle
spalle quella specie di discarica, con la coda dell’occhio gettò un ultimo
sguardo a Inuyasha e si stupì di trovare sul suo volto un espressione tanto
seria e concentrata nonostante la chiara stanchezza.
Erano uscite da quel corridoio per entrare in un
altro, più grande, dove diverse persone che passavano accanto a loro finivano
con l’accelerare il passo e mormorare qualcosa a capo chino.
“In che razza di posto sono finita?”
Fu la sola domanda che continuò a vorticare
nella mente di Kagome mentre raggiungevano delle macchinette.
Erano tre, una era quella delle merendine e
l’altra, invece, distribuiva bibite fresche e quella più importante era proprio
accanto.
Dalla tasca dei pantaloni, Kikyo estrasse una
piccola chiavetta che inserì nell’apposito spazio e digitò per avere un paio di
caffè. Quando Kagome se ne accorse si affrettò a raggiungerla, frugando nella
borsa in cerca del portafoglio ma Kikyo, incredibilmente, si limitò a
ridacchiare.
« Non ti preoccupare, questo te lo posso offrire
io. Un premio per aver sopportato così amabilmente il mio pessimo odore. »
Persino il suo tono di voce aveva un qualcosa di
“elegante”, pensò Kagome mentre frenava il suo cercare, osservando ancora
sorpresa la sconosciuta accanto a lei.
« Piuttosto … » continuò lei, chinandosi per
raccogliere il primo bicchiere con dentro il caffè caldo. « Non ci siamo ancora
presentate, temo. Io mi chiamo Kikyo, lavoro con Inuyasha al dipartimento
“Shikon”. »
« Piacere mio, io sono Kagome. »
Una mano afferrò il caffè che le veniva posto,
con l’altra, invece, strinse la mano della ragazza che tornò ad appoggiarsi
contro la macchinetta.
« Devi scusarci, credo sia passata una settimana
da quando ci siamo fatti tutti una doccia e una bella dormita. Abbiamo avuto
qualche ritardo, e quindi … » scrollò appena le spalle mentre si affrettava a
prendere il suo caffè, il nettare divino per eccellenza contro la stanchezza
atavica.
« E’ un lavoro particolarmente pesante a quanto
vedo. »
« Non proprio, diventa più pressante verso la
metà, quando si raggiunge il periodo delle scadenze, e solo nel momento in cui
tutti i controlli sono finiti che finiamo sull’orlo della morte … Cosa che hai
potuto constatare tu stessa. »
Si lasciò andare ad una leggera risata mentre
prendeva a bere il suo caffè, avvertendo il dolce aroma della caffeina che
risvegliava i suoi sensi. Kagome la osservava colpita.
I lunghi capelli scuri non venivano curati da
parecchio, anche sul suo volto non vi era minimamente traccia di trucco eppure,
nonostante potesse apparire “scialba” ai suoi occhi brillava di un’intensa
luce.
Ammirava le persone come lei. Ammirava chi
sapeva dedicarsi con passione al proprio lavoro, dal profondo del cuore.
« Io trovo che sia una cosa fantastica, Kikyo,
riuscire a dedicarsi con passione a qualcosa e a farlo diventare una
professione. »
La ragazza la guardò un pochino sorpresa, ma poi
sorrise e annuì a quelle constatazioni.
« Mi trovi d’accordo, anche se nessuno di noi ha
la forza e la passione di Inuyasha. »
La schiena andò a poggiarsi contro il
distributore mentre finiva di bere il suo caffè, Kagome la imitò prestando
massima attenzione alle sue parole. Voleva conoscere meglio quel ragazzo,
voleva sapere quante più cose possibili.
« La nostra collana non aveva a disposizione
grandi autori, ma lui è riuscito a risollevarla e ora siamo tra le più vendute
nel campo degli shounen manga. E’ sempre il primo ad arrivare e l’ultimo a
lasciare l’ufficio, la sua natura lo aiuta a sopportare la fatica, certo, ma anche lui, come hai visto, finisce per
esaurirsi prima del tempo. »
Un sorriso più dolce increspò le labbra di
Kikyo, contagiò persino lo sguardo e questo non sfuggì all’attenta analisi
della ragazza.
« Senza di lui saremo completamente persi. Molti
si lamentano e non fanno che parlare alle spalle ma nel nostro ambiente contano
i risultati, e lui ne ha ottenuti parecchi in brevissimo tempo. »
Kagome annuì, d’accordo nuovamente con le parole
della ragazza.
La loro società era tutt’altro che perfetta, lo
sapevano tutti, ma le discriminazioni esistevano da sempre e non coinvolgevano
solo i mezzi demoni, purtroppo.
Strinse il bicchiere tra le mani, rompendolo del
tutto e gettandolo via un istante dopo mentre ripensava ad alcune situazioni
avvenute in passato.
Kikyo l’aveva osservata per tutto il tempo,
sorridendo di nascosto nel momento in cui questa non guardava.
« Basta parlare del mio capo, che credo di stare
elogiando anche troppo, dimmi di te, Kagome, di cosa ti occupi? »
La sua domanda colse in contropiede Kagome,
completamente assorta nei suoi pensieri e facendola sobbalzare sul posto.
« Ecco … Io sono il Maître del ristorante “Nekomata”. »
« Ne ho sentito parlare! E’ quel
ristorante lussuoso nel quartiere di Ginza, vero?»
Kagome annuì e subito lo sguardo di
Kikyo s’illuminò.
« Cosa non darei per assaggiare
qualcuno dei vostri piatti, o per mangiare qualcosa di decente in generale, la
mensa qui è molto povera … e temo anche noi. »
Si lasciò scappare una leggera risata
mentre la mano saliva dietro la nuca, celando l’imbarazzo dietro quella sua
rivelazione improvvisa.
« Invece dovresti venire, sai? Ti
farò uno sconto super, così potrai assaggiare alcuni dei piatti che prepara la
nostra bravissima Chef. »
« Dici davvero? »
Quando Kagome annuì Kikyo le gettò le
braccia al collo, entusiasta come non mai, saltellando allegramente come una
scolaretta.
In quel momento, ancora travolta
dall’entusiasmo di Kikyo, Inuyasha fece la sua apparizione con un sorriso
sghembo sul volto e la spalla appoggiata alla parete.
« Kikyo, mi meraviglio di te, non eri
tu a dire che se avessi sollevato anche solo un foglio di carta saresti morta?
»
Una linguaccia da parte della diretta
interessata mentre continuava a rimanere appiccicata a Kagome, divertita da
quello scambio di commenti che le ricordava molto il rapporto con i suoi
colleghi al ristorante. Sì, era davvero un buon ambiente. Malsano per certi
versi, ma piacevole.
« Fila a svegliare quella marmaglia
di bradipi in ufficio, piuttosto, non ho ancora dato loro il permesso per
morire. »
Sospirando, si staccò da Kagome e
corse verso il dipartimento salutandola con un ampio gesto del braccio.
“Un tipo davvero strano …” pensò
divertita, osservando Inuyasha prendersi un caffè con la coda dell’occhio.
« Mi dispiace … » aggiunse all’improvviso,
afferrando il bicchiere dalla macchina e ritirando la chiavetta.
« Per cosa? »
« Averti fatto venire qui, per cominciare, in
secondo luogo per non averti chiamato come promesso. »
« Eri stanco, lo posso capire. »
Le orecchie di Inuyasha si mossero ancora,
scattando ai lati e tornando al loro posto. Kagome le guardava con una strana
luce negli occhi, sempre più desiderosa di toccarle e sfiorarle con le dita per
accertarsi della loro morbidezza.
« C-Comunque … » continuò, scuotendo velocemente il capo e cercando di darsi un
contegno. « Volevi parlarmi di qualcosa? »
Inuyasha finì il caffè nel frattempo, vuotando
il bicchierino e gettandolo nell’apposito contenitore, andando a poggiare la
schiena contro il distributore.
« Totosai ha detto che ci vorrà un po’ di tempo
prima di riuscire a rintracciare Saya. Mi rendo conto che la situazione è
strana, te lo concedo, ma se nel frattempo ci frequentassimo sarebbe così
terribile? »
Kagome lo guardò sorpresa, accennando un sorriso
e annuendo leggera con il capo.
« Stavo pensando qualcosa di simile anche io, in
effetti. »
Evitò accuratamente di dirgli quali fossero i
suoi “reali” pensieri a riguardo, soprattutto per i legami sentimentali troppo
stretti, ma se avessero passato un po’ di tempo insieme come amici non sarebbe
stato poi così male.
« Bene, significa che siamo sulla stessa
lunghezza d’onda. Senti, ti faccio una proposta, ma puoi anche rifiutare se
pensi sia irragionevole. »
L’espressione di Kagome divenne seria mentre il
mezzo demone continuava a parlare.
« Il mio precedente coinquilino ha traslocato e
mi trovo così con una stanza vuota. Perciò, come vedi, la mia proposta è
semplice: verresti a stare da me come coinquilina? Almeno, fino a quando non
troviamo una soluzione al nostro problema. In questo modo, sarà più facile
conoscersi e puoi stare certa che non invaderò i tuoi spazi. Saremo come … Due
buoni e vecchi amici che dividono un appartamento confortevole. Tutto qui. »
Per un momento aveva sentito come se il terreno
franasse sotto i suoi piedi, letteralmente.
Guardava Inuyasha, e sentiva crescere dentro di
se una strana paura. Lui era un bel ragazzo, affascinante e sembrava anche
scrupoloso sul lavoro, la cui cosa era sufficiente a renderlo desiderabile ai
suoi occhi. Senza contare le sue orecchie, quelle valevano un sacco di punti.
Aveva paura.
Se avessero trascorso tanto tempo assieme, sotto
lo stesso tetto, temeva di affezionarsi a lui in maniera irreversibile. Era il
suo tipo di uomo, dopotutto.
Chinò il capo, mordendosi appena le labbra
mentre rifletteva su quello che doveva rispondergli, tenendo a mente anche di
quello che pensava per il futuro.
« Ci … Ci posso pensare su un pochino? » domandò
incerta, temeva che Inuyasha volesse una risposta rapida.
« Non c’è fretta, non ti preoccupare. »
« Senti, posso chiederti una cosa io adesso? » « Dimmi. »
«
Perché non hai detto niente quando hai scoperto che eravamo sposati? Hai detto
che, cito testuale, essendo un mezzo demone non avevi motivo di lamentarti ma
io non penso sia così. La tua opinione è importante, quindi mi chiedevo come
mai fossi rimasto in silenzio. »
Seguì
un lungo, lunghissimo attimo di silenzio in cui Kagome poté quasi sentire il
battito del suo cuore risuonare tra le pareti, ma era solamente un eco lontana
nel suo corpo.
I
suoi occhi castani erano fissi in quelli dorati di lui, sereni e calmi come
poteva esserlo il sole.
«
Vieni con me, ti faccio conoscere i miei colleghi. »
Si
spostò dalla macchinetta e le fece cenno di seguirla, allontanandosi e tornando
verso il dipartimento.
“Non
ha risposto … “ un sorriso amaro si dipinse sulle labbra di Kagome, decisa a
seguirlo in ogni caso.
Non
sapeva la ragione, ma non sentire una risposta, anche banale, la rattristò.
Voleva sapere.
Se
Inuyasha, però, aveva deciso di non dirle nulla per il momento non avrebbe
insistito.
“Se
insisto lo farò chiudere a riccio, quindi è meglio stare al gioco per il
momento”.
Tornati
nella sede del dipartimento “Shikon”, la prima cosa che Kagome notò fu il
cambio di atmosfera. Certo, pensò, si respirava ancora male ma almeno tutti
erano seduti decentemente sulle sedie.
«
Inuyasha caro!! » gridò uno dei colleghi del ragazzo, alzandosi in piedi e
gettandogli immediatamente le braccia attorno al collo. Kagome non ne era
sicura, ma era certa di aver visto una vena cominciare a pulsare all’angolo
della sua fronte.
«
Come puoi tradire il nostro amore andando a prendere un caffè con questa
ragazzina? »
«
Jakotsu … » mormorò il suo nome, sospirando, una mano sulla fronte e la nuca
che si piegava a destra e sinistra.
A
parlare era stato un ragazzo, dovevano avere la medesima età, ma era truccato
molto più di quanto non facesse lei e parlava con una voce molto più acuta del
normale.
Kagome
lo guardò allibita, sbattendo più volte le palpebre mentre Inuyasha, invece,
cercava di liberarsi dalla sua presa a tentacoli.
« Non
ti avvinghiare, Jakotsu! Non sono un eucalipto e tu non sei un Koala! »
«
Potrei diventarlo, però. »
« Falla
finita, fratello, sei imbarazzante! » sbottò un altro dei colleghi di Inuyasha
battendo le mani contro la scrivania, quest’ultima vibrò appena facendo cadere
a terra qualche foglio di carta e un calendario, di quelli piccoli, tutto pieno
di scritte e cerchi.
Questo
ragazzo aveva molti tratti in comune con quello che si chiamava Jakotsu, la
sola differenza, pensò Kagome, era l’assenza di un trucco pesante e quei
lunghissimi capelli tenuti intrecciati.
« Sei
solo invidioso perché non sei affascinante come me, fratellino! »
« Ma
cosa stai dicendo?! »
C’era
un altro membro del gruppo, aveva un’espressione più tranquilla rispetto agli
altri due, capelli castani e sembrava ancora visibilmente addormentato.
Era
l’unico tranquillo della squadra che lavorava con Inuyasha, pensò Kagome,
spostando l’attenzione su Kikyo la trovò intenta a ridere della scenetta che
Jakotsu aveva creato.
Alla
fine, con grande fatica e con l’aiuto del fratello, Inuyasha riuscì a
scollarselo di dosso e fu allora che si voltò verso di lei. Aveva
un’espressione stanchissima, molto più di prima.
« Le
presentazioni. Quella specie di Koala è Jakotsu e quello che lo tiene fermo è
suo fratello, Bankotsu. »
«
Piacere! » esclamarono in coro in due ragazzi, accennando poi un piccolo
inchino con il capo.
«
Kikyo, invece, l’hai già conosciuta immagino e quello che sta ancora dormendo è
Onigumo. »
« Il
piacere di conoscervi è mio, ragazzi, mi chiamo Kagome Higurashi. »
Un
sorriso e un semplice e veloce inchino.
Erano
strani, se ne rendeva conto, ma l’ambiente dove lavoravano sembrava molto unito
e affiatato.Sorridere, pensò, era la cosa
più naturale in quei momenti di pace e tranquillità.
« Sai
Kagome … » continuò Bankotsu, liberando il fratello che andò a lamentarsi con
Kikyo, abbracciandola e fingendo di piangere disperato. « Questo simpaticone
del nostro capo, qualche sera fa, ha avuto la faccia tosta di tornare a casa.
Scommetto che si è fatto un bagno e ha pure cenato … » mentre parlava aveva
poggiato un braccio attorno alla spalla del mezzo demone, guardandolo
trucemente al ricordo di quella sera.
« Ti
ricordo, Bankotsu, che è stato mio fratello a trascinarmi di peso fuori di qui.
»
« Ciò
non toglie che è arrivato tutto lindo e profumato il giorno dopo, non trovi che
sia ingiusto verso di noi Kagome? »
« In
effetti … » rispose lei, fingendo di pensarci e guadagnandosi un occhiataccia
da parte del mezzo demone.
«
Fatela finita, adesso! Piuttosto, vedete di riprendere a lavorare se volete
tornare a casa presto. Dobbiamo rimettere ordine in questo casino! »
« Allora …
Io andrei. » lo interruppe Kagome, sorridendo e fu in quel momento che Inuyasha
tornò a guardarla. Era stato solo per un momento, ma il suo sguardo sembrava
volerle chiedere di restare ancora con lui.
« Riguardo
a quella proposta … »
«
Tranquillo, ho il tuo numero, ti chiamo appena ho deciso. » si affrettò a dire,
mostrando il biglietto da visita che le aveva dato l’altra sera.
Un ultimo
cenno di saluto e andava, decisa a lasciare quei ragazzi al loro lavoro.
Era sempre
più tentata di accettare la proposta di andare a vivere con lui, ma allo stesso
tempo aveva paura di non essere in grado di tenere una distanza adeguata tra
lei e Inuyasha.
Nella sua
mente rivide il sorriso ammirato di Kikyo mentre parlava di lui, raccontandogli
della sua dedizione al lavoro ma non era solo questo, pensò Kagome, c’era
qualcosa di più che non le aveva rivelato.
Una volta
fuori, alzò lo sguardo e guardò quel grande edificio che ospitava la casa
editrice con estrema intensità. Quando all’improvviso, come un fulmine che
squarcia la notte, un’idea attraversò la sua mente.
Fece
scivolare la spallina della borsa lungo il braccio, l’aprì e subito cominciò a
cercare il cellulare.
Doveva
chiamare Sango, immediatamente.
Nel
frattempo, nel dipartimento “Shikon”, Inuyasha sedeva al suo posto tenendo tra
le dita artigliate una vecchia fotografia. La sua espressione era così serena e
tranquilla che Kikyo non si trattenne oltre, sorridendo lei stessa guardò
quell’immagine che già aveva visto in passato.
« Cosa
pensi di fare adesso, Inuyasha? Non è forse lei che … »
« Sì, ma …
non sembra ricordare niente. » il suo tono di voce mal celava la sua delusione,
il suo rammarico era riflesso nei suoi occhi dorati.
« Sono
passati … Quanti anni? Dieci? Sarebbe strano che ricordasse tutto.» continuò
Bankotsu, anche a lui a conoscenza del contenuto di quella fotografia.
L’unico
all’oscuro di quella conversazione sembrava proprio Onigumo, l’ultimo ad essere
trasferito nel loro dipartimento, tant’è che non poté fare altro che rivolgere
un occhiata piena di curiosità verso Kikyo la quale si limitò a sorridere e
scrollare le spalle.
« Che
importa, se lei non ti volesse ci sono pur sempre io con te Inuyasha caro. »
aggiunse Jakotsu, gettandogli le braccia al collo nuovamente e sfregando la
guancia contro la sua nuca.
Salve a tutti!
Ero tentata di non aggiornare oggi, così … per farvi uno scherzone ma poi ho pensato: no, non sono così crudele e
malvagia. Circa.
Ahahahaha! Scherzi a parte, come al solito vorrei ringraziare tutti
coloro che hanno aggiunto questa storia ai preferiti, oppure tra le seguite e
ricordate, insomma: grazie di cuore <3
Spero che questo capitolo possa essere considerato soddisfacente.
Oggi cosa abbiamo scoperto? Abbiamo scoperto tante cose, in particolare i
membri del coloratissimo gruppo editoriale “Shikon” e nel prossimo? Cosa
accadrà? Alieni che arrivano dallo spazio profondo? Restate sintonizzati!
Ringrazio, inoltre, tutti voi che avete recensito questi primi due
capitoli <3siete fantastici, tutti!
« Ti rendi
conto di quello che mi stai chiedendo, vero Kagome? » domandò Sango, le braccia
incrociate appena sotto il seno e l’espressione torva.
« Sì … »
sospirò in risposta la ragazza.
« Ti
costerà parecchio caro. »
« Sono
disposta a trattare. »
« Voglio
le ferie la settimana prima e il giorno di Natale, chiaro? »
Kagome
sbiancò a quelle parole.
Natale era
il periodo più intenso di lavoro per il ristorante, Sango lo sapeva bene,
infatti nemmeno lei si prendeva mai delle ferie per Dicembre. In realtà, non
prendeva quasi mai delle ferie.
Ispirò l’aria
tra i denti stretti emettendo una specie di sibilo, l’espressione tormentata e
affranta mentre allungava una mano verso Sango e l’appoggiò sulla sua spalla.
« Imponi
condizioni molto dure, amica mia … ma accetto. E’ per una buona causa,
dopotutto. »
« Questo è
lo spirito! »
Entusiasta
di aver ottenuto quello che voleva mollò una sonora pacca sulla spalla
dell’amica, sorridendo e rimboccandosi le maniche.
« Ho già
chiamato Kohaku, arriverà a momenti, piuttosto hai qualcosa di particolare in
mente o preferisci lasciarmi carta bianca? »
Kagome
sembrò riflettere qualche minuto sulla domanda dell’amica, ma poi, come quando
aveva preso il telefono, un fulmine l’attraversò e una nuova idea era nata.
Nel
frattempo, nel dipartimento “Shikon”, stavano fremendo i lavori di “bonifica”
dell’ufficio per dargli di nuovo un aspetto più decente e meno da campo di
battaglia.
Ogni tanto
suonava il telefono e Inuyasha, o Kikyo, prendevano la chiamata ascoltando le
proposte degli autori per quanto riguardava le storie extra o delle nuove date
di consegna.
« Muoio di
fame! » sbottò Kikyo ad un certo punto, sbattendo le mani sull’ampia scrivania
e gettando gli occhiali sopra un pila di documenti che sarebbero dovuti andare
in archivio.
« Se
mangio altre schifezze giuro che impazzisco, Inuyasha, ti prego, possiamo
ordinare qualcosa da mangiare fuori? Qualsiasi cosa … »
Lo
supplicò la ragazza, seguita a ruota dagli altri membri del gruppo, affamati
quanto lei, desiderosi di mettere sotto i denti qualcosa di più sostanzioso.
In realtà
li capiva anche lui.
Escludendo
la sera in cui suo fratello, senza spiccicare parole, era entrato nel suo
ufficio e l’aveva trascinato fuori a forza non avrebbe nemmeno cenato
decentemente. I tramezzini nellemacchinette cominciavano a diventare nauseanti, persino per lui.
Sospirò
appena, cedendo davanti alle insistenze di Kikyo mentre questa saltellò sul
posto. Aveva appena preso in mano il telefono fisso, pronto a chiamare un
ristorante cinese non molto lontano, sapendo che faceva parecchie consegne a
domicilio anche nella loro zona. Stava per comporre il numero quando un ragazzo
apparve sulla soglia del loro dipartimento, in mano reggeva un contenitore
termico di metallo che solitamente veniva usato per trasportare il ramen.
« Ho un
consegna per il dipartimento “Shikon”. Mi hanno detto che si trova qui. »
« Sì, sei
nel posto giusto … » disse Kikyo, accennando un sorriso mentre Bankotsu, più
curioso, si avvicinò al ragazzino e lo squadrò con aria pensierosa.
« Sei
piuttosto strano, ragazzino, sarai per caso un ninja? » domandò con tono serio,
sconcertando i suoi colleghi per quell’affermazione inopportuna.
Il ragazzo
era molto giovane, non doveva avere ancora diciotto anni, era piuttosto minuto
e teneva i capelli castani raccolti in una coda alta. Indossava abiti sportivi
e nella mano libera aveva il casco di una moto.
« No, io
faccio solo consegne. »
« Noi non
abbiamo ordinato niente, però » concluse tristemente Jakotsu, avvertendo, come
gli altri, un leggero profumino provenire dal contenitore.
« Anche se
l’idea di rimandare indietro qualcosa che ha un così buon odore mi sembra un
peccato mortale. »
Jakotsu,
Onigumo, Bankotsu e Kikyo avevano gli occhi lucidi per l’emozione e Inuyasha
poté giurare di vedere un rivolo di bava scivolare dal lato delle loro bocche.
« Questo è
un omaggio, in verità, da parte della signorina Kagome Higurashi. »
A quel
nome il viso di Inuyasha scattò, gli occhi si fecero più lucidi divenendo oro
liquido e prima che potesse parlare, chiedere spiegazioni, fu Kikyo a prendere
la parola con gli occhi anche più brillanti dei suoi.
« Sul
serio?! Quindi … Quello che c’è lì dentro viene dal “Nekomata”, vero? »
« Ecco …
Sì … »
Kohaku
sembrò sempre più intimidito da Kikyo, davanti a lui con occhi sognanti e le
mani congiunte tra di loro. Inuyasha, invece, aveva il capo chino e teneva
l’indice premuto contro le labbra in uno dei suoi abituali gesti per nascondere
l’imbarazzo.
Kagome
aveva pensato a lui e ai suoi colleghi, aveva preparato tutto per loro,
nonostante avesse detto che quello era il suo giorno libero.
Non poté
trattenersi dal sorridere a quel pensiero e senza perdere altro tempo raggiunse
il ragazzo, afferrando il contenitore dalle sue mani e guardandolo negli occhi
cercò di mascherare le emozioni che provava come meglio poteva.
Il
sorriso, però, non riuscì a cancellarlo dal volto.
« Grazie …
Potresti riferire questo a Kagome e alla persona che ha cucinato? »
Il ragazzo
annuì, accennò un inchino e si affrettò a tornare ai suoi impegni; era anche la
sua giornata libera, dopotutto.
Tutti,
senza perdere ulteriore tempo, si alzarono di corsa dai loro posti e si
fiondarono nell’area ristoro del loro piano.
Era una
stanza semplice con grandi finestre e una serie di tavoli, disposti uno accanto
all’altro, vicini e con numerose sedie dove i dipendenti potevano riposare e
fare uno spuntino. Inuyasha scosse il capo, trattenendo a stento una risata
mentre li raggiungeva con il contenitore.
Kikyo e
gli altri lo guardavano come se fosse una sorta di divinità da adorare, gli
occhi brillavano in trepidante attesa, in quella circostanza era difficile
cercare di tenerli sulle spine e così aprì il contenitore facendo scorrere la
placca di metallo verso l’alto.
C’erano
cinque piatti al suo interno, coperti da un sottile velo di plastica ciascuno,
separati da appositi ripiani di metallo e attirato dal buon profumo ne estrasse
uno.
Kikyo
saltò sul posto, spaventando i suoi colleghi che la guardavano di sbieco.
« Q-Quello
è il famoso risotto con funghi porcini del ristorante “Nekomata”. Ho l’acquolina
solo a guardarlo! »
All’interno
del piatto, seppure piccolo, era posizionata anche una bellissima forchetta su
cui spiccava fiero il logo del ristorante.
Le
braccia di Kikyo erano protese verso Inuyasha, gli occhi puntati sul piatto che
reggeva in mano e, seppure fosse curioso di assaggiarlo, decise di lasciarlo
alla sua più fedele collaboratrice in campo; senza contare che le sue mani lo
stavano letteralmente supplicando.
Prese
un secondo piatto, ma visto che erano fettine di pollo al curry decise di
passare la palla a Onigumo. Non sopportava proprio quel tipo di cibo, era
troppo piccante per i suoi gusti.
Gli
altri piatti, invece, erano molto vari.
C’erano
involtini primavera, requisiti immediatamente da Jakotsu, del riso alla
cantonese di cui Bankotsu si appropriò senza troppi complimenti.
L’ultimo
piatto, invece, era della semplice yakisoba con tanto di bacchette sistemate
con cura sul bordo. Era uno dei suoi piatti preferiti, assieme al ramen che
avrebbe potuto tranquillamente mangiare a sazietà.
Certamente
più tardi i suoi amici e colleghi lo avrebbero punzecchiato su quel dono da
parte di Kagome, ma per il momento si gustava quell’ottimo cibo senza pensare
troppo al futuro o al passato. Se avesse pensato troppo, lo sapeva, sarebbe
corso da lei ignorando il buon senso e rivelandole tutto quello che lei
sembrava aver dimenticato. Si conosceva troppo bene, così non disse niente e si
limitò a sorridere in modo più dolce. Nessuno se ne accorse, tranne Kikyo.
Kagome,
nel frattempo, stava aiutando Sango a mettere in ordine la cucina del
ristorante anche con l’aiuto di Kohaku che era da poco tornato. Aveva riferito
il messaggio, raccontando a Kagome quanto entusiasmo quel piccolo omaggio aveva
suscitato in tutti e in particolare, ci tenne a sottolineare, nel mezzo demone e
in una giovane ragazza parecchio euforica.
Non
la conosceva da molto Kikyo, vero, ma sentendo la descrizione della sua
reazione non ebbe nessuna difficoltà ad immaginarla.
Aveva
organizzato tutto per quei ragazzi che avevano lavorato duramente e anche per
Inuyasha, forse, pensò, soprattutto per lui. Era stato un gesto così istintivo
e spontaneo che si sorprese lei stessa, in parte era spaventata da quello che
aveva appena fatto.
Era
stato un errore? No, ma lo era stato ugualmente.
Non
poteva affezionarsi troppo a quel ragazzo. Doveva impedirgli di entrare nella
sua anima, e nel suo cuore.
«
Insomma, Kagome mi stai ascoltando?! » la voce di Sango la riscosse dai suoi
pensieri riportandola alla realtà.
Aveva
i capelli legati una bellissima coda alta, indossava la divisa della cucina e
aveva ancora le mani insaponate.
« Ah
scusa … Cosa stavi dicendo? » domandò Kagome, imbarazzata per essersi fatta
trovare sovrappensiero dalla sua amica.
Sango
sospirò appena, scuotendo il capo prima di riprendere a parlare.
«
Volevo sapere cosa avevi deciso riguardo alla sua proposta di convivenza. »
«
Ancora non lo so. »
« Io
accetterei. Mi sembra il modo migliore per conoscere una persona, in questo
modo potrai farti un’idea di chi sia davvero; l’ambiente domestico, in questo
contesto, è il migliore di tutti. »
« Non
è così facile, lo sai. »
Un
ennesimo sospiro e la mora si pulì le mani dalla schiuma del detersivo, chiuse
l’acqua e afferrò uno straccio per poi guardare la sua amica con occhi seri.
« Lo
so, Kagome, so che non ti piace l’idea che qualcuno arrivi al tuo cuore per una
paura che non capisco, ma ormai sei sulla barca e devi remare. L’hai detto tu
stessa la settimana scorsa. »
Annuì
con un cenno del capo mentre rievocava quella loro conversazione sull’argomento.
Sango
la guardò mentre si girava, poggiando le mani sopra i ripiani della cucina e
fissando gli occhi nocciola sul pavimento.
Conosceva
quella ragazza da moltissimo tempo, forse anche troppo, sapeva che a causa di
una brutta esperienza dove aveva visto la morte in faccia parte dei suoi
ricordi erano spariti, ma non capiva davvero quella paura di legarsi a qualcun
altro.
Non
era sbagliato il pensiero in se, ma farsi vincere da quelle emozioni negative
non l’avrebbe certo condotta verso la felicità che meritava. Kagome meritava di
avere qualcuno accanto in grado di sostenerla, aiutarla e prendersi cura di lei
quando la solitudine strisciava dentro l’animo afferrando il suo cuore con le
dita sottili.
« Ne
parlerò anche con mio nonno. Al cento per cento non sarà d’accordo, ma almeno
sentirò anche il suo parere. »
Sango
annuì a quella proposta, sorridendo divertita andò a passare il braccio attorno
alle spalle dell’amica e l’attirò vicino a lei.
« Niente
musi lunghi, avanti! Se la cosa va male, potrai fare come tuo solito e se sarà
lui a farti soffrire, invece, ci penserò io stessa a renderlo impotente per il
resto della sua lunghissima vita. »
Le
parole di Sango avevano sempre un qualcosa di minaccioso, e sentiva un
sottotesto riferito a Miroku, quanto bastava per strapparle un sorriso e una
risata leggera.
«
Riferimenti velati al nostro povero Chef de rang sono puramente casuali, vero?
» domandò, rivolgendole un sorrisetto compiaciuto e un’espressione maliziosa.
«
Ovviamente! » replicò lei, arrossendo leggermente e liberando l’amica dalla sua
stretta.
Ancora
una volta si trovò a domandarsi quando quei due si sarebbero fidanzati, le loro
uscite, anche se terminavano a suon di coltelli lanciati dalla cucina alla
sala, erano risapute e mancava solamente una dichiarazione ufficiale.
Miroku
faceva solo “scena” con le clienti, ormai, persino Kagome si era resa conto del
cambiamento nell’amico ed era strano che non se ne fosse accorta anche Sango.
Uscite
dal ristorante tornarono ognuna ai propri impegni.
Kagome
alzò lo sguardo sopra il cielo limpido di quella mattina autunnale. Non c’era
una nuvola, solamente l’azzurro più chiaro e un pallido sole che riscaldava la
città con i suoi raggi. Rimpiangeva l’estate, da un lato, ma dall’altro amava
l’inverno per tutto ciò che portava. Profumi e colori più caldi, rassicuranti.
L’inverno era la stagione della calma, e dei ricordi.
Aveva
appena raggiunto l’ingresso della metropolitana quando sentì la suoneria del
proprio cellulare all’interno della borsetta, una volta aperta vi trovò un
numero sconosciuto.
“Scommetto
di sapere chi è … “
Pensò
divertita Kagome mentre faceva scorrere il dito sopra l’icona verde della
chiamata per accettarla.
« Pronto, Kagome? Sono Inuyasha. »
« Lo
immaginavo … » rispose lei, accennando un sorriso e cominciando a scendere le
scale della metro.
« Volevo solo ringraziarti di persona per
quello che hai fatto. Abbiamo tutti apprezzato molto i piatti che ci hai
mandato, ma non eri in nessun modo obbligata a fare una cosa del genere e
adesso non so come ricambiare tanta cortesia. »
Persino
il tono della sua voce era splendido, pensò Kagome, passando sul dispositivo
delle porte l’abbonamento.
« No,
non ti preoccupare … Era un regalo. Insomma … » sentì le guance riscaldarsi
mentre immaginava di sentire da vicino quella voce così bassa, calda e
terribilmente sensuale.
« … Io
pensavo che avreste apprezzato qualcosa del genere per ritrovare le energie,
ecco … »
« La tua idea è stata perfetta, Kagome. Grazie
di cuore, domani mattina passo al ristorante per riportarti tutto. E, Kagome …
» si fermò un istante, come se stesse valutando le parole che doveva dirle.
« Ricordati di darmi anche il tuo
indirizzo mail, in questo modo potremo parlare più facilmente. A domani. »
Non aveva
risposto, non aveva potuto articolare nessuna frase per rispondere.
La
chiamata venne interrotta e lei ripose il cellulare nella borsa. Sentiva ancora
le guance arrossate, tant’è che avvicinò una mano per sfiorare con le dita
fresche la pelle.
“Sarà
difficile … Molto più di quanto pensassi”.
Constatò
salendo a bordo della metropolitana.
Tutti i
posti erano presi e così, senza perdere tempo, si appoggiò alle portiere
opposte che sapeva sarebbero rimaste chiuse.
Nelle sue
orecchie risuonava ancora quella voce calda, aveva un tono basso, ma non
troppo, sentiva il suo cuore accelerare i battiti per così poco.
Poggiò la
nuca contro il vetro delle porte, con gli occhi osservava il proprio riflesso
imbarazzato e appena confuso e quasi non si riconosceva.
Era
talmente assorta nei suoi pensieri che per un momento mancò la sua fermata,
sussultando scese di corsa dalla metro e sospirò sollevata quando i suoi piedi
toccarono la banchina. La prossima, pensò, avrebbe allungato la strada verso il
tempio di almeno mezz’ora.
Il tempio
della sua famiglia sorgeva in cima ad un’altissima scalinata che spesso
scoraggiava molti visitatori di passaggio, ma suo nonno la riteneva un buon
esercizio sia fisico che spirituale. Spesso le aveva chiesto di prendersi cura
del tempio quando non ci fosse più stato, tuttavia, conoscendo bene se stessa,
aveva ripetuto che non era in grado di fare la sacerdotessa e i suoi sogni
erano altri. Ad aiutare il nonno, oltre a Sota che stava finendo le scuole
superiori, c’era anche la giovane Hitomiko. Aveva circa la sua età, solare e
molto gentile di carattere, da diversi anni faceva parte della sua famiglia e
si era deciso di lasciare a lei il tempio quando il momento fosse giunto. I
suoi genitori erano venuti a mancare quando era piccola, non aveva nessun
parente e così … una cosa tira l’altra, si era trovata una sorella molto più
coscienziosa di lei.
Camminando
aveva preso a canticchiare una canzone, non ricordava doveva l’aveva sentita e
nemmeno quando, era una melodia nostalgica che l’aiutava a mettere ordine nella
sua mente.
Aveva
raggiunto l’ultimo scalino quando fu investita da un getto di acqua fresca.
Aprì gli
occhi di scatto, sorpresa e sconcertata.
Davanti a
lei c’era suo nonno, il respiro affannoso e Sota che cercava di frenarlo
trattenendolo per le spalle.
« Sorellina!
Nonno, adesso basta dai! »
In mano
reggeva un lungo bastoncino di legno con una forma curva, simile a un
cucchiaio, usato per le abluzioni dei visitatori del tempio prima di entrare.
“Che diamine sta succedendo qui? Va bene che dovevo fare la doccia, ma questo
mi sembra un tantino esagerato”.
Lanciò
un’occhiata molto significativa verso suo nonno e poi verso Sota, mentre questo
cercava di strappargli dalle mani l’oggetto malefico. Sospirò esausta mentre
spostava lo sguardo di lato e per poco non saltò sul posto.
Accanto
lei, fradicio completamente, c’era il padre di Inuyasha. La sua espressione era
perfettamente tranquilla, sembrava quasi non gli importasse di essere zuppo di
acqua e teneva le braccia conserte e le mani nascoste nel risvolto del kimono.
« S-Signor
Akio … »
Il demone aprì gli occhi, rivolgendo un sorriso gentile a Kagome mentre si
voltava completamente verso di lei.
« E’ un
piacere vederti, Kagome, spero vorrai perdonare questa mia visita intempestiva
ma avevo necessità di parlare con te e la tua famiglia. »
Il padre
di Inuyasha non era assolutamente meno affascinante del figlio.
Lunghissimi
capelli argentei venivano trattenuti da una coda alta risplendevano al sole e
l’acqua gettata dal nonno non faceva che risaltarne i riflessi, gli occhi erano
un intenso color oro, molto più simile all’ambra, pensò Kagome, trovando una
differenza abissale con quelli di Inuyasha che invece le ricordavano più il
sole.
La sua
presenza era imponente, incuteva timore e rispetto, ma il suo volto era chiaramente
gentile e i suoi modi di fare erano impeccabili ma senza sfociare nella
falsità.
Kagome si
trovò ad arrossire mentre lui la guardava senza esitazione negli occhi,
chinando il capo per l’imbarazzo e sistemando nervosamente la borsa contro la
spalla.
« N-No, si
figuri … anzi, la prego di seguirmi. Preparo subito il thé. »
Il nonno
non era assolutamente d’accordo, lo sentiva dal tono di voce, ma decise di
ignorarlo come aveva fatto il padre di Inuyasha quando lei era arrivata. Almeno
per il momento, pensò.
Sota era
accanto a lui, cercando di calmarlo e ricordandogli che non erano più nel
medioevo ma nel ventunesimo secolo ormai. Il mondo era diverso.
Sbuffando
e lamentandosi, alla fine anche lui si arrese, convinto da Sota ad ascoltare le
ragioni di quell’uomo che si era lasciato inzuppare senza battere ciglio.
Salve a tutti!
L’avete chiesto a gran voce (circa) per cui io, dall’alto della mia
infinità bontà (ma dove?) ho deciso di anticipare le date di uscita di questa
nuova storia a martedì! Ebbene sì, gente! Avrete più tempo per gustarvi la
storia.
Al solito, ringrazio tutti voi che avete recensito, aggiunto la storia ai
preferiti o tra le seguite, siete tantissimi e vi ringrazio dal profondo del
mio cuore.
Fate così tanti complimenti che non faccio altro che imbarazzarmi, sul
serio.
Ora, ho notato che molti si sono stupiti della proposta di Inuyasha ma,
visto che sono una vecchia studentessa universitaria, l’ho vista solo come una
proposta pratica per ridurre le spese dell’affitto. Non volevo sembrare troppo “frettolosa”,
ma era l’unica soluzione per portare avanti la storia come avevo previsto.
Tornando a noi: nel prossimo capitolo morirà il signor padre (ValarMorghulis, gente, tra poco
ricomincerà tutto! – pubblicità semi occulta -), gli alieni invaderanno la
città e …
Nah, niente di tutto ciò! Nel prossimo capitolo conosceremo Koga, tra le
altre cose, assieme a un Naraku che … beh … se Kikyo vi è piaciuta sono certa
che lo “adorerete” (spero).
Bene, dopo questi piccoli spoiler vi lascio al prossimo aggiornamento ♫
La
situazione all’interno della casa era più tesa di una corda di violino.
Il
nonno, seduto dalla parte opposta del tavolo, non faceva che lanciare occhiate
di fuoco al padre di Inuyasha mentre Sota, accanto a lui, cercava di calmarlo e
farlo ragionare.
In
realtà, Kagome era lieta che quell’uomo, quel demone, fosse venuto a trovarla.
Aveva alcune cose da chiedergli, sia in base al contratto e sulla signora
Izayoi.
Sospirò
pesante mentre cominciava a versare la bevanda calda in quattro tazze di
ceramica poste sopra un vassoio, i dolcetti, per sua fortuna, erano già posti
al centro del tavolo e ora non restava altro che affrontare la tempesta.
Il
nonno sembrava essersi calmato, constatò Kagome tornando in sala, poggiando il
vassoio sul tavolo e servendo per primo il suo ospite.
« Ti
ringrazio molto, Kagome. » disse il demone, sorridendole in modo cordiale e
avvicinando la mano artigliata alla tazza per avvicinarla a se.
Lei
ricambiò il sorriso guadagnandosi un occhiata di fuoco da parte del nonno,
occhiata che spense con una altrettanto severa mentre gli porgeva la sua tazza
di the.
Fu
lei a sedersi per ultima, sistemandosi a capo tavola e osservando l’uomo alla
sua destra con una certa curiosità.
«
Ecco, signor Akio … »
«
Niente formalità, ti prego, mi fa sentire terribilmente vecchio … »
«
Signor Akio … » ribadì lei, decisa a mantenere almeno quell’aspetto informale
del loro rapporto.
« Ha
detto che aveva una questione importante da discutere con noi, se non sbaglio.
»
L’uomo
annuì mentre accennava un sorriso, colpito dalla testardaggine di lei ma anche
ammirandola per questa sua indole.
Dai
risvolti delle maniche del suo kimono nelle cui pieghe si trovavano le mani
estrasse una fotografia, la teneva tra le dita artigliate e solo dopo averla
riguardata malcelando una certa malinconia, la posizionò sul tavolo dove tutti
potevano vederla.
Kagome
venne completamente catturata da quell’immagine ingiallita dai colori seppia,
molto vecchia, certo, ma gli edifici dietro le due ragazze li conosceva e
sapeva che non potevano avere più di una quarantina, massimo cinquantina
d’anni.
Le
due ragazze ritratte altri non erano che sua madre, Yukiji, e quella che doveva
essere la madre di Inuyasha, Izayoi.
Indossavano
una divisa alla marinara con una gonna molto più lunga rispetto ai canoni
moderni. Il braccio di una era stretto nella presa dell’altra, sorridevano
felici alla telecamera mentre sua madre – e sorrise anche più divertita a
quello che vedeva – reggeva in mano un cono gelato con almeno tre gusti e sopra
una spruzzata leggera di panna. Era come piaceva a lei.
L’altra
donna, invece, aveva lunghissimi capelli scuri che incorniciavano un volto dai
lineamenti eleganti da apparire perfetta sotto ogni punto di vista. Le bastò
quell’immagine per capire come mai quel demone davanti a lei si fosse
innamorato di un essere umano.
“E’ davvero bellissima … “
« Ho
trovato questa tra le cose di Izayoi l’altro giorno.
Sul
retro della foto c’era una dedica, da parte di Yukiji Higurashi, in memoria dei
vecchi tempi passati al club di tiro con l’arco. » spiegò velocemente il
demone, tornando a nascondere le mani dentro le pieghe del kimono.
Sota
guardava rapito la foto, soprattutto con una mamma a lui sconosciuta,
immaginandola alla sua età, circa, mentre il nonno passava una mano sulla barba
osservando quella fotografia.
«
Izayoi era più grande di vostra madre, a quanto ho capito, tuttavia non mi ha
mai parlato direttamente di lei o di quello che aveva in mente con quel
contratto. »
Tutti
a quel tavolo, Sota compreso, si accorsero che c’era qualcosa di strano nel
racconto del demone. Non era falso, la foto diceva il vero, ma la sensazione
strana veniva dal modo in cui si riferiva alla moglie chiamandola solamente con
il suo nome.
Kagome
ricordò la sera in cui lo incontrò assieme anche all’altro suo figlio, un
ragazzo davvero stoico e rigido, non dimenticò facilmente l’occhiata gelida che
la trapassò da parte a parte quando chiese al signor Akio se la firma sul
documento era della moglie. Lui rispose solamente che sì, era la firma di
Izayoi, senza fare nessun accenno a “moglie”.
«
Questo ci porta al motivo della mia visita oggi. »
A
quell’ultima parte del discorso gli sguardi di tutti scattarono dalla
fotografia al demone, curiosi e attenti.
« Nei
prossimi giorni, Sesshomaru, mio figlio più grande, presenterà in famiglia la
sua fidanzata e date le circostanze attuali, Kagome, mi piacerebbe che fossi
presente. »
«
Perché? » domandò la ragazza, inarcando le sopracciglia e fissandolo
curiosamente.
«
Perché, vista l’attuale situazione , ti considero parte della nostra famiglia e
anche Inuyasha era d’accordo … »
« Cosa?!
»
Kagome
era sempre più allibita da quell’assurda situazione: ma i demoni come
ragionavano?
« In
effetti, mio figlio è parecchio strano di recente. Solitamente rifiuta questi
eventi con la scusa del lavoro ma stranamente ha detto, testuale: “se Kagome
accetta, per me non ci sarebbero problemi a venire”.Tutto qui. Evidentemente gli sei piaciuta
subito. »
Le
rivolse un occhiolino ammiccante mentre la ragazza sentiva le orecchie, e parte
del viso, prendere fuoco per l’imbarazzo.
Il
nonno non aveva molto apprezzato quell’ultima parte del discorso. Infatti, si
era alzato in piedi, agitando un pugno con fare minaccioso ma venne prontamente
fermato da Sota che sviò la sua attenzione.
Il
tutto con il grande sollievo di Kagome che poté tirare, almeno in parte, un
sospiro di sollievo e poté tornare a rivolgere la sua attenzione al demone.
Aveva
molte domande da fare, ma dopo il suo discorso decise di non farle. Se lui non
sapeva niente, era completamente inutile e le perdite di tempo non le piacevano
molto. Una cosa, però, ci teneva ugualmente a sapere.
«
Signor Akio, la signora Izayoi tra le sue cose aveva per caso un diario … o
qualcosa del genere? »
« Non
saprei proprio … » rispose sinceramente il demone, scuotendo il capo. « Non ho
mai … Non ho mai voluto sistemare davvero le sue cose, un mio errore.Ho trovato questa fotografia quasi per caso,
in effetti, ma se vuoi cercare qualcosa puoi venire quando vuoi. »
Qualcosa
in quel discorso la turbava un pochino e decise di esprimere tranquillamente la
sua opinione a riguardo.
«
Ecco … Non dovrei chiedere anche a Inuyasha? Insomma … Dovrei frugare tra le
cose di sua madre, non so quanto potrebbe fargli piacere … »
Sul
volto del demone comparve un sorriso che non gli aveva mai visto fare prima.
Era
molto malinconico, ma non era quel tipo di malinconia che tu potevi trovare in
qualsiasi sguardo, no, questa aveva radici ben più profonde.
Kagome
non conosceva la sua situazione, ma aveva incontrato, di tanto in tanto, alcuni
demoni al locale cimitero che andavano a offrire le loro preghiere in occasioni
speciali. Erano tombe umane, per esseri umani.
I
demoni avevano il vantaggio di vivere per molti, moltissimi anni e quando si
legano a un essere umano sono ben consapevoli che il tempo scivolerà via sempre
dalle loro mani. Eppure, sono disposti a sopportare un dolore così lacerante in
nome dell’amore. Quel sentimento che secondo molti non potevano possedere, in
quanto creature maligne.
« Hai
ragione, ad ogni modo … Sarei lieto che accettassi la mia offerta. Sarebbe una
scusa per avere di nuovo la famiglia tutta riunita. Non sono cose che capitano
spesso, ormai. »
Se Akio,
il padre di Inuyasha, parlava in quei termini non c’era molto che poteva fare
per rifiutare e così annuì con un cenno di assenso subito dopo aver sospirato
rassegnata.
“Si è
anche preso una doccia per colpa di mio nonno, mi sembra il minimo che posso
fare”.
Il demone
decise di lasciare alla ragazza la fotografia che aveva trovato, sorridendole
in modo cortese come prima, suo nonno invece non aveva detto una parola e si
era limitato a bere il suo the.
Fu Sota,
sorprendendolo, a rivolgergli la parola ponendogli una serie di domande con gli
occhi brillanti di curiosità.
L’uomo non
sembrò dispiacersi di quella curiosità e così rispose a tutte le domande di
Sota, soddisfacendo così anche la curiosità di Kagome che però, a dispetto del
fratello, non osava porre domande così dirette.
Akio era
un demone maggiore, uno tra i più potenti nel clan dei cani, durante l’epoca
Sengoku era stato un temuto generale che aveva combattuto contro i più temuti
demoni che loro studiavano nei libri di Storia. Kagome fu sorpresa
nell’apprendere la notizia che fu proprio lui, moltissimi anni prima della sua
nascita, a uccidere il grande demone drago celeste Ryukotsusei; quella storia
era entrata nella leggenda, ma nessuno riportava mai i nomi di compiva tali
gesti. Si era ritirato in seguito all’apertura verso le modernità, aiutando il
paese da dietro le quinte ma senza intervenire in maniera drastica come una
volta. Nel presente, aveva una brillante carriera come giocatore di shogi e
deteneva uno dei gradi più alti: Meijin a vita.
“Uno dei
vantaggi di avere una vita lunga … “ pensò Kagome, riflettendo su quanto avesse
faticato per ottenere quel titolo.
Suo nonno
si ammorbidì un poco quando venne toccato quell’argomento e cominciò a fare
anche lui qualche domanda ricordando di quando in gioventù aveva provato a
partecipare a qualche torneo, ma senza ottenere grandi risultati. Il demone fu
sorpreso, ma non tanto quanto Kagome, al vederlo così cordiale nei suoi
confronti ed estese il suo invito a trovarlo ogni qualvolta avesse desiderato
fare una partita.
Il nonno
sembrò riprendersi e con un colpo leggero di tosse ammise che ci avrebbe
pensato attentamente. Kagome, nel frattempo, pensò che quella proposta era una
semplice scusa per evitare altre docce da parte del nonno. Una scelta saggia.
Alla fine,
dopo aver conversato ancora un po’ con il nonno e Sota, prese congedo salutando
la famiglia e promettendo a Kagome di avvisarla quanto prima per la serata in
famiglia.
Non era
ancora molto convinta, ma oramai non poteva più tirarsi indietro, e così lo
salutò con un sorriso leggero mentre si allontanava con passo lento dalla loro
dimora nel tempio.
Dopo un
pomeriggio come quello, pensò Kagome, probabilmente non avrebbe voluto fare
altro per il resto della serata.
“Avrei voluto parlare al nonno di quella faccenda, ma meglio non metterlo
troppo alla prova per oggi”.
Aveva
avuto fortuna per quella giornata, meglio non sprecarla. Hitomiko arrivò poco
dopo, aiutando il nonno a sistemare alcune cose e dando una mano in casa. Sota,
invece, avrebbe passato la serata a casa di un amico per prepararsi agli esami.
Kagome,
invece, si ritirò nella sua camera.
Stesa sul
morbido letto, posto accanto alla parete, tenne tra le dita sottili la
fotografia lasciata dal loro inusuale ospite.
« Mamma …
A cosa stavi pensando quando hai firmato quell’assurdo contratto? » pensò a
voce alta, lo sguardo assorto intrappolato nei dettagli di quella vecchia
immagine.
La girò
tra le dita e dietro c’era una dedica: “In
memoria dei giorni trascorsi al club di Kyudo. Yukiji Higurashi”.
Non
conosceva la donna accanto alla madre. Non sapeva quali potessero essere i suoi
pensieri e si trovò a pensare che fosse un peccato non averla conosciuta quando
ancora era in vita.
C’erano
tante cose che non ricordava più di sua madre, tante cose che non conosceva,
sentire i racconti di qualcuno che l’aveva conosciuta direttamente in gioventù
avrebbe giovato anche a Sota. L’avrebbe aiutato a sentire la madre più vicina.
Si girò di
lato sul letto lasciando cadere le braccia oltre il bordo, gli occhi nocciola
persi a fissare un punto distante e lontano nelle linee composte dal legno del
suo armadio.
Una parte
di lei, quella più inconscia, voleva chiamare Inuyasha e chiedergli qualche
spiegazione e il permesso per vedere le cose di sua madre. Voleva risentire
quella voce calda e sensuale sfiorarle le orecchie.
La
fotografia le scivolò dalle dita danzando come una foglia d’autunno verso il
pavimento, la stessa mano che reggeva la fotografia si posizionò sul collo e
l’altra seguì il suo esempio. Accarezzò leggermente la pelle del collo,
provocandosi leggeri brividi sfiorando con i polpastrelli i punti in cui si
trovavano le vene. Sentiva i battiti del suo cuore, impetuosi come una
tempesta.
Chiuse gli
occhi, lentamente, rigirandosi supina nel letto e fissando poi gli occhi sul
soffitto. Si sentiva sconfitta in quel momento, soltanto pensare a lui, ad
Inuyasha, la faceva sentire in pace nonostante il cuore battesse furiosamente.
Alcuni filosofi buddisti sostengono che riesci a riconoscere la tua anima
gemella quando ti senti calmo, senza provare ansietà o agitazione. Questo
pensiero la spaventava enormemente, da un lato, mentre dall’altro aveva la
sensazione che non ci fosse niente di più giusto che potesse fare.
Quando
giunse finalmente la mattina Inuyasha, come aveva promesso, si recò al
“Nekomata”.
Aveva una stranissima espressione in viso, come se avesse percorso la maratona
e al traguardo avesse perso, teneva il capo chino mentre due braccia esili
erano strette attorno al suo collo. La proprietaria, Kikyo, infatti era
letteralmente appesa al suo capo e non faceva che saltellare entusiasta.
« Sono così
contenta che mi hai permesso di venire con te, Inuyasha. Quasi non ci credevo
quando mi hai invitata. » disse Kikyo, gli occhi brillanti fissi sull’insegna
del locale.
Inuyasha sospirò, spostando stancamente lo sguardo a Kikyo.
« Guarda
che io non ti ho invitata … »
« Davvero?
Non ci ho fatto caso. » rispose lei, guardandolo perplessa mentre Inuyasha
emetteva l’ennesimo sospiro.
Era inutile: Kikyo sentiva solo quello che voleva sentire, soprattutto quando
si trattava di cose che la interessavano.
Aveva
chiamato Kagome quella mattina, per essere sicuro che fosse al ristorante in
giornata, era stato piacevole chiamarla con quella scusa e ancora più piacevole
sarebbe stato se non avesse avuto dietro l’accompagnatrice inopportuna del
momento.
Il
problema era sorto quando aveva telefonato in ufficio.
Sarebbe
stato meglio se a rispondere fosse stato Onigumo, era un tipo abbastanza
tranquillo (tranne quando si entrava nella fase critica) e solitamente si
risparmiava dalle battutine, ma per sua sfortuna aveva risposto Kikyo che non
solo gli aveva detto che avrebbe avvisato il capo per conto suo ma che sarebbe
venuta lei stessa per salutare e ringraziare Kagome.
Non aveva
nemmeno fatto in tempo a dirle qualcosa.
E così,
con lei appiccicata come un koala, strana malattia che colpiva tutti i suoi
collaboratori a quanto sembrava, aggirò l’edificio andando verso una strada
adiacente.
Pochi
passi e si trovarono davanti a un cancello di metallo scuro, accanto ad esso
c’era una porta con un citofono e si diresse verso di esso per suonare e
annunciarsi.
Aveva
appena premuto il tasto che la porta si spalancò di colpo, Inuyasha e Kikyo
fecero appena in tempo a spostarsi per evitare un ragazzo e un coltello da
cucina, lungo e sottile, che si era conficcato nella porta.
“In che
razza di posto lavora?!” pensò Inuyasha, guardando la lama del coltello e il
ragazzo appena uscito.
Aveva
indosso un paio di pantaloni scuri, una camicia bianca con le maniche
arrotolate malmessa e un papillon, sciolto, attorno al collo. I capelli scuri
erano legati da un codino basso.
Il suo
sguardo si fece più gentile mentre gli occhi scuri si posavano su Kikyo la
quale aveva lasciato la presa dal corpo di Inuyasha nel mentre, sorridendole in
modo solare e avvicinandosi per prenderle una mano che tenne nelle sue con
gentilezza.
« Voi
siete davvero una fanciulla di rara bellezza, sapete? »
Kikyo non
era abituata ad approcci così diretti.
La
conosceva da quando aveva cominciato a lavorare per la collana “Shikon”, aveva
scelto di editare manga per via del suo carattere schivo e un po’ altero che
rendeva difficile per chiunque fare conoscenza. Tuttavia, era soltanto
apparenza. In realtà, Kikyo era molto dolce e gentile ed estremamente
romantica.
Le guance
presero immediatamente colore mentre ritirava la mano da quella del ragazzo,
stringendola al petto e chinando il capo.
« Vi
burlate di me? » domandò, modesta come sempre mentre prendeva a torturare la
punta della lunga treccia in cui aveva legato i capelli. Il ragazzo le rispose
con un sorriso cordiale mentre Inuyasha, allibito, non sapeva se intervenire o
meno.
« Affatto,
la vostra visione basta a purificare il mio sguardo. »
« M-Ma
cosa dite? »
« La
verità, mia dolce fanciulla. »
Inuyasha
aveva gli occhi spalancati e guardava la scena con la bocca spalancata,
perfetta per un nido di mosche.
Kikyo
sembra a disagio e non sapeva cosa rispondere ma un suono dal locale, come
qualcosa che si rompeva, ruppe quella sorta d’incantesimo e il viso del ragazzo
cambiò colore divenendo violaceo.
« Vogliate
scusarmi, una commissione attende la mia presenza. E’ stato un piacere. »
Un
occhiolino e prima di andarsene, con un movimento fluido, sfiorò il
fondoschiena della ragazza facendola sobbalzare sul posto e gettandola tra le
braccia di Inuyasha che stavolta lo fissò furente.
« Dannato
maniaco … » mormorò sottovoce, allentando la presa di Kikyo dal suo corpo e
scuotendo il capo.
Sulla
soglia della porta spalancata da prima apparve una ragazza.
Aveva
lunghi capelli scuri trattenuti in una coda alta, la divisa tipica di chi
lavora in cucina con quella strana giacca bianca dai doppi bottoni e i
pantaloni a quadretti, gli occhi nocciola e un filo di trucco leggero sul
volto. Senza troppi complimenti estrasse il coltello dalla porta e lanciò un
occhiata strana nella loro direzione, causando uno strano brivido di terrore
lungo la schiena del mezzo demone.
“Ho una
bruttissima sensazione … Davvero molto brutta. I miei sensi demoniaci sono
tesi”.
Deglutì
appena mentre Kikyo, senza troppi complimenti, staccò dalle mani del suo capo
il contenitore che erano venuti a riportare guardando la ragazza con occhi
brillanti.
L’aveva
riconosciuta immediatamente, dopotutto, pensò, era identica alle fotografie
uscite sui giornali. Quella era Sango, lo Chef ufficiale del ristorante e una
tra le migliori della città.
« Voi
siete i ragazzi della casa editrice, vero? » domandò all’improvviso la ragazza.
« Ecco … Sì, siamo noi. » rispose Inuyasha, ancora teso e con un occhio fisso
sul coltello che la ragazza teneva in mano.
Quest’ultima
parve notare il suo sguardo preoccupato e si lasciò scappare una veloce risata
avvicinandosi a Kikyo nel frattempo e prendendole di mano il contenitore che
avevano riportato, sorrise appena mentre faceva vedere la lama affilata
dell’oggetto.
« Un bel
gioiellino, vero? E’ perfetta per fare a fettine sottili i maniaci che lavorano
in sala e che si permettono di allungare troppo le mani. »
“Allora
quel ragazzo è recidivo” pensò Inuyasha, mentre guardava con preoccupazione crescente
la luce omicida negli occhi della ragazza.
« Forza,
venite dentro a salutare Kagome. Vi avverto, però, potrebbe essere un po’ giù
di morale. »
« E’
successo qualcosa? » domandò Inuyasha celando la sua reale preoccupazione.
Seguirono
la ragazza all’interno della porta trovandosi davanti a un corridoio un po’
stretto.
Alla fine c’erano delle scale mentre sul lato destro, invece, c’era una porta
con una targhetta che diceva cucina e, invece, sul lato sinistro una porta con
una targhetta più semplice su cui erano disegnati in sagome un uomo e una
donna.
« Non
proprio … » continuò Sango, aprendo la porta della cucina e facendo cenno loro
di entrare.
Era contro le norme di sicurezza e d’igiene, vero, ma poteva essere una scusa
per sfruttare gli stagisti che venivano mandati ogni tanto.
« Il
nostro capo, Naraku, ha appena chiamato … » pronunciando quel nome il viso di
Sango sembrò svuotarsi, impallidendo completamente. « Ha detto che sarebbe
passato oggi e vuol dire solo una cosa: stress. »
Passando
dalla cucina Kikyo si guardava attorno, entusiasta come poche volte,
memorizzando ogni piccolo dettaglio e strumento che veniva utilizzato.
Quando aprì la porta a spinta che li separava dalla sala, anche Inuyasha, come
Kikyo, rimase completamente rapito dalla sala.
Sango,
che aveva lasciato giù in cucina il contenitore e il coltello – soprattutto
quello -, osservava compiaciuta l’espressione sbalordita degli ospiti della sua
amica.
Aveva
riconosciuto immediatamente Inuyasha dalla descrizione di Kagome, grazie anche
a quelle simpatiche piccole orecchie che aveva sul capo e ne dava atto; erano
davvero la cosa più adorabile che avesse visto.
La
sua amica, in compenso, era seduta su una sedia davanti al tavolo su cui
poggiava il suo portatile. La schiena era riversa all’indietro, il capo piegato
leggermente poggiava contro la spalla e gli occhi e il viso erano completamente
spenti. Tutto di lei, era circondato da un’aura oscura.
Quella scena ricordava a Inuyasha se stesso e i suoi colleghi al termine del
periodo infernale, quando ogni cosa veniva consegnata e tutto era finito, ma
non era allo stesso livello; da loro c’era molta più disperazione.
Fu
Kikyo la prima ad avvicinarsi, preoccupata, punzecchiandole la spalla con un
dito aspettando una sua reazione. Nulla, non accadde niente.
«
Inuyasha, pensi sia morta? » domandò innocentemente, continuando a
punzecchiarla con il dito.
Nel
frattempo, al dipartimento “Shikon”, il gruppo di editori continuava il proprio
lavoro anche con più impegno per compensare l’assenza del loro capo.
« Che
dici, fratello, Inuyasha riuscirà a parlare con la ragazzina? » borbottò
Bankotsu, rilassandosi contro la propria sedia e stiracchiandosi un pochino. Era
da troppo tempo fermo, aveva bisogno di sgranchire i muscoli.
« Con
lui c’è anche Kikyo, giusto? Allora non molto. »
«
Scusate … » esordì Onigumo, alzando gli occhi dallo schermo del portatile.
Aveva degli occhi castano scuri piuttosto comuni, un viso dai tratti un po’
affilati e i capelli scuri sembravano il nido di qualche animale.
« Io non
ho capito molto questa storia. Chi è quella ragazza che ci ha mandato il pranzo
ieri? »
« Ah
vero, Onigumo caro, tu sei arrivato da poco e quindi non lo sai … » rispose
Jakotsu, tirandosi in avanti e incrociando le braccia sopra il tavolo.
«
Devi sapere che … »
«
Allora?! Dov’è finito quel botolo ringhioso?! » sbottò una terza voce
proveniente dal corridoio e che interruppe Jakotsu.
Nel
dipartimento “Shikon” comparve un ragazzo, un demone anche lui.
Aveva
lunghi capelli scuri legati in una coda e una bandana di pelle, a quanto
sembrava, copriva parte della fronte e della frangia. Gli occhi azzurri
esaltavano il completo che indossava.
Entrò
a grandi falcate, raggiungendo Bankotsu e sbattendo una mano contro il tavolo.
« Ha
preso una mezza giornata di permesso. » rispose placidamente, gli occhi fissi
sullo schermo e le dita intente a battere sulla tastiera a grande velocità.
«
Cosa?! Proprio oggi che ero venuto apposta per fargli il sedere a strisce …
chiamalo e digli di tornare prima. »
Bankotsu,
Jakotsu e Onigumo si lasciarono ad andare ad un sospiro di gruppo.
Era inutile, niente poteva fermare Koga, il demone a capo del dipartimento
finanziario (o vendite).
Salve a tutti!
Allora, allora e ancora allora.
Volete la sincera verità? Mi stavo dimenticando di scrivere in questi
giorni ma ho una scusa più che valida a questa mia mancanza: ho scoperto come
far andare la playstation sul mio computer. La mia vita sociale, già esigua, è
diventata ancora più esigua Ahahahaha!
Veniamo a noi!
Come promesso, a fine capitolo, abbiamo visto l’entrata in scena di Koga
e nel prossimo conosceremo Naraku.
Cos’altro accadrà? Assisteremo a un ballo sexy o alla hula? Oppure alla
danza KitaKita? Se non
capite quest’ultimo riferimento vi disconosco tutti!!
Scherzo!! Ahahaha!
Al solito, ringrazio tutti per le recensioni, i complimenti, o
semplicemente perché avete aggiunto la storia ai vostri preferiti o tra le
seguite.
Vi ricordo, se non avete da fare, le altre storie a cui sto lavorando tra
cui: “Il marchio del drago” e “9 persons; 9 hours; 9 doors” che
aggiornerò nel primo pomeriggio.
Quando
Naraku aveva chiamato per annunciare il suo imminente arrivo al locale aveva
sentito un brivido attraversare la sua anima, lo stesso presagio che aveva
colpito tutti i dipendenti e che si erano dati alla fuga. Miroku era stato il
primo, approfittando dell’ira di Sango si era dato alla macchia prima
dell’arrivo del suo capo. Era immersa nella sua personale disperazione quando
aveva sentito qualcosa punzecchiarle il braccio insistentemente. Voci lontane
sembravano risvegliare la sua coscienza, costringendola, seppure controvoglia,
a tornare nel mondo dei vivi.
Quando
i suoi occhi si riaprirono si trovò davanti il viso di Inuyasha e quello di
Kikyo, entrambi preoccupati per quella sua strana espressione.
«
Siete già arrivati? » domandò, tirandosi su con la schiena e sgranchendo un
pochino i muscoli tesi delle spalle.
«
Siamo qui da un po’, in effetti. » rispose Inuyasha mentre Kikyo, preoccupata
che potesse sembrare scortese, gli rifilò una gomitata nel fianco per mozzargli
il respiro e farlo tacere per qualche attimo.
Kagome,
tuttavia, sembrava non badare affatto a queste inezie.
«
Ancora una manciata di dolcissimi secondi, prima che il motivo di tanta
disperazione mi torni alla mente … »
« Lo
Chef ha detto che doveva arrivare il tuo capo, o qualcosa del genere … »
rispose istintivamente Kikyo, ricordando bene le parole di Sango a riguardo e
subito, come una molla, Kagome scattò in piedi cominciando a sudare freddo.
Inuyasha
adesso era davvero curioso: che persona era il suo capo per procurarle una
simile reazione?
« E’
una persona così orribile? » domandò Inuyasha, vinto dalla curiosità.
Sia
Sango, avvicinatasi per ascoltare la conversazione, e Kagome guardarono
perplesse il mezzo demone e poi scossero vivacemente il viso trattenendo a
stento una risata.
« No,
affatto … » rispose Kagome, sorridendo divertita. « E’ solo una persona molto
stressante quando ci si mette, insomma … una persona problematica ma non in
senso completamente negativo. Un po’ come Jakotsu, ecco. »
Stavolta
fu Inuyasha a rabbrividire.
Ogni
tanto, lo confessava a se stesso, aveva paura delle sue eccessive esternazioni
di affetto e più di una volta aveva dovuto mettersi in salvo le labbra e non
solo.
«
Allora posso capire, anche troppo bene … »
«
Kagome! »
Le braccia di Kikyo si allacciarono velocemente attorno al collo della ragazza,
colta di sorpresa da una tale manifestazione di affetto, fece appena in tempo a
reggersi al tavolo per non cadere a terra come un sacco di patate.
« Non
so come ringraziarti per il pranzo che ci hai mandato l’altro giorno! Mi hai
salvato la vita. Ero morta, ma dopo aver assaggiato il risotto con i funghi
porcini sono tornata in vita. »
« Mi
ha persino chiamato nel giorno libero per prepararvi tutto … » aggiunse Sango,
guardando con una strana espressione compiaciuta la sua amica. Kagome, infatti,
fu colta da un improvviso moto d’imbarazzo e si affrettò a rispondere qualcosa
a Sango ma Inuyasha non stava ascoltando quella parte del discorso.
La
prima parte, quella sì che l’aveva sorpreso e fu faticoso comportarsi come se
la cosa non l’avesse emozionato. Kikyo, ancora attaccata come un koala a
Kagome, aveva scorto quel leggero colore sul guance del capo per non parlare
delle orecchie che si erano mosse velocemente come per scacciare una mosca. Non
capiva per quale motivo non voleva parlarle, anche se aveva dimenticato, pensò,
non valeva il suo silenzio. Doveva sapere.
Conoscere
la verità su quel contratto, forse, avrebbe reso la loro relazione molto più
semplice.
« Ad
ogni modo, Inuyasha, non mi sono presentata e ti chiedo scusa. »
« Tu
però sai come mi chiamo … »
«
Kagome non parla d’altro che di te … » aggiunse divertita, ridacchiando nel
vedere l’amica seriamente in imbarazzo per quello che aveva detto. Inuyasha,
era nelle medesime condizioni ma lo mascherava più abilmente.
« Io mi
chiamo Sango ed è un vero piacere per me conoscerti. » allungò la mano verso di
lui, sorridendo cordiale mentre Inuyasha ricambiava il gesto senza esitare.
«
Piacere mio, Sango, il mio nome già lo sai, a quanto vedo, mentre la ragazza
appesa come un koala a Kagome è una mia collaboratrice. Kikyo. »
La
ragazza, nel frattempo, aveva lasciato Kagome per avvicinarsi al suo capo e
tirargli uno scappellotto; la punizione divina per il paragone appena fatto.
Kagome
li osservava e non poté fare a meno di pensare che fossero una bella coppia, a
modo loro. L’altro giorno, quando era andata alla casa editrice, il discorso di
elogio fatto da Kikyo nei confronti del duro lavoro di Inuyasha l’aveva davvero
colpita e ci aveva pensato molto.
“Forse
le piace … “ pensò, celando appena a se stessa un punta di amarezza.
Lei sarebbe stata perfetta per lui.
Questo
pensava con assoluta sicurezza.
Sango,
accorgendosi di qualcosa nello sguardo dell’amica, decise che era il momento di
correre ai ripari e così si avvicinò a Kikyo.
«
Visto che il mio risotto ti è piaciuto così tanto, vorresti avere la ricetta
segreta? »
A quella domanda
gli occhi della donna s’illuminarono immediatamente e annuì più volte con il
capo, affiancandola con sguardo adorante e seguendola mentre si allontanava
nella cucina.
Adesso erano soli.
“E’ la prima
volta che rimaniamo noi due da soli. Alla casa editrice abbiamo parlato poco …
“
Kagome sentì uno
strano nervosismo pervaderla a quel pensiero, nemmeno fosse una ragazzina.
« Ho saputo che
mio padre è passato a trovarti … » esordì Inuyasha, rompendo quel silenzio che si
era improvvisamente creato.
Kagome sobbalzò
un pochino, voltandosi verso il mezzo demone e annuendo con un cenno del capo.
« Sì, infatti,
mi ha parlato della cena e mi ha mostrato una vecchia foto delle nostre madri.
»
« Capisco … »
rispose semplicemente, passando una mano dietro la nuca e cercando di
nascondere ai suoi occhi attenti un lieve cenno di preoccupazione.
« Tu ne sapevi qualcosa? »
« Prima di
qualche settimana fa no.
Ho letto un
vecchio diario dei tempi del liceo di mia madre e lì ho scoperto che
frequentavano lo stesso club di Kyudo, come sempai e kohai, ma non c’era molto
altro. Forse qualche altra foto, ma niente di particolare. » spiegò Inuyasha,
accennando un mezzo sorriso velato dalla stessa malinconia che aveva visto
prima negli occhi del padre di lui.
Tante cose
ancora non capiva, soprattutto del rapporto tra Izayoi e Akio, e chiedere
spiegazioni le sembrava inopportuno. No, se doveva scoprire qualcosa avrebbe
dovuto farlo completamente da sola.
« Ecco … Pensi
che sarebbe possibile, se non ti è di peso chiaro, per me leggere quel diario …
»
« Certo, non vedo perché no! » rispose lui, sorridendole in modo dolce.
Quel sorriso.
Kagome rimase
incantata a guardarlo, come se, molto tempo fa, lo avesse già visto e il suo
cuore mancò di qualche battito.
Non capiva
perché, guardarlo sorridere le procurava una sensazione nostalgica e piacevole.
Molto piacevole.
Deglutì il
vuoto, fissandosi a guardarlo ormai completamente catturata da quegli occhi
dorati.
Inuyasha si era
accorto dello sguardo assorto di lei e per un momento si sentì pervadere dalla
speranza, un barlume nell’oscurità ma poi, stirando leggermente le labbra, capì
che non era davvero possibile.
Se finora non
aveva mostrato nessun cenno, non c’era speranza che ricordasse e questo lo
feriva più di quanto desse a vedere.
Perché non
ricordava? Avrebbe tanto voluto farle questa domanda, conoscere la ragione di
quel cambiamento nel suo carattere eppure taceva. Taceva perché voleva
aspettare che lei ne parlasse apertamente.
“Anche se non
ricorda, però, non vuol dire che non ho speranze”.
Questo pensiero
solamente bastava a dargli speranza.
Per questo le si
avvicinò improvvisamente, chinando il capo lateralmente e guardandola con un
sorriso sornione.
« A cosa stai
pensando Kagome? Sei tutta rossa … Non starai pensando a qualcosa di indecente,
vero? »
« Cosa ti salta
in mente?! » sbottò lei, imbarazzata ancora di più per essere stata scoperta in
quel modo.
Guardarlo in
viso, ora, era diventato piuttosto faticoso causandole sentimenti contrastanti.
Quel sorriso
sornione le faceva solo desiderare di prenderlo a schiaffi, ma poi spostava lo
sguardo sulle orecchie da cane e voleva accarezzarle e abbracciarlo.
« Forse non ho
fatto bene a proporti di vivere con me … » continuò lui, allontanandosi e
guardando un punto della parete con aria assorta e l’espressione preoccupata.
Kagome lo
ascoltò, perplessa e un po’ turbata da quel discorso. In un istante si voltò verso
di lei, stringendosi nelle spalle e guardandola spaventato.
« … Chissà cosa
potresti farmi mentre sono distratto. Attacchi notturni? Molestie? Povero me! »
Per un momento
restò paralizzata, non sapeva davvero cosa dire.
Non pensava che
potesse fare battute del genere, era così convincente, si dovette mordere le
labbra per non ridere davanti alla sua finta espressione spaventata.
« Tu, brutto … »
si avvicinò, ridacchiando di nascosto mentre alzava il braccio e chiudeva il
pugno. Un colpetto leggero al braccio, le labbra arricciate in un sorrisetto
divertito e poi scoppiarono entrambi a ridere.
« Sei un
disgraziato, lo sai? Per un momento temevo fossi serio … »
« Ah sì? Hai
deciso di accettare, quindi? » domandò lui, gli occhi brillanti e un sorriso ancora
più entusiasta del primo dipinto in volto.
Le mani si erano
poggiate sul fianco mentre con il busto restava proteso verso di lei.
I loro visi si
trovavano talmente vicini che a Kagome, o Inuyasha, sarebbe bastato davvero
poco per chiudere la distanza e soddisfare una curiosità antica come il mondo.
Questa volta,
però, fu il turno di lei ed assunse un’espressione pensierosa e alquanto
scettica a quella domanda.
« L’avrei detto?
Sarebbe inappropriato per una giovane donna, non crede? Chissà cosa potrebbe
farmi quando mi giro. »
« Sentitela … »
rispose Inuyasha, accennando una risata accompagnato da Kagome.
Nel frattempo,
nascoste dalla porta della cucina, Kikyo e Sango osservavano la scena con
curiosità e crescente interesse.
Sango era felice
di vedere la sua amica a suo agio, nonostante tutto.
Kikyo era
soddisfatta nel sapere che le cose stavano procedendo comunque bene per il suo
capo, anche se, spesso glielo ripeteva, avrebbe ricavato molto di più dicendole
tutto e subito.
La Chef aveva
scambiato volentieri quattro chiacchiere con la ragazza in questione, scoprendo
finalmente qualche dettaglio in più sul ragazzo che la sua amica, per uno
strano scherzo, aveva conosciuto come suo “marito”.
Entrambe
sembravano interessate allo sviluppo della storia, ma Kikyo, la collaboratrice
di Inuyasha, non era per niente innamorata di lui come forse Kagome aveva
sospettato. La sua era una venerazione incondizionata, un rispetto che
raramente aveva mai visto negli occhi di qualcuno, qualsiasi natura avesse, nei
confronti di un mezzo demone.
Erano ancora
intente a guardare la scenetta che si era creata tra i due quando Kikyo si
accorse che il suo cellulare stava vibrando, sospirando scocciata lo estrasse
dalla tasca dei pantaloni e quasi sbiancò quando lesse il numero di chi
chiamava. Era Koga.
Aspirò l’aria
tra i denti stretti e uscì fuori dal suo “nascondiglio” dirigendosi verso
Inuyasha, le sue orecchie erano scattate al sentire dei passi che si
avvicinavano velocemente e quando trovò Kikyo, con un cellulare in mano, capì
che qualcosa non andava.
Kagome la
osservò, incuriosita dalla sua espressione scocciata, in parte, dall’altra
delusa – come se qualcosa di bello fosse appena finito.
Inuyasha la
guardò perplesso qualche istante ma poi, osservando il telefono che continuava
a vibrare nella sua mano, decise di spostare l’attenzione sul telefono e quando
lesse il numero sospirò. Afferrò il cellulare della collega e rispose,
sorridendo in modo falso e alzando di un paio di tacche il tono della voce.
« Carissimo
lupastro, non ti hanno avvisato che oggi è il mio giorno libero? »
“Un collega?”
pensò Kagome, sempre più curiosa di sapere quando Kikyo, senza far rumore,
l’affiancò.
« E’ Koga, il
capo del reparto finanziario … » mormorò a bassa voce, osservando Inuyasha che
allontanava il telefono dall’orecchio.
La voce
dall’altra parte era abbastanza alta e Kagome riuscì a captare qualche parola
del discorso, tra cui, ovviamente, “botolo ringhioso … ti faccio a pezzi appena
rientri … “
« Come dici? »
domandò Inuyasha, fingendo ignoranza e guardandosi attorno. « Non ti sento …
C’è poco segnale qui … Cosa? Oh, vuoi dire che dopo ti farai pestare? Ottimo!
Ah … Una galleria … Non riesco più a sentirti, ciao! »
Senza
ulteriori indugi spense la chiamata.
Kagome
si stava trattenendo mentre ripensava alle imprecazioni, e non furono poche,
uscite dall’altra parte del telefono quando Inuyasha aveva deciso che la
conversazione era andata troppo per le lunghe.
« La
prossima volta, Kikyo, spegni il cellulare o digli che siamo morti. Oppure, fai
come me: blocca le sue chiamate. » rispose Inuyasha mentre ridava il cellulare
alla ragazza, sospirando appena e annuendo con il capo.
Koga
era il solito guastafeste, pensò, soprattutto se pensava alla bella atmosfera
che si era creata con Kagome prima.
Gli
occhi color oro si rivolsero nuovamente alla ragazza, sorridendole imbarazzato
e scrollando appena le spalle in segno di resa.
«
Riprenderemo il discorso un'altra volta, adesso dobbiamo andare: la nostra
giornata libera è appena finita. »
« Non
fa niente, Inuyasha, dopotutto sei tu il capo … »
Non
poté aggiungere altro.
Un
leggero tonfo infranse la quiete del Nekomata e quando si voltarono tutti,
Sango compresa, verso la porta d’ingresso trovarono una valigia abbandonata e
il suo proprietario.
Era
un uomo, anzi un demone, abbastanza alto come statura e lunghissimi capelli
scuri appena mossi.
Indossava
un completo elegante, esclusa la cravatta che sembrava uscita direttamente dai
fondi di magazzino di un negozio scadente, gli occhi avevano una profonda
sfumatura cremisi che unita ai suoi lineamenti eleganti donavano al demone un
aura misteriosa; questo almeno in teoria.
Tutti
quanti lo guardavano con sorpresa, Inuyasha e Kikyo maggiormente, mentre
cominciava a piangere come una fontana tirando su con il naso.
«
K-Kagome … » biascicò il demone prima di gettarsi a terra e gettare le braccia
attorno alla vita di lei, piangendo come un bambino e sfregando la nuca contro
il suo ventre.
«
Perché mi fai questo?! Non ti permetterò di andare via con questo bell’imbusto!
»
“Sarei
io?” si chiese Inuyasha, indicandosi con un dito mentre cercava una risposta
nelle persone che lo circondavano.
Kikyo
osservava perplessa quel demone, aggrappato disperatamente alle gambe di Kagome
e cominciò a capire perché lo aveva paragonato a Jakotsu; anche se lui non
raggiungeva certi livelli di disperazione.
« Ti
darò uno stipendio migliore … Te lo prometto, appena Hakudoshi la smette di
darmi il tormento … »
«
Naraku … » commentò spazientita Kagome, ma il suo capo, ancora disperato, non
sembrava ascoltarla e continuava imperterrito a parlare.
Allora,
dal nulla, Sango tirò fuori una padella piccola con la quale colpì in testa il
demone.
«
Adesso smettila di fare la Prima donna! Sii più uomo, accidenti! » sbottò
infuriata mentre Naraku, tramortito, lasciava la presa dal corpo della ragazza
sotto lo sguardo appena sconcertato dei loro ospiti ignari.
Inuyasha,
in particolare, sbatteva velocemente le palpebre e ricordava l’espressione del
ragazzo incontrato all’entrata poco prima.
“Adesso
capisco la sua espressione impaurita, accidenti … “
« Mi
dispiace che abbiate assistito a questo spettacolo indecoroso … » esordì
Kagome, afflitta mentre scavalcava il “corpo” del suo principale.
Non
era una cattiva persona, alla fine, ma quando incontrava Hakudoshi e Byakuya
diventava sempre impossibile da gestire. Bastava una parola, una fuori posto, e
cominciava a piangere disperato aggrappandosi a tutto il personale
supplicandoli di non lasciarlo da solo.
Per
questo tutti i dipendenti si davano alla fuga, o si fingevano malati, il
migliore tra loro era Miroku che provocava apposta la gelosia latente di Sango
e la usava come scusa per darsi alla macchia per qualche ora.
« Se
non altro ho capito che non sono il solo a soffrire, la cosa mi rallegra. »
continuò lui, scherzando tranquillamente con la ragazza.
Allungò
istintivamente la mano e la posò sulla sua nuca per scompigliarle i capelli.
Kagome
ebbe di nuovo quella sensazione di familiarità, ma non era come il sorriso,
qualcosa che le faceva battere il cuore, questo era più … intimo.
Arrossì
appena, scostandosi dalla sua mano spazientita e incrociando le braccia al
petto.
« Ora
vai, su! Ti scrivo più tardi per confermarti la mia decisione. »
Prendendosi
in giro, prima, avevano avuto modo di scambiarsi i propri indirizzi mail per
poter così comunicare con più facilità.
La
porta del ristorante era rimasta aperta e così, salutate le ragazze, Kikyo e
Inuyasha si diressero fuori dal locale verso la casa editrice.
«
Kikyo, vorrei chiederti un favore. »
« Sesso
a parte, tutto quello che vuoi capo. » rispose lei, ridacchiando e guardandolo
maliziosa.
Alcune
persone passavano loro accanto e li guardavano sorpresi.
Kikyo,
come sua abitudine, aveva preso il braccio del suo capo e lo aveva stretto a se
camminando per la strada come fossero una coppia. Era una vecchia penitenza.
Al
dipartimento “Shikon”, sotto le festività natalizie”, facevano spesso scommesse
su quale dei loro manga avrebbe venduto di più e quell’anno aveva vinto Kikyo.
Il premio? Qualsiasi cosa volesse nei limiti del possibile, chiaro.
Jakotsu
non doveva più criticare i suoi vestiti, Bankotsu evitava di chiederle
appuntamenti ogni volta che erano liberi, Onigumo le faceva le fotocopie quando
era impegnata e Inuyasha doveva accettare di camminare sottobraccio con lei
almeno una volta al mese.
Alle
parole della sua collaboratrice Inuyasha sospirò scuotendo leggermente il capo,
avvicinando due dita alla fronte che colpiva con un buffetto delicato.
« Vorrei
che tenessi alcune pagine del diario di mia madre. »
Kikyo
si fermò guardandolo preoccupata, ormai lo conosceva abbastanza da sapere cosa
gli passasse per la mente e di quello che voleva fare.
« Sei
proprio sicuro che sia la cosa migliore? Nascondere tutto come se non fosse mai
accaduto niente … »
« Non
ho altra scelta, ora. Se scoprisse la verità scapperebbe solamente e non lo
desidero. No, per ora è meglio che lei non sappia niente e che mi conosca per
come sono ora. » rispose lui, chinando il capo affranto e proseguendo il loro
cammino verso la casa editrice.
Kikyo
sospirò, scuotendo la nuca completamente rassegnata.
Non
le piaceva vedere il suo capo in quelle condizioni, avrebbe voluto aiutarlo,
fare qualcosa, ma sapeva che si fosse intromessa più del necessario non ne
sarebbe stato felice.
Era
anche quello l’amore? Si trovò a pensare mestamente osservando il mezzo demone.
Era
davvero amore?
Salve a tutti!
Vorrei scusarmi se questo capitolo non è
all’altezza dei precedenti (a me sembra così, almeno) e avvisarvi che nel
prossimo accelero un pochino – tanto per non fare duecento capitoli solo di
conoscenza.
Abbiamo finalmente conosciuto anche
Naraku, come vi è sembrato? Vi è piaciuto?
Come sempre ringrazio tutti quanti voi
che avete recensito, aggiunto la storia tra le vostre “fila” e, lo ammetto,
siete tantissimi e adesso mi metto a piangere dalla gioia!
Un’altra
settimana era passata dalla visita di Inuyasha al ristorante.
Sango
l’aveva trovato degno di fiducia, almeno per il momento attuale, ma soprattutto
aveva rassicurato Kagome che tra lui e quella sua collaboratrice non ci poteva
essere assolutamente nulla. La ragazza era naturalmente arrossita, negando il
suo chiaro interesse, spostando l’argomento di conversazione su altro ma era
inutile; ormai Sango aveva capito tutto.
Una
cosa non le era tornata: era evidente che Inuyasha fosse interessato a lei, ma
per qualche ragione ignota sembrava trattenersi e si teneva a distanza.
E
così, alla fine, contro le resistenze del nonno e l’approvazione di Sota,
Kagome aveva accettato di dividere l’appartamento con Inuyasha fino a quando la
questione del loro “matrimonio” non fosse stata risolta.
Approfittando
del suo prezioso giorno libero aveva deciso di cominciare il trasloco.
L’appartamento
di Inuyasha si trovava ad almeno cinque fermate dalla metropolitana, perfetto
per raggiungere il ristorante, pensò lei soddisfatta, all’ultimo piano di una
vecchia palazzina di recente ristrutturazione.
La
porta d’ingresso si apriva su uno spazioso soggiorno con un’ampia vetrata sul
lato più ad Ovest, Kagome si trovò a pensare a come doveva essere quella
stanza, arredata in stile moderno, illuminata dai raggi del sole color fuoco
mentre tramontava.
La
cucina e la tavola per pranzare erano nella medesima stanza, separate solo da
un lungo ripiano, mentre le camere e il bagno si trovavano nella zona rialzata
di quella mansarda.
Non
sorprese tanto Kagome l’appartamento elegante, sicuramente comprato in tanti
anni di risparmi e lavori, ma di trovarlo completamente pulito e in ordine
considerato il lavoro che faceva.
« Sai
… » esordì Kagome, poggiando nel soggiorno uno dei suoi scatoloni. Non c’era
molto per la verità, ma l’essenziale per poter “sopravvivere” per un po’ di tempo.
« Non
mi aspettavo di trovare tutto in ordine, considerando in che condizione era il
dipartimento quando sono venuta … »
«
Ehi, quello perché sei arrivata quando eravamo nella fase finale e la morte ci
aveva richiamati! » continuò lui, arrossendo leggermente sulle guance per poi
incrociare le braccia al petto e dandole le spalle indispettito.
« Si
da il caso che sappia tenere in ordine la mia casa, cosa credi? »
« Sei
proprio sicuro? Kikyo mi ha confidato che di solito non muovi mai un dito per
riordinare a lavoro. »
« …
Quello è disordine creativo … »
Appunto
mentale: far fare a Kikyo gli straordinari per almeno un mese.
Dal
canto suo si limitò a fissare Inuyasha sospettosamente, come se qualcosa in
quel suo discorrere non l’avesse minimamente convinta, spostò lo sguardo
luccicante verso il frigorifero.
Inuyasha
rabbrividì, sudando freddo mentre la ragazza si avvicinava minacciosamente
all’oggetto incriminato.
Una
leggera pressione e aprì il frigorifero: vuoto.
« Lo
sapevo! » constatò la ragazza, per nulla sorpresa di trovarlo vuoto, o quasi.
Dentro
c’erano solo acqua, bevande energetiche e qualche birra. Niente di
commestibile, nemmeno un barattolo abbandonato di sott’aceti.
« Non
mi dirai che mangi solo cibi precotti, spero?! » domandò a quel punto con un
velo di minaccia nella voce.
Una
cosa che non tollerava erano proprio le persone che non si sforzavano nemmeno
di cucinare, non tanto per mancanza di abilità quanto piuttosto per pigrizia,
ripiegando infine su prodotti scadenti e surgelati il più delle volte.
Prima
ancora dell’arrivo di Hitomiko al tempio che l’aiutava anche nei lavoretti di
tutti i giorni, come preparare il pranzo e la cena, faceva sempre in modo che
Sota portasse un proprio bentou a
scuola di modo da non ricorrere mai a panini o cose simili.
Quando
Kagome piegò la nuca quanto bastava per guardare oltre le spalle vide Inuyasha,
pallido in viso e il dito indice che accarezzava appena la pelle della guancia
con fare disinteressato.
Un
sospiro sfuggì dalle labbra della ragazza mentre poggiava una mano contro il
fianco.
« Ho
capito, da oggi mi occuperò io dei pasti e fintanto che resterò … scordati cibi
precotti! »
« E …
E il mio ramen istantaneo? » chiese avvilito, gli occhi lucidi e l’espressione
più triste che potesse fare.
Kagome
deglutì pesantemente quando lo vide abbassare le orecchie, come un cucciolo
bastonato, l’espressione del mezzo demone non aiutava minimamente il suo
desiderio sopito: stropicciargli le orecchie.
La
convivenza sarebbe risultata molto più dura sotto quel punto di vista, si
ripeteva Kagome, non del tutto sicura di poter tenere a freno la sua “piccola”
ossessione.
«
Quello è bandito completamente, ovvio! » rispose lei, decisa, riacquistando il
controllo su stessa nel momento in cui aveva deciso di spostare lo sguardo
dalla parte opposta.
Inuyasha,
invece, sospirò affranto mentre si dirigeva verso una piccola anta sopra il
piano cucina e al cui interno aveva nascosto diverse scatole di ramen
istantaneo.
A malincuore, sotto lo sguardo severo della ragazza, decise di metterlo in uno
degli scatoloni che lei aveva svuotato; lo avrebbe portato ai suoi colleghi l’indomani,
per quella giornata non ne aveva nessuna voglia.
Inuyasha
tornò a lavoro, non potendo lasciare troppo a lungo la casa editrice nel
momento in cui i tempi cominciavano ad essere più stretti e lasciò la ragazza
il tempo per sistemarsi come preferiva.
“Questa
convivenza sarà davvero dura”, pensò Inuyasha, sorridendo divertito mentre
prendeva l’ascensore per scendere al piano terra.
Gli
anni potevano passare, lei poteva aver dimenticato il passato, ma le sue
espressioni erano sempre le stesse negli anni. Infondo, non era davvero
cambiata.
Forse,
pensò, non aveva fatto la scelta migliore proponendole di vivere con lui perché
rendeva le cose molto più difficili di quanto si aspettasse.
Era
difficile mantenere le distanze.
Era
faticoso non avvicinarla e carezzarle la nuca, passando la mano tra i capelli
scuri, ancora di più lo era non poterle sfiorare il viso.
Dalla
tasca della giacca estrasse il cellulare e prese gli auricolari, sistemati
questi uscì dall’ascensore per andare verso la metropolitana. Doveva arrivare
in ufficio presto, soprattutto se voleva prendere a calci un certo
collaboratore non troppo gradito.
Nel
frattempo, Kagome stava sistemando le sue cose nella camera che apparteneva in
precedenza al coinquilino di Inuyasha.
Era
una bella stanza, un po’ stretta, certo, ma ugualmente graziosa e con una bella
finestra ampia e un piccolo balcone. Ringraziò tutte le divinità che conosceva
per non essere una persona amante della moda in modo eccessivo, dotata di un
grande guardaroba, infatti nella stanza lo spazio per i vestiti era proprio
ridotto al minimo indispensabile.
L’armadio
era a muro con delle ante scorrevoli in legno al cui interno c’erano un paio di
ripiani e un’asta lunga per i vestiti appesi, mentre la scrivania, invece, si
trovava proprio accanto alla finestra e il letto era addossato alla parete.
Era
strano, pensò.
Quella
stanza doveva essere stata abitata per diverso tempo eppure, nonostante questo,
sembrava non esserci mai entrato nessuno. Persino le pareti erano immacolate,
non vi era traccia di nessun alone da quadri o poster; nulla.
“Forse
è solo un caso … “ si disse, sospirando appena e continuando la sua opera per
sistemare i pochi averi che aveva deciso di portare.
“Eppure,
è da quando è cominciata questa storia che non faccio che ripetermi che ci sono
un sacco di coincidenze”.
Scosse
velocemente il capo cacciando pensieri negativi.
E’
vero, si ripeté, non conosceva Inuyasha così bene ma non poteva assolutamente
essere un manipolatore e nemmeno un bugiardo. Voleva fidarsi di lui,
completamente e senza esitare, consapevole del rischio e di tutte le possibili
conseguenze.
Inuyasha,
in quel momento, aveva da poco raggiunto la sede della casa editrice Tama
quando un turbinegli si parò davanti
impedendogli di prendere l’ascensore.
«
Botolo ringhioso! » sbottò il demone emerso dal turbine; era Koga.
Inuyasha
lo fissò per un lungo istante, in silenzio, superandolo alla fine per andare
verso l’ascensore come se niente fosse accaduto.
«
Dannato bastardo … »
Sotto
lo sguardo degli altri collaboratori, alcuni di altri dipartimenti e quindi
ignari di quello che stava accadendo, il demone entrò di scatto nell’ascensore
prima che le porte si chiudessero.
Un
occhiata di fuoco verso il collega e andava a poggiare la schiena contro la
parete, braccia incrociate e il capo chino mentre teneva gli occhi chiusi.
«
Guarda che non puoi scappare per sempre, cagnolino. » lo rimproverò con tono
serio Koga, mentre Inuyasha si voltava a guardarlo.
Gli
occhi spalancati in un’espressione di finta sorpresa.
« Ah,
ci sei anche tu qui lupastro? Non ti avevo proprio notato. » rispose Inuyasha,
fingendo di accorgersi solo in quel momento della presenza del suo collega.
Sapeva
bene di cosa voleva parlargli, ma era inutile: la colpa era solo del capo della
sezione manga in generale.
Lui
l’aveva detto, aveva avvisato che l’uscita dell’ultimo volume della serie di
cui si occupava avrebbe fatto piazza pulita in poco tempo e così, per evitare
situazioni problematiche, nella sua proposta aveva suggerito un numero di copie
maggiore rispetto allo standard.
Risultato:
la proposta non era stata approvata, e alla fine il volume era andato esaurito
nel giro di una sola settimana.
Koga
voleva solo una scusa per attaccare briga, questo lo sapeva, ma non aveva
nessuna voglia di discutere e prendersi delle accuse quando non aveva fatto
niente.
«
Senti un po’, tu … »
Sulla
fronte di Koga si poteva chiaramente vedere una piccola vena pulsante, ma tentare
di parlare fu inutile; ormai erano arrivati al piano.
Approfittando
della distrazione del demone uscì in fretta premendo il tasto dell’ultimo
piano, salutando sorridente il suo collega, ormai inviperito, mentre le porte
si chiudevano davanti a lui.
Abbassava
la mano che ancora si muoveva sospirando, avvicinandola alla nuca e dirigendosi
verso il suo dipartimento dove i suoi colleghi lo stavano aspettando.
La
situazione sembrava essere arrivata verso il punto critico, o comunque si stava
entrando nella fase cruciale, l’espressione sul volto di tutti era abbastanza
tesa e poteva capirli. Senza indugiare andò alla scrivania dove alcuni
manoscritti aspettavano l’approvazione finale, l’ultimo sospiro prima di
afferrare la sedia e cominciare a fare sul serio.
Bankotsu
aveva una mano poggiata contro la fronte e stava controllando delle cose al
computer, Kikyo, invece, stava cercando di mettersi in contatto con uno degli
autori e Jakotsu e Onigumo stavano finendo di controllare del materiale.
« Che
cosa?! »
La voce di Kikyo riecheggiò nel silenzio più totale, catturando l’attenzione di
tutti nel peggiore dei modi.
«
Come sarebbe a dire che tutti i suoi assistenti, e anche lei, avete preso
l’influenza!? »
«
Ehi, Kikyo!! » sbottò improvvisamente Jakotsu, gli occhi arrossati per la
mancanza di sonno e l’irritabilità di chi ha bevuto troppi caffè.
«
Perché il manoscritto della sensei non è qui sul mio tavolo per la revisione?!
Eh?! »
« E
fai un po’ di silenzio, tu! La prego di scusarmi, sensei … »
Inuyasha
sbatté con forza il palmo della mano contro il viso.
Era
il tipo d’imprevisto che non ci voleva, non in quel momento così prossimo alla
metà del ciclo e verso la fine dell’inferno.
Alla
fine Kikyo, sospirando pesantemente e sbattendo la testa contro la scrivania, chiuse
la telefonata.
« Non
c’è altra scelta … » esordì Inuyasha, rilassò la schiena contro la sedia e
portò le mani dietro la nuca.
«
Ritarderemo la data di consegna il più possibile. Andrò a dare una mano alla
sensei, se necessario, dopotutto sono un demone e non mi ammalerò facilmente. »
«
Capo, ma … »
Kikyo
fu interrotta dall’arrivo in un ufficio di qualcun altro.
Era
Koga, aveva uno sguardo truce e si avvicinò alla postazione di Inuyasha a
grandi falcate.
«
Bene, noto che il cagnolino continua a dire un sacco di scemenze.
Pensi
di essere nella posizione di fare simili affermazioni? Ti ricordo che tu sei
solamente un mezzo demone. »
Inuyasha
alzò lo sguardo verso il demone lupo, osservandolo in tralice qualche secondo e
sbattendo più volte le pupille dorate.
« Oh
scusa, hai parlato? » domandò innocentemente.
Il
suo gruppo trattenne a stento una risata mentre sulla fronte di Koga comparve
un nervo pulsante.
«
Quando mai non ho svolto bene il mio lavoro, lupastro? Dimmi una sola volta.
Una sola. » disse Inuyasha, sfidandolo apertamente.
Sapeva
bene quanto lui che aveva sempre ottenuto risultati eccelsi, non importava
quanto fossero impossibili; lui, con perseveranza e volontà, era riuscito a
compiere anche l’impossibile. Nessuno osava mai mettere in dubbio la sua
professionalità.
Koga
fece schioccare la lingua contro il palato, seccato di non poter ribattere ad
una simile affermazione poiché sapeva molto bene quanto Inuyasha lavorasse
duramente per raggiungere i suoi obbiettivi.
«
Avanti, Koga, non puoi negare l’ottimo lavoro di Inuyasha senza contare che
adesso ha degli ottimi motivi per essere determinato. » aggiunse Bankotsu, ma
proprio quando ebbe finito di parlare venne colpito in fronte da un fermaglio
per capelli. Era stato Jakotsu, dall’altra parte della scrivania, a tappare la
bocca al fratello con un occhiata maligna.
Koga sembrò farsi più curioso, a colpirlo, in modo particolare, era stato
l’atteggiamento del fratello di Bankotsu. Dopotutto, pensò, scoprire i segreti
di Inuyasha era particolarmente divertente.
« E
quali sarebbero questi ottimi motivi? » domandò nuovamente, braccia conserte e
osservando l’intero dipartimento che però taceva.
«
Andiamo, avete gettato il sasso ora non potete ritirare la mano. Non sarebbe
corretto, vi pare? »
«
Lupastro … »
Fu
Inuyasha a interrompere il discorso di Koga.
Il
suo capo era chino, gli occhi ambrati rivolti unicamente ai fogli che aveva
davanti ma qualcosa nel suo tono di voce gelò completamente l’aria del
dipartimento.
Kikyo
alzò il capo, preoccupata guardò verso Inuyasha che sembrava immerso nei suoi
pensieri.
« Non
dovresti tornare al tuo lavoro? Qui non c’è niente che può attirare la tua
attenzione. »
Tutti
conoscevano Inuyasha molto bene in quel dipartimento.
Erano
colleghi, amici e una specie di grande famiglia che si guarda le spalle nel momento
del bisogno, per questo a quelle parole sembrarono turbati. Soprattutto Kikyo,
la persona che meglio lo conosceva in quell’edificio.
Le
parole di Inuyasha, all’apparenza innocue, celavano una ben chiara minaccia che
gelò il sangue nelle sue vene.
Persino
Koga si ritrasse, sorpreso e se ne andò borbottando qualcosa contro di lui.
Quando furono sicuri che fosse lontano tutti, Onigumo compreso, tirarono un
profondo sospiro di sollievo lasciandosi andare contro le rispettive posizioni.
« Ho
creduto di morire … » mormorò Bankotsu sottovoce.
« Te
lo meriteresti, stupido fratello! » replicò Jakotsu, anch’egli con la faccia
completamente riversa sul tavolo.
Kikyo
aveva rivolto il viso in direzione del suo capo, scrutandolo preoccupata ma
senza dire una parola.
«
Kikyo … » esordì Inuyasha, ancora intento a controllare dei documenti, gli
occhi passavano veloci lungo le scritte. « Se continui a fissarmi così la gente
penserà male. Ora al lavoro. »
A
quell’affermazione arrossì vistosamente sulle guance, scattando seduta come una
molla e cominciando a sistemare le proprie cose. La telefonata di prima aveva
creato un bel problema e dovevano assolutamente contattare gli altri
dipartimenti, avvisando del ritardo e cercando di arginare la cosa.
Inuyasha
sorrise appena quando, alzato lo sguardo, trovò i suoi fedeli collaboratori
intenti a lavorare. Aveva appena posato il plico di fogli che aveva in mano
quando sentì il cellulare nella tasca vibrare insistentemente.
Scocciato
lo afferrò prima di sospirare leggendo il nome sul display.
«
Mancavi giusto per rendere pessima questa giornata, fratello adorato. » rispose
con finto fare stucchevole.
« Piantala di fare l’idiota. Volevo informati
che la cena a casa si terrà questo venerdì. Sappiti regolare di conseguenza. »
Un
sorrisetto ironico spuntò sulle sue labbra mentre allontanava un poco il
telefono dal viso.
« Non vedo l’ora di conoscere la donna che ti ha messo il collare, fratellino.
»
E
senza aspettare una qualunque risposta chiuse la chiamata, ridacchiando e
pensando a quello che doveva essere fatto entro venerdì.
I
suoi occhi si fissarono sullo schermo del cellulare, una fotografia fatta di
nascosto qualche giorno fa e i suoi lineamenti si addolcirono immediatamente.
«
Kikyo … Avrei bisogno di un favore … »
Salve a tutti!
Dalle nebbie della montagna solitaria… eccomi di nuovo qui!
Scherzi a parte scusate le due settimane e più di assenza ma ho avuto
alcuni problemi personali e non avevo voglia, ma proprio zero, di scrivere.
Spero che questo capitolo non abbia risentito del mio stato d’animo.
Vi ringrazio ancora tutti voi che seguite e che avete avuto molta, molta
pazienza con questo mio andazzo.
Per tutte le altre storie, non temete, datemi un momento e sarò di nuovo
tutta per voi (circa xD)
« Colui che passa la sentenza deve anche
eseguirla … »
Kagome,
seduta sul divano con una confezione di popcorn appena preparati e una
bottiglia di cola sul tavolino, si stava godendo la maratona di una delle sue
serie preferite. La nuova stagione era anche da poco cominciata per cui, si era
detta, era il momento ideale per una maratona almeno della prima serie prima di
andare a lavorare in serata.
Aveva
preso in mano alcuni popcorn quando Inuyasha apparve alle sue spalle,
asciugamano poggiato sulla nuca e le braccia distese contro lo schienale del
divano, gli occhi ambrati fissi sullo schermo mentre cercava di capire cosa
stesse guardando Kagome.
« Di
cosa si tratta? » domandò a quel punto, curioso, allungando la mano verso il
cesto con i popcorn beccandosi anche un’occhiata gelida da parte della ragazza.
Prese il telecomando, poggiato sopra il bracciolo del divano, e si girò verso
il suo coinquilino per guardarlo con un misto d’incredulità e sconcerto.
«
Come: di cosa si tratta? Inuyasha, questo è Game
of Thrones. Una delle serie fantasy più famose degli ultimi tempi, come
diavolo fai a non conoscerla?! »
« Non
guardo molta televisione. »
Rispose
lui, scuotendo le spalle e gustandosi il popcorn che aveva appena rubato.
Kagome lo guardò in tralice, sempre più sconcertata.
« Ci
sono anche dei libri a riguardo. Lavori in una casa editrice e non ne hai mai
sentito parlare? »
«
Kagome, edito shounen manga per vivere.
Mi piace leggere, quello sì, ma non ho più molto tempo per farlo. »
Inuyasha scrollò le spalle prima di scavalcare il divano e sedersi accanto a
Kagome per guardare quella serie, tornando ad allungare le mani verso il cesto
dei popcorn con grande disappunto della ragazza.
«
Allora? Di cosa parla? »
« E’
il primo episodio … Se stai attento lo scoprirai da solo. »
Rispose lei, guardandolo sbieco e riprendendo la ciotola con i popcorn mentre
Inuyasha scrollava le spalle e continuava a guardare la puntata, ancora non
sapeva a cosa andava incontro ma presto lo avrebbe scoperto a sue spese.
« E
così … » esordì Bankotsu mentre controllava dei documenti a computer. « Non
solo ti sei guardato tutta la prima stagione, ma non contento, durante la
giornata, hai voluto guardare anche altre tre. »
« … Sì … » mormorò con voce bassa Inuyasha, il capo chino poggiato contro la
scrivania e gli occhi chiusi per la stanchezza.
Alla
fine, come aveva detto Kagome, la serie era davvero interessante e non pensava
di appassionarsi così tanto. La ragazza lo aveva lasciato con i suoi dvd, salutandolo
prima di andare a lavoro e raccomando gli solamente di rimettere tutto a posto
una volta finito di guardare.
« Francamente, Inuyasha, mi hai proprio deluso. » esordì Kikyo, battendo dei
fogli sul tavolo per sistemarli un poco.
« Non conoscere nemmeno una serie come Game
of Thrones … Sei davvero deludente! »
Inuyasha
sentì una piccola vena cominciare a pulsare sulla fronte proprio mentre Kikyo
finiva di parlare, lentamente alzò la nuca e fissò sbieco la sua collaboratrice
che lo guardava con aria di superiorità.
« Kikyo ha ragione. » continuò Jakotsu, piuttosto avvilito da quella scoperta.
« Qui tutti abbiamo seguito quella serie, ne abbiamo discusso anche durante le
pause parlando delle nostre casate preferite, ma tu … » Si portò una mano al
viso come per asciugare delle lacrime, ovviamente inesistenti. « Tu non hai
prestato davvero attenzione a noi. Sei crudele Inuyasha caro! Crudele! »
“Com’è
che adesso sono diventato il cattivo della situazione, qui”.
« In
effetti … » mormorò Onigumo, voce bassa e capo chino mentre digitava
velocemente qualcosa sul computer.
Inuyasha, a questo punto, divenne completamente stralunato mentre spostava il
suo sguardo sull’ultimo assunto della loro compagnia.
“No,
Onigumo … Anche tu no … “
«
Quindi, capo, tu che famiglia supporti? » domandò a quel punto Bankotsu,
curioso.
Inuyasha sembrò riflettere attentamente sulla risposta da dare.
La serie raccontava tanti avvenimenti diversi con una sola matrice di
riferimento e ogni personaggio, anche quello secondario, apparteneva ad una
qualche famiglia o almeno era legato ad una di quelle più importanti.
« Se proprio devo scegliere … Direi gli Stark. Finora, per quello che ho visto,
sono stati i più interessanti e poi c’è anche Jon Snow alla Barriera. »
« Eh, che ingenuotto … » replicò Kikyo, fissandolo in
modo saccente e guadagnandosi una bella occhiataccia da parte dell’intero
gruppo.
« Perché? » chiese giustamente Inuyasha.
«
Perché lo sanno tutti che alla fine chi avrà davvero il Trono saranno i Targaryen.
Sono loro la salvezza per il reame! »
« Non
farmi ridere! » sbottò improvvisamente Jakotsu, prima che fosse Inuyasha ad
esporre il suo pensiero.
« La tua “regina” è ancora a mille miglia di distanza dai sette regni.
E’ Stannis Baratheon che ha davvero diritto di sedere sul trono di spade! »
«
Piantatela, il trono sarebbe dovuto andare a Tywin Lannister fin dall’inizio! »
replicò Bankotsu, deciso.
« Zitti, voi dannati Lannister siete solo degli sterminatori! »
« E
il “Re folle” cosa faceva, di grazia?! »
La
discussione andrò avanti ancora per diversi minuti fino a quando,
improvvisamente, Onigumo sbatté con forza i palmi delle mani sulla scrivania
alzandosi in piedi.
Inuyasha
lo guardò sorpreso: era la prima volta che lo vedeva scattare così, avere delle
reazioni umane insomma.
« …
Silenzio. La famiglia migliore, qui, sono i Greyjoy! Punto e stop. »
E
dopo quell’affermazione, detta in maniera così sentita, la discussione degenerò
nuovamente nel caos più totale.
Inuyasha
osservava la scena, impietrito.
Non
sapeva se fermare quella follia ricordando a tutti che dovevano lavorare, tra
le altre cose, ma oramai i toni erano divenuti così accesi da impedire
qualsiasi tentativo di freno.
“Ora
capisco perché non avevo mai badato alle loro precedenti conversazioni … “
Un
sospiro sfuggì dalle sue labbra mentre si rimetteva, almeno lui, a lavorare
alla prima bozza di un nuovo manga che gli era appena arrivato sotto mano.
Nel
frattempo, al ristorante Nekomata, si svolgeva una medesima discussione seppure
con toni più moderati.
Miroku
e Sango, a differenza di Kagome che tifava unicamente per Jon Snow, erano
convinti sostenitori dei Martell e niente avrebbe fatto loro cambiare idea.
La
discussione, per l’appunto, verteva proprio sui libri da cui la nuova stagione
sarebbe partita e l’importanza della “canzone dorniana” per la storia.
«
Secondo me … » esordì nuovamente Miroku « i cambiamenti apportati dagli
sceneggiatori sono stati molto azzeccati, li ho apprezzati molto: quella parte
nel libro era assai noiosa. »
« Non
credo, sai. » rispose Kagome, intenta a sistemare alcuni tavoli per il pranzo.
« Prendi la parte con Sansa e Ditocorto, per dire, portarla così dai Bolton mi
sembra troppo veloce e un azzardo: non abbiamo modo di vederla diventare una
perfetta signora di Nido dell’Aquila. »
«
Però … » proseguì Sango, rileggendo il menu che avevano scelto assieme per
quella giornata. « Sono convinta che non sia stato un male. Insomma, abbiamo
anche avuto la storia del principe Rhaegar e Lyanna – seppure solo una parte.
Il tempismo è stato perfetto. »
«
Sono solo speculazioni. » continuò Kagome in risposta all’amica.
La
conversazione proseguì su questi toni per altri minuti fino a quando, con
un’espressione lugubre, dalle scale che portavano agli uffici comparve Naraku.
« Capo … ? » azzardò Kagome avvicinandosi a lui con un’espressione preoccupata
in viso.
Non
era la prima volta che lo vedeva in quelle condizioni, dopotutto, la loro
situazione non era delle più rosee e nessuno ebbe difficoltà a capire quali
potessero le ragioni di quel suo improvviso malumore.
Un
sospiro sfuggì dalle labbra del mezzo demone, un sospiro pesante e carico di
pensieri negativi, la sala sembrò congelarsi mentre tutti i camerieri e il
personale di cucina che curiosavano dalla porta aspettavano di sentire il
responso a quella domanda.
«
Kagome … siamo spacciati … » esordì lui con tono basso.
Quando
alzò il viso per incrociare lo sguardo con la sua collaboratrice non poté più
trattenersi e scoppiò in lacrime, senza aggiungere altro raggiunse il suo
maitre e si gettò ai suoi piedi stringendo le braccia attorno alla sua vita.
« Non
so più cosa fare … sono disperato, Kagome, quel dannato … quel maledetto
Hakudoshi … »
Tutti
conoscevano quel nome, tutti lo temevano all’interno del loro ristorante.
Hakudoshi,
infatti, era il proprietario di una serie di alberghi e ristoranti e gestiva un
imponente giro d’affari per migliaia di yen. Nessuno sano di mente si opponeva
a lui. Quando l’azienda “Entei” ti faceva un offerta, dovevi accettare. Punto.
Nessun compromesso.
Naraku,
tuttavia, non aveva voluto scendere a patti con qualcuno che minacciava la
stabilità e il posto di lavoro di dipendenti che lui stesso aveva scelto. E
così, ad ora, sebbene il ristorante vada molto bene e abbia delle buone serate,
la società di Hakudoshi continua a fare pressione su banche e fornitori,
favorendo la concorrenza e cercando un modo per convincere Naraku a cedere.
Sango
si limitò a far schioccare la lingua con un’espressione disgustata sul volto
Miroku, accanto a lei, la guardava senza battere ciglio all’apparenza ma Kagome
aveva visto molto bene quella mano di lui chiudersi a pugno per la tensione.
I
camerieri si guardavano tra di loro seriamente preoccupati mentre il loro capo
continuava a singhiozzare sul grembo di Kagome.
“Non posso permettere che questa scena continui … Devo fare qualcosa”.
La
mano destradi lei si posò sul capo del
suo principale sorridendo in modo dolce mentre accarezzava i folti capelli
corvini, lentamente egli alzò il capo verso di lei incrociando quei suoi occhi
color rubino, ora velati da copiose lacrime, con quelli calmi e placidi di lei.
«
Kagome … »
«
Avanti, capo, ci hai tirato fuori da situazioni ben peggiori.
Se
non fosse stato per te, a quest’ora saremo tutti in mezzo ad una strada e senza
nessun lavoro per il futuro, e non dimenticare che non sei da solo: anche altre
aziende che hanno chiuso a causa della “Entei” ti stanno dando il loro
appoggio. Non devi perderti d’animo. »
Il
suo tono di voce era calmo, pacato, cercando di trasmettere un po’ di fiducia a
quel mezzo demone che sembrava sempre sul punto di spezzarsi.
A
quelle parole, tutti si unirono a dar sostegno al loro principale.
“Ha ragione”, “E’ solamente grazie a lei se ora posso mantenere la mia famiglia
… “, “ci ha dato speranza quando non ne vedevamo …”, “saremo sempre al suo
fianco, signore”.
Kagome
sospirò appena, cercando di non farsi vedere troppo, sollevata nel vedere una
squadra così affiata e unita.
In
quel momento Sango, rimasta in silenzio, si avvicinò a Naraku e lo colpì con
una sonora pacca sulla spalla facendolo sbilanciare un poco.
«
Avanti, sii più uomo adesso! Noi siamo tutti con te, per cui non azzardarti ad
arrenderti! »
Naraku
sembrò sul punto di piangere ancora per quelle parole, ma invece, sotto il
sorriso dei suoi dipendenti, si limitò a tirare su con il naso e ad annuire
mentre si rialzava da terra.
« …
Kagome … » la voce debole e bassa di Kanna fece sobbalzare tutti quanti i
presenti i sala, la ragazza, in particolare, si teneva una mano sul petto per
lo spavento.
«
Volevo confermarti che ho cambiato il tuo turno per venerdì sera. » continuò
lei per poi avvicinarsi a Naraku.
Non
disse nulla, con i suoi profondi occhi scuri afferrò per il colletto della
camicia il suo principale e cominciò a tirare per trascinarlo fuori dalla sala.
«
Capo, ha ancora molto lavoro da fare … La prego di svolgerlo. » disse
solamente, piatta persino nella sua espressione mentre Naraku, abbattuto forse
di più dall’idea di tornare nel suo ufficio. Non appena se ne fu andato
tirarono tutti un sospiro di sollievo.
Sango
fu la prima a voltarsi verso Kagome, curiosa.
« Tu
che prendi un giorno di ferie? Sta per arrivare l’apocalisse, vero? Dimmelo,
così mi preparo prima. »
Commentò
la ragazza mentre Miroku, accanto a lei, trattenne a stento una risata.
Kagome
era una stacanovista, raramente, se non casi eccezionali, si prendeva dei
giorni liberi per badare a se stessa.
Infatti,
all’insinuazione dell’amica, arrossì appena e scosse velocemente il capo mentre
Sango continuava ad incalzarla.
« Oh,
fammi indovinare: centra quel bel fusto del tuo maritino? »
« Non
è il mio maritino! »
«
Momento, momento, momento, momento … » esordì Miroku, citando una famosa serie
di cartoni animati, imitando persino il movimento con le mani che invitava
tutti a fermarsi. Ci fu un attimo di silenzio, prima che questi si decidesse a
parlare.
«
Kagome si è sposata?! »
« …
In pratica. »
« E
nessuno mi ha detto niente?! Che carogne! » sbottò lui, incrociando le braccia
al petto e guardando con severità entrambe le ragazze.
« Sentiamo, chi sarebbe questo tipo? »
« Il
ragazzo mezzo demone che è venuto quando te la sei data a gambe. » spiegò
rapidamente Sango, incrociando anch’ella le braccia al petto ricambiava
l’occhiata inquisitrice di Miroku mentre Kagome sospirava.
Non
aveva voluto dire niente a Miroku di proposito, anche se si stupiva del fatto
che Sango fosse davvero rimasta zitta con lui. Si passò distrattamente una mano
dietro la nuca giocando con le ciocche scure dei capelli, indecisa su cosa
raccontare ma poi, non riuscendo a resistere, spiegò rapidamente la situazione
al suo brillante chef de rang.
Dapprima ascoltò sconcertato il racconto della ragazza, per poi diventare
completamente allibito.
« E’
ovvio che qualcosa bolle in pentola … » commentò Miroku al termine del racconto
poggiando la schiena contro una parete del locale.
«
L’atteggiamento di lui è troppo … strano, ecco. Nessun uomo sano di mente
accetterebbe un matrimonio così, su due piedi. »
«
Parla per te. » lo rimbeccò Sango, tossendo per mascherare il commento velenoso
e guadagnandosi, comunque, un’occhiataccia da parte di Miroku.
«
Almeno non nascondo le mie reali motivazioni. No, Kagome, è chiaro come il sole
che c’è qualcosa sotto e forse ti stanno usando. »
«
Perché? Non ho niente di valore, dopotutto. » rispose lei.
Era
vero.
La
sua era una famiglia semplice, sempre legata al tempio Shinto nel quale
risiedevano dall’epoca Sengoku; ma non c’era nient’altro.
Miroku
si trovò costretto ad annuire a quell’affermazione, ma la sensazione che aveva
non era delle migliori e sentiva di dover prendere dei provvedimenti a
riguardo.
Quella
sera non avrebbe lavorato, era il suo giorno libero, raccolte le sue cose si
diresse verso l’appartamento che Kagome divideva con quel suo nuovo “coinquilino”.
L’altro giorno, quando l’aveva incontrato al ristorante, andava di corsa e non
aveva potuto valutare che tipo di persona fosse. Rammentava solo la donna con
lui, molto carina e anche timida: il tipo di donna che preferiva, in un certo
senso almeno.
Sango
le aveva dato l’indirizzo facendosi promettere di non fare sciocchezze, come
suo solito, ma anche se lei lo approvava non poteva non valutare anche con i
suoi occhi.
Kagome
era stata la sua ancora di salvezza assieme a Naraku, gli avevano dato un
opportunità e non avrebbe permesso a nessuno, nemmeno ad un demone, di ferirla.
Si
appoggiò contro la parete della palazzina vicino all’ingresso, ma non troppo da
attirare attenzioni indesiderate e posò a terra lo zaino con dentro le proprie
cose, attendendo paziente l’arrivo del mezzo demone.
Teneva
le braccia incrociate contro il petto picchiettandone uno con l’indice della
mano opposta, gli occhi chiusi e la mente assorta in mille pensieri.
Ogni
tanto sentiva delle voci provenire dai passanti che l’osservavano, mormorando
qualcosa che alle sue orecchie suonava incomprensibile, tra questi vi erano
anche voci femminili che aggiungevano delle leggere risate imbarazzate e delle
quali si compiaceva.
Era
un bel ragazzo, negarlo era inutile, per questo provava un certo compiacimento
nel sentire quei suoni in lontananza.
Inuyasha era sulla via del ritorno quando ricevette un messaggio da Kagome, un
avviso, a quanto pare, della visita a casa sua di un suo amico. All’inizio non
aveva capito di cosa si trattava, trovandosi a fissare con estrema perplessità
lo schermo del cellulare, ma poiché doveva tornare a casa per prendere delle
cose necessarie al suo lavoro aveva lasciato volentieri l’ufficio sotto lo sguardo
di fuoco dei suoi colleghi: la battaglia delle casate era continuata, e le sue
risposte non erano state adeguate al clima.
Sospirando
appena al pensiero dell’insubordinazione dei suoi colleghi raggiunse finalmente
casa sua.
Aveva
due profondi cerchi scuri sotto gli occhi segno evidente che anche la sua
resistenza “demoniaca” stava arrivando al collasso, quando scorse una figura
appoggiata alla parete dello stabile che ospitava il suo appartamento. Era come
una mosca nel latte, letteralmente.
Un
pochino a disagio si avvicinò al ragazzo, sbadigliando sonoramente prima di
presentarsi a quest’ultimo che si era accorto della sua presenza.
« Tu
sei l’amico di Kagome, giusto? »
« E
tu come lo sai? »
« Mi
ha scritto … » spiegò lui, prendendo il cellulare dalla tasca e mostrando il
messaggio al ragazzo.
Quest’ultimo
sospirò appena, ridacchiando per la situazione creatasi e tenendogli subito la
mano.
«
Esatto, anche se ci eravamo già incontrati di sfuggita, comunque io sono Miroku
ed ero curioso di conoscerti. »
Aveva
già avuto modo di vederlo sotto una veste professionale, ma con abiti normali,
in contrasto con la tenuta lavorativa, faceva tutt’altro effetto.
Indossava una canotta bianca con sopra disegnati dei teschi, pantaloni lunghi
con la mimetica tipica dei militari e una specie di collana che arrivava fino a
metà vita.
«
Sono qui perché volevo parlarti di Kagome … » esordì Miroku, abbandonando il
sorriso e assumendo un’espressione seria in volto.
« …
Volevo sapere quali sono le tue reali intenzioni nei suoi confronti. »
Inuyasha,
trovandosi un poco spiazzato da quella domanda improvvisa, non rispose nulla e
si limitò a ricambiare lo sguardo serioe indagatore del ragazzo.
« Nessun
uomo, per quanto disperato, accetterebbe un contratto di matrimonio come quello
senza una ragione valida. Tu e lei non vi siete mai visti e, perdonami, non mi
sembri il tipo da avere problemi di donne nella tua vita e sei anche giovane.
Per questo mi chiedo: perché non si è opposto come farebbe chiunque al pensiero
che deve sposare una perfetta estranea? »
Inuyasha
chiuse gli occhi a quelle parole, sorridendo appena mentre tratteneva le risate
dentro di se ma Miroku sembrò notarlo.
« Lo trovi divertente? » domandò stizzito, indurendo la propria espressione.
« No,
affatto … » rispose lui, ridacchiando meno che poteva, mentre i suoi occhi
color ambra lo scrutavano seriamente. « … Sei solo il primo che mi ha fatto
apertamente questa domanda. Mi ha sorpreso, ma non posso risponderti ugualmente.
»
Avrebbe
potuto spiegare la situazione a Miroku, proprio come aveva fatto con i suoi
colleghi al dipartimento, ma non era sicuro di potersi fidare completamente e
anche in quel caso sarebbe stato difficile: teneva molto a Kagome, si vedeva,
fingere di non vedere la verità sarebbe stato ancora più complicato.
« Che vuol
dire?! » domandò Miroku, scocciato da quel comportamento.
« Allora è
come pensavo, tu la vuoi solo usar - »
« … Io
sono innamorato di lei. » commentò Inuyasha, interrompendolo sul momento,
rivelandosi solo in parte per lasciare nel ragazzo un po’ di confusione.
« La amo
veramente, Miroku.
L’unica
mia motivazione è quella che mi spinge a tenere accanto la donna che amo. »
Quelle
parole erano sincere, persino Miroku lo comprese pur non conoscendo a fondo il
mezzo demone.
« Sei un
caro amico di Kagome, proprio per questa ragione non posso spiegarti niente. E’
importante, e molto. »
Da un'altra
tasca estrasse un portafoglio molto piccolo, lo aprì e prese un biglietto da
visita che porse al ragazzo senza farsi troppi problemi.
« Potremo
parlare qualche volta, se può farti stare più tranquillo. »
Miroku
accettò il biglietto da visita, ma ancora non sapeva cosa pensare di quella
storia e, dopo le parole di Inuyasha, era ancora più confuso tant’è che si
lasciò scappare una risata divertita al termine di quel loro discorso.
« Amico,
lo confesso: non ti capisco. »
« Nemmeno
i miei colleghi. »
Un’altra
risata da parte di entrambi questa volta mentre Miroku metteva in una tasca il
biglietto appena ricevuto, da terra raccolse lo zaino e lo posizionò su una
spalla.
«
Indipendentemente da tutto … Sembri una brava persona, ma solo il tempo potrà
dirlo davvero. E, un’altra cosa, stavo per dimenticarlo … »
La sua
espressione appariva leggera, ma in realtà non aveva mai abbandonato la
severità di prima. Era solo scena, un modo per cercare di smascherare le carte
del mezzo demone.
« Prima di
fare il cameriere ero un monaco. Il punto è semplice: se ferisci la mia amica,
farò in modo che di te non rimangano nemmeno le ossa. »
Un
sorriso, un cenno con la mano e si allontanò lasciando Inuyasha con un brivido
di terrore che attraversava la sua schiena.
“Accidenti
… Certo che Kagome si trova sempre degli amici singolari … “
Pensò,
asciugando il sudore freddo dalla fronte, sorridendo appena nel constatare che
la ragazza non era cambiata proprio in quegli anni. Ebbe appena il tempo di
ultimare quel pensiero che il telefono prese a suonare, prendendolo dalla tasca
dei pantaloni si trovò ad imprecare sotto voce leggendo il nome sul display:
era suo fratello.
« Due
chiamate in meno di una settimana … devo pensare che mi vuoi bene? » esordì
sarcasticamente Inuyasha mentre dall’altra parte si udì il silenzio più totale
per diversi minuti buoni.
« Sei
ancora vivo o sono finalmente diventato figlio unico? »
« … Mi chiedevo quali geni abbiamo in comune,
ma non importa … » commentò gelido Sesshomaru, il fratello di Inuyasha.
« Comunque sia, microcefalo, oltre a
ricordarti di venire vestito rispettabile venerdì volevo informarti che a casa
ti hanno cercato dei bambini dell’orfanotrofio di tua madre. Hanno chiesto
quando passavi a trovarli, più o meno … il messaggio era molto chiassoso. »
Un sorriso più dolce allungò gli angoli delle
labbra di Inuyasha mentre pensava al messaggio dei bambini.
« Ho
capito, provvederò a chiamare quanto prima. »
Non fece
in tempo a ringraziarlo che la chiamata venne chiusa.
Si trovò a
roteare gli occhi verso il cielo: tipico di Sesshomaru, pensò divertito, dice
quello che deve dire e chiude subito la conversazione.
“Quasi
rimpiango i tempi in cui non mi rivolgeva la parola”.
In quel
momento il cellulare trillò ancora, stavolta era la suoneria dei messaggi e
delle e-mail. Il mittente era Kikyo, e il contenuto era:
“Ho trovato quello che dicevi online.
Il prezzo è un po’ alto, però dovrebbe
arrivare in tempo per la festa.
L’ho già preso, ovviamente.
Se non mi rifondi quanto prima ti faccio
castrare.
Baci,
Kikyo”.
Salve a tutti!
Scusate, il capitolo è un poco scarno ma serviva solo alla presentazione della
serata di festa.
Vado difretta e l’angolo autrice è molto ridotto.
Scusatemi!
Capitolo 9 *** Il ricordo di un sogno (Parte 1) ***
-Capitolo 9-
I pochi
giorni che li separavano dalla festa di fidanzamento a casa Taisho erano volati
molto più in fretta di quanto credesse. Pensava che il lavoro l’avrebbe aiutata
a distrarsi, ma non fu così: Sango, quando poteva, si adoperava per aiutarla a
scegliere un vestito adeguato alla festa. Sembrava lei la più entusiasta.
Inuyasha,
dal canto suo, si era limitato a dire a Kagome di non pensare troppo a questi
aspetti marginali e d’indossare un abito semplice e senza troppe pretese ma
Sango si era opposta. Era una grande occasione, ripeteva, avrebbe cenato con
alcune persone importanti e non solamente il capo editore di un rivista di
manga – l’abito avrebbe detto tutto di lei.
« Davvero,
Sango, non c’è bisogno che tu arrivi a tanto per me. » commentò Kagome,
cercando un modo per rifiutare il “regalo” da parte della ragazza: una borsa
elegante con dentro un vestito per l’indomani.
« Cosa
dici? E’ il minimo, e poi ti starà molto bene! Sei d’accordo? » disse Sango,
interpellando Miroku nel discorso. Questi annuì, sorridendo sghembo alle
ragazze mentre le avvicinava.
« Sarai
divina Kagome, sul serio. »
A quel
commento si guadagnò un’occhiataccia da parte di Sango, ma per fortuna di
Miroku, e soprattutto di Kagome che era sulla linea di tiro, non venne colpito
da nessun oggetto volante lanciato dalla donna.
« Ad ogni
modo, considerando dove andrai a cena, mi sembra il minimo. » aggiunse il
ragazzo, sorridendole mentre le dava qualche pacca sulla spalla.
Non era
convinta.
Non era
per niente convinta di quella serata.
Da un
lato, era l’occasione per curiosare nei diari di Izayoi e scoprire quale fosse
il legame con sua madre, Yukiji, dall’altro aveva la sensazione che avrebbe
finito per affezionarsi troppo alla gentilezza del signor Taisho e a quella di
suo figlio.
Inuyasha e
lei avevano orari e stili di vita molto diversi, alla mattina, quando c’era
tempo, faceva in modo di fargli trovare qualcosa da portare via e mangiare sul
posto di lavoro ma lui non sempre era a casa.
Perché
allora proporre una convivenza quando metà del mese la passava in ufficio?
Se ci
pensava non capiva.
« … ome …
Kagome … »
La voce di Sango la richiamò alla realtà facendola sobbalzare.
La mano
dell’amica era poggiata sulla sua spalla e una ruga di apprensione solcava la
sua fronte, Kagome la guardò un momento confusa prima che quest’ultima
sospirasse di sollievo.
« Non devi
pensarci troppo.
Contala
come una buona occasione per mangiare qualcosa di elegante gratis, senza
doverti scomodare. »
Constatò
l’amica, supportata da Miroku che le passò un braccio attorno al collo che
l’attirò verso di se.
« Esatto, devi pensare a goderti il momento. »
Kagome non
sapeva davvero più cosa pensare, ma oramai era tardi per tirarsi indietro e la
serata tanto temuta era quella.
Era passata al ristorante solo per recuperare il vestito che Sango,
insistentemente, le aveva procurato e anche per sapere da Miroku di cosa aveva
parlato con Inuyasha; ma da questo fronte non ottenne una risposta vera e
propria.
“Uomini …
“ pensò scoraggiata, scuotendo pigramente il capo.
Prese la
borsa con l’abito e uscì dopo aver dato le ultime raccomandazioni a Miroku per
la serata. Sapeva che se era il suo amico a gestire le cose, la serata sarebbe
stata sicuramente bene e senza intoppi particolari.
Inuyasha,
invece, sarebbe tornato a casa solo per la sera, prima di andare: doveva
assolutamente finire un lavoro.
“Forse è
meglio così … “ si trovò a pensare Kagome, arrossendo al solo pensiero di farsi
vedere mentre si preparava ad indossare il vestito elegante che Sango le aveva
prestato.
Non era la
prima volta, quello era vero, ma il fatto che non fosse sola in quel momento la
metteva un poco in agitazione.
Un sospiro, e poi una voce irruppe dal silenzio.
« E’ ancora troppo presto per sospirare! »
La voce in
questione era femminile con una nota elegante; apparteneva a Kikyo. Era davanti
l’entrata del palazzo, una borsa da viaggio accanto a lei e un’espressione
furente dipinta sul volto.
Kagome la
fissò sorpresa incapace di dire alcunché.
« Stavo
quasi per andarmene, sai? »
« Ma tu …
perché … »
« Devi
andare ad una cena a casa di Inuyasha, no? Ho pensato che volessi una mano per
prepararti, inoltre ho portato un regalo da parte sua. »
Strizzò
l’occhio complice in direzione della ragazza, sorridendole.
Kikyo
quando sorrideva era davvero bella, questo si trovò a pensare Kagome mentre la
trascinava fino al suo appartamento per i “preparativi”, per questo si chiedeva
come mai lei ed Inuyasha non avessero mai pensato di fare coppia.
Provò a
domandarlo mentre Kikyo la spingeva in bagno a fare una doccia, ma la risposta
fu soltanto: ha la testa altrove.
Era una
risposta vaga, misteriosa e soprattutto priva di qualsiasi punto di riferimento
per ulteriori approfondimenti.
Tutto
stava cambiando attorno a lei ad una velocità così assurda da farle venire la
nausea, certi giorni, fermandosi sotto il getto della doccia come in quel
momento, pensava di mollare tutto e tornare alla vita tranquilla e prevedibile
di prima. Voleva tornare a preoccuparsi solo di suo nonno e di suo fratello,
senza badare a quello che accadeva nel mondo.
Rivoleva
la vita di prima, la vita dove non pensava al testamento di sua madre e a ciò
che nascondeva.
Uscì dalla
doccia dopo una buona mezz’ora ancora avvolta nell’accappatoio e con i capelli
umidi esattamente come aveva richiesto Kikyo, quest’ultima, nel mentre, aveva
allestito in tutta fretta nel soggiorno un’area beauty degna del migliore
parrucchiere in città. Non era ancora sicura di quanto Inuyasha approvasse
quello che voleva fare, ma decise di fare poche domande e andare a sedersi
sulla sedia che aveva posizionato al centro di alcuni asciugami chiari.
Una volta accomodatasi, Kikyo passò attorno alle sue spalle, coprendola anche
sul davanti, un grosso telo di plastica leggera.
« E’
davvero necessaria tutta questa preparazione per una semplice cena? » domandò a
quel punto Kagome, preoccupata sul serio mentre la ragazza prendeva un pettine
e delle piccole forbici da una scatola che aveva poggiato sopra il tavolino.
« Sì, alla
cena sarà presente anche la matrigna di Inuyasha. E’ una donna tutta d’un pezzo
e non ha una grande simpatia per gli esseri umani. » rispose lei tranquilla
mentre iniziava a pettinare i capelli di Kagome.
« La sua
matrigna? »
« Sì, la
madre di Sesshomaru. Sono … Non dico uguali, sarebbe assurdo, ma c’è qualcosa
nel loro modo di fare che ti fa capire subito che sono parenti. »
Uno strano
pensiero cominciò a farsi strada nella sua mente.
« Quindi …
La signora Izayoi non era … »
« La
moglie di Akio? No, purtroppo no: era la sua amante umana. Inuyasha non te l’ha
detto? » chiese a quel punto Kikyo, sorpresa da tutte quelle domande.
Sapeva che
non voleva ancora rivelare a Kagome del loro passato insieme, ma non credeva
arrivasse a tacergli cose importanti della sua famiglia proprio quando doveva
andare a conoscerla ma, purtroppo, il cenno di assenso della ragazza confermò i
suoi sospetti.
«
Quell’idiota … » commentò la donna, sospirando mentre cominciava a spuntare le
punte dei capelli.
« Ho
conosciuto la signora parecchi anni fa.
Gestiva un orfanotrofio vicino all’ospedale Teiko. Inuyasha è cresciuto lì,
praticamente, dal momento che la sua matrigna e suo fratello a casa non gli
rivolgevano la parola. »
Kagome
rimase in silenzio ascoltando il racconto di Kikyo mentre piccole ciocche di
capelli scivolavano a terra, ricadendo morbide sui teli che erano stati
posizionati accanto alla sedia.
« Io
passai alcuni mesi proprio lì dopo la morte dei miei genitori. »
Kagome
sussultò, voltandosi e rivolgendo un’espressione mortificata a Kikyo. Voleva
sapere, per questo non l’aveva fermata, ma non al punto da riaprire vecchie
ferite.
« Non
occorre che continui il discorso. Insomma … Voglio dire …»
Kikyo
sbatté un paio di volte gli occhi, sorpresa dal gesto improvviso di lei ma poi,
ripresasi, si lasciò scappare una leggera risata.
«
Tranquilla, sono passati tanti anni e la mia vita con gli zii non è stata poi
così male, sai? »
Un
occhiolino in direzione di Kagome e il discorso poté riprendere.
« La
signora Izayoi era … Non so come dirlo, ma … quando ripenso alle principesse
delle epoche passate la sua immagine è la prima a venirmi in mente. Era molto
dolce, gentile e premurosa nonostante fosse spesso malata. In quel periodo
conobbi anche Inuyasha, una sorta di fratello maggiore per tutti i bambini, che
avrei rivisto qualche anno dopo, ovviamente, sul posto di lavoro. E’ stato lui
a guidarmi, sai? »
Posò le
forbici dove le aveva prese e con una prolunga attaccò il phon con il quale
avrebbe lisciato per interi i capelli della ragazza, mossi naturali per
renderli più adatti all’acconciatura che aveva in mente.
« Tutti
gli editori mi sottovalutavano, dicevano che non ero in grado di svolgere bene
il mio lavoro per via della timidezza che, confesso, mi ha sempre bloccato sin
dai tempi della scuola. »
Kagome non
riusciva a crederlo.
S’immaginava
Kikyo come la ragazza più popolare, quella capace di rubare sguardi e invece,
da quello che le diceva, era l’esatto contrario.
Nella sua
mente si materializzò l’immagine di lei, così elegante nei lineamenti, con il
capo chino e magari uno spesso paio di occhiali.
« E’ stato
Inuyasha a scoprirti, quindi? »
« Sì, si
ricordava di me dai tempi dell’orfanotrofio … » rispose, sorridendo quasi
orgogliosa mentre acconciava i capelli della ragazza dopo averli passati con il
phon e la spazzola.
Gli occhi
nocciola correvano dalle ciocche in modo delicato, in una lenta e delicata
carezza che aveva il potere di farle dimenticare tutto quello che stava
accadendo attorno.
« … Sai
Kagome … Inuyasha non dimentica mai davvero niente. » si morse le labbra a
quell’affermazione, rendendosi conto di stare osando troppo e che non doveva
rischiare di far scoprire il suo capo proprio in quel momento.
« … Io
invece non riesco … » rispose invece Kagome, atona e con un’espressione più
cupa in viso.
« Quando
ero una bambina … » si fermò un istante, indecisa se proseguire oltre ma,
ricordando quello che lei aveva detto decise che era meglio essere più onesti
possibile.
Uno
scambio equo.
« …
Accadde un incidente in ospedale e in quell’occasione sfiorai la morte. I
medici dissero che ero fortunata, ma l’ipossia danneggiò parte della mia mente
e alcuni miei ricordi sono andati perduti. »
Kikyo si fermò
un istante, scrutando i lineamenti e l’espressione cupa della ragazza.
Cosa
poteva dire?
Era
difficile parlare o cercare qualche conforto in quella circostanza. Lo capiva,
sentiva di voler dire qualcosa ma non poteva assolutamente.
« La cosa
peggiore è che ho sempre avuto la sensazione di aver dimenticato qualcosa di
fondamentale, qualcosa di prezioso … una promessa, credo. Per questo mi viene
da invidiare Inuyasha in questo momento. »
Gli occhi
di Kikyo brillarono a quelle parole: allora c’era speranza, pensò e senza
preoccuparsi di altro gettò le braccia attorno al collo di Kagome
sorprendendola.
« E-Ehi …
Che fai?! »
« Nulla,
nulla … pensavo che sei davvero forte. » rispose lei, celando i veri pensieri
che in realtà si alternavano nella sua mente.
La
speranza era lì, a portata di mano, quella serata avrebbe fatto il resto. Ne
era convinta.
Sistemò
gli ultimi ritocchie poté passare al
viso, truccandolo in modo leggero ma donandole un’aria più adulta.
Kikyo
continuò a raccontarle diverse cose come la sua passione per il trucco e le
acconciature, acquisite dai suoi genitori naturali, ma che non poteva
trasformare nel suo vero lavoro. Diceva che mancava di entusiasmo, lo stesso
che invece dedicava ai manga e Kagome lo capì subito. Quando Kikyo parlava del
suo lavoro alla Shikon, lamentandosi di Jakotsu, si vedevano i suoi occhi
brillare e il suo viso divenire quasi emozionato.
Lei
ricambiava come poteva, raccontando di come aveva conosciuto Naraku, dopo
essere stata buttata fuori da un altro ristorante, ma anche di come gli altri
si unirono alla squadra. Loro, compresi Sango e Miroku, erano erbacce che
crescevano sui cigli della strada e che nessuno apprezzava davvero e Naraku
aveva dato loro l’occasione per sbocciare e crescere professionalmente.
Grazie a
lui, avevano un posto che non li avrebbe mai respinti.
Quando
anche il trucco fu terminato, finalmente, Kagome poté guardarsi allo specchio
che Kikyo aveva posato sul tavolino.
I capelli
erano stati lisciati e tirati indietro, ad eccezione del ciuffo che aveva
lasciato ribelle a ricadere sul viso, un’intricata treccia, invece, li teneva
su in quell’elegante crocchia che somigliava moltissimo ad un fiore. Sul viso,
al contrario, era stato posto solo una leggera quantità di trucco per risaltare
le guance e le labbra.
Indossare
il vestito, invece, non fu un vero problema (anche se l’imbarazzo fu tanto).
Era un azzurro chiaro con delle stelle ricamate sul fondo della gonna con un
ampio spacco, perfetto per la sua pelle pallida,con una sola spallina che avvolgeva il petto.
“E’ una fortuna che io e Sango abbiamo la stessa taglia” pensò lei, guardandosi
allo specchio con soddisfazione.
A quel
punto, dopo che Kikyo l’ebbe obbligata a sedersi di nuovo, dalla borsa estrasse
una scatolina di velluto rosso.
« Questa sono
diventata matta per cercarla, davvero. » esordì lei, sospirando appena mentre
l’apriva e ne mostrava il contenuto.
Era una
scheggia, una scheggia di un qualche oggetto sferico, legata con una catenina
sottile in argento.
La guardò intensamente, come catturata dai suoi riflessi alla luce, perdendosi
negli angoli appuntiti e sentì aprirsi qualcosa nella sua mente – un cassetto
dei suoi ricordi.
Ne aveva
vista una simile, in passato.
Avvicinò
la mano verso quel piccolo oggetto, indecisa e turbata, sfiorandolo solo con la
punta delle dita e sentendone il peso leggero sui polpastrelli prima che Kikyo
lo ritrasse per sistemarlo al suo collo.
« E’ stato
Inuyasha a chiedermi di cercarlo per te. Ha detto, testuale, che voleva farti
un regalo speciale per il vostro primo appuntamento. Non dirgli che te l’ho
detto, però, altrimenti mi licenzia. »
Era ancora
intenta a fissare quell’oggetto stralunata, completamente assente, sforzandosi
di ricordare dove poteva averlo già visto ma inutilmente. Nulla c’era nei suoi
ricordi, solamente la nebbia e il vuoto.
Si
riscosse all’ultima affermazione, ridacchiando appena e alzandosi dalla sedia
per dare un abbraccio alla ragazza.
Non la
conosceva da molto, ma era stata comunque molto gentile e disponibile.
Erano
simili per certi aspetti e, forse, in un’altra vita avrebbero potuto essere
tranquillamente sorelle.
Kikyo, a
quel gesto, arrossì vistosamente e cominciò a pronunciare frasi sconnesse come
una macchinetta lasciando sul viso di Kagome un altro sorriso.
“Allora è
davvero molto timida … “ pensò divertita.
Fu in quel
momento, quando era persa nei suoi pensieri, che la porta di casa si aprì ed
entrò Inuyasha che si bloccò sulla soglia con uno strano sorriso dipinto sul
volto.
« Mi sono
perso qualcosa? » domandò divertito mentre Kikyo, scattando come una molla, si
staccò da Kagome e cominciò a raccogliere le sue cose.
La ragazza
non disse nulla, imbarazzata anche lei, si limitò a notare che il ragazzo si
era cambiato e indossava un completo elegante scuro che di sicuro non aveva a
casa.
«
Inuyasha, ma quel completo … ? »
« Un
regalo dai fratelli Jakotsu e Bankotsu, o meglio dire un prestito … »
Si passò
una mano dietro la nuca, giocando con le ciocche argentee e concentrando la sua
attenzione altrove.
“Accidenti … “ serrò la mano in un pugno mentre con un guizzo i suoi occhi
passavano da Kagome alla parete. “Dovevo dire a Kikyo di non esagerare, così …
è troppo … “
« Allora,
Inuyasha, sei contento del mio lavoro? » esordì improvvisamente Kikyo, sbucando
davanti al volto del suo capo e sogghignando maliziosa.
« Non
trovi che Kagome sia divina? »
A quella
domanda, che aveva attirato l’attenzione della ragazza, Inuyasha lanciò una
violenta occhiata di fuoco alla sua collaboratrice. L’avrebbe pagata, altroché
se l’avrebbe pagata.
Rimase
alcuni minuti in silenzio constatando come l’abito, l’acconciatura e il trucco
risaltassero la figura della donna che amava da quando era un bambino.
La donna
che l’aveva salvato, ma che ora nemmeno ricordava il loro incontro.
Era molto
più che bella, ai suoi occhi trascendeva qualsiasi essere vivente per diventare
qualcosa di più, molto di più.
Deglutì
nervosamente mentre sentiva le sue guance prendere fuoco.
« Sei …
Sei davvero splendida, Kagome. »
Salve a tutti!
Per farmi perdonare il ritardo allucinante,
ma soprattutto il fatto che, causa lavoro, sparirò per un po’ mi sono
sbottonata e rivelato parecchie cosucce <3
Siate contenti di ciò.
Ora, tanto per fare pubblicità, da giovedì
11 a domenica 14 giugno sarò al Milano Matsuri a
lavorare.
Se volete venire a conoscere l’autrice fatemi sapere xD
Meglio di no, però, serio.. fuggite sciocchi!
Capitolo 10 *** Il ricordo di un sogno (Parte 2) ***
-Capitolo
10-
« Sei … Sei davvero splendida, Kagome. »
A quelle parole sentì una strana fitta al cuore, una sensazione piacevole e
nostalgica l’avvolse mentre il respiro moriva all’interno del suo corpo lasciandola
in uno stato di sospensione da cui era difficile fare ritorno.
Perché una sua parola riusciva a metterla
sotto sopra, tanto da dimenticare che attorno a loro c’erano altre persone.
Kikyo osservava la scena con gli occhi
lucidi, l’espressione sorniona e soddisfatta.
Non era sicura che Kagome avrebbe recuperato
i ricordi legati a Inuyasha, ma, come aveva detto lui una volta, non era detto
che non potesse accadere qualcosa di nuovo.
Sarebbe stato un bel lieto fine, pensò.
In quel momento, seppure a malincuore, dette
un colpetto di tosse per richiamare i due piccioncini dal loro mondo di sguardi
e ricordargli che era ancora presente.
Inuyasha le lanciò un’occhiata sbieca.
« Ancora qui sei? »
Kikyo gli rispose con un’ennesima
occhiataccia, sbuffando e andando a recuperare le sue cose.
« Ho capito, ho capito, la ruota di scorta
se ne va! »
Kagome si sentì quasi colpevole per quello
che stava accadendo, e non era nemmeno lei a parlare in quel momento, ma le
bastò l’occhiolino di Kikyo e il suo sorriso a rincuorarla.
“Meno male”, pensò sospirando, “sembra che
non sia offesa”.
La punta dell’unghia stava sfiorando la
guancia mentre assisteva a questo silenzioso, seppure poco velato, scambio di
occhiate complici tra lei e Kikyo. Il tempo, però, non era dalla loro parte e
dovevano sbrigarsi per cercare di arrivare a destinazione in tempo.
« Se … Se sei pronta direi che possiamo … Ecco … Andare … »
Kagome si riscosse nuovamente, annuendo e
prendendo dall’appendiabiti vicino alla porta una borsetta da abbinare all’abito.
C’erano tante cose di cui voleva parlargli, tante domande che ora, dopo il
racconto di Kikyo, sentiva di fare ma quando i suoi occhi nocciola si posavano
sul viso di Inuyasha questa curiosità moriva.
Qualcosa la pizzicava nell’angolo della
mente, come se, in qualche assurdo modo, lei sapesse già tutto quello che era
necessario sapere su di lui. Da sempre.
Scosse il capo, cacciando quei pensieri
dalla mente e trasse un profondo respiro quando oramai erano al piano terra e
lui le stava aprendo la porta della macchina – posteggiata vicino al portone
principale.
« Inuyasha … grazie, per la serata e … beh … la collana. »
A quelle parole si trovò per un momento
spiazzato, incapace di rispondere se non con un farfuglio a cui mise fine
simulando un colpetto di tosse.
« Ho solo pensato che ti stesse bene … Tutto
qui! » rispose lui, evasivo e cercando di mascherare il suo imbarazzo.
“Kikyo … Giuro che ti licenzio!”
Senza ulteriori indugi salirono sulla
macchina di Inuyasha, un vecchio modello di Toyota, di certo non la macchina
lussuosa che ci si poteva aspettare dal figlio di una famiglia più che
benestante. Quella, però, era una delle molte domande che voleva fargli ma che
si trovò bloccata dal fare.
Parlarono appena durante quel tragitto,
Inuyasha, chiaramente a disagio, aveva acceso la radio su una stazione radio
casuale che mandava musica tradizionale. Non era la sua preferita, ma non
disdegnava la cosa e questo le dava l’occasione per riordinare i suoi pensieri
e la strana sensazione che provava al cuore.
Aveva frequentato altri ragazzi in passato,
ma non aveva mai sentito quella stretta e quello strano guizzo al cuore. Mai.
Era qualcosa di assurdo, pensò poggiando la
fronte contro il finestrino della macchina guardando il paesaggio della città
scorrere sotto i suoi occhi, ma doveva cacciare indietro quella sensazione o ne
sarebbe stata schiacciata.
Dopo circa una mezz’ora buona, Kagome si
trovò con gli occhi completamente sbarrati dalla sorpresa. Il tutto a buon
ragione: davanti a lei non si trovava una semplice villa, ma quello che aveva
l’aria di essere un antico palazzo tradizionale.
Davanti a lei c’era una portone in legno con delle lanterne illuminate gettando
ombre sulle grandi arcate, oltre esse c’era una strada in pietra accanto a un
prato attentamente curato come l’albero di ciliegio alla sua destra e l’acero
alla sinistra.
“Comincio a capire cosa intendevano Sango e
Kikyo … “
Davanti ad una simile magnificenza Kagome si
sentiva un pesce fuor d’acqua, completamente inadatta anche solo per respirare
l’aria di un posto simile.
Intuendo il suo disagio, Inuyasha le si
avvicinò e la prese per mano. A quel tocco Kagome sussultò, ridestandosi da
quel sogno ad occhi aperti e guardandolo ancora con sorpresa mentre lui, senza
dire nulla, si limitava a sorriderle e a scuotere il capo mentre continuava a
tenerla stretta per mano guidandolo verso la porta di casa.
« Tu davvero sei cresciuto qui? » domandò
Kagome, ripresasi abbastanza da trovare il coraggio di porre quella domanda.
Inuyasha ridacchiò mentre faceva suonare
delle piccole campanelle per annunciarsi alla porta.
« No, assolutamente. »
In quel momento le tornò alla mente il
discorso di Kikyo sulla madre di Inuyasha e capì di aver toccato un tasto
dolente, si morse le labbra mentre si dava mentalmente della stupida per quella
domanda inopportuna.
Izayoi, la madre di Inuyasha, era l’amante
umana del signor Akio ed era normale che non vivesse nel medesimo luogo.
La porta venne aperta da quelli che dovevano
essere demoni servitori, non dissero una parola e si limitarono a tenere il
capo chino così che Kagome non li guardasse in viso lasciandola libera, volente
o no, di ammirare l’interno.
Seppure l’esterno fosse chiaramente
tradizionale, la casa all’interno si apriva su un lungo corridoio in parquet
con alcuni mobili, sistemati a lato e un’atmosfera completamente diversa da
quella s’immaginava.
« Se te lo chiedi … » esordì Inuyasha
sottovoce, avvicinando il viso a quello di Kagome. « La parte “vecchia” della
casa è dall’altra parte. La usano solo quando c’è qualche evento ufficiale. »
La ragazza annuì appena, mormorando qualcosa
che nemmeno Inuyasha riuscì a capire ma che lo fece sorridere; era come in
passato.
Avanzando diritta si accorse che Inuyasha
aveva ragione: quell’area della casa era molto occidentale, moderna per così
dire, e tutto curato nei minimi dettagli dell’arredamento. Aprì una porta sulla
sinistra che dava su un soggiorno con un bellissimo divano poggiato contro una
parete completamente ricoperta di librerie stracolme di libri. Davanti al
divano, separato da un tappeto con sopra poggiato un tavolino in vetro, c’erano
due poltrone e un paio di sedie.
Sul divano, accanto a quella che doveva
essere la moglie, stava il signor Akio che non appena vide entrare Kagome il figlio
si alzò immediatamente in piedi per salutarli con un semplice inchino e un
sorriso.
« Sono felice di vedere che siete venuti
veramente … » esordì il padre di Inuyasha, guadagnandosi un’occhiataccia da
parte del figlio e un’espressione interrogativa da parte di Kagome.
« Kagome, permettimi di presentarti mia
moglie. »
Accompagnò le parole con un gesto del
braccio allungando la mano alla consorte, la quale la strinse e la usò per
alzarsi in piedi.
Aveva lunghi capelli argentei, più chiari
rispetto a quelli di Inuyasha che sembravano avere le stesse sfumature della
luna, li teneva legati in una coda alta che lasciava libere solo un paio di
ciocche per incorniciare i lineamenti affilati ma non meno femminili.
Occhi color del ghiaccio la scrutavano con
uno strano sorriso sulle labbra, misterioso e indecifrabile, mentre Kagome si
soffermò ad ammirare velocemente l’abito elegante della donna di un blu chiaro
con una strana cosa morbida, forse una specie di pelliccia, che la ricopriva le
spalle e un bellissimo amuleto al collo.
« Lieta di conoscerti, signorina Higurashi,
il mio nome è Mizuki* (*luna bellissima). »
La voce della donna era molto delicata e in
quel momento Kagome capì come in passato, ma anche adesso, gli uomini
considerassero alcune donne demoni particolarmente attraenti – tanto da perdere
loro stessi.
Un leggero cenno del capo e Kagome ricambiò,
inchinandosi e sentendosi nuovamente inadeguata. La donna spostò lo sguardo
verso Inuyasha, sospirando appena e scuotendo il capo.
« Almeno questa volta sei venuto
presentabile, Inuyasha. »
Il mezzo demone le sorrise sghembo,
scrollando le spalle mentre Akio, intuendo la possibile battuta sarcastica del
figlio, si affrettò ad intervenire nella discussione; l’ultima cosa che voleva
era una discussione famigliare davanti a ospiti.
« Kagome … mio figlio Sesshomaru, invece, lo
avevi già conosciuto quella sera … »
Lo sguardo di lei si spostò, allora, verso
le poltrone dove vi erano accomodate due figure. Il primo ad alzarsi fu
Sesshomaru, il fratello maggiore di Inuyasha. Kagome ricordava bene quella sera
e, infatti, annuì con un cenno del capo.
Come la madre, anche Sesshomaru aveva uno
sguardo glaciale, completamente diverso da quello gentile e affettuoso del
padre, molto simile invece a quello della madre. Le parole di Kikyo risuonarono
nella sua mente e si trovò a concordare con lei.
Proprio come Inuyasha, anche lui, per la
serata, aveva optato per un abito più formale ma sul grigio e, esattamente come
la madre, aveva una strana cosa morbida che ricadeva sulla spalla. Sembrava una
pelliccia, ma non era sicura.
Dopo di lui si alzò la donna che gli era
seduta accanto. Aveva due profondi e malinconici occhicremisi, un trucco leggero per far risaltare
la carnagione chiara e i capelli scuri legati in un chignon con un fermaglio
formato da un paio di piume bianche. Il suo abito aveva delle spalline leggere,
la scollatura risaltava la sua figura longilinea e i colori che sfumavano dal
bianco al rosso era perfetto per lei.
« Lei invece è Kagura, la mia fidanzata. »
continuò Sesshomaru mentre la donna s’inchinava davanti ai due ragazzi.
I suoi occhi si fissarono su Kagome qualche
istante, sorpresa mentre la ragazza, dal canto suo, la fissava un momento
interrogativa.
« E- Ecco … »
« Voi … Siete alle dipendenze di Naraku,
vero? » domandò Kagura, un tono così severo nella voce che Kagome lo considerò
come una predica nei suoi confronti.
Trasse un profondo respiro, placandosi e
cercando di risponderle con un sorriso dolce sulle labbra.
« Sì, sono il primo Maître del ristorante
“Nekomata”. »
La donna non
rispose subito ma al contrario si lasciò andare ad una risata, elegante e
nascosta appena dal dorso della mano.
« Scusa, non
voleva essere una critica … » si affrettò ad aggiungere mentre si avvicinava a
Sesshomaru afferrando delicatamente il suo braccio. « … Naraku è anche il mio
benefattore, se così vogliamo dire, ogni tanto mi telefona per discutere di
affari e non fa che parlare di quanto sia fiero dei suoi dipendenti. In
particolare, parla spesso di te. »
« Immagino,
Kagome ha proprio l’aria di essere un’ottima collaboratrice. » asserì il padre
di Inuyasha, annuendo più volte con il capo.
« Non ha
solo l’aria, padre. »
La voce di
Inuyasha risuonò nella stanza improvvisamente, fiera e orgogliosa, tanto che
Kagome sobbalzò quando passò il braccio attorno alle sue spalle. Si trovò così
appoggiata al suo petto, così vicina a lui come non lo era mai stata durante
quei giorni di convivenza.
« Il
ristorante non esiste senza di lei. »
Avrebbe
voluto fermarlo, dirgli che non era merito suo ma anche degli altri e, non in
ultimo, di Naraku, ma solo per quella sera non se la sentì di controbattere.
Quelle
parole l’aveva resa felice.
Non era la
prima volta che qualcuno si complimentava con lei, ma le parole di Inuyasha
avevano uno strano potere su di lei e si trovava ad essere sempre in
confusione.
La madre di
Sesshomaru, Mizuki, sospirò sonoramente mentre chinava il capo.
« Noto che
ha ereditato lo stesso gusto di suo padre. » commentò la donna spostando poi la
sua attenzione verso Kagura, rammaricata. « Spero vorrai perdonare questa
incresciosa scena. »
« Non vedo
niente da perdonare, signora, dopotutto concordo con quanto è stato detto. »
rispose Kagura, sorridente verso la donna.
« Se Naraku
ha una grande considerazione di Kagome, allora non ho motivo di dubitare di
quanto è stato detto. »
Non si
aspettava quella risposta, ma soprattutto non credeva di vedere quella donna,
la madre di Sesshomaru, indietreggiare di poco. Fu solo per un attimo, ma sia
Inuyasha che Kagome videro uno strano barlume di orgoglio negli occhi di
Sesshomaru.
Un leggero
colpo di tosse da parte di Akio e tutta l’attenzione tornò verso di lui.
« La cena
sarà pronta tra poco.
Kagome, nel
frattempo, perché non dai un occhiata alla stanza di Izayoi? Sono sicuro che
potresti trovare ancora delle vecchie fotografie. »
« Oh,
intendi il magazzino? » domandò Inuyasha con una punta di sarcasmo, ma Kagome,
ancora poggiata contro di lui, poté sentire la mano sulla sua spalla aumentare
la stretta.
Il padre di
lui non rispose, si limitò a glissare la domanda rivolgendo un sorriso gentile
alla ragazza.
« Dobbiamo
discutere di alcune faccende di famiglia, Inuyasha, quindi dovrai rimanere qui.
»
Il mezzo
demone roteò annoiato gli occhi verso l’alto; era quello il motivo per cui
voleva evitare di andare.
Sperava che
la presenza di Kagome potesse salvarlo, ma chiaramente non era così.
« Non
pretenderai che lasci da sola la nostra ospite. »
«
Sciocchezze! » ribatté la madre di Sesshomaru, sospirando appena. « Myoga
l’accompagnerà, ovviamente. »
« Quel
vecchio … »
Non fece in tempo a finire la frase poiché sentì il rumore di uno schiaffo
provenire da Kagome, aveva la mano poggiata sul collo e quando l’allontanò
rivelò il piccole demone pulce completamente spiaccicato.
« … Eccolo lì,
per l’appunto. » mormorò esasperato Inuyasha, una mano poggiata contro la
fronte.
Kagome si trovò nuovamente senza un momento per esporre la sua opinione, i suoi
occhi si fissarono sul piccolo demone che si riprendeva nella sua mano,
scuotendo vigorosamente il corpo e guardandola con quei piccoli occhi colmi di
rispetto e ammirazione.
« Vi
accompagnerò volentieri, signorina Kagome, non avete nulla da temere signorino
Inuyasha! »
Detto questo
saltò giù dalla mano della ragazza, saltellando verso la porta e verso il
corridoio aspettando l’arrivo di lei.
Inuyasha le
afferrò il polso, bloccandola e impedendole di andare. Kagome si voltò appena
con il capo, in tempo per notare la sua espressione colma di rammarico alla
quale rispose con un sorriso.
« Non ti preoccupare,
tornerò presto a salvarti. » mormorò sottovoce – anche se sapeva essere inutile
visto che la stanza era piena di demoni, demoni dall’udito molto sottile, ma
nonostante tutto non poté resistere e rivolse un occhiolino a Inuyasha prima di
uscire e raggiungere Myoga in corridoio.
« … Sembra
una brava ragazza, forse anche troppo per te. » commentò Sesshomaru con voce
bassa mentre poggiava una mano su quella di Kagura prima di tornare a sedersi
sulla poltrona.
Inuyasha non
rispose alle parole del fratello; non aveva forse ragione?
Nel
frattempo Kagome, anche se ancora un po’ incredula, seguiva la piccola pulce
che saltellando la condusse attraverso il corridoio della casa sino a quella
che doveva essere la stanza/magazzino menzionata da Inuyasha.
« Eccoci
arrivati, signorina Kagome. » disse Myoga saltellando sulla spalla della
ragazza.
Non ancora
del tutto sicura aprì la porta della stanza ancora immersa nelle tenebre, fu il
piccolo demone pulce, allontanandosi dalla spalla della ragazza ad accendere la
luce.
« E’ …
stupenda … »
Quello non
era un magazzino. Quella era la stanza di una donna chiaramente molto, molto
amata.
La carta da
parati che ricopriva la stanza aveva lo stesso colore del cielo notturno, aveva
catturato l’esatta sfumatura di colore che assumeva pochi istanti dopo il
tramonto e vi erano tanti piccoli punti chiari che dovevano essere le stelle.
Non vi erano
finestre ma una porta a vetro che dava su un giardino zen, da essa si poteva
chiaramente udire il rumore dell’acqua e il suono secco del bambù che colpiva
la roccia.
Non c’era un
letto, ma solo un armadio a muro e una specie di comodino su cui era posata una
fotografia. Incuriosita si avvicinò prendendo la cornice tra le mani.
Izayoi aveva
lunghi capelli scuri, proprio come nella fotografia del passato, i lineamenti
si erano fatti più dolci con il passare degli anni e i suoi occhi scuri
brillavano di gioia. Teneva per mano un bambino piccolo, imbronciato e con
adorabili orecchie da cane: Inuyasha.
« La signora
era davvero splendida, non credete? » domandò Myoga saltellando sulla spalla di
Kagome, mentre lei annuiva.
« Sì, è
davvero una donna bellissima. »
« Quando ha
saputo della malattia, il padrone ha chiesto che venisse preparata questa
camera … Voleva starle vicino il più possibile e dividere insieme il breve
tempo concessole. » continuò Myoga, affranto. « La signora, però, non voleva
lasciare il suo lavoro e non voleva creare incomodo per la padrona. Era una
donna forte e il suo sangue era così delizioso … »
A
quell’ultima affermazione si lasciò scappare una leggera risata.
Dopotutto,
pensò, era un demone pulce e succhiare il sangue era una cosa normale.
« Anche il
vostro è buono quasi quanto il suo, signorina Kagome! »
“Questo non
so se prenderlo come un complimento”.
Si limitò a
sorridere non sapendo bene cosa rispondere.
Posò la
fotografia dove si trovava prima carezzando la cornice d’argento con le dita.
Era strano.
Ora che la vedeva adulta, non più una giovane donna, le sembrò di averla già
conosciuta in passato.
« Myoga … » esordì Kagome, assorta nei suoi pensieri. « La signora Izayoi aveva
un diario … »
« Forse c’è
qualcosa negli scatoloni nell’armadio. »
Voleva
conoscere. Voleva capire la ragione di quella sensazione nostalgica e
piacevole.
Si avvicinò
all’armadio a muro e ne aprì un anta, al suo interno vi erano un sacco di
scatole e scatoloni che contenevano i frammenti di una vita che non sarebbe più
tornata. Nell’angolo, nel ripiano più basso, c’era un futon tenuto con la
massima cura. Non perse tempo e prese un paio di scatoloni, per cominciare –
eliminando quelli con la chiara scritta “vestiti”.
Uno di essi
era già aperto, probabilmente da Akio o Inuyasha, conteneva diverse cose e
oggetti personali di Izayoi.
Il suo
sguardo fu catturato da quello che era un vecchio lettore di cassette
portatile, piuttosto antiquato come strumento ma, stranamente, senza nessuna
traccia di polvere.
« Ah, la
signora amava registrare dei messaggi.
Volete
ascoltarla? »
« Sicuro che
sia il caso? Insomma … Ha l’aria di essere molto personale. »
« Non ve ne
date pensiero, signorina Kagome, la signora spesso registrava dei pensieri e
delle poesie. Scrivere era divenuto pesante nei ultimi suoi mesi, così, invece
dei diari, usava questo. »
Non era
molto convinta.
Se Inuyasha
fosse stato con lei avrebbe potuto chiedere, ma lui non era accanto a lei in
quel momento e doveva decidere se fidarsi o meno. La curiosità alla fine prese
il sopravvento.
Srotolò il
filo delle cuffie e ne sistemò una nell’orecchio, lasciando l’altro alla
piccola pulce che teneva quell’oggetto, grande il doppio del suo corpo, con le
sue piccole mani. Un respiro profondo e fece partire il nastro.
« … E’ partito … ? » la voce della donna
suonava distorta dalla registrazione, ma anche così poté sentire chiaramente
quanto fosse piacevole.
Era una voce
calda, delicata e profonda, arrivava diritta al cuore.
« Mio adorato figlio, probabilmente non
ascolterai mai questo nastro. So di non essere stata una buona madre
nell’ultimo periodo, ti ho causato molto dolore vero? » La voce di lei era spezzata
dal dolore e dal rimpianto.
« Lo so che è così, ma voglio che tu sappia
che non c’è nulla che io rimpiango delle mie scelte passate. Nulla. Sono stata,
e sono tutt’ora, la donna più felice del mondo perché ho potuto conoscere tuo
padre ed innamorarmi. Ho sperimentato la gioia più grande e ho vissuto appieno.
Inuyasha, la mia gioia più grande sei tu.
Quando eri piccolo e tornavi a casa in
lacrime, il viso ricoperto di graffi e mi chiedevi “mamma, perché mi hai fatto
nascere così”, sappi che l’ho fatto perché tu sei un essere vivente. Tu
appartieni a questo mondo come chiunque altro, sai perché? Perché ogni essere
vivente ha davanti a se un’esperienza unica in un mondo pieno di possibilità.
Possono esplorare il mondo, ascoltare suoni e voci sconosciuti, e vivono la
vita come vogliono… E’ tutto così
complicato a volte, ma anche semplice, e io non vedevo l’ora che tu entrassi a
far parte di questo mondo. »
Gli occhi
cominciarono a bruciare agli angoli mentre portava una mano vicino alle labbra,
come per trattenere la voce e le sue emozioni. Quelle parole suonavano così
familiari, come se le avesse già udite in passato.
« Ricorda sempre, sei qualcosa di
straordinario proprio perché sei un essere vivente! Quando guarderai le stelle,
quando i tuoi occhi guarderanno la luna, sappi che sarò lì a guardare lo
scenario con te. Ovunque sarà la mia anima … io sarò con te. Abbi cura di tuo
padre, Inuyasha. »
Il rumore di
una porta che si apriva e la registrazione s’interruppe.
Lacrime
scendevano lungo le guance di Kagome mentre anche il giovane demone pulce si
asciugava gli occhi, commosso dalle parole della signora e dal suo cuore puro.
Quelle
parole lei le aveva già sentite.
Nella sua
mente comparve l’immagine di una donna, lunghi capelli scuri legati in una treccia
e l’espressione dolce che guardava spesso fuori dalla finestra. Nella sua
memoria, sentiva la sua voce delicata chiamare il suo nome e lei ricordava.
Ricordava di esserle andata incontro, sorridendo felice e abbracciandola.
Il
registratore cadde dalle sue mani, colpendo le ginocchia e poi il pavimento
della stanza.
«
Che cosa succede? »
Salve a tutti!
Ne è passato di tempo, vero? Mea culpa, vero, ma ho avuto molte cose a cui pensare e
mille problemi da risolvere.
Ora, però, veniamo ad una notizia di carattere
personale.
La sottoscritta a breve partirà per Londra,
ho ricevuto una chiamata e sarei stata sciocca a dire di no. Non è un addio,
poiché è mia intenzione portarmi dietro un computer se riesco, ma almeno per i
primi tempi sarò un pochino compressa e le uscite tarderanno di nuovo.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e
ci vediamo al prossimo aggiornamento. Ah, giusto, entro oggi o domani uscirà
una one-shot che conterrà il mio primissimo
esperimento con discorsi in prima persona. Siate clementi.
Un grandissimo abbraccio a tutti!
L’inventore del concetto di “lavoro
subordinato” andava ringraziato doverosamente, non era mai stato tanto felice
prima di quel momento di vedere Jaken, con quel suo
fare servile e insopportabile, annunciare che la cena era pronta.
Non sopportava quelle riunioni di
famiglia, alla fine, per quanto suo padre ci tenesse, non era davvero parte di
quel gruppo e suo fratello e la sua matrigna lo rimarcavano con molta cortesia.
Suo fratello, però, aveva almeno un po’ di decenza e a modo suo lo rispettava
ora.
Una volta libero si diresse
immediatamente verso la camera di sua madre, quella specie di magazzino come lo
chiamava lui in cui tutte le sue cose erano state sistemate dopo la sua morte.
Suo padre aveva tenuto ogni cosa, ogni singola sciocchezza e ora doveva
muoversi per evitare che Kagome trovasse qualcosa che
le ricordasse il passato: non era il momento migliore.
Aprì la porta e quello che vide lo
lasciò senza parole.
Kagome, inginocchiata a terra, che reggeva
in mano il vecchio registratore di sua madre e il viso rigato di lacrime mentre
quell’oggetto cadeva a terra.
La sua mano si chiuse a pugno mentre
si avvicinava.
« Che cosa succede? »
Kagome alzò il capo sentendo la sua voce,
gli occhi nocciola ancora lucidi per le lacrime che aveva versato e la sua
attenzione venne catturata dal nastro all’interno. Riconosceva la fascetta, e
non poté fare altro che sospirare mentre poggiava una delle sue grandi mani sul
capo di lei.
« Non darci troppo pensiero … »
« … Io la conoscevo, Inuyasha … »
Mormorò con voce bassa mentre il
mezzo demone sgranava gli occhi per la sorpresa.
« Io l’avevo conosciuta … Era
all’ospedale Teiko dove anche la mamma era ricoverata
lì e io … andavo a trovarla! Ne sono sicura! »
Le parole uscivano dalle sue labbra
come un fiume incontrollabile, sentiva nella sua mente una mente una tempesta
incombere e abbattere i muri che ostacolavano i suoi ricordi.
Era vicina. Vicinissima ad afferrare
con le sue mani quella sensazione, ma ancora questa le sfuggiva lontana.
Si alzò in piedi, una mano premuta
contro la fronte, muovendosi avanti a indietro fino a quando Inuyasha, in un lampo di speranza, la fermò poggiando
entrambe le mani sulle sue spalle.
Stava per avvicinare il viso al suo
quando una vocina nella sua mente gli intimò di fermarsi, e, per una volta,
decise di ascoltare la sua coscienza e chinò il capo. Sconfitto.
« Davvero? » domandò lui con voce
seria, allontanando le mani dalle sue spalle.
« Sì … » rispose Kagome,
sicura. « Molti dei miei ricordi non sono affidabili, lo so, ma di questo sono
sicura. »
La mano di Inuyasha
si chiuse in un pugno, gli artigli lunghi e affilati ferirono la carne mentre
cercava di tenere a freno la sua lingua dal parlare o dire alcunché.
« Capisco.
Forse … Era la donna che andava a
trovare mia madre. » rispose lui, fingendosi sorpreso dal suo stesso ricordo.
Ovviamente, sapeva benissimo che era reale e vero.
« Ne sei sicuro? » domandò Kagome, afferrando le mani di Inuyasha
e guardandolo con occhi pieni di speranza.
Era la prima volta, dal giorno
dell’incidente, in cui riusciva veramente ad avere uno straccio di ricordo che
era stato rubato dalle tenebre.
Poteva sentire l’odore di
disinfettante nelle narici se chiudeva gli occhi un momento, ma, più di tutto,
ricordava il volto sorridente di Izayoi che le tendeva
la mano.
« Non molto. »
Kagome lo guardò confusa, ma in quel
momento qualcosa la pizzicò sul collo distraendola. La mano si abbatté sul
collo con una certa violenza solamente per ritrovare il corpicino schiacciato
di Myoga, il demone pulce, con le guance arrossate e
l’espressione del viso beata.
« Era così dolce, come quello della
signora. »
Inuyasha si colpì in faccia con la sua stessa
mano chinandola per l’esasperazione e scuotendo la nuca piano, senza dire una
parola, impedendo a Kagome di fare domande, afferrò
la piccola pulce che fino a quel momento era stata ignorata e la gettò fuori
dalla stanza senza troppi complimenti.
« Inuyasha!
» sbottò Kagome, con tono di rimprovero mentre questi
si limitò a scuotere le spalle in risposta: « è ora di andare a mangiare. Ero
venuto a chiamarti. »
Solamente in quel momento la ragazza
si ricordò del motivo per cui era lì, del suo “ruolo”, ma quello che aveva
scoperto le aveva completamente fatto dimenticare quell’insignificante aspetto.
Non disse una parola, afferrò la mano
di Kagome e la trascinò fuori dalla stanza per andare
incontro a quello che aveva definito uno dei “tormenti infernali” – tutto,
ovviamente, sottovoce.
Aveva un sacco di domande da fargli,
ma soprattutto voleva chiedergli dei diari perché, se erano tutte cassette, non
poteva portarle via e rischiare di ascoltare nuovamente qualcosa di privato e
che non le apparteneva.
Non la riportò nella stanza di prima,
ma girò l’angolo e aprì un’altra porta dove una tavolata già imbandita
attendeva solamente loro.
La sala da pranzo, come quel
soggiorno che aveva visto, era finemente decorato con legni pregiati e una luce
soffusa da finte candele donava un’atmosfera più calda e intima.
Akio e sua moglie, Mizuki,
sedettero ai rispettivi capitavola mentre Kagome
venne fatta sedere accanto a Sesshomaru ma davanti a Inuyasha. Accanto al fratello maggiore del mezzo demone,
però, si sentiva terribilmente a disagio tanto che lo stomaco si chiuse
improvvisamente e ogni desiderio di mangiare svanì completamente.
Sulla tavola, impreziosita da un
centro in ceramica con sopra della frutta fresca di stagione e un paio di
candele, vere, ai lati, erano stati deposti dei grossi piatti in argento con
sopra della carne già tagliata – verdure e altri contorni erano in altrettanti
contenitori argentei. Demoni servitori, come quelli che avevano aperto la
porta, non erano presenti in sala o negli angoli come nei vecchi film.
Senza perdere altro tempo, vide Akio, il padre di Inuyasha, cominciare a riempire il proprio piatto in
maniera piuttosto varia e lo stesso si poteva dire per gli altri ospiti al
tavolo che sembravano non sgradire quella forma non troppo tradizionale di cenare.
Kagome cercò con lo sguardo Inuyasha, ma questi era stato catturato da suo padre in una
conversazione sul suo lavoro e su altre faccende personali e Kagura, la fidanzata di Sesshomaru,
fu coinvolta dalla signora Mizuki in una discussione
simile; era la vera nuora, dopotutto, era normale che volesse conoscerla.
Stava per allungare la mano,
afferrare le clip e servirsi da sola quando, senza nessun preavviso, vide Sesshomaru riempirle in piatto senza dire una parola. Girò
appena il capo, sorpresa da quel gesto, lo guardò per qualche minuto spaesata
per poi ricevere un’occhiata gelida da parte di lui.
« … Qualche problema? » domandò, con
quel suo tono basso e Kagome scosse in fretta il
capo.
Alle sue spalle, intanto, erano
apparsi alcuni demoni che reggevano in mano delle bottiglie di vino e versarono
parte del contenuto nei bicchieri dei commensali.
« Mia madre … » continuò Sesshomaru, « non approva gli esseri umani, ma solo per via
di Inuyasha. » Kagome teneva il capo chino mentre ascoltava quel
tono basso.
Afferrò una forchetta e cominciò a
servirsi di quello che era stato messo nel suo piatto, partendo dalle verdure
per prima cosa.
« In realtà … Avrei bisogno di parlarti in privato uno di questi giorni. »
Aveva già la forchetta a mezz’aria
quando si fermò, lasciandola interdetta e costringendola a voltare nuovamente
il capo per guardarlo con non poca sorpresa.
Sesshomaru, quel demone che fin da quando lo
aveva conosciuto quella sera le aveva dato l’aria di essere gelido, distaccato
e insofferente, in realtà voleva solo parlarle in privato. Non riusciva a
credere alle sue orecchie, infatti non ci credeva.
Inuyasha, dall’altra parte del tavolo,
continuava a tenere d’occhio quello che succedeva tra suo fratello e Kagome.
Non era mai davvero riuscito a
capirlo.
Spesso sembrava disprezzarlo, da
piccoli, soprattutto, non sembrava desiderare altro che la sua prematura
dipartita ma con il passare del tempo anche lo sguardo era cambiato.
Forse era merito di Kagura? Difficile dirlo, ma aveva reso più complicate le loro
comunicazioni; a volte sembravano davvero fratelli.
« … Di cosa state parlando, voi due?
»
Esordì lui con tono appena sarcastico, Kagome girò
appena lo sguardo da Sesshomaru, imbarazzata per
essere stata ripresa a voce così alta. Ora tutti, nessuno escluso, li guardava
con acceso e vivo interesse.
Sul posto di lavoro non era un vero
problema, ma in quel contesto si sentiva come un pesce fuor d’acqua.
« Non starai cercando di circuire la
mia donna, vero? » domandò con tono scherzoso, ma a Kagome
non sembrava che i suoi occhi stesso sorridendo per davvero.
Sesshomaru non rispose, riprese tranquillamente
a mangiare dal suo piatto come se nulla fosse mentre lei, dal canto suo, non
sapeva per cosa rimanere ulteriormente allibita.
« … Inuyasha
… » esordì dopo diversi istanti di silenzio.
Il gelo calò nella sala da pranzo,
tutti gli occhi puntati su di lui.
« … Ti sei sporcato con il vino. »
Posò immediatamente il bicchiere, preoccupato si guardò la camicia ma non vi
erano macchie. Come sempre, quando usava quel tono serio, non sapeva mai se
stava scherzando oppure o no – questo glielo concedeva.
Il suo sorriso divenne sghembo, stava
per ribattere quando fu interrotto da una risata appena accennata al suo
fianco; era Kagura.
« Scusami, Inuyasha,
non era mia intenzione … E’ solo che i suoi scherzi sono sempre così
divertenti. »
Teneva la mano vicino al viso,
cercando, vanamente, di trattenere le risate.
Akio e Kagome
osservavano la scena, sbigottiti.
“L’amore è cieco e sordo”, pensarono
in sincronia prima di voltarsi, ridacchiare e cominciare una conversazione tra
di loro, nella quale anche Inuyasha prese la parola.
Nel frattempo, mentre Kagome era impegnata a spiegare al signor Akio in cosa consistesse il suo lavoro di preciso, al Nekomata la serata procedeva molto più lentamente di quanto
avevano previsto.
Miroku era stato incaricato di gestire la
sala, ma con la disdetta di numerose prenotazioni non sapeva cosa pensare. Un
paio di pensieri sulla causa, però, cominciavano a sedimentare nella sua mente
eppure preferiva non dare loro troppo credito.
« Miroku …
» la voce di Naraku, scoraggiata come non mai, arrivò
alle sue spalle. Indossava un completo scuro, come il personale, sulla cravatta
si poteva chiaramente notare il simbolo del ristorante ricamato con fili d’oro
e d’argento.
Il sostituto maitre sospirò appena,
annuendo con il capo.
« Sì, anche i signori Hoshino hanno disdetto. »
« Questo proprio non ci voleva … »
commentò scoraggiato.
La famiglia Hoshino
era una delle più forti sostenitrici che aveva contro la politica di corruzione
della Entei, se cancellavano una cena, regolare e
abitudinaria, voleva dire che qualcosa stava cambiando nell’aria e che la lista
dei suoi alleati si assottigliava.
Spostò gli occhi violacei sulla sala
semi deserta, solo pochi tavoli, rispetto a quelli di qualche sera fa, erano
occupati ed erano tutti conoscenti e amici che non sarebbero mai mancati.
Si portò una mano alla fronte,
stanco, scostando con le dita alcune ciocche di capelli scuri mentre la sua
mente rifletteva su quello che doveva fare dopo quella serata che si sarebbe
chiusa in maniera disastrosa.
Miroku lo guardava con crescente
preoccupazione, cercando, come faceva Kagome, di non
farsi scorgere anche dagli altri membri dello staff; non era necessario che
anche loro si preoccupassero di quella faccenda.
Poggiò la mano contro la sua spalla,
annuendo con un cenno di assenso e mostrandogli un’espressione decisa.
« Non ti preoccupare di noi, Naraku, per quanto mi riguarda sono disposto a rinunciare
al mio stipendio. Puoi dare la mia parte a Sango in
caso di emergenza, lo sai. »
Non era la prima volta da quando
erano cominciati i guai con la Entei che si ritrovavano
in una situazione del genere, aveva parecchi risparmi da parte e ogni tanto
sapeva rinunciare allo stipendio per Sango. Soltanto
per lei.
« Vorrei non si arrivasse a tanto … »
commentò in risposta Naraku scuotendo lentamente il
capo e guardando ancora una volta la sala.
Aveva faticato molto per creare quel posto, era stato il coronamento di un
sogno che aveva coltivato per molti, moltissimi anni. Aveva radunato persone
speciali, persone uniche nel loro genere e ignorate dal mondo circostante.
Kagome, Miroku e Sango erano stati i suoi “gioielli”, per così dire, dei
veri e propri diamanti allo stato grezzo e non poteva essere più fiero di
quello che stavano realizzato.
Il campanello posto all’ingresso
risuonò annunciando l’arrivo di nuovi ospiti.
Miroku e Naraku
si voltarono verso l’ingresso per trovarsi di fronte una giovane donna dai
lunghi capelli corvini, tenuti assieme in una elegante treccia che ricadeva
sulla spalla, gli occhi nocciola brillanti sembrarono illuminarsi al vedere
l’interno del locale; era Kikyo, e non era da sola.
Dietro di lei comparvero tutti i
membri della dipartimento Shikon. Bankotsu era vestito in modo molto sobrio, con un
paio di jeans scuri e una maglia con sopra una scritta molto generica e un
disegno stilizzato, seguito da Jakotsu il quale,
invece, molto più “vistoso” nei colori e nella scelta del vestiario. Onigumo, invece, era piuttosto anonimo anche nei
vestiti. Miroku riconobbe la ragazza, sebbene
l’avesse incrociata per pochi istanti, le andò incontro sorridendole.
« Voi siete la bellissima fanciulla della volta scorsa, ho ragione? » domandò,
chiedendo conferma nella sua supposizione e trovandola in un vigoroso cenno del
capo. Fintanto che si manteneva una certa distanza, non si sarebbe sentita
intimidita e da quello che aveva capito, si ripeté Kikyo,
era il tipo di atteggiamento che aveva con tutte e non soltanto con lei.
Naraku la guardò con un misto di sorpresa e
di emozione.
Da una parte, Kikyo
le ricordava Kagome, soprattutto nei tratti, ma c’era
qualcosa di diverso nei suoi occhi e immediatamente se ne sentì attratto. Le si
avvicinò, impacciato e imbarazzato al ricordo del loro primo “incontro”, ma
cercò di darsi un apparenza di contegno.
« Gli amici di Kagome
sono i benvenuti, naturalmente, per la prima sera, offre la casa. »
« Sul serio?! » risposero in gruppo i
ragazzi, Miroku si girò a guardare Naraku, sorpreso non poco, per poi ridacchiare e scuotere
la nuca: aveva intuito tutto, ovviamente.
Jakotsu, improvvisamente, si avvicinò a Miroku e gli posò un gli posò un gomito sulla spalla, gli
occhi chiari lo guardavano con una strana combinazione di sentimenti che il
malcapitato non poté non provare un brivido lungo la schiena.
« Lo sai che sei proprio carino,
vero? » commentò con aria sognane, mentre Miroku si
sentì sempre più sprofondare cercando di mantenere un’apparenza di dignità.
« Inuyasha
è più il mio tipo, ovviamente, ma i tuoi occhi non sono proprio niente male …
Potremo andare a divertirci insieme più tardi, che ne dici? »
« E- Ecco … »
Miroku non sapeva come rifiutare senza
rischiare di essere offensivo di una cosa, però, era assolutament
sicuro: Sango glielo avrebbe rinfacciato per giorni
interi, sempre se riusciva a tenere la bocca chiusa anche a Naraku
– il quale non brillava per discrezione.
« Jakotsu
…»
Il fratello intervenne per salvare la
situazione, con due dita afferrò per l’orecchio il fratello allontanandolo così
da Miroku il quale, finalmente libero da obblighi
morali, poté tirare un sospiro di sollievo. « … Possibile che tu non impari mai
la lezione? »
« Lasciami! Possibile che tu non mi
faccia mai divertire? »
« Il tuo divertimento consiste nel
tormentare altre persone. Quindi no, mi dispiace ma non intendo lasciarti
tormentare quel poveretto. »
Jakotsu aggiunse ancora qualcosa, brontolando
per lo più, incrociando le braccia al petto e spostando lo sguardo nella
direzione opposta. Kikyo li guardò ridacchiando
oramai abituata ai loro battecchi, Naraku, invece, guardava lei che sorrideva e tutto il mondo
circostante perse di significato.
La campanella del locale suonò di
nuovo, annunciando l’arrivo di nuovi ospiti ma questa volta, purtroppo, non era
niente di piacevole.
Accompagnato da alcuni demoni che gli
facevano da guarda del corpo c’era il capo dell’associazione Entei, Hakudoshi.
Tutto nel locale sembrò fermarsi, persino i pochi clienti seduti al tavolo
portarono lo sguardo verso l’ingresso; non era una cosa che si vedeva tutti i
giorni,e anche Sango,
attirata dalle parole di Hojo, uscì immediatamente
dalla cucina per precipitarsi al fianco di Miroku e Naraku.
Il suo sguardo venne immediatamente
catturato dalla figura minuta di Hakudoshi. A occhi
normali, non abituati, poteva sembrre un bambino
demoniaco come tanti altri ma in realtà era molto simile a Naraku
come origine: era il prodotto di esseri diversi, ma in questo caso, come si
vociferava in giro, solamente di scarti di parti demoniache. Le mani si strinsero
automaticamente, i suoi occhi s’infiammarono come la sua anima mentre sentiva
il bisogno di scattare in avanti e colpirlo. Miroku,
percependo questo suo cambiamento improvviso, posò una mano sopra il pugno di
lei e scosse lentamente il capo e poi con un cenno indicò i demoni che gli
facevano da guardia del corpo.
« E’ questa la rinomata accoglienza che riservi ai tuoi clienti? » domandò con
tono piatto Hakudoshi, la cui voce infantile mal si
adattava al suo spirito. Naraku lo sguardò con stizza prima di trarre un profondo respiro,
sospirando arrendevole e facendosi avanti.
« Vogliate perdonarmi, non aspettandoci il suo arrivo non abbiamo preparato
qualcosa di adeguato. »
« Lascia stare. Sono salamelecchi
inutili. » commentò freddamente Hakudoshi, i suoi
occhi vuoti passarono in rassegna il locale semi deserto e successivamente
anche al personale.
Li conosceva tutti, ovviamente, ognuno di loro aveva incrociato il suo cammino.
I suoi occhi vuoti, di un vacuo color lilla, si posarono infine su Naraku.
Un sorriso malvagio allungò gli angoli delle sue labbra mentre una leggera
risata veniva a stento trattenuta.
« Così è questa la tua squadra d’oro?
Un sommelier che non ha nemmeno passato gli esami di ammissione alla scuola
superiore. Uno chef cacciato dai migliori ristoranti e uno Chef de rang denunciato dal suo stesso datore di lavoro? Seriamente
… questo … » le risate venivano a stento trattenute mentre la rabbia cresceva
negli animi. « … Questo branco di esseri difettati e che vengono buttati per la
strada? Non farai sul serio! »
Kikyo, come gli altri ragazzi del
dipartimento, ascoltavano inorriditi quelle parole. Le veva
sentite in passato quelle voci, ma, ovviamente, come il loro capo aveva
spiegato loro non avevano alcun fondamento perché le persone erano come greggi
di pecore a volte a cui serviva solo un buon pastore.
Incapace di sopportare oltre,
ripensando anche al proprio passato, scattò in avanti e posizionandosi proprio
sulla linea di osservazione di Hakudoshi lo sfidò
apertamente incrociando le braccia al petto e guardandolo con un sorriso
sornione fece qualcosa che nessuno, nemmeno i suoi colleghi, si aspettavano;
sputò proprio sopra le scarpe di Hakudoshi. In sala
calò il silenzio più totale, Hakudoshi guardò la
donna dai lunghi capelli corvini con odio. Una rabbia crescente, mai provata
prima, s’impossessò di lui.
« Tu … ! Come hai osato?! » la sua
voce cambiò, oscurandosi e gettando tensione in tutti coloro che stavano
guardando la scena.
Miroku e Sango
erano congelati nel loro stupore proprio come Naraku,
mentre i suoi colleghi, ancora colpiti da quel suo gesto, non esitarono a
fischiare in approvazione per quanto aveva appena fatto. Kikyo,
la ragazza timida e chiusa, stava davvero sfidando apertamente il presidente e
il capo della Entei?
« Non importa chi lei sia, nessuno le da il diritto di insultare gli altri
nella loro casa. »
Inarcò un sopracciglio, sempre più
confuso e irato.
« Come osi?! »
« Come osa lei! Io non sono nessuno,
sono un erba cresciuta sul ciglio della strada ai suoi occhi ma persino gli
escrementi dei cani avrebbero più valore di quello che sta facendo lei. Se
intende minacciare questo locale, sappia che non le permetteremo di fare il suo
comodo. »
« E come pensi di fare? Tu sei solo
una ragazzina … » replicò lui, in tono sarcastico e ironico.
« Non è da sola … »
La voce di Bankotsu interruppe quell’attimo, con il
suo modo di fare strafottente si mise di fianco a Kikyo
mentre Jakotsu le posava una mano sulla spalla,
sorridendo soddisfatto e strizzando un occhio verso di lei che rispose con un
sorriso e un mormorio: “grazie”.
« La famiglia Schinchitai
è con lei, dopotutto. » Hakudoshi impallidì a quel nome, lo stesso fecero Naraku e gli altri.
La famiglia di Bankotsu
e Jakotsu era una delle più potenti nel campo della
guerra, degli armamenti e nell’esercito in particolare. Si racconta che fin dal
passato avessero avuto dei ruoli importanti in alcune delle più grandi
battaglie, come mercenari, all’inizio, per poi evolversi e cambiare
specializzazione.
Gli occhi di Naraku, però, tornarono a posarsi sul
profilo di Kikyo mentre sentiva il proprio animo
incendiarsi come non era mai accaduto in passato.
Desiderava ardentemente quella donna
speciale, coraggiosa e forte nello spirito.
Doveva essere sua, e di nessun altro.
Salve a tutti!
Scusatemi, per cominciare, se il capitolo sembrerà fiacco ma l’ho cominciato in
Italia e finito qui a Londra. Sono al momento in assenza di Internet, o meglio …
ho una connessione da nemmeno 5mb per secondo! CAPITEMI! Ahahaha!
Spero di non avervi deluso.
Piccola info … la cena, nel prossimo capitolo, sarà ufficialmente finita e
assisteremo ad un bel momento tutto Inuyasha e Kagome.
Un abbraccio fortissimo! Scheherazade♫