Totally Captivated

di Scheherazade_Reim
(/viewuser.php?uid=687357)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il testamento ***
Capitolo 2: *** Una cosa da nulla ***
Capitolo 3: *** Il dipartimento Shikon ***
Capitolo 4: *** Omaggi ***
Capitolo 5: *** Un invito speciale ***
Capitolo 6: *** Il Nekomata ***
Capitolo 7: *** Convivenza ***
Capitolo 8: *** Sono innamorato di lei. ***
Capitolo 9: *** Il ricordo di un sogno (Parte 1) ***
Capitolo 10: *** Il ricordo di un sogno (Parte 2) ***
Capitolo 11: *** Cena con sorpresa ***



Capitolo 1
*** Il testamento ***


Totally Captivated

 

-Capitolo 1-

 

Tokyo, ore 20.30

 

Il ristorante “Nekomata” era aperto da nemmeno un ora e già aveva fatto tutto esaurito.

Il Maître, una giovane donna dai lunghi capelli scuri appena ondulati, raccolti per l’occasione in una coda alta, osservava dalla sua postazione la sala gremita e i camerieri danzare attraverso i tavoli con grande soddisfazione.

Un leggero sorriso e tornava alle sue mansioni.

Poggiata sopra un piccolo leggio rialzato, illuminato da una abat-jour molto semplice, stava il registro delle prenotazioni e non poté fare a meno di sentirsi ancora più orgogliosa e soddisfatta; le prenotazioni arrivavano fino alle dieci di sera inoltrate.

“Questo in barba a tutti quelli che dicevano che a ventisette anni non potevo raggiungere niente”.

Afferrò la penna poggiata nel libro e cominciò a fare alcuni segni accanto ai nomi delle persone arrivate. Per lo più si trattava di clienti abituali, altri erano uomini d’affari in città per lavoro e desiderosi di mangiare in un posto elegante.

Il “Nekomata” era uno dei pochi ristoranti in città che forniva ai suoi clienti un intreccio tra la cucina occidentale con quella tradizionale, unito a un’atmosfera intima ed elegante che permetteva ai suoi ospiti di rilassarsi e farsi viziare dallo staff che lavorava alacremente e senza sosta per fornire il miglior servizio della città.

Quando il proprietario, dopo attenta valutazione, l’aveva nominata Maître aveva sentito il cuore scoppiare dalla felicità e si era data molto da fare per non deludere le speranze che le venivano riposte.

Terminato il suo lavoro di controllo tornò a guardare la sala.

Il parquet era coperto da una finissima moquette che attutiva i suoni delle sedie quando queste venivano spostate, l’immensa sala, che poteva ospitare fino a un massimo di duecento coperti, era su uno stile antico che richiamava il gusto della tradizione occidentale e un immenso lampadario con finte candele spiccava nel centro esatto della sala.

Su ogni tavolo, invece, era posta una piccola candela sopra un candelabro finemente ornato e di color argento. Su di esso era impresso il logo del locale. I clienti andavano dai demoni agli esseri umani.

Uno dei pochi momenti, pensò, in cui nessuno si guardava con sospetto e dove potevano tranquillamente dialogare di affari senza dover per forza alzare la voce. Infatti, solo un sommesso mormorio percorreva la sala mentre una musica rilassante veniva diffusa dagli altoparlanti, posti in punti strategici e nascosti alla vista dei clienti.

« Kagome … »

La voce di una ragazza arrivò alle sue orecchie, risvegliandola dai suoi pensieri e catapultandola nuovamente nella ragazza.

Era minuta, e molto, alla vista era solamente una bambina con capelli argentei ornati da piccoli fiori ma in realtà era un demone. Un demone particolare, a detta di molti, in quanto priva di un odore particolare e di una qualsiasi aura demoniaca. Lavorava come contabile e prendeva le telefonate durante gli orari di lavoro, nonostante l’apparenza era un demone da molti, molti più anni di quanto Kagome osasse pensare.
« Dimmi Kanna. »

« C’è una chiamata per te. »

« Per me, dici? »

La bambina annuì e senza dire altro la precedette negli uffici al piano superiore.

Si guardò un attimo attorno, cercando uno dei suoi Chef de rang libero da impegni. Adocchiatone uno fece cenno di avvicinarsi, pregandolo di tenere d’occhio la sala mentre lei andava a prendere la telefonata.

“Che strano”, si trovò improvvisamente a pensare, “Kanna non mi avrebbe mai disturbato se la chiamata non fosse urgente. Sarà Sota? Sarà successo qualcosa al nonno? No, sa che in quel caso mi deve chiamare sul cellulare e non a lavoro”.

Suo nonno era di salute cagionevole a causa dell’età avanzata, qualche anno fa, prima della sua promozione, aveva avuto un infarto al quale si era salvato solo per miracolo. Da quel giorno, aveva detto a Sota, suo fratello minore, di chiamarla sempre sul cellulare che portava con se in sala per poterla raggiungere immediatamente in caso di pericolo o problemi di qualsiasi natura.

Attraversò la sala e aprì una porta in legno scorrevole con sopra una targhetta placcata in oro con scritto “staff”, al di là di essa c’erano delle scale e senza indugio le percorse fino agli uffici e spogliatoi del piano superiore.

L’arredamento era molto meno elegante, certo, ma non per questo meno curato. L’ufficio del proprietario, dove Kanna lavorava alla contabilità, era in fondo al lungo corridoio. Il rumore delle sue scarpe risuonava in quella quiete irreale.

Le mani salirono sino alla nuca per sciogliere la coda e lasciando i capelli sciolti, liberi di ricadere sulle spalle e incorniciando il viso dai lineamenti delicati.

Aperta la porta dell’ufficio del proprietario trovò Kanna, seduta su una poltrona scura più grande di lei, intenta a fare i suoi conti su una scrivania di mogano pregiato. Il telefono era proprio poggiato lì, la spia luminosa dell’attesa attivata.

« Pronto, sono Kagome Higurashi … ? » esordì, rispondendo dopo aver opportunamente tolto l’attesa di chiamata.

« Buonasera, signorina Higurashi, io mi chiamo Sumisu Totosai e sono l’avvocato che ha curato il testamento della sua defunta madre. »

« Il testamento della mamma? »

Kagome corrugò le sopracciglia mentre ascoltava le parole di quell’anziano uomo.

« Mia madre non ha lasciato un testamento vero e proprio, mi creda, forse ha sbagliato persona. »

« No, no … mi creda. Non ci sono sbagli. »

« Mia madre è morta moltissimi anni fa, quindi, creda a me, ha proprio sbagliato persona. »

Sospirò appena, ripensando al passato e riflettendo sull’assurdità di quell’avvocato.

Forse, pensò, la vecchiaia aveva rammollito il cervello che ora annacquava e non capiva le parole che lei gli diceva.

« Signorina Higurashi, la persona che ha firmato il testamento che ho qui sottomano è la signora Yukiji Higurashi e uno degli eredi designati è proprio lei, signorina Kagome Higurashi. »

Si portò due dita sulla fronte, riflettendo.

Sua madre aveva fatto un testamento? Se è così, pensò, per quale motivo non ne avevano saputo nulla fino a quella sera.

« Ho bisogno che mi raggiunga il più presto possibile. »

« Ecco … Veramente starei lavorando, signor Sumisu, non sarebbe possibile rimandare a domani mattina? »

Non poteva assolutamente allontanarsi dal ristorante con così poco preavviso, senza contare che dopo, nemmeno una mezz’ora, sarebbe arrivata la vera e propria ressa e ci voleva qualcuno che organizzasse perfettamente la gestione della sala per evitare problemi.

« Temo di no, signorina, e mi creda ho avuto anche io problemi a riguardo. »

Adesso la sua espressione appariva chiaramente perplessa.

In effetti, aveva troppe domande da fare, e sembrava non avere molta altra scelta a riguardo, per cui sospirò e decise di accettare quell’incontro.

Afferrò una penna e uno dei post-it usati da Kanna e segnò l’indirizzo dell’avvocato e chiuse la telefonata.

“Che scocciatura … Affiderò il ristorante a Miroku, temo di non avere altra scelta”.

Spiegò velocemente la situazione a Kanna e la pregò di farlo sapere al suo principale, Naraku, la piccola demone si limitò ad annuire con un cenno del capo mentre tornava ai suoi doveri. Kagome nel frattempo uscì dall’ufficio, raggiunse la prima porta sulla destra ed entrò nello spogliatoio del personale. Dal suo armadietto riprese la giacca e la borsa, per il resto era pronta. La sua divisa sarebbe andata più che bene.

Pantaloncini scuri a “sigaretta”, stretti ed eleganti lungo le gambe che fasciavano con cura, una camicia bianca e un giacchetto, anch’esso scuro, ma abbastanza elegante. Il tutto abbinato con scarpe dal tacco basso.

Scesa in sala fermò un cameriere e gli riferì prontamente il cambio di programma della serata affidato ora alle abili mani di Miroku, il suo vice, per così dire, il quale doveva occuparsi anche della chiusura.

Preso un taxi e dato l’indirizzo si rilassò sul sedile posteriore, riflettendo sulla telefonata appena ricevuta e su quello che comportava.

Sua madre era morta quando aveva solo quattordici anni, ma era malata da tempo e in cura presso l’ospedale centrale. Suo nonno si era preso cura di lei e di Sota, ancora piccolo a quei tempi, ma non le aveva mai accennato a un testamento a riguardo.

“Perché non ne sapeva nulla nemmeno il nonno? O forse, sapeva qualcosa ma ha preferito non farne parola?”

Nella sua mente, Kagome stava cercando di mettere ogni cosa in ordine. Ogni singolo tassello.

Doveva trovare una spiegazione logica e convincente, doveva e l’avrebbe fatto.

Il taxi si fermò. Ormai era arrivata.

Pagò velocemente l’uomo e scese dal veicolo osservando l’edificio davanti a se. Non era niente di eccezionale, anzi, era un comune palazzo adatto ad ospitare uffici – questo lo si poteva giudicare anche soltanto dalle vetrate che lo ricoprivano.

Camminò verso il portone e suonò il citofono con l’etichetta “studio legale Sumisu”. Un rumore sordo e la porta si aprì, sospirando appena, entrando si accorse che sull’ascensore vi era una specie di legenda dei piani attaccata vicino ai pulsanti di chiamata.

“Se non altro questo spiega perché non ho sentito nessuno darmi spiegazioni”.

Chiamò l’ascensore e una volta arrivato premette il pulsante con sopra segnato quattro. Una volta raggiunto il piano trovò la porta dello studio semi aperta, una lieve luce filtrava dall’interno e lentamente aprì la porta bussando.

Lo studio era arredato con un gusto molto moderno, niente a che vedere con il ristorante, pensò Kagome sorridendo, chiudendo la porta alle sue spalle mentre dal fondo del corridoio d’ingresso ne veniva aperta un’altra.

Vi emerse un vecchio demone, la fronte rasata e i capelli bianchi, ancora folti, erano legati in una piccola coda alta dietro la nuca.

Kagome abbozzò un sorriso di cortesia mentre si avvicinava, allungando la mano verso l’avvocato, vestito elegante quanto lei, il quale ricambiò la stretta con prontezza.

« Buonasera, signor Sumisu. »

« Niente formalità, la prego, mi chiami pure Totosai. Sono troppo vecchio ormai, essere chiamato signore non fa proprio per me. » replicò bonariamente, sorprendo Kagome con quella richiesta di semplicità.

Questi le fece cenno di accomodarsi nella stanza da cui era uscito, aprendo meglio la porta a vetri per permetterle di entrare.

La stanza, come si poteva notare dal corridoio, si rivelò davvero essere arredata in stile moderno. Niente mobili in legno pregiato, ma una scrivania lucidissima e coperta di scartoffie, due divani si trovavano ai lati della stanza e davanti alla scrivania c’erano due sedie in similpelle.

« Sorellina! »

La voce del fratello la riscosse completamente, rendendosi conto solo in quel momento che su uno dei divani, quello di destra, c’era suo fratello e il nonno.

« Sota! Nonno! Ma cosa … ? »

Il fratello e il nonno scrollarono le spalle, spostando lo sguardo verso l’avvocato, nuovamente seduto sulla sua sedia e intento a guardare l’ora sul suo orologio.

« Era importante che ci foste tutti.

Tra poco saliranno altre persone coinvolte nel testamento. »

“Altre persone … ?”

« Mi scusi, signor avvocato, ma sta parlando del testamento di mia nuora e gradirei sapere cosa sta accadendo! »

La voce del nonno tuonò imperiosa nell’ufficio dell’uomo, Sota e Kagome annuirono entrambi. La ragazza aveva poggiato una mano sopra la spalla del fratello, sorridendogli e sussurrandogli poche parole: “lasciamo che se ne occupi il nonno”.

« Mi dispiace, signor Higurashi, ma non c’è niente che posso fare a riguardo. Appena arriveranno gli ultimi ospiti potrò spiegarvi tutto. »

Kagome osservò suo fratello preoccupata.
Quando sua madre era morta lui aveva solo quattro anni, di lei non ricorda niente. Nulla.

L’unico ricordo legame con una madre che non ricorda sono delle fotografie e dei vecchi filmini, solamente questo, e l’idea che fosse lì, ora, ascoltando un misterioso testamento la rendeva inquieta. Non voleva causare a suo fratello nessun dolore.

Il nonno tornò a sedersi, visibilmente seccato per non aver ricevuto una risposta, aiutato da Sota si accomodò accanto a lui su quel divano a due posti mentre a Kagome non rimase altro che sedersi davanti all’avvocato.

« Mi scusi, Totosai, potrei sapere chi sono le persone che stiamo aspettando? » domandò Kagome, cercando di spezzare la tensione che si era venuta a creare.

L’uomo non poteva, o voleva, parlare del testamento che sua madre aveva lasciato e quindi, pensò Kagome, era meglio avere altre informazioni per cercare di capire meglio quella situazione.

L’uomo si accarezzò con le mani la barbetta sul mento, pensieroso e chiaramente indeciso se rivelarle o meno quell’informazioni.

« Una famiglia di demoni cane, circa. »

“Circa? O lo sono, o non lo sono”.

Assottigliò lo sguardo per fissare la sua attenzione su quell’anziano avvocato, si chiedeva se la stava prendendo in giro oppure, come aveva inizialmente pensato, si fosse bevuto l’intero cervello con un pochino di seltz incluso.

“Inutile, da questo vecchietto non ne caverò un ragno da un buco. Splendido, davvero”.

Il nonno sembrava essersi stizzito quando aveva nominato la parola “demoni”, ma essendo lui un sacerdote, custode del tempio di famiglia, era abbastanza normale.

Sorrise e in quel momento il citofono nello studio suonò. Un suono sordo, acuto e abbastanza prolungato.

« Oh bene, alla fine sono arrivati. »

L’avvocato sembrò illuminarsi in quel momento, sollevato e meno in tensione di quando lo aveva sentito al telefono qualche minuto prima. Non attesero molto prima che la porta dello studio venne aperta.

Kagome si girò sulla sedia, restando con il busto lateralmente e davanti ai suoi occhi c’era uno spettacolo che non capitava di vedere tutti i giorni.

Il primo a entrare fu un demone dai lineamenti spigolosi, ruvidi per l’età, incuteva un certo timore e rispetto con quei lunghi capelli argentei e quegli strani segni sul viso. Indossava un kimono abbastanza elegante mentre teneva le mani nascoste nei risvolti dello stesso, gli occhi ambrati si posarono proprio su Kagome che per poco non trasalì come non le capitava da anni. Eppure, quello sguardo era in qualche modo gentile.

Un cenno di saluto verso l’avvocato, il quale si alzò, entusiasta e felice, andando a poggiare le mani sulle spalle dell’uomo che ricambiò il gesto.

« E’ sempre un piacere rivederti, amico mio. Vedo che sei in gran forma, come sempre. »

Il demone annuì, sorridendo appena e scuotendo il capo.

« Il tempo passa anche per me, purtroppo, non sono più forte come una volta. Dimmi, Totosai … » lo sguardo ambrato del demone tornò su Kagome, sorridendole cordiale, spostandosi poi sul resto della sua famiglia e sul nonno che gli lanciava occhiate di fuoco.

« Sono loro, vero? »

L’avvocato annuì, nel frattempo entrarono altre due persone nello studio. Due ragazzi, per la precisione.

Il primo, somigliava molto al demone che lo aveva preceduto ma, allo stesso tempo, c’era qualcosa di diverso nelle sue iridi ambrate e nei lineamenti aggraziati ed eleganti. Kagome lo guardò a lungo, sorpresa da se stessa, incapace di spostare lo sguardo da quella figura così elegante ma fredda. Sì, quel demone, rispetto all’austerità che emanava l’altro, era più “glaciale” nei modi e nelle movenze; era come se fosse superiore a tutto quanto.

Non disse nulla, prese posto a sedere sul divano e attese con pazienza il termine di tutte quelle cerimonie. L’ultimo ad entrare fu quello che attirò maggiormente la sua attenzione.

Sembrava la personificazione del detto “una mosca nel miele”, letteralmente.

Era un bellissimo ragazzo, al pari del predecessore, lunghi capelli argentei e occhi dorati ma ciò che attirò maggiormente l’attenzione di Kagome non fu la sua bellezza. Ad attirarla furono due simpatiche orecchie da cane che spuntavano sulla sua nuca, gli occhi di Kagome presero a brillare mentre le guardava.
“Cosa non darei per toccarle! Scommetto che sono morbidissime!”

Faticò parecchio a trattenersi dal compiere quel gesto che sarebbe apparso molto più che scortese, prese un profondo respiro e tenne le mani ferme al loro posto.

Quest’ultimo ragazzo non era solo diverso a livello estetico, c’era anche dell’altro che non riusciva a inquadrare bene e così si fissò a studiarlo un po’ troppo intensamente.

“I suoi vestiti sono più semplici … E quelle occhiaie? Santo cielo, da quanti giorni non dorme?”

Rispetto a tutti i presenti, escluso Sota, indossavano abiti formali o particolarmente eleganti. Lui, invece, era arrivato con un paio di semplici jeans e un maglione con la giacca appoggiata a un braccio.

Quando il suo sguardo color dell’oro si spostò su Kagome questa spostò lo sguardo, scattando come una molla e prendendo a torturarsi il labbro con i denti. L’aveva vista. Aveva visto che lo stava fissando.

Se non si fosse spostata, però, avrebbe potuto scorgere un piccolo sorriso increspare le labbra del giovane demone.

« Bene, ora che ci siamo tutti direi di cominciare! » esordì Totosai, facendo accomodare Inuyasha sulla sedia vicino alla scrivania.

Calò un lungo, lunghissimo silenzio che coprì la stanza come un velo per almeno dieci minuti buoni.

« Prima di cominciare, ragazzi … » lo sguardo del demone si fissò in quello dei due ragazzi che aveva di fronte a se. « Avete familiarità con il concetto della tontina*? »

« Tontina? »

« In pratica è una sorta di contratto, simile ad un’assicurazione sulla vita. Alla morte di uno dei membri, gli altri si possono dividere la rendita che ne è generata. »

A parlare non fu altro che il giovane demone dai lunghi capelli argentei, seduto sul divano.

« Molto bene, Sesshomaru. » si complimentò l’avvocato, tornando a guardare i due giovani davanti a lui.

Kagome era sempre più confusa, lanciò una rapida occhiata a suo nonno e suo fratello e anche loro, come lei, sembravano non capire cosa centrasse questa storia con la loro madre.

« Scusi, ma cosa centra questa tontina con mia madre? »

« … e con la mia, aggiungerei. » aggiunse il ragazzo accanto a lei, sorprendendola con quel tono di voce basso e profondo.

Alle sue parole seguì un profondo e lungo sbadiglio, gli occhi velati dalla stanchezza e sembrava sul punto di addormentarsi da un momento all’altro.

« Un attimo di pazienza e ci arrivo! Inuyasha, sei sempre il solito impaziente. »

“Inuyasha? Così questo ragazzo si chiama … Inuyasha. Strano, mi sembra di averlo già sentito nominare. Molto tempo fa … “

I suoi ricordi erano una nebbia confusa e incerta, piena di buchi e ormai completamente incolmabili.

Spostò lo sguardo verso di lui, osservandolo ancora una volta e giungendo alla conclusione che no, non poteva averlo mai visto prima di quel momento. Inuyasha, invece, la scrutò appena senza perdere quel leggero sorriso che aveva sulle labbra.

« La signora Yukiji Higurashi e la signora Izayoi Setsuna hanno stipulato una tontina, almeno qualcosa di molto simile giudicando da quello che ho qui. L’avvocato Saya, uno dei miei colleghi, purtroppo non è reperibile al momento e quindi sono costretto a sbrigare io questa pratica. »

“In pratica, ha scaricato il barile e si è dato alla macchia”.

Fu il pensiero comune di tutti mentre guardavano l’espressione dell’avvocato Totosai, le dita frenetiche passavano al setaccio i documenti e tutti i fogli presenti in quel piccolo raccoglitore verde.

« Normalmente, questo genere di cose vengono sbrigate subito ma questo contratto è molto particolare. La signora Higurashi è stata la prima a lasciare questo mondo, mentre la signora Izayoi è venuta a mancare circa un anno fa. »

Lo sguardo di Kagome tornò a posarsi su quello del ragazzo, Inuyasha, osservando la sua espressione cambiare da assonnata a concentrato. I suoi occhi erano stanchi, ma in essi si poteva scorgere anche una profonda malinconia.

Lo stesso sguardo lo ritrovò anche nell’uomo che per primo era entrato, il padre sicuramente, teneva il capo chino e scuoteva più volte il capo come affranto. L’unico che non sembrava turbato era il demone chiamato Sesshomaru, confermando l’ipotesi di Kagome che doveva trattarsi di un tipo di persona incapace di esternare i suoi sentimenti.

« Vecchio … » esordì quest’ultimo, con voce glaciale e facendo trasalire l’intero studio. « Vedi di arrivare al punto. »

« Ci stavo arrivando, se mi fai finire di parlare … » borbottò in risposta l’avvocato, il tono della voce deciso ma velato da una certa nota di terrore.

« Stavo dicendo, il contratto di tontina che hanno stipulato le vostre madri è molto particolare ma ugualmente legale. Alla morte di entrambe, dopo un anno, questo contratto diventa vincolante e lega voi due ragazzi … » tornò ad indicare con dei cenni i due ragazzi davanti a lui.

Kagome deglutì, decisamente spaventata e meno incline di sapere il contenuto di quel contratto. Ora più che mai, sentiva il bisogno di alzarsi e di tornare a lavorare al ristorante. Tornare alla stabilità e alla quiete.

« Mi dispiace dirvelo, ma da oggi siete ufficialmente sposati. »

« Cosa?! »

*Glossario:

La tontina prende il nome dal suo ideatore, Lorenzo Tonti, è un’operazione finanziaria in cui si viene a costituire una rendita vitalizia, il più delle volte aiutati dallo Stato. Alla morte di uno dei contraenti, la sua parte veniva divisa tra gli altri contraenti e alla morte di tutti i soci l’intero capitale passava allo Stato. Per questa storia mi sono ispirata a questa forma di contratto, modificandone i termini e tutto.

 

Salve a tutti!
Eccomi qui, con un nuovo esperimento. In questo periodo mi sento in vena di provare cose sempre nuove.

La storia sarà una commedia romantica molto semplice, in realtà, ma per me sarà la prima volta che ne scrivo una. Nella maggior parte delle storie che ho scritto, anche in passato eh, l’amore era solo da cornice e non faceva mai parte della storia in sé vera e propria. Questa volta, il sentimento romantico sarà il vero protagonista.

Spero solo che il modo in cui deciderò di narrare la storia vi possa piacere. Fatemi sapere le vostre impressioni e le vostre critiche nei commenti.

Ricordo, inoltre, le altre storie alle quali sto lavorando “Il marchio del Drago” – capitoli in uscita ogni mercoledì e “9 persons; 9 hours; 9 doors;” in uscita di volta in volta alla settimana.
Un abbraccio forte a tutti voi

Scheherazade

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Una cosa da nulla ***


-Capitolo 2-

 

L’eco di un tonfo infranse la quiete mattutina del “Nekomata”.

« Che cosa?! Sei … Sei sposata?! »

A battere con forza le mani sul tavolo, colta in contropiede da quella rivelazione, altri non era stata una ragazza. Alta, lunghi capelli scuri trattenuti in una coda alta e la divisa della cucina con il logo del ristorante sulla maglia bianca.

Kagome poggiò l’indice sulle labbra per farle segno di non urlare, decisa a non attirare più del dovuto l’attenzione.

« Non gridare, Sango, alcuni si stanno cambiando al piano di sopra e con il tuo tono di voce ti avranno sentita fino in Africa. »

La giovane sembrò così rendersi conto della situazione e sospirò, scusandosi con un sommesso borbottio e rialzando la sedia che aveva fatto cadere per lo stupore.

Kagome conosceva molto bene Sango, erano amiche da tantissimi anni ormai. Si erano conosciute quando il ristorante aveva aperto, all’inizio era solo un aiuto cuoco come gli altri ma la sua bravura, la sua tenacia e resistenza, l’avevano portata alla promozione proprio com’era accaduto anche lei. Adesso era lo Chef ufficiale e riconosciuto del ristorante, una delle migliori della città e la più abile a gestire le comande durante l’ora di punta.

« Sul serio, Kagome, stai scherzando vero? » domandò nuovamente sedendosi al tavolo, poggiò il gomito sopra la superficie in legno, coperta da una tovaglia scura semplice.

Nel palmo aperto appoggiò il mento, osservando l’amica e collega con un’espressione indecifrabile. Un misto tra il preoccupato e la perplessità.

Kagome sospirò, scuotendo il capo per l’ennesima volta e guardando seriamente l’amica.

« Ti sembra che io abbia voglia di scherzare? »

« Beh, direi di no … Tuttavia, ammetterai che la situazione è troppo assurda perché io ci creda. »

« Credici invece, perché è proprio la verità.»

« Si può sapere come diavolo è successo? »

La domanda di Sango era abbastanza lecita, rifletté Kagome mentre si lasciava andare contro lo schienale della sedia.

Incrociò le braccia al petto rievocando gli eventi della notte passata.

« Cosa?! »

A scattare in piedi non furono altro che Kagome, suo nonno, suo fratello e il padre dei due demoni presenti.

Il nonno di Kagome, in modo particolare, sembrava sul punto di avere un infarto nell’immaginare sua nipote in sposa a un demone. Sota, invece, più calmo cercava di quietare suo nonno per evitargli malori più tardi. Il misterioso demone, sembrava solo sinceramente sorpreso e per nulla sconcertato dalla proposta. Sesshomaru accanto a lui era perfettamente tranquillo, braccia conserte e un espressione assolutamente calma in volto. Lo stesso si poteva dire per Inuyasha, il quale non aveva aperto bocca pur essendo una delle parti chiamate in causa.

“Ma si può sapere i demoni che razza di concetto hanno del matrimonio?”

« Quel testamento è sicuramente un falso! Mia nuora non avrebbe mai fatto una cosa del genere alla sua adorata figlia! »

Fu la voce severa e insindacabile del nonno Higurashi a interrompere quella strana atmosfera.

L’avvocato lo guardò intensamente con quei grandi occhi, una mano intenta a lisciare la barba sul mento e l’espressione sul viso completamente assorta.

« E’ quello che è accaduto, invece. Non capisco dove sia il problema. »

Il nonno stava per replicare a tono esattamente come prima, ma Kagome lo precedette e con mossa felina prese il raccoglitore dalle mani dell’avvocato.

Suo nonno e Sota si avvicinarono per esaminare quei documenti scritti in un linguaggio troppo tecnico decisamente “avvocatese”, qualcosa che i meri mortali non potevano capire, ma di una cosa furono sicuri. La firma infondo ai documenti era proprio quella di sua madre: Yukiji Higurashi.

« Nonno … »
Non c’era bisogno di aggiungere altro, purtroppo. Persino suo nonno se ne convinse, annuendo con un cenno del capo e ingoiando la bile. Aveva sperato che almeno la firma non corrispondesse, in questo modo sarebbe stato facile andare via, evitando alla sua nipotina un matrimonio  forzato come quello.

Kagome non pensava affatto al matrimonio in quel frangente, era l’ultimo dei suoi pensieri. Ad occupare la sua mente in quell’istante erano due pensieri.

Il primo riguardava Sota, naturalmente, quando Kagome aveva mostrato a lui e al nonno i fogli dell’avvocato aveva visto la sua espressione velarsi alla vista della firma della mamma. La stessa madre di cui serbava pochissimi ricordi. Il secondo problema, invece, era l’altra persona che aveva firmato quel contratto. Izayoi Setsuna.

Lo sguardo di lei guizzò dall’avvocato al ragazzo seduto accanto a lei. Fermo e immobile, non aveva fiatato dal momento in cui avevano scoperto di essere sposati.

“Niente, non penso otterrei qualcosa da questo tizio … “

Lo sguardo di Kagome si fissò nuovamente su quelle piccole e soffici orecchie da cane, argentate come i suoi capelli, si muovevano impercettibilmente captando le parole e i rumori nello studio legale. Dovette nuovamente fare violenza su stessa per non avvicinarsi e toccarle. Trasse un profondo respiro, calmandosi e rivolgendo la sua attenzione al demone vestito con abiti tradizionali.

« Ecco, mi scusi signor … »

La sua figura era abbastanza torreggiante, ma rispetto a quando era entrato poco fa Kagome non si sentì a disagio, nemmeno sotto pressione. Lo sguardo di quel demone era infinitamente gentile, velato da una profonda malinconia per la perdita della moglie.

« Niente formalità, per favore, ormai sono troppo vecchio per questo. Chiamami semplicemente Akio. »

« Signor Akio … » insistette Kagome, avvicinandogli il  foglio del contratto con le firme.

« Questa è la firma di sua moglie, giusto? »

Improvvisamente nello studio calò il gelo più totale.

Sesshomaru, perdendo la compostezza avuta finora, lanciò uno sguardo poco amichevole nei confronti di Kagome che si sentì fulminata da tanto rancore.

Cosa aveva detto di sbagliato?

Il suo sguardo guizzava da una parte all’altra, aspettando una risposta mentre cominciava a sentirsi una stupida anche solo per aver osato parlare.

« … Sì. E’ proprio la firma di Izayoi. »

La voce del demone, finalmente, ruppe quel sottile filamento di silenzio che si tendeva come una corda in procinto di spezzarsi.

In quel momento l’avvocato si era alzato e senza troppa cortesia riprese i documenti, squadrando malamente la ragazza e invitando nuovamente tutti a sedere.

Kagome, però, non era per niente intenzionata a dargli retta e mise invece una mano sulla spalla di Inuyasha.

« Ehi! Non hai proprio niente da dire? Guarda che siamo noi quelli che … »

Non finì la frase poiché si accorse del vero motivo dietro al silenzio del ragazzo. Si era addormentato.

La testa ondeggiava lentamente in avanti, gli occhi erano chiusi e dalle labbra appena dischiuse scendeva un rivolo di saliva.

Un nervo cominciò a pulsare sulla fronte di Kagome, la stretta sulla spalla del ragazzo si fece improvvisamente più salda mentre un ghigno malefico si allungava sulle sue labbra.

« Svegliati! »

Senza troppi complimenti declamò quelle parole nelle sue orecchie, sicuramente sensibili ai rumori più forti, scuotendolo a destra e sinistra.

Alla fine il risultato sperato venne ottenuto. Inuyasha, si svegliò.

Si portò una mano alla nuca mentre con l’altra nascose uno sbadiglio. Kagome si trattenne dal colpirlo in testa, aveva abbastanza sguardi puntati di se e non voleva attirare ulteriormente l’attenzione.

« Quanto clamore per una cosa da niente come questa … »

« Una cosa da niente?! »

« Sì, da niente. Non capisco perché la fai tanto lunga. »

Kagome lo guardava allibita, gli occhi sbarrati e la bocca mezza aperta. E non solo lei, tutti i presenti guardavano i suoi gesti con una certa meraviglia.

« Per quanto mi riguarda, le cose mi vanno bene anche così.  Essendo un mezzo demone nemmeno dovrei lamentarmi, ma se proprio la cosa non ti va a genio possiamo sempre trovare una soluzione per sciogliere il contratto. Fino ad allora, mi va bene qualsiasi cosa sceglierai. »

Non riusciva a credere a quello che stava sentendo e sì, la sensazione di volerlo colpire, e anche forte sulla nuca, tornò a farsi sentire dentro Kagome.

Era già lì, pronta con un pugno quando vide le piccole orecchie di Inuyasha muoversi, scattando velocemente per poi fermarsi.

« Quindi … » esordì Sango, una volta che il racconto di Kagome fu concluso. « Hai ceduto perché quelle orecchie “adorabili”, come le hai descritte tu, ti hanno ipnotizzato? »

Un lungo silenzio calò implacabile nella sala del ristorante.

Nel frattempo alcuni camerieri, già cambiati e pronti per il servizio, cominciavano a sistemare i tavoli per l’apertura e controllavano lo stato delle posate e dei bicchieri.

« … Sì » ammise infine Kagome, completamente sconsolata.

Sango sospirò leggera, incrociando le braccia e lasciandosi andare con la schiena contro la sedia.

« Accidenti Kagome, sapevo che avevi un debole per le cose “carine” ma non pensavo fosse così grave. Adesso cosa pensi di fare? Sposerai davvero quel tipo? »

« Sinceramente non lo so. » ammise Kagome, tornando a rilassarsi con il corpo mentre ripensava alla serata trascorsa.

Alla fine aveva accettato il compromesso di Inuyasha, ma non era certa di quello che dovevano fare, ora.

« Kagome, non eri tu a dire che le relazioni troppo strette ti facevano paura? »

« Questo è vero. Infatti, quando ho cominciato a capire cosa stava accadendo, ho provato l’irrefrenabile impulso di scappare e tornare qui. » ammise lei, senza bisogno di celare a Sango i suoi più profondi pensieri.

« Però, sai Sango, non faccio che pensare alla ragione dietro il gesto di mia madre. Sono convinta che avesse un qualche motivo che ancora non conosco, ma per scoprirlo dovrei provare a frequentare per un po’ questo Inuyasha e forse, a pensarci, non è nemmeno una cattiva idea. »

« In che senso, scusa? »

« Qualche tempo fa il nonno ha avuto un leggero infarto, niente di grave, ma sia io che Sota ci siamo spaventati molto. Questo mi ha fatto capire che lui non ci sarà per sempre. Ho un buono stipendio, ne sono consapevole, ma da sola non riuscirei a far fronte a tutte le spese di casa e della scuola. Voglio che Sota realizzi il suo sogno e frequenti l’università, ma se accadesse il peggio sarebbe costretto a rinunciare alle sue ambizioni e non voglio niente del genere. »

Sango studiò attentamente sia le parole di Kagome che la sua espressione, le braccia ancora conserte e gli occhi nocciola puntati nei suoi.

Sapeva bene che tutto quello che faceva era anche per suo fratello, lo stesso si poteva dire per lei e per molti altri che lavoravano da loro, ma nessuno aveva la dedizione di Kagome. Seppure la conoscesse da diversi anni, adesso non sapeva proprio così dirle per aiutarla a trovare una risposta. L’ambiguità della situazione non aiutava certo le due ragazze.

Sango rilasciò un sospiro arrendevole, chinando il capo e scuotendo appena la nuca.

« La scelta è tua, io non posso dire niente. Se si rivelasse un maniaco …  » e marcò bene quelle parole con una strana luce omicida negli occhi. « … Non dovrai nemmeno preoccuparti. Ci penserò io, gli staccherò quella sua bella testolina e la metterò su una picca. »

« Sango … Stai parlando di Miroku, adesso? »

Lo sguardo omicida dell’amica non prometteva niente di buono, nemmeno per Inuyasha (anche se lei non lo conosceva) e Kagome ne ebbe quasi paura.

Non fece nemmeno in tempo a finire di parlare che il diretto interessato sbucò alle spalle di Sango, abbracciandola di spalle e allungando una mano per toccare il seno. Prima che potesse farlo, però, la ragazza si era già girata e con precisione chirurgica lo colpì in faccia lasciandogli un bel segno rosso che recava l’impronta della mano.

« Eddai, Sango, io volevo solo salutarti … » si scusò in fretta Miroku, una mano sulla guancia e l’altra alzata in segno di resa.

Kagome sospirò appena, alzandosi dal suo posto. Ora che Miroku era arrivato, non avrebbero più potuto parlare di niente.

« Piuttosto, Sango, ricordati di cominciare a pensare al menu invernale per il ristorante e riferisci a Hojo di fare lo stesso. Il nostro ristorante è l’unico della zona a vantare piatti adatti ai celiaci, e non ho nessun desiderio di vedere calare la qualità. »

Non ottenne risposta, ma sapeva che l’aveva sentita.

Miroku era un bel ragazzo, non aveva la bellezza particolare e irraggiungibile di alcuni demoni, ed essendone ben consapevole non perdeva l’occasione per corteggiare clienti e colleghe. I suoi occhi scuri, con una sfumatura bluastra, rendevano il suo sguardo magnetico e le sue parole avevano sempre l’effetto desiderato su tutte le ragazze che incontrava. Eccetto Sango, ovviamente, la quale intuì subito la sua natura libertina e prese “provvedimenti” a riguardo.

“Mi chiedo quando si decideranno a fidanzarsi. Ormai è palese che si piacciono, lo sanno tutti qui al ristorante”.

Un sospiro e decise di rimandare i pensieri alla pausa. Adesso bisognava lavorare.

Il pranzo era il momento più critico per il ristorante.

I clienti entravano con la consapevolezza di non avere molto tempo a disposizione, la coordinazione tra sala e cucina doveva essere perfetta per garantire il miglior servizio nel più breve tempo possibile, senza dimenticare la qualità.

Miroku, in questo, era un perfetto Chef de rang e lo considerava il suo braccio destro per la gestione nei momenti più critici.

Ogni tanto, guardando la sala gremita, non poteva fare a meno di ripensare a quello che era accaduto la scorsa notte dopo le parole di Inuyasha. Suo nonno non era d’accordo, era irremovibile ma alla fine, grazie anche all’intervento di Akio, riuscirono a placarlo ricordandogli che non erano più in un epoca dove demoni e umani non potevano coesistere e andavano purificati a forza, se necessario.

Il compromesso era fare in modo di trovare una clausola, un appiglio, al quale fare riferimento per poter sciogliere i loro legami e tornare ognuno alla vita di prima. Inuyasha non sembrava preoccupato, al contrario, era molto calmo e quieto e forse per questo motivo aveva accettato il biglietto da visita suo e di suo padre.

Appoggiata al leggio, sul quale spiccava il registro presenze, rigirava tra le mani il cartoncino chiaro con sopra il nome e cognome del ragazzo e la sua occupazione.

Inuyasha Taisho, capo editore presso la casa editrice “Tama”.  

L’altro, invece, era quello del padre di lui. Akio Taisho.

“Non ho mentito a Sango, ma … ” pensò assorta guardando i biglietti da visita. “Non so proprio cosa fare. La verità è che la cosa mi terrorizza. E’ spaventoso. L’idea di affidare a qualcun altro il mio cuore, è davvero terrificante”.

Da quella sera era passata una settimana.

Tenendo il biglietto da visita in mano alzò lo sguardo sopra il grande edificio che ospitava la casa editrice seccata, anche se il termine non si avvicinava minimamente a quello che provava.

“Quello stronzo … Aveva detto che si sarebbe fatto sentire entro la fine della settimana! Invece, mi obbliga a venire a cercarlo nel mio prezioso giorno libero”.

Per l’occasione aveva deciso d’indossare una mini gonna scura con sopra ricamati dei piccoli fiori, abbinata a un maglioncino color panna e che lasciava scoperte le spalle il tutto coperto da una giacca senza maniche.

Strinse la corda della borsetta che teneva in spalla prima di entrare in quel grande edificio, incuriosita e preoccupata nello stesso istante. Sapeva bene quanto frustrante fosse essere interrotti durante il lavoro, ma non c’era altra soluzione.

S’informò dalle due ragazze al bancone vicino all’ingresso sull’ubicazione di Inuyasha in quel labirinto, ottenuto ciò che voleva si diresse verso uno dei due ascensori ubicati contro la parete e ne chiamò uno.

L’ingresso era tappezzato con alcuni poster e cartelloni di libri di successo in loro produzione e qualche locandina di film, ispirato probabilmente ai libri. Persino all’interno dell’ascensore trovò alcuni poster più piccoli di qualche manga o libro, li guardò divertita mentre saliva fino all’ottavo piano dove si trovava la collana “Shikon” il cui capo redattore era proprio Inuyasha.

Le porte dell’ascensore si aprirono e mentre stava per uscire qualcuno entrò, o meglio barcollò al suo interno, sconcertandola non poco per l’espressione vuota e assente che aveva in volto.

Cosa cavolo era successo?

Si guardò attorno trovandosi davanti un lungo corridoio costellato da file di piccole impalcature che dividevano le varie aree, ricordando le parole della receptionist decise di proseguire cercando di non intralciare il lavoro di nessuno.

“In fondo, non sono mai stata in un posto del genere. Sembra interessante come lavoro”.

Evitando la fotocopiatrice posta all’angolo dopo una stretta curva trovò l’ufficio, per così dire, di Inuyasha. Sul viso aveva ancora accennato un sorriso, gli occhi colmi di curiosità, ma tutto questo s’infranse improvvisamente.

Davanti a lei c’era uno spazio abbastanza ampio, rispetto agli altri settori che aveva intravisto, ma al suo interno si respirava un aria malsana.

Sul lungo tavolo ricoperto da libri, fogli, altri libri e oggetti di uso comune per un ufficio stavano cinque cadaveri. 

Kagome li guardò esterrefatta, gli occhi sbarrati per lo stupore e la bocca aperta.

Erano riversi un po’ sulle sedie e un po’ sul tavolo, e tra loro c’era anche una ragazza, le loro espressioni erano completamente svuotate e nemmeno si erano accorti del suo arrivo.

“Che razza di lavoro fanno?  E poi … Che diamine è questo fetore? Sembra di essere nello spogliatoio di qualche squadra sportiva”.

Si portò una mano a coprire il naso, tappandolo e cercando di non respirare troppo a fondo. C’era davvero un odore di chiuso e di stagnante, non riusciva a credere che un essere umano, o demone, potesse puzzare in quel modo.

Tremando, lentamente, la ragazza al tavolo alzò lo sguardo spento e svuotato verso di lei. Era molto bella, pensò Kagome, aveva dei tratti molto eleganti che uniti a quei lunghissimi capelli scuri la rendevano quasi eterea. Tutto questo, ovviamente, stonava con le profonde occhiaie che aveva sotto gli occhi e la voce stanca con cui parlò.

« Cosa … ? »

« E- Ecco … » improvvisamente si trovò senza niente da dire, lo sguardo si perdeva nel piccolo spazio alla ricerca di una qualche traccia del mezzo demone, ma senza un grande risultato.

« Cercavo Inuyasha …  » borbottò, la voce alterata dalla mano che copriva il naso.

Alzò il braccio, sempre molto lentamente, indicando la parte opposta del tavolo.

« Se cerchi … Il suo cadavere dovrebbe essere da quelle parti … » mormorò con voce spettrale, vinta dalla stanchezza si lasciò nuovamente andare sul tavolo.

Deglutì appena, scostando la mano dal volto e dirigendosi lentamente verso il punto indicato. Si muoveva furtiva, come un gatto, evitando di urtare contro una delle sedie e appiattendosi contro gli armadi a muro. Alla fine lo raggiunse.

Aveva occhiaie ancora più profonde della settimana scorsa, i vestiti sembravano anche gli stessi, tra le altre cose, Kagome lo guardò ancora sconcertata prima di poggiare una mano sulla sua spalla per chiamarlo. Nel momento in cui lo fece, però, questi cadde a terra con un sonoro tonfo ma continuò a dormire come se niente fosse.

“E questo tizio … Dovrebbe essere mio marito?!”

Salve a tutti!

E’ stato richiesto così intensamente che non ho potuto rifiutarmi di completare tutto quanto prima.

Allora, qualche piccola spiegazione. Ho scelto il nome di Akio per il padre di Inuyasha per due ragioni: la prima, il nome, con i kanji corretti, significa “eroe glorioso”. Mi sembrava adatta al suo ruolo, soprattutto per quel poco che sappiamo di lui anche nel manga. La seconda ragione, invece, è più semplice. Avevo in sottofondo le ost di Utena.

Vorrei ringraziarvi tutti, dal primo all’ultimo, da chi ha aggiunto ai preferiti ( o seguiti) la storia e tutti coloro che hanno commentato.

Per ora è un record avere quattro recensioni, davvero, così vi ho soddisfatti subito e spero di non avervi deluso in qualche modo con lo sviluppo della trama.

I capitoli usciranno di giovedì. Vedrò se riuscirò a rispettare subito la data, altrimenti slitterà alla prossima settimana ancora.

Un abbraccio forte a tutti quanti voi <3

Scheherazade

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il dipartimento Shikon ***


-Capitolo 3-

 

Era lì, sul punto di voltarsi e andarsene.

Quel posto, più che la sede di una collana della casa editrice, sembrava una vera e propria discarica comunale di esseri umani.

Lasciò a terra la borsa, avvicinandosi a Inuyasha e poggiando una mano sulla sua spalla. Voleva almeno accertarsi che fosse vivo.

« Ehi! Inuyasha! Sei ancora nel mondo dei vivi? »

Lo scosse piano mentre parlava, aspettando una qualche risposta o un cenno. Niente, non ottenne nulla di tutto questo. Il mezzo demone continuava a dormire della grossa, nulla di quello che faceva sembrava svegliarlo.

« Così non arriverai da nessuna parte … » aggiunse una voce femminile.

Quando Kagome alzò lo sguardo si trovò di fronte la stessa donna che l’aveva accolta prima, adesso, però, indossava degli occhiali.

S’inginocchiò anche lei accanto al suo capo, le braccia raccolte sulle ginocchia e l’espressione ancora assente di chi ha bisogno di un lungo periodo di riposo.

« Botolo ringhioso … » sussurrò con voce bassa, talmente lieve che pensava non potesse essere udita. Le orecchie di Inuyasha, invece, si mossero leggermente e in un nano secondo aprì gli occhi scattando poi in piedi come una molla.

« Che cosa hai detto, Kikyo?! Vuoi forse morire? » sbottò Inuyasha, ora decisamente sveglio.

Kagome lo guardò sorpresa, sbattendo più volte le palpebre come per assicurarsi che non era un miraggio, o illusione, ma solo la realtà.

L’altra ragazza, Kikyo a quanto aveva capito, si alzò sistemando indifferente le pieghe dei suoi pantaloni e nascondendo dietro a una mano uno sbadiglio.

« C’è una visita per lei, capo. » biascicò prima di tornare al suo posto, non prima di aver dato una scrollata al collega che stava seduto accanto a lei.

Solo in quel momento Inuyasha sembrò accorgersi di Kagome.

La guardò un lungo istante, decisamente sorpreso di vederla lì, davanti ai suoi occhi. Un lieve imbarazzo s’impadronì di lui facendogli portare la mano dietro la nuca, sfiorando così con le dita artigliate i lunghi capelli argentei.

Non osava metterci la mano sul fuoco, ma dal punto di vista di lei, in quel momento, Inuyasha sembrava felice di vederla oltre che imbarazzato.
« Come mai sei venuta fin qui, Kagome? »

« Guarda che sei stato tu a dirmi, “mi farò vivo io per la fine della settimana”. Non sopporto chi viene meno a un impegno, così sono venuta io stessa nel mio prezioso, quanto raro, tempo libero per vederti di persona. » si affrettò a spiegare la ragazza, raccogliendo nel frattempo la borsa da terra e sistemandola sulla spalla.

« Sei venuta … per me? »

« C-Certo! Per chi altri sarei dovuta venire, scusa? »

Kagome avvertì chiaramente le orecchie cominciare a scaldarsi, segno che quella domanda, unita a quello sguardo sinceramente colpito di lui, l’avevano parecchio emozionata.

Non capiva il motivo di quella reazione, dopotutto era stato lui a mancare un impegno preso con lei, pensò, era normale che prendesse provvedimenti a riguardo.

Inuyasha si mosse, stava per dire qualcosa quando il suono del telefono fisso lo riportò alla realtà. Seccato fece schioccare la lingua contro il palato, svogliatamente decise di prendere la telefonata per poi scoprire che era uno degli autori.

« Attenda un momento, maestro … » alzò il capo, fissando lo sguardo in quello della sua collega.

« Kikyo, porteresti Kagome a prendere un caffè? Qui ne avrò ancora per un po’. »

« D’accordo. »

L’altra ragazza si alzò dalla scrivania, barcollando e sbadigliando sonoramente mentre faceva biascicava qualcosa come un “seguimi”. Kagome la guardò un pochino incerta mentre si lasciavano alle spalle quella specie di discarica, con la coda dell’occhio gettò un ultimo sguardo a Inuyasha e si stupì di trovare sul suo volto un espressione tanto seria e concentrata nonostante la chiara stanchezza.

Erano uscite da quel corridoio per entrare in un altro, più grande, dove diverse persone che passavano accanto a loro finivano con l’accelerare il passo e mormorare qualcosa a capo chino.

“In che razza di posto sono finita?”

Fu la sola domanda che continuò a vorticare nella mente di Kagome mentre raggiungevano delle macchinette.

Erano tre, una era quella delle merendine e l’altra, invece, distribuiva bibite fresche e quella più importante era proprio accanto.

Dalla tasca dei pantaloni, Kikyo estrasse una piccola chiavetta che inserì nell’apposito spazio e digitò per avere un paio di caffè. Quando Kagome se ne accorse si affrettò a raggiungerla, frugando nella borsa in cerca del portafoglio ma Kikyo, incredibilmente, si limitò a ridacchiare.

« Non ti preoccupare, questo te lo posso offrire io. Un premio per aver sopportato così amabilmente il mio pessimo odore. »

Persino il suo tono di voce aveva un qualcosa di “elegante”, pensò Kagome mentre frenava il suo cercare, osservando ancora sorpresa la sconosciuta accanto a lei.

« Piuttosto … » continuò lei, chinandosi per raccogliere il primo bicchiere con dentro il caffè caldo. « Non ci siamo ancora presentate, temo. Io mi chiamo Kikyo, lavoro con Inuyasha al dipartimento “Shikon”. »

« Piacere mio, io sono Kagome. »

Una mano afferrò il caffè che le veniva posto, con l’altra, invece, strinse la mano della ragazza che tornò ad appoggiarsi contro la macchinetta.

« Devi scusarci, credo sia passata una settimana da quando ci siamo fatti tutti una doccia e una bella dormita. Abbiamo avuto qualche ritardo, e quindi … » scrollò appena le spalle mentre si affrettava a prendere il suo caffè, il nettare divino per eccellenza contro la stanchezza atavica.

« E’ un lavoro particolarmente pesante a quanto vedo. »

« Non proprio, diventa più pressante verso la metà, quando si raggiunge il periodo delle scadenze, e solo nel momento in cui tutti i controlli sono finiti che finiamo sull’orlo della morte … Cosa che hai potuto constatare tu stessa. »

Si lasciò andare ad una leggera risata mentre prendeva a bere il suo caffè, avvertendo il dolce aroma della caffeina che risvegliava i suoi sensi. Kagome la osservava colpita.

I lunghi capelli scuri non venivano curati da parecchio, anche sul suo volto non vi era minimamente traccia di trucco eppure, nonostante potesse apparire “scialba” ai suoi occhi brillava di un’intensa luce.

Ammirava le persone come lei. Ammirava chi sapeva dedicarsi con passione al proprio lavoro, dal profondo del cuore.

« Io trovo che sia una cosa fantastica, Kikyo, riuscire a dedicarsi con passione a qualcosa e a farlo diventare una professione. »

La ragazza la guardò un pochino sorpresa, ma poi sorrise e annuì a quelle constatazioni.

« Mi trovi d’accordo, anche se nessuno di noi ha la forza e la passione di Inuyasha. »

La schiena andò a poggiarsi contro il distributore mentre finiva di bere il suo caffè, Kagome la imitò prestando massima attenzione alle sue parole. Voleva conoscere meglio quel ragazzo, voleva sapere quante più cose possibili.

« La nostra collana non aveva a disposizione grandi autori, ma lui è riuscito a risollevarla e ora siamo tra le più vendute nel campo degli shounen manga. E’ sempre il primo ad arrivare e l’ultimo a lasciare l’ufficio, la sua natura lo aiuta a sopportare la fatica, certo,  ma anche lui, come hai visto, finisce per esaurirsi prima del tempo. »

Un sorriso più dolce increspò le labbra di Kikyo, contagiò persino lo sguardo e questo non sfuggì all’attenta analisi della ragazza.

« Senza di lui saremo completamente persi. Molti si lamentano e non fanno che parlare alle spalle ma nel nostro ambiente contano i risultati, e lui ne ha ottenuti parecchi in brevissimo tempo. »

Kagome annuì, d’accordo nuovamente con le parole della ragazza.

La loro società era tutt’altro che perfetta, lo sapevano tutti, ma le discriminazioni esistevano da sempre e non coinvolgevano solo i mezzi demoni, purtroppo.

Strinse il bicchiere tra le mani, rompendolo del tutto e gettandolo via un istante dopo mentre ripensava ad alcune situazioni avvenute in passato.

Kikyo l’aveva osservata per tutto il tempo, sorridendo di nascosto nel momento in cui questa non guardava.

« Basta parlare del mio capo, che credo di stare elogiando anche troppo, dimmi di te, Kagome, di cosa ti occupi? »

La sua domanda colse in contropiede Kagome, completamente assorta nei suoi pensieri e facendola sobbalzare sul posto.

« Ecco … Io sono il Maître del ristorante “Nekomata”. »

« Ne ho sentito parlare! E’ quel ristorante lussuoso nel quartiere di Ginza, vero?»

Kagome annuì e subito lo sguardo di Kikyo s’illuminò.

« Cosa non darei per assaggiare qualcuno dei vostri piatti, o per mangiare qualcosa di decente in generale, la mensa qui è molto povera … e temo anche noi. »

Si lasciò scappare una leggera risata mentre la mano saliva dietro la nuca, celando l’imbarazzo dietro quella sua rivelazione improvvisa.

« Invece dovresti venire, sai? Ti farò uno sconto super, così potrai assaggiare alcuni dei piatti che prepara la nostra bravissima Chef. »

« Dici davvero? »

Quando Kagome annuì Kikyo le gettò le braccia al collo, entusiasta come non mai, saltellando allegramente come una scolaretta.

In quel momento, ancora travolta dall’entusiasmo di Kikyo, Inuyasha fece la sua apparizione con un sorriso sghembo sul volto e la spalla appoggiata alla parete.

« Kikyo, mi meraviglio di te, non eri tu a dire che se avessi sollevato anche solo un foglio di carta saresti morta? »

Una linguaccia da parte della diretta interessata mentre continuava a rimanere appiccicata a Kagome, divertita da quello scambio di commenti che le ricordava molto il rapporto con i suoi colleghi al ristorante. Sì, era davvero un buon ambiente. Malsano per certi versi, ma piacevole.

« Fila a svegliare quella marmaglia di bradipi in ufficio, piuttosto, non ho ancora dato loro il permesso per morire. »

Sospirando, si staccò da Kagome e corse verso il dipartimento salutandola con un ampio gesto del braccio.

“Un tipo davvero strano …” pensò divertita, osservando Inuyasha prendersi un caffè con la coda dell’occhio.

« Mi dispiace … » aggiunse all’improvviso, afferrando il bicchiere dalla macchina e ritirando la chiavetta.

« Per cosa? »

« Averti fatto venire qui, per cominciare, in secondo luogo per non averti chiamato come promesso. »

« Eri stanco, lo posso capire. »

Le orecchie di Inuyasha si mossero ancora, scattando ai lati e tornando al loro posto. Kagome le guardava con una strana luce negli occhi, sempre più desiderosa di toccarle e sfiorarle con le dita per accertarsi della loro morbidezza.
« C-Comunque … » continuò, scuotendo velocemente il capo e cercando di darsi un contegno. « Volevi parlarmi di qualcosa? »

Inuyasha finì il caffè nel frattempo, vuotando il bicchierino e gettandolo nell’apposito contenitore, andando a poggiare la schiena contro il distributore.

« Totosai ha detto che ci vorrà un po’ di tempo prima di riuscire a rintracciare Saya. Mi rendo conto che la situazione è strana, te lo concedo, ma se nel frattempo ci frequentassimo sarebbe così terribile? »

Kagome lo guardò sorpresa, accennando un sorriso e annuendo leggera con il capo.

« Stavo pensando qualcosa di simile anche io, in effetti. »

Evitò accuratamente di dirgli quali fossero i suoi “reali” pensieri a riguardo, soprattutto per i legami sentimentali troppo stretti, ma se avessero passato un po’ di tempo insieme come amici non sarebbe stato poi così male.

« Bene, significa che siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Senti, ti faccio una proposta, ma puoi anche rifiutare se pensi sia irragionevole. »

L’espressione di Kagome divenne seria mentre il mezzo demone continuava a parlare.

« Il mio precedente coinquilino ha traslocato e mi trovo così con una stanza vuota. Perciò, come vedi, la mia proposta è semplice: verresti a stare da me come coinquilina? Almeno, fino a quando non troviamo una soluzione al nostro problema. In questo modo, sarà più facile conoscersi e puoi stare certa che non invaderò i tuoi spazi. Saremo come … Due buoni e vecchi amici che dividono un appartamento confortevole. Tutto qui. »

Per un momento aveva sentito come se il terreno franasse sotto i suoi piedi, letteralmente.

Guardava Inuyasha, e sentiva crescere dentro di se una strana paura. Lui era un bel ragazzo, affascinante e sembrava anche scrupoloso sul lavoro, la cui cosa era sufficiente a renderlo desiderabile ai suoi occhi. Senza contare le sue orecchie, quelle valevano un sacco di punti.

Aveva paura.

Se avessero trascorso tanto tempo assieme, sotto lo stesso tetto, temeva di affezionarsi a lui in maniera irreversibile. Era il suo tipo di uomo, dopotutto.

Chinò il capo, mordendosi appena le labbra mentre rifletteva su quello che doveva rispondergli, tenendo a mente anche di quello che pensava per il futuro.

« Ci … Ci posso pensare su un pochino? » domandò incerta, temeva che Inuyasha volesse una risposta rapida.

« Non c’è fretta, non ti preoccupare. »

« Senti, posso chiederti una cosa io adesso? »
« Dimmi. »

« Perché non hai detto niente quando hai scoperto che eravamo sposati? Hai detto che, cito testuale, essendo un mezzo demone non avevi motivo di lamentarti ma io non penso sia così. La tua opinione è importante, quindi mi chiedevo come mai fossi rimasto in silenzio. »

Seguì un lungo, lunghissimo attimo di silenzio in cui Kagome poté quasi sentire il battito del suo cuore risuonare tra le pareti, ma era solamente un eco lontana nel suo corpo.

I suoi occhi castani erano fissi in quelli dorati di lui, sereni e calmi come poteva esserlo il sole.

« Vieni con me, ti faccio conoscere i miei colleghi. »

Si spostò dalla macchinetta e le fece cenno di seguirla, allontanandosi e tornando verso il dipartimento.

“Non ha risposto … “ un sorriso amaro si dipinse sulle labbra di Kagome, decisa a seguirlo in ogni caso.

Non sapeva la ragione, ma non sentire una risposta, anche banale, la rattristò. Voleva sapere.

Se Inuyasha, però, aveva deciso di non dirle nulla per il momento non avrebbe insistito.

“Se insisto lo farò chiudere a riccio, quindi è meglio stare al gioco per il momento”.

Tornati nella sede del dipartimento “Shikon”, la prima cosa che Kagome notò fu il cambio di atmosfera. Certo, pensò, si respirava ancora male ma almeno tutti erano seduti decentemente sulle sedie.

« Inuyasha caro!! » gridò uno dei colleghi del ragazzo, alzandosi in piedi e gettandogli immediatamente le braccia attorno al collo. Kagome non ne era sicura, ma era certa di aver visto una vena cominciare a pulsare all’angolo della sua fronte.

« Come puoi tradire il nostro amore andando a prendere un caffè con questa ragazzina? »

« Jakotsu … » mormorò il suo nome, sospirando, una mano sulla fronte e la nuca che si piegava a destra e sinistra.

A parlare era stato un ragazzo, dovevano avere la medesima età, ma era truccato molto più di quanto non facesse lei e parlava con una voce molto più acuta del normale.

Kagome lo guardò allibita, sbattendo più volte le palpebre mentre Inuyasha, invece, cercava di liberarsi dalla sua presa a tentacoli.

« Non ti avvinghiare, Jakotsu! Non sono un eucalipto e tu non sei un Koala! »

« Potrei diventarlo, però. »

« Falla finita, fratello, sei imbarazzante! » sbottò un altro dei colleghi di Inuyasha battendo le mani contro la scrivania, quest’ultima vibrò appena facendo cadere a terra qualche foglio di carta e un calendario, di quelli piccoli, tutto pieno di scritte e cerchi.

Questo ragazzo aveva molti tratti in comune con quello che si chiamava Jakotsu, la sola differenza, pensò Kagome, era l’assenza di un trucco pesante e quei lunghissimi capelli tenuti intrecciati.

« Sei solo invidioso perché non sei affascinante come me, fratellino! »

« Ma cosa stai dicendo?! »

C’era un altro membro del gruppo, aveva un’espressione più tranquilla rispetto agli altri due, capelli castani e sembrava ancora visibilmente addormentato.

Era l’unico tranquillo della squadra che lavorava con Inuyasha, pensò Kagome, spostando l’attenzione su Kikyo la trovò intenta a ridere della scenetta che Jakotsu aveva creato.

Alla fine, con grande fatica e con l’aiuto del fratello, Inuyasha riuscì a scollarselo di dosso e fu allora che si voltò verso di lei. Aveva un’espressione stanchissima, molto più di prima.

« Le presentazioni. Quella specie di Koala è Jakotsu e quello che lo tiene fermo è suo fratello, Bankotsu. »

« Piacere! » esclamarono in coro in due ragazzi, accennando poi un piccolo inchino con il capo.

« Kikyo, invece, l’hai già conosciuta immagino e quello che sta ancora dormendo è Onigumo. »

« Il piacere di conoscervi è mio, ragazzi, mi chiamo Kagome Higurashi. »

Un sorriso e un semplice e veloce inchino.

Erano strani, se ne rendeva conto, ma l’ambiente dove lavoravano sembrava molto unito e affiatato.  Sorridere, pensò, era la cosa più naturale in quei momenti di pace e tranquillità.

« Sai Kagome … » continuò Bankotsu, liberando il fratello che andò a lamentarsi con Kikyo, abbracciandola e fingendo di piangere disperato. « Questo simpaticone del nostro capo, qualche sera fa, ha avuto la faccia tosta di tornare a casa. Scommetto che si è fatto un bagno e ha pure cenato … » mentre parlava aveva poggiato un braccio attorno alla spalla del mezzo demone, guardandolo trucemente al ricordo di quella sera.

« Ti ricordo, Bankotsu, che è stato mio fratello a trascinarmi di peso fuori di qui. »

« Ciò non toglie che è arrivato tutto lindo e profumato il giorno dopo, non trovi che sia ingiusto verso di noi Kagome? »

« In effetti … » rispose lei, fingendo di pensarci e guadagnandosi un occhiataccia da parte del mezzo demone.

« Fatela finita, adesso! Piuttosto, vedete di riprendere a lavorare se volete tornare a casa presto. Dobbiamo rimettere ordine in questo casino! »

« Allora … Io andrei. » lo interruppe Kagome, sorridendo e fu in quel momento che Inuyasha tornò a guardarla. Era stato solo per un momento, ma il suo sguardo sembrava volerle chiedere di restare ancora con lui.

« Riguardo a quella proposta … »

« Tranquillo, ho il tuo numero, ti chiamo appena ho deciso. » si affrettò a dire, mostrando il biglietto da visita che le aveva dato l’altra sera.

Un ultimo cenno di saluto e andava, decisa a lasciare quei ragazzi al loro lavoro.

Era sempre più tentata di accettare la proposta di andare a vivere con lui, ma allo stesso tempo aveva paura di non essere in grado di tenere una distanza adeguata tra lei e Inuyasha.

Nella sua mente rivide il sorriso ammirato di Kikyo mentre parlava di lui, raccontandogli della sua dedizione al lavoro ma non era solo questo, pensò Kagome, c’era qualcosa di più che non le aveva rivelato.

Una volta fuori, alzò lo sguardo e guardò quel grande edificio che ospitava la casa editrice con estrema intensità. Quando all’improvviso, come un fulmine che squarcia la notte, un’idea attraversò la sua mente.

Fece scivolare la spallina della borsa lungo il braccio, l’aprì e subito cominciò a cercare il cellulare.

Doveva chiamare Sango, immediatamente.

Nel frattempo, nel dipartimento “Shikon”, Inuyasha sedeva al suo posto tenendo tra le dita artigliate una vecchia fotografia. La sua espressione era così serena e tranquilla che Kikyo non si trattenne oltre, sorridendo lei stessa guardò quell’immagine che già aveva visto in passato.

« Cosa pensi di fare adesso, Inuyasha? Non è forse lei che … »

« Sì, ma … non sembra ricordare niente. » il suo tono di voce mal celava la sua delusione, il suo rammarico era riflesso nei suoi occhi dorati.

« Sono passati … Quanti anni? Dieci? Sarebbe strano che ricordasse tutto.» continuò Bankotsu, anche a lui a conoscenza del contenuto di quella fotografia.

L’unico all’oscuro di quella conversazione sembrava proprio Onigumo, l’ultimo ad essere trasferito nel loro dipartimento, tant’è che non poté fare altro che rivolgere un occhiata piena di curiosità verso Kikyo la quale si limitò a sorridere e scrollare le spalle.

« Che importa, se lei non ti volesse ci sono pur sempre io con te Inuyasha caro. » aggiunse Jakotsu, gettandogli le braccia al collo nuovamente e sfregando la guancia contro la sua nuca.

 

Salve a tutti!

Ero tentata di non aggiornare oggi, così … per farvi uno scherzone ma poi ho pensato: no, non sono così crudele e malvagia. Circa.

Ahahahaha! Scherzi a parte, come al solito vorrei ringraziare tutti coloro che hanno aggiunto questa storia ai preferiti, oppure tra le seguite e ricordate, insomma: grazie di cuore <3

Spero che questo capitolo possa essere considerato soddisfacente.

Oggi cosa abbiamo scoperto? Abbiamo scoperto tante cose, in particolare i membri del coloratissimo gruppo editoriale “Shikon” e nel prossimo? Cosa accadrà? Alieni che arrivano dallo spazio profondo? Restate sintonizzati!

Ringrazio, inoltre, tutti voi che avete recensito questi primi due capitoli <3  siete fantastici, tutti!

Un abbraccio forte

Scheherazade

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Omaggi ***


-Capitolo 4-

 

« Ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo, vero Kagome? » domandò Sango, le braccia incrociate appena sotto il seno e l’espressione torva.

« Sì … » sospirò in risposta la ragazza.

« Ti costerà parecchio caro. »

« Sono disposta a trattare. »

« Voglio le ferie la settimana prima e il giorno di Natale, chiaro? »

Kagome sbiancò a quelle parole.

Natale era il periodo più intenso di lavoro per il ristorante, Sango lo sapeva bene, infatti nemmeno lei si prendeva mai delle ferie per Dicembre. In realtà, non prendeva quasi mai delle ferie.

Ispirò l’aria tra i denti stretti emettendo una specie di sibilo, l’espressione tormentata e affranta mentre allungava una mano verso Sango e l’appoggiò sulla sua spalla.

« Imponi condizioni molto dure, amica mia … ma accetto. E’ per una buona causa, dopotutto. »

« Questo è lo spirito! »

Entusiasta di aver ottenuto quello che voleva mollò una sonora pacca sulla spalla dell’amica, sorridendo e rimboccandosi le maniche.

« Ho già chiamato Kohaku, arriverà a momenti, piuttosto hai qualcosa di particolare in mente o preferisci lasciarmi carta bianca? »

Kagome sembrò riflettere qualche minuto sulla domanda dell’amica, ma poi, come quando aveva preso il telefono, un fulmine l’attraversò e una nuova idea era nata.

Nel frattempo, nel dipartimento “Shikon”, stavano fremendo i lavori di “bonifica” dell’ufficio per dargli di nuovo un aspetto più decente e meno da campo di battaglia.

Ogni tanto suonava il telefono e Inuyasha, o Kikyo, prendevano la chiamata ascoltando le proposte degli autori per quanto riguardava le storie extra o delle nuove date di consegna.

« Muoio di fame! » sbottò Kikyo ad un certo punto, sbattendo le mani sull’ampia scrivania e gettando gli occhiali sopra un pila di documenti che sarebbero dovuti andare in archivio.

« Se mangio altre schifezze giuro che impazzisco, Inuyasha, ti prego, possiamo ordinare qualcosa da mangiare fuori? Qualsiasi cosa … »

Lo supplicò la ragazza, seguita a ruota dagli altri membri del gruppo, affamati quanto lei, desiderosi di mettere sotto i denti qualcosa di più sostanzioso.

In realtà li capiva anche lui.

Escludendo la sera in cui suo fratello, senza spiccicare parole, era entrato nel suo ufficio e l’aveva trascinato fuori a forza non avrebbe nemmeno cenato decentemente. I tramezzini nelle  macchinette cominciavano a diventare nauseanti, persino per lui.

Sospirò appena, cedendo davanti alle insistenze di Kikyo mentre questa saltellò sul posto. Aveva appena preso in mano il telefono fisso, pronto a chiamare un ristorante cinese non molto lontano, sapendo che faceva parecchie consegne a domicilio anche nella loro zona. Stava per comporre il numero quando un ragazzo apparve sulla soglia del loro dipartimento, in mano reggeva un contenitore termico di metallo che solitamente veniva usato per trasportare il ramen.

« Ho un consegna per il dipartimento “Shikon”. Mi hanno detto che si trova qui. »

« Sì, sei nel posto giusto … » disse Kikyo, accennando un sorriso mentre Bankotsu, più curioso, si avvicinò al ragazzino e lo squadrò con aria pensierosa.

« Sei piuttosto strano, ragazzino, sarai per caso un ninja? » domandò con tono serio, sconcertando i suoi colleghi per quell’affermazione inopportuna.

Il ragazzo era molto giovane, non doveva avere ancora diciotto anni, era piuttosto minuto e teneva i capelli castani raccolti in una coda alta. Indossava abiti sportivi e nella mano libera aveva il casco di una moto.

« No, io faccio solo consegne. »

« Noi non abbiamo ordinato niente, però » concluse tristemente Jakotsu, avvertendo, come gli altri, un leggero profumino provenire dal contenitore.

« Anche se l’idea di rimandare indietro qualcosa che ha un così buon odore mi sembra un peccato mortale. »

Jakotsu, Onigumo, Bankotsu e Kikyo avevano gli occhi lucidi per l’emozione e Inuyasha poté giurare di vedere un rivolo di bava scivolare dal lato delle loro bocche.

« Questo è un omaggio, in verità, da parte della signorina Kagome Higurashi. »

A quel nome il viso di Inuyasha scattò, gli occhi si fecero più lucidi divenendo oro liquido e prima che potesse parlare, chiedere spiegazioni, fu Kikyo a prendere la parola con gli occhi anche più brillanti dei suoi.

« Sul serio?! Quindi … Quello che c’è lì dentro viene dal “Nekomata”, vero? »

« Ecco … Sì … »

Kohaku sembrò sempre più intimidito da Kikyo, davanti a lui con occhi sognanti e le mani congiunte tra di loro. Inuyasha, invece, aveva il capo chino e teneva l’indice premuto contro le labbra in uno dei suoi abituali gesti per nascondere l’imbarazzo.

Kagome aveva pensato a lui e ai suoi colleghi, aveva preparato tutto per loro, nonostante avesse detto che quello era il suo giorno libero.

Non poté trattenersi dal sorridere a quel pensiero e senza perdere altro tempo raggiunse il ragazzo, afferrando il contenitore dalle sue mani e guardandolo negli occhi cercò di mascherare le emozioni che provava come meglio poteva.

Il sorriso, però, non riuscì a cancellarlo dal volto.

« Grazie … Potresti riferire questo a Kagome e alla persona che ha cucinato? »

Il ragazzo annuì, accennò un inchino e si affrettò a tornare ai suoi impegni; era anche la sua giornata libera, dopotutto.

Tutti, senza perdere ulteriore tempo, si alzarono di corsa dai loro posti e si fiondarono nell’area ristoro del loro piano.

Era una stanza semplice con grandi finestre e una serie di tavoli, disposti uno accanto all’altro, vicini e con numerose sedie dove i dipendenti potevano riposare e fare uno spuntino. Inuyasha scosse il capo, trattenendo a stento una risata mentre li raggiungeva con il contenitore.

Kikyo e gli altri lo guardavano come se fosse una sorta di divinità da adorare, gli occhi brillavano in trepidante attesa, in quella circostanza era difficile cercare di tenerli sulle spine e così aprì il contenitore facendo scorrere la placca di metallo verso l’alto.

C’erano cinque piatti al suo interno, coperti da un sottile velo di plastica ciascuno, separati da appositi ripiani di metallo e attirato dal buon profumo ne estrasse uno.

Kikyo saltò sul posto, spaventando i suoi colleghi che la guardavano di sbieco.

« Q-Quello è il famoso risotto con funghi porcini del ristorante “Nekomata”. Ho l’acquolina solo a guardarlo! »

All’interno del piatto, seppure piccolo, era posizionata anche una bellissima forchetta su cui spiccava fiero il logo del ristorante.

Le braccia di Kikyo erano protese verso Inuyasha, gli occhi puntati sul piatto che reggeva in mano e, seppure fosse curioso di assaggiarlo, decise di lasciarlo alla sua più fedele collaboratrice in campo; senza contare che le sue mani lo stavano letteralmente supplicando.

Prese un secondo piatto, ma visto che erano fettine di pollo al curry decise di passare la palla a Onigumo. Non sopportava proprio quel tipo di cibo, era troppo piccante per i suoi gusti.

Gli altri piatti, invece, erano molto vari.

C’erano involtini primavera, requisiti immediatamente da Jakotsu, del riso alla cantonese di cui Bankotsu si appropriò senza troppi complimenti.

L’ultimo piatto, invece, era della semplice yakisoba con tanto di bacchette sistemate con cura sul bordo. Era uno dei suoi piatti preferiti, assieme al ramen che avrebbe potuto tranquillamente mangiare a sazietà.

Certamente più tardi i suoi amici e colleghi lo avrebbero punzecchiato su quel dono da parte di Kagome, ma per il momento si gustava quell’ottimo cibo senza pensare troppo al futuro o al passato. Se avesse pensato troppo, lo sapeva, sarebbe corso da lei ignorando il buon senso e rivelandole tutto quello che lei sembrava aver dimenticato. Si conosceva troppo bene, così non disse niente e si limitò a sorridere in modo più dolce. Nessuno se ne accorse, tranne Kikyo.

Kagome, nel frattempo, stava aiutando Sango a mettere in ordine la cucina del ristorante anche con l’aiuto di Kohaku che era da poco tornato. Aveva riferito il messaggio, raccontando a Kagome quanto entusiasmo quel piccolo omaggio aveva suscitato in tutti e in particolare, ci tenne a sottolineare, nel mezzo demone e in una giovane ragazza parecchio euforica.

Non la conosceva da molto Kikyo, vero, ma sentendo la descrizione della sua reazione non ebbe nessuna difficoltà ad immaginarla.

Aveva organizzato tutto per quei ragazzi che avevano lavorato duramente e anche per Inuyasha, forse, pensò, soprattutto per lui. Era stato un gesto così istintivo e spontaneo che si sorprese lei stessa, in parte era spaventata da quello che aveva appena fatto.

Era stato un errore? No, ma lo era stato ugualmente.

Non poteva affezionarsi troppo a quel ragazzo. Doveva impedirgli di entrare nella sua anima, e nel suo cuore.

« Insomma, Kagome mi stai ascoltando?! » la voce di Sango la riscosse dai suoi pensieri riportandola alla realtà.

Aveva i capelli legati una bellissima coda alta, indossava la divisa della cucina e aveva ancora le mani insaponate.

« Ah scusa … Cosa stavi dicendo? » domandò Kagome, imbarazzata per essersi fatta trovare sovrappensiero dalla sua amica.

Sango sospirò appena, scuotendo il capo prima di riprendere a parlare.

« Volevo sapere cosa avevi deciso riguardo alla sua proposta di convivenza. »

« Ancora non lo so. »

« Io accetterei. Mi sembra il modo migliore per conoscere una persona, in questo modo potrai farti un’idea di chi sia davvero; l’ambiente domestico, in questo contesto, è il migliore di tutti. »

« Non è così facile, lo sai. »

Un ennesimo sospiro e la mora si pulì le mani dalla schiuma del detersivo, chiuse l’acqua e afferrò uno straccio per poi guardare la sua amica con occhi seri.

« Lo so, Kagome, so che non ti piace l’idea che qualcuno arrivi al tuo cuore per una paura che non capisco, ma ormai sei sulla barca e devi remare. L’hai detto tu stessa la settimana scorsa. »

Annuì con un cenno del capo mentre rievocava quella loro conversazione sull’argomento.

Sango la guardò mentre si girava, poggiando le mani sopra i ripiani della cucina e fissando gli occhi nocciola sul pavimento.

Conosceva quella ragazza da moltissimo tempo, forse anche troppo, sapeva che a causa di una brutta esperienza dove aveva visto la morte in faccia parte dei suoi ricordi erano spariti, ma non capiva davvero quella paura di legarsi a qualcun altro.

Non era sbagliato il pensiero in se, ma farsi vincere da quelle emozioni negative non l’avrebbe certo condotta verso la felicità che meritava. Kagome meritava di avere qualcuno accanto in grado di sostenerla, aiutarla e prendersi cura di lei quando la solitudine strisciava dentro l’animo afferrando il suo cuore con le dita sottili.

« Ne parlerò anche con mio nonno. Al cento per cento non sarà d’accordo, ma almeno sentirò anche il suo parere. »

Sango annuì a quella proposta, sorridendo divertita andò a passare il braccio attorno alle spalle dell’amica e l’attirò vicino a lei.

« Niente musi lunghi, avanti! Se la cosa va male, potrai fare come tuo solito e se sarà lui a farti soffrire, invece, ci penserò io stessa a renderlo impotente per il resto della sua lunghissima vita. »

Le parole di Sango avevano sempre un qualcosa di minaccioso, e sentiva un sottotesto riferito a Miroku, quanto bastava per strapparle un sorriso e una risata leggera.

« Riferimenti velati al nostro povero Chef de rang sono puramente casuali, vero? » domandò, rivolgendole un sorrisetto compiaciuto e un’espressione maliziosa.

« Ovviamente! » replicò lei, arrossendo leggermente e liberando l’amica dalla sua stretta.

Ancora una volta si trovò a domandarsi quando quei due si sarebbero fidanzati, le loro uscite, anche se terminavano a suon di coltelli lanciati dalla cucina alla sala, erano risapute e mancava solamente una dichiarazione ufficiale.

Miroku faceva solo “scena” con le clienti, ormai, persino Kagome si era resa conto del cambiamento nell’amico ed era strano che non se ne fosse accorta anche Sango.

Uscite dal ristorante tornarono ognuna ai propri impegni.

Kagome alzò lo sguardo sopra il cielo limpido di quella mattina autunnale. Non c’era una nuvola, solamente l’azzurro più chiaro e un pallido sole che riscaldava la città con i suoi raggi. Rimpiangeva l’estate, da un lato, ma dall’altro amava l’inverno per tutto ciò che portava. Profumi e colori più caldi, rassicuranti. L’inverno era la stagione della calma, e dei ricordi.

Aveva appena raggiunto l’ingresso della metropolitana quando sentì la suoneria del proprio cellulare all’interno della borsetta, una volta aperta vi trovò un numero sconosciuto.

“Scommetto di sapere chi è … “

Pensò divertita Kagome mentre faceva scorrere il dito sopra l’icona verde della chiamata per accettarla.

« Pronto, Kagome? Sono Inuyasha. »

« Lo immaginavo … » rispose lei, accennando un sorriso e cominciando a scendere le scale della metro.

« Volevo solo ringraziarti di persona per quello che hai fatto. Abbiamo tutti apprezzato molto i piatti che ci hai mandato, ma non eri in nessun modo obbligata a fare una cosa del genere e adesso non so come ricambiare tanta cortesia. »

Persino il tono della sua voce era splendido, pensò Kagome, passando sul dispositivo delle porte l’abbonamento.

« No, non ti preoccupare … Era un regalo. Insomma … » sentì le guance riscaldarsi mentre immaginava di sentire da vicino quella voce così bassa, calda e terribilmente sensuale.

« … Io pensavo che avreste apprezzato qualcosa del genere per ritrovare le energie, ecco … »

« La tua idea è stata perfetta, Kagome. Grazie di cuore, domani mattina passo al ristorante per riportarti tutto. E, Kagome … » si fermò un istante, come se stesse valutando le parole che doveva dirle. « Ricordati di darmi anche il tuo indirizzo mail, in questo modo potremo parlare più facilmente. A domani. »

Non aveva risposto, non aveva potuto articolare nessuna frase per rispondere.

La chiamata venne interrotta e lei ripose il cellulare nella borsa. Sentiva ancora le guance arrossate, tant’è che avvicinò una mano per sfiorare con le dita fresche la pelle.

“Sarà difficile … Molto più di quanto pensassi”.

Constatò salendo a bordo della metropolitana.

Tutti i posti erano presi e così, senza perdere tempo, si appoggiò alle portiere opposte che sapeva sarebbero rimaste chiuse.

Nelle sue orecchie risuonava ancora quella voce calda, aveva un tono basso, ma non troppo, sentiva il suo cuore accelerare i battiti per così poco.

Poggiò la nuca contro il vetro delle porte, con gli occhi osservava il proprio riflesso imbarazzato e appena confuso e quasi non si riconosceva.

Era talmente assorta nei suoi pensieri che per un momento mancò la sua fermata, sussultando scese di corsa dalla metro e sospirò sollevata quando i suoi piedi toccarono la banchina. La prossima, pensò, avrebbe allungato la strada verso il tempio di almeno mezz’ora.

Il tempio della sua famiglia sorgeva in cima ad un’altissima scalinata che spesso scoraggiava molti visitatori di passaggio, ma suo nonno la riteneva un buon esercizio sia fisico che spirituale. Spesso le aveva chiesto di prendersi cura del tempio quando non ci fosse più stato, tuttavia, conoscendo bene se stessa, aveva ripetuto che non era in grado di fare la sacerdotessa e i suoi sogni erano altri. Ad aiutare il nonno, oltre a Sota che stava finendo le scuole superiori, c’era anche la giovane Hitomiko. Aveva circa la sua età, solare e molto gentile di carattere, da diversi anni faceva parte della sua famiglia e si era deciso di lasciare a lei il tempio quando il momento fosse giunto. I suoi genitori erano venuti a mancare quando era piccola, non aveva nessun parente e così … una cosa tira l’altra, si era trovata una sorella molto più coscienziosa di lei.

Camminando aveva preso a canticchiare una canzone, non ricordava doveva l’aveva sentita e nemmeno quando, era una melodia nostalgica che l’aiutava a mettere ordine nella sua mente.

Aveva raggiunto l’ultimo scalino quando fu investita da un getto di acqua fresca.

Aprì gli occhi di scatto, sorpresa e sconcertata.

Davanti a lei c’era suo nonno, il respiro affannoso e Sota che cercava di frenarlo trattenendolo per le spalle.

« Sorellina! Nonno, adesso basta dai! »

In mano reggeva un lungo bastoncino di legno con una forma curva, simile a un cucchiaio, usato per le abluzioni dei visitatori del tempio prima di entrare.
“Che diamine sta succedendo qui? Va bene che dovevo fare la doccia, ma questo mi sembra un tantino esagerato”.

Lanciò un’occhiata molto significativa verso suo nonno e poi verso Sota, mentre questo cercava di strappargli dalle mani l’oggetto malefico. Sospirò esausta mentre spostava lo sguardo di lato e per poco non saltò sul posto.

Accanto lei, fradicio completamente, c’era il padre di Inuyasha. La sua espressione era perfettamente tranquilla, sembrava quasi non gli importasse di essere zuppo di acqua e teneva le braccia conserte e le mani nascoste nel risvolto del kimono.

« S-Signor Akio … »
Il demone aprì gli occhi, rivolgendo un sorriso gentile a Kagome mentre si voltava completamente verso di lei.

« E’ un piacere vederti, Kagome, spero vorrai perdonare questa mia visita intempestiva ma avevo necessità di parlare con te e la tua famiglia. »

Il padre di Inuyasha non era assolutamente meno affascinante del figlio.

Lunghissimi capelli argentei venivano trattenuti da una coda alta risplendevano al sole e l’acqua gettata dal nonno non faceva che risaltarne i riflessi, gli occhi erano un intenso color oro, molto più simile all’ambra, pensò Kagome, trovando una differenza abissale con quelli di Inuyasha che invece le ricordavano più il sole.

La sua presenza era imponente, incuteva timore e rispetto, ma il suo volto era chiaramente gentile e i suoi modi di fare erano impeccabili ma senza sfociare nella falsità.

Kagome si trovò ad arrossire mentre lui la guardava senza esitazione negli occhi, chinando il capo per l’imbarazzo e sistemando nervosamente la borsa contro la spalla.

« N-No, si figuri … anzi, la prego di seguirmi. Preparo subito il thé. »

Il nonno non era assolutamente d’accordo, lo sentiva dal tono di voce, ma decise di ignorarlo come aveva fatto il padre di Inuyasha quando lei era arrivata. Almeno per il momento, pensò.

Sota era accanto a lui, cercando di calmarlo e ricordandogli che non erano più nel medioevo ma nel ventunesimo secolo ormai. Il mondo era diverso.

Sbuffando e lamentandosi, alla fine anche lui si arrese, convinto da Sota ad ascoltare le ragioni di quell’uomo che si era lasciato inzuppare senza battere ciglio.

Salve a tutti!

L’avete chiesto a gran voce (circa) per cui io, dall’alto della mia infinità bontà (ma dove?) ho deciso di anticipare le date di uscita di questa nuova storia a martedì! Ebbene sì, gente! Avrete più tempo per gustarvi la storia.

Al solito, ringrazio tutti voi che avete recensito, aggiunto la storia ai preferiti o tra le seguite, siete tantissimi e vi ringrazio dal profondo del mio cuore.

Fate così tanti complimenti che non faccio altro che imbarazzarmi, sul serio.

Ora, ho notato che molti si sono stupiti della proposta di Inuyasha ma, visto che sono una vecchia studentessa universitaria, l’ho vista solo come una proposta pratica per ridurre le spese dell’affitto. Non volevo sembrare troppo “frettolosa”, ma era l’unica soluzione per portare avanti la storia come avevo previsto.

Tornando a noi: nel prossimo capitolo morirà il signor padre (Valar Morghulis, gente, tra poco ricomincerà tutto! – pubblicità semi occulta -), gli alieni invaderanno la città e …

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nah, niente di tutto ciò! Nel prossimo capitolo conosceremo Koga, tra le altre cose, assieme a un Naraku che … beh … se Kikyo vi è piaciuta sono certa che lo “adorerete” (spero).

Bene, dopo questi piccoli spoiler vi lascio al prossimo aggiornamento

Un abbraccio fortissimo <3 <3

Scheherazade ~

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Un invito speciale ***


-Capitolo 5-

 

La situazione all’interno della casa era più tesa di una corda di violino.

Il nonno, seduto dalla parte opposta del tavolo, non faceva che lanciare occhiate di fuoco al padre di Inuyasha mentre Sota, accanto a lui, cercava di calmarlo e farlo ragionare.

In realtà, Kagome era lieta che quell’uomo, quel demone, fosse venuto a trovarla. Aveva alcune cose da chiedergli, sia in base al contratto e sulla signora Izayoi.

Sospirò pesante mentre cominciava a versare la bevanda calda in quattro tazze di ceramica poste sopra un vassoio, i dolcetti, per sua fortuna, erano già posti al centro del tavolo e ora non restava altro che affrontare la tempesta.

Il nonno sembrava essersi calmato, constatò Kagome tornando in sala, poggiando il vassoio sul tavolo e servendo per primo il suo ospite.

« Ti ringrazio molto, Kagome. » disse il demone, sorridendole in modo cordiale e avvicinando la mano artigliata alla tazza per avvicinarla a se.

Lei ricambiò il sorriso guadagnandosi un occhiata di fuoco da parte del nonno, occhiata che spense con una altrettanto severa mentre gli porgeva la sua tazza di the.

Fu lei a sedersi per ultima, sistemandosi a capo tavola e osservando l’uomo alla sua destra con una certa curiosità.

« Ecco, signor Akio … »

« Niente formalità, ti prego, mi fa sentire terribilmente vecchio … »

« Signor Akio … » ribadì lei, decisa a mantenere almeno quell’aspetto informale del loro rapporto.

« Ha detto che aveva una questione importante da discutere con noi, se non sbaglio. »

L’uomo annuì mentre accennava un sorriso, colpito dalla testardaggine di lei ma anche ammirandola per questa sua indole.

Dai risvolti delle maniche del suo kimono nelle cui pieghe si trovavano le mani estrasse una fotografia, la teneva tra le dita artigliate e solo dopo averla riguardata malcelando una certa malinconia, la posizionò sul tavolo dove tutti potevano vederla.

Kagome venne completamente catturata da quell’immagine ingiallita dai colori seppia, molto vecchia, certo, ma gli edifici dietro le due ragazze li conosceva e sapeva che non potevano avere più di una quarantina, massimo cinquantina d’anni.

Le due ragazze ritratte altri non erano che sua madre, Yukiji, e quella che doveva essere la madre di Inuyasha, Izayoi.

Indossavano una divisa alla marinara con una gonna molto più lunga rispetto ai canoni moderni. Il braccio di una era stretto nella presa dell’altra, sorridevano felici alla telecamera mentre sua madre – e sorrise anche più divertita a quello che vedeva – reggeva in mano un cono gelato con almeno tre gusti e sopra una spruzzata leggera di panna. Era come piaceva a lei.

L’altra donna, invece, aveva lunghissimi capelli scuri che incorniciavano un volto dai lineamenti eleganti da apparire perfetta sotto ogni punto di vista. Le bastò quell’immagine per capire come mai quel demone davanti a lei si fosse innamorato di un essere umano.
“E’ davvero bellissima … “

« Ho trovato questa tra le cose di Izayoi l’altro giorno.

Sul retro della foto c’era una dedica, da parte di Yukiji Higurashi, in memoria dei vecchi tempi passati al club di tiro con l’arco. » spiegò velocemente il demone, tornando a nascondere le mani dentro le pieghe del kimono.

Sota guardava rapito la foto, soprattutto con una mamma a lui sconosciuta, immaginandola alla sua età, circa, mentre il nonno passava una mano sulla barba osservando quella fotografia.

« Izayoi era più grande di vostra madre, a quanto ho capito, tuttavia non mi ha mai parlato direttamente di lei o di quello che aveva in mente con quel contratto. »

Tutti a quel tavolo, Sota compreso, si accorsero che c’era qualcosa di strano nel racconto del demone. Non era falso, la foto diceva il vero, ma la sensazione strana veniva dal modo in cui si riferiva alla moglie chiamandola solamente con il suo nome.

Kagome ricordò la sera in cui lo incontrò assieme anche all’altro suo figlio, un ragazzo davvero stoico e rigido, non dimenticò facilmente l’occhiata gelida che la trapassò da parte a parte quando chiese al signor Akio se la firma sul documento era della moglie. Lui rispose solamente che sì, era la firma di Izayoi, senza fare nessun accenno a “moglie”.

« Questo ci porta al motivo della mia visita oggi. »

A quell’ultima parte del discorso gli sguardi di tutti scattarono dalla fotografia al demone, curiosi e attenti.

« Nei prossimi giorni, Sesshomaru, mio figlio più grande, presenterà in famiglia la sua fidanzata e date le circostanze attuali, Kagome, mi piacerebbe che fossi presente. »

« Perché? » domandò la ragazza, inarcando le sopracciglia e fissandolo curiosamente.

« Perché, vista l’attuale situazione , ti considero parte della nostra famiglia e anche Inuyasha era d’accordo … »

« Cosa?! »

Kagome era sempre più allibita da quell’assurda situazione: ma i demoni come ragionavano?

« In effetti, mio figlio è parecchio strano di recente. Solitamente rifiuta questi eventi con la scusa del lavoro ma stranamente ha detto, testuale: “se Kagome accetta, per me non ci sarebbero problemi a venire”.  Tutto qui. Evidentemente gli sei piaciuta subito. »

Le rivolse un occhiolino ammiccante mentre la ragazza sentiva le orecchie, e parte del viso, prendere fuoco per l’imbarazzo.

Il nonno non aveva molto apprezzato quell’ultima parte del discorso. Infatti, si era alzato in piedi, agitando un pugno con fare minaccioso ma venne prontamente fermato da Sota che sviò la sua attenzione.

Il tutto con il grande sollievo di Kagome che poté tirare, almeno in parte, un sospiro di sollievo e poté tornare a rivolgere la sua attenzione al demone.

Aveva molte domande da fare, ma dopo il suo discorso decise di non farle. Se lui non sapeva niente, era completamente inutile e le perdite di tempo non le piacevano molto. Una cosa, però, ci teneva ugualmente a sapere.

« Signor Akio, la signora Izayoi tra le sue cose aveva per caso un diario … o qualcosa del genere? »

« Non saprei proprio … » rispose sinceramente il demone, scuotendo il capo. « Non ho mai … Non ho mai voluto sistemare davvero le sue cose, un mio errore.  Ho trovato questa fotografia quasi per caso, in effetti, ma se vuoi cercare qualcosa puoi venire quando vuoi. »

Qualcosa in quel discorso la turbava un pochino e decise di esprimere tranquillamente la sua opinione a riguardo.

« Ecco … Non dovrei chiedere anche a Inuyasha? Insomma … Dovrei frugare tra le cose di sua madre, non so quanto potrebbe fargli piacere … »

Sul volto del demone comparve un sorriso che non gli aveva mai visto fare prima.

Era molto malinconico, ma non era quel tipo di malinconia che tu potevi trovare in qualsiasi sguardo, no, questa aveva radici ben più profonde.

Kagome non conosceva la sua situazione, ma aveva incontrato, di tanto in tanto, alcuni demoni al locale cimitero che andavano a offrire le loro preghiere in occasioni speciali. Erano tombe umane, per esseri umani.

I demoni avevano il vantaggio di vivere per molti, moltissimi anni e quando si legano a un essere umano sono ben consapevoli che il tempo scivolerà via sempre dalle loro mani. Eppure, sono disposti a sopportare un dolore così lacerante in nome dell’amore. Quel sentimento che secondo molti non potevano possedere, in quanto creature maligne.

« Hai ragione, ad ogni modo … Sarei lieto che accettassi la mia offerta. Sarebbe una scusa per avere di nuovo la famiglia tutta riunita. Non sono cose che capitano spesso, ormai. »

Se Akio, il padre di Inuyasha, parlava in quei termini non c’era molto che poteva fare per rifiutare e così annuì con un cenno di assenso subito dopo aver sospirato rassegnata.

“Si è anche preso una doccia per colpa di mio nonno, mi sembra il minimo che posso fare”.

Il demone decise di lasciare alla ragazza la fotografia che aveva trovato, sorridendole in modo cortese come prima, suo nonno invece non aveva detto una parola e si era limitato a bere il suo the.

Fu Sota, sorprendendolo, a rivolgergli la parola ponendogli una serie di domande con gli occhi brillanti di curiosità.

L’uomo non sembrò dispiacersi di quella curiosità e così rispose a tutte le domande di Sota, soddisfacendo così anche la curiosità di Kagome che però, a dispetto del fratello, non osava porre domande così dirette.

Akio era un demone maggiore, uno tra i più potenti nel clan dei cani, durante l’epoca Sengoku era stato un temuto generale che aveva combattuto contro i più temuti demoni che loro studiavano nei libri di Storia. Kagome fu sorpresa nell’apprendere la notizia che fu proprio lui, moltissimi anni prima della sua nascita, a uccidere il grande demone drago celeste Ryukotsusei; quella storia era entrata nella leggenda, ma nessuno riportava mai i nomi di compiva tali gesti. Si era ritirato in seguito all’apertura verso le modernità, aiutando il paese da dietro le quinte ma senza intervenire in maniera drastica come una volta. Nel presente, aveva una brillante carriera come giocatore di shogi e deteneva uno dei gradi più alti: Meijin a vita.

“Uno dei vantaggi di avere una vita lunga … “ pensò Kagome, riflettendo su quanto avesse faticato per ottenere quel titolo.

Suo nonno si ammorbidì un poco quando venne toccato quell’argomento e cominciò a fare anche lui qualche domanda ricordando di quando in gioventù aveva provato a partecipare a qualche torneo, ma senza ottenere grandi risultati. Il demone fu sorpreso, ma non tanto quanto Kagome, al vederlo così cordiale nei suoi confronti ed estese il suo invito a trovarlo ogni qualvolta avesse desiderato fare una partita.

Il nonno sembrò riprendersi e con un colpo leggero di tosse ammise che ci avrebbe pensato attentamente. Kagome, nel frattempo, pensò che quella proposta era una semplice scusa per evitare altre docce da parte del nonno. Una scelta saggia.

Alla fine, dopo aver conversato ancora un po’ con il nonno e Sota, prese congedo salutando la famiglia e promettendo a Kagome di avvisarla quanto prima per la serata in famiglia.

Non era ancora molto convinta, ma oramai non poteva più tirarsi indietro, e così lo salutò con un sorriso leggero mentre si allontanava con passo lento dalla loro dimora nel tempio.

Dopo un pomeriggio come quello, pensò Kagome, probabilmente non avrebbe voluto fare altro per il resto della serata.
“Avrei voluto parlare al nonno di quella faccenda, ma meglio non metterlo troppo alla prova per oggi”.

Aveva avuto fortuna per quella giornata, meglio non sprecarla. Hitomiko arrivò poco dopo, aiutando il nonno a sistemare alcune cose e dando una mano in casa. Sota, invece, avrebbe passato la serata a casa di un amico per prepararsi agli esami.

Kagome, invece, si ritirò nella sua camera.

Stesa sul morbido letto, posto accanto alla parete, tenne tra le dita sottili la fotografia lasciata dal loro inusuale ospite.

« Mamma … A cosa stavi pensando quando hai firmato quell’assurdo contratto? » pensò a voce alta, lo sguardo assorto intrappolato nei dettagli di quella vecchia immagine.

La girò tra le dita e dietro c’era una dedica: “In memoria dei giorni trascorsi al club di Kyudo. Yukiji Higurashi”.

Non conosceva la donna accanto alla madre. Non sapeva quali potessero essere i suoi pensieri e si trovò a pensare che fosse un peccato non averla conosciuta quando ancora era in vita.

C’erano tante cose che non ricordava più di sua madre, tante cose che non conosceva, sentire i racconti di qualcuno che l’aveva conosciuta direttamente in gioventù avrebbe giovato anche a Sota. L’avrebbe aiutato a sentire la madre più vicina.

Si girò di lato sul letto lasciando cadere le braccia oltre il bordo, gli occhi nocciola persi a fissare un punto distante e lontano nelle linee composte dal legno del suo armadio.

Una parte di lei, quella più inconscia, voleva chiamare Inuyasha e chiedergli qualche spiegazione e il permesso per vedere le cose di sua madre. Voleva risentire quella voce calda e sensuale sfiorarle le orecchie.

La fotografia le scivolò dalle dita danzando come una foglia d’autunno verso il pavimento, la stessa mano che reggeva la fotografia si posizionò sul collo e l’altra seguì il suo esempio. Accarezzò leggermente la pelle del collo, provocandosi leggeri brividi sfiorando con i polpastrelli i punti in cui si trovavano le vene. Sentiva i battiti del suo cuore, impetuosi come una tempesta.

Chiuse gli occhi, lentamente, rigirandosi supina nel letto e fissando poi gli occhi sul soffitto. Si sentiva sconfitta in quel momento, soltanto pensare a lui, ad Inuyasha, la faceva sentire in pace nonostante il cuore battesse furiosamente. Alcuni filosofi buddisti sostengono che riesci a riconoscere la tua anima gemella quando ti senti calmo, senza provare ansietà o agitazione. Questo pensiero la spaventava enormemente, da un lato, mentre dall’altro aveva la sensazione che non ci fosse niente di più giusto che potesse fare.

Quando giunse finalmente la mattina Inuyasha, come aveva promesso, si recò al “Nekomata”.
Aveva una stranissima espressione in viso, come se avesse percorso la maratona e al traguardo avesse perso, teneva il capo chino mentre due braccia esili erano strette attorno al suo collo. La proprietaria, Kikyo, infatti era letteralmente appesa al suo capo e non faceva che saltellare entusiasta.

« Sono così contenta che mi hai permesso di venire con te, Inuyasha. Quasi non ci credevo quando mi hai invitata. » disse Kikyo, gli occhi brillanti fissi sull’insegna del locale.
Inuyasha sospirò, spostando stancamente lo sguardo a Kikyo.

« Guarda che io non ti ho invitata … »

« Davvero? Non ci ho fatto caso. » rispose lei, guardandolo perplessa mentre Inuyasha emetteva l’ennesimo sospiro.
Era inutile: Kikyo sentiva solo quello che voleva sentire, soprattutto quando si trattava di cose che la interessavano.

Aveva chiamato Kagome quella mattina, per essere sicuro che fosse al ristorante in giornata, era stato piacevole chiamarla con quella scusa e ancora più piacevole sarebbe stato se non avesse avuto dietro l’accompagnatrice inopportuna del momento.

Il problema era sorto quando aveva telefonato in ufficio.

Sarebbe stato meglio se a rispondere fosse stato Onigumo, era un tipo abbastanza tranquillo (tranne quando si entrava nella fase critica) e solitamente si risparmiava dalle battutine, ma per sua sfortuna aveva risposto Kikyo che non solo gli aveva detto che avrebbe avvisato il capo per conto suo ma che sarebbe venuta lei stessa per salutare e ringraziare Kagome.

Non aveva nemmeno fatto in tempo a dirle qualcosa.

E così, con lei appiccicata come un koala, strana malattia che colpiva tutti i suoi collaboratori a quanto sembrava, aggirò l’edificio andando verso una strada adiacente.

Pochi passi e si trovarono davanti a un cancello di metallo scuro, accanto ad esso c’era una porta con un citofono e si diresse verso di esso per suonare e annunciarsi.

Aveva appena premuto il tasto che la porta si spalancò di colpo, Inuyasha e Kikyo fecero appena in tempo a spostarsi per evitare un ragazzo e un coltello da cucina, lungo e sottile, che si era conficcato nella porta.

“In che razza di posto lavora?!” pensò Inuyasha, guardando la lama del coltello e il ragazzo appena uscito.

Aveva indosso un paio di pantaloni scuri, una camicia bianca con le maniche arrotolate malmessa e un papillon, sciolto, attorno al collo. I capelli scuri erano legati da un codino basso.

Il suo sguardo si fece più gentile mentre gli occhi scuri si posavano su Kikyo la quale aveva lasciato la presa dal corpo di Inuyasha nel mentre, sorridendole in modo solare e avvicinandosi per prenderle una mano che tenne nelle sue con gentilezza.

« Voi siete davvero una fanciulla di rara bellezza, sapete? »

Kikyo non era abituata ad approcci così diretti.

La conosceva da quando aveva cominciato a lavorare per la collana “Shikon”, aveva scelto di editare manga per via del suo carattere schivo e un po’ altero che rendeva difficile per chiunque fare conoscenza. Tuttavia, era soltanto apparenza. In realtà, Kikyo era molto dolce e gentile ed estremamente romantica.

Le guance presero immediatamente colore mentre ritirava la mano da quella del ragazzo, stringendola al petto e chinando il capo.

« Vi burlate di me? » domandò, modesta come sempre mentre prendeva a torturare la punta della lunga treccia in cui aveva legato i capelli. Il ragazzo le rispose con un sorriso cordiale mentre Inuyasha, allibito, non sapeva se intervenire o meno.

« Affatto, la vostra visione basta a purificare il mio sguardo. »

« M-Ma cosa dite? »

« La verità, mia dolce fanciulla. »

Inuyasha aveva gli occhi spalancati e guardava la scena con la bocca spalancata, perfetta per un nido di mosche.

Kikyo sembra a disagio e non sapeva cosa rispondere ma un suono dal locale, come qualcosa che si rompeva, ruppe quella sorta d’incantesimo e il viso del ragazzo cambiò colore divenendo violaceo.

« Vogliate scusarmi, una commissione attende la mia presenza. E’ stato un piacere. »

Un occhiolino e prima di andarsene, con un movimento fluido, sfiorò il fondoschiena della ragazza facendola sobbalzare sul posto e gettandola tra le braccia di Inuyasha che stavolta lo fissò furente.

« Dannato maniaco … » mormorò sottovoce, allentando la presa di Kikyo dal suo corpo e scuotendo il capo.

Sulla soglia della porta spalancata da prima apparve una ragazza.

Aveva lunghi capelli scuri trattenuti in una coda alta, la divisa tipica di chi lavora in cucina con quella strana giacca bianca dai doppi bottoni e i pantaloni a quadretti, gli occhi nocciola e un filo di trucco leggero sul volto. Senza troppi complimenti estrasse il coltello dalla porta e lanciò un occhiata strana nella loro direzione, causando uno strano brivido di terrore lungo la schiena del mezzo demone.

“Ho una bruttissima sensazione … Davvero molto brutta. I miei sensi demoniaci sono tesi”.

Deglutì appena mentre Kikyo, senza troppi complimenti, staccò dalle mani del suo capo il contenitore che erano venuti a riportare guardando la ragazza con occhi brillanti.

L’aveva riconosciuta immediatamente, dopotutto, pensò, era identica alle fotografie uscite sui giornali. Quella era Sango, lo Chef ufficiale del ristorante e una tra le migliori della città.

« Voi siete i ragazzi della casa editrice, vero? » domandò all’improvviso la ragazza.
« Ecco … Sì, siamo noi. » rispose Inuyasha, ancora teso e con un occhio fisso sul coltello che la ragazza teneva in mano.

Quest’ultima parve notare il suo sguardo preoccupato e si lasciò scappare una veloce risata avvicinandosi a Kikyo nel frattempo e prendendole di mano il contenitore che avevano riportato, sorrise appena mentre faceva vedere la lama affilata dell’oggetto.

« Un bel gioiellino, vero? E’ perfetta per fare a fettine sottili i maniaci che lavorano in sala e che si permettono di allungare troppo le mani. »

“Allora quel ragazzo è recidivo” pensò Inuyasha, mentre guardava con preoccupazione crescente la luce omicida negli occhi della ragazza.

« Forza, venite dentro a salutare Kagome. Vi avverto, però, potrebbe essere un po’ giù di morale. »

« E’ successo qualcosa? » domandò Inuyasha celando la sua reale preoccupazione.

Seguirono la ragazza all’interno della porta trovandosi davanti a un corridoio un po’ stretto.
Alla fine c’erano delle scale mentre sul lato destro, invece, c’era una porta con una targhetta che diceva cucina e, invece, sul lato sinistro una porta con una targhetta più semplice su cui erano disegnati in sagome un uomo e una donna.

« Non proprio … » continuò Sango, aprendo la porta della cucina e facendo cenno loro di entrare.
Era contro le norme di sicurezza e d’igiene, vero, ma poteva essere una scusa per sfruttare gli stagisti che venivano mandati ogni tanto.

« Il nostro capo, Naraku, ha appena chiamato … » pronunciando quel nome il viso di Sango sembrò svuotarsi, impallidendo completamente. « Ha detto che sarebbe passato oggi e vuol dire solo una cosa: stress. »

Passando dalla cucina Kikyo si guardava attorno, entusiasta come poche volte, memorizzando ogni piccolo dettaglio e strumento che veniva utilizzato.
Quando aprì la porta a spinta che li separava dalla sala, anche Inuyasha, come Kikyo, rimase completamente rapito dalla sala.

Sango, che aveva lasciato giù in cucina il contenitore e il coltello – soprattutto quello -, osservava compiaciuta l’espressione sbalordita degli ospiti della sua amica.

Aveva riconosciuto immediatamente Inuyasha dalla descrizione di Kagome, grazie anche a quelle simpatiche piccole orecchie che aveva sul capo e ne dava atto; erano davvero la cosa più adorabile che avesse visto.

La sua amica, in compenso, era seduta su una sedia davanti al tavolo su cui poggiava il suo portatile. La schiena era riversa all’indietro, il capo piegato leggermente poggiava contro la spalla e gli occhi e il viso erano completamente spenti. Tutto di lei, era circondato da un’aura oscura.
Quella scena ricordava a Inuyasha se stesso e i suoi colleghi al termine del periodo infernale, quando ogni cosa veniva consegnata e tutto era finito, ma non era allo stesso livello; da loro c’era molta più disperazione.

Fu Kikyo la prima ad avvicinarsi, preoccupata, punzecchiandole la spalla con un dito aspettando una sua reazione. Nulla, non accadde niente.

« Inuyasha, pensi sia morta? » domandò innocentemente, continuando a punzecchiarla con il dito.

Nel frattempo, al dipartimento “Shikon”, il gruppo di editori continuava il proprio lavoro anche con più impegno per compensare l’assenza del loro capo.

« Che dici, fratello, Inuyasha riuscirà a parlare con la ragazzina? » borbottò Bankotsu, rilassandosi contro la propria sedia e stiracchiandosi un pochino. Era da troppo tempo fermo, aveva bisogno di sgranchire i muscoli.

« Con lui c’è anche Kikyo, giusto? Allora non molto. »

« Scusate … » esordì Onigumo, alzando gli occhi dallo schermo del portatile.
Aveva degli occhi castano scuri piuttosto comuni, un viso dai tratti un po’ affilati e i capelli scuri sembravano il nido di qualche animale.

« Io non ho capito molto questa storia. Chi è quella ragazza che ci ha mandato il pranzo ieri? »

« Ah vero, Onigumo caro, tu sei arrivato da poco e quindi non lo sai … » rispose Jakotsu, tirandosi in avanti e incrociando le braccia sopra il tavolo.

« Devi sapere che … »

« Allora?! Dov’è finito quel botolo ringhioso?! » sbottò una terza voce proveniente dal corridoio e che interruppe Jakotsu.

Nel dipartimento “Shikon” comparve un ragazzo, un demone anche lui.

Aveva lunghi capelli scuri legati in una coda e una bandana di pelle, a quanto sembrava, copriva parte della fronte e della frangia. Gli occhi azzurri esaltavano il completo che indossava.

Entrò a grandi falcate, raggiungendo Bankotsu e sbattendo una mano contro il tavolo.

« Ha preso una mezza giornata di permesso. » rispose placidamente, gli occhi fissi sullo schermo e le dita intente a battere sulla tastiera a grande velocità.

« Cosa?! Proprio oggi che ero venuto apposta per fargli il sedere a strisce … chiamalo e digli di tornare prima. »

Bankotsu, Jakotsu e Onigumo si lasciarono ad andare ad un sospiro di gruppo.
Era inutile, niente poteva fermare Koga, il demone a capo del dipartimento finanziario (o vendite).

Salve a tutti!

Allora, allora e ancora allora.

Volete la sincera verità? Mi stavo dimenticando di scrivere in questi giorni ma ho una scusa più che valida a questa mia mancanza: ho scoperto come far andare la playstation sul mio computer. La mia vita sociale, già esigua, è diventata ancora più esigua Ahahahaha!

Veniamo a noi!

Come promesso, a fine capitolo, abbiamo visto l’entrata in scena di Koga e nel prossimo conosceremo Naraku.

Cos’altro accadrà? Assisteremo a un ballo sexy o alla hula? Oppure alla danza Kita Kita? Se non capite quest’ultimo riferimento vi disconosco tutti!!

Scherzo!! Ahahaha!

Al solito, ringrazio tutti per le recensioni, i complimenti, o semplicemente perché avete aggiunto la storia ai vostri preferiti o tra le seguite.

Vi ricordo, se non avete da fare, le altre storie a cui sto lavorando tra cui: “Il marchio del drago” e “9 persons; 9 hours; 9 doors” che aggiornerò nel primo pomeriggio.

Al prossimo aggiornamento.

Un abbraccio forte <3

Scheherazade ~

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il Nekomata ***


-Capitolo 6-

 

Quando Naraku aveva chiamato per annunciare il suo imminente arrivo al locale aveva sentito un brivido attraversare la sua anima, lo stesso presagio che aveva colpito tutti i dipendenti e che si erano dati alla fuga. Miroku era stato il primo, approfittando dell’ira di Sango si era dato alla macchia prima dell’arrivo del suo capo. Era immersa nella sua personale disperazione quando aveva sentito qualcosa punzecchiarle il braccio insistentemente. Voci lontane sembravano risvegliare la sua coscienza, costringendola, seppure controvoglia, a tornare nel mondo dei vivi.

Quando i suoi occhi si riaprirono si trovò davanti il viso di Inuyasha e quello di Kikyo, entrambi preoccupati per quella sua strana espressione.

« Siete già arrivati? » domandò, tirandosi su con la schiena e sgranchendo un pochino i muscoli tesi delle spalle.

« Siamo qui da un po’, in effetti. » rispose Inuyasha mentre Kikyo, preoccupata che potesse sembrare scortese, gli rifilò una gomitata nel fianco per mozzargli il respiro e farlo tacere per qualche attimo.

Kagome, tuttavia, sembrava non badare affatto a queste inezie.

« Ancora una manciata di dolcissimi secondi, prima che il motivo di tanta disperazione mi torni alla mente … »

« Lo Chef ha detto che doveva arrivare il tuo capo, o qualcosa del genere … » rispose istintivamente Kikyo, ricordando bene le parole di Sango a riguardo e subito, come una molla, Kagome scattò in piedi cominciando a sudare freddo.

Inuyasha adesso era davvero curioso: che persona era il suo capo per procurarle una simile reazione?

« E’ una persona così orribile? » domandò Inuyasha, vinto dalla curiosità.

Sia Sango, avvicinatasi per ascoltare la conversazione, e Kagome guardarono perplesse il mezzo demone e poi scossero vivacemente il viso trattenendo a stento una risata.

« No, affatto … » rispose Kagome, sorridendo divertita. « E’ solo una persona molto stressante quando ci si mette, insomma … una persona problematica ma non in senso completamente negativo. Un po’ come Jakotsu, ecco. »

Stavolta fu Inuyasha a rabbrividire.

Ogni tanto, lo confessava a se stesso, aveva paura delle sue eccessive esternazioni di affetto e più di una volta aveva dovuto mettersi in salvo le labbra e non solo.

« Allora posso capire, anche troppo bene … »

« Kagome! »
Le braccia di Kikyo si allacciarono velocemente attorno al collo della ragazza, colta di sorpresa da una tale manifestazione di affetto, fece appena in tempo a reggersi al tavolo per non cadere a terra come un sacco di patate.

« Non so come ringraziarti per il pranzo che ci hai mandato l’altro giorno! Mi hai salvato la vita. Ero morta, ma dopo aver assaggiato il risotto con i funghi porcini sono tornata in vita. »

« Mi ha persino chiamato nel giorno libero per prepararvi tutto … » aggiunse Sango, guardando con una strana espressione compiaciuta la sua amica. Kagome, infatti, fu colta da un improvviso moto d’imbarazzo e si affrettò a rispondere qualcosa a Sango ma Inuyasha non stava ascoltando quella parte del discorso.

La prima parte, quella sì che l’aveva sorpreso e fu faticoso comportarsi come se la cosa non l’avesse emozionato. Kikyo, ancora attaccata come un koala a Kagome, aveva scorto quel leggero colore sul guance del capo per non parlare delle orecchie che si erano mosse velocemente come per scacciare una mosca. Non capiva per quale motivo non voleva parlarle, anche se aveva dimenticato, pensò, non valeva il suo silenzio. Doveva sapere.

Conoscere la verità su quel contratto, forse, avrebbe reso la loro relazione molto più semplice.

« Ad ogni modo, Inuyasha, non mi sono presentata e ti chiedo scusa. »

« Tu però sai come mi chiamo … »

« Kagome non parla d’altro che di te … » aggiunse divertita, ridacchiando nel vedere l’amica seriamente in imbarazzo per quello che aveva detto. Inuyasha, era nelle medesime condizioni ma lo mascherava più abilmente.

« Io mi chiamo Sango ed è un vero piacere per me conoscerti. » allungò la mano verso di lui, sorridendo cordiale mentre Inuyasha ricambiava il gesto senza esitare.

« Piacere mio, Sango, il mio nome già lo sai, a quanto vedo, mentre la ragazza appesa come un koala a Kagome è una mia collaboratrice. Kikyo. »

La ragazza, nel frattempo, aveva lasciato Kagome per avvicinarsi al suo capo e tirargli uno scappellotto; la punizione divina per il paragone appena fatto.

Kagome li osservava e non poté fare a meno di pensare che fossero una bella coppia, a modo loro. L’altro giorno, quando era andata alla casa editrice, il discorso di elogio fatto da Kikyo nei confronti del duro lavoro di Inuyasha l’aveva davvero colpita e ci aveva pensato molto.

“Forse le piace … “ pensò, celando appena a se stessa un punta di amarezza.
Lei sarebbe stata perfetta per lui.

Questo pensava con assoluta sicurezza.

Sango, accorgendosi di qualcosa nello sguardo dell’amica, decise che era il momento di correre ai ripari e così si avvicinò a Kikyo.

« Visto che il mio risotto ti è piaciuto così tanto, vorresti avere la ricetta segreta? »

A quella domanda gli occhi della donna s’illuminarono immediatamente e annuì più volte con il capo, affiancandola con sguardo adorante e seguendola mentre si allontanava nella cucina.
Adesso erano soli.

“E’ la prima volta che rimaniamo noi due da soli. Alla casa editrice abbiamo parlato poco … “

Kagome sentì uno strano nervosismo pervaderla a quel pensiero, nemmeno fosse una ragazzina.

« Ho saputo che mio padre è passato a trovarti … » esordì Inuyasha, rompendo quel silenzio che si era improvvisamente creato.

Kagome sobbalzò un pochino, voltandosi verso il mezzo demone e annuendo con un cenno del capo.

« Sì, infatti, mi ha parlato della cena e mi ha mostrato una vecchia foto delle nostre madri. »

« Capisco … » rispose semplicemente, passando una mano dietro la nuca e cercando di nascondere ai suoi occhi attenti un lieve cenno di preoccupazione.
« Tu ne sapevi qualcosa? »

« Prima di qualche settimana fa no.

Ho letto un vecchio diario dei tempi del liceo di mia madre e lì ho scoperto che frequentavano lo stesso club di Kyudo, come sempai e kohai, ma non c’era molto altro. Forse qualche altra foto, ma niente di particolare. » spiegò Inuyasha, accennando un mezzo sorriso velato dalla stessa malinconia che aveva visto prima negli occhi del padre di lui.

Tante cose ancora non capiva, soprattutto del rapporto tra Izayoi e Akio, e chiedere spiegazioni le sembrava inopportuno. No, se doveva scoprire qualcosa avrebbe dovuto farlo completamente da sola.

« Ecco … Pensi che sarebbe possibile, se non ti è di peso chiaro, per me leggere quel diario … »
« Certo, non vedo perché no! » rispose lui, sorridendole in modo dolce.

Quel sorriso.

Kagome rimase incantata a guardarlo, come se, molto tempo fa, lo avesse già visto e il suo cuore mancò di qualche battito.

Non capiva perché, guardarlo sorridere le procurava una sensazione nostalgica e piacevole. Molto piacevole.

Deglutì il vuoto, fissandosi a guardarlo ormai completamente catturata da quegli occhi dorati.

Inuyasha si era accorto dello sguardo assorto di lei e per un momento si sentì pervadere dalla speranza, un barlume nell’oscurità ma poi, stirando leggermente le labbra, capì che non era davvero possibile.

Se finora non aveva mostrato nessun cenno, non c’era speranza che ricordasse e questo lo feriva più di quanto desse a vedere.

Perché non ricordava? Avrebbe tanto voluto farle questa domanda, conoscere la ragione di quel cambiamento nel suo carattere eppure taceva. Taceva perché voleva aspettare che lei ne parlasse apertamente.

“Anche se non ricorda, però, non vuol dire che non ho speranze”.

Questo pensiero solamente bastava a dargli speranza.

Per questo le si avvicinò improvvisamente, chinando il capo lateralmente e guardandola con un sorriso sornione.

« A cosa stai pensando Kagome? Sei tutta rossa … Non starai pensando a qualcosa di indecente, vero? »

« Cosa ti salta in mente?! » sbottò lei, imbarazzata ancora di più per essere stata scoperta in quel modo.

Guardarlo in viso, ora, era diventato piuttosto faticoso causandole sentimenti contrastanti.

Quel sorriso sornione le faceva solo desiderare di prenderlo a schiaffi, ma poi spostava lo sguardo sulle orecchie da cane e voleva accarezzarle e abbracciarlo.

« Forse non ho fatto bene a proporti di vivere con me … » continuò lui, allontanandosi e guardando un punto della parete con aria assorta e l’espressione preoccupata.

Kagome lo ascoltò, perplessa e un po’ turbata da quel discorso. In un istante si voltò verso di lei, stringendosi nelle spalle e guardandola spaventato.

« … Chissà cosa potresti farmi mentre sono distratto. Attacchi notturni? Molestie? Povero me! »

Per un momento restò paralizzata, non sapeva davvero cosa dire.

Non pensava che potesse fare battute del genere, era così convincente, si dovette mordere le labbra per non ridere davanti alla sua finta espressione spaventata.

« Tu, brutto … » si avvicinò, ridacchiando di nascosto mentre alzava il braccio e chiudeva il pugno. Un colpetto leggero al braccio, le labbra arricciate in un sorrisetto divertito e poi scoppiarono entrambi a ridere.

« Sei un disgraziato, lo sai? Per un momento temevo fossi serio … »

« Ah sì? Hai deciso di accettare, quindi? » domandò lui, gli occhi brillanti e un sorriso ancora più entusiasta del primo dipinto in volto.

Le mani si erano poggiate sul fianco mentre con il busto restava proteso verso di lei.

I loro visi si trovavano talmente vicini che a Kagome, o Inuyasha, sarebbe bastato davvero poco per chiudere la distanza e soddisfare una curiosità antica come il mondo.

Questa volta, però, fu il turno di lei ed assunse un’espressione pensierosa e alquanto scettica a quella domanda.

« L’avrei detto? Sarebbe inappropriato per una giovane donna, non crede? Chissà cosa potrebbe farmi quando mi giro. »

« Sentitela … » rispose Inuyasha, accennando una risata accompagnato da Kagome.

Nel frattempo, nascoste dalla porta della cucina, Kikyo e Sango osservavano la scena con curiosità e crescente interesse.

Sango era felice di vedere la sua amica a suo agio, nonostante tutto.

Kikyo era soddisfatta nel sapere che le cose stavano procedendo comunque bene per il suo capo, anche se, spesso glielo ripeteva, avrebbe ricavato molto di più dicendole tutto e subito.

La Chef aveva scambiato volentieri quattro chiacchiere con la ragazza in questione, scoprendo finalmente qualche dettaglio in più sul ragazzo che la sua amica, per uno strano scherzo, aveva conosciuto come suo “marito”.

Entrambe sembravano interessate allo sviluppo della storia, ma Kikyo, la collaboratrice di Inuyasha, non era per niente innamorata di lui come forse Kagome aveva sospettato. La sua era una venerazione incondizionata, un rispetto che raramente aveva mai visto negli occhi di qualcuno, qualsiasi natura avesse, nei confronti di un mezzo demone.

Erano ancora intente a guardare la scenetta che si era creata tra i due quando Kikyo si accorse che il suo cellulare stava vibrando, sospirando scocciata lo estrasse dalla tasca dei pantaloni e quasi sbiancò quando lesse il numero di chi chiamava. Era Koga.

Aspirò l’aria tra i denti stretti e uscì fuori dal suo “nascondiglio” dirigendosi verso Inuyasha, le sue orecchie erano scattate al sentire dei passi che si avvicinavano velocemente e quando trovò Kikyo, con un cellulare in mano, capì che qualcosa non andava.

Kagome la osservò, incuriosita dalla sua espressione scocciata, in parte, dall’altra delusa – come se qualcosa di bello fosse appena finito.

Inuyasha la guardò perplesso qualche istante ma poi, osservando il telefono che continuava a vibrare nella sua mano, decise di spostare l’attenzione sul telefono e quando lesse il numero sospirò. Afferrò il cellulare della collega e rispose, sorridendo in modo falso e alzando di un paio di tacche il tono della voce.

« Carissimo lupastro, non ti hanno avvisato che oggi è il mio giorno libero? »

“Un collega?” pensò Kagome, sempre più curiosa di sapere quando Kikyo, senza far rumore, l’affiancò.

« E’ Koga, il capo del reparto finanziario … » mormorò a bassa voce, osservando Inuyasha che allontanava il telefono dall’orecchio.

La voce dall’altra parte era abbastanza alta e Kagome riuscì a captare qualche parola del discorso, tra cui, ovviamente, “botolo ringhioso … ti faccio a pezzi appena rientri … “

« Come dici? » domandò Inuyasha, fingendo ignoranza e guardandosi attorno. « Non ti sento … C’è poco segnale qui … Cosa? Oh, vuoi dire che dopo ti farai pestare? Ottimo! Ah … Una galleria … Non riesco più a sentirti, ciao! »

Senza ulteriori indugi spense la chiamata.

Kagome si stava trattenendo mentre ripensava alle imprecazioni, e non furono poche, uscite dall’altra parte del telefono quando Inuyasha aveva deciso che la conversazione era andata troppo per le lunghe.

« La prossima volta, Kikyo, spegni il cellulare o digli che siamo morti. Oppure, fai come me: blocca le sue chiamate. » rispose Inuyasha mentre ridava il cellulare alla ragazza, sospirando appena e annuendo con il capo.

Koga era il solito guastafeste, pensò, soprattutto se pensava alla bella atmosfera che si era creata con Kagome prima.

Gli occhi color oro si rivolsero nuovamente alla ragazza, sorridendole imbarazzato e scrollando appena le spalle in segno di resa.

« Riprenderemo il discorso un'altra volta, adesso dobbiamo andare: la nostra giornata libera è appena finita. »

« Non fa niente, Inuyasha, dopotutto sei tu il capo … »

Non poté aggiungere altro.

Un leggero tonfo infranse la quiete del Nekomata e quando si voltarono tutti, Sango compresa, verso la porta d’ingresso trovarono una valigia abbandonata e il suo proprietario.

Era un uomo, anzi un demone, abbastanza alto come statura e lunghissimi capelli scuri appena mossi.

Indossava un completo elegante, esclusa la cravatta che sembrava uscita direttamente dai fondi di magazzino di un negozio scadente, gli occhi avevano una profonda sfumatura cremisi che unita ai suoi lineamenti eleganti donavano al demone un aura misteriosa; questo almeno in teoria.

Tutti quanti lo guardavano con sorpresa, Inuyasha e Kikyo maggiormente, mentre cominciava a piangere come una fontana tirando su con il naso.

« K-Kagome … » biascicò il demone prima di gettarsi a terra e gettare le braccia attorno alla vita di lei, piangendo come un bambino e sfregando la nuca contro il suo ventre.

« Perché mi fai questo?! Non ti permetterò di andare via con questo bell’imbusto! »

“Sarei io?” si chiese Inuyasha, indicandosi con un dito mentre cercava una risposta nelle persone che lo circondavano.

Kikyo osservava perplessa quel demone, aggrappato disperatamente alle gambe di Kagome e cominciò a capire perché lo aveva paragonato a Jakotsu; anche se lui non raggiungeva certi livelli di disperazione.

« Ti darò uno stipendio migliore … Te lo prometto, appena Hakudoshi la smette di darmi il tormento … »

« Naraku … » commentò spazientita Kagome, ma il suo capo, ancora disperato, non sembrava ascoltarla e continuava imperterrito a parlare.

Allora, dal nulla, Sango tirò fuori una padella piccola con la quale colpì in testa il demone.

« Adesso smettila di fare la Prima donna! Sii più uomo, accidenti! » sbottò infuriata mentre Naraku, tramortito, lasciava la presa dal corpo della ragazza sotto lo sguardo appena sconcertato dei loro ospiti ignari.

Inuyasha, in particolare, sbatteva velocemente le palpebre e ricordava l’espressione del ragazzo incontrato all’entrata poco prima.

“Adesso capisco la sua espressione impaurita, accidenti … “

« Mi dispiace che abbiate assistito a questo spettacolo indecoroso … » esordì Kagome, afflitta mentre scavalcava il “corpo” del suo principale.

Non era una cattiva persona, alla fine, ma quando incontrava Hakudoshi e Byakuya diventava sempre impossibile da gestire. Bastava una parola, una fuori posto, e cominciava a piangere disperato aggrappandosi a tutto il personale supplicandoli di non lasciarlo da solo.

Per questo tutti i dipendenti si davano alla fuga, o si fingevano malati, il migliore tra loro era Miroku che provocava apposta la gelosia latente di Sango e la usava come scusa per darsi alla macchia per qualche ora.

« Se non altro ho capito che non sono il solo a soffrire, la cosa mi rallegra. » continuò lui, scherzando tranquillamente con la ragazza.

Allungò istintivamente la mano e la posò sulla sua nuca per scompigliarle i capelli.

Kagome ebbe di nuovo quella sensazione di familiarità, ma non era come il sorriso, qualcosa che le faceva battere il cuore, questo era più … intimo.

Arrossì appena, scostandosi dalla sua mano spazientita e incrociando le braccia al petto.

« Ora vai, su! Ti scrivo più tardi per confermarti la mia decisione. »

Prendendosi in giro, prima, avevano avuto modo di scambiarsi i propri indirizzi mail per poter così comunicare con più facilità.

La porta del ristorante era rimasta aperta e così, salutate le ragazze, Kikyo e Inuyasha si diressero fuori dal locale verso la casa editrice.

« Kikyo, vorrei chiederti un favore. »

« Sesso a parte, tutto quello che vuoi capo. » rispose lei, ridacchiando e guardandolo maliziosa.

Alcune persone passavano loro accanto e li guardavano sorpresi.

Kikyo, come sua abitudine, aveva preso il braccio del suo capo e lo aveva stretto a se camminando per la strada come fossero una coppia. Era una vecchia penitenza.

Al dipartimento “Shikon”, sotto le festività natalizie”, facevano spesso scommesse su quale dei loro manga avrebbe venduto di più e quell’anno aveva vinto Kikyo. Il premio? Qualsiasi cosa volesse nei limiti del possibile, chiaro.

Jakotsu non doveva più criticare i suoi vestiti, Bankotsu evitava di chiederle appuntamenti ogni volta che erano liberi, Onigumo le faceva le fotocopie quando era impegnata e Inuyasha doveva accettare di camminare sottobraccio con lei almeno una volta al mese.

Alle parole della sua collaboratrice Inuyasha sospirò scuotendo leggermente il capo, avvicinando due dita alla fronte che colpiva con un buffetto delicato.

« Vorrei che tenessi alcune pagine del diario di mia madre. »

Kikyo si fermò guardandolo preoccupata, ormai lo conosceva abbastanza da sapere cosa gli passasse per la mente e di quello che voleva fare.

« Sei proprio sicuro che sia la cosa migliore? Nascondere tutto come se non fosse mai accaduto niente … »

« Non ho altra scelta, ora. Se scoprisse la verità scapperebbe solamente e non lo desidero. No, per ora è meglio che lei non sappia niente e che mi conosca per come sono ora. » rispose lui, chinando il capo affranto e proseguendo il loro cammino verso la casa editrice.

Kikyo sospirò, scuotendo la nuca completamente rassegnata.

Non le piaceva vedere il suo capo in quelle condizioni, avrebbe voluto aiutarlo, fare qualcosa, ma sapeva che si fosse intromessa più del necessario non ne sarebbe stato felice.

Era anche quello l’amore? Si trovò a pensare mestamente osservando il mezzo demone.

Era davvero amore?

 

Salve a tutti!

Vorrei scusarmi se questo capitolo non è all’altezza dei precedenti (a me sembra così, almeno) e avvisarvi che nel prossimo accelero un pochino – tanto per non fare duecento capitoli solo di conoscenza.

Abbiamo finalmente conosciuto anche Naraku, come vi è sembrato? Vi è piaciuto?

Come sempre ringrazio tutti quanti voi che avete recensito, aggiunto la storia tra le vostre “fila” e, lo ammetto, siete tantissimi e adesso mi metto a piangere dalla gioia!

Spoiler per il prossimo capitolo:

prime scenette di convivenza.

Al prossimo aggiornamento – martedì.

Un abbraccio forte <3

Scheherazade

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Convivenza ***


-Capitolo 7-

 

Un’altra settimana era passata dalla visita di Inuyasha al ristorante.

Sango l’aveva trovato degno di fiducia, almeno per il momento attuale, ma soprattutto aveva rassicurato Kagome che tra lui e quella sua collaboratrice non ci poteva essere assolutamente nulla. La ragazza era naturalmente arrossita, negando il suo chiaro interesse, spostando l’argomento di conversazione su altro ma era inutile; ormai Sango aveva capito tutto.

Una cosa non le era tornata: era evidente che Inuyasha fosse interessato a lei, ma per qualche ragione ignota sembrava trattenersi e si teneva a distanza.

E così, alla fine, contro le resistenze del nonno e l’approvazione di Sota, Kagome aveva accettato di dividere l’appartamento con Inuyasha fino a quando la questione del loro “matrimonio” non fosse stata risolta.

Approfittando del suo prezioso giorno libero aveva deciso di cominciare il trasloco.

L’appartamento di Inuyasha si trovava ad almeno cinque fermate dalla metropolitana, perfetto per raggiungere il ristorante, pensò lei soddisfatta, all’ultimo piano di una vecchia palazzina di recente ristrutturazione.

La porta d’ingresso si apriva su uno spazioso soggiorno con un’ampia vetrata sul lato più ad Ovest, Kagome si trovò a pensare a come doveva essere quella stanza, arredata in stile moderno, illuminata dai raggi del sole color fuoco mentre tramontava.

La cucina e la tavola per pranzare erano nella medesima stanza, separate solo da un lungo ripiano, mentre le camere e il bagno si trovavano nella zona rialzata di quella mansarda.

Non sorprese tanto Kagome l’appartamento elegante, sicuramente comprato in tanti anni di risparmi e lavori, ma di trovarlo completamente pulito e in ordine considerato il lavoro che faceva.

« Sai … » esordì Kagome, poggiando nel soggiorno uno dei suoi scatoloni. Non c’era molto per la verità, ma l’essenziale per poter “sopravvivere” per un po’ di tempo.

« Non mi aspettavo di trovare tutto in ordine, considerando in che condizione era il dipartimento quando sono venuta … »

« Ehi, quello perché sei arrivata quando eravamo nella fase finale e la morte ci aveva richiamati! » continuò lui, arrossendo leggermente sulle guance per poi incrociare le braccia al petto e dandole le spalle indispettito.

« Si da il caso che sappia tenere in ordine la mia casa, cosa credi? »

« Sei proprio sicuro? Kikyo mi ha confidato che di solito non muovi mai un dito per riordinare a lavoro. »

« … Quello è disordine creativo … »

Appunto mentale: far fare a Kikyo gli straordinari per almeno un mese.

Dal canto suo si limitò a fissare Inuyasha sospettosamente, come se qualcosa in quel suo discorrere non l’avesse minimamente convinta, spostò lo sguardo luccicante verso il frigorifero.

Inuyasha rabbrividì, sudando freddo mentre la ragazza si avvicinava minacciosamente all’oggetto incriminato.

Una leggera pressione e aprì il frigorifero: vuoto.

« Lo sapevo! » constatò la ragazza, per nulla sorpresa di trovarlo vuoto, o quasi.

Dentro c’erano solo acqua, bevande energetiche e qualche birra. Niente di commestibile, nemmeno un barattolo abbandonato di sott’aceti.

« Non mi dirai che mangi solo cibi precotti, spero?! » domandò a quel punto con un velo di minaccia nella voce.

Una cosa che non tollerava erano proprio le persone che non si sforzavano nemmeno di cucinare, non tanto per mancanza di abilità quanto piuttosto per pigrizia, ripiegando infine su prodotti scadenti e surgelati il più delle volte.

Prima ancora dell’arrivo di Hitomiko al tempio che l’aiutava anche nei lavoretti di tutti i giorni, come preparare il pranzo e la cena, faceva sempre in modo che Sota portasse un proprio bentou a scuola di modo da non ricorrere mai a panini o cose simili.

Quando Kagome piegò la nuca quanto bastava per guardare oltre le spalle vide Inuyasha, pallido in viso e il dito indice che accarezzava appena la pelle della guancia con fare disinteressato.

Un sospiro sfuggì dalle labbra della ragazza mentre poggiava una mano contro il fianco.

« Ho capito, da oggi mi occuperò io dei pasti e fintanto che resterò … scordati cibi precotti! »

« E … E il mio ramen istantaneo? » chiese avvilito, gli occhi lucidi e l’espressione più triste che potesse fare.

Kagome deglutì pesantemente quando lo vide abbassare le orecchie, come un cucciolo bastonato, l’espressione del mezzo demone non aiutava minimamente il suo desiderio sopito: stropicciargli le orecchie.

La convivenza sarebbe risultata molto più dura sotto quel punto di vista, si ripeteva Kagome, non del tutto sicura di poter tenere a freno la sua “piccola” ossessione.

« Quello è bandito completamente, ovvio! » rispose lei, decisa, riacquistando il controllo su stessa nel momento in cui aveva deciso di spostare lo sguardo dalla parte opposta.

Inuyasha, invece, sospirò affranto mentre si dirigeva verso una piccola anta sopra il piano cucina e al cui interno aveva nascosto diverse scatole di ramen istantaneo.
A malincuore, sotto lo sguardo severo della ragazza, decise di metterlo in uno degli scatoloni che lei aveva svuotato; lo avrebbe portato ai suoi colleghi l’indomani, per quella giornata non ne aveva nessuna voglia.

Inuyasha tornò a lavoro, non potendo lasciare troppo a lungo la casa editrice nel momento in cui i tempi cominciavano ad essere più stretti e lasciò la ragazza il tempo per sistemarsi come preferiva.

“Questa convivenza sarà davvero dura”, pensò Inuyasha, sorridendo divertito mentre prendeva l’ascensore per scendere al piano terra.

Gli anni potevano passare, lei poteva aver dimenticato il passato, ma le sue espressioni erano sempre le stesse negli anni. Infondo, non era davvero cambiata.

Forse, pensò, non aveva fatto la scelta migliore proponendole di vivere con lui perché rendeva le cose molto più difficili di quanto si aspettasse.

Era difficile mantenere le distanze.

Era faticoso non avvicinarla e carezzarle la nuca, passando la mano tra i capelli scuri, ancora di più lo era non poterle sfiorare il viso.

Dalla tasca della giacca estrasse il cellulare e prese gli auricolari, sistemati questi uscì dall’ascensore per andare verso la metropolitana. Doveva arrivare in ufficio presto, soprattutto se voleva prendere a calci un certo collaboratore non troppo gradito.

Nel frattempo, Kagome stava sistemando le sue cose nella camera che apparteneva in precedenza al coinquilino di Inuyasha.

Era una bella stanza, un po’ stretta, certo, ma ugualmente graziosa e con una bella finestra ampia e un piccolo balcone. Ringraziò tutte le divinità che conosceva per non essere una persona amante della moda in modo eccessivo, dotata di un grande guardaroba, infatti nella stanza lo spazio per i vestiti era proprio ridotto al minimo indispensabile.

L’armadio era a muro con delle ante scorrevoli in legno al cui interno c’erano un paio di ripiani e un’asta lunga per i vestiti appesi, mentre la scrivania, invece, si trovava proprio accanto alla finestra e il letto era addossato alla parete.

Era strano, pensò.

Quella stanza doveva essere stata abitata per diverso tempo eppure, nonostante questo, sembrava non esserci mai entrato nessuno. Persino le pareti erano immacolate, non vi era traccia di nessun alone da quadri o poster; nulla.

“Forse è solo un caso … “ si disse, sospirando appena e continuando la sua opera per sistemare i pochi averi che aveva deciso di portare.

“Eppure, è da quando è cominciata questa storia che non faccio che ripetermi che ci sono un sacco di coincidenze”.

Scosse velocemente il capo cacciando pensieri negativi.

E’ vero, si ripeté, non conosceva Inuyasha così bene ma non poteva assolutamente essere un manipolatore e nemmeno un bugiardo. Voleva fidarsi di lui, completamente e senza esitare, consapevole del rischio e di tutte le possibili conseguenze.

Inuyasha, in quel momento, aveva da poco raggiunto la sede della casa editrice Tama quando un turbine  gli si parò davanti impedendogli di prendere l’ascensore.

« Botolo ringhioso! » sbottò il demone emerso dal turbine; era Koga.

Inuyasha lo fissò per un lungo istante, in silenzio, superandolo alla fine per andare verso l’ascensore come se niente fosse accaduto.

« Dannato bastardo … »

Sotto lo sguardo degli altri collaboratori, alcuni di altri dipartimenti e quindi ignari di quello che stava accadendo, il demone entrò di scatto nell’ascensore prima che le porte si chiudessero.

Un occhiata di fuoco verso il collega e andava a poggiare la schiena contro la parete, braccia incrociate e il capo chino mentre teneva gli occhi chiusi.

« Guarda che non puoi scappare per sempre, cagnolino. » lo rimproverò con tono serio Koga, mentre Inuyasha si voltava a guardarlo.

Gli occhi spalancati in un’espressione di finta sorpresa.

« Ah, ci sei anche tu qui lupastro? Non ti avevo proprio notato. » rispose Inuyasha, fingendo di accorgersi solo in quel momento della presenza del suo collega.

Sapeva bene di cosa voleva parlargli, ma era inutile: la colpa era solo del capo della sezione manga in generale.

Lui l’aveva detto, aveva avvisato che l’uscita dell’ultimo volume della serie di cui si occupava avrebbe fatto piazza pulita in poco tempo e così, per evitare situazioni problematiche, nella sua proposta aveva suggerito un numero di copie maggiore rispetto allo standard.

Risultato: la proposta non era stata approvata, e alla fine il volume era andato esaurito nel giro di una sola settimana.

Koga voleva solo una scusa per attaccare briga, questo lo sapeva, ma non aveva nessuna voglia di discutere e prendersi delle accuse quando non aveva fatto niente.

« Senti un po’, tu … »

Sulla fronte di Koga si poteva chiaramente vedere una piccola vena pulsante, ma tentare di parlare fu inutile; ormai erano arrivati al piano.

Approfittando della distrazione del demone uscì in fretta premendo il tasto dell’ultimo piano, salutando sorridente il suo collega, ormai inviperito, mentre le porte si chiudevano davanti a lui.

Abbassava la mano che ancora si muoveva sospirando, avvicinandola alla nuca e dirigendosi verso il suo dipartimento dove i suoi colleghi lo stavano aspettando.

La situazione sembrava essere arrivata verso il punto critico, o comunque si stava entrando nella fase cruciale, l’espressione sul volto di tutti era abbastanza tesa e poteva capirli. Senza indugiare andò alla scrivania dove alcuni manoscritti aspettavano l’approvazione finale, l’ultimo sospiro prima di afferrare la sedia e cominciare a fare sul serio.

Bankotsu aveva una mano poggiata contro la fronte e stava controllando delle cose al computer, Kikyo, invece, stava cercando di mettersi in contatto con uno degli autori e Jakotsu e Onigumo stavano finendo di controllare del materiale.

« Che cosa?! »
La voce di Kikyo riecheggiò nel silenzio più totale, catturando l’attenzione di tutti nel peggiore dei modi.

« Come sarebbe a dire che tutti i suoi assistenti, e anche lei, avete preso l’influenza!? »

« Ehi, Kikyo!! » sbottò improvvisamente Jakotsu, gli occhi arrossati per la mancanza di sonno e l’irritabilità di chi ha bevuto troppi caffè.

« Perché il manoscritto della sensei non è qui sul mio tavolo per la revisione?! Eh?! »

« E fai un po’ di silenzio, tu! La prego di scusarmi, sensei … »

Inuyasha sbatté con forza il palmo della mano contro il viso.

Era il tipo d’imprevisto che non ci voleva, non in quel momento così prossimo alla metà del ciclo e verso la fine dell’inferno.

Alla fine Kikyo, sospirando pesantemente e sbattendo la testa contro la scrivania, chiuse la telefonata.

« Non c’è altra scelta … » esordì Inuyasha, rilassò la schiena contro la sedia e portò le mani dietro la nuca.

« Ritarderemo la data di consegna il più possibile. Andrò a dare una mano alla sensei, se necessario, dopotutto sono un demone e non mi ammalerò facilmente. »

« Capo, ma … »

Kikyo fu interrotta dall’arrivo in un ufficio di qualcun altro.

Era Koga, aveva uno sguardo truce e si avvicinò alla postazione di Inuyasha a grandi falcate.

« Bene, noto che il cagnolino continua a dire un sacco di scemenze.

Pensi di essere nella posizione di fare simili affermazioni? Ti ricordo che tu sei solamente un mezzo demone. »

Inuyasha alzò lo sguardo verso il demone lupo, osservandolo in tralice qualche secondo e sbattendo più volte le pupille dorate.

« Oh scusa, hai parlato? » domandò innocentemente.

Il suo gruppo trattenne a stento una risata mentre sulla fronte di Koga comparve un nervo pulsante.

« Quando mai non ho svolto bene il mio lavoro, lupastro? Dimmi una sola volta. Una sola. » disse Inuyasha, sfidandolo apertamente.

Sapeva bene quanto lui che aveva sempre ottenuto risultati eccelsi, non importava quanto fossero impossibili; lui, con perseveranza e volontà, era riuscito a compiere anche l’impossibile. Nessuno osava mai mettere in dubbio la sua professionalità.

Koga fece schioccare la lingua contro il palato, seccato di non poter ribattere ad una simile affermazione poiché sapeva molto bene quanto Inuyasha lavorasse duramente per raggiungere i suoi obbiettivi.

« Avanti, Koga, non puoi negare l’ottimo lavoro di Inuyasha senza contare che adesso ha degli ottimi motivi per essere determinato. » aggiunse Bankotsu, ma proprio quando ebbe finito di parlare venne colpito in fronte da un fermaglio per capelli. Era stato Jakotsu, dall’altra parte della scrivania, a tappare la bocca al fratello con un occhiata maligna.
Koga sembrò farsi più curioso, a colpirlo, in modo particolare, era stato l’atteggiamento del fratello di Bankotsu. Dopotutto, pensò, scoprire i segreti di Inuyasha era particolarmente divertente.

« E quali sarebbero questi ottimi motivi? » domandò nuovamente, braccia conserte e osservando l’intero dipartimento che però taceva.

« Andiamo, avete gettato il sasso ora non potete ritirare la mano. Non sarebbe corretto, vi pare? »

« Lupastro … »

Fu Inuyasha a interrompere il discorso di Koga.

Il suo capo era chino, gli occhi ambrati rivolti unicamente ai fogli che aveva davanti ma qualcosa nel suo tono di voce gelò completamente l’aria del dipartimento.

Kikyo alzò il capo, preoccupata guardò verso Inuyasha che sembrava immerso nei suoi pensieri.

« Non dovresti tornare al tuo lavoro? Qui non c’è niente che può attirare la tua attenzione. »

Tutti conoscevano Inuyasha molto bene in quel dipartimento.

Erano colleghi, amici e una specie di grande famiglia che si guarda le spalle nel momento del bisogno, per questo a quelle parole sembrarono turbati. Soprattutto Kikyo, la persona che meglio lo conosceva in quell’edificio.

Le parole di Inuyasha, all’apparenza innocue, celavano una ben chiara minaccia che gelò il sangue nelle sue vene.

Persino Koga si ritrasse, sorpreso e se ne andò borbottando qualcosa contro di lui. Quando furono sicuri che fosse lontano tutti, Onigumo compreso, tirarono un profondo sospiro di sollievo lasciandosi andare contro le rispettive posizioni.

« Ho creduto di morire … » mormorò Bankotsu sottovoce.

« Te lo meriteresti, stupido fratello! » replicò Jakotsu, anch’egli con la faccia completamente riversa sul tavolo.

Kikyo aveva rivolto il viso in direzione del suo capo, scrutandolo preoccupata ma senza dire una parola.

« Kikyo … » esordì Inuyasha, ancora intento a controllare dei documenti, gli occhi passavano veloci lungo le scritte. « Se continui a fissarmi così la gente penserà male. Ora al lavoro. »

A quell’affermazione arrossì vistosamente sulle guance, scattando seduta come una molla e cominciando a sistemare le proprie cose. La telefonata di prima aveva creato un bel problema e dovevano assolutamente contattare gli altri dipartimenti, avvisando del ritardo e cercando di arginare la cosa.

Inuyasha sorrise appena quando, alzato lo sguardo, trovò i suoi fedeli collaboratori intenti a lavorare. Aveva appena posato il plico di fogli che aveva in mano quando sentì il cellulare nella tasca vibrare insistentemente.

Scocciato lo afferrò prima di sospirare leggendo il nome sul display.

« Mancavi giusto per rendere pessima questa giornata, fratello adorato. » rispose con finto fare stucchevole.

« Piantala di fare l’idiota. Volevo informati che la cena a casa si terrà questo venerdì. Sappiti regolare di conseguenza. »

Un sorrisetto ironico spuntò sulle sue labbra mentre allontanava un poco il telefono dal viso.
« Non vedo l’ora di conoscere la donna che ti ha messo il collare, fratellino. »

E senza aspettare una qualunque risposta chiuse la chiamata, ridacchiando e pensando a quello che doveva essere fatto entro venerdì.

I suoi occhi si fissarono sullo schermo del cellulare, una fotografia fatta di nascosto qualche giorno fa e i suoi lineamenti si addolcirono immediatamente.

« Kikyo … Avrei bisogno di un favore … »

 

Salve a tutti!

Dalle nebbie della montagna solitaria  … eccomi di nuovo qui!

Scherzi a parte scusate le due settimane e più di assenza ma ho avuto alcuni problemi personali e non avevo voglia, ma proprio zero, di scrivere.

Spero che questo capitolo non abbia risentito del mio stato d’animo.

Vi ringrazio ancora tutti voi che seguite e che avete avuto molta, molta pazienza con questo mio andazzo.

Per tutte le altre storie, non temete, datemi un momento e sarò di nuovo tutta per voi (circa xD)

Un abbraccio forte

Scheherazade

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Sono innamorato di lei. ***


-Capitolo 8-

 

« Colui che passa la sentenza deve anche eseguirla … »

 

Kagome, seduta sul divano con una confezione di popcorn appena preparati e una bottiglia di cola sul tavolino, si stava godendo la maratona di una delle sue serie preferite. La nuova stagione era anche da poco cominciata per cui, si era detta, era il momento ideale per una maratona almeno della prima serie prima di andare a lavorare in serata.

Aveva preso in mano alcuni popcorn quando Inuyasha apparve alle sue spalle, asciugamano poggiato sulla nuca e le braccia distese contro lo schienale del divano, gli occhi ambrati fissi sullo schermo mentre cercava di capire cosa stesse guardando Kagome.

« Di cosa si tratta? » domandò a quel punto, curioso, allungando la mano verso il cesto con i popcorn beccandosi anche un’occhiata gelida da parte della ragazza.
Prese il telecomando, poggiato sopra il bracciolo del divano, e si girò verso il suo coinquilino per guardarlo con un misto d’incredulità e sconcerto.

« Come: di cosa si tratta? Inuyasha, questo è Game of Thrones. Una delle serie fantasy più famose degli ultimi tempi, come diavolo fai a non conoscerla?! »

« Non guardo molta televisione. »

Rispose lui, scuotendo le spalle e gustandosi il popcorn che aveva appena rubato.
Kagome lo guardò in tralice, sempre più sconcertata.

« Ci sono anche dei libri a riguardo. Lavori in una casa editrice e non ne hai mai sentito parlare? »

« Kagome, edito shounen manga per vivere.
Mi piace leggere, quello sì, ma non ho più molto tempo per farlo. »
Inuyasha scrollò le spalle prima di scavalcare il divano e sedersi accanto a Kagome per guardare quella serie, tornando ad allungare le mani verso il cesto dei popcorn con grande disappunto della ragazza.

« Allora? Di cosa parla? »

« E’ il primo episodio … Se stai attento lo scoprirai da solo. »
Rispose lei, guardandolo sbieco e riprendendo la ciotola con i popcorn mentre Inuyasha scrollava le spalle e continuava a guardare la puntata, ancora non sapeva a cosa andava incontro ma presto lo avrebbe scoperto a sue spese.

« E così … » esordì Bankotsu mentre controllava dei documenti a computer. « Non solo ti sei guardato tutta la prima stagione, ma non contento, durante la giornata, hai voluto guardare anche altre tre. »
« … Sì … » mormorò con voce bassa Inuyasha, il capo chino poggiato contro la scrivania e gli occhi chiusi per la stanchezza.

Alla fine, come aveva detto Kagome, la serie era davvero interessante e non pensava di appassionarsi così tanto. La ragazza lo aveva lasciato con i suoi dvd, salutandolo prima di andare a lavoro e raccomando gli solamente di rimettere tutto a posto una volta finito di guardare.
« Francamente, Inuyasha, mi hai proprio deluso. » esordì Kikyo, battendo dei fogli sul tavolo per sistemarli un poco.
« Non conoscere nemmeno una serie come Game of Thrones … Sei davvero deludente! »

Inuyasha sentì una piccola vena cominciare a pulsare sulla fronte proprio mentre Kikyo finiva di parlare, lentamente alzò la nuca e fissò sbieco la sua collaboratrice che lo guardava con aria di superiorità.
« Kikyo ha ragione. » continuò Jakotsu, piuttosto avvilito da quella scoperta.
« Qui tutti abbiamo seguito quella serie, ne abbiamo discusso anche durante le pause parlando delle nostre casate preferite, ma tu … » Si portò una mano al viso come per asciugare delle lacrime, ovviamente inesistenti. « Tu non hai prestato davvero attenzione a noi. Sei crudele Inuyasha caro! Crudele! »

“Com’è che adesso sono diventato il cattivo della situazione, qui”.

« In effetti … » mormorò Onigumo, voce bassa e capo chino mentre digitava velocemente qualcosa sul computer.
Inuyasha, a questo punto, divenne completamente stralunato mentre spostava il suo sguardo sull’ultimo assunto della loro compagnia.

“No, Onigumo … Anche tu no … “

« Quindi, capo, tu che famiglia supporti? » domandò a quel punto Bankotsu, curioso.
Inuyasha sembrò riflettere attentamente sulla risposta da dare.
La serie raccontava tanti avvenimenti diversi con una sola matrice di riferimento e ogni personaggio, anche quello secondario, apparteneva ad una qualche famiglia o almeno era legato ad una di quelle più importanti.
« Se proprio devo scegliere … Direi gli Stark. Finora, per quello che ho visto, sono stati i più interessanti e poi c’è anche Jon Snow alla Barriera. »
« Eh, che ingenuotto … » replicò Kikyo, fissandolo in modo saccente e guadagnandosi una bella occhiataccia da parte dell’intero gruppo.
« Perché? » chiese giustamente Inuyasha.

« Perché lo sanno tutti che alla fine chi avrà davvero il Trono saranno i Targaryen. Sono loro la salvezza per il reame! »

« Non farmi ridere! » sbottò improvvisamente Jakotsu, prima che fosse Inuyasha ad esporre il suo pensiero.
« La tua “regina” è ancora a mille miglia di distanza dai sette regni.
E’ Stannis Baratheon che ha davvero diritto di sedere sul trono di spade! »

« Piantatela, il trono sarebbe dovuto andare a Tywin Lannister fin dall’inizio! » replicò Bankotsu, deciso.
« Zitti, voi dannati Lannister siete solo degli sterminatori! »

« E il “Re folle” cosa faceva, di grazia?! »

La discussione andrò avanti ancora per diversi minuti fino a quando, improvvisamente, Onigumo sbatté con forza i palmi delle mani sulla scrivania alzandosi in piedi.

Inuyasha lo guardò sorpreso: era la prima volta che lo vedeva scattare così, avere delle reazioni umane insomma.

« … Silenzio. La famiglia migliore, qui, sono i Greyjoy! Punto e stop. »

E dopo quell’affermazione, detta in maniera così sentita, la discussione degenerò nuovamente nel caos più totale.

Inuyasha osservava la scena, impietrito.

Non sapeva se fermare quella follia ricordando a tutti che dovevano lavorare, tra le altre cose, ma oramai i toni erano divenuti così accesi da impedire qualsiasi tentativo di freno.

“Ora capisco perché non avevo mai badato alle loro precedenti conversazioni … “

Un sospiro sfuggì dalle sue labbra mentre si rimetteva, almeno lui, a lavorare alla prima bozza di un nuovo manga che gli era appena arrivato sotto mano.

Nel frattempo, al ristorante Nekomata, si svolgeva una medesima discussione seppure con toni più moderati.

Miroku e Sango, a differenza di Kagome che tifava unicamente per Jon Snow, erano convinti sostenitori dei Martell e niente avrebbe fatto loro cambiare idea.

La discussione, per l’appunto, verteva proprio sui libri da cui la nuova stagione sarebbe partita e l’importanza della “canzone dorniana” per la storia.

« Secondo me … » esordì nuovamente Miroku « i cambiamenti apportati dagli sceneggiatori sono stati molto azzeccati, li ho apprezzati molto: quella parte nel libro era assai noiosa. »

« Non credo, sai. » rispose Kagome, intenta a sistemare alcuni tavoli per il pranzo. « Prendi la parte con Sansa e Ditocorto, per dire, portarla così dai Bolton mi sembra troppo veloce e un azzardo: non abbiamo modo di vederla diventare una perfetta signora di Nido dell’Aquila. »

« Però … » proseguì Sango, rileggendo il menu che avevano scelto assieme per quella giornata. « Sono convinta che non sia stato un male. Insomma, abbiamo anche avuto la storia del principe Rhaegar e Lyanna – seppure solo una parte. Il tempismo è stato perfetto. »

« Sono solo speculazioni. » continuò Kagome in risposta all’amica.

La conversazione proseguì su questi toni per altri minuti fino a quando, con un’espressione lugubre, dalle scale che portavano agli uffici comparve Naraku.
« Capo … ? » azzardò Kagome avvicinandosi a lui con un’espressione preoccupata in viso.

Non era la prima volta che lo vedeva in quelle condizioni, dopotutto, la loro situazione non era delle più rosee e nessuno ebbe difficoltà a capire quali potessero le ragioni di quel suo improvviso malumore.

Un sospiro sfuggì dalle labbra del mezzo demone, un sospiro pesante e carico di pensieri negativi, la sala sembrò congelarsi mentre tutti i camerieri e il personale di cucina che curiosavano dalla porta aspettavano di sentire il responso a quella domanda.

« Kagome … siamo spacciati … » esordì lui con tono basso.

Quando alzò il viso per incrociare lo sguardo con la sua collaboratrice non poté più trattenersi e scoppiò in lacrime, senza aggiungere altro raggiunse il suo maitre e si gettò ai suoi piedi stringendo le braccia attorno alla sua vita.

« Non so più cosa fare … sono disperato, Kagome, quel dannato … quel maledetto Hakudoshi … »

Tutti conoscevano quel nome, tutti lo temevano all’interno del loro ristorante.

Hakudoshi, infatti, era il proprietario di una serie di alberghi e ristoranti e gestiva un imponente giro d’affari per migliaia di yen. Nessuno sano di mente si opponeva a lui. Quando l’azienda “Entei” ti faceva un offerta, dovevi accettare. Punto. Nessun compromesso.

Naraku, tuttavia, non aveva voluto scendere a patti con qualcuno che minacciava la stabilità e il posto di lavoro di dipendenti che lui stesso aveva scelto. E così, ad ora, sebbene il ristorante vada molto bene e abbia delle buone serate, la società di Hakudoshi continua a fare pressione su banche e fornitori, favorendo la concorrenza e cercando un modo per convincere Naraku a cedere.

Sango si limitò a far schioccare la lingua con un’espressione disgustata sul volto Miroku, accanto a lei, la guardava senza battere ciglio all’apparenza ma Kagome aveva visto molto bene quella mano di lui chiudersi a pugno per la tensione.

I camerieri si guardavano tra di loro seriamente preoccupati mentre il loro capo continuava a singhiozzare sul grembo di Kagome.
“Non posso permettere che questa scena continui … Devo fare qualcosa”.

La mano destra  di lei si posò sul capo del suo principale sorridendo in modo dolce mentre accarezzava i folti capelli corvini, lentamente egli alzò il capo verso di lei incrociando quei suoi occhi color rubino, ora velati da copiose lacrime, con quelli calmi e placidi di lei.

« Kagome … »

« Avanti, capo, ci hai tirato fuori da situazioni ben peggiori.

Se non fosse stato per te, a quest’ora saremo tutti in mezzo ad una strada e senza nessun lavoro per il futuro, e non dimenticare che non sei da solo: anche altre aziende che hanno chiuso a causa della “Entei” ti stanno dando il loro appoggio. Non devi perderti d’animo. »

Il suo tono di voce era calmo, pacato, cercando di trasmettere un po’ di fiducia a quel mezzo demone che sembrava sempre sul punto di spezzarsi.

A quelle parole, tutti si unirono a dar sostegno al loro principale.
“Ha ragione”, “E’ solamente grazie a lei se ora posso mantenere la mia famiglia … “, “ci ha dato speranza quando non ne vedevamo …”, “saremo sempre al suo fianco, signore”.

Kagome sospirò appena, cercando di non farsi vedere troppo, sollevata nel vedere una squadra così affiata e unita.

In quel momento Sango, rimasta in silenzio, si avvicinò a Naraku e lo colpì con una sonora pacca sulla spalla facendolo sbilanciare un poco.

« Avanti, sii più uomo adesso! Noi siamo tutti con te, per cui non azzardarti ad arrenderti! »

Naraku sembrò sul punto di piangere ancora per quelle parole, ma invece, sotto il sorriso dei suoi dipendenti, si limitò a tirare su con il naso e ad annuire mentre si rialzava da terra.

« … Kagome … » la voce debole e bassa di Kanna fece sobbalzare tutti quanti i presenti i sala, la ragazza, in particolare, si teneva una mano sul petto per lo spavento.

« Volevo confermarti che ho cambiato il tuo turno per venerdì sera. » continuò lei per poi avvicinarsi a Naraku.

Non disse nulla, con i suoi profondi occhi scuri afferrò per il colletto della camicia il suo principale e cominciò a tirare per trascinarlo fuori dalla sala.

« Capo, ha ancora molto lavoro da fare … La prego di svolgerlo. » disse solamente, piatta persino nella sua espressione mentre Naraku, abbattuto forse di più dall’idea di tornare nel suo ufficio. Non appena se ne fu andato tirarono tutti un sospiro di sollievo.

Sango fu la prima a voltarsi verso Kagome, curiosa.

« Tu che prendi un giorno di ferie? Sta per arrivare l’apocalisse, vero? Dimmelo, così mi preparo prima. »

Commentò la ragazza mentre Miroku, accanto a lei, trattenne a stento una risata.

Kagome era una stacanovista, raramente, se non casi eccezionali, si prendeva dei giorni liberi per badare a se stessa.

Infatti, all’insinuazione dell’amica, arrossì appena e scosse velocemente il capo mentre Sango continuava ad incalzarla.

« Oh, fammi indovinare: centra quel bel fusto del tuo maritino? »

« Non è il mio maritino! »

« Momento, momento, momento, momento … » esordì Miroku, citando una famosa serie di cartoni animati, imitando persino il movimento con le mani che invitava tutti a fermarsi. Ci fu un attimo di silenzio, prima che questi si decidesse a parlare.

« Kagome si è sposata?! »

« … In pratica. »

« E nessuno mi ha detto niente?! Che carogne! » sbottò lui, incrociando le braccia al petto e guardando con severità entrambe le ragazze.
« Sentiamo, chi sarebbe questo tipo? »

« Il ragazzo mezzo demone che è venuto quando te la sei data a gambe. » spiegò rapidamente Sango, incrociando anch’ella le braccia al petto ricambiava l’occhiata inquisitrice di Miroku mentre Kagome sospirava.

Non aveva voluto dire niente a Miroku di proposito, anche se si stupiva del fatto che Sango fosse davvero rimasta zitta con lui. Si passò distrattamente una mano dietro la nuca giocando con le ciocche scure dei capelli, indecisa su cosa raccontare ma poi, non riuscendo a resistere, spiegò rapidamente la situazione al suo brillante chef de rang.
Dapprima ascoltò sconcertato il racconto della ragazza, per poi diventare completamente allibito.

« E’ ovvio che qualcosa bolle in pentola … » commentò Miroku al termine del racconto poggiando la schiena contro una parete del locale.

« L’atteggiamento di lui è troppo … strano, ecco. Nessun uomo sano di mente accetterebbe un matrimonio così, su due piedi. »

« Parla per te. » lo rimbeccò Sango, tossendo per mascherare il commento velenoso e guadagnandosi, comunque, un’occhiataccia da parte di Miroku.

« Almeno non nascondo le mie reali motivazioni. No, Kagome, è chiaro come il sole che c’è qualcosa sotto e forse ti stanno usando. »

« Perché? Non ho niente di valore, dopotutto. » rispose lei.

Era vero.

La sua era una famiglia semplice, sempre legata al tempio Shinto nel quale risiedevano dall’epoca Sengoku; ma non c’era nient’altro.

Miroku si trovò costretto ad annuire a quell’affermazione, ma la sensazione che aveva non era delle migliori e sentiva di dover prendere dei provvedimenti a riguardo.

Quella sera non avrebbe lavorato, era il suo giorno libero, raccolte le sue cose si diresse verso l’appartamento che Kagome divideva con quel suo nuovo “coinquilino”. L’altro giorno, quando l’aveva incontrato al ristorante, andava di corsa e non aveva potuto valutare che tipo di persona fosse. Rammentava solo la donna con lui, molto carina e anche timida: il tipo di donna che preferiva, in un certo senso almeno.

Sango le aveva dato l’indirizzo facendosi promettere di non fare sciocchezze, come suo solito, ma anche se lei lo approvava non poteva non valutare anche con i suoi occhi.

Kagome era stata la sua ancora di salvezza assieme a Naraku, gli avevano dato un opportunità e non avrebbe permesso a nessuno, nemmeno ad un demone, di ferirla.

Si appoggiò contro la parete della palazzina vicino all’ingresso, ma non troppo da attirare attenzioni indesiderate e posò a terra lo zaino con dentro le proprie cose, attendendo paziente l’arrivo del mezzo demone.

Teneva le braccia incrociate contro il petto picchiettandone uno con l’indice della mano opposta, gli occhi chiusi e la mente assorta in mille pensieri.

Ogni tanto sentiva delle voci provenire dai passanti che l’osservavano, mormorando qualcosa che alle sue orecchie suonava incomprensibile, tra questi vi erano anche voci femminili che aggiungevano delle leggere risate imbarazzate e delle quali si compiaceva.

Era un bel ragazzo, negarlo era inutile, per questo provava un certo compiacimento nel sentire quei suoni in lontananza.
Inuyasha era sulla via del ritorno quando ricevette un messaggio da Kagome, un avviso, a quanto pare, della visita a casa sua di un suo amico. All’inizio non aveva capito di cosa si trattava, trovandosi a fissare con estrema perplessità lo schermo del cellulare, ma poiché doveva tornare a casa per prendere delle cose necessarie al suo lavoro aveva lasciato volentieri l’ufficio sotto lo sguardo di fuoco dei suoi colleghi: la battaglia delle casate era continuata, e le sue risposte non erano state adeguate al clima.

Sospirando appena al pensiero dell’insubordinazione dei suoi colleghi raggiunse finalmente casa sua.

Aveva due profondi cerchi scuri sotto gli occhi segno evidente che anche la sua resistenza “demoniaca” stava arrivando al collasso, quando scorse una figura appoggiata alla parete dello stabile che ospitava il suo appartamento. Era come una mosca nel latte, letteralmente.

Un pochino a disagio si avvicinò al ragazzo, sbadigliando sonoramente prima di presentarsi a quest’ultimo che si era accorto della sua presenza.

« Tu sei l’amico di Kagome, giusto? »

« E tu come lo sai? »

« Mi ha scritto … » spiegò lui, prendendo il cellulare dalla tasca e mostrando il messaggio al ragazzo.

Quest’ultimo sospirò appena, ridacchiando per la situazione creatasi e tenendogli subito la mano.

« Esatto, anche se ci eravamo già incontrati di sfuggita, comunque io sono Miroku ed ero curioso di conoscerti. »

Aveva già avuto modo di vederlo sotto una veste professionale, ma con abiti normali, in contrasto con la tenuta lavorativa, faceva tutt’altro effetto.
Indossava una canotta bianca con sopra disegnati dei teschi, pantaloni lunghi con la mimetica tipica dei militari e una specie di collana che arrivava fino a metà vita.

« Sono qui perché volevo parlarti di Kagome … » esordì Miroku, abbandonando il sorriso e assumendo un’espressione seria in volto.

« … Volevo sapere quali sono le tue reali intenzioni nei suoi confronti. »

Inuyasha, trovandosi un poco spiazzato da quella domanda improvvisa, non rispose nulla e si limitò a ricambiare lo sguardo serio  e indagatore del ragazzo.

« Nessun uomo, per quanto disperato, accetterebbe un contratto di matrimonio come quello senza una ragione valida. Tu e lei non vi siete mai visti e, perdonami, non mi sembri il tipo da avere problemi di donne nella tua vita e sei anche giovane. Per questo mi chiedo: perché non si è opposto come farebbe chiunque al pensiero che deve sposare una perfetta estranea? »

Inuyasha chiuse gli occhi a quelle parole, sorridendo appena mentre tratteneva le risate dentro di se ma Miroku sembrò notarlo.
« Lo trovi divertente? » domandò stizzito, indurendo la propria espressione.

« No, affatto … » rispose lui, ridacchiando meno che poteva, mentre i suoi occhi color ambra lo scrutavano seriamente. « … Sei solo il primo che mi ha fatto apertamente questa domanda. Mi ha sorpreso, ma non posso risponderti ugualmente. »

Avrebbe potuto spiegare la situazione a Miroku, proprio come aveva fatto con i suoi colleghi al dipartimento, ma non era sicuro di potersi fidare completamente e anche in quel caso sarebbe stato difficile: teneva molto a Kagome, si vedeva, fingere di non vedere la verità sarebbe stato ancora più complicato.

« Che vuol dire?! » domandò Miroku, scocciato da quel comportamento.

« Allora è come pensavo, tu la vuoi solo usar - »

« … Io sono innamorato di lei. » commentò Inuyasha, interrompendolo sul momento, rivelandosi solo in parte per lasciare nel ragazzo un po’ di confusione.

« La amo veramente, Miroku.

L’unica mia motivazione è quella che mi spinge a tenere accanto la donna che amo. »

Quelle parole erano sincere, persino Miroku lo comprese pur non conoscendo a fondo il mezzo demone.

« Sei un caro amico di Kagome, proprio per questa ragione non posso spiegarti niente. E’ importante, e molto. »

Da un'altra tasca estrasse un portafoglio molto piccolo, lo aprì e prese un biglietto da visita che porse al ragazzo senza farsi troppi problemi.

« Potremo parlare qualche volta, se può farti stare più tranquillo. »

Miroku accettò il biglietto da visita, ma ancora non sapeva cosa pensare di quella storia e, dopo le parole di Inuyasha, era ancora più confuso tant’è che si lasciò scappare una risata divertita al termine di quel loro discorso.

« Amico, lo confesso: non ti capisco. »

« Nemmeno i miei colleghi. »

Un’altra risata da parte di entrambi questa volta mentre Miroku metteva in una tasca il biglietto appena ricevuto, da terra raccolse lo zaino e lo posizionò su una spalla.

« Indipendentemente da tutto … Sembri una brava persona, ma solo il tempo potrà dirlo davvero. E, un’altra cosa, stavo per dimenticarlo … »

La sua espressione appariva leggera, ma in realtà non aveva mai abbandonato la severità di prima. Era solo scena, un modo per cercare di smascherare le carte del mezzo demone.

« Prima di fare il cameriere ero un monaco. Il punto è semplice: se ferisci la mia amica, farò in modo che di te non rimangano nemmeno le ossa. »

Un sorriso, un cenno con la mano e si allontanò lasciando Inuyasha con un brivido di terrore che attraversava la sua schiena.

“Accidenti … Certo che Kagome si trova sempre degli amici singolari … “

Pensò, asciugando il sudore freddo dalla fronte, sorridendo appena nel constatare che la ragazza non era cambiata proprio in quegli anni. Ebbe appena il tempo di ultimare quel pensiero che il telefono prese a suonare, prendendolo dalla tasca dei pantaloni si trovò ad imprecare sotto voce leggendo il nome sul display: era suo fratello.

« Due chiamate in meno di una settimana … devo pensare che mi vuoi bene? » esordì sarcasticamente Inuyasha mentre dall’altra parte si udì il silenzio più totale per diversi minuti buoni.

« Sei ancora vivo o sono finalmente diventato figlio unico? »

« … Mi chiedevo quali geni abbiamo in comune, ma non importa … » commentò gelido Sesshomaru, il fratello di Inuyasha.

« Comunque sia, microcefalo, oltre a ricordarti di venire vestito rispettabile venerdì volevo informarti che a casa ti hanno cercato dei bambini dell’orfanotrofio di tua madre. Hanno chiesto quando passavi a trovarli, più o meno … il messaggio era molto chiassoso. »

 Un sorriso più dolce allungò gli angoli delle labbra di Inuyasha mentre pensava al messaggio dei bambini.

« Ho capito, provvederò a chiamare quanto prima. »

Non fece in tempo a ringraziarlo che la chiamata venne chiusa.

Si trovò a roteare gli occhi verso il cielo: tipico di Sesshomaru, pensò divertito, dice quello che deve dire e chiude subito la conversazione.

“Quasi rimpiango i tempi in cui non mi rivolgeva la parola”.

In quel momento il cellulare trillò ancora, stavolta era la suoneria dei messaggi e delle e-mail. Il mittente era Kikyo, e il contenuto era:

Ho trovato quello che dicevi online.

Il prezzo è un po’ alto, però dovrebbe arrivare in tempo per la festa.

L’ho già preso, ovviamente.

Se non mi rifondi quanto prima ti faccio castrare.

Baci,

Kikyo”.

 

Salve a tutti!
Scusate, il capitolo è un poco scarno ma serviva solo alla presentazione della serata di festa.

Vado di  fretta e l’angolo autrice è molto ridotto.
Scusatemi!

Un abbraccio fortissimo

Scheherazade!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il ricordo di un sogno (Parte 1) ***


-Capitolo 9-

 

I pochi giorni che li separavano dalla festa di fidanzamento a casa Taisho erano volati molto più in fretta di quanto credesse. Pensava che il lavoro l’avrebbe aiutata a distrarsi, ma non fu così: Sango, quando poteva, si adoperava per aiutarla a scegliere un vestito adeguato alla festa. Sembrava lei la più entusiasta.

Inuyasha, dal canto suo, si era limitato a dire a Kagome di non pensare troppo a questi aspetti marginali e d’indossare un abito semplice e senza troppe pretese ma Sango si era opposta. Era una grande occasione, ripeteva, avrebbe cenato con alcune persone importanti e non solamente il capo editore di un rivista di manga – l’abito avrebbe detto tutto di lei.

« Davvero, Sango, non c’è bisogno che tu arrivi a tanto per me. » commentò Kagome, cercando un modo per rifiutare il “regalo” da parte della ragazza: una borsa elegante con dentro un vestito per l’indomani.

« Cosa dici? E’ il minimo, e poi ti starà molto bene! Sei d’accordo? » disse Sango, interpellando Miroku nel discorso. Questi annuì, sorridendo sghembo alle ragazze mentre le avvicinava.

« Sarai divina Kagome, sul serio. »

A quel commento si guadagnò un’occhiataccia da parte di Sango, ma per fortuna di Miroku, e soprattutto di Kagome che era sulla linea di tiro, non venne colpito da nessun oggetto volante lanciato dalla donna.

« Ad ogni modo, considerando dove andrai a cena, mi sembra il minimo. » aggiunse il ragazzo, sorridendole mentre le dava qualche pacca sulla spalla.

Non era convinta.

Non era per niente convinta di quella serata.

Da un lato, era l’occasione per curiosare nei diari di Izayoi e scoprire quale fosse il legame con sua madre, Yukiji, dall’altro aveva la sensazione che avrebbe finito per affezionarsi troppo alla gentilezza del signor Taisho e a quella di suo figlio.

Inuyasha e lei avevano orari e stili di vita molto diversi, alla mattina, quando c’era tempo, faceva in modo di fargli trovare qualcosa da portare via e mangiare sul posto di lavoro ma lui non sempre era a casa.

Perché allora proporre una convivenza quando metà del mese la passava in ufficio?

Se ci pensava non capiva.

« … ome … Kagome … »
La voce di Sango la richiamò alla realtà facendola sobbalzare.

La mano dell’amica era poggiata sulla sua spalla e una ruga di apprensione solcava la sua fronte, Kagome la guardò un momento confusa prima che quest’ultima sospirasse di sollievo.

« Non devi pensarci troppo.

Contala come una buona occasione per mangiare qualcosa di elegante gratis, senza doverti scomodare. »

Constatò l’amica, supportata da Miroku che le passò un braccio attorno al collo che l’attirò verso di se.
« Esatto, devi pensare a goderti il momento. »

Kagome non sapeva davvero più cosa pensare, ma oramai era tardi per tirarsi indietro e la serata tanto temuta era quella.
Era passata al ristorante solo per recuperare il vestito che Sango, insistentemente, le aveva procurato e anche per sapere da Miroku di cosa aveva parlato con Inuyasha; ma da questo fronte non ottenne una risposta vera e propria.

“Uomini … “ pensò scoraggiata, scuotendo pigramente il capo.

Prese la borsa con l’abito e uscì dopo aver dato le ultime raccomandazioni a Miroku per la serata. Sapeva che se era il suo amico a gestire le cose, la serata sarebbe stata sicuramente bene e senza intoppi particolari.

Inuyasha, invece, sarebbe tornato a casa solo per la sera, prima di andare: doveva assolutamente finire un lavoro.

“Forse è meglio così … “ si trovò a pensare Kagome, arrossendo al solo pensiero di farsi vedere mentre si preparava ad indossare il vestito elegante che Sango le aveva prestato.

Non era la prima volta, quello era vero, ma il fatto che non fosse sola in quel momento la metteva un poco in agitazione.
Un sospiro, e poi una voce irruppe dal silenzio.
« E’ ancora troppo presto per sospirare! »

La voce in questione era femminile con una nota elegante; apparteneva a Kikyo. Era davanti l’entrata del palazzo, una borsa da viaggio accanto a lei e un’espressione furente dipinta sul volto.

Kagome la fissò sorpresa incapace di dire alcunché.

« Stavo quasi per andarmene, sai? »

« Ma tu … perché … »

« Devi andare ad una cena a casa di Inuyasha, no? Ho pensato che volessi una mano per prepararti, inoltre ho portato un regalo da parte sua. »

Strizzò l’occhio complice in direzione della ragazza, sorridendole.

Kikyo quando sorrideva era davvero bella, questo si trovò a pensare Kagome mentre la trascinava fino al suo appartamento per i “preparativi”, per questo si chiedeva come mai lei ed Inuyasha non avessero mai pensato di fare coppia.

Provò a domandarlo mentre Kikyo la spingeva in bagno a fare una doccia, ma la risposta fu soltanto: ha la testa altrove.

Era una risposta vaga, misteriosa e soprattutto priva di qualsiasi punto di riferimento per ulteriori approfondimenti.

Tutto stava cambiando attorno a lei ad una velocità così assurda da farle venire la nausea, certi giorni, fermandosi sotto il getto della doccia come in quel momento, pensava di mollare tutto e tornare alla vita tranquilla e prevedibile di prima. Voleva tornare a preoccuparsi solo di suo nonno e di suo fratello, senza badare a quello che accadeva nel mondo.

Rivoleva la vita di prima, la vita dove non pensava al testamento di sua madre e a ciò che nascondeva.

Uscì dalla doccia dopo una buona mezz’ora ancora avvolta nell’accappatoio e con i capelli umidi esattamente come aveva richiesto Kikyo, quest’ultima, nel mentre, aveva allestito in tutta fretta nel soggiorno un’area beauty degna del migliore parrucchiere in città. Non era ancora sicura di quanto Inuyasha approvasse quello che voleva fare, ma decise di fare poche domande e andare a sedersi sulla sedia che aveva posizionato al centro di alcuni asciugami chiari.
Una volta accomodatasi, Kikyo passò attorno alle sue spalle, coprendola anche sul davanti, un grosso telo di plastica leggera.

« E’ davvero necessaria tutta questa preparazione per una semplice cena? » domandò a quel punto Kagome, preoccupata sul serio mentre la ragazza prendeva un pettine e delle piccole forbici da una scatola che aveva poggiato sopra il tavolino.

« Sì, alla cena sarà presente anche la matrigna di Inuyasha. E’ una donna tutta d’un pezzo e non ha una grande simpatia per gli esseri umani. » rispose lei tranquilla mentre iniziava a pettinare i capelli di Kagome.

« La sua matrigna? »

« Sì, la madre di Sesshomaru. Sono … Non dico uguali, sarebbe assurdo, ma c’è qualcosa nel loro modo di fare che ti fa capire subito che sono parenti. »

Uno strano pensiero cominciò a farsi strada nella sua mente.

« Quindi … La signora Izayoi non era … »

« La moglie di Akio? No, purtroppo no: era la sua amante umana. Inuyasha non te l’ha detto? » chiese a quel punto Kikyo, sorpresa da tutte quelle domande.

Sapeva che non voleva ancora rivelare a Kagome del loro passato insieme, ma non credeva arrivasse a tacergli cose importanti della sua famiglia proprio quando doveva andare a conoscerla ma, purtroppo, il cenno di assenso della ragazza confermò i suoi sospetti.

« Quell’idiota … » commentò la donna, sospirando mentre cominciava a spuntare le punte dei capelli.

« Ho conosciuto la signora parecchi anni fa.
Gestiva un orfanotrofio vicino all’ospedale Teiko. Inuyasha è cresciuto lì, praticamente, dal momento che la sua matrigna e suo fratello a casa non gli rivolgevano la parola. »

Kagome rimase in silenzio ascoltando il racconto di Kikyo mentre piccole ciocche di capelli scivolavano a terra, ricadendo morbide sui teli che erano stati posizionati accanto alla sedia.

« Io passai alcuni mesi proprio lì dopo la morte dei miei genitori. »

Kagome sussultò, voltandosi e rivolgendo un’espressione mortificata a Kikyo. Voleva sapere, per questo non l’aveva fermata, ma non al punto da riaprire vecchie ferite.

« Non occorre che continui il discorso. Insomma … Voglio dire …»

Kikyo sbatté un paio di volte gli occhi, sorpresa dal gesto improvviso di lei ma poi, ripresasi, si lasciò scappare una leggera risata.

« Tranquilla, sono passati tanti anni e la mia vita con gli zii non è stata poi così male, sai? »

Un occhiolino in direzione di Kagome e il discorso poté riprendere.

« La signora Izayoi era … Non so come dirlo, ma … quando ripenso alle principesse delle epoche passate la sua immagine è la prima a venirmi in mente. Era molto dolce, gentile e premurosa nonostante fosse spesso malata. In quel periodo conobbi anche Inuyasha, una sorta di fratello maggiore per tutti i bambini, che avrei rivisto qualche anno dopo, ovviamente, sul posto di lavoro. E’ stato lui a guidarmi, sai? »

Posò le forbici dove le aveva prese e con una prolunga attaccò il phon con il quale avrebbe lisciato per interi i capelli della ragazza, mossi naturali per renderli più adatti all’acconciatura che aveva in mente.

« Tutti gli editori mi sottovalutavano, dicevano che non ero in grado di svolgere bene il mio lavoro per via della timidezza che, confesso, mi ha sempre bloccato sin dai tempi della scuola. »

Kagome non riusciva a crederlo.

S’immaginava Kikyo come la ragazza più popolare, quella capace di rubare sguardi e invece, da quello che le diceva, era l’esatto contrario.

Nella sua mente si materializzò l’immagine di lei, così elegante nei lineamenti, con il capo chino e magari uno spesso paio di occhiali.

« E’ stato Inuyasha a scoprirti, quindi? »

« Sì, si ricordava di me dai tempi dell’orfanotrofio … » rispose, sorridendo quasi orgogliosa mentre acconciava i capelli della ragazza dopo averli passati con il phon e la spazzola.

Gli occhi nocciola correvano dalle ciocche in modo delicato, in una lenta e delicata carezza che aveva il potere di farle dimenticare tutto quello che stava accadendo attorno.

« … Sai Kagome … Inuyasha non dimentica mai davvero niente. » si morse le labbra a quell’affermazione, rendendosi conto di stare osando troppo e che non doveva rischiare di far scoprire il suo capo proprio in quel momento.

« … Io invece non riesco … » rispose invece Kagome, atona e con un’espressione più cupa in viso.

« Quando ero una bambina … » si fermò un istante, indecisa se proseguire oltre ma, ricordando quello che lei aveva detto decise che era meglio essere più onesti possibile.

Uno scambio equo.

« … Accadde un incidente in ospedale e in quell’occasione sfiorai la morte. I medici dissero che ero fortunata, ma l’ipossia danneggiò parte della mia mente e alcuni miei ricordi sono andati perduti. »

Kikyo si fermò un istante, scrutando i lineamenti e l’espressione cupa della ragazza.

Cosa poteva dire?

Era difficile parlare o cercare qualche conforto in quella circostanza. Lo capiva, sentiva di voler dire qualcosa ma non poteva assolutamente.

« La cosa peggiore è che ho sempre avuto la sensazione di aver dimenticato qualcosa di fondamentale, qualcosa di prezioso … una promessa, credo. Per questo mi viene da invidiare Inuyasha in questo momento. »

Gli occhi di Kikyo brillarono a quelle parole: allora c’era speranza, pensò e senza preoccuparsi di altro gettò le braccia attorno al collo di Kagome sorprendendola.

« E-Ehi … Che fai?! »

« Nulla, nulla … pensavo che sei davvero forte. » rispose lei, celando i veri pensieri che in realtà si alternavano nella sua mente.

La speranza era lì, a portata di mano, quella serata avrebbe fatto il resto. Ne era convinta.

Sistemò gli ultimi ritocchi  e poté passare al viso, truccandolo in modo leggero ma donandole un’aria più adulta.

Kikyo continuò a raccontarle diverse cose come la sua passione per il trucco e le acconciature, acquisite dai suoi genitori naturali, ma che non poteva trasformare nel suo vero lavoro. Diceva che mancava di entusiasmo, lo stesso che invece dedicava ai manga e Kagome lo capì subito. Quando Kikyo parlava del suo lavoro alla Shikon, lamentandosi di Jakotsu, si vedevano i suoi occhi brillare e il suo viso divenire quasi emozionato.

Lei ricambiava come poteva, raccontando di come aveva conosciuto Naraku, dopo essere stata buttata fuori da un altro ristorante, ma anche di come gli altri si unirono alla squadra. Loro, compresi Sango e Miroku, erano erbacce che crescevano sui cigli della strada e che nessuno apprezzava davvero e Naraku aveva dato loro l’occasione per sbocciare e crescere professionalmente.

Grazie a lui, avevano un posto che non li avrebbe mai respinti.

Quando anche il trucco fu terminato, finalmente, Kagome poté guardarsi allo specchio che Kikyo aveva posato sul tavolino.

I capelli erano stati lisciati e tirati indietro, ad eccezione del ciuffo che aveva lasciato ribelle a ricadere sul viso, un’intricata treccia, invece, li teneva su in quell’elegante crocchia che somigliava moltissimo ad un fiore. Sul viso, al contrario, era stato posto solo una leggera quantità di trucco per risaltare le guance e le labbra.

Indossare il vestito, invece, non fu un vero problema (anche se l’imbarazzo fu tanto). Era un azzurro chiaro con delle stelle ricamate sul fondo della gonna con un ampio spacco, perfetto per la sua pelle pallida,  con una sola spallina che avvolgeva il petto.
“E’ una fortuna che io e Sango abbiamo la stessa taglia” pensò lei, guardandosi allo specchio con soddisfazione.

A quel punto, dopo che Kikyo l’ebbe obbligata a sedersi di nuovo, dalla borsa estrasse una scatolina di velluto rosso.

« Questa sono diventata matta per cercarla, davvero. » esordì lei, sospirando appena mentre l’apriva e ne mostrava il contenuto.

Era una scheggia, una scheggia di un qualche oggetto sferico, legata con una catenina sottile in argento.
La guardò intensamente, come catturata dai suoi riflessi alla luce, perdendosi negli angoli appuntiti e sentì aprirsi qualcosa nella sua mente – un cassetto dei suoi ricordi.

Ne aveva vista una simile, in passato.

Avvicinò la mano verso quel piccolo oggetto, indecisa e turbata, sfiorandolo solo con la punta delle dita e sentendone il peso leggero sui polpastrelli prima che Kikyo lo ritrasse per sistemarlo al suo collo.

« E’ stato Inuyasha a chiedermi di cercarlo per te. Ha detto, testuale, che voleva farti un regalo speciale per il vostro primo appuntamento. Non dirgli che te l’ho detto, però, altrimenti mi licenzia. »

Era ancora intenta a fissare quell’oggetto stralunata, completamente assente, sforzandosi di ricordare dove poteva averlo già visto ma inutilmente. Nulla c’era nei suoi ricordi, solamente la nebbia e il vuoto.

Si riscosse all’ultima affermazione, ridacchiando appena e alzandosi dalla sedia per dare un abbraccio alla ragazza.

Non la conosceva da molto, ma era stata comunque molto gentile e disponibile.

Erano simili per certi aspetti e, forse, in un’altra vita avrebbero potuto essere tranquillamente sorelle.

Kikyo, a quel gesto, arrossì vistosamente e cominciò a pronunciare frasi sconnesse come una macchinetta lasciando sul viso di Kagome un altro sorriso.

“Allora è davvero molto timida … “ pensò divertita.

Fu in quel momento, quando era persa nei suoi pensieri, che la porta di casa si aprì ed entrò Inuyasha che si bloccò sulla soglia con uno strano sorriso dipinto sul volto.

« Mi sono perso qualcosa? » domandò divertito mentre Kikyo, scattando come una molla, si staccò da Kagome e cominciò a raccogliere le sue cose.

La ragazza non disse nulla, imbarazzata anche lei, si limitò a notare che il ragazzo si era cambiato e indossava un completo elegante scuro che di sicuro non aveva a casa.

« Inuyasha, ma quel completo … ? »

« Un regalo dai fratelli Jakotsu e Bankotsu, o meglio dire un prestito … »

Si passò una mano dietro la nuca, giocando con le ciocche argentee e concentrando la sua attenzione altrove.
“Accidenti … “ serrò la mano in un pugno mentre con un guizzo i suoi occhi passavano da Kagome alla parete. “Dovevo dire a Kikyo di non esagerare, così … è troppo … “

« Allora, Inuyasha, sei contento del mio lavoro? » esordì improvvisamente Kikyo, sbucando davanti al volto del suo capo e sogghignando maliziosa.

« Non trovi che Kagome sia divina? »

A quella domanda, che aveva attirato l’attenzione della ragazza, Inuyasha lanciò una violenta occhiata di fuoco alla sua collaboratrice. L’avrebbe pagata, altroché se l’avrebbe pagata.

Rimase alcuni minuti in silenzio constatando come l’abito, l’acconciatura e il trucco risaltassero la figura della donna che amava da quando era un bambino.

La donna che l’aveva salvato, ma che ora nemmeno ricordava il loro incontro.

Era molto più che bella, ai suoi occhi trascendeva qualsiasi essere vivente per diventare qualcosa di più, molto di più.

Deglutì nervosamente mentre sentiva le sue guance prendere fuoco.

« Sei … Sei davvero splendida, Kagome. »

 

Salve a tutti!

Per farmi perdonare il ritardo allucinante, ma soprattutto il fatto che, causa lavoro, sparirò per un po’ mi sono sbottonata e rivelato parecchie cosucce <3

Siate contenti di ciò.

Ora, tanto per fare pubblicità, da giovedì 11 a domenica 14 giugno sarò al Milano Matsuri a lavorare.
Se volete venire a conoscere l’autrice fatemi sapere xD
Meglio di no, però, serio.. fuggite sciocchi!

Un abbraccio fortissimo

Scheherazade!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Il ricordo di un sogno (Parte 2) ***


-Capitolo 10-

 

« Sei … Sei davvero splendida, Kagome. »
A quelle parole sentì una strana fitta al cuore, una sensazione piacevole e nostalgica l’avvolse mentre il respiro moriva all’interno del suo corpo lasciandola in uno stato di sospensione da cui era difficile fare ritorno.

Perché una sua parola riusciva a metterla sotto sopra, tanto da dimenticare che attorno a loro c’erano altre persone.

Kikyo osservava la scena con gli occhi lucidi, l’espressione sorniona e soddisfatta.

Non era sicura che Kagome avrebbe recuperato i ricordi legati a Inuyasha, ma, come aveva detto lui una volta, non era detto che non potesse accadere qualcosa di nuovo.

Sarebbe stato un bel lieto fine, pensò.

In quel momento, seppure a malincuore, dette un colpetto di tosse per richiamare i due piccioncini dal loro mondo di sguardi e ricordargli che era ancora presente.

Inuyasha le lanciò un’occhiata sbieca.

« Ancora qui sei? »

Kikyo gli rispose con un’ennesima occhiataccia, sbuffando e andando a recuperare le sue cose.

« Ho capito, ho capito, la ruota di scorta se ne va! »

Kagome si sentì quasi colpevole per quello che stava accadendo, e non era nemmeno lei a parlare in quel momento, ma le bastò l’occhiolino di Kikyo e il suo sorriso a rincuorarla.

“Meno male”, pensò sospirando, “sembra che non sia offesa”.

La punta dell’unghia stava sfiorando la guancia mentre assisteva a questo silenzioso, seppure poco velato, scambio di occhiate complici tra lei e Kikyo. Il tempo, però, non era dalla loro parte e dovevano sbrigarsi per cercare di arrivare a destinazione in tempo.
« Se … Se sei pronta direi che possiamo … Ecco … Andare … »

Kagome si riscosse nuovamente, annuendo e prendendo dall’appendiabiti vicino alla porta una borsetta da abbinare all’abito.
C’erano tante cose di cui voleva parlargli, tante domande che ora, dopo il racconto di Kikyo, sentiva di fare ma quando i suoi occhi nocciola si posavano sul viso di Inuyasha questa curiosità moriva.

Qualcosa la pizzicava nell’angolo della mente, come se, in qualche assurdo modo, lei sapesse già tutto quello che era necessario sapere su di lui. Da sempre.

Scosse il capo, cacciando quei pensieri dalla mente e trasse un profondo respiro quando oramai erano al piano terra e lui le stava aprendo la porta della macchina – posteggiata vicino al portone principale.
« Inuyasha … grazie, per la serata e … beh … la collana. »

A quelle parole si trovò per un momento spiazzato, incapace di rispondere se non con un farfuglio a cui mise fine simulando un colpetto di tosse.

« Ho solo pensato che ti stesse bene … Tutto qui! » rispose lui, evasivo e cercando di mascherare il suo imbarazzo.

“Kikyo … Giuro che ti licenzio!”

Senza ulteriori indugi salirono sulla macchina di Inuyasha, un vecchio modello di Toyota, di certo non la macchina lussuosa che ci si poteva aspettare dal figlio di una famiglia più che benestante. Quella, però, era una delle molte domande che voleva fargli ma che si trovò bloccata dal fare.

Parlarono appena durante quel tragitto, Inuyasha, chiaramente a disagio, aveva acceso la radio su una stazione radio casuale che mandava musica tradizionale. Non era la sua preferita, ma non disdegnava la cosa e questo le dava l’occasione per riordinare i suoi pensieri e la strana sensazione che provava al cuore.

Aveva frequentato altri ragazzi in passato, ma non aveva mai sentito quella stretta e quello strano guizzo al cuore. Mai.

Era qualcosa di assurdo, pensò poggiando la fronte contro il finestrino della macchina guardando il paesaggio della città scorrere sotto i suoi occhi, ma doveva cacciare indietro quella sensazione o ne sarebbe stata schiacciata.

Dopo circa una mezz’ora buona, Kagome si trovò con gli occhi completamente sbarrati dalla sorpresa. Il tutto a buon ragione: davanti a lei non si trovava una semplice villa, ma quello che aveva l’aria di essere un antico palazzo tradizionale.
Davanti a lei c’era una portone in legno con delle lanterne illuminate gettando ombre sulle grandi arcate, oltre esse c’era una strada in pietra accanto a un prato attentamente curato come l’albero di ciliegio alla sua destra e l’acero alla sinistra.

“Comincio a capire cosa intendevano Sango e Kikyo … “

Davanti ad una simile magnificenza Kagome si sentiva un pesce fuor d’acqua, completamente inadatta anche solo per respirare l’aria di un posto simile.

Intuendo il suo disagio, Inuyasha le si avvicinò e la prese per mano. A quel tocco Kagome sussultò, ridestandosi da quel sogno ad occhi aperti e guardandolo ancora con sorpresa mentre lui, senza dire nulla, si limitava a sorriderle e a scuotere il capo mentre continuava a tenerla stretta per mano guidandolo verso la porta di casa.

« Tu davvero sei cresciuto qui? » domandò Kagome, ripresasi abbastanza da trovare il coraggio di porre quella domanda.

Inuyasha ridacchiò mentre faceva suonare delle piccole campanelle per annunciarsi alla porta.
« No, assolutamente. »

In quel momento le tornò alla mente il discorso di Kikyo sulla madre di Inuyasha e capì di aver toccato un tasto dolente, si morse le labbra mentre si dava mentalmente della stupida per quella domanda inopportuna.

Izayoi, la madre di Inuyasha, era l’amante umana del signor Akio ed era normale che non vivesse nel medesimo luogo.

La porta venne aperta da quelli che dovevano essere demoni servitori, non dissero una parola e si limitarono a tenere il capo chino così che Kagome non li guardasse in viso lasciandola libera, volente o no, di ammirare l’interno.

Seppure l’esterno fosse chiaramente tradizionale, la casa all’interno si apriva su un lungo corridoio in parquet con alcuni mobili, sistemati a lato e un’atmosfera completamente diversa da quella s’immaginava.

« Se te lo chiedi … » esordì Inuyasha sottovoce, avvicinando il viso a quello di Kagome. « La parte “vecchia” della casa è dall’altra parte. La usano solo quando c’è qualche evento ufficiale. »

La ragazza annuì appena, mormorando qualcosa che nemmeno Inuyasha riuscì a capire ma che lo fece sorridere; era come in passato.

Avanzando diritta si accorse che Inuyasha aveva ragione: quell’area della casa era molto occidentale, moderna per così dire, e tutto curato nei minimi dettagli dell’arredamento. Aprì una porta sulla sinistra che dava su un soggiorno con un bellissimo divano poggiato contro una parete completamente ricoperta di librerie stracolme di libri. Davanti al divano, separato da un tappeto con sopra poggiato un tavolino in vetro, c’erano due poltrone e un paio di sedie.

Sul divano, accanto a quella che doveva essere la moglie, stava il signor Akio che non appena vide entrare Kagome il figlio si alzò immediatamente in piedi per salutarli con un semplice inchino e un sorriso.

« Sono felice di vedere che siete venuti veramente … » esordì il padre di Inuyasha, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del figlio e un’espressione interrogativa da parte di Kagome.

« Kagome, permettimi di presentarti mia moglie. »

Accompagnò le parole con un gesto del braccio allungando la mano alla consorte, la quale la strinse e la usò per alzarsi in piedi.

Aveva lunghi capelli argentei, più chiari rispetto a quelli di Inuyasha che sembravano avere le stesse sfumature della luna, li teneva legati in una coda alta che lasciava libere solo un paio di ciocche per incorniciare i lineamenti affilati ma non meno femminili.

Occhi color del ghiaccio la scrutavano con uno strano sorriso sulle labbra, misterioso e indecifrabile, mentre Kagome si soffermò ad ammirare velocemente l’abito elegante della donna di un blu chiaro con una strana cosa morbida, forse una specie di pelliccia, che la ricopriva le spalle e un bellissimo amuleto al collo.

« Lieta di conoscerti, signorina Higurashi, il mio nome è Mizuki* (*luna bellissima). »

La voce della donna era molto delicata e in quel momento Kagome capì come in passato, ma anche adesso, gli uomini considerassero alcune donne demoni particolarmente attraenti – tanto da perdere loro stessi.

Un leggero cenno del capo e Kagome ricambiò, inchinandosi e sentendosi nuovamente inadeguata. La donna spostò lo sguardo verso Inuyasha, sospirando appena e scuotendo il capo.

« Almeno questa volta sei venuto presentabile, Inuyasha. »

Il mezzo demone le sorrise sghembo, scrollando le spalle mentre Akio, intuendo la possibile battuta sarcastica del figlio, si affrettò ad intervenire nella discussione; l’ultima cosa che voleva era una discussione famigliare davanti a ospiti.

« Kagome … mio figlio Sesshomaru, invece, lo avevi già conosciuto quella sera … »

Lo sguardo di lei si spostò, allora, verso le poltrone dove vi erano accomodate due figure. Il primo ad alzarsi fu Sesshomaru, il fratello maggiore di Inuyasha. Kagome ricordava bene quella sera e, infatti, annuì con un cenno del capo.

Come la madre, anche Sesshomaru aveva uno sguardo glaciale, completamente diverso da quello gentile e affettuoso del padre, molto simile invece a quello della madre. Le parole di Kikyo risuonarono nella sua mente e si trovò a concordare con lei.

Proprio come Inuyasha, anche lui, per la serata, aveva optato per un abito più formale ma sul grigio e, esattamente come la madre, aveva una strana cosa morbida che ricadeva sulla spalla. Sembrava una pelliccia, ma non era sicura.

Dopo di lui si alzò la donna che gli era seduta accanto. Aveva due profondi e malinconici occhi  cremisi, un trucco leggero per far risaltare la carnagione chiara e i capelli scuri legati in un chignon con un fermaglio formato da un paio di piume bianche. Il suo abito aveva delle spalline leggere, la scollatura risaltava la sua figura longilinea e i colori che sfumavano dal bianco al rosso era perfetto per lei.

« Lei invece è Kagura, la mia fidanzata. » continuò Sesshomaru mentre la donna s’inchinava davanti ai due ragazzi.

I suoi occhi si fissarono su Kagome qualche istante, sorpresa mentre la ragazza, dal canto suo, la fissava un momento interrogativa.

« E- Ecco … »

« Voi … Siete alle dipendenze di Naraku, vero? » domandò Kagura, un tono così severo nella voce che Kagome lo considerò come una predica nei suoi confronti.

Trasse un profondo respiro, placandosi e cercando di risponderle con un sorriso dolce sulle labbra.

« Sì, sono il primo Maître del ristorante “Nekomata”. »

La donna non rispose subito ma al contrario si lasciò andare ad una risata, elegante e nascosta appena dal dorso della mano.

« Scusa, non voleva essere una critica … » si affrettò ad aggiungere mentre si avvicinava a Sesshomaru afferrando delicatamente il suo braccio. « … Naraku è anche il mio benefattore, se così vogliamo dire, ogni tanto mi telefona per discutere di affari e non fa che parlare di quanto sia fiero dei suoi dipendenti. In particolare, parla spesso di te. »

« Immagino, Kagome ha proprio l’aria di essere un’ottima collaboratrice. » asserì il padre di Inuyasha, annuendo più volte con il capo.

« Non ha solo l’aria, padre. »

La voce di Inuyasha risuonò nella stanza improvvisamente, fiera e orgogliosa, tanto che Kagome sobbalzò quando passò il braccio attorno alle sue spalle. Si trovò così appoggiata al suo petto, così vicina a lui come non lo era mai stata durante quei giorni di convivenza.

« Il ristorante non esiste senza di lei. »

Avrebbe voluto fermarlo, dirgli che non era merito suo ma anche degli altri e, non in ultimo, di Naraku, ma solo per quella sera non se la sentì di controbattere.

Quelle parole l’aveva resa felice.

Non era la prima volta che qualcuno si complimentava con lei, ma le parole di Inuyasha avevano uno strano potere su di lei e si trovava ad essere sempre in confusione.

La madre di Sesshomaru, Mizuki, sospirò sonoramente mentre chinava il capo.

« Noto che ha ereditato lo stesso gusto di suo padre. » commentò la donna spostando poi la sua attenzione verso Kagura, rammaricata. « Spero vorrai perdonare questa incresciosa scena. »

« Non vedo niente da perdonare, signora, dopotutto concordo con quanto è stato detto. » rispose Kagura, sorridente verso la donna.

« Se Naraku ha una grande considerazione di Kagome, allora non ho motivo di dubitare di quanto è stato detto. »

Non si aspettava quella risposta, ma soprattutto non credeva di vedere quella donna, la madre di Sesshomaru, indietreggiare di poco. Fu solo per un attimo, ma sia Inuyasha che Kagome videro uno strano barlume di orgoglio negli occhi di Sesshomaru.

Un leggero colpo di tosse da parte di Akio e tutta l’attenzione tornò verso di lui.

« La cena sarà pronta tra poco.

Kagome, nel frattempo, perché non dai un occhiata alla stanza di Izayoi? Sono sicuro che potresti trovare ancora delle vecchie fotografie. »

« Oh, intendi il magazzino? » domandò Inuyasha con una punta di sarcasmo, ma Kagome, ancora poggiata contro di lui, poté sentire la mano sulla sua spalla aumentare la stretta.

Il padre di lui non rispose, si limitò a glissare la domanda rivolgendo un sorriso gentile alla ragazza.

« Dobbiamo discutere di alcune faccende di famiglia, Inuyasha, quindi dovrai rimanere qui. »

Il mezzo demone roteò annoiato gli occhi verso l’alto; era quello il motivo per cui voleva evitare di andare.

Sperava che la presenza di Kagome potesse salvarlo, ma chiaramente non era così.

« Non pretenderai che lasci da sola la nostra ospite. »

« Sciocchezze! » ribatté la madre di Sesshomaru, sospirando appena. « Myoga l’accompagnerà, ovviamente. »

« Quel vecchio … »
Non fece in tempo a finire la frase poiché sentì il rumore di uno schiaffo provenire da Kagome, aveva la mano poggiata sul collo e quando l’allontanò rivelò il piccole demone pulce completamente spiaccicato.

« … Eccolo lì, per l’appunto. » mormorò esasperato Inuyasha, una mano poggiata contro la fronte.
Kagome si trovò nuovamente senza un momento per esporre la sua opinione, i suoi occhi si fissarono sul piccolo demone che si riprendeva nella sua mano, scuotendo vigorosamente il corpo e guardandola con quei piccoli occhi colmi di rispetto e ammirazione.

« Vi accompagnerò volentieri, signorina Kagome, non avete nulla da temere signorino Inuyasha! »

Detto questo saltò giù dalla mano della ragazza, saltellando verso la porta e verso il corridoio aspettando l’arrivo di lei.

Inuyasha le afferrò il polso, bloccandola e impedendole di andare. Kagome si voltò appena con il capo, in tempo per notare la sua espressione colma di rammarico alla quale rispose con un sorriso.

« Non ti preoccupare, tornerò presto a salvarti. » mormorò sottovoce – anche se sapeva essere inutile visto che la stanza era piena di demoni, demoni dall’udito molto sottile, ma nonostante tutto non poté resistere e rivolse un occhiolino a Inuyasha prima di uscire e raggiungere Myoga in corridoio.

« … Sembra una brava ragazza, forse anche troppo per te. » commentò Sesshomaru con voce bassa mentre poggiava una mano su quella di Kagura prima di tornare a sedersi sulla poltrona.

Inuyasha non rispose alle parole del fratello; non aveva forse ragione?

Nel frattempo Kagome, anche se ancora un po’ incredula, seguiva la piccola pulce che saltellando la condusse attraverso il corridoio della casa sino a quella che doveva essere la stanza/magazzino menzionata da Inuyasha.

« Eccoci arrivati, signorina Kagome. » disse Myoga saltellando sulla spalla della ragazza.

Non ancora del tutto sicura aprì la porta della stanza ancora immersa nelle tenebre, fu il piccolo demone pulce, allontanandosi dalla spalla della ragazza ad accendere la luce.

« E’ … stupenda … »

Quello non era un magazzino. Quella era la stanza di una donna chiaramente molto, molto amata.

La carta da parati che ricopriva la stanza aveva lo stesso colore del cielo notturno, aveva catturato l’esatta sfumatura di colore che assumeva pochi istanti dopo il tramonto e vi erano tanti piccoli punti chiari che dovevano essere le stelle.

Non vi erano finestre ma una porta a vetro che dava su un giardino zen, da essa si poteva chiaramente udire il rumore dell’acqua e il suono secco del bambù che colpiva la roccia.

Non c’era un letto, ma solo un armadio a muro e una specie di comodino su cui era posata una fotografia. Incuriosita si avvicinò prendendo la cornice tra le mani.

Izayoi aveva lunghi capelli scuri, proprio come nella fotografia del passato, i lineamenti si erano fatti più dolci con il passare degli anni e i suoi occhi scuri brillavano di gioia. Teneva per mano un bambino piccolo, imbronciato e con adorabili orecchie da cane: Inuyasha.

« La signora era davvero splendida, non credete? » domandò Myoga saltellando sulla spalla di Kagome, mentre lei annuiva.

« Sì, è davvero una donna bellissima. »

« Quando ha saputo della malattia, il padrone ha chiesto che venisse preparata questa camera … Voleva starle vicino il più possibile e dividere insieme il breve tempo concessole. » continuò Myoga, affranto. « La signora, però, non voleva lasciare il suo lavoro e non voleva creare incomodo per la padrona. Era una donna forte e il suo sangue era così delizioso … »

A quell’ultima affermazione si lasciò scappare una leggera risata.

Dopotutto, pensò, era un demone pulce e succhiare il sangue era una cosa normale.

« Anche il vostro è buono quasi quanto il suo, signorina Kagome! »

“Questo non so se prenderlo come un complimento”.

Si limitò a sorridere non sapendo bene cosa rispondere.

Posò la fotografia dove si trovava prima carezzando la cornice d’argento con le dita.

Era strano.
Ora che la vedeva adulta, non più una giovane donna, le sembrò di averla già conosciuta in passato.
« Myoga … » esordì Kagome, assorta nei suoi pensieri. « La signora Izayoi aveva un diario … »

« Forse c’è qualcosa negli scatoloni nell’armadio. »

Voleva conoscere. Voleva capire la ragione di quella sensazione nostalgica e piacevole.

Si avvicinò all’armadio a muro e ne aprì un anta, al suo interno vi erano un sacco di scatole e scatoloni che contenevano i frammenti di una vita che non sarebbe più tornata. Nell’angolo, nel ripiano più basso, c’era un futon tenuto con la massima cura. Non perse tempo e prese un paio di scatoloni, per cominciare – eliminando quelli con la chiara scritta “vestiti”.

Uno di essi era già aperto, probabilmente da Akio o Inuyasha, conteneva diverse cose e oggetti personali di Izayoi.

Il suo sguardo fu catturato da quello che era un vecchio lettore di cassette portatile, piuttosto antiquato come strumento ma, stranamente, senza nessuna traccia di polvere.

« Ah, la signora amava registrare dei messaggi.

Volete ascoltarla? »

« Sicuro che sia il caso? Insomma … Ha l’aria di essere molto personale. »

« Non ve ne date pensiero, signorina Kagome, la signora spesso registrava dei pensieri e delle poesie. Scrivere era divenuto pesante nei ultimi suoi mesi, così, invece dei diari, usava questo. »

Non era molto convinta.

Se Inuyasha fosse stato con lei avrebbe potuto chiedere, ma lui non era accanto a lei in quel momento e doveva decidere se fidarsi o meno. La curiosità alla fine prese il sopravvento.

Srotolò il filo delle cuffie e ne sistemò una nell’orecchio, lasciando l’altro alla piccola pulce che teneva quell’oggetto, grande il doppio del suo corpo, con le sue piccole mani. Un respiro profondo e fece partire il nastro.

« … E’ partito … ? » la voce della donna suonava distorta dalla registrazione, ma anche così poté sentire chiaramente quanto fosse piacevole.

Era una voce calda, delicata e profonda, arrivava diritta al cuore.

« Mio adorato figlio, probabilmente non ascolterai mai questo nastro. So di non essere stata una buona madre nell’ultimo periodo, ti ho causato molto dolore vero? » La voce di lei era spezzata dal dolore e dal rimpianto.

« Lo so che è così, ma voglio che tu sappia che non c’è nulla che io rimpiango delle mie scelte passate. Nulla. Sono stata, e sono tutt’ora, la donna più felice del mondo perché ho potuto conoscere tuo padre ed innamorarmi. Ho sperimentato la gioia più grande e ho vissuto appieno.

Inuyasha, la mia gioia più grande sei tu.

Quando eri piccolo e tornavi a casa in lacrime, il viso ricoperto di graffi e mi chiedevi “mamma, perché mi hai fatto nascere così”, sappi che l’ho fatto perché tu sei un essere vivente. Tu appartieni a questo mondo come chiunque altro, sai perché? Perché ogni essere vivente ha davanti a se un’esperienza unica in un mondo pieno di possibilità. Possono esplorare il mondo, ascoltare suoni e voci sconosciuti, e vivono la vita come vogliono  … E’ tutto così complicato a volte, ma anche semplice, e io non vedevo l’ora che tu entrassi a far parte di questo mondo. »

Gli occhi cominciarono a bruciare agli angoli mentre portava una mano vicino alle labbra, come per trattenere la voce e le sue emozioni. Quelle parole suonavano così familiari, come se le avesse già udite in passato.

« Ricorda sempre, sei qualcosa di straordinario proprio perché sei un essere vivente! Quando guarderai le stelle, quando i tuoi occhi guarderanno la luna, sappi che sarò lì a guardare lo scenario con te. Ovunque sarà la mia anima … io sarò con te. Abbi cura di tuo padre, Inuyasha. »

Il rumore di una porta che si apriva e la registrazione s’interruppe.

Lacrime scendevano lungo le guance di Kagome mentre anche il giovane demone pulce si asciugava gli occhi, commosso dalle parole della signora e dal suo cuore puro.

Quelle parole lei le aveva già sentite.

Nella sua mente comparve l’immagine di una donna, lunghi capelli scuri legati in una treccia e l’espressione dolce che guardava spesso fuori dalla finestra. Nella sua memoria, sentiva la sua voce delicata chiamare il suo nome e lei ricordava. Ricordava di esserle andata incontro, sorridendo felice e abbracciandola.

Il registratore cadde dalle sue mani, colpendo le ginocchia e poi il pavimento della stanza.

« Che cosa succede? »

Salve a tutti!

Ne è passato di tempo, vero? Mea culpa, vero, ma ho avuto molte cose a cui pensare e mille problemi da risolvere.

Ora, però, veniamo ad una notizia di carattere personale.

La sottoscritta a breve partirà per Londra, ho ricevuto una chiamata e sarei stata sciocca a dire di no. Non è un addio, poiché è mia intenzione portarmi dietro un computer se riesco, ma almeno per i primi tempi sarò un pochino compressa e le uscite tarderanno di nuovo.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e ci vediamo al prossimo aggiornamento. Ah, giusto, entro oggi o domani uscirà una one-shot che conterrà il mio primissimo esperimento con discorsi in prima persona. Siate clementi.
Un grandissimo abbraccio a tutti!

Scheherazade

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Cena con sorpresa ***


-Capitolo 11-

 

L’inventore del concetto di “lavoro subordinato” andava ringraziato doverosamente, non era mai stato tanto felice prima di quel momento di vedere Jaken, con quel suo fare servile e insopportabile, annunciare che la cena era pronta.

Non sopportava quelle riunioni di famiglia, alla fine, per quanto suo padre ci tenesse, non era davvero parte di quel gruppo e suo fratello e la sua matrigna lo rimarcavano con molta cortesia. Suo fratello, però, aveva almeno un po’ di decenza e a modo suo lo rispettava ora.

Una volta libero si diresse immediatamente verso la camera di sua madre, quella specie di magazzino come lo chiamava lui in cui tutte le sue cose erano state sistemate dopo la sua morte. Suo padre aveva tenuto ogni cosa, ogni singola sciocchezza e ora doveva muoversi per evitare che Kagome trovasse qualcosa che le ricordasse il passato: non era il momento migliore.

Aprì la porta e quello che vide lo lasciò senza parole.

Kagome, inginocchiata a terra, che reggeva in mano il vecchio registratore di sua madre e il viso rigato di lacrime mentre quell’oggetto cadeva a terra.

La sua mano si chiuse a pugno mentre si avvicinava.

« Che cosa succede? »

Kagome alzò il capo sentendo la sua voce, gli occhi nocciola ancora lucidi per le lacrime che aveva versato e la sua attenzione venne catturata dal nastro all’interno. Riconosceva la fascetta, e non poté fare altro che sospirare mentre poggiava una delle sue grandi mani sul capo di lei.

« Non darci troppo pensiero … »

« … Io la conoscevo, Inuyasha … »

Mormorò con voce bassa mentre il mezzo demone sgranava gli occhi per la sorpresa.

« Io l’avevo conosciuta … Era all’ospedale Teiko dove anche la mamma era ricoverata lì e io … andavo a trovarla! Ne sono sicura! »

Le parole uscivano dalle sue labbra come un fiume incontrollabile, sentiva nella sua mente una mente una tempesta incombere e abbattere i muri che ostacolavano i suoi ricordi.

Era vicina. Vicinissima ad afferrare con le sue mani quella sensazione, ma ancora questa le sfuggiva lontana.

Si alzò in piedi, una mano premuta contro la fronte, muovendosi avanti a indietro fino a quando Inuyasha, in un lampo di speranza, la fermò poggiando entrambe le mani sulle sue spalle.

Stava per avvicinare il viso al suo quando una vocina nella sua mente gli intimò di fermarsi, e, per una volta, decise di ascoltare la sua coscienza e chinò il capo. Sconfitto.

« Davvero? » domandò lui con voce seria, allontanando le mani dalle sue spalle.

« Sì … » rispose Kagome, sicura. « Molti dei miei ricordi non sono affidabili, lo so, ma di questo sono sicura. »

La mano di Inuyasha si chiuse in un pugno, gli artigli lunghi e affilati ferirono la carne mentre cercava di tenere a freno la sua lingua dal parlare o dire alcunché.

« Capisco.

Forse … Era la donna che andava a trovare mia madre. » rispose lui, fingendosi sorpreso dal suo stesso ricordo. Ovviamente, sapeva benissimo che era reale e vero.

« Ne sei sicuro? » domandò Kagome, afferrando le mani di Inuyasha e guardandolo con occhi pieni di speranza.

Era la prima volta, dal giorno dell’incidente, in cui riusciva veramente ad avere uno straccio di ricordo che era stato rubato dalle tenebre.

Poteva sentire l’odore di disinfettante nelle narici se chiudeva gli occhi un momento, ma, più di tutto, ricordava il volto sorridente di Izayoi che le tendeva la mano.

« Non molto. »

Kagome lo guardò confusa, ma in quel momento qualcosa la pizzicò sul collo distraendola. La mano si abbatté sul collo con una certa violenza solamente per ritrovare il corpicino schiacciato di Myoga, il demone pulce, con le guance arrossate e l’espressione del viso beata.

« Era così dolce, come quello della signora. »

Inuyasha si colpì in faccia con la sua stessa mano chinandola per l’esasperazione e scuotendo la nuca piano, senza dire una parola, impedendo a Kagome di fare domande, afferrò la piccola pulce che fino a quel momento era stata ignorata e la gettò fuori dalla stanza senza troppi complimenti.

« Inuyasha! » sbottò Kagome, con tono di rimprovero mentre questi si limitò a scuotere le spalle in risposta: « è ora di andare a mangiare. Ero venuto a chiamarti. »

Solamente in quel momento la ragazza si ricordò del motivo per cui era lì, del suo “ruolo”, ma quello che aveva scoperto le aveva completamente fatto dimenticare quell’insignificante aspetto.

Non disse una parola, afferrò la mano di Kagome e la trascinò fuori dalla stanza per andare incontro a quello che aveva definito uno dei “tormenti infernali” – tutto, ovviamente, sottovoce.

Aveva un sacco di domande da fargli, ma soprattutto voleva chiedergli dei diari perché, se erano tutte cassette, non poteva portarle via e rischiare di ascoltare nuovamente qualcosa di privato e che non le apparteneva.

Non la riportò nella stanza di prima, ma girò l’angolo e aprì un’altra porta dove una tavolata già imbandita attendeva solamente loro.

La sala da pranzo, come quel soggiorno che aveva visto, era finemente decorato con legni pregiati e una luce soffusa da finte candele donava un’atmosfera più calda e intima.

Akio e sua moglie, Mizuki, sedettero ai rispettivi capitavola mentre Kagome venne fatta sedere accanto a Sesshomaru ma davanti a Inuyasha. Accanto al fratello maggiore del mezzo demone, però, si sentiva terribilmente a disagio tanto che lo stomaco si chiuse improvvisamente e ogni desiderio di mangiare svanì completamente.

Sulla tavola, impreziosita da un centro in ceramica con sopra della frutta fresca di stagione e un paio di candele, vere, ai lati, erano stati deposti dei grossi piatti in argento con sopra della carne già tagliata – verdure e altri contorni erano in altrettanti contenitori argentei. Demoni servitori, come quelli che avevano aperto la porta, non erano presenti in sala o negli angoli come nei vecchi film.
Senza perdere altro tempo, vide Akio, il padre di Inuyasha, cominciare a riempire il proprio piatto in maniera piuttosto varia e lo stesso si poteva dire per gli altri ospiti al tavolo che sembravano non sgradire quella forma non troppo tradizionale di cenare.

Kagome cercò con lo sguardo Inuyasha, ma questi era stato catturato da suo padre in una conversazione sul suo lavoro e su altre faccende personali e Kagura, la fidanzata di Sesshomaru, fu coinvolta dalla signora Mizuki in una discussione simile; era la vera nuora, dopotutto, era normale che volesse conoscerla.

Stava per allungare la mano, afferrare le clip e servirsi da sola quando, senza nessun preavviso, vide Sesshomaru riempirle in piatto senza dire una parola. Girò appena il capo, sorpresa da quel gesto, lo guardò per qualche minuto spaesata per poi ricevere un’occhiata gelida da parte di lui.

« … Qualche problema? » domandò, con quel suo tono basso e Kagome scosse in fretta il capo.

Alle sue spalle, intanto, erano apparsi alcuni demoni che reggevano in mano delle bottiglie di vino e versarono parte del contenuto nei bicchieri dei commensali.

« Mia madre … » continuò Sesshomaru, « non approva gli esseri umani, ma solo per via di Inuyasha. »
Kagome teneva il capo chino mentre ascoltava quel tono basso.

Afferrò una forchetta e cominciò a servirsi di quello che era stato messo nel suo piatto, partendo dalle verdure per prima cosa.
« In realtà … Avrei bisogno di parlarti in privato uno di questi giorni. »

Aveva già la forchetta a mezz’aria quando si fermò, lasciandola interdetta e costringendola a voltare nuovamente il capo per guardarlo con non poca sorpresa.

Sesshomaru, quel demone che fin da quando lo aveva conosciuto quella sera le aveva dato l’aria di essere gelido, distaccato e insofferente, in realtà voleva solo parlarle in privato. Non riusciva a credere alle sue orecchie, infatti non ci credeva.

Inuyasha, dall’altra parte del tavolo, continuava a tenere d’occhio quello che succedeva tra suo fratello e Kagome.

Non era mai davvero riuscito a capirlo.

Spesso sembrava disprezzarlo, da piccoli, soprattutto, non sembrava desiderare altro che la sua prematura dipartita ma con il passare del tempo anche lo sguardo era cambiato.

Forse era merito di Kagura? Difficile dirlo, ma aveva reso più complicate le loro comunicazioni; a volte sembravano davvero fratelli.

« … Di cosa state parlando, voi due? »
Esordì lui con tono appena sarcastico, Kagome girò appena lo sguardo da Sesshomaru, imbarazzata per essere stata ripresa a voce così alta. Ora tutti, nessuno escluso, li guardava con acceso e vivo interesse.

Sul posto di lavoro non era un vero problema, ma in quel contesto si sentiva come un pesce fuor d’acqua.

« Non starai cercando di circuire la mia donna, vero? » domandò con tono scherzoso, ma a Kagome non sembrava che i suoi occhi stesso sorridendo per davvero.

Sesshomaru non rispose, riprese tranquillamente a mangiare dal suo piatto come se nulla fosse mentre lei, dal canto suo, non sapeva per cosa rimanere ulteriormente allibita.

« … Inuyasha … » esordì dopo diversi istanti di silenzio.

Il gelo calò nella sala da pranzo, tutti gli occhi puntati su di lui.

« … Ti sei sporcato con il vino. »
Posò immediatamente il bicchiere, preoccupato si guardò la camicia ma non vi erano macchie. Come sempre, quando usava quel tono serio, non sapeva mai se stava scherzando oppure o no – questo glielo concedeva.

Il suo sorriso divenne sghembo, stava per ribattere quando fu interrotto da una risata appena accennata al suo fianco; era Kagura.

« Scusami, Inuyasha, non era mia intenzione … E’ solo che i suoi scherzi sono sempre così divertenti. »

Teneva la mano vicino al viso, cercando, vanamente, di trattenere le risate.

Akio e Kagome osservavano la scena, sbigottiti.

“L’amore è cieco e sordo”, pensarono in sincronia prima di voltarsi, ridacchiare e cominciare una conversazione tra di loro, nella quale anche Inuyasha prese la parola.

Nel frattempo, mentre Kagome era impegnata a spiegare al signor Akio in cosa consistesse il suo lavoro di preciso, al Nekomata la serata procedeva molto più lentamente di quanto avevano previsto.

Miroku era stato incaricato di gestire la sala, ma con la disdetta di numerose prenotazioni non sapeva cosa pensare. Un paio di pensieri sulla causa, però, cominciavano a sedimentare nella sua mente eppure preferiva non dare loro troppo credito.

« Miroku … » la voce di Naraku, scoraggiata come non mai, arrivò alle sue spalle. Indossava un completo scuro, come il personale, sulla cravatta si poteva chiaramente notare il simbolo del ristorante ricamato con fili d’oro e d’argento.

Il sostituto maitre sospirò appena, annuendo con il capo.

« Sì, anche i signori Hoshino hanno disdetto. »

« Questo proprio non ci voleva … » commentò scoraggiato.

La famiglia Hoshino era una delle più forti sostenitrici che aveva contro la politica di corruzione della Entei, se cancellavano una cena, regolare e abitudinaria, voleva dire che qualcosa stava cambiando nell’aria e che la lista dei suoi alleati si assottigliava.

Spostò gli occhi violacei sulla sala semi deserta, solo pochi tavoli, rispetto a quelli di qualche sera fa, erano occupati ed erano tutti conoscenti e amici che non sarebbero mai mancati.

Si portò una mano alla fronte, stanco, scostando con le dita alcune ciocche di capelli scuri mentre la sua mente rifletteva su quello che doveva fare dopo quella serata che si sarebbe chiusa in maniera disastrosa.

Miroku lo guardava con crescente preoccupazione, cercando, come faceva Kagome, di non farsi scorgere anche dagli altri membri dello staff; non era necessario che anche loro si preoccupassero di quella faccenda.

Poggiò la mano contro la sua spalla, annuendo con un cenno di assenso e mostrandogli un’espressione decisa.

« Non ti preoccupare di noi, Naraku, per quanto mi riguarda sono disposto a rinunciare al mio stipendio. Puoi dare la mia parte a Sango in caso di emergenza, lo sai. »

Non era la prima volta da quando erano cominciati i guai con la Entei che si ritrovavano in una situazione del genere, aveva parecchi risparmi da parte e ogni tanto sapeva rinunciare allo stipendio per Sango. Soltanto per lei.

« Vorrei non si arrivasse a tanto … » commentò in risposta Naraku scuotendo lentamente il capo e guardando ancora una volta la sala.
Aveva faticato molto per creare quel posto, era stato il coronamento di un sogno che aveva coltivato per molti, moltissimi anni. Aveva radunato persone speciali, persone uniche nel loro genere e ignorate dal mondo circostante.

Kagome, Miroku e Sango erano stati i suoi “gioielli”, per così dire, dei veri e propri diamanti allo stato grezzo e non poteva essere più fiero di quello che stavano realizzato.

Il campanello posto all’ingresso risuonò annunciando l’arrivo di nuovi ospiti.

Miroku e Naraku si voltarono verso l’ingresso per trovarsi di fronte una giovane donna dai lunghi capelli corvini, tenuti assieme in una elegante treccia che ricadeva sulla spalla, gli occhi nocciola brillanti sembrarono illuminarsi al vedere l’interno del locale; era Kikyo, e non era da sola.

Dietro di lei comparvero tutti i membri della dipartimento Shikon.
Bankotsu era vestito in modo molto sobrio, con un paio di jeans scuri e una maglia con sopra una scritta molto generica e un disegno stilizzato, seguito da Jakotsu il quale, invece, molto più “vistoso” nei colori e nella scelta del vestiario.
Onigumo, invece, era piuttosto anonimo anche nei vestiti. Miroku riconobbe la ragazza, sebbene l’avesse incrociata per pochi istanti, le andò incontro sorridendole.
« Voi siete la bellissima fanciulla della volta scorsa, ho ragione? » domandò, chiedendo conferma nella sua supposizione e trovandola in un vigoroso cenno del capo. Fintanto che si manteneva una certa distanza, non si sarebbe sentita intimidita e da quello che aveva capito, si ripeté Kikyo, era il tipo di atteggiamento che aveva con tutte e non soltanto con lei.

Naraku la guardò con un misto di sorpresa e di emozione.

Da una parte, Kikyo le ricordava Kagome, soprattutto nei tratti, ma c’era qualcosa di diverso nei suoi occhi e immediatamente se ne sentì attratto. Le si avvicinò, impacciato e imbarazzato al ricordo del loro primo “incontro”, ma cercò di darsi un apparenza di contegno.

« Gli amici di Kagome sono i benvenuti, naturalmente, per la prima sera, offre la casa. »

« Sul serio?! » risposero in gruppo i ragazzi, Miroku si girò a guardare Naraku, sorpreso non poco, per poi ridacchiare e scuotere la nuca: aveva intuito tutto, ovviamente.

Jakotsu, improvvisamente, si avvicinò a Miroku e gli posò un gli posò un gomito sulla spalla, gli occhi chiari lo guardavano con una strana combinazione di sentimenti che il malcapitato non poté non provare un brivido lungo la schiena.

« Lo sai che sei proprio carino, vero? » commentò con aria sognane, mentre Miroku si sentì sempre più sprofondare cercando di mantenere un’apparenza di dignità.

« Inuyasha è più il mio tipo, ovviamente, ma i tuoi occhi non sono proprio niente male … Potremo andare a divertirci insieme più tardi, che ne dici? »

« E- Ecco … »

Miroku non sapeva come rifiutare senza rischiare di essere offensivo di una cosa, però, era assolutament sicuro: Sango glielo avrebbe rinfacciato per giorni interi, sempre se riusciva a tenere la bocca chiusa anche a Naraku – il quale non brillava per discrezione.

« Jakotsu …»

Il fratello intervenne per salvare la situazione, con due dita afferrò per l’orecchio il fratello allontanandolo così da Miroku il quale, finalmente libero da obblighi morali, poté tirare un sospiro di sollievo. « … Possibile che tu non impari mai la lezione? »

« Lasciami! Possibile che tu non mi faccia mai divertire? »

« Il tuo divertimento consiste nel tormentare altre persone. Quindi no, mi dispiace ma non intendo lasciarti tormentare quel poveretto. »

Jakotsu aggiunse ancora qualcosa, brontolando per lo più, incrociando le braccia al petto e spostando lo sguardo nella direzione opposta. Kikyo li guardò ridacchiando oramai abituata ai loro battecchi, Naraku, invece, guardava lei che sorrideva e tutto il mondo circostante perse di significato.

La campanella del locale suonò di nuovo, annunciando l’arrivo di nuovi ospiti ma questa volta, purtroppo, non era niente di piacevole.

Accompagnato da alcuni demoni che gli facevano da guarda del corpo c’era il capo dell’associazione Entei, Hakudoshi.
Tutto nel locale sembrò fermarsi, persino i pochi clienti seduti al tavolo portarono lo sguardo verso l’ingresso; non era una cosa che si vedeva tutti i giorni,  e anche Sango, attirata dalle parole di Hojo, uscì immediatamente dalla cucina per precipitarsi al fianco di Miroku e Naraku.

Il suo sguardo venne immediatamente catturato dalla figura minuta di Hakudoshi. A occhi normali, non abituati, poteva sembrre un bambino demoniaco come tanti altri ma in realtà era molto simile a Naraku come origine: era il prodotto di esseri diversi, ma in questo caso, come si vociferava in giro, solamente di scarti di parti demoniache. Le mani si strinsero automaticamente, i suoi occhi s’infiammarono come la sua anima mentre sentiva il bisogno di scattare in avanti e colpirlo. Miroku, percependo questo suo cambiamento improvviso, posò una mano sopra il pugno di lei e scosse lentamente il capo e poi con un cenno indicò i demoni che gli facevano da guardia del corpo.
« E’ questa la rinomata accoglienza che riservi ai tuoi clienti? » domandò con tono piatto Hakudoshi, la cui voce infantile mal si adattava al suo spirito. Naraku lo sguardò con stizza prima di trarre un profondo respiro, sospirando arrendevole e facendosi avanti.
« Vogliate perdonarmi, non aspettandoci il suo arrivo non abbiamo preparato qualcosa di adeguato. »

« Lascia stare. Sono salamelecchi inutili. » commentò freddamente Hakudoshi, i suoi occhi vuoti passarono in rassegna il locale semi deserto e successivamente anche al personale.
Li conosceva tutti, ovviamente, ognuno di loro aveva incrociato il suo cammino. I suoi occhi vuoti, di un vacuo color lilla, si posarono infine su Naraku.
Un sorriso malvagio allungò gli angoli delle sue labbra mentre una leggera risata veniva a stento trattenuta.

« Così è questa la tua squadra d’oro? Un sommelier che non ha nemmeno passato gli esami di ammissione alla scuola superiore. Uno chef cacciato dai migliori ristoranti e uno Chef de rang denunciato dal suo stesso datore di lavoro? Seriamente … questo … » le risate venivano a stento trattenute mentre la rabbia cresceva negli animi. « … Questo branco di esseri difettati e che vengono buttati per la strada? Non farai sul serio! »

Kikyo, come gli altri ragazzi del dipartimento, ascoltavano inorriditi quelle parole. Le veva sentite in passato quelle voci, ma, ovviamente, come il loro capo aveva spiegato loro non avevano alcun fondamento perché le persone erano come greggi di pecore a volte a cui serviva solo un buon pastore.

Incapace di sopportare oltre, ripensando anche al proprio passato, scattò in avanti e posizionandosi proprio sulla linea di osservazione di Hakudoshi lo sfidò apertamente incrociando le braccia al petto e guardandolo con un sorriso sornione fece qualcosa che nessuno, nemmeno i suoi colleghi, si aspettavano; sputò proprio sopra le scarpe di Hakudoshi. In sala calò il silenzio più totale, Hakudoshi guardò la donna dai lunghi capelli corvini con odio. Una rabbia crescente, mai provata prima, s’impossessò di lui.

« Tu … ! Come hai osato?! » la sua voce cambiò, oscurandosi e gettando tensione in tutti coloro che stavano guardando la scena.

Miroku e Sango erano congelati nel loro stupore proprio come Naraku, mentre i suoi colleghi, ancora colpiti da quel suo gesto, non esitarono a fischiare in approvazione per quanto aveva appena fatto. Kikyo, la ragazza timida e chiusa, stava davvero sfidando apertamente il presidente e il capo della Entei?
« Non importa chi lei sia, nessuno le da il diritto di insultare gli altri nella loro casa. »

Inarcò un sopracciglio, sempre più confuso e irato.

« Come osi?! »

« Come osa lei! Io non sono nessuno, sono un erba cresciuta sul ciglio della strada ai suoi occhi ma persino gli escrementi dei cani avrebbero più valore di quello che sta facendo lei. Se intende minacciare questo locale, sappia che non le permetteremo di fare il suo comodo. »

« E come pensi di fare? Tu sei solo una ragazzina … » replicò lui, in tono sarcastico e ironico.

« Non è da sola … »
La voce di Bankotsu interruppe quell’attimo, con il suo modo di fare strafottente si mise di fianco a Kikyo mentre Jakotsu le posava una mano sulla spalla, sorridendo soddisfatto e strizzando un occhio verso di lei che rispose con un sorriso e un mormorio: “grazie”.

« La famiglia Schinchitai è con lei, dopotutto. »
Hakudoshi impallidì a quel nome, lo stesso fecero Naraku e gli altri.

La famiglia di Bankotsu e Jakotsu era una delle più potenti nel campo della guerra, degli armamenti e nell’esercito in particolare. Si racconta che fin dal passato avessero avuto dei ruoli importanti in alcune delle più grandi battaglie, come mercenari, all’inizio, per poi evolversi e cambiare specializzazione.
Gli occhi di Naraku, però, tornarono a posarsi sul profilo di Kikyo mentre sentiva il proprio animo incendiarsi come non era mai accaduto in passato.

Desiderava ardentemente quella donna speciale, coraggiosa e forte nello spirito.

Doveva essere sua, e di nessun altro.

Salve a tutti!
Scusatemi, per cominciare, se il capitolo sembrerà fiacco ma l’ho cominciato in Italia e finito qui a Londra. Sono al momento in assenza di Internet, o meglio … ho una connessione da nemmeno 5mb per secondo! CAPITEMI!
Ahahaha!
Spero di non avervi deluso.
Piccola info … la cena, nel prossimo capitolo, sarà ufficialmente finita e assisteremo ad un bel momento tutto Inuyasha e Kagome.
Un abbraccio fortissimo!
Scheherazade 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3031447