Kizuna - a nanshoko soap opera-

di Akrois
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** [1] Saint Mary ***
Capitolo 2: *** [2] ***
Capitolo 3: *** [3] ***
Capitolo 4: *** [4] ***
Capitolo 5: *** [5] ***
Capitolo 6: *** [6] ***
Capitolo 7: *** [7] ***
Capitolo 8: *** [8] ***
Capitolo 9: *** Extra ***
Capitolo 10: *** [9] ***
Capitolo 11: *** [10] ***
Capitolo 12: *** [11] ***



Capitolo 1
*** [1] Saint Mary ***


Kizuna – a nanshoko soap opera-

Kizuna – a nanshoko soap opera-

 

 

 

 

A.Corner (A)

 

Che posso dirvi? Potrei cominciare col chiedere scusa al mondo per aver messo per iscritto quest’idea che mi frullava in testa da un bel po’. E poi…

Umm

Umm

Potrei parlarvi delle quattro boiate messe in fila che compongono la storia..

ma anche no *O*

 

________________________________________________________________________________

 

 

[1]

 

Saint Mary

 

L’Ospedale Santa Maria di Atene era un meraviglioso polo unico dove medici, infermieri e visitatori si muovevano con una cartina gentilmente concessa dall’ente del turismo.

In un solo edificio erano stati raggruppati cinque piccoli ospedali e ben tre cliniche private.

Nell’enorme costruzione, tutta vetro metallo e cemento si trovava solo un misero 3% di mattoni che, poveri piccoli, erano stati relegati nei sotterranei, luoghi stupendi dove la puzza di polvere, muffa e marcio erano in grado di stecchire anche un elefante.

In quest’ospedale erano raccolti i medici migliori che Atene avesse mai visto.

Costoro erano…

 

- Camussss!

 

Un giovane biondo, fin troppo giubilate, allacciò le braccia al collo del sopraccitato Camus, un sospirante rossino.

 

- Milo. Te lo chiederò solo una volta: cosa diavolo ci fai qua?

 

Milo gli sorrise, poggiandosi sulla sua spalla e giocando con una ciocca di capelli vermigli.

 

- Che domande, Camus, sono venuto a trovarti.

- Davvero? E spiegami, le tue fan ti hanno lasciato allontanare da ginecologia così facilmente?

 

Alla faccia del suo essere uomo, Milo Marakis, trentacinque anni, capelli biondi e due occhi da infarto, era il ginecologo più richiesto del momento e tutte le donne volevano che i loro bambini nascessero sotto la sua benedizione.

Se non ti faceva nascere Milo Marakis eri uno sfigato, ecco tutto.

Chiaramente, tra la moltitudine di donne che arrivavano al suo reparto, molte erano intenzionate a provarci con lui. Tempo, fiato e forse sprecati, Milo Marakis, infatti, aveva occhi solo per un certo rossino, tal Camus Gide.

Camus invece vantava un volto stupendo. L’ovale del viso era perfetto, ben disegnato, di una bellezza algida e distaccata. Tale volto era anche benedetto dalla presenza di due superbi occhi color verde acqua.

Camus Gide era invece il primario della rianimazione. Stare in quel luogo, purtroppo, voleva dire anche essere in grado di dire, con la maggior dolcezza possibile, alle famiglie della morte dei propri cari, cosa in cui Camus era –perdonatemi la franchezza- una totale schifezza. Non solo non era dotato d’alcuna sensibilità, ma era anche fornito di una stupenda voce monocorde, che raramente variava di tono. In questo caso, erano mandati alla carica i due deliziosi schiavettservettgaloppin… bhe, gli... stagisti? Ecco, gli stagisti di Camus.

I due fanciulli, che di nome facevano rispettivamente Hyoga Mitsuvich Sultanof e il suo caro amico d’infanzia, Issac Kierkegaard, entrambi definibili simpaticamente mezzi e mezzi, in altre parole, nel loro sangue scorreva quello di più razze.

Hyoga, un simpatico biondino che tendeva a tirarsela da morire davanti al proprio “Maestro” e all’amico, per poi struggersi in solitudine al pensiero della madre morta, era quanto di più idoneo per comunicare brutte notizie. Con quegli occhioni azzurro ghiaccio e quell’aria comprensiva, si adattava a comunicar le peggiori sfighe. Isaac, un maniaco delle tinte per capelli (colore più in auge del momento: l’insensibile verde pappagallo, ammesso solo se avesse portato una bandana al lavoro) con i ridenti occhi marroni striati d’oro (c’era un motivo in fondo, se quell’ospedale era detto degli “occhibelli”) e quell’aria simpatica invece era poco adatto. Soprattutto perché tendeva ad essere troppo confidenziale con i pazienti.

Tornando a noi. Milo aveva malauguratamente fatto scendere le braccia dalle spalle di Camus, cingendolo attorno al bacino. Ciò causò una leggera irritazione del collega, che gli tirò – seppur con molta eleganza- la propria cartelletta in testa.

 

- Ahioo.. Camus, mi hai fatto male…

 

Piagnucolò il biondo, rivolgendosi un faccino triste. Camus inarcò un sopracciglio.

 

- Milo…

 

Milo scoppiò a ridere, poggiandogli un braccio attorno alle spalle.

 

- Dai Camus, non fare troppo il ghiacciolo!

- Milo, ogni giorno che passo assieme a te mi giustifica la mia prima impressione su di te.

- E quale era?

-“Idiota”.

 

Dire che Milo ci restò sconvolto era un eufemismo. Rimase per qualche secondo immobile, pietrificato e poi, depresso, si separò dal collega, allontanandosi.

 

- Ah… va bene… allora... me ne vado…

 

Camus lo trattenne per il camice.

 

- Scherzavo, scemo.

 

Sbottò, tirandolo verso di sé. Milo si voltò, nuovamente giubilante e gli scoccò un bacio su una guancia, soffermandosi a sussurrare al suo orecchio un dolce “ti amo”, per poi trotterellare via.

Camus alzò gli occhi al cielo, chiedendosi perché si era dovuto innamorare di un uomo con la mentalità di un cucciolo.

 

 

 

 

 

A pranzo, era ovvio che tutti i medici del Saint Mary andassero alla caffetteria. Nessuno e dico proprio nessuno evitava mai quest’appuntamento, tanto meno…

 

- Mu!

 

Mu Bevin, delizioso trentacinquenne biondo dalla pelle candida, che si occupava solertemente del reparto d’oncologia, voltò i propri stupenti occhi verde smeraldo ad incontrarne un paio di un turchese luminoso.

Aphrodite, anzi Mikail Ruskin, il terzo biondo, uno svedese che si occupava della chirurgia plastica.

“Aphrodite” era il nome d’arte che aveva da giovane, quando, per pagarsi l’università posava come modello, di tanto in tanto. A farlo notare non erano i lunghi capelli color miele, come neppure il neo che stava sotto l’occhio sinistro, dandogli un’aria da nobiluomo del cinquecento, ma le mani. Mani dalle dita lunghe e delicate, mani curatissime e perfette. Non per nulla, Aphrodite aveva più volte detto di essersene andato da casa “sulle mani”.

 

- Buongiorno Aphrodite.

 

E poiché nessuno di loro era cresciuto sulla luna, o in una grotta sul cucuzzolo delle Ande, tutti sapevano del soprannome di Mikail e tutti lo chiamavano a quel modo. A lui non dispiaceva.

Aphrodite rispose al sorridente saluto di Mu con uno di pari luminosità.

 

- Stesso tavolo?

 

Domandò Mu, indicando con un cenno della testa un tavolino rotondo in fondo a destra. Aphrodite stava per annuire, quando due grandi mani lo afferrarono rudemente per i fianchi, allontanandolo a Mu.

 

- Scusa Mu, ma oggi il biondo è mio.

 

Angelo Menandro, tale era il suo nome, era un siciliano di trentasette anni (età che condivideva con Aphrodite e un terzo dottore) che, seppur pneumologo affermato, fumava spudoratamente come una ciminiera. I corti capelli erano tirati all’indietro, nonostante qualche ciocca cadesse sugli occhi. Occhi di un marrone chiaro, che se colpiti dalla luce rilucevano di rosso (come quelli di certi conigli). I capelli d’Angelo, però, avevano subito una prematura sbiancatura nella sua adolescenza e adesso erano tutti grigi.

 

- Angelo!

 

Esclamò irritato Aphrodite, cercando di divincolarsi.

 

- Avevo detto a Mu che avrei mangiato con lui e Shaka oggi!

 

Strepitò, cercando contemporaneamente di liberarsi dalla stretta del siciliano e di non rovesciarsi il vassoio di cibo sul camice.

 

 - Dai Aphrodite. Vi pure con Angelo.

 

Disse Mu sorridendo comprensivo e facendo un leggero gesto con la mano. Aphrodite ci pensò un po’ su, prima di lasciarsi trascinare via da Angelo col grido “mangio con voi domani!”.

 

- Immaginavo che dietro tutto quel chiasso ci fosse Aphrodite.

 

Disse una voce. Shaka Mou-Juong, un uomo alto e anche lui biondo, dagli occhi meravigliosi. Quanto? Diciamo che quegli occhi erano di una meraviglia tale che tutti maledivano le lunghe ciglia dorate che li toglievano alla vista, e che nascondevano quelle iridi azzurre come il cielo.

Shaka era inoltre il cardiochirurgo più richiesto non solo dell’ospedale, ma del mondo. Conosciuto anche come la mano destra di Dio, Shaka era riuscito laddove non solo altri medici, ma semplicemente altri essi viventi non sarebbero mai riusciti.

Mu gli rivolse un sorriso.

 

- Aphrodite mangerà con Angelo.

 

Shaka annuì, per poi dirigersi verso il solito tavolino. Ben pochi si avvicinavano a quel tavolino. Forse perché avvicinarsi a tanta bellezza tutta assieme sarebbe stato devastante per chiunque, forse perché solo Mu e Shaka bastavano a formare un’aura mistica che tenesse lontano le persone.

Ma anche Aphrodite non scherzava. Forse le sue occhiate omicide non erano all’altezza di quelle di Camus, ma erano comunque tremende.

Shaka si sedette, poggiando il vassoio con il suo pranzo.

 

- Tu mangi troppo poco, Shaka.

 

Lo rimproverò Mu, osservando il piatto pieno d’insalata, la bottiglia d’acqua e la mela che stazionavano sul vassoio.

 

- Ti farai del male.

- A casa mangio di più.

 

 Disse Shaka, prendendo un bicchiere di plastica e riempiendolo d’acqua.

 

- È che qui posso mangiare solo questo.

 

Mu chinò lo sguardo verso il suo piatto, guardando con aria colpevole la braciola che se ne stava lì placida tra il purè e i pomodori. Shaka era buddista e, in quanto tale, non mangiava carne d’alcun tipo. Fortunatamente non era un integralista convinto e si concedeva cibi e altre cose d’origine animale.

 

- Guarda che non me la prenderò per la tua braciola.

 

Disse, poggiando il volto su una mano e guardandolo un po’ di sbieco, con un leggero sorriso sulle labbra.

 

- Non era questo che stavo…

-…Mu…

- Va bene, stavo pensando proprio a questo.

 

Shaka scosse la testa.

 

- Non sono un bravo buddista, di dieci principi ne seguo appena tre; quindi non sono il tipo più adatto a disquisire sulla religione.

 

Shaka si buttò allora sull’insalata, seguito a ruota da Mu che attaccò la braciola. Mangiarono in silenzio, ma sappiate che il loro silenzio valeva molto di più delle parole vuote che venivano dagli altri tavoli.

 

 

 

 

 

- Tutto bene Miquel?

 

Domandò l’uomo, osservando il bambino. Questi sorrise.

 

- Sì, mi sento molto meglio.

 

L’uomo annuì. Era lato, altissimo, quasi due metri. Aveva le spalle grandi come un armadio e i lineamenti dritti. Diciamo che aveva un perfetto profilo greco, lievemente rovinato da una piccola distorsione del naso, unica testimone della sua passata passione per il wresling. I capelli castano scuro cadevano lisci sulle spalle, allontanati dal volto e portati dietro le orecchie per non infastidire gli occhi color terra.

 

- Bene.

 

La donna dietro di lui lo guardò speranzosa.

 

- Allora, dottor Alderaban? Come sta mio figlio?

 

A dispetto della sua mole, Alderaban era amatissimo dai bambini che non facevano altro che chiedergli di potarli sulle spalle, grazie ad una forza fisica non indifferente Al poteva portarne benissimo anche quattro tutti assieme, oppure sei, se gli ultimi due erano magrolini.

 

- Sta benone signora.

 

La rassicurò, rivolgendole un sorriso radioso. La donna lo abbracciò con slancio. Al pensò che le mamme erano davvero troppo apprensive e che in fondo il figlio aveva solo le avvisaglie di un sonoro raffreddore.

 

- Comunque, signora, le segnerò delle pillole contro il raffreddore, non si sa mai.

 

Disse, estraendo il libretto delle ricette e la penna.

Quando Miquel e la madre se ne furono andati, Al si accasciò su una sedia.

 

- Lavori troppo.

 

Disse una voce. Alderaban trasalì, voltandosi di scatto. Dietro di lui, Mu sorrideva, porgendogli un grosso panino alla porchetta, accettato senza troppe resistenze dall’affamato pediatra.

 

- Non mi pesa, lo sai. Adoro i bambini.

 

Mu si sedette di fianco a lui, guardandolo mangiare.

 

- Lo so, ma mi sembra che tu faccia abbastanza senza dover sacrificare quei miseri venti minuti di pausa che ci vengono concessi.

- Lo so, lo so.

 

Annuì Al, rivolgendogli un sorriso pieno di briciole.

 

- È che amo troppo il mio lavoro.

 

Disse, ridendo a bocca piena. Mu sorrise. Alderaban si spostò di lato, osservando la porta.

 

- Oh, Shura! Entra!

 

Shura Bernanos, il trentasettenne fisioterapista d’origini spagnole, spuntò dalla porta, rivolgendo un ghignetto ai due.

 

- Avete visto passare Aphrodite e Angelo?

 

Chiese, scandagliando la stanza con i suoi occhi neri come la pece. Neri erano anche i suoi capelli, corti e portati all’indietro, come Angelo. E questi erano due che venivano spesso fermati all’aeroporto, perché nessuno credeva che facessero un mestiere onesto. Avevano troppo la faccia da delinquenti.

 

- Sono scomparsi e la gente li cerca.

 

Mu e Al si scambiarono un’occhiata. Non che la relazione tra i due non fosse evidente, ma almeno non sparissero durante le ore di lavoro!

 

- No, ci dispiace…

- Oh, non fa nulla.

 

Disse, scrollando le spalle.

 

- Torneranno.

 

E inforcò nuovamente la porta. Mu e Al si guardarono.

 

 

 

- Dokho!

 

Un ruggito infuriato risuonò nel pronto soccorso dell’ospedale, mentre Sion Surion, un finto cinquantenne (ne dimostrava molti meno) e anche un finto magro, camminava a grandi passi verso il colpevole della sua furia. I lunghi capelli chiari incorniciavano il volto squadrato e gli occhi non erano poi così degni di nota. Di degno di nota c’era decisamente un sedere da non ignorare, però.

Dokho alzò lo sguardo dai propri fogli, osservandolo quasi come se lo trovasse divertente o altro. Dokho Li-Yan era un altro cinquantenne che, al contrario del collega, vantava origini asiatiche, dai corti capelli castani e gli occhi color del legno di ciliegio. Generalmente era un tipo posato e tranquillo, che non disdegnava il sano lavoro dietro alla scrivania che la proprietaria dell’ospedale (tale Saori Kido, una Giapponese Greca d’adozione) l’aveva posto a fare. Ma ogni tanto aveva dei guizzi di follia e doveva assolutamente fare qualcosa: tipo dare una mano ad Aiolos e Aiolia Yiogor, i due fratelli greci che gestivano il pronto soccorso.

Trentacinque anni Aiolia, quaranta il fratello, entrambi mori, entrambi abbronzati, entrambi alti e muscolosi (più adatti ad un mestiere di buttafuori che a quello dei medici) ed entrambi grecissimi, avevano una differenza secca negli occhi: verdi per Aiolia e azzurri per Aiolos.

 

- Sion.

 

Rispose l’altro, pacato.

 

- Che cosa credi di fare?!

- Bhe, pensavo di far entrare la signora Margherita per prima, visto che il suo codice giallo la mette in pole position…

- Non intendevo questo!

 

Sion si mise le mani tra i capelli, irritato. Tra le ciocche, i primi capelli grigi facevano capolino, così come sui capelli di Dokho, dove ormai tutta la striscia delle tempie era grigia.

 

- Cosa credi di fare QUI!

 

Si corresse Sion.

 

- Dare una mano ai fratellini.

 

Rispose Dokho. Sion sospirò.

 

- È inutile che io ti dica che la signorina Saori ci ha dato una marea di cartacce da firmare?

- Assolutamente sì.

 

Sion si massaggiò le tempie, sempre sospirando.

 

- Vieni subito nell’ufficio.

- Ma non credo proprio!

- Vieni subito, ho detto!

- Non possiamo sbolognare tutto a Saga?!

- Saga è a casa con la varicella!

- A quaranta anni?!

- Prima o poi doveva prendersela!

 

Dokho lo fissò.

 

- Sion…

- No.

- Sionn

- Noo.

- Dai… odio quella stanza che puzza di chiuso.

- Anch’io, ma ci dobbiamo stare, è così che ci guadagniamo lo stipendio, noi.

 

 

Dokho mandò un sospiro, consegnando la cartelletta ai due fratelli.

 

- Buon lavoro, ragazzi…

 

Aiolia e Aiolos si guardarono attentamente, per poi allontanarsi con un pensiero comune: ma davvero l’ospedale era in mano a quelli lì?!

 

 

 

A.Corner (B)

 

 

Ebbene, arieccomi *-*

Ora, parliamo della storia *-* sarà principalmente una comica, ma le scene drammatiche non mancheranno, anzi ùWù le coppie yaoi saranno le più svariate, a seconda di come gira a me, ma ci saranno le tanto amate coppie canon (avete visto Milo e Camus e Aphro/Mikail e Death/Angelo XD). Ah, mando un appello: Isaac è in una qualche coppia?ò.o sappiate subito che con Hyoga non vale, e che io stavo pensando all’anonimo pinco pallino dell’Ippocampo *-* coppia decisa secondo un metodo scientifico: nel book della Sacred Saga stanno su due pagine vicine ù_ù e poi perché l’Ippo mi piace *-* non lo so, ha la faccia da essere maltrattabile *-* cosa che si suppone farò con tutto il cuore *-*

Il rating è Arancione ù_ù cioè, visto che sono cattivacattivacattivacattiva non vi dirò nulla di nulla di quello che fanno tra le coperte *-* vedrete il prima e il dopo ma non il durante ù-ù

Ehh… that’s life ù-ù

 

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Capitolo 2
*** [2] ***


[2]

[2]

 

Oh my shunshine.

 

 

Aiolia se ne stava spesso in solitudine. Non che lo gradisse da morire, ma spesso si ritrovava da solo e questi momenti lo portavano a pensare. Pensare, spesso lo portava a ricordare. Ricordare quando occhi del colore di quel cielo lo guardavano e…

 

 

- Aiolia.

- AH!

 

Aiolia fece un bel salto, voltandosi di scatto, spaventato a morte. Shaka lo guardò, inarcando un sopracciglio. Come si dice? Parli del diavolo…

Indaffarato, Aiolia cominciò a fare finta che glie ne fregasse qualcosa di quella marea di scartoffie che ingombravano la sua scrivania e che lui aveva lasciato a marcire nell’attesa di una grazia divina.

Shaka spostò una sedia, sedendosi con una certa eleganza, le gambe accavallate e le mani in grembo.

 

- Che ci fai qui, Shaka?

 

Domandò infine Aiolia, pressato dallo sguardo insistente alla quale cercava disperatamente di sfuggire. Insomma, era proprio di quegli occhi che lui si era…

 

- È arrivata una paziente con dei problemi di cuore e sono venuti a chiamarmi.

 

Problemi di cuore? Shaka n’era un esperto, peccato che non si accorgesse di quelli degli altri. Aiolia osservò la pila di fogli perfettamente sistemata davanti a se, cominciando a controllare gli angoli con un righello. Shaka si chiese perché stesse sistemando quei fogli con una precisione che aveva del ridicolo.

 

- Aiolia?

- Si?

- Sbaglio o stai tentando disperatamente di non guardarmi in faccia?

 

Aiolia alzò leggermente il volto… per poi distoglierlo subito. Shaka si sporse verso di lui.

 

- Cos’hai?

- Cosa?

- Prima dici che per te non è un problema restare amici, poi ti comporti in questo modo.

 

Aiolia si morse leggermente un labbro. Certo che aveva detto che potevano restare amici! Lavoravano nello stesso ospedale, portarsi rancore l’un con l’altro non sarebbe servito a nulla.

 

- Shaka, il problema è che…

 

Alzò in fine lo sguardo, poggiandolo su quel volto perfetto. Lasciò scorrere lo sguardo sugli occhi dal taglio allungato e sulle labbra morbide. Sopirò.

 

- È che sei tu.

- Che sono io? Non capisco.

- Anche se noi, ormai…

 

“Non stiamo più assieme”. Come pesavano quelle parole. Erano stati insieme per poco, abbastanza da far capire ad entrambi che anche se l’intesa fisica funzionava, tutto il resto era uno sfracello. Avevano deciso di lasciarsi di comune accordo, così da salvare il salvabile.

Però Shaka era rimasto lo stesso. Bellissimo, etereo, quasi irreale. E, diciamocelo, Aiolia non riusciva a nascondere un certo debole per lui…

 

- Aiolia!

 

Con tutta la gioia d’Aiolia, l’arrivo d’Aiolos nella stanza lo salvò dall’imbarazzante confessione, Mai in vita sua si era ritrovato a sentirsi così riconoscente verso il fratello, neanche quando stava per cadere in un burrone e lui l’aveva salvato.

 

- Aiolos! Dimmi!

 

Disse, con un’eccessiva enfasi e un eccessivo luccichio negli occhi. Shaka storse un angolo della bocca era forse un po’ distaccato, ma non stupido, si vedeva lontano un miglio che Aiolia era sollevato per quell’interruzione.

 

- Ascolta Aiolia, io devo andare via un po’…

 

Aiolos abbassò leggermente lo sguardo arrossendo imbarazzato, quasi come, pensò Aiolia, una scolaretta che sta per andare a casa del fidanzato. Aiolia si lasciò sfuggire un sorrisetto sardonico.

 

- Vai da Saga?

- Ma che…!

- Ho sentito dire che sta male, poverino..

 

Disse, continuando a ghignare. Aiolos si nascose il volto tra le mani, rosso.

Aiolia, considerandosi soddisfatto (era troppo invidioso del fratello e della sua felice vita sentimentale) mosse la mano, benevolo.

 

- Vai, via, che ti copro io.

 

Aiolos sorrise, salutandolo. Aiolos era il suo mito fin da bambino. Era grande, forte, intelligente, era tutto per lui. Era anche l’idolo delle ragazzine, con quegli occhi azzurri come Paul Newman.

Shaka guardò Aiolos, prima di alzarsi.

 

- Allora, vado anch’io.

- No, aspetta.

 

Aiolia si allungò sulla scrivania, afferrando una ciocca di qui fili dorati e tirandolo verso di sé.

Prima che Shaka potesse dire o fare qualcosa, il moro l’aveva portato contro le proprie labbra e costretto in un bacio. Shaka conosceva bene quelle labbra, calde e morbide. Conosceva anche quel modo di baciare, famelico ed appassionato. Quando si staccarono, Shaka lo guardò senza capire per qualche secondo.

 

- Consideralo una risposta alla tua domanda.

 

Disse Aiolia, rimettendosi seduto. Shaka lo guardò prima di girargli le spalle e scomparire fuori della porta. Aiolia si mise le mani tra i capelli, incapace di seguirlo.

 

 

 

 

- Oh, fratellone, ti senti bene?

 

Scosse la testa.

 

- Senti tanta buaa?

 

Annuì.

 

- MWAWAWA! Ti sta bene, bastardo!

 

Okay. Saga voleva tanto bene a Kanon, eh. Era il suo caro, amato ed unico fratello, lo adorava, avrebbe fatto di tutto per lui…

Ma in quel momento voleva solo strozzarlo.

 

- Kanon, chiudi quella bocca.

 

Disse, pregando che il suo ferreo autocontrollo non cedesse proprio in quel momento.

 

- Ma come si fa a beccarsi la varicella a quaranta anni suonati?! Fratellone, sei un cretino!

 

Probabilmente glie la stava facendo pagare perché da piccoli lui aveva riso della varicella di Kanon.

Ma aveva dieci anni, santo Iddio! A tutti capita di sbagliare, no? Saga scosse la testa, trovando inutile specificare che si era preso la varicella nel reparto pediatria dell’ospedale.

 

- Kanon, dai tregua a tuo fratello.

 

Disse una voce. Un terzo uomo uscì dalla cucina, recando un vassoio su cui erano poggiate tre tazze, una teiera e tutto il necessario per preparare il the. Radamanthys, questo era il nome di quest’uomo, era un inglese dai capelli né lunghi né corti, di un castano chiarissimo, quasi color sabbia e gli occhi dorati. La mascella squadrata e gli zigomi alti davano un’aura di rispettabilità al volto, mentre le spalle larghe rendevano l’insieme piuttosto massiccio.

Al contrario, Saga e Kanon erano delicati, dai lineamenti più dolci, seppur induriti da una certa aria data dall’età. Fisicamente erano entrambi longilinei e con i vestiti addosso apparivano molto più magri di quanto erano in realtà: senza abiti, infatti, si scopriva la cosiddetta montagna di muscoli.

 

- Ma Rada!

- Niente “ma”.

 

Lo zittì l’inglese, poggiando il vassoio sul tavolino e versando il the (un infuso perfetto, come solo lui sapeva farne) nelle tazze preriscaldate, con l’ausilio di un piccolo scolino. Porse una tazza a Saga.

 

- Tieni, attento che bolle.

- Grazie Radamanthys.

 

Kanon li guardò inarcando leggermente un sopracciglio. Anche se era perfettamente consapevole che Radamanthys non avrebbe toccato il gemello neanche con un dito, lo infastidiva che stessero così a contatto. Diciamo che lo infastidiva il fatto che stessero nello stesso emisfero, tanto per specificare…. Radamanthys gli porse anche la sua tazza, che venne soventemente riempita di zucchero. Kanon non beveva the zuccherato, ma zucchero al vago retrogusto di the.

Radamanthys, invece, il the lo beveva senza zucchero, bollente e amarissimo, che neanche i beduini nel deserto del Sahara sarebbero mai riusciti a mandarne giù mezzo goccio.

Aiolos bussò a lungo alla porta, finché una voce non gli gridò dietro “c’è il campanello, cretino!”. Immaginò fosse Kanon. Rassegnato, suonò il campanello. “È aperto!”, gridò nuovamente Kanon. Sembrava che quel giorno fosse di moda voler strozzare Kanon.

 

- Salve…

 

Aiolos osservò la scena per un momento. Saga, pieno di macchie rosse, portava un pigiama bianco a macchie rosse e una coperta del medesimo colore e fantasia, inoltre, sul capo portava una cuffia con due orecchie penzolanti, sempre bianche a macchie rosse. Quindi, Saga in totale ricordava La Pimpa. Immaginò che l’artefice di tutto questo fosse Kanon.

 

- Saga…

- Aiolos?

- Sembri La Pimpa.

- Purtroppo ne sono cosciente.

 

Saga si lasciò sfuggire un lungo sospiro sconsolato, mentre Aiolos si copriva la bocca, cercando di dissimulare le risate.

Kanon occhieggiò per un attimo i due, per poi alzarsi di scatto, afferrando Radamanthys per un braccio e trascinandolo sorridentemente fuori dalla porta.

 

- Bene ragazzi! Noi vi lasciamo soli! Ciaoo!

- Ehi! Ferm…! Il mio theee!

 

Mentre Kanon si allontanava agitando la manina e Radamanthys guardava rassegnato il suo povero the bevuto solo a metà, Aiolos guardò Saga, Saga guardò Aiolos ed entrambi guardarono i due allontanarsi.

 

- Se ne sono andati.

 

Constatò Saga, leggermente incredulo. Aiolos sorrise.

 

- Bhe, sono stati gentili.

 

Disse, sedendosi al suo fianco e tirandosi sotto la coperta a pois del compagno.

 

- Conoscendo mio fratello, non ci lasceranno in pace così facilmente.

 

Borbottò Saga, meno incline alle beate illusioni.

 

- Oh, mia amata Pimpa, se Kanon volesse rientrare, gli tirerò un vaso in testa al posto suo, d’accordo?

 

Saga storse la bocca in una smorfia, guardandolo male. Tutto risaliva a quando suo fratello, entrando in camera sua per futili motivi, li aveva trovati in atti…bhe… intimi. Saga, preso dall’imbarazzo, aveva afferrato la prima cosa che aveva trovato (un vaso, per l’appunto) e l’aveva tirata al fratello, intimandogli di uscire subito. Morale della favola: Kanon era stato trasportato di corsa all’ospedale con un bel trauma cranico, e Saga sospettava che con quel colpo in testa avesse ucciso i suoi ultimi tre neuroni. Cosa molto probabile.

 

- Allora, come ti senti oggi?

- A macchie.

- Se devo essere sincero, credo che i pois ti stiano stupendamente.

- Aiolos, muori.

 

Aiolos lo guardò.

 

- Non fare quella faccia.

 

Aiolos continuò a guardarlo.

 

- No.

 

Aiolos lo guardò insistentemente.

 

- E va bene.

 

Saga si arrese, accoccolandosi tra le braccia di Aiolos.

 

- Ma smettila di darmi della “Pimpa”.

- E perché mai?

- Smettila e basta.

 

 

 

 

 

 

 

A.Corner__

 

Salve a tutteeeee *-* il nuovo capitolo è alfine giunto XD alla fine gli ho fato una fine secca XD perché pensavo “sono alla quinta pagina e non ho finito…@.@” è un pensiero che mi viene spesso, ultimamente, mannaggia a stì capitoli chilometrici Ù_ù

Sembra che tutti amino le Mu/Shaka *-* solo che mi dispiace, in questa fic Mu rimane solo ù_ù Mu è il mio Virgilio personale, destinato a guidare tutti quei poveri pirluzzi che si perdono nella selva oscura sorreggendoli mentre passano l’inferno e poi abbandonarli ad un passo dal paradiso ù_ù

È che ultimamente Shaka lo vedo con tutti tranne che con Mu ò.o bho. Forse sono io, che gli ho fato troppo il carattere da zietto affettuoso in vena di consigli….*rimuggine, rimuggina*

Comunque, mi sembra di aver causato qua e là malsani desideri d’autodistruzione XD

Nonono, bambine, fate le brave……ùçù che lo so che è il vostro sogni che Shura vi dice “spogliati dal collo in giù” ho che Shaka vi senta il battito cardiaco, ma dovete resistere ùWù

A, chiaramente mi riferisco sempre a Kanon dopo la trasformazione da Stronzo-Bastardo-Manipolatore-Di-Menti-Altrui-E-Orgoglioso-Pestatore-Di-Ikki a San Kanon protettore di Athena, degli innocenti, delle caprette e delle baldracche ù_____________________ù

Qui la trasformazione è spiegata con un motivo più plausibile: una potente botta in testa. Altro che Athena!

Ed ecco a voi Saga e Aiolos *-* e Kanon e Radha, che non potevano assolutamente mancare ù__ù ( più avanti, compariranno con mia gioia anche tanti altri omuzzoli infernali…=ç=) e, INOLTRE, un’intera parentesi di serietà!O_O che in questa storia compariranno con la stessa frequenza del Giubileo ù_ù

Shakaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!*da quanto Shaka è defunto, la sottoscritta non si sente molto bene..ç_ç*

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Capitolo 3
*** [3] ***


[3]

[3]

[ o quasi ]

[anzi, è davvero il terzo, dai.]

 

Pallina regna, nei secoli dei secoli.

Sottotitolo: amen (ù_ù)

 

 

Hyoga viveva con Shun da quando era maggiorenne. Ikki viveva con Shun da sempre, ma povero piccolo innocente, veniva puntualmente scacciato da casa per far posto ad Isaac, che veniva cacciato dalla casa che condivideva con il suo ragazzo un giorno sì e uno no.

Shun era un ragazzo delicato dal volto dolce e due grandi occhi nocciola, incorniciati da capelli ribelli dello stesso colore. Era di altezza media e dinoccolato, con quelle gambe che si dice “non finiscono mai”. Appena tornato dal lavoro, la prima cosa che faceva, ancora prima di salutare Hyoga, Ikki o Isaac, era prendere tra le braccia Pallina.

Pallina era l’amatissimo gatto di Shun. Un soriano a pelo lungo che vantava il peso record di ben venti chili (commentati da Shun con un giubilante e demente “Siamo un po’ ingrassati, eh tesoruccio?”) che nonostante il nome ben poco virile passava le sue giornate a mangiare, dormire e farsi le gatte.

Inutile dire che Ikki, Hyoga e occasionalmente Isaac si opponevano fermamente alla presenza di quel maledetto gatto per vari motivi:

 

1) Pallina aveva sfondato metà delle sedie della casa (che erano disgraziatamente quelle sedie orrende imbottite in paglia) , con un peso piuttosto eccessivo che veniva letteralmente lanciato sopra quelle povere, pietose sedie.

 

2) Pallina aveva la meravigliosa tendeva a farsi le unghie su tutto quello che trovava. Meglio se erano le gambe dei tre poveri giovanotti.

 

3) Pallina odiava a morte i tre giovani che per questo sostenevano di essere completamente nel giusto con il loro odio.

 

Ikki si lasciò sfuggire imprecazioni che non possono essere riportate in questa sede per motivi inerenti al rating, alla decenza e al MOIGE, quando sentì le unghie di Pallina affondare delicatamente nel suo polpaccio. Ikki era molto più alto del fratello, dai lineamenti più duri ma comunque nel totale belli. I capelli neri erano ancora più ribelli di quelli del fratello e tendevano a spostarsi di volontà propria. Vantava spalle larghe e una certa prestanza fisica, di quelle che si addicono a chi ha fatto sport tutta la vita.

Ikki calciò con ira il gatto lontano, per poi squarciare il proprio marsupio, da cui estrasse un pacchetto di sigarette e un accendino.

 

- Ikki!

 

Esclamò Shun, correndo a prendere, faticosamente, il gatto tra le braccia. Felino che guardò ikki con occhi infuriati, soffiando con tutte le sue forze.

 

- Perché hai colpito Pallina?

- Perché quel gattaccio ha la brutta abitudine di farsi le unghie sulle mie gambe!

- Non lo farebbe se tu non lo prendessi a calci!

 

Shun guardò Pallina con certi occhi con cui non aveva mai guardato neanche Hyoga.

 

- Pallina, oh tesoro mio, quel cattivane del Nii-San ti ha fatto male? Non ti preoccupare, è che lui non capisce quanto tu sia stupendo…

 

Ikki lo guardò contrariato.

 

- E non fare questa faccia! Pallina ha bisogno d’affetto! Sai bene che lui…

- …era stato abbandonato in un angolo di una via, sotto la pioggia… ormai conosco questa storia come il Padre Nostro, Shun.

- Tu non consoci il Padre Nostro, Ikki.

- Ehr, dettagli.

 

Ikki lasciò che dalle labbra scivolasse dolcemente un filo di fumo.

 

- Comunque, sai che Isaac verrà a dormire da noi, questa notte, vero?

 

Ikki trasalì.

 

- Prego?

- Ha litigato di nuovo con Baian.

- Ancora?! Ma è la quinta volta questo mese!

- Bhe, hanno delle piccole incomprensioni…

- Piccole?! Enormi vorrai dire!

- Il problema è che continuano a litigare per motivi futili…

- Ah, quindi ci ritroviamo Isaac a casa ogni volta che devono prendere decisioni essenziali come i cereali da comprare o se è meglio la lattuga o l’insalata?

- Più o meno…

- Devo andare a vivere da solo…

 

Grugnì Ikki, sospirando.

 

- Ma scusa, non andavi a dormire a casa del tuo ragazzo?

 

Ikki lo guardò attentamente.

 

- Il mio.. il mio…

- Il tuo ragazzo.

 

Ikki aprì e chiuse la bocca due o tre volte.

 

- Come fai a…

- Ikki, non dico che sei un libro aperto ma sono tuo fratello, eh.

- Essere consanguinei non dà giustificazioni alla lettura del pensiero.

- Non leggo il pensiero, ma la tua agenda.

 

Disse Shun, estraendo dalla tasca di dietro dei suoi pantaloni un taccuino di pelle marrone e sfogliando (sebbene la presenza di Palina glie lo rendesse difficile), fino alla pagine che portava la data di due giorni prima.

 

- Vedi?

 

Disse mostrandogli la nota che vi era stata impressa con una penna blu e una calligrafia raffinata.

 

- Comunque, è vergognoso che ti faccia segnare gli appuntamenti dagli altri…

 

Disse Shun, intanto che Ikki gli strappava l’agenda di mano.

 

- Dannazione…

 

Il moro, alterato, infilò l’agendina nel marsupio (che era ormai sul punto d’esplodere) per poi passarsi le mani sui capelli.

 

- Basta frequentare certe compagnie Shun, non ricordavo così caustico e impiccione.

 

Shun scoppiò a ridere, deliziando il fratello con la sua risata cristallina e armoniosa, più adatta a tanti campanelli che ad una persona, lasciando cadere Pallina a terra e gettandogli le braccia al collo.

 

- Scherzavo fratellone, figurati se ti tratterei mai così…

 

Ikki sorrise, scompigliandogli i capelli.

 

- La cosa mi riempie di gioia. Quindi non devo cercarmi un luogo alternativo dove dormire questa notte?

 

Shun lo guardò facendo la faccia seria.

 

- No, su quello non scherzavo affatto.

 

 

 

 

 

Shaka Mou-Juong viveva in uno spazioso attico in uno dei nuovi palazzi della città. Le grandi vetrate che si trovavano in ogni stanza permettevano un’illuminazione stupenda e l’attico dava una bellissima panoramica su tutta Atene.

Viveva da solo da molto tempo e raramente aveva ospiti.

Per questo quando infilando la chiave nella tocca trovava quella strana resistenza che segnava che la chiusura di sicurezza (che al contrario scivolava come l’olio) era stata aperta si sentiva piuttosto strano.

Sentì il rumore secco della serratura che scattava e poi aprì la porta.

 

- Chi c’è?

 

Domandò, nonostante fosse piuttosto ovvio.

Seduto sul grande divano di velluto ocra, Ikki guardava tranquillamente i Robinson sul gigantesco televisore a 50 pollici “full HD” di Shaka. Cosa inutile che aveva comprato solo per assecondare i desideri dell’altro.

 

- Come sei entrato, Ikki?

 

Disse, togliendosi il soprabito di pelle testa-di-moro e poggiandolo sull’appendiabiti, dove attaccò anche la valigetta 24h che si portava sempre all’ospedale.

 

- Lo sai che non gradisco che tu entri come e quanto ti..

 

La frase di Shaka non finì, bloccata dal tintinnare di un paio di chiavi che Ikki aveva estratto dalla tasca e fatto penzolare nella sua direzione.

 

- Cosa stavi dicendo?

 

Chiavi. Già, chiavi, uguali alle sue, persino con lo stesso ciondolino (un piccolo elefantino bronzeo con la proboscide alzata). Chiavi che gli aveva consegnato lui, una notte.

Ikki la ricordava bene quella notte. Faceva freddo e Shaka era in ritardo. Era rimasto ad aspettarlo a lungo, tra l’arrabbiato e il preoccupato. Quando il biondo era arrivato, l’aveva afferrato per nuca, obbligandolo a baciarlo e facendo scivolare le proprie mani gelate sotto i suoi vestiti, tanto per fargli capire che aveva freddo. Ricordava che Shaka si era alzato dal letto,nudo sotto la luna che entrava dalle grandi vetrate della camera da letto e gli aveva dato quelle chiavi. Ricordava d’averlo trovato bellissimo.

 

- Lasciamo perdere.

 

Disse, scuotendo la testa e sedendosi al suo fianco. Fece appena in tempo a toccare il velluto che il più giovane (Shaka aveva trentacinque anni, Ikki trenta) l’aveva afferrato per i capelli e portato contro di sé.

 

- Shaka…

 

Sussurrò, mentre gli toglieva la cravatta.

 

- Ikki…vuoi…farlo?

 

Domandò Shaka, arrossendo e cercando di allontanare da sé almeno le labbra di Ikki, che erano andate a colpo sicuro sul suo collo, facendolo mugolare.

 

- Mi sembra ovvio, no?

- Ora?

- Non posso aspettare.

- Qui..?

- Non ci vedo nulla di male.

- Con i Robinson?!

- Spero di non fare così schifo da portarti a concentrarti sui Robinson!

 

Esclamò Ikki, ridendo. Shaka sorrise, chinandosi a baciarlo sulle labbra.

 

- Lo prendo per un sì.

 

 

 

 

 

A.Corner____

 

Ed ecco un altro siparietto rivelato!*-* anzi, ben tre XD

cominciamo lo spazietto recensioni & coglionaggini con la notizia del giorno:mentre scrivo ho Shaka qui di fianco che mi guarda e fa si-si con la testa (*-*) e no, non sono ammattita, solo che grazie a papino Giochi Preziosi sono riuscita ad impossessarmi del suo Myth Cloth!*_____________* e nonostante le due ore secche di sudore, lacrime e sentite bestemmie per montargli l’armatura (di cui alcuni pezzi continuano a scivolare….sapete tipo le calze, i gambaletti che cadono? uguale…) non mi è passato né il buon’umore né la voglia di vivere! è un traguardo XD

Shaka e Aiolia…*-* ma loro sono i miei pucci-coccholosi-corini-trottolini-duddudadà-e-il-tuo-nome-sarà-un-panino-e-un-bicchiere-di-vino-è-la-felicità….XDXDXDXD vabbè, Aiolia continuerà a sperare (e ad insidiare Shaka) per un po’, poi…magari….sapete…cose del tipo “la persona giusta per te è proprio dietro alle tue spalle” ehhh..*fa la vaga*

ma nuuuu….Leone Demente nu….ç_ç che Aio-Chan è la mia mascotte ç_ç

Dokho e Sion…ahw =ç= me li immagino vecchiotti perché loro devono essere buoni&dolci&gentili&rompicoglioni e far filare i medici coglionazzi che altrimenti farebbero tutto quello che vogliono ù_ù

oh, Pucchi (posso chiamarti così?*faccina pucchosa del tipo “mamma posso comprare un cucciolo?”*____* * ) convertimi XD perché ci crediate o no non ho la più pallida idea di chi accoppiare con Shura..ò.o anzi., povera stella, lui compare anche poco e solo in terzetto con gli altri due malefici esseri XD dovrò rimediare.. magari gli dedico un capitolo o due..*mumble mumble…*

tra parentesi: Shaka e Ikki sono splendiderrimi e io li amo tanto che se fatico un sacco a mantenerli IC ò.o ultimamente per scrivere mi faccio aiutare da un libro che parla del modo di comportarsi dei vari segni zodiacali (XD) anche se Shaka che dice a Ikki “ti sei messo la maglia di lana?” non ce lo vedo XD però a rivoltarsi come una biscia appena il povero moro dice una parola sbagliata e cacciarlo fuori di casa ce lo vedo splendidamente, chissà perché XD

io voglio dare più spazio ad Al!ç_ç ho un sacco di idee per lui, ma la storia sta divagando troppo…@___@

cioè, rendiamoci conto che io ho scritto fino all’undicesimo capitolo e ancora non sono successe neanche la metà di cose che devono succedere…@.@

ecco la realtà: non ho scritto “soap opera” per niente! presto o tardi arriveremo al capitolo numero 1200 dove scopriremo che in realtà Shura è una donna, DeathMask/Angelo sposerà Aphrodite che lo abbandonerà all’altare per scappare con Shaina, mentre Seiya fuggirà alle barbados con Shun perché hanno visto Hyoga e Saori farsela con delle ballerine di danza del ventre nel locale che Aldebaran gestisce segretamente…

okay, la finisco XD

ringrazio tutte per i complimenti e lascio solo due ultime note:

 

 

Ikki non sarà psicologo di professione, ma tempo perso XD in realtà è un architetto *_* ma non ti preoccupare caro, Ikki avrà la gioia di psicanalizzare tutti quelli che scambiano casa sua per il rifugio delle anime erranti… XD

 

Mia cara Pucchyko se vedi comparire sul tuo MSN tal: yuri_hasumi sappi che sono io che voglio sapere tutto  sull’Ikki dantesco *_________________________________________________________________________________*

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** [4] ***


[4]

[4]

 

You lovely piece of shit!

 

- Un pezzo di merda!

 

Gridò Aphrodite, battendo il pugno sul tavolino della caffetteria, facendo quasi trasalire Mu e obbligando Shaka a prestargli attenzione. Aphrodite era di norma una persona che usava termini raffinati e che mai, e sottolineo mai, si sarebbe lanciata in slanci di volgarità come quelli.

 

- Uno schifoso, lurido, violento bastardo che non capisce un cazzo!

 

Continuò, battendo una seconda volta il pugno sul tavolo.

 

- Ma…

 

Mu lo guardò, poggiandogli una mano sulla sua chiusa a pugno.

 

- Aphrodite, calmati…

 

Disse, guardandolo preoccupato. Aphrodite tirò un lungo respiro, tentando di sciogliere la propria tensione nervosa.

 

- Innanzi tutto, dicci di chi stai..

- Mu, è ovvio che stia parlando di Angelo.

 

Disse Shaka, sorseggiando il proprio caffè, attento non sporcare la sciarpa azzurra che portava al collo.

 

- Shaka

- Uh?

- Ma perché porti una sciarpa, con il caldo che fa?

 

Shaka arrossì di colpo, cercando poi di darsi un contegno.

 

- Non stavamo parlando di te?

 

Borbottò, facendogli cenno con la mano di tornare al discorso di partenza. Ne avrebbe sentite Ikki, quella sera! Lasciargli certi… certi… certi COSI sul collo!

 

- Giusto! È tutta colpa di quel bastardo di Angelo!

- Non caspico che cosa ti ha fatto, Aphrodite

 

Aphrodite gli scoccò un’occhiata di fuoco.

 

- COSA mi ha fatto?!

 

Domandò infuriato.

 

- Prima mi trascina con la forza in una stanza!

 

Disse, alzando un dito.

 

- Poi fa i porci comodi suoi, per giunta riempiendomi d’insulti!

 

Continuò, alzandone un secondo.

 

- E quando è soddisfatto, mi caccia via a calci!

 

Completò, sventolando tre dita sotto il naso di Mu.

Mu sospirò, imitato da Shaka. Con la stessa periodicità delle maree, Aphrodite decideva che i modi di Angelo erano orrendi per lui e arrivava a pranzo pieno di rabbia, d’insulti e di voglia di farsi compatire. Tutto ciò durava generalmente poco. O almeno, finché Angelo non decideva che era ora di farlo di nuovo e si trascinava nuovamente via Aphrodite.

 

- Sapevi tutte queste cose.

 

Disse Shaka, bruciando Mu e le sue parole rassicuranti sul tempo.

 

- Però non l’hai mai lasciato, inoltre, non ti sei mai neanche opposto.

 

Aphrodite lo fulminò con lo sguardo. Shaka spostò i propri occhi verso i suoi, costringendolo ad abbassare il capo, fissando la mano che Mu stava stringendo.

 

- Mu

- Lo sai che darei ragione a Shaka, Aphrodite.

 

Sussurrò Mu, osservandolo con quei grandi occhi smeraldini. Aphrodite s’infilò le mani tra i capelli biondi, sospirando affranto.

 

- Cosa devo fare?

 

Mormorò, tormentando le ciocche dorate.

 

- Cosa devo fare? Cosa?

 

Rivolse uno sguardo speranzoso ai commensali, che scossero la testa. Tanto, qualunque consiglio avessero dato, o non sarebbe servito a nulla o Aphrodite non l’avrebbe seguito.

 

- Non voglio che mi tratti così.. ma non voglio neanche lasciarlo.

 

Aphrodite prese la propria tazza di the, osservando il proprio –meraviglioso- volto riflesso nell’acqua ambrata.

 

- Il piacere che provo quando sono con lui…

 

Le parole uscivano in soffi, increspando la superficie dell’infuso.

 

- È incomprensibile.

 

Mu sorrise, carezzandogli i capelli.

 

- Come lo è l’amore, Aphrodite.

 

Shaka rimuginò silenziosamente, tormentando con il cucchiaio i piccoli grani di zucchero ormai marroni rimasti sul fondo della tazza.

 

- Ma Angelo non era sposato?

 

Silenzio. Mu non ricordava di aver mai sentito il silenzio cadere così rapidamente, e soprattutto di aver visto Aphrodite fare quella faccia così affranta.

Non l’aveva mai notato, in fondo? Angelo aveva sempre quel maledetto anello dorato, anello che indicava la presenza di un’altra persona, di una donna, che lo aspettava, laggiù in Sicilia.

Sospirando, annuì.

 

- Da quasi quindici anni.

 

Confermò.

 

- E…?

 

Shaka lo guardò.

 

- Hanno un figlio. Di dieci anni.

- La moglie sa di voi?

- No, non che io sappia.

- Angelo torna mai da lei?

- No. L’ultima volta è stato un anno fa. Ma si sentono per telefono e si mandano delle lettere. Le ho viste.

 

Dichiarò, come se il fatto che lui avesse visto quelle lettere lo togliesse dalla propria situazione di scarpa di riserva.

 

- Aphrodite

 

Aphrodite si voltò verso Mu, mostrando anche a lui il volto triste che aveva poco prima.

 

- Sei sicuro che ti vada bene così?

 

Aphrodite aprì la bocca, come se volesse dire qualcosa, per poi richiuderla, tornando a guardare il suo the e scuotendo penosamente la chioma dorata.

 

- Dovresti parlargliene, tranquillamente a faccia a faccia.

- Sì.

 

Annuì, alzando lo sguardo, mentre la luce di coraggio e autostima ritornava negli occhi turchesi. Shaka realizzò che quella era la prima volta che Aphrodite dava retta ai loro consigli.

 

- E glie ne dirò quattro a quel pezzo di merda!

 

No.

Shaka si sentì una sorta di tenero illuso.

 

 

A.Corner___

 

Ho dato una moglie a Deathmask ò.o e se volete saperlo, gli ho dato anche una storia personale e delle beghe mentali ò.o incredibile ma vero ò.o

Ehehe, come posso non amare tutte codeste meravigliose persone che commentano?*___*

caVa Pucchy, Aiolia-Chan stà soffrendo come un cagnolino. Lo vedi lì, sotto la pioggia, come un gattino depresso?YWY Povero bimbo ç_ç e che io gli voglio bene… quindi gli piovono le sfighe dal cielo.

Ecco per capire quali sono i miei personaggi preferiti dovete vedere quanta sfiga gli piove sulla testa! Quello che muore è il mio preferito in assoluto!

Tra parentesi, Ikki porta il marsupio çWç ma non è poco fashion, anche mio padre lo porta! Non è che ho messo Ikki sullo stesso piano i mio padre, eh! OWO io voglio che mi adotti Al çWç voglio essere la figlia di Al çWç sob çWç

Comunque, noto che Pallina ha riscosso un discreto successo!XD ma il povero e piccolo e innocente e puro e candido e affettuoso micio ricomparirà solo tra… un capitolo xD e inoltre, tra una notevole mole di capitoli, troverà il prefetto compagno di genoci....GIOCHI!  XD

Ora vi lasico, con sommi ringraziamenti e due simpatiche storielle extra!*W*

 

 

Deliziosa Storiellina extra di supergioia e letizia.

 

Hyoga, ancora tremante, alzò il viso da un libro.

Sulla copertina del libro capeggiava un teschiaccio ghignante e un’enorme scritta gialla “Stephen King”.

Aveva appena finito di leggere una storia su un terribile gatto infernale che ammazzava le persone.

Specialmente un tizio. Che male, gli si era infilato in bocca e poi era uscito dal suo stomaco.

Preoccupato guardò qua e là, fino ad incontrare gli occhiacci gialli di Pallina.

Lo guardò.

Lo guardò.

E poi tirò un sospiro di sollievo: l’unica parte di quel gatto che poteva entrargli in bocca era –forse- la coda.

 

Seconda deliziosa storiella extra di supergioia e letizia.

 

 

Shaka entrò nella stanza, sbatté la porta, imprecò e si buttò sulla poltrona.

Ma come si era permesso quel cretino di Aiolia, sfotterlo così palesemente davanti a tutta l’università?!

E per fortuna che stavano assieme, figuriamoci se fossero stati solo amici! Gli avrebbe probabilmente sparato!

 

- Shaka!

 

Aiolia batté un pugno sulla porta, cercando invano di aprirla.

 

- Vattene via!

 

Gridò, buttando all’aria le coperte con ira.

 

- Shaka, lasciami spiegare!

- Sparisci che è meglio!

 

Aiolia rimase in silenzio.  Shaka si buttò a sedere su una poltrona, rosicando per la rabbia.

 

- Umm….

 

Quando riaprì gli occhi, Shaka dovette prendere atto di essersi addormentato. Il sole stava calando, quindi doveva aver dormito ben cinque o sei ore. Bene, ora si sentiva più calmo.

Allungò un braccio per stiracchiarsi, ritrovandosi a buttarsi sul viso una coperta di pesante lana a tartan. Osservò stupito la coperta per un po’, sicuro di non avercela avuta addosso quando era andato a dormire. Quando cercò di rialzarsi, due braccia l’afferrarono, portandolo fino al una sedia posta di fianco alla poltrona.

 

- UmmmShaka…. Scusami…

 

Shaka sospirò.

 

- Come sei entrato?

- Ho chiesto le chiavi al custode del campus.. mezzo stipendio se n’è  andato in birre per lui…

- Oh, povero bambino.

- Shaka

 

Shaka abbassò lo sguardo verso di lui.

 

- Mi dispiace tanto… ti voglio tanto bene, sai?

- Scemo.

 

Shaka si chinò a baciarlo in fronte.

 

- Anch’io te ne voglio.

 

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Capitolo 5
*** [5] ***


[5]

[5]

 

Il mondo è bello perché è vario…

Sottotitolo: e avariato.

 

 

 

 

Toc Toc!

 

- Chi sarà mai?

 

Shun si alzò dalla poltrona, costringendo Pallina a scendere dalle sue gambe (con sommo disappunto, che la bestia sfogò sulla poltrona stessa) dirigendosi verso la porta, mentre Hyoga alzava lo sguardo dal proprio libro e Isaac la smetteva di gridare come un pazzo dietro la partita.

 

- Sì?

 

Shun si trovò davanti un moretto assurdamente sorridente e di buon’umore.

 

- Seiya?

 

Domandò.

 

- No, tuo nonno.

 

Disse Seiya, senza perdere il luminosissimo sorriso. Seiya era giapponese e come molti giapponesi non vantava un’altezza incredibile. Come il fratello di Shun aveva capelli dotati di volontà propria che sfuggivano a qualunque legge fisica (specialmente quella della gravità), il volto aveva i tratti tipici dei giapponesi e gli occhi erano color ebano.

 

- Entra dai e

 

Shun si sporse, osservando un ragazzo poco più alto di Seiya, dai capelli più chiari ma altrettanto ribelli, gli occhi grigi e l’aria infuriata.

 

- Chi è il tuo amico?

- Oh, mi chiamo Yabu.

- Ma per gli amici è Frencis, il Mulo Parlante.

 

Precisò Seiya, facendo capolino in casa. Hyoga lo guardò, prima di muovere un amano in segno di saluto mentre Isaac gli gridava dietro “ohy, Seiya!”

 

- Certo, certo, Frencis il Mulo Parlan… ti ammazzo Seiya!

 

Seiya si fece pestare da Yabu, senza però perdere il sorriso!

Shun sospirò, andando a raccogliere Pallina, che aveva trasformato la sua poltrona in una cosa terrificante da cui uscivano grossi agglomerati d’imbottitura (su quella povera poltrona sembrava che fosse passato di lì Jack Lo Squartatore).

 

- Allora, Seiya? Perché sei così di buonumore?

 

Domandò Hyoga quando i due ebbero finito di pestarsi e si furono seduti.

 

- Bhe, ecco.. io…

 

Seiya arrossì, ridendo e abbassò la testa.

 

- Saori gli ha chiesto di sposarlo.

 

Tagliò corto Yabu.

 

- Oh, allora sei utile a qualcosa, Frencis!

-O la piani o ti rimescolo i denti, Seiya!

 

Shun per lo shock lasciò cadere Pallina terra (il gatto soffiò, andando a rifugiarsi sotto una sedia del tavolo), Hyoga fece cadere il libro, Isaac ignorò totalmente un gol miracoloso fatto dalla sua squadra.

Fuori si sentì il frinire dei grilli.

 

- Bhe?

 

Isaac scoppiò a ridere, dandogli una manata sulla spalla.

 

- Complimenti Seiya vecchio mio! L’hai accalappiata per bene, la giapponesina!

 

Tutta la parte superiore di Seiya andò in avanti, mentre la sua spalla mandava uno scricchiolio sospetto, ma rise a sua volta.

 

- Tanti auguri Seiya!

 

Esclamò Shun, abbracciandolo allegramente.

 

- E chi sarà il testimone? Frencis?

- Mi chiamo Yabu!

 

Shun gli rivolse un’occhiata che diceva “è uguale..” prima ti andare di nuovo a prendere Pallina.

 

- I miei complimenti, Seiya.

 

Disse Hyoga, offrendogli una più pacata stretta di mano.

 

- Allora, a quando la festa?

- Bhe, abbiamo pensato verso Luglio…tre o quattro mesi ci serviranno per organizzarci…Anche se Saori sta già organizzando una lista per gli invitati..

- Ah, sì? E chi inviterà?

- Bhe, ci sono un sacco di persone importanti… poi buona parte dei medici del suo ospedale, Isaac e Hyoga, alcuni membri dell’amministrazione… poi mi ha detto d’invitare chi voglio, quindi anche te Shun, tuo fratello, il qui presente Mulo Parlante…

- Io?

 

Shun lo guardò incredulo.

 

- Non posso crederci! Invitato al matrimonio della Kido!

- Bhe, sei mio amico da quando eravamo piccoli, come posso non invitarti?

 

Seiya sorrise con quel sorriso tra il bambino e il mascalzone che probabilmente era servito per accaparrarsi Saori vita natural durante.

Shun scoppiò a ridere.

 

- Inoltre, vorremmo chiederti se ci darai una mano con le decorazioni, i mobili, cose così….

 

Gli occhi di Shun s’illuminarono. Nonostante casa sua sembrasse arredata con il Giulia Passione Arredatrice, Shun aveva studiato arredamento d’interni e da sempre si era preso un mucchio di complimenti, sia per il proprio buon gusto sia per la capacità che aveva di comprendere i desideri degli acquirenti. Purtroppo aveva avuto poche occasioni per sfondare e quella che gli proponeva Seiya era come la manna dal cielo. Tirando in aria Palina, proruppe in un grido di gioia, gettandosi al suo collo. (per la cronaca, Pallina atterrò tra le braccia di Hyoga.)

 

- Grazie Seiya!Graziegraziegraziegrazie!

- Bhe, capisco che ne sei felice!

 

Seiya rise, dandogli qualche pacca sulle spalle.

 

- Vedi Mulo? Lui è felice!

- Uh? Hai offerto qualche lavoro anche a lui?

 

Seiya annuì.

 

- Frencis ha una pasticceria, quindi gli ho chiesto di farmi la torta.

 

Disse, ghignando.

 

- Però si è dimostrato poco contento.

- Mi renderai la vita impossibile, me lo sento.

- Ma Mulo..

- Vuoi che ti ammazzi?

 

Shun rise. Isaac proruppe nella sua tipica risata molto di gola, molto alta. Hyoga ridacchiò. Yabu mise il muso. Seiya scoppiò in risate di pura gioia.

Solo Pallina continuava insistentemente a graffiare le braccia di Hyoga.

 

 

A.Corner___

 

Seiya si sposa, Seiya si sposa!XD

Credo che in molte abbiate notato che Angelo è bastardo *W* se avessi trasformato Angelo in un’attivista dell’UNICEF che ama i coniglietti e colleziona fiocchetti rosa e cose carine a forma di coniglietto, credo che alle folle di persone che gridano slogan a proposi sito della mia morte sotto casa mia si sarebbero aggiunte a anche le fan di DeathMask/Angelo *__*;

Voglio però condividere con voi una cosa che mi paice molto, l’AMV (Aiolia X Shaka) Ameno che è tanto bello T^T a parte la mia naturale tendenza ad amare i canti da chiesa, ma questo AMV è splendido ç_ç ci sono due immagini bellissime: una con Aiolia e Shaka che si abbracciano e si vede che entrambi piangono (okay, detta così pare una schifezza, ma è bellissima) ed un’altra in cui Aiolia tiene tra le braccia Shaka morto e grida al cielo.

Quella mi ha commosso ç_ç

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Capitolo 6
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La felicità è essere felici.

 

 

 

Rispolverando le cose che teneva in soffitta, Aphrodite aveva trovato quel vecchio tema. La carta era ingiallita e i bordi del foglio erano rosicchiati dai topi, ma si leggeva ancora piuttosto bene.

Aphrodite, anzi, Mikail Ruskin viveva in uno dei quartieri “bene” della città. La sua casa era una villetta a due piani con soffitta, un largo giardino anteriore e uno leggermente più piccolo posteriore, due colonne stile finto marmo ai lati della porta, un vialetto di sassi bianchi, tantissime, ordinatissime, profumatissime e bellissime aiuole di rose, un dalmata, una simpatica coppia di vecchietti sulla destra e una coppia di vicina ariani sulla destra.

Alle volte sentiva che casa sua era molto simile ad un set di una fiction TV.

Mikail sorrise etra sé e sé, osservando il tema scritto in svedese, con una mano incerta e un inchiostro che probabilmente veniva da un traballante calamaio.

La consegna era “Cos’è la felicità?”.

La prima frase era “la felicità è essere felici”. Mikail scoppiò a ridere, trovando quella frase veramente stupida. Andò avanti.

 

“ Per me la felicità è stare con le persone a cui voglio bene.

 Sono felice quanto stò con mamma e papà, o quando vado

 a trovare la nonna; la nonna non mi rende molto felice

 perché ho paura di diventare anch’io come lei. È vecchia

 e rugosa da far paura e sembra raggrinzirsi e rimpicciolirsi

 ogni giorno.”

 

Fortuna che sua nonna era morta senza leggere quel tema! Ci sarebbe rimasta malissimo!

Faceva i biscotti al miele migliori che avesse mai mangiato ( una volta gli aveva anche preparato una cosa assurda: petali di rosa caramellati. Ed erano buonissimi.). Probabilmente tutto il suo dolore per la sua morte era riconducibile alla sparizione di quei meravigliosi biscottini dorati a forma di stella.

 

“ Sono felice quando gioco con i miei amici, giù in piazza.

 Anche se alle volte mi rifiuto dei giochi, mi prendono in giro

 dicendomi che sono una checca stupida.

 Non so esattamente cosa voglia dire, ma mi sembra un insulto.

 

Altro scorcio di risate. Mikail dovette tenersi saldamente al baule per non cadere tra la polvere.

L’avevano chiamato così molto spesso e lui non aveva mai capito cosa volesse dire. Dobbiamo però dichiarare che Mikail era figlio di due cattolici osservanti e che le prime parolacce che aveva pronunciato risalivano ai suoi diciassette anni.

 

“ Sono felice quando vado al giardino botanico, a vedere le rose.

 Hanno le rose più belle del mondo e io starei lì ore e ore.

 Sono felice quando faccio le cose che mi rendono felice.

 Sono felice quando penso a quanto sarò felice quando sarò grande.

 Voglio una bella moglie, una bella casa, una bella macchina e un

 dalmata di nome Macchia.

 

Facendo due conti:

La bella casa c’era.

La bella macchina c’era.

Il dalmata anche, seppur non si chiamava Macchia ma Sallie.

Mancava la bella moglie, ma questo era un sogno decisamente fuori dalla realtà. E dubitava proprio che Angelo si sarebbe mai vestito di bianco (seppure, Angelo come graziosa mogliettina? Il suo cervello si bloccava se solo tentava d’immaginarlo) per lui.

 

“ Insomma, per me la felicità è essere felici.

 Mikail Ruskin

 

Mikail sorrise, lasciandosi scivolare seduto tra la polvere, fregandosene dei pantaloni di velluto a coste che sicuramente si sarebbero macchiati in maniera abominevole.

 

 

 

- Chi è questa donna?

 

Aphrodite aveva preso tra le mani una foto dalla cornice di pelle nera, decorata da diversi quadrati e rettangoli disordinati in argento. Una donna dai capelli castano chiaro sorrideva allegramente tenendo tra le braccia un bambino. Nonostante avesse un presentimento sull’identità dei due, rimase in silenzio, aspettando la risposta

 

- Mia moglie.

 

Angelo era in piedi, alla finestra, la sigaretta tra l labbra, fissava il cielo azzurrognolo dell’alba.

Osservò i piccoli particolari della sua anatomia che lo facevano irritare, come quei maledetti peli ispidi e dall’effetto di una spazzola di crini di cinghiali e quella barbetta ruvida che viene quando non ci si fa la barba per un pezzo.

 

- E il bambino?

- Mio figlio.

 

 

Mikail si lasciò sfuggire un lungo sospiro abbattuto. Non che si fosse stupito del fatto che Angelo avesse moglie e figli, ma sentirselo buttare in faccia così…

In fondo, era anche ovvio: il piccolo aveva gli stessi occhi di Angelo.

Una lacrima solitaria solcò le guance di porcellana, seguendo la linea perfetta del volto, fino a sparire tra le labbra rosse.

Un rumore lo fece trasalire.

 

- Sallie?

 

Il dalmata zampettava allegramente attorno alle gambe di Shura. Mikail guardò il collega chinarsi a carezzarlo sulla testa, mostrando uno dei suoi rari sorrisi.

Come la sposa del teschio, si asciugò le lacrime, temendo di consumarsi i begli occhi.

Si affacciò alla finestra.

 

- Shura!

 

Chiamò, sorridendo.

 

 

 

 

A.corner___

 

Come tanti altri capitoli, anche questo finisce in maniera molto secca ù_ù

Vi ho fatte aspettare, eh, eh, eh???*____* ma alla fine ho aggiornato, con questo bel capitolo sul mio vecchio Aphro a cui voglio tanto bene *-* (vedasi le sfighe che gli piovono dal cielo) povero piccolo, ogni volta che parlo di lui lo snaturo spudoratamente…ò.o la mia capacità di mantenere i personaggi IC non è scarsa, fa semplicemente acqua da tutte le parti OWO/

Sono stata male..ç_ç mincha, venerdì sono tornata a casa con la febbre a 39 e oggi…

Oggi..

Oggi..

Stò maledettamente bene!TWT i sono cioccata il week-end, al diavolo l’aspirina ç_ç  ora scarico doujinshi su Yamamoto e Gokudera, ascolto la sigla di Kichiku Megane sono felice *_*

Ma sono un po’ infelice perché quando metto su i capitoli con la Volpetta (FireFox) mi viene il testotuttoorribilmenteattaccato..ç_ç

 

 

Un sentito ringraziamento a tutte le mie commentatrici fisse a alla Pucchy *_* con la promessa di mettermi su MSN, prima o poi, così da potergli rompere i tre quarti di BIP allegramente *__________*

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Capitolo 7
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 Ti ho chiamato alle 19.30

Sottotitolo: informazione gratuita del servizio “ e rispondi a stò benedetto telefono!”

 

 

 

In the jungle…

 

- Milo…

 

Mugolò Camus, rivoltandosi nel letto, irritato.

 

- Il tuo telefono…

 

The Lion sleeps tonight

 

- Milo…!

 

Awimmawè awimmawè...

 

- MILO!

 

Ruggì alla fine il rosso, voltandosi laddove doveva esserci (tecnicamente, eh.) il biondo medico.

Non c’era.

Camus afferrò il telefono, osservando chi stava chiamando.

Ora, se la vista non lo ingannava e non era diventato scemo del tutto, era LUI che stava chiamando Milo.

Ora, lui non stava chiamando.

Oh, no.

Camus strinse il telefono tra le mani, meditando sull’idea (allettante, a dire il vero) di farlo schiantare sul muro, ma invece pigiò il piccolo tasto con la cornetta verde e rispose.

 

- Camus! Era ora!

- Milo…

- Oh, ti ho svegliato?

- No.. sono solo le cinque e mezzo del mattino.. è ovvio che non mi hai svegliato: io la domenica mi alzo sempre alle cinque per pulire la casa, sistemare le mie carte e poi jogging!

- Oh, che bello! E io che pensavo che stessi ancora dormendo!

- Quando ti metto le mani addosso, Milo…

- Ma dai…! Rilassati!

- Con gli idioti che mi fregano il cellulare per chiamare alle cinque e mezzo? Non credo di riuscirci.

- Fai yoga!

- Posso stressarmi anche a testa in giù.

- Lo so, stressarti è la cosa che ti riesce meglio.

 

Camus masticò una serie d’insulti riguardanti la causa del suo stress, ma rimase in ostinato silenzio.

 

- Allora, cosa vuoi, Milo?

- Oh, solo una cosa rapida-rapida!

- Dimmi.

- I cereali li preferisci al cioccolato o al cocco?

 

Tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu-tu.

 

- Camus ? Camus ? È caduta la linea ? Camus?

 

Camus osservò con aria soddisfatta i frammenti di cellulare che giacevano piccoli e miseri ai piedi del muro.

Peccato, era il cellulare nuovo di Milo e costava sui cinquecento euro.

Oh, bhe, aveva trovato il regalo da fargli per il compleanno.

Sorrise e si rannicchiò sotto le coperte, soddisfatto di se stesso e pregustando altre quattro o cinque ore di sonno.

 

 

 

 

Spiacente, ma il cliente da lei chiamato non è momentaneamente disponi

 

- Saga!

 

Kanon lo guardò irritato, poggiandosi le mani sui fianchi in un modo che gli ricordò incredibilmente la loro madre.

 

- È il secondo cellulare che fai fuori, oggi! Caspico che sono cellulari dell’anteguerra da venti euro l’uno, ma potresti smetterla di distruggerli?

 

Sbottò, raccogliendo i pezzi e buttandoli in una busta assieme ad un altro povero, piccolo innocente cellulare, entrambe vittime degli sbalzi d’umore di Saga.

Saga se ne stava sul divano, rannicchiato in una pesante coperta di pile, a rosicchiarsi l’unghia del pollice e ribollire nella rabbia.

 

- Vammene a prendere un altro.

- Scordatelo! È già la terza volta che mi mandi al negozio di telefoni! Pensano che li stia prendendo per il culo!

- Kanon.

 

Saga si voltò, fulminandolo con un’occhiata non cattiva, peggio, luciferina.

Kanon rabbrividì. Quando Saga sclerava in quel modo faceva davvero paura. E non perché faceva cose da pazzi, no, semplicemente perché sembrava un demone dell’inferno pronto a mangiarti vivo.

Kanon sospirò, prendendo il portafogli e le chiavi.

 

- Torno subito.

 

Saga grugnì una risposta irritata, che poteva essere benissimo un “grazie” o un “vai a farti fottere”. Kanon era abituato agli sbalzi d’umore di Saga e poteva dire di essere l’unico a conoscerli. Il fratello riusciva a controllarsi benissimo in presenza altrui, anzi, riusciva a controllarsi sempre rinchiudendo in sé quell’ira.

Kanon alzò gli occhi, al cielo, chiedendosi perché Aiolos, conscio dell’effetto che aveva su Saga la vocina pre-registrata della Vodafone, non si decidesse a rispondere.

Saga stava quasi tremando. Anzi, stava tremando. Le sue mani andavano su e giù come quelle di un vecchietto col parkinson.

Tutta colpa di Aiolos. Si, era tutta assolutamente colpa sua. Non era assolutamente lui che la stava prendendo un po’ troppo male, nonono!

Infondo aveva solo spaccato due cellulari perché Aiolos non rispondeva alle sue chiamate. Poteva benissimo star lavorando, facendosi una corsetta al parco, essere finito con la macchina in un burrone, stare con Shu….

La sola idea lo portò a scagliare un cuscino contro un vaso.

Oh, il vaso della nonna.

Pazienza, Kanon diceva sempre che dovevano buttarlo, no? Ecco, gli aveva fatto anche un favore! Così la nonna se la sarebbe presa con lui e non con Kanon! (anche se la nonna, ormai, aveva qualche piccoli problemi a distinguerli, fatto sta che li chiamava insistentemente “Claudia” e “Roberta”. Chissà perché.)

Saga scese dal divano, trascinandosi la coperta sulla spalle e cominciando ad andare avanti e indietro sul tappeto di lana, scendendo sul pavimento di marmo, imprecando, risalendo sul tappeto.

Cammina sul tappeto, tocca il marmo, impreca, risale sul tappeto.

Cammina sul tappeto, tocca il marmo, impreca, risale sul tappeto.

Cammina…

 

DLIN DLON.

 

Saga alzò lo sguardo: le cinque. A quell’ora Radamanthys veniva a fare il the. Bhe, la scusa ufficiale era che veniva a trovare Kanon, ma Saga sapeva benissimo che la sua precisione cronometrica era dovuta all’enorme collezione di tipi di the dei gemelli, ricordi dei molti viaggi.

 

- Rada, hai le chiavi, no?! Non farmi venire fin lì ma prendere freddo!

 

DLIN DLON!

 

Saga pensò che forse Radamanthys aveva improvvisamente sviluppato un qualsivoglia senso dell’umorismo e questa fosse la sua concezione di scherzo simpatico. Oppure che avesse dimenticato le chiavi.

Sbuffando, infilò le odiose pantofole a forma di coniglietti rosa che gli avevano regalato le infermiere (cosa che puzzava di presa per i fondelli) e si diresse verso la porta.

 

- Rada, ma che fai, sei scemo?!

 

Sbottò, spalancandola. Istantaneamente, un paio di braccia muscolose e abbronzate lo afferrarono e lo strinsero verso un vasto petto che profumava di zenzero.

 

- A…

- Scusami se non ti ho risposto, Saga, ero in ospedale…

 

La voce di Aiolos ebbe lo stesso effetto sulla sua psiche di quello che può avere una damigiana d’acqua fresca di corrente sulla gola di uno che si è perso nel deserto.

Saga portò le braccia dietro la sua schiena, sospirando sollevato.

 

- Sei un’idiota.

 

Dichiarò.

 

- Un’idiota.

- Innamorato.

 

Aggiunse Aiolos, ridendo.

 

- Forza, malatino, andiamo dentro che ti faccio il brodino caldo caldo!

 

Chiocciò allegro.

 

- Ma, aspetta…

 

Saga rimase immobile sulla porta, guardando Aiolos con aria poco convinta.

 

- E Kanon e Radamanthys?

 

 

 

- Allora. Rada? Che te ne pare di questo negozio?

- Kanon…

- Uh?

- Che te ne fai di questo enorme anti-stress rosa?

- Bha, giusto per prendere un po’ per i fondelli mio fratello.

- Il giorno in cui ti strozzerà ti passerà la voglia di prenderlo per il culo…

- Che hai detto Rada?

- Nulla Kanon, nulla.

 

 

 

 

A.Corner___

 

Chissà se esiste un negozio che ti vende anche tre cellulari in un giorno ò.o

E chissà a che negozio è andato Milo, alle 5.30 di domenica mattina…. Magari un supermarket aperto 24/24 7/7…..bha ò.o

sono felice che il mio Aphro non abbia suscitato scandalo tra i lettori xD

purtroppo, dietro ad Aphrodite ho piazzato una tal storia e una tal famiglia (sì, perché voi non lo sapete, ma ho piazzato famiglie su una buona metà dei nostri amichetti *-* mamme, padri, fratelli e sorelle, che avranno sì un ruolo marginalissimo ma che comunque avranno i loro effetti xD) che me l’hanno reso un simpatico pirla che aspetta che venga giù lo Spirito Santo a risolvergli i problemi ù_ù

non credo che Aphro alzerà un dito in tutto ciò, quindi xD

ringrazio tutte per i commenti *-*

Pucchy, Sorrentuccio e Isaac arriveranno *-*

verso il capitolo 9/10, direi *-*

e nel prossimo, finalmente i Deficienti Generali Infernali!*______________*

 

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Capitolo 8
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Trident

 

 

 

Uno dei pensieri più ricorrenti nella storia che vi stiamo narrando è “sono circondato da imbecilli” e non tanto perché si è realmente circondati da imbecilli, ma perché le persone che i nostri protagonisti hanno attorno si comportano obbiettivamente da imbecilli.

E Pandora, la storica direttrice dell’Agenzia Pubblicitaria Trident, non poteva certo essere esclusa da questa corrente filosofica, no?

 

“Sono circondata da idioti…”

 

Pensò sconsolata, riattaccando la cornetta del telefono. Era stata un’ora al telefono con una simpatica signora che l’accusava di aver rovinato la vita al figlio a causa di una scatola di merendine, più precisamente la scatola del cui packagin lei si era occupata e che prometteva un pupazzetto di quelli che andavano tanto di moda tra i marmocchi. Dov’era il problema? Ebbene, nella scatola del bambino non c’era alcun pupazzetto.

Ora, Pandora si chiedeva “ma se quelli della fabbrica non hanno messo il pupazzetto nella scatola, io che colpa ne ho?”. Scosse la testa, cominciando a camminare avanti e indietro, lasciando che la cavigliera e la collana tribali che usava portare da sempre tintinnassero.

La Trident, fiorente agenzia pubblicitaria, portava questo nome per l’appunto dal tridente che Pandora teneva nel suo ufficio, sostenuto da due ganci proprio dietro la sua scrivania.

Non era raro che Pandora s’infuriasse talmente tanto da staccarlo dalla parete e puntarlo contro i propri dipendenti.

 Ma i suoi problemi erano altri ed erano talmente gravi e pazzescamente enormi da spingerla ad essere buona e gentile con tutti io suoi dipendenti, causando sbigottimento generale e mormorii al riguardo di un suo possibile consumo di una qualche erba non ben specificata.

Scosse la testa di liscissimi capelli neri, buttandosi nuovamente a sedere sulla poltrona da dirigente.

Pandora Bowen aveva trentasette anni, era sposata e dal punto di vista lavorativo non si era mai potuta lamentare.

Partita come grafica pubblicitaria di bassa categoria, era stata notata da un certo Ade, famoso imprenditore la cui agenzia era poi diventata interplanetaria, aprendo filiali ovunque e raccogliendo la creme de la creme dei pubblicitari. Da lì in poi, Pandora si era fatta tutto il corsus honorum, arrivando fino ai vertici della filiale di Atene.

Sotto di lei, i tre migliori pubblicitari della Grecia e una quarantina di dipendenti di vario tipo.

E il suo problema erano, appunto, i pubblicitari.

 

- MINOSSE!!

 

Griffon Minosse, un uomo sulla trentina, lunghi capelli di un colore chiarissimo e una frangetta sugli occhi che lo faceva somigliare ad un cane da salotto e una raffinata freddezza che lo rendevano superbamente irritante, alzò gli occhi dal proprio quotidiano, fissando il collega.

Garuda Aiacos al contrario, era un perfetto esempio di mediterraneità, con gli occhi scuri, i capelli neri e la pelle abbronzata e un sicuro accenno del battagliero sangue Apache nelle vene.

 

- Che succede, Aiacos?

 

Domandò Minosse.

 

- Hai finito i soldi per il caffè?

- Sta zitto, Minosse! Vuoi spiegarmi perché all’improvviso il mio progetto l’hai preso tu?!

- Perché sì.

 

Rispose Minosse, voltando pagina.

Dietro di loro, Wyvern Radamanthys, un uomo di cui abbiamo già parlato, li guardava con la faccia di chi ha già visto quella scena millemila volte.

 

- Come sarebbe a dire, Minosse?!

 

Aiacos batté una mano contro il muro , infuriato. Molti dei dipendenti sapevano che presto o tardi, uno dei due sarebbe sparito dalla circolazione per merito della Lupara Bianca.

 

- Sarebbe a dire che stavi facendo un lavoro pessimo e che il progetto l’ho preso in mano io.

- Co…co….co…co…

- Dè.

 

Aiacos si lanciò in avanti, alzando un pugno contro di lui. In quell’esatto istante un grosso tridente si andò a conficcare con precisione in messo ai due, affondando la punta più lunga nel muro di cartongesso, dove, a guardaci bene, c’erano già diversi segni di tale punta.

 

- Chiudete quella fogna!

 

Ruggì Pandora dal suo ufficio, camminando a grandi falcate verso di loro, infuriata. Con un gesto secco strappò l’arma dal muro, fissandoli con la tipica venuzza ballerina sulla fronte.

 

- O, almeno, non mettetevi a litigare davanti al mio ufficio!

 

In effetti, Aiacos dovette prende atto di non aver scelto proprio il luogo migliore per mettersi a recriminare con Minosse.

 

- Stavamo solo parlando, Pandora.

 

Disse Minosse, guardandola.

 

- Tu. Io stavo litigando.

 

Sbottò Aiacos, guardandolo male. Pandora sospirò, cercando l’aiuto di Radamanthys con gli occhi. questi scrollò le spalle, facendole cenno di lasciar perdere.

 

- Paccy?

 

Disse una voce. Pandora si voltò e i suoi occhi s’illuminavano, mentre tutto il viso passava dall’espressione del giaguaro incazzato a quella di chi ha appena raggiunto la pace interiore.

In tutta la bellezza concessagli da un terrificante maglioncino verde fluo su dei pantaloni bianchi, Shun Bowen entrò nell’agenzia dove lavorava come segretario, con ben un’ora di ritardo sul suo orario d’ingresso.

 

- Che succede? Perché hai il tridente in mano?

 

Pandora gli gettò le braccia al collo, tridente compreso, sospirando sollevata.

 

- Ah, tu sei come il purificatore dell’aria per me.. elimini le scorie (quei tre dementi..)

- Ehy, spiegami un po’ una cosa, Pandora!

 

Domandò Aiacos, che sembrava aver bisogno di sfogare la sua ira con qualcuno, chiunque esso fosse.

 

- Perché se noi arriviamo con cinque minuti di ritardo troviamo il plotone d’esecuzione già in riga mentre se lui entra con un’ora di ritardo lo abbracci?!

 

Pandora lo guardò con la faccia di una maestra elementare che spiega ad un bambino che non deve mangiare il sapone.

 

- Perché a lui lo bacio e a te ti sputo.

 

Aiacos si sentì all’improvviso molto debole. Radamanthys gli mise una mano sulla spalla.

 

- Vieni che ti offro un caffè.

- Meglio che gli offri una camomilla Rada.

- Ma allora vuoi fare a botte Minos…!

- Prendi quel caffè e sta zitto Aiacos!

 

Pandora trascinò Shun nel suo ufficio, chiudendo la porta.

Ora, dobbiamo spiegare due o tre cosine: il signor Bowen era il padre di Pandora ed era quello che si dice comunemente “un puttaniere nato” oltre alla madre di Pandora, aveva altre due amanti, da cui erano nati Ikki e Shun.

Tra i tre c’era molto affetto, dettato anche da una vita passata praticamente assieme. Pandora, con i suoi trentasette anni si meritava l’appellativo di mamma adottiva dei due, seguita da Ikki con i suoi trent’anni e poi da Shun con i suoi vent’otto anni.

Pandora guardò con aria grave Shun che rimetteva al suo posto il tridente.

 

- Dobbiamo parlare di cose serie Shunny.

- Dimmi pure Paccy.

- Riguarda l’agenzia.

- Bhe, non sarebbe meglio parlarne anche con Minosse, Radamanthys e Aiacos?

- Per carità, mi renderebbero tre minuti di discorso un inferno!

- Allora.. dimmi…

- Il Signor Ade vuol chiudere la Trident.

- Cosa?!

- Shhh! Abbassa la voce! Ci mancherebbe solo che quei tre ci sentissero!

 

Pandora gli fece cenno di abbassare il tono, tornando a camminare su e giù per l’ufficio, costringendo Shun a muovere la testa come l’arbitro di una partita di tennis.

 

- Ma non può! Avete i pubblicitari migliori della Grecia!

- I morti di fame migliori della Grecia, Shunny.

 

Puntualizzò freddamente Pandora, sedendosi. Si portò le mani alla testa, giocando nervosamente con i capelli.

 

- Se la Trident chiude, siamo i mezzo ad una strada, Shunny.

 

Shun cercò di dire qualcosa.

 

- Tu no, chiaramente. Tu devi fare il bravo e fare il tuo mestiere, non le fotocopie qui. E io, bhe…

 

Ci rifletté qualche secondo sopra.

 

- Verrò spedita in un’altra città.

- Cosa?! Ma Paccy!

 

Shun l’abbracciò di slancio. Pandora sorrise.

 

- Non è una tragedia, Shunny.

 

Disse, dandogli una pacca sulle spalle.

 

- Dai, non piangere, Shunny.

 

 

 

 

 

 

A.Corner___

 

Venti righe di serietà XD ho battuto un record XD la Trident non fa in tempo ad entrare in scena che và già chiusa.. che peccato ç_ç

Facendo il remake della nota del precedente capitolo: sono felice di vedere che i personaggi da me snaturati non vi facciano saltare come bufali imbufaliti xD

Eppure a me filano così bene *-* se lo chiedete a me, per me Aiolos è quello più IC *-* perché ho la convinzione che sia lui che il fratello siano quel tipo quasi estinto di persone che, appena sentono che una persona cara ha un problema, mollano baracca e burattini e si presentano alla porta, pronti a far sentire la loro presenza *-* e a preparare il brodino di pollo ù_ù

Ma Pucchy, che hai capito?xD Mi dispiace per te, ma Isaacucciolo è in coppia fissa con Baian *-* per me sono quasi spostati, alla strenua di Shun e Hyoga xDxD Sorrento mi sta dando un problema ò.o non so se metterlo in una yaoi o no, perché se no mi si sballano tutti i progetti che avevo per Julian (l’unico con cui, effettivamente, lo vedo bene *-*) ma credo di riuscire ad organizzare qualcosina…*risata malefica*

E per togliere ogni dubbio: sì, questa storia ha una trama XD e anche precisa, se devo dire la verità *-* la mia idea era di svilupparla così: qualche capitolo (TANTI capitoli xP) d’introduzione, tanto per far capire chi sono i personaggi. Poi sviluppare le vite di ognuno, mostrandole quasi come dei siparietti staccati tra loro, per poi far confluire il tutto in un evento che li unirà tutti +___+ se non muoio di vecchiaia prima +__+

Ripeto: mica ho scritto “Soap Opera” perché non avevo nulla da fare nella vita OWO/

Per RedStar12: Milo e Camus avranno più spazio, tranquilla *-* solo che l’aumento dello spazio per loro comprenderà la comparizione di Phimie e della Meravigliosa Mamam (no, non ho sbagliato, lei è la Meravigliosa Mamam, in Maiuscolo, ricordate sempre ù__ù)  xD con sommo dolore del povero Milo X;;D

Io mi butto sempre nelle storie con tanti personaggi, cercando di dare spazio a tutti, ma alla fine alcuni finiscono inevitabilmente nel dimenticatoio..ç_ç tipo Sion e Dokho e Shun e Hyoga, che mi deprimono perché non compaiono mai ç-ç (Al comparirà nel capitolo 11, tanto per dirvene una…ù_ù)  sob ç-ç

 Lil_l, tu ami Aioria e Ikki in questa storia perché l’autrice è colma di leonino orgoglio e i due uomini del suo segno se li porta in palmo di mano e se voi non li amate vi manda tanti Umpa-Lumpa ubriaconi a casa *-*

 

Vabbè, gustatevi la storiella extra *-* (e prometto che nel prossimo capitolo ne metto una su Dokho e Sion!èOé/)

 

 

 

Pinguini

 

[Milo  & Camus]

 

I pinguini sono veramente buffi

Dopo averli visti sai di certo che

Non c’è niente di più strano di un pinguino

A parte te e me!

(C) Disney xD

 

 

- Ping....

- I-Ping?

 

Milo, un piccolo biondino greco, cercava disperatamente di dare un senso ai farfugliamenti metà in francese e metà in greco del rossino che aveva davanti.

 

- Penguino?

- Ah! Pinguino!

- Panguino?

- Pinguino!

- Piunguon?

- Camus, lascia perdere… comunque, che c’entra il pinguino, ora? Vuoi un kinder pinguì?

 

Camus alzò lo sguardo, indicando con un ditino rotondetto da bambino un’enorme peluche morbidoserrimo a forma di pinguino.

 

- Ah! Vuoi quello?

 

Camus annuì. Milo sfoderò un sorrisone enorme, aprendo le braccine tonde.

 

- Compriamolo! Tu quanto hai?

 

Camus si mise una mano in tasca, rivelando ben tre dracme. Milo frugò qua e là, ripescando una dracma impiastricciata di caramella e un bigliettino per il compito di storia.

 

- Mi sa tanto che non bastano, eh.

 

Sussurrò Milo deluso, osservando il piccolo Camus che abbattuto poggiava la fronte sulla vetrina del negozio.

 

- Penguon…

- Sì dice…

 

Milo si fermò, poi sorrise, abbracciandolo.

 

- Te lo comprerò, Camus, prometto.

- Prometti?

- Ovvio!

 

Milo gonfiò il metto, battendoci il pugnetto contro.

 

- Sono il grande Milo Marakis, io! E mantengo sempre le promesse!

 

**

 

- NO.

- Ma mamma!

- Non ti darò trenta dracme per fare un regalo al tuo amichetto francese!

 

Sbottò la donna, fissandolo per obliquo da sotto il bilanciere. Milo rifletté che chiedere alla mamma dei soldi mentre si allenava non era stata una gran furbata.

 

- Ma mammaaaa!

 

Ripeté, facendo i tipici Occhi Pucciosi.

La Signora Marakis alzò gli occhi al cielo, riponendo i pesi dov’erano.

 

- Chiedili a papà.

 

Sbottò, irritata, mentre si dirigeva verso il bagno. Era fatta! Chiedere qualcosa a papà voleva dire averlo!

 

**

 

Milo avrebbe dovuto falciare il prato per il resto dell’anno, pulire la sua stanza almeno una volta alla settimana e riverniciare il garage, ma almeno aveva quelle benedette trenta dracme.

Trotterellava per la città sotto il peso di quell’enorme pinguino, con un sorriso ebete stampato sulla faccia e l’aria di chi si sente molto sopra il cielo.

Suonò alla porta della Casa Gilde, fiducioso nell’apparizione di Camus sulla porta.

Ed eccolo là, ancora intontito dal pisolino pomeridiano, il suo adorato rossino, dodici anni e la faccia pucchosa e rotondetta.

 

- Miló?

- Guarda un po’!

 

Esclamò, mettendogli sotto il naso il peluche.

Camus fissò l’oggetto. Poi un’enorme sorriso si aprì sul suo volto, contagiando le guance, gli occhi e persino la fronte. Gli gettò le braccia al collo, ridendo.

Falciare il prato? Pulire la stanza? Ritinteggiare il garage?

Nulla era pesante, se a ripagarlo c’era quel visino felice.

 

 

 

 

- I pinguini sono veramente buffi…

 

Milo si aggirò di soppiatto dietro le spalle di Camus, canticchiando allegro.

 

- Dopo averli visti sai di certo che.. non c’è niente di più strano di un pinguino…

 

Alzò un piccolo pupazzo a forma di pinguino verso il viso di Camus, toccando prima le sue labbra e poi le proprie.

 

- A parte me e te!

 

Disse, scoppiando a ridere. Camus sospirò, sorridendo.

 

- Sei un bambino Milo.

- Lo so, lo so.. mio amato Penguon.

 

Camus si voltò verso di lui.

 

- Te ne ricordi?

- Io ricordo tutto di te. E poi, credo sia stata la prima volta che mi hai abbracciato, quella.

- Miló.

- Camucciolo.

 

Milo rise, buttando Camus tra le coperte di peso e beccandosi una sonora cuscinata in faccia come ringraziamento.

 

 

 

[Perché Milo e Camus sono un inno al puccioso ùWù Milo tonto&innamorato è perfetto e Camus è geniale. E i pinguini meritano tutto dalla vita *-*]

[Ak-ucciola?ò.o guarda te lo permetto solo perché sei tu Pucchy ù-ù e all’AldebelloH più carinoH e coccolosoH del mondo permetto tutto ùWù]

[ sono fissata con “puccio” oggi OWO ]

[ e con le parentesi]

[adesso smetto]

[lo giuro…]

[smetto…]

[…]

[..]

[.]

[ se non farò in tempo a dirlo, buon Martedì Grasso e buon Carnevale!*-*]

[…]

[fate tanto cosplay…fate tanto cosplay…*cerca d’ipnotizzare le lettrici* ]

[io farò Reborn *-*]

[mi hanno obbligato *-* dicono che si somiglio: pucchosa e bastarda *-*]

[ ma tanto sono felice di farlo, quindi… XD]

[ tanti saluti]

[con orgoglio]

[Reborn-Akrois xD]

 

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Capitolo 9
*** Extra ***


 

[Extra]

Zodiaco

 

 

 

Se c’era un antico rito del Saint Mary, questo era sicuramente la Lettura dell’Oroscopo.

La Lettura veniva generalmente fatta di sabato, durante la pausa pranzo e tutti i medici dell’ospedale partecipavano.

 

- Bene, oggi leggiamo l’Oroscopo…

 

Il Lettore era generalmente Mikail Ruskin, detto Aprhodite, che leggeva sì, divinamente, ma aveva un’inguaribile vizio

 

- Saltiamo l’Oroscopo singolo e passiamo a quello di coppia!

 

Di leggere quello che pareva a lui.

I medici sospirarono, procurandosi varie sedie e mettendosi in cerchio attorno ad Aphrodite, che più che un celebre chirurgo plastico, si sentiva un Papà Castoro Biondo.

 

- Cominciano… Sagittario-Leone.

 

Aiolia e Aiolos incrinarono le folte sopracciglia, fissandosi con il tipico sguardo da “eh?!”.

 

 - La possibilità di una  storia tra voi è come Babbo Natale: non esiste.

 

I due fratelli si lasciarono andare ad un sospiro.

Com’era possibile che questi medici, così indissolubilmente legati al motto “homo faber fortune sue” fossero attratti così irresistibilmente ( e credessero così fermamente) dall’Oroscopo?

Bho. Ma come direbbe il mio prete “le vie del signore sono infinite” e quelle della deficienza umana idem.

 

- Continuiamo… Ariete-Capricorno.

 

Mu arrossì di rotto, tossicchiano, mentre Shura guardava intensamente l’angolo in alto a destra della stanza.

 

- Vi prenderete a cornate.

 

Angelo (al secolo DeathMask) cadde dalla propria sedia, contorcendosi in grasse risate che sarebbero risuonate nell’ospedale per i secoli avvenire sotto forma di risate fantasmagoriche. Shura cominciò a tirargli una serie di calci che gli era stata dettata dal profondo del cuore.

Mu abbassò lo sguardo, mentre Shaka gli dava un leggero (ma divertito) buffetto sulla spalla.

 

- Leone-Vergine….

 

Shaka e Aiolia alzarono lo sguardo, l’uno speranzoso per un motivo e l’altro per un altro.

 

- Se siete in coppia: attenti, ci saranno guai. Se non ci siete più: non ci sperate neanche.

 

Shaka cominciò a trafficare con il cellulare, mentre Aiolia se ne andava a deprimersi in un angolino.

 

- Sagittario-Gemelli…

 

Aiolos afferrò Saga per il collo, tenendoselo al petto come un peluche e caricandoselo (contro il parere del poveretto) sulle gambe.

 

-Non asfissiatevi.

 

Aiolos mollò all’improvviso Saga, che privo del sostegno del greco cadde rovinosamente a terra. Si alzò, gli scoccò un’occhiata luciferina e poi se ne andò via col “culo ritto”, come si dice a casa mia.

Aiolos lo seguì di corsa, guaendo le proprie scuse.

 

- Scorpione-Acquario…

 

Milo cominciò ad agitarsi e a gesticolare, mentre Camus rigirava palesemente gli occhi al cielo.

 

- Oggi è una giornata perfetta per voi: fate quello che volete fare da sempre!

 

Camus guardò con attenzione l’acqua incresparsi attorno a lui, mentre la pinna dello squalo emergeva e spariva tra i flutti.

Un movimento.

tatatatatatatatatatatatatatata

L’acqua leggermente increspata, la porta che sbatteva e quelle che erano inconfondibilmente maledizioni rivolte ad Aprhodite, a Paolo Fox e a tutti gli idioti che scrivono stronzate del genere.

 

- Bene, gli ultimi orosocopi sono per Ariete-Bilancia…

 

Dokho lo guardò con occhi luccicosi mentre Sion fingeva indifferenza.

 

- Non vi preoccupate, và tutto bene così com’è!

 

Sion annuì convinto e Dokho gli saltò al collo.

 

- E per ultimo, Cancro-Pesci…

 

Angelo (che stava ancora prendendo calci da Shura) si bloccò per un milionesimo di secondo, per poi fissarlo.

 

- Lui vi fa arrabbiare e voi fate arrabbiare lui. Consolatevi: nessuno vi invidia.

 

Angelo riprese a ridere e a prendere calci.

Anche da Mikail.

 

 

 

 

A.Corner___

piccolo capitolo extra ispirato da Paolo Fox XD

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** [9] ***


[9]

[9]

 

Shut up!

 

Aiacos camminò. Minosse lo seguì. Aiacos si fermò. Minosse si fermò. Aiacos svoltò a destra. Minosse svoltò a destra. Ad Aiacos cominciavano a girare le palle. Minosse si stava divertendo da morire.

 

- Minosse!

 

Esclamò alla fine, voltandosi di scatto. Minosse lo guardò senza cambiare minimamente espressione.

 

- Dimmi.

- Perché diavolo mi stai seguendo?!

- Avevo la sensazione che tu volessi fare due chiacchiere con me.

- Bene! Facciamole!

- Non sarai mica arrabbiato per quella cosa del progetto?

- Certo! Tu mi freghi il lavoro e io dovrei essere felice, secondo te?!

- Sì. Così hai più tempo libero, no?

 

Aiacos sentì il suono secco dei suoi nervi che si spezzavano.

 

- Ma vaffanculo Minosse, và.

 

 

 

Quando Aiacos richiuse la porta di casa, pensò di essere libero dal simpatico (odioso) collega. E invece no.

 

- Ciao.

- Come diavolo hai fatto ad entrare?!

- Dalla porta.

 

Aiacos digrignò i denti, guardandolo mentre si sedeva sul SUO divano, sfogliando una SUA rivista e criticando la SUA casa!

 

- Come diavolo vuoi Minosse?!

- Un caffè.

- Prego?!

- Mi hai chiesto cosa voglio. Io ho risposto: un caffè. Non mi pare così difficile.

- Te lo do io il caffè… ma dove te lo do lo decido io…

 

Borbottò Aiacos, dirigendosi verso l’angolo cottura del suo appartamento (un bilocale a metà di un palazzo a cinque minuti a piedi dall’ufficio –Aiacos non aveva la macchina-) e tirando fuori da un armadietto un barattolo di caffè solubile.

 

- Aiacos, per carità! Usa del caffè degno di questo nome, almeno!

 

Lo rimproverò Minosse, guardandolo di sbieco. Aiacos dovette trattenersi dall’ammazzarlo. Sfogò la sua ira sul pacco di caffè che, per vendetta, riversò il suo contenuto un po’ ovunque per il cucinotto, portandolo al punto del tracollo nervoso. Ma, alla fine, la moka venne riempita d’acqua e caffè e messa sul fornello.

 

- Sai come deve essere il caffè, Aiacos?

- Caldo come l’inferno e nero come la notte.

- Te ne sei scordata una.

 

Minosse prese il suo volto tra le mani, ghignando. Aiacos deglutì a vuoto.

 

- Deve essere anche dolce come l’amore….

- Allora il tuo è senza zucchero, Minosse.

 

Minosse rise, prima di trascinarlo via con sé.

 

 

 

 

 

- Baian?

 

Isaac sbirciò timidamente in casa, cercando di non fare rumore nell’atto di apertura della porta. Si era appena riappacificato con Baian e non voleva essere costretto a litigarci di nuovo per una qualche boiata. Al contrario suo, Baian non aveva fatto l’università e lavorava come bagnino in una piscina coperta, cosa che lo provava fisicamente e mentalmente. Isaac sorrise teneramente, osservando Baian stramazzato sul divano che dormiva beatamente, incurante dei vestiti, delle scarpe e dei danni che poteva portare dormire là alla sua spina dorsale.

Con delicatezza gli passò un braccio dietro la schiena e uno sotto le gambe, sollevandolo con poca difficoltà. Si sorprendeva sempre di quanto fosse leggero il compagno, forse anche troppo.

Camminò lungo il corridoio che metteva in comunicazione le stanze di casa, scostando con un piede la porta della loro camera (ancora immersa nell’oscurità dettata dalla serranda chiusa) e poi lo adagiò sul letto, lasciandolo affondare tra le lenzuola leggere verde acqua.

Gettò un’occhiata sui piedi del compagno, chiedendosi se fosse il caso di toglierli le scarpe. Notò solo allora che probabilmente Baian se l’era tolte prima di stendersi sul divano.

Gli scostò alcune ciocche di capelli di un castano chiarissimo, poco più del biondo, dal volto e poi gli poggiò un bacio sulla fronte.

Si allontanò lentamente e silenziosamente, attento a non svegliarlo. Annusò i vestiti: puzzava di disinfettamene e d’ospedale.. doveva farsi una doccia.

Preso nell’atto di togliersi la maglia, non sia accorse che Baian era scivolato giù dal letto. Ne prese atto solo quando sentì la sua fronte poggiare contro la sua scapola e le sue braccia circondare il suo bacino.

 

- Ma come, ti sei svegliato?

 

Domandò sorridendo, rigirandosi nell’abbraccio e lasciando che Baian poggiasse il viso sul suo petto.

 

- Mi dispiace se abbiamo litigato.

 

Disse Baian, stringendolo a sé più forte.

 

- In fondo posso mangiare anche i cereali al cocco, non fanno così schifo…

 

Isaac rise.

 

- Puzzi d’ospedale, Isaac.

- E tu di piscina, Baian…

 

Isaac abbasso le labbra fino al suo orecchio.

 

- Ci facciamo la doccia insieme?

 

Baian arrossì.

 

 

 

 

 

Con un grugnito seccato, Aiacos afferrò la moka e la scagliò dentro al lavandino. Mentre loro erano in altre faccende affaccendati, infatti, il caffè aveva buttato, rovesciandosi su tutto il piano cottura e colando fino al pavimento. Aiacos indicò la bevanda che macchiava la cucina a Minosse.

 

- Quello è il tuo caffè.

 

Disse.

 

- Leccatelo.

 

E si diresse verso la propria camera, sbattendo fragorosamente la porta. Minosse rimase per un paio di minuti immobile sul divano, prima di alzarsi e avvicinarsi alla porta.

 

- Aiacos…

- Sei ancora qui?!

- Sai, tu non sei male.

- Vattene via.

- Se non fosse per quei complimenti che mi rivolgi…

- Fottiti!

- Appunto. Dovresti dare una ripulita al tuo vocabolario…

 

Aiacos batté un pugno sulla porta.

 

- Vattene via, Minosse! Sparisci!

 

Minosse scosse la testa.

 

- Bene. Ci vediamo in ufficio, allora.

- Và al diavolo.

 

Quando avvertì la porta chiudersi, Aiacos si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, misto ad un po’ di rammarico.

Forse.

 

 

 

A.Corner___

 

Perché Aiacos e Minosse sono geniali ùWù e Isaac e Baian sono tanto pucci =ç=

Pucchy, io ti odio *___________* anzi, ti odio amorevolmente *_____________* perché mi fai delle domande che mi costringono a pensare?ç_ç è tanto bello lasciare i miei neuroni in stasi quasi comatosa ç_ç

Bhe, perché Minosse e non Minos?ò.o perché Minosse mi suonava meglio *-* ma se vuoi, dal prossimo capitolo comincio a rinominarlo come fanno i giappici : Miinosu! xD

No, vabbè, perché per me Minos è quello del Lost Canvans mentre questo è Minosse *-* e Eaco non mi piaceva, era più familiare Aiacos *_______*

E poi..

E poi nulla, non ho niente da dire a parte ringraziarvi per i commenti per quella cavolatina di capitolo extra *-* non credevo che qualcuno l’avrebbe trovato qualcosa più che patetico XDXD che in effetti era una cacchiata ò.o ma ero contenta perché leone, vergine e ariete erano tutti belli sùsù *-* (<- persona che crede nell’oroscopo).

Ah, la prima storiellina di fine capitolo è dedicata a Dokho e Sion, mentre la seconda è…

Una cavolata immane XDXDXD

Ah, evviva la moka e i cereali al cocco ùWù

 

 

Vecchie Abitudini

[ Dokho & Sion ]

 

 

Sion aprì la credenza, prendendo il caffè.

Caricò la moka e la mise sui fornelli.

Si sedette, aprendo lentamente il giornale.

Quindici pagine esatte e il “fischietto” emise il suo rauco rumore (tecnicamente, un fischio), informandolo che il caffè era pronto.

Lo prese e lo versò in due grandi tazze bianche, una bordata di verde e l’altra d’azzurro.

In quella verde ne mise meno che in quella azzurra.

Versò latte in parti uguali in entrambe.

Le poggiò su due tovagliette all’americana uguali, per poi girarsi a tagliare il pane.

Quattro fette, due da una parte e due dall’altra e in mezzo la marmellata alle amarene.

E, mentre si girava verso il frigo per prendere il succo d’arancia, due braccia scure si stringevano attorno ai suoi fianchi e il respiro caldo andava a sbattere contro il suo collo.

 

- Buongiorno Sion.

 

Sussurrava la voce calda e dall’inflessione lievemente cinese di Dokho, mentre strusciava il volto sull’incavo della spalla sorridendo e facendogli il solletico con i capelli scuri.

 

- Dormito bene?

- Con te che russi?

- Sei un tesoro anche quando mi siluri così, sai?

 

Sion ridacchiò. Dokho sorrise, depositando un bacio sul suo collo ed andandosi a sedere.

 

- Ormai potresti preparare la colazione ad occhi chiusi…

 

Borbottò, con aria quasi colpevole.

 

- Non ti dispiace, essere così pieno di abitudini?

 

Sion prese il succo, poggiandolo sul tavolo. Si girò poi e prese i bicchieri.

 

- No.

 

Asserì, tranquillo.

 

- Credo che le abitudini siano la cosa che mi piace di più.

- E a me? A me ti sei abituato?

- A meno che “Dokho Li-Yan” non sia un metodo di cottura della carne, non credo di riuscire a fare l’abitudine ad un cinquantenne cinese scapestrato.

 

Dokho scoppiò a ridere, mentre Sion si sedeva poggiando i due bicchieri. Gli lasciò il tempo di sorseggiare un po’ del caffèlatte per poi allungarsi, passandogli una mano dietro la nuca, tirandolo verso di sé in un bacio dolce.

 

- Ottimo.

 

Commentò, leccandosi le labbra, una volta separato da lui.

 

- Sei il mago del caffèlatte, Sion.

- Modestamente.

- Anche se le tue labbra sono più buone!

- Le mie labbra non si mangiano, Dokho.

- Peccato.

 

 

 

 

 

May I can show you my sacred word.

[*Sorpresa* & Hyoga]

 

Lo guidò con un movimento sinuoso del corpo, facendosi seguire.

Hyoga lo seguì incespicando lungo una salita accidentata dove ogni sasso nascondeva una buca ed ogni buca nascondeva una talpa ed ogni talpa nascondeva una talpina ed ogni talpina nascosta in un buchino ed ogni buchino era nascosto da un sassino che…

Mi sono persa.

Comunque, Hyoga, seppure a preghiere, bestemmie e sputi, era riuscito a riprendere il passo dell’inusuale guida.

Questa lo guardò con aria sprezzante e una certa compassione celata negli occhi chiari, prima di guizzare agilmente nell’oscurità.

 

- Aspettami!

 

Gridò Hyoga, arrampicandosi con la lingua in fuori come il lupo della Spada Nella Roccia.

La guida gli rivolse uno sguardo più che sprezzante: addirittura nauseato, mentre si fermava per aspettarlo.

Hyoga allora riuscì a raggiungerla.

 

- Insomma, dove stiamo andando?!

 

La guida non lo considerò degno di risposta, ricominciando a correre e distaccandolo in breve tempo.

Quando la vide bloccata, illuminata dalle luci della città, in cima alla collina, allora capì che era arrivato.

La città si estendeva per diversi chilometri ed era totalmente illuminata da tralci di lampadine colorate che correvano da una parte all’altra come liane.

Enormi parchi di quella che pareva erbetta a lui familiare erano colmi di figure che saltavano, giocavano e scorrazzavano liberamente.

La sua guida lo incitò a muoversi, indicandogli la strada principale, tuta lastricata di pietre rettangolari bianchissime.

Al suo passaggio, tutti gli abitanti lo fissavano, additandolo e bisbigliando tra loro, per poi mettersi in coda dietro a lui.

Quando arrivarono alla piazza del palazzo, la sua guida lo abbandonò, saltando aggraziatamente fino al balcone più grande.

Su un trono di velluto rosso, sedeva una figura che Hyoga riuscì a riconoscere al primo sguardo.

Il pelo arancio-rosato, la schiena maculata e la coda assurdamente lunga striata.

Gli occhi rossastri.

Lo sguardo di puro odio verso di lui.

Il collare con la medaglietta a forma di fiocco.

 

- Ode eterna a sua signoria l’Imperatore dei Gatti!

 

Tutti i gatti alzarono la zampetta, in quello che a Hyoga ricordò palesemente il saluto romano.

Il gatto lo fissò, prima di alzare una tozzissima zampa ornata di gioielli verso di lui.

 

- Mettetelo a morte.

 

Grossi gatti nerboruti lo afferrarono per i piedi e le mani, affondando artigli come sciabole nelle carni delicate e trascinandolo verso un patibolo a forma di sifone del water.

 

- NOOOO! PALLINAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!

 

 

 

 

 

 

 

- AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!

- Hyoga, che succede?

 

Shun lo guardò lievemente preoccupato.

Hyoga guardo prima lui, poi la TV, dove ancora davano il film “La Rivincita Dei Gatti” e poi Pallina.

Questi si leccò le labbra, fissandolo con aria ammiccante.

Hyoga considerò l’idea di abbandonare la Grecia a favore della sua amata Siberia.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** [10] ***


[10]

[10]

 

Quando si parla di sfiga…

Sottitolo: Stronzo di un cuGGino! (^____^)

Sotto-sottotilo: ah, le fin d’amour….

 

 

 

Quando si parla di sfiga, ci si riferisce a persone ben precise, che all’interno di questa storia sono….

 

 

Julian prese lentamente fiato, ricorrendo a quell’assurdo rituale zen che imponeva d’immaginare l’aria che si stava inspirando come dorata, piena di luce e dolce di sapore, mentre quella che si espirava era nera, sporca e puzzolente. Nonostante             questo rituale avesse il mirabile intento di rilassare l’utilizzatore, su Julian non fece alcun effetto.

 

- Siamo ancora in tempo per tornare a casa, Sorrento?

 

Il giovin biondino dei Solo voltò i suoi dolci e allegri occhioni verde prato verso il compagno, un fanciullo dai capelli di un inusuale tinta viola pallido e gli occhi grigio chiaro. Questi scosse la testa.

 

- No, Julian, non siamo in tempo.

 

Julian sentì le sue fragili illusioni spezzarsi.

 

- Ma io voglio tornare a casa!

 

Piagnucolò.

 

- Non voglio ricevere quei demoni!

- Hai promesso, Julian.

- Lo sòòò… ma possiamo dire che l’aria di mare mi ha devastato gli ultimi neuroni, oppure che sono dovuto partire d’urgenza e che non tornerò prima del giugno 2011!

- La cosa che mi fa ridere è che tu ti prodighi tanto per gli orfani di tutto il mondo, ma quando si tratta dei tuoi parenti preferiresti essere buttato in mare con un paio di scarpe di cemento….

- Oh, Sorrento tu non li conosci! Loro sono dei demoni! Sono angeli caduti dal paradiso! Loro sono… sono…

 

Julian riprese fiato, preparandosi per dire l’ultima parola.

 

- Pucciosi.

 

“Lo meno. Io lo meno.”

 

Pensò Sorrento, sorridendo in maniera tirata. Ma lui non li aveva ancora visti arrivare, questi fantomatici cuginetti… sapeva che erano biondi, di dieci anni e che non si muovevano mai senza il fidato maggiordomo sedicenne.

Quando la nave con lo stemma dei Solo attraccò, quattro o cinque fattorini potarono via montagne su montagne di valigie bianche, finché non scese un ragazzo alto e dinoccolato, dai capelli quasi bianchi. Questi si diresse verso Julian esibendosi in un leggero inchino.

 

- Il mio nome è Maximilian.

- E sei…?

- Il maggiordomo dei signorini.

- E loro…?

- Julian, stanno scendendo proprio ora.

 

Sorrento, allora, comprese quanto terribile fosse l’arma della pucciosità.

I due bambini erano alti precisamente uguali ed entrambi erano forniti di morbidi, fluenti, lucenti e liscissimi capelli biondo miele (lunghi per la bambina e corti per il bambino), nel pacchetto standard, inoltre, erano compresi enormi occhi vere acqua e boccuccie rosate a forma di cuore, zigomi delicati, volti ovali, piccole mani lisce, gambette snelle e dentini metà da latte e metà definitivi, sempre perfetti e talmente regolari da non sembrare frutto di madre natura di un abilissimo dentista.

Avvolti, lei in fluttuanti abiti stile gothic lolita e lui in eleganti vestiti stile ouji totalmente bianchi, rilucevano splendenti alla luce del sole greco.

Julian deglutì a vuoto. Sorrento fu costretto a strizzare le palpebre per guardarli direttamente.

I due bambini allora si voltarono verso di loro, sfoderando dolcissimi sorrisi angelici.

 

- Cugino Julian!

 

Esclamarono in coro, correndo verso di lui. Julian spalancò le braccia, sorridendo felice.

 

- Cuginetti!

- CuGGino!

 

I due si lanciarono per abbracciarlo…

Errata corrige, si lanciarono per tirargli una bella ginocchiata gemella nei gioielli di famiglia.

 

- Stronzo di un cuGGino!

 

Esclamarono, sempre in coro, mentre Julian cadeva a terra agonizzante. Sorrento spalancò la bocca. Maximilian non ci fece neanche caso, troppo impegnato a dirigere i facchini.

 

- Non ci chiami mai, neanche una cartolina in tanti anni e solo ora ti decidi a cagarci?! E tutto solo perché la donna che ami si sposa e tu ti senti depresso ad andare da solo la matrimonio che è comunque fra più di tre mesi!

- No…

 

Rantolò Julian alzando lo sguardo verso di loro

 

- Per quello ho chiamato Sorrento…

- Sei davvero un figlio di buona donna, Julian….

 

Commentò Sorrento, affibbiando un serafico calcio nello stomaco di un già provato Julian.

 

- Andiamo bambini.

 

Disse, poggiando le mani sulle spalle dei due.

 

- Lasciamo quest’essere infame ai gabbiani.

 

 

Ed oltre a lui, anche….

 

 

 

- Isaac! Ti prego stammi vicino!

 

Piagnucolò Baian, agitando per aria le braccia vorticosamente e mandando la schiena in avanti e indietro in maniera innaturale.

 

- Ma insomma, Baian!

 

Sbottò Isaac avvicinandoglisi leggiadramente sui pattini.

 

- Potevi dirmelo che non sapevi pattinare!

- Te l’ho ripetuto incessantemente per circa due ore! Persino mentre mi mettevi i pattini! Te l’ho dettohhhhhhhh…!

 

Isaac si spostò giusto in tempo per prendere tra le braccia Baian che rischiava l’ennesima disastrosa caduta sulle chiappe.

 

- Lo so, lo so…

 

Disse, assumendo una posa che ricordava vagamente l’Amleto.

 

- Ma adoro vederti cadere tra le mie braccia!

- Demente.

 

Sbottò Baian, staccandosi da lui e tentando di pattinare da solo. Inutile dire che inciampò nei suoi stessi piedi e cadde sulle ginocchia.

 

- Isaac….

 

Si lagnò Baian, mentre Isaac andava da lui. Baian alzò le mani sbucciate, stesso destino era capitato alle ginocchia, disgraziatamente lasciate scoperte da un paio di pantaloncini bianchi.

 

- Questo in piscina farà male…

 

Isaac sorrise, facendolo poggiare a se e portandolo su una panchina ai bordi della pista, verso la borsa in cui aveva portato (perché era un tipo previdente, lui) il necessario per il pronto soccorso.

 

- Colpa tua che non hai voluto mettere le protezioni.

 

Lo rimproverò gentilmente, mentre lo aiutava a sedersi.

 

- Ma sono cresciuto per quella roba!

-Io invece vedo che ti sbucci come un marmocchio.

 

Isaac lo guardò sorridendo.

 

- Su, dammi la mano.

- No!

- E perché?

- Perché tu poi ci metti l’alcool che brucia!

- Stavamo mica parlando di marmocchi? Dai, dammi la mano.

 

Baian, reticente, gli prose la mano. Isaac guardò le piccole ferite e abrasioni che si era causato.

 

- Incredibile. Di trecento metri di pista senza neanche un sasso, tu hai beccato l’unico punto in cui c’era la breccia..

- Lo so, sono un concentrato di sfiga vivente.

 

Borbottò Baian, guardando altrove. Issac scosse la testa, prendendo cerotti e bende dal cassettino verde.

 

-Guarda cosa faccio, Baian.

 

Baian lo guardò incuriosito avvicinare il volto alle sue mani, poggiando le labbra sulle ferite e leccandole piano con la punta della lingua. Baian arrossì incredibilmente.

 

- Isaac! Potrebbe vederci qualcuno!

- E chi ci viene a pattinare alle otto di sera?

- Ma.. ma…!

 

Issac lo zittì con nuovo bacio sulla pelle lesa. Asciugò poi la mano con un panno pulito e vi applicò un piccolo cerotto con Hello Kitty.

 

- Ma io ti odio!

- Lo so, anch’io ti amo.

 

Il rito venne ripetuto anche con l’altra mano e poi con le ginocchia. Una volta adeguatamente curato, Baian cercò di rialzarsi, reggendo alla panchina. Non fece però in tempo ad aggrapparsi ad Isaac, che questo sfrecciò rapidamente via.

 

- Isaac! Che diavolo fai?! Vuoi che cada un’altra volta?!

 

Una volta allontanato di circa cinque metri, Isaac aprì le braccia, guardandolo.

 

- Su, vieni qui.

 

Lo invitò, muovendo leggermente le mani.

 

- Dai!

- Isaac, cadrò!

- Dai, che se non ci provi non ci riuscirai mai! E poi, come potrebbe essere più disastroso di quella volta in montagna?

- Quale? Intendi quando mi sono fatto tre chilometri di pista a quattro di spade? O quando scendendo a tutta velocità non sono riuscito a frenare e ho travolto dieci persone in fila per lo skilift?

- Umm.. io pensavo a quando ti sei incastrato alla fine della seggiovia, sei rotolato giù fino all’inizio pista, hai perso gli sci e hai continuato a scivolare fino a metà pista, mangiandoti quasi tutta la neve dello stabilimento.

- Urgh. Quello l’avevo rimosso.

- La cosa carina è stata che quando sono arrivato da te ti sei lanciato tra le mie braccia gridando “Isaac!” e piangendo. Guarda cosa deve succederti per spingerti ad abbracciarmi…

 

Isaac scosse la testa sconsolato. Isaac lo guardò, muovendo qualche passo incerto.

 

- Dai, forza! Ci sono io qua!

- E dammi un minuto!

-…..

- Che guardi?

- Minuto passato.

- Isaac!

 

Ruggì Baian, irritato. Mosse nuovamente una decina di passi. Ma se ogni passo consentiva uno spostamento di due millimetri non era mica molto utile, eh…

Alla fine, Baian riuscì a buttarsi tra le braccia di Isaac, ritrovandosi a pensare che forze anche Ulisse, una volta ritornato ad Itaca, davanti alla sua casa doveva aver provato una sensazione simile.

 

- Baian

- Uh?

- È una mia impressione o una delle ruote dei tuoi pattini se sta andando per conto suo?

 

Baian aveva visto moto perdere le ruote. Macchine, furgoni, aerei, carrelli della Tv e biciclette.

Ma non aveva mai visto la ruota di un pattino staccarsi e andare beatamente per i fatti suoi.

Scoppiò a ridere.

 

 

 

A.Corner___

 

A me Isaac e Baian piacciono tanto ç_ç ma la rete è povera di questi due..ç_ç non gli vuole BBBene ç_ç l’unica colpa di Baian è, in fondo, di essere il primo nemico e, soprattutto, di aver combattuto contro Seiya! Se avesse combattuto contro Shun o Ikki o uno qualunque dei bronzini avremmo avuto due volumi di chiacchiere, seghe mentali e flashback strappalacrime!è_é questa è DISCRIMINAZIONE ecco cos’è!è______é comunque, spero che conosciate la mistica posizione sciistica del 4 di spade ùWù altrimenti darò delucidazioni nel prossimo capitolo, perché oggi non ne ho voglia. Isaac e Baian indossano i pattini a quattro ruote da pattinaggio artistico, meravigliosi perché le ruote se ne vanno davvero per i fatti loro! Io l’ho provato ç_ç avevo massacrato i cuscinetti a sfera…ç_ç sono divertenti perché vanno molto più veloci dei rollerblade comuni =ç= è che a me non me ne frega nulla di fare salti e pose complicati, mi basta che vadano veloci…=çççççç=( della serie: se è veloce, preferisco un mulo ad un cavallo *_*) solo che penso siano abbastanza difficili da utilizzare, appunto quel questa loro velocità ù_ù poi se ti sbilanci non avanti o indietro cadi subito… il bello è che basta appena piegarsi di lato per curvare *_*

Si Pucchy, in realtà i miei neuroni ti amano, ma li costringo a mentirsi e a dire che ti odiano, perché sai, tu e i miei tre neuroni.. insomma, sareste una coppia poco convenzionale.. pensa allo scandalo..ù_ù

Aiakos “fan girl in sindrome premestruale”? *-* hai azzeccato il concetto *-*

Voggio anch’io un muffin çWç spediscimene uno!çWç



 

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Capitolo 12
*** [11] ***


[11]

Fiori, bambini, Milo e Aldebaran.

 

 

- Dottor Marakis, è permesso?

 

Milo alzò lo sguardo dal proprio numero di Topolino verso la donna che era entrata nel suo ufficio.

 

- Prego, prego, entra. Che succede?

 

Domandò, sorridendo disponibile.

 

- Bhe, c’è una signora che chiede di lei…. Vuole che la porto qui?

- Oh, certo, certo! Portala pure qui, cara…

 

“Così posso finire di leggere Topolino.”

 

Pensò mentre la donna se ne andava. Speranze vane, visto che la porta si riaprì in un nanosecondo, mentre un bambino dai capelli biondi entrava di corsa, travolgendo tutto quello che incontrava e buttandosi tra le braccia di Milo.

 

- Eh?!

 

Milo osservò attentamente il bimbo.

 

- E tu chi sei bambinetto?

- Ma cosa dici, Milo?

 

Domandò una donna, immobile sulla porta. Portava uno stretto tubino nero che fasciava le forme generose, scoprendo le gambe e le braccia chiarissime. I capelli biondi (per qualche motivo a Milo oscuro ma invidiato dall’alto dei suoi capelli a NidoDiRondineAlienaPiovutoDaMarte) ricadevano in dolci onde precisissime e perfettisime, incorniciando il volto ovale e gli occhi azzurri e scoprendo il bianco collo di cigno.

 

- Marie Claire!

 

Esclamò Milo, estasiato.

 

- Da quanto tempo non ci vedevamo! E quindi tu sei..

 

Abbassò lo sguardo verso il bambino. Aveva i capelli biondi a sua volta, solo abbastanza ribelli da farlo somigliare ad un Super Sayan con gli occhi blu.

 

- Phimie, anzi, Seraphine?

 

Il piccolino tolse la faccia dal suo stomaco e sorrise allegro. Circa otto anni prima, Milo aveva fatto da padrino al suo battesimo, ma poi non l’aveva più rivisto. C’è da dire che lui e Marie Claire erano vecchi amici (la bionda faceva parte della simpatica comitiva di Camus –un gruppo di snob musoni con la puzza sotto il naso -cof cof- ed era quella che probabilmente aveva dato più grane a Camus che sentiva in dovere d’impedirle di finire la vita prematuramente o altre cose così.). Marie Claire si avvicinò alla sedia, accomodandosi. Prese la mano abbronzata di Milo tra le sue e lo guardò con quegli occhi.

Quegli occhi erano superiori agli Sguardi Pucci di Aiolos, alle occhiate truci di Angelo o allo sguardo languido di Aphrodite. Erano gli occhi che dicevano “io ho bisogno di un favore e tu me lo accorderai.”. Erano anche gli occhi che aveva fatto a Camus per convincerlo a mettersi con lui…- cof cof-

 

- Milo, sono qui per chiederti un favore…

- Dimmi, Mariuccia.

- Bhe, ultimamente mi ero sistemata bene…

 

Mi ero trovata un uomo vecchio e ricco che mi manteneva.”

(traduzione di Milo)

 

- Ma purtroppo ho avuto dei problemi…

 

Il vecchio mi ha sgamato l’amante.”

(è sempre Milo che traduce)

 

- Che stò risolvendo..

 

Ho pagato i migliori avvocati della Grecia per spennargli più soldi possibili nella causa di divorzio

 

- Ma ho bisogno di qualcuno che tenga Phimie.

 

Purtroppo sono riuscita a farmi odiare da metà delle persone che mi conoscevano e mi sei rimasto solo tu.”

 

- Ma tempo una settimana tutto si sistemerà.

 

Quando l’avrò lasciato in mutande fuggirò col mio amante in una qualche località marittima alla moda e invecchierò vivendo di rendita

 

- Non ti preoccupare, Mariuccia, ci pensiamo io e Camus, d’accordo?

 

Assicurò sorridendo. Marie Claire sembrò decisamente sollevata.

 

- Allora vado a prendere le valigie di Phimie!

- Ah, certo, le valigie di Phimie.. come le valigie di Phimie?!

 

Il povero Milo aveva pensato di avere almeno un giorno o due per convincere Camus…

 

 

 

 

 

 

 

- Dottor Aldebaran!

 

Al si voltò verso un volto sorridentissimo. Una ragazza vestita di bianco era immobile in mezzo a vari tipi di fiori, sotto un cartello che recitava “Nuova Luxor”, il negozio dove la ragazza lavorava come fioraia.

 

 - Da quanto tempo che non ci vedevamo dottore!

 

Esclamò, sollevandosi per dargli un bacio sulla guancia…

E non arrivandoci.

 

- Santo cielo, Dottore, è una mia impressione o è cresciuto? Beato lei che è così alto!

 

Al scoppiò in una risata tonante.

 

- Dai, Yuri, anche tu crescerai fino a diventare alta quanto me!

 

Yuri rise in maniera più aggraziata, coprendosi la bocca con una mano.

 

- Certo, Dottore… siete voi uomini che crescete fino a millemila anni, io donna, sviluppata, crescerò di un centimetro o due.. se non mi rimpicciolisco!

 

Al ristoppiò a ridere.

 

- Comunque, fammi vedere cosa stai facendo, dai.

 

Al si chinò fino all’altezza del tavolo della ragazza, osservando il cestino in cui questa stava riponendo i fiori. La composizione era sui toni pastello molto graziosa a vedersi e dal profumo delicato.

 

- È molto bella questa composizione.

 

Disse sorridendo. Yuri sorrise a sua volta, arrossendo un poco.

Silenzio.

Al guardò a destra e a sinistra, prima di tirare fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni un portafoglio in pelle marrone.

 

- Bhe, allora la comprerei…

- Eh?!

- È in vendita, no?

- Oh! Sì, certo! Sono sedici euro!

 

Yuri cominciò a far cadere le monetine del resto e a fare un gran macello. Ma in qualche modo riuscì a restituire i quattro euro ad Al e a dargli lo scontrino.

 

- Allora, arrivederci dottore!

- Sì. Ripasserò preso Yuri!

 

Al sorrise salutandola e si avviò per la via fischiettando.

 

- Assurdo.

 

Ad Al prese un colpo.

 

- M-M-M-M-M-Mikail! Che cosa ci fai qui?!

- Oh, sono un cliente abituale di quel neozio. Hanno ottimi rimedi per i parassiti.

 

Disse Mikail, smuovendo dolcemente i propri capelli biondo miele con una mano.

 

- Comunque trovo assurdo che tu non ti sia dichiarato ad una ragazza che ti piace così palesemente!

- Eh?!

- Al, santo Cielo, anche un cieco se ne sarebbe accorto!

- Ma-Ma-Ma-Ma- io……!

- Ma io che?

- Niente…

 

Al mise il broncio, cominciando a giocherellare con un fiore viola chiaro.

 

- Però sono contento di sapere che ti piace una ragazza così dolce. Sarai un marito e un padre splendido.

 

Al lo guardò speranzoso.

 

- Davvero?

- Ovvio.

 

Mikail tentò invano di battergli una pacca sulla spalla. Senza perdere la propria eleganza, glie la batté con nonchalanche sul gomito.

 

 

 

 

- Dai, Camus non è una tragedia!

 

Milo aveva chiamato Camus nel suo ufficio appena Marie Claire se n’era andata.

 

- Mariuccia mi ha chiesto un favore… neanche tu gli avresti detto di no!

- Probabilmente non le avrei detto di no, ma almeno ci avrei pensato! Come faremo un bambino in casa?

 

Camus si portò le dita alle tempie, massaggiandosele, mentre Milo proponeva vari sistemi per tenere il bimbo in casa senza lasciarlo solo 22 ore su 24.

 

- E poi…

 

Disse Milo, guardandolo.

 

- Non sarà poi così difficile tenere un bambino! Ti ricordi com’era con Teo?

- Teo non era un bambino Milo, era un palloncino a forma di unicorno alato rosa shock.

- Ma era nostro figlio!

- Che è volato via. Tutta la Grecia si ricorda l’idiota che corse per quasi venti chilometri gridando “Teooo! Torna qui figlio degenere!”.

- Camus, avevi giurato che non me l’avresti rinfacciato!

- Ops.

 

 

A.Corner_____________

 

Al è tornato!*O* da quanto tempo! Quasi quasi mi mancava!XD ora devo far tornare dall’oblio Dokho e Sion e poi più o meno siamo a posto xD

Sob, però è brutto questo capitolo  ç______________ç

Molto sob ç___ç

Pluri sob ç_______ç

Sembra tirato via ç_ç

Non uccidetemi, vi prego ç_ç


l'episodio di Teo è liberamente ispirato ad una scena di vita reale ù_____________ù

 

Yuri è il nome sotto lo © della Pucchy ma non mi veniva in mente di meglio §Wù

Ah, una nota per la Pucchy: la _Pain_ dell'Another Dimension sono io XDXDXD è un secolo che mi riprometto di dirtelo ma me lo dimentico ogni volta ò.o

 

Capitolo Extra ( L’ennesimo)

 

La Moka.

Milo&Camus + Phimie

 

Phimie dormiva beatamente nella camera degli ospiti e Milo se ne stava beatamente seduto in salotto a leggere una rivista e mangiucchiare biscotti, quando Camus entrò in cucina.

Con la stessa rapidità con cui era entrato, ne uscì, per poi dirigersi verso di lui. Milo lo vide prendere un gran respiro e poi dire queste semplici tre parole: - Milo, amore mio.

Ebbene, Milo si sentì incredibilmente spaventato, tanto che si riflesso chiuse la rivista e se la pose in grembo.

Perché, ormai aveva capito bene, ogni discussione che inizia con “Milo, amore mio” con la paura dopo “Milo” e il silenzio impenetrabile dopo “mio” voleva dire solo una cosa: guai.

 

- Si, Camus…?

- Posso chiederti una cosa?

- Certo, tutto quello che vuoi.

- Come funziona una moka?

 

Milo si sentì profondamente offeso. Non sapere come funzionava una moka! Non era certamente così idiota!

 

- Metti l’acqua nel pezzo sotto, il caffè in quello intermedio, chiudi col pezzo sopra e poi metti tutto sul fuoco.

- Bene, ora ripeti la seconda parte.

- Metti il caffè in quello intermedio.

- Ancora.

- Metti il caffè in quello intermedio.

- Ancora.

- Metti il caffè in quello intermedio.

- Ancora.

- Camus, non capisco che significa tutto questo!

- Voglio sapere che sei convinto che nella moka vada messo il caffè.

- Certo che ne sono convinto!

- Allora perché nella nostra cucina c’è una moka esplosa Milo? Non ricordo che il caffè abbia di questi effetti.

 

Milo rimase in silenzio. Calcolò di non avere possibilità di fuga. Occhieggiò la porta-finestra aperta sul davanzale, ma erano all’ottavo piano ed uno volo di quel tipo poteva essergli fatale (togliendo il “poteva”, gli sarebbe stato sicuramente fatale), tornò quindi a guardare Camus.

 

- Bhe, io e Phimie stavamo giocando…

- A cosa…?

- Al Piccolo….

- Piccolo?

- Bombarolo.

- Milo.

- Sì?

- Hai tre secondi di vantaggio. Fossi in te li sfrutterei.

 

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