Choises

di ChiiCat92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Angelo dalle ali nere ***
Capitolo 2: *** Il Demone gentile ***
Capitolo 3: *** Il Giudice Supremo ***
Capitolo 4: *** La Fine ***



Capitolo 1
*** L'Angelo dalle ali nere ***


- Choises -

 

- 1 -

 

Tutte le persone al mondo ogni giorno della loro vita sono chiamate a fare delle scelte. Che si tratti di piccole, insignificanti decisioni come mettere o meno lo zucchero nel caffè la mattina, o di decisioni che possono cambiare le loro esistenze, prima o poi decidono.

Quelle scelte, giuste o sbagliate che siano, forgiano il futuro di chi le ha prese.

La specie umana è inevitabilmente il frutto delle sue scelte.

 

*

 

Pioveva, pioveva quella sera, pioveva che Dio la mandava, perché solo una forza superiore sarebbe in grado di generare una tale quantità d'acqua tutta in una volta, e concentrata su un unico, piccolo individuo.

Tremante di freddo, lo sguardo truce di chi vorrebbe uccidere qualcuno ma non ha fisicamente nessuno a portata di mano, senza giacca perché lasciata sul treno quella mattina, senza ombrello perché rubato a scuola, senza mezzo di trasporto a causa dello sciopero improvviso e dell'impossibilità dei suoi di venirlo a prendere, Roxas cercava riparo dall'acquazzone sotto la tenda bucherellata di un bar chiuso.

Perché tutte a me.” gli capitava di pensare di quando in quando, più o meno nei momenti in cui l'acqua trovava il modo di filtrare nel tessuto della tenda e gli gocciolava tra i capelli già zuppi.

Perché tutte a me?”

Roxas essenzialmente era un bravo ragazzo.

Non dava troppi problemi ai suoi genitori, aveva dei voti nella media a scuola con qualche picco verso e l'alto e verso il basso, come la maggior parte degli studenti, tornava a casa puntuale, nei limiti del possibile, mangiava le verdure, che non era quasi sempre un punto a suo sfavore.

Alle volte sapeva essere insostenibile, con quel suo fare altezzoso e il suo apparente disinteresse per qualsiasi cosa. Forse era troppo silenzioso.

Certo, aveva fatto delle scelte sbagliate, come quando aveva scelto di tenere della droga per alcuni ragazzi, sperando di poterseli fare amici; quando aveva scelto di tirare il freno di emergenza del treno solo per farsi due risate in compagnia; quando aveva scelto di ubriacarsi ed era finito a letto con la sua migliore amica che da allora aveva smesso di parlargli; o quando aveva taccheggiato un negozio solo perché non aveva i soldi per comprare un cappello che tanto desiderava.

In ogni caso, niente di tutto ciò avrebbe potuto far pensare a qualcuno che si meritasse tutta quella sfortuna.

Eppure, da un po' di tempo a quella parte qualsiasi decisione prendesse risultava essere sbagliata.

Per carità, si rendeva conto di aver fatto molte sciocchezze e di non essere irreprensibile, ma semplicemente non pensava di essere il peggiore tra i peggiori.

Il Karma lo stava punendo, e non ci andava leggero.

Mentre se ne stava lì, tutto tremante per via del freddo e dell'acqua che gli impregnava i vestiti, un'auto passò correndo di fronte a lui. Ovviamente c'era una pozzanghera. Ovviamente era a portata di schizzo. Ovviamente si ritrovò tutto zuppo senza riuscire neanche a prendersela: quasi se lo aspettava.

Sputacchiò e tossì, maledicendo l'autista screanzato che gli aveva fatto la doccia; ma a quello non importava del Karma, della sua sfortuna, di quello che gli sarebbe successo per aver infradiciato così un ragazzo.

No.

Importava solo a lui che c'era dentro.

Con lo sguardo ancor più torvo di prima incrociò le braccia al petto alla ricerca di un po' di calore.

Se non si era ancora mosso da lì c'era una spiegazione, e non dipendeva dal fatto che stava diluviando e che non aveva l'ombrello (tanto era comunque zuppo fino al midollo).

C'erano due strade per tornare a casa. La prima, più grande e luminosa, faceva il giro di tutto l'isolato, ed era la più lunga. Nel lasso di tempo che avrebbe impiegato per percorrerla chissà quante altre sfortune potevano capitargli.

La seconda era la più stretta e buia, tagliava l'isolato perfettamente a metà, ed era giustamente la più corta. Ma Roxas era quasi sicuro che gli sarebbe toccata la sorte peggiore prendendo quella strada. Insomma, un vicolo buio, di sera, durante un temporale, lui era solo e baciato dalla sfortuna. I suoi pronostici oscillavano tra la rapina e l'aggressione, e nessuna delle due lo allettava in particolar modo.

Era questo a bloccarlo: l'impossibilità di prendere una decisione.

Di solito si sarebbe affidato a quella vocina interiore che di tanto in tanto gli sussurrava la cosa giusta da fare e che lui associava alla sua coscienza o al suo istinto, in base all'occasione.

Anche quella, però, sembrava essergli stata portata via e troppo spesso si trovava in balia di scelte che non riusciva a prendere.

Proprio come in quel momento.

Roxas spostò il peso del corpo da una gamba stanca all'altra, gli occhi blu ceruleo che saettavano di qua e di là, ora su una strada ora sull'altra.

Avrebbe potuto rimanere lì tutta la notte a valutare i pro e i contro della sua scelta, senza riuscire comunque a scegliere.

Affidarsi al caso e alla fortuna non gli sembrava intelligente. L'unica arma di cui disponeva era la ragione.

Ripeté ancora una volta nella sua mente entrambi i percorsi da seguire, come farebbe uno stratega in battaglia, e dopo lunghi, estenuanti minuti di riflessione optò per la strada più lunga.

Con la sua sfortuna avrebbero potuto aggredirlo anche lì, alla luce, però sulla via si affacciavano molti più edifici, case, negozi, café, il che significava una più alta probabilità di riuscire a ricevere aiuto nel momento del bisogno.

Respirò profondamente. Aveva preso una decisione, e sperò con tutto il cuore che non fosse l'ennesima scelta sbagliata.

Non avendo niente con cui ripararsi dall'acqua, prese a correre passando da un balcone all'altro, e dove non ce n'erano aumentava l'andatura.

Cominciava a pensare che con tutta quella pioggia si sarebbe sbiadito e avrebbe perso tutti i suoi colori. Già i biondi capelli gli sembravano spenti e tristi quando vedeva il suo riflesso nelle vetrine.

La città era silenziosa, assonnata e, a parte qualche pirata della strada che puntualmente riusciva a bagnarlo passando a tutta velocità in una pozzanghera, non sembrava esserci nessuno in giro.

Ma certo, chi sarebbe stato così stupido da uscire con quel brutto tempo?

Ormai tutti dovevano essere al calduccio nelle loro case, sotto le coperte con una bella tazza di té fumante tra le mani.

Roxas si augurò che anche eventuali malintenzionati la pensassero allo stesso modo e che fossero tutti lontani dalla sua traiettoria.

Il freddo era pungente e non dipendeva solo dall'acqua che ormai gli filtrava nelle ossa con un lento stillicidio. Non sentiva più le mani, anche se le teneva sotto le ascelle.

Sentiva già un brutto raffreddore aggredirgli i polmoni e si chiese quanto tempo ci avrebbe messo la febbre per costringerlo a letto.

Almeno quella era una fortuna nella sfortuna: qualche giorno accoccolato tra le coperte gli avrebbe anche fatto comodo.

In ogni caso, il Karma avrebbe trovato altre strade per punirlo se avesse voluto.

Starnutì e tirò su col naso. Non aveva mai sentito così freddo in vita sua.

La strada si vedeva appena attraverso la tenda spessa dell'acqua che continuava a cadere senza sosta. Per piovere così ininterrottamente qualcuno doveva proprio essere arrabbiato ai piani superiori.

Roxas non era un tipo religioso, aveva scelto di credere solo a ciò che poteva vedere, e non vedeva nessun intervento divino in quello che gli capitava ogni giorno, anzi!

Se mai un Dio fosse esistito non doveva stargli molto simpatico, quindi perché fingere che per lui lo era?

Forse fu quel pensiero a distrarlo dalla strada e a fargli prendere in pieno una mattonella rotta.

In corsa, non poté fermarsi, e il piede incastrato lo strattonò malamente all'indietro, facendolo ruzzolare per un paio di metri.

Il dolore si accese alla caviglia, così forte che per un attimo credette di essersela rotta.

Ringhiando tra i denti, si tirò indietro, sotto una pensilina dell'autobus, per valutare i danni all'asciutto...o in un posto meno bagnato.

Già a prima vista si poteva vedere il gonfiore crescente.

Ottimo!” gli riuscì di pensare quando il dolore fu abbastanza tenue da ridargli le facoltà cognitive.

Si massaggiò l'articolazione dolorante cercando di non sobbalzare e tremare per il dolore.

Forse non era rotta, ma era una bella distorsione.

E per arrivare a casa c'era ancora un po' di strada.

Di imprecare non aveva più la forza né la voglia. Poggiò la testa contro il palo gelido della pensilina e si chiese cosa sarebbe successo se fosse semplicemente rimasto lì, senza muoversi.

Forse i suoi tornando a casa si sarebbero resi conto della sua assenza e avrebbero provato a chiamarlo. Non era proprio sicuro della fine che aveva fatto il suo cellulare, disperso da qualche parte nelle tasche zuppe dei pantaloni. Con ogni probabilità era ormai fuori uso e i suoi non sarebbero riusciti a contattarlo.

E poi?

Mentre i suoi pensieri tendevano verso le peggiori ipotesi e si malediceva per non aver preso la strada breve, un rumore come un fruscio lo fece sobbalzare.

Per un attimo credette di aver sentito male, d'altronde con lo scroscio incessante dell'acqua qualsiasi suono veniva attutito o distorto.

Aguzzò lo sguardo, gli occhi resi grandi da una scarica improvvisa di adrenalina, ma attraverso il tessuto spesso della pioggia non si intravedeva niente che non fosse solo un'ombra tremolante e indistinta.

Si tirò su lentamente, cercando di caricare il peso del corpo sulla caviglia sana, mentre l'altra gli mandava una saetta di dolore che gli strappò un gemito.

Forse aveva sentito male.

Ci stava anche credendo e si stava tranquillizzando...quando quel rumore si ripresentò, più forte di prima, accompagnato da un basso lamento.

Dire che gli schizzò il cuore in gola sarebbe un eufemismo, dato che per poco non dovette sputarlo per la violenza con cui aveva cominciato a battergli in gola.

Le iridi cerulee percorsero ancora una volta la strada, fin dove era possibile vedere senza essere ingannati dalle distorsioni create dall'acqua.

Non c'era niente, non doveva esserci niente.

E non poteva neanche scappare con la caviglia ridotta in quel modo. Al massimo avrebbe potuto zoppicare via nella speranza che la persona dalla quale provenisse il lamento fosse ridotta peggio di lui.

Pensaci Roxas” si disse, per tranquillizzarsi, visto che la sua coscienza era sparita o non voleva dargli più nessuno consiglio “Se fosse una persona ferita? Se avesse bisogno di aiuto? Potresti aiutarla!”

Ma dato che non aveva avuto molta fortuna con le opere caritatevoli, si diede subito dell'idiota e riservò un metaforico manrovescio al suo cervello: non prendere iniziative, stupido!

Respirò a fondo, ancora una volta, e provò a muovere un passo. Il dolore esplose subito, enorme e sconvolgente. La caviglia gli faceva troppo male!

Intanto, quel suono lamentoso raggiunse ancora una volta le sue orecchie. Ora era più che certo che si trattava di qualcuno perché, attraverso l'acqua scrosciante, poteva intravedere un corpo accasciato a terra, nero ed enorme. Doveva appartenere a qualcuno di veramente gigantesco.

Continuava in modo incessante, la persona o la cosa nella pioggia, a lamentarsi. Anche se, per quanto ne sapeva Roxas, potevano anche essere parole che semplicemente a causa dello scroscio dell'acquazzone non riusciva a capire.

L'unica cosa certa, e la constatò con orrore, era che quel lamento sembrava di colpo essersi fatto più vicino.

Sentì il cuore semplicemente esplodere in petto e una goccia di sudore freddo scese lungo la schiena. O si trattava di gocce di poggia? Non avrebbe saputo dirlo, tanto era bagnato e terrorizzato.

Quando un lampo illuminò la strada a giorno, Roxas si rese conto dell'entità della sua sfortuna.

Evidentemente alla fine ce l'aveva fatta: la sua sfiga aveva attirato una creatura ultraterrena!

Fantasmi, alieni, chupacabra: da quando era così sfortunato si aspettava quasi tutti i giorni di incontrare almeno una di quelle creature, e quel momento era infine giunto!

Quella che vide, illuminata fugacemente da quel lampo, era una creatura alata, accovacciata sull'asfalto, le spalle nude su cui come vivi si dibattevano, animati dallo scrosciare della pioggia, lunghi capelli rosso fuoco.

Il volto scarno si alzò su di lui che si ritrovò a fissare grandi occhi verde brillante, così chiari da sembrare pezzi di vetro trasparente, circondati da aloni colanti di trucco nero pece.

Sulle guance, appena sotto quegli occhi quasi spiritati, aveva due segnetti anch'essi neri, simili a lacrime, impressi a fuoco nella carne.

Se solo quella vista fosse bastata di per sé a terrorizzarlo, la creatura non avrebbe avuto bisogno delle gigantesche ali da corvo che le spuntavano direttamente dalle scapole.

Roxas, con quel poco di biologia che sapeva, intuì con l'istinto che quelle ali non erano frutto di un trucco cinematografico: erano talmente saldate alla schiena dell'essere e fuse con la sua pelle nuda e leggermente accapponata per il freddo che anche non volendoci credere ci avrebbe creduto comunque.

La pelle era così diafana e candida, almeno a contrasto con le penne da corvo delle ali, che sembrava altrettanto fragile e se Roxas non fosse stato troppo impietrito per scorgere i dettagli, forse si sarebbe accorto che sottopelle si intravedeva il sottile quanto intrigato reticolo di vene, nel collo e nei polsi.

Quello che vide in quel flash, in ogni caso, gli bastò per capire che sarebbe stato meglio avere un'arma con cui difendersi, o un posto in cui scappare. E non non aveva nessuno dei due.

Il lampo si spense così come si era acceso e, piombato nel buio, Roxas desiderò ardentemente trovarsi da qualche altra parte.

Come in una macabra partita a “un, due, tre, stella”, quando un altro lampo squarciò il cielo e la strada tornò illuminata, il ragazzo vide che la creatura era un po' più vicina.

Si trascinava con braccia stanche, le mani dalle lunghe e sottili dite tese verso di lui, così spaventato da non sentire il rombo del tuono che era seguito al lampo.

Scappa, corri!” gli urlò la ragione, o forse solo l'istinto di sopravvivenza.

E fu proprio quello che fece, anche se la caviglia gli faceva male da impazzire.

Se la diede a gambe, supportato dall'adrenalina, zoppicando quando il dolore era troppo forte per consentirgli di sostenere un'andatura normale.

Lui aveva preso la strada lunga perché sarebbe dovuta essere quella più sicura!

E invece aveva avuto un incontro ravvicinato del terzo tipo con...con...con cosa?

Un uomo-uccello? Una chimera? Un'arpia? Che razza di creatura era quella?

Il cuore gli martellava in petto e si sentiva quasi ubriaco di adrenalina.

Si voltò giusto un attimo indietro per capire se la creatura lo stesse inseguendo o meno, ma a parte un mantello d'acqua non scorse nulla.

Casa sua era proprio lì di fronte!

Cominciò a sentire addosso una patina di sollievo che cresceva, avvolgendolo, ad ogni passo che faceva.

Quasi buttò giù la porta quando le arrivò davanti: tanta fu la foga con cui piombò sulla maniglia, infilando furiosamente le chiavi che intanto aveva recuperato dalla tasca della giacca.

Il silenzio confortante e il caldo asciutto del piccolo appartamento ebbero il potere di farlo sentire meglio.

Che era successo? Niente, aveva avuto di certo un'allucinazione dovuta alla stanchezza.

Sembrava tutto passato e anche il suo battito cardiaco era decelerato sensibilmente.

Tolse subito le scarpe fradice di pioggia e le lasciò all'ingresso insieme alla giacca.

Mentre percorreva il corridoio sfilò anche i calzini bagnati.

I suoi non erano in casa, sarebbero tornati di lì a qualche giorno. Aveva l'appartamento virtualmente tutto per sé ancora per un po'.

Ora che non doveva più scappare per salvarsi la pelle (ammesso che fosse mai stato in pericolo), si rese conto di quanto gli facesse male la caviglia.

Si tuffò a letto con una smorfia e si guardò la povera, gonfia articolazione.

Era senza dubbio una bella slogatura, gli avrebbe fatto male per giorni, ma poco importava ora che era a casa, no?

Forse per la stanchezza, forse per la scarica di adrenalina che l'aveva lasciato stremato, presto cominciò ad assopirsi.

Era stanco, infreddolito e con una caviglia offesa: chi poteva negargli il riposo?

Mentre si addormentava, i capelli bagnati inzupparono il cuscino, ma lui non se ne curò affatto.

 

A svegliarlo nel bel mezzo della notte non fu tanto il fatto che si sentiva tutto acciaccato e infreddolito a causa dei vestiti bagnati che gli si erano asciugati addosso, né l'ennesimo lampo seguito dal tuono che aveva attraversato il cielo tagliandolo in due.

No, a svegliarlo era stata la chiara, precisa e intensa sensazione di essere toccato da mani gelide.

Quello l'aveva fatto quasi sobbalzare e sbarrare gli occhi nel buio della sua stanza.

Convinto che fosse stato solo un brutto sogno, si volse su un fianco, cercando nuovamente di recuperare il sonno. Ma quel movimento non scoraggiò il personaggio del suo mondo onirico, che tornò a toccarlo facendolo rabbrividire.

Forse doveva solo aprire un attimo gli occhi, dissipare il sogno, e tornarsene a dormire.

Così fece, anche se con molto sforzo.

Aprì gli occhi, aspettandosi di sentir sfumare quella sensazione.

Ma Roxas era sfortunato.

La sensazione, invece di sparire, si intensificò e trovò la sua fonte in due mani dalla carnagione candida, bianca più del latte, che gli massaggiavano piano la caviglia slogata.

Il tocco di quelle mani faceva sparire dolore e gonfiore e Roxas si sentiva, paradossalmente, sempre meglio.

Però, quando i suoi occhi blu caddero sulla persona a cui appartenevano quelle mani, per poco non gli venne un infarto.

I capelli rossi erano asciutti e tirati su in una piega assurda che contrastava la forza di gravità; gli dava le sembianze di un istrice.

Dargli, proprio dargli, perché ora che lo aveva vicino, Roxas si rese conto che aveva spigolosi lineamenti maschili sotto quella pelle color della neve, così com'era maschile il petto nudo.

Era la creatura alata!

A conferma di questo, quando dalle proprie labbra sfuggì un urlo di terrore, l'essere si tirò indietro in un frullio di piume e penne nere che gli scompigliarono i capelli biondi.

Roxas si sentì spacciato e si accucciò in un angolo del letto usando il cuscino come protezione (che genio, un cuscino come arma! Allora sì che sarebbe sopravvissuto!) mentre l'essere si pigiava contro la parete dalla parte opposta della stanza.

Il ragazzo si accorse di non riuscire a smettere di fissarlo, ma sentiva anche che la caviglia, schiacciata sotto il peso del corpo visto che ci si era praticamente seduto sopra, non gli faceva più alcun male.

- Puoi vedermi? -

Mormorò l'essere, aggrottando le sopracciglia dritte e rosse tanto quanto lo erano i capelli.

- Vuoi uccidermi? -

Fu la domanda che invece gli porse, spontaneamente e con un'irreale dose di tranquillità, Roxas, ancora immobile nell'angolo del letto.

- Ovvio che no. - rispose la creatura, accigliandosi come se l'avesse appena insultato, e in maniera piuttosto pesante anche - Ti ho curato la caviglia, mi sembra. -

Come se l'effrazione non fosse di per sé un reato grave, un po' come lo stalking dato che non solo lo stava guardando dormire ma lo stava anche toccando.

Eh, d'altronde gli aveva curato la caviglia, questo lo sollevava immediatamente dalle accuse di tentato omicidio.

Roxas stava per porgergli un'altra domanda, probabilmente legata al paio di ali nere che la creatura aveva sulla schiena, quando lui, muovendosi anche abbastanza velocemente, schizzò sul letto e gli fu ad un palmo di distanza prima che lui potesse rendersene conto.

I suoi occhi spaventosamente verdi, più verdi di qualsiasi altra cosa avesse mai visto in vita sua, si puntarono proprio su di lui, scrutandolo con intensità.

- Puoi vedermi quindi! -

Pazzo psicopatico, certo che posso vederti!” si ritrovò a pensare il ragazzo, ma era obbiettivamente troppo preso a fissare le sue ali.

Solo in quel momento si accorse che una era piegata in modo innaturale e che del sangue fresco inzaccherava le piume nere altrimenti lucide come inchiostro appena steso.

- Sei ferito. -

Gli uscì dalle labbra, quasi in maniera inconscia, come se non avesse in camera sua una creatura alata infilatasi lì nottetempo che gli aveva guarito la caviglia slogata solo con il tocco della sua mano.

- Non è niente. -

Rispose in fretta l'essere, tirandosi appena indietro, cosa che però non impedì a Roxas di scorgere la sua espressione sofferente.

- A me sembra che sia rotta. -

Costatò il ragazzo con una certa freddezza.

Magari era ancora addormentato e quello era un sogno, perché mai quindi insistere e dare di matto quando aveva la calda, sconfortante sensazione che la creatura non se ne sarebbe andata finché non avesse voluto da lui quello per cui era venuta?

- Ho detto che non è niente. -

Un pizzico di rabbia si dipinse sul bel volto dell'essere e Roxas aggrottò le sopracciglia.

Aveva fatto arrabbiare quella sottospecie di mostro o era solo troppo orgoglioso per ammettere di aver bisogno di cure mediche? O veterinarie?

Il cervello del ragazzo cominciava ad andare in tilt.

- Okay, scusa. -

Era come mettere le mani avanti in un misero tentativo di non essere aggredito. Anche se, se davvero quella creatura era venuta per fargli del male, se la stava davvero prendendo comoda.

Voleva farlo rosolare nel terrore?

Lui scrollò le spalle come a dire che aveva appena dimenticato tutto l'accaduto. Che sollievo.

- Ti fa ancora male la caviglia? -

Perché prendersi la briga di accertarsene! Tanto tra poco l'avrebbe mangiato, o peggio! Forse gli piaceva che le proprie vittime fossero nel pieno delle loro forze prima di cominciare il banchetto.

- No, è completamente guarita, grazie. -

L'irrazionale modo che aveva Roxas di rispondere con cortesia all'essere era qualcosa che non riusciva a controllare, come quando si strizzano gli occhi durante uno starnuto: un riflesso incondizionato e inconscio che quasi lo snervava.

La creatura fece un piccolo sorriso, con quelle belle labbra color pesca, che rivelò appena una fila di denti bianchi, dritti e perfetti che nascondeva in bocca.

- Mi chiamo Axel. -

Chi te l'ha chiesto?” brontolò il cervello di Roxas, che però non tardò a rispondere allo stesso modo.

- Io sono Roxas. -

- Oh, lo so. -

Un altro sorriso, stavolta carico di parole non dette di cui il ragazzo per un attimo ebbe paura.

Che cosa gli stava nascondendo?

Certo il cuscino non era granché come scudo, per questo aveva afferrato, durante quel breve scambio di battute, il libro che stava leggendo dal comodino: 700 pagine di dolore, nel qual caso si fosse abbattuto sulla sua testa. Anche quello non era il massimo, ma molto meglio del gentile ripieno piumato del cuscino.

- Senti, io non so se sto ancora sognando o se tu sei reale. - il coraggio datogli dalla nuova arma gli diede anche la forza di cominciare a parlare. Eccolo il ragazzo spaventato che si era trovato in camera un uomo-uccello che si chiamava Axel e che gli aveva guarito la caviglia. - Né so come tu sia entrato in casa mia. Ma credo che la mia dose di pazienza e lucidità sia giunta al termine, quindi o mi dici che cosa sei e cosa sei venuto a fare qui, oppure te ne vai all'istante. -

Il luccichio divertito negli occhi di Axel fece capire a Roxas che, con tutta la buona volontà e con tutte le armi del mondo, probabilmente non sarebbe riuscito a scacciarlo: finché lui voleva stare lì sarebbe rimasto lì.

Il pensiero non fece altro che farlo rabbrividire e per un momento la paura fu sovrastata dall'impotenza.

- Certo, mi sembra legittimo. - annuì il rosso, con la cascata di capelli rossi che aveva in testa che brillava quasi di luce propria. O era un cerchio dorato appena sopra la chioma che li faceva rifulgere? No, i suoi occhi si stavano ingannando. - Io sono il tuo Angelo Custode. -

In un primo momento, Roxas fu anche felice di avere da lui quella spiegazione, con tutto che si trattava di qualcosa di improbabile, impossibile, e suonava tanto di presa in giro. Dopo di che si accigliò con un'espressione arrabbiata: ma che razza di Angelo Custode gli avevano dato? A guardarlo sembrava più un Demone, seppur bellissimo, che un Angelo! Con quelle grottesche ed enormi ali nere, poi!

- Mi stai prendendo in giro. -

Esordì, calmo, anche se un vago tremolio nella sua voce poteva sentirsi a miglia di distanza.

Non sapeva bene per cosa si sentisse preso in giro, se per il fatto che fosse un Angelo Custode o che fosse il suo Angelo Custode.

- No no, sono serio. - cose che fece credere a Roxas che lo stava davvero prendendo in giro - Sono il tuo Angelo Custode. -

- Gran bell'Angelo che sei, allora! - a quel punto, che cosa aveva da perdere? Se poteva prendersela con qualcuno per tutte le cose brutte che gli capitavano giornalmente, perché non sfogare la sua rabbia proprio con la persona, o entità, che aveva il compito di proteggerlo e custodirlo? - Non sai fare il tuo lavoro o cosa? Lo sai quante me ne sono capitate? Lo sai?! -

Gli puntò un dito contro, scordandosi completamente con chi stava parlando, quanto fosse assurda la situazione, e lasciando il libro da una parte: tanto non gli sarebbe servito comunque.

Axel sembrò incassare la testa tra le spalle e prendere quella ramanzina molto sul serio, come se qualcuno gli avesse già detto e ridetto quelle parole, ma che sentirle dire da lui gli facesse per la prima volta, davvero male.

Il ragazzo non si sentì in colpa, almeno finché il rosso non parlò, con la voce rotta da una commozione che non aveva nome.

- Scusami. Ci ho provato ad essere un buon Angelo Custode, ma è davvero difficile. Ogni volta prendevi la decisione sbagliata, e io non potevo fare niente per impedire che ti succedessero tutte quelle brutte cose, sono stato pessimo, è vero. -

Lacrime d'oro, d'un tratto, presero a scendere sul bel viso del presunto Angelo. Non appena le vide, Roxas sentì una morsa stringergli il petto con tanta forza che quasi gli si mozzò il fiato in gola.

- Ehi! - saltò giù dal letto senza neanche pensarci, corse da lui e gli si inginocchiò il più vicino possibile, quanto il suo istinto di sopravvivenza gli concesse di fare - Sei grande e grosso, non ha senso mettersi a piangere così, non credi? -

Ma mentre le lacrime gli rigavano il volto, Roxas lo vide rimpicciolire, no, anzi no, non “rimpicciolire” ma “ringiovanire”.

Dopo pochi minuti, il ragazzo che aveva dimostrato almeno tra i venti e i venticinque anni, ne mostrava come minimo dieci in meno.

Roxas avrebbe voluto tirarsi indietro per lo sgomento, ma qualcosa gli impose di rimanere lì, a fissare quello che ormai era diventato un bambino di dieci, undici anni.

- Oh, dannazione. - mormorò l'Angelo, asciugandosi con il dorso della mano le lacrime dorate. Quando i suoi occhi verdi incrociarono quelli di Roxas cercò di rivolgergli un debole sorriso. - Ho perso molte energie curandoti, e il mondo umano non è il massimo per la mia salute. Ma starò meglio domani, non preoccuparti. - anche la sua voce era giovane, più acuta e soave di poco prima, e Roxas si chiese se dovesse preoccuparsi per lui o per se stesso: stava forse impazzendo?

Si allontanò appena e prese un profondo respiro, guardando Axel dritto in faccia.

- Va bene, senti...io non ci capisco ufficialmente più niente. Puoi anche dormire qui se ti pare. -

- Quindi posso rimanere? -

Con quel visino infantile e dolce chi potrebbe dirgli di no? Anche se attanagliato dalla paura e dalla confusione, Roxas fu costretto ad annuire. Costretto, perché si sarebbe sentito un mostro a lasciare in giro durante un temporale come quello una creaturina all'apparenza così mite. E poi gli aveva curato la caviglia.

- Mettiti dove vuoi... -

Ma evidentemente Axel non era un tipo di quelli che lasciava finire di parlare prima di agire. Infatti la prima cosa che fece, facendo frullare le ali nere che avevano un vago sentore di umido sulle penne, si accomodò senza troppi complimenti sul letto, usando la micidiale arma-cuscino per poggiarvi sopra la testolina rossa.

- Buonanotte. -

- Buonanotte...? - mormorò Roxas, un pugno stretto per la rabbia e una vena che gli pulsava sulla fronte per il furore a stento trattenuto - ...di certo non dormirai nel mio letto! Sparisci! -

Seguì un breve inseguimento, che vide la camera devastata dai colpi involontari delle ali dell'Angelo, e quelli più che volontari di Roxas che era riuscito a prendere nuovamente possesso del cuscino.

 

Tre secondi. Era il lasso di tempo necessario perché il cervello di Roxas si rimettesse in funzione dopo quella notte così agitata.

Tre secondi per rendersi conto di essere ancora nella sua stanza, ancora avvinghiato al cuscino, in maniera quasi spasmodica, ancora con i vestiti della sera prima che ormai gli si erano asciugati addosso.

Tre secondi immerso in un non-pensiero in cui la sua mente vagò un po' qua e un po' là, sfiorando tutto con gli occhi ancora appannati della mente ma senza soffermarsi su niente.

Ma erano sempre e solo tre secondi. Passarono molto in fretta.

Roxas tornò consapevole tutto d'un colpo di quello che era successo solo poche ore prima e la sua reazione spontanea e forse involontaria fu quella di saltare in piedi e sbarrare gli occhi, in posizione di difesa.

Di Axel, però, nessuna traccia.

Fece scivolare lo sguardo nei quattro angoli della sua stanza, cercando la figura dinoccolata dell'Angelo su ogni parete. Sembrava quasi che fosse stato fagocitato dal disordine di vestiti lasciati ad ammucchiarsi sulla sedia, o dalla pila enorme di libri di scuola accasciati in un angolo sotto il letto.

Se non era lì, allora non c'era mai stato, no?

Stava quasi per bollare tutto come un sogno, un brutto sogno dovuto a qualcosa che aveva visto, o pensato di vedere, tra le ombre distorte create dal temporale quando con un piede scalzo calpestò una penna nera.

Era lunga almeno quanto la sua mano e lucida come se ci avessero spennellato sopra della vernice non ancora del tutto asciutta.

Roxas saltò indietro su un piede solo, come se temesse che quella penna innocua potesse invece essere un'arma, e si rese conto che stava caricando l'intero peso del corpo sulla caviglia che doveva essere slogata.

Forse aveva potuto sognare di vedere l'Angelo, ma sognare di essere caduto ed essersi slogato la caviglia? Diventava un sogno ben più audace. Ne conseguiva che qualcuno doveva avergliela curata, e allora l'Angelo doveva essere stato davvero nella sua stanza.

Con il cuore in gola realizzò che, almeno al momento, la creatura che si spacciava per il suo Angelo Custode non era lì, e la cosa non poteva che farlo sentire meglio.

Poi il suo naso colse l'odore di uova fritte, bacon, spremuta d'arancia appena fatta e crêpes dolci. Non era un goloso, né uno che amava particolarmente mangiare, ma conosceva gli odori, tutti, soprattutto quelli che non aleggiavano spesso in quella casa: sua madre era una pessima cuoca.

Lanciò un'occhiata alla sveglia sul comodino e si rese conto di aver appena saltato la scuola: le nove e un quarto, ci avrebbe messo un'ora buona per raggiungere l'istituto, e questo se si fosse preparato in fretta e furia e non avesse fatto colazione.

Se nessuno era venuto a svegliarlo urlando perché aveva dormito troppo, voleva dire che i suoi non erano rientrati. Forse il loro incontro di lavoro era durato più del previsto e si erano dovuti fermare per la notte.

Fatte tutte queste conclusioni gli venne spontaneo chiedersi, non senza rabbrividire: “Ma allora chi sta cucinando?”

Mise da parte il cuscino, scostò con lo sguardo il libro, ma trovò un paio di grosse forbici da cucito sotto il mare di cartacce sparse qua e là sulla sua scrivania. Forse le aveva lasciate lì sua madre, forse le aveva prese lui per fare chissà cosa chissà quando, in ogni caso quelle sì che erano un'arma.

Le tenne in mano come se fossero un coltello e non un paio di forbici e si sentì quasi sicuro di quello che stava facendo mentre apriva piano la porta della sua stanza e avanzava a passi misurati verso la cucina.

L'odore era talmente forte e talmente buono che il suo stomaco reclamò: non puoi uccidere il cuoco dopo aver fatto colazione? Qualsiasi cosa abbia preparato sembra delizioso!

Rimase incollato con la schiena alla parete per tutto il tragitto, ignorando le lamentele dello stomaco affamato, fin quando, cautamente, non sporse la testa per sbirciare oltre la porta della cucina.

La scena di per sé sarebbe stata comica se non gli avesse provocato un'immediata pelle d'oca su tutto il corpo.

Finché era buio, pioveva, i lampi e i tuoni imperversavano e lui era stanco, debole, acciaccato e bagnato, la scusa dell'allucinazione-sogno-visione-parto-della-sua-mente poteva reggere: l'Angelo non era mai esistito e mai poteva esistere.

Ma adesso che lo vedeva alla luce del giorno, con il sole alto che filtrava dalla finestra spandendo luce sulle ali elegantemente ripiegate contro la schiena, i capelli rossi legati con un elastico che aveva di certo rubato in bagno, il grembiule di sua madre addosso mentre armeggiava con gli utensili da cucina come se non avesse fatto altro nella sua vita, Roxas capì che quello che aveva vissuto non era stata un'allucinazione-sogno-visone-parto-della-sua-mente.

Era tutto reale.

Reale come le uova e la pancetta che l'Angelo stava cucinando, reale come le crêpes dolci già servite sulla tavola apparecchiata per due, reale come il succo di frutta fresco che gocciolava appena spremuto da una brocca. Non erano più solo odori, erano corpi fisici che lui poteva vedere, toccare, e volendo anche mangiare (a patto che avesse intenzione di mettere in bocca qualcosa che era stato cucinato da un Angelo).

Lui dovette sentire la sua presenza, perché si voltò tutto contento, con un sorriso ebete che Roxas avrebbe voluto volentieri cancellargli dalla faccia a colpi di forbice.

Il bambino disperato e in lacrime che c'era stato solo qualche ora prima, adesso era stato sostituito da un giovane uomo, avvenente quanto basta per essere irreale, con un'aureola opalescente che galleggiava a qualche centimetro dai capelli rosso fuoco.

- Buongiorno. Hai dormito bene? - il ragazzo si accigliò quanto basta per fargli assumere un'espressione quasi minacciosa. E le forbici nelle sue mani, ancora strette come se fossero un coltello, non erano di certo rassicuranti. - Oh, suvvia, posale, non ho intenzione di farti male né tanto meno tu puoi farne a me. -

Stava per chiedergli come mai tutta questa sicurezza, tutta questa boria, quando si rese conto che aveva ragione: non avrebbe potuto fargli del male, era troppo più grande e grosso di lui, lo sovrastava in ogni modo possibile e immaginabile, se anche gli si fosse avventato contro per disperazione, avrebbe finito col soccombere.

Sulla prima parte della sua frase, il fatto che non volesse fargli del male, aveva delle riserve, per questo non lasciò andare le forbici, e anzi le strinse più forte mentre si sedeva a tavola.

- Allora, ho preparato tutte le cose che ti piacciono, da cosa preferisci cominciare? -

Il fatto che Axel si muovesse in quel modo aggraziato con pentole e padelle gli fece venire i brividi, sembrava...sembrava che fosse stato lì più e più volte.

Gli mise nel piatto tutto quanto poteva mettergli, come se avesse paura che non si cibasse abbastanza, ed ebbe anche il coraggio di rivolgergli un buffetto sulla testa come farebbe un genitore.

Roxas non poté che rabbrividire e strinse con più forza le forbici sotto il tavolo.

- Insomma...tu sei vero. - cominciò, mentre l'Angelo, come se niente fosse, si sedeva di fronte a lui, poggiò sulle gambe un tovagliolo e cominciò a mangiare la sua porzione di colazione. Gli annuì per tutta risposta e cominciava con metodo a tagliare pezzi di pancetta. - E...cos'è che ci fai qui? -

Per qualche secondo, Axel rimase immerso nel suo tagliare, come se fosse qualcosa di estremamente importante, dopo di che alzò i grandi occhi verdi su Roxas che si sentì fremere per la loro bellezza.

- Voglio essere sincero con te. - lo indicò con la forchetta come se ci fosse pericolo che si stesse rivolgendo a qualcun altro - Mi hanno licenziato. Non avevo dove andare, e sono venuto da te. -

- Ti hanno licenziato? - il ragazzo alzò un sopracciglio, confuso - Che lavoro facevi? -

- L'Angelo Custode, no? -

No, quello era troppo.

Roxas si alzò, massaggiandosi gli occhi con indice e pollice. Axel lasciò che lui metabolizzasse l'informazione, perché sapeva che sarebbe successo. Infatti lui tornò a sedersi e lo guardò fisso in volto, non senza aver preso un respiro per calmarsi.

- Fare l'Angelo Custode è un lavoro. -

- Sì. -

- E ti hanno licenziato. -

- Sì. -

Annuì Axel, con un'espressione un po' contrariata sul volto.

- Che cosa hai fatto per farti licenziare? -

- Oh ecco... - il fatto che l'Angelo si fosse appena appena allontanato dal tavolo, e di conseguenza dalla portata delle forbici di Roxas, fece pensare al ragazzo che stava per dirgli qualcosa che non gli sarebbe piaciuto - ...hai presente tutte quelle brutte cose che ti stanno capitando ultimamente? -

- Se intendi la mia sfiga nera, sì. -

E la mano si strinse convulsamente contro il metallo delle forbici.

- Uhm...magari potrebbe saltare fuori che è la conseguenza del mio licenziamento. -

Roxas, inaspettatamente, mantenne il sangue freddo.

Respirò a fondo, socchiude gli occhi, contò fino a dieci.

Sua madre gli diceva sempre che bisogna contare fino a dieci prima di dire qualcosa che non si pensava realmente.

- Ti hanno licenziato. E io adesso sono sfigato, mi stai dicendo questo? -

- Bhè...non c'è più nessuno che ti custodisca...di conseguenza sei esposto a correnti negative di energia...quella che tu chiami “sfortuna”. -

- Non c'è nessuno che mi custodisce... - riaprì gli occhi per guardare quelli di Axel - ...vuol dire che non ho più un Angelo Custode. Perché? -

- Ehm...uhm...ecco...forse, potrebbe darsi, che non ci sia nessun altro Angelo Custode disponibile per te, a breve termine almeno. -

- Sì, ma...perché? -

Le domande incalzanti di Roxas facevano sudare Axel, grondare anzi, non sudare; grondava sudore come se fosse sotto torchio del suo diretto superiore e questo faceva ben credere al ragazzo che si stava avvicinando al nocciolo della questione.

Se si fosse messo a piangere come la sera prima, l'avrebbe come minimo preso a sberle. Non si sarebbe fatto impietosire dalle lacrime!

- Bhè, un po' la serie di scelte sbagliate che hai preso di tua spontanea volontà, un po' quelle che ti ho fatto prendere io involontariamente...una serie di fattori. -

Il biondo dovette respirare a fondo per non dare di matto.

Erano tante informazioni quelle, tante e difficili da digerire.

Nuovamente si passò la mano sugli occhi, massaggiandoli. Sentiva il cervello indolenzito nello sforzo di capirci qualcosa.

- Spiegati. Che intendi per “scelte sbagliate”? Tutti quanti sbagliano. -

L'Angelo si accarezzò la nuca, come a disagio, o forse stava solo ponderando adeguatamente sulle parole da dirgli per essere il più semplice possibile.

- Hai presente quella vocina dentro la tua testa che ti dice “non lo fare” o “fallo”, cose così? Quella che voi umani chiamate “coscienza”. Non è altro che il tuo Angelo Custode che cerca di darti un consiglio sulla situazione. -

Lentamente, Roxas cominciò a unire i pezzi, e il puzzle gli sembrava via via sempre più chiaro. Poteva quasi sentire una connessione tra il licenziamento di Axel e il momento in cui aveva smesso di percepire “la vocina dentro la sua testa” e aveva cominciato ad essere perseguitato dalla sfortuna.

- Vai avanti. -

Visto che l'Angelo esitava.

Lo vide agitarsi appena sulla sedia, le ali ebbero un leggero fremito.

- Okay. Vedi, molte scelte che devi fare giornalmente non hanno bisogno di un'intromissione da parte del tuo Angelo Custode, cioè, non sarebbe molto sensato se ti consigliassi di mangiare una brioche o un cornetto la mattina, non so se mi spiego. - Roxas annuì, fin lì era abbastanza chiaro, anche troppo - Noi ci occupiamo delle scelte importanti, per essere un supporto verso la “retta via”, come quando senti forte lo stimolo di taccheggiare un negozio e alla fine non lo fai perché qualcosa dentro di te ti ha consigliato di non farlo. Robe così, che potrebbero influire molto negativamente o molto positivamente sull'andamento della tua vita. Se un Angelo riesce nel suo intento e il suo protetto prende la scelta più giusta, meno dannosa o che porta ad un risvolto migliore, allora viene premiato con delle piume bianche. I migliori Angeli Custodi hanno ali completamente candide, anche se cominciamo tutti con le ali nere. -

Il fatto che Axel avesse il piumaggio completamente color petrolio e che stesse provando a nasconderlo mentre Roxas lo guardava con occhi critici fece capire al ragazzo che c'era dell'altro sotto. Come se non bastasse di per sé tutto quello.

Allora era proprio vero che era sfigato.

- Va bene. Ho capito. E poi? -

Cominciava a perdere la pazienza per il semplice fatto che sentiva a pelle che gli stava nascondendo una buona metà del racconto, e la cosa non gli piaceva.

- Poi...se il protetto, nonostante tutta la buona volontà dell'Angelo continua a prendere scelte...non proprio così giuste, allora viene licenziato. -

Lo sguardo blu di Roxas trafisse quello verde smeraldo di Axel, tanto che rabbrividì.

- Non posso essere un caso così disperato. Sì, okay, ho sbagliato tante volte... - e nel dirlo l'Angelo rabbrividì nuovamente, come se sentisse tutto il peso di quegli sbagli sulle proprie spalle - Però non ho mai fatto del male a nessuno, non ho ucciso e non sono un criminale! Allora tutti gli assassini? Gli stupratori? Gente che prende davvero scelte sbagliate? Qual è la punizione? -

Axel sospirò, scuotendo la testa.

- Sei umano, è normale che tu mi faccia un discorso del genere, però vedi, lassù ragionano in modo differente, i nostri metri di giudizio non sono universali. Non verresti mai giudicato insieme con un assassino o uno stupratore, come dici tu. Vieni giudicato solo con te stesso, o almeno con quello che di buono potresti essere o saresti potuto essere. E al momento risulti essere un caso disperato. -

Di nuovo, Roxas ebbe la sensazione che gli stava nascondendo dell'altro, ma già quello che gli aveva detto era sufficiente per avere una crisi di nervi, per cui tacque i suoi pensieri e rimase immobile, il metallo freddo delle forbici come unica consolazione.

- Quanta colpa hai tu per avermi reso un caso disperato? -

Mormorò dopo un po'. Aveva lo stomaco chiuso, e anche se Axel gli aveva preparato una gran bella colazione all'improvviso non aveva assolutamente voglia di mangiare.

- Un buon 85%. -

Dovette ammettere l'Angelo, era evidente che non poteva mentire, forse poteva tacere certe cose, a meno che non gli venissero chieste direttamente, ma mentire...no, non sembrava in grado di farlo.

La pazienza di Roxas cominciava a sgretolarsi, e anche il buon senso. Che cosa avrebbe pensato il “boss” di Axel se ora avesse preso la decisione di gonfiarlo di botte? D'altronde non c'era più nessuna vocina dentro di sé che poteva consigliargli di non farlo, e a dirla tutta ne aveva una gran voglia.

- Spiegami perché sei qui. Perché mi inseguivi ieri notte. -

- Non ti inseguivo. - lo disse in maniera quasi indignata. Che bella faccia tosta! Quello indignato dovrebbe essere lui! - Io sono sempre dietro di te, solo che non puoi vedermi. Da quando mi hanno licenziato mi hanno impedito di stare al tuo fianco, e mi sembra anche ovvio, non sono più il tuo Angelo Custode. Per questo mi sono ribellato. Non potevo sopportare l'idea che tu fossi solo e torturato da influssi negativi. Mi hanno sbattuto in prigione per un po', ma sono riuscito ad evadere, solo che ormai ho quasi perso tutti i miei poteri. Sai, dipendono dal protetto, dalle piume bianche, dalla quantità di “scelte giuste” che si riesce a far prendere e...insomma, debole com'ero ho finito con il precipitare giù dal Paradiso. - e questo giustificava l'ala rotta e sanguinante, nella mente di Roxas dove si stava definendo sempre più quel puzzle strampalato di informazioni paranormali - Dovevo raggiungerti, non volevo altro. Sapevo dov'eri, so sempre dove sei, e anche se ero ferito ti ho raggiunto. Mi spiace di averti spaventato. -

Fosse solo questa la cosa di cui dovresti dispiacerti!” pensò Roxas, la mente in subbuglio come un vulcano attivo.

Considerava ormai l'esistenza di Axel come reale, non plausibile, non possibile, semplicemente reale, cosa che gli permetteva di accettare la sua figura seduta al tavolo a fare colazione con lui.

Ma metabolizzare tutto quel racconto e prenderlo per vero...era tutta un'altra storia.

- Dimmi perché dovrei crederti. E dimmi anche perché, se è tutto vero, non dovrei prenderti a pugni. -

- Lo sai che è vero, lo senti dentro di te. Per il resto...sì, mi meriterei di essere preso a pugni. Non volevo farti soffrire, ma sei...così cocciuto, è difficile farti cambiare idea. Forse non sono stato abbastanza deciso con te...non volevo influenzarti troppo. Questo non è propriamente un pensiero da Angelo, i miei colleghi fanno di tutto per cambiare il modo di essere dei loro protetti, per portarli verso la luce, ma io non sono d'accordo. È per questo, evidentemente, che sono un pessimo Angelo Custode. -

Roxas rimase in silenzio, i sentimenti confusi e ovattati dentro di sé non riuscivano a farlo pensare correttamente.

Per la prima volta da quando era cominciata quell'assurda storia provava compassione e una certa simpatia per Axel, l'Angelo che aveva perso tutto ciò che aveva per dare a lui un po' di libertà.

Riuscì a perdonarlo, anche se non se n'era reso ancora conto, per tutte le cose che gli erano successe, perché in fondo era anche colpa sua se si trovava in quella situazione.

Per un attimo gli sembrò di poter condividere quell'amaro sentimento con lui e lo sentì vicino.

Aveva addirittura lasciato perdere le forbici, poggiandole sul tavolo.

Senza dire nulla, prese la forchetta e cominciò a mangiare le uova, sgranocchiando la pancetta tutta intera, neanche fosse affamatissimo.

- È tutto molto buono, grazie. -

E Axel seppe, in qualche modo, che lo capiva e che forse avrebbe potuto persino perdonarlo.

 

Avere in casa un'altra persona estranea alla famiglia, che fosse un Angelo o meno, metteva a Roxas una certa agitazione.

Non era mai stato un tipo eccessivamente amichevole, né aveva rapporti così stretti da avere la casa popolata di amici. A dirla tutta tendeva spesso a isolarsi, e forse era il tentativo di uscire dall'isolamento che gli aveva fatto prendere tutte quelle scelte sbagliate.

Per questo si vergognò del disordine della sua stanza, della polvere sulle mensole, anche del fatto che aveva indosso i vestiti stropicciati del giorno prima. Non che Axel avesse chiesto spiegazioni, comunque.

Sembrava stare a suo agio in mezzo a tutta quella confusione anche se Roxas se ne vergognava. Sapeva dove si trovavano gli oggetti forse meglio di lui stesso, e la cosa lo riempiva di una sottile inquietudine.

Stava a guardarlo proprio per tutto il tempo?

Si chiese se era presente quelle sere in cui, preso dagli ormoni, dal desiderio, da un pensiero fugace, aveva approfittato di se stesso mettendo le mani dove non avrebbe dovuto. Si chiese anche se poteva capirlo e se la storia degli Angeli asessuati fosse vera. Sì, Axel aveva tutti i lineamenti normalmente associati ad un essere umano di sesso maschile, ma allo stesso tempo il suo viso sottile e privo di un qualsiasi accenno di barba gli dava un pizzico di grazia femminile che riusciva a mettere in imbarazzo.

Tutti questi pensieri, formulati mentre sistemavano insieme la sua stanza, lo fece irrimediabilmente sprofondare nel silenzio.

Forse Axel doveva esserci abituato, d'altronde nessuno parlava mai con lui, che lo vedesse o no, e sembrava averci fatto il callo. Però adesso era diverso, e la strisciante curiosità tutta umana che aveva nel petto si fece largo senza che potesse farci niente.

- A cosa pensi? -

Tre parole che ebbero il potere di far cadere dalle mani di Roxas la maglietta che aveva appena finito di piegare. Forse arrossì appena mentre rispondeva:

- Niente di particolare. -

- Non è vero, conosco quella faccia. Vuoi farmi una domanda, una serie di domande. -

- Capirai che avere un Angelo in camera non è proprio una cosa di tutti i giorni. -

Poteva sviare la sua attenzione su altre domande, domande meno imbarazzanti, domande che esulavano dalle cose che faceva di notte, sotto le coperte, solo con se stesso.

- Fammi tutte le domande che vuoi, se posso rispondo. -

- C'è qualcosa a cui non puoi rispondere? -

Axel ridacchiò sommessamente, senza mai staccare gli occhi dalla biancheria che stava piegando, un po' come faceva sua madre, anche se lei non aveva le ali e non era un Angelo.

- A domande sulla morte, per esempio, o sull'Aldilà. Normalmente gli Umani non possono vedere gli Angeli, ma quando capita abbiamo un certo protocollo da seguire. -

- Anche se ti hanno licenziato e con me non avresti più niente a che vedere? -

- Ma certo, rimango pur sempre un Angelo, io! -

Roxas aggrottò le sopracciglia ripensando a quella volta che, in tv, aveva sentito di quella donna che parlava col proprio Angelo Custode, che le aveva mostrato il Paradiso, che le aveva fatto vedere com'era dopo la morte. Si chiese se avesse mentito o se il suo Angelo avesse fatto uno strappo alla regola, come Axel, con la sua sola presenza, stava facendo con lui.

Scrollò le spalle, cercando di non far trapelare nessuno di quei pensieri dagli occhi blu così sinceri, più di quanto volesse.

- Perché riesco a vederti? -

Era di certo la prima domanda per importanza e curiosità dopo il voler sapere che cosa aveva dalla vita in giù, anche se era coperto solo da quello che sembrava essere un tessuto bianco e drappeggiante, come quelli degli Angeli di pietra nelle cattedrali.

- Ci sono due casi in cui un essere umano può vedere gli Angeli, o solo il suo Angelo Custode, uno è il mio caso: i miei poteri sono terribilmente deboli, riesco a malapena a nascondermi agli altri umani; tu sei stato il mio protetto da quando sei nato e di conseguenza hai una sensibilità maggiore alla mia presenza, per questo puoi vedermi. Il secondo caso è che l'Angelo, di sua spontanea volontà, si mostri al protetto per una qualche sua inclinazione religiosa, spirituale o mentale molto molto particolare. Di solito avviene perché dall'alto sono arrivati ordini ben precisi. -

“Dall'alto”, Roxas rabbrividì al solo pensiero. Chissà se avrebbe potuto rispondere a domande su quello.

- Quindi...devi essere messo molto male. -

- Un po'. Mi indebolisco ogni giorno che passa. -

- Che ti è successo ieri notte? Perché sei tornato...bambino? -

Lui sembrò contrariato a quella domanda, forse avrebbe preferito che non gli fosse posta...per orgoglio o chissà cos'altro, valli a capire gli Angeli!

- Le lacrime d'oro degli Angeli sono pura energia, se piangiamo ne perdiamo parecchia. Non è bello far piangere un Angelo, sai? - cos'era? Lo stava forse incolpando? Ma se aveva fatto tutto da solo! Però si tenne per sé tutte quelle rimostranze, imbronciandosi appena. - Per fortuna è un'energia che con una notte di riposo si può recuperare, altrimenti sarei rimasto bambino. -

- E adesso che sei stato licenziato e sei per giunta scappato di prigione che cosa ti capiterà? -

- Niente di buono. -

Fu la risposta, per niente soddisfacente, che diede. Ma da come si rabbuiò in volto e gli diede le spalle era chiaro che non voleva parlarne. Che non fosse pronto ad affrontare l'argomento? O voleva solo evitare che si spaventasse? Perché l'espressione sul suo volto era da mettere i brividi.

- La tua vita è in pericolo? Verranno a cercarti? -

- No, non posso morire. Ma sì, è probabile che verranno a cercarmi. -

E la cosa non sembrava renderlo felice...in realtà non rendeva felice neanche Roxas. Ci mancava solo che nella sua stanza si radunasse un esercito di Angeli arrabbiati, magari meno gentili di Axel.

- Gli Angeli possono essere cattivi? -

Più che per lui, temeva per se stesso. Era egoista da dire e da pensare, ma era anche così spontaneo che Roxas non se ne sentì in colpa.

Potevano metterlo in mezzo in ragioni ultraterrene quando lui a malapena riusciva a capire cose terrene? O il fatto che Axel gli fosse apparso e ora ci stava parlando lo rendeva irrimediabilmente complice di qualcosa che ancora non capiva?

Il rosso pensò su alla sua domanda. Ormai era chiaro a Roxas che non poteva mentire, non a lui almeno, e questo gli rendeva difficile rispondere senza dargli informazioni sconvenienti: meno sapeva, meglio era. Ma questo, ovviamente, il ragazzo non poteva saperlo, anche se aveva una leggera impressione.

- Bhè, l'ultimo Angelo cattivo ha ricevuto una punizione eterna, quindi no, Angeli cattivi, nel stretto senso del termine, non ne esistono. Però la nostra è una...chiamiamola società piramidale. Ci sono Angeli, Arcangeli, Angeli Custodi. Rispondiamo tutti alla stessa persona, però c'è chi di noi è più importante nella gerarchia interna. I miei superiori diretti sono gli Arcangeli, che sono un po' come...sentinelle, poliziotti, mi spiego? E a volte possono essere...poco carini. - Axel parve accarezzare con lo sguardo qualcosa sul suo braccio ma agli occhi di Roxas la sua pelle nuda rimaneva perfettamente liscia e compatta, bianca come la neve appena caduta - Non sono cattivi, fanno solo in modo che tutti rispettino le leggi. Sono...severi, ecco. -

- Posso scommettere sul fatto che questi Arcangeli presidiano la prigione da cui sei scappato, non è vero? -

Come prima, forse sentinella del suo disagio, Axel andò ad accarezzarsi la nuca, con gli occhi verdi che quasi scintillavano di ricordi, più o meno dolorosi. All'improvviso Roxas si chiese quanti anni avesse, e se questo avesse davvero importanza.

- Sì, hai indovinato. -

E dal brivido che ebbe, Roxas fu sicuro che stava parlando di una persona precisa, di un Arcangelo che suscitava in lui ricordi non proprio piacevoli.

- E se dovessero trovarti? -

Per far credere ad Axel che non avesse capito che ormai si parlava di una sola entità, parlò al plurale, e la cosa sembrò rasserenare l'Angelo e sospirò.

Prima di rispondere piegò un altro paio di magliette che poi infilò nell'armadio.

- Verrei punito per essere scappato, in primo luogo, poi per essermi fatto vedere da te, anche se non sapevo sinceramente che potessi vedermi, poi per averti parlato e dato queste informazioni...e verrei probabilmente rispedito in prigione in attesa di un processo. -

- Ci sono processi anche... - avrebbe voluto dire “in Paradiso”, ma non voleva crogiolarsi nell'idea che esistesse, quindi riformulò la frase prima ancora che gli uscisse dalle labbra - ...da dove vieni tu? -

- Oh sì, abbiamo un tribunale. Il nostro mondo somiglia in molte cose a quello degli uomini. C'è una cosa, però, in cui siamo profondamente diversi. -

- Cosa? -

Perché all'improvviso Roxas sentiva freddo? Sembrava che la temperatura della stanza si fosse abbassata di dieci gradi. Trattenne il respiro, non voleva avere la certezza di quel freddo respirando: se così fosse stato, il suo fiato si sarebbe condensato nell'aria.

- Noi non possiamo provare sentimenti. -

L'unica reazione di Roxas fu un lieve inarcamento delle sopracciglia. Non sembrava molto propenso a credergli...ma ormai aveva creduto a tutto, tanto valeva accettare anche questo.

- Non potete provare sentimenti? E allora come fate ad avere a cuore la protezione degli esseri umani? -

- Se fossimo coinvolti emotivamente rischieremmo di non svolgere bene il nostro lavoro. Siamo stati creati per questo, per difendervi il più possibili da correnti negative che potrebbero portarvi allo sfacelo spirituale. Per questo non abbiamo bisogno di sentimenti, così possiamo guidarvi senza farci influenzare da nulla. -

- Ma...tu hai pianto, questo non è un sentimento? E sorridi, e ti arrabbi... -

Stavolta quelle sopracciglia scure si aggrottarono dando a Roxas un'espressione confusa e un po' infantile.

- È normale che tu non capisca. Per gli esseri umani i “sentimenti” sono molto legati alla fisicità, espressi da risate, lacrime, urla. Ma le vostre emozioni vengono più dal profondo, da quello che chiamate “cuore”, e ridere, piangere, urlare sono solo manifestazioni. Potresti essere felice senza però ridere, o triste senza piangere: proveresti comunque quell'emozione. Capisci che intendo? -

Gli occhi blu di Roxas si riempirono di qualcosa simile alla tristezza, e Axel capì che lo stava compatendo e che, di conseguenza, aveva capito eccome.

- Sì, credo di sì...anche se ti mostri felice questo non vuol dire che tu lo sia davvero... -

- Bravo. - il sorriso che gli rivolse suonò più falso di tutti gli altri, o almeno fu l'impressione che diede al ragazzo - Conosciamo i sentimenti e le loro manifestazioni, perché non potremmo trattare con gli umani se non li conoscessimo, però non possiamo provarli. Alcuni di noi evitano di lasciarsi andare al riso e al pianto, di solito si tratta di Angeli di alto rango che non hanno alcun motivo di assumere atteggiamenti umani...anche perché, come nel caso delle lacrime d'oro, imitare un umano è distruttivo per il nostro essere. I Custodi sono più...diciamo inclini a lasciarsi andare, anche perché lavoriamo a stretto contatto con voi. Un po' ci contagiate. -

Roxas fece una smorfia, si sentì all'improvviso come se fosse un germe di qualche tipo, o un parassita. Una creatura inferiore di fronte a quell'Angelo di rara bellezza che gli stava raccontando cose per cui avrebbe potuto essere punito.

Che motivo aveva di farlo?

Sì, era stato il suo Angelo Custode, ma ora non aveva più alcun legame con lui, e se era vero quello che diceva, cioè che non poteva provare alcuna emozione, che cosa lo spingeva a stare lì in quella stanza, in quella casa, quando le sue ali avrebbero potuto portarlo ovunque?

Forse non era così libero come credeva che fosse.

Cercò di tenere per sé tutti quei pensieri, ma era inevitabile che filtrassero attraverso il suo sguardo sincero, e Axel che l'aveva visto nascere e crescere sapeva addirittura meglio di lui come pensava, come rifletteva, solo che era abbastanza discreto da non dire niente.

- Sei venuto a salutarmi o cosa? Penso sia chiaro che la prima cosa che faranno sarà cercarti qui da me, lo sai vero? -

Il rosso annuì, piano, mentre finiva di sistemare.

- Sì, lo so. Come so che dal momento in cui ho lasciato il Paradiso avevo già alle calcagna qualcuno per riportarmi indietro. Non avrò altre occasioni per vederti, quindi alla fine sì, sono venuto a salutarti. -

Roxas sgranò appena gli occhi.

- Ma puoi fuggire, trovare un altro posto in cui andare. Non ha senso che aspetti qui che ti vengano a prendere! -

- Non ha senso scappare, invece. Dovrei farlo per tutta l'eternità, e più a lungo sto lontano dal Paradiso, più debole diventerò. Non voglio essere uno spirito inquieto e rimanere sulla Terra per sempre. Sono nato per essere un Custode, se non posso fare quello per cui sono nato, tanto vale rimanere chiuso in prigione. -

- Non ti faranno mai più custodire nessuno dopo di me...? -

A quella domanda, l'esitazione di Axel fu chiara come il sole anche per Roxas che riusciva a stento a capire come funzionava quella creatura. Non sapeva come e cosa rispondere, più che a qualsiasi domanda che gli avesse posto fino a quel momento.

Rimase a lungo in silenzio, senza quasi respirare (sempre che lui avesse bisogno di farlo), finché non gli tornò la voce che sembrava aver perso.

- Quello che ti dico...spero che non andrai a spifferarlo a nessuno. Ti conosco e so che non lo farai. -

Certo, mi prenderebbero per pazzo.” fu il sottile, tagliente pensiero di Roxas, che in qualche modo Axel riuscì a interpretare solo guardarlo, e di sfuggita per giunta.

- Tu...sei più vecchio di quanto credi. La tua anima ha attraverso ere, saltando da un corpo all'altro, morendo e nascendo, soffrendo, vivendo, tornando alla luce ogni volta con rinnovato vigore. L'anima è immortale, anche se il corpo non lo è. E da quando quella tua piccola anima ha preso vita per la prima volta, molti, molti millenni fa, io le sono stato accanto. Sono sempre stato al tuo fianco e ti ho accompagnato da una vita all'altra, provando e riprovando a farti prendere le giuste scelte. Poco fa ti ho detto che non c'è nessun altro Angelo Custode disponibile per te...non mentivo. Noi nasciamo insieme con l'anima del nostro protetto, e gli rimaniamo accanto per tutta l'eternità. Un Angelo Custode che perde il suo lavoro bhè...è destinato a non essere più niente. -

- E che ne sarà di me, allora? -

Ancora un'esitazione. Ecco cos'era che non voleva dirgli.

- Sarai sempre più influenzato dall'energia negativa che impregna il mondo degli Umani, prenderai scelte che ti porteranno sempre più su infime strade, finché forse perderai la voglia di vivere. Allora anche la tua anima finirà con l'essere niente, nulla. Un oblio totale. -

- Morirò. -

Sussurrò il ragazzo, il cui cuore ora palpitava tanto forte in petto da fargli male. Troppo male.

Ora aveva paura della creatura che si era presentata a lui come un Angelo. Forse l'aveva preso in giro, forse non era affatto quello che diceva. Era una creatura foriera di sventura, né più né meno di quella che l'aveva perseguitata in quell'ultimo periodo della sua vita.

Si chiese se averlo incontrato era un segno che aveva cominciando a scendere quella china pericolosa di cui lui lo stava avvertendo, e se la sua presenza fosse dovuta alle influenze delle energie negative che, in qualche modo, ora percepiva come reali, proprio sulla pelle, come un vento gelido che lo faceva tremare.

- Ci sono cose peggiori della morte. Come ti ho detto, l'anima è immortale, ripete a ciclo infinito nascita e morte, reincarnazione, la chiamate voi umani. Purtroppo però continuando così non ci sarà più alcuna rinascita. Non succederà dopo questa vita, né nella prossima. Tu ti dimenticherai di questo incontro, ti creerai una scusa, una spiegazione che per te giustifica tutto quello che ti ho rivelato oggi. Con il tempo il tuo cervello rigetterà ogni mia singola parola e immagine, e non avrai alcun ricordo di me. Sarai solo sfortunato, più degli altri, ma ti dirai che è solo sfortuna. Poi chiuderai gli occhi e ti risveglierai nella prossima vita completamente inconsapevole che le cose cominceranno da dove le hai lasciate. L'oscurità ti sta reclamando, anche in questo momento. -

Un brivido di freddo percorse la schiena di Roxas, così gelido, terribile, pesante e strisciante che per poco non si chiese se fosse un serpente vivo a salirgli sulle spalle.

Già in quel momento la sua mente stava tessendo una serie di spiegazioni plausibili per tutto quello che aveva appena finito di ascoltare. Voleva credergli, ma non gli credeva, sapeva che era la verità, ma bollava tutto come una menzogna.

Un'emozione contrastante che lo lasciava confuso, dolorante, come se gli avessero dato un colpo in testa e lui non riuscisse a mettere a fuoco chi l'aveva aggredito.

Il suo Angelo Custode era venuto a dirgli addio, a metterlo in guardia o la sua presenza era un ultimo, disperato tentativo di salvarlo di se stesso?

Gli occhi verdi di Axel, vetro duro incastrato nel viso dolce ed elegante, non davano una risposta, erano anzi pozzi in cui annegare: un mare di domande in cui non poteva nuotare.

Tremava tutto, inerme come un bambino, esposto alla verità-menzogna di cui Axel era portatore.

- E cosa...cosa devo fare? Cosa posso fare? -

- In realtà...niente. Non avrei dovuto raccontarti questa storia, né dirti nulla su di me o sul mio mondo. Ho fatto un grave errore. Devo andarmene. -

Axel si allontanò, il pavimento scricchiolò sotto i suoi piedi, facendo apparire come reale la sua presenza in quella stanza.

Roxas reagì d'impulso.

Forse stava per prendere la peggiore decisione di tutte, quella che quasi sicuramente l'avrebbe portato nel buio e nell'oscurità di cui aveva parlato l'Angelo.

- Non andartene. -

Anche se non si toccavano, anche se c'era tutta una stanza a dividerli, fu come se Roxas avesse afferrato il braccio di Axel con una mano, tanto si sentiva tirato, trascinato, incatenato a quel misero umano.

- Devo. Prima me ne vado, prima ti dimenticherai di me. Potrai tornare a fare una vita normale. -

- A questo punto la mia vita non è più normale. Non puoi andartene. Se è vero che non hai dei sentimenti, allora perché mi hai raccontato tutto? Non è perché poi me ne dimenticherò, non è per questo! Vuoi proteggermi? Vuoi mettermi in guardia? Non puoi essere così egoista da lasciarmi qui, mentre sprofondo nel buio! Perché? Dimmelo! -

- Perché sono innamorato di te. -

 

Il tempo per una creatura immortale non si può misurare né avvertire, lo scorrere dei minuti, delle ore, dei giorni, decantano lentamente in secoli e millenni con la stessa velocità con cui si passa dell'acqua da un bicchiere all'altro. Ma per gli umani è ben altra storia.

Il momento subito successivo a quello in cui Axel gli aveva detto quelle cinque parole gli sembrava infinito e benché il tempo per lui stesse scorrendo velocemente, dentro si sentiva come se le sue lancette biologiche si fossero fermate per sempre: l'ora era la stessa, identica, di quando le aveva sentite.

Rimase immobile, come di pietra, mentre fissava quel volto apparentemente innocuo. E invece, quella maschera di dolcezza e bellezza aveva nascosto così a lungo quelle parole solo per tirarle fuori adesso, quando entrambi meno se lo aspettavano.

Nessuno poté dire o fare niente, neanche Axel che avrebbe quanto meno voluto chiedere scusa, perché un tonfo ovattato che probabilmente veniva dal balcone interruppe la magia infinita di quel momento.

Nel silenzio vuoto della stanza, Roxas riuscì a sentire il frusciare di ali che richiudevano e l'anta della portafinestra che veniva aperta dall'esterno come per incanto.

In quel momento si rese conto che era rimasto imbambolato a fissare Axel per un quarto d'ora intero e che gli facevano male i polmoni: tanto aveva a lungo trattenuto il fiato!

- Dobbiamo andarcene, alla svelta! -

Il rosso si lanciò verso di lui e lo afferrò per il polso.

Non c'era traccia sul suo viso dello sconvolgimento che invece era dipinto ad arte su quello di Roxas.

Forse era vero che non poteva provare sentimenti. Ma allora come poteva amare?

- Dove...dove andiamo? Perché? -

Confusamente, Roxas provò a divincolarsi da quella stretta, ma la mano dalle dita lunghe e sottili era incredibilmente forte e lui non poté che seguirlo placido fino alla porta di casa che l'Angelo subito spalancò.

- Perché lui è qui. -

- Chi è lui? -

La risposta gli arrivò una manciata di secondi dopo che Axel l'aveva spinto fuori casa. Un turbine di piume bianche e candide si alzò alle loro spalle. Roxas provò ad allungare il collo per vedere chi era stato a causarlo e i suoi occhi incontrano un paio di pupille che parevano oro, ora fuso e vivo. Quelle gemme brillanti erano incastonate su di un viso spigoloso quanto inespressivo, incorniciato da lunghi capelli color zaffiro. Sarebbe stato un volto perfetto, come quello di una bellissima statua di marmo, se non fosse stato per la grossa cicatrice a X che gli solcava la carne proprio in mezzo agli occhi.

La differenza tra quell'Angelo e Axel era chiara come il sole e come il giorno: di statura molto più imponente, alto, dinoccolato e fiero, quest'Angelo aveva l'imperturbabilità del potere dipinta sul volto, la consapevolezza della propria forza, delle proprie capacità, nel solo gesto di sorreggere con una mano un'enorme e quanto mai poco rassicurante spadone. Vestito in bianco candido, l'Angelo aveva ali che rifulgevano di splendore proprio: un bianco che non era solo e unicamente bianco, ma che aveva le mille sfumature di una perla e dell'oro insieme. Dello stesso colore indefinito era la veste che indossava, che aderiva perfettamente al suo corpo slanciato.

Roxas ebbe la netta, precisa sensazione che fosse paurosamente potente, sensazione che derivava dalla pelle d'oca che sentiva su tutto il corpo, e provò subito un timore riverenziale che riuscì ad associare solo a quell'emozione conflittuale che si prova quando si entra in una chiesa gotica particolarmente piena di statue ed effigi che sembrano seguire tutti con i loro occhi di pietra.

Non ci fu bisogno che l'Angelo pronunciasse alcuna parola per far venire a Roxas lo spasmodico bisogno di fermarsi e inchinarsi al suo cospetto, ma Axel lo trascinava con tanta forza che non poté fare altro che seguirlo.

Agli occhi di chi lo guardava, Axel era invisibile, per cui Roxas sembrava solo istericamente intento a scappare da qualche parte, trascinato da una forza che nessuno poteva vedere. Meno che meno la figura alata dell'Angelo dietro di loro era percepibile a occhio umano.

Il ragazzo riuscì a chiedersi se per caso riuscisse a vederlo perché era sotto l'influenza di Axel, ma impegnato com'era nella fuggire quel pensiero svanì nell'immediato.

Per quanto volesse chiedergli chi e cosa fosse quell'Angelo armato, al momento era chiaro che seminarlo era l'urgenza maggiore.

Axel correva veloce, troppo veloce per le gambe umane, praticamente ogni due o tre passi si sollevava da terra con un movimento leggero delle ali nere, cosa che faceva quasi perdere a Roxas il contatto con il terreno. La ferita non era ancora guarita del tutto e non poteva librarsi in volo, ma era ovvio che, senza il peso del biondo, forse ce l'avrebbe fatta.

Il ragazzo avrebbe voluto dirgli di lasciarlo andare, di salvarsi la pelle almeno lui, però non sembrava intenzionato a lasciarlo ed ebbe ancora più paura della figura che avanzava solennemente, non disturbata da cose o persone, appena dietro di loro.

- Di qua! -

Sarebbe stato inutile chiedere “dove?”, perché Axel lo strattonò con talmente tanta forza che non ebbe bisogno di controllare il proprio corpo.

Sentì solo che dalle sue labbra uscì un “ouf!” per la violenza con la quale era stato sbattuto contro un muro.

Solo allora alzò gli occhi. Il rosso era schiacciato contro la parete, le mani giunte come in preghiera e mormorava qualcosa con tanta intensità che le sopracciglia dritte si erano unite dandogli un'espressione concentrata e quasi sofferente.

Qualsiasi cosa stesse facendo, Roxas la sentì addosso: tutto il corpo gli formicolava, come se migliaia di piccoli ragni gli si stessero arrampicando addosso.

Inorridì al solo pensiero e si trattenne dall'urlare. Avrebbe voluto contorcersi e spazzarsi di dosso quella sensazione con le mani, anche se sulla pelle non vedeva niente.

Qualche secondo dopo intorno a loro si espanse un'aura delicata, color pesca, che li avvolse completamente come una coperta.

Quando l'Angelo armato passò di fianco a loro...neanche si accorse della loro presenza: tirò dritto come se fossero invisibili, così Roxas si chiese se non lo fossero davvero.

Rimasero avvolti in quell'aura per un tempo che al ragazzo parve interminabile, dopo di che, visibilmente esausto, Axel si accasciò a terra, ansimante e coperto da un velo di sudore gelido.

Roxas non poté che inginocchiarsi accanto a lui e passargli un braccio intorno alle spalle per aiutarlo ad alzarsi.

- Tutto bene? -

- S-sì. - rantolò lui, sembrava che gli costasse uno sforzo immenso parlare - Ho dovuto nasconderci a lui, e ho sprecato un sacco di energie. -

Tutto il suo corpo tremava e Roxas aveva l'impressione che stesse ringiovanendo a vista d'occhio.

Prima che potesse rendersene davvero conto, tra le braccia aveva un ragazzo della sua stessa età.

- Basta una notte di riposo hai detto, no? - non sapeva perché, improvvisamente, sentiva un nodo alla gola così stretto che non riusciva a respirare. I suoi occhi correvano lungo il corpo all'apparenza fragile di Axel, si riempivano di lui e quel nodo si stringeva, si stringeva tanto da fare male. Ma lui non sapeva, non sapeva perché. Axel annuì, non aveva la forza di parlare. - Chi era...chi era quel...quello... -

Non sapeva neanche come dirlo. Al solo ripensare a quell'essere, i brividi tornarono a percorrergli la schiena, così forti che non poté non tremare tutto.

L'Angelo si allontanò appena da Roxas, raddrizzò la schiena e si resse in piedi da solo, rivolgendogli un sorriso di ringraziamento...un sorriso devoto, che nascondeva ancora quelle parole che gli aveva detto prima della fuga.

- Era un Arcangelo. - la voce più giovane di Axel faceva una certa impressione, forse in un altro contesto Roxas avrebbe riso. Era più carino, forse perché faceva tenerezza, con quei verdi occhi così grandi e profondi da brillare e i capelli rosso fuoco tirati su a spazzola. Il ragazzo non poté non chiedersi se le pettinature stravaganti andavano di moda nel mondo degli Angeli. - Il più potente tra gli Arcangeli, tra l'altro. -

- Te l'hanno messo alle calcagna? -

Axel scosse la testa, desolatamente.

- No...è qui di sua spontanea volontà. - sembrò che cercasse per un attimo una similitudine con il mondo umano per far capire a Roxas chi era quell'essere - È il braccio destro del boss, si occupa lui della prigione. È anche il migliore tra gli Angeli Guerrieri. Non deve aver preso molto bene il fatto che sono riuscito ad evadere... -

Un'altra serie di brividi percorse la schiena di Roxas.

- Ti darà la caccia finché non ti avrà preso, vero? Non c'è nessun posto dove possiamo nasconderci. -

- Sono contento che tu sia così intelligente. -

Ma quella frase aveva il suono di una condanna.



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The Corner

Premetto che non sarà una storia lunga, avrà un massimo di 4 capitoli (se tutto va bene) quindi non temete: niente storie incompiute.
La dedico tutta alla mia Roxas A. Destiny che è il motivo per cui ho ricominciato a scrivere, e per regalarle un lieto fine. <3

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Capitolo 2
*** Il Demone gentile ***


- 2 -

 

Essere in fuga con un Angelo aveva i suoi aspetti negativi, ma anche quelli positivi.

Per esempio, non ci si annoiava mai. C'era qualcosa nel suo modo di vivere il mondo degli umani che faceva sorridere.

Axel aveva detto di avere milioni di anni ma si comportava come se ne avesse dieci.

Guardava tutto, toccava tutto, voleva assaggiare tutto, correva dietro ad ogni cosa, e per Roxas era difficile andargli dietro senza perderlo di vista, anche se il fatto che fosse mezzo nudo e che avesse un paio d'ali nere lo rendeva abbastanza riconoscibile.

Il problema stava nel trovare scuse per il fatto che parlava da solo. Nessuno poteva vedere Axel, e questo era un bene, ma non era facile rivolgergli la parola in mezzo alla gente.

La fortuna di avere indosso gli stessi abiti da due giorni e di non essersi cambiato era che in tasca aveva ancora il suo telefono, l'ipod, il portafogli e cuffie auricolari.

Per una volta, nelle ultime settimane, la sfiga l'aveva lasciato stare.

Infilate le cuffie e collegate al telefono, Roxas poteva tranquillamente fingere di essere in chiamata con qualcuno e nessuno lo guardò più male.

Ma c'erano altre questioni da risolvere, come per esempio che i suoi genitori dovevano essersi accorti della sua assenza...ah sì, e che c'era anche un Arcangelo armato e con cattive intenzioni sulle loro tracce.

Dopo essergli sfuggiti sfruttando quello strano incantesimo di invisibilità, Axel aveva perso troppe energie per continuare a fuggire, e avevano finito con lo spendere quel poco di denaro che Roxas aveva in tasca per un letto in un ostello dove l'Angelo aveva dormito per tutto il giorno e la notte. L'indomani era tornato al suo aspetto di ventenne, ma loro erano ufficialmente al verde.

- Finché rimaniamo in mezzo alla folla, lui non potrà intervenire. Il fatto che sia tanto potente va tutto a suo sfavore quando ci sono tutti questi umani, i suoi poteri potrebbero coinvolgerli e non può di certo rischiare di fargli del male. -

Axel gli trotterellava affianco con un sorriso quasi vittorioso mentre Roxas alzava gli occhi al cielo e sospirava.

- E tutti gli altri Angeli Custodi? Ce ne saranno a centinaia qui, no? -

Rabbrividì appena rendendosi conto di quello che aveva appena detto e di conseguenza i suoi occhi blu saettarono ovunque alla ricerca di altre creature alate. Aveva l'impressione di scorgere qualcosa, ma sperò che fosse solo perché si stava autocondizionando e...perché era affamato.

- Oh gli Angeli Custodi di solito si fanno gli affari propri, hanno comunque un sacco di lavoro con i loro protetti, quindi non ci daranno conto. -

Anche lui guardò in giro, ma dalla sua espressione Roxas capì perfettamente che lui i suoi “ex colleghi” li vedeva eccome.

- Perché riesco a vedere l'Arcangelo e gli altri Angeli Custodi no? -

Anche se si augurava che rimanesse tutto così. La strada gli appariva affollata senza bisogno che si aggiungesse anche il traffico aereo di creature alate.

Axel si strinse nelle spalle.

- Non lo so. Ehi ci prendiamo delle crepes? -

Roxas sbuffò e, ancora una volta, alzò gli occhi al cielo.

- Non abbiamo più un soldo, con cosa le vorresti pagare? -

- Lascia fare a me. -

Quando la mano del ragazzo si strinse intorno al suo posto, Axel rabbrividì tutto, e così anche Roxas.

La sua pelle era fredda, come se fosse fatta di pietra, eppure era morbida e liscia.

In un istante tutti gli eventi di quegli ultimi due giorni tornarono a farsi più pressanti, vividi, intensi nelle loro menti.

Avevano fatto finta di nulla perché avevano dovuto correre e nascondersi per salvarsi la pelle, e Axel aveva dormito per tutto il tempo e non avevano avuto modo di parlarne, e quella mattina l'imperativo si era nuovamente spostato su scappare e nascondersi.

Ma adesso, quel contatto improvviso aveva riportato tutto a galla.

Roxas ritrasse la mano e distolse lo sguardo.

- Non usare i tuoi poteri. Non voglio che sprechi energie. -

Come aveva capito che Axel intendesse usare i suoi poteri, non lo sapeva, sapeva solo che ora l'Angelo si stava massaggiando il polso come se la sua mano avesse lasciato una traccia indelebile sulla pelle candida.

- Okay...ma allora come pensi di fare? -

- Prenderò una scelta sbagliata. -

Il sorriso che gli rivolse fece subito realizzare ad Axel che cosa voleva fare e non ci fu bisogno che gli dicesse che era una pessima idea: era o no stato licenziato? Poteva far finta di non vedere, per una volta.

C'era un mercato in città e l'aria profumava di mille spezie ed era impregnata di sapori e colori tutti che procuravano una tremenda acquolina in bocca. A Roxas sembrava di non mangiare da mesi per quanto gli brontolava lo stomaco.

In mezzo a tutta quella confusione non era difficile rubacchiare qua e là. Roxas era sfigato, sì, ma era comunque abile con le mani quando voleva.

Riuscì a racimolare della frutta e qualche caramella. Non proprio un pasto caldo e nutriente, ma almeno i gorgoglii del suo stomaco si sarebbero placati.

Axel fece una smorfia quando, rintanati in un vicolo, si dividevano il bottino.

- Rubare è sbagliato. -

Deformazione professionale, intanto però l'arancia che aveva tra le mani l'aveva squartata, non sbucciata.

- Lo so. Mangia. -

Anche se Axel fissò l'arancia sbucciata come se all'improvviso avesse un rimorso di coscienza e non volesse più mangiarla, mentre Roxas aveva già praticamente divorato la sua mela.

Alla fine fu la fame a far cedere il rosso, che si chiese subito se per caso la sua forza di volontà cominciava a mancare per colpa dei poteri che si affievolivano.

- Adesso dove andiamo? Non ho soldi per dormire in un qualsiasi albergo e dubito che potremmo scroccare una notte da qualche parte. -

- Forse so da chi potremmo andare. - mormorò Axel, mangiucchiando uno spicchio della sua arancia rubata, rubata - Anche se non posso starci a lungo. Diciamo...che se ringiovanisco fino all'età di due anni, mi porti via di corsa, va bene? -

Il fatto che lo dicesse con tanta tranquillità fece capire a Roxas che non era la prima volta che succedeva, e che la persona da cui sarebbero andati serviva solo per distoglierli dall'inevitabilità di quello che Axel aveva confessato.

 

Camminarono a lungo e a fatica, perché il rosso cercava di rimanere il più possibile su strade trafficate dov'era difficile anche solo muoversi.

Roxas si scoprì a guardarlo più di quanto fosse normale che una persona ne guardi un'altra.

Gli appariva chiaro che si stava impegnando tanto a dargli le spalle e a precederlo per più della semplice ragione che lui non conosceva la strada.

Il fatto che lui non provasse sentimenti sembrava a Roxas una scusa, o se ne voleva convincere perché era davvero troppo strano, troppo assurdo, che un Angelo Custode si fosse innamorato di lui?

Gli tornò in mente il primo pensiero che aveva fatto su Axel. Era stato una spia silenziosa e invisibile per molti anni, se anche escludeva gli avvenimenti di presunte vite passate, c'era comunque la sua di vita, quella di adesso. Erano già diciassette lunghi anni.

Da quanto tempo lo amava? Quando aveva cominciato a capirlo? Era in sé possibile una cosa del genere?

Axel era uomo o donna?

Mentre ci pensava, i suoi occhi percorrevano le spalle larghe, robuste, maschili, ma non poteva fare a meno di continuare a chiederselo.

Una volta suo padre, durante un litigio, gli aveva urlato “stiamo discutendo sul sesso degli Angeli!”. Roxas era stato così confuso da quella frase, di cui non conosceva il significato, che si era zittito e suo padre aveva creduto che gliela avesse data vinta. Subito dopo era andato a cercarla su internet, e aveva scoperto che il senso figurato di quell'espressione intendesse che l'argomento di una conversazione fosse assurdo e senza senso, su cui si sarebbe potuto litigare per sempre senza mai arrivare ad una soluzione: perché gli Angeli non avevano sesso, non erano né maschi né femmine.

Per questo non riusciva a smettersi di chiedersi se Axel fosse uomo o donna.

Avrebbe cambiato le cose saperlo? Lui, probabilmente, l'avrebbe amato comunque.

Forse era solo per far chiarezza nei propri sentimenti che aveva bisogno di una risposta.

Aveva visto migliaia di immagini, più o meno porno, che ritraevano bellissime ragazze vestite da angeli dai boccoli d'oro. Su quel tipo di angeli aveva fatto diversi pensieri, di apprezzamento il più delle volte.

Di certo Axel non era il tipo di Angelo che gli adolescenti desidererebbero come oggetto del loro amore.

A paragonarlo con l'idea eterea che aveva di un Angelo, faceva subito a cogliere le differenze. Tanto per cominciare le sue ali erano nere come quelle di un corvo, era maldestro, chiacchierone, era evaso di prigione, era stato licenziato, era inseguito da un Arcangelo terrificante.

Ed era innamorato di lui.

Si fermò nel bel mezzo della strada, Axel continuò a camminare, tutto immerso in un racconto di cui Roxas non aveva sentito neanche una parola.

Si accorse dieci passi dopo che stava parlando da solo, e allora si voltò.

In quel momento, con la folla che si apriva da un lato e dall'altro per evitare il ragazzo fermo impalato, gli occhi verdi di Axel si riempirono di qualcosa a cui Roxas non volle dare un nome.

Lo vide tornare indietro, camminando elegantemente con passi misurati, i piedi scalzi sembravano toccare appena il marciapiede, Roxas notò che alla caviglia aveva uno strano laccetto di cuoio con un campanello dorato attaccato ad un anellino.

Poteva non essere un Angelo come quelli che aveva visto nei film o che aveva immaginato, ma lo trovò bello, bello con le sue imperfezioni e i suoi difetti, e le ali nere.

- Perché ti sei fermato? Sei stanco? -

E così ingenuo da non accorgersi che era arrossito al solo rendersi conto di quello che aveva appena pensato.

- No, scusa, ero sovrappensiero. Andiamo. -

Stavolta fu Roxas a precederlo e a dargli le spalle. E, proprio come Axel, non lo faceva perché sapeva dove stava andando.

 

Roxas era stato diverse volte in quella parte della città. A volte, quando bigiava da scuola, gli piaceva passeggiare e scoprire nuove strade, nuovi vicoli, nuovi café dove andare a prendere una cioccolata o un cappuccino. Certo, le sue passeggiate si erano visibilmente ridotte da quando era diventato troppo sfortunato per fare due passi senza essere vittima di qualche incidente.

Nonostante le sue conoscenze delle strade e dei locali, il ragazzo non riusciva a riconoscere il café davanti il quale Axel si era fermato.

L'insegna al neon azzurro diceva “L'ala spezzata”, e il disegno luminoso rappresentava proprio un'ala spezzata a metà.

Roxas si guardò attorno, confuso. Sembrava che nessuno si accorgesse che proprio lì, tra una lavanderia a gettoni e una sala giochi, ci fosse un bar così particolare. Sembrava carino, almeno dalla prima occhiata. Le vetrate lucide lasciavano intravedere un interno moderno, affollato di giovani tra i diciotto anni e i trenta. Le cameriere, nonostante fossero vestite in modo elegante, avevano un tocco di sensualità esotica a cui era difficile dare una spiegazione. Servivano sia bevande fredde che calde, e Roxas intravide porzioni di dolci dall'aspetto invitante.

- Che posto è questo? -

Si trovò a chiedere il biondo, leggermente scettico, anche se non sapeva spiegarsi il perché.

- Un posto carino, ti piacerà. -

Ridacchiò l'Angelo.

Fu il primo ad entrare, subito seguito da Roxas. Sulla porta c'era un campanello che trillò allegramente. Una cameriera molto carina, con riccioli di un insolito color rosa pastello, si avvicinò a loro.

- Nihao! Benvenuti all'Ala Spezzata! Sono Marluxia in cosa posso...oh cielo, ma quello è un umano! -

E quella non è una cameriera, ma un camerieresbottò, sconvolta, mente di Roxas.

Era stato ingannato dai suoi docili lineamenti e dal fatto che sia uomini che donne indossavano la medesima divisa, camicia e pantaloni.

Alla sua esclamazione più di un paio d'occhi si puntarono su Axel e Roxas. Il biondo si ritrovò a rabbrividire mentre veniva squadrato in modo critico.

- È con me. Possiamo avere un tavolo per favore? -

Il cameriere (aveva detto di chiamarsi Marluxia?) esitò per un istante, poi dovette decidere che andava bene e li condusse ad un tavolino accanto ad una delle vetrate.

Per tutto il tempo, occhi troppo chiari e belli per essere umani seguirono i loro movimenti.

Roxas lasciò che lo sguardo rimanesse incollato su Marluxia, il tempo necessario per accorgersi che aveva un collarino di cuoio, simile alla cavigliera di Axel, stretto intorno al collo.

- Lui è...è un Angelo, non è vero? -

Bisbigliò il ragazzo, quando il cameriere si fu allontanato per andare a prendere due menù.

- Esatto. Questo è uno dei pochi, pochissimi locali, dove creature come noi possono ritrovarsi in pace, parlare, godersi una bevanda calda, staccare dal lavoro oppure nascondersi. -

- Nascondersi? -

Anche se non era proprio la prima domanda a cui voleva una risposta.

- Hai presente l'incantesimo con cui ho nascosto me e te dall'Arcangelo? Questo posto è protetto dallo stesso, identico incantesimo. Qui siamo al sicuro, almeno fino all'ora di chiusura. -

- Questo non risolve il problema, non abbiamo ancora un posto dove passare la notte. -

- Oh, non temere, ho una specie di amico che mi deve un favore e che bazzica spesso da queste parti, non ci resta che aspettarlo. -

E intanto godersi gli sguardi curiosi e preoccupati insieme con cui i presenti li squadravano.

- Il cameriere...perché non ha le ali? -

- Non sono mica comode per servire ai tavoli, le tiene solo nascoste con i suoi poteri. -

E, constatò Roxas, non era l'unico a farlo. Tutti gli altri camerieri sembravano normali camerieri. Volteggiavano tra i tavoli con grazia servendo sempre con sorriso.

Ora che ci faceva caso, alcuni astanti avevano ali più o meno bianche, ripiegate con cura dietro la schiena. Nessuno, però, sembrava averle completamente bianche.

Forse Axel si era dimenticato di dirgli che quel posto ospitava Angeli che volevano nascondersi e “staccare” per un motivo preciso. Che stessero scappando da qualcosa o qualcuno come loro?

- Scusate l'attesa, ecco i vostri menù. - Marluxia, nonostante fosse ancora un po' scosso, sorrise loro mentre porgeva ad entrambi il rispettivo menù - Gradite qualcosa da bere intanto che decidete? -

- Un espresso doppio e un caffè latte, va bene Roxas? - ma non aspettò che lui rispondesse, tanto che sorrise al cameriere che subito di dileguò tra i tavoli - Il tiramisù che fanno qui è molto buono, ma anche i club sandwich non sono male... -

- Axel...ci fissano tutti. -

Mormorò Roxas, stringendosi nelle spalle come per nascondersi da quegli sguardi curiosi. Se li sentiva tutti addosso, uno per uno.

- Ignorali, leggi il menù. -

Un po' come stava facendo lui che aveva il viso immerso tra le pagine plastificate.

Il biondo annuì, forse più a se stesso, e cominciò a dare un'occhiata alla lista. Per essere varia era varia, ma mancavano i prezzi. Si chiese se per caso fosse tutto gratis o se avesse un qualche altro strano modo di pagare.

- Posso prendere le vostre ordinazioni adesso? -

Sorrise Marluxia, sempre teso, tornando al loro tavolo e portando loro il caffè doppio e il caffè latte.

- Sì, un waffle con gelato per me. -

- Io prendo il tiramisù. -

- Ottima scelta. -

Sorrise e se ne andò, volteggiando tra i tavoli.

Roxas fissò quasi confuso la tazza che aveva di fronte a sé. Profumava di spezie, forse cannella, ma anche se non vedeva l'ora di mettere nello stomaco qualcosa di caldo, dubitava di quel contenuto preparato dalle mani di un Angelo.

- Ti farà sentire meglio, bevi. -

Neanche se gli avesse letto nel pensiero avrebbe potuto dire cosa più azzeccata, per questo sobbalzò quando Axel se ne uscì in quel modo. Osservò il liquido chiaro nella tazza per qualche istante, dopo di che lo sorseggiò con accurata lentezza. Dannazione se era buono.

Rimasero seduti a quel tavolo così a lungo che Roxas credette che ad un certo punto qualcuno sarebbe venuto a buttarli fuori, e invece l'unica persona che di tanto in tanto veniva da loro era Marluxia che gli riempiva le tazze di caffè o portava altri dolci.

Così il ragazzo ebbe tempo di realizzare e assaporare ogni sensazione che gli dava stare seduto in quel café.

C'erano Angeli che tenevano le ali maculate di nero in bella mostra, come se ne fossero fieri, altri che le nascondevano come Marluxia o che le avevano tanto piccole da poter essere coperta da una giacca.

C'era anche qualche Angelo bambino, che una volta bevuto o mangiato qualcosa acquistava le sembianze di un giovane uomo.

Probabilmente l'età media apparente di un Angelo in salute doveva essere dai venti a trent'anni.

Roxas si chiese perché Axel gli avesse raccomandato di portarlo fuori se avesse dovuto ringiovanire troppo: a lui sembrava che fosse nel pieno delle sue forze.

Evidentemente il café “L'Ala Spezzata” non era la loro ultima destinazione.

 

Con il passare del tempo, il ragazzo aveva assaggiato tutte le specialità sul menù, e fu quando stava dando l'ultimo morso ad una ciambella che un brivido gelido gli colse la schiena, come se uno spiffero d'aria l'avesse colpito in pieno.

Si voltò automaticamente verso la porta del locale che proprio in quel momento si stava aprendo. La figura che, con lento incedere, si stava facendo avanti, aveva tanta oscurità addosso quanta luce aveva l'Arcangelo.

Era avvolto in un cappotto di pelle nera lucida, con catenelle che pendevano dal colletto, guanti neri che fasciavano le mani e stivali del medesimo colore. Se non fosse stata per i capelli, sarebbe stata una visione completamente oscura: aveva una cascata di lucidissimi capelli argentati, come se gli avessero colato dell'argento fuso tra le ciocche, anche se, forse, non era quella la cosa più sbalordiva. Legata sul volto a coprire gli occhi, l'essere teneva una benda nera, eppure si muoveva come se ci vedesse benissimo.

Marluxia lo accolse con la stessa allegria con cui accoglieva tutti gli altri clienti, eppure un velo di gelido terrore era sceso su tutti i presenti.

- Oh, ecco la persona di cui ti parlavo. -

Esclamò Axel, contento come una pasqua, neanche se da quella porta fosse entrata sua madre e non quella creatura inquietante.

In ogni caso, la sua frase, seppure detta a mezza voce, dovette essere arrivata in qualche modo alle orecchie dell'essere che subito diresse la testa verso di loro.

Roxas si sentì squadrato dai suoi occhi anche erano ben nascosti dalla benda che aveva sul viso.

Mormorò qualcosa a Marluxia che annuì con un sorriso e poi gli venne incontro.

Il biondo avrebbe voluto urlare qualcosa come “vattene via!”, istericamente anche.

E invece l'essere, che era certo non si trattasse di un Angelo, si sedette al loro tavolo, le labbra dritte in un'espressione neutra eppure così carica di buio.

- Axel. Sapevo che ti avevano incarcerato. -

Esordì la creatura. La sua voce era tagliente almeno come lo sguardo che teneva nascosto sotto la benda.

- Ciao anche a te Riku, è un piacere rivederti. -

- Ti sei portato dietro il tuo protetto? -

La cosa che fece irritare Roxas fu che l'essere non lo degnava di alcuna attenzione, teneva la testa rivolta vero Axel come se lui neanche fosse seduto a quel tavolo, e da come aveva esordito gli era chiaro che avrebbe parlato di lui come se fosse solo con l'Angelo.

- Sì, sono successe un po' di cose...speravo di incontrarti veramente, abbiamo bisogno di un posto dove dormire almeno stanotte, domani andremo altrove, e pensavo che avresti potuto aiutarci. -

Gli occhi blu di Roxas si sgranarono. Era impazzito o cosa? Andare a casa di quella creatura così, a cuor leggero? Ma se sembrava pronta ad ucciderli in qualsiasi momento, anche lì, in quel café così tranquillo.

- Sei sempre il solito. - all'improvviso, come se si fosse accertato che nessuno lo stava guardando, la creatura sorrise, e Roxas trovò quel sorriso estremamente cordiale e gentile. Cozzava così tanto con il suo abbigliamento, con l'oscurità che gli aleggiava tutto intorno che quasi gli si spezzò il cuore. - Vi ospiterò per tutto il tempo che volete, ma bada che non potrò fare niente se dovessi esaurire le tue energie. -

- Lo so, per questo c'è Roxas con me, non preoccuparti. -

Finalmente Riku, visto che era quello il suo nome, voltò la testa verso il ragazzo che stavolta non si sentì trattato come l'ultimo essere sulla faccia della terra, anzi: c'era una viva curiosità nella piega delle labbra dell'albino.

- Come ti sei trovato in questo pasticcio, eh? - non era una domanda a cui bisognava rispondere, dato che riprese subito a parlare - Sei il primo umano che mette piede all'Ala Spezzata da molto tempo. L'odore della tua presenza si sente fino a fuori, spero che chiunque vi stia cercando non l'abbia già individuato. -

Roxas ripensò all'Arcangelo e gli venne una fitta allo stomaco.

- Non abbiamo intenzione di fermarci a lungo, aspettavamo te, adesso sei arrivato, quindi direi che è tutto apposto. -

Rise Axel, ma Roxas poté benissimo vedere che anche lui doveva aver avuto paura per quella constatazione, perché aveva la pelle d'oca.

- Bene, ma sono venuto qui per un latte alla nocciola, se non vi spiace. - come a dire, con un sorriso, che avrebbero dovuto aspettare ancora un po' - Dopotutto, penso che il tuo protetto non sia entusiasta all'idea di entrare in casa di un Demone. -

 

Che stupido. Avrebbe dovuto immaginarlo!

Se esistevano gli Angeli, allora dovevano esistere anche i Demoni.

Il fatto che Axel avesse sorvolato su quel “piccolo” particolare fece credere a Roxas che non c'era per niente da stare tranquilli.

Un Demone. Un Demone!

Però, a parte le tetre apparenze, che Riku tra l'altro sembrava intenzionato a mantenere, non sembrava un Demone così spaventoso.

Certo sembrava potente, molto più di quanto lo fosse Axel, però non sembra così...demoniaco.

Quando ebbe finito, con tutta la sua calma, di mangiare la sua cheesecake, sospirò, posò la forchetta, si asciugò le labbra pallide, e alzò la testa come se stesse rivolgendo lo sguardo all'Angelo e al ragazzo.

- Possiamo andare. -

Non aggiunse altro, semplicemente si alzò, aspettandosi forse che i due gli andassero dietro...e infatti così fecero.

Roxas non vide nessuno dei due pagare, l'unica cosa simile ad un pagamento fu un sorriso grato che Axel rivolse a Marluxia mentre uscivano.

Una volta fuori, il ragazzo si rese conto di quanto l'aria nel café fosse diversa rispetto a quella di fuori; era come se fino a quel momento fosse rimasto in apnea, quasi soffocato da tutti quei profumi speziati e dolciastri, e ora fosse tornato nuovamente a respirare. Eppure non si era accorto di niente, finché non aveva rimesso piede fuori.

 

La casa di un Demone, secondo Roxas, avrebbe dovuto essere una specie di maniero abbandonato con ragnatele e pipistrelli, come quella di un vampiro.

Invece Riku abitava in un bell'appartamento, non grande, non spazioso, eppure ordinato, pulito, arioso, anche se era in un vicolo discosto dalla strada principale.

Non appena si fu chiuso la porta alle spalle, il ragazzo si accorse che Axel cominciava già a ringiovanire. Non era un po' più basso? Si disse che forse era colpa dell'energia “demoniaca” di Riku...anche se non poteva non chiedersi come mai lo pensasse con tanta tranquillità senza rimanere sconvolto o turbato dalla situazione.

Era così desensibilizzato da poter accettare Angeli e Demoni senza batter ciglio?

- Mettetevi pure comodi, fate come se foste a casa vostra. -

Un Demone gentiluomo, constatò Roxas.

Osservò i gesti eleganti di Riku mentre si toglieva il pesante cappotto di pelle. Sotto, aveva indosso abiti abbastanza colorati, considerando che era un Demone: un jeans blu, un gilet nero con sopra un giacchino bianco bordato di giallo, scarpe da ginnastica bianche. Tanto impegnato nel guardare il suo abbigliamento, non si accorse che si era tolto anche la benda.

Dovette incrociare il suo sguardo, e fu come se un fulmine l'avesse percorso da capo a piedi. Anche lui, come Axel, aveva occhi chiarissimi, tanto chiari da sembrare quasi finti. Erano di un intenso color acquamarina, brillante e vivo, anche se il suo incarnato era pallido e marmoreo.

Per la prima volta, Roxas realizzò di essere di fronte ad una creatura oscura: bastava guardare quegli occhi per capirlo.

Quando Axel gli poggiò una mano sulla spalla, il biondo quasi saltò in aria, tanto era rimasto in tensione.

- Non guardarlo troppo, lo sciupi. -

Ridacchiò l'Angelo, l'espressione divertita sul volto giovane.

- Ah-ah, che simpatico. -

Ribatté invece il Demone.

Ed eccole lì, quando si volse le vide: due ali ripiegate dietro la schiena, ali di pipistrello, molto più grandi e più resistenti, all'apparenza composte di velluto morbido e nero intenso.

No, Roxas non poteva proprio fare a meno di guardarlo.

- Com'è che...siete amici voi due? -

Fu l'unica cosa sensata che gli uscì dalle labbra.

L'Angelo e il Demone si scambiarono un'occhiata divertita. Sembrava ci fosse un'intesa contrastante tra loro.

- Non siamo amici. -

Ci tenne a puntualizzare Riku, con un tono di voce che rasentava il disprezzo, piuttosto contenuto.

- Samo più nemici che amici in effetti. -

Annuì Axel, accarezzandosi il mento con due dita come se questo lo aiutasse a riflettere meglio.

- E allora? -

- Axel mi ha aiutato in una certa situazione, e io sto ricambiando aiutandolo adesso, tutto qui. -

Lo sguardo che si scambiarono fu pieno di parole sottintese, come se entrambi stessero pensando a quella “certa situazione” che aveva portato un Angelo e un Demone a trovarsi nella stessa stanza.

Roxas aggrottò le sopracciglia, confuso sulle reali intenzioni e sull'orientamento etico di Riku, e dei Demoni in generale, però lasciò le sue domande relegate in un angolo della mente.

 

Nonostante il fatto che Riku e Axel fossero “nemici”, a detta loro, convivevano abbastanza serenamente e Roxas si chiese se non fosse per una questione di orgoglio se non accettavano di essere davvero amici.

Andavano d'amore e d'accordo, e i loro punzecchiamenti non potevano definirsi vere cattiverie.

Evidentemente, qualsiasi cosa gli fosse successa, li aveva legati più di quanto fossero disposti ad accettare.

Approfittando del fatto che i due stessero battibeccando mentre giocavano alla playstation (sì, Riku aveva qualsiasi console si potesse desiderare), Roxas andò un po' a curiosare in giro.

L'appartamento sembrava avere più stanze di quante ne potesse avere uno normale.

C'era il salotto, la cucina, la stanza da letto, il bagno, un ripostiglio...e un lungo corridoio su cui si aprivano una decina di porte.

Possibile che fossero tutte stanze da letto?

Roxas ebbe paura di scoprirlo, per cui si tenne alla larga e tornò in ritirata nel salotto.

A vederli giocare, e litigare, con gli occhi chiari fissi sullo schermo, Axel e Riku si sarebbero detti essere ragazzi normali, che si divertivano in modo normale e che avevano un'amicizia normale.

Ma bastava guardarli bene per rendersi conto che non era così, e che di normale in loro non c'era assolutamente niente.

Si sedette sulla poltrona ad osservarli e rifletté che lui cose del genere non le aveva mai fatte con nessuno.

Non aveva amici, non quel genere di amici con cui ci si può rintanare a casa a giocare ai videogiochi almeno. Pur di avere compagnia intorno a sé aveva fatto cose di cui si pentiva (anche se ormai non sapeva più se erano decisioni che aveva preso liberamente o sotto la spinta di Axel) e a costo di rovinarsi era diventato il burattino di ragazzi più grandi che l'avevano solo sfruttato e poi abbandonato.

Con espressione truce pensò a tutte quelle volte che si era reso disponibile per coprire quelli che riteneva essere “amici”. Cominciava a credere di meritarsi di essere finito nella situazione in cui si trovava adesso.

Pensò ai suoi genitori, che molte volte l'avevano messo in guardia; pensò a quante volte li aveva ignorati apostrofandoli con cose come “voi non mi capite” perfettamente adatte alla sua età di adolescente. E ora, nel silenzio della sua mente, gli stava dando ragione.

Chissà come avrebbero gongolato se avessero saputo.

Adesso dovevano essere a casa, e un minimo di preoccupazione per la sua sparizione dovevano pur averla.

Si chiese se in casa di Riku ci fosse anche un telefono oltre alla ps3 e lasciò che lo sguardo vagasse in giro per cercarlo...per poi bloccarsi. Che cosa avrebbe mai potuto raccontargli? Che era a casa di amici? Che non sarebbe tornato neanche quella sera? Qualsiasi storia provasse a mettere su aveva degli irrimediabili buchi nella trama.

Sospirò, forse sarebbe stato meglio lasciar perdere. Al suo ritorno il sollievo per essere ancora vivo (ammesso che quell'Arcangelo non li avesse trovati) avrebbe annullato qualsiasi altra emozione, o almeno così sperava.

- Rox, dammi il cambio. -

Praticamente Axel infranse ogni suo pensiero lanciandogli tra le mani il joystick, non senza incorrere nelle proteste, inascoltate, di Riku.

C'era qualcosa nello sguardo verde di Axel che fece pensare al ragazzo che avesse intuito i suoi pensieri e captato il suo amareggiamento. Che il suo umore potesse essere risollevato da una partita alla play (e che Axel lo sapesse) era tutta un'altra storia.

Gli infilò una mano tra i capelli biondi, rivolgendogli una delicata, quanto carica d'affetto, carezza e trotterellò in cucina senza che lui potesse dirgli nulla.

- Fammi vedere come giochi, Umano. -

Ghignò il Demone al suo indirizzo, mentre sullo schermo appariva la scritta “Ready? Fight!” e Roxas annegava i brutti pensieri in un combattimento all'ultimo sangue con una creatura che fino a qualche giorno prima non esisteva.

 

Poggiare le spalle su di un letto morbido e la testa sul cuscino scacciò via ogni forma di ansia e preoccupazione. Poco importava se quel letto e quel cuscino si trovavano in casa di un Demone e che, fino a prova contraria, lui era un fuggitivo senza casa e senza famiglia.

Si sistemò le coperte, tirandole quasi sopra al naso, e stava già per assopirsi quando qualcuno violò il caldo del suo giaciglio e gli si sdraiò accanto.

- Axel...! -

Bofonchiò, mezzo addormentato e parecchio scocciato.

L'Angelo, però, non sembrava avere l'intenzione di spostarsi, anzi, se possibile si strinse più a lui.

Entrare in casa di Riku aveva messo in moto il misterioso meccanismo per cui un Angelo perde energia e ringiovanisce e adesso Axel, dopo aver passato tra quelle quattro mura tutta la giornata, appariva come un quattordicenne dall'aria birbante, ben visibile anche nella penombra della stanza.

- Non ci sono altri letti. -

Fu la sua giustificazioni, ma Roxas storse il naso: era una così palese bugia che sembrava che l viso dell'Angelo si rifiutasse di accettare, tanto era contratto in una smorfia.

- Mi devi stare per forza così appiccicato? -

- Sono il tuo Angelo Custode, devo farlo. -

E detto questo gli si avvicinò ancora, abbracciandolo.

Era piccolo abbastanza per sparire in quell'abbraccio, stretto al suo petto, e Roxas si sentì andare a fuoco, mentre il cuore prendeva il volo.

- Sei stato licenziato, non sei più il mio Angelo Custode. - inutile ribattere, dato che Axel sembrava ben intenzionato a non lasciarlo andare. Caldo era caldo, sembrava di abbracciare una stufa elettrica. - Axel? Sei caldissimo...non avrai la febbre, vero? -

Lui scosse la testa e si accoccolò di più tra le sue braccia, sospirando.

- È questa casa, consumo energie. Ora possiamo dormire? -

Roxas alzò gli occhi al cielo.

Come avrebbe potuto dormire stretto in quell'abbraccio imbarazzante?

Provò a divincolarsi una volta sola, poi capì che il rosso non si sarebbe mosso di mezzo millimetro, per cui non poté fare altro che sospirare e arrendersi all'evidenza.

 

La mattina successiva Roxas aprì gli occhi lentamente. Il cervello assonnato non ne voleva sapere di funzionare decentemente e per questo ci impiegò il doppio del tempo per riuscire a svegliarsi.

Il fatto, poi, che avesse la faccia schiacciata contro un petto nudo e caldo non rendeva più semplice il riprendere lucidità.

Batté le palpebre diverse volte prima di mettere a fuoco la persona che lo stava strizzando in quell'abbraccio caldo.

Axel!

Era nuovamente cresciuto, e teneva la testa pigramente appoggiata contro la sua.

Roxas trattenne il respiro. Quei cambiamenti continui gli distruggevano il cervello!

Con la coda dell'occhio riuscì a guardare la sua espressione beata, addormentata e così innocente che non si potrebbe fargli una colpa per essere così stretto a lui.

Però, Roxas era un essere umano, un essere umano di sesso maschile, e come tale aveva certi inconvenienti mattutini che, con la sfortuna che si portava dietro, non tardarono ad arrivare.

Quando sentì tra le gambe la chiarissima, imbarazzante, abituale sensazione, il viso gli divenne rosso più dei capelli dell'Angelo.

Pregò in tutte le lingue del mondo (dato che, se esistevano gli Angeli, probabilmente esisteva un Dio a cui rivolgersi) che Axel non si svegliasse, non prima che lui riuscisse a liberarsi dalla sua stretta e filare in bagno, lontano dalla sua vista, lontano dalla vista di chiunque.

Ma perché pregare quando il suo Angelo Custode era stato licenziato e lui era in balia degli influssi della sfortuna?

Axel aprì gli occhi, sembrava infastidito, con la bocca appena storta in una smorfia e le sopracciglia aggrottate. Dovettero passare solo pochi secondi prima che capisse che cosa stava succedendo, tant'è che un sorriso sostituì quella smorfia.

- Buongiorno anche a te, Roxas. -

Se esistesse una definizione visiva della parola “imbarazzo” probabilmente sul dizionario metterebbero il viso di Roxas ritratto in quel particolare momento.

Con il fiato a stento trattenuto e la voglia di prendere a pugni il viso angelico di Axel, il biondo si divincolò con forza, finché non riuscì a liberarsi. Con un unico balzo raggiunse il bagno e sbatté la porta tanto forte che anche Riku, dall'altra parte dell'appartamento, poté sentirlo.

L'Angelo ridacchiò. Si prese tutto il tempo di questo mondo per mettersi seduto, stiracchiarsi, aprire e chiudere le ali intorpidite perché ci aveva dormito sopra, e raggiungere la porta del bagno.

Bussò con una nocca, una volta sola, aspettandosi una risposta che era ovvio che non sarebbe arrivata.

- Dai Rox, ti ho visto fare di peggio. -

Aveva un sorriso diabolico sulle labbra mentre lo diceva, altro che Angelo!

Roxas immerse la testa sotto il getto d'acqua gelido del rubinetto, ordinando al suo attrezzo di placarsi e dargli tregua. Ma il cuore gli batteva fortissimo, troppo forte, e l'adrenalina che aveva in circolo non gli permetteva di calmarsi. Gli sembrava di trovarsi in un orribile incubo.

- Axel, gira a largo! -

Gli urlò, disordinatamente, troppo in fretta, con troppa rabbia. La cosa non fece che far ridere di più l'Angelo.

- Sto entraaaando! -

Canticchiò il rosso, muovendo su e giù la maniglia della porta. Anche se era chiusa a chiave (grazie al cielo) il fatto che lui stesse provando ad aprirla fece cadere nel panico il povero Roxas.

Perché non c'era mai una fossa in cui sotterrarsi quando ne aveva bisogno?

- Ragazzi, colazione è pronta! -

Fortunatamente fu lo stomaco vuoto di Axel a salvare il ragazzo dallo sfacelo emotivo.

 

A tavola, Roxas si sedette con un broncio che gli arrivava fino ai piedi, mentre Axel spazzolava tutto il commestibile mangiando a due mani.

- La Gola non è un peccato? -

Commentò, le braccia strette al petto, l'espressione di chi vorrebbe insieme sparire e uccidere.

Axel gli rivolse solo un'occhiata, una di quelle che intendono che ha sentito ma che sottintendono che non ha capito.

- 'pecato 'oppe 'gie. -

Fu la sua risposta, data con la bocca piena di toast al prosciutto e salsicce arrostite.

Riku inarcò un sopracciglio, osservando tutto da sopra la sua tazza di caffè nero. Scosse la testa, come a dire che era sempre il solito, e spiegò lui che cosa Axel avesse voluto dire.

- Il cibo che vedi su questa tavola sono come quelli dell'”Ala Spezzata”. Anche se i tuoi occhi li vedono come normalissimi generi alimentari, sono in realtà creati con energia spirituale che serve come ricarica istantanea per creature come noi. Stando in questa casa, Axel spreca molte energie, mangiando compensa. -

La smorfia poco convinta di Roxas lasciò spazio ad altre domande, come: “E per me questo cibo va bene?”. Però tenne tutto per sé, limitandosi a versarsi una tazza di latte caldo in una tazza accompagnata da qualche biscotto al cioccolato.

Mentre immergeva un paio di cucchiaini di zucchero dentro il latte, a Roxas balenò in mente il fugace pensiero che non potevano rimanere a lungo lì, e automaticamente rivolse lo sguardo ad Axel, che stava infilando una ciambella coperta di glassa tutta intera in bocca.

Almeno Riku non badava a spese quando si trattava di saziare un Angelo.

- Adesso dove andremo? Dubito che io possa tornare a casa, ma non possiamo stare neanche qui. Quindi qual è il tuo piano? -

Prima di poter rispondere, il rosso dovette bere due bicchieri di succo per permettere a tutto quello che aveva nell'esofago di raggiungere lo stomaco.

Sospirò, mezzo soddisfatto dalla luculliana colazione (mista tra dolce e salato) e allora rivolse il primo sguardo serio a Roxas.

Con quell'espressione apparentemente neutra, le sopracciglia dritte, le labbra senza un fremito e gli occhi brillanti, al ragazzo parve per la prima volta un Angelo maestoso.

- Potresti tornare a casa, ma è probabile che a questo punto sappiano che abbiamo avuto un contatto, per cui non si faranno scrupoli ad usarti per arrivare a me. -

A Roxas sembrò di aver appena ricevuto un pugno dritto allo stomaco.

- Ma che diavolo di gente è? Senza offesa, Riku. - riferito al “diavolo”. Il Demone si strinse nelle spalle scuotendo la testa argentea, come a dire che non era un problema. Quella mattina non portava la benda, ma la frangetta era sistemata in modo che gli facesse ombra sugli occhi. Che non sopportasse la luce del sole? - Cioè, dovrebbero essere...buoni, no? Invece da come ne parli sembrano disposti a tutto per catturarti, anche a fare del male. Com'è possibile? -

Axel scambiò una breve occhiata a Riku, un'occhiata probabilmente carica di parole che non potevano essere dette ad alta voce. Roxas percepì una strana elettricità nell'aria, fin quando il Demone non discostò lo sguardo, improvvisamente impegnato a riempirsi di nuovo la tazza di caffè.

- Potrei provare a spiegarti, ma infrangerei un sacco di regole, davvero un sacco, e la cosa non farebbe che metterci entrambi nei guai. Sai già più di quanto sia consentito sapere ad un normale essere umano. Sappi solo che la nostra Legge è imprescindibile e le punizioni crudeli. Siamo entità devote al bene, è vero, ma è il vostro bene; sin dall'inizio dei tempi ci hanno insegnato a comportarci come ingranaggi di un grande meccanismo, e come tali veniamo trattati: se una delle rondelle non dovesse più girare o funzionare, non verrebbe oliata o riparata, ma direttamente eliminata. -

- Ma è crudele! -

Nessuna delle due creature trovò di che ribattere.

Cos'era “crudele”?

Sia l'Angelo che il Demone ripensarono alla propria eterna vita, senza trovarci niente di “crudele” ma solo “necessario”.

Avere un paio d'ali, non significa necessariamente essere liberi.

 

Dopo il breve scambio di battute, sia Axel che Riku si chiusero in un ostinato silenzio da cui non ne vollero sapere di uscire, cosa che lasciò Roxas anche troppo solo con i suoi pensieri.

Tutto d'un tratto gli sembrava di essere in presenza di esseri traballanti ed effimeri che non si riflettevano nello specchio e che potevano sparire da un momento all'altro.

Una sensazione di solitudine che gli fece venire la pelle d'oca su tutto il corpo, nonostante non facesse freddo.

In ogni caso la permanenza in casa del Demone era stata anche troppo duratura, e poche ore dopo la colazione Axel proclamò che era ora di andare.

Riku fu gentile nel salutare Roxas, scompigliandogli i capelli come ormai aveva capito amavano fare le creature sovrannaturali. Quel tocco, però, gli fece percorrere il corpo di nuovi, tetri brividi: era come essere toccati dalla mano fredda di un cadavere e nonostante il sorriso cordiale, fu quella l'ultima, precisa sensazione che il ragazzo conservò del Demone.

Tornando all'aria aperta, come quando era uscito dall'”Ala Spezzata”, Roxas si accorse che fino a quel momento gli era mancata l'aria, come se qualcosa si fosse seduto sul petto all'ingresso in casa di Riku e si fosse alzato solo in quel momento, uscendone. Quell'impressione, però, poteva essere percepita solo nel breve istante del primo respiro preso mettendo piede fuori per la prima volta, il che vuol dire che al contrarsi dei polmoni era già sparita.

Axel non aveva una meta precisa verso cui andare, ma sembrava non esserne particolarmente preoccupato. Il sole splendeva, lui aveva la pancia piena, aveva dormito abbracciato al suo Roxas: per quanto poteva interessargli, avrebbe anche potuto morire in quel momento, sarebbe stato felice.

Era diverso per Roxas. Pensava a cosa li aspettava da quel momento in poi, se la minaccia alata dell'Arcangelo fosse così terrificante come aveva annunciato Axel. Pensava a dove avrebbero trascorso quella notte, a cosa avrebbero mangiato, a quando avrebbe potuto farsi un'altra doccia: pensieri tutti umani che non turbavano minimamente l'Angelo dalle ali nere, che tutto contento gli camminava davanti, perennemente vestito con quella stoffa bianca appena sufficiente per coprirgli le parti intime e le ali ripiegate dietro la schiena.

Se aveva timore per il futuro, lo nascondeva davvero bene.

Forse aveva un piano che non poteva o voleva dirgli, e per questo era così sereno mentre avanzavano in una strada già affollata di prima mattina; forse conosceva altri Demoni e Angeli e bar come l'”Ala Spezzata” dove potevano chiedere asilo.

Forse.

In ogni caso non sembrava intenzionato a dire niente a Roxas.

Spazientito da quel silenzio, che durava da quando avevano lasciato l'appartamento di Riku, e dalla sua solare quanto insensata felicità, il ragazzo afferrò l'ala di Axel, rabbrividendo per la morbidezza improvvisa delle piume tra le mani, cosa che lo costrinse a fermarsi.

- Ahi! -

Commentò solo, senza perdere l'espressione ebete e contenta.

- Dove stiamo andando? -

- In giro! -

Il sole doveva avergli dato alla testa, non c'era altra spiegazione. Roxas gli lasciò andare l'ala, ma in compenso gli rivolse la più arcigna delle espressioni.

- Mi sono stancato di andare in giro, mi sono stancato di venirti dietro e mi sono stancato di non sapere niente! -

Axel sospirò, come se si fosse preparato psicologicamente per quando lui se ne fosse uscito con quelle parole.

- Lo so, ma sto pensando a cosa è meglio fare. - ecco che tutta l'allegria sul suo viso sparì, cancellata da un'espressione seria, come se non ci fosse mai stata gioia nei suoi occhi. Che avesse assunto quell'atteggiamento per rassicurarlo? Perché ora che non sorrideva più, Roxas sentì il sole farsi più freddo, il cielo più scuro, e il cuore più pessimista. - Non voglio metterti in pericolo più di quanto sei, per questo non posso dirti tutto, te l'ho già spiegato. Ho bisogno di riflettere e camminare mi aiuta. - un fremito percorse le sue ali, e lui le aprì un poco, come per sgranchirle - La ferita che mi sono fatto cadendo sta guarendo, potrei essere in grado di volare anche stasera, e allora potrei portarti lontano, dove potresti essere al sicuro. Ma non so se abbiamo tempo e non so dove posso nasconderti mentre aspettiamo. -

Benché capisse che lo stava facendo per lui, Roxas provò un moto di orgoglio infantile nel dire:

- Non ho bisogno di essere protetto in questo modo, posso cavarmela da solo. -

- Roxas, non ti sei accorto che finché sei stato con me non ti è accaduto niente? -

In effetti, non era stato colpito da nessun frisbee vagante, non era inciampato in una pozzanghera, non gli si erano strappati i pantaloni e non aveva sbattuto il muso contro nessun vetro invisibile: insomma, sembrava che la sfiga l'avesse momentaneamente abbandonato. Ammettendo che l'essere inseguito da un Arcangelo guerriero non fosse sfiga.

- E quindi? Che vuol dire? -

- Finché siamo insieme posso proteggerti dagli influssi negativi, di ogni tipo. Ti sto già proteggendo. -

Un altro moto d'orgoglio, cosa che fece pestare un piede a terra a Roxas.

- Non mi stai proteggendo! Sono dovuto scappare da casa e sono finito in un mondo assurdo pieno di Angeli e Demoni, che protezione è questa?! -

- Quella che posso darti con i pochi poteri che mi sono rimasti. -

- Bhé, non è abbastanza! Forse hanno fatto bene a licenziarti! -

Per Axel dovette essere un duro colpo, perché per la prima volta da quando l'aveva incontrato, Roxas poté vedere sul suo viso un dolore senza nome e senza forma, che aveva il suo domicilio nella ruga che increspava atrocemente la sua fronte. Non c'erano lacrime per quel dolore, ma solo il silenzio attonito di chi riprende fiato dopo una lunga apnea. Forse il ragazzo avrebbe preferito vederlo di nuovo piangere piuttosto.

Però era umano, era fragile, era presuntuoso e orgoglioso, e come tante altre volte quel suo essere semplicemente quello che era gli si ritorse contro.

Senza pensarci gli volse le spalle e cominciò a correre.

L'Angelo non trovò neanche le parole per provare a fermarlo.

 

Roxas corse finché non ci fu più aria nei suoi polmoni e le gambe non gli cedettero per la stanchezza.

Aveva gli occhi appannati di quelle che si rifiutava accettare come lacrime mentre dentro il petto gli bruciava il cuore, palpitante contro lo sterno.

Lontano dalla folla, lontano dal caos, poté fermare il corpo stanco, abbandonandolo in un vicolo in cui l'unica forma di viva consisteva in un gatto, arrabbiato, che gli soffiò contro e gli graffiò la gamba: Axel era lontano e la sua sfortuna era tornata.

Lasciò la schiena scivolare contro il muro finché non si ritrovò accoccolato su se stesso, le ginocchia strette al petto e la testa bionda affondata tra esse.

Non si colpevolizzava per quello che era appena successo, né si lasciò andare alla lacrime, ma una buona dose di amarezza e rimpianto gli cosparse la lingua, tanto che dovette sputare un grumo di saliva per cercare di togliersi quel gusto dalla bocca, un tentativo inutile.

Rimase accucciato lì per un tempo che gli parve essere infinito, autocommiserandosi e attirando fiotti di ombre tutto intorno a sé.

Quando alzò lo sguardo e si trovò appiccicato sul piede una specie di enorme lumaca nera, fece un salto e se la scotolò via con un'irruenza tale che la lumaca, o qualsiasi cosa fosse, atterrò diversi metri più in là. Ma non era sola, anzi, oltre a quella che aveva scalciato via c'erano un centinaio di altri esseri simili, alcuni dalle sembianze di grosse formiche con gli occhi gialli.

Non sembravano volergli fare del male fisico, ma più si avvicinavano più si sentiva scoraggiato, triste, in procinto di scoppiare a piangere. In più, quando un'altra di quelle cose lo toccò, un vaso cadde da un balcone e si infranse a pochi centimetri dai suoi piedi, riempiendogli le scarpe di terra.

Allora erano quegli esseri che portavano la sfortuna nella sua vita! Fino a quel momento non li aveva potuto vedere ma ora...ora li vedeva eccome.

Si chiese se Axel sapesse della loro presenza da sempre e se non gliene avesse parlato per non spaventarlo, si chiese se era da quello che cercava di proteggerlo.

All'improvviso gli si mozzò il fiato con un singhiozzo e la voglia di piangere fu tanto inarrestabile che le lacrime gli solcarono le guance senza che lui potesse in alcun modo arrestarle.

Si asciugò gli occhi con il dorso delle mani, urlando:

- Andate via! Lasciatemi in pace! -

Ma lasciarsi toccare da una di quelle creature voleva dire attirare una sventura, potenzialmente mortale come il vaso caduto dal balcone.

L'unica via d'uscita che vide fu quella di scappare, scappare finché non se le fosse lasciate alle spalle.

Saltellando nei punti vuoti che quelle formiche nere lasciavano nel tentativo di raggiungerlo, Roxas uscì fuori dal vicolo e si lanciò in strada. Una macchina per poco non lo investì, nello schivarla arrivò addosso ad un cameriere che stava servendo del caffè caldo che ovviamente gli si versò addosso. Mentre chiedeva scusa, pietà e perdono, uno di quegli esseri gli si avvinghiò alla gamba e con un piede pestò le feci ancora calde di un cane.

E come se non bastasse non riusciva a smettere di piangere.

Si sentiva lentamente impazzire e la sua corsa sconclusionata non era più diretta in nessun luogo, era solo un disperato tentativo di scappare alla mala sorte e alle creature nere che non volevano lasciarlo.

Capì con orrore che si cibavano dei sentimenti devastanti che gli squarciavano il petto, che godevano nel causargli una sfortuna dopo l'altra, e che non era il solo ad esserne perseguitato: poteva vedere, chiaramente, come ogni essere umano fosse circondato da un piccolo gruppetto di di formiche nere che con le loro zampette tentavano di toccarlo. Ma, a differenza di Roxas, non riuscivano mai a sfiorarlo, c'era come un bagliore dorato tutto intorno alle persone, che il ragazzo attribuì alla presenza invisibile di un Angelo Custode.

Si sentì così stupido e arrabbiato con se stesso che forse fu per questo che andò a sbattere contro un petto ampio, enorme, e rigido senza rendersene conto.

Però, tutto d'un tratto, non aveva più quel bisogno spasmodico di piangere, si sentiva come confortato e le formiche dagli occhi gialli erano svanite: non lo seguivano più!

Si stava chiedendo se non fosse un miracolo quando una mano lo afferrò per la maglietta e lo tirò su con uno strattone e lui si ritrovò davanti un viso che avrebbe fatto volentieri a meno di vedere per il resto della sua vita: una cicatrice a X tra gli occhi che erano oro vivo, una cascata di capelli di zaffiro, le labbra dritte e serie.

L'Arcangelo.

Il cuore mancò un battito e si sentì mancare il terreno sotto ai piedi, benché, tecnicamente, dato che l'Arcangelo lo teneva sollevato era una sensazione fisica.

Profumava di incenso speziato e forte, come se da qualche parte nella veste candida che indossava avesse nascosto un turibolo acceso. Un odore che fece subito venire la nausea a Roxas.

- Che fortuito incontro. -

La sua voce era gelido e duro marmo, tanto dolorosa per le sue orecchie quanto adatta per il pulpito di una cattedrale.

Con la maestosità di un Papa che alza le braccia al cielo per dare la benedizione al popolo, l'Arcangelo spiccò il volo, tenendo il ragazzo attonito saldamente tra le braccia.

Ite missa est.

Deo gratias.

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Capitolo 3
*** Il Giudice Supremo ***


- 3 -

 

Roxas rotolò scompostamente sul pavimento freddo di una cella. Pesanti grati di metallo scivolarono alle sue spalle, annunciando che la porta era stata chiusa.

Gli occhi blu saettarono da una parte all'altra nell'istintiva ricerca di una via di fuga. Quando si rese conto che la cella non aveva neanche una finestra, si avvicinò piano alle spalle, spesse quanto un suo braccio, per sbirciare fuori.

L'Arcangelo, dopo averlo sbattuto dentro, non aveva avuto neanche l'accortezza di girare lo sguardo su di lui. Come se fosse un essere vivente di razza inferiore, semplicemente aveva voltato le spalle e se n'era andato, cosa che glielo aveva fatto odiare più di quanto già non lo odiasse.

- Sì, vattene che è meglio. -

Si ritrovò a biascicare Roxas, allontanandosi dalle sbarre ghiacciate.

Si trovava quasi sicuramente nella stessa prigione di cui gli aveva parlato Axel.

Come aveva fatto l'Angelo a scappare?

Le pareti erano spesse almeno due metri, le sbarre erano robuste, non c'erano finestre né carcerieri a cui rubare un mazzo di chiavi: sembrava una prigione inespugnabile, dall'interno quanto dall'esterno.

L'arredamento era, ovviamente, piuttosto spartano: c'era un letto dal materasso liso, una coperta ruvida usata e riusata chissà quante milioni di volte, un buco sul pavimento che doveva fungere di sicuro come latrina, un lavandino sgangherato e una mensola con su libri dalla copertina tutta strappata e mangiata da umidità e tempo.

Niente altro.

Non essendoci finestre non poteva affacciarsi per vedere dove si trovava, né se fosse notte o giorno in quel posto.

Sbuffando come un treno si lasciò cadere sul letto, l'espressione crucciata di un innocente ancora incredulo.

Il pensiero, inevitabilmente, andò ad Axel.

Dov'era? Che cosa stava facendo? Sapeva che era stato catturato?

Era tutto come aveva detto: lo stavano usando per arrivare a lui. Era stato così stupido ad allontanarsi!

Ora sì che avrebbe voluto piangere, ma per qualche ragione si sentiva così sereno che l'unica emozione che riusciva a provare era uno sbigottimento sottile, simile a quando si apre un pacco di cui si conosce il contenuto con la vana speranza che dentro ci sia qualcosa di diverso.

Quella sensazione non veniva di certo da dentro di lui, no, gli era stata imposta da qualcun altro in modo da lasciarlo inerme e privato di emozioni più pericolose come rabbia e odio che un prigioniero sviluppa naturalmente.

Si chiese anche se fosse possibile manipolare i suoi sentimenti, ma si rispose che si trovava in un regno ultraterreno, probabilmente nei pressi del Paradiso, in presenza di Angeli e Demoni, e che quindi una cosa del genere era di certo possibile.

 

Rimase rannicchiato sul letto per un tempo che gli parve infinito. E, d'altronde, in quel posto chiuso e claustrofobico non aveva modo di percepire il passare delle ore.

Chissà da quanto tempo lo tenevano lì dentro.

Giorni? Mesi? Anni?

Si chiese, ancora una volta, come stessero i suoi genitori, se avessero provato a rintracciarlo, se fossero preoccupati, o se, visto che non sapeva effettivamente quanto tempo era passato, avevano smesso di cercarlo ed erano andati avanti con le loro vite.

Si sentiva vecchio e stanco e aveva timore al solo pensiero di incrociare una superficie riflettente: e se avesse scoperto di essere diventato vecchio mentre era chiuso in quella cella?

Quei pensieri angoscianti e folli non gli davano tregua e da qualche parte nella sua mente cercava di dirsi che era tutta colpa di quel posto, del potere che lo permeava: c'era qualcosa di pesante e dolente nell'aria, una polvere antica che si attaccava ai suoi polmoni e non gli permetteva di ossigenare il cervello, ormai stanco e distrutto per quell'attesa.

Quando sentì lo scalpiccio di passi lungo il corridoio portò se stesso verso le sbarre, trascinandosi come se avesse dolore in tutto il corpo e non riuscisse più a muoversi correttamente.

Si ritrovò a guardare dal basso verso l'alto l'Arcangelo severo che l'aveva sbattuto in cella.

Non sorrideva, non sembrava arrabbiato, in realtà aveva un viso completamente privo di emozioni che fece venire a Roxas un lungo brivido.

Forse Axel non aveva mentito quando aveva detto che gli Angeli non potevano provare sentimenti.

- Mi segui con le tue gambe o devo trascinarti? -

Sentire di nuovo quella voce fredda fece tremare il ragazzino che per nulla al mondo si sarebbe fatto trascinare per la seconda volta da quell'essere marmoreo.

Nel silenzio dei suoi pensieri, si chiese da quale basilica o cattedrale fosse scappato, e chi fosse lo scultore che aveva messo così tanti dettagli su di lui da renderlo anche troppo vero.

- Cammino. -

Riuscì a dire, ma aveva la voce arrochita dalla sete, anche se non l'avrebbe ammesso con nessuno di sentirsi disidratato e affamato.

L'Arcangelo non fece alcun cenno di assenso, tanto che Roxas si chiese se avesse capito quello che gli aveva detto.

Si limitò ad aprire la cella, con un mazzo di chiavi magicamente apparso tra le sue mani, e lui sgusciò fuori consapevole del fatto che non aveva via di fuga neanche lì fuori: anche se fosse scappato non sapeva dove andare, ed era praticamente sicuro che l'Arcangelo l'avrebbe afferrato per la collottola non appena l'impulso nervoso di scappare fosse arrivato alle gambe dal cervello.

Quindi non fece storie e seguì l'essere alato con il capo chino, timoroso di tenere gli occhi a portata dei suoi, così liquidi da poterci annegare.

Fissando così intensamente la veste dell'Arcangelo si accorse della cintura sottile di cuoio intrecciato con l'immancabile campanello che gli stringeva la vita: se mai l'avesse rivisto, avrebbe dovuto chiedere ad Axel perché tutti gli Angeli portavano addosso una cosa simile.

 

I corridoi attraverso il quale l'Arcangelo lo guidò sembravano tutti uguali ad una prima, superficiale occhiata. Non erano altro che una lunghissima successione di celle con sbarre spesse, alcune vuote, altre abitate da Angeli esili, quasi opalescenti, tutti giovani o bambini, con le ali nere.

Roxas capì con orrore che quella sarebbe stata la fine di Axel: rinchiuso per tutta l'eternità in una di quelle celle, a consumarsi come una candela, fino a sparire.

Rimase scioccato alla vista del contenuto dell'ultima cella del corridoio, tanto che sbiancò e dovette fermarsi per placare la nausea e il disgusto: oltre le sbarre c'era una veste bianca, piume nere ovunque, e al centro un neonato dalle scheletriche ali che dibatteva i pugnetti chiusi in una disperata richiesta d'aiuto. Aveva occhi troppo grandi e troppo profondi per sperare che non comprendesse che cosa gli stava succedendo: sembrava anche troppo consapevole della sua sorte, e per questo non piangeva, non si lamentava, agitava solo i pugnetti, come un qualunque neonato, respirando affannosamente.

- Muoviti. -

Lo riprese l'Arcangelo, e Roxas fu costretto ad ubbidire.

Quell'immagine, però, gli si impresse a fuoco negli occhi, tanto che uscendo dal corridoio continuò ancora a lungo a vederla davanti a sé.

Decise che, per quanto lo riguardava, le creature che avevano fatto una cosa del genere non erano Angeli, ma mostri dal piumaggio candido.

 

Nel camminare nei corridoi umidi di quella prigione, Roxas capì che doveva essere un edificio molto grande e che doveva trovarsi diversi piani sottoterra: non una sola finestra, non uno spiraglio di cielo, non un soffio di vento.

L'Arcangelo lo affiancava come una silenziosa sentinella. Dopo quel suo “muoviti” non aveva aperto bocca, e lui si era ritrovato immerso nel silenzio dei propri pensieri.

Ora che era lontano dalla sua cella tornava lentamente in grado di pensare e provare emozioni, emozioni forti e rabbiose: doveva essere stato proprio qualcosa nell'aria a renderlo apatico e stanco. Ma, considerò con un brivido, non era di certo colpa di un incantesimo gettato sulle celle: doveva essere semplicemente la disperazione che permeava l'ambiente.

Ovunque lo stesse portando, sapeva solo che stavano salendo verso l'alto, perché avevano percorso diverse rampe di scale e lui aveva il fiatone per quanto i corridoi risultavano essere in pendenza.

Non avrebbe permesso all'Arcangelo di riprenderlo ancora, per questo il suo passo era veloce e non esitante, anche se si sentiva stanco e affamato.

Quando ormai pensava che non avrebbero mai smesso di camminare, la creatura si arrestò di fronte ad una porta di legno tanto robusto quanto vecchio che Roxas si chiese da quale albero ormai estinto fosse stata ricavata.

La aprì, con il suo mazzo di chiavi magico che saltava fuori dal nulla, e invitò il ragazzo con un unico, inquietante sguardo ad entrare.

Roxas non se lo fece ripetere, perché quell'occhiata diceva molto più di quanto potessero dire le parole, ed entrò nella stanza.

Subito dietro di lui, la porta si chiuse con uno schianto che lo fece saltare in aria per la paura. Una paura che durò relativamente poco dato che si trovava in una ricca sala da pranzo, tanto in contrasto con i corridoi bui e malsani della prigione che Roxas si chiese se per caso quella porta non l'avesse condotto in un luogo del tutto diverso.

L'ambiente, illuminato da grandi vetrate che erano piccoli capolavori di mastri vetrai, sembravano l'enorme interno di una chiesa. I vetri colorati non permettevano di vedere cosa ci fosse fuori, ma la cascata calda di luce che gettava il sole non lasciava dubbi: era sicuramente giorno, o erano tanto vicini al sole che la notte non poteva esistere. Il pensiero fece tremare Roxas mentre avanzava nella stanza, anche se c'era un piacevole calore e una soffusa sensazione di pace.

I suoi passi rimbombavano sul pavimento di marmo, tanto lucido che facendo attenzione avrebbe potuto scorgere il proprio riflesso nelle piastrelle ben levigate.

Era l'interno di una chiesa, non c'era dubbio, o almeno era la cosa più vicina ad una chiesa, pur essendo completamente diversa.

Non c'era musica nell'aria, non c'era odore di incenso, non c'erano candele accese né statue di santi o ritratti del Bambinello con la Madonna. Era come se l'architetto avesse costruito una salone con gli stessi espedienti architettonici che avrebbe usato per costruire la navata centrale di una chiesa.

Non sentendosi invogliato a rimanere troppo vicino alla porta dove di certo era rimasto, in presidio, l'Arcangelo, Roxas si fece avanti nella sala deserta.

- Ehilà? C'è nessuno? -

Più camminava più si rendeva conto che quella sala era davvero immensa.

Addossate alle pareti c'erano dei banchi da chiesa.

Forse, più che una sala da pranzo, era un'enorme sala d'attesa.

- Scusa se ti ho fatto aspettare. -

La giovane voce alle sue spalle, comparsa dal nulla, lo fece sobbalzare tanto che la persona a cui apparteneva diede in una risata.

Roxas si voltò, e cercò con tutto se stesso di tenere la bocca chiusa e di limitare la sua espressione di sorpresa.

Axel era bello, Riku era bello e, che il cuore lo perdonasse, anche l'Arcangelo crudele era bello, ma la creatura che aveva davanti lo era cento volte tanto, mille, un milione! Non aveva parole parole per descriverlo.

Con corti capelli bruni spettinati all'insù sconfiggendo la forza di gravità, in modo sbarazzino, incorniciavano un viso dolce e gentile; l'Angelo non sembrava essere più vecchio di Roxas. Il corpo minuto era fasciato in una tunica bianca finemente ricamata d'oro, era scalzo ma non sembrava essere un problema. Soffermandosi a guardare, Roxas constatò che non aveva lacci di cuoio e campanelli da nessuna parte. Le ali erano di un bianco accecante, grandi il doppio di lui. L'aureola d'oro puro sospesa sopra la sua testa brillava di luce propria e seguiva ogni suo movimento.

Ma di una bellezza ben più che mozzafiato erano gli occhi dello stesso colore del cielo, profondi, ampi, misteriosi e brillanti allo stesso modo.

- Io sono Sora. -

Disse, accompagnando quelle tre parole con un sorriso dal candore accecante.

Roxas si sentì all'improvviso sporco e indegno al suo cospetto, piccolo e inutile come un insetto.

A pelle sentiva che Sora (le due sillabe del nome rotolavano luminose sulla lingua) era molto di più di Axel, molto più dell'Arcangelo. Il che sento “più” non avrebbe saputo dirlo, ma era di più.

- Io sono Roxas... -

Ma qualcosa gli disse che lo sapeva già, non volle dirglielo solo perché era estremamente cordiale e gentile.

- Avrai fame, vieni ti faccio mangiare qualcosa. -

Il piccolo Angelo lo precedette lungo la sala.

Così impegnato a osservare la lucentezza delle sue ali, ripiegate con grazia dietro la schiena, Roxas non si accorse che di fronte a loro era comparsa magicamente una tavola da pranzo, imbandita a festa, con sopra qualsiasi cibo avrebbe potuto desiderare.

- Prego, serviti pure. -

Sorrise Sora.

Dapprima titubante, poi mosso dalla fame come un animale, Roxas prese un piatto vuoto e pian piano lo riempì come gli era capitato di fare alle feste a cui aveva partecipato.

Solo che quel buffet sovrannaturale era ben più di quello che qualunque ristorante avrebbe mai potuto servire.

Assaggiò delle pizzette mignon di un gusto così bilanciato tra il dolce della pasta e il salato della salsa che quasi gli venne da piangere; divorò delle fritture di verdura dalla crosta dorata che si scioglieva in bocca; provò un delizioso purè di patate vellutato come una crema.

Se era quello il modo in cui si mangiava in Paradiso, bhe, Halleluja!

Cercò di non sembrare ingordo, ma quel cibo era così buono che riusciva a contenersi a stento: avrebbe voluto mangiare a due mani e riempirsi la bocca di tutto quello che gli capitava a tiro.

Quando ebbe la pancia piena cominciò a chiedersi per quale motivo l'avesse nutrito con quei cibi così raffinati se era un prigioniero.

E se fosse stato l'ultimo pasto prima delle pena capitale?

Con tranquillità constatò che non gli dispiaceva affatto: con la sensazione dello stomaco pieno poteva morire felice.

- Ti senti meglio? -

Chiese l'Angelo, piegando appena la testa di lato in un'espressione così adorabile che Roxas avrebbe voluto mangiarlo di baci e coccole.

- Sì, grazie. -

Mormorò lui, cercando di darsi un contegno dopo l'essersi divorato una quantità esorbitante di cibo, ultraterreno tra l'altro, e di dubbia provenienza.

Scrutò la creatura con occhi curiosi.

Dov'era l'inghippo?

Doveva per fora esserci, sembrava tutto così bello in quel momento!

- Immagino che adesso tu voglia delle risposte. -

Roxas deglutì a fatica un nocciolo di paura e inquietudine: gli aveva forse letto nel pensiero? Per la prima volta volta credette che una cosa del genere fosse realmente possibile.

- In effetti... -

Fu la sua sussurrata risposta.

Come in presenza di una sacra reliquia, Roxas non riusciva a parlare a voce troppo alta davanti a lui.

Sora annuì, senza perdere il sorriso che era praticamente il suo segno distintivo (dopo la fulminante bellezza). Schioccò le dita, nuovamente, e la tavola imbandita scomparve (con dispiacere di Roxas) per lasciare posto a due comode poltrone.

Lui si accomodò per primo e solo quando gli diede il permesso anche Roxas si sedette.

- Dimmi pure. -

- Ecco... - gli sembrava di non conoscere nessuna parola adatta per rivolgersi all'Angelo, e qualsiasi certezza avesse avuto fino a quel momento era crollata. Per di più aveva paura di offenderlo facendogli qualche domanda sconveniente. - Vorrei sapere dove siamo. -

Concluse alla fine, sperando di non aver detto qualcosa di male.

Sora giunse le mani, riflettendo attentamente. In quel modo sembrava solo più attraente.

- Tecnicamente, questo è quello che tu chiameresti “Paradiso”, anche se gli Esseri Umani, come avrai saputo, non muoiono, ma le loro anime rinascono per tutta l'eternità. Per essere precisi ti trovi in una delle sale pensate per accogliere le anime in transito, affinché si riposino prima della rinascita. - Roxas evitò di pensare alla parola “fantasma”, però lo fece e gettò un'occhiata tutto intorno, cosa che lo fece rabbrividire - Sei il primo essere in carne ed ossa che vi entra, in ogni caso. Qui, di solito, accogliamo solo creature spirituali. In fatti dovrai scusarci se il cibo non è stato di tuo gradimento, noi non abbiamo il senso del gusto, ci basta che sia nutriente e carico di energie, quello per noi è un “buon cibo”. -

Roxas ripensò a quello che aveva mangiato negli ultimi giorni: il tiramisù all'”Ala Spezzata”, la colazione a casa di Riku, e ora quel pasto degno di un peccato di gola. Se quello era il cibo che mangiavano loro, il cosiddetto “cibo senza gusto”, si chiese come dovesse essere se fosse stato preparato per gli umani che, invece, il senso del gusto lo avevano eccome. Probabilmente, si disse Roxas, una cosa così buona avrebbe anche potuto far impazzire una persona.

- Era tutto buonissimo, non c'è ragione di scusarsi. - sospirò il ragazzo, al solo pensare alla bontà di quelle pizzette - Posso...posso chiedere perché sono stato sbattuto in prigione e ora mi tratti come se fossi un ospite? -

Forse lo disse con un po' di acidità in più, più di quella, almeno, che sarebbe consentita in presenza di una creatura buona e pura come Sora.

L'Angelo sospirò e scosse appena la testa.

- Saix è un Arcangelo, ma è anche un guerriero, a volte gli viene difficile capire quali sono i nemici e quali gli amici. Per esperienza personale non gli vanno molto giù gli Angeli Custodi e i loro protetti, cosa che lo rende un po'...come dire...sgarbato. -

Roxas aggrottò le sopracciglia. No, doveva aver capito male.

- Quell'Arcangelo arcigno è stato un Angelo Custode? -

Sora non rispose, fece solo un cenno con la testa, che Roxas prese per un sì.

Automaticamente gli venne da spalancare la bocca in un'espressione di sorpresa. Come poteva quell'essere senza cuore, freddo come il marmo di una cattedrale, essere stato un Angelo Custode?

- Non posso darti tante spiegazioni a questo proposito, mi spiace. -

Concluse da solo che i laccetti di cuoio con i campanelli li indossassero solo gli Angeli che erano o erano stati dei Custodi, come Marluxia e Saix (anche se pensare al suo nome gli provocava un brivido poco piacevole lungo tutta la spine dorsale).

Non rimaneva che chiedersi che fine avessero fatto i loro protetti, ma qualcosa diceva a Roxas che sarebbe stato meglio non chiedere: se nel caso di Saix un “avanzamento di carriera” da Angelo Custode ad Arcangelo poteva significare che il suo protetto era entrato nelle “grazie di Dio”, allora il protetto dell'Angelo Marluxia, che lavorava in un bar clandestino per creature ultraterrene, doveva essere un'anima dannata.

Roxas non poté fare a meno di chiedersi che cosa ne sarebbe stato di sé...e di conseguenza di Axel.

Lo immaginò a marcire per tutta l'eternità in quella prigione, sempre più debole, sempre più giovane, fino a ridursi come il neonato che aveva visto nell'ultima cella: inerme, indifeso, infreddolito. Innocente. Perché se Axel era in quei pasticci, buona parte della colpa era sua: aveva fatto del suo meglio per portarlo sulla retta via, era stato lui a ignorare i suoi consigli e fare continuamente di testa propria.

Ripensò a come l'aveva aggredito, a come si era rivolto a lui, e desiderò con tutto se stesso di averlo lì a fianco per potersi scusare, dirgli quanto gli dispiaceva di essere scappato via.

Non stava scappando da lui, ma dalla paura che aveva di affrontare se stesso.

Gli gli bruciavano di lacrime quando riprese a parlare.

- Che cosa succederà adesso ad Axel? -

La delicata creatura bruna per un momento perse il sorriso. I suoi occhi si rabbuiarono a tal punto che Roxas temette che il cielo stesso di fosse oscurato.

- Quell'Angelo ha infranto molte delle nostri Leggi. Era in prigione in attesa di un processo ed è scappato. Ora è latitante e ha messo in pericolo te che sei un essere umano. Tutte queste cose, cumulate insieme, gli riserveranno la pena di morte. -

- No! - un groppo stringe improvvisamente la gola di Roxas, così forte che si sente mancare l'aria - Non potete fargli questo, non mi ha messo in pericolo, io sto benissimo...! -

- Così bene che ti trovi in un mondo spirituale con il tuo corpo fisico, dopo essere stato in una delle nostre prigioni. Sei stato aggredito da creature fatte di pura oscurità. La tua anima si sta corrompendo lentamente: questo lo chiami “stare benissimo”? - severo, Sora lo guardò come se fosse un giudice e Roxas non poté che farsi piccolo e tremante al suo cospetto - Ti ha rivelato cosa che non avresti mai dovuto sapere e ti ha portato in luogo che non avresti mai dovuto vedere. Ha condannato entrambi con le sue azioni. -

Il biondo sentì un brivido prendergli il cuore che batté una volta più forte.

- Che vuol dire...? -

- Che finché Axel non si farà vivo e non presenzierà all'udienza, tu non potrai tornare nel tuo mondo. In base alla sentenza, sapremo cosa ti aspetta. Ma non temere - tornò a sorridere, cordiale, come se non stesse per fargli una sconvolgente rivelazione - sono quasi sicuro che ti cancelleranno la memoria e ti faranno tornare alla tua vita. -

Roxas ebbe davvero paura, non per la sua sopravvivenza, ma per la prospettiva di perdere per sempre le cinque parole che gli aveva detto Axel: “Perché sono innamorato di te”.

Deglutì a fatica, sentendo la gola improvvisamente diventata ruvida.

- Non voglio dimenticare. -

Anche se si trattenne dal dire che cosa non voleva dimenticare.

L'Angelo fece un sospiro e per un momento Roxas si sentì come se avesse fatto la cosa peggiore del mondo: intristire un Angelo così bello? Che bestemmia!

Poi ricordò che cosa gli aveva appena detto, e tutto il senso di colpa svanì come neve al sole.

- Questo è segno di quanto Axel sia colpevole di tutti i capi di accusa. -

- No...io...lui...! -

Ma non sapeva davvero cosa dire.

Qualsiasi cosa avrebbe detto, sarebbe stata usata contro il suo Angelo Custode. Il suo ex Angelo Custode.

- Non siamo preparati per la presenza di un essere umano, e sei stato ingiustamente chiuso in cella solo perché non sapevamo bene come comportarci con te. Ora, abbiamo discusso con il Capo. - a quella parola Roxas fece un sobbalzo sulla poltrona. “Capo”, chiamarlo Dio sarebbe stato troppo in sua presenza? Oppure “Dio” era la parola che usavano gli uomini per definirlo e, per chi lavorava per lui, era semplicemente “Capo”? - In attesa di Axel, rimarrai nostro graditissimo ospite. - questa volta il ragazzo ebbe l'impressione che “ospite” fosse inteso con il significato di “prigioniero”: metterlo in una cella o metterlo in una stanza d'albergo non faceva differenza se non poteva andarsene. - Per il momento non toccheremo i tuoi ricordi, perché probabilmente dovrai testimoniare contro l'Angelo, però perdonami, nel cibo che ti ho dato c'era del narcotico, a breve ti addormenterai. Non posso proprio farti vedere cosa c'è qui fuori mentre ti conduco al luogo dove potrai riposare. -

Roxas deglutì a vuoto, la gola sempre più stretta da un moto di rabbia e frustrazione.

Lo trattava con condiscendenza, perché era solo un piccolo, inutile essere umano, una creatura tanto fragile quanto stupida.

Doveva essere protetto, perché altrimenti non avrebbe sopportato il carico emotivo di quell'esperienza, almeno da quello che Sora lasciava capire, ma al ragazzo sembrava solo che avessero troppo da nascondere per essere delle creature angeliche e paradisiache.

Forse il Paradiso non era bello come aveva sempre pensato.

Man mano che la sostanza contenuta nel cibo delizioso che aveva mangiato cominciava a fare effetto, Roxas si sentiva sempre più stordito e non riusciva neanche a ribattere alle parole dell'Angelo bellissimo.

Lui continuava a sorridere, come se non gli importasse di nulla di quanto gli aveva appena detto.

Testimoniare contro Axel, poi! Che assurdità!

Non avrebbe mai detto una sola parola contro di lui.

Anche se gli aveva stravolto la vita e l'aveva immischiato in cosa all'apparenza più grandi di lui, non aveva niente di che rimproverargli. Per la prima volta nella sua vita da quando quella sfortuna aveva cominciato a perseguitarlo, era riuscito a dare il giusto valore ad ogni cosa, a pensare più rapidamente di quanto potessero fare le apparenze, ad usare anche gli occhi del cuore per giudicare una creatura, con le ali candide o da pipistrello.

E loro volevano che testimoniasse a sfavore? Che lo aiutasse a condannarlo?

Piuttosto, si disse, avrebbe affrontato la pena con lui.

Si chiese se anche questo modo di pensare avrebbe potuto aizzare la giuria contro Axel, e lo sconforto che ne seguì fu attutito dalla morbida sensazione dello schienale della poltrona contro la guancia: era sprofondato nel sonno, e neanche se n'era accorto.

 

*

 

Per migliaia di anni una sola cosa per lui era stata importante: la salvaguardia dell'esistenza di quell'anima speciale che per lui era Roxas.

Quando l'aveva visto per la prima volta aprire gli occhi su un mondo molto diverso da quello in cui viveva oggi, con un altro nome, un'altra vita, ma con la stessa essenza, capì immediatamente che si sarebbe innamorato di lui.

Per un po' aveva pensato che fosse normale, d'altronde era stato creato per stargli accanto, accompagnarlo per tutta l'eternità, le loro esistenze, seppur divise da un muro invisibile, erano e sarebbero state sempre legate: e la prova era il laccetto di cuoio che teneva alla caviglia.

Poi però aveva capito che c'era qualcosa di diverso nel modo in cui si prendeva, silenziosamente e quasi di nascondo, cura di lui.

C'era troppa attenzione ai dettagli, troppo interesse, troppo coinvolgimento emotivo.

Lui non poteva provare sentimenti, eppure quella piccola creaturina bionda, bionda fin da quando era apparsa per la prima volta sulla Terra, lo faceva sentire come se avesse un cuore.

Che stupidi, poi, gli essere umani: non era mica dal cuore che derivavano i sentimenti.

Axel l'aveva studiato a fondo per cercare di risolvere il dilemma che ormai da troppo tempo lo tormentava.

Un cuore, un muscolo, un organo creato con l'esclusiva funzione di pompare il sangue nel corpo, come poteva essere il centro delle emozioni?

Anche la sua creaturina si era interrogato a proposito, durante il corso delle sue innumerevoli vite, e avevano scoperto insieme tante cose, avevano imparato tante cose, avevano preso tante scelte, alcune delle quali clamorosamente sbagliate.

Ma Axel non si sentiva come tutti gli altri Angeli Custodi. Lui non riusciva a imporre la sua volontà sul suo protetto, lui non voleva vederlo come una marionetta nelle sue mani, lui non voleva che fosse diverso da quello che era, perché, cuore o no sentimenti o no, l'amava così, semplicemente perché era lui, con quell'aria innocente che assumeva quando sbagliava e cercava di capire il perché, con quella zazzera incolta di capelli biondi che le ere, i millenni, la morte e la rinascita non erano riuscite a domare, con gli stessi occhi blu cielo mai alterati dal tempo.

Le sue ali, per questo, non erano mai state bianche, neanche una volta, e non perché Roxas fosse un'anima tormentata e crudele come ne aveva viste, ma perché non si sforzava di forgiarlo ad immagine e somiglianza dell'essere perfetto che avrebbe dovuto essere.

Era diverso per Saix, quando ancora accompagnava il suo umano. Lui era sempre stato ligio al dovere, aveva reso il suo protetto un accolito della religione, un prete, un devoto oratore, e infine un santo, il massimo a cui un Angelo Custode dovrebbe aspirare.

Lui, invece, il suo Roxas l'aveva visto a malapena entrare in una chiesa, a malapena credere in un Dio, a malapena considerare l'idea di accostarsi alla religione.

Però l'aveva visto felice.

Anche se la felicità era a malapena considerata da chi non poteva provarla.

Aveva nascosto la presenza dei suoi sentimenti finché qualcosa in petto non era esploso.

Boom boom boom come colpi di cannone contro il torace, un dolore interno che prometteva di ucciderlo.

Se per tutti quegli anni, per tutte quelle vite, era riuscito a trattenersi, in quel momento non ci era riuscito.

1491: era stata la prima volta che si era mostrato a lui, e non l'ultima.

In quell'occasione gli avevano mostrato quanto fosse facile cancellare quel poco che aveva costruito, sbeffeggiandolo.

“Guarda come è facile dimenticare l'amore”, gli avevano detto, e il suo Roxas, con gli occhi innaturalmente spenti, all'improvviso non era più “suo”: era un estraneo che alla sola vista delle sue ali nere avrebbe urlato, che l'avrebbe scambiato per l'Angelo della Morte, che sarebbe scappato via.

Questo, però, non gli aveva impedito di riprovarci.

Nel 1810 aveva trovato il coraggio e la forza per apparirgli ancora, con quel boom boom boom nel petto che lo squarciava in due ad ogni parola che si sforzava di dirgli per non spaventarlo.

L'amore è una cosa troppo grande per tenerla nascosta, ma ancor di più per mostrarla al mondo.

L'aveva perso per la seconda volta ed era stato ammonito: se avesse tentato ancora di comunicare con lui, sarebbe stato punito.

E se doveva essere punito quale sollievo migliore ci sarebbe stato di parlargli un'ultima volta?

Forse covava in silenzio la speranza che, da qualche parte, i ricordi del passato vivessero ancora, anche se sapeva per certo che non poteva essere possibile.

Era stato quel tentativo disperato a costargli il licenziamento e la prigione.

Ma lui si era arreso?

No, il boom boom boom nel suo petto non gli avrebbe permesso di arrendersi.

Ridotto all'ombra di se stesso, devastato dall'amore, l'aveva cercato ancora, si era mostrato a lui ancora.

Sotto la pioggia, con un'ala spezzata e senza più la forza di celarsi nell'ombra.

Che egoista era stato. Per pura testardaggine non aveva voluto lasciarlo andare, non gli aveva permesso di continuare la sua vita in pace.

Ma davvero poteva lasciarlo con la consapevolezza di quello che, per colpa sua, di lì in poi gli sarebbe successo?

O era solo il suo egoismo a cercare una via d'uscita?

L'amore è un essere indegno, si lascia indietro vittime, e non risparmia il carnefice.

 

Rannicchiato in angolo buio, ansante per lo sforzo di concentrazione, Axel sapeva cosa sarebbe successo adesso. L'aveva visto succedere così tante volte che non ne aveva neanche paura.

Roxas non sarebbe stato più il “suo” Roxas, e stavolta per sempre.

Con la testa tra le gambe e il petto che gli bruciava, sapeva che doveva fare qualcosa, sapeva che doveva combattere, sapeva che doveva sacrificarsi ancora una volta per lui.

Quello che non sapeva era se il suo sacrificio sarebbe valso a qualcosa.

Catturato da Saix e portato in luoghi in cui gli umani non dovrebbero stare, Roxas rischiava la vita molto più di quanto la rischiasse lui.

Che sporco ricatto, usarlo per attirarlo in una trappola, per portarlo in Tribunale dove la sentenza era già stata scritta millenni prima.

Non gli rimaneva che scendere a patti con loro.

Si alzò, la decisione che tendeva tutti i muscoli del corpo slanciato, gli occhi verdi come vetro di bottiglia rivolti ad un cielo che non era mai stato clemente con lui.

L'ala non era ancora guarita e volare gli provocava dolore, ma non era niente in confronto al dolore sordo della disperazione che gli artigliava la carne del petto e scuoteva ogni fibra del suo essere.

Ad ogni battito d'ali, ad ogni stilettata di dolore, desiderava solo poter riportare indietro Roxas, salvarlo, a costo di essere dimenticato, a costo di marcire per l'eternità in una cella: non avrebbe più tentato la fuga, mai più, se avessero risparmiato lui.

Lui che sarebbe stato il suo unico pensiero finché avrebbe avuto la capacità di pensare.

 

Il candore accecante di quel luogo gli ricordava puntualmente quando fosse fuori posto, così come gli sguardi attoniti degli Angeli che lo fissavano incedere verso il Cherubino bruno che lo stava aspettando.

Il verde degli occhi si specchiò nel blu dei suoi, ed entrambi seppero che quel giorno sarebbe finita.

- Axel. -

Sorrideva sempre, forse non sapeva neanche cosa voleva dire davvero “sorridere”, ma immerso com'era nella beatitudine divina non se lo chiedeva neanche.

- Sora. -

Il respiro di chi gli stava intorno era sospeso, le volute bianche di nuvole solide sotto i loro piedi aleggiavano basse come una candida nebbia, occhi di cristallo simili a gemme li scrutavano con qualcosa di simile alla curiosità.

Axel sorrise all'idea che stava dando spettacolo. La pena di morte in Paradiso era ancora contemplata.

Se doveva andarsene, se ne sarebbe andato in un'esplosione di fuoco e fiamme, scuotendo chiunque gli fosse vicino.

Non si sarebbe spento come una scintilla, quello che aveva nel petto avrebbe divorato con il suo ardore tutti i presenti, avrebbe fatto mormorare voci, pensare menti e, forse, battere cuori.

Si può morire tante volte, ma vivere nessuna, la sottile differenze sta nel dare il giusto senso alla propria vita.

Per Axel, il senso stava in quello che gli bruciava dentro.

- Alla fine ti sei presentato. -

Mormorò Sora, improvvisamente incupito.

Se soffriva per la sua sorte, Axel non lo sapeva, in ogni caso dimostrava un'estrema neutralità, a dispetto del buio che gli avvolgeva il viso.

L'Angelo Custode sorrise, il suo, oltre che sincero, era un sorriso amaro.

- Avrei potuto fare diversamente? -

Il Cherubino annuì, consapevole di quello che aveva sopportato in passato, ma non partecipe della sua sofferenza: come tutte le creature di quel mondo, neanche Sora poteva comprendere cosa fossero le emozioni, nonostante fosse ben più anziano di Axel (anche se manteneva volutamente un aspetto imberbe e infantile) e con più esperienza.

Di nuovo, Axel considerò che per capire qualcosa bisognava provarla sulla propria pelle, e come tante altre volte nella sua interminabile vita si sentì enormemente solo.

Solo a combattere contro la tempesta di un cuore che batteva.

- Da questa parte, prego. -

Sora indicò con un gesto della mano il palazzo dalle mura bianche dietro di lui e Axel, ubbidiente come un agnello, lo seguì, tra i mormorii della folla alata intorno a lui.

Se avessero potuto l'avrebbero guardato con disprezzo, incredulità, forse biasimandolo. Ma non potevano: erano senza cuore.

I visi apprensivi e gli occhi chiari e trasparenti lo seguirono finché non entrò nel Tribunale, e Axel ringraziò di poter provare solo amore e non conoscere la paura.

I corridoi interni del palazzo erano un tripudio alla semplicità, ma anche alla purezza. Forse per questo Axel si sentiva così a disagio con le sue ali nere e la criniera di capelli rossi. Sì, doveva essere per quello, e non per la consapevolezza di essere colpevole.

Il bianco si sprecava lì dentro: bianche erano le pareti, bianchi i pavimenti, bianchi gli archi a se steso acuto della volta, tanto alta da non lasciare intravedere il soffitto.

Le vetrate delle bifore che si alternavano ogni tre metri erano dorate e spandevano una liquida luce d'oro sui pavimenti.

Era bianco persino il pulpito del giudice, il banco della giuria e la sedia, scarna, posta al centro dell'aula su cui, Axel lo sapeva, si sarebbe dovuto sedere lui.

Finché non ci si avvicinava abbastanza non si poteva notare la folla di ali bianche e testa cinte di aureole d'oro comodamente seduta come un pubblico silenzioso su panche bianche ai lati dell'aula.

Alcuni Angeli si voltarono vedendolo arrivare, ma il silenzio rimase assoluto: non un sussurro, non un fruscio, un respiro.

Per quanto se ne sarebbe potuto sapere, la sala sembrava piena di statue di marmo.

C'era anche Saix, onnipresente sentinella della legge, posto a fianco a quello che sarebbe dovuto essere il banco dei testimoni.

In mezzo a tutte quelle chiome colorate e quegli occhi di vetro, Axel cercò le forme e i colori umani di Roxas.

Dov'era? Stava bene?

Non avrebbe acconsentito a dire una sola parola se prima non l'avesse visto.

Sora l'accompagnò fino alla sedia e, con un lieve cenno del capo, lo invitò a sedersi.

Axel non fece complimenti. Mostrandosi anche più sicuro di quanto non fosse in realtà, si accomodò all'umile posto che gli avevano dato, sgranchì le lunghe gambe, stiracchiò le braccia e spalancò le ali una per volta facendo fremere le piume nero inchiostro.

Nel bel mezzo di quella sala gremita di bianco, quasi satura, brillarono come di luce propria.

Qualcuno nella folla, forse scandalizzato dalla sua impudenza, si fece il segno della croce: uno scongiuro preso in prestito dagli esseri umani; alti si limitarono a scuotere la testa; i membri della giuria presero semplicemente appunti su rotoli di pergamena candidi.

Il Giudice Supremo non era ancora presente, segno che il processo non era ancora cominciato, eppure Axel stava già venendo giudicato.

Quando nell'aria trillò una campanella, tutti si alzarono in piedi, tranne l'Angelo Custode che rispetto per quegli esseri non ne aveva più.

Incedendo avvolto in una tunica d'oro ricamato con fili di platino, il giudice veniva accompagnato da Sora, suo fedele Cherubino, e un Serafino dai capelli color acciaio striati di blu di cui Axel non conosceva il nome.

In generale, tutti gli Angeli erano creati per essere belli e gelidi come statue, ed era davvero difficile trovarne uno che non fosse più bello di qualsiasi essere umano vivente o meno; questo non escludeva il Giudice Supremo, la cui algida bellezza era insensibile e immobile come un'opera d'arte di un grande scultore: meravigliosa per riempirsi gli occhi, ma senza vita tanto da gelare il cuore. La pelle era ebano chiaro, dorato quasi, gli occhi pepite d'oro immobile, congelate sul suo viso, i capelli una cascata d'argento sulle spalle larghe: Xemnas, il Giudice Supremo, colui che aveva tra le dita le esistenze di ogni creatura di quel mondo etereo.

Dopo di lui, l'essere più temibile e potente era solo il “Capo”.

Xemnas si accomodò sul suo seggio, le mani giunte tra loro come in preghiera.

Tutti nella sala trattennero il fiato quando i suoi occhi d'oro guardarono tutto intorno, per poi fermarsi su Axel.

Non cambiò espressione, rimase scolpito nel suo freddo disinteresse, però un lieve brillio accese le iridi dorate.

- Seduti. -

Ordinò Saix, marziale, e chi era in piedi ubbidì, a parte Axel che si limitò a stravaccarsi sulla sedia con la gamba accavallata.

Non avevano ancora fatto entrare Roxas, quindi per il momento non avevano niente con cui farlo parlare o con cui minacciarlo, per questo si riteneva imperturbabile. Forse, nell'intimo dei suoi pensieri più nascosti, sperava che non fosse vero che l'avevano catturato, e che era riuscito a nascondersi da qualche parte, lontano da tutto quello.

La giuria, palesemente votata alla sentenza ultima del Giudice, teneva gli occhi fissi sull'imputato, del tutto disinteressato a quello che gli accadeva intorno.

- Angelo Custode Axel, sei stato qui convocato in seguito... -

Axel seguì solo le prime parole dell'arringa di un membro della giuria che aveva srotolato una pergamena che quasi gli arrivava ai piedi.

Doveva essere l'elenco dei suoi capi d'accusa: in ogni caso troppo noioso per prestare attenzione.

- L'imputato come si dichiara? -

Disse alla fine il giurato e Axel, in maniera piuttosto candida, rispose:

- Colpevole. -

Se prima si era mantenuto il silenzio, ora l'aula si riempì di mormorii, bisbigli e parole di sorpresa più o meno ad alta voce.

- Ordine. - ci volle solo un colpo di martelletto del Giudice per placare la folla, dopo di che i suoi occhi cercarono quelli anche troppo tranquilli di Axel - Ti dichiari colpevole? E allora questo processo che senso ha? -

- Secondo me nessuno, ma ditemelo voi. -

Stavolta per zittire la folla il Giudice dovesse picchiare più volte il martelletto. Axel sentì chiaramente qualcuno urlare “oltraggio!”.

Quando il silenzio fu ripristinato, Xemnas aveva uno sguardo tagliente come una lama di ghiaccio.

- Vuoi essere accusato anche di oltraggio alla Corte? -

- Non sia mai, non ho mancato di rispetto a nessuno. Ho solo detto la verità. Non è quello che ci si aspetta in tribunale? -

La folla si divise tra chi gli dava ragione e chi torto, anche se tutti ritenevano deprecabile il suo atteggiamento sprezzante e la mancanza di rispetto.

- Avremmo dovuto darti l'ergastolo senza aspettare il processo! Hai messo in pericolo e probabilmente condannato per sempre l'anima di un essere umano innocente. -

Proseguì il Giudice, credendo bene di vederlo sconfitto e umiliato con quelle parole.

Ma Axel non era certo il tipo che si faceva prendere in contropiede.

- Non sono il solo ad averlo messo in pericolo, voi l'avete rapito dal mondo fisico e portato qui con lo scopo di attirare me. E poi cosa farete? Danneggerete ancora la sua mente cancellandogli i ricordi. -

Il fuoco che arse negli occhi d'oro di Xemnas sarebbe stato perfetto su un volto in grado di esprimere rabbia, ma non sul suo, scolpito nella pietra.

- Non avremmo mai dovuto ricorrere a tanto se tu avesse svolto il compito per cui sei stato creato. La tua incapacità è già punibile con la morte e gli espedienti che siamo stati costretti a usare risultano tra i tuoi capi d'accusa. -

- Oh, perfetto, vengo accusato per qualcosa che avete fatto voi, quindi? -

Ancora una volta la folla insorse, ma solo una minuscola parte era a favore di Axel.

- Ordine! Ordine! - fu costretto a urlare il Giudice per superare il clamore della folla - Fate entrare l'Umano. -

A quelle parole, il rosso fu costretto a fermare il fremito delle mani, ma non poté impedire alla pelle d'oca di divorargli le braccia.

A portare Roxas nell'aula fu il Serafino dai capelli d'acciaio che aveva condotto anche il Giudice.

Il ragazzo sembrava essere in saluto, anche se gli occhi apparivano stralunati e confusi.

Dovevano averlo drogato per impedirgli di vedere il Paradiso.

Certo, ovvio: alcune immagini non potevano essere cancellate in maniera definitiva dalla mente umana, si imprimevano in quel cuore di cui sconoscevano il funzionamento e non potevano più essere rimosse. Così dovevano ricorrere a mezzi di infima specie.

Roxas arrancò spaventato nella sala, guardando ovunque e stupendosi di tutto.

Axel, che conosceva bene ogni suo atteggiamento, sorrise intenerito: il suo ragazzo non avrebbe così facilmente ceduto alla paura, nonostante la mostrasse negli occhi.

Fu fatto sedere nel banco dell'accusa, e Axel capì a che gioco volevano giocare.

Sperò solo che Roxas non fosse condizionato dagli evento a dire cose che non avrebbe dovuto dire e che potevano essergli ritorte contro.

Per ragioni che neanche lui riusciva a comprendere, il fatto di vederlo lì, sveglio, cosciente e tutto intero, invece di angosciarlo lo rassicurava.

Sì, era stato catturato, sì, era in pericolo, sì, probabilmente all'uscita di quel luogo non avrebbe ricordato più nulla.

Ma era ancora vivo.

Provò l'intollerabile desiderio di abbracciarlo, chiedergli scusa per il loro piccolo battibecco, sollevarlo tra le braccia e sentire il peso della sua umanità su di sé, il suo respiro e il battito del suo cuore.

Ma non poteva avvicinarlo né parlargli, e qualcosa dentro di lui doleva e tirava.

Quando Roxas alzò lo sguardo e i loro occhi di incontrarono, Axel gli sorrise in un inutile tentativo di rassicurarlo.

“ Scusa”, dicevano gli occhi blu di Roxas.

“Scusa”, rispondevano quelli verdi di Axel.

- L'accusa chiama al banco dei testimoni Roxas. -

Il ragazzino ebbe un fremito e per un attimo la paura che teneva relegata sul fondo degli occhi blu prese possesso del suo viso, stravolgendone i lineamenti.

Axel strinse i pugni tanto da farsi sbiancare le nocche.

A distruggerlo era l'impotenza di non poter intervenire in alcun modo, sia perché si trovava nell'aula di un tribunale di fronte al Giudice Supremo e alla giuria che dovevano decidere della sua sorte, sia perché Saix lo ammoniva con lo sguardo dorato, freddo e tagliente.

Gli diceva, con quegli occhi, che qualsiasi cosa avrebbe anche solo pensato di fare, lui glielo avrebbe impedito, anche a costo di intervenire fisicamente.

Roxas avanzò verso il banco dei testimoni senza mai staccare lo sguardo da Axel, come se da lui potesse ricevere la forza che cercava, e l'Angelo Custode, il quale non aveva fatto altro nella sua vita che cercare, a volte invano, di confortarlo con la sua invisibile presenza, gli sorrise, incoraggiandolo con un lieve cenno del capo.

Non avere paura” provava a dirgli con gli occhi “andrà tutto bene.”

Ma poteva davvero trasmettergli conforto quando per primo lui non credeva né sentiva che sarebbe andato tutto bene?

Però sembrò convincere almeno Roxas, che apparve più tranquillo mentre prendeva posto.

- Ciao Roxas. -

Cominciò quello che assumeva il ruolo di avvocato accusatore.

- Salve. -

Rispose, deglutendo a vuoto, il ragazzino.

- Puoi per favore dirci come hai conosciuto Axel? -

Non sembrava una domanda a trabocchetto, né poteva avere significati nascosti, così Roxas, lentamente, raccontò come qualche giorno prima (anche se gli sembrava un'eternità prima) aveva incontrato, anzi, si era imbattuto in Axel.

Ci tenne a precisare, sperando che fosse un punto a suo favore, su come gli avesse guarito la caviglia slogata e come fosse stato gentile l'indomani mattina a preparargli la colazione.

Però la giuria non parve vedere quegli eventi con lo stesso entusiasmo e la stessa gratitudine di Roxas, anzi. Prendevano furiosamente note di ogni sua parola e se per caso vacillava era motivo, evidentemente, di orrore per i giurati, come se fosse colpa di Axel se gli mancavano le parole.

- Come vedete, è tutto chiaro, signori della giuria. -

Conclude l'avvocato.

Axel non batteva ciglio, pallido in viso e sconvolto da quello che aveva appena sentito.

- Scusate, ma cos'è che sarebbe chiaro, esattamente? -

Roxas aveva trovato la forza, e la voce, per esprimere quel pensiero anche per Axel che invece era ammutolito. La sua domanda aveva fatto spandere come una macchia d'olio un mormorio nell'aula, ancora una volta zittito da un colpo di martelletto del Giudice Supremo. L'avvocato sorrise come se la domanda del ragazzo fosse la riprova di quello che aveva appena detto.

Il ragazzo non poté non notare che non c'era nessun avvocato difensore per Axel.

Era chiaro almeno questo: il processo era solo un proforma, ognuno dei presenti conosceva già il verdetto, compreso Axel stesso.

- È chiaro, giovanotto, che quest'Angelo snaturato ha indelebilmente scosso la tua esistenza. -

- Mi ha solo curato la caviglia! -

Roxas si alzò in piedi, battendo i palmi aperti sul banco dei testimoni, rosso in volto per la foga e la rabbia.

Axel non voleva o non poteva difendersi, ma lui poteva farlo al suo posto.

- Ha mostrato ad un Essere Umano i suoi poteri, oltre che la sua persona. -

- Ovvio, era stanco, senza forze, non poteva nascondersi! -

- E questo chi te l'ha detto? - Roxas si morse la lingua per non urlare “lui!”, cosa che avrebbe potuto incriminarlo maggiormente - Rispondi! -

- L'ho capito da solo, era stremato, non si reggeva neanche in piedi! -

Era una mezza verità o stava palesemente mentendo in un Tribunale...divino? Si disse che non voleva conoscere la risposta, proprio no.

- Fatto sta che ti ha mostrato un incantesimo di guarigione e non avrebbe dovuto! -

- L'ha fatto per il mio bene, no? Axel è il mio Angelo Custode! Si prende cura di me. -

Il suo tono di voce, raddolcito dal suono stesso di quelle parole, fece sorridere il diretto interessato, che alzò gli occhi su di lui. Forse cercava ombre di ricordi in quelle iridi blu cielo, frammenti di quello che erano stati insieme l'uno per l'altro, anche se per pochissimo tempo. Non c'erano, però, non c'erano i giorni passati, non c'era niente di loro, e Axel sentì quella consapevolezza come un pugnale nel petto: freddo, doloroso, tagliente, da mozzare il fiato.

- Non era più il tuo Angelo Custode quando l'ha fatto, non aveva alcun diritto di mostrarsi a te e di procurarti tanti danno collaterali. -

- I danni li avete fatti voi trascinandomi qui! Mi avete rapito! Che persone siete? Avreste lasciato la mia anima a vagare nell'oblio senza la guida di un Angelo Custode?! -

- Assurdità! Axel l'ha plagiato, signori della giuria! È la prova che stavate cercando! -

- No, no! Non è vero! -

Roxas ormai gridava, le lacrime agli occhi del tutto lucidi e coscienti di quello che stava succedendo, anche troppo. Intorno a lui i mormorii della giuria e il clamore della folla, Axel immobile sulla sedia.

- Ordine, ordine! O farò uscire tutti i presenti! Portate via l'Umano, abbiamo sentito abbastanza. -

Per quanto il ragazzo potesse provare a ribellarsi, era Saix quello che andò a prenderlo per portarlo di peso fuori dall'aula.

- AXEL! -

Urlò, ormai con le lacrime che straripavano dagli occhi e che gli rigavano il viso.

L'Angelo rimase a fissarlo sorridendo.

Ora mi dimenticherai.” pensava, sereno “Non proverai più alcune sofferenza, proprio perché voglio il tuo bene, è meglio così.”

Roxas riuscì a guardare Axel un'ultima volta, prima di essere portato fuori dall'aula, lontano da lui.

Con tutta la buona volontà di cui era capace, Axel distolse lo sguardo, evitando di continuare a fissare il punto dove era sparito Roxas.

Il mormorio sommesso dell'aula si zittì quando il Giudice Supremo appoggiò gli occhi dorati su Axel.

- La giuria si ritira per deliberare. -

Annunciò un membro della giuria.

Il Giudice mosse appena una mano, pigramente, troppo impegnato ad osservare l'Angelo per interessarsi di ciò che facevano i giurati.

 

La delibera durò veramente poco, e Axel non se ne stupì minimamente: avevano già deciso il verdetto ancora prima che cominciasse il processo, l'aveva capito subito e quella velocità nel prendere una decisione non ne era che una chiara prova.

I giurati tornarono al loro posto e il portavoce lesse da un foglio su cui aveva scritto il suo destino.

- La giuria dichiara l'imputato colpevole di tutti i capi d'accusa. -

Axel si esibì in un mezzo sorriso, un sorriso amaro ma consapevole, mentre la folla in aula tratteneva il fiato come se all'improvviso non ci fosse più aria da respirare.

Il Giudice giunse le mani, intrecciandole tra loro, gli occhi sempre fisse su Axel.

Ora non resta che la punizione, vecchio.” pensò l'Angelo, senza smettere di sorridere “La condanna, avanti, facciamola finita.”

- Angelo Custode Axel, sei stato giudicato colpevole e a me adesso tocca darti la condanna. - “Come se ti dispiacesse.” diceva l'espressione di Axel, ma per una volta la sua lingua taceva. - Ti condanno a perdere l'immortalità e vagare sulla Terra con sembianze umane, provare dolore e patire le sofferenze dei mortali, fino al Giorno del Giudizio. -

Era una condanna terribile, terribile a tal punto che qualcuno tra gli auditori svenne per lo sconcerto, altri impallidirono tanto da essere più bianchi delle penne delle loro ali.

Anche per i giurati sembrava una condanna atroce, e mormoravano concitati tra loro, quasi sentendosi in colpa per averlo giudicato colpevole.

Non era meglio dargli l'ergastolo? Perché togliergli la natura che Dio stesso aveva infuso in lui? La natura divina di una creatura angelica.

Lo sguardo del Giudice era irremovibile, e tutti nell'aula si aspettavano di vedere Axel crollare a piangere, urlare invocando pietà.

Quello che non si aspettavano, però, era che lui si mettesse a ridere, ridere così fragorosamente e in modo così soddisfatto che le guance gli si infiammarono e gli occhi si riempirono di lacrime d'oro che glieli facevano brillare.

La sua risata, spensierata, felice, risuonò nell'aula e si impresse a fuoco nella mente di chi la stava ascoltando.

Nessuno, fino alla fine dell'eternità, dimenticò mai quella risata.

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Capitolo 4
*** La Fine ***


- Epilogo -




Le cicale davano il meglio di sé, spandendo nell'aria un concerto di gracchi e stridii che, con il caldo asfissiante, annunciavano alla perfezione un'altra calda, densa giornata di inizio Giugno.

Il condizionatore nella stanza di Roxas era rotto, la sua solita fortuna.

Quando si mise seduto, dopo essere riuscito a staccare le spalle dalle lenzuola roventi, aveva i capelli zuppi di sudore.

Si alzò, cercando conforto per la bocca riarsa nella bottiglia d'acqua che aveva sul comodino, ma era così calda che avrebbe potuto bollirci un uovo.

Si passò una mano sulla faccia accaldata, scostando i capelli bagnati dalla fronte.

Era solo colpa del caldo se si era svegliato così presto, di certo non avrebbe voluto passare le successive sei ore a scuola, ma la prospettiva di lasciare la sua casa rovente era allettante quando un cubetto di ghiaccio sulla pelle. Quanto meno, a scuola, poteva sfruttare la piscina coperta.

Si costrinse ad indossare almeno la maglietta per andare a fare colazione, dato che a sua madre non andava molto bene vederlo girare in casa mezzonudo, anche se solo il gesto di appoggiare sulla pelle calda un tessuto di cotone gli fece venire voglia di urlare.

Trascinando i piedi andò in cucina, dove suo padre sedeva leggendo il giornale. A Roxas per un momento sembrò che le parole stampate sulla carta ondeggiassero e colassero come trucco a causa del caldo.

- Buongiorno Roxy. -

Lo salutò sua madre, madida di sudore perché stava ai fornelli a cucinare la colazione salata che tanto piaceva a suo padre.

Se avesse potuto, Roxas avrebbe risposto con un grugnito, qualcosa come “sgrunf”, perché c'era davvero troppo caldo per impegnarsi a proferire una parola di senso compiuto, seppur così semplice come “buongiorno”.

Si impegnò a proferire un secco “giorno” solo perché non voleva essere sgridato per non aver risposto a sua madre: il caldo rendeva tutti irascibili senza ragione.

Come un zombie sedette a capotavola, sudando solo a vedere il vapore che si alzava dai fornelli.

- Cosa vuoi per colazione? -

- Tiramisù. -

Rispose lui, quasi sovrappensiero.

Non fu solo sua madre a guardarlo come se fosse impazzito, persino suo padre alzò gli occhi dal giornale slavato per rivolgergli un'occhiata perplessa.

- E dove le vado a prendere il tiramisù? -

Ridacchiò lei per tutta risposta, trattando la sua risposta come se si fosse trattato di uno scherzo.

Roxas aggrottò le sopracciglia, scocciato da quel suo modo di prenderla.

Cosa c'era di male a volere tiramisù per colazione?

Non era la prima volta che glielo preparava...no?

Sbuffando dal naso si rese conto di non avere più fame, quindi si alzò, annunciando, lapidario, che sarebbe andato a scuola un po' prima del solito.




Gli occhiali da sole li aveva persi da qualche parte, anche se non sapeva bene dove, e il berretto a scacchi che aveva in testa proteggeva dal sole ma lo faceva sudare come se fosse in una sauna.

La solita sfiga che lo accompagnava gli aveva fatto perdere l'ultimo autobus per la scuola, per cui non gli rimaneva che farsi il tragitto di ottocento metri a piedi, sotto il sole che, seppur ancora giovane, non dava tregua.

Il caldo si alzava dall'asfalto facendolo ondeggiare, e non era difficile avere le visioni.

Cos'era quella creatura nera con gli occhi gialli che si aggirava agli angoli del suo campo visivo?

Faceva davvero troppo caldo.

Lanciando un'occhiata al suo orologio da polso si rese conto che le lancette erano ferme, doveva essersi scaricata la batteria, allora cercò il cellulare nelle tasche del bermuda, ma ovviamente non c'era. Ricordò di averlo visto l'ultima volta sul suo comodino, e lì averlo lasciato anche quando si era vestito per uscire.

La sfortuna sembrava non volerlo lasciare in pace.

Almeno aveva con sé il portafogli.

I suoi occhi blu vagarono lungo la strada alla ricerca di un posto dove rifugiarsi per trovare riparo da quella calura.

Dopo un inverno gelido e una primavera a malapena tiepida, il caldo che quell'estate annunciava non era minimamente sopportabile. Gli ultimi giorni di scuola sarebbero stati difficili da sopportare.

Come in un miraggio vide dall'altra parte della strada un chiosco di limonate, affollato, perché serviva bevande ghiacciate, ma invitante.

Quando era bambino gli avevano insegnato quando si attraversava bisognava guardare prima a destra e poi a sinistra, per accertarsi che non arrivassero vetture in nessuno dei due sensi e evitare di essere investito.

Quella mattina, però, Roxas non lo fece. Non lo fece perché aveva caldo, l'asfalto era quasi appiccicoso, l'orizzonte tremolante e il chiosco della limonata troppo vicino.

Attraversò, e attraversò praticamente con gli occhi chiusi.

L'ultima cosa che sentì fu lo stridore dei freni di un'auto, prima di venire catapultato in un limbo nero senza uscita.




La meravigliosa sensazione di aria fredda che gli colpiva il viso non era minimamente attutita dal dolore che sentiva al braccio e alla testa: era così bello stare al fresco che non gliene importava.

Roxas aprì gli occhi lentamente, mettendo a fuoco quello che aveva intorno.

Si stupì di non essere nella sua stanza, con il suo condizionatore d'aria acceso al massimo. Gli ci volle poco per ricordarsi che era uscito di casa quella mattina proprio perché il condizionatore non funzionava e lui era rimasto a sudare tra le lenzuola fino a squagliarsi.

Per questo, quando vide le pareti bianche di una stanza di ospedale, quasi gli venne un colpo.

Che cosa era successo?

Ricordò di essere sfortunato, quello non poteva dimenticarlo, e subito dopo ricordò anche che aveva attraversato la strada per andare a prendere una limonata e che non aveva guardato né a destra né a sinistra.

Qualcuno doveva averlo investito.

Con la mano sinistra si tastò ovunque, cercando danni irreparabili al suo corpo. Le gambe le sentiva ancora, e anche se la testa doleva sembrava funzionare come prima, ma il braccio destro era ingessato.

Oh, perfetto, si era appena giocato tutta l'estate.

Si tirò su con una smorfia, si sentiva tutto ammaccato, come un frutto troppo maturo che era stato schiacciato in più punti.

Chi era stato l'idiota che l'aveva investito?

La porta della sua stanza si aprì, e la persona che entrò rispondeva alla sua domanda: un ragazzo alto, magro, con una chioma di capelli rossi sparata in aria come se gli fosse esploso un petardo in mezzo, occhi verde smeraldo carichi di preoccupazione, due ridicoli tatuaggi a forma di lacrima rovesciata sulle guance. Era proprio la sua idea di “idiota”.

- Sei sveglio! Grazie al cielo! - il ragazzo non si prese neanche la briga di chiedere se potesse: semplicemente si prese una sedia e si sedette accanto al suo letto come se non avesse fatto altro per tutta una vita - Mi dispiace! Sei spuntato in mezzo alla strada così all'improvviso...! Ho frenato ma non sono riuscito a evitarti. - ogni parola che usciva dalle sue labbra sottili erano fastidiose per Roxas, tanto che non poté fare a meno di rivolgergli una smorfia così risentita che il ragazzo dovette abbassare il capo, colpevole - Ti ho portato...del tiramisù, spero che ti piaccia. -

Gli poggiò sulle gambe un piattino di plastica coperto di carta stagnola.

Gli occhi blu di Roxas si incendiarono d'ira, anche se una piccola, minuscola parte di lui era grata per quel miracolo: tiramisù e una stanza ghiacciata mentre fuori il termometro toccava di 35°, che cosa poteva volere di più dalla vita?

- E secondo te col braccio rotto come faccio a mangiare? -

Sbottò, acido, cercando di nascondere la gratitudine in meandri di risentimento.

- Ci penso io! - il ragazzo si prodigò per imboccarlo, e Roxas lo trovò enormemente imbarazzante, anche se il tiramisù era buono, davvero buono - Io sono Axel. A-x-e-l, got it memorized? - sorrise lui, quando ebbe finito di farlo mangiare, picchiettandosi un dito sulla tempia.

Quel gesto, in qualche modo, lo fece sorridere. Forse perché, insieme con la chioma rossa e lo sguardo convinto, completava il quadretto di idiozia che rispondeva ai canoni di Roxas.

- Io sono Roxas. -

Ci tenne a presentarsi il biondo, senza riuscire a smettere di sorridere per l'assurdità della situazione.

Era uscito di casa per trovare un po' di fresco ed era stato investito da un idiota disattento, però alla fine il fresco l'aveva trovato comunque.

- Oh, lo so. - annuì, come tra sé e sé il rosso, anche se poi si affrettò a precisare - L'ho letto sulla carta di identità che avevi nel portafogli. -

Roxas alzò gli occhi al cielo, sbuffando come un treno.

- Il mi Angelo Custode deve avermi abbandonato, me ne stanno capitando di tutti i colori in questi ultimi tempi. -

Bofonchiò, quasi sottovoce, come se non volesse farsi sentire da Axel, ma ottenendo l'effetto contrario.

- Anche il mio! Ho preso la patente solo da due giorni e la prima cosa che faccio è investire un ragazzino! -

- Siamo proprio sfortunati, eh? -

Si ritrovarono a scambiarsi uno sguardo, un lungo sguardo d'intesa, dopo di che scoppiarono a ridere, come se fossero amici da sempre, come se non aspettassero altro che ritrovarsi, anche in quella strana circostanza, per poter ridere insieme del loro destino.

- Mia madre mi ucciderà appena verrà a sapere quello che è successo. -

- Oh tranquillo, anche mia madre ti ucciderà appena lo verrà a sapere. -

- Diamine, me la dovrei dare a gambe! -

- Eh no, mi hai rotto un braccio, mi sono giocato l'estate per colpa tua! Il minimo che tu possa fare adesso è diventare mio schiavo finché non mi toglieranno il gesso. -

Axel fece finta di sospirare, sconsolato per quella sorte.

- E va bene, ma ti assicuro che come Angelo Custode faccio davvero pena, forse è meglio non averne. -

- Non devi essere il mio Angelo Custode. -

- E cosa vuoi che io sia? -

Di nuovo, gli occhi blu di Roxas si specchiarono in quelli verdi di Axel. Stavolta era uno sguardo attento, preciso, che cercava qualcosa senza però trovarla.

- Il mio schiavo, te l'ho detto. -

Il biondo lo disse con una serietà tale da far scoppiare a ridere Axel, che finse di asciugarsi una lacrimuccia con un dito.

- Che ne dici se cominciamo dall'essere amici? -

- Va bene, te lo concedo. -

E per la prima volta dopo tanto tempo, Roxas si sentì fortunato.

Aveva un braccio rotto, la testa dolorante, l'estate rovinata, ma non aveva mai avuto un amico.




- Pensi che ce la faranno? -

- Non lo so, l'ha appena messo sotto la sua macchina. -

- Però non l'ha ucciso. -

- Ah, sì, che gran consolazione. -

- Hai intenzione di vegliare su di loro? -

- Devo ad Axel ancora un favore. -

- Non mentire, Riku, non gli devi niente. -

- Allora diciamo che lo faccio per un amico. -

- Pensavo che non foste amici! -

- Sora, torna in Paradiso prima che mi arrabbi. -

- Come sei suscettibile. -

- Bhè, sentiamo, tu perché lo fai? -

- Perché credo che Axel non fosse colpevole di niente. -

- Stai infrangendo la Legge, rischi di finire come loro. -

- Bhè? Non sembra essere così male. Hanno entrambi un cuore che batte e la possibilità di essere felici. -

- Forse è questo il vero Paradiso. -

- Già. -

- Non ti da fastidio lavorare con un Demone? -

- E a te non da fastidio lavorare con un Angelo? -

- Rende tutto più interessante. -

- Però sarà difficile proteggerli. -

- Non vuol dire che non ci proveremo, no? -

Ombre invisibili eppure presenti, Sora e Riku lanciarono uno sguardo alle schiene di Roxas e Axel mentre camminavano insieme fuori dall'ospedale.

Roxas si voltò un attimo, come cercando qualcosa dietro di sé.

- Che c'è? -

Chiese Axel, preoccupato, squadrando il nulla alle sue spalle in modo apprensivo.

- Niente, avevo la sensazione di essere seguito. -

- Ah, chi vuoi che segui due persone sfigate come noi? -

- Nessuno, hai ragione. -

E proseguirono insieme, ridendo.




Fine






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The Corner

E così siamo giunti alla fine,
spero che questa storia sia stata di vostro gradimento.
La dedico al mio piccolo amore, nella speranza che le sia piaciuta.
A risentirci!

Chii

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