Once upon a time

di FeLisbon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Overwhelming emotions ***
Capitolo 3: *** The day after ***
Capitolo 4: *** Important place ***
Capitolo 5: *** Welcome back ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

C'era una volta un cavaliere dalla scintillante armatura che attraversò regni sconfinati e affrontò pericoli inimmaginabili per trovare la sua principessa e salvarla.
Ma questa non è la nostra storia.
Il nostro cavaliere indossava un'armatura spessa e pesante, tutt'altro che scintillante, fatta di dolore, paura, sofferenza e desiderio di vendetta.
E la principessa, o meglio, una piccola principessa arrabbiata, non necessitava di essere salvata. Era forte, determinata, indipendente. Credeva di non aver bisogno di nessuno e forse la sua armatura era ancora più spessa di quella dell'uomo.
Erano uno al fianco dell'altra, quasi costantemente, eppure la distanza che spesso li separava era insormontabile, e nessun cavallo bianco dalla folta criniera avrebbe potuto percorrerla tutta. Non c'erano incantesimi capaci di riempire il vuoto che sentivano dentro, ma piano piano cominciarono a capire che, restando vicini, il dolore sembrava affievolirsi un poco.
E questo sorreggersi e comprendersi a vicenda fu il primo piccolo passo che fecero sulla strada del loro destino, solo un primo piccolo passo.
Non bastava, le loro armature erano ancora troppo spesse, ed ogni volta che uno dei due tentava di avvicinarsi all'altro, si scontrava rumorosamente con uno strato di metallo duro e freddo.
La principessa era sempre stata abituata a rimanere delusa dalla vita e sul suo corpo portava ancora il segno di tante cicatrici. Non le mostrava mai a nessuno, solo quell'ombroso cavaliere riuscì ad intravvederne qualcuna di sfuggita: una morte prematura, una violenza subita, un'infanzia finita troppo presto, una mancanza di amore che credeva nessuno avrebbe mai saputo colmare...
Ma se la maggior parte delle persone era intimorita da quella donna indurita dalla vita, non lo era il nostro cavaliere. Lui ne era affascinato. Forse perché poteva scorgere in lei una piccola parte dei tormenti che lui stesso era costretto a sopportare.
Nessuno aveva mai sofferto così tanto. Nessuno poteva immaginare l'oscurità che si annidava dentro quel bellissimo uomo biondo. Perché è questo che succede quando ti senti responsabile per la morte delle uniche persone amate: un buio profondo si scava un varco dentro di te e ti logora, talvolta voracemente, altre volte più piano... Lento e costante.

Ma c'era molto, molto di più.
La donna era buona, giusta, coraggiosa e decise di prendersi cura di quel fragile uomo. Con costanza e delicatezza cercava di portare un po' di luce in tutta quell'ombra. Con modi bruschi e risoluti gli impediva di commettere pazzie eccessive (o quanto meno ci provava). Con ironia e sarcasmo si apriva un varco nel suo cuore e si conquistava la sua fiducia.
Così alcune giornate erano luminose e belle, il cavaliere per qualche ora dimenticava i suoi fantasmi e godeva della compagnia della fanciulla. Rideva, giocava, la stuzzicava e piano piano le lasciava conoscere l'uomo dentro l'armatura, quello vero.
Furono anni difficili per entrambi. Creare un legame non era facile in quelle condizioni avverse, eppure ce la fecero. Prima colleghi, poi amici, confidenti...ed infine famiglia.
C'erano sempre l'uno per l'altra, e nonostante le numerose incomprensioni, i furiosi litigi, gli scontri verbali e fisici (ebbene si, la nostra piccola principessa, quando si arrabbiava sul serio, poteva diventare molto violenta), impararono a convivere in armonia.
Il passo più grande fu forse quello di trovare un compromesso: l'uomo fu sempre disposto a tutto a tutto pur di salvarla, la donna mise da parte i suoi sani principi per aiutarlo.
Ed infine l'oscuro cavaliere, che negli anni era diventato molto meno oscuro di quanto si potesse pensare, riuscì a compiere la sua missione e a liberarsi per sempre del suo pesante fardello.

Ma forse questa storia non ha un lieto fine.
Quando tutto fu compiuto e cavaliere e principessa avrebbero potuto liberarsi per sempre delle loro armature e vivere fino in fondo il calore e la bellezza del loro legame, l'uomo scomparve lontano.
E lei rimase sola, impaurita, senza più il suo amico, senza più la sua famiglia, ancora una volta ferita.
I mesi passarono, a volte troppo lenti, a volte troppo veloci, e quelle due persone sole, sembravano destinate a non incontrarsi mai più.
Ma bisogna stare attenti a non perdere le speranze troppo in fretta, a non credere che tutto fosse perduto, perché ciò che è destinato ad essere, trova sempre un modo per farlo.
Ed il cavaliere ritornò e mise le cose a posto.
Anni addietro disse che avrebbe sempre tentato di salvare la sua principessa, e forse per una volta, riuscì a mantenere la promessa. Superò la paura che lo ostacolava, ruppe le catene del passato che lo tenevano imprigionato, spiccò un balzo e fu libero.
Libero di essere se stesso, libero di vivere fino in fondo le sue emozioni, libero di dire ad alta voce quel “ti amo” tanto atteso, libero di sfiorare il mento della bellissima fanciulla e, infine, baciarla.

E i nostri eroi cambiarono tanto, crebbero, maturarono ed impararono ad amare e a lasciarsi amare. Sembra facile a dirsi, ma non lo fu affatto. Il cavaliere era finalmente felice, dopo così tanto tempo passato nell'oscurità e nell'oblio, e per niente al mondo avrebbe rinunciato alla pace raggiunta. Voleva partire, esplorare nuovi mondi e portare la sua principessa con sé, al sicuro, per sempre. E se lei fosse stata una principessa qualsiasi probabilmente lo avrebbe seguito, ma non lo era, non lo era mai stata. Potevano trovare una soluzione? Potevano raggiungere un nuovo compromesso?
Potevano.
Perché alcune cose sono semplicemente destinate ad essere.
Lui le regalò il suo passato perché potessero vivere il presente e potessero portarlo, insieme, nel loro futuro.
Non ci fu un grande palazzo illuminato o una sala da ballo con centinaia di invitati... solo gli amici più intimi, un verde giardino in riva al lago e luce.
Luce dei loro sguardi innamorati e felici quando si promisero amore eterno.
Luce di un sole caldo che li avvolse e che lentamente tramontò lasciandoli soli, nella penombra, seduti su di un tronco d'albero.
Non un cavaliere ed una principessa, ma un uomo e una donna, come tanti altri. Due persone comuni che impararono a conoscersi col tempo, che si persero molte volte, ma che si ritrovarono sempre. Due persone che insieme ricominciarono a vivere.
Ed è proprio con la vita che ha inizio questa storia.

“C'è una cosa che devo dirti...”

















 

-Angolino dell'Autrice-

Dopo un primo momento di lutto (e va bene, lo ammetto, il lutto è ancora in corso..) non potevo non cominciare una nuova storia <3
Questa è solo un'introduzione un po' fiabesca...e spero che non finisca qui, ma che possa essere solo l'inizio!
Ho tante idee su come andare avanti, spero di trovare il tempo per condividerle con voi :D
Mi auguro che questa sezione di EFP si riempia di tantissimi nuovi racconti per non sentire mai la mancanza del nostro amato telefilm.
Un abbraccio a tutti :)

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Capitolo 2
*** Overwhelming emotions ***


1. Overwhelming emotions 



“C'è una cosa che devo dirti...”
Con una mano Teresa si accarezzava la pancia, mentre con l'altra stringeva quella di suo marito.

Avrebbe voluto dire qualcosa, trovare le parole giuste per comunicare l'immensa gioia che stava provando in quel momento, l'immensa gioia che le stava crescendo dentro! Ma non era mai stata brava ad esprimere i suoi sentimenti, specialmente con l'uomo che ora le stava di fronte guardandola con aria perplessa.
Non era Teresa la mentalista dei due, eppure riusciva a leggere tutti i pensieri di Patrick, osservando i suoi occhi: dubbio, incertezza e poi...finalmente lo stupore.
“No, stai...stai scherzando...”
Era incredulo. Non poteva di certo aspettarsi un dono così grande. Si rifiutava di soffermarsi troppo su quell'idea, perché se non fosse stata vera, la delusione lo avrebbe affranto. Tentò di vagliare in pochi istanti tutte le altre opzioni possibili.
“Non sto scherzando.”
Il sorriso della sua novella sposa lo abbagliò. Mai l'aveva vista così felice e luminosa. Non c'erano più dubbi su ciò che tentava di dirgli. Con la voce rotta dall'emozione provò a chiedere una conferma, ne aveva bisogno, voleva essere certo che quello che stava accadendo fosse reale e non sarebbe volato via con un colpo di vento.
“Lo sei?”
“Lo sono.”
Le parole non servivano più, e forse non erano mai servite a loro. Quello che provavano andava oltre. Patrick Jane, l'uomo dalla risposta sempre pronta, non sapeva cosa dire.
Sentì il cuore gonfiarsi, ingigantirsi e premere per saltargli fuori dal petto. Le loro labbra si incontrarono a metà strada. Era un gesto così semplice: entrambi percorsero metà della distanza che li teneva lontani e si unirono. Come avevano sempre fatto in tutto quel tempo! Anni e anni tentando di ridurre lo spazio che li divideva...e finalmente erano riusciti ad incontrarsi, trovarsi, appartenersi.
Si abbracciarono in un silenzio carico di significato.
Teresa non credeva possibile che si sarebbe sentita più felice di quando l'aveva scoperto.
Aveva tenuto in mano quel test di gravidanza con gli occhi chiusi, così stretti da farle male, pregando e sperando intensamente, ma non sapeva neanche lei che cosa. Avrebbe preferito rimanere incinta dopo averne parlato con Jane, che fosse stata una scelta insomma, ma appena il dubbio di essere in dolce attesa le aveva sfiorato la mente non era stata più disposta a rinunciarci. Voleva quel bambino. Aveva riaperto gli occhi piano, e con agitazione e paura aveva sbirciato il risultato. Positivo. Lacrime di gioia le avevano rigato le guance arrossate. Credeva davvero che sarebbe stato il momento più bello della sua vita. E invece no. Adesso, tra le braccia di suo marito, l'intensità delle sue emozioni era impareggiabile, condividere con lui quella felicità la rendeva più vera, palpabile, profonda.
Patrick non riusciva a capacitarsi di quello che stava accadendo. Poche ore prima si era ritrovato a ringraziare il cielo (e chiunque fossero i suoi abitanti) per avergli permesso una seconda occasione, una rinascita, un nuovo inizio con quella splendida donna che, vestita in bianco, stava camminando verso di lui per andare a sposarlo. Ed ora anche questo: una nuova vita.
Sarebbero stati una famiglia, e quella parola che per molti anni aveva sempre significato dolore e perdita, adesso era ciò che di più bello esistesse al mondo. Pianse in silenzio, senza riuscire a smettere di sorridere e senza riuscire a sciogliere l'abbraccio.
Era un uomo che aveva perso tutto, a cui ora non mancava più niente.

“Jane, dobbiamo tornare alla festa, gli ospiti cominceranno a chiedersi che fine abbiamo fatto...”
Fu Teresa, dopo qualche minuto, a rompere il silenzio. Sarebbe rimasta da sola con lui su quel tronco per tutta la vita, ma era pur sempre la loro festa di matrimonio e non stava bene scomparire in quel modo.
Patrick non accennò minimamente a lasciarla andare ma lei lo sentì ridacchiare sommessamente.

“Jane?”
“Staranno sicuramente pensando che siamo passati direttamente alla prima notte di nozze.”
Lisbon avvampò a quel pensiero e scattò in piedi come una molla. Una parte di lei era imbarazzata all'idea che tutti li stessero immaginando occupati in certe faccende, l'altra parte era in preda al panico.
“Oddio, e che figura ci facciamo?! Sono tutti qui per noi, per festeggiare...e...oddio i miei fratelli! Che vergogna. Muoviti Jane, non restare lì impalato, torniamo di là!”
Nonostante tutti i suoi sforzi, lui non riuscì a trattenersi e scoppiò in una risata fragorosa. Poi si alzò e la baciò sulla fronte tentando di calmarla.
“Avanti Lisbon, non fare così! Stavo solo scherzando, vedrai che non si saranno neppure accorti della nostra assenza. E poi, se devo essere onesto, non mi sembra affatto una pessima idea quella di...”
E mentre diceva questo le mise le mani sui fianchi e la avvicinò a sé. Ma lei fu più rapida: si divincolò dalla sua stretta e non gli fece nemmeno finire la frase.
“Non fare l'idiota! Andiamo...”
Lo prese per mano e lo trascinò dall'altra parte del laghetto, dove le luci e la musica creavano un'atmosfera allegra e allo stesso tempo accogliente. Mentre raggiungevano gli altri Teresa cercò di recuperare un certo contegno. Tutte quelle emozioni in contemporanea (amplificate dagli ormoni che aveva in circolo) erano difficili da gestire!
Avvicinò le labbra all'orecchio di Patrick e gli chiese di non dire nulla, per il momento, era ancora troppo presto. Poi si scambiarono un ultimo sguardo prima di venire risucchiati dalla folla di amici.

Grace, Wayne e Cho si avvicinarono al loro vecchio capo. La prima la sommerse di complimenti per il suo vestito, l'acconciatura, e le disse che era radiosa. Ma tutti gli elogi si spensero in sguardi di stupore quando Teresa diede il merito di tutto al suo nuovo capo, che le aveva fatto da consulente di moda. Rigsby non faceva altro che sorridere. Stare tutti insieme, come un tempo, era un regalo meraviglioso per lui. Kimball Cho sarebbe sempre rimasto il suo più grande amico, e Lisbon era forse la persona che più stimava sulla faccia della terra.
La sposa credeva di non aver mai sorriso così tanto in vita sua, e più di una volta si ritrovò a pensare che le sarebbe venuta una paralisi facciale. Ogni tanto sbirciava oltre le teste dei suoi ex colleghi per vedere dove fosse Patrick e cosa stesse facendo. Non sapeva se si comportava così solo per la solita abitudine di controllare che il suo consulente preferito non facesse danni, oppure perché non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Stava chiacchierando con Abbott, quei due si erano proprio trovati! Sentì le lacrime riempirle gli occhi: Dennis aveva fatto molto per lei, per loro! Forse era davvero la prima persona da ringraziare per tutto quanto. Aveva riportato Jane da lei e li aveva lentamente spinti l'una nelle braccia dell'altro. Pensare che tra pochi giorni si sarebbe trasferito e non sarebbe più stato parte della squadra era triste...
“Capo, tutto bene?”

Rigsby si era accorto del suo sguardo lucido e perso nel vuoto e la riscosse dai suoi pensieri.
“Certo! Scusate, comincio ad essere un po' stanca.”
Ricacciò dentro le lacrime, sfoderò un sorriso più che convincente e maledisse in silenzio i suoi ormoni che la sballottavano da un'emozione all'altra senza possibilità di controllo.
“Allora, raccontate! Come stanno i bambini?”
Non era una domanda insolita, Teresa era molto affezionata ai figli di Grace e Wayne, anche se non li vedeva spesso, e si interessava continuamente a loro. Ma appena la frase le uscì dalle labbra si accorse che parlare di bambini in quello stato emotivo precario non era stata una mossa geniale.
Van Pelt sorrise istintivamente e si mise a parlare dei due mostriciattoli che non facevano altro che combinare pasticci, ma che erano la gioia più grande della sua vita.
Rigsby e Cho si misero a discutere della recente promozione e ricordarono quel vecchio caso di molti anni prima in cui Lisbon era stata retrocessa e l'agente Ice-Man aveva preso il comando. Era stato così strano! Ed ora erano praticamente tornati in quella stessa situazione.
Poi, finalmente, Grace fece la domanda che tutti volevano sentire e l'attenzione si catalizzò nuovamente sulla sposa.
“Com'è stata la proposta? Dove te l'ha chiesto? Si è messo in ginocchio? E l'anello...”
Per Teresa era fastidiosa quell'intrusione nella sua vita personale. Non erano affari del resto del mondo! Era stato un momento intimo ed importante, come si poteva raccontarlo ai quattro venti? Eppure le persone normali facevano così: narravano con gioia ed entusiasmo ogni singolo dettaglio. Forse solo una donna come lei poteva rimanerne turbata... Chissà quante volte in futuro sarebbe stata “costretta” a raccontare quell'evento, forse era meglio cominciare a farci l'abitudine. E i suoi amici sarebbero state delle cavie perfette.
Fece un respiro profondo e si preparò a parlare di sé davanti ad un pugno di persone.
“Ecco. Si. Beh. Eravamo seduti là in fondo, oltre il laghetto, appoggiati a quel tronco d'albero...”
Si voltò ad indicare il punto preciso e rimase a fissare quel luogo. D'un tratto si vide mamma, con una splendida bambina per mano ad indicare lo stesso punto e dire: ...e lì tuo padre mi chiese di sposarlo rendendomi la donna più felice del mondo. E sempre lì io gli dissi che saresti arrivata tu, e lo resi l'uomo più felice del mondo.
Non sapeva di preciso per quanto tempo fosse rimasta girata di spalle e in silenzio, ma ora aveva gli occhi pieni di lacrime, di nuovo, e sapeva che non sarebbe stata in grado di proseguire con il racconto senza commuoversi ulteriormente. Tentò di lottare contro quella fiumana di emozioni che la travolgevano, ma viste le facce allarmate dei tre amici, probabilmente non stava ottenendo i risultati sperati. Si fece sfuggire una risata isterica mentre gli occhi continuavano a riempirsi di lacrime...
“Hey, scusate ma vi devo rubare mia moglie per un secondo.”
Patrick era arrivato a salvarla da quell'assurda situazione e la stava dolcemente trascinando in un punto più isolato.
Sorrideva divertito.
“Lisbon, se continui così non ci sarà bisogno di dire proprio niente a nessuno e lo capiranno da soli!”
“Lo so! Mi sento così stupida! Anni e anni ad essere la poliziotta controllata e seria ed ora non riesco a non sorridere come un'idiota e a non scoppiare a piangere ogni due per tre. Qualche stupida ragazzina emotiva si è impossessata di me e non mi vuole lasciare in pace...”
Quel discorso sconclusionato tra i singhiozzi e il nervosismo non fecero che aumentare il divertimento dell'uomo. Arrabbiarsi con se stessa e vergognarsi così tanto per una cosa che neppure poteva controllare era proprio da lei. L'abbracciò dolcemente.
“Non è colpa tua, vedrai che tra qualche settimana tornerai la granitica Lisbon di sempre.”
Le fece un dolce sorriso e le sfiorò rapidamente le labbra con le sue.
“Ora devo andare a parlare con il nostro nuovo capo della luna di miele, credi di riuscire a resistere senza di me per qualche minuto?”
“Luna di che?! Jane!”
Ma il mentalista si era già dileguato per impedire alla sua piccola principessa arrabbiata di mettere il bastone tra le ruote ai suoi progetti per la settimana futura. Progetti che tutto prevedevano meno che il lavoro, e l'agente Lisbon avrebbe dovuto accettarlo.
In realtà l'idea di prendersi qualche giorno di riposo non la disturbava affatto. Sarebbero stati un po' insieme, senza rapimenti o serial killer tra i piedi. Le avrebbe fatto bene! Un po' come quelle meravigliose settimane dopo Islamorada: lei e Jane erano tornati a casa, per la prima volta insieme, e si erano semplicemente goduti la compagnia l'uno dell'altra. Al ricordo di quelle giornate di quiete, Teresa si sentì più tranquilla e tornò a godersi la festa con gioia.

A tarda notte gli ultimi invitati salutarono felicemente i novelli sposi e si congedarono, lasciandoli finalmente soli. Spensero tutte le luci della festa e si diressero verso l'airstream parcheggiato poco più in là. Si tenevano per mano ridendo come bambini: era buio pesto e ad ogni passo uno dei due incespicava in un sasso o in qualche radice, scatenando l'ilarità dell'altro. Jane era quello più instabile e Lisbon non faceva che prenderlo in giro.
“Ma sei ubriaco? Se non ti avessi tenuto saresti caduto già tre volte!”
“No che non lo sono, non si vede niente qui!”

E ancora risate. Se qualcuno li avesse visti in quel momento avrebbe certamente pensato che fossero sotto l'effetto di qualche stupefacente o sostanza allucinogena, invece erano solo felici. Completamente e irrimediabilmente felici.
Dopo pochi metri e tanti ostacoli naturali, arrivarono a destinazione tutt'interi.
Patrick l'avvolse in un caldo abbraccio e la baciò con trasporto, a lungo. Quando Teresa si allontanò leggermente per riprendere fiato, suo marito si chinò, mise un braccio dietro le sue ginocchia, la sollevò e con l'altro le reggeva la schiena.
“Che cosa fai! Dai mettimi giù, Jane...”
Il mentalista sorrise nell'accorgersi che, nonostante le proteste, quel gesto inaspettato la lusingava e divertiva. Ignorò la sua richiesta e si avviò verso la porta del camper, per portarla fin dentro, come sempre si vede fare nei film.
“Lo sai che mi piacciono le tradizioni, sono un uomo all'antica io, quindi ora ti porto in casa così.”
Lisbon si sentiva leggera e protetta tra le sue braccia, quelle sensazioni non le dispiacevano per niente! Ma non riusciva a non prenderlo in giro.
“Quella non è una casa, e si che dovresti saperlo dal momento che ti sei trasformato in un carpentiere ultimamente.”
Jane sollevò gli occhi al cielo divertito. Neppure quando tentava di essere romantico riusciva a far tacere l'ironia di quella fastidiosa e meravigliosa donna che era appena diventata sua moglie.
La portò oltre la soglia d'ingresso, poi la fece scendere e si richiuse il portellone alle spalle.
Quando si voltò nuovamente, Teresa si era avvicinata pericolosamente a lui.
“Beh, visto che sei un uomo all'antica e che ti piacciono, direi che siamo obbligati a rispettarle proprio tutte queste tradizioni della prima notte di nozze, non ti pare?”
Gli sorrise e gli mise le braccia intorno al collo.

Jane non se lo fece ripetere due volte, iniziò a baciarla, le mise le mani sui fianchi e la sollevò quel poco che bastava per trasportarla con dolcezza verso il letto.















-Angolino dell'Autrice-
Eccomi qui con il primo capitolo :) Non ho molto da aggiungere, volevo solo ringraziare tutti quelli che mi hanno lasciato un pensiero, complimento, parere riguardo al prologo, è stato incoraggiante!
Vi auguro una buona giornate e buone letture :D
Se vi va, fatemi sapere ;)

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Capitolo 3
*** The day after ***


2. The day after
 

La mattina seguente un timido raggio di sole riuscì a trovare uno spiraglio tra le tende del finestrino e ad illuminare il volto di Teresa Lisbon che ancora dormiva.
Dopo qualche minuto si stiracchiò senza aprire gli occhi e tasto delicatamente la parte di letto al suo fianco, per potersi accoccolare tra le braccia del suo uomo. Il ricordo della notte appena trascorsa era sorprendentemente vivido. Coloro che pensano che, una volta sposati, la passione si spegne, non sanno davvero quello che dicono, o forse non hanno avuto la fortuna di sposarsi con persone come Patrick e Teresa.

La mano della donna però si poggiò solo su un materasso vuoto, e quella strana assenza le diede la forza di aprire gli occhi. Piano piano riacquistò un briciolo di lucidità mentale e si accorse di essere in movimento. Che diavolo stava succedendo? Aveva sperato in una mattinata rilassante, possibilmente in posizione orizzontale, con la compagnia di suo marito; invece si costrinse ad alzarsi dal letto. Si avvolse il lenzuolo azzurro intorno al corpo per coprirsi e si diresse verso il posto di guida.
Patrick Jane guardava la strada con un'espressione felice e quasi sognante. Aveva una meta ben precisa, e non vedeva l'ora di arrivarci. Per questo, già dalle prime luci dell'alba, si era messo in viaggio, certo che Lisbon non se ne sarebbe neppure accorta. In realtà voleva godersi il tragitto, fare qualche sosta ogni tanto, magari metterci anche qualche giorno in più, ma alla fine sarebbero giunti a destinazione.
Appena sentì Teresa muoversi alle sue spalle e avvicinarsi, sorrise istintivamente.
“Buongiorno dormigliona, c'è del caffè pronto sul piano cucina.”
Lei se ne versò una tazza e lo raggiunse. Nel sedersi di fianco a lui, la parte bassa del lenzuolo si aprì, lasciandole scoperta una gamba fino a metà coscia.
“Bel vestito!” disse Jane malizioso porgendole una mano.
“Buongiorno anche a te...”
Intrecciò le dita con le sue, Patrick si portò la mano di lei alle labbra e le baciò il dorso dolcemente.
“Da quante ore siamo in viaggio? Dove stiamo andando?”
L'autista le scoccò uno sguardo furbo ed eloquente: non avrebbe mai risposto a quelle domande.
Per tutta risposta Lisbon sbuffò sonoramente, più per dispetto che per reale malcontento. Non le importava davvero sapere dove fossero diretti, avevano una settimana libera e se la sarebbero goduta in qualsiasi luogo.
“Ok, vado a fare una doccia.”
Nello sfilargli accanto per tornare sul retro del camper, affondò una mano nei suoi riccioli biondi.
“Vuoi che mi fermi per un po'?”
“No Jane, vado a fare una doccia da sola.
Lui scoppiò in una fragorosa risata, per poi fingersi subito offeso dall'insinuazione.
“Non intendevo affatto quello! Era per evitarti eventuali sballottamenti...”
Lisbon si allontanò, ridacchiando a sua volta.

All'FBI si prospettava, fortunatamente, una giornata tranquilla. Nessuno della squadra aveva dormito molto, e se gli avessero affidato un nuovo caso proprio in quel momento, il capo Kimball Cho non avrebbe fatto una bella figura. In realtà, all'apparenza, appariva riposato e pronto all'azione, ma non si sentiva così rimbambito da molto tempo ormai! Cominciava ad essere vecchio?
Nella situazione diametralmente opposta si trovava il giovane Wylei: aveva un aspetto orribile, con due solchi violacei sotto gli occhi e due tazze di caffè sulla scrivania. La sera prima si era proprio divertito, aveva ballato, chiacchierato, scherzato...e con un piccolo aiutino da parte dell'alcol era persino riuscito a dimenticare, per qualche ora, la tristezza che lo affliggeva.
Se Michelle fosse stata ancora viva e fosse venuta al matrimonio, forse lui non sarebbe tornato a casa da solo, forse finalmente avrebbe saputo confessarle i suoi sentimenti...
Adesso, passata l'ebrezza della festa, questi pensieri non lo abbandonavano. Ogni volta che gli accadeva qualcosa di particolare durante la giornata, Jason non riusciva a non pensare a come sarebbe stata diversa la situazione con Vega presente.
Per molto tempo era stato convinto di essersi preso solo una cottarella per quella giovane agente, ma da quando non c'era più si era reso conto che i suoi sentimenti per lei erano molto più simili all'amore.
Dennis Abbott vagava per i corridoi della sede con sentimenti contrastanti: si era offerto di rimanere ancora per una settimana, per sopperire all'assenza di Lisbon e Jane e dare una mano in eventuali casi. Ora si rendeva conto che l'unica ragione per cui si trovava ancora ad Austin era l'affetto che lo legava a quei ragazzi. Non credeva che sarebbe stato così difficile lasciarli! Paradossalmente era stato più facile ed indolore consegnare le dimissioni e cedere il suo posto all'agente Cho.
Rick Tork era l'unico attivo: rispondeva al telefono, aggiornava i file e, come richiesto da lui stesso, chiudeva il caso Lazarus.
Nel suo ufficio, Cho approfittava del momento morto per esaminare i fascicoli dei possibili futuri agenti della sua squadra. Presto avrebbe dovuto scegliere una persona: Dennis doveva raggiungere sua moglie, Tork sarebbe tornato alla sua sede, e al team sarebbe servito un nuovo membro. Ma non voleva uno sconosciuto! Avrebbe voluto trovare qualcuno che già conosceva e di cui, bene o male, si sarebbe potuto fidare.
In più rimaneva l'incognita Jane: se avesse deciso di lasciare il suo lavoro all'FBI, la squadra sarebbe rimasta molto sfornita. Patrick era solo un consulente, ma era fondamentale per lo svolgimento dei casi, e non averlo avrebbe comportato il bisogno di un ulteriore nuovo agente.
Se solo avesse potuto, avrebbe assunto Rigsby e Van Pelt, senza esitazioni.
Quel pensiero lo riportò indietro negli anni, a quando lavoravano tutti insieme al CBI. Ne avevano combinate di tutti i colori, si erano divertiti anche, poi era cambiato tutto. Non era sicuro che quel cambiamento gli dispiacesse però. Certo, sentiva la mancanza dei suoi amici, ma d'altra parte era cresciuto, maturato ed ora aveva ottenuto la promozione tanto sperata. La sua dedizione al lavoro era tutto quello di cui poteva andare fiero, ed ora era stato ripagato degnamente di tutti i suoi sforzi.

Nel pomeriggio Wayne e Grace passarono a salutarlo prima di tornare a casa.
“Caspita, un ufficio tutto per te...è enorme!”
La donna era sinceramente colpita e felice per il suo ex collega e amico. Loro avevano scelto una vita diversa, ma sapeva che quello era il posto giusto per Kimball.
Mentre Rigsby cercava di farsi dare i soldi di una presunta scommessa avvenuta un paio di anni prima, il cellulare di Van Pelt squillò e lei scusandosi, si allontanò per rispondere.
I due amici rimasero soli.
“Hey, l'hai più sentita quella Summer?”
Wayne cominciò con le domande indiscrete, proprio come ai vecchi tempi.
“Perché?”
“Nessuna ragione...insomma, è ancora sposata...?”
Cho ripensò all'ultima volta che l'aveva vista e, senza cambiare espressione, interiormente sorrise, fiero di lei. Per qualche tempo si erano tenuti in contatto: era felice, aveva messo la testa a posto, aveva avuto uno splendido bambino... Ora si scambiavano solamente gli auguri di Natale e del Ringraziamento, ma sarebbe sempre rimasto affezionato a lei.
“Si.”
“E il bambino che aspettava...insomma...”
“Cosa?”
“Sei sicuro che non sia coreano? Ho sempre sperato che sarebbe tornata con questo bellissimo bambino biondo dagli occhi a mandorla tra le braccia, dicendoti che era tuo.”
Quell'affermazione lo lasciò perplesso. Davvero le persone potevano immaginarsi assurdità simili? Effettivamente, conoscendo l'uomo che gli stava di fronte, c'era quasi da aspettarselo.
“Rigsby sei un idiota.”
Wayne rise impacciato, questa volta aveva davvero detto una stupidaggine, ma era una speranza che aveva sempre avuto. Sarebbe stato fantastico per lui!
“Ok, si, è una cosa stupida.”
Anche Cho sorrise, come gli era mancato il suo amico.
“Però, voglio dire... è ora che ti trovi una brava donna. Adesso hai il lavoro che hai sempre voluto, potresti sistemarti per bene, no? Insomma, guarda Jane e Lisbon, ce l'hanno fatta! E... lo so, non sono affari miei, ma sono il tuo partner, giusto? Certe cose posso dirtele.”
Improvvisamente si pentì di aver cominciato quello strano discorso sconclusionato, in fondo non erano per davvero affari suoi e forse non aveva il diritto di parlarne. Ma era stato più forte di lui, avrebbe voluto vedere il suo amico accasato e contento, specialmente dopo gli ultimi avvenimenti.
Cho rimase per un secondo a pensare, poi rispose, lapidario come sempre.
“Io sto bene.”
“Lo so, lo so! Ma...”
In quel momento tornò Grace interrompendoli. Era la babysitter al telefono: la piccola aveva la febbre ed era meglio rimettersi subito in viaggio.
Kimball li accompagnò all'ascensore, salutò Van Pelt e abbracciò l'amico con una sonora pacca sulla spalla.
“Fate buon viaggio.”
“Grazie, salutaci Lisbon e Jane quando tornano.”
“Certo. E Rigsby... grazie partner.”
Le porte scorrevoli dell'ascensore si chiusero e lui rimase da solo, sorridendo tra sé e sé.

Verso ora di cena Jane pensò a quale fosse l'opzione migliore.
Erano circa a metà strada, se si fossero fermati a mangiare in una trattoria sulla strada Lisbon avrebbe scoperto dove si trovavano, ma essendo ancora lontani dalla meta prestabilita, con tutta probabilità non sarebbe stata in grado di indovinare la destinazione finale. Inoltre non era tanto il luogo ad essere importante, quanto il significato attribuitogli, quindi si decise ad accostare al primo punto di ristoro.
“Ci fermiamo?”
“Si, ho fame, e poi non ci corre dietro nessuno...godiamoci la serata.”
Teresa non poteva essere più d'accordo, per tutto il pomeriggio erano rimasti seduti vicini, chiacchierando, ridendo, ricordando i tempi passati e facendosi gli indovinelli a vicenda. Quest'ultima occupazione era durata ben poco, perché Jane continuava ad indovinare al primo o al secondo tentativo, mentre Lisbon aveva poca pazienza e si stufava subito di cercare indizi senza avere la più pallida idea della risposta. Dopo qualche minuto di infruttuosi sforzi lo aveva mandato a quel paese ed era rimasta imbronciata finché, per amor suo, Patrick non le aveva dato la soluzione.
Nonostante questo erano state ore piacevoli e luminose, ma entrambi non vedevano l'ora di potersi guardare finalmente negli occhi e poter perdersi l'uno nello sguardo dell'altro. Nessuno dei due l'avrebbe mai detto ad alta voce, ma una cenetta tranquilla era proprio quello che ci voleva.
Nonostante fossero sperduti quasi nel nulla, la piccola trattoria non aveva affatto un brutto aspetto. All'esterno c'erano parcheggiate cinque o sei macchine. Patrick pensò che una era sicuramente dei gestori, ma le altre potevano tranquillamente appartenere a dei clienti. Poiché non erano cariche di valige e non erano sporche di terra e polvere, ne dedusse che non si trattava di persone in viaggio, ma di qualcuno che si era recato appositamente lì per la cena. Sorrise soddisfatto.
“In questo posto si mangia bene, andiamo!”
Teresa lo guardò di sottecchi chiedendosi come facesse a saperlo con sicurezza, ma non fece domande per non dargli la soddisfazione di gongolare esibendo le sue doti deduttive.
Scesero dall'airstream e si stiracchiarono quasi in sincrono, poi si avviarono verso l'ingresso.
Per un secondo Lisbon ebbe la sensazione di essere già stata in quel posto, qualche anno prima, e si irrigidì notando quella somiglianza: sembrava quasi il ristorante in cui avevano dovuto risolvere un caso, ma da cui se n'era andata infuriata dopo una discussione con Patrick. Quella sera stessa John il Rosso l'aveva colpita e le aveva dipinto il suo smile di sangue sul viso.
Cercò di rimuovere in fretta quel pensiero, prima che Jane potesse leggerglielo negli occhi e pregò che lui non si accorgesse della macabra coincidenza.
L'interno del locale era molto rustico, ma accogliente e gioioso. Una cameriera giovane e civettuola li accompagnò ad un tavolo di legno rotondo, ricoperto da una tovaglia sottile e con al centro una piccola candela accesa che creava atmosfera e dava un tocco di eleganza al tutto.
Mentre sceglievano cosa mangiare dal menù, ogni tanto uno dei due alzava lo sguardo per spiare l'altro e sorridere tra sé e sé. Era bello essere insieme ed avere la certezza che lo sarebbero stati per il resto della loro vita.
“Cosa ne pensi di Daisy?”
Teresa guardò perplessa l'uomo che le stava di fronte. Ogni tanto tirava fuori qualche frase apparentemente senza senso, senza spiegazioni e senza un contesto come se stessero parlando di quel determinato argomento da ore. Chi era Daisy? Quante volte avrebbe dovuto ricordare a suo marito che lei non era in grado di leggere nella mente?
“Chi?”
Jane sorrise intenerito sia dalla reazione di Lisbon che dai pensieri che lo attraversavano.
“Daisy, il nome. Per la nostra bambina.”
Ora anche Teresa sorrideva crogiolandosi nel dolce pensiero di diventare mamma.
“Cosa ti fa pensare che sarà una bambina?”
“È una bambina, me lo sento.”
Alla donna venne da ridere, ma preferì non indagare oltre per il momento.
“Daisy non mi piace, è da femminuccia, non voglio che diventi vanitosa e ochetta come le altre bambine.”
“Izzie?”
“Mmm..”
Corrucciò la fronte e Jane si ritrovò a pensare a quanto fosse bella la donna che aveva appena sposato. Sembrava una banalità, in fondo la conosceva da anni e non era certo la prima volta che notava quanto fosse attraente, ma alla luce di quella candelina, mentre pensavano ad un nome per la loro bimba, gli appariva ancora più bella del solito.
“Non ti piace...Emmie?”
“Oh, ma andiamo, che nome è Emmie?!”
Entrambi si misero a ridere e si guardarono in silenzio.
Si sarebbero mai stancati di tutto quell'amore?















-Angolino dell'Autrice-
Buona sera :) Chiedo scusa a tutti quelli che avrebbero voluto vedere la prima notte di nozze ;) ma ho scelto di rimanere il più possibile nello stile del telefilm (ove possibile) quindi un piccolissimo salto temporale era necessario, eheh!
Spero di non avervi delusi troppo :D
Buon tutto, a presto!

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Capitolo 4
*** Important place ***


3. Important place
 

“Pronto? Si. Ok. Arriviamo.”
L'agente Cho rimise la cornetta del telefono al suo posto e uscì dal suo ufficio per radunare la squadra. Una giovane donna era stata trovata abbandonata in una discarica non molto lontana da lì.
“Wylei, andiamo sulla scena.”
Il giovane poliziotto non era ancora abituato a lasciare la sua postazione davanti al computer, ma pensò che probabilmente avrebbe dovuto cominciare a farci l'abitudine. Volente o nolente Kimball aveva deciso di diventare il suo mentore e di trasformarlo in un agente sul campo, a tutti gli effetti. Quell'idea, in realtà, non lo disturbava affatto. Avrebbe imparato ad essere concentrato, pronto all'azione, lucido. E lo avrebbe fatto per se stesso, ma anche per Michelle. Lei era portata per queste cose, aveva un talento naturale, ed ora lui non voleva deluderla.
Neanche Cho voleva deludere Vega: dopo la sua morte si convinse che non avrebbe più istruito nessun altro, lei era stata la sua unica allieva ed era morta per colpa sua. Aveva fallito. Si era affezionato subito a quella giovane ragazza chiacchierona e testarda, e perderla lo aveva ferito nel profondo. Ma non poteva lasciarsi fermare da questo, Wylei meritava una possibilità e aveva delle buone potenzialità. Se avesse deciso di lasciarlo ad una scrivania per sempre, forse avrebbe fallito una seconda volta.


Arrivati sul luogo del ritrovamento nessuno dei due si aspettava una scena simile. Mentre gli agenti perlustravano la zona intorno alla vittima, avevano trovato un secondo corpo. Due donne giovani, di media corporatura, entrambe colpite ripetutamente alla testa.
“Sono morte tra le dieci e le due di questa notte, ferite multiple da corpo contundente.”
L'anatomopatologo aggiornò Cho sulle prime analisi e poi si fece da parte per lasciarlo esaminare di persona. Prima di allontanarsi lanciò un'occhiata preoccupata al giovane biondino che camminava a pochi passi di distanza dal capo: la scena era stata raccapricciante anche per uno come lui che da anni aveva a che fare con decine e decine di vittime; non osava immaginare la reazione di quel pivello.
Jason Wylei rimase al fianco dell'agente Cho, ma lo spettacolo che gli si presentava d'innanzi era difficile da sopportare. Si sforzava di distogliere lo sguardo da quel primo corpo, ma non ci riusciva, come se una forza magnetica lo attirasse e respingesse contemporaneamente. Non era certo il suo primo cadavere, ma le ferite da arma da fuoco a cui era abituato erano tutta un'altra cosa! Il volto della ragazza era quasi indistinguibile dal resto del capo, il sangue rendeva tutto confuso e macabro. Gli venero in conati di vomito e si pentì di aver fatto una colazione così abbondante solo poche ore prima.
Finalmente riuscì a spostare il suo sguardo puntandolo su quello del suo mentore, voleva osservarne le reazioni. Era impassibile. Come si poteva rimanere indifferenti ad una simile visione? Era una questione d'abitudine?
Mentre il giovane cercava di non dare a vedere il suo subbuglio interiore, Kimball chiedeva ulteriori informazioni ai primi agenti che erano giunti sulla scena del crimine.
“La seconda vittima?”
“Da questa parte.”
Il patologo condusse i due poco più in là, mentre spiegava come le ferite riportate dalle donne fossero estremamente simili; non c'era dubbio che si trattasse dello stesso brutale assassino.
Cho avrebbe preferito fare a meno di vedere anche il secondo corpo: esteriormente si sforzava di restare calmo e freddo, ma la vista di una povera ragazza ridotta in quello stato lo colpiva e gli faceva montare dentro una rabbia profonda. Aveva visto molti cadaveri in condizioni anche peggiori, ma non ci si faceva mai l'abitudine.
Come era stato preannunciato loro, le condizioni della seconda vittima erano del tutto simili alla precedente. Non si concessero più di qualche minuto per osservare la scena.


Salirono in macchina per tornare alla sede ed aggiornare il resto della squadra. Kimball aveva una strana sensazione riguardante il caso, come un lontano ricordo che però non riusciva a mettere a fuoco. Si disse che probabilmente era solamente rimasto più turbato del solito e cercò di restare lucido.
“Cosa ne pensi?”
Wylei rimase sorpreso da quella domanda lapidaria. Che cosa poteva mai pensare in proposito? Non avevano il ben che minimo indizio, non conoscevano ancora l'identità delle due donne, i corpi erano stati trovati dall'anziano responsabile della discarica, che con tutta probabilità non era coinvolto...
“Non...non saprei.”
Cho rimase in silenzio in attesa di una risposta più soddisfacente.
“Credo che si tratti di un uomo, nessuna donna ha una forza ed una brutalità tale da uccidere così. È probabile che le due vittime si conoscessero e che siano state uccise insieme, ma in questo caso è più probabile che l'assassino abbia avuto un complice che teneva ferma una, mentre l'altra veniva uccisa, giusto?”
“Forse.”
Il giovane sorrise soddisfatto. Un forse era una buona risposta. Probabilmente non aveva detto delle grandi assurdità ed era stato bravo a trarre conclusioni plausibili. Ora si sentiva leggermente meno incompetente di quanto non si fosse sentito sulla scena del crimine, rischiando di vomitare sulle prove.




A Teresa piaceva Marcy, ma a Patrick quel nome dava l'idea di calzare a pennello ad una ragazza pazza, così l'aveva scartato all'istante. Più per ripicca che per reale dissenso, lei aveva scartato a sua volta i seguenti sei nomi proposti da Jane.
Era tutto il giorno che alternavano argomenti di vario genere alla scelta del nome. Teresa aveva la netta sensazione che non ne sarebbero mai venuti a capo e che quando la bambina fosse nata, avrebbero dovuto a chiamarla “lei” o “essa”, e che quello sarebbe stato solo il primo segno del suo essere una pessima madre.
E forse era proprio questo il vero problema: Lisbon aveva il terrore di non saper fare la mamma. In fondo che modelli avrebbe potuto seguire? Sua madre era stata una persona splendida, ma se n'era andata troppo presto, e lei si era ritrovata a crescere da sola i suoi fratelli...con dei risultati più che scadenti! Ultimamente avevano riallacciato i rapporti, certo, e ne era stata contenta, ma per quanti anni si erano evitati, quasi ignorati? E se sua figlia crescendo si fosse comportata allo stesso modo? O se, ancora peggio, lei avesse cresciuto una donna incasinata? Jane diceva sempre che le persone incasinate sono brave persone, ma lei non ne era mai stata tanto sicura... Istintivamente lanciò un'occhiata all'uomo di fianco a sé ma, diversamente dal solito, questo non bastò a tranquillizzarla. Si sentì assalire dal panico e dallo sconforto, e solo una piccola percentuale di quelle emozioni era attribuibile agli ormoni della gravidanza. Ormai aveva imparato a distinguerle.
Il problema era che quando c'erano di mezzo altre persone, Teresa Lisbon perdeva la determinazione ed il coraggio che l'avevano sempre sospinta e sostenuta, facendole conquistare tutto con le sue sole forze. Specialmente quando si trattava di persone a cui teneva. E questa bambina, ancor prima di averla incontrata, era già la cosa a cui più teneva al mondo. Avrebbe combinato un disastro?

Silenzio improvviso, sguardo perso nel vuoto e poi fugace occhiata rivolta a lui. Jane non ci mise molto a capire che stava succedendo qualcosa di strano nella mente di quella donna così complessa.
“Lisbon?”
“Uh?”
“C'è qualcosa che non va?”
Lei scosse la testa distrattamente. Si erano ripromessi sincerità completa, lo ricordava bene, ma non era pronta a condividere quei pensieri con lui. Temeva quasi che potesse cominciare a guardarla con occhi diversi e quell'idea la terrorizzava. Oppure avrebbe tentato di rassicurarla, ricordandole quanto fosse buona ed in gamba e forte e...ma le sue parole non l'avrebbero aiutata in quel momento. Aveva bisogno di affrontare quella faccenda da sola, per ora.
Patrick ancora una volta capì e cercò di non insistere, quando sarebbe stata pronta avrebbe parlato con lui, ne era certo.
“Cosa ne pensi di Veronica?”
Quella che doveva essere una semplice domanda per distrarla dai suoi pensieri fu in realtà la goccia che fece traboccare il vaso. Ma che razza di nome è Veronica?! E poi era da snaturati pensare solo a nomi da bambina! Insomma, se fosse stato un maschio si sarebbe sentito subito meno amato o meno desiderato. Ma non era affatto così, la sola idea di un bimbo biondo e sorridente le faceva sciogliere il cuore. Sarebbe stato un dono meraviglioso! Lei lo desiderava e lo amava, non era giusto nei suoi confronti non cercargli nemmeno un nome.
Erano pensieri senza senso, e Lisbon se ne rendeva perfettamente conto, ma non riusciva ugualmente a fermarli.
“Mi piace il nome Lucas.” - rispose lei risoluta.
“La prenderebbero per un maschiaccio.”
Patrick fece finta di non capire le sue reali intenzioni, tentando contemporaneamente di strapparle un sorriso.
“Smettila! Perché non possiamo pensare anche ai nomi per un bambino? È così importante per te che sia una femmina?”
Lui rimase in silenzio a pensare per qualche secondo. Non lo era affatto: sarebbe diventato di nuovo padre, avrebbe riprovato di nuovo quell'immensa gioia che credeva volata via per sempre. Non aveva nessuna importanza se sarebbe stata una figlia o un figlio! C'era solo una ragione che lo spingeva a crogiolarsi nell'idea di una futura femminuccia...
“Vorrei solo poter vedere una splendida bambina coi tuoi capelli castani e i tuoi occhioni verdi...con il tuo grande sorriso lumino e il più frequente ed adorabile broncio.”
In un istante tutte le preoccupazioni sparirono dalla mente della donna. Quella spiegazione non le era neppure passata per l'anticamera del cervello! Jane non diceva mai cose simili e lei non era abituata a ricevere complimenti così...profondi! Sorrise imbarazzata guardando la strada di fronte a sé. Non sapeva che cosa rispondere, così non disse nulla.
L'autista non credeva che avrebbe mai detto quella frase ad alta voce, eppure era vero. Avrebbe amato il suo possibile maschietto con tutto il cuore, ma l'idea di poter vedere una piccola Teresa in miniatura era così emozionante che, per il momento, non voleva pensare ad alte alternative.
“Ti pometto che appena troveremo un nome perfetto per una femmina, poi penseremo anche a quello per un maschio.”
Finalmente Lisbon riuscì a riposare il suo sguardo su di lui.
“D'accordo.”
Alzò gli occhi al cielo sorridendo, come si fa coi bambini che, non volendo andare a letto subito, riescono a convincerti a lasciarli svegli ancora per un poco.


Qualche ora più tardi, mentre Lisbon sonnecchiava sotto un leggero lenzuolo bianco, Jane riconobbe il punto preciso in cui voleva arrivare ed accostò delicatamente, sperando di non svegliare sua moglie.
Sua moglie. Era così strano pensare a quelle due parole senza rattristarsene...
Guardò fuori dal finestrino, il sole stava quasi per tramontare. Quella luce arancione soffusa creava uno spettacolo ancora più magico. Era il momento perfetto.
Svegliò dolcemente Teresa, che increspò immediatamente le labbra in una smorfia di dissenso. Ma quando aprì gli occhi, trovandosi a pochi centimetri da quelli azzurri di lui non poté che essere contenta.
“Siamo arrivati.”
“Dove?”
Jane si avviò verso l'uscita aspettando che lei lo seguisse.
Appena mise fuori la testa dal portellone rimase senza fiato per il panorama che le si stagliava di fronte. Si trovavano ai margini di una strada e a pochi passi da un precipizio. Sotto di loro si attorcigliavano i profondi solchi dei canyon. I raggi del sole al tramonto proiettavano giochi di luce sulla terra rossastra, creando un esplosione di colori inimmaginabile. Ovunque posasse gli occhi poteva vedere montagne lisce e levigate dagli anni con striature chiare e scure.
Rimase in silenzio a guardare. Era meraviglioso, ma non capiva perché fossero andati proprio lì.
Patrick rimase in piedi immobile di fianco a lei, riempiendosi anch'esso gli occhi di quel posto incantato.
Dopo qualche minuto Lisbon non resistette.
“Non hai intenzione di abbandonarmi qui, vero?” e lo guardò con uno dei suoi sorrisi più belli. Sapeva che non sarebbe andata così questa volta, ma non era riuscita a non pensare all'ultima volta che avevano visto un tramonto così bello insieme.
Anche Jane sorrise tra sé e sé, poi cominciò a parlare.
“Questo posto è importante per me, ci tenevo che tu lo vedessi. Qui la mia vita è cambiata, per sempre.”
Teresa non aveva idea a cosa si riferisse, ma sentiva la commozione nella sua voce e rimase ad ascoltare, lasciandogli il tempo di dire tutto quello a cui stava pensando.
“Ero confuso, spaventato e sono scappato. Ho vagato per qualche giorno. Una notte ho accostato in questo punto preciso e mi sono addormentato, da solo. La mattina seguente, quando sono sceso per sgranchirmi un po' le gambe mi sono trovato di fronte questo paesaggio meraviglioso. Difficilmente mi commuovo davanti agli spettacoli della natura, ma questa volta è stato diverso, era bellissimo. Ma l'unica cosa a cui riuscivo a pensare eri tu. Volevo che tu vedessi quello che stavo guardando io. Volevo guardare le meraviglie del mondo accanto a te. Così ho capito che senza te al mio fianco niente sarebbe stato bello, nessun posto sarebbe stato casa mia.”
Avevano entrambi gli occhi pieni di lacrime, con lo sguardo fisso in avanti.
“È qui che sono stato dopo averti lasciata da sola al funerale di Vega. Ed è qui che ho capito che sarei tornato e che non ti avrei lasciato mai più.”
Aveva finito, era riuscito a dire tutto quello che aveva nel cuore. Non pensava che nel farlo avrebbe provato una gioia simile!
Lei si avvicinò e gli prese la mano, avvolgendola con le sue ed appoggiando la testa sulla sua spalla. Rimasero in silenzio per un tempo che sembrò essere eterno, mentre il sole scompariva dietro l'orizzonte.
Poi Teresa aprì le labbra in un sussurro.
“Credo che Michelle sarebbe un nome perfetto.”













-Angolino dell'Autrice-
Anche se siete spariti tutti non posso smettere di scrivere, mi mancherebbero tutti troppo! Spero che sia solo una fase e che questa sezione riprenda vita prima o poi.. Nel frattempo vi saluto e vi faccio gli auguri di buona pasqua :)
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va! :D

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Capitolo 5
*** Welcome back ***


4. Welcome back
 

Dopo una giornata di indagini erano ancora senza nessuna pista valida: le due vittime erano state identificate come Mary Donovan e Lucy Meller. Non si conoscevano, non erano imparentate e le rispettive famiglie non avevano mai sentito nominare l'altra. Com'era possibile che si trovassero nello stesso posto, uccise da una stessa persona?
Kimball Cho si sentiva bloccato: non sapeva come procedere. Aveva mandato Wylei e Tork a parlare con i familiari per conoscere meglio la vita delle ragazze. Non avevano nulla in comune! Mary studiava giurisprudenza, era diligente, seria e viveva ancora a casa con i suoi genitori. Lucy invece si era da poco trasferita in un appartamento tutto suo, aveva lasciato l'università ed ora lavorava come cameriera in un posto lussuoso che le permetteva di pagare il modesto affitto.

Come se non bastasse, la squadra dell'FBI non poteva nemmeno dire di conoscere il movente. Le borse di entrambe erano state ritrovate poco lontane dai corpi, con dentro cellulare e portafoglio. Non risultavano violenze sessuali...
“Dannazione!”
Abbott venne riscosso dai suoi pensieri dall'imprecazione del collega. Lui e Cho erano seduti nell'ufficio del capo, uno di fronte all'altro tentando di far chiarezza sulla situazione.
“Non abbiamo niente. Stiamo indagando su genitori e amici, quando sappiamo perfettamente che nessuno di loro avrebbe avuto una ragione per uccidere entrambe. Ci sta sfuggendo qualcosa.”
Dennis si sorprese di vedere Kimball così scomposto e infervorato, non era da lui. Poteva capire la sua frustrazione, ma che ci fosse sotto qualcos'altro?
“Va tutto bene?”
Negli ultimi tempi Abbott sentiva di essere diventato quasi esclusivamente il consulente psicologico della squadra. Sorrise a questo pensiero: era inevitabile. Si era affezionato a quei ragazzi e tra qualche giorno sarebbe partito. Voleva solamente essere certo che tutto sarebbe stato al posto giusto.
Cho annuì distratto, ritornando al suo normale grado di loquacità.
Non poteva fare a meno di pensare che forse Jane avrebbe notato qualche dettaglio fondamentale, o che Lisbon avrebbe saputo come procedere e quali strade battere. Era appena diventato capo e già si trovava alle prese con un caso destinato a rimanere irrisolto... Non andava tutto bene. Affatto.

Era già buio quando decisero di tornare a casa. Era inutile continuare a lavorare tutta la notte senza avere niente di specifico su cui indagare.
Avevano già tutti un piede sulla porta quando squillò il telefono. Wylei rispose dalla sua scrivania, annuì rapidamente e annunciò all'interlocutore dall'altra parte della cornetta che sarebbe sceso subito.

“È arrivato un pacco per noi.”
Abbott, Cho e Tork lo guardarono perplessi. “Noi chi?”
Ma il giovane era già salito in ascensore. I rimanenti agenti rimasero in silenzio aspettando che tornasse e cercando di immaginare di cosa si trattasse.
Dopo solo due minuti il biondino era già di ritorno con uno scatolone tra le mani, di cartone, con un coperchio come quelli utilizzati per archiviare i file. Su di un lato c'era un biglietto con scritto solo “CASO DONOVAN-MELLER”.
Mentre ancora si avvicinava al punto in cui erano tutti raccolti schiuse la scatola sbirciandoci dentro. Impallidì inorridito e lasciò cadere il pacco per terra. Il contenuto si riversò sul pavimento ai piedi degli agenti.
“Ma che diavolo...?!”
Mentre tutti facevano un passo indietro disgustati, il capo rimase immobile, concentrato. Non gli ci vollero più di pochi secondi per ricordare tutto. Ora sapeva esattamente cosa stava succedendo. La situazione era più grave di quanto avesse pensato.
Incrociò rapidamente gli sguardi degli altri uomini. Non c'era bisogno di parlare, sembravano tutti d'accordo: Lisbon e Jane sarebbero dovuti tornare alla svelta.


 

La mattina seguente Patrick e Teresa se la presero comoda. Quella precedente era stata una serata piena di emozioni forti e importanti, non c'era niente di meglio che coronarla con un'abbondante colazione a letto.
Sorridevano.

Ad intervalli più o meno regolari Jane appoggiava la mano sulla pancia di lei, la muoveva dolcemente avanti e indietro e giocava con il suo ombelico.
“Jane, piantala!”
Cercava di essere autoritaria ma con scarsi risultati. Le piaceva tutto quell'affetto, e adorava lo sguardo luminoso e devoto che trovava nei suoi occhi azzurro mare. Ogni volta che lui pensava alla loro famiglia presente e futura essi brillavano di luce propria e Teresa sentiva di annegarci dentro.
Non era mai stata una di quelle donne che si lasciavano sopraffare dall'amore, ma in momenti come questi sapeva di non aver bisogno di nient'altro. Aveva Patrick, avrebbe avuto un bambino, una famiglia tutta sua, una famiglia vera, e non una in cui la figlia maggiore si ritrovava a fare da madre a fratellini disastrosi e a un padre alcolizzato. Questa famiglia sarebbe stata diversa, sarebbe stata esattamente come doveva essere.
Sentiva lo stomaco attorcigliarsi e i polmoni allargarsi, il sorriso sorgerle spontaneamente e la testa svuotarsi di tutte le preoccupazioni. Cos'era quella sensazione? Che fine aveva fatto Teresa Lisbon?
“Si chiama ottimismo.”
La donna fulminò con lo sguardo il suo neo-marito, come ammonimento per averle frugato nella mente ancora una volta.
“Ottimismo? Non credo mister sensitivo, non fa per me.”
Jane sorrise divertito. Era vero, Lisbon non era mai stata una persona ottimista, ma chi poteva darle torto?
“Beh, ce lo stimo promessi ormai, non puoi più tirarti indietro.”
Anche Teresa sorrise al ricordo di quella dolce promessa in riva al lago, fatta solo qualche giorno prima.
“D'ora in avanti, solo il lato positivo, si.”
Patrick si avvicinò al suo viso e la baciò frettolosamente ma con dolcezza. Quando si allontanò lei sfoggiò il suo solito broncio da piccola principessa arrabbiata.
“Tutto qui?”
Jane spalancò gli occhi fingendo di essere scandalizzato da quella richiesta, poi tornò con piacere a baciare le sue labbra, piano, con trasporto.
Proprio in quell'attimo, come se non stesse aspettando altro che il momento giusto da rovinare, il cellulare della poliziotta suonò.
Le ci vollero diversi secondi per convincersi ad interrompere quello che avevano appena cominciato e rispondere. Tra le proteste di Jane si alzò dal letto e lesse il nome sul display.
“È Cho.”
“Non rispondere o ci toccherà tornare a casa prima... e questa è la nostra luna di miele!”
“Come fai a dire che ci chiederà di tornare? Magari vuole solo...salutare?”
Non aveva ancora finito la frase che Patrick alzò gli occhi al cielo spazientito, quando avrebbe smesso di chiederle come riusciva ad intuire tutto? E poi questa volta era davvero scontato: Abbott non avrebbe permesso un'interruzione della loro unica settimana di romantica per nessun motivo, a meno che la situazione non fosse tanto seria da richiedere la loro presenza immediata.
“Pronto? Ciao Cho.”
Jane la osservava parlare al telefono, in meno di qualche secondo si era trasformata da donna felicemente sposata ad agente dell'FBI. La postura, lo sguardo, la voce erano tornati quelli di sempre: sicuri, determinati, risoluti. Era dispiaciuto di dover tornare così presto, e forse avrebbe dovuto dispiacersi anche del repentino cambiamento di Lisbon, ma non poteva. Teresa era entrambe le cose: dolce, passionale e felice quando erano da soli, ma anche seria e devota al suo lavoro, ed in fondo l'amava proprio per questo, ed erano state la sua forza d'animo e la sua dedizione alla giustizia a conquistarlo per prime.
“Si. Si, certo, capisco. Non preoccuparti, entro domani sera dovremmo essere di ritorno. Ok, lo farò. Ciao.”
Ovviamente Jane aveva ragione. La squadra aveva bisogno di loro e sarebbero dovuti tornare alla svelta. Appoggiò il telefono sul tavolo e si voltò lentamente verso di lui, impaurita dall'espressione triste che avrebbe certamente trovato sul suo viso.


 

La sera precedente i quattro agenti avevano chiamato i tecnici forensi per esaminare il contenuto della scatola. Necessitavano i risultati il prima possibile. La seconda chiamata era stata destinata all'impresa delle pulizie: il pavimento era incrostato di sangue rappreso e non era piacevole lavorare in quelle condizioni.
La mattina seguente, dopo aver chiesto a Lisbon di tornare, Cho fece una seconda telefonata, poi si unì al resto della squadra per informarla su ciò che sapeva: non era la prima volta che gli capitava un caso simile tra le mani, e forse l'esperienza passata aveva a che fare con questi omicidi. Era pur sempre una pista.
Si misero tutti al lavoro.

 


Quando ormai mancavano poche ore all'arrivo ad Austin, Lisbon introdusse finalmente l'argomento più importante di cui ancora non avevano discusso.
“Lavorerai a questo caso?”

“Certo.”
Rispose subito, senza nemmeno fingere di averci pensato su. Lei strabuzzò gli occhi perplessa. E rimase a guardarlo sospettosa, come se stesse tramando qualcosa.
“Che c'è? Non sei contenta? Non è quello che vuoi?”
“Io, si, cioè, voglio che tu faccia ciò che ti rende felice...”
Questa frase gli strinse lo stomaco per un attimo. Ricordi passati lo colpirono violentemente come un pugno. Erano le stesse parole che lui le aveva detto tempo addietro, portandole dei cannoli senza avere il coraggio di dirle quali fossero i suoi veri sentimenti. Quante cose erano cambiate. Adesso quella donna che aveva lasciato sulla soglia di casa era sua moglie. Riconquistò in fretta il buon umore.
“Questo è un caso particolare... E poi mi sembra di capire che senza di me non ve la caviate.”
Teresa lasciò cadere la provocazione e insistette.
“Lavorerai ai prossimi casi?”
Questa volta la risposta non arrivò così velocemente come la precedente.
“Ho una casa da costruire, Lisbon. Ricordi? Lavorerò a questo caso, poi mi dedicherò alla nostra casa, a noi.”
Non era certa che fosse la risposta migliore, ma di certo era una buona risposta. Jane avrebbe lavorato ancora per un poco con loro, e questo la rendeva felice. Poi avrebbe lasciato la squadra, ma sapeva che non avrebbe mai più lasciato lei, quindi la sua assenza sul lavoro poteva anche sopportarla.
“Ok.”
Patrick, diversamente, non era per niente soddisfatto. Sapeva che non avrebbe lavorato con l'FBI per tutta la vita, non era ciò che voleva. Avrebbe risolto questo caso e poi si sarebbe occupato d'altro. Ma così facendo Teresa sarebbe rimasta senza di lui sul campo, e non solo! Teresa e il suo bambino. Non che lui sarebbe stato di grande aiuto in una reale situazione di pericolo, ma l'idea di passare tutto il giorno con la paura che potesse accadere qualcosa di brutto a loro era angosciante.
Per il momento decise di non parlarne. Era un argomento delicato e l'ultima volta che l'avevano affrontato non era finito molto bene... E poi c'era ancora tempo. Un ultimo caso.

 


Arrivarono alla sede alle ultime luci del giorno e ricevettero il più caldo benvenuto di sempre. Lisbon si sentì leggermente a disagio: erano stati via solamente quattro giorni! Non c'era bisogno di tutta quell'espansività. Jane invece abbracciò tutti volentieri e sembrava aver già dimenticato l'irritazione dovuta al ritorno anticipato. Sorrideva e chiacchierava con tutti.
Fortunatamente per Teresa, Cho sembrava essere sulla sua stessa lunghezza d'onda e mise fine ai convenevoli.

“Ok. Vi mostro il pacco che ci è arrivato.”
Dopo le analisi avevano ricomposto la scatola così com'era arrivata per permettere a Jane di esaminala senza troppi “inquinamenti”.
Gliela porsero mentre li aggiornavano sulla storia delle vittime e sulle indagini già svolte.
Jane tolse il coperchio appoggiandolo sulla scrivania e sia lui che Lisbon guardarono dentro. Su un fondo di cartone bianco poggiava un intestino sanguinolento attorcigliato su se stesso.
“Mmm...”
Si mise a cercare qualcosa all'interno, spostando l'organo aggrovigliato con una penna. Ma non c'era nient'altro. Sembrava deluso.
“Strano...”
Tutti lo guardarono interrogativi mentre Lisbon lo spronò a spiegarsi.
“Cosa c'è?”
“È solo che... Dovrebbe esserci anche...”
Teresa lo guadò spazientita, quando avrebbe imparato a parlare chiaramente con tutti loro e a metterli partecipi dei suoi pensieri? Lui prese in mano lo scatolone guardandone i lati e il sotto continuando a non trovare nulla. Poi si fermò di colpo, come se avesse avuto un'illuminazione, sorrise e agguantò il coperchio guardando la facciata rimasta sempre coperta.
“Et voilà!”
Lo girò e lo fece vedere a tutti: con scrittura elegante e sottile c'erano scritte poche righe di quella che sembrava essere una macabra poesia.
“Non c'è dubbio. Cho, avevi ragione. Bentornato Cavernicolo.”











-Angolino dell'Autrice-
Eccomi qui con il nuovo capitolo! Lo so, lo so, è passato un sacco di tempo e vi chiedo scusa!
Ma meglio tardi che mai, giusto? :)
Spero vi piaccia, fatemi sapere se vi va. Qualsiasi commento/critica/supposizione è ben accetta! :D
Buona giornata :)

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