Amici Mai

di _fedss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Amici Mai
 
 




 
“Tu per me sei sempre l'unica,
straordinaria, normalissima, vicina e irraggiungibile,
inafferrabile, incomprensibile;
ma amici mai, per chi si cerca come noi,
non è possibile, odiarsi mai, per chi si ama come noi… Sarebbe inutile!”




 
 

 
 
"Non vorrei mai avere una relazione con un uomo come te", disse ridendo. "Lo sai, lo sai anche tu come sei fatto", rise di nuovo. "Parliamoci chiaramente, quanto potrebbe durare?"
"Io..."
"No, aspetta", lo interruppe, ancora,  "non dirmelo, te lo dico io... Una settimana? Il tempo giusto per conoscere una donna con due taglie di seno in più di me?"
Lui finse un sorriso. Non riuscì a fare di meglio.
"Avanti, Nathan, meno male che non ti piaccio e che non mi hai mai chiesto di uscire, altrimenti avresti già ricevuto il ben servito!"
"Già... Infatti... Meno male."
Silenzio.
Stana lo guardò preoccupata. "Tutto bene? Hai un brutto colorito..."
"No, io... Scusami, ma non mi sento molto bene. Forse... Sarà colpa dei gamberi, a volte mi causano... La nausea, si, la nausea."
"Ah, okay." Non sembrava convinta.
"Vado a dormire, forse è meglio. Domani mattina starò bene."
Si alzò dal divano sotto lo sguardo stupito di lei.
"È per qualcosa che ho detto? Io... Ci diciamo sempre tutto, stavo scherzando, io non..."
La interruppe mostrandole il palmo della mano. "Tranquilla. Hai solo detto quello che pensi di me." Si voltò verso la porta della sua camera da letto. "Hai solo detto quello che tutti pensano di me."
"Nathan..." Lo vide abbassare la maniglia. "Io non..."
"Buonanotte, Stana."

 
L'attrice si passò una mano fra i capelli.
Cosa diavolo aveva combinato? Okay, erano migliori amici, ma dirgli addirittura quelle cose? Che diamine le era saltato in mente?!
Continuò a fissare la porta color ciliegio ora chiusa davanti a lei. Il comodo e caldo divano dove prima era seduto anche lui, era diventato improvvisamente troppo grande e freddo per una persona sola.
Accarezzò il cuscino dove Nathan si era poggiato. Aveva paura a portarselo davanti il viso e a trovarlo impregnato del suo profumo.
Ma lo fece lo stesso.
Respirò avidamente con il naso immerso quasi interamente nella stoffa scura.
Si sentiva una perfetta idiota.
Lanciò il cuscino con rabbia, questo mancò il bracciolo del divano e finì per terra con un tonfo. Poi si alzò a sua volta.
Prese la direzione opposta a quella presa da Nathan poco prima e si diresse verso la sua camera. La suite le ricordava molto quella dove avevano alloggiato Castle e Beckett nella puntata di Los Angeles. E forse, anche il modo in cui si era conclusa la serata.
 
 
Era fermo davanti lo specchio da ormai dieci minuti. Le mani erano strette intorno al lavandino di marmo, lo sguardo maledettamente serio e addolorato era fisso sulla sua immagine riflessa.
Cosa c'è di tanto sbagliato in me?
Aveva già avuto discussioni con Stana in passato, ma questa era stata diversa. Anzi... Non era stata proprio una discussione! Per niente!
Lei gli aveva solo detto quello che pensava di lui. Così, senza indugiare, senza peli sulla lingua. Pensava quelle cose. Gliele aveva dette. Nel modo più sincero e schietto in cui certe cose si possono dire ad un amico. Tutto qua.
Non c'era niente di sbagliato.
Perché loro erano amici. Niente di più.
Ma lui si sentiva tremendamente male. E ferito. E deluso.
Aveva voglia di spaccare ogni cosa. Di prendere a calci quel mobiletto di legno, di fare a pugni con qualcuno.
Perché? Perché?!
Aprì il rubinetto dell'acqua e un forte getto ne uscì immediatamente schizzando da ogni parte, ogni cosa. Anche la camicia azzurra di Nathan.
Iniziò a sbottonarla con una lentezza quasi esasperante, senza fretta, stanco persino dei movimenti che stava compiendo.
Era stanco di tutto. Stufo di ogni cosa.
Di se stesso. Del suo carattere. Di quello che la gente pensava di lui. Di Stana. Di Castle. Dei fan.
Era stanco di tutto.
Lanciò la camicia a terra prima di bagnarsi il viso con un'abbondante quantità d'acqua. Si risvegliò come da un lungo coma durato sette anni.
Doveva porre fine a tutto questo.
Quando si infilò sotto le coperte con addosso solo i boxer rossi fuoco, sentì dei rumori arrivare dalla piccola cucina della suite. Stana, come al solito, si stava riempendo un bicchiere d'acqua prima di andare a dormire.
La conosceva bene, ormai. Era la sua migliore amica. Si volevano bene. Si raccontavano ogni cosa. Si spogliavano uno davanti all'altra senza vergogna. Discutevano. Lei gli aveva persino mollato uno schiaffo una volta. Erano come fratello e sorella.
Ma c'era qualcosa, qualcosa di profondo in entrambi che l'altro, o l'altra, ignorava. Un sentimento che era nato e cresciuto in silenzio. Si era stabilito lì, nel cuore dei due attori, e li doveva rimanere.
"Non rovinate la vostra amicizia come abbiamo fatto io e Tamala. Ci vogliamo bene, si, ma non è più come prima", diceva Jon.
"Il sesso è fantastico adesso, con lui, ma non abbiamo più quell'intesa che avevamo un tempo, certi sorrisi non ce li scambiamo più, certe battute non ci fanno più ridere", diceva invece Tamala.
E loro ascoltavano quei consigli, in silenzio, annuendo e continuando a tenere nascosti i loro sentimenti.
"Lo amo, mamma, ma è come un fratello per me", aveva detto Stana alla madre, in lacrime.
"È la donna della mia vita, Jeff! Ma non prova niente per me, sono il suo migliore amico. Il suo stupido migliore amico che le offre una spalla su cui piangere quando sta male per qualcun altro", aveva confessato Nathan al fratello.
E infatti era così. Semplice. Un rapporto che non danneggiava nessuno. A parte loro due.
Nathan aveva provato più e più volte a cambiare la situazione, quello che avevano. Aveva lanciato dei chiari segnali che chiunque avrebbe capito. Ma non Stana. Lei non li aveva colti, o forse non aveva voluto farlo.
Poi Nathan l'ascoltava lamentarsi dei fan, di quello che dicevano su loro due, di quello che volevano da loro due.
La situazione la innervosiva.
E così lui le aveva insegnato ad ignorarli, persino a riderci su.
E lei aveva imparato a lasciar correre le voci di corridoio, quello che la gente diceva su Nathan e Stana.
 
 
 

Mi ero ripromessa di non scrivere più in questa sezione ma, ahimè, è più forte di me.
Sono di nuovo qui, con una long.
Vi avverto in anticipo, ci metterò un po’ ad aggiornare. Scusatemi.
Vi lascio con questo prologo. Un ringraziamento a Ivi che ha letto, betato (?) e mi ha regalato un cubo fantastico! … Ehm, no, volevo dire… mi ha convinto a pubblicare! :)
Baci, a presto,
Fede.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

 

 

La sveglia segnava le nove quando Nathan aveva, stancamente, aperto un occhio, infastidito dalla leggera luce del sole.

La sera prima, preso dallo sconforto e dalla stanchezza, si era dimenticato di accostare le persiane e adesso il caldo sole della California cercava in tutti i modi di intrufolarsi nella grande stanza.

Nonostante sentisse caldo, tirò il lenzuolo in modo da coprirsi la testa e cadere di nuovo in un sonno ristoratore.

Niente.

Sbuffò infastidito quando un rumore di pentole arrivò dalla cucina della suite.

Perché Stana stava cucinando?

Da quando alloggiavano lì, avevano sempre usufruito dei vantaggi e dei comfort dell'hotel, ordinando la colazione e facendosela portare con il comodo servizio in camera.

Cosa le era preso?

Ormai spazientito, si alzò e si diresse in bagno. Aprì l'acqua del lavandino e si sciacquò la faccia, si sistemò il ciuffo di capelli bagnandolo un po' e poi si guardò allo specchio, sobbalzando impercettibilmente una volta aver visto la sua figura riflessa.

Delle profonde occhiaie violacee gli contornavano gli occhi, le rughe sulla fronte erano più profonde del solito e il suo aspetto non era dei migliori.

Aveva avuto un sonno agitato, si, ma di certo non si aspettava di trovare dei segni così evidenti del poco sonno sul suo viso.

Si asciugò con il telo appeso alla porta del bagno e tornò nella camera, per cercare qualcosa da indossare. In altre occasioni, non si sarebbe di certo fatto molti problemi a camminare per la suite con addosso solo i boxer. Ma adesso, in quel momento... Non si sarebbe sentito a suo agio, sicuramente.

Scelse un pantaloncino grigio della tuta che gli arrivava al ginocchio e una semplice maglietta nera.

Quando uscì dalla sua camera, i piedi nudi si mossero silenziosi sul parquet finché non arrivò nella cucina.

Stana era indaffarata nella preparazione della colazione, armeggiava con una padella sui fornelli e ogni tanto dava un'occhiata e una mescolata ad una ciotola posata sul bancone da lavoro.

Sulla penisola di marmo al centro della sala, aveva messo due tovagliette bianche, una di fronte all'altra, ed aveva apparecchiato senza dimenticare nulla. Il caffè era pronto e fumante in due tazze, anch'esse una di fronte all'altra. Il profumo aleggiava per tutta la cucina e Nathan inspirò a pieni polmoni, beandosene estasiato.

Come preparava il caffè Stana, non lo preparava nessuno, questo era da ammettere.

Diede un colpo di tosse, facendo notare alla donna la sua presenza, che sobbalzò facendo uscire un po' di impasto dalla ciotola in cui stava girando il mestolo.

"Buongiorno", disse Nathan prima di sbadigliare. Si sentiva un po' in imbarazzo, non sapeva cosa dire. Si avvicinò lentamente ai fornelli e guardò il contenuto della padella. Pancakes. La sua colazione preferita. Poi guardò Stana, interrogandola con gli occhi.

"Ehm... Buongiorno, Nathan", rispose lei abbassando lo sguardo sul cibo che cuoceva.

Lui si allontanò da lei, andandosi a sedere su uno dei due sgabelli. "Come mai stai usando la cucina?".

Stana spense il fornello girando la manovella e sospirò pesantemente. Mantenne lo sguardo davanti a se, consapevole degli occhi di Nathan fissi sulla sua schiena.

"Avevo solo voglia di cucinare, tutto qui", disse, sapendo di essere stata poco convincente.

Ma Nathan non ribatté.

"Okay".

Girò la padella in un piatto così da farci scivolare i pancakes e lo porse a Nathan. Il tutto senza guardarlo neanche per un istante. Poi, svuotò il contenuto della ciotola nella padella e riaccese il fuoco per cuocerne altri.

"Puoi iniziare a mangiare, ora preparo quelli per me", disse.

"No, ti aspetto", rispose lui. "Hai dormito bene?".

"Non ho dormito molto, in realtà", rispose lei, questa volta sinceramente "Tu?".

"Ho dormito magnificamente, il letto è davvero comodo", mentì.

Stana fece saltare i pancakes con un colpo di polso.

"Beato te". Nathan sorrise amareggiato, poi prese la sua tazza e ne bevve un lungo sorso. Si sentiva già meglio.

Osservò Stana mentre si sedeva a tavola con il suo piatto in mano.

Mangiarono in silenzio, nessuno dei due sapeva cosa dire, fino a quando Stana posò le sue posate accanto al piatto e si pulì la bocca con il tovagliolo.

"Nathan...", iniziò a dire, un po' incerta, "riguardo a ieri sera, io...".

"È tutto apposto, Stana, sul serio".

"No, non lo è", rispose, stizzita. "Ho esagerato e tutte quelle cose che ho detto, non le penso affatto...".

"È qui che ti sbagli", stavolta fu Nathan a smettere di mangiare. Alzò lo sguardo e incontrò, finalmente, gli occhi di Stana. Erano rossi. Aveva pianto?

"Come, scusa?".

"Tu quelle cose le pensi, eccome".

"Nathan, ma cosa..."

"Le pensi, Stana. Pensi quello che pensano tutti. Pensi che io cambi donna come i calzini, pensi che io non riesca ad avere una storia seria, pensi che ti porterei a letto per poi fregarmene di te. È qui che ti sbagli. Avrò anche cambiato spesso donna, ma non ho mai trattato nessuna di loro come oggetto. E con te... Non ti tratterei di certo come una di loro. Ma tu non puoi saperlo, dato che non hai mai voluto darmi una chance".

"Tu non me l'hai mai chiesta", disse lei in un sussurro.

Nathan sbatte il pugno sul tavolo. "Questa è bella!", sbraitò. Poi si alzò di scatto, facendo cadere all'indietro lo sgabello. "Questa è davvero bella", disse di nuovo, prima di dirigersi verso la sua camera.

Si chiuse la porta alle spalle sbattendola.

"Adesso basta! Non accetto di essere trattato come un cretino", disse a sè stesso, ma alzando comunque la voce.

Afferrò la valigia da sotto il letto ed iniziò a riempirla velocemente, buttandoci alla rinfusa i vestiti. Era furioso. Le mani gli tremavano, aveva caldo. Si tolse la maglietta e la tirò nel bagaglio, poi afferrò dalla sedia la camicia della sera prima e la indossò. Andò in bagno a lavarsi, poi raccolse le sue cose e mise anche quelle nella valigia.

Prese i pantaloni e se li infilò, allacciò la cinta e si mise le scarpe. Era pronto.

Diede un'occhiata alla camera, assicurandosi di non aver dimenticato nulla, ed uscì dalla stanza.

Stana era seduta sul divano, guardava il pavimento, preoccupata.

Nathan non la degnò nè di uno sguardo, nè di una parola.

Superò il soggiorno della suite e si diresse verso la grande porta della camera.

"Dove stai andando?!".

L'attore si fermò, la mano già sulla maniglia. Adesso Stana era alle sue spalle, in piedi. Lui si voltò, la guardò pensando che era davvero bella, anche di mattina dopo una nottata difficile.

"Vado via, Stana", disse con calma.

Lei spalancò gli occhi.

"Ma... Ma, Nathan, il tour non è ancora finito! Tu... Tu non puoi!" Balbettava. "Andrew andrà su tutte le furie e io...".

"Non mi importa niente di quello che dirà Andrew!".

"E di me? Di me non ti importa?", chiese in un sussurro. "Mi lascerai qui, da sola?".

"Sei adulta abbastanza per affrontare la premiazione da sola", rispose freddamente.

"Perché vuoi andartene?".

"Non voglio più restare, Stana. Non posso restare. Ho bisogno di schiarirmi le idee, voglio tornare a casa", spiegò lui, ancora troppo calmo.

Stana sorrise, le lacrime che scorrevano sul viso. "Bravo. Affronta i problemi in questo modo. Vai via".

Poi si voltò, aspettando il rumore della porta. Prima però, senti la voce di Nathan, ancora una volta.

"Non sto scappando. Ho passato sette anni della mia vita ad affrontare questo problema, ma adesso sono davvero stanco. Questa situazione... io non la reggo più. Sono stanco".

"Cosa vorresti dire?".

"Ci vediamo a Los Angeles, Stana", rispose lui, prima di chiudersi la porta alle spalle.

 

 

 

L'aereo atterrò prima del previsto. Stana si slacciò la cintura di sicurezza e prese la borsa da sotto il sedile. Si alzò sistemandosi la giacca, aspettò che la gente lasciasse libero lo stretto corridoio fra le poltrone e poi scese a sua volta.

Il suo bagaglio non tardò ad arrivare, lo prese e si diresse verso l'uscita, dove una macchina argentata la stava aspettando. L'aria calda di Los Angeles l'investì all'instante, impedendole di respirare per un attimo.

Senza aspettare che suo fratello le aprisse lo sportello, mise la valigia sui sedili posteriori prima di sedersi accanto al conducente.

"Stana!", la accolse stupito il giovane, non avendola neanche sentita entrare. L'abbracciò maldestramente a causa del freno a mano che li divideva. "E Nathan dov'è?", chiese innocentemente, guardando dietro di se.

Stana abbassò lo sguardo, un velo di tristezza comparve sul suo volto.

"Oh, lui non è qui. È dovuto tornare prima".

"Capisco", rispose il ragazzo. "È successo qualcosa?".

Stana negò con il capo senza dire nulla. Non aveva voglia di parlarne.

Il fratello capì, così ingranò la marcia e partì, senza più tornare sull'argomento Nathan.

 

 

 

"Stana, ragazza mia, ben tornata!", Andrew l'accolse con un caloroso abbraccio, prima di baciarle le guance. L'attrice arrossì, ricambiando la stretta. "Complimenti! Davvero complimenti! Eri splendida a quella cerimonia, ti ho vista in televisione", disse entusiasta. "Mi dispiace che Nathan non sia potuto rimanere... A proposito, stasera abbiamo organizzato una cenetta fra di noi, il nostro ragazzone deve fare un annuncio. Te la senti?".

A Stana gelò il sangue nelle vene. Che tipo di annuncio doveva fare Nathan? Annuì titubante, prima di sorridere, cercando di rassicurare Andrew.

"Ora vatti a riposare, per favore. Domani dobbiamo ricominciare a girare!"

Stana fece per andarsene, ma Andrew la fermò ancora una volta.

"Ah, Stana, ti passerà a prendere Tamala, lo stava dicendo prima quando Nathan ha organizzato...".

"Nathan era qui?", lo interruppe.

"Certo, perché non dovrebbe esserci? Adesso è nel suo camerino".

Stana sorrise contenta "Grazie, Andrew. Vado a risposare. A stasera!", lo salutò prima di uscire dall'ufficio.

 

 

 

 

 

 

 

Ecco il primo capitolo.
Aggiorno puntuale, stranamente.
Grazie a Ivi, che ha betato (trovando degli errori, finalmente *-*), e mi ha suggerito alcune cosette u.u
Al prossimo capitolo,
baci, Fede.

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
 
 


 
"Allora, cosa hai intenzione di metterti?"
L'attrice sospirò, tenendo intanto il telefono tra l'orecchio e la spalla e cercando qualcosa di suo gradimento nell'armadio.
"Non ne ho idea, Tam", rispose dopo un po'. "Non ho idea di che tipo di cena sia, perché sia stata organizzata e cosa abbia Nathan di tanto importante da dirci!".
Tamala, dall'altra parte della linea, rideva sentendo l'amica così frustrata.
"Non se ne è andato dall'albergo perché ha avuto un impegno urgente, vero?".
"Tamala..."
"Ascoltami, tesoro", la interruppe, "io non voglio costringerti a dire nulla, sul serio, ma non sono stupida come gli altri. Ho capito subito che qualcosa non andava, appena Nathan è tornato agli studios. Era scontroso, intrattabile, ed è rimasto chiuso nello studio di Andrew per più di un'ora! Adesso, non so cosa quei due si siano detti, ma la cosa non mi piace e, non per farti sentire in colpa, la cosa che Nathan dirà stasera, sarà sicuramente collegata a quello che è successo con te in questi giorni! Quindi, dimmi che non devo preoccuparmi e che posso godermi la serata con i miei amici".
Stana si passò una mano tra i capelli prima di afferrare un abito nero da cocktail.
Un altro sospiro.
"Lo spero. Non posso esserne sicura, ma lo spero tanto".
"Avete avuto una notte di..?".
"Cosa?! No, Tamala! Ma che diamine...", Stana arrossì vistosamente e ringraziò Dio che l'amica non potesse vederla in quel momento.
"Okay. Non avete fatto sesso. Allora cosa diamine è successo?", provò a chiederle ancora.
"Avevi detto che non mi avresti forzato a parlare".
"Hai ragione, e non lo farò. Ma vuoi davvero tenerti tutto dentro? Io sono qui, per l'amor del cielo, sono una delle tue migliori amiche!".
Tamala si stava davvero scaldando.
Stana, rassegnata, schiacciò il tasto del viva voce sul telefono e poi posò la cornetta sul letto, così da poter cambiarsi mentre parlava con l'amica.
"Io non avrei voluto essere cattiva con lui", iniziò cautamente, con la voce tremante, "ma le parole mi sono uscite dalla bocca... Così!".
"Cosa gli hai detto?", le chiese Tamala, questa volta più tranquilla.
"Gli ho detto che non avrei mai voluto avere una relazione con lui, a causa del suo comportamento da...".
Lasciò la frase in sospeso, consapevole che l'amica avrebbe capito.
Tamala trattenne il fiato.
Dopo un minuto in cui nessuna dei due disse niente, Stana interruppe quello strano silenzio che si era venuto a creare.
"Sono un mostro, vero?", chiese con voce flebile.
Si sedette sul materasso, accanto al telefono, e si prese il volto tra le mani, non riuscendo a trattenere un singhiozzo.
"Tesoro... Non piangere", le disse Tamala, "so che lo stai facendo".
La conosceva troppo bene.
"Risolverete tutto, vedrai".
"Io non avrei dovuto dirgli quelle cose!", sbottò Stana. "Non sono affari miei, diamine! Cosa mi è saltato in mente? Non posso criticare il suo essere così... Così...". Si interruppe, non riuscendo a trovare un aggettivo giusto.
"Così, come?", le chiese l'amica, sempre dolcemente.
"Non lo so. Non so come definirlo".
"Vuoi il mio parere?"
"Certo!"
Stana ascoltava attentamente mentre si infilava il vestito. Le stava alla perfezione. Si avvicinò allo specchio ed iniziò a pettinarsi, mentre sentiva la sua amica parlare.
"Tu non sai come definirlo, perché quello che gli hai detto, non è quello che pensi veramente di lui. Noi lo conosciamo bene. È un ragazzone, un eterno bambino, giocoso e sereno, ma pronto a diventare estremamente serio nei momenti giusti. Cosa si dice di lui? Che sia un donnaiolo? Che cambi ragazza in continuazione? Beh, mia cara, tu dovresti essere la prima a sapere che non è così. È innamorato da sette anni, sette, della stessa donna".
Stavolta fu Stana a trattenere il respiro. Si girò verso il telefono e corse ad afferrarlo. Se lo portò all'orecchio.
"Ne sei sicura?".
"Ne sei sicura anche tu, solo che non vuoi ammetterlo".
Stana si mordicchiò un'unghia.
"Mi ha accusato di non avergli mai dato una chance", confessò.
"Non ha torto".
"Lo so, ma...".
"Ma, cosa?".
"Stasera sono a corto di parole. Non so cosa dire. Dovrei andare da lui e scusarmi, vero?".
"E me lo chiedi pure?", Tamala si finse shoccata. "Finisci di prepararti, sto uscendo di casa, ti passo a prendere fra dieci minuti".
La canadese andò a prendere un paio di scarpe nere, rigorosamente con tacco di dieci centimetri.
"Perfetto, a tra poco".
Chiuse la conversazione abbattuta, era più confusa di quanto non lo fosse già prima.
Si truccò velocemente ed attese l'amica, seduta sul divano di casa.
Aveva la mente affollata, troppi pensieri, troppe paure sulla possibile reazione di Nathan. Cosa aveva in mente?
Si alzò quando sentì il rumore di una macchina e poi il fastidioso suono di un clacson.
Tamala era arrivata.
 
 
Fecero il loro ingresso nel ristorante come soltanto due donne belle come loro avrebbero saputo fare.
Attirando l'attenzione di alcuni uomini, camminarono fino al loro tavolo dove tutti i loro amici stavano aspettando.
Erano le ultime, come al solito.
Gli uomini si alzarono cordiali, salutandole calorosamente. Nathan schioccò un bacio sulla guancia di Tamala ma ignorò completamente Stana.
Se ne accorsero tutti.
"Questo è davvero un bel locale", disse Jon poco dopo aver ordinato la cena al cameriere.
Nathan annuì. "Lo conosco da poco ma già lo adoro. Oltre ad essere un ristorante, è anche un pub", affermò entusiasta.
"Vuoi sbronzarti, Nate?", lo schernì Seamus, mentre versava del vino alla moglie.
"Oh, altroché", rispose l'attore, lasciando sbalorditi un po' tutti.
"È così che ti piace affrontare i problemi? Scappando e bevendo?"
Neanche Stana sapeva come quelle parole le fossero potute uscire dalla bocca. Se ne pentì troppo tardi, ormai il danno era fatto.
Si venne a creare un silenzio imbarazzante. Nathan non accennava ad alzare lo sguardo, lo teneva puntato sui suoi costosi jeans. Dall'altra parte, invece, Stana, mortificata, rigirava tra le dita un pezzo di pane.
"Allora", fu Andrew a parlare per primo, "solo io ho una gran fame?".
 
 
La cena passò tranquilla. Avevano tutti capito che qualcosa non andasse fra Nathan e Stana, così fecero di tutto per evitare altri momenti imbarazzanti.
Quando i ragazzi iniziarono ad ordinare i primi drink, capirono che l'atmosfera stava cambiando.
Un cameriere sparecchiò velocemente il loro tavolo, per poi lasciarvi i cocktail che avevano chiesto.
Chiacchieravano allegramente quando Nathan catturò l'attenzione dei presenti.
"Ragazzi...", si grattò la leggera barba che gli spuntava sul mento, forse per perdere tempo e pensare a quali parole usare. "Devo dirvi una cosa".
Gli altri lo guardavano curiosi, Stana cercava i suoi occhi azzurri, ma questi non accennavano a posarsi su di lei.
"Finalmente, non stavamo più nella pelle", disse Penny, allegra.
"Forse non mi capirete, dato che la maggior parte di voi sono già ubriachi!", esclamò Nathan, causando una risata generale.
Era tipico di Nathan perdere tempo con delle battute quando non sapeva come affrontare certi discorsi.
"Sono tornato prima dal tour per la premiazione di Castle per un motivo preciso". Stavolta fu lui a cercare con gli occhi Stana, ma lei aveva distolto lo sguardo, troppo impegnata a trattenere le lacrime. "Sono stato chiamato da un produttore australiano per un nuovo incarico. Per favore, prima di uccidermi, ascoltate bene".
Nessuno obiettò. Stavano tutti aspettando spiegazioni, non capivano di cosa Nathan stesse parlando.
"Ne ho già parlato con Andrew, è tutto sistemato".
"Non ti seguo, amico", disse Jon, dopo aver bevuto dal bicchiere di Tamala.
"Lascio Castle, per un determinato periodo".
"Come, scusa?"
"Stai scherzando?"
"Questa è bella!"
Solo Stana continuava a starsene in silenzio.
"Ragazzi... Ragazzi, ascoltatemi!", attirò di nuovo l'attenzione degli amici, e iniziò a spiegare tranquillamente. "Questo produttore, è un mio amico. Gli devo un grosso favore e mi ha chiesto di aiutarlo, era disperato. Gli servo in una parte di una nuova serie televisiva, niente di che, solo dieci puntate. Sono sei mesi. Non un giorno in più".
"E con Castle?!". Tamala era allibita.
"Ci ho già pensato io", stavolta fu Andrew a parlare. "Ve lo spiego brevemente, poi ne parleremo meglio nei prossimi giorni. Castle verrà ferito, gireremo la scena con lo stunt-man di Nathan. Lo faremo andare in coma e le scene con lui saranno davvero poche, si vedrà a malapena. Per ora non vi dico altro, niente spoiler in questo locale", aggiunse per smorzare un po' la tensione.
Nessuno rise.
Nathan si bagnò le labbra con la lingua. "Ragazzi, non abbiatene, mi prendo solo una piccola pausa. Ve l'ho detto, lo faccio per questo mio amico, e poi mi farà bene stare un po' lontano da tutto e tutti".
Quel fastidioso silenzio venne interrotto solamente dal rumore di una sedia che veniva spostata.
Era Stana, si stava alzando. Tutti gli occhi si spostarono su di lei.
"Ehm, scusate, devo proprio andare in bagno".
Si allontanò velocemente, le gambe molli facevano fatica a reggerla.
Al posto di dirigersi verso la toilette, prese la direzione opposta, arrivando davanti la pesante porta trasparente del locale.
Uscì fuori e venne investita immediatamente dalla fresca aria di Los Angeles.
Un respiro. Due.
Le lacrime le solcarono prepotenti le guance, rovinandole un po' di quel leggero trucco.
"Sapevo che l'avresti presa così".
Trasalì, prima di asciugarsi velocemente le lacrime, vergognandosi di mostrarle a lui.
"Vai via, Nathan, lasciami da sola", riuscì a dire, continuando a dargli le spalle.
"Vuoi parlarne?"
"Cosa posso dirti?", si voltò di scatto. "Hai preso la tua decisone, complimenti".
Era davvero arrabbiata.
Nathan la guardò stranito. Lei era arrabbiata?!
"Mi hai accusato di non averti mai dato una chance, ma sai cosa penso?" Non aspettò una risposta. "Mi hai mai chiesto una chance, Nathan? Mi hai mai chiesto di uscire senza il resto del gruppo o di frequentarci fuori il lavoro? Mi hai mai detto che eri interessato a me, per tutto questo tempo? Siamo adulti, Nathan! Sappiamo dirci le cose in faccia!".
Si allontanò di qualche passo lungo il marciapiedi. Lui la seguì in silenzio.
"Mi hai accusata di non averti mai dato una chance ma tu, secondo me, non hai mai fatto niente per averla! Oltre ai complimenti, e gli abbracci, c'è mai stato dell'altro? Quel bacio sulle labbra due anni fa? Quando abbiamo dormito insieme in Francia, abbracciati?! Pensi che io tutte queste cose me le sia scordate? Pensi che i nostri teneri momenti non abbiamo significato niente per me? Ti sbagli. Ti sbagli di grosso. Ogni nostro momento, ogni minuto passato con te, ce l'ho impresso qui", si portò un dito all'altezza del cuore, "e non vuole uscire. Non usciranno mai...", concluse in un sussurro.
Un brivido scosse Nathan. Non riuscì a dire nulla. Non sapeva come ribattere. Stana aveva maledettamente ragione.
"Sei stanca", affermò.
Stana lo guardò curiosa.
"Ti porto a casa".
"Cosa? E gli altri?".
"Vado a salutarli. Li vedrai domani mattina, aspettami qui".
Rientrò nel locale senza darle il tempo di ribattere.
 
 
L'auto sfrecciava tra le strade illuminate di Los Angeles. Al suo interno, i due se ne stavano in silenzio, immersi ognuno nei propri pensieri.
Stana era appoggiata al finestrino, guardava le luci dei lampioni scorrere veloci. Nathan la guardava ogni volta che si fermavano ad un semaforo rosso.
Era così bella...
"Non sono tornato perché quel mio amico mi aveva chiamato. L'ho chiamato io".
Stana non rispose.
"Ho davvero bisogno di questa pausa".
Ancora silenzio.
Nathan si spazientì. "Vuoi rispondermi?".
Stana si voltò verso di lui. "Non volevo dirti cose cattive. Non penso che tu sia quello che la gente dice, dovresti saperlo bene".
Quando arrivarono davanti la villetta di Stana, Nathan si accostò al marciapiede e spense l'auto.
"Quando parti?", gli chiese la donna.
"Domani mattina".
Stana aprì la bocca ma non riuscì a dire nulla. "Così presto?, sussurrò,
Nathan annuì. "A proposito, devo prendere la giacca che ti ho prestato la settimana scorsa", le disse.
L'attrice annuì, ancora scossa. "Certo, entra un attimo".
La casa di Stana profumava di buono, come sempre.
Nathan si sedette sul divano, mentre Stana andò nella sua camera.
Quando tornò, aveva in mano una giacca nera.
"Eccola", gli disse porgendogliela.
Nathan l'afferrò e facendolo, sfiorò la mano di Stana.
Fu un attimo.
Lei si piegò verso di lui, mentre Nathan le cinse il bacino con un braccio. L'attirò a se, facendola cadere sulle sue gambe dove si sedette a cavalcioni.
La baciò con passione, infilando una mano fra i suoi capelli e passando l'altra sulla sua schiena.
Stana si schiacciò contro di lui, ondeggiando con il bacino per provocare l'uomo.
Nathan gemette.
Quando le loro lingue si incontrarono, entrambi sentirono una sensazione di vuoto all'altezza dello stomaco. Si sorrisero, labbra contro labbra.
Nemmeno loro sapevano da quanto le loro bocche erano incollate. Ma non ne erano stufi. Avevano fame l'uno dell'altra.
L'eccitazione di entrambi era sempre più evidente, i pantaloni di Nathan sempre più stretti e il vestito di Stana solo d'intralcio.
Fu proprio lui a prendere l'iniziativa. La sollevò, passandole le mani sotto i glutei e stringendola forte a se. Stana avvinghiò le sue gambe intorno al bacino di Nathan e si lasciò portare in camera da letto. Gli stuzzicava l'orecchio, leccandogli il lobo, facendogli così perdere lucidità.
Per questo motivo l'attore andò a sbattere contro al tavolino del corridoio. Risero entrambi.
L'atmosfera tornò seria una volta sdraiati sul letto, si fissavano negli occhi senza dire una parola, solo i loro respiri eccitati a rompere il silenzio.
Di nuovo fu Stana a prendere il mano la situazione, ritrovandosi ancora sopra di lui.
L'attore l'accarezzava e la toccava ovunque, facendola sospirare. Le tolse i vestiti con una lentezza esasperante, baciandole la pelle morbida e liscia.
Quando, ormai, tutti gli indumenti erano sul pavimento, si presero un momento di pausa, tanto per riprendere fiato.
Stana lo guardò, i suoi occhioni verdi spalancati. Stava succedendo realmente?
Lui la baciò, questa volta dolcemente, prima di afferrarla per i fianchi e riempire Stana con la sua parte più intima.
Fu un momento magico.
Si amarono con passione e dolcezza, fra momenti di tenerezza e serietà.
Fu come una prima volta. Si sentivano come due adolescenti alle prese con la prima cotta.
 
 
 
 
Scusate per il ritardo, davvero.
Ma anche io devo mettermi a studiare… prima o poi.
Grazie, grazie, grazie, Ivi. Sei unica!
Al prossimo (presto, promesso).
Baci,
Fede.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3


 
Aveva paura ad aprire gli occhi.
Si era accorta di essere sola su quell’enorme letto da quando si era svegliata pochi minuti prima. Ma non accennava a muoversi.
Sapeva che non l’avrebbe trovato lì, nella sua cucina, a prepararle una romantica colazione.
Sapeva che non l’avrebbe trovato neanche in bagno a farsi una doccia.
Sapeva che i suoi vestiti non erano più buttati alla rinfusa sul pavimento e che la sua macchina non era più parcheggiata nel suo vialetto.
Sapeva che se ne era andato.
 
Fu il suono del suo cellulare a convincerla ad alzarsi. Non poteva rimanere in posizione fetale sul letto, abbracciata al cuscino che sapeva ancora di lui.
Aprì prima un occhio, poi l’altro. Le serrande erano ancora abbassate e la luce nella stanza davvero poca. Solo il display del suo cellulare ad illuminare l’ambiente.
Malvolentieri, allungò un braccio per afferrare l’iPhone. Mezzogiorno e dieci. Quanto aveva dormito?
Fece scorrere il dito sullo schermo e rispose alla chiamata.
Tam.
“Pronto?”
“Dio santo, ti ho svegliata?”. Tamala era allibita. Da quando la sua amica dormiva fino a quell’ora? “E’ mezzogiorno! Non sei venuta a lavoro, ti abbiamo cercata per ore! Perché non hai risposto al telefono?!”
“Stavo…”, provò a giustificarsi ma venne interrotta.
“E  che diamine di fine hai fatto ieri sera?! Te ne sei andata senza salutare!”
“Sono andata via con Nathan, pensavo ve lo avesse detto”.
Silenzio.
“Potevate chiederlo a lui questa mattina”, si mise a sedere appoggiando le spalle alla testiera del letto. “Vi avrebbe detto che mi ha accompagnata lui a casa”.
“Tesoro… Nathan non è qui agli Studios”.
Stana chiuse la bocca, pensierosa. Cosa..? Poi Tamala rispose a tutte le sue domande che le giravano per la testa.
“Stana, Nathan è partito stamattina presto. Te ne eri dimenticata?”.
 
 
 
Non aveva mai amato volare. Fin da piccolo aveva avuto paura degli aerei. Ma per il mestiere che faceva e che lo costringeva a viaggiare continuamente, non poteva lasciarsi frenare da quella stupida paura.
Guardava fuori dal finestrino per distrarsi. L’oceano sotto di lui sembrava non finire mai.
Ogni tanto sfogliava distrattamente la rivista che una hostess gli aveva dato, poi accendeva l’ipod, ascoltava una o due canzoni prima di spegnerlo. Non si dava pace.
Il passeggero seduto accanto a lui era fastidiosamente silenzioso.
Il volo sembrava non finire mai.
Chiuse gli occhi ed appoggiò la testa al sedile.
Tutto, ogni singola cosa su quel dannato aereo, lo portava a pensare a lei. Le forti emozioni provate quella notte non lo lasciavano ancora in pace. Come avevano potuto essere così stupidi? Fare l’amore prima della sua partenza. Perché?
Entrambi sapevano a cosa sarebbero andati incontro. O almeno lui.
Che Stana avesse pensato che non sarebbe partito più per l’Australia dopo aver trascorso la notte con lei?
Avrebbe dovuto capirlo dopo quel ti amo che lei gli aveva sussurrato prima di addormentarsi. Anche lui l’amava, diamine! Ma sarebbe stato giusto dirglielo prima di partire per un viaggio di sei mesi?
 
La voce metallica del capitano lo svegliò poco prima di atterrare.
 Quando si era addormentato?
Fu un atterraggio tranquillo e Nathan poté tirare un sospiro di sollievo. Si slacciò la cintura di sicurezza prima di prendere i suo piccolo bagaglio a mano e salutare le gentili hostess.
Una volta messo piede fuori dall’aereo, l’aria calda lo investì.
 
 
 
"Come hai fatto a dimenticartene?", le chiese dolcemente Tamala, mentre le passava un fazzoletto.
Stana si asciugò gli occhi e pulì un po' del trucco colato. "Io... Io non me ne sono dimenticata. Solo che... Non ci stavo pensando, ecco".
"Tu non me la racconti giusta".
"Abbiamo passato la notte insieme", disse, di getto.
Tamala la guardò allibita per un attimo, poi scosse la testa. "Che cosa?".
Stana sbuffò, scocciata. "Hai capito benissimo. Siamo andati a letto insieme, questa notte".
"Dio santo", esclamò prima di passarsi le mani tra i capelli. "Come vi è saltato in mente?".
Stana non rispose.
"Voglio dire, sapevate entrambi che lui sarebbe ripartito questa mattina, che avrebbe passato tantissimo tempo lontano da qui! Cosa diavolo vi è saltato in mente?". Era sconcertata.
Stana nascose il viso tra le mani, singhiozzando. "Lo so, lo so che abbiamo fatto una grande stronzata... Ma lui era qui, sul mio divano e voleva la sua giacca e io...".
"Quale giacca? Di cosa stai parlando?".
L'attrice prese un profondo respiro e tirò su con il naso. "Mi ha riaccompagnata a casa, ieri sera. Ha insistito lui, non ho potuto obiettare. E poi, arrivati qui fuori, mi dice che rivuole la sua giacca! Così l'ho fatto entrare, e ci siamo letteralmente saltati addosso in un attimo! Non abbiamo potuto farci niente, è successo". Ci furono diversi minuti di silenzio in cui nessuna delle due sapeva cosa dire. “Come ho fatto! Come ho fatto ad essere così stupida?!”.
Si alzò dal letto portandosi dietro il lenzuolo bianco. Guardò fuori la finestra.
Torna a casa, Nathan.
“Sapevate entrambi a cosa stavate andando incontro. Cosa pensavate, che passare la notte insieme prima di stare sei mesi separati avrebbe migliorato la vostra situazione?”.
“No, certo che no, solo che…”.
“Solo, cosa?”.
“Non lo so”, sospirò. Si girò verso l’amica. “Gli ho detto di amarlo, sai? Glielo ho detto, finalmente. Glielo ho detto prima che ci addormentassimo. Lui non ha risposto, è rimasto in silenzio, ma ha sorriso, l’ho visto. E Dio, quanto amo quei sorrisi”.
“Cosa hai intenzione di fare?”, le chiese preoccupata.
“Cosa ho…”, la guardò spalancando gli occhi e camminando nervosamente per la stanza. “Tam, se ne è andato. Nonostante abbiamo fatto l’amore, lui è partito lo stesso. Non c’è più niente da fare, Tamala. È finita. Ognuno per la sua strada”.
Guardò l’amica un’ultima volta prima di chiudersi in bagno, entrare nella doccia ed iniziare a piangere.
 
 
 
“Mi stanno guardando tutti”, sussurrò Stana all’amica.
“Certo, tesoro, sembri un cadavere!”.
“Grazie del conforto”, le disse, stizzita.
Tamala le fece una linguaccia e Stana sorrise, debolmente. “Vuoi che ti accompagno fino al camerino? Non hai una bella cera”.
“Ti ringrazio, Tam, ma non sono malata. Ce la faccio. Ci vediamo tra poco”. Le diede un bacio sulla guancia e si allontanò, sotto lo sguardo preoccupato dell’amica.
Una volta entrata nel suo camerino, lanciò la borsa sul divanetto, prima di sedersi stancamente sulla sedia davanti al grande specchio.
Prese il telefono dalla tasca della giacca e guardò pensierosa lo schermo nero.
Doveva provarci, almeno un’ultima volta.
 
Digitò un numero velocemente, si portò il cellulare all’orecchio ed attese.
Di nuovo quella dannata segreteria telefonica.
Attese pazientemente il suono metallico, prima di lasciare l’ennesimo messaggio. L’ultimo, si disse.
 
Nathan, sono sempre io. Non mi hai risposto agli altri messaggi e… beh, forse hai cambiato numero, non so… o almeno lo spero”, rise nervosamente. “Comunque, volevo sapere come… ehm, come te la passi laggiù. Qui si sente la tua mancanza, di già. Io spero di rivederti presto… Cioè…”, un sospiro. “Torna a casa, Nathan. Ti prego”.
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4 


 
Aveva imparato ad amare l’Australia velocemente, i suoi pregi e difetti. Le persone erano ospitali, amichevoli. I suoi nuovi “colleghi” lo avevano accolto a braccia aperte, senza averlo mai fatto sentire escluso. Canberra era bellissima, Sidney ancora di più. Amava la tranquillità di quel posto, si era rilassato, aveva lavorato serenamente con il suo amico Paul che non smetteva mai di ringraziarlo per la sua disponibilità. Aveva lasciato tutto in fretta e furia. Tutti. Anche lei.

Alla fine, i mesi passati fuori erano stati sette. Aveva avvertito i suoi amici, la sua famiglia e i suoi colleghi. Ma non lei.

Aveva pensato di chiamarla, una volta o due, ma non ne aveva avuto il coraggio. 

Non aveva avuto alcuna notizia di Stana. Aveva provato più volte a chiedere a Tamala, ma le risposte dell’amica erano sempre state molto vaghe al riguardo. Come darle torto. Si era comportato male con lei, era scappato all’alba senza neanche salutarla. Ma sapeva che se l’avesse guardata anche solo un minuto in più, non sarebbe stato più in grado di partire.

Los Angeles gli era mancata. Il suo sole, le sue strade, il suo caffè. Gli era mancata la quotidianità, la frenesia della sua città e della sua gente. Gli era mancata la pasticceria che faceva quelle ciambelle squisite. Gli era mancata lei.

Uscì dall’aeroporto e l’aria calda lo investì. Per un attimo si sentì soffocare. Dall’afa, dall’emozioni. Alzò il braccio destro per chiamare un taxi vuoto e in un attimo un auto vuota si fermò davanti a lui.

Diede il suo indirizzo di casa all’autista e la macchina partì.


Trascinò i bagagli per il sentiero di mattoncini fino a fermarsi di fronte alla porta per prendere le chiavi. Quando entrò, lo accolse un familiare buono odore. Era a casa.

Si diede velocemente una rinfrescata prima di recuperare dal cassetto della scrivania il suo vecchio cellulare. In Australia ne aveva usato un altro, quindi quello era rimasto spento per quasi sette mesi. Quando lo accese iniziarono ad arrivare numerosi messaggi, la segreteria telefonica era piena.

Prima di ascoltare i vecchi messaggi, compose un numero e attese in linea.

“Nathan?!”, sentì dire.

“Hai letto bene, sono io”, disse con il sorriso sulle labbra, “sono tornato”.

“Era ora, questi mesi non passavano più! Senti, quando hai intenzione di venire a riprenderti questi maledetti gatti? Mi stanno distruggendo casa!”

Nathan rise, Jeff non era mai stato un amante degli animali. “Passo da te più tardi, Jeff. Spero tu me li abbia trattati bene. Quando ti ho chiamato la scorsa settimana sembrava ti facesse piacere la loro compagnia… soprattutto alle tue figlie!”

“Grazie a te, adesso sarò costretto a comprare loro un gatto”, gli rispose, quasi arrabbiato.

“Senti un po’, parlando di cose serie…”

“Jeff, ti prego”, lo interruppe Nathan, “non cominciare. Sono appena tornato, ho bisogno di riprendermi e… di riflettere”.

“Penso che tu abbia avuto abbastanza tempo per riflettere, Nathan”. Nathan sbuffò, ma rimase in silenzio, non sapendo come rispondere. Il fratello aveva ragione, ma non l’avrebbe mai ammesso. Adesso era lui quello in torto, non lei. Era lui che avrebbe dovuto fare il primo passo.

“Avverto Katia che passerai più tardi, Nathan. Le ragazze ti stanno aspettando”.

“Di loro che mi sono mancate tantissimo e che ci vediamo presto. A più tardi, Jeff”.

Uscì di casa in fretta, afferrò velocemente le chiavi della macchina e si mise al volante. Gli era mancata pure la sua macchina. Mise in moto e partì.

Arrivò davanti gli studios e un strana sensazione lo avvolse. Quante cose erano successe lì, quante ne aveva passate con i suoi amici, quante emozioni e bei ricordi… ma cosa gli era saltato in mente? Come aveva fatto a lasciare quel posto? La sua casa. La sua famiglia.

Scese dall’auto e si incamminò verso l’ingresso principale, qualcuno lo riconobbe e lo salutò con un sorriso, lui ricambiò felice, felice di essere lì, felice di essere tornato.

Superò una troupe e qualche cameramen prima di fermarsi davanti ad una porta scorrevole alla quale era attaccato un grosso cartello che recitava la scritta Castle.

Finalmente.

Quando aprì la porta ed entrò, nessuno se ne accorse. Erano tutti molto indaffarati, come al solito c’era un gran trambusto e tutti correvano da una parte all’altra della sala. Camminò tra i tecnici come se nulla fosse, come se non fosse mai partito e raggiunse la prima porta del lungo corridoio.

Andrew Marlowe.

Bussò ma non attese una risposta, così aprì la porta per trovarsi di fronte il suo amico e la moglie discutere animatamente. Certe cose non sarebbero mai potute cambiare.

Si schiarì la gola per annunciare la sua presenza e i due si voltarono verso di lui, scocciati. Terri spalancò gli occhi, prima di correre incontro a Nathan ed abbracciarlo con forza. Andrew sorrideva guardandoli da poco più in la, si tolse gli occhiali scuri e gli fece un occhiolino.

Una volta che Terri lo lasciò andare, Nathan si avvicinò a lui e gli strinse la mano, un enorme sorriso sul volto di entrambi. Terri tirò su con il naso e si asciugò gli occhi.

“Finalmente”, disse, “finalmente!”

Nathan scoppiò a ridere a l’abbracciò nuovamente. “Mi siete mancati”, disse guardandoli, “non potete immaginare quanto”.

“Anche tu ci sei mancato, tesoro”, gli rispose la donna. Andrew annuì.

“Allora, dicci un po’, come si sta dall’altra parte del mare? Cosa hai combinato, eh, ragazzone?!”

Nathan non riusciva a smettere di sorridere. La felicità dei suoi amici nel rivederlo gli aveva scaldato il cuore. Amava i suoi amici. “Eh, Terri, le cose laggiù vanno alla grande, ce ne sarebbero di cose da raccontare!”

“Che hai combinato?”, intervenne Andrew colpendolo alla spalla, “sempre il solito ragazzaccio!”

Risero di gusto tutti e tre prima che Nathan riprese a parlare. “Rimarrei qui a parlare con voi tutto il giorno, lo sapete, ma prima devo andare a salutare gli altri”.

“Certo, Nathan, anzi, rimani qui mentre io vado a dire che è in arrivo un sorpresa!”, mosse le mani per aria in un modo che gli ricordò Martha Rodgers. In un attimo aprì la porta e scomparve, lasciando i due uomini soli.

“Sei passato dal grande capo?”, chiese Andrew.

“Ancora no, prima volevo salutare te. Anche se sulla carta adesso il capo è lui, per me rimarrai sempre tu il boss!”, rispose Nathan, facendogli l’occhiolino.

“Sempre il solito chiacchierone. Hai già incontrato qualcun altro prima di arrivare qui?”

“Uhm, in realtà no. Erano tutti così indaffarati…”

Andrew sistemò alcuni oggetti sulla scrivania prima di rispondere a Nathan. “C’è davvero tanto da fare, c’è stato un boom di ascolti impressionante e la serie è già stata rinnovata per altre due stagioni!”

Nathan guardò l’amico parlare entusiasta. “Non sono riuscito a guardare neanche un episodio, sai, ho lavorato tanto e in più avrei avuto paura che…”, fece una pausa, guardando oltre Andrew, si passò una mano tra i capelli e poi riprese, “si, beh, guardare il nostro show andare avanti senza di me, sarebbe stato un duro colpo”, ammise alla fine.

Andrew lo guardò maliziosamente. “E guardare lei andare avanti senza di te, invece?”

Nathan sbuffò. Il momento era arrivato. “Andrew…”

“Niente Andrew, Nathan”, lo interruppe. “Non ti sto dicendo nulla. Io non c’entro nulla e, soprattutto, non voglio sapere nulla. L’importante adesso è che tu sia tornato. Castle si sveglierà dal coma, finalmente!”

“Ho già riavuto la parte?”, chiese, quasi sorpreso.

“Non ti è mai stata tolta”.

Qualcuno bussò alla porta e li interruppe.

Stacy, una giovane assistente, salutò timidamente Nathan prima di far sapere ai due che Terri li stava aspettando sul set del loft di Castle. Si avviarono dietro la ragazza, lungo il corridoio prima di uscire all’esterno. Entrarono in una struttura più avanti dove impalchi di legno e cartone erano stati disposti dai tecnici per dare la forma di un finto appartamento. Salutò qualche vecchio collega e seguì Andrew attraverso la finta porta del loft.

Li vide subito. Parlavano tra loro tranquillamente, magari si stavano chiedendo quale fosse la sorpresa o magari discutevano del copione ma, appena Andrew entrò, si voltarono verso di lui e, finalmente, videro il loro amico.

Tamala urlò. Si lanciò addosso a Nathan, gli allacciò le braccia al collo e lo strinse forte. Nathan non riuscì a trattenere le lacrime.

Si avvicinarono anche Jon e Seamus che prima fecero finta di colpirlo con qualche pugno, poi lo abbracciarono. A turno, lo salutarono tutti. Susan non riusciva a smettere di piangere, Molly era rimasta attaccata a lui anche mentre stava salutando gli altri amici.

Una volta salutati tutti, Nathan si asciugò le lacrime dal viso e si guardò intorno. Lo stavano tutti guardando felici, aspettando che dicesse qualcosa.

Sospirò. “Mi siete mancati”, disse infine, sorridendo. Passò solo un altro secondo prima che si accorgesse che mancava una persona.

Lei non c’era. Non era lì fra i suoi amici. Guardò Tamala, confuso, lei gli fece segno con la mano di aspettare. Seamus iniziò a fargli qualche domanda, lui raccontò qualcosa, annuiva e rideva alle battute, ma i suoi pensieri erano da un’altra parte.

Poi, la porta si aprì ed una donna indaffarata entrò, tenendo in mano il telefonino. Mugugnò velocemente un “menomale che oggi dovevo fare solo mezza giornata” più a se stessa che agli altri, prima di girarsi verso il gruppo di amici.

Lui la vide subito. Spalancò la bocca.

Lei ci mise un attimo prima di individuarlo in mezzo ai suoi colleghi. Automaticamente si coprì la pancia con la mano, come per volersi difendere. La testa iniziò a girarle, Tamala e Molly la videro boccheggiare e le si avvicinarono prontamente, prendendole le braccia per sorreggerla.

Stana stava ancora guardando Nathan. Nathan si sentì mancare, i suoi occhi ancora fissi su di lei, o meglio, sulla sua pancia coperta da una larga maglia grigia.

Calò un silenzio funereo sul set e la tensione era palpabile.

Finalmente Stana riuscì a parlare. “Nathan…”, disse prima di venir interrotta proprio dall’attore.

“Sei…”, scosse la testa. “Sei incinta, Stana?”





 



Uhm, wow, non ricordavo neanche come si modificasse il testo con tutti quei codici strani.

E' passato più di un anno, non posso credere di aver ripreso a scrivere questa storia. Wow di nuovo.

Beh, mi dispiace molto, ma fra impegni e cose, la voglia di scrivere non c'era più. Ora è tornata, o almeno spero.

Sto già scrivendo il prossimo capitolo, magari non dovrete aspettare un altro anno.
Magari...

Baci,
Fede.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 


Ripensandoci, aveva posto una domanda stupida. Era palese che Stana fosse incinta. Il pancione sporgeva addirittura da sotto la maglia prémaman che non riusciva a coprirlo interamente. Non gli arrivò nessuna risposta, Stana ancora lo guardava incredula.

Si voltò verso Terri che prontamente si era avvicinata a lui. La guardò cercando spiegazioni con gli occhi ma lei poté solamente accennare un sorriso di incoraggiamento.

Nathan aveva la testa piena di domande, le sue mani stavano sudando in modo quasi vergognoso e sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Non si preoccupò di chi fosse, la scansò in modo brusco e fece un passo verso Stana.

Automaticamente, lei ne fece uno indietro, sempre affiancata da Molly e Tamala.

“Stana…”, disse Nathan. La guardò negli occhi, il verde delle sue iridi messo in risalto dalle lacrime. “E’…”, si guardò ancora una volta intorno, i suoi amici e colleghi erano ancora tutti lì, accanto a loro.

Guardò prima Andrew, poi Tamala che aveva ancora un braccio intorno all’amica. “Potete… Potreste lasciarci un attimo soli, per favore?”

Qualcuno si allontanò velocemente, altri rimasero un attimo di più per accettarsi che la situazione fosse sotto controllo. Stana, che fino a quel momento non aveva rivolto parola a nessuno, iniziò a scuotere la testa lentamente. “Non… non voglio”, disse, la voce incrinata dal pianto.

Poi guardò Nathan, le mani ancora strette davanti la pancia. “Vattene via”, sibilò, un sussurro che in pochi riuscirono a sentire. Poi si rivolse a Tamala. “Portami via da qui”.

L’amica provò a contestarla ma con scarso successo. “Sul serio, Tam, non mi sento bene”.

In un attimo Tamala e Molly l’accompagnarono fuori dal set, sotto gli occhi increduli di Nathan. Terri lo stava ancora fissando, gli posò una mano sul braccio per confortarlo. Lui si voltò verso di lei e le mostrò un sorriso tirato, stanco.

“E’… è mio?”, riuscì a chiedere, le parole che fino ad allora non aveva avuto il coraggio di far uscire dalla bocca, lo lasciarono sfinito. La realtà lo colpì come una secchiata di acqua gelata. Quel bambino poteva essere suo. La notte prima della sua partenza lui e Stana avevano fatto l’amore e nessuno dei due si era minimamente preoccupato di usare precauzioni. Se solo fossero stati un po’ più attenti…

E se non fosse stato suo? Se Stana avesse avuto altri uomini durante la sua mancanza? Quella possibilità era da considerare e lui andò nel panico. Forse glielo aveva tenuto nascosto proprio perché lui non era il padre…

Fissò Terri che ancora non aveva dato una risposta alla sua domanda. “Allora?”.

La donna sospirò. “Non lo so, Nathan, sul serio, non ce lo ha mai detto ma… aspetta, pensi sia tuo? E come, come è… Oddio”, Terri si bloccò. “Nathan, dopo che siete andati via dal locale quella sera, voi…”.

Nathan si passò una mano tra i capelli. Guardò Andrew in cerca d’aiuto. L’uomo intervenne prontamente. “Tesoro, lascialo respirare, ha già molto da assimilare, non…”, la guardò dolcemente, poi spostò lo sguardo sull’attore. “Nathan, che ne dici se io e te andassimo a parlare con Rob? Quando ti vedrà all’improvviso gli prenderà un colpo!”, sorrise, cercando di smorzare la tensione.

Nathan annuì. “Va bene. Terri, potresti andare a controllare Stana e le ragazze? Non penso di essere il benvenuto in questo momento, passerò più tardi…”, l’ennesimo sospiro prima di incamminarsi verso l’uscita con Andrew. Terri lo guardò allontanarsi, la testa bassa, le spalle curve.

“Quanto male dovrete farvi ancora, ragazzi miei..?”.




“Come ti senti, tesoro?”, le chiese Tamala, prima di passarle un bicchiere d’acqua. Stana sistemò meglio i cuscini dietro la schiena e le sorrise riconoscente.

“Ora meglio, grazie”, si stropicciò gli occhi con le dita e guardò di nuovo l’amica. “Lo sapevi? Sapevi che sarebbe tornato oggi?”.

Tamala lanciò uno sguardo impaurito a Molly che le stava guardando in silenzio. La ragazza annuì. “Lo sapevamo tutti, non proprio che sarebbe tornato oggi, ma in questi giorni e… volevamo dirtelo, te lo giuro, ma tu eri tornata quella di un tempo e rovinare di nuovo tutto sarebbe stato…”.

“Tranquilla”, la interruppe Stana, “non ce l’ho con voi. Volevo solo sapere”. Chiuse gli occhi. “Questo è un incubo…”.

Molly si alzò dallo sgabello in fondo alla stanza e si avvicinò al divano-letto dove era sdraiata la canadese. Le accarezzò i capelli. “Non è un incubo, Stana, magari ora che Nate è tornato le cose si sistemeranno e…”.

“Sono passati sette mesi, sette! Non un giorno, non due, non una settimana… sette mesi! E in sette mesi io non ho avuto il coraggio di… di dirgli che…”.

“Stana, ti prego, non prenderti le colpe. In questa storia, tu sei la vittima. È lui quello che se ne è andato senza neanche averti salutata, ricordatelo sempre!”. Tamala era stata così arrabbiata con Nathan. La prima volta che si erano sentiti dopo la sua partenza gliene aveva dette di tutti i colori, gli aveva riversato addosso tutto il dolore che la sua migliore amica stava provando e che era stato proprio lui a causarle. Stana non si meritava tutto questo. Lei meritava di meglio, molto meglio.

“Sono stata io a farlo andare via, non capite? Durante la tournée gli ho detto talmente tante cose brutte che lui è crollato! Si è frantumato in pezzi, e sono stata io a farlo…”.

“Talmente tante cose brutte?! Ma ti senti, Stana?”, Tamala era allibita. “Gli ormoni ti danno alla testa, ragazza mia”.

“Cosa è successo in tournée?”, Molly guardò prima una poi l’altra, “cosa mi sono persa?”.

“Niente di che”, Tamala mosse una mano in aria come per sottolineare la poca importanza della cosa, “Stana ha solo detto a Nathan che non vorrebbe mai avere una relazione con lui a causa del suo essere così…”.

“Beh, non avevi tutti i torti”, commentò la ragazza.

“Visto?!”.

La canadese sbuffò, stava per ricominciare a parlare quando qualcuno bussò alla porta. Spalancò gli occhi. E se fosse stato Nathan?

Molly aprì la porta, quel poco necessario per vedere chi fosse. La voce di Terri si sentì chiaramente in tutta la stanza. “Posso entrare?”.

Una volta entrata, si avvicinò al letto di Stana. Le lasciò un bacio sui capelli prima di rivolgersi a Tamala. “Come sta?”.

“Puoi chiederlo anche a me, sai! Sto bene, Terri, tranquilla”.

La donna annuì e si sedette ai piedi del letto, giocava nervosa con i bordi della coperta. “Stana, c’è una cosa che dovrei chiederti e…”, prese un profondo respiro, “il bambino è di Nathan?”.

Non appena sentì quelle parole, Stana si coprì il viso con entrambe le mani, Molly spalancò la bocca mentre Tamala restò impassibile. Lei sapeva tutto.

La canadese cercò l’amica con lo sguardo e lei le sorrise. “E’… è suo, si”, sospirò. “E’ di Nathan”.




Nathan camminava da più di due minuti davanti al camerino di Stana, avanti e indietro, avanti e indietro, cercava di riordinare dei pensieri che al loro posto non ci volevano proprio tornare. Era così confuso.

Gli ultimi due passi prima di prendere coraggio e bussare, piano, con timore. Attese, ma non rispose nessuno. Stava per colpire di nuovo la porta con la mano chiusa a pugno quando la porta si aprì e Molly si affacciò per vedere chi fosse. Spalancò gli occhi.

“Nathan, uhm… aspetta un attimo”. Gli richiuse la porta in faccia senza dargli il tempo di rispondere. Nathan stava iniziano ad innervosirsi.

Quando la porta venne aperta nuovamente, fece un passo nella stanza e si guardò intorno. Tamala, Molly e Terri lo stavano fissando, Stana, invece, ancora sdraiata sul letto, dormiva.

“Si è appena addormentata”.

L’uomo annuì. “Come sta?”.

“E’ solo un po’ scossa”, gli rispose Terri, le altre due donne annuirono.

“Potrei… potrei rimanere solo con lei, per favore?”, le guardò speranzoso. Le vide annuire nuovamente prima di uscire una alla volta dalla stanza. Tamala per ultima. Gli posò una mano sul petto e lo guardò dritto negli occhi.

“Mi raccomando”.

Nathan chiuse la porta dietro di loro, attento a non farla sbattere per non fare rumore. Poi si voltò e avanzò lentamente verso il letto. Guardò Stana dormire in posizione fetale, le mani ancora una volta strette intorno alla pancia. Sorrise, era così bella.

Prese una sedia e l’avvicinò al letto, si sedette su essa e poggiò la testa sul cuscino, accanto a quella di Stana. La guardò attentamente per qualche minuto, le guance rosse, il naso dritto, poi, non resistendo un secondo di più, le passò una mano sui capelli, dietro l’orecchio e sullo zigomo. La pelle così morbida…

Si pentì del suo gesto solo quando Stana iniziò a stropicciare gli occhi ed allungare le braccia sopra la testa. Nathan allontanò il viso.

L’attrice si guardò intorno spaesata prima di posare gli occhi su Nathan. L’espressione sul suo viso era confusa. “Quanto… quanto ho dormito?”.

“Cinque minuti, credo, non di più”.

Stana annuì. “E da quanto tempo è che sei qui?”.

“Cinque minuti”, ripeté.

Stana annuì di nuovo, si mise seduta sistemando ancora una volta i cuscini dietro di se. Guardò Nathan con timore. “Sei arrabbiato?”.

“Arrabbiato? Perché dovrei essere…”, si interruppe quando vide Stana spostare lo sguardo sul pancione. Ah. Le prese le mani fra le sue e lasciò un bacio su di esse. “Sono stato un codardo, io… non so neanche come… dovresti essere tu quella arrabbiata”.

“Lo sono”, ammise, “sul serio. Ma sono anche contenta che tu sia tornato e…”, una lacrima le sfuggì al controllo, lasciando una scia bagnata dalla guancia al mento. “Non avrei dovuto dirti quelle cose, in albergo, ho esagerato”, annuì. “Si, ho esagerato”.

Nathan spostò lo sguardo, ancora mille dubbi a tormentarlo, ancora troppe domande senza risposta. Guardò la pancia della donna, di nuovo, un tenero sorriso sulle labbra. “Sei molto bella”.

Stana arrossì, anche lei con lo sguardo basso. “Grazie”, sussurrò.

"Forse non è il momento, o forse non lo sarà mai, ma devo chiedertelo, Stana”, prese coraggio, “è…”.

Venne interrotto. “Si”, Stana aveva già risposto alla domanda prima ancora che lui l’avesse formulata. “E’ tuo”.

Nathan annuì, uno strana sensazione di calore gli scaldò il petto. Non riuscì a dire nulla.

“Ma, ovviamente, se non vuoi averne nulla a che fare io… io potrei sempre cavarmela da sola, sul serio, non…”, si interruppe quando vide lo sguardo offeso di Nathan. Si diede mentalmente della stupida. “Nel senso che… con la carriera e tutto e…”, cosa diamine stava dicendo?!

“Non pensarlo neanche, Stana… Io… so che dovrò farmi perdonare, so che dovrò riacquistare la tua fiducia, ho fato una cosa imperdonabile e ne sono consapevole ma, tu, questo bambino, siete importanti e siete parte della mia vita e…”, si interruppe quando la donna gli prese una mano e se la portò lentamente sulla pancia.

Nathan la guardò allarmato. “Sicura che… cioè, p-posso?”.

“Shh, Nathan, fai silenzio. Senti, riconosce il suo papà”.



 



Una settimana precisa, non ci credo.
E sono anche stata buona! Cioè, che cosa mi sta succedendo?!
Ivi mi ha chiesto di tenere il 'baby-moment', ringraziate lei per tutta questa dolcezza :)

Che dire, non mi aspettavo tutto quell'entusiasmo per il capitolo precedente, soprattutto dopo un anno di attesa! Grazie a tutte!

Alla prossima, 
baci,
Fede.

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