Be My Forever

di Elle Douglas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Come siamo arrivati fino a qui? ***
Capitolo 2: *** 2. Vanoghue. ***
Capitolo 3: *** 3. And how long can we keep this up? ***
Capitolo 4: *** 4. AZIONE! ***
Capitolo 5: *** 5. Noi siamo perfetti. ***
Capitolo 6: *** 6. Confusa. ***
Capitolo 7: *** 7. Mi manchi da una vita. ***
Capitolo 8: *** 8. I see him die a little more inside. ***
Capitolo 9: *** 9. Together ***
Capitolo 10: *** 10. You put your arms around me and I'm home. ***
Capitolo 11: *** 11. SURPRISE! ***
Capitolo 12: *** 12. ... E sono un imbranato. ***



Capitolo 1
*** 1. Come siamo arrivati fino a qui? ***


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 1. Come siamo arrivati fino a qui?

 
 
Non so ben dire come fini in quella situazione.
E non mi capacitavo del fatto, che dopo anni vissuti insieme in cui lui e solo lui riusciva a farmi star bene,  tutto finisse così.
Dove vanno tutti gli amori finiti? Tutto quel sentimento che riversi su una persona che fine fa a un certo punto?
 
Non poteva continuare di certo in quel modo.
Proprio per niente, ero ritornata a casa totalmente nuova, e, incredibile a dirsi, non ero più io.
Quello che era successo al Comic Con era stato strano, molto strano ma mi ci ero persa dentro, ci avevo vissuto e per quanto mi riguardava erano stati i migliori tre giorni passati in tutto l’anno.
E nemmeno era per il Comic Con in sé.
C’era dell’altro, o meglio qualcun altro, e mi sentivo in colpa.
Ci sentivamo in colpa.
E ora non facevo altro che pensare a lui, sempre costantemente.
E lui, d’altro canto faceva lo stesso.
Era un continuo scambio di messaggi, chiamate e parole strane che ci dicevamo, in cui la maggior parte delle cose veniva celata a Robert, quando mi chiamava e io gli ero accanto.
E i sensi di colpa mi assalivano.
E lui che cominciava a sospettare qualcosa di tutto quel accanimento tra noi due, di quelle voci lanciate dai media e io che continuavo a ribadirgli che eravamo solo amici e che doveva star tranquillo.
Ma non era vero.
Niente di ciò che gli dicevo era sincero, la nostra storia era sull’orlo, non riuscivo a stargli più accanto come prima e anche lui iniziava a rendersene conto.
E quella decisione, che sembrava tanto lontana a momenti risultava la più giusta, in altri la più crudele.
 
Non l’avevamo pianificato.
Niente di tutto ciò che era successo era stato programmato e quando i nostri occhi e le nostre labbra si erano incontrate in quella stanza d’albergo era successo davvero per caso.
Non era nessuna scena da provare, nessuna scena da girare, nessun personaggio era stato spinto a quella mossa.
Eravamo noi.
Che strano era ora ripensarci.
Come si era evoluto tutto.
Dal parlare eravamo finiti allo scherzare e dallo scherzare le sue labbra erano finite sulle mie.
Prima in modo delicato, incerto, insicuro, instabile.
Quasi cercasse la mia approvazione per andare avanti in quel gioco di sguardi e promesse fatte sulle labbra che non avevamo il coraggio di dire a voce alta, non avevano nulla a che fare con il telefilm stavolta.
E io glielo diedi, quel consenso, senza remore, senza pensieri, quasi come se fossi libera.
E allora quella determinazione arrivò, perché doveva essere lui a spingermi ad essere sicura, da sola non ce l’avrei mai fatta.
E i suoi baci si fecero più saldi e duraturi, certi.
Potevo sentire meglio il retrogusto del sale mischiato alla dolcezza di quella caramella alla ciliegia appena consumata che era ancora ferma sulle sue labbra, potevo sentirlo con me, coinvolto con me in quel gioco di bocche che si avvinghiavano l’una con l’altra, e si bramavano a vicenda.
Con un gesto mi prese dai fianchi e mi spostò di più verso il muro, trovando un appoggio stabile.
E io mi lasciavo trasportare da lui, senza nemmeno badarci.
Ero letteralmente nelle sue mani.
Con una presa decisa mi portò di più verso di sé, in modo più stretto e marcato.
Quasi a farmi diventare sua anche in quel modo.
I miei fianchi, il mio corpo si adattarono perfettamente al suo che mi premeva contro e iniziò a prendere fuoco sotto il suo tocco e le farfalle nel mio stomaco iniziarono a triplicarsi.
Mi sentivo leggera.
Desideravo sempre di più le sue labbra e sentivo sempre più la sua barba solleticarmi il viso.
Era come una frenesia.
Mi avvinghiai a lui portandogli le braccia intorno al collo.
Chiusi gli occhi per assaporare ancora meglio quel momento e lo sentii per un attimo sorridere sulle mie labbra.
Felice di quella resa.
Sorrisi anch’io.
I suoi gesti come le sue labbra andarono sempre con più decisione a fondo, in un bacio che pian piano ci toglieva il fiato.
Era stupendo, lui. Era qualcosa che nei mesi si era sempre più intensificato e rivelato importante e fondamentale, dentro e fuori il set, e da tempo una certa attrazione era esplosa in me per lui, ma cercavo di giustificarla con il personaggio, cercavo di tenerla a bada, anche quando lui a volte scherzando fingeva di provarci e mi provocava durante le prove, dove nemmeno dopo poco era lui stesso a scoppiare a ridere imbarazzato ed esclamando un ‘Stavo scherzando’.
Ed ora eravamo lì, appoggiati a quel muro di quella stanza d’albergo al Comic Con a cedere a ciò che da mesi ci nascondevamo entrambi.
A cedere a ciò che fingevamo non esistesse.
Perché si sa che reprimere un desiderio non è mai una buona cosa.
Può scattare da un momento all’altro in modo violento e farti ritrovare così come eravamo ora.
Gli tolsi la giacca in preda al momento, mentre ancora ero sulle sue labbra, spalle al muro.
Nessuno dei due si sarebbe staccato dall’altro, di questo ero certa.
I suoi baci si fecero più vogliosi, più affamati e quasi non riuscii a tenere più il passo di quel ballo diventato troppo veloce.
Se ne accorse e rallentò per venirmi dietro.
Lo volevo, davvero. Ogni centimetro del mio corpo lo bramava in una maniera potente e inusuale.
E lui non faceva altro che farmi capire lo stesso.
Le mie mani poi scivolarono sul suo collo, verso la camicia che iniziai a sbottonare, andando a tentoni, senza capire davvero ciò che stavo facendo.
Le sue mani salirono più verso la mia schiena per stringermi ancora di più a sé.
Stavo perdendo il respiro, ma non mollavo.
Non l’avrei fatto.
Lui era stato la prima persona che avevo conosciuto sul set dopo aver accettato la proposta di lavorare nella serie.
Era stato lui ad impararmi, a rassicurarmi e a darmi le dritte su come dovessi interpretare al meglio il personaggio.
E quella parte, destinata ad apparire in una puntata o due si era poi estesa a tre, a quattro fino ad essere rinnovata per la quarta stagione della serie perché i fan amavano la storia di un pirata e una ragazza conosciuta come zingara e volevano saperne di più.
Ed era lì, che pur essendo felice mi si rattristò il cuore, perché immaginavo la tortura a cui andavo incontro e che ora si presentava proprio davanti ai miei occhi, anzi alle mie labbra.
Le nostre bocche erano lì da minuti interminabili, potevano essere passati anche secoli per quanto mi riguardava, perché quello che stavo avendo era qualcosa che avevo persino dimenticato e che quell’uomo davanti a me, mi stava ricordando.
Ci staccammo dopo un bel po’, e fu un dispiacere farlo, ma avevamo bisogno di ossigeno e nei nostri polmoni l’avevamo esaurito davvero tutto.
Ero scombussolata. Stentavo a credere a ciò che era successo. Che avevo fatto?
I suoi occhi erano a pochi centimetri dai miei, quei due pezzi di cielo, erano lì in quella stanza, e mi fissavano ardentemente, mentre lui era del tutto trafelato, quanto me.
Cercavamo di riprender fiato, almeno un po’ prima di ricominciare.
E mentre lui era davanti a me, con i suoi occhi nei miei, intento a riprender fiato iniziò a scendere.
La sua bocca iniziò a scendere lentamente sul mio collo nudo.
Un bacio, due, tre, quattro… mi avvinghiai forte a lui cercando di non morire in quel modo.
Mi stava facendo impazzire, e lo sapeva benissimo.
‘Ti prego…’, dissi ansimante. E lo tirai su, di nuovo prima che la cosa precipitasse oltre, e iniziai a baciarlo con lo stesso vigore di prima.
Lo volevo, ma piano.
Lui sorrise nuovamente contro le mie labbra, e ricominciò allo stesso ritmo.
Mi staccai piano dalle sue labbra e lo fissai negli occhi a pochissimi centimetri dai miei.
‘Sei la mia rovina’, ansimai.
Lui sorrise, con quel sorriso che mi faceva impazzire.
‘Posso dire la stessa cosa’, ammise nella mia stessa situazione.
 
Poi un telefono cominciò a squillare.
Era il mio, e di colpo tornai alla realtà dei fatti.
Mi staccai quasi bruscamente.
Sorrisi timidamente a chi avevo di fronte e mi congedai, liberandomi dalla sua stretta, in cui avrei preferito rimanere.
Ebbi un colpo al cuore mentre gli voltavo le spalle.
Superai la debole parete su cui lui era rimasto appoggiato e andai nella camera accanto.
 
Un nome che sembrava avere caratteri cubitali lampeggiava sul display. Robert.
Cercai di ricompormi quasi come se potesse vedermi.
Quasi come se mi avesse visto nei minuti passati.
 
Ehi amore! Fece una voce dall’altro capo.
Cercai di sorridere, ma mi sforzai, lo potevo sentire. Quell’appellativo non mi dava gioia da mesi, e in questo momento non lo tolleravo per niente.
Era come una lama appuntita.
‘Ehi!’, biascicai, ancora con il fiatone, senza affibbiarli nessun nomignolo. Nulla.
Feci un lungo sospiro per riprenderlo tutto d’un fiato.
Una voce dall’altra parte restò ad ascoltare.
Sei andata a correre? Domandò scettico, mentre sgranocchiava qualcosa.
No, non stavo correndo Robert. Mi stavo lasciando andare, nel modo in cui non dovrei, nel modo in cui mi lasciavo andare con te prima di tutto questo, dimenticandoti per un attimo e questo non va bene.
Non va bene per nulla.
‘Ehm…’, cercai le parole. Cosa avrei dovuto dirgli?
Mi sentii male, mi venne da vomitare, mi sentivo sporca e mi misi quasi a piangere.
Perché? Perché? Perché?
‘si, sono andata a fare un po’ di tapis roulant per scaricare l’ansia’, cercai di convincermi che ciò che stavo dicendo era vero. Non doveva sembrare il contrario.
Tirai su con il naso, cacciando via le lacrime.
Ma stai bene? Domandò lui, preoccupato.
Dannazione, percepiva tutto.
‘Si perché?’, cazzo avevo imparato a recitare. Fallo anche con lui. Ora.
Perché sembri raffreddata. Rispose secco lui.
E quanti significati si possono dare a quella parola Rob? Quanti? E’ l’unico che stai intendendo tu ora è quello che è proprio da escludere.
‘No, sono quei momenti improvvisi sai. Che fai?’, cercai di cambiare discorso.
Sono appena rientrato, ed ero intento a mangiare cinese, tu? Dove sei?
‘Anche io sono appena rientrata. Siamo stati a cena fuori con tutto il cast in un locale non lontanissimo’. Risposi con sicurezza.
Tutto bene? Hai mangiato?
Sembri mia madre a volte, sai?’ risposi di rimando.
Giusto, mea culpa. E lo immaginai alzare le mani.
Risi al modo in cui parlava il latino.
Mi manchi. Buttò giù, così. E mi spiazzò interrompendo bruscamente la mia risata.
Per la prima volta, restai senza parole a quell’affermazione, io che di solito era la prima e la stessa a dirglielo.
Cosa avrei dovuto dirgli? Anche tu? Quanto sarebbe stata vera quella risposta?
Quanto sarebbe stata sentita da parte mia?
Dovevo mentire anche su questo? perché non sentivo nulla di tutto quello. Non mi mancava.
Il mio cervello iniziava a scoppiare e il mio cuore, da parte sua, era da quell’uomo dall’altra parte della parete, perché lo sapevo che era lì sin dall’inizio, e non si degnò nemmeno di rispondere facendo accelerare un battito. Sembrava muto, quella sera.
Van, ci sei?
Troppa attesa. Troppa attesa avevo dato.
‘Si ci sono, scusa’. Scusa, ma il mio cuore stasera è silenzioso Rob ed è incapace di battere come una volta per te. Si sta legando ad un altro, e non so tenerlo al suo posto accanto al tuo, ecco il problema.
Perché il cuore fa di testa sua, non è come il cervello. Non si spegne e non gli imponi per chi deve battere.
Va da sé, e fa male quando non è la sua solita direzione.
Ti sento strana stasera…  allude. Sembri lontana, oltre ad esserlo fisicamente.
Colpita e affondata.
Iniziai a piangere, in silenzio.
‘No, davvero Rob, ti chiedo scusa. E’ che sono stanchissima stasera. Lo sai che i viaggi e i letti nuovi mi mettono sottosopra. Poi mettici la tensione del Comic, delle interviste, degli incontri… non ho dormito per nulla ieri’. Ed è l’unica verità che stasera gli concedo, perché le altre sarebbero scomode, e difficile da digerire.
Lo so, ma cerca di stare tranquilla. Domani torni. Risponde lui entusiasta cercando di incoraggiarmi e farmi forza, non sa quanto mi stia buttando giù con quelle parole.
‘Lo so’, ribadii con gli occhi bassi.
Non vedo l’ora di rivederti. Non sono più abituato come una volta a starti lontano.
‘Si anche io’ replicai incolore.
Lui dall’altra parte pensò alla motivazione data prima del mio comportamento.
Okay, capito! Ti libero. Rise, di quella risata piena che mi riempiva il cuore, una volta.
Finsi una risata anch’io, ma si notava quando fosse falsa.
Riposa mi raccomando. Ti amo.
‘Anche io’, mi convinsi di quella risposta. ‘A domani’.
E buttai giù il telefono, lanciandolo sul comodino.
 
Mi rannicchiai sul letto, mi presi la testa tra le mani e piansi. Fino a far aumentare ulteriormente il mio mal di testa.
Potevo sentirlo quel dolore acuto squarciarmi le membra.
Era troppo, troppo per me, e non potevo reggerlo.
Non potevo reggere quel magone.
Quel senso di cose a metà, quell’amore a metà.
Non ce la facevo.
 
 
Sapevo che lui era lì, alle mie spalle, sulla porta.
Lo percepivo.
Ma nessuno dei due aveva la forza di andare dall’altro. Nessuno dei due quella sera mosse un dito, o disse una parola.
Sembravamo in una fase di stallo, senza capire bene come uscirne, e il fatto di avere le camere comunicanti non aiutava.
Non aiutava per nulla.
 
Il rombo di un motore, e un clacson mi riportarono in vita.
Mi ero addormentata, e il cuscino era pieno di mascara e linee nere.
Mi voltai verso la sveglia sul comodino per rendermi conto dell’ora.
Le 6.36.
Tutto intorno era ancora buio. Cercai di trovare l’interruttore della luce a tentoni e l’accesi.
Il silenzio della notte mi metteva sempre l’ansia.
Tutti i rumori, tutte le forme, tutte le paure nel buio si manifestano.
Cercai di alzarmi e mi stiracchiai per bene.
Poi a passo lieve camminai a piedi nudi sulla moquette della stanza e mi diressi alla valigia per prendere il cambio.
Mi diressi in bagno, controllando che non ci fosse nessuno.
Mi feci una doccia, senza pensare.
Volevo davvero essere vuota e senza pensieri in testa.
Mi concentrai sull’acqua che mi scorreva addosso e mi purificava, ma non del tutto.
Di certo non poteva rimuovere ciò che era stato la sera prima, e sinceramente non lo volevo neanche.
Qualcosa dentro di me, in sua presenza iniziava a decorrere per conto proprio, e io volente o nolente non avevo poteri su questo tipo di cosa.
Non eravamo nel mondo delle favole dopotutto.
 
Uscii dalla doccia, dopo una buona mezz’ora, e forse anche qualcosa in più.
Mi strizzai i capelli nell’asciugamano e li lasciai cadere sulle spalle sentendo un brivido di freddo.
Tutto il mio corpo emanava un vapore, amavo fare la doccia con l’acqua caldissima.
Tanto non rischiavo rossori, la mia carnagione copriva bene ogni tipo di cosa.
Infilai gli abiti che mi erano stati assegnati per quella mattina per l’intervista da Josh.
Una vestito leggero, sull’azzurro senza maniche e scoperto sulla schiena mi calzò a pennello.
Me lo aggiustai alla meglio prima di uscire.
Legai i capelli in una coda mezza asciutta, che poi sarebbe stata aggiustata dopo insieme al mio viso a chi di dovere, raccolsi la mia roba ed uscii a capo chino, scalza dal bagno che era tipo una nube di vapore.
Aprii la porta e mi fermai di colpo.
‘Scusa’, fece lui imbarazzato e quasi intimidito. Era a petto nudo, con le sue solite collane, i capelli scompigliati dal risveglio, e solo un paio di pantaloni.
Arrossì di colpo, e alzai lo sguardo.
‘No, scusa tu. Ci ho messo troppo?’, tirai fuori, tenendogli la porta.
Mi sfiorò la mano per tenerla e una vampata si fece strada in me.
Il cuore voleva scappare da lui insieme a tutto il resto.
Basta. Mi rimproverai da sola, cercando di tenermi a bada.
‘No, figurati. Mi sono appena svegliato’. Replicò sforzando un sorriso.
Lo sentivo distaccato, e non volevo.
Avrei voluto dirgli qualcosa ma non ce la facevo e mi bloccai.
‘Ora vado altrimenti si fa tardi’.
‘Si, si certo!’, acconsentii io abbassando lo sguardo e voltandomi.
 
Non sopportavo quella situazione e mi giurai che quando sarebbe uscito dal bagno, gli avrei parlato.
Non volevo stare così con lui.
Ma non ce la feci, e quando uscii feci finta di nulla.
Che vigliacca, mi dissi.
 
‘Senti…’ cominciò lui, cogliendomi di sorpresa mentre sistemavo le ultime cose, affacciandosi alla porta della mia camera. ‘Volevo parlarti di ieri’, avanzò entrando.
Mi alzai da terra, dove ero a gambe incrociate.
‘Volevo chiederti scusa per ieri sera. Non doveva succedere. Tu sei impegnata e tutto questo non è giusto. Ho pensato a me, a ciò che volevo, ai miei istinti e non ho tenuto conto della tua situazione’.
Perché si stava scusando se ero io quella che aveva sbagliato?
Lo guardai incredula, non capendo il suo discorso.
Mi alzai e lasciai le robe com’erano alla rifusa.
Mi avvicinai.
‘Pensi sia stato tu a sbagliare? Sono io quella che doveva restare al suo posto. Sono stata stupida e ho tirato dentro anche te in tutto questo. Quella che deve dispiacersi sono io’, replicai cercando di non avvicinarmi troppo a lui, non perché non volessi, ma perché ogni contatto avrebbe prodotto delle conseguenze che non riuscivo a frenare del tutto.
Non era padrona dei miei movimenti con lui accanto.
E ogni gesto sarebbe risultato inconsulto.
Iniziai a giocherellare con le dita per distrarmi.
Ma ciò che programmavo io, non programmava di certo lui, che rapidamente a quelle parole si avvicinò a me e mi prese le mani nelle sue, fissandomi negli occhi, accigliato.
La combinazione perfetta.
Ero fritta, e non sapevo che fare.
 
I suoi occhi erano poco distanti dai miei, e le sue labbra… dio sembravano chiamare le mie.
Che iniziavano a prudere a quel desiderio.
Mi morsi un labbro per calmarmi, per allontanare ogni minimo pensiero di contatto tra noi.
‘Vedi, non è colpa tua, Colin. Le cose si fanno in due. E non pensare che in questo momento lo stesso istinto di ieri sera non sia dentro di me e non voglia riemergere. Sto solo cercando di tenerlo a bada, anche se fa male, è questa la verità’. Ammisi tutta d’un fiato, prima che fiatasse.
Sorrise e si rabbuiò un secondo dopo.
‘Siamo in due’.
Inspiegabilmente mi ero ancora di più avvicinata a lui.
D’un tratto tra i nostri corpi non c’era più distanza, nessun pezzo mancante. Avevo lasciato le sue mani e avevo raggiunto il petto, il suo petto caldo con un cuore che al di sotto pareva essere al galoppo con il mio.
La mia mente, frutto della ragione, mi urlava contro.
Sapeva cosa sarebbe successo, ma il cuore.
Il cuore no.
Andava per conto suo e trascinava tutto il corpo con sé, e per me non c’era via di scampo.
‘Non sai quanto vorrei baciarti, in questo momento. Quanto vorrei che tu fossi mia’, mi disse lui cingendomi i fianchi.
Il mio cuore era in festa a quelle parole.
Dimmi altro Colin, allontanami se puoi perché io da sola non ce la faccio.
Abbassai il volto e serrai le labbra negando quella voglia che avevano di finire sulle sue.
‘Il fatto è, che provo qualcosa di forte per te e mi sembra di morire in tua presenza, ad ogni tuo contatto, ad ogni tuo sguardo. Mi riprometto che devo essere forte e poi tu, i tuoi sorrisi e tutto ciò che sei mi togli tutte le mie sicurezze e le mie difese e io resto inerme. Sono vulnerabile’.
Alzai lo sguardo, perché sapevo che se lo avessi guardato prima in quegli occhi non mi sarebbe uscita neanche mezza parola di ciò che avevo appena detto.
Lui mi asciugo le lacrime della quale io non mi ero neanche accorta, erano sgorgate da sole.
I suoi occhi erano nei miei, e a me sembrava di avvampare fino all’anima.
Lui si chinò verso di me, e il mio cuore perse un battito.
Un tenero bacio sulla guancia.
‘Forse è meglio così’, sentenziò tra il dispiaciuto e l’afflitto, lasciandomi.
 
‘Ragazzi avete 10 minuti’, gridò qualcuno dai corridoi.
 
‘Vado a prepararmi’, avvertì lui.
‘Si anche io’.
Vado a prepararmi alla fine.
 

 
Ciao a tutti coloro che sono entrati, casualmente o volontariamente su questa storia.
Presento di poco la storia in sé.
Le vicende avvengono in seguito a ‘My Life With You’, la storia precedente a questa.
Vanessa entra a far parte del cast di OUAT nel ruolo di Esmeralda, personaggio che nello show non esiste, ovviamente.
Tutto è nato da me, così per caso, e di solito quando ho un idea tendo a buttarla giù, e con questa mi sono ritrovata a mandarla avanti.
Piccola altra precisazione: Colin O’Donoghue, nel mio ‘racconto’ non ha alcuna moglie e nessun figlio, mi sono voluto complicare di meno, perché la storia è già complicata in sé, da come avrete compreso forse.
Quella impegnata nella mia storia è lei, che ha una storia con Robert Pattinson… e beh, andando avanti vedrete che piega prenderà la sua storia.
Più di questo non vado, perché vi spoilererei (?) troppo. Lol
Io spero che la storia vi piaccia, e che la seguiate.
 
Lasciatemi pareri a riguardo, se vi va. 

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Capitolo 2
*** 2. Vanoghue. ***


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2.Vanoghue
 
 
Josh appena mi vide per quell’intervista apri un sorriso enorme.
‘Ehi!’, disse venendomi incontro, dopo aver salutato gli altri nel dietro le quinte.
Io ero subito dietro di loro, sempre in ritardo.
In alcune cose non cambiavo mai.
Mi abbracciò forte.
‘Ma sei stupenda! Se non avessi letto il tuo nome nell’intervista non ti avrei riconosciuta adesso’.
L’imbarazzo prese il sopravvento, trascinai un ‘grazie’ senza crederci troppo
Io e i complimenti. Due cose che non riuscivano a convivere.
‘Chi l’avrebbe mai detto che ti avrei intervistata eh?’.
‘Eh già!’, sorrisi imbarazzata.
Conoscevo Josh da anni ormai, l’avevo conosciuto anni prima in una delle tante interviste che aveva fatto a Robert, a Kristen e a Tay, la maggior parte delle volte per la saga e non solo.
Era l’unico ‘giornalista’ che amassi in quel mondo e glielo avevo fatto presente più volte.
Tutti gli altri erano solo un ammasso di gente falsa, in cerca di scoop, lui sembrava non farne parte.
Era del tutto diverso.
‘Oh, non preoccuparti ti massacrerò’, e rise divertito.
Strabuzzai gli occhi.
‘Sei rassicurante eh!’. Ero agitatissima, iniziai a sfregare le mani. Avevo freddo.
Segno che la mia agitazione si stava portando avanti.
Josh mi carezzò una spalla per rassicurarmi.
‘Tranquilla, scherzavo!’.
‘Oh lo spero’, dissi sollevata. ‘Tremo per il vestito, e per l’inquietudine’, confessai.
Indossavo un vestito corto, anche troppo per me, a balze turchese, impreziosito da alcune cuciture a croce che lo rendevano davvero stupendo, e un paio di decolté argento che richiamavano la cintura in vita.
Tutto rigorosamente Zuhair Murad.
I capelli cadevano sinuosamente sulle spalle, ed erano anche abbastanza cresciuti rispetto all’ultima volta.
Quel giorno, stranamente mi sentivo bene con me stessa.
Non bella, quello no, non faceva parte di me.
‘E Robert?’, chiese guardandosi intorno, aspettandosi un suo arrivo da un momento all’altro forse.
Io impallidì, cosa che non avrei mai fatto prima.
Mi accorsi sempre più del cambiamento che i miei sentimenti stavano subendo nei suoi confronti e ne ero sempre più spaventata.
Era tipo come se avesse nominato un fantasma.
Quel nome si trascinava per me come dei graffi sulla lavagna, come dei macigni, ultimamente non lo reggevo e non so se lo davo a vedere agli altri, ma speravo di no.
‘Non è qui’, dissi convincendolo, cercando di evitare il suo sguardo.
Avevo paura che i miei occhi rivelassero troppo a riguardo.
Lui ci rimase un po’ male forse.
‘Pensavo che adesso fosse lui a seguire te’, dedusse.
‘Non sempre’.
 
 
‘Josh, stiamo per iniziare!’, si avvicinò un uomo tutto microfonato interrompendo la conversazione.
Gliene fui grata in un certo senso.
Sospirai sollevata.
‘Okay’, riprese quello sistemandosi a modo all’ultimo momento.
Gli altri si avvicinarono.
‘Voi vi potete già accomodare’, impartì lo stesso.
‘Tranquilla’, ribadii Josh. ‘E salutami Rob, quando lo senti’.
Annui mentre quello si allontanava, e io iniziai a rilassarmi un po’.
D’improvviso un tocco, una mano mi cinse i fianchi in modo delicato e quasi impercettibile.
Non c’era bisogno che mi girassi per capire chi fosse.
Mi aiutò a proseguire verso il luogo dove si sarebbe tenuta l’intervista.
Quasi mi mancò il fiato.
‘Grazie Col’, biascicai ricambiando il suo sorriso.
Quell’enorme, bellissimo sorriso che mi stava regalando.
 
Era un divano a quattro posti.
Lo stesso uomo di prima ripartì i posti in questo modo: uomo donna, uomo donna, quindi, in ordine: Josh, Jennifer, Colin e… io.
 
Mi accomodai vicino a lui e ne consegui una miriade di emozioni che dovevo sostenere e anche ignorare.
Non dovevo darle a vedere.
Dovevo farmi forza.
Colin ogni tanto accavallava le gambe e, ogni tanto sfioravano le mie, in un leggero contatto che mi dava i brividi.
A volte avevo l’impressione che mi toccasse di proposito.
Altre ci ritrovavamo a fissarci, e quando parlavo io, non erano gli occhi di mezzo mondo a preoccuparmi, ma i suoi.
 
‘Allora cosa e quanto vedremo di Hook ed Esmeralda in questa stagione?’, domandò Josh.
‘Ehm, beh si vedrà un bel po’ di loro in questa quarta stagione. Si scopriranno i motivi per la quale Hook tiene tanto a lei, e sul perché l’ha salvata. Ciò che abbiamo visto verso la fine della scorsa stagione era solo un inizio, gli spettatori non sono ancora abituati a vedersi una zingara girovagare per Storybrooke e tantomeno non conoscono il motivo per la quale Hook la consideri il suo vero amore. Andando avanti nella serie si scoprirà di più su di lei, sul suo legame con Killian, e del perché e per come l’abbia persa, e forse alcune cose verranno rivalutate nuovamente’, risposi.
I suoi occhi erano stati tipo laser sulla mia pelle, e ancora continuavano a fissarmi.
‘E Killian cosa farà a riguardo? Cioè fino ad ora c’era solo Emma, e quest’ultima era stata al centro di un triangolo, ora in mezzo al triangolo ci sei tu. Come si comporterà il nostro capitano?’.
Lo fissai, aspettando una sua risposta.
Iniziò a balbettare, come sempre, segno della sua timidezza.
‘Oh, non lo so’, il suo accento irlandese era qualcosa di assurdo insieme al suo sorriso.
Sorrisi di rimando.
‘Ama entrambe. E per lui non sono solo gioco o fantasie, ognuna di loro ha dato qualcosa ad Uncino, chi prima e chi dopo, e ognuna di loro fa uscire delle parti di Killian e rivelano il vero Killian’. Risponde lui cercando di dare il miglior quadro possibile.
Le domande vanno avanti.
Ci viene chiesto come sarà questa nuova stagione, cosa bisogna aspettarsi e in che modo Elsa entrerà a far parte di Storybrooke.
Tra una risposta e l’altra più volte mi ritrovo a fissare Colin più del dovuto, a ridere con lui e a scambiare occhiate fugaci, il tutto scatena la domanda di Josh, quella che fino ad ora avevo sviato.
Forse era in programma nella scaletta di domande, forse ci aveva sgamati.
‘Questa domanda è per voi due’, fa Josh indicando me e l’uomo che mi è accanto.
Mi coglie di sorpresa e resto allibita, per poco non collasso.
Devo calmarmi mi ripeto, e ingoio a vuoto cercando di rilassarmi di più.
‘E’ da un po’ di tempo che si vedono foto in giro su voi due. Foto fuori da Starbucks, foto in giro per New York… c’è qualcosa che dovremmo sapere?’, allude Josh incrociando le braccia sulle gambe.
Sento tutti gli occhi addosso, persino quelli di Robert.
Io e Colin ci guardiamo un attimo e sorridiamo imbarazzati.
Lo vedo che ha lo stesso imbarazzo che ho io.
‘Ehm’, decido di andare io alla gogna e rispondere.
‘Colin è stata la prima persona che ho conosciuto sul set il primo giorno. E sin dall’inizio, abbiamo molto legato. E’ stato lui a sostenermi in qualche modo e ad insegnarmi qualcosa quando non la sapevo. Con lui mi trovo davvero bene, seriamente. E’ una persona fantastica. Senza nulla togliere agli altri ovviamente, sono tutti grandiosi. Tutto il cast lo è, siamo tutti una grande famiglia, quasi, ma sarà appunto che è un po’ la prima persona che ho incontrato ed è nato tutto da lì. Sono davvero molto legata a lui, siamo molto simili caratterialmente e per certi versi abbiamo gli stessi gusti e molte volte anche per questo ci incontriamo fuori dal set. Guardiamo un film, una serie, ci vediamo A New York, dove abito ora, o altrove. Ci sentiamo davvero tanto e ci vediamo come due buoni amici, tutto qui’. Sorrisi, perché infondo era davvero così, l’unica cosa che avevo omesso erano i sentimenti veri che ci legavano, ma al di fuori di quello, quella poteva essere considerata una verità.
‘Ha fatto tutto lei!’, mi guarda e dice ridendo.
‘Quindi le foto che circolano su di voi, e su cui milioni di ragazze creano varie ship sono false?’.
Resto perplessa a quelle parole, tanto quanto lui che però non da a vederlo agli altri, non a me.
‘Quali foto?’, chiedo cadendo dal pero.
Queste foto.
Una foto di un abbraccio tra me e lui appare tra le sue mani e la telecamera la riprende.
E quando è stato? Io nemmeno lo ricordo.
E’ un abbraccio stretto, sentito, lo percepisco dalla foto. Ma quanti abbracci del genere ci diamo, e quante volte poi?
Sono ancora più confusa.
Colin mi vede in quello stato e corre in mio aiuto, sa che ho finito le parole.
‘Qui eravamo subito fuori Starbucks, ci siamo incontrati e ci siamo abbracciati, come fanno tutti gli amici suppongo. Non c’è di che shippare!’, conferma lui con tono deciso.
‘Quindi tutte le ship sul vostro riguardo del tipo Vanoghue sono infondate?’ rigira quello imperterrito.
‘Vano… che?’ faccio io tra l’agitazione e l’ansia che copro con una risata altrettanto nervosa.
‘Assolutamente si!’, contrattacca Colin mascherandosi di tranquillità. ‘Io e Van, siamo solo grandi amici, che passano del tempo insieme e che si vogliono bene’.
Che si vogliono bene, come se non ci fosse altro.
L’intervista continua e io quasi la sento a tratti.
Rispondo alle domande quasi come un automa, ma nel modo giusto.
Sono completamente sommersa.
E non so se sia rabbia o felicità perché qualcuno ha aperto gli occhi, ci vede per ciò che siamo realmente e in fondo mi sento anche più leggera, ma quel nome anche se un po’ strano mi piace come mi sta, come ci sta.
In quel nome vedo noi insieme senza alcun bisogno di inventare storie assurde. Solo amici? E’ un appellativo che mi da fastidio con lui, posso dirlo su Josh, Michael, ma non su di lui, con lui. Non ci sta. Non gli si addice.
E’ cosi importante, qualcosa di così grande per me che non ci sta in quella parola.
E in tutto questo mio delirio mentale so che appena questa intervista capiterà a Rob non saprò che pesci prendere, e so che appena lo vedrò tutti questi pensieri mi renderanno pesante, e mi sentirò morire dentro perché non provo più lo stesso per lui, o almeno quando gli sono lontana e sono con Col, il mio intero universo si sposta su di lui e non è cosa da niente, perché in realtà quel Vanoghue ha forse un destino, forse mi piace e forse è arrivato il momento di legare il mio nome ad un altro.
Mi sento a metà.
Sono divisa a metà tra due uomini e non so che fare.
Ecco tutto.
Non c’è una parte per me e a loro non riesco a dare il mio cento per cento.
 
‘Me lo dici che cos’hai?’, mi richiama lui ammonendomi togliendosi la giacca.
Non so neanche come siamo arrivati in stanza.
‘Cos’ho? Perché?’, faccio la finta tonta.
Lui ride, mentre ostenta un velo di nervosismo.
‘Perché dopo l’intervista sei stata per tutto il tempo zitta?’, risponde seccato. ‘Non mi hai rivolto parola nonostante fossimo seduti vicini, e sei stata per tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino, come se t’importasse del paesaggio’.
Non gli sfugge nulla, si accorge di tutto quando mi osserva.
E capisce anche cosa ho dentro, quello è il punto.
‘Scusa è che ho un gran mal di testa’, cerco di evitarlo, di nuovo.
Lui se ne accorge, e mentre mi girò per andare in camera lui mi tira a sé per un braccio.
Mi ritrovo sotto il suo sguardo cupo e indagatore.
Non capisce quando quei semplici gesti, quei tocchi mi fanno ancor di più rivalutare la situazione con Rob.
‘Non è vero e lo sai, lo so. Non tenermi fuori, non trattarmi da stupido’ esplode quasi. ‘A cosa stai pensando? Ti hanno dato fastidio quelle foto? Le mie risposte? Dimmelo perché sto impazzendo’.
Glielo vedo negli occhi.
Ha il cielo in tempesta, mentre io ho il cuore.
‘La realtà’, gettai in un colpo. ‘Il fatto di non poter dire come stanno le cose. Di non poter dire al mondo intero che ti amo, e che c’è qualcosa in più tra noi che un amicizia. Odio doverti definire amico, non sei tu! Non siamo noi. Non rientri in quella categoria’.
Lui resta senza parole, si scosta da me e ho paura di aver fatto, detto troppo.
Di averlo ferito, e non voglio.
Non voglio fargli del male.
Gli vado dietro e non ho il coraggio di tirarlo come fa lui con me.
Non ho quella forza che ha lui, non ho la forza di guardare cosa ho fatto.
‘Mi ami?’ si girà di scatto di fronte a me.
Io quasi piango.
Che sciocco. Come diavolo fai a non accorgerti di come stanno le cose, al moto che causi dentro me?
Cosa pensavi fosse quel bacio ieri?
‘L’ho buttato lì così, avrei voluto esprimerlo meglio. Scusa’. Non era il modo migliore in cui gliel’ho detto e comprendo lo shock.
Si avvicina ed è di nuovo su di me.
Mi prende le mani e me le bacia, senza più parole.
Ha l’emozione negli occhi, glielo leggo.
Bacia tutto ciò che gli è consentito senza andare oltre, senza arrivare dove davvero lo vorrei, e fa ancora più male.
Ho una voglia assurda di baciarlo, di avere quelle labbra sulle mie e tutto ciò che ne consegue.
Me le mordo più volte, ma niente continuano a bramare le sue, e il mio corpo cede e le richiama a loro.
Mi alzo sulla punta dei piedi e arrivo alle sue labbra, decisa.
Le sfioro con le mie, e nel frattempo il mio cuore decelera.
Lui non capisce che sto facendo, o più probabilmente non ci crede.
E’ perplesso.
Mi stringe forte a sé e ci ritroviamo.
Due pezzi di puzzle che si incastrano perfettamente.
Sorrido sulle sue labbra.
‘A quante conseguenze ti porterà tutto questo?’ mi sussurra a fior di labbra misurando i miei gesti.
‘Posso sopportare tutte le conseguenze del mondo se ho te’, gli rispondo.
Sorride ed un attimo dopo è sulle mia labbra, ingordo e implacabile.
Prende in mano la situazione e mi trascina con sé.
Stavolta sto al suo passo, ce la faccio perché siamo nella stessa situazione, stavolta non mi pento.
Lo voglio.
 
Baciandoci lo trascino sul letto.
Il letto che la sera prima ha assistito a quelle lacrime, e che ora assisterà a quella passione conservandone il segreto.
Lo giro e faccio accomodare lui per primo, lui mi richiama a sé in modo struggente, quasi avesse paura di perdermi, e mi metto in braccio lui, a cavalcioni.
Carezza le mie gambe scoperte e ho un brivido.
Più di uno.
Non voglio andare oltre, non quel giorno, non in quel momento voglio solo baciarlo fino a quando avrò fiato, fino a quando non sarò sazia di quelle labbra.
‘Tra un ora abbiamo un’intervista’, ricorda lui tra un bacio e l’altro.
‘Mhh, mhh’, mi limitò a fare io tirandolo di nuovo a me ogni volta che si stacca per dirmi cose inutili che in quel momento non voglio sapere.
Gli mordo le labbra, lo bacio, lo stuzzico, gli sfuggo, e poi lo riprendo.
Lui non può più di quella libertà che mi è concessa, mi prende e mi butta sul letto.
Sotto di lui.
‘E ora che fai?’ domanda divertito, fissandomi.
Sorrido maliziosa e gli butto le braccia al collo.
‘Questo’, e lo bacio fino a perdere il fiato, e morire tra le sue braccia.
Quel bacio è un avventura.
Una rincorsa.
Un avventura che amo e che sto amando ad ogni istante di più.
Ha ancora il sapore amaro del caffè, e io quelle dolci di caramelle alla fragola.
Si sposano bene.
La sua lingua gioca con la mia in un intreccio in cui non si comprende l’inizio, mi lascio andare del tutto.
Le sue labbra morbide sono sulle mie in un incontro che non sembra avere fine, e che non voglio abbia fine.
 
‘Vanessa, ti vogliono al trucco’, grida qualcuno che mi sembra lontano anni luce.
Mi stacco dalle sue labbra con malavoglia e sbuffo.
Lui sorride di quel comportamento mentre è ancora su di me.
‘Arrivo!’ gridò infastidita.
Lui, dolcemente mi sposta un capello da davanti gli occhi, e mi fissa.
‘Odio tutti questi impegni’, blaterò cercando di liberarmi.
‘Io piuttosto mi lamenterei del fatto che ora non so se voglio farti andare via’, e sorride, ancora.
Mi provoca.
‘Tienimi prigioniera allora’, lo incitò e lo bacio, e lui si lascia trascinare nel vortice.
‘Vorrei, ma non posso’.
Sbuffò di nuovo e scendo dal letto.
Lui si alza con me.
‘Sto bene?’, dico sistemandomi un po’ i capelli e il trucco allo specchio.
‘Sei bellissima’, dice lui. ‘Se qualcuno ti vede scombussolata digli che ti sei addormentata’, consiglia.
‘Giusto’, mi convinco della cosa e vado verso la porta prendendo il telefono.
Lui mi strattona nuovamente e mi riporta davanti a lui.
‘Stai dimenticando qualcosa’, e mi molla un bacio.
Non mi basta e gliene do un altro, e un altro ancora, e uno ancora.
‘Okay, vado’, mi convinco staccandomi. ‘Altrimenti l’intervista la facciamo a letto!’.
E volo lasciandolo lì davanti alla porta.

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Capitolo 3
*** 3. And how long can we keep this up? ***


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3. And how long can we keep this up?


 

Far finta tra gli altri che non ci fosse nulla tra noi, e che, tantomeno quel pomeriggio non fosse accaduto nulla era una gran prova.
Far finta che le nostre labbra non si fossero incontrate, che non avessero giocato e ballato insieme, far finta che quei cuori che avevamo in petto avevano iniziato ad andare per conto proprio era difficile.
Eravamo tornati alla normalità dei nostri gesti, se così poteva essere definita.
Stavamo per tornare a casa, il Comic Con era finito, insieme a tutte le sue interviste e le sue conseguenze e salutare Colin era la cosa più difficile dopo tutto quello che era successo.
Ce ne stavamo lì, nel pullman zitti a scambiarci solo qualche minima parola, qualche sorriso sostenuto.
Entrambi, in qualche modo, stavamo cercando di abituarci a quella lontananza forzata.
E il brutto era che fino ad allora l’avevamo sostenuta, l’avevamo sopportato perché non eravamo caduti.
Ora invece? Ora che tutto era uscito a galla quando sarebbe stata sopportabile quella distanza?
Avevo paura del dopo, e anche lui, era evidente.
Più di una volta aveva sfiorato la mia mano e aveva giocato con la sua bocca nervoso, nascondendo parole e trattenendosi nel dire o fare qualcosa.
Rideva, scherzava con gli altri e io mi sentivo inutile, anzi colpevole per averlo introdotto in quel triangolo.
Non volevo questo per lui, non volevo che soffrisse per me, a causa mia.
Per non essere sua, subito, davanti a tutti.
Diceva di capirmi, ma in fondo sapevo in che guai lo stavo mettendo e più volte nella sera precedente avevo rivalutato le mie ragioni.
Non era meglio forse allontanarlo e lasciarlo andare a qualcun'altra a qualcuna che ne fosse più degna e libera?
Gli stavo occupando il cuore, e non era giusto.
Mancavano due ore all’arrivo in aeroporto e i sensi di colpa, per entrambi, cominciarono a farsi strada dentro me.
 
‘Ehi’, sentii una voce lontana, una voce ovattata che sembrava chiamarmi.
Sentivo carezze leggere sulla mano, e poi in fronte come a spostarmi delle ciocche di capelli dal viso.
‘Van, siamo arrivati’, il suo accento si fece più chiaro e distinto e capii a chi apparteneva.
Quel timbro di voce che da mesi avevo nel cuore.
Arrivati dove?
Aprii gli occhi stordita. Li sbattei più volte per capacitarmi sul dove mi trovassi e mi ritrovai accovacciata su di lui, con la mia testa sulla sua spalla e la mia mano che stringeva la sua camicia azzurra.
Indietreggiai alla sua vista con la testa non riuscendo a focalizzarlo al meglio.
I suoi occhi furono la prima cosa che incontrai.
Come ero finita così? Mi ero addormentata?
Voltai la testa di scatto, verso il finestrino per perlustrare dove fossimo.
Tutti erano ancora lì, nel pullman.
Avevo la bocca impastata e mi sentivo parecchio intontita.
Sbattei le palpebre più volte e cercai di aggiustarmi sul sedile al meglio.
‘Mi sono addormentata?’, chiesi ancora indolenzita, cercando di riabituarmi alla luce del sole, che sembrava dare fuoco alle mie pupille.
Colin lo capii e mi passò i suoi occhiali da sole.
Rifiutai, cercando di coprire uno sbadiglio.
‘Solo fin quando non ti risvegli del tutto’, fece lui premuroso.
Li presi e li indossai.
Un giubbino cadde a terra.
Mi aveva coperta mentre dormivo.
Non ci credevo.
‘Mi hai coperta?’.
‘Eri freddissima quando ti ho toccata’.
E quasi di rimando mi era partita quella voglia di baciarlo, ma mi frenai a un passo dal guaio più grande, ed optai per la sua guancia.
‘Grazie’, gli sussurrai.
Lui sorrise, con uno di quei sorrisi dolci che mi scioglievano.
Mi risistemai e tenni a bada il mio istinto. Era sempre così con lui, ormai.
‘Scusa se ti ho tenuto prigioniero. Non me ne sono resa conto’.
‘Nessun problema. Lo sai…’, lasciò intendere, inarcando un sopracciglio con un ghigno.
Ricambiai sarcastica.
Ridemmo insieme, forse per scacciare la tensione, forse perché ci stavamo avvicinando.
Mi venne voglia di accoccolarmi a lui, di nuovo, ma sarebbe stato troppo.
Troppo evidente.
Ogni gesto tra noi era calcolato, non potevo lasciarmi andare.
Me ne tornai buona buona al mio posto, mancava poco all’aeroporto e non avevo la benché minima voglia di prendere quell’aereo.
Per la prima vera volta.
 
Ognuno sarebbe tornato a casa propria, nel proprio paese.
Ci saremmo visti tra poco meno di un mese.
Il volo di Colin era poco dopo il mio, e insieme a noi c’era Bobby e Lana che aspettavano i propri voli.
Entrambi ad avvisare le famiglie, entrambi ai telefoni.
Mentre noi, eravamo seduti alle panchine, intenti ad aspettare i nostri voli.
Io avevo perfino dimenticato di avvisare Robert.
Gli inviai un messaggio veloce e misi la modalità aereo.
Dall’ultima ora, c’era tipo una freddezza tra noi, come un distacco, mi era accanto ma lo sentivo lontanissimo e non sapevo a cos’era dovuto tutto questo, e non volevo, non potevo lasciarlo in quel modo.
‘Quanto ci vorrà per arrivare in Irlanda?’, domandai per rompere il ghiaccio che si era formato.
Lui si rianimò.
‘Con questo volo 15 ore e 20 minuti, salvo ritardi’, rispose lui a sguardo basso.
Strabuzzai gli occhi, incredula.
‘Anche più per l’Italia da New York’, notai.
‘Il tuo?’, domandò ancora senza scomporsi ulteriormente.
‘5 ore e 30 minuti, mi sembra, e questa volta non so se dormirò’, risi sarcastica.
Accennò un sorriso.
M’irritava tutto ciò. Sbuffai, incrociando le braccia al petto e guardando altrove.
Se non aveva voglia di parlare, ne di guardarmi tanto meglio così.
Sarebbe stato più semplice, forse.
‘Sei nervosa?’ osservò lui, evidentemente più nervoso di me.
‘Io si, ma tu?’, domandai come se fosse una domanda retorica. ‘Mi stai evitando come la peste!’.
‘Cosa te lo fa pensare?’, azzardò lui.
‘Il fatto che sembro irritarti forse?’. Strabuzzai gli occhi, sprezzante.
‘Lo sai che non è così’. Mi sussurrò. ‘Sono solo un po’ nervoso’.
‘Un po’ è un eufemismo. Dovrò incontrare io Robert, tranquillo’, bisbigliai.
Lui mi guardò.
‘E perché pensi che sia nervoso?’.
Calcolai dove fossero Lana e Bobby, ognuno perso nei propri fatti e nelle proprie chiamate.
Calcolai chi tra la gente presente ci fissava, quasi nessuno.
Quasi, ecco.
 
Mi alzai e andai dritta verso il bagno dell’aeroporto.
Colin restò lì incredulo a non capire cosa stesse accadendo e perché mi fossi alzata e me ne fossi andata.
Vieni al bagno dell’aeroporto. Ti aspetto lì.
Niente era meglio di Snapchat per quelle conversazioni troppo intime e segrete.
Mi diressi in bagno e mi sistemai un po’ il trucco allo specchio.
Sbuffai in preda all’ansia e al nervoso.
Sentii una porta lo vidi entrare.
Mi venne incontro, appena m’individuò.
Lo presi per mano e con circospezione lo spinsi in bagno.
‘Comprendimi. Non potevo salutarti in quel modo’, gli spiegai.
E lo baciai, lui prese il mio viso tra le mani e continuò.
Ero contro la parete, concentrata su quel momento, su quelle labbra, su di lui, e contemporaneamente stavo allerta che non entrasse qualcuno ed ero tesa per la cosa.
‘Non preoccuparti per Robert’, gli dissi ansimando, aggrappandomi alla sua camicia, ‘me la caverò’.
‘Odierò ogni secondo che passerai con lui’, confessò.
Mi emozionai e mi misi a piangere.
‘Non voglio lasciar…’. Non mi lasciò finire.
‘Non ti lascio. Non ti lascio. Ci sentiremo sempre, ci scriveremo e conterò i giorni che mi separano da te’.
Un altro bacio.
‘Manca un mese e io…’
‘Passerà. E ci ritroveremo a Vancouver ancora prima che tu te ne accorga’.
Annui e lo tirai a me.
Quel bacio fu la cosa più bella, più emozionante e più forte che avessi provato.
Sapeva di tutto.
Gli stavo affidando tutto: promesse, paure, mancanza, ritrovo, come se tutte quelle cose insieme bastassero a riempirci mentre eravamo lontani.
Lui non la smetteva di stringermi e io di baciarlo, saremmo stati lì tutto il giorno.
Non volevo staccarmi da lui.
Gli sfiorai le labbra con le mie, e mi godei quel momento trattenendolo ancora un po’.
Mi rivolse uno sguardo intenso, uno sguardo che voleva andare oltre, ma non poteva.
‘Dobbiamo andare’, disse lui contro la mia fronte ansimante. ‘Esco prima io’.
‘No, usciamo insieme’, proposi.
Lui mi prese per mano e mi portò nell’antibagno.
Una controllata allo specchio, e andammo.
 
Lui davanti, io poco dietro.
‘Ma dov’eri finita?’, urlò Lana.
‘Ero andata in bagno un attimo’, risposi convinta.
Quella guardò Colin passarle davanti e lo segui con lo sguardo.
‘Si, si, in bagno’, alluse lei.
Feci finta di non capire, e guardai altrove.
Aveva capito tutto.
‘Il nostro volo è tra 5 minuti’, mi avvertii.
Presi le mie cose, e mi avviai.
Salutai Bobby in un abbraccio veloce, mentre su Colin mi soffermai un po’ di più.
Sentivo le braccia e le sue mani sulla mia schiena e quasi rivalutai la mia idea di andarmene.
Stava combattendo con sé stesso per lasciarmi andare.
‘Ci vediamo tra un mese’, lo rassicurai io.
‘Lo so’, biascicò. ‘Chiamami appena arrivi, anche se il mio telefono sarà spento troverò la chiamata’, mi sussurrò nel mentre di quell’abbraccio.
‘Okay, ma chiamami anche tu quando arrivi’ e sciolgo l’abbraccio.
Mi allontanai e andai verso il gate non prima di dargli un ultimo sguardo.
Era distrutto, e io con lui.
 
In quelle lunghe ore di viaggio dovetti effettuare una metamorfosi.
La luce negli occhi, il sorriso, dovevano andare via, spegnersi. A conferma della bontà dell'aria doveva restare soltanto il colorito delle guance.
 
[…]
 
Arrivai distrutta al JFK, e per mia fortuna non c’erano occhi indiscreti, e tantomeno paparazzi.
Avevo sulle labbra ancora quel sapore, il suo sapore.
Le assaporai quasi istintivamente, senza rendermene davvero conto.
Non volevo che andasse via, ma sapevo che l’avrebbe fatto.
Tenni la borsa in spalla e prima di uscire fuori dall’aeroporto, dove mi avrebbe aspettato Dave, mi fermai un attimo.
Mi mancava l’aria, il respiro e quasi fui presa da un attacco di panico non ben definito.
Espirai a pieni polmoni cercando di riprendermi e andare oltre, andare fuori da quell’aeroporto dove qualcuno mi attendeva.
Tolsi tutta l’aria che avevo dentro e mi dissi che potevo farcela.
Un mese. Manca un mese. Passa in fretta.
E mentre seguivo questo mantra per farmi coraggio morivo dentro, perché prima al pensiero di essere atterrata andare da lui ero su di giri, con un sorriso enorme stampato in faccia e con la voglia assurda di vederlo.
Ora, era come se andassi al patibolo e mi accorgevo da sola che qualcosa non andava, non avevo bisogno della mia coscienza che mi dicesse che se mi sentivo così non era un buon segno.
Lo sapevo da me questo.
Lo sapevo da me che non era più la stessa cosa, ma una parte di me, quella più remota e sentimentale gli apparteneva ancora e non importava ciò che pensassi, perché non ci riuscivo.
Mi sentivo bloccata al solo pensiero che là fuori ci fosse lui, ad aspettarmi, e che probabilmente si sarebbe aspettato qualcosa da me.
E che cosa avrei fatto?
Non potevo essere la stessa di prima, non lo ero più.
Ma dovevo sperare che quella parte remota di me reagisse al suo contatto, nel vederlo.
Magari vedendolo sarebbe scattato tutto.
Dovevo convincermi di questo.
Dovevo avere speranza.
 
Presi coraggio, e mi avviai verso l’uscita in attesa di quel qualcosa che si smosse dentro me.
Dave mi venne incontro abbracciandomi, come sempre.
‘Dove eravate finita? Rob si stava preoccupando!’, fece notare ridendo.
‘Ehm… sono dovuta andare un attimo in bagno’.
Dave mi guardò sbigottito.
‘Non sei mai andata in bagno in aeroporto’, sottolineò lui, cinico.
‘Beh, c’è sempre una prima volta’, risposi sprezzante.
Se persino Dave notava le più piccole cose, che avrebbe notato Rob?
‘Da qua, tu puoi salire in auto, Rob sta fremendo’, disse prendendosi una valigia.
‘No, ti aiuto!’, e sembrava strano perfino a me fare quelle cose, io che prima sarei corsa in macchina appena avrei sentito il suo nome alla prima mandata, e ora cercavo di rimandare il più possibile quell’incontro per pudore, per vergogna, per paura.
Paura che le cose fossero cambiate nei suoi confronti.
Non osai guardare Dave, ma immaginai il suo sguardo incredulo e mi bastava quello.
Il momento arrivò, le valigie erano terminate ed era ora di vederlo.
Fremevo e non in modo entusiasta.
Dave mi apri la portiera dell’auto.
Sono dentro.
 
Lui appena mi vide mi abbraccia.
‘Ma che fine avevi fatto? Ti ho chiamata sul cellulare ed ha risposto la segreteria’.
Già! Il cellulare.
Lo tiro fuori dalla tasca.
‘L’ho lasciato in modalità aereo, mi dispiace’.
Mi sorride dolcemente.
Io gli do un cenno e torno sul telefono.
Devo chiamare Colin, penso.
Colin. Colin. Colin. Il mio cervello pareva inceppato.
Ora che non l’avevo accanto l’aveva immagazzinato nella mente riproponendomelo ogni volta, ad ogni momento.
Lui mi alza la testa con un dito, affinchè io possa guardarlo dritto negli occhi.
‘Mi sei mancata’, e tenta di baciarmi, e io invece di andare incontro alle sue labbra, resto immobile, cercando un qualcosa, una scusa per non farsi che accada.
Mi bacia, e io sono fredda, non riesco a ricambiare come si deve.
Sono impacciata, con il timore che da quelle labbra possa percepire qualcosa e con la paura che il suo sapore se ne vada.
‘Tutto bene?’, una domanda che non vorrei sentirmi fare, non da lui.
‘Si, scusa… il viaggio mi ha stressata’, mento, e non è la prima volta e non sarà nemmeno l’ultima.
Sarà così d’ora in poi? Ci baseremo sulle bugie che gli racconterò, lui ci crederà e poi? Non ci sarà nulla di buono alla fine.
 
Appena arriviamo a casa.
Butto giù la borsa e la valigia pesantissima.
Ho le mani rosse e doloranti.
‘Ti avevo detto che la portavo io’, dice Rob notandole.
Poggia l’altra valigia.
Prende le mie mani nelle sue e le esamina.
Mi guarda.
‘Non capisco perché ti ostini a portare dietro tanta roba’.
Ritirò le mani in malo modo, e un po’ lui se ne accorge ma fa finta di nulla.
‘Non è niente. Ora passano’.
Lui mi blocca un attimo e mi si para davanti, mi stringe e mi irrita, invece di trascinarmi.
Siamo naso contro naso e mi sorride, con quel sorriso che una volta mi bucava il cuore.
Una volta.
Come si fa a dirti che non provo nulla Rob? Come faccio? Come faccio a dirti che mentre sto con te, sto pensando a lui? Non ce la farò mai.
Le sue labbra sono sulle mie, ma non riesco, non voglio starci dietro.
Sono svogliata, e in malo modo mi ritirò staccandomi.
Lui mi guarda attonito e scoraggiato.
‘Mi dici cos’hai? Anche ieri al telefono eri strana’, accusa triste e preoccupato.
Mi sento in trappola, ma fingo, ancora.
Fingo che vada tutto bene, anche se non c’è niente che vada bene.
Ho il terremoto dentro.
‘E’ successo qualcosa?’, continua lui rigirando il coltello nella piaga, quasi come se sapesse, come se avvertisse.
Ho un altro in mente, Rob. Un altro nella testa e nel cuore, e nonostante mi sforzi non è rimasto che un piccolo pezzo per te, un pezzo che non può bastare per mandare avanti tutto questo, perché non posso buttarti via così.
‘Sono successe tante cose, Rob. Mi sono introdotta in un vortice più grande di me. Fino ad ora non capivo, quanto lavoro ci fosse in una serie, in un film e sono sfinita tutto qui’.
Lui riprende colorito.
E in parte è vero ciò che sto dicendo, ma non è la serie a sfinirmi, è qualcos’altro.
‘Ora scusa, vado in bagno’.
 
E mi ritiro, chiudo a chiave la porta e scivolo a terra straziata.
Non immaginavo quanto sarebbe stato difficile.
Non sono forte, non lo sono per niente, non riuscirò a sostenere un peso del genere sulle mie spalle.
Continuare a fingere da una parte, e amare dall’altra.
Vado verso la vasca e apro l’acqua, accendo l’iPod e metto lo shuffle, qualsiasi canzone manderà andrà bene, non ho voglia di star lì a scandagliare.
Come non ho voglia di cercare in me la verità.
Non ce la faccio.
Sto mettendo due vite in bilico e io sono l’artefice.
Inaspettatamente mi ritrovo a piangere. Le lacrime sgorgano dai miei occhi ormai involontarie. Troppi pensieri, troppi ricordi, troppe volte i suoi occhi mi si aggrovigliavano dentro facendomi dilaniare e troppe volte il ricordo delle sue labbra sulle mie, di quei giorni passati a non preoccuparci di nulla, come se fossimo, se fossi, libera.  Il calore e l’odore della sua pelle mi facevano soccombere accendendo il bruciore che nel mio petto divampava.
Alzo il volume della musica appena mi accorgo che ho iniziato a singhiozzare forte.
Non voglio che chi c’è di là senta, e che tantomeno mi chieda cos’ho perché non so e non so rispondere.
Sento il cuore incerto, a metà.
La mia vita valica l’incertezza, mi guardo allo specchio e quasi non mi riconosco.
L’immagine riflessa non è la stessa di un anno prima e non so dire se sono io.
Sembro un'altra.
 
Right now? I wish we would just give up / In questo momento? Vorrei che potessimo lasciar perdere e basta
‘Cause the best part is falling / Perché la parte migliore sta svanendo
Call it anything but love / Chiamala come vuoi ma non amore
And I will make sure / E mi assicurerò
To keep my distance / Di mantenere le distanze
Say I love you / Dico “ti amo”
When you’re not listening / Quando tu non mi ascolti
And how long / E per quanto tempo
Can we keep this up, up, up?/ Possiamo continuare?
 
 
Sento quella canzone e sbarro gli occhi, perché non ricordavo neanche di averla inserita, e in quel momento più che mai, sembra leggermi.
A volte il destino te le mette davanti certe cose, che sia attraverso una canzone, attraverso una scena, attraverso la più minima cosa presente sul pianeta che non noteresti mai in altre occasioni.
Perché il destino è infimo e bastardo, è crudele perché ciò che vuole mostrarti è vero.
Sembra leggere ciò che ho dentro.
Prendo l’iPhone in mano.
Sono appena arrivata. Mi manchi.
Invio, ed è come se gli inviassi tutto il resto.

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Capitolo 4
*** 4. AZIONE! ***


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Eccoci qui ad un nuovo capitolo.
Non so ben cosa dire in quanto a questa storia non sto avendo tantissimi riscontri tranne qualcuno.
Ci tengo comunque a ringraziare tutti coloro che entrano e lasciano un 'Mi piace' attraverso i bottoni social sopra, e che l'aggiungono alle seguite.
Come sempre, vi dico che mi farebbe piacere ricevere i vostri pareri in merito tutto qui.
Ora, come sempre, vi lascio al capitolo sperando che vi piaccia.

:*

 


4. AZIONE!

‘Vuoi davvero continuare a vivere nell’infelicità nella speranza di cosa? Non provi più nulla per lui, e ti stai solo sforzando di farlo. Questa cos’è secondo te? Non è amore, e sforzandoti nel volerlo non ne uscirà nulla. Non puoi vivere così. Non puoi costringerti. Il tuo cuore non è qui, in questa stanza, in questa città. E’ altrove e lo sai benissimo. Non vedi cosa questa situazione ti sta facendo, ti stai trattenendo con lui sacrificandoti, per affetto, per ciò che è stato e non per ciò che è. Stai con lui mentre pensi ad un altro e porti un peso addosso simile ad un macigno. Nemmeno lui ti riconoscerà quando ti vedrà così, sei dimagrita, troppo. Da quando non mangi e da quanto non sei tranquilla? Glielo hai detto almeno? Non trascinare avanti una relazione come un peso morto, non puoi andare avanti così con il pensiero di cosa succederebbe se lo lasciassi. Non va più, è finita. Non puoi farla funzionare nuovamente’.
Erano dure parole quelle che la mia migliore amica mi stava rivolgendo.
Lei era sempre quella che diceva le cose come stanno tra le due, la coscienza.
La coscienza di quella vita, e di quella relazione che stava andando a rotoli.
Che si trascinava avanti a fatica e a sforzi.
Ed ora era lì di fronte a me ad accusarmi e a preoccuparsi per me, mentre io crollavo a pezzi e fingevo di stare bene con tutti.
Con Rob, a cui dicevo che era l’ansia per il nuovo cammino che avrei intrapreso a non farmi avere fame e piangere, mentre a Colin… beh a lui non avevo detto niente di niente.
Era lontano e non volevo si preoccupasse.
Non volevo si precipitasse lì a salvarmi, sarebbe stata ancora più dura.
Solo a lei avevo concesso i miei dolori, i miei pensieri e le mie confessioni ed era lei che era corsa da me ora a vedere realmente le cose come stavano.
Non mangiavo da settimane, e non dormivo da quanto?
Avevo perso il conto.
Ero vuota, senza la minima emozione, senza il minimo sorriso.
Nell’ultimo mese pur essendo presente fisicamente, ero assente.
Se mi addormentavo avevo gli incubi.
Mi irritavano tutti i contatti con Rob, e ogni minimo bacio era uno sforzo disumano per me, figuriamoci quando c’era altro.
Lui si faceva avanti malizioso, io dal canto mio m’inventavo mille scuse e da quando ero tornata non era successo niente e nonostante tutto lui continuava ad avere premure e attenzioni nei miei confronti che io non riuscivo ad avere nei suoi.
Mi alzavo in piena notte solo per poter parlare con lui, il mio irlandese.
Solo allora, mi riaccendevo e rianimavo.
Lo pensavo costantemente. Nella mia testa pareva esserci spazio solo per lui.
Esistevo per lui, lui esisteva in me, in ogni gesto, in ogni sorriso, in ogni pensiero eravamo una sola persona.
 
Non potevo portare avanti due vite, due relazioni, due spaccati di vita.
Mi sentivo a metà e non faceva per me.
Non ero abituata a tutto questo.
Ero stressata e sempre nervosa con un peso enorme sullo stomaco.
‘Quanto sei dimagrita?, domandò cauta lei.
Ci pensai rapidamente, ma non ne venni a capo.
‘Non lo so…’, esplosi stufa.
‘A giudicare da quel maglione tanto, o è di Rob?’, chiese a braccia incrociate mentre mi fissava.
La guardai fulminandola.
Non indossavo roba di Robert da tanto, tutto ciò che era suo m’irritava ultimamente.
Lei capii e rincarò la dose.
‘Appunto. E vuoi vivere così? Guardati, sentiti! Sei irascibile. Questa relazione non è più buona, non è più salutare. Lo sai meglio di me. Sta diventando nociva, e per quello che devi intraprendere non è buono per te. Accettalo’.
E tutte quelle parole erano vere, verissime.
Il mio posto non era lì, non più.
Mi caddero addosso come macigni, e scoppiai a piangere per il dolore.
Noemi venne da me, sul letto e mi abbracciò forte.
‘Devi chiudere con lui Vane. E’ l’unica soluzione’.
 
Passai l’ultima settimana che mi rimaneva prima della partenza per Vancouver con la mia amica che m’incoraggiava nel mangiare, mentre a me ogni boccone dava la nausea.
Io e Robert eravamo lontani, ed era più una lontananza mia che coprivo con le solite storie.
Dovevo decidere, ne andava di me, ma prima dovevo vederlo.
 
Le riprese iniziarono Lunedì alle sei del mattino, io non avevo dormito per niente.
Ero arrivata a Vancouver il giorno prima, e ancora non l’avevo visto.
Per ora vivevo in albergo in cerca ancora di una sistemazione stabile lì vicino.
Mi presentai quella mattina nell’ufficio di Edward Kitsis, dentro il set, e quasi tutti erano presenti, e chiacchieravano tra loro.
Li conoscevo a malapena ancora, scambiai un rapido saluto e qualche parola, avevo avuto poche scene con loro e poche chiacchierate, e ancora dovevo memorizzare i nomi di qualcuno, e conoscerli al meglio.
Ma ce l’avrei fatta, mi convinsi.
Intanto ero tesa, tesa per la parte, per ciò che avevano in serbo per me e non conoscevo.
Tesa perché non sapevo se questo ruolo sarebbe stato apprezzato, se lo avrei interpretato al meglio.
Non ero un attrice io, insomma e ciò che avevo fatto nella stagione precedente non era nulla in confronto a ciò che si preannunciava essere la mia parte in questa.
E se non fossi andata bene, e se non fossi piaciuta in quel ruolo e avessi causato il flop dello show?
Avevo mille cose in testa che girovagano aggrovigliandosi.
E tesa per tutto il resto di cose che mi attanagliavano lo stomaco da un mese.
‘Ehi!’, una voce familiare, troppo familiare era alle mie spalle.
Avevo paura di girarmi e scoprire che fosse un altro dei miei sogni, paura che non avrebbe accettato quel cambiamento fisico.
Paura anche solo di incrociare i suoi occhi e vederci uno sguardo diverso.
Ma deglutii e mi feci forza.
Mi voltai e il suo sorriso sghembo era lì ad accogliermi in quel panico, in quelle mille preoccupazioni che mi serravano lo stomaco.
Il suo sguardo la mia medicina.
‘Ehi…’, dissi titubante cercando di mantenere un basso profilo.
Dentro morivo.
Lui mi guardò in modo attento e scrupoloso.
Alzò un sopracciglio con fare interrogatorio.
‘Sei dimagrita? Perché sei dimagrita?’, la sua voce era sopra di un ottava, sembrava quasi spaventato, come se captasse qualcosa, come se immaginasse il motivo.
Mi avvicinai di più a lui, appoggiandomi con la schiena al suo petto. Non volevo che gli altri sentissero e che cominciassero a fare domande a riguardo.
Cercavo di mantenere un basso profilo.
Lui pensò fosse una scusa per avvicinarmi a lui, data la lontananza e tutto il resto, quando in realtà non lo volevo davvero.
Anche perché ogni minimo, insulso contatto avrebbe fatto saltare in aria la mia copertura.
Mi prese la mano, e la intrecciò alla sua.
Quel contatto improvviso scatenò mille e più farfalle nel mio stomaco ed un brivido dietro la schiena.
Alzai leggermente il capo per guardare il suo viso al di sopra del mio.
‘Ne parliamo dopo?’, chiesi tremolante.
Lui annui con lo stesso sorriso di prima che non faceva altro che aumentare le farfalle e restammo così.
Io appoggiata a lui, sul suo petto, e le nostre mani intrecciate celate agli altri.
Non era granché forse come momento, ma io mi sentivo in paradiso, e non volevo abbandonarlo.
 
Edward ci parlò nuovamente dell’andazzo della nuova stagione, della sua storia, e dei suoi nuovi personaggi.
I copioni per ognuno di noi ci vennero dati, dopodiché ci mandò tutti al trucco e ai costumi per il photoshoot e le riprese iniziali.
 
[…]
 
Ero nella roulotte che mi era stata assegnata.
Avevo passato quasi tre ore tra capelli, trucco, abiti e ora avevo addosso anche quelle lenti verde smeraldo.
Non avevo mai messo lenti in vita mia, e ora capivo perché molti se ne lamentavano.
I miei occhi erano un lacrimare continuo che non riuscivo a fermare.
Misi le gocce che mi erano state date, e dopo una decina di minuti le cose tornarono normali.
Mi parai davanti allo specchio e mi osservai attentamente.
Una fascia fucsia mi circondava il capo e un paio di orecchini a cerchio penzolavano da ambo i lati.
Una gonna lunga sul prugna insieme a un top che scopriva le spalle facevano il resto.
Ai polsi vari bracciali e anelli che sembravano pesare anche troppo.
E un lunga collana sul davanti, ma nascosta, richiamava la collana di Esmeralda nel cartone.
Chiusi gli occhi, li riapri e mi sembravo quasi lei.
Era un look, diverso da me, più nomade e folkloristico, ma più adatto a lei.
L’abito rifletteva ciò che era da nomade, ma non ciò che era all’epoca di Killian Jones.
L’epoca in cui lei aveva viaggiato sulla sua nave prima di diventare una gitana.
Quelle scene le avremo girate dopo, e avrei dovuto nuovamente cambiarmi.
Praticamente, in tutto mi erano stati dati due cambi ufficiali e uno più moderno e adatto sia a me che alla cittadina di Storybrooke, in cui mi trovavo decisamente meglio.
Oggi tutto puntava sulla reazione di Esmeralda al bacio tra Emma e Killian avvenuto nella season finale, e che prevedeva un bacio tra Killian e quest’ultima.
L’avrebbe visto di sfuggita, mentre spaesata usciva da Granny’s dove alloggiava, per cercare Killian, l’uomo che aveva sempre amato e che ora l’aveva salvata.
L’aveva visto seduto pensieroso dietro una balconata, immerso nelle sue preoccupazioni.
Con un sorriso enorme, decise di andare da lui, di buttarsi. Alla fine ne aveva passate così tante in quella vita da zingara, in quella vita in cui non aveva fatto altro che cercarlo invano senza nessun risultato fino quasi a rassegnarsi, che un abbraccio sarebbe stato ciò che più desiderava e bramava.
Ma una donna uscì dalla porta e gli andò incontro. Gli siede accanto, al suo stesso tavolo lì fuori, parlano tra loro, e alla fine si baciano.
In un bacio in cui anche Killian la cerca, e sembrava non aspettare altro.
Qualcosa in Esmeralda si spezza di fronte a quell’evidenza.
 
Un bussare ripetuto arrivò dalla porta.
Posai il copione sul divanetto su cui ero seduta a studiarlo e andai ad aprire.
Uno dei capitani più belli della storia delle fiabe mi era davanti.
Sorrisi inavvertitamente maliziosa.
‘Scusate, vi conosco?’, dissi divertita.
‘Ma certo che mi conoscete, amore’, ammiccò con un gran sorriso stando al gioco. ‘Vi ricordo che siete stata mia prigioniera sulla mia nave’.
‘Mh, prigioniera è un parolone…’, ammetto fingendomi Esmeralda.
Ridiamo insieme.
E la sua risata è qualcosa di magnifico alle mie orecchie.
‘Posso entrare?’, chiese educatamente sulla porta ritornando Colin.
Mi faccio da parte e lo lascio entrare.
Chiusi la porta, mentre lui da dietro avanzò quasi ad abbracciarmi nell’intento di girare due mandate.
Il suo odore mi invase.
Lo guardai confusa.
‘Così non ci disturbano. Qui il segreto è questo: se non vuoi essere disturbata chiuditi dentro’.
E si girò a perlustrare la… roulotte, io gli andai indietro.
Subito dopo guardò me, attentamente.
‘Sei dimagrita tantissimo’, osservò con disapprovazione.
‘Lo so, me l’hanno detto in molti, persino il costumista’, sbuffai. ‘Ma è stato un mese terribile’.
I suoi occhi diventarono più azzurri, preoccupato.
‘Ti ha fatto..’, azzardò.
‘NO! Sono io piuttosto che gli ho fatto qualcosa’, abbassai lo sguardo. ‘Mangio a stento, ecco perché sono così!’ e mi indicai.
‘Che significa che mangi a stento? Perché?’.
‘Perché mi sei mancato e non sopportavo più quella situazione. Avrei voluto dirtelo, ma al telefono eri così tranquillo che non volevo rovinare nulla buttandoti una cosa del tipo: Ehi Col! Sai non sto mangiando affatto, sto uno schifo perché mi manchi. Sarebbe stato… egoista’.
‘Sarei corso da te..’
‘incappando in guai peggiori? Ecco perché non te lo detto.’ Mi avvicinai a lui e gli misi una mano su quella camicia che ne scopriva il petto. ‘Ma non importa, ho resistito, e ora sono qui. Siamo qui’.
‘Non dovevi resistere da sola’, dice lui avvolgendomi. ‘Potevo aiutarti, potevo salvarti’.
‘Non c’è bisogno di salvarmi quando lo hai già fatto.’.
Mi alzai in punta di piedi e lo baciai dolcemente.
Il sapore, la morbidezza delle sue labbra mi riportò in vita.
Quasi come se fino ad allora non fossi stata io.
Quasi come se lui avesse spezzato la mia maledizione.
E’ una sensazione assurda ciò che sto provando. Una sensazione nuova.
‘Abbiamo un po’ di tempo?’, chiedo impaziente mentre afferro il colletto di quel lungo cappotto nero e lo tiro a me.
‘Abbiamo mezz’ora’, dice lui sulle mie labbra.
Cinge i miei fianchi e mi sposta in un angolo più nascosto.
Io, noi, non smettiamo di baciarci un attimo.
Le sue labbra sulle mie mi danno vita, mi danno aria, mi danno amore.
E lo sento circolare nelle vene quell’amore con la quale mi nutre.
Mi stringe forte e quasi non respiro o forse saranno quei baci?
Mi bacia il collo ed ho un lungo brivido.
Lui sorride, soddisfatto, di nuovo come la prima volta e non mi lascia un attimo.
La sua barba punge contro il mio viso, ma la sopporto perché la amo.
Amo tutto ciò che fa parte di lui, tutto ciò che è lui e quasi non ci credo di averlo in quel modo.
Scende sul mio collo e mi fa morire, letteralmente.
Mi mordo le labbra per trattenere un gemito, prima che lui ritorni a farsi strada sulle mie labbra.
Devo cercare di calmarmi e non perdere completamente i sensi a tutto questo.
Le sue mani, calde e possenti, alzano di poco il mio top sui fianchi.
Lo abbraccio più forte e lo bacio ancora più intensamente di quanto già non facessi.
Il top si alza ancora attraverso la sua mano, e sto combattendo con me stessa, perché non so se lo voglio davvero in quel momento.
Mi blocco e lo fisso.
‘Non ora’, lo supplico.
Lui mi guarda attentamente mentre cerca di calmarsi.
‘Hai ragione. Non voglio metterti nei guai’.
Mi schiocca un bacio e si allontana per riprendersi.
Non gli lascio la mano, non voglio.
‘Sei arrabbiato?’
‘Per cosa?’, mi guarda perplesso.
‘Per averti fermato…’, e abbassò lo sguardo imbarazzata.
‘E che capisco le tue ragioni, sono stato io avventato, mi dispiace. Ma sei tu che mi fai perdere la testa!’, confessa dolcemente.
M’imbarazzo a quelle parole e quasi mi emoziono.
Sono una dalla lacrima facile io.
Me lo avvicino di nuove e lo bacio, in un bacio fugace e veloce, lui non ci sta e si trattiene nuovamente tenendomi la nuca e facendomi impazzire.
Gli mordo un labbro, e lo ribacio.
Poi si stacca e alza entrambe le mani, appena intuisce che piega stia prendendo la situazione.
‘Okay, mi stacco altrimenti sono capace di non lasciarti più andare’.
Rido divertita.
‘Allora? Ti va di ripassare un po’ le battute prima di quelle ufficiali?’, chiede sedendosi e prendendo in mano il suo copione.
‘In verità sono tesissima, ti avverto’, dico mentre gli siedo accanto.
Lui pondera un po’ su questa affermazione e poi tira fuori: ‘Beh, veramente non sembrava affatto!’, mi schernisce.
Faccio una finta risatina per stare al gioco, e lui ride.
Ride con quella risata, con quella sonorità che riempie la stanza e ti entra dentro, alla fine mi ritrovo a ridere con lui.
Ripetiamo la parte e più e più volte ci ritroviamo a riprendere la stessa più volte perché non so bene come pormi.
L’intonazione della voce è giusta nelle battute, ma qualcosa che non mi convince.                                                                                    
E lui mi sta dietro paziente ad aiutarmi, a dirigermi, a correggermi.
 
Hook dopo quel bacio la intravede e la segue fino a prenderla e a farla voltare.
Lei scaccia quella presa in modo brusco e violento.
Discutono.
Lei si sente ferita e butta giù tutta la sua rabbia, il suo rancore.
Gli urla contro.
Non capisce perché sia lì.
Colin è dall’altra parte della strada, a due passi da me, che mi guarda dispiaciuto.
Cerco di convincermi che è Hook e non Colin, così da tenere a bada il mio istinto di correre da lui.
Una telecamera ci è addosso.
Cerco di non badarci, cerco di immedesimarmi al meglio nel personaggio così da farlo uscire al meglio, per dare l’impressione che sia davvero Esmeralda.
Gli urlo contro.
Esmeralda piange dalla rabbia e dal dolore, e io con lei.
Hook la guarda con il suo sguardo dispiaciuto di chi vorrebbe fare di più ma non ci riesce.
Si avvicina e la prende per mano dolcemente, le chiede scusa.
‘Scusa per tutto ciò che non ha saputo fare’, e quasi piange con lei, ma in modo diverso.
Dopo poco mi è accanto, troppo accanto.
E’ vicinissimo.
Con attenzione misurata mi sfiora le labbra, dolcemente.
Ed io sono come Esmeralda, o meglio Esmeralda è come me: immobilizzata.
Lo tengo ancora per mano e la stringo più forte.
Mi da un bacio, poi due, poi tre così da farsi strada nel suo cuore, fino a quando la passione non entra nelle mie vene, in quelle di Esmeralda.
Gli lascio la mano e l’appoggio sul petto.
Lui mi tira di più verso di sé.
Deve essere un bacio casto, non devo andare oltre.
Devo mantenere il controllo per non far si che degeneri e io con lei.
Sto recitando, mi ripeto. Non sono io.
Non devo.
Non devo andare oltre, so che non ho limiti quando sono con lui, così.
Sono vulnerabile.
Ma avvinghiati in quel modo nessuno lo nota, e lui osa, osa e dolcemente gioca con il mio autocontrollo, perché sa che non voglio e non oso respingerlo.
Le nostre lingue si toccano, si rincorrono spingono e giocano, e io faccio quasi un balzo, perché non me l’aspetto, ma cerco di non darlo a vedere. Mi tira ancor più verso di lui, più di quanto già non sia.
Sento le su dita premere sulla mia schiena.
E’ con me, e non posso respingerlo.
Non ora.
Non posso.
Non devo.
Non voglio.
E mi lascio prendere e mi lascio andare assaporando quel momento.
Mettendoci tutta me stessa.
Lui va oltre, e diventa un bacio che può fare del male, perché è vero.
Non sta recitando, e nemmeno io.
Siamo noi quelli dentro quel bacio.
E quasi mi riesce difficile credere che lo sto baciando davanti a tutti.
‘STOP!’, grida il regista imponendomi a uno stacco brusco dalle sue labbra.
Lui mi lascia andare, mi stacco e nel mentre cerco di riprendermi da quel momento.
Deglutisco, tossisco, riprendendo fiato.
‘Cioè ragazzi è stata perfetta! Sembravate davvero Hook ed Esmeralda. E quel bacio poi… WOW!’ esclama soddisfatto con gli occhi che gli brillano. ‘Sembrava quasi vero’.
E incrocia le mani sotto il mento sognante.
‘Sicura Vanessa, che sia la prima volta in una scena del genere?’, si rivolge a me.
Io ancora sono sconvolta da ciò che è appena successo, ma non voglio farlo notare.
‘Si, sicurissimo!’, rispondo entusiasta. Troppo entusiasta.
Se si accorgono di qualcosa sono fritta.
Lancio un occhiata fulminea a Colin, che mi fissa divertito.
Appena incrocia il mio sguardo sorride e alza un sopracciglio malizioso.
Maledizione a lui e a ciò che mi sta combinando dentro.
‘Ripetiamo la scena!’, urla Kitsis.
Sono sconvolta, e probabilmente se ne accorgono.
‘Dobbiamo riprenderla da tutte le angolazioni, da ogni prospettiva’, spiega Adam.
Annuisco rassegnata.  Non ce la farò, lo sento.
Mi avvicino furtivamente a Colin e gli sussurro: ‘Sei un bastardo’, fingendomi incazzata.
Lui a sua volta fa lo stesso con me.
‘Però mi ami’, risponde.
‘In posizione!’, e mi prende di nuovo le mani.
Sto già ribollendo.
Lui ritorna Hook in quell’espressione seria e rammaricata, ma il suo fascino resta e io ne sono vittima.
‘AZIONE!’.
E di nuovo le sue labbra sono sulle mie, di nuovo lui s’impadronisce di me facendomi dimenticare tutto.
Di nuovo mi tira a sé e sento la sua mano e il suo uncino addosso che premono.
Le mie mani tra i suoi capelli, e lui che non mi lascia andare.
Il suo petto contro il mio.
Il suo uncino sulla mia schiena, attento a non farmi male.
Ho i brividi.
 
Alla fine ripetiamo quella scena una decina di volte, e ne esco stordita.
Cammino perché lo devo fare, ripeto le altre battute e sembra andare per il meglio.
Esmeralda ha di nuovo le farfalle nello stomaco per quel bacio, e io con lei, perché non è stato solo un bacio per me, ma tanti baci che mi hanno divorato l’animo.
Lascio il set e Colin ad altre scene con Jennifer e altri e mi ritiro nella mia roulotte.
Un po’ per riprendermi, un po’ perché le mie riprese sono terminate per oggi.
Sono quasi le 18.
Smetto gli abiti di Esmeralda e riprendo i miei.
Una canotta bianca, quasi trasparente con un top nero sotto e dei jeans skinny con un paio di converse.
Lego i capelli in una coda.
Ho caldo, e intuisco facilmente il perché.
Mi siedo sugli scalini e ripenso a tutto.
A tutti quei dettagli, quella voglia sulle sue labbra che non era solo mia.
L’ho sentita in ogni fibra del suo corpo come nella mia.
E’ tutto, è stato assurdo.
Assolutamente perfetto.
Il modo in cui mi ha fatta sentire, anche se dietro Esmeralda.
Anche se alla fin fine non eravamo tanto i nostri personaggi stasera, ma noi. E’ strano dirlo, ma è ciò che siamo.
Il suo sussurrarmi e tirarmi a sé, il suo provarci sul serio, nonostante tra due colleghi dovesse essere un bacio casto.
E’ per quello che è stato perfetto.
Perché eravamo noi e non Esmeralda e Hook.
Sorrido a quella deduzione.
Sorrido a quell’amore che mi corrode e mi solletica lo stomaco.

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Capitolo 5
*** 5. Noi siamo perfetti. ***


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Eccoci al nuovo capitolo di questa mia storia.
Grazie mille a chi la storia l'ha aggiunta ai preferiti/seguiti e chi ha recensito, grazie mille.
Grazie anche a chi mette 'Mi piace' attraverso i bottoni social qui sopra. 
Siete un monito per me, e una spinta ad andare avanti in una storia che altrimenti avrei terminato di scrivere, non per mancanza di passione ma per mancanza di riscontri in proposito, perciò ancora grazie.
Ora vi lascio al capitolo, sperando che vi piaccia e che come sempre mi lasciate pareri e recensioni a riguardo. 
 
:*

5. ...Noi siamo perfetti.

Sono alla sua roulotte.
Sono le 19.00, la luce all’interno è accesa.
Dentro una musica riempie l’aria e la sua voce gli è dietro.
Sto combattendo sullo bussare oppure no, tra il disturbarlo oppure no da cinque minuti buoni.
Sono titubante ma non posso restare qui in eterno.
O busso, o vado via.
Qualcuno potrebbe passare e sospettare qualcosa.
Prendo forza e busso decisa, aspettando una voce, un rumore, qualcosa.
‘Chi è?’, la sua voce fuori dalla porta è quasi ovattata.
‘Sono io… ehm… Vanessa’, dico impacciata.
Due scatti decisi e la porta si apre.
Indossa una maglia nera e sotto ancora l’outfit di Hook, deduco si stia cambiando.
Mi sento più imbarazzata del solito, forse perché l’ho baciato davanti a tutti, forse perché mi sono lasciata andare a lui, con lui davanti a tutti, forse… non lo so.
‘Se sei indaffarato, passo dopo’, faccio indicando la via per andarmene.
‘Non mi disturbi affatto. Entra’, e mi fa cenno di entrare.
All’interno della roulotte c’è musica forte, non so che genere sia.
Lui nota il mio fastidio e corre a spegnerla.
‘Ma no, non ti avevo detto di spegnerla’, cerco di prenderlo per trattenerlo dallo spegnerla.
‘Si vede che non ti piace tanto’, mi fa notare con tono tranquillo.
‘Non voglio stravolgere le tue abitudini’, spiego.
‘Tu parli di stravolgere?’, mi riserva una sguardo ironico. ‘Non dovevi entrare nella mia vita allora’.
E io mi sento morire.
Quelle dichiarazioni buttate in quel modo. Quegli accenni, quei baci rubati nei panni di altri mi tolgono il battito, e probabilmente ho un espressione strana perché si avvicina a me come a scusarsi.
‘Lo sai, che non intendevo questo.’, mi rassicura. ‘Amo il fatto che tu sia entrata nella mia vita. Amo i tuoi sorrisi, i tuoi sguardi, le tue risate, i tuoi occhi, quelli sotto le lenti’, e mi guarda più intensamente. ‘Amo la tua voce, il tuo spirito, il fatto che riesci ad essere un po’ bambina, un po’ adulta, il tuo coinvolgermi anche in una risata. Il modo in cui t’imbarazzi e ti perdi con me. Amo tutto di te, e seriamente, sono così dannatamente abituato a tutto questo, ad averti intorno, che non saprei farne più senza. E lo so. Lo so che è sbagliato perché tu stai con qualcuno e non dovrei dirti certe cose,non dovrei renderti le cose più difficili di quanto non siano, dovrei farmi da parte e lasciarti vivere la tua vita, dovrei darti la possibilità di recuperare la tua felicità con lui, ma non ci riesco. E’ egoista, lo so, ma non ce la faccio. Sento troppo per te qui dentro per lasciarti andare…’ prende la mia mano e la mette sul suo petto.  ‘e non voglio lasciarti andare. Sento di essere qualcosa con te, sento che sono completo e dovrei lasciarti scegliere, ma non ci riesco. Ogni volta in tua presenza qualcosa di me viene rilasciata a te. Non c’è un singolo momento in cui non ti pensi, e forse sono malato, forse. O forse sei solo tu la mia cura’. Butta tutto giù, in un fiato e io sento rigarmi il viso. Mi gira un po’ la testa, e ho la testa che è un  intreccio di pensieri e sensazioni. Resto incredula a ciò che ho appena sentito. Sono un fiume in piena e ho le parole bloccate in gola, nel petto, nello stomaco.
Tutto ciò che mi ha appena detto mi ha fatto cadere giù.
Come faccio a stargli lontana? Come posso anche pensare di farcela? E’ assurdo. Assurdo il modo in cui mi fa sentire.
Assurdo il modo in cui lo amo, e assurdo il modo in cui lui mi ama.
E’ tutto assurdo.
Ed è vero non è giusto.
Non è giusto essere a metà nei suoi confronti, non è giusto sentirsi così quando si ha un altro.
Ma è giusto stare con l’altro e non sentire nulla di tutta questa totalità?
E’ giusto restare aggrappati al passato senza vivere ciò che ho e potrei avere con quell’uomo stupendo che ho accanto che mi guarda fisso, quasi preoccupato perché non parlo da un po’ e lo guardo quasi fossi in catalessi.
‘Non dovevi farmelo …’, gli dico, tra le lacrime. ‘Non dovevi dirmi tutto questo. Non dovevi darmi speranza perché non è possibile che io mi senta così con te, allo stesso modo in cui tu ti senti con me. Ed è vero, non è giusto. Non è giusto continuare a darti la metà di me, non è giusto non viverti completamente come vorrei, perché vorrei gridarlo, dirlo, farlo vedere a mezzo mondo che c’è tra noi, non per esibirti come un trofeo, ma perché ti amo e odio quando baci le altre, anche se non sei tu, o quando ti fanno dichiarazioni. Lo odio! Tu sei mio!’, gli dico possessiva come non ho mai fatto.
Lui sorride dolcemente e siamo vicinissimi a due millimetri l’una dall’altra.
Mio..’, fa un ghigno compiaciuto, ci pensa un po’ suo. Mi piace’.Sorride con quel sorriso che amo, e mi carezza un braccio. ‘E tu sei mia’, mi sussurra.
Sorrido timidamente.
‘Sei mia, tutta mia. Solo mia’. E mi illumino come se mi avesse fatto la miglior dichiarazione del mondo.
Perché me l’ha fatta e me l’ha data insieme al suo cuore, e non c’è cosa migliore di lui a questo mondo.
E giù un bacio nuovo, e poi un altro, e un altro ancora.
E quasi non ci perdiamo per davvero, quasi non ci perdiamo l’uno dentro l’altro in quel modo, mentre sono a metà.
‘Ti prometto’, gli dico interrompendomi con dei baci. ‘Che quando avverrà questo, quando mi concederò a te per davvero, sarò per davvero tua, solo tua, tutta tua, e non a metà. Pensi di farcela?’, chiedo cercando di innalzare il sopracciglio come lui, con aria di sfida, mentre sono a cavalcioni su di lui.
Lui ride. Ci pensa su.
‘Penso di sì, per ora’.
E mi passa sopra non lasciandomi respirare, ne tantomeno parlare o distrarmi.
Ci baciamo fino a perdere il respiro, senza andare oltre.
Muoio sotto il suo tocco, sospiro, riprendo il fiato e siamo ancora insieme.
Lo amo, e sento il cuore scoppiarmi in petto quando lui è con me.
Annego nei suoi occhi, annego nel suo cuore.
 
‘Vorrei poter immortalare questo momento. Vorrei avere una foto con te, che ci rispecchi ora.’, rivelo mentre sono ancora sotto di lui su quel divano. ‘Ma non posso e la cosa mi infastidisce’.
Ho il cuore a mille, e anche lui.
Il suo sorriso riflette il mio, e più lo guardo più mi innamoro, più mi perdo in lui.
Mi guarda fisso, e quegli occhi cristallini sono la cosa più bella in cui riflettersi.
Pensa un po’ a ciò che ho appena detto.
‘Prendiamo il mio telefono.’, fa lui alzandosi.
Si mette seduto e allunga la mano per prendere il telefono poco lontano.
E iniziamo a fare foto sceme, foto dove io sembro un pesce lesso e lui perfetto.
Lui fa facce strane, e io con lui.
Mi riprende poi mentre non la smetto di ridere, gli dico di smetterla ma non sono credibile.
‘La metto su instagram’, minaccia ridendo con me.
‘No!’, faccio io andandogli addosso e baciandolo mentre continua riprendere.
Le sue risate si fermano e si muove sulle mie labbra.
Sorrido.
‘Ora non puoi più metterlo sul tuo account’ e gli faccio la linguaccia che sembro una bambina.
Lui capisce il gioco e mi blocca su di lui facendomi il solletico.
‘Ora me la paghi!’, fa lui su di me vendicandosi.
E lo supplico di lasciarmi, lo imploro.
Ho i muscoli dell’addome doloranti per quanto sto ridendo stasera.
Per quanto mi sento leggera, per quanto mi sento bene con lui.
Lo allontano, lui si avvicina mi bacia e scatta altre foto.
Nessuna mi piace.
‘Sembro uno spaventapasseri, su!’, gli dico e vado per eliminarle.
‘Okay, l’hai voluto tu’, mi dice alzandosi.
Io lo guardo confusa.
Mi prende per mano, prende le sue cose, spegne la luce e mi trascina via dalla roulotte con lui.
Chiude la porta fuori è tutto buio, tranne per qualche luce qua e là.
‘Dove mi porti?’, chiedo indagatrice.
‘E’ un segreto!’, fa lui irremovibile con sguardo furbo.
Mi blocco in mezzo alla strada, e fermo anche lui.
Sbarrò gli occhi.
‘Mi vuoi uccidere?’, dico fingendomi spaventata.
E rido.
‘Sei proprio scema!’.
‘E’ per questo che ti piaccio’, gli dico.
 
Da gentiluomo quale è mi apre la portiera dell’auto e mi aiuta a salire su.
Fa il giro del veicolo ed entra anche lui, mettendosi alla guida.
‘Sei venuto in auto?’.
‘Oggi si, odio farmi accompagnare certi giorni, e poi sono un ritardatario cronico, quindi meglio avere un veicolo mio’.
‘Eccone un altro’, rispondo sarcastica.
Lui non capisce e mi guarda inquisitore dallo specchietto.
‘Ci sono già io ritardataria…’, spiego.
‘La coppia perfetta!’, esordisce lui.
Fuori scorrono auto, e palazzi enormi.
Gente che cammina per strada, passeggia o va di fretta per tornare nella propria casa.
Gente che si rifugia nei ristoranti, pub, tavole calde.
Le luci della città creano uno strano gioco di luci viste in lontananza.
Non so dove mi sta portando e non vuole dirmelo e odio stare sulle spine.
Lo odio.
Arriva dopo qualche minuto in una via un tantino isolata.
Non capisco dove mi abbia portata e cerco di sporgermi dal finestrino per vedere.
Si trova a ridosso della via principale e non c’è nulla di così eclatante.
Non capisco.
Mi apre la portiera dell’auto e mi porge la mano.
Gliela do, mi alzo e lo guardo torva non capendo il motivo.
Lui fa solo: ‘Vedrai’, e mi lascia con i miei dubbi trascinandomi per mano.
Giriamo oltre la palazzina adiacente e sul retro vedo il vero motivo per cui mi ha portata lì.
Una cabina fotografica.
Gli mollo una pacca sul braccio per avermi fatto agitare per nulla, e non avermi detto niente.
‘Cioè, pensavi davvero che ti avrei uccisa?’ e ride di gusto.
‘Sei assurdo!’, dico ruotando gli occhi.
Cingendomi i fianchi mi fa entrare nella cabina, ma in due non ci stiamo su quella sedia piccolissima, così decido di accomodarmi in braccio a lui.
‘Dimmi quando sei pronta, amore’, mi dice imitando Hook.
Gli faccio una smorfia.
‘Secondo te meglio sciolti i capelli o legati?, chiedo.
Lui mi guarda, va per rispondere ma lo interrompo.
‘… No, aspetta. Ora mi dirai che sono bella in entrambi i modi’, sbuffo, cercando di aggiustarmi.
‘No, infatti. Sbagli. Non sei bella in entrambi i modi. Sei stupenda’.
Lo lascio perdere, sarebbe capace di dirmi che sono perfetta anche facendo pena.
‘Pronta!’, dico entusiasta.
Sono entusiasta di quell’idea improvvisa, dettata dall’istinto.
Ci facciamo sedici foto, e cerchiamo di cambiare espressione e posa in ognuna per renderle diverse.
Alla fine davanti a quella camera diamo anche la testimonianza del nostro amore, e a quello dedichiamo più foto.
Usciamo da lì, e la macchinetta ci da quelle foto un po’ sceme, un po’ serie, un po’ pazze, un po’ innamorate, un po’ noi.
Io le guardo appoggiata alla sua spalla, mentre gli tengo il braccio mentre lui le tiene in entrambe le mani.
‘Tu quale vuoi?’, dice tenendole in mano ed esaminandole insieme a me.
‘Non posso prenderle’, gli dico affranta.
Lui mi osserva, poi intuisce.
‘Ah, già. A volte dimentico…’, fa lui tra il serio e il dispiaciuto.
‘Specie in serate come questa’, aggiungo io. ‘… in cui tutto sembra perfetto. Noi siamo perfetti’.
Mi prende la mano, e me la bacia.
Io mi avvicino e lo bacio sulla guancia, resistendo alla voglia di finire su quelle labbra.
Ripenso un po’ a quelle foto appena fatte, e gli sfilo dalle mani una pila di quattro foto.
Ne strappo una.
‘Questa la tengo’, dico osservandola. ‘Non è compromettente, è una foto dolce, intima che non da nell’occhio’, e gli sorrido.
Gli porgo le restanti tre.
‘Queste allora le tengo io. E le terrò come la cosa più preziosa. Le terrò per entrambi’, dichiara.
Mi prende per mano e ci avviamo alla sua auto, dietro la palazzina.
Arrivati lì davanti mi stacco e guardo l’ora.
Le 21.00.
‘Qualcosa non va?’, nota ogni minimo cambiamento.
E’ assurdo quanto mi conosca.
‘Sono le nove, dovrei tornare in albergo.’, osservo.
Lui si rattrista al pensiero di lasciarmi e io con lui.
‘C’è lui?’, e so quanto quella domanda gli costi fatica, glielo sento nella voce. Glielo vedo negli occhi.
‘No, c’è Nick… lui arriva domani pomeriggio’, e mi pesa dirglielo e dirmelo.
Sussurra un ‘Ah’, e guarda altrove per trattenere qualcosa in più, che riconosco ormai.
Come vorrei far sparire questo peso, da me, da lui, da entrambi.
Essere liberi come lo siamo stati stasera, senza pensare a terze persone, senza pensare a nulla.
‘E se venissi con me stasera? A casa mia?’, azzarda, e non capisco se è serio o meno.
‘A casa tua?’, ripeto incredula. ‘Sul serio?’.
‘Non voglio passare la serata da solo, voglio continuare a stare con te in questa giornata perfetta. Ho bisogno di te, almeno stasera.’, mi confessa.
E io forse dovrei dirgli di no perché così facendo gli faccio più male, mi faccio del male.
Gli do una speranza e la do anche a me.
Ma non ci riesco, non ce l’ho fatta nel mese precedente ad averlo lontano, come faccio ora a farlo?
Non esiste.
Voglio stare con lui, non solo stasera, ma per ora mi accontento.
‘Si!’, quasi urlo di gioia.
Lui, dapprima in bilico ora si illumina e i suoi occhi si schiariscono e diventano di quel cristallino che mi piace tanto.
Mi apre la portiera e salto in macchina.
E sono tutta un fremito.
Mentre guida mi tiene e mi carezza la mano e rispecchia le mie sensazioni.
‘Devo inventare una scusa con Nick, però.’, sbianco al pensiero. ‘Dirò che sono rimasta a dormire da un amica… ma chi?’, lo guardo in cerca di un consiglio.
Lui guarda fisso la strada e pensa.
‘Dì Jennifer’, suggerisce lui.
E all’inizio mi sembra ottimo, ma non sa di lui e dovrei avvertire anche lei per il giorno dopo in caso un confronto.
E non so se sia il momento giusto.
Pensiamo ad Emilie, ma è amica di Rob e sarebbe capace di non mantenere il segreto.
Pensiamo a mille nomi, mille congetture sulla strada di casa.
Fin quando quasi come un barlume in una strada buia mi appare il suo nome sul telefono: Ashley.
Chi meglio di lei sa di me, di Vancouver? Le spiegherò la vera situazione in un secondo momento, per ora ho solo bisogno di una copertura.
Lui fa una smorfia di approvazione a quel piano e abbassa il volume della radio mentre la chiamo.
 
Uno squillo. Due squilli. Tre squilli.
Sto in ansia. Non so come la prenderà, anche perché è amica di Rob, da più che con me, ma spero comprenda la cosa e mi salvi, anche questa volta.
Come sempre.
Chi meglio di lei mi è sempre stata vicina in quel mondo sin da Twilight? E forse è vero le cose sono cambiate, ma è ancora una grande amica per me e sa esserci quando ne ho bisogno.
Van? Risponde lei con la sua voce tonante.
‘Ash, grazie a Dio hai risposto’, dico io forse con troppa enfasi, e lei inevitabilmente si preoccupa.
Tutto bene? E’ successo qualcosa?
‘Non è successo nulla Ash, o spero. Ti disturbo, dove sei?’.
No, ero appena tornata a casa. Sono ad LA. Che hai? Ti sento strana… e pure a lei non sfugge una virgola.
‘Mi devi fare un favore’. Le dico in tono tra l’elettrizzato, il disperato e il preoccupato.
La sento sospirare.
Ora mi preoccupi sul serio. O parli o prendo il primo volo e vengo lì.
‘Mi devi coprire, stasera’.
Lei non intende e mi domanda: Per cosa?
‘Dovrai dire a chiunque ti telefoni o senti che sei a Vancouver e che stasera sono da te per uno di quei tuoi pigiama party. Sei venuta sul set di ONCE e mi hai prelevata come tuo solito, coinvolgendomi in tuo solito piano.’.
Cosa? Perché tutto questo?
‘Te lo spiegherò appena ci vedremo, promesso. Ora ti chiedo solo di fare questo per me’, la supplico.
Lo faccio, stai tranquilla. Sento la preoccupazione nella sua voce e un po’ di titubanza. Devo dirlo anche se sento Rob, o vale solo per Nick?
Ed eccola quella domanda.
Quella che sapevo mi avrebbe fatto.
Ha capito tutto, come sempre. Non posso sfuggire al suo istinto. Sono sempre stata un libro aperto per lei, sin dall’inizio.
‘Anche se senti Rob’, confesso.
Lei resta un po’ in silenzio dall’altra parte ma c’è, la sento respirare. So che a breve ci sarà quella domanda.
Van. Pausa. C’è qualcun altro? Dritta al punto, senza tanti giri di parole, come sempre.
‘Si’, ammetto senza se, e senza ma. Ad Ashley non ho mai negato la verità.
Non ho mai saputo farlo.
Altra pausa, più snervante della precedente.
Le cose che si sentono, e di cui si parla sul web con il tuo collega, sono vere?
Altra domanda scottante, della quale sospetta già la risposta, ma vuole sentirselo dire.
E’ una libertà dirlo da una parte, e una condanna dall’altra.
‘Si’, ammetto come se mi togliessi un peso.
Lunga pausa. Mi preoccupo.
‘Ash?’, la chiamo.
Si, ci sono. Risponde un po’ sconvolta, direi.
E mi sento in colpa anche con lei per non averglielo detto. Sto includendo anche lei in una situazione troppo grande.
‘Scusa davvero. Lo so che sei amica di Rob, e metterti in questa situazione non è facile. Non giudicarmi, se puoi comprendimi. Appena ci vediamo ti racconto tutto, promesso’.
Non ti giudico, lo sai! Scatta lei. Lo sai che ti ho sempre sostenuta, anche se ora mi sembra tutto così strano, così inusuale sentirti dire questo. Chiarisce lei.
‘Lo so.’, mi limito a rispondere.
‘Appena ci vediamo voglio che mi racconti tutto’, si fa giurare.
‘Promesso!’.
Non sarò io a dirti se stai facendo la cosa giusta o meno. Lo saprai da sola, e se ti senti bene in questa tua nuova vita, con questa nuova persona. Se riesce a darti ciò di cui hai bisogno sono con te, lo sai. Mi rassicura.
‘Lo so, e ti ringrazio. Per tutto’.
Ora ti lascio, perché evidentemente hai altro da fare. Ci sentiamo domani però!
‘Okay. Ti voglio bene’.
Anche io. Tanto.
E chiudiamo la conversazione.
 
Arriviamo nella sua casa dopo pochi minuti.
Lui poggia chiavi e giubbino all’entrata e mi fa proseguire.
La casa non è grandissima, e subito dopo la grande entrata la casa si apre in un open space che comprende cucina, salone e sala da pranzo.
‘Però, non male come casa’, noto. ‘Ti direi che mi piace tantissimo’, dico appoggiandomi allo schienale del divano.
‘Oh, grazie’, risponde quasi imbarazzato.
Il mio stomaco intercede e inizia a brontolare facendosi sentire.
Se prima non avevo fame nemmeno a pregarmi ora, sto morendo di fame.
Mi cingo lo stomaco come a coprirlo.
Lui mi guarda rimproverandomi.
‘Da quant’è che non mangi?
‘Mmh… da ieri, probabilmente’. È incredulo.
‘Vado a preparare qualcosa’, fa lui, costringendomi quasi ad accomodare.
‘Posso fare io, se non ti disturbo.’, suggerisco cercando di essere utile.
‘No, tu ora stai qui e io preparo qualcosa. Lascia fare a me’.
E va verso i fornelli.
Con la testa mi appoggio sullo schienale del divano e lo osservo.
E’ di spalle intento a preparare non so cosa.
‘Cosa preferisci?’ mi chiede per capire cosa voglia.
‘Fai tu. Stupiscimi!’, gli dico entusiasta.
Tutta quella situazione, tutto quello che abbiamo passato e fatto quel giorno mi da gioia, e magari non dovrei sentirmi così, lo so, ma con lui è tutto diverso.
Anche il mondo assume una sfumatura migliore.
Mi sembra così bello, così nostro.
Penso a tutto, lo guardo a volte, e sorrido per ciò che sta accadendo.
Sono invaghita da quella che sembra e potrebbe essere una quotidianità, e che potrei vivere.
Un buono odore riempie la stanza e mi arriva.
E sembra avere il profumo di un nuovo inizio, di una felicità, di una nuova vita. Insieme a lui.
 
Ciò che mi ha cucinato mi stupisce, perché sono dei piatti del tutto nuovi per me e che non ho mai visto, ne tantomeno provato.
E io sono sempre un po’ titubante verso le cose nuove, quindi ci vado con cautela.
Sono piatti tipici irlandesi, mi dice.
Il primo è uno sformato di patate con verza, dall’aspetto e dall’odore non è poi tanto male, lui lo chiama il Colcannon.
Il secondo sono due spesse fette di bacon con contorno di cavoli e patate, chiamato Bacon and Cabbage.
Lui mi guarda attentamente mentre le assaggio, mi scruta per scoprire le mie impressioni, e alla fine ne esco soddisfatta perché sono buonissime.
Mangiamo ridendo e scherzando e per tutta la sera non facciamo altro che raccontarci, entrando nella profondità dei nostri animi.
Passiamo dalle nostre culture, alle nostre famiglie, a noi stessi.
In argomenti che non abbiamo mai davvero sfiorato.
Alle nostre paure, ai nostri gusti in modo più approfondito e la conversazione scorre così facilmente che quasi perdo il senso del tempo dello spazio.
Ride con me, resta incredulo quando ammetto che non amo il salmone, e io resto allibita ed emozionata quando mi confessa di essere stato al concerto di Michael Jackson nell’88.
Mi faccio raccontare tutto e lo guardo sognante, immaginando la situazione, perché amo Michael e lui a differenza mia ha potuto vederlo dal vivo e mi trasmette tutte le sue sensazioni.
Accendiamo un po’ di tv e ci concediamo un po’ di puntate di ‘The Big Bang Theory’, uno show che amiamo entrambi.
Ridiamo alle loro scene, io adoro Sheldon, e a volte mi spiega di cosa parlano, alcuni fumetti e del perché di alcune battute, che io non comprendo appieno.
‘Sei un nerd assurdo!’, gli dico canzonandolo mentre sono tra le sue braccia accoccolata sul divano.
Sto benissimo con lui, e la cosa quando ci penso seriamente un po’ mi spaventa.
Perché se mi abituo a questo, a tutto questo con lui, starò male dopo.
Ad ogni mancanza. Ad ogni sua minima mancanza.
Ad ogni allontanamento, ad ogni altra cosa.
Puoi far cambiare le cose. Mi fa notare il mio cuore. Puoi stare con colui che ti da vita. Puoi vivere questo, puoi vivere lui in ogni tuo giorno.
E io mi chiedo ancora se ascoltarlo o meno, ma devo fare una scelta, questo è sicuro.
 
‘Cos’hai?’, nota lui incrociando i miei occhi.
Mi scrollo un po’ e mi alzo strofinandomi gli occhi.
‘Sonno probabilmente’. Sento seriamente che le mie palpebre stanno cedendo.
Chiude la tv e si alza.
‘Andiamo a letto’, m’invita porgendomi la mano.
L’afferro e mi alzo anch’io un po’ ammaccata.
Poi razionalizzo e mi blocco.
Lui mi guarda torvo, non spiegandosi il perché.
‘Qualcosa non va?’.
‘Non ho nulla da mettermi per la notte’, ammetto.
Mi da una sua camicia dall’armadio.
Vado in bagno, mi faccio una rapida doccia e mi cambio indossando la sua camicia che ha ancora il suo odore.
Mi ci stringo dentro per farsi che quell’odore s’impadronisca e mi resti sulla pelle.
Esco e lui è lì a petto nudo e un paio di pantaloni del pigiama addosso.
‘Certo che vuoi rendermi proprio le cose difficili’, gli faccio notare mentre mi dirigo a letto.
Lui si gira appena mi sente e resta a bocca aperta.
‘E perché tu no?’, asserisce indicandomi.
Sorrido.
Ci mettiamo entrambi a letto e lui mi abbraccia, stretta.
Lo bacio dolcemente.
E’ così dannatamente bello, e dolce, e mio.
Lui ricambia il bacio ed è su di me.
Gli piace star sopra e comandare, questo l’ho capito.
Ci baciamo per un po’, per tanto.
Più volte siamo sul punto di andare oltre, specie ora in quella situazione, ed è difficile bloccarsi e trattenersi agli istinti.
‘Vorrei che questo, tutto questo fosse per sempre’. Confido.
‘Anche io’, ammette.
E dormiamo così, con quella speranza, con quel desiderio.
Ci teniamo la mano, io dormo sul suo petto, poi mi giro e lui mi abbraccia.
Ed è il miglior giorno, la miglior notte di sempre, e potrebbe durare altrettanto.

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Capitolo 6
*** 6. Confusa. ***


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Eccoci al sesto capitolo di 'Be My Forever'.
Una storia che nella mia mente sta prendendo il sopravvento.
Come sempre, ovviamente, non sarei qui se non fosse per voi che recensite la storia anche contattandomi in privato.
Ovviamente grazie anche a chi mette 'Mi piace' attraverso i bottoni social qui sopra. 
Ora vi lascio al capitolo, sperando che vi piaccia e che come sempre mi lasciate pareri e recensioni a riguardo. 
 
:*

6. Confusa.

Robert è tornato, è arrivato da due giorni e dagli stessi è sul set insieme a me e la cosa mi irrita non poco.
Cerco di evitarlo il più possibile, inventando scuse su scuse che non quadrano neanche a me.
Con lui vicino le cose con Colin si fanno strane.
Ci parliamo a stento, se non delle battute, delle scene, del mio personaggio e del suo ed è tutto così… professionale.
Sembriamo due colleghi che si ritrovano a recitare la parte di due amanti insieme, punto.
Ed è quel punto a spaventarmi.
Niente va oltre.
Non c’è un tocco, nessuna risata, non una parola che sembra rivolta a me.
Lo guardo strana.
Dopo le battute, le riprese ripetute a volte fino allo stento, si allontana per recarsi altrove e neanche una parola, un sorriso.
E’ teso.
Lo sento anche quando Esmeralda tocca Hook.
I suoi muscoli sono un fascio di nervi.
Siamo tesi, entrambi.
Mi sta evitando, in qualche modo, e io a modo mio evito Rob, e non so se ne sia realmente accorto.
Non camminiamo uno accanto all’altro.
Io vado per conto mio a passi veloci, senza aspettarlo, senza guardarlo, senza provare nulla.
Sono fredda e distaccata nei suoi confronti, lo riconosco da me.
Ad ogni contatto scappo, ed ogni bacio è uno sforzo, figuriamoci a fare un altro genere di passi.
E quando ci prova è un flagello.
L’altro giorno eravamo davanti la mia roulotte quando si è avvicinato amorevolmente, sorridendo e mi ha baciato, quasi alla sprovvista e non mi ha dato il tempo di reagire o di scostarmi. In quel momento è passato Colin e ho potuto solo notare il suo sguardo e i suoi pugni chiusi.
Si è subito voltato dall’altra parte infastidito. È un libro aperto ormai per me, ed ogni sua espressione la comprendo al volo.
L’ho ricacciato via e mi sono sentita in colpa.
Non so verso chi questa volta.
Lui ha guardato a cosa fosse dovuto quel cambiamento repentino appena ha visto che guardavo altrove, e ha trovato il colpevole che gli passava davanti.
Mi ha guardato e ho abbassato lo sguardo sul copione che avevo in mano per non incontrare il suo sguardo revisore.
Ora mi sento in colpa per entrambi, sono nel mezzo ed è come se la cosa mi stesse schiacciato.
Quando Robert si è presentato a Colin, ho avuto la sensazione che potesse intravedere qualcosa in lui di me, e ho temuto il peggio.
Lui gli ha teso cordialmente la mano e lo stesso ha fatto Robert, hanno parlato un po’ dopodiché Colin si è congedato altrove.
Non ho potuto fare altro che osservarlo mentre pian piano spariva dalla mia vista, ancora con quell’indifferenza.
Paure infondate forse, ma se vado avanti così succederà qualcosa e ho paura per Colin solo questo.
Odio quando mi passa davanti e mi saluta in modo staccato, come se di colpo avesse resettato tutto.
Lo guardo cupa, ma lui sembra non vedermi o semplicemente non vuole.
Non posso nemmeno recarmi alla sua roulotte per chiedergli il perché di quei gesti perché sono braccata, e i messaggi non servirebbero a nulla perché non risponderebbe se non vuole, e voglio chiarire la cosa faccia a faccia, senza schermi a dividerci, perché i messaggi sono parole alle spalle, parole già pronte e ponderate prima di inviarle. Io invece voglio vedere le sue reazioni, le sue espressioni alle mie domande.
Sono due giorni che è così e questo è il terzo.
Il che mi fa stizzire ancora di più la presenza di Rob qui.
Appena ha rivisto Emilie è corso a salutarla e ho sperato lo distraesse in modo da poter sparire per un po’, ma dopo cinque minuti era di nuovo con me.
Una volta tutto questo lo avrei voluto, e lo facevo io stessa nei suoi confronti.
Ma ora, che sono io al suo posto per la prima volta, mi chiedo come mi abbia sopportata.
Ti amava, risponde pronto il cuore.
Mi ama ancora. Rispondo flagellandomi. Sei tu che ora batti per un altro e lo cerchi in ogni dove. Lo rimprovero. E stai male, e porti me nelle stesse condizioni anche per un saluto negato.
 
Siamo soli in quel piccolo abitacolo con le ruote.
Lui sorride, si avvicina e cerca di stringermi a sé, io dal canto mio appena lo vedo è come se scappassi.
Mi viene l’orticaria.
‘Devo ripetere la parte’, dico stizzita dalle sue troppe smancerie e mi siedo sul divanetto provando a concentrarmi su Esmeralda e non su me.
Per una volta.
Devo zittire Vanessa e far uscire Esmeralda.
Devo metterci tutta l’anima e il corpo per farsi che esca.
Lui mi siede di fronte.
Sento i suoi occhi addosso. Mi esaspera, e sbuffo guardandolo in modo truce.
‘Rob, giuro dopo in albergo parliamo ora no.’ E non voglio neanche quello ma non so che altro dirgli.
Ritorno sul copione.
‘Parliamo? Io non voglio parlare e lo sai. E’ da mesi che non stiamo insieme’, e io so cosa intende.
Cerco di far finta di nulla.
Lui si avvicina, di nuovo, mi sposta i capelli dal viso e si dirige verso il mio collo.
‘Rob, ti prego. Ora no ho detto!’, sbotto rasentando l’ira.
‘E’ da quando sono qui che sei un no per tutto, mi dici sempre dopo, ma non mantieni mai la parola’.
Attacca.
Lo sento nella voce che vuole spiegazioni.
E ha ragione, ma non ora. Non qui.
Non lo rispondo e resto nel mio silenzio concentrata, cercando di ignorarlo del tutto.
Lui sbuffa irritato da quel mio comportamento, si alza e si aggira per la stanza.
‘Mi irriti così’, dico a denti stretti con gli occhi sul copione.
‘E’ da tre giorni che ti irrito, pensi sia cieco? Pensi che non lo senta? Sei rigida nei miei confronti, quasi un estranea!’, alza di poco la voce. ‘Sei metallica. C’è ancora un po’ della Vanessa che amo lì dentro? Sembra che tutto questo ti stia uccidendo invece di darti vita’.
‘Lo sai come sono Rob! Se devo fare una cosa devo farla bene e non voglio distrazioni’.
‘Prima non ero una distrazione per te, ero un punto di appoggio, una forza, un appiglio. All’inizio provavi le parti con me,  e ora? Non vuoi che ti stia intorno. Come dovrei reagire? Mi guardi con sguardo vitreo e mi sembra di aver davanti qualcun'altra’. Sbotta incazzato.
E non potrebbe dirmi parole più mirate, arrivano dritte dove devono e colpiscono a fondo.
Non sono più la stessa Rob. E’ vero hai un'altra davanti.
Chiudo il copione indignata.
E non so esattamente per cosa. Se da me, da lui o dalla situazione che si sta creando.
‘Non hai luogo migliore eh?’, gli dico mentre gli passo vicino per andarmene fuori.
‘Dove vai?’
‘Fuori, almeno non avrò questo continuo ronzio nelle orecchie’, e faccio per varcare la porta.
Mi prende per un braccio, lo stringe forte e mi trattiene.
‘Mi fai male Rob, lasciami!’, gli ordino puntando i suoi occhi.
E’ furioso.
‘No, prima mi dici cosa c’è che non va’.
Mi strattono e mi libero.
‘Niente. Non c’è niente, mi stressi. E odio averti intorno mentre sono sul set e devo concentrarmi su altro’.
Sbarra gli occhi, incredulo e ostile a quelle parole.
Alza le mani e sbuffa irritato.
L’aria è così tesa che la si potrebbe tagliare in due.
Decide di calmarsi, per non far degenerare la situazione.
Prende coraggio e si avvicina.
‘Mi dispiace, non volevo’. Cerca di riprendermi il braccio per guardare i danni, ma mi sposto prima che lo afferri.
Non rispondo.
Resta al suo posto ed è a pezzi, un po’ per ciò che ha fatto, un po’ per ciò che ha intuito senza troppe parole.
‘Non è più la parte, sei tu. C’è qualcosa che non va e non me la dici’. Dice più calmo. ‘Cosa succede? E’ da più tempo che sei fredda e distante, renditi conto. Io non so più che devo fare, una volta ti confidavi con me, ora ti allontani, ti chiudi, mi escludi. Stai viaggiando su un altro pianeta, sembri un'altra. Se questo, tutto questo ti fa male, molla. Non ti giudicherò’.
Non è un altro pianeta Rob, è un altro cuore, un altro uomo. Un'altra vita.
Una vita che non ti comprende e non so come dirtelo.
‘No, il lavoro mi fa stare bene.’ Confesso. ‘Ma certe cose, sono cambiate Rob, sono cambiata io e non riesco a tornare la stessa di prima’.
‘Cosa è cambiato?’.
Cerca i miei occhi ma io guardo dappertutto tranne che in lui.
‘Qualsiasi cosa sia successa, qualsiasi cosa tu senta dentro ora che contrasti con la mia può risolversi. Non farsi che gli eventi, le persone che hai intorno qui ti cambino e ti facciano diventare diversa da come sei. Dimmi cosa devo fare, cosa posso fare per rimediare e aggiustare questa crepa tra noi e lo farò’.
Le persone che hai intorno qui ti cambino e ti facciano diventare diversa da come sei.
Quelle parole sembrano tuonare nella mia testa.
Ha capito tutto o è stato detto a caso?
Lo guardo a quelle parole e incrocio il suo sguardo pieno di pentimento.
‘Ciò che c’è qui Van, può sembrarti reale ma non lo è. Non entrare troppo nel tuo personaggio, devi alzare un muro tra te e lei, non permettere che intacchi la tua vita distogliendoti dalla realtà. Stai guardando e vedi le cose, e le persone con gli occhi di Esmeralda. Sei confusa. Lo so, lo sento. Sei all’inizio di tutto questo e non comprendi i pericoli. Interpretare un personaggio non è facile, perché si esige che tu lo diventi, ma devi saper distaccare ciò che sei da ciò che interpreti. Solo questo’. Mi dice cercando di infondermi la sua visione.
Quindi ciò che provo e sento per Colin è ciò che Esmeralda sente per Killian e io lo rispecchio in lui? Mi domando confusa.
Tutto il mio amore per Colin in realtà è l’amore che Esmeralda riversa su colui che crede Hook.
‘Cosa vorresti dire Rob?’.
‘I personaggi, tutti, sono come degli spettri che si impossessano di noi, ci fanno vedere il mondo con i loro occhi, ci fanno provare ciò che loro provano. Quindi se interpreti, se tu ami colui che ama il tuo personaggio non è detto tu la ami per davvero. E’ solo ciò che Esmeralda ti vuol far pensare’, e li crollo.
Ha capito davvero tutto.
Resto di sasso a fissarlo.
Ha capito sin dall’inizio che succedeva? O lo ha capito da quel distacco improvviso di quel giorno?
‘Devi restare con i piedi ben saldi a terra. Quando ti ritroverai a fare più film o telefilm che siano e i tuoi personaggi ameranno altri personaggi potresti impazzire. Ci vuole coraggio a fare questo lavoro Van, e mi dispiace non averti avvertito delle sue conseguenze prima. Ti ho spinta io a farlo, scusa’.
‘Tu non ti devi scusare di nulla Rob…’, e gli sono più vicina, lo fisso. Sono tra le sue braccia, di nuovo.
E se avesse ragione?
Mi bacia, e per la prima volta in tre mesi quel bacio non mi irrita e sembro essere tornata indietro.
Mi lascio andare, ma sembra un illusione.
 
Siamo nei boschi di Storybrooke.
Rob assiste alle riprese, ed è con gli autori più in là.
Mi sorride, e io lo faccio di rimando.
Colin mi è accanto, e insieme a lui Michael, Josh e Jennifer.
Esmeralda è fuggita nel bosco perché ha scoperto qualcosa che avrebbe preferito non sapere e che Killian le ha nascosto per tutti quegli anni.
E’ furiosa e si sente tradita.
Lì, in una tenda accampato trova Will Scarlett che le offre riparo per la notte.
Giriamo prima la scena con Michael Socha.
Siamo all’aperto, non ha molto da dire.
Sa solo che non vuole rivedere Killian per nessuna ragione.
Will, dopo una lunga conversazione tra i due si allontana in cerca di legna e mentre è più in là, si sentono dei rumori nella vegetazione.
D’un tratto Emma, e Killian sbucano di fronte a lei e… STOP!
Urla il regista.
 
La prossima scena è sul confronto che Esmeralda ha con Killian.
Ripasso la parte, appena mi viene dato il copione.
Colin si avvicina.
E qualcosa dentro me inizia a sussultare.
Cerco di calmarmi e di riprendere la situazione in mano.
Sono fredda anche con lui, e non mi pento.
Sono tre giorni che mi fa stare male.
‘Che hai?’, mi sussurra quasi con gli occhi sulla sceneggiatura.
Gli altri sono più in là’.
‘E’ buffo che tu me lo chieda’, rispondo a tono ‘Sembra non te ne freghi’.
Alza lo sguardo e mi fissa accigliato.
Si guarda intorno circospetto e si avvicina tanto da farmi venire i brividi.
‘Scusa, okay?’, mi dice dispiaciuto. ‘Possiamo parlare dopo?’.
‘Come vuoi’.
Lui resta un po’ scioccato da quella risposta inusuale da me nei suoi confronti.
Giriamo la scena.
Ed Esmeralda è furiosa con Killian e gli urla contro tutto ciò che ha dentro, Killian le chiede scusa, la implora e si confessa.
Le spiega il perché non le abbia mai detto nulla e lei resta incredula perché quelle parole non gliele aveva mai dette nessuno.
Le sue espressioni, il dispiacere che vedo nei suoi occhi mi colpiscono e mi sento un moto dentro.
Le riprese terminano.
 
Sono le 21.10
Mi avvicino a Rob, che mi prende per mano.
Colin, ci osserva, e più di tutti osserva me.
‘Andiamo’, dice lui trascinandomi.
Lo blocco e sciolgo la presa.
‘Prima devo fare una cosa.’, gli sussurrò. ‘Tu vai in albergo, ti raggiungo dopo.’.
Lui guarda in direzione di Colin, poi mia.
E’ un po’ titubante a riguardo.
Fa cenno con il capo e prima di andarsene mi prende il viso tra le mani e mi bacia, mi stringe, quasi a marcare il territorio.
Poi si stacca, gli concedo uno sguardo timido e sono imbarazzata.
Si allontana.
Resto un attimo di spalle a Colin.
Prendo coraggio, mi volto e torno indietro, e Colin mi guarda cercando spiegazioni.
‘Cos’era quello?’, indica irritato con un gesto, quel comportamento alzando un sopracciglio.
Abbasso lo sguardo, imbarazzata.
‘Era Robert.’, ed è l’unica risposta che so dargli al momento.
 
Siamo nella sua roulotte.
Lui è ancora vestito da Hook, e io sono ancora vestita da Esmeralda a Storybrooke, ma non cambia tanto.
Mi guardo le mani e non riesco a parlare.
Stasera è tutto teso, persino con lui.
C’è un silenzio assurdo.
‘Sei strana’, osa dire soltanto e mi osserva. ‘Cosa hai?’.
‘Perché interessa a tutti cos’ho?’, sbotto alzandomi dalla sedia su cui sono seduta.
L’agitazione non mi permette di rilassarmi.
Lui mi viene dietro e mi prende la mano.
‘Ehi, senti mi dispiace. Mi dispiace essermi comportato come uno stronzo in questi tre giorni, okay? E’ che da quando ti ho vista con lui, sono partito in difesa. Non volevo destare alcun sospetto ai suoi occhi. Per te. Per noi.’ Mi alza il viso per incrociare i miei occhi e scrutarmi dentro. ‘Ma non ho contato il dolore che ti avrei arrecato. Avrei potuto avvisarti ma non l’ho fatto. Ti prego scusami’.
E’ sincero.
Mi allontano un po’ e gironzolo per l’abitacolo.
Poi mi volto e lo guardo dritto negli occhi.
‘E se fosse uno sbaglio?’, tiro fuori.
‘Cosa?’, si avvicina, non capendo.
‘Se non fossi innamorata di te, se tutto questo. Tutto ciò che provo per te fosse dettato da ciò che Esmeralda identifica nel tuo volto che ormai riconosce come quello di Killian? Se fossi intrappolata nel mio personaggio e non riuscissi a disgiungerli?’.
‘Co-Cosa?’. Lui mi guarda come se stessi farneticando.
Non comprende una parola di ciò che ho detto.
‘Ti ha messo lui queste cose in testa. Si è accorto di noi e ti convinta a credere questo?’. Alza gli occhi al cielo, consapevole.
‘No, non è stato..’
‘Non mentirmi.’, m’interrompe e altera di poco la sua voce. ‘Davvero credi a ciò che dice? Davvero credi a queste assurdità? Davvero non credi a te stessa? Ho girato e giro scene anche con Jennifer e non provo nulla di ciò che provo per te. E non è Hook ad amare Esmeralda. Sono io ad amare Vanessa’.
‘Ma tu sei più esperto di me. Reciti da tanti anni. Io sono alle prime armi, alla prima esperienza. Potrei esserci cascata…’, lascio intendere.
‘Non c’entra l’esperienza o meno. Le cose le senti, le vivi! Le senti anche ora, non nasconderle. Non c’è nessuna Esmeralda in te adesso, siamo tu e io. Colin e Vanessa. Nessuno in più.’, mi prende la mano e la mette sul suo petto scoperto. ‘E quello che senti qui sotto è tuo, solo per te. Ti appartiene. Non fa così con nessun altra. E il tuo non credo sia tanto diverso dal mio’.
Il suo petto caldo cela un battito accelerato.
Lentamente lascia la mia mano, e fa scorrere due dita sul mio collo in modo da sentire il mio in che condizioni si trova.
Un brivido mi percorre la schiena.
‘Lo senti?’, chiede con il suo sorriso sghembo. ‘Sei tu stessa a rivelartelo. Non hai bisogno di congetture in testa. E’ il tuo cuore a dirtelo’. Mi fa capire.
Il mio cuore esplode, in sua presenza e a quelle parole, e mi accorgo che non è mai andato via da lui.
E’ sempre rimasto accanto al suo.
Ho solo creduto a quelle parole, e all’inganno che davano.
Forse perché era più semplice.
Ho riflettuto e non ho ascoltato chi davvero aveva voce in capitolo.
Prende a battere come se stesse galoppando.
E allora perché ci ho creduto? Perché ho vacillato di fronte alle sue parole?
Perché non ho creduto al mio amore per lui?
Forse sono io che non valgo niente, che cado ad ogni minima parola e mi faccio convincere da tutto.
Sono confusa, titubante.
Sono un ingenua.
Inizio a tremare, e guardo il pavimento.
Ho sempre avuto pudore nel mostrare le mie lacrime specie quando arrivano così violentemente.
Non so più chi sono, cosa voglio, e chi voglio.
Amo Colin, lo sento.
Lo sento in ogni fibra del corpo quando mi tocca, in ogni angolo dell’anima. Non riesco a stare lontana da lui.
Quali altre prove voglio?
Non è Esmeralda, sono io a volerlo, a provare quell’amore quasi assurdo.
E Robert?
Provo ancora qualcosa per lui? Posso chiamarlo amore?
Non so rispondere, e già questo dovrebbe indicarmi che una risposta c’è.
La mia freddezza nei suoi confronti dovrebbe essere una risposta, il fatto che quando non c’è non mi manca affatto.
Cosa mi sta succedendo? Perché non ho il coraggio di chiudere tutto?
Sono una codarda!
Scivolo a terra, lungo la parete.
Mi prendo la testa tra le mani e piango.
Mi sento divisa in due.
E io? Io dove sono in tutto questo?
Dov’è Vanessa in questa guerra che sembra essere tra ragione e sentimento?
Tra stabilità e incertezza?
E non da cuore a cuore?
Tutte le mie certezze crollano, e io crollo con loro.
Cosa devo fare? Cosa posso fare?
Lui si avvicina. E sta per conto suo.
Mi è vicino pur dandomi spazio.
Non m’invade, mi accetta.
Sta solo a compatire il mio dolore, vicino a me.
Alla fine mi avvicino a lui e cerco riparo tra le sue braccia che mi accolgono, in silenzio.
Piango per ore.
Il telefono squilla e io non rispondo.
Non voglio sentirlo. Voglio stare dove sono ora, con lui vicino e basta.
Piango sulla sua spalla, e gli imbratto tutta la camicia. Ma non gliene importa, dice.
Mi abbraccia e mi tiene con sé, anche così, in frantumi. Ne raccoglie i pezzi e ne aggiusta le crepe, senza aggiungere altro.

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Capitolo 7
*** 7. Mi manchi da una vita. ***


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7. Mi manchi da una vita.

Voglio stare sola per un po’. Non cercarmi.
Il mio cellulare emette uno strano suono e mi informa che il messaggio è stato inviato.
C’è un appartamento nel pianerottolo, di fronte a quello di Colin che ho preso in affitto da pochissimo.
Mi ha aiutato lui e il fatto che gli fosse vicino, forse è stato ancora più da monito per prenderlo definitivamente e pian piano sto spostando tutte le mie cose.
Ho preso una pausa da entrambi.
E la domanda che mi sorge subito spontanea è come faccio a prendere una pausa da entrambi, se uno di loro lo vedo ogni giorno, soprattutto stando qui ora.
Colin è l’unico a sapere di quell’appartamento, ed è l’unico che sa dove io sia, probabilmente.
Credo lo immagini.
Non ho altri posti quindi credo non sia molto difficile da intendere.
E’ l’unico a cui non riesco a non smettere seriamente di pensare.
Sta lì in quell’angolo delle mia mente e mi pervade il cuore, senza spostarsi di una virgola e senza che io voglia che se ne vada.
Ho detto a Rob, che non riesco a vivere così, perché è la verità, e non riesco a nasconderlo più ora.
Non riesco a provare ciò che provavo prima per lui, e poi essere vicino a Colin sul set e far finta di nulla e mi dispiace ammetterlo anche a me stessa.
Gli ho confessato tutto, omettendo tutto ciò che c’è stato tra me e Colin, non voglio immaginare ciò che sarebbe accaduto se avessi detto anche mezza parola a riguardo, e sono confusa e no, il personaggio non c’entra un bel niente, ho chiarito a gran voce, sono io.
Sono io a provare tutto ciò che provo verso quell’uomo, non c’è nessuna Esmeralda a confondermi le idee, in quello basto io.
Lui ha iniziato a sbraitare.
Ha iniziato a dire che mi era stato fatto il lavaggio del cervello, e io ho alzato la voce ribattendo sul fatto che avessi un cervello mio per pensare.
Gli ho detto di andarsene, se voleva, perché io me ne sarei andata altrove.
Non tolleravo un minuto in più in quella stanza con lui, e avevo preparato poche cose per farlo.
Il suo viso si è sbiancato di colpo a quelle parole e ha cercato di trattenermi, ha afferrato il mio braccio, ma per quanto fosse stretta quella presa non ha afferrato, ne convinto il cuore. Perché il cuore ha gambe e braccia che non vedi, non riesci a trattenerlo neanche se lo vuoi. Ho visto i suoi occhi pregarmi di restare, diventare lucidi fino al confine del pianto e della disperazione e oltre al dolore per il male che gli stavo arrecando e non ho provato nulla.
Eccolo lì il fulcro di tutto.
N U L L A.
Tranne questo, niente era più in me per lui, e allora mi sono chiesta: cosa potrei dargli se non sento niente. Se il mio cuore ad ogni sua parola, contatto resta immobile e muto? Che vita potremmo vivere se anche decidessi di restargli accanto? Non sarebbe più dettata dalla felicità, ma dall’infelicità, e non è ciò che voglio.
Non per lui, non per me.
Vivremmo come degli automi vittime dell’abitudine senza più nulla a spingerci verso l’altro.
Siamo stati sei anni insieme e l’ho amato, si non posso negarlo, l’ho amato con ogni fibra del mio essere, diventando una nomade per lui, andandogli dietro per non perderlo, ammalandomi per i continui viaggi che non riuscivo più a gestire, che il mio corpo non riusciva più a mandare giù, e mi sono trasferita con lui fino a convivere e vivere ogni attimo con lui, e gli sono grata, lo adoro, e l’ho amato per questo ma ora nessun filo mi tiene attaccata a lui.
E’ la prima cosa a mancarmi è proprio questo per lui.
Essere vicini ma lontani, è la cosa peggiore, ma non so migliorare, anzi no, non so ritornare.
Gli andavo dietro per non perderlo e ora a perdermi era lui.
Quasi stentavo a credere a quelle parole che mi risuonavano tipo eco in mente.
Erano stati sei anni pieni, intensi, da ogni punto di vista e ora di tutto quello restavano solo ricordi a legarci e di tutto quell’amore preso in maniera morbosa, non restavano che briciole, rimasugli che non sapevo bene dove mettere, perché il coraggio di buttarle non l’avevo ma nemmeno di tenerle con me costantemente.
Volevo restasse nella mia vita comunque, ma non potevo decidere io, non potevo comandare gli eventi non dopo quello che stavo per fargli.
Fatto sta che non volevo abbandonarlo, nella mia vita lo avrei voluto comunque presente, ma sotto un'altra forma e dandogli un nuovo posto, comunque importante dentro me.
Perché aveva fatto parte della mia vita, di gran parte di essa e sei anni non si buttano via così. Aveva fatto parte di me, ed era divenuto importante, mi aveva chiesto di sposarlo: mi aveva formata e fatta diventare ciò che ero ora. Era dentro il mio percorso, e non lo avrei eliminato.
Ma dovevo mettermi anche nei suoi panni, avrei accettato una cosa del genere nei miei confronti se fosse stato lui a farlo, a chiedermelo?
Magari con il tempo, magari no, magari chi lo sa.
 
Sarà che le cose non andavano e sarà, anche che Colin abbia spazzato via tutto, nel momento stesso in cui ha incrociato i suoi occhi con i miei.
Ma tra noi non c’è rimasto che affetto, affetto e ricordi di sei anni passati insieme. Mi convinsi che l’unico motivo per la quale non riuscivo a tagliare quell’ultimo filo era quello.
Il mio amore per lui si era dissolto e aveva assunto una nuova forma.
L’amavo come un amica che adora il proprio amico da sempre, l’amavo nel modo in cui si ama il proprio fratello.
L’amavo nel modo in cui una ragazza non dovrebbe mai amare il suo partner.
Da parte mia, per lui c’era solo affetto e quello restava ora.
Nessuna farfalla, nessuno arcobaleno, nessun brivido. Tutto ciò che avrebbe dovuto esserci e muoversi restava fermo al suo posto.
E io, recidiva non capivo o non volevo.
Lui intanto, imperterrito continuava a chiamare.
Stanca per l’ennesima volta di quell’assillare, spensi il telefono e mi estraniai dal mondo intero.
Ecco l’ennesimo indizio che ciò che avevo non andava bene.
Non sapeva accettare ciò che gli avevo chiesto espressamente, non sapeva accettare i miei spazi anche solo per un po’.
Era molto chiedergli un po’ di pace e silenzio?
Non sarebbe mancato molto prima di farmi sentire nuovamente.
Ma lui no. Lui non capiva, non acconsentiva o forse molto probabilmente non accettava il fatto che restassi da sola con i miei pensieri a leggermi dentro, forse capiva da sé che non avrei scelto lui e alla fine sarebbe arrivato il verdetto decisivo nei suoi confronti.
Da quanto mentivo, da quanto mentivo a me stessa?
Non poteva andare avanti così, e la mia scelta si stava avvicinando.
Non potevo continuare a fondare quella storia, se ancora c’è n’era una, su bugie.
Sarebbe crollata e io con lei.
Non avrei potuto ripartire a New York e stare con lui nonostante tutto, non ci riuscivo. Come non riuscivo ad averlo intorno qui.
E poi tra tutte le cose mi sarebbe mancato Colin, di nuovo, e non volevo stare come già ero stata prima.
Non volevo ridurmi in quello stato catatonico, non mangiando e evitando ogni cosa.
Con lui che cercava pazientemente di raccontarmi le sue giornate e io che rispondevo a monosillabi, controvoglia.
Non volevo portare quel rapporto a una forzatura in tutto, senza più nessuna verità e spontaneità. Che senso avrebbe avuto?
Possibile, che preferisse avermi accanto anche a costo di vivere così, di essere infelici? Perché, nonostante avesse intuito come stavano le cose non lasciava perdere?
Che rapporto ne sarebbe uscito?
Sarebbe stato più facile, per entrambi.
E invece no, dovevo sentirmi il mostro che lo faceva stare male per questo perché non riuscivo più ad essere con lui ciò che da due mesi ero con Colin.
Mi aggiravo nella casa vuota, ancora spoglia di mobili e quant’altro, mi sedevo a terra, incrociando le gambe.
Mi appoggiavo al grande finestrone che era nel salone e una soluzione in me stava nascendo.
A chi dovevo dar la colpa?
Cosa succede nelle persone e perché l’amore cambia direzione? E’ una risposta che non so darmi.
Perché tutto, ad un tratto finisce?
 
Un leggero bussare alla porta mi sveglia da quei pensieri e riecheggia in tutta la casa.
Guardo l’ora.
Le 19.30, senza rendermene conto è passata una giornata e sono rimasta lì per quanto esattamente?
Mi chiedo chi possa essere, e tra le opzioni escludo Robert che non sa neanche dell’esistenza di questa casa.
Mi avvicino lentamente alla porta contandone i passi in modo misurato e impercettibile.
Cerco di non far scricchiolare l’unica asse del parquet che ad ogni contatto cigola.
Mi appoggio alla porta per carpirne i rumori e l’identità che c’è dietro.
‘Chi è?’, chiedo titubante.
‘La sua pizza!’, una voce ferma arriva dall’altra parte. Pizza? Non ho ordinato pizza.
Apro pronta a ribattere.
‘Mi scusi, ma ci dev’esser…’, mi ammutolisco appena lo vedo sulla soglia.
E lui mi si para davanti con due scatole di pizza sulle mani.
‘Funghi e prosciutto cotto per te, solo prosciutto per me!’, fa aprendo uno degli scatoli.
Adora la pizza, e sembra un bambino quando ne ha una.
Sorrido a quell’immagine che mi si para davanti.
Lo guardo piegando la testa di lato confusa, ci penso su e non ce la faccio a respingerlo.
Non ce la faccio mai.
‘Tu, sapevi che ero qui?’, chiedo.
‘Si vedono le luci da sotto le porte’, fa lui. ‘Se non volevi farti vedere dovevi stare al buio, e poi dove altro potevi andare?’, mi fa intuire.
Faccio cenno di sì con la testa e mi scosto di poco per farlo entrare.
Non mi sfiora, accetta i miei spazi.
Chiudo la porta, piano.
‘C’è un solo problema’, gli indico. ‘Tranne il bancone non abbiamo sedie qui’.
‘Possiamo mangiare da me, se vuoi’.
Faccio una smorfia strana, e incrocio le braccia al petto.
‘Sarebbe bello, ma se Robert decide di venire da queste parti che si fa?’.
Lui annuisce.
Avanzo piano verso di lui.
Ho voglia di contatto fisico. Ho il bisogno fisico di abbracciarlo, e mi chiedo se gli abbracci siano davvero questo, un bisogno fisico.
Non so bene per cosa, magari non c’é nessun motivo tangibile, o magari può essere racchiuso tutto in quel gesto. Mille significati e parole che sono difficili da spiegare, difficile a tradurli a parole. Forse è qualcosa che lasci intuire, che gli arrivi a dire ciò che non riesco: ‘Grazie di esserci, grazie per ciò che hai fatto e grazie per ciò che fai per me, anche nelle più piccole cose’.
Vado verso di lui e mi insinuo tra le sue braccia.
Senza consensi senza preavviso l’abbraccio. Lo stringo a me. L’abbraccio forte.
Lui è un po’ spiazzato, non se l’aspettava ma ricambia.
‘Mi sembra eccessivo per una pizza un tale ringraziamento!’, afferma in tono scherzoso.
Gli ho chiesto spazio, e sta mantenendo la sua promessa. Il problema sono io.
Sono io ad aver ceduto. Ceduto a lui. Ceduto all’evidenza dei fatti.
Quell’abbraccio mi completa.
Infilo il viso nell’incavo perfetto del suo collo.
Cede anche lui e mi abbraccia, e mi carezza la schiena. Piano. Dolcemente.
E vorrei restare così per un tempo indefinito.
Vorrei potergli trasmettere tutto attraverso di esso.
Mi sento felice e mi basta la sua presenza per riuscire ad esserlo.
Stiamo così per alcuni minuti, privi di parole ma eloquenti in quell’abbraccio.
Quasi non voglio staccarmi, perché sto così bene, ma ho paura che lui si stanchi da un momento all’altro e mi separo.
‘A cosa devo questo lungo abbraccio?’, mi chiede ancora perplesso.
Mi stringo nelle spalle e glielo dico: ‘Mi sei mancato’.
‘Ci dobbiamo vedere da ieri sera…’, continua.
‘Mi manchi da una vita’.
Lui sorride e inarca il sopracciglio, sorpreso. Pian piano si avvicina.
Ci avviciniamo.
Prende il mio viso tra le mani e i suoi occhi sono incapaci di mantenere quella domanda che tanto vorrebbe farmi ma non ne ha il coraggio.
‘Voglio te.’, gli dichiaro. ‘Solo te. Non faccio altro che pensarti, come posso respingerti? Come posso anche solo pensare di vivere senza di te?’
Una leggera commozione mi vela gli occhi e mi si blocca in gola.
E siccome non so andare oltre verbalmente, glielo dico sulle labbra.
Le fisso, quasi a cercare io quel consenso ora.
Lui è più scaltro di me e fa il primo passo, dolcemente.
Le sue labbra morbide attecchiscono sulle mie.
Ed è un bacio nuovo, con un nuovo sapore, una nuova promessa. Una nuova vita.
Su quelle labbra morbide che ora sono mie.
La sua mano mi passa tra i capelli e mi tiene più unita a lui.
Ho un brivido.
Si muovono caute, tremanti, interrotte da sorrisi prima i miei poi i suoi.
Poi i nostri.
Ci ritroviamo a sorridere, e a respirare aria nuova, e per la prima volta dopo tanto mi sento viva.
Viva davvero.
‘La pizza si fredda’, faccio io staccandomi e lo tiro per mano verso il tavolo.
‘Come se fosse la pizza a interessarmi ora!’, fa lui ammiccando.
Sorrido e mi mordo le labbra, divertita, forse per trattenere quell’insana voglia.
Mangiamo la pizza sul pavimento alla fine, ci rubiamo spicchi a vicenda, ridiamo e scherziamo.
‘Oggi il set mi è sembrato vuoto. Chiamare perché eri malata?’ Mi guarda di sottecchi, bighellonandomi. ‘ E’ stato un colpo basso’.
‘Beh, che altro potevo dire? A volte una bugia è meglio di una verità. L’importante è che non si accumulino. Qualcuno si è arrabbiato?’.
‘No, ho confermato la tua versione. Adam si è un po’ insospettito per il modo in cui l’ho detto…’.
Spalanco gli occhi immaginando il peggio.
‘Perché come l’hai detto?’
‘Per una volta non ho saputo fare l’attore’, ammette divertito.
‘Sospetta dici tu?’, chiedo.
‘C’è qualcuno che non sospetta di noi sul set secondo te?’, fa lui prendendomi in contropiede.
Cioè sanno tutti lì dentro? Resto incredula per un po’.
E addento un altro trancio assente.
‘E’ quel messaggio poi?’, intercede lui per spezzare il silenzio.
‘Volevo stare sola, e lo sono stata. Ho avuto il tempo per riordinare le mie idee’.
‘Ce l’hai fatta?’.
‘Non saresti qui se non ce l’avessi fatta’, sorrido e mordo un altro pezzo. ‘Il fatto è che, arrivando qui, stasera non hai fatto altro che avvalorare la mia tesi’
‘Cioè?’, mi chiede curioso.
‘Avrei potuto mandarti via, dirti che ti avevo chiesto un po’ di solitudine e tu, invece ne hai fatto irruzione, è magari è così. Ma non ce l’ho fatta. Non ce la faccio. Quando ti vedo, quando mi stai attorno mi rendi serena, felice e le farfalle iniziano ad avere vita propria appena scorgono il tuo volto, il tuo sorriso. Mentre se avrei aperto e mi sarei trovata Rob davanti, lo avrei mandato via e avrei chiuso la porta. Questo secondo cosa vuol dire?’, lo guardo assorta.
‘Che non aspettavo altro’.
Sorridiamo.
Sorrido, ed è tutto così naturale. Niente è forzato, niente è dovuto. Tutto è come dovrebbe essere e assume quasi una certa quotidianità nelle cose.
Il mio cuore è dove deve essere e se potesse mi schizzerebbe fuori dal petto per quello che finalmente ho deciso.
Lui mi bighellona più volte, io mi fingo arrabbiata.
Poi scherziamo, ridiamo, gioca con i miei capelli, mi accarezza e non fa altro che baciarmi ripetendomi ‘Sei mia, finalmente’, e non lo so, ma a quelle parole mi sembra di morire ogni volta.
Ho i brividi.
Sono sua. Davvero. E sono felice.
Lui comincia con qualche progetto, io no. Penso ad ora, al preciso momento in cui siamo.
‘Non dobbiamo più nasconderci.’, gli dico con una luce nuova negli occhi.
E lui sembra felice a quell’osservazione.
Al mondo faremo credere per un po’ ancora ciò che vogliono, ma con il cast caleremo la maschera.
 
Mi raccomando non fate sì che nascano storie sul set, sarebbe difficile andare avanti se ci sarebbero problemi tra voi. Ne va dello show, sappiatelo.
Mi rimbomba in mente questa frase, e di colpo divento tesa.
Guardo Colin terrorizzata, ma non vede il perché.
‘Adam, aveva detto di non far nascere relazioni tra noi colleghi…’, lascio intuire.
Lui si rilassa, credeva il peggio.
‘Allora Ginny e Josh?’, fa lui allusivo.
Già, Ginnifer e Josh? io non c’ero, e nemmeno Colin però, cosa potremmo saperne di cosa è successo poi?
‘Davvero, non ci devi pensare. Non ti devi preoccupare per questo’. Afferma vedendomi ancora pensierosa.
E decido di non farlo, almeno non quella sera. Non ora.
Mi alzo e raccolgo gli scatoli da terra.
Lui si alza con me.
‘Comunque non esiste che ti piace la pizza e non sei mai venuto in Italia’, poggio gli scatoli sul bancone e mi voltò verso di lui. ‘E’ uno scandalo!’, mi fingo scioccata.
Lui pensandoci sorride e si avvicina. E’ vicinissimo.
E io sorrido come un ebete, osservando quell’angelo venirmi incontro con fare provocatorio.
Le sue mani trovano posto sui miei fianchi.
La mia pelle ribolle, ogni volta.
‘Beh, ora che sto con un italiana, non ho di che preoccuparmi, non credi?’, è ancora più indisponente, e mi chiedo cosa mi trattenga ancora dalle sue labbra, che non faccio altro che osservare.
Ci pensa lui ad abbattere quella piccola distanza, e a soddisfare quella voglia che sto trattenendo. Piomba sulle mie labbra affamato, voglioso, e mi fa impazzire.
Metto le mani tra i suoi capelli e mi stringo a lui con decisione.
Per i fianchi mi prende e mi alza sul bancone facendomi sedere.
Lui sta di fronte a me.
Con un gesto repentino ricacciò quegli scatoli a terra, il loro tonfo rimbomba nel vuoto della stanza.
E ritorno sulle sue labbra nello stesso modo in cui ritorna lui.
Ci incontriamo a metà strada.
Cerco di togliergli quella maglia di dosso che ostruisce i nostri contatti definitivi, lui fa lo stesso con la mia.
Non mi trattengo, questa volta no. Voglio andare oltre, voglio che le cose vadano come vuole il fato.
Voglio la sua pelle sulla mia.
Voglio bruciare definitivamente sotto il suo tocco.
Voglio che lui s’impadronisca del mio corpo una volta per tutte.
Lo voglio e lo desidero ancora di più.
Le sue mani sulla mia pelle non fanno altro che bruciare e invogliarmi.
Scendo dal bancone e mi stringo ancora più forte a lui mentre pian piano avanza con me e il resto vien da sé, con lui che continua a sussurrarmi ‘Sei mia’, e io che non smetto di contemplarlo e amarlo.
C’è tanto di me quella sera.
Ci sono con il corpo e con la mente.
Mi lascio andare.
Quella voglia repressa di unire i nostri corpi, di diventare nostri in qualche modo.
I nostri corpi si fondono, l’uno con l’altra siamo una cosa sola, e forse lo eravamo anche prima, ma ora è diventato più reale.
Una sensazione nuova mi pervade e si confonde con il piacere e la libidine, la sento in tutto il corpo e forse la sente anche lui.
Non so dargli una definizione ma è qualcosa di forte e intenso che mi fa sentire bene, ci fa sentire bene.
Mi sento come se mi fossi riunita, come se avessi trovato il mio posto nel mondo.
Colui che amo è lì, e cosa c’è di meglio?
Ci baciamo per l’ultima volta, esausti e felici.
‘Ti amo’, gli sussurrò a pieno cuore, per la prima vera volta perché fino ad allora l’ho tenuto solo per me. ‘Ti amo tanto, amore mio’.
‘Io di più, molto di più’.
E finiamo così, ad addormentarci abbracciati in un anima sola divisa in due corpi.

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Capitolo 8
*** 8. I see him die a little more inside. ***


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8. I see him die a little more inside
 
Il giorno dopo è il sole accecante a svegliarmi.
Sono ancora assonnata persa nelle lenzuola sgualcite di una camera ormai familiare. La sua.
Lui non c’è.
Cerco di aprire gli occhi e guardarmi intorno, ma niente.
Guardo l’ora sulla sveglia.
Le 10.30.
Che giorno è oggi? Mi tiro su e riordino le idee insieme ai miei capelli, o almeno cerco di farlo, perché oltre alla sera precedente non ricordo più nulla.
Nella mia mente ancora la passione con cui ci siamo divorati più e più volte durante quella notte.
Guardo le lenzuola, ancora. Le accarezzo dolcemente attraversando il ricordo.
E’ lì che è successo tutto.
E lì che sono diventata sua per davvero.
Ancora non ci credo.
Un sorriso mi si stampa in faccia, ancora incredula.
Io e lui insieme, per la prima volta.
Sono diventata sua, lui è mio, e di nessun' altra. Non devo solo immaginarlo.
Il mio Colin, ora posso dirlo davvero.
Mi alzo e non porto nulla tranne gli slip, sotto il seno, all’altezza delle costole ho alcuni succhiotti. Li accarezzo dolcemente ricordando il momento.
Infilo la prima cosa che trovo a terra, la sua maglia, impaziente di vederlo.
Sono presentabile? Lui c’è?
Dio, quante domande, quante insicurezze piombano ora su di me.
Apro piano la porta scorrevole che da sul salone e lui è in cucina, intento a fare qualcosa.
Sta cantando. E oserei dire che è felice quanto me.
Lo stavamo aspettando da tanto.
Ci stavamo aspettando.
La sua voce è qualcosa di unico, melodiosa, e perfetta. Starei lì ad ascoltarla per ore, e non sarebbe capace di stancarmi.
C’è qualcosa in lui che non lo è?
Sorrido a quell’immagine, a quelle sensazione che mi da.
‘Ehi…’, faccio io avvicinandomi.
Sul suo viso nasce un sorriso enorme seguito da una luce diversa.
E’ felice, io sono felice.
Siamo felici.
Lascia il mestolo che ha in mano e mi viene incontro.
Mi cinge i fianchi dolcemente e mi abbraccia.
‘Ehi, buongiorno amore’, e ho mille brividi a quel nuovo nomignolo che mi affibbia addosso.
E’ la prima volta che mi chiama così e lo guardo sorpresa.
Ci siamo sempre chiamati per nome, o con diminutivi, ma niente del genere.
Mi da un bacio leggero.
Continuo a fissarlo, lui se ne accorge.
‘Che c’è?’, chiede perplesso al mio sguardo.
‘Amore…?’, ripeto le sue parole estasiata. ‘E’ la prima volta che me lo dici’.
‘Questo non vuol dire che non lo pensassi anche prima però. Volevo solo un po’ di sicurezza per dirlo ad alta voce. A te.’
‘Che genere di sicurezza?’
‘Quella di averti al cento percento mia’
Non la smetto di estasiarmi, e il mio sorriso non mi lascia.
‘Dillo ancora’, lo imploro. Mi piace come suona, come mi sta.
‘Amore, amore, amore…’ continua divertito da quella perplessità. ‘Sei il mio amore’.
‘E tu il mio!’, dichiaro. Sfioro dolcemente le sue labbra con le mie, e attendo le sue reazioni.
Poi lo avvolgo in un abbraccio e lo bacio, ancora, e ancora.
E lui ricambia, non si stacca, resta attaccato a me e fa lo stesso, dando più passione a tutto.
Quell’ingrediente in più che riesce a darmi solo lui.
Le sue labbra si muovono sulle mie insieme a tutto il resto, insieme alle mie viscere.
La sua lingua cerca la mia, che perde tempo a farsi trovare e ad accoglierla e a giocare con la sua.
Ciò che riesce a smuovere quest’uomo dentro di me è assurdo.
Adoro i suoi baci, adoro lui, e il modo in cui mi ama e mi prende con sé.
Il modo in cui mi sento ogni volta.
Lo sento.
Non riesco a saziarmi di lui nemmeno un po’ ma mi allontano ugualmente.
Mi tiene ancora stretta.
Mi assaporo le labbra per tenere stretta a me il suo sapore.
‘Non smetterei di baciarti nemmeno per un secondo.’, il suo respiro mi è addosso, mi inebria e mi stordisce.
‘Non preoccuparti, siamo in due’, ultimo bacio e mi avvicino ai fornelli.
‘Sto preparando i pancakes’, mi informa lui. ‘Volevo portarteli a letto, ma non me ne hai dato la possibilità’.
‘Guarda, che posso sempre tornarci a letto, se ciò ti aggrada’, lo provoco.
‘A me farebbe solo piacere, e anche a te da quanto ho potuto vedere…’, allude.
Gli do una pacca, e ride.
Lo lascio ai fornelli e recupero il telefono dal tavolo, lo accendo.
Il tempo di avvio e vengo sommersa da messaggi e chiamate, tutte dallo stesso numero, tutte dalla stessa persona.
Mi sale la nausea.
 
- Giuro non capisco cosa ti stia accadendo.
- Mi spieghi cosa significa questo silenzio?
- Non so dove cercarti e sto impazzendo.
- Non puoi andartene così.
- Sei anni non si gettano nel nulla, pensaci bene.
- Se mi lasci giuro, non so che potrei fare..
 
E via così, da messaggi disperati, ad altri accusatori, ad altri dove rasenta minacce, e altri ancora dove lambisce pazzie.
Colin nota la mia espressione angustiata, quella felicità svanita di colpo.
‘Qualcosa non va?’
‘Una sola cosa…’, lascio intendere senza dire di più. ‘Devo vederlo. Adesso. Deve finire oggi stesso. Non ce la faccio più’.
Mi alzo impettita, mi faccio una doccia veloce e cerco seriamente di non affondare nella rabbia, devo pensare a ciò che ho e non cadere in ciò che lui vuole farmi, ora. Mi vesto con gli abiti del giorno precedente, perché gli altri sono ancora tutti in hotel.
Mangio i pancakes e tutto ciò che ha fatto per me, perché non voglio ci resti male.
Non voglio che quella giornata assuma un gusto amaro, voglio continuare a fare del mio meglio per non rovinarla anche a lui.
Aggiusto i capelli in una coda maldestra, e saluto Colin.
Lui mi blocca e mi prende per un braccio, facendomi voltare.
‘Non vai sola, questo è certo’, prende le chiavi.
Gli metto una mano sul petto e lo fermo atterrita.
‘Non puoi. Sai cosa potrebbe succedere se…’, inghiottisco a vuoto.
Mi guarda fisso.
Ho paura. Ho paura per lui e non voglio che venga con me a subire il peggio, basto io.
‘Non devi preoccuparti per me, lo sai. So badare a me stesso’.
Mi lascio convincere e non so quanto sia buona quella decisione, perché ora oltre a me devo pensare anche a lui.
Robert non lo vedrà bene se glielo sbandiero davanti.
Non so quanto sia capace di fare, ma ho paura ugualmente.
 
La receptionist appena mi vede entrare sembra aver visto la salvezza.
‘Signorina! Pattinson la sta cercando disperatamente da ieri’, fa quella sollevata nel vedermi.
Io mi chiedo che diritto abbia quella donna, ma prima di tutto che allarme c’era se con tanto di messaggio gli avevo detto che volevo stare sola?
Mi sorprenderei anche del fatto che avesse avvertito i miei della cosa, che non sento da giorni.
Ma non sono tra le chiamate perse, quindi sono sollevata, dal sapere che non è arrivato a tanto.
‘Mi da le chiavi della mia stanza, per favore?’, chiedo distaccata, anche un po’ irritata, affacciandomi al bancone come se non avesse detto nulla.
Colin è dietro di me, poco distante.
Cerca quanto può di mantenere le distanze come ho pattuito con lui in auto, e non sa quanto sia difficile per me.
E’ lì con le mani in tasca e lo sguardo deciso, duro, preoccupato quasi.
Nessun contatto, nessuna voce di corridoio. Per ora è così.
‘Si, certo’, ubbidisce quella ritornando al suo vecchio decoro professionale.
‘La 805, giusto?’.
Annuisco.
Sono nervosa.
Mi porge la scheda della mia stanza, dopo averla cercata tra le mille sotto il bancone.
‘Grazie’, sibilo, mi volto e con Colin vado verso l’ascensore.
Sono nervosa, ora che c’è anche lui.
So che Rob non è il tipo, non l’ha mai fatto, ma li sto mettendo io uno contro l’altro, e non va per niente bene.
Ho paura e quasi mi immobilizzo per quanto sono terrorizzata da ciò che potrebbe accadere.
E’ solo colpa mia e non riesco ad avere sguardo e pensieri migliori.
Colin è al suo posto, comprende il mio stato e mi fissa amareggiato. Sa che quando sto così è meglio lasciar perdere.
Per come è, so che vorrebbe andarci lui al posto mio e tenermi al sicuro, prendendosi tutte le colpe anche quelle che non ha, ma non va così.
Sono io a dover porre fine a tutto questo, io che devo affrontare la persona che ho tradito, non lui. Lui non c’entra nulla.
Arriviamo alla sua porta, dall’interno nessun rumore, nessuna voce.
Sembra non esserci nessuno.
Dico a Colin di restare fuori, per un po’. Il tempo di agevolare il tutto.
Il tempo di spiegarmi e far calare un po’ di rancore.
‘Lascerò la porta socchiusa … ’
‘… se sento qualcosa, corro’, continua lui.
‘Non succederà nulla’. Lui lascia cadere il discorso, sa quanto già sia tesa abbastanza.
Accetta suo malgrado e va a sedersi su una poltrona che è nel corridoio.
E’ teso anche lui, con me.
Siamo insieme in ogni cosa, sarà l’empatia che abbiamo verso l’altro, ma l’emozione, la forma che assume uno assume anche l’altro, quasi di rimando.
Infilo la scheda e la porta fa uno scatto.
E’ aperta.
Faccio un respiro profondo ed entro.
La socchiudo dietro di me.
‘Van! O mio Dio Van! Sei tu!’ fa lui nel vedermi entrare, si alza dal letto su cui è seduto con aria sollevata. ‘Sei tornata! Mi hai fatto preoccupare, non capisci cosa ho passato’.
E mi solleva, abbracciandomi.
Io ricambio, ma piano senza troppa enfasi.
Mi mette giù.
‘Non c’era molto di cui preoccuparsi, ti ho inviato un messaggio mi sembra’, mi scosto da lui, e girovago per la stanza osservando ogni cosa.
E’ tutto un gran casino.
Ci sono birre, e scatoli di pizza, mozziconi di sigaretta riempiono il posacenere, e la camera, in sé è un agglomerato di fumo che mi soffoca, quasi a sottolineare la situazione in cui mi trovo.
Tossisco appena mi entra nei polmoni.
E’ risaputo quanto odi il fumo in sé, perdo seriamente il respiro ogni volta che inavvertitamente lo inalo.
Rob, dal canto suo apre tutto ciò che c’è da aprire in quella stanza e spalanca le finestre.
Mi porge un bicchiere d’acqua e mi strofina dolcemente le spalle.
Bevo in tutta fretta e respiro. Sono tutta rossa e ho le lacrime agli occhi.
Mi sottraggo a quel contatto e mi metto accanto alla finestra per purificare i polmoni.
‘Scusa’, dice lui.
Mimo un no con la mano, ancora intenta a riprendermi del tutto.
Stiamo lì così, entrambi in piedi l’uno di fronte all’altro, ma lontani anni luce, almeno da parte mia.
Siamo su due pianeti diversi.
Sono minuti che l’aria è tesa, ed è lui a prendere la prima parola.
‘Quando ho deciso di venire qui, era per starti accanto non per irritarti. Non avrei mai voluto, e quando sei andata via l’altra sera, mi sono sentito in colpa. Volevo passare una settimana serena con te, nulla di più. E’ da un po’ che tu sei sulle tue, a causa di tutto questo. Da quando hai iniziato in questa serie, e pensavo che stare con te anche qui, ti avrebbe agevolato e rilassato come tu agevolavi me quando eravamo insieme sul set. Ho cercato, e in qualche modo si sono invertite le parti.’ Ride tra sè, al ricordo di quei tempi. Poi torna serio. ‘Ne abbiamo passate e superate tante insieme, e mi scuso di averti soffocato. Non volevo davvero, l’unica cosa che desidero è starti accanto e sostenerti perché è tutto nuovo per te…’, leggo nei suoi occhi la convinzione che io abbia scelto per il meglio, per il suo meglio.
Abbasso la testa e cerco le parole adatte a fargli capire dove stiamo andando a finire.
Mi giro e rigiro le mani nelle mani, faccio scrocchiare le dita delle mani, cercando le parole giuste, ancora con quel nervosismo che mi percorre.
Lui è un calmo, di fronte a me, e non fa altro che tenermi gli occhi addosso.
‘Se sono venuta qui, oggi, è per i messaggi che ho ricevuto stamattina…’
‘Lo so, ma devi credermi se ti dico che ero nervoso, nulla di tutto ciò che ho scritto era ciò che pensavo, solo un quarto di ciò che ti ho mandato non era dettato dalla rabbia’, mi interrompe lui e io perdo il filo del discorso.
Chiudo gli occhi cercando di concentrarmi su quelle parole misurate che ho in testa cercando di recuperarle.
Non devo farmi sopraffare.
‘C’è stato un messaggio, più di tutti che ha catturato la mia attenzione e mi ha fatto comprendere che ciò che stavo facendo era sbagliato: Sei anni non si gettano nel nulla, pensaci bene. E’ vero. Sei anni non si buttano via così, ne abbiamo passate tante insieme, e con te sono cresciuta tanto. Mi hai resa ciò che sono ora, mi hai resa forte, unica, e speciale e non posso buttare via tutto questo così, come se non fosse mai successo niente, magari è vero’, è accanto a me. Nei suoi occhi la speranza, la convinzione di avercela fatta. Nei suoi occhi un guizzo di vittoria. ‘Ma magari no … Non rinnego gli anni passati assieme, ciò che sei stato, ciò che siamo stati mi ha riempito il cuore, sei stato importante per me, per ogni piccola cosa e lo sei anche ora ma in modo diverso. Sei anni sono sei anni, ma non posso più portarli avanti, non ce la faccio’.
Qualcosa in lui vacilla e crolla davanti ai miei occhi.
‘Cos… Cosa stai dicendo?’, Non riesco a decifrare il tono della sua voce. mi guarda incredulo, cercando la soluzione prima che gliela dica io.
‘Mi dispiace…’, è tutto quello che riesco a sussurrare.
Lui ancora elabora quelle parole.
‘Vanessa, ti prego spiegami’.
I suoi occhi iniziano ad inondarsi di leggere lacrime. La deduzione è arrivata, e mi sento malissimo perché gli sto spezzando il cuore, e forse sono un po’ egoista nel preferire che si spezzi il suo, e non il mio. Non lo so.
Lo guardo dritta negli occhi, perché non voglio negarli quell’ultima e unica verità, forse la più importante, quella che mi ha portata a quella decisione.
‘Sto dicendo che per quanto tu sia importante per me, non ti amo più. Sento di volerti bene, ma non di amarti ed è questo che mi irrita più di tutto, non sei tu, sono io. Ma non posso portare avanti questa relazione basandola su delle bugie e sull’infelicità di entrambi. Non lo voglio per te, né per me. Che senso avrebbe continuare vivendo come due estranei in casa? Sono cambiata Rob, e non so dirti se in bene o in male. Ma sento che meriti una persona che ti ami con tutta sé stessa accanto, piuttosto di una come me…’. Lo sto distruggendo, e tutto, tutto, sta crollando di fronte ai miei occhi.
Ciò che per ore avevo immaginato potesse accadere non è nulla in confronto a ciò che è.
Una volta pensavo che se fosse finita tra noi, un giorno sarebbe stato per colpa sua, e invece sono io.
Sono io a distruggerlo e a disintegrarlo in quello stesso momento, e l’ultima cosa che vorrei è vederlo in quello stato. Lui che non si è mai meritato niente del genere, invece di continuare a ripagarlo per ciò che è stato lo sto uccidendo.
Ma l’amore non è un fatto di ripagare, non è un favore, un regalo, è altro e non puoi ricambiarlo se non ne sei in grado.
E’ lì di fronte a me sbigottito mentre trattiene a stento le lacrime, e non ce la faccio a vederlo così.
Non è facile neanche per me, anche se dovrebbe esserlo.
‘Non ce la faccio a tornare quella di prima ed amarti come prima…’., dico con voce rotta infine.
‘Se ci impegniamo, se vogliamo, ce la faremo. Non è tutto perduto.’, mi prende le mani e mi esorta in quella visione, riuscendo a farmi sentire una merda più di quanto non mi senta già.
‘A quale scopo Rob? Non posso obbligare il cuore a battere quando è già altrove. Vivremo infelici, io e te! E non è questo che voglio’.
Lui indietreggia e scuote la testa, non ci crede a quelle parole. Non vuole crederci.
Mi guarda ed esplode.
‘Dov’è il tuo cuore, Van?’, chiede sull’orlo di una crisi, cercando di mantenere una calma che non ha.
Abbasso lo sguardo, in colpa.
‘Da un altro’.
Lui si volta, si mette le mani nei capelli e ride, isterico.
‘E’ da lui? Dimmi, è da lui?’, ringhia ad occhi sbarrati.
Non so se rispondere o meno, non so quanto voglio fargli sapere a riguardo.
‘RISPONDIMI!’, urla esasperato su di me.
‘SI!’, sbraito anch’io, affronto il suo sguardo prendendo forza dalla rabbia che ho dentro, dalla rabbia che provo più per me stessa che per lui.
E ho quasi paura della sua reazione ora, perché non ho mai visto nei suoi occhi tanta rabbia.
Poi il suo sguardo si spegne mentre inizia a guardarmi quasi come se non mi conoscesse più, e la cosa mi trafigge in pieno petto.
Un silenzio piomba nella stanza e sembra essere passato il peggio dei cicloni.
Non so che fare.
‘Non avrei mai dovuto farti intraprendere questa carriera. Avrei dovuto tenerti con me, come sempre. Non avresti mai incontrato quel dannato irlandese e saremmo ancora noi’, spolmona per tutta la camera, andando in giro con i pugni chiusi.
‘Fino a quando Rob? Mi avresti chiusa in casa senza più vedere il mondo intorno a me. Come avevi intenzione di fare, sentiamo! Noi non esistiamo più, siamo svaniti da un po’ e lo so che è tutta colpa mia. Se non siamo più come due pezzi di un puzzle è solo colpa mia. Non ci completiamo più Rob, non ci assembliamo più. E tu, io, noi … non vogliamo questo’.
‘Io voglio te, ti sembra tanto strano? Avevamo una vita, progetti davanti. Dovevamo sposarci, cazzo! Te ne rendi conto di questo? E ora?! Molliamo tutto, per un irlandese del cazzo!’
La cosa non fa che peggiorare, e pur comprendendo la sua rabbia esplodo.
‘Ora basta, seriamente! Perché non accetti il fatto che non siamo più affini, che è da mesi che non ci diamo più nulla! Perché non lo accetti?! Ci saremmo incontrati in altre occasioni’, spolmono io in tutta rabbia.
‘Non lo so, un gala. Una premiere, un evento! Se siamo destinati ci saremmo incontrati comunque’.
Ride per trattenere la rabbia che ha dentro.
‘E mi dici che non sei influenzata dallo show’, allude labile.
‘So benissimo ciò che provo Rob, ho sempre creduto al destino, lo sai meglio di me!’, odio quando sminuisce ciò che dico.
Si getta sul letto, e sembra invecchiato di colpo, gli occhi gonfi e ancora grondanti.
Vorrei avvicinarmi, abbracciarlo ma ho paura di rendere la situazione ancora più insostenibile.
Stringo i pugni e resto al mio posto.
‘E’ finita, quindi?’, chiede rassegnato senza trovare via d’uscita. Lo sguardo perso.
Ho un nodo alla gola perché non ci credo a ciò che sto per dire.
‘E’ finita’, e me ne esce un tono smorzato.
Sto soffrendo anche io con lui, anche se potrebbe non crederci.
‘Vorrei restassi nella mia vita, comunque, ma non ho la presunzione di importelo, non lo farei neanche io. Ti dico solo ciò che vorrei ma non te ne devi più preoccupare. Le nostre strade si dividono qui e per quanto ti sia difficile crederlo, soffro anche io per questo, per ciò che ti sto facendo. Ma soffrirei ancor di più se restassi con te e fingerei qualcosa che non provo.’
Lui è muto, del tutto assente e vuoto dentro.
Mi sento morire.
Stiamo lì così, io in piedi, lui seduto di fronte a me come se non ci fosse.
Dopodiché, sempre nei miei passi incerti, vado verso quella scrivania dove è poggiato il suo cappello e mi sfilo il bracciale.
Quel bracciale.
And so the actor fell in love with fan fa rumore appena attecchisce sul legno, e fa male.
Fa male quasi quanto me lasciarlo insieme a tutti quei ricordi.
Quel bracciale era il nostro simbolo, quella frase la nostra storia, ed è difficile lasciare andare via tutto.
Insieme a quello poso accanto l’anello, me lo rigiro per un po’ sul dito e poi lo poggio decisa.
Sto tagliando tutti i fili che mi legano a lui.
Lui è ancora lì, non mi da nessun cenno, ha lo sguardo perso e nello stomaco ho le lame, quell’ultima immagine già so, mi si ripercuoterà addosso tutte le volte.
Non so se salutarlo e come salutarlo.
Cosa dovrei dire? Ci vediamo? Oppure Addio? Dovrei andare verso di lui o restare lì dove sono mentre glielo dico?
Sono in panne.
Faccio per andare verso la porta e poi salutarlo sulla soglia, sarà più facile, mi dico.
‘Come siamo arrivati a questo?’, fa lui con voce incolore.
Ritorno di qualche passo.
‘Non lo so… ma non è colpa tua. E’ solo mia.’ E vado via così, senza aggiungere altro.
Lasciandogli anche un pezzo di me oltre ad un bracciale e un anello.

 

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Capitolo 9
*** 9. Together ***


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9. Together

Per tutto il ritorno in auto non fu altro che il silenzio più assoluto.
In realtà era come se mi fossi spenta, come un computer troppo carico d’informazioni che si chiude d’improvviso.
Avevo tirato fuori tutto. L’avevo visto a pezzi. Me ne ero andata, ed era finita così.
Le strade si erano divise.
In realtà avevo così tante cose per la testa, che non pensavo davvero a nulla.
Nessun pensiero si estrapolava dagli altri, la mia concentrazione non era su nulla in particolare.
Mi muovevo in passi e in gesti che sembravano automatici, senza davvero una cognizione di causa.
Volevo essere felice, ma non potevo esserlo, non me la sentivo perché in mente mi tornava il suo volto.
Gli occhi spenti.
Come potevo permettermi di stare bene?
Non sapevo se piangere o meno, non sapevo se ridere.
Non mi sembrava giusto.
‘Ehi. Stai bene?’, domandò Colin incontrando il mio sguardo perso.
E se fossi scoppiata a piangere di fronte a lui? Non potevo.
Lui era tutto ciò che volevo, come sarebbe stato se avessi fatto un passo falso di fronte a quella relazione a cui avevo appena messo fine, di fronte a lui.
Incrociai le braccia al petto e annui, ma ero poco convinta, me ne accorgevo da me, come potevo dargliela a bere a lui?
‘Sei sull’orlo…’, fece lui avvicinandosi dolcemente.
Sciolsi le mie braccia al petto e mi rifugiai sul suo.
Unii le mie braccia dietro la sua schiena e lo abbracciai forte, così da nascondere ogni evidenza. Così da nascondere quella parte di me che stava morendo.
Lui ricambiò, senza troppe parole.
E piansi, ed era un misto di tutto senza un vero e proprio motivo lampante.
Rabbia, gioia, dolore, amore… erano tutte lì una per una.
Lui mi accarezzava dolcemente.
Mi passava una mano tra i capelli, una mano sulla schiena, interrompendo a volte quei gesti con un bacio sulla testa in modo affettuoso e protettivo.
Mi sentivo a casa, con lui, mi sentivo al sicuro e quelle sue braccia sembravano proteggermi anche dal mondo intero.
Dopo un tempo smisurato, sciolsi l’abbraccio e mi misi seduta accanto a lui tirando su con il naso.
Lui mi tenne la mano.
‘Non voglio che pensi che sto piangendo per la decisione che ho preso’, chiarii cercando di incrociare i suoi occhi.
E se fosse arrabbiato, dispiaciuto perché pensasse quello?
Presi coraggio e mi persi in quel cielo.
Non era in tempesta, era limpido.
‘Lo so..’, fece lui con fare premuroso, raccogliendo le ultime lacrime che solcavano le mie guance.
‘Non sono pentita dalla scelta che ho fatto. Voglio te, te l’ho detto ieri sera e lo ripeto, perché è ciò che sento. Ma lasciare andare qualcuno che ha fatto parte di te per tanto tempo è difficile, e avere quella sua immagine in testa, quelle ultime immagini mi lacera, perché sono io il motivo per cui sta così, ora e non solo. L’ho ucciso, in qualche modo ed era l’ultima cosa che non avrei voluto mai fargli!’, dissi ancora con la voce rotta.
Abbassai lo sguardo, per un momento e cercai di ritrovare il controllo di prima.
Non dovevo piangere. Dovevo farcela.
‘Non è colpa tua’.
Come poteva anche solo pensarlo, certo che era colpa mia.
Non annui neanche, a che sarebbe servito?
Era una parola di circostanza, detta per farmi star meglio di come mi sentissi in realtà, ma sapevo che era a fin di bene.
‘E’ di chi è Col? Trovami una sola persona che c’entri in questo oltre me’, lo guardai stravolgendo gli occhi quasi urlando, ma dovevo smetterla.
Non volevo litigare con lui. Non ora.
Feci un respiro profondo e mi asciugai gli occhi spalancando un bel sorriso.
Dovevo farcela, per lui.
Per la meraviglia che avevo dinanzi a me, e che avevo deciso di abbracciare.
Lui sarebbe stata la mia nuova vita..
‘La verità è che ho scelto te, e non potrei essere più felice, anche se lo so che non sembra. Non voglio abbatterti e invece lo sto facendo, ma ti chiedo di comprendermi, solo questo. Ti amo perché sei il mio migliore amico, il mio confidente e anche di più, in questi mesi, sei divenuto importante per me, sei diventato il mio punto di appoggio, e voglio vivere con te, sposarmi con te, avere dei figli con te e invecchiare con te. E in questo momento, non so come andrà la mia vita, non so dove andremo, cosa faremo, sono confusa su ogni singola cosa della mia vita, tranne te. Tu sei la mia unica certezza’.
Gli occhi di entrambi, i suoi erano velati da un emozione, e i miei erano il suo riflesso. ‘Con te, sono diversa, felice, oserei dire. Con te, è diverso. Mi fai sentire importante, protetta, abbastanza. Con te, sono me stessa, senza nessuna paura e insicurezza. Ecco perché ho bisogno di te.”
Mi prese per la nuca e mi avvicinò alle sue labbra.
Ci baciammo a lungo, molto a lungo, fino a perdere completamente il senso del tempo.
Ero a casa.
Ero con l’uomo della mia vita, ed ero felice.
 
 
Sei pronta?’, disse infondendomi il suo coraggio e tenendomi per mano.
Era un nuovo giorno.
Un nuovo giorno per noi, e io ancora stentavo a crederci.
Vivevo con l’agitazione della reazione degli altri e con la gioia enorme che mi gorgogliava nelle vene, tra le due opzioni non sapevo a quale adattarmi e quale dare a vedere.
Continuavo ad essere piuttosto titubante, non per la scelta in sé, ma per le reazioni in generale.
Quante domande e sguardi strani ci sarebbero piombati addosso appena saremmo entrati?
Avevo le gambe che tremavano, insieme a tutto il resto.
‘Non è per te che son nervosa, e per… oddio, non lo so. Le reazioni’.
‘Stai ancora pensando ad Adam?’
‘Anche’, ammisi mangiandomi le unghie.
‘Ci è già passato una volta, ci passerà anche la seconda’.
Ci pensai ancora un po’ su, prima di scendere dall’auto.
Lo guardai ancora, pensierosa, a braccia incrociate.
I suoi occhi insieme al suo sorriso mi confondevano.
Prese e mi diede un bacio fugace.
Lo guardai torva.
‘Se vuoi tranquillizzarmi, dovrai fare di meglio’, indicai.
Inarcò un sopracciglio, e apri il suo enorme e meraviglioso sorriso.
‘Lo sai che non puoi farmi questo’.
Si avventa sulla mia bocca dolce e famelico come sempre in questi casi.
Le lingue si esploravano, si cercavano, si coccolavano e abbracciavano, e io dal canto mio ogni volta non riesco a fermarmi.
Ogni volta è come una frenesia, e anche lui non scherza.
Sembrava che ci divorassimo e ci consumassimo ogni volta.
Mi diede un ultimo bacio e poi si stacco, definitivamente.
Lo guardai, sognante e realizzai, per l’ennesima volta quella mattina.
Quest’uomo è soltanto mio, e io ancora non ci credo.
E sorrisi come una bambina davanti alla sua più grande gioia.
Fuori, delle nubi nere ci sovrastano e un carico di pioggia sembra che venga giù da un momento all’altro, per ora non sono altro che gocce leggere che non intaccano del tutto.
Lui gira l’auto e mi apre la portiera con un ombrello in mano.
Indosso gli occhiali, anche se non ce n’è davvero bisogno e mi avvio sul set con lui che mi cinge, un po’ per stare entrambi sotto l’ombrello, un po’ perché ci fa comodo così.
 
Entriamo da Granny’s, è lì che tutti si riuniscono al mattino presto.
E’ tipo un ammasso di gente tra crew, macchinisti, attori di cui non si distingue una sola persona, che va avanti e indietro, e in quel piccolo spazio oggi mi sembra di entrarci in modo diverso.
Nonostante questo, però ho ancora Morfeo che mi pretende, e Colin potrebbe dire lo stesso.
Ci avviciniamo al tavolo dove di solito è posto il caffè, il primo di una lunga serie.
Con la mano, mi aiuta a passare attraverso la lunga fila, arrivati allunga le mani e ne prende due su cui sono scritti i nostri nomi.
Mi porge il mio e tenendomi per un fianco mi porta dove sono seduti Josh, Sean, Lana e Jen che discutono di qualcosa di ben preciso.
Mi infilo nel mezzo, vicino a Sean e di fronte a Jen che è dall’altra parte del tavolo.
‘Buongiorno’, dico ancora frastornata, sia per la notte, sia per l’agitazione, sia per tutto.
Sono un fascio di nervi.
‘Eh buongiorno a voi!’, fa Lana sprezzante e tutta sorridente, guardandoci mentre ci sediamo.
Mi chiedo come faccia ad avere tutte quelle energie di primo mattino.
‘Lana, sono le 6, spiegami come fai’, dico ancora tutta assonnata e priva di qualsiasi forza d’animo e quasi incolore.
Do un sorso al caffè, sperando in un risveglio.
‘Imparerai, con il tempo a gestire i tuoi orari, invece di fare le ore piccole’, sorseggia il suo caffè e fa l’occhiolino.
‘Pattinson ti ha marchiata a quanto vedo’, fa Josh indicando il mio collo.
Lo guardo senza capire che intenda, prendo il telefono e lo uso a mo’ di specchio.
Un succhiotto.
Guardo di sottecchi Colin, che sta cercando come me una spiegazione a quelle frecciatine.
Un segnale meno evidente, no?
Lui sogghigna e sorseggia il suo caffè, gli do’ una gomitata nelle costole, lui trattiene un ‘ahi’ e quasi si strozza.
Non ce la farò mai di fronte a tutte quelle persone che ci osservano.
Tre paia occhi sono puntati su di me.
Affondo nel caffè e zittisco.
Colin, che mi è accanto non ce la fa, non dopo che se l’è preparata e aspetta di dichiararmi sua da mesi.
Sin da quel bacio, o forse anche prima. E’ lì tutto eccitato.
‘Ragazzi, vorremmo dirvi una cosa che però non esca da questo cast’.
Loro annuiscono e danno la massima attenzione a ciò che sta per avvenire.
Josh, che ha osservato l’espressione di Lana, ci osserva.
Mette una mano sotto il mento come se stesse pensando a qualcosa, sta macchinando qualche intuizione.
Sembra che quella lampadina stia per accendersi da un momento all’altro.
‘Ma voi due, siete venuti insieme?’.
Io scivolo ancora di più sulla poltrona, e mi nascondo dietro gli occhiali da sole, ancora sorseggiando.
Quegli sguardi, quelle domande stanno arrivando.
Sono in precipizio sulle loro labbra.
Colin mi guarda, e non riesce a trattenere appieno le sue emozioni, la sua felicità.
Ha un sorriso enorme in viso.
E’ da tanto che vuole sbandierarlo quanto me.
‘Si, siamo venuti insieme’.
Mi sembra di vederle le loro menti in cerca di chiarezza. Viaggiano in una strada fatta di nebbia, alcuni intravedono qualcosa, altri non vogliono credere a ciò che vedono, altri ancora hanno già visto tutto.
Sean che mi è accanto, intercede sporgendosi con i gomiti sul tavolo e guardandoci fissi.
Sto per esplodere in due emozioni contrastanti.
‘Aspetta. Aspetta. Aspetta… siete arrivati mano nella mano, vi ho visti. C’è qualcosa che dovremmo sapere?’, chiede incuriosito.
Colin mi guarda, in cerca di conferma, sa che sono troppo timida per farlo io.
Lui si prepara, quasi come se dovesse tenere un discorso.
‘Beh, qualcosa da sapere c’è…’ fa intendere tronfio e mi lancia uno sguardo d’intesa.
‘Io e Colin, stiamo insieme’, spolmono quasi in fretta.
La gioia mi pervade e un sorriso si fa avanti.
Stiamo insieme. Mi sembra incredibile averlo detto ad alta voce.
Averlo ammesso dopo tanto.
Sto morendo nell’osservarli.
‘Lo sapevo!’, esplode Lana eccitata, sbattendo un pugno sul tavolo e facendoci prendere un colpo.
Mi sorprendo della sua soddisfazione, ma non sul fatto che lo avesse intuito.
Josh, sbatte ripetutamente gli occhi, con lui anche Jen.
Mentre Sean è tutto un sorriso di alleanza con Colin, e mi chiedo se già sapesse qualcosa allora.
Guardo Colin interrogativa, e fa spallucce.
‘Cioè… tu e lui…?’ fa Jen, indicandoci ancora incredula.
‘Io e Colin’. Asserisco senza trovare ulteriori parole da aggiungere.
C’è così tanto da dire in quel io e Colin che si trascina da tanto in incontri, baci, ammiccamenti, carezze, parole che come si può raccontare tutto in un momento?
Dio, come si fa a descrivere tutto ciò che è successo? Tutto ciò che provo per l’uomo che mi è accanto?
‘Ma perché voi davvero non l’avevate capito?’, fa Lana rivolgendosi agli altri.
E’ un no collettivo.
Lei scuote la testa, irritata, borbottando qualcosa.
‘E Pattinson?’, chiede Jennifer.
Eh, Pattinson. Quel cognome graffia ancora appena mi sfiora.
‘Ci siamo lasciati.’. E non aggiungo altro, perché non c’è da aggiungere altro.
I dettagli li tengo per me.
‘Non è stata una cosa programmata, non avevamo alcuna intenzione di innamorarci.’, spiega Colin, intercedendo per salvarmi.
E le domande continuano.
Ci spieghiamo, chiedono e non è ne la prima ne l’ultima volta che succederà.
 
Durante la giornata le voci viaggiano per il set.
Abbiamo deciso di dirlo solo al cast e amen, al resto del mondo fan e non, si vedrà dopo.
Dovevamo avvertire ancora le nostre famiglie, io dal canto mio, non sentivo i miei da un po’, e le ultime chiamate erano state del tutto sfuggenti e sbrigative che era stato difficile anche solo accennarlo.
Non sapevo come l’avrebbero presa, loro e tutti i miei parenti che ormai mi davano sposata a Robert, dati gli ultimi avvenimenti che erano successi.
Intanto era meglio saperlo da me piuttosto che da giornali e tg scandalistici.
Conoscevano pochissimo Colin, più che altro l’avevano visto un paio di volte su Skype quando lui capitava con me, ma non pensavano ci fosse qualcosa, o almeno credevo così.
Ma per ora volevamo goderci un po’ di tranquillità, il tutto era stato così frenetico e confusionario nelle ultime settimane che volevo del tempo solo per noi ora.  Vogliamo essere soli.
Io e lui e il mondo fuori può aspettare.
Per il momento mi trasferii momentaneamente a casa di Colin, nell’attesa di arredare e rifinire il mio appartamento, ancora privo dell’essenziale per viverci completamente.
Nonostante ora stessimo insieme, avevamo deciso di far cosi per i primi mesi almeno, per non destare sospetti ad occhi indiscreti, compresi gli stessi inquilini del palazzo.
Ogni tanto, appena avevamo un giorno libero mi accompagnava da Ikea, a scegliere qualcosa.
In quella casa avrei dovuto starci per almeno nove mesi l’anno, quindi tanto valeva arredarla per bene, e in modo accogliente.
I restanti tre mesi erano un po’ un delirio, ora.
Sarei tornata a New York? In Italia? O in Irlanda a conoscere i suoi?
Ne avevamo discusso un po’ e avevamo deciso di pensarci. Entrambi.
 
Non so cosa dovremmo aspettarci, non so quanto dovrò aspettarmi da tutto questo, non dalla storia con lui, che era la mia unica certezza. Lui era la mia unica certezza. Ma della storia che ne sarebbe venuta fuori prima o poi, ma so che non m’importa e che qualsiasi cosa succeda, qualsiasi critica che riceverò e riceveremo l’affronteremo insieme, perché si sa che in due si è più forti.
Non faceva altro che rassicurarmi su questo.
Le critiche ci saranno, come ci sono sempre state.
Ci sarà gente sollevata dal fatto che abbia lasciato Rob, altra gente getterà insulti, critiche e quant’altro su di me per aver spezzato quel sogno e per aver fatto del male a Rob.
Altra gente esulterà per quel ‘Vanoghue’ sbandierato sui vari social come una fantasia, e altri non saranno affatto contenti.
Mica non lo vedevo l’effetto che Colin faceva sul mondo femminile.
‘Secondo me mi sbraneranno, appena sapranno qualcosa’, dico mentre da lontano le osservo oltre le transenne.
‘Chi?’ fa lui vago.
‘Loro!’, e feci un cenno per indicarle. ‘Sei il loro sex symbol’, allusi guardandolo di sbieco.
‘Beh, si avranno uno shock, forse. D’altronde guardami sono diabolicamente affascinante’, disse parafrasando il suo personaggio e sbandierando un ghigno degno di Hook.
Ruotai gli occhi stizzita da quell’ego.
‘Ma sai cosa? Io ho occhi solo per il mio grande amore’.
E sbandierava quella faccia da cucciolo che mi faceva sempre cadere.
Scossi la testa, cacciando via l’idea di baciarlo lì davanti.
‘Su una cosa hai ragione’, confermai. ‘Sei diabolico’.
Si cacciò a ridere come un bambino a quell’affermazione.
Quel mondo è così.
Pur essendo sempre stata dietro le quinte quando stavo con Rob ormai lo conoscevo a menadito e pur sapendo cosa aspettarmi non sono mai del tutto pronta.
Non c’è mai un solo punto di vista, ce ne sono tanti. E non importa che la storia sia tua, loro avranno sempre qualcosa da ridire a riguardo.
Alcuni ti butteranno giù, altri ti risolleveranno, altri ancora crederanno di conoscerti e di conoscere le tue ragioni ma nessuno al di fuori di te saprà mai le ragioni delle tue scelte.
Le ragioni per la quale il mio cuore aveva deciso di legarsi al suo.
Lo sappiamo solo noi, e nessun altro lì fuori.
Ma per adesso voglio godermi al meglio quei momenti.
I nostri momenti.
Sul set e fuori, dobbiamo sempre essere cauti, dato che c’è gente che viene ad assistere alle riprese.
Dobbiamo far finta di nulla, ma con lui è fortemente arduo specie quando, durante le pause non fa che avvicinarsi, con fare ammiccante, mi mette un braccio intorno al collo, mi prende per mano e ridiamo complici di qualcosa che fa parte solo di noi.
E’ una sfida continua.
 
E’ sera tardi e siamo sul set, ancora.
Non ho ben contato ma saranno quindici ore che sono lì.
Sono fuori da quello che è Granny’s e siamo all’ennesimo momento di pausa di quella giornata, sono stanchissima.
E’ inutile dirlo.
Tutti sono in giro, a dare direttive, a spostare macchinari.
E’ un gran casino concentrarsi a volte, ma la roulotte era troppo lontana e manca poco alle riprese.
All’inizio non credevo fosse così dura, e c’è gente convinta del fatto che questo non sia un lavoro.
Beh, di certo non è come andare in miniera a far lavoro fisico, lo ammetto anche io, ma è pur sempre un lavoro mentale.
Ricordare tutte quelle battute è uno sforzo mentale a fine giornata che non so se riuscirò a reggere, metà del mio cervello è già andata in letargo e fatico seriamente a tenere gli occhi e la mente lucida.
Sarà anche che la sera precedente ho dormito pochissimo? Può darsi.
Sento che sto per crollare.
Per me è l’ultima scena, e devo girarla con Colin per mia fortuna, e il tutto mi sembra più facile.
Durante tutto il giorno ci siamo visti poco.
Lui è sul set con altre unità, con altre scene da girare un po’ dappertutto e con chiunque.
Si sa che Hook sia un regular ed è molto più impegnato di me lì.
Io ho scene mie, che molte volte mi riguardano sola.
Il mio personaggio non ha molte interazioni inizialmente con gli altri, è molto schiva, sulle sue e alternando alti e bassi, riesce ad aprirsi solo con Hook dato che appartiene a lui principalmente.
Appartiene.
Ora come ora mi fa ancora più strano sentirmelo dire, sentirmelo addosso.
Forse perché ora mi appartiene di più, è più vero. Più reale.
Esmeralda appartiene ad Hook.
Io appartengo a Colin, è assurdo.
Ho un brivido.
Sento la porta di Granny’s aprirsi e poi chiudersi con quel cigolio inconfondibile, ma non tolgo gli occhi dal copione altrimenti davvero non termino più di divagare.
Un tocco leggero su una spalla mi sfiora.
‘Ancora qui?’, non lo guardo. So per certa che potrei perdermi.
‘Non riesco a metabolizzare le ultime battute. Sono stanchissima.’, ammetto fioca, ma decisa. Mi sistemo meglio sulla sedia, accavallo le gambe.
Lui si siede accanto a me sul tavolino su cui sono seduta.
Poggia alcune cose e mi toglie il copione da sotto gli occhi.
‘Colin!’, mi ribello, cercando di riprenderlo.
Lui mi guarda con disapprovazione, mentre lo nasconde dietro le spalle.
‘Prima mangi, prima te lo ridò. Non ti lascerò morire di fame!’, protesta benevolo e autoritario. ‘Vedrai che dopo recupererai un po’ di forze’, e sorride premuroso.
Dio, cosa riesce a farmi con quel sorriso e quelle attenzioni.
Mi arrendo.
‘Guarda che ho sonno, non fame’.
‘Il tuo corpo lo confonde con sonno ma è fame, tranquilla’.
Stringo gli occhi a mo’ di fessure e gli faccio il verso sarcastica. ‘Come desidera dottor Hook … ?’
Lui scuote la testa e ride.
‘Sei proprio una bimba’, dichiara.
E continuo su quella scia facendogli una linguaccia.
Nel breve tempo che ci rimane, mi racconta le scene che ha girato ed io le mie.
Poi ripassiamo un attimo il copione insieme.
Lui avvicina la sedia alla mia, e ripetiamo le battute da seduti, da sotto il tavolo mi prende la mano e la stringe nella sua.
La stringo forte con entrambe le mani.
A un certo punto non mi concentro più sulle battute, inizio a fissarlo assente persa nei miei pensieri e persa nell’intento di contemplarlo.
Io ancora non ci credo, sono incredula a tutto ciò che è accaduto, al passo che ho fatto e alla decisione che ho preso.
Ho deciso lui, ora lui è mio e io sono sua.
Richiederei un pizzicotto se fosse necessario.
Ho un sorriso da ebete in volto, già lo immagino.
Lo so.
“Ehi Van tutto bene?” domanda con una lieve nota di preoccupazione nella voce.
Annuisco come meglio riesco. Ho ancora la sua mano nella mia questo basta a mandarmi al rogo.
‘Tu non riesci nemmeno a capire che effetto mi fai, cosa riesci a farmi’. Lui ha uno sguardo di uno che non riesce bene a intendere quella frase detta così alla sprovvista.
‘Ti amo.’ Gli chiarisco.
I suoi occhi incrociano i miei, sono luminosi e nonostante tutto mi sembra di prendere fuoco.
‘Anche io, nemmeno immagini quanto’, spiffera in un sussurro a pochi centimetri dalle mie labbra facendo andare in tilt il poco respiro che mi resta in corpo.
Gli rubo un bacio, e mi trattengo giusto un paio di secondi su quelle labbra che amo.
Seriamente, non c’è qualcosa che non amo in lui.
Ringrazio Dio solo per essere di spalle e lontana da quelle transenne.
Lui resta un attimo incredulo, spaesato di fronte a quella mossa, poi è lui che sembra divampare. Scoppio a ridere contenta di rivedere l’effetto che lui fa su di me su di lui.
 
Poi ci chiamano sul set.
Giriamo la nostra scena, e Colin mi rende le cose più semplici.
Forse perché ciò che prova Esmeralda per quell’uomo ha lo stesso volto del mio, e forse anche perché ciò che provo io è lo stesso. Forse perché è lui, ma con lui non mi sembra nemmeno di recitare.
Quando Edward grida STOP! Io quasi mi chiedo perché.
Colin ha un’altra scena da girare dopo quella.
Ci salutiamo di fretta.
‘Ti aspetto in roulotte’, gli dico.
Lui non ce la fa, mi tira a sé senza attirare attenzioni e mi da un bacio sulla guancia.
Io divampo.
Smetto i panni di Esmeralda, metto i miei e mi metto a mio agio con una coperta addosso.
Fuori c’è un’umidità incredibile, e accendo un po’ di TV per rilassarmi.
Sono stanchissima che quasi non mi sento più neanche il corpo, mi sembra di avere solo la testa e anche quella è parecchio assente.
Mi rannicchio sul divanetto e cerco di concentrarmi sul film di Anne Hathaway che danno in tv, ma non riesco ad arrivare neanche a metà che crollo esausta e mi abbandonò a Morfeo.

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Capitolo 10
*** 10. You put your arms around me and I'm home. ***


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10. You put your arms around me and I'm home. 
 

ANNO NUOVO, CAPITOLO NUOVO.
Innanzitutto dato che siamo al primo Gennaio vi voglio augurare un felice e sereno anno nuovo.
Ci ho messo un po’ a scrivere ed ad aggiornare questa storia, per lo più perché non sto avendo parecchi riscontri e ho seriamente pensato di terminarla e non andare oltre perché la vedo abbastanza poco seguita.
È una storia molto diversa dalle altre che si trovano sul sito, e magari non lo so, ve ne sareste aspettata un'altra con altre persone, un altra trama, non lo so, perché non ho abbastanza pareri su questa per avere un idea ben precisa su cosa pensare.
E’ storia più che altro personale, magari siete abituati ad altro, ma io sin da quando ho iniziato a scrivere ho cercato sempre di esplorare la vita di persone che amo con persone come me, come noi ed è per questo che ho iniziato a scriverla principalmente.
Non ho la presunzione di sapere com’è quel mondo, ne so quanto voi ma non ditemi che non l’avete mai immaginato, ed è ciò che sto facendo io, molto semplicemente.
Non ho la presunzione di dire che il mio lavoro sia perfetto e che la storia sia altrettanto, ho mille difetti, lo so da me e per di più sono anche abbastanza paranoica. lol
Non sono una scrittrice e non mi definisco tale, mi piace solo raccontare delle storie, scrivere nero su bianco ciò che mi passa per la testa e non è sempre bello, giusto e coinvolgente magari, vi chiedo solo di darmi dei pareri a riguardo giusto per valutare se continuare o meno in questa storia.
Ho bisogno di conferme e incoraggiamento forse? Può essere, sono una persona insicura e abbastanza timida non so se si è notato ed entrare e non trovare niente mi lascia un po’ interdetta sul da farsi.
Vedo i mi piace attraverso il bottone social qui sopra e ringrazio chiunque voi siate, non fraintendetemi, ma ho bisogno anche di pareri a riguardo. Ringrazio ovviamente chi già me li fa avere ogni volta, davvero – ancora – grazie mille.
Scusate l’intro un po’ lungo e petulante ma era qualcosa che volevo scrivervi, ora vi lascio al capitolo - questa volta ci ho aggiunto un suggerimento musicale. - C:
 
Vi auguro una buona lettura.:*
 
-

 
 

Siamo partiti da Vancouver stamattina presto, e io sono ancora del tutto assonnata, e frastornata.
Avrò dormito tre ore in tutto, e come sempre c’è di mezzo l’agitazione.
E’ da ieri sera che penso e ripenso nonostante Colin più volte abbia cercato di farmi pensare ad altro, ma tranne in quei momenti di distrazione, la mia mente ricomincia a navigare e io a tremare come una foglia.
Perché sì, a me l’agitazione mi divora dentro ogni volta anche per le cose più banali, è sempre stato così, figurarsi poi per una premiere.
Nemmeno in aereo riesco a dormire un po’ e sono un completo straccio.
‘Tu dimmi come si fa ad andare in queste condizioni?! No, non posso presentarmi così. Io mi rintano in albergo e non esco’, sbotto in modo quasi isterico incrociando le braccia e appoggiandomi allo schienale del sedile e mostrando un broncio degno di una bambina piccola. Non so più cosa devo fare.
Oggi è giornata e Colin mi deve subire.
Mi osserva con occhi languidi e un sorriso appena accennato che sa di disapprovazione. Lo sto facendo impazzire lo so da me.
‘Tu e la tua insicurezza siete compagne da sempre eh? Inizio ad essere un po’ geloso.’
Anche lui è stanchissimo, ma non lo da a vedere ed è comunque perfetto.
Perché non posso essere come lui? Agitarmi e sentirmi meno male o almeno non darlo a vedere in modo lampante.
Credo mi ci vogliano seriamente dei tranquillanti.
‘Perché non provi a dormire un po’?’, mi fa convinto.
‘Scusa. Sono nervosa, tutto qui’, dico più calma, quasi scusandomi per quell’atteggiamento un po’ brusco che sto avendo anche nei suoi confronti che c’entra poco o nulla con i miei conflitti mentali, mentre lui mi mette un braccio intorno alle spalle e mi accoglie ancora di più accanto a sé.
Non ci sono più limiti o deviazioni sul nostro rapporto, niente più segreti, ormai chi è lì, sul nostro stesso volo, sa tutto ciò che c’è da sapere e i nostri movimenti sono più spontanei e liberi.
Mi metto alla meglio sul sedile dell’aereo, gli do un bacio veloce allungandomi verso le sue labbra e cerco di rilassarmi. Accavallo le gambe e appoggio la mia testa sulla sua spalla, chiudo gli occhi. Lui mi bacia la fronte per poi appoggiarsi su di me.
E quei gesti, quella normalità che si è creata mi fa sempre bene.
Ogni volta, è così, con le sue braccia, con lui attorno. Devono avere un qualche incantesimo.
Forse è lui stesso una magia, una proiezione della mia mente per farmi star meglio quando proprio sono al mio limite e non solo.
Quando gliel’ho detto giorni prima troppo presa da lui è scoppiato a ridere fragorosamente a quella deduzione, mi ha guardata fissa alzandomi il mento per farmi affondare maggiormente nei suoi occhi e mi ha chiesto se davvero lo pensassi o se avessi bevuto troppo. Ho annuito confermandogli che la birra non c’entrava nulla, e ha asserito: ‘Magari sei anche tu una mia proiezione’.
Ogni volta quando lui mi abbraccia, mi stringe a sé, i miei muscoli si rilassano e si lasciano andare e io mi sento, inevitabilmente a casa.
Lui è la mia casa, ed è una definizione così bella da dare a qualcuno, a volte penso che abbia lo stesso valore di un ti amo o anche maggiore. Dire a qualcuno che è la tua casa, è meraviglioso perché posso essere dovunque in ogni luogo del mondo, se ho lui accanto. Se lui è con me.
Non ho intenzione di lasciarlo, non ho intenzione di sentire di nuovo quella mancanza lacerarmi l’anima quando non siamo insieme.
Ho deciso che dovunque vorrà andare in quei tre mesi oltre le riprese lo seguirò a ruota, anche se ancora non gliel’ho detto. Aspetto il momento giusto.
‘Ci sarò io con te.’, sento in lontananza insieme al suo abbraccio che si fa più saldo e allo stesso tempo più lontano.
La tranquillità che riesce a darmi anche quando sembra che non ci sia modo è assurda, mi assopisco e cerco di dormire un po’ prima del grande evento.
E inizio a pensare sia lui davvero il mio sedativo e che l’idea di seguirlo ovunque è l’unica che posso seguire se voglio stare bene.
 
Sono in sala trucco da quanto esattamente? Perché mi sembra un eternità.
Guardo veloce l’ora sul display che segna le 15, in più ci sono tre chiamate perse di mia madre.
Decido di chiamarla appena mi calmerò un po’, altrimenti mi assillerà per tutto il tempo.
Sa che oggi c’è la premiere, gliel’ho detto pochi giorni fa, e so che come me sarà il mio equivalente anche se non deve viverlo in prima persona, perché in ogni cosa io e mia madre siamo sempre state una sola cosa. Lo stato d’animo di una lo assume l’altra come di rimando, fisicamente siamo molto diverse, ma dentro siamo due gocce d’acqua quasi su tutto.
Manca poco alla premiere e sono tesa come una corda di violino, i muscoli sono tesi e ho il timore che anche piegandomi possa spezzarmi e subire qualche danno.
Lana, Jennifer, e le altre sembrano più disinibite di me mentre vengono truccate e coccolate dai vari truccatori che riempiono la stanza, io invece sembro un tronco, e mi fanno male i muscoli.
Tremo tutta all’idea della gente che ci sarà, dei fan urlanti, dei giornalisti e non so come reagire.
Non sono abituata a tutto questo, e fino ad ora non ci avevo seriamente pensato.
I fan sul set sono una cosa, a cui devo ancora del tutto abituarmi, ma quelli ad una premiere … è diverso, anche solo per l’evento in sé.
Ho il cuore a mille.
Ho quasi un attacco di panico.
E’ la mia prima premiere.
La prima a cui partecipo e che mi riguarda in prima persona.
Okay, ci saranno anche gli altri ma ci sarò anche io e sarò al centro dell’attenzione, sotto gli occhi di tutti. Mi esamineranno da testa a piedi e tutto questo mi mette sotto pressione, e non sono contenta quando vengo posta a certe attenzioni.
Mi viene portato uno spuntino dato che non ho nemmeno pranzato, ma ho rifiutato, nuovamente, e tutti non fanno altro che preoccuparsi per me.
Mi si è chiuso lo stomaco.
Non ho alcuna fame e cerco di farglielo intendere per non far sì che lo prendano come un gesto di scortesia.
Tra l’altro, in tutto questo marasma,  ho il timore di far sgamare me e Colin e … dire che sono un groviglio di timori e preoccupazioni e pessimismo sarebbe un enorme eufemismo.
Il tutto si svolgerà al ‘El Captain Theatre’ di Los Angeles dove fa caldissimo tra l’altro e io sono la sola a sentire freddo.
Non so come comportarmi, come camminare, come sorridere ho mille dubbi e insicurezze in testa che potrebbero sotterrarmi viva. Ho paura di una figuraccia immensa subito dietro l’angolo e ho paura delle reazioni, delle interviste, delle mie stesse parole.
La paranoia inizia a farsi strada.
Ho il timore che non andrà bene nulla.
Da quanto devo vedere Colin? Saranno quattro ore.
Lui è con gli altri uomini del cast a prepararsi, e io sono con le altre donne del cast per prepararmi.
Siamo divisi, in un certo senso e questo non fa altro che agitarmi.
Appena può, mi invia un messaggio, quasi mi fosse di fronte e vedesse come sto.
Sarai stupenda e andrai benissimo. Rilassati, ci sono io con te. Ti amo amore mio.
E sorrido a quel messaggio che m’infonde un po’ di forza.
Farei tipo Sissi in quel film con Romy Schneider che tanto amavo da bambina, era uno di quei film che mi faceva sognare ad occhi aperti, in quella scena dove in seguito ad un suo mancamento durante il ballo di corte scopre di aspettare un figlio dal suo principe e corre da Franz ad abbracciarlo.
Non c’è nessuna notizia del genere, ma vorrei ovviamente scappare da lui.
Reprimo quella strana voglia.
 
Sono le 17 in punto quando trucco e capelli giungono al termine della loro perfezione.
Quando alzo gli occhi e libero la mente da tutti quei pensieri negativi di fronte a me una nuova ragazza mi è davanti.
Una ragazza dalla pelle lucida, gli occhi brillanti e raggianti, velati da un trucco delicato e allo stesso tempo elaborato alla perfezione sottolineato ancor di più dalle ciglia folte e nerissime, dalle labbra carnose e colorate mi osserva dall’altra parte dello specchio, e quasi non mi riconosco.
Sono io davvero?
I capelli cadono leggeri e sinuosi sulle spalle in alcune onde ben definite che ricalcano di poco la vera natura dei miei capelli. Sono splendidi, luminosi e visibilmente sani in quel nero pece.
Per la prima volta mi sento una bambola di porcellana.
Con la mia assistente mi muovo verso il mio camerino per trovare l’abito adatto e sbrigarmi per la premiere che avverrà a breve.
Nel mio camerino mi vengono predisposti alcuni vestiti della mia taglia, e tra questi dovrò sceglierne uno da indossare. Sono tutti stupendi e resto esterrefatta dal fatto che siano per me.
Dopo averne provato un bel po’ opto per un Zuhair Murad, che tra tutti prediligo.
L’abito è di un verde sirena, uno di quei colori che amo tanto su ogni genere di cosa, con una scollatura che valorizza il decolté ed è aperto sulle spalle chiudendosi poi in alcune fantasie che vanno ad accostare l’inizio della gonna dietro. Il tutto finisce con uno strascico, e forse sto osando troppo ma è l’unico con cui sento di stare bene e a mio agio, oserei quasi dire che mi sento quasi come una vera principessa.
Mi guardo e riguardo allo specchio e stento a credere che sia io quella riflessa, ma decido che sarà con lui che andrò sul red carpet.
Nella pochette infilo il telefono e un piccolo specchietto e parto.
Faccio un ultimo profondo respiro ed esco, pronta.
Più o meno.
Appena le altre mi vedono strabuzzano gli occhi e sono meravigliate.
Lana è la prima a farmi i complimenti con un gran sorriso sincero, le altre sono tutte al seguito a guardarmi estasiate e a riempirmi di complimenti, mi chiedo se lo stiano facendo per incoraggiarmi a vedermi meglio dopo che sono stata preoccupata per tutto il tempo, o che sia la verità,  ma accetto tutti i loro complimenti abbastanza imbarazzata da quelle attenzioni.
Non è da me, non sono abituata a tutto questo. Nemmeno ai complimenti.
Annuisco e ricambio.
Loro sono davvero stupende tutte, sembrano dee scese in terra e la mia autostima cala rovinosamente a terra.
Con lo sguardo mi sporgo alla sua ricerca perché sono quasi tutti là alla fin fine, in quella stanza che ci ospita, e perché solo lui è in grado di calmarmi per davvero.
La mia cura all’ansia, alla tensione, al mio tremare. La mia cura a tutto.
Con un tocco leggero mi sfiora una spalla con una mano, mentre con l’altra mi cinge il fianco da dietro.
Un brivido mi pervade l’anima, perché ogni volta è come se il mio corpo, la mia anima riconoscesse la sua gemella.
‘Io e te andremo insieme’, mi sussurra all’orecchio, quasi in una confessione e io resto interdetta, un po’ per la sua voce, un po’ per lui, un po’ per quella rivelazione.
Andremo insieme.
Mi voltò di scatto per osservarlo e vedere se mi prende in giro.
Lui indietreggia un po’ e mi osserva meravigliato, come se avesse visto una dea.
‘Che c’è?’, chiedo spaurita pensando che non gradisca, e mi riguardo per vedere se c’è qualcosa fuori posto.
‘Sei assolutamente meravigliosa’, esordisce.
Sorrido imbarazzata, mentre lui continua a contemplarmi.
‘Me lo stai dicendo perché sei di parte’.
Alza gli occhi al cielo.
‘Sei la solita’, fa lui, mi prende la mano e la intreccia alla sua, sorridendomi.
Ho caldo, ora ho tanto caldo.
‘Oserei dire che stai arrossendo’, fa lui ammiccando con quel sorriso e quello sguardo in cui mi perdo.
‘Oserei dire che lo fa apposta, Signor O’Donoghue’.
E ridiamo, fino a quando la mia risata termina e un aria seria aleggia sul mio volto tutto a un tratto.
Lui osserva quel repentino cambiamento e non se lo spiega.
‘Che significa che andremo insieme?’.
‘Che non ce la faccio più a tenerti per me soltanto come se stessimo facendo la peggior cosa. Ci amiamo, perché dobbiamo continuare a fingere che non sia così? È passato tempo ormai, possiamo farlo, voglio farlo. Voglio che gli altri vedano che sei mia’.
‘Oggi?’. Ribatto io con il mio respiro smorzato alla cosa e continua. ‘Non faremo gesti eclatanti, so già quanto tutto questo sia tanto per te, ma andremo insieme alla premiere. Mano nella mano. Le foto le faremo insieme, come coppia e questo sarà tutto, ma sarà già tanto. Ho già parlato con Adam ed Edward. Te l’ho detto o no che ci sono io con te?’.
Non so cos’è che sta nascendo dentro me in quel preciso momento.
Una felicità assurda mi invade, e mi impongo di non mostrare la mia emotività. Non stavolta. Altrimenti mi cola tutto il trucco e tutto il lavoro che i truccatori hanno fatto.
Ecco, devo farlo per loro.
Stento a credere ancora di più a quella giornata e a quel momento, a ciò che mi ha appena detto.
L’amore che ha per me, l’amore che ho per lui mi riempie il cuore e mi pervade.
Non ho parole.
Mi avvicino e quasi gli salto al collo dicendogli la cosa più ovvia ma anche la cosa che meglio può racchiudere tutto perché altre parole non mi escono.
‘Ti amo tanto, lo sai?’.
‘Mmh… ne avevo una vaga idea mi sa’, mi stacco da quell’abbraccio e lo bacio sulla guancia in modo leggero, non voglio lasciargli alcuna traccia di rossetto addosso.
Mi mordo le labbra allontanandomi dal suo sguardo.
Mi allontano un po’ per guardarlo meglio, senza mollare la stretta della sua mano.
‘Mmh…’, mormoro nell’osservarlo.
‘Cosa?’, fa lui preoccupato di quel mormorio.
‘Tu invece non mi piaci affatto così vestito’. Scuoto la testa con disapprovazione. ‘Così farai innamorare ancora più donne, più ragazze e la cosa mi renderà ancora più gelosa. Potrei non rispondere più di me. E se incontrassi qualcuna più bella di me?’.
Alza gli occhi al cielo.
‘E allora cosa dovrei dire di te?’, mi indica. ‘Dovrò starti dietro per non far si che ti rapiscano. Dovrò prendere il posto di Ruth per salvaguardarti.’.
Gli do una pacca sul petto.
‘Okay, siete pronti? Voi siete i prossimi’, impartisce una donna nella stanza indicandoci.
Eccolo quel nodo in gola che ritorna, le gambe che tremano, Colin mi guarda, mi sorregge e mi infonde il suo coraggio stringendo ancora di più la presa sulla mia mano.
‘Si, siamo prontissimi!’, risponde lui esibendo il suo sorriso.
 
Lungo tutto il tragitto lui non fa altro che distrarmi facendomi pensare ad altro.
Nemmeno una volta mi permette di pensare seriamente a ciò che accadrà tra pochi minuti, alla folla che ci attende, ai paparazzi che ci sono, ai fan urlanti che ci assaliranno soprattutto lui.
Mi tiene per mano dolcemente e già il suo contatto manda in ibernazione ogni mia facoltà di pensare e di concentrarmi su dove l’auto si stia dirigendo, il tutto insieme a quello sguardo intenso che mi regala e mi fa ridere, mi fa ridere tanto perché sa che se lascio andare i pensieri quelli andranno a briglia sciolta dritti al panico, rido che alla fine devo cercare di trattenere le lacrime per non rovinare il trucco.
‘Siamo quasi arrivati’, ci informa Fred, l’autista dell’auto, e lì pronto in un angolo il mio panico erompe.
Lui mi prende il viso e mi guarda, mi permette di immergermi nuovamente in quelle acque cristalline.
‘Ehi, devi stare tranquilla, d’accordo?’.
Annuisco poco convinta. Lui mi da un bacio leggero sulla fronte quasi fossi una bambina, io cerco di trattenermi dal dirigermi sulle sue labbra per non rovinare il trucco.
L’auto si ferma, e il mio cuore con lei.
Sento il fermento che riecheggia da fuori, oltre quei finestrini.
Sono emozionata e atterrita nello stesso momento.
Devo scendere per prima dall’auto e mi faccio forza in questo perché altrimenti non ce la farei.
Faccio un lungo respiro e via.
Ciò che mi aspetta fuori è anche più enorme di ciò che avevo immaginato.
Una folla enorme si estende per tutta l’uscita dal teatro, e il boato e le urla che si elevano sono anche più assordanti di ciò che mi aspettavo.
E non so se è per me, o per lo show in sé ma quasi piango.
Esibisco un gran sorriso e saluto con la mano un po’ tutte quelle persone che mi stanno di fronte, dietro di me quando dalla stessa auto fuoriesce Colin sembra quasi che il tempo si fermi giusto in tempo per vedere ciò che accade sui loro volti e nelle loro menti.
Domande, dubbi e incredulità si mescolano a quella che secondo loro è la realtà, e in tutto questo ci sono urla, milioni di urla che non riesco a gestire.
Alcune gioiscono alla cosa e ci chiamano entrambi.
Con Ruth, la mia agente, mi dirigo verso quelle file di fan che mi chiamano e che appena mi vedono avvicinarsi urlano ancor di più a gran voce il mio nome.
‘I love you’ su ‘I love you’ si elevano e si sovrappongono a vicenda di fronte a me stordendomi, non so cosa rispondere anche se cerco comunque di dare a tutti una risposta concreta.
‘Sei bellissima Vanessa!’, fa una, ‘Sei incantevole’, fa un'altra, e io arrossisco stentando un ‘Grazie’ mentre firmo un autografo, due, tre... perdo il conto.
Non so esattamente cosa mi stia succedendo intorno, so solo che mi sento come se fossi in un tornado, e che mi renderò conto di ciò che è accaduto solo quando sarà passato.
Loro continuano ad urlare e a protrarmi fogli, immagini e quant’altro affinchè io li firmi, vorrei accontentare tutti ma non ci riesco e un po’ mi sento in colpa, ma Ruth mi tira altrove, facendomi avanzare e standomi dietro.
Faccio foto su foto con loro e sfoggio il mio più bel sorriso perché si, loro saranno i fans, ma io sono emozionata quanto loro in quel frangente.
Mi tiro via da quel caos prima di passare alle interviste con i giornalisti sul red carpet.
‘Aspetta Colin e poi passi alle interviste’. Ruth mi da le direttive prima di proseguire.
E la ringrazio seriamente perché senza di lei non saprei come fare.
Mi sposto dove sono un po’ tutti e mi aggiusto un po’ il vestito.
Colin è ancora tra i fan e le fan urlanti, è di spalle in questo momento e non mi vede.
‘Mica ti avevo riconosciuta sai?’, fa la voce di un uomo alle mie spalle che ormai conosco.
‘Ehi Sean’, faccio io nell’intento di salutarlo, con lui la moglie e Robbie Kay, saluto anche loro poi Sean si allontana e resto con Tanya a parlare per un altro po’.
Dopo un paio di minuti un tocco leggero mi cinge i fianchi e si protrae verso Tanya per salutarla.
Io sto avvampando e improvvisamente sento ancora più caldo del solito addosso, un po’ per la situazione, per come stiamo uscendo allo scoperto in maniera non programmata. Un po’ per come lui si avvicina a me e mi prende in gesti semplici e spontanei, sono tutto un turbinio di emozioni che mi travolgono.
‘Okay, è il momento’, ci annuncia Ruth avvicinandosi a noi.
Colin mi guarda cercando un consenso e io annuisco sospirando pesantemente.
Mi sorride e mi tranquillizza, ormai sa cosa ci vuole per me.
Lui va avanti e mi trascina nella folla tenendomi per mano.
Arriviamo dai giornalisti, che iniziano a fare una carrellata di domande riguardanti la serie, la nuova stagione e le solite cose che ripeto da mesi ormai e che ormai ho immagazzinato in testa.
Colin è a pochi passi dai miei con altre emittenti che lo stanno intervistando, sento la sua voce in mezzo a quella folla e mi mantiene calma.
Non so come faccia.
Con la coda dell’occhio lo vedo, ha le mani in tasca e un sorriso smagliante mentre risponde, a volte ride, altre volte si tocca l’orecchio imbarazzato.
‘Allora da ciò che abbiamo visto oggi possiamo dedurre che le voci su di te e Colin O’Donoghue sono vere?’, fa la giornalista di fronte a me con un sorriso impertinente.
Io resto un po’ così, interdetta.
Ecco, cosa devo rispondere ora? Non avevo programmato tutto questo.
Ruth mi vede in difficoltà e interviene con un ‘Mi dispiace, ma queste domande non sono inerenti allo show’, in tono perentorio.
Quella si scusa e va avanti con altre domande, con altre emittenti, con altre interviste e domande a cui non oso rispondere, ma le cui risposte sono già ovvie.
Ho un gran mal di testa, e in tutto quel frastuono e gente ha iniziato anche a girarmi, cerco di farmi forza per dirigermi verso di lui che mi attende in posizione per le foto sul red carpet.
Ruth me lo indica come se non l’avessi già individuato.
Corro quasi nel vederlo, e mi aggrappo a lui come ad un ancora.
Lui mi mette un braccio intorno alla vita e io faccio lo stesso, mettendogli una mano sul petto.
E’ già tutto questo è abbastanza evidente, nessun altro attore del cast fa foto del genere con i propri colleghi. Foto del genere sono riservate a coppie effettive nelle vita reale, e un po’ arrossisco per ciò che sto pensando ma con queste mosse e questo genere di foto ci stiamo dichiarando in maniera implicita.
Mi ritrovo a guardare verso una parte e lui con me, poi a volte ci ritroviamo a guardarci senza davvero farlo apposta, per poi ritrovarci a ridere mentre i fotografi scattano foto su foto nella quale io cerco di cambiare posizione per renderle diverse. Cerco di tenere gli occhi aperti nonostante i numerosi flash che ci sovrastano.
Sono un immensità di attimi di luce di fronte a noi.
Dopo una sessione durata una cinquina di minuti possiamo andare, siamo liberi.
Lui fa scivolare via la mano dal mio bacino e raggiunge la mia mano, trascinandomi nella folla come poco prima.
Siamo dentro il teatro finalmente.
E finalmente un po’ di pace.
Tiro un sospiro di sollievo appena ci fermiamo.
‘Sei stata grandiosa’, esordisce lui.
‘Vuoi la verità? E’ successo tutto così in fretta che tranne per le foto non ricordo più nulla’.
Lui ride a quell’osservazione e non fa altro che adularmi.
 
La serata continua in teatro dove Adam ed Edward ci chiamano sul palco uno ad uno, e tra quelli ci sono anche io, anche se avrei preferito essere altrove, tra le poltrone a guardarli.
Loro hanno insistito.
‘Anche il tuo personaggio è parte integrante della storia ora, devi salire’, hanno detto quasi in coro e Colin ad accompagnarli in quell’incoraggiamento.
‘Sei di parte tu, e lo sai!’, gli ho bisbigliato mentre andavamo.
Adam ed Edward chiamano tutti sul palco ed è inutile anche solo immaginare la mia agitazione, credo che oggi stia raggiungendo il suo limite.
Colin è subito prima di me, entra sul palco con il suo solito sorriso che è un colpo al cuore e con le mani in tasca, dopodiché viene annunciato il mio nome.
Riuscirò a muovermi? Faccio un lungo respiro e mi faccio forza.
La gente urla, io voglio scappare.
Entro e sfoggio un gran sorriso e un aria rilassata che non ho per niente mentre gli altri applaudono.
E tra fan, party e premiere la premiere continua.
La serata che tanto mi preoccupava termina, quando torniamo in albergo la prima cosa che faccio è sfilarmi l’abito e lanciare quei tacchi infernali che mi hanno massacrato per tutto il giorno.
Quando cammino scalza per la suite mi sembra di rinascere.
‘Io ancora non capisco come facciate ad indossare quei cosi’, fa lui gettando la tessera magnetica sul tavolino all’entrata e indicando le mie scarpe.
‘E non lo saprai mai, né di questo né di altro che affligge la vita di noi povere donne. Cosa siamo disposte a sopportare anche per voi!’. Prendo il grande maglione che ho lasciato sul divano nel pomeriggio e lo indosso prima di mettere definitivamente il mio pigiama. Ora sono troppo distrutta per muovere anche solo un arto in più perciò mi butto sul divano giusto il tempo di riprendere le forze necessarie a compiere gli ultimi passi necessari al resto della serata.
Ride e si siede accanto a me, con il busto rivolto nella mia direzione a diventare spettatore del mio post serata, catturando ogni piccolo frammento di me, con il braccio appoggiato sullo schienale e una mano che gli sorregge la testa mi guarda quasi come se io fossi il suo spettacolo o la sua partita di baseball.
Mi accovaccio in un angolino del divano, incrociando le braccia al petto e lo fisso stanchissima con le palpebre che vanno giù pesanti.
‘Ora il sol pensiero di alzarmi e struccarmi mi distrugge. Vorrei essere già a letto’, dichiaro flebile. Continua a fissarmi, in modo intenso e preso, oserei dire che potrebbe perforarmi il cuore, e sorride con un mano appoggiata sulla fronte ora,  come se si divertisse e nella mia solita insicurezza che mi contraddistingue, mi mette a disagio. Mi imbarazzo perché penso che sia lì a fissare quel dettaglio fuori posto che io non capto e mi copro il viso con le mani per evitare che continui.
‘Oh, Col! Lo so che a fine serata sembro uno scempio.’, dichiaro stizzita.
‘Scempio? Chi ha parlato di scempio?’, fa lui ironico.
Sbuffo e mi alzo, decisa a camminare dritta in bagno, farmi una doccia e poi ripresentarmi a lui quando sarò decisamente più …  più normale ecco.
In un gesto repentino, della quale mi accorgo appena, lui mi afferra il polso facendomi voltare su me stessa e mi ritrovo incollata nei suoi occhi, mentre lui è lì e continua con lo stesso sguardo intenso di poco prima, sul divano, che è capace di mandarmi al rogo come Esmeralda nei suoi tempi più bui.
‘Dovrei chiamarti Frollo, lo sai?’, annaspo mentre il suo respiro mi è addosso.
Lui mi guarda divertito ora. ‘E perché mai?’.
‘Mi stai mandando al rogo’. Gli dico puntualizzando il suo sguardo. Lui inizia a guardarmi con fare furbo alzando un sopracciglio ancora più divertito da quella visione che gli ho appena dato della situazione e mi sorride, avvicina il suo viso al mio e mi dà un bacio sulle labbra, un altro, ed un altro ancora, e lo so che sta cercando di ridurmi del tutto in cenere, mi lascio andare definitivamente come sua vittima e lo trattengo il più possibile perché non ce la faccio più. Con le mani gli accarezzo dolcemente il collo e finisco sui suoi capelli, ancora perfetti e per nulla fuori posto, mentre lui è lì a godersi l’intera situazione che si è creata.
Mi prende per i fianchi e di peso mi mette in braccio a lui, avvolgo il suo bacino con le gambe e metto le braccia intorno al suo collo. Le ho desiderate per tutto il giorno e non so quante volte mi sono trattenuta, mordendomi il labbro per reprimere quel desiderio malsano lì, di fronte a tutti.
E’ un bacio passionale, che mi toglie il fiato e mi restituisce vigore, lui mi stringe ancora più forte annullando ogni più piccolo spazio che intercede.
I nostri bacini si toccano e i nostri baci diventano quasi famelici e infuocati. Non riesco a staccarmi da lui.
Le sue mani sono sulle mie gambe, le accarezza dolcemente mentre mi bacia dimentico assolutamente chi sono e da dove provengo, le mie origini e tutto il resto, inizio a dipendere unicamente da lui. Mi estranio dal mondo, lo lascio fuori e siamo solo noi su quel letto ormai. Lui non va oltre, non ancora, si limita ad accarezzarmi le gambe, poi va più su sposta di poco il mio maglione e fa lo stesso con i miei fianchi e la schiena, fino alle spalle ed i capelli.
Mentre le nostre labbra sono totalmente attaccate l'una all'altra, incapaci davvero di scollarsi e riprender fiato blocco il bacio, lo guardo e cerco di riprender fiato per riferirgli ciò che sto per dirgli.
‘Non ho intenzione di lasciarti, non ho intenzione di sentire di nuovo la tua mancanza nemmeno per un secondo. Non voglio che il tuo corpo stia lontano dal mio per tanto tempo, insieme ai tuoi sorrisi e ai tuoi occhi, tu sei la mia casa e se non siamo insieme io non sono nessuno.’, gli rivelo con il respiro affannato che ancora cerca di riprendersi del tutto da quei occhi che mi entrano dentro l’anima. ‘Ho deciso che dovunque andrai in quei tre mesi oltre le riprese ti seguirò a ruota, perché non voglio porre più alcuna distanza tra noi, è una vita che siamo rimasti lontani.’.
 ‘E se ti dicessi che anche io voglio stare con te dovunque andrai? Non sopporterei nemmeno un istante senza te, non più. Sono troppo abituato a te ormai e non ho la minima intenzione di vivere senza te al mio fianco, non ce la farei a svegliarmi da solo ogni mattina, senza sentire il tuo corpo accanto al mio, o il tuo respiro durante la notte, senza il tuo corpo da abbracciare e i tuoi capelli che ogni tanto mi ritrovo in viso’. gli tiro un colpo sul petto ma, prima che lo sfiori, afferra la mia mano mi tira verso di se, mi dà un bacio sulle labbra e poi si allontana. ‘Dovunque tu andrai, io andrò anche se dovessi decidere di restare a New York o in Italia.’.
‘Beh, passeremo anche in Irlanda, mica ti voglio rapire e toglierti ai tuoi genitori. E poi li devo ancora conoscere’, gli ricordo.
‘E io devo conoscere i tuoi’. Prendo il suo viso tra le mani e lo bacio prima che possa dire altro, lo bacio perché sono stanca di aspettare, posa una mano sul mio fianco e mi accarezza piano cercando di tornare a ciò che aveva iniziato poco prima e che io ho interrotto.

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Capitolo 11
*** 11. SURPRISE! ***


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11. SURPRISE!
 
Ed eccoci al capitolo 11. E’ passato un po’ di tempo dall’ultimo, ma mi ci è voluto un po’ per svilupparlo tra impegni e altro.
Vi dico solo che la mia mente è andata a briglia sciolta con questo nuovo capitolo, quindi scusatemi sin da ora se sarà tipo un papiro, il mio problema è che quando elaboro non riesco a fermarmi.
Detto ciò mi fermo già oggi, facendovi notare solo che dopo un po’ di tempo ho voluto cambiare la copertina della storia e spero che gradiate anche questa.
Spero come sempre che il capitolo vi piaccia e aspetto recensioni e pareri in merito.
 
 


  E’ Domenica mattina.
Il sole nel cielo è già alto ma io non riesco per nulla a svegliarmi, con un occhio semiaperto vedo la sveglia segnare le 10.35. E’ tardi lo so, ma continuo a rimuginare nel tepore di quelle coperte al caldo.
Siamo a Novembre e qui a Vancouver le temperature iniziano a farsi del tutto rigide e a volte insostenibili. Solo ieri c’erano tre gradi fuori, e nonostante non sia un tipo decisamente freddoloso per la prima volta mi sembra di percepire i suoi effetti fino alle ossa, ci sono momenti in cui non riesco nemmeno a pensare o a muovermi tanto dal freddo che sento. E le temperature non accennano ad alzarsi. Fortuna che amo il freddo, penso, anche se così rigido non l’avevo mai vissuto.
Non ho nessuna voglia di alzarmi, se potessi resterei a poltrire tra quelle coperte per tutta la giornata, e mi consola il fatto che sia domenica e che quindi sia un opzione fattibile e realizzabile perché non ci sono riprese, ne allenamenti, ne nulla che mi porti fuori casa.
Protraggo una mano, ancora ad occhi chiusi, verso il lato destro in cerca del suo corpo, del suo calore, delle sue mani ma niente. Non c’è, deve essere di là, anche se non sento granché, e mi chiedo come mai si sia alzato così presto dato che anche a lui, dopo una settimana di lavoro estenuante, piace stare un po’ di più.
‘Col?’, fiato con voce afona e ancora impastata, ma dubito che mi senta e che ci sia. Cerco di sentire se è in bagno, ma niente.
Sbadiglio copiosamente e mi rigiro aprendo gli occhi per constatare un segno e dandomi la forza di rialzarmi.
Ieri sera siamo stati fino a tardi sul set. Le riprese si sono prolungate più del dovuto per vari imprevisti e si è perso il senso del tempo.
In special modo quelle di Killian, quelle di Esmeralda erano terminate già da un paio d’ore per quel giorno. Trish si era offerta di accompagnarmi a casa, ma non l’ho fatto e ho preferito attenderlo in roulotte credendo che lui facesse presto e che io avrei potuto reggere, e nella mia ingenuità avevo deciso di aspettarlo accovacciata sul divano di fronte al camino. Mai scelta fu più sbagliata.
Mai e poi mai darmi un divano comodo e un camino quando sono reduce da ore interminabili di riprese e allenamenti e prove e tanto altro, perché inevitabilmente cado tra le braccia di Morfeo, e così è successo.
Sono giorni che non dormo come si deve. Da come dice Colin la notte non faccio altro che agitarmi e chiamarlo nel sonno, non capisco molto il perché ma è così e non ho poteri sul mio inconscio, oppure non dormo proprio assumendo le fattezze di uno zombie che va avanti a forza di caffè e che gironzola tra le varie camere e set.
Sarà per quello che forse non dormo?
Mi metto a pancia in su, cercando di identificare il posto in cui mi trovo. Sono nel mio appartamento o nel suo? Perché se mi trovassi nel mio mi spiegherei la sua assenza.
Strabuzzo ancora un po’ gli occhi cercando di abituarmi a quella limpida luce che timida e lieve entra dalla finestra, attraverso le tende, invadendo la stanza.
Una camicia, le solite foto sulla scrivania; C’è ne una nostra che abbiamo messo da poco in una cornice. E’ stata la prima foto che abbiamo fatto insieme dopo appena una settimana che ci eravamo conosciuti e abbiamo voluto incorniciarla come un segno di un inizio di tutto, poi lo stereo e le mie cose sparse un po’ ovunque. Come sempre.
Sono nel suo letto, nel suo appartamento. Ormai vivo più qui che nel mio alloggio che è di fronte e lui più volte mi ha proposto di trasferirmi in modo da stare definitivamente insieme, ma io voglio fare le cose con calma pur vivendo già lì, tutti i giorni, praticamente, e la cosa non ha molto senso.
Guardo la sveglia cercando di dare un senso a tutto.
E quella giustamente non mi attende, va veloce, per i fatti suoi. Le 10.50.
Mi chiedo se Colin non abbia fatto la stessa fine di Hook e sia stato rapito e legato da qualche parte, sorrido da sola a quel pensiero.
Dovrò mica andare a salvarlo?
Mi alzo infine ancora di malavoglia, e ancora ad occhi chiusi raggiungo il bagno lì accanto per farmi una doccia con l’intento di risvegliarmi definitivamente, una volta per tutte.
Mentre sono sotto l’acqua, intenta a distaccarmi da tutto e tutti come sempre in questi casi completamente presa e distaccata e del tutto vuota e lontana sotto quel getto d’acqua bollente quasi fossi in un altro mondo, sento il mio telefono che prende a squillare insistentemente e non fa altro che continuare a suonare e suonare imperterrito.
Chiunque sia ha un tempismo perfetto. Sbuffo leggermente irritata.
E la cosa mi snerva.
‘E’ tua madre!’, fa Colin in risposta a qualcosa che io ho solo pensato.
Inizio a credere che mi legga nel pensiero, e sono felice di constatare che è in casa. Non l’ho perso, non dovrò andare a salvarlo.
Sorrido.
‘Appena esco la richiamo.’, urlo per sovrastare l’acqua che mi scende addosso e mi riscalda ridandomi vigore.
Ho un freddo assurdo addosso stamattina.
‘Col?’ lo chiamo e attendo una risposta, ma nulla. Stamattina è altrove con la testa e con il corpo.
Quando esco mi avvolgo nel suo accappatoio, decisamente più grande di me ma fa niente. Il mio è nel mio appartamento e potrei anche portarlo qui, ma adoro le sue cose e ne approfitto quando posso, anche se lui direbbe che lo faccio sempre perché praticamente gli sto rubando tutto, come ha detto lui nemmeno due giorni fa.
Ti pare giusto che tu possa metterti la mia roba, e io non possa mettere la tua? Non mi sembra equo. Ha esordito cercando una delle sue camicie.
 
Mi friziono i capelli e cerco di dargli una forma umana e accettabile, ma niente con i miei capelli riccissimi è sempre guerra aperta, non stanno mai come voglio che stiano, sembra di lavarli con una bomba anziché con uno shampoo apposito. Li guardo e riguardo come se con lo sguardo potessi cambiarli in qualche modo ma nulla, e alla fine opto per una coda.
Indosso qualcosa, e con il telefono in mano mi avvio in cucina.
Un sacco di messaggi, una numero indefinito di tweet, notifiche su facebook e whatsapp e una decina di chiamate. Mi sembra di essere sommersa e credo che ora tutti mi daranno per dispersa, specie mia madre della quale trovo sette chiamate perse.
Mia madre e la sua immensa e inesorabile preoccupazione.
Mentre mi avvio ancora con gli occhi sul display un messaggio su twitter mi colpisce l’anima: ‘Today I want to thank you all random events of time, space, biology and chemistry that led to the birth of @vanessa_g. #lightofmylife Happy Birthday my love’. – Colin o’donoghue.
Resto interdetta per un paio di secondi strabuzzando gli occhi e chiedendomi se non sono ancora in preda al sonno. Mi fermo incredula a ciò che ho appena letto.
Possibile che sia vero? L’ha scritto davvero lì? In modo pubblico? Così? Light of my life. My love catturano la mia attenzione più di tutto il resto.
Mille domande mi ballano in mente.
E’ impazzito?
Tutte quelle parole, quelle stupende parole.. sono per me e io non ci credo del tutto.
Ho un sorriso stampato in volto che quasi rischia di non starmi dietro.
Non ci credo. Non posso crederci.
Apro la porta, che nel frattempo ho raggiunto senza nemmeno badarci, di scatto con la voglia inaudita di vederlo e chiedergli spiegazioni, così da credere che non sia un fake ad aver scritto tutto quello, o che non siano allucinazioni quelle che mi indicano un messaggio in bella vista su twitter che parla di me.
Lui è di là, verso la cucina, di spalle intento a far qualcosa.
‘Col?’, lo chiamo con voce tremante intrisa di un emozione che non riesco a contenere del tutto, mentre vado verso di lui.
Lui è di spalle oltre il bancone che divide il salone dal piano cottura ed è intento a far qualcosa anche se non capisco bene di che si tratti. Sul ripiano c’è qualcosa su cui sta armeggiando, mi sporgo per vedere di cosa si tratta ma lui è un passo avanti a me e si volta piano e con estrema cautela mi presenta la sua elaborazione: Una torta di pan di spagna al cacao ricoperta da un sottile strato di zucchero a velo e delle ciliegie candite tutte intorno si manifesta davanti ai miei occhi. Deduco l’abbia fatta lui, non perché abbia qualche difetto. Quella prelibatezza in effetti è il suo totale riflesso per quanto è perfetta e unica nei dettagli, ma i suoi polpastrelli sono intinti della stessa tinta dello zucchero a velo che decora la torta e su cui ha scritto ‘Happy Birthday to my love’.
‘Tutta la frase del tweet non ci stava’, mi dice guardandomi quasi a giustificarsi. E mi sorride, con quel sorriso che è la principale causa della decelerazione del mio cuore in ogni istante in cui me lo dedica.
Io sono ancora lì, incapace di muovere un arto di fronte a tutte le sorprese che mi sta facendo. Ho ancora il telefono in mano e la stessa espressione di quando ho letto il tweet che va sempre di più ad estendersi di fronte a tanta meraviglia e attenzioni che mi sta dando. Non sono mai stata così felice in vita mia. Ogni attimo, da quanto le nostre vite si sono incrociate è stato un crescendo di emozioni e sensazioni e pur guardandomi indietro, ora, oltre alla sofferenza di quei mesi per quella decisione palese che mi si mostrava davanti non posso non dire che lui è la miglior cosa che mi sia successa, e questo evento tra molti altri non fa che ricordarmelo.
Poggia la torta sul ripiano e si avvicina.
‘Auguri amore mio!’, e mi bacia mentre io sono ancora del tutto assente a rimuginare su quegli eventi, su quei pensieri, a renderli reali ai miei occhi.
Lui mi fissa nella mia incredulità e sogghigna divertito.
‘Dì la verità: E’ un sogno, vero?’, dico ancora esterrefatta mentre mi stacco piano dalle sue labbra. Lui scoppia in una risata fragorosa vedendomi in quelle condizioni. ‘Cioè tutto questo è un sogno, e tu’, lo indico e incontro i suoi occhi cerulei in cui manca poco e mi perderò. ‘Non puoi essere reale’.
Mi prende il viso tra le mani. ‘Io e tutto questo siamo reali, ed è tutto per te. Per l’amore più grande che la vita mi abbia donato da un anno o poco più e che da un po’ di mesi a questa parte è diventato ancora più reale per me e mio finalmente.
‘Ti avevo detto che non volevo facessi nulla…’, ho una mano sul suo petto e lo fisso, ormai persa.
‘E dimenticare un giorno così importante?’ dice con tono fintamente severo e con sguardo corrucciato. ‘Non l’avrei mai sopportato’.
‘Io mi chiedo cosa abbia fatto per meritarmi un uomo meraviglioso come te al mio fianco’, e mi sposto verso di lui legando le mie braccia dietro la sua schiena e alzando il capo per fissarlo meglio.
Io sono decisamente bassa in confronto a lui, il mio metro è sessantatre è niente in confronto al suo metro e settantanove.
‘Mmh, ci poniamo gli stessi interrogativi io e te, vedo’. E scoppiamo entrambi in una leggera risata.
Sorride sincero carezzandomi la fronte e i capelli prima di lasciare un dolcissimo bacio sulle mie labbra.
Mi incollo a lui godendomi quel regalo che la vita per prima mi ha fatto, e continuo a baciarlo lasciandomi andare in quel caldo abbraccio in cui mi sta avvolgendo e lasciando che le nostre lingue si divertano un po’ insieme.
'Van.. vuoi che ti dia il tuo regalo subito o ce la fai ad arrivare a stasera?’ dice staccandosi leggermente, ancora contro le mie labbra.
Ogni volta, mi interrompe per cose di poco conto.
'Sssh' lo zittisco immediatamente, tirandolo di nuovo a me e annullando di nuovo quella minima distanza a cui mi induce e continuo nel mio intento fino, quasi, a divorarlo in quella passione finché non vengo interrotta dal suono molesto di qualcuno che è fuori dalla porta.
Qualcuno sul pianerottolo sta facendo un gran baccano chiamandomi a gran voce.
‘Cosa è stato?’ chiedo staccandomi da Colin bruscamente.
‘Cosa?’ bisbiglia contro la mia pelle, mentre inveisce sul mio collo e oltre. Non si è accorto di nulla. Mica ora sento anche le voci?
‘C’è qualcuno fuori la porta..’
‘Oh, non è niente. Io non ho sentito niente..’ dice e riprende a baciarmi tirandomi a sé. Ma io non ci riesco proprio a concentrarmi con qualcuno che mi chiama, e mi stacco. ‘Qui fuori c’è qualcuno.’ Gli indico trascinandolo con me per mano, per il corridoio che porta all’ingresso. Da dietro la porta, attraverso lo spioncino, scorgo una figura longilinea che va bussando alla porta di fronte. Quella del mio appartamento.
E’ di spalle ma per un momento mi viene in mente lei.
E’ stata qui il mese scorso dopo le telefonate un po’ strane che le avevo fatto e aveva conosciuto Colin. Possibile che fosse tornata e non mi avesse neanche avvertito?
Guardo Colin sovrappensiero e del tutto sgomenta, senza che lui capisca granché di ciò che mi frulla in testa. Mi riserva uno sguardo vago.
Mi allontano dalla porta lasciandolo lì e vado in cerca del telefono che era rimasto sul bancone.
Il telefono non mi parla di lei, nessun messaggio da parte sua.
‘Chi è?’ sussurra Colin guardandomi in quei gesti strani.
“VAAAN! VAAAAAANESSAAAAAA!”, una voce stridula sorpassa la porta e mi entra nei timpani insieme ad un bussare ripetuto e forzato che continuava a dare su quella porta.
E’ lei. Ormai non vi erano più dubbi.
‘Ash?’ esclamo aprendole la porta.
Quella si volta tutta rossa in viso, abbastanza confusa, guarda prima la mia porta poi quella da cui mi sono affacciata.
‘Cioè io sono qui da mezz’ora a bussare e tu sei lì?’, fa stizzita. ‘Fareste meglio a trasferirvi insieme voi due. Così mi confondete!’.
Rido e vado ad abbracciarla forte così da superare il malinteso, ma Ash non è il tipo che tiene il broncio per sempre, ormai la conosco. Le basta un abbraccio ed è pronta a sorvolare sui rancori.
‘Auguri tesoro mio!’, fa con voce squillante e con un sorrisone enorme.
‘Grazie’, sussurro imbarazzata, come sempre, stringendola forte.
Colin prende la sua valigia salutandola di sfuggita mentre siamo ancora strette in quell’abbraccio, sciolto quello la invito ad entrare anche perché fuori si gela.
‘Certo che voi due non capite il senso delle parole Non voglio che facciate nulla. Eh?’, dico indicandoli e chiudendo la porta.
Loro si guardano.
‘Ma io non ho fatto mica nulla’, fa Colin con aria innocente. ‘Una torta non è chissà cosa’.
‘Ah, non avrai detto anche a Colin di farti nulla per questo compleanno?’, dice ammonendomi con lo sguardo e mettendo le mani sui fianchi a mo’ di rimprovero.
‘Lo sai come sono..’, lascio intendere. Cioè ormai mi conosce da vari anni, dovrebbe saperlo che non amo le attenzioni, nemmeno al mio compleanno.
‘L’ha fatto!’, incalza lui di spalle, tradendomi, così che non lo possa vedere in viso e non lo possa trucidare con gli occhi.
Gli lancio uno sguardo assassino, anche se non può vederlo.
‘Sei la solita!’, fa Ash, scuotendo la testa divertita da quel mio solito comportamento che ormai le è familiare. ‘Menomale che non stiamo a sentirti’. E si rivolgono uno sguardo complice.
Incrocio le braccia e metto il broncio come una bambina.
‘Siete cattivi con me’, faccio fintamente irritata.
Scoppiamo a ridere poco dopo.
‘Ah, non è nulla di fronte alla cattiveria che ti sto per propinare ora..’. La guardo impaurita mentre lei mi siede accanto. Ho sempre timore delle sue macchinazioni mentali perché ormai la conosco da anni e so come lavora il suo cervello e quanto lei lo ascolta. ‘Purtroppo, o per fortuna, dipende dai punti di vista, ho preso il primo volo e prima non ho avuto il tempo di prenderti un regalo’.
‘Quindi?’, la invito a continuare.
‘Quindi ora usciamo e ne andiamo a prendere uno’ Fa tutta contenta, mentre a me cade il mondo addosso.
Sgrano gli occhi. Non può essere.
‘Mi stai prendendo in giro..’, fiato con voce incolore.
‘Assolutamente no!’, dice radiosa e raggiante annullando tutte le mi speranze che fosse uno scherzo. Conoscevo quello sguardo, quel guizzo nei suoi occhi, ed era quello che mi aveva propinato più volte nella nostra amicizia, quando io esamine, il più delle volte, cercavo di declinare un suo invito. Quando si metteva una cosa in testa era difficile scollarla.
‘No Ash, ma non ce n’è bisogno, a me basta la tua presenza’, dico cercando di persuaderla nel rinunciare a quell’idea malsana che le è venuta.
‘Non attacca!’, dice lei perentoria incrociando le braccia al petto in modo da non dibattere oltre.
Guardo Colin in cerca di aiuto, ma quello lo fa apposta a non guardarmi. Guarda dappertutto tranne dove sono io.
‘Ma Ash, fuori si gela!’, la prima scusa.
‘Ci copriamo’, controbatte lei determinata nella sua idea.
‘Ash, è stata una settimana piena, non ce la faccio nemmeno a mettere il naso fuori e a stare in piedi’. Seconda scusa.
‘Per una volta farai eccezione’, continua imperterrita.
E’ un osso duro.
‘Ash, è il primo compleanno che passo qui con Colin, e voglio passarlo con lui.’, mi gioco la carta di Colin sperando desista nel suo intento. ‘ E non fraintendermi, sono contenta che tu sia qui con me nel giorno del mio compleanno, così festeggeremo tutti e tre insieme, ma voglio passare la giornata con lui e con te qui, in casa nel dolce far nulla. E’ questo il regalo che puoi farmi’. Termino.
‘Ma nemmeno per sogno. Non esiste che passi il giorno del tuo compleanno come il resto dell’anno, e lo sai quanto odio non portare nulla ai compleanni, specie quelli delle persone importanti per me. E poi a lui va benissimo, vero Colin?’, imperversa sicura cercando il suo consenso voltandosi verso di lui.
Lui si volta, stavolta mi guarda, ci guarda. Lo fulmino con gli occhi.
‘Per me va benissimo, ma stasera è tutta mia!’, allude buttandomi nel baratro e facendomi l’occhiolino divertito, probabilmente, dal programma serale.
Mi arrendo alzando le mani e mantenendo la calma. Mi alzo dal divano su cui siamo sedute, simulando tranquillità.
‘Come posso piacevolmente notare sei tornata a rompere le cosiddette Ash’. Quella lo prende come un complimento, come sempre.
‘Per me è un piacere’, controbatte entusiasta.
Non la scalfisco nemmeno un po’.
‘E riguardo a te’, lo indico. ‘ Tra noi finisce oggi’, enfatizzo andando verso la camera da letto e chiudendo la porta alle spalle.
Li sento scoppiare a ridere fragorosamente, e sorrido.
Non c’è cosa più bella di avere due delle persone che amo di più qui con me in questo giorno.
                                                                                                                                                           
Alla fine ci accordiamo affinché io ritorni per le 18 con la mia rapitrice.
E’ da quando la conosco che è solita fare questo genere di cose e non mi ci abituerò mai davvero.
Ashley è così, impulsiva e un po’ matta che pur di creare qualcosa di speciale è capace di sacrificare tutto ciò che ha in programma, stravolgerlo e arrivare al suo obiettivo, anche all’ultimo momento e senza dir nulla alla diretta interessata stravolgendo anche i suoi programmi.
Per tutto il tempo non facciamo altro che girovagare per negozi in cui nemmeno Ash sa cosa prendere, quindi non fa altro che farmi provare vestiti su vestiti senza che io abbia la minima voglia di farlo e, molte volte, l’idea di cosa mi stia davvero facendo provare.
Ho la mente altrove. Ci sono fisicamente, ma mentalmente mi ritrovo da tutt’altra parte, accovacciata al caldo in pigiama davanti alla tv e con lui.
Mi sembra di essere una barbie nelle sue mani, mi prende, mi gira e mi fa provare qualsiasi cosa le piaccia per poi mirare e rimirare le sue opere e darmi un verdetto definitivo, in cui tu speri che ciò che hai addosso la convinca così da porre fine a quella lenta agonia per tornare a casa invece di ibernare all’aperto.
‘Secondo me questo ti sta bene’, fa contemplandone uno. ‘Mmh, questo contrasta troppo sulla tua pelle scura’ sentenzia per un altro. ‘Qui c’è qualcosa che non mi convince’, si porta una mano sotto il mento a mo’ di pensatrice e cerca quel qualcosa che non le quadra con il tutto, mentre io fingo quel minimo di entusiasmo necessario a renderla felice. E se molte volte piace a me qualcosa lei cerca di persuadermi dal non prenderlo e sembra proprio che lo faccia di proposito per non farmi tornare a casa, ma lo ritengo impossibile.
In camerino riguardo l’orologio sul display, per la dodicesima volta nell’ultima ora, e quelle lancette non accennano ad accelerare il loro movimento quando lo desideri, si piantano e stanno lì immobili a segnare le 16.19.
Sbuffo cercando di sopportare quella parte di giornata non programmata.
In altri giorni, probabilmente, non mi sarebbe dispiaciuto tutto questo, anche perché le giornate con Ashley sono sempre gradevoli e divertenti, trovo sempre la scusa di acquistare ciò che voglio con una personal shopper come lei che mi consiglia in tutto, ma in quella giornata che doveva essere il mio primo compleanno con Colin, proprio non riesco a farmela andare giù ma lei non lo nota, o più probabilmente fa finta di non notarlo.
Appena mettiamo piede fuori è un completo gelo, come avevo previsto, nevica in modo leggero e noi non facciamo altro che cercare il fatidico regalo introvabile e perfetto secondo Ash, quando io il regalo perfetto l’avevo trovato già un paio di ore prima. Prima della sua irruzione in quella domenica tranquilla e rassicurante con una torta da divorare in due.
Tremo come una foglia, nonostante il mio giubbino sia abbastanza pesante.
‘E Paul?’, le chiedo mentre camminiamo per le vie, tanto per distrarmi e per non dar peso al freddo che sento.
‘Ah… eh… Paul dici? E’ rimasto ad LA per alcune faccende.’, dice in maniera fuggente spostando poi l’attenzione su altro. ‘E quell’abito? Secondo me ti starebbe benissimo’, esclama incrociando le mani e sfoggiando un espressione degna di manga giapponese dall’emozione indicando un abito un po’ lungo in una vetrina, tutto completamente nero con qualche richiamo in oro.
Faccio una smorfia di disapprovazione, non mi entusiasma più di tanto.
‘Ma Ash, è da oggi che giriamo, abbiamo comprato il necessario e abbiamo girato mezza Vancouver. Sto congelando e sono quasi le 18. Torniamo a casa?’, la imploro tremante cercando di dissuaderla.
Ho il freddo che rapido si insinua nei muscoli e nelle ossa.
Lei mi guarda rammaricata, l’entusiasmo nei suoi occhi svanisce ed è tipo un cucciolo bastonato a quelle parole. ‘Ma non ti ho preso nulla!’, dibatte con il broncio degno di una bambina.
‘Non fa niente, dico davvero. Mi basta la tua presenza, e tu sei qui con me in questo giorno invece di fare altro, e non c’è nulla di meglio’, le dico con un gran sorriso per farle capire che sono sincera.
Mi abbraccia e si rassegna all’evidenza, anche lei vicina all’ibernazione.
‘E va bene, andiamo a casa.’
 
Appena arriviamo alla mia palazzina scendiamo e corriamo ai ripari dalla neve che inizia a cadere più fitta e decisa ad attecchire, sono stanchissima e non vedo l’ora di rientrare perché sto davvero morendo di freddo.
‘Puoi dormire nel mio appartamento, stasera.’, le riferisco mentre lei è al mio seguito e abbiamo appena varcato la soglia del pianerottolo. Lei annuisce del tutto assente, chissà in quale mondo per accorgersi anche delle parole che le ho riferito, è incollata al suo telefono ed è tipo ipnotizzata. Le faccio il verso ma nulla, è del tutto preso da ciò che sta scrivendo.
‘Stai scrivendo a Paul?’, chiedo e la risposta è un mistero. Mi pianto davanti a lei e le sventolo una mano davanti agli occhi, lei sembra rinvenire del tutto frastornata. ‘Stai scrivendo a Paul?’ ripeto ora che mi presta attenzione.
‘Ah, si si’, recita con troppo entusiasmo, non ci bado, non ora almeno che non vedo l’ora di salire, mettermi al caldo e stare con lui. ‘La neve, il freddo. Ora che arriviamo ci piazziamo al camino con una bella cioccolata fumante.’ Continua lei avanzando il passo dato che ora siamo quasi arrivate al mio pianerottolo.
Apro la porta del suo appartamento per prima perché è dove l’ho lasciato e data l’ora credo che mi stia aspettando. La serratura scatta, la porta si apre ma all’interno è tutto buio pesto, a tentoni cerco di trovare l’interruttore per visionare la stanza che ho di fronte, l’accendo e non c’è nessuno al suo interno.
Guardo Ashley stralunata cercando di capirci qualcosa, lei dal canto suo fa spallucce.
‘Col?’, lo chiamo cercandolo nell’altra stanza, ma nemmeno l’ombra. Non è una casa maestosa, ci sono a malapena quattro stanze in tutto, perciò non ci vuole molto a capire che se non è lì, è altrove, ma dove?
‘Dove diavolo è finito adesso?’ chiedo più a me stessa che ad Ashley che mi è accanto.
‘Prova a chiamarlo no?’
Prendo il telefono in mano, digito il suo numero e invio la chiamata.
Uno squillo. Due squilli. Tre squilli.
Ehi amore.
‘Mi spieghi dove sei?’, esclamo leggermente alterata.
Sei già tornata? E mi sembra leggermente spaesato nel pormi quella domanda.
‘Col, sono le 18. Mica ti disturbo?’, faccio ironica.
Sono nell’altro appartamento con Josh alla play. Non portare avanti i tuoi sospetti. fa lui beffardo, capendo l’antifona. Ne esco più sollevata.
‘Arrivo’.
Spiego ad Ashley dove si trova e mi avvio con lei al mio appartamento.
 
Appena apro la porta dell’altro appartamento, mi blocco e resto ferma lì come un ebete.
La scena che mi si para davanti è pari all’inimmaginabile e quasi credo di stare sognando per davvero. Magari sono svenuta per il freddo da qualche parte o magari sono ancora nel letto e tutto ciò che ho dinanzi lo sto solo immaginando da un bel po’. Una luce soffusa in quell’oscurità lo illumina rendendolo ancora più bello ai miei occhi. E’ dinanzi a me, con la chitarra e appena mi vede varcare la soglia intona ‘Happy Birthday’ cambiandone le parole per me e aggiungendo il mio nome in quella sinfonia.
E potrebbe sembrare la più banale delle canzoni, ma in quel momento, in quel preciso momento è la più bella che io abbia mai udito.
Io nel frattempo ho assunto l’espressione più ebete che ci sia, lo sento.
Sono a metà tra tutto.
Sento l’emozione che mi invade, delle lacrime solcano le guancie offuscandomi la vista e pronte a cadere, un groppo in gola enorme, e tremo tutta perché non mi aspettavo nulla del genere.
‘Auguri amore mio!’, fa avvicinandosi porgendomi le mani, metto le mie sulle sue e mi tira su. Mi abbraccia, forte e quell’abbraccio sembra attraversare anche l’anima, e io ricambio facendo altrettanto nascondendogli il fatto che io sia completamente in lacrime a ciò che ha fatto. Mi ha presa alla sprovvista e sono del tutto paralizzata, in lui e in quell’abbraccio cerco un appiglio per calmarmi. Mi solleva di qualche centimetro da terra senza alcuna fatica. Respirare il suo profumo è così bello, e finisco per baciargli il collo sussurrandogli un ‘Tu sei completamente pazzo’ con un filo di voce.
‘Di te e solo di te’, mi mette giù e mi porta verso di se dandomi un bacio, poi un altro e un altro ancora e io riprendo, come sempre, nella mia malsana voglia di volerlo ma devo stornarmi quando ricordo che Ash è dietro di me in quel momento e ci fa da spettatrice. Mi stacco da lui, mi mordo le labbra trattenendone il sapore e tossisco imbarazzata guardando in direzione di Ashley.
Nemmeno il tempo di riprendermi da quel momento, che la luce si accende e la stanza è un tripudio di gente che fino a qualche momento prima ha fatto da spettatore alla scena. Ne esco ancora più imbarazzata
Resto a bocca aperta mentre un AUGURI enorme si eleva dalla moltitudine di gente che è lì, con lo sguardo scorro su tutti i visi di tutti i presenti in sala. Ci sono tutti, ma proprio tutti. Tutto il cast, parte della produzione e anche alcuni tecnici. E nella fila dietro la prima ci sono anche Adam e Edward.
Tutto il cast di Once è presente in casa mia e mi fissa applaudendo per non so cosa esattamente. C’è anche Kristen che mi sorride e mi fa una smorfia alzando i pollici in contemporanea, perché immagina il mio disagio e il mio impaccio in quel preciso istante e mi vuole infondere coraggio, e Nikki che non vedevo da tantissimo e che saluto impacciata, e vicino a loro spicca Paul e io lo fisso incredula arrivando a capire il trucco, cosa si cela dietro la sua presenza: Ashley mi ha mentito.
Per tutto il tempo ha continuato a tenermi lontana dagli appartamenti cosicché io non capissi la sorpresa che c’era sotto, a stare al telefono in continuazione e ad essere vaga. Le ho chiesto di Paul e mi ha detto che era ad LA impegnato in altre faccende mentre invece era suo complice insieme a Colin. Mi volto verso Ashley e la punto con gli occhi svelandole di avere scoperto tutto e lei spalanca le braccia in segno di resa capendo ciò che ho intuito.
E’ lei sempre lei l’artefice di tutto. E’ lei che insieme a Colin ha organizzato tutto questo, e probabilmente è anche lei la mente di tutto.
‘Ti odio’, le mimo fintamente arrabbiata.
‘E’ sempre un piacere tesoro!’, fa lei facendomi una smorfia e sgattaiolando tra le braccia di Paul che l’attendeva.
‘Tutto bene?’, fa Colin sussurrandomi all’orecchio in quel frastuono fatto di applausi e voci che sembrano interminabili. Ho brividi appena il suo caldo respiro entra a contatto con la mia pelle e s’infrange su di me. Il cuore a mille.
‘Mmh sto bene’ rispondo.
‘Sei sicura? Sei un tantino agitata.’, fiata perlustrandomi in volto.
‘Sono un po' imbarazzata, credo, sai che non amo essere al centro dell’attenzione... Ma sto bene davvero, siamo tra amici dopotutto.’ Gli sorrido stringendo la sua mano e facendogli capire che non sto mentendo.
La serata procede come dovrebbe, così mentre gli altri sono intenti a fare altro approfitto di un momento per andare in camera a cambiarmi. Ho quel maglione da tutto il giorno e sento semplicemente la voglia di cambiarlo. Entro in camera e opto per una canotta bianca e una camicia semplice da mettere sopra, in casa fa abbastanza caldo e così mi sento decisamente meglio.
Quando torno Colin mi aspetta appoggiato alla porta a braccia conserte e quasi mi spaventa. Sobbalzo.
‘Potevi entrare mica ti mangiavo’, scherzo rimirandolo e indicandogli la camera.
‘Mmh, non ci giurerei dato il bacio di prima’, fa lui scaltro alzando un sopracciglio e indicando qualcosa di astratto, cercando di alludere qualcos’altro. Sorrido e abbasso lo sguardo per non cedere alla tentazione, non ora che c’è gente in casa, perché se non fosse per quello sarei già altrove a riscuotere il regalo promesso quella mattina. Mi mordo le labbra, fino quasi a torturarle definitivamente quel giorno, e scaccio quell’impulso irrefrenabile che mi prende ogni che mi si presenta così.
‘E comunque complimentoni. Non ho idea di quando vi siate messi d’accordo ma tu ed Ashley me l’avete proprio fatta direi! E ad Ashley ci sono abituata, ma a te no. Davvero complimenti.’
‘In verità mi ha chiamata lei un paio di settimane fa avanzando l’idea di questo piano. All’inizio ero un po’ restio alla cosa perché sapevo tu non volessi nulla di maestoso ma lei mi ha assicurato che ti sarebbe piaciuto e mi sono fidato. Mi pare che voi due siate grandi amiche, ma non mi sembra tu ne sia pienamente entusiasta…’, lascia intendere aggrottando la fronte in una smorfia ed è come se i suoi occhi si spegnessero a quella deduzione.
‘Ashley lo fa per me, perché ci tiene e vuole farmi sentire bene in queste cose, e non pensare che non apprezzi perché non è così. Non voglio che lo pensi nemmeno per un momento, ciò che hai fatto per me stasera è stata la cosa più bella di sempre. Ho apprezzato ogni singolo dettaglio, ma sarà che io e lei siamo totalmente diverse: avrei preferito una cosa più riservata e intima solo con te, anche la cosa più banale e-‘
‘Sei delusa?’
‘Assolutamente no!’, scuoto la testa atterrita da quel suo pensiero, non voglio dargli quell’impressione, gli vado incontro e prendo la sua mano. ‘Non sono affatto delusa. Ti ho detto che cosa avrei preferito e non che non lo sto amando. Dimmi che non ti sto dando quest’impressione perché può essere la stanchezza e l’imbarazzo del momento ma mai al mon-’, non mi lascia finire e mi zittisce con un bacio dal quale non so resistere. Mai.
‘Suvvia Colin ma lasciala in pace questa povera ragazza. Stasera è la festeggiata e non puoi tenerla tutta per te. Vi appartate dopo’. Io arrossisco di colpo e mi stacco sentendo e vedendo Josh che ci ha beccati.
‘Non pensi mai sia io il povero ragazzo? Potrei anche esserlo!’, ritira lui mentre gli passiamo accanto.
‘Ma smettila un po’!’
Ed entrambi scoppiano a ridere come dei bambini, e io mi ritrovo complice di tutto questo.
‘È inutile che ti nascondi, stasera non ci scappi per nulla’, scherza Nikki prendendomi sotto braccio e trasportandomi altrove. ‘Per questa sera la Regina sei tu’, fa Lana avvicinandosi e ponendomi una corona in testa. ‘E ringrazia che è domenica, altrimenti avresti dettato legge anche sul set’, fa lei strabuzzando gli occhi con complicità.
‘Stile Evil Queen? E’ un peccato che sia domenica’. Pondero prima di scoppiare in un immensa e sonora risata con loro, mentre tutti gli uomini sono poco più distanti da noi, immersi nei loro discorsi, seduti in parte sui divani di casa. Colin mi lancia un occhiata dal suo posto quasi ad accertarsi della mia presenza, ancora una volta, quasi a vedere il motivo della mia risata e dal suo posto ride con me nel vedermi.
Era sempre così con noi, era un continuo cercarsi a vicenda quasi ne avessimo il bisogno fisico, quel bisogno di assicurarci che eravamo entrambi lì, e caso voleva ci cercassimo allo stesso ritmo e cadenza perché non facevamo altro che incrociarci, non so quanto casualmente dopotutto. Il nostro era stato un continuo scambio di sguardi sin dagli inizi in cui ci limitavamo a qualcosa di più fuggente e mesto, entrambi incapaci di esprimere ciò che sentivamo nascere in noi, giorno dopo giorno.
‘Su dai apri i regali adesso!’, fa Emilie tutta entusiasta.
Spalanco gli occhi incredula alle sue parole.
‘Ci sono anche i regali?’, quella fa cenno di sì con un sorriso enorme stampato in volto.
‘Che festa di compleanno sarebbe senza regali Van?’, interviene Ginny porgendomi il suo.
‘Ma non dovevate, seriamente’.
‘E’ solita farlo’, asserisce Ash di fianco a me. ‘Ma ora non fare la modesta’.
‘Mi fai sembrare una cretina che lo dice apposta senza pensarlo davvero’, dibatto io dedicandole uno sguardo accusatorio.
‘E tu lo sai che sei la mia scema più bella di sempre?’, e sfoggia un sorriso enorme a cui non posso resistere ulteriormente. L’abbraccio forte.
Il pacchetto che mi porge Ginny  da parte sua e di Josh è la causa per cui vado in iperventilazione e quasi non respiro. ‘Tiffany, sul serio?’, faccio stupita. Loro di fronte a me sono soddisfatti del risultato che vedono sul mio volto. All’interno ci sono alcuni orecchini di perla da cui io non riesco a riprendermi davvero, in tutta risposta a un simile regalo li abbraccio entrambi balbettando un ‘Grazie’ che ne esce strozzato.
Resto sconvolta da tutto l’affetto che mi circonda e mi rendo conto di quanto sono fortunata ad avere quell’enorme famiglia intorno a me in questo momento.
Negli altri pacchi da scartare trovo altre cose come maglioni, orologi, album, libri e barbie. Perché ormai anche loro sanno la mia passione sterminata, e anche un po’ malata, per quelle dolls che da vari anni colleziono.
Ero rimasta davvero di stucco. Tutto era davvero troppo per me e non lo dicevo per modestia, ma perché era ciò che sentivo.
‘Ragazzi, non so come ringraziarvi! Tutto questo non era necessario”. Ripeto diverse volte, ma tutti mi dicono di non preoccuparmi. Colin in tutto questo è accanto a me ad osservare ogni mia minima espressione e a condividere il tutto con me.
E non potrebbe esserci serata più perfetta, sono sopraffatta da tutto ciò che quasi non mi rendo conto di come passi veloce la serata e di come già stiamo andando verso la mezzanotte.
‘Vanessa! Vieni a spegnere le candeline prima che scocchi la mezzanotte!’ grida Ashley prendendomi per un braccio a trasportandomi al tavolo senza darmi nemmeno il tempo di ragionare su cosa stia succedendo davvero.
Poco dopo sono davanti quella torta rotonda, completamente rosa. E' una torta diversa da quella che ho visto stamane tra le mani di Colin e deduco l’abbiano comprata. Ventiquattro candeline sono tutte là, sparse qua e là a spiattellare i miei anni e tutti sono davanti a me e cantano ‘Happy Birthday’, Josh riprende tutto con la telecamera come prima con i regali mentre io sprofondo nella mia inquietudine profonda come quando ero piccina di fronte a quella situazione. Cerco Colin nuovamente con lo sguardo e lo trovo poco più in là a fare lo stesso che fanno gli altri, gli intimo di avvicinarsi perché non voglio compiere gli anni da sola e lo voglio accanto.
Si avvicina e con una mano mi avvolge i fianchi mentre l’altra la unisce alla mia destra.
‘Esprimi un desiderio prima!’, urla qualcuno che non so distinguere. E che potrei desiderare di più mi chiedo. Che altro c’è nella mia vita che non sia magnifico come ciò che ho intorno e soprattutto come ciò che ho accanto? Niente. Non ho nulla da desiderare perché con lui i miei desideri si sono avverati tutti e non potrei desiderare altro che una vita serena con lui perché lui è il desiderio e il regalo più grande che mi si poteva dare, anche se… qualcosa da desiderare in fondo, in fondo c’è.
Prendo un bel respiro e spengo le candeline lasciando che la mia mente sussurri ciò che desidera nel contempo e non lo rivelo.
Il suo viso è sul mio che mi fissa sorridente e orgoglioso e gli do un bacio leggero, come a consacrare ciò che ho pensato, ciò che ho desiderato.
Sono le due e mezza di notte quando la stanza inizia a svuotarsi della gente che c’è al suo interno, la mattina seguente è di nuovo giorno di riprese e non so come ne uscirò. Ashley si prodiga nel ripulire il tutto insieme a Paul, Nikki e Kristen mentre io mi faccio avanti perché non voglio facciano altro per me quella sera.
‘Tu domani hai le riprese Van’, mi intima Ash mettendomi le mani sulle spalle per fermarmi. ‘Non ti devi preoccupare di nulla, ci stiamo offrendo noi qui. Ora tu vai di là con Colin e ti riposi dopo l’infinità di emozioni provate oggi, di qua pensiamo a tutto noi’.
‘Siete sicuri?’, rincaro di nuovo, non convinta.
‘Ma sì, non ti devi preoccupare e poi ne approfittiamo per stare un po’ insieme dato che sono mesi che non ci vediamo come si deve’, mi tranquillizza Kristen. ‘Non vogliamo che tu sia uno zombie domani’.
Alla fine accetto la loro idea e le saluto rifilandomi nell’appartamento di Colin, dove mi aspetta il regalo migliore e più atteso di tutta la serata: lui.

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Capitolo 12
*** 12. ... E sono un imbranato. ***


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POV. COLIN
16 gennaio 2014


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‘Un americano, per favore’, chiesi gentilmente alla commessa dello Starbucks quando arrivò il mio turno.
Dopo una notte di riprese e un nuovo giorno che doveva ancora iniziare, ero del tutto distrutto. Mi ero catapultato fuori dal set appena mi era stato possibile, ancora vestito da Killian Jones con solo una giacca a fare la differenza: eravamo a gennaio e fuori si gelava, e tutto per un caffè che mi rianimasse e mi risvegliasse.
Avrei finito nel primo pomeriggio dopodiché sarei tornato a casa e mi sarei buttato a letto, definitivamente, anche se quella mattina eravamo in netto ritardo.
Un vento insistente e abbastanza furioso imperversava sulla piccola cittadina canadese di Steveston bloccandoci nelle riprese.
I tecnici non si azzardavano a montare nulla, e Steveston era ancora Steveston per così dire.
Per precauzione, avevano detto, non potevamo girare alcuna scena ed era, anche per questo che noi tutti eravamo stati bloccati insieme in quello che era il set di Granny’s, dove avevamo provato e riprovato alcune battute e scene attendendo il via per le riprese ma erano le 10, e ancora quel vento non accennava a calmarsi e noi non accennavamo a girare. Fu anche per questo che stizzito, ad un certo punto, non ce la facevo più in quella continua attesa. Avevo preso la mia giacca e mi ero recato in caffetteria per riprendermi al meglio e per cambiare aria almeno per un po’.
Mi sembrava di soffocare.
Tutto era troppo statico e stantio ed io avevo seriamente bisogno di una pausa momentanea che mi ridesse la giusta carica.
Mi passai una mano sulla tempia, esausto cercando di non pensare davvero a nulla, ma nemmeno il tempo di farlo davvero e il telefono prese a squillare.
La tranquillità non faceva per me, a quanto pare!
‘Colin? Dove sei? Ti stiamo cercando.’
‘Sono andato un attimo da Starbucks, avevo bisogno di… staccare. Sono iniziate le riprese?’, domandai.
‘No, no per quelle ci vorrà ancora un po’.’ Ruotai gli occhi, ancora più stanco all’idea. ‘Ci chiedevamo però se potessi venire qui nell’ufficio di Edward. Dobbiamo presentarti una persona.’, aveva esordito Adam.
‘Umh, certo Adam. Il tempo di finire il caffè e sono subito lì.’ avevo risposto più per riflesso che per logica.
E fine della pausa, dissi tra me.
Chi mi sarei dovuto aspettare? Pensai mentre ritornavo sul set, in direzione dell’ufficio di Edward. La mia mente era puntata verso quella persona che mi attendeva e non riuscivo a schiodarmi da questo.
Camminavo pensieroso tra le vie non rendendomi conto di quello che mi era accanto quasi. Eppure non ci avevo mai pensato.
Pur avendo conosciuto molta gente nuova al set non mi ero mai sentito così… agitato e in fibrillazione. Era come se fossi sulle spine, e camminavo a passo affrettato per raggiungere la destinazione.
Almeno finora non era mai successo che di essere chiamato per qualcuno sul set, e se era successo non mi era successo di essere così agitato almeno, e la cosa mi suonava nuova perciò, del tutto abbastanza strana e bizzarra.
Forse era per quel vento che non accennava a diminuire, ponderai.
Sarà forse che era perché ero sul set di già quando accadeva? Probabile! In fondo era anche successo in passato che ci chiamassero per conoscere i nuovi attori che sarebbero entrati a far parte del cast, ma era insieme a tutti gli altri, mai solo. Ma chiunque fosse non poteva aspettare prima di conoscermi perché tutta questa impellente urgenza? E se non fosse stata una nuova aggiunta ma qualcun altro? Nessuno mi aveva specificato nulla al telefono. Era questo che non riuscivo a spiegarmi e su cui continuavo a meditare imperterrito.
‘Puoi far sapere ad Adam che sono arrivato?’, dissi a Trish con un gran sorriso appena arrivato nell’edificio lì vicino.
‘Certo Colin!’, disse lei ricambiando il sorriso e arrossendo.
Attesi alcuni minuti lì davanti a quella porta, senza sedermi. Se mi stavano attendendo non credo ci sarebbe voluto molto e poi l’ansia non me l’avrebbe permesso.
Il tempo di guardarmi intorno e Trish uscì dalla stanza facendomi cenno di entrare mentre teneva la porta dell’ufficio aperta.
‘Ehi Edward, Adam!’, dissi salendo quei pochi gradini con un gran sorriso mentre avanzavo verso di loro.
Un rapido abbraccio, un saluto e via così.
‘Scusaci tanto se abbiamo disturbato e sconvolto il tuo momento di pausa, non abbiamo avuto modo di avvertirti prima.’ Si giustificò Edward.
‘Nessun problema, figuratevi.’
‘Col, ti abbiamo chiamato qui perché volevamo presentarti un nuovo membro che entrerà a far parte del cast.’, disse Edward invitandomi a guardare qualcuno accanto a lui che si era appena alzato dalla poltrona su cui era seduto fino a poco prima.
Una ragazza minuta e bassina, dalla pelle piuttosto scura mi si presentò davanti con un gran sorriso luminoso e raggiante.
Appena incrociai il suo sguardo feci lo stesso e dentro me qualcosa si mosse in modo inspiegabile. Senti una strana sensazione invadermi.
‘Io sono… Colin’, mi presentai quasi balbettando e me ne restai sorpreso lasciando che uscisse una voce un po’ strana mentre le tendevo una mano.
‘Vanessa, piacere mio’, disse con voce lieve e delicata e io in quei frammenti di vita non feci altro che osservarla attentamente. D’un tratto era come se una luce abbagliante e poderosa fosse su di lei, quasi ad indicarmela e per vari attimi ne restai incantato.
Appena le nostre dita si sfiorarono e in quella semplice stretta di mano convenevole, sentii una scossa e non potei non avere un fremito.
Non aveva quella sicurezza e quella spavalderia che avevo visto molte volte in altre attrici, non sembrava affatto a suo agio lì, sembrava piuttosto non appartenere a quel mondo piuttosto agitata quasi sembrasse terrorizzata da qualcosa o da qualcuno, quasi fossi io. E no, non era il freddo che batteva fuori, ma era in preda a una perfetta miscela di eccitazione e timore che mi colpì.
Mi domandai scrutandola nei dettagli che ruolo avrebbe potuto prendere nella serie: Il suo incarnato rasentava quasi il color caramello, e i suoi occhi pur essendo splendenti e vivi, erano visibilmente di un colore scuro, di un colore che non riuscivo a decifrare al meglio, e i suoi capelli pur essendo coperti da un cappello appena adagiato erano neri come la pece. E nel mentre di tutto questo mi fermai a constatare quanto fosse magnificamente bella in ogni minimo dettaglio e inspiegabilmente mi ritrovai a sorridere di quella visione quasi meravigliato.
Quasi non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso, ero come imprigionato in quella visione, accorgendomi solo dopo di quanto la cosa dovesse sembrarle maleducata.
Mi concentrai su Edward, per distrarmi, per ritornare in me perché non capivo cosa mi stesse accadendo e mi concentrai sulle sue parole.
‘Bene Colin, Vanessa interpreterà Esmeralda ed entrerà a far parte delle riprese e tutto il resto tra due settimane. In queste due settimane che precedono dovrete lavorare sul vostro rapporto, perché logicamente non vi conoscete. Affinché Esmeralda venga fuori al meglio nella serie dovrete lavorare molto sul vostro rapporto, anche perché Esmeralda e Killian sono molto uniti e non vi dico altro al momento. I copioni e i tratti di tutto ciò ve li fornirò nei prossimi giorni se tutto andrà bene tra voi, e non dico di unirvi alla stessa maniera, ma di rafforzare il vostro rapporto conoscendovi in modo da non sembrare forzato agli occhi degli spettatori’. Impartì Adam.
‘In poche parole se non c’è alchimia tra voi non si va da nessuna parte, perché sarà tangibile sullo schermo e non ne uscirà nulla di buono. E Colin questo lo sa ormai. E’ tutto nelle vostre mani quindi ora’. Continuò Edward. Annui con la metà di me lì presente.
E ora che il suo personaggio mi era stato rivelato potevo vederla meglio in lei. Come avevo fatto a non pensarci?
Era perfetta per quel ruolo.
Lei se ne stava lì, un po’ in disparte, del tutto impacciata ma concentrata.
‘Quindi Col, dato che hai lavorato anche abbastanza questa notte e il tempo è quello che è, purtroppo, perché non ne approfitti per iniziare questa cosa? Tutto dipende da voi!’, incitò Adam nuovamente guardando entrambi. Il mio sguardo si posò su di lei.
‘Se a te va bene io direi di sì.’ Confermai cercando il suo consenso.
Non so se fu perché si sentì osservata tutta a un tratto, fatto sta che tornò alla realtà come risvegliata da un sonno profondo, disorientata e ancora incosciente cercando di capire ciò che le stava accadendo intorno e cosa avevamo detto.
‘Cosa?’ chiese ritornando alla realtà e guardando nei miei occhi sospettosi. ‘Ehm, scusami, ero distratta..’ cercò di rimediare scuotendo la testa.
Era chiaro che non aveva seguito una virgola del nostro discorso e non potei fare a meno di chiedermi a cosa stesse pensando. Cosa la stava preoccupando? Perché era così agitata da quest’incontro?
‘Ho detto che se vuoi possiamo andare a farci un giro adesso, così per conoscerci. Se per te va bene..’
‘Prima è meglio è’ incalzarono i due che mi erano accanto fissandola.
Lei di tutta risposta annuì questa volta. ‘Certamente, per me va benissimo.’ E un sorriso la ravvivò.
Quella ragazza era davvero particolare, aveva quel non so che in qualche modo riusciva ad intrigarmi. Non riuscivo ancora a capirla, non la conoscevo per giunta ma mi affascinava e per la prima volta morivo dalla voglia di conoscerla meglio.
Le nuvole prima pesanti, grigie e piene si diradarono lasciando il posto ad un sole splendente. Il vento si calmò notevolmente.
La mia giornata era decisamente cambiata.
Per tutto il tragitto fino alla mia roulotte, tranne qualche parole di circostanza, era stata del tutto silenziosa. A volte pensavo fosse un illusione che qualcuno mi fosse accanto. Ogni tanto buttavo un occhio su di lei per osservarla persa nei suoi pensieri e non potei fare a meno di incrociare i suoi occhi un paio di volte. Chissà a cosa stava pensando? Continuai a chiedermi.
Non so per quale reale motivo ma avevo davvero voglia di sapere cosa la turbasse, ma nonostante fossi un attore, le prime volte mi riusciva difficile relazionarmi ai nuovi, in verità la maggior parte delle volte non mi interessava granché, ma con lei.. con lei era diverso e niente era uguale.
‘Posso offrirti un caffè?’, chiesi gentilmente accogliendola nel mio alloggio.
‘No, no grazie, ma il caffè proprio non mi piace.’ Disse mentre prese posto sul divano.
‘Oh beh, allora non andremo molto d’accordo io e te!’, sparai per alleggerire la tensione che sentivo vorticare nell’aria.
Si concesse una risata anche se contenuta. Era totalmente distaccata e sfuggente anche ora. Forse non mi sopportava, arrivai a pensare. Forse si aspettava qualcun altro, forse nemmeno lei sapeva con chi avrebbe avuto a che fare e questa era la sua reazione ancora in fase di elaborazione, forse mi odiava per giunta. Tutto era possibile, anche se non mi spiegavo il perchè. In fondo non ci conoscevamo per niente però, io non sapevo niente di lei, e lei non sapeva niente di me e a quel punto non riuscii a trattenermi.
‘Non mi sembri molto convinta..’, notai avvicinandomi per sederle accanto sul quel divanetto.
‘Su cosa?’, domandò lei confusa.
‘Su questo. Cioè non ti vedo molto a tuo agio, e se sono io ti prego di dirmelo perché davvero non voglio farti sentire a disagio. Non ti hanno mica costretta a farlo?’ osservai infine.
‘Ti prego davvero di scusarmi, è che tu ci creda o meno questa è la mia prima volta in tutto questo. Non mi sono mai trovata a fare niente di tutto ciò, pur conoscendo l’ambiente e tutto il resto. Non ho mai fatto nulla del genere in prima persona, e ora mi sento un po’… a disagio ecco.’ Ammise con un certo imbarazzo abbassando la testa di lato mentre di certo moriva dall’imbarazzo. Se non fosse stata di carnagione scura avrei potuto giurare che stesse arrossendo, ma la sua pelle era come uno scudo. Uno scudo che teneva celate le sue emozioni e sensazioni. A molti probabilmente tutto quello sarebbe passato inosservato, mentre io no, riuscivo a percepirlo totalmente. La conoscevo da poco, ero io stesso il primo a rendermene conto, eppure mi sembrava di conoscerla da sempre, e non era una di quelle frasi fatte. Ogni cosa di lei mi attirava a sè, potevo percepire ogni cosa. I suoi occhi erano il suo specchio e io non facevo altro che osservarli attentamente.
‘Cioè non hai mai recitato?’, chiesi io forse con troppa enfasi, del tutto stupito.
‘Assolutamente no!’, rise tra lo sconforto e l’ironia. ‘In tutto questo mettici la mia timidezza e potrai avere il resto. E mi dispiace ci sia capitato tu in mezzo, non voglio assolutamente farti fare brutte figure o cose simili. Non sono abituata a vivere in prima persona tutto questo.’ Si mise una mano tra i capelli, spostandoseli, con fare nervoso.
‘Beh, se sei qui un motivo ci sarà.’ Cercai di tranquillizzarla. Non la conoscevo per nulla, eppure odiavo vederla in quello stato.
‘Beh, si penso… Edward e Adam mi hanno fatto un provino e mi hanno trovata perfetta anche se io, ecco.. non mi sento perfetta!’ spiegò.
Mentre io di perfezione ne trovavo davvero tanta in lei, e avrei voluto che mi vedesse davvero con i miei occhi per un minuto, le avrei donato tutta quella sicurezza di cui era priva al momento.
‘Beh, sei qui e se ti hanno scelta un motivo c’è. Adam ed Edward raramente si sbagliano, e poi abbiamo due settimane per provare, vedrò di fare qualcosa anch’io.’
‘Sei troppo gentile, davvero, ma non voglio prenderti tempo.’
‘Non mi prendi assolutamente tempo e comunque dobbiamo conoscerci no?’Annui e la vidi rilassarsi.
Poteva un incontro avvenuto per giunta in uno dei giorni non migliori cambiarti la giornata in maniera così drastica? Poteva una persona qualsiasi incontrata per la prima volta entrarti nel profondo così velocemente, entrare in ogni fibra e in ogni attimo dandogli un senso? Poteva una persona cambiare la tua vita? Sembrò che lei ne fosse in grado e a quei pensieri, e a quelle sensazioni che provai in quegli attimi e nei giorni seguenti mi sentì simile ad un adolescente. Potevo chiamarlo colpo di fulmine, era quello o qualcosa di più grande?
Perché non passava attimo, o istante che lei non fosse tra i miei pensieri e la cosa quando mi ritrovavo a pensarci seriamente mi faceva paura.
Amavo ascoltarla, sapere di più su di lei, conoscere ogni piccolo particolare che la riguardasse. Approfittavo di ogni momento di pausa per andare da lei. Conoscerla e scambiare con lei idee, riflessioni e prospettive di vita. Amavo scoprire di avere qualcosa in comune con quella piccola donna che giorno per giorno mi stava alimentando, fino a scoprire che avevamo più cose in comune di quanto immaginassimo avere. Amavo farla ridere, la sua risata era la cosa più melodiosa che riempisse la stanza in quegli istanti e io me ne nutrivo, non saziandomi davvero mai. Amavo riuscire a farla sorridere quando si sentiva un po’ giù, amavo incoraggiarla quando non si sentiva sicura imparando, con il tempo, che era un suo tratto innato. Sentirsi meno degli altri: meno brava, meno simpatica, meno talentuosa, meno coinvolgente e meno bella di chiunque altro.
Mentre io di tutto ciò non vedevo nulla.
Iniziavamo a conoscerci, ad andare oltre quel compito che ci era stato assegnato ed entrare l’uno nella vita dell’altro in maniera più fitta e tutto fu semplice. Ci incontravamo al pomeriggio e pian piano lei con la sua timidezza che avevo imparato anche ad adorare, e la sua semplicità diventarono il mio pane quotidiano. Vivevo in funzione di quei momenti, e in poco tempo l’alchimia tra noi fu estremamente palese e indiscutibile anche agli occhi degli altri, ci cercavamo entrambi anche quando non eravamo sul set.
Pian piano in tutto questo, si fece spazio nel mio cuore acquistando un vero e proprio posto e oscurando tutto il resto: per me c’era solo lei e nessun altra valeva di più.
Il più delle volte durante le prove, tra gli altri, mi ritrovavo ad osservarla da lontano fino a perdere il senso dello spazio e dimenticando tutti gli altri che vi erano intorno. Il più delle volte lei alzava lo sguardo e mi ritrovava a fissarla come un ebete. Ma lei non sembrava curarsene e mi sorrideva divertita, a volte salutandomi per farmi intendere di avermi beccato. Io salutavo di rimando del tutto imbambolato. A volte mi chiedevo se si accorgesse di tutto quello. Se fosse consapevole di ciò che mi stava facendo.
Se fosse consapevole di ciò che mi aveva fatto.
Mi resi conto pian piano di iniziare a provare qualcosa in più per quella ragazza, qualcosa che andava oltre il rapporto di lavoro, oltre l’amicizia che era nata sin da subito, oltre il nostro stare insieme e non sapevo se potevo definirlo al cento percento ‘amore’. Dio, che parola enorme pensai.
Era quello con cui potevo definire il mio sentimento?
La batosta perciò arrivò quando scoprì che era felicemente fidanzata. Sentii una fitta enorme ma non lo diedi a vedere e continuai morire in silenzio.
L’argomento venne fuori quasi casualmente, non mi ricordo nemmeno come eravamo arrivati a quella rivelazione quanto lei se ne uscii dicendo con un certo orgoglio e una viva luce negli occhi: ‘Eh si, sono fidanzata.’ Rimasi senza parole a quell’ammissione, incapace anche solo di pensare. Fu un dolore che arrivò in pieno petto all’improvviso e avrei dovuto sbrigarmi ad inventare qualcosa, da dire qualsiasi cosa o avrebbe capito il mio totale sconcerto e viva delusione quando lei non aveva nessuna vera colpa. Feci un sorriso forzato e fingendomi interessato alla cosa gli chiesi: ‘Da quanto tempo?’, rigirando il coltello nella piaga.
‘A maggio sono sei anni!’, fece lei con un sorriso.
Ed eccola quella fitta. Era lì, pronta a riversarsi su di me, pronta a infierire in pieno sbattendomi in faccia la cruda realtà. Sei anni. Erano sei anni dannazione!
Come potevo competere con sei anni? Era ridicolo anche solo pensarci. Aveva un ragazzo. Come poteva non averlo dopotutto? Come avevo potuto metterlo in dubbio anche per un secondo?
Avrei dovuto dimenticarla, sigillare in una parte di me ciò che sentivo per lei e trattarla come tutte le altre, per quello che era: un ennesima collega con cui mi ritrovavo a lavorare, un amica con cui condividevo tutto… anche le cose più recondite e nascoste del mio essere, ma più ponderavo su quegli intenti, più le trovavo ingiuste. Lei era molto più di tutto quello, come potevo stargli lontano? Stargli lontano, o anche solo provarci, sarebbe stato più che altro un dolore fisico che non potevo e non volevo sopportare e non l’avrei mai fatto.
E perciò continuavo a starle accanto come un masochista che sa a cosa va incontro ma non molla, più che altro non potevo fare altrimenti. Decisi di accettare le cose anche se era difficile, davvero difficile, specialmente quando eravamo insieme e lei rideva e mi sorrideva in quel modo che mi faceva tremare il cuore e io restavo a fissarla come l’unica meraviglia che avessi mai visto al mondo.
Non potevo mettermi in mezzo pensavo quando ritrovavo un po’ di sana lucidità. Resta al tuo posto Col. Mi ripetevo imperterrito quando il cuore superava i battiti consentiti e quando una voce sadica nella mia testa mi incitava ad andare oltre.
‘Col, tutto bene?’, disse lei una volta prendendomi una mano che istintivamente presi a stringere nella mia senza nemmeno accorgermene realmente.
Eravamo seduti su alcune poltrone e stavamo leggendo i nostri copioni. Io mi ero immerso nei miei pensieri, lei se n’era accorta.
‘Tutto bene.’ Mi limitai a dire con un sorriso lieve. Lei annui poco convinta, ma lasciò cadere.
Avrei potuto evitarla. Evitare tutto di lei, ma come si faceva? Non era tecnicamente e fisicamente possibile. Eravamo sempre insieme, in un modo o nell’altro. Il giorno sul set e la sera a cena e anche quando eravamo nel week end non facevamo altro che incontrarci per prendere qualcosa insieme come se non potessimo fare a meno dell’altro. Come se da soli non ce la facessimo. In qualche modo non riuscivamo a star lontani l’uno dall’altro per tanto tempo.
Lei mi chiamava e io rispondevo e volavo da lei appena mi era possibile.
A volte mentre mi perdevo in lei mi chiedevo cosa sarebbe successo se le avessi detto che dietro i miei silenzi, dietro i miei sorrisi, dietro i miei sguardi molte volte c’era la voglia disperata di farla mia, di dirle tutto: parola per parola. Sentimento dopo sentimento. Cosa sarebbe successo se le avessi rivelato i miei sentimenti?
Eppure non potevo. Non era il caso. Lascia stare Col! Mi ripetevo. Non metterti in mezzo. Sono sei anni. Lascia perdere. Ma come si fa a lasciar perdere quando non fai altro che vivere di lei?
Così mi crogiolavo nel mio dolore e nel mio masochismo.
Non facevo altro che pensarla, anche quando non eravamo fisicamente insieme lei era lì, nei miei pensieri, sempre imperterrita a ricordarmi che non riuscivo a muovere un passo senza averla accanto mentalmente. Era frustrante. Era forse colpa mia se quella ragazza mi attraeva ogni giorno di più e io non potevo farne a meno?
A volte cercavo di convincermi che era davvero una ragazza come tutte le altre, che non c’era motivo di star male per lei. Esci! Vai fuori, in un bar e incontra qualcuna. Mi ripetevo, ma niente. Che forse là fuori ce ne erano anche di più carine, più belle, più… qualcosa insomma! Ma poi tornavo in me, ai miei pensieri e… insomma chi prendevo in giro? Cercavo di convincermi per non pensarci, e inconsapevolmente mi ritrovavo a pensarla ulteriormente.
Quando poi c’era lui in giro, sul set, le cose andavano peggio. Cercavo di essere me stesso, o comunque sforzarmi di essere migliore di ciò che volevo essere, di presentarmi nel miglior modo possibile a quell’estraneo ma non ci riuscivo. Anche il solo il sentirlo nominare, vederlo girovagare, creava in me una sorte di ripugnanza e avversione. Quasi odio. Odio perché lui in fondo aveva ciò che consideravo mio e che, a causa di quei sei anni non riuscivo ad avere, il peggio di tutto accadeva quando la baciava con me a pochi passi di distanza. Dovevo stringere i pugni per resistere alla tentazione di indirizzarli verso la sua faccia mentre continuava imperterrito nel suo intento.
Ormai lo consideravo il mio nemico, e non ne avevo nemmeno il diritto, dopotutto cosa c’entravo io? Ma era una cosa che in me nasceva spontaneamente.
In quei momenti mi rendevo conto, ancora di più, della realtà dei fatti: lei era sua e poteva averla in ogni momento mentre io? Io continuavo a morirgli dietro senza alcuna speranza.
‘Ehi, mi dici cos’hai?’ mi chiese un giorno, in un momento di pausa, prendendomi alla sprovvista mentre quasi lo puntavo nell’osservarlo. Lui era lì a un paio di metri di distanza, oltre le telecamere a ridere e discutere con gli autori e io non dovevo avere lo sguardo migliore del mondo probabilmente. Venni risvegliato dal suo tocco lieve sul mio braccio.
‘Che intendi?’, dissi mordendomi le labbra e poggiando l’ennesimo bicchiere di caffè sul tavolino lì accanto.
Con gli occhi mi indicò lo stesso punto che stavo osservando in maniera quasi ovvia. ‘Ti vedo… strano.’ Lasciò intendere facendo spallucce. Aveva notato subito il mio cambiamento, ormai mi conosceva abbastanza bene da percepire i miei repentini cambiamenti d’umore senza sforzarsi ulteriormente. Le veniva naturale, come a me veniva naturale capire i suoi. Con lei non potevo essere mai arrabbiato, freddo o distante. Se ne accorgeva subito e io non sapevo che rispondere. Non ce la facevo. Non potevo dire nulla, dovevo mantenere tutto dentro, per il suo bene. Era più forte di me. Lei era il mio fulcro.
‘Non c’è nulla di strano.’ Mentii sforzandomi nell’indifferenza affinché sembrassi sincero e incrociai le braccia, quasi a tagliarla fuori. Lei sembrava sofferente.
‘Beh, è da tre giorni che ti devi far sentire. Ti ho chiamato l’altra sera, ma hai rifiutato.’ Cercò di dire, e sembrava sforzarsi anche lei. ‘Posso solo chiederti il perché almeno?’
E la guardai negli occhi, come facevo sempre e vidi il mio stesso stato d’animo. Possibile che soffrisse per una mia mancanza? Possibile che sentisse la mia mancanza? mi si chiuse lo stomaco e mi si strinse il cuore. 
Perché? Perché mi chiedi? Perché odio vederti con lui. Averlo intorno rende ancor di più tutto reale e non lo sopporto. Avrei voluto dire.
‘Ehm.. sono stato poco bene.’ Dissi guardando altrove portandomi una mano all’orecchio.
‘Stai mentendo.’ Fece scaltra, fissandomi.
‘Cosa?’ capiva tutto e ne restai sorpreso.
‘Mi hai chiesto di essere sempre sincera con te, qualsiasi cosa accadesse. Qualsiasi cosa provassi. Ti è difficile fare lo stesso con me?’ e mi spiazzò. Ero combattuto se parlare o meno, mentre lei mi guardava fisso attendendo una risposta ragionevole.
‘Ehm.. senti mi dispiace essermi allontanato. Non volevo, ma sono stati dei giorni stressanti e ho voluto.. stare un po’ da solo.’ Lei fece un cenno con il capo simulando un ‘A-ah’ poco convinto.
Sembrava delusa da quella risposta appena offertale, e notai ogni suo minimo cambiamento così come lei aveva notato i miei. Mi chiesi se non volesse sentirsi dire altro in quel momento.
Possibile che…?
 
Quando lui andò via tornammo alla normalità degli eventi, continuando a stare insieme, in modo sempre più costante. Molte volte mi ritrovavo ad ammiccare con lei mentre se ne usciva totalmente imbarazzata e a corto di parole. Tossicchiava qualcosa nel totale imbarazzo e filava a guardare altro. In tutti quei momenti avrei osato dire che era quasi senza fiato, quasi come se anche lei provasse qualcosa e cercasse di trattenerlo. Al ché io me ne uscivo con un ‘Stavo scherzando!’ per stemperare la tensione e tornare alla normalità. Più passavano i mesi, più la vedevo diversa e coinvolta in quella che la gente – e non solo – iniziò a notare, e su cui anche il suo ragazzo iniziava a sospettare facendola stare male. E ogni volta che accadeva e la vedevo distrutta non potevo fare a meno di odiarlo ancora di più. Non sopportavo vederla piangere o star male, nonostante più volte cercasse di restare immobile facendosi forza e chiudendosi in sé stessa, ma io lo capivo quando non ce la faceva più e accorrevo da lei appena scorgevo quel dolore nascerle sul viso. La tiravo per mano nella roulotte che le era accanto e, mentre lei cercava in tutti i modi di allontanarsi per non piangermi davanti con quel senso di pudore di cui a me non importava, l’abbracciavo forte a me fino a sentire sul mio petto i suoi singhiozzi e baciandole i capelli carezzandola per calmarla. Al solo pensiero mi si chiudeva di nuovo lo stomaco e mi si stringeva il cuore.. Lei continuava a ribadirgli più volte che eravamo solo amici fino a quando smise anche di dirlo, ormai stanca di dover cercare il suo consenso. Qualcosa stava per cambiare. Qualcosa era cambiato, e lei con me era diventata sempre più titubante, con lui sempre più lontana e distante e con me ancora più vicina: lo sentiva a stento, e quando si sentivano lei sembrava palesemente stufa. Lo percepivo, fu anche per questo che la sera subito dopo il Comic Con, forse anche grazie a qualche bicchiere di birra in più. mi feci avanti con lei prendendola alla sprovvista.
Poco prima in ascensore non avevamo fatto altro che ridere e per tutta la sera non avevamo fatto altro che scherzare, dopo che lei era rimasta tesa, per tutto il viaggio e la permanenza, per l’evento della Con. E tutto era nato da lì probabilmente.
La tirai a me appena fummo in camera. ‘Dimmi che non provi nulla per me.’ Dissi abbracciandola mentre lei mi guardava confusa. ‘Dimmi che quando sei con me non senti il cuore uscirti dal petto e non ti senti morire dentro come sto facendo io.’ Chiarii.
‘Col? Ma cosa…?’
‘La verità è questa. Me l’hai chiesta più volte. Quella di tutti i miei silenzi, di tutte le volte in cui mi hai visto ‘strano’, di tutte le volte in cui mi allontanavo, è questa: Sono innamorato pazzo di te sin dal primo momento in cui hai incrociato i tuoi occhi con i miei. Odio ogni momento in cui ti vedo con lui perché sento che dovrei esserci io al suo posto, odio ogni momento in cui ti senti con lui, in cui lo nomini, in cui pronunci il suo nome anche indicando Bobby, e ti desidero come mai prima d’ora. Desidero diventare tuo, voglio che tu sia mia e ti sembrerà scemo tutto questo ma è così…’ lei si scostò da quell’abbraccio portandosi una mano alla testa come a reggersela.
‘Col ti prego non…’ intrecciai di nuovo una mano alla sua e mi parai davanti a lei. Non avrei mollato perché ormai ero lì, mi stavo dichiarando e le avrei dato il mio cuore.
‘Non cosa? Giuro che se non provi lo stesso non ti assillerò più…’ cercai il suo sguardo, lei mi guardò sospirando combattuta.
‘Colin, ti prego non rovinare tutto questo. Non rovinare la nostra amicizia, io non voglio perderti. Non voglio allontanarmi da te.’ M’implorò.
‘Te lo leggo negli occhi, sulla pelle che per te è lo stesso. Quando ti sfioro, quando ti ho baciata sul set la prima volta, sobbalzi e hai brividi. Anche se non da sempre, ma è così. Non negarlo. Dimmelo e io sarò con te. Sarò tuo, sempre.’
‘Non è così semplice..’ disse mettendomi una mano sul petto per allontanarmi.
‘Lo so che non è semplice. Nessuno ha detto che lo sarà ma lo supereremo insieme. Io e te.’ Incrociò il mio sguardo e mi guardò con occhi languidi. Era combattuta sul da farsi, e speravo con tutto il cuore che cedesse e finisse sulle mie labbra per davvero.
‘Col…’ dibattè lei, ancora, cercando di sciogliere quell’abbraccio in cui la stringevo.
Mi feci più vicino, quasi a un millimetro dalle sue labbra e la vidi avvampare. Come volevasi dimostrare.
‘Non provi nulla?’ le sussurrai fissandola. Sarebbe ceduta, mancava poco e sarebbe ceduta. Lo sapevo, le sentivo il cuore battere all’impazzata e il respiro farsi sempre più corto.
Con le mie labbra sfiorai le sue, e la sentì trattenere il respiro per non cedere, per restare lucida, allora iniziai a baciarla.
Un bacio leggero, due… tre… mentre misurai i suoi respiri, il suo battito, i suoi sguardi. Baci delicati, incerti, insicuri, instabili che cercavano la sua approvazione prima di andare oltre, che non tardò ad arrivare. Iniziò a ricambiare, iniziò a protrarsi verso le mie labbra con determinazione e fu lì che i miei baci si fecero più duraturi e certi. Fu lì che tutto iniziò tra noi.
 
‘Mi spieghi perché mi stai fissando?’ chiede quando incrociai i suoi occhi castani.
E’ avvinghiata a me sul divano mentre io ho un braccio che le percorre la schiena e s’incrocia con la sua mano. La tv di fronte a noi è accesa ma io non ho sentito nemmeno una parola, mi sono perso tra i miei ricordi e i miei pensieri e tutto ciò che ho sempre provato per lei.
‘Cosa?’ chiedo interdetto riprendendomi e sbattendo le palpebre.
‘Mi stai fissando da più di mezz’ora, ho qualcosa che non va? Che c’è?’
Sorrido incapace di abituarmi ancora alla sua immensa paranoia e insicurezza. ‘Stavo solo pensando.’ Spiego carezzandole il viso. ‘Non c’è niente che non va in te, anzi sei perfetta.’
Lei alza ancora di più il capo osservandomi meglio sorpresa da quella mia uscita.
‘Stavo pensando a noi, a come ci siamo conosciuti e al fatto che sin dal primo giorno mi hai cambiato la vita. A tutto il resto che ne è conseguito.’ Chiarisco anche un po’ imbarazzato per avermi fatto cogliere sul fatto. ‘Ne abbiamo passate tante: io da una parte con tutto ciò che mi portavo dentro e tu con tutto ciò che hai passato dopo per stare con me. Non ti ho reso vita facile.’
‘Lo rifarei altre mille volte.’ Asserisce lei sicura. ‘Tu sei la scelta migliore che potessi fare. Ed è vero non è stato facile, ma non c’è nulla di meglio che avere te accanto in ogni mio giorno, perché ti amo’
Allungo una mano e le prendo il viso mentre lei mi dedica un sorriso, che come sempre è il più bello del mondo.
Avvicina il suo viso sfiorando il mio naso con il suo, con le mani nel frattempo afferro entrambi i tuoi fianchi mentre la tiro un po' di più verso di me, come se non fossimo già abbastanza vicini. Lei più scaltra si siede su di me e poggia le sue labbra calde e morbide sulle mie e mi bacia. E io sembro rinascere in tutto quello, quel bacio è il mio respiro, i miei battiti, la mia vita e lei è da sempre la cosa che desidero di più. Il bacio diventa più forte e mentre l’abbraccio ribalto la situazione cambiando posizione e sdraiandomi su di lei. Lei sorride e avvolge la mia vita con le sue gambe mentre le mani si intersecano tra i miei capelli scompigliandomeli, ma dopotutto mi ha scompigliato la vita, che male fanno i capelli? Rido in quel pensiero e lei si ferma ad osservarmi.
‘Che c’è stavolta?’, fa lei fra l’entusiasta e con gli occhi brillanti che sanno di felicità, una felicità che è la stessa della mia.
‘Devo dirti una cosa.’ Dico mentre osservo la sua espressione cambiare.
‘Dimmi tutto.’ Fa quasi preoccupata, e non sopporto vederla corrucciata in chissà quale pensiero così sputo il rospo. Subito.
‘Sei bellissima’ sussurro infine e con una mano le sposto i capelli dolcemente.
Lei rimane sconcertata e finisce per ridere. ‘Era questo che volevi dirmi?’
‘Non posso dire alla mia ragazza che è bellissima?’
‘Si… ma ogni volta che lo dici io perdo un battito non so se te ne rendi conto!’, sussurra senza fiato. ‘E ogni volta che dici mia accanto a ragazza mi sento morire perché ancora non ci credo.’ E scuote la testa incredula.
‘Credici allora, perché io sono tuo e tu sei solo mia.’ E le do un bacio.
‘Tu sei mio. Tutto mio…’
‘Solo tuo.’ Finisco la frase mentre lei mi da un bacio veloce, e un altro, e un altro ancora. Poi si stacca e mi fissa e per un attimo il suo sguardo si spegne e non capisco perché. Abbassa lo sguardo e si guarda le mani che sono a pochi centimetri dal mio petto ora, intrecciate tra loro.
‘Ehi, qualcosa non va?’ le chiedo alzandole il mento.
‘Voglio chiederti scusa…’ sussurra con voce strozzata mentre gli occhi le si velano di leggere lacrime.
‘Per cosa?’
Fa spallucce. ‘Per averti causato dolore, per non aver capito nulla prima, per averti fatto aspettare e soffrire così tanto. Sono stata una stupida.’
‘Basta’. La interrompo prima che vada oltre e si logori in quei pensieri funesti. ‘Niente più scuse. Ormai è tutto passato e ciò che è stato non ha più importanza ora” sussurro aspettando che la smetta di farsi del male perché non ce n’è bisogno, aspettando che confermasse con un cenno dal capo. ‘Ora siamo insieme. Siamo io e te, e il passato non conta.’
Sorride.
‘Tu mi hai travolta e sconvolta. Ho perso la retta via da quando ho incrociato i tuoi occhi per la prima volta.’ dice guardandomi fisso negli occhi compiaciuta quasi.
‘Chi ti dice che non sia questa la retta via?’ chiedo curioso.
‘Oh ma la mia retta via è sicuramente con te, parlo rispetto a prima. A com’era la mia vita prima di te, prima che ti conoscessi, prima che tu diventassi ogni mio giorno, ogni mio sorriso e ogni mia gioia immensa, perché questo sei e tu non puoi sapere l’amore indescrivibile che provo per te. Il trovarmi ogni giorno accanto a te, abbracciata a te. Sei la più bella cosa che io abbia, sei la mia casa, il mio rifugio e ti amo talmente tanto che anche dirti ti amo non mi sembra esaustivo. Le cose sono state difficili e seguire la via che abbiamo intrapreso è stata tortuosa e difficile ma non potevo ignorare quello che sento per te, non potevo stare lontano da te. E nel mese in cui siamo stati lontani ne hai avuto la prova. Ho voluto seguire quel sentiero diverso.. con te e sono sempre più felice di dove mi stia portando.’
Mi apro in un sorriso a quelle parole, a quella rivelazione e mi accorgo ancor di più di quanto mi ritrovi in lei e con lei. I nostri occhi brillano all’unisono e s’incatenano come i nostri cuori.
Lei era la donna della mia vita e non avevo dubbio alcuno su questo.
‘Ti amo, e sappi che dentro c’è un enorme sentimento.’
Ti amo anche io Colin O’Donoghue.’
 
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