Il Marchese e la Lady

di jess87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Eccomi qui con il mio primo tentativo nel scrivere una fanfiction. Non so come sarà, francamente, mi è venuta di getto. Si tratta di una Alternative Universe, in pratica di una storia in cui Oliver e Felicity sono in un mondo diverso da quello che conosciamo. Mi piace immaginarli in diverse situazioni o ambientazioni che non siano quelle tipiche dello show. Spero vi piaccia. I commenti sono sempre graditi ;)

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Lady Felicity Smoak si era sempre sentita orgogliosa di essere la più logica e intelligente delle quattro sorelle Smoak. Non era mai stata una combina guai come Thea e Sin. Nè era diventata bella come Sara. Ma era sempre stata logica e intelligente come suo padre. O meglio, lo ERA stata fino a che non aveva incontrato un gentiluomo che le aveva riempito le orecchie di complimenti e l’aveva gentilmente spinta a dimenticarsi chi era in realtà.

Felicity osservò il lago Serpentine, nel bel mezzo di Hyde Park, mentre il più piccolo, quasi invisibile, fiocco di neve cadeva sull’acqua ghiacciata. Si alzò il cappuccio rosso del suo mantello e sospirò. La scorsa primavera, si era immaginata una ben diversa stagione natalizia. Sarebbe stata sposata, accasata in una modesta casa, con la quieta compagnia di un gentiluomo che l’amava. Invece, poteva decisamente ammettere con il Natale alle porte, che questa sarebbe stata la più solitaria e brutta stagione natalizia della sua vita — anche se sarebbe stata circondata dal rumore di una famiglia piuttosto petulante. Le sue labbra si curvarono in un sorriso acre. Non ci sarebbe stato di certo nessuna modesta casa, nè una compagnia tranquilla. Il suo Natale sarebbe trascorso come erano trascorsi i passati 20, quasi 21 Natali — con la sua esuberante madre e le sue tre sorelle loquaci. Non che non adorasse l’eccitamento, la gioia e l’amore di casa Smoak. E’ solo che si era immaginata accasata, in attesa magari di un bambino.

Felicity rilasciò un sospiro tremante. Quando una giovane lady scandalizzava la società inglese come lei aveva fatto, i sogni di matrimonio e di famiglia non erano altro che desideri impossibili.

“Mia signora, dovremmo tornare presto,” disse la sua cameriera personale, Caitlin, da dietro le sue spalle. Felicity la guardò distrattamente e cercò di fare un tenue sorriso. “Puoi tornare e aspettare nella carrozza, Cate. Ci vorrà solo un momento.” Caitlin aprì la bocca per protestare, ma dopo aver visto la risolutezza nello sguardo di Felicity, la richiuse e annuì. Si voltò e ripercorse il sentiero ricoperto da un lieve strato di neve, dirigendosi verso la carrozza.

Felicity spostò di nuovo la sua attenzione verso il lago. Come faceva durante tutte le sue visite al parco, si chiese che fine facessero i poveri uccelli e pesci che rendevano il lago la loro casa durante i mesi più caldi. Dove andavano quando il freddo arrivava? C’erano giorni in cui sognava di raggiungerli, perchè in questo modo sarebbe stata libera dallo sguardo di pietà che le rivolgevano le sue sorelle, o il doloroso dispiacere in quello di sua madre o il senso di colpa in quello del fratello.

Un fischio scuotè la quiete invernale. Felicity si irrigidì e si voltò proprio mentre un qualcosa di freddo e duro le colpì la tempia.

“Ahia!” Felicity si toccò con le dita la fronte e si tolse la neve dal cappuccio. Sentìì una serie di risatine e cominciò a guardarsi intorno per capire da dove provenissero. Due esseri colorati si potevano distinguere chiaramente nella coltre bianca, nascosti dietro ad un grosso masso. Uno dei due, un ragazzino di circa 10 anni, con maliziosi occhi azzurri, all’improvviso uscìì dal suo nascondiglio e…

“Ahia!” Un’altra palla di neve la colpì direttamente sul naso. Con la mano cercò di togliersi dal viso il liquido freddo che le era sceso sulle guance e sulla bocca. I suoi sforzi furono incontrati da furiose risatine.

Felicity socchiuse gli occhi e si diresse con passo felpato verso i due mocciosi. Le risatine cessarono. Bene, avevano motivo di essere spaventati. Sfortunatamente per i due casinisti, Felicity, grazie alle sue due sorelle minori, aveva esperienza nell’affrontare bambini cattivelli. Si fermò proprio sopra il masso dietro a cui erano nascosti.

“Buonasera,” disse. Il suo tono acquisito da anni di esperienza nel vedere sua madre avere a che fare con le quattro sorelle Smoak. “Ho detto..” annaspò e cadde sulle ginocchia mentre una bambina con i capelli di un biondo chiaro venne fuori da dietro il masso, lanciandole una palla di neve. Il missile, fortunatamente, non colpì il bersaglio e volò dietro la spalla di Felicity. Non ci posso…

“Non vi ha mai insegnato nessuno le buone maniere?” Si alzò, pulendosi la gonna. “Non potete semplicemente andare in un parco e..”

Una palla di neve la colpì sulla spalla. Ohhh, basta! Quando è troppo, è troppo! Felicity si accuciò, prese in mano la più grande quantità di neve che potesse prendere e ne fece una palla, ignorando il freddo pungente dell’acqua ghiacciata che le scorreva tra i guanti. Aspettò. E sfortunatamente per loro, era diventata piuttosto brava ad aspettare. Il ragazzino fastidioso non la deluse. Si alzò. I suoi occhi si spalancarono mentre Felicity prese la mira e lanciò. La forza del tiro fece cadere il cappello nero del bambino dalla testa e coprì i suoi capelli biondi di bianco.

“Ehi!” pianse. “Non puoi lanciare cose a dei bambini!”

Felicity replicò tirando un’altra palla di neve. “Non ho lanciato una cosa.” Questa palla lo colpì direttamente sul petto. “Ho lanciato una palla di neve.”

Gli occhi del bambino si spalancarono ancora di più. Si portò una mano al petto come se fosse stato colpito da un colpo di pistola. Il ragazzino fastidioso puntò il dito nella sua direzione. “Io dico, dico..che le signore non lanciano palle di neve. Non lo fanno. Mia madre non lo faceva. E lei era una signora e…”

Bè, quando una giovane donna scappava per sposarsi con un gentiluomo con intenzioni disoneste e la società lo scopriva, una tendeva a perdere il suo status di signora, tra i nobili rispettabili. Felicity lanciò un’altra palla di neve che gli colpì la spalla. Il ragazzino pianse e si nascose dietro la roccia. Bene, il piccolo disgraziato dovrebbe imparare a non…

La bambina, sua sorella, presumibilmente, uscì fuori dal nascondiglio e lanciò una enorme palla di neve dritta in faccia a Felicity.
Felicity imprecò e si accucciò per prendere altra neve.

“Che diavolo state facendo??” Una profonda, arrabbiata voce tagliò in due l’atmosfera.
Felicity si fermò nel bel mezzo della produzione di un’altra palla. Alzò lo sguardo e deglutì in modo vistoso. Un gentiluomo si stava dirigendo a passo felpato verso di lei. Si levò il cappello, facendosi vedere in tutto il suo splendore. Aveva capelli biondi tagliati corti e due profondi occhi blu. Sembrava un angelo vendicatore. Anche a distanza, la donna poteva avvertire il potere e la carica nei suoi occhi.

“Voi, laggiù!” Felicity si alzò in modo instabile e si guardò intorno per vedere il fortunato che si era meritato il ‘voi, laggiù’ del gentiluomo. Fece un salto quando l’uomo si fermò di fronte a lei.

La fissò con il fuoco negli occhi. “Che diavolo di pessime maniere per una signora! Imprecare di fronte a dei bambini!”

Gli occhi di lei si spalancarono. Che cosa si era fumato? “Scusate?”

I due piccoli demoni uscirono da dietro il masso e si diressero verso l’affascinante uomo, che ora si era trasformato in un diavolo. Altro che angelo!

“Non avete niente da dire, a vostra discolpa?” tuonò.

La piccola diavoletta gli tirò il cappotto per attirare la sua attenzione e con i suoi occhioni blu, completamente innocenti e pieni di lacrime disse: “C..c..ci ha colpito con la ne..ne..neve, papà.”

“Lo ha fatto davvero, Charlotte?” C’era della furia minacciosa sottintesa nella domanda del gentiluomo.

Felicity alzò lo sguardo verso le nuvole cariche di neve che minacciavano il cielo. Era il loro padre. Ovviamente, con i suoi capelli biondi e gli occhi azzurri, l’uomo aveva una notevole somiglianza con i due piccoli demoni. “Non ci posso credere,” sussurrò.

L’uomo socchiuse gli occhi. “Che cosa avete detto?” disse in un sussurro insinuante. Strano che quel tono potesse essere sia glaciale che soffice allo stesso tempo. Probabilmente se non avesse già dovuto affrontare lo scandalo con Cooper Seldon e la conseguente morte della sua reputazione, lo sguardo fisso di quei penetranti occhi azzurri l’avrebbero messa a disagio. Ma era diventata immune agli sguardi di disapprovazione. Ogni tipo di sguardo, ad essere sinceri. Quelli arrabbiati, quelli beffardi, quelli di disapprovazione. Ci sarebbe voluto molto più di questo demonio per farla infiammare.

Alzò la testa, maledendo la differenza d’altezza che la obbligava ad alzarla di diversi centimetri per riuscire a guardarlo negli occhi. “Suppongo che questi sciagurati siano i vostri figli, signore?”

“Mio signore,” disse. Felicity sbattè gli occhi incredula. Che cosa si era fumato? “Sono il Marchese di Beaufort, Oliver Queen, e questi sono i miei figli.” Oh, l’insopportabile, pomposo villano. Pensava davvero che sarebbe rimasta impressionata o spaventata da un titolo di Marchese?

“Bè, mio signore, i vostri figli sono dei riprovevoli malefici combinaguai che avrebbero bisogno di una lezione di buone maniere.” Le sue sorelle e suo fratello avrebbero sicuramente riso a chiunque della famiglia Smoak che avesse dato lezioni di buone maniere a qualcun altro.

Il ragazzino fastidioso si affrettò a dire: “Non hai sentito cosa ha detto su di noi, papà?” con voce ferita e le lacrime agli occhi. Felicity sbuffò. Non vi era alcun dubbio che il piccolo demonio avesse passato la sua intera esistenza sulla terra a perfezionare queste lacrime.

Il Marchese le lanciò uno sguardo che non prometteva niente di buono, e mise una mano coperta da un guanto sulla spalla del ragazzino. “Va tutto bene Daniel. Non dovresti lasciare che le persone crudeli ti feriscano, ricordatelo.”

Una risata le scappò dalle labbra. “Non ci posso credere.”

La risposta del Marchese non perse tempo ad arrivare: “Mi fa piacere che troviate la cosa divertente, signorina.”

Il ragazzino fastidioso, che si chiamava Daniel, a quanto pareva, la guardò nascosto dalla gamba del padre con un’espressione gongolante. Le fece la linguaccia. Lei socchiuse gli occhi, e poi spostò la sua attenzione verso il padre incapace.

“Quello che ho detto, mio signore, è ‘non ci posso credere’. Non avete chiaramente idea di che figli riprovevoli abbiate.” Cominciò a contare con le dita. “Lancio di palle di neve. Derisione del prossimo. Colpire una signora con palle di neve. Dire bugie,” diresse quel punto con il dito verso i due bambini. A quanto pareva erano rimasti per troppo tempo senza una ramanzina come si deve dato che presero quella recriminazione con tutta la calma di questo mondo.

“Ma se così fosse,” il Marchese disse in modo suave, “una signora di tutto rispetto non starebbe da sola in un parco, senza accompagnatore, in una giornata tempestosa, lanciando palle di neve a questi…?” Alzò un sopracciglio biondo. “Come li avete chiamati? Rip..”

“Riprovevoli bambini,” colmò per lui. ” Li ho chiamati riprovevoli bambini. E si avete ragione, le ragazze per bene non dovrebbero essere sole come me in questo momento, ma, ecco..non ero da sola, la mia cameriera è con me, che mi aspetta in carrozza, ero venuta qui per cercare un pò di pace, non che abbia bisogno davvero di pace, ma ecco..sono stati i vostri figli ad interrompere la mia passeggiata e..” Felicity si bloccò di colpo, mordendosi le labbra. Odiava quando cominciava a parlare a vanvera.

Dopo diversi istanti di assoluto silenzio, l’uomo in modo glaciale chiese: “Avete finito?”
“Si credo di si.”

Il Marchese si voltò di scatto e senza una parola si avviò nella direzione opposta, con i suoi due piccoli casinisti che lo seguirono a ruota.

Felicity si prese a calci mentalmente. “No questo non è tutto,” lo chiamò prima di pentirsene. La sua voce affilata tagliò in due l’aria invernale attorno a loro.

Le lunghe leve dell’uomo si fermarono di botto, e si voltò. Il suo cappotto ondulò attorno alle sue caviglie. Il Marchese incrociò le braccia sul petto. “Ebbene?”

“Dovreste parlare con la loro madre,” disse Felicity, prima che la sua sicurezza l’abbandonasse. “La loro madre dovrebbe sapere delle maniere in cui i bambini…”

“Non abbiamo una madre,” disse la bambina all’improvviso.

Non abbiamo una madre. Felicity sentì una fitta di dolore acuta all’interno del suo petto per quei due bambini problematici. Erano senza madre. Cosa che ovviamente spiegava il loro comportamento che lasciava alquanto a desiderare. Dopotutto, le sorelle Smoak non si erano comportate più o meno nello stesso modo dopo la morte del padre tanti anni addietro?

“Mi dispiace,” disse dolcemente. “Io..” mi sento come un’assoluta bastarda. “Non intendevo..” essere una bulla. “Perdonatemi,” finì debolmente.

Oliver Queen si diresse verso di lei con fare minaccioso. La rabbia oscurò i suoi occhi azzurri, rendendoli quasi neri. Felicity fece quasi un passo indietro, e poi si ricordò. Poteva anche rimpiangere le parole dure usate, ma non aveva alcuna intenzione di farsi mettere all’angolo da questo demonio.

L’uomo si fermò a pochi centimetri da lei. Le punte dei suoi stivali neri sfiorarono le punte dei suoi. “I miei bambini non hanno bisogno della vostra pietà, signorina.”

“Non stavo dando loro pietà. O a voi.” No, aveva già sperimentato abbastanza quel sentimento sulla sua pelle per darlo a qualcun altro.

Il Marchese abbassò la testa, così vicino che la ragazza poteva vedere le sfumature di colore nei suoi occhi, e disse in modo calmo e glaciale: “Bene. Perchè non vogliamo sentimenti simili da qualcuno come voi.”

Qualcuno come voi?

L’uomo girò i tacchi e marciò verso i suoi bambini. Felicity rimase in piedi a fissarlo, odiando se stessa per essere una stupida, una debole, dato che si sentiva sollevata dalla sua dipartita. Infatti, più rimaneva lì a fissare la sua schiena allontanarsi, più arrabbiata diventava. Verso di lui. Verso Cooper Seldon. Verso se stessa. Ma più di tutti, era arrabbiata verso se stessa, per aver lasciato un gentiluomo farla sentire così poco importante. Come si permetteva di arrivare e interrompere la pace e la solitudine che era riuscita a rubare per se stessa? Prima di rendersi conto di quello che stava facendo, si ritrovò a corrergli dietro. La neve scricchiolava sotto le suole dei suoi stivali. Da qualche parte, durante il tragitto, smise di pensare alla rabbia verso il freddo trattamento del gentiluomo e cominciò a pensare alla furia cieca generata dal tradimento di Cooper Seldon. “Voi,” lo chiamò. “Ho detto, voi!”

Il Marchese si fermò in modo elegante, poi si voltò a guardarla. Si abbassò e mormorò qualcosa al ragazzino. La bocca del bambino si accigliò, e fissò con poca simpatia Felicity per un momento, poi con enorme riluttanza prese la mano della sorella e rimase fermo in attesa del padre, il quale si avvicinò a lei.

“Cosa volete ancora?” sbottò quando Felicity lo raggiunse.

“Non sono una signorina in realtà,” iniziò, e immediatamente sentì il rossore salirle sulle guance. “Mi avete chiamato signorina,” continuò quando diventò chiaro che il laconico Marchese non aveva molto da dire sull’argomento. “E non sono una signorina, sono una Lady.” La società che conta probabilmente non sarebbe stata d’accordo. Alzò il mento. “Sono Lady Felicity Smoak.”

L’uomo non disse niente per molto tempo, e lei si ritrovò a strascicare la punta dello stivale sul terreno, desiderando forse di aver pensato in modo più serio a cosa dire all’insopportabile demonio. Aspettò il momento nel quale lui si rendesse conto di chi lei fosse, la realizzazione illuminante della scandalosa signorina di fronte a lui.

“Questo dovrebbe significare qualcosa, mia signora?” Felicity angolò la testa. “Mi avete detto il vostro nome come se vi stesse aspettando che io avessi idea di chi voi foste.”

E in quel momento Felicity realizzò: non aveva alcuna idea di chi lei fosse.

“Voi non sapete chi sono?” Un sorriso involontario si fece strada tra le sue labbra.

L’uomo sbuffò. “Che diavolo c’è di così eccezionale in voi, mia signora, che pensate che dovrei conoscervi, quando non vi ho mai vista prima?”

Probabilmente avrebbe dovuto sentirsi offesa. Anzi, oltraggiata. Il tipo di oltraggio che portavano le giovani donne a prendere a schiaffi le facce compiaciute dei gentiluomini maleducati. Ma..il sorriso di Felicity si allargò. Questo fantastico, insopportabile, arrogante gentiluomo non aveva idea di chi lei, Lady Felicity Smoak fosse. Una sensazione di gioia le percorse il corpo.

“Ho detto qualcosa che vi ha divertito, mia signora?”

“Eh..no..io..”

“E qual’era la ragione per cui mi avete richiamato indietro? Per insultare forse di nuovo i miei bambini, lanciare altre palle di neve o parlare a vanvera?”

Felicity pressò le sue labbra in una linea dura per evitare di rispondergli a tono. I suoi bambini erano coloro che meritavano decisamente una lezione di buone maniere.

“Vi ho richiamato indietro per scusarmi. Mi dispiace per la mia dura affermazione sulla madre dei bambini. Non era mia intenzione ed è stato crudele. Mi rincresce per la vostra perdita.” Ed era dispiaciuta sul serio. Poteva anche essere un pomposo gentiluomo, ma non avrebbe mai augurato il dolore e la tristezza a nessuno. Bè..a parte colui che aveva rovinato la sua reputazione, forse.

Il Marchese la guardò a lungo con il suo sguardo penetrante, e Felicity resistette l’urgenza di spostare il peso del suo corpo da un piede all’altro, come i bambini erano soliti fare quando venivano sorpresi a mettere dell’inchiostro nel tè della goverante.

“Non siatelo,” disse finalmente in modo roco.

Felicity arricciò il naso. “Non siate cosa?”

“Dispiaciuta, mia signora. Io di certo non lo sono.” Con un inchino conciso, l’uomo girò i tacchi e se ne andò. Ci volle un momento prima che le parole del Marchese sortissero il loro effetto, e a quel punto, lui era già sparito con i suoi bambini. Il respiro di Felicity si fermò all’assoluta malignità di una dichiarazione simile, e mentre la neve cominciava a cadere copiosa su di lei, si chiese cosa potesse mai aver reso un tale gentiluomo così insensibilmente freddo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Oliver Queen, il quarto Marchese di Beaufort, resistette all’urgenza di guardare indietro verso la graziosa, anche se mordace giovane donna che aveva lasciato vicino al lago Serpentine. Con i suoi capelli biondi, nascosti da un cappuccio rosso, gli occhi grandi e azzurri e la pelle di un bianco candido, gli faceva venire in mente cose tutt’altro che appropriate. E non aveva davvero senso. Perchè con la sua figura minuta e la sua semplicità, non era di certo il tipo di bellezza sgargiante che aveva sempre preferito, anche nella sua elegante moglie. Il suo stomaco si strinse. Ma dopotutto, dopo i vari tradimenti di Laurel, probabilmente ora si sentiva attratto da una bellezza completamente differente.

Charlotte tirò la sua mano, e lui diminuì il passo. “Prendimi su, papà.”

“Prendimi su, per favore,” la corresse automaticamente.

Charlotte ridacchiò. “Non posso prenderti su, papà. Sei troppo grosso.”

Daniel tirò con le scarpe della neve alle gonne della sorella. “Papà, vuole dire che dovresti dire per favore, stupida.”

“Non chiamarmi stupida!” pianse la bambina, tirando di rimando della neve al fratello. Continurarono a parlarsi l’uno sull’altro in un tripudio di parole poco gentili che fecero sobbalzare perfino Oliver.

“Basta!” tuonò. Entrambi immediatamente si fecero silenziosi. Oliver si abbassò e prese in braccio la figlia. Mentre i tre camminavano a fatica tra la coltre di neve che copriva Hyde Park, si ritrovò a riflettere sul suo incontro con Lady Felicity Smoak. Era stato burbero e brusco verso la giovane donna. Dopotutto, non tollerava la crudeltà e insensibilità verso i suoi bambini. Se fosse stato completamente onesto con se stesso, poteva ammettere che per certi versi Lady Felicity aveva ragione. I suoi figli erano maleducati e arrabbiati – ma per una buona ragione. Una madre perfida tendeva ad avere quell’effetto su dei bambini. E dato che si ritrovava ad essere onesto – ma solo con se stesso – poteva anche ammettere che molte volte era stato un padre troppo accomodante.

Che cosa ci faceva una graziosa giovane donna nel bel mezzo del parco in una giornata fredda e glaciale, senza un accompagnatore? Mentre si poneva questa domanda, un’ondata di senso di colpa lo attanagliò nell’avere lasciato da sola la giovane. Oliver imprecò.

Gli occhi di Charlotte si spalancarono. “Papà ha imprecato,” sussurrò.

“Dire ‘merda’ non è un’imprecazione,” disse Daniel con tutta l’indignazione di un bambino di otto anni che pensava di essere più un adulto che un bambino.

Oliver si voltò ed osservò l’area nella speranza di vedere Lady Felicity Smoak. Dov’era andata? Presumeva che la cosa più cavalleresca da fare fosse assicurarsi che la giovane non avesse bisogno di aiuto. Dopo essere stato sposato per 10 anni con la sua ora defunta e disonesta moglie, Lady Laurel, aveva perso tutte le sue buone maniere da gentiluomo.

Sua figlia gli tirò l’orecchio. “Dire ‘merda’ è imprecare?”

“Mmm?” mormorò in modo assente, cominciando ad avvicinarsi alla rive del lago.

“Dove stiamo andando, ora?” borbottò Daniel, trascinando i piedi, mentre cercava di tenere il passo del padre.

Le giovani signore non dovrebbero essere fuori di casa, in una giornata simile, senza un accompagnatore per lo più.

“Merda,” mormorò Charlotte.

Oliver si accigliò. “Che hai detto?”

“Ho detto..”

“Ho sentito quello che hai detto.” Si passò la mano sulla faccia. Riprovevoli e maleducati. “Perchè hai..?”

Charlotte gli prese il viso tra le mani e lo obbligò a guardarla negli occhi. “Hai detto che non era un’imprecazione.”

“Non ho mai detto una cosa simile, Char.” Riprovevoli e maleducati. “E’ un’imprecazione,” disse bruscamente, quando la bambina aprì la bocca per replicare. La richiuse in fretta. “Mmm.”

Diavolo, odiava avere torto, odiava dare ragione ad altre persone, specialmente quando l’altra persona era una signorina mordace che lo aveva richiamato indietro per informarlo del giusto modo in cui ci si rivolge ad una signora. Si fermò e si mise ad osservare la copiosa nevicata. Sembrava che se ne fosse già..

Imprecò..di nuovo. La giovane donna si trovava sul bordo del lago, dandogli le spalle. Da lei si sprigionava un sentimento che conosceva fin troppo bene. Desolazione. Una tristezza che non poteva essere spiegata a parole. Sentimenti che riusciva a vedere e riconoscere perchè anche lui li aveva provati. Quando ancora era capace di provare qualcosa.

“Aspettate qui,” ordinò, rivolgendosi verso Daniel. Mise giù Charlotte e immediatamente la piccola prese la mano del fratello.

“Ma voglio andarmene,” si lamentò il bambino. “Voglio..” Si fece subito silenzioso appena vide lo sguardo duro del padre fisso su di lui.

Oliver arrancò tra le neve fresca, dirigendosi verso la giovane donna. “Voi, lì,” tuonò, prendendosi a calci mentalmente. Avrebbe per lo meno potuto fingere un pò di buone maniere. La donna si voltò così velocemente, che il suo stivale scivolò sulla neve e la fece cadere con un tonfo sulla superficie bagnata.

Si portò una mano sul petto e lo guardò malamente. “Mi avete spaventata a morte. Che cosa volete, mio signore?”

“Che cosa fate qui?”

Seduta su una coltre di neve fresca, con il rosso del suo mantello che creava un contrasto quasi surreale con il bianco attorno a lei, Lady Felicity inclinò la testa e lo guardò. “Scusate?”

“Senza un accompagnatore?” Probabilmente avrebbe dovuto aiutarla ad alzarsi. La bocca di lei prese una piega arricciata, ma non fece alcun tentativo per alzarsi.

“Non è affar vostro, mio signore.”

Bè, per Dio, non poteva semplicemente lasciarla con il sedere per terra, nel bel mezzo di Hyde Park. Si avvicinò ulteriormente, e le tese una mano. “Sicuramente avrete il buon senso di realizzare i pericoli di una giovane donna da sola senza scorta?”

La donna gli guardò la mano come se si trattasse di un serpente velenoso, e per un momento pensò che la ragazza orgogliosa avrebbe rifiutato il suo aiuto. Ma poi, mise le sue dite tra le sue. Oliver l’alzò da terra, senza fare alcuno sforzo.

“Vengo qui ogni giorno, mio signore, ma grazie. Sono toccata dalla vostra preoccupazione,” disse in modo sarcastico.

Oliver socchiuse gli occhi al modo insolente in cui la donna aveva pronunciato quelle parole. Ma più che irritazione provò un’inaspettata curiosità al motivo per cui una giovane donna venisse spesso a passeggiare in Hyde Park senza accompagnatore.

“Posso darvi un passaggio a casa?”

“No.” Fu la sua risposta immediata.

Strano, prima di sposare Laurel e anche dopo, durante il loro matrimonio, le giovani donne facevano la fila per attirare la sua attenzione. Probabilmente non era mai stato il ricevente di un tale immediato e tagliente ‘no’ durante i suoi 32 anni.

“Ce ne andiamo, papà? Sono affamata,” disse Charlotte da dietro le sue spalle.

Lui la ignorò. “Sono tornato per scusarmi.” Normalmente non si scusava, mai, perchè aveva quasi sempre ragione.

La bocca di Lady Felicity si aprì leggermente, come se cercasse di processare l’inattesa dichiarazione.

“Volevo scusarmi a nome dei miei figli. Non avrebbero dovuto lanciarvi palle di neve.” La ragazza chiuse la bocca, ma non disse nulla. Oliver cominciò ad innervosirsi. La signora avrebbe dovuto decisamente dire qualcosa. Una conferma. Un ‘grazie’, un ‘non era nulla, non dovreste preoccuparvi’. Niente di tutto questo. Assoluto silenzio.

“Papà ce ne vogliamo andare.” Voleva farlo anche lui, ma non prima che la donna silenziosa dicesse qualcosa. Si voltò di scatto verso Charlotte e Daniel. “Tra un momento,” sbottò.

I suoi bambini si fecero subito silenziosi. Si voltò di nuovo verso Lady Felicity e un calore cupo gli avvolse il viso. Con ogni loro parola, i suoi recalcitranti bambini provavano che la giovane donna aveva ragione su di loro.

Oliver si inchinò. “Scusatemi.” E si congedò. Che cosa gli era preso? Perchè era andato lì in cerca di..cosa esattamente? Comprensione? Da parte di questa donna? Non poteva avere più di 20 anni. No, non poteva capire la bruttezza della vita che riusciva a trasformare un gentiluomo solare in un uomo arrabbiato, pieno di amarezza e senza cuore, o che rendeva bambini innocenti dei riprovevoli maleducati.

“Non importa.” Finalmente le parole di lei risuonarono nel silenzio del parco, portandolo a fermarsi.

“Non di nuovo,” si lamentò Daniel di fianco a lui.

Oliver lo ignorò e volse di nuovo lo sguardo verso Lady Felicity. “E vi ringrazio per la vostra offerta di accompagnarmi a casa, ma come vi ho già detto in precedenza, la mia cameriera mi sta aspettando nella carrozza.”

Il più strano dei disappunti lo riempì e la cosa non aveva assolutamente senso. Sarebbe dovuto essere grato di essere stato sollevato dal suo senso di responsabilità come gentiluomo. Annuì.

Lady Felicity sembrò congedarlo dai suoi pensieri, ancor prima che le sue ultime parole le uscissero dalla bocca. Concentrò di nuovo la sua attenzione verso il lago ghiacciato, dandogli le spalle. Oliver la guardò ancora per un momento, incapace di resistere all’urgenza di sapere il motivo per cui una donna così giovane, fosse così triste.

“Papà,” disse con urgenza Charlotte, afferrandogli la mano e togliendolo dai suoi pensieri. “Ho freddo.”

Si inchinò e prese in braccio la bambina ancora una volta. “Ce ne andiamo allora.”

Lady Felicity era un’estranea e lo sarebbe rimasta per lui. D’altronde, non aveva intenzione di entrare di nuovo nella società inglese. Non dopo il tradimento di Laurel, e certamente aveva abbastanza buonsenso da non cadere vittima di una giovane donna che non aveva peli sulla lingua e lanciava palle di neve ai suoi bambini. Il ricordo di lei che rimaneva lì in piedi a guardare il lago, lo spinse a voltare lo sguardo di nuovo. Memorizzò la sua immagine, una visione di colore rosso su sfondo bianco, e poi procedette determinato verso la sua carrozza. Si, non era davvero interessato a Lady Felicity Smoak. Anche se…perchè aveva la sensazione di stare mentendo a se stesso?

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


“Dove sei stata?” Felicity tese la sua mantella completamente infradiciata al maggiordomo, Smith, e alzò gli occhi verso la sorella minore che se ne stava in piedi sopra le scale.

“Ero fuori, Sin.”

Cindy, chiamata amichevolmente Sin dalle sue sorelle, alzò gli occhi al soffitto e scese le scale. “Ovviamente. A Tommy non piace che tu vada fuori da sola. ”

Felicity arricciò il naso. No, a suo fratello non piaceva che lei lo facesse. Dopo lo scandalo con Cooper Seldon, era diventato iper protettivo verso di lei, anche grazie al suo personale senso di colpa. “Sono una donna adulta,” disse.

Sin si fermò di colpo di fronte a lei. Guardò il viso di Felicity e aggrottò le sopracciglia.

“Che c’è?” chiese Felicity prima di poter ritrarre le parole. Avrebbe dovuto imparare da tempo a non alimentare la curiosità della sorella.

 

“Sembri diversa,” disse Sin.

Felicity fece un sorriso. “In che modo?”

Sin inclinò la testa con fare drammatico, e cominciò a girarle attorno per osservarla meglio. Si fermò quando le due si trovarono una di fronte all’altra. “Non hai la solita espressione che hai ultimamente di qualcuno, il cui cucciolo è stato buttato sotto le ruote di una carrozza.”

Una risata involontaria le scappò dalle labbra. Scosse la testa. “E’ una cosa bruttissima da dire.”

Sua sorella sbuffò. “Che cosa avresti voluto che dicessi? Che sembravi una persona felice di vedere il suo cucciolo finire sotto le ruote?”

Una risata ancora più forte le scappò dalle labbra. “Oh, Sin.” Ecco cosa succedeva ad avere una madre espansiva, senza peli sulla lingua e che aveva lasciato loro la libertà di crescere ed essere chi volevano essere, senza troppe regole. Anche se a volte Felicity si chiedeva se Donna si fosse mai pentita di questa scelta dopo il disastro che lei stessa aveva combinato la scorsa primavera.

“Be lo sei.” Sin disse incrociando le braccia al petto. “Di solito ti aggiri con quel tuo sguardo perennemente triste sul viso.” Fece un’espressione corrucciata, con le labbra tremanti, in un tentativo di imitarla.

“Non sono così,” disse Felicity in modo terso, dirigendosi verso l’atrio.

“Sei esattamente così. E ancora ti rifiuti di dirmi dove vai. Ogni. Santo. Giorno.” Sin, tenace com’era sempre stata, cominciò a seguirla a poca distanza. Felicity aumentò il passo mentre percorreva il corridoio, e la sorella fece altrettanto per riuscire a starle dietro.

“Non è affar tuo.”

Sin non le diede retta, comportandosi come se non avesse sentito nulla. “Subito pensavo che andassi a fare delle compere. Ma poi ho notato che non tornavi mai con dei pacchi.” Scosse la testa. “Per cui sicuramente non è quello che fai.“

“Sicuramente,” mormorò Felicity.

“E in più non sei mai stata come Thea.”

“Chi non è come me?” Le due sorelle strillarono leggermente mentre Thea usciva improvvisamente dal salone.

Sin la guardò in modo storto. “Perchè devi sempre comparire dal nulla, spaventando a morte le persone?”

Felicity le ignorò e proseguì per la sua strada, ringraziando silenziosamente l’intervento inaspettato di Thea. Purtroppo per lei, però, la sua altra sorella esattamente come Sin, sembrava non avere nulla di meglio da fare, per cui si mise ad inseguirla incuriosita pure lei. Felicity entrò nella sala della musica e fece per chiudere la porta, ma Thea bloccò il suo tentativo disperato con un piede.

“Non te la caverai così facilmente,” disse sbuffando e si intrufolò nella stanza insieme a Sin.

Felicity fece un sospiro, avvicinandosi al pianoforte. Si sedette sul seggio e cominciò a suonare in un disperato tentativo di distogliere l’attenzione delle sue sorelle.

“Ugh, perchè insisti imperterrita a voler suonare, Lis?” Thea disse facendo una smorfia. “Sai che sei piuttosto terribile. Voglio dire, sicuramente te ne rendi conto.” Felicity la ignorò. Una nota piuttosto discordante, echeggiò nella stanza.

“Mi piace suonare,” disse un pò sulla difensiva. Sua sorella aveva ragione. Non c’era davvero niente di eccezionale nel suo modo di suonare il pianoforte, oltre al fatto di quanto terribile fosse. Suonava troppo lentamente, le sue dita erano troppo maldestre, ed era stata spesso presa in giro alle recite musicali. Ovviamente, i gossip più lascivi non avrebbero più menzionato qualcosa di così mondano come il suo terribile modo di suonare il pianoforte, ora che era scappata con un poco di buono che non aveva mai davvero avuto nessuna intenzione di sposarla.

Sospirò, e spinse via dalla sua mente i pensieri su Cooper. Dimenticò l’insistenza delle sue sorelle, e si concentrò sul pianoforte. Anche se l’avevano sempre derisa per le sue doti di suonatrice, la realtà era che Felicity si divertiva molto a farlo. Lo strumento le dava l’unico piacere che riusciva a trovare nella vita, e l’unico piacere che non fosse condizionato dagli altri. Le sue dita incespicarono sui tasti.

“Oh ecco, ha di nuovo quello sguardo. Ha di nuovo quello sguardo,” disse Sin, questa volta rivolgendosi a Thea.

Ignorale, ignorale.

Thea sospirò. “Ce l’ha.”

“E non vuole dirmi dove va ogni giorno.”

“Perchè probabilmente non è affar vostro.” Tre paia di occhi si voltarono verso la porta dove Sara, la loro sorella maggiore era appena entrata nella stanza.

Felicity suonò in modo ancora più forte. Sin si coprì le orecchie con le mani. “Lo devi proprio fare?”

Felicity imperterrita: “Si.”

Per quanto le sue sorelle giocassero con la sua pazienza, nei giorni bui dopo il tradimento di Cooper, le erano state vicino più di chiunque altro..e per quello non sarebbe mai stata capace di ripagarle. Se fosse stata del tutto onesta, poteva ammettere però, che le preferiva in veste di supporto che non in quello di pettegole.

“Stiamo cercando di capire dove sia stata,” disse Sin a Sara, parlando forte per cercare di contrastare il rumore fastidioso del pianoforte.

“Ma non ce lo vuole dire,” finì Thea per lei.

Felicity alzò lo sguardo dai tasti brevemente, abbastanza da vedere passare velocemente uno sguardo ferito negli occhi di Thea. Cercò di ricacciare indietro il senso di colpa. Dopo aver messo seriamente in bilico la prospettiva di matrimonio per le sue sorelle minori con la sua stupida condotta, le ragazze erano state fin troppo magnanime verso di lei, più di quanto meritasse. Doveva loro per lo meno la verità, eppure..non voleva rivelare del suo incontro con il Marchese.

Sara si accigliò. “Mamma ed io siamo preoccupate che abbia qualcosa a che vedere con… quell’essere.” Quell’essere era diventato il termine usato quando chiunque in casa Smoak si riferiva a Cooper Seldon. Quel vile farabutto che aveva osato rovinarle la reputazione, ma che era anche stato uno degli amici di suo fratello, Tommy. Proprio per questo, per non aumentare il suo senso di colpa, si limitavano a chiamarlo ‘essere’.

Sara iniziò in modo esitante, “Non mi dire che davvero hai ancora dei sentimenti per quel..”

Le sue dita scivolarono sui tasti. “No.”

La loro sorella più piccola, Sin, si mordette il labbro. “Sei sicura? Perchè..”

“Sicurissima,” disse Felicity, chiudendo in modo brusco il coperchio del pianoforte. Con un sospiro accettò la fine dei suoi sogni pacifici per quel giorno.

Le ragazze si scambiarono un’occhiata. “Odiamo vederti in questo stato,” mormorò Sara, la maggiore delle sorelle, che a differenza sua, era riuscita a sposarsi lo scorso Natale. “Sei sempre così triste…”

“Tranne oggi,” si intromise Sin. “Oggi è tornata da qualsiasi posto vada tutti i giorni, con un sorriso.”

Thea e Sara parlarono all’unisono, con occhi spalancati. “Lo ha fatto?”

Felicity alzò gli occhi al soffitto e pregò per un salvataggio instantaneo da queste fastidiose sorelle.

Sin annuì in modo vistoso. “Lo ha fatto. E ora non vuole dirmi, o meglio dirci, niente.”

Tre paia di occhi accusatori si voltarono nella sua direzione. E dato che Felicity riconosceva di avere ben poca speranza di riuscire ad avere un pò di pace e solitudine se non dava loro qualcosa, rivelò loro un frammento della verità. “Ho incontrato due piccoli combinaguai ad Hyde Park oggi, che mi hanno tirato palle di neve.”

Sin boccheggiò e si portò la mano alla bocca per mascherare una risata. “E’..orribile.”

“Ho restituito loro il favore.”

Tutte e tre le sorelle si misero a ridere questa volta. “Ben fatto, Felicity” disse Sara. “Pensavo che non sapessi più come divertirti.”

Aggrottò la fronte. Che cosa intendeva dire esattamente la sorella con quella frase?

Come se le stesse leggendo nel pensiero, Sara si affrettò a precisare, “Non perchè tu non lo sia mai stata divertente, anzi, eri una ragazza piuttosto solare prima di..quell’essere. Ma ecco..sei sempre stata anche più seria rispetto a tutte noi.”

“Non è vero,” replicò instantaneamente. Le tre sorelle si scambiarono uno sguardo, e lei scosse la testa al loro palese disaccordo. “So essere divertente, e non sono così seria come mi dipingete,” sussurrò a testa alta mentre percorreva il tragitto tra le sorelle per uscire dalla stanza.

“Si, un pò lo sei.” La risata tagliente di Sin la seguì attraverso il corridoio. Felicity aggrottò la fronte. Le sue sorelle non avevano tutti i torti. Era sempre stata colei che preferiva stare sui libri invece che andare alle feste mondane. Colei che non si abbassava mai al livello delle birbonate delle sue tre sorelle. Ma questo non voleva dire che non sapeva divertirsi, semplicemente le piaceva divertirsi in altro modo. Per lo meno una volta sapeva come ridere..prima di quell’essere.

Salendo le scale, le tornò alla mente il suo incontro con il Marchese di Beaufort. L’uomo era stato cupo, accigliato e serio. Era in quel modo che le sorelle la vedevano? Il resto del mondo la vedeva così?

Si incamminò verso la sua camera. Il fermo ticchettio dell’orologio andava a tempo con i suoi passi. Non era di certo colpa sua se quando era entrata in società, non c’erano stati tantissimi corteggiatori per lei. E questo l’aveva portata a credere in modo sciocco, ai bei complimenti che Cooper Seldon le aveva sussurrato all’orecchio.

O così per lo meno, era solita pensare. Felicity si fermò di fronte alla sua camera e aprì la porta, rintanandosi dentro. Solo ora, mentre era in piedi a fissare la sua desolata stanza, confrontò l’orribile possibilità che forse c’era qualche difetto nel suo carattere che aveva fatto scappare via i possibili pretendenti. Forse l’avevano vista come l’avevano descritta le sue sorelle: una troppo seria ragazza che non sapeva come divertirsi. Esattamente come il Marchese di Beaufort.

Felicity si avvicinò alla finestra. Spostò le tende color avorio e osservò le strade completamente deserte. La neve cadeva, pesante e copiosa, creando uno strato di bianco candore. Quando si era confrontata con il Marchese, lo aveva fatto senza nessuna traccia di accondiscendenza. Come si permettevano lui e i suoi bambini indisciplinati di distruggere i piccoli momenti di quiete che si era ritagliata per se stessa, per fuggire dagli sguardi di pietà della sua famiglia? Lo aveva giudicato freddo, e insensibile. Ma doveva anche ammettere con se stessa che era intrigata da lui, dalla sua storia, dal motivo per cui parlasse così freddamente della morte della moglie. Dopotutto, nonostante la sua iniziale freddrezza, era tornato sui suoi passi. Le aveva offerto il suo aiuto quando invece lei lo aveva già giudicato come un bastardo pomposo.

Felicity lasciò cadere le tende, le quali tornarono al loro posto. Forse, lei e il Marchese di Beaufort erano più simili di quanto volesse ammettere. Come lei infatti, quest’uomo, che si era meritato inizialmente il suo disprezzo e disdegno, aveva una storia. Sicuramente era stato soggetto di un grande dolore in passato che potesse spiegare la sua freddezza attuale. E Felicity, che non aveva fatto altro che pensare alla sua di miseria durante i mesi passati, si trovò improvvisamente assillata dal desiderio di sapere qualcosa in più di quell’oscuro e distante Marchese. Dopotutto, aveva sempre odiato i misteri.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Felicity si mise a passeggiare per Bond Street, con nessuna compagnia se non quella della sua fedele Caitilin, e la pace della sua sola presenza. A dispetto dei tentativi delle sue sorelle di carpirle nuovi dettagli sulle sue scampagnate mattutine ad Hyde Park, era riuscita a scappare dalle loro insistenze. La sua visita ai negozi del centro aveva ben poco a che vedere con un vero e proprio desiderio di comprare qualcosa, ma più che altro era un modo per tentare di provare qualcosa alle sue sorelle.

“Non so come divertirmi eh?” sussurrò a se stessa. Le persone non divertenti se ne andavano per caso a Bond Street per fare shopping? Strano, perchè sembrava esattamente il tipo di divertimento che che una giovane donna che sapeva come godersi la vita avrebbe fatto.

Si fermò di fronte ad una panetteria e vi guardò dentro. Individuò subito i dolci. La porta si aprì e il soave profumo della pasta sfrolla appena sfornata le invase le narici. Si leccò i baffi. Fece per entrare dentro il negozio quando il suo sguardo venne catturato dall’immagine di una bambina sul vetro della finestra. C’era qualcosa di familiare in lei e nei suoi movimenti furtivi. Solo che non conosceva nessuna…

Gli occhi di Felicity si spalancarono. I dolci completamente dimenticati, si voltò per guardare curiosamente attraverso la strada dove la bambina – la stessa che le aveva tirato palle di neve solo la mattina precedente – si muoveva con passi decisi verso il Bazaar di Bond Street. Charlotte entrò nel negozio, conosciuto anche come Western Exchange. Felicity si guardò attorno in cerca del biondo e freddo marchese, oppure del ragazzino problematico. Ma nessuno stava seguendo la bambina. Nè il padre, nè il fratello, nè una bambinaia. Felicity si era ritrovata invischiata in talmente tante birichinate quando era piccola, e guardato le sue sorelle fare altrettanto da saper riconoscere l’odore di guai. Lanciò uno sguardo bramoso ai dolci e poi si decise ad attraversare la strada, con la sua cameriera al seguito. Due donne che passavano le lanciarono uno sguardo e poi si misero a sussurrare tra loro. Un’ondata di vergogna l’assalì, ma alzò la testa con fare orgoglioso e passò loro vicino. Non era diventata completamente immune ai pettegolezzi, ma per lo meno si era abituata all’ovvio disdegno della società. Si fermò fuori dalla porta per un momento e si guardò attorno in un ultimo speranzoso tentativo di localizzare il Marchese. Con un sospiro, entrò nel bazaar. Osservò la stanza affollata. Il rumore delle chiacchiere dei gentiluomini e delle signore invadeva il luogo. Si addentrò di più, passando attraverso i tavoli, e ignorando le occhiate che le venivano lanciate. Mentre continuava a cercare, si reso conto dell’impulsività delle sue azioni. Sicuramente la bambina sapeva dov’erano suo padre o la bambinaia, e Felicity si stava preoccupando inutilmente. Scosse la testa in modo afflitto. Avrebbe dovuto già imparare da tempo che la sua impulsività tendeva ad essere pericolosa, visto il suo errore con Cooper Seldon.

Felicity fece per andarsene e farsi i fatti suoi, quando vide la bambina sull’orlo di un tavolo troppo alto. Stava studiando le miniature dei teatri posizionate di fronte a lei, dandole le spalle. Era da sola. Completamente sola. Senza fratello, padre, bambinaia. Con un sospiro sconsolato, Felicity rinunciò ai suoi piani di fuga e si incamminò verso la bambina. Charlotte aveva le mani sull’orlo del tavolo, ed era in piedi sulle punte per cercare di vedere meglio la perfetta replica dei personaggi dell’Amleto. Felicity mise le mani di fianco a quelle di Charlotte.

“Ciao,” la salutò.

La bambina si spaventò e fece un urletto. Si portò la mano al cuore, in modo teatrale. “Buon Dio, mi avete…” i suoi occhi azzurri si chiusero in una fessura. “Tu,” gemette.

Felicity sorrise al suo modo informale di rivolgersi a lei. Dopotutto dopo essersi lanciate palle di neve a vicenda, non c’era davvero motivo di essere completamente cortesi. “Si proprio io. E dov’è tuo padre, Charlotte?”

“Mio padre?” la bambina si grattò la fronte.

Felicity improvvisamente si rese conto cosa aveva appena chiesto e si sentì mortificata. Dopotutto non era affar suo cosa faceva il Marchese durante il tempo libero. “Mmm, ecco..si, volevo dire, la tua famiglia,” si corresse. Non aveva decisamente pensato a lui fino al loro scambio spiacevole al parco. No, davvero. Nessun pensiero sul Marchese. A parte ovviamente, la sua incapacità di riuscire a dormire perchè si ritrovava a pensare a quell’uomo che sembrava così gentile con i suoi bambini e così freddo con tutti gli altri. No, in realtà, non con tutti. Non poteva parlare per tutti. Magari si era comportato così solo con lei.

La bambina sbattè gli occhi. “La mia famiglia?” E Felicity capì…

“Non sai dove siano, non è vero?” chiese gentilmente.

Occhi azzurri si spalancarono come lune piene. Charlotte scosse la testa in modo veemente. “Io, io…” La bambina guardò verso le miniature con occhi pieni di lacrime. “Volevo vedere i giocattoli, ma..la bambinaia mi ha detto di no..e…” Charlotte fece per andarsene, ma Felicity mise una mano sulla sua spalla.

“Non ti preoccupare,” disse con il tono che aveva imparato dopo anni di esperienza nel calmare le sue sorelle. “La troveremo.” Lanciò uno sguardo verso i tavoli affollati e si morse il labbro. “Mmm..l’hai lasciata qui?”

Charlotte scosse la testa. Un riccio biondo le scese sugli occhi. Lo soffiò via, e il riccio tornò subito al proprio posto. “Ero fuori e lei insisteva nel voler vedere un negozio di cappelli, ma so che era solo perchè c’era un uomo che le piaceva e dato che non mi prestava attenzione..” La bambina continuò a blaterare, e in quel momento Felicity rivide se stessa.

Le strinse brevemente le spalle e la bambina smise subito di parlare. “Non ti preoccupare, ti aiuterò a tornare a casa,” la rassicurò.

Le sopracciglia di Charlotte si abbassarono e si scostò da Felicity, incrociando le braccia sul petto. “E perchè lo faresti? Mi vuoi attirare nella tua rete, cucinarmi e mangiarmi come una strega?”

Una risata scappò dalle labbra di Felicity. “Qualcuno qui ha letto un pò troppo Hansel e Gretel, credo. Non ho alcuna intenzione di attirarti nella mia rete e mangiarti,” concluse in modo serio, trasformando la sua espressione in una maschera di sicurezza.

La bambina sembrò valutare la validità della sua assicurazione. Alla fine, Charlotte annuì. “Molto bene allora. Ti dò il permesso di aiutarmi.” Le porse la mano e la guardò con fare insistente.

Felicity osservò le piccole dita coperte da un guanto. Deglutì il dolore che l’assilì per una vita che probabilmente non avrebbe mai avuto. “Bè, allora, hai intenzione o no di prendermi la mano?” chiese Charlotte in modo impaziente.

“Si,” disse Felicity e lo fece. Le dita di Charlotte si chiusero tra le sue, e questo le causò un blocco in gola che minacciava di annegarla nel rimpianto.

La bambina le lanciò uno sguardo di sottecchi. “Stai bene?”

“Certo,” disse Felicity velocemente.

“Perchè non sembri stare bene. Sembri silenziosa e triste come papà quando è nel suo ufficio di notte e pensa che io sia nel mio letto a dormire, ma in realtà mi sto nascondendo dietro le sue tende.” Alle parole della bambina, qualcosa le strinse il cuore. Immaginò l’alto, potente Marchese di Beaufort con i lineamenti del suo bellissimo viso trasformati in una linea triste, indifeso e sofferente, così diverso dal villano che aveva osato insultarla per come aveva ripreso i suoi figli.

Charlotte si grattò la fronte. “Pensandoci bene, sembravi triste anche al parco. Ci vai spesso?”

“Ogni giorno,” confessò Felicity. Quando il sole faceva capolino all’orizzonte, accompagnando il mattino, andava a passeggiare al parco, lontana dagli occhi indiscreti della società.

“Oh fantastico, ora sei diventata silenziosa esattamente come papà.”

“Sto bene,” Felicity si affrettò a rassicurarla. “Sto semplicemente cercando di determinare il modo migliore per riportarti a casa,” mentì.

“E non hai intenzione di mangiarmi?”

Scosse la testa. “Non ho alcuna intenzione di mangiarti.”

La bambina annuì, soddisfatta come se Felicity le avesse offerto l’ultima fetta di una torta di ciliegie. Le due si diressero verso l’uscita del bazaar. Continuarono a camminare in silenzio fino a che non raggiunsero l’ultimo tavolo di fronte all’edificio. Charlotte impuntò i piedi e liberò la mano. “Guarda!” puntò un dito verso un tavolo pieno di fiocchi. “Posso guardare? Posso? Immagino che papà non mi permetterà di guardare i fiocchi per molto tempo dopo questo.” Felicity annuì in modo esitante, e osservò Charlotte correre verso il tavolo.

“Signora, è tutto a posto?” Felicity sussultò. Si era dimenticata della presenza della sua cameriera, Caitlin.

“Tutto bene,” disse, seguendo lo sguardo di Caitlin verso la piccola Charlotte che prendeva su e rimirava tutti i fiocchi che poteva raggiungere. “Dovresti farmi un favore, Cate. Si è separata dal Marchese di Beaufort. Potresti chiedere in giro dove si trova la residenza del gentiluomo in modo che possiamo riportarla a casa?” Caitlin annuì bruscamente, e con passo determinato, andò a fare le sue indagini.

Felicity tornò a volgere la sua attenzione verso Charlotte, proprio quando la bambina stava prendendo in mano un fiocco di colore blu. “Hai mai visto un fiocco più bello di questo?” Felicity si avvicinò e accettò il nastro dalla bambina, rigirandolo tra le mani. Il vibrante blu le ricordava il colore degli occhi del Marchese. Mormorò, “è sicuramente il fiocco più bello qui.” Il sorriso di Charlotte si fece luminoso e annuì. Fece per metterlo giù e il suo sorriso svanì.

“Solo un minuto,” disse Felicity, prima di realizzare quello che stesse facendo.
Il venditore si affrettò verso di lei. “Posso aiutarla, signora?”

“Il fiocco blu, per favore,” disse, e prese fuori una moneta dalla sua borsetta a rete. Dopotutto, era quasi Natale. Gli occhi dell’uomo si spalancarono alla vista della sovrana che lei gli aveva appena dato. “Grazie, mia signora. Grazie,” ripetè.

Felicity riportò la sua attenzione verso Charlotte. “E’ tuo.” Invece che una reazione eccitata o un apprezzamento di qualsiasi genere, la bambina la guardò diffidente, un sentimento tipico di una ragazza più grande.

“Perchè sei carina con me? Ti ho tirato delle palle di neve.”

“Le ho tirate anche io a te, non è vero?” Felicity si ritrovò a ricordare alla bambina.

Charlotte aggrottò la fronte. “Vuoi che ti compri anche io un fiocco, allora?”

Felicity rise. “No, non mi aspetto che tu mi compri un fiocco.” Da lontano vide la sua cameriera avvicinarsi, passando tra i lord e le lady del bazaar. Si fermò di fronte a lei.
“Sono riuscita a sapere la residenza del gentiluomo,” disse e poi si guardò attorno per essere certa che le sue parole scandalose non fossero state udite.

“Andiamo, dunque,” disse Felicity frettolosamente. Non era davvero preoccupata di quello che le persone potessero pensare. Dopotutto, non poteva peggiorare più di così la sua reputazione. Tese una mano a Charlotte e lei gliela strinse immediatamente.

“Intendi dirlo a mio padre?” Felicity respinse un sorriso, sapendo che la bambina orgogliosa non avrebbe visto di buon occhio qualsiasi accenno di divertimento da parte sua.

“Non vedo come non possa dirlo a tuo padre,” disse.

Charlotte si morse in modo preoccupato il labbro. “Suppongo che sia vero,” mormorò. “Magari potrei dire che la bambinaia mi ha lasciato e..”

“No.”

“Ma..”

“No,” disse Felicity fermamente. “Non dovresti mai dare la colpa delle tue azioni agli altri, Charlotte.” La bambina sospirò e diventò silenziosa.

Mentre si affrettavano verso la carrozza di Felicity, lei ebbe il tempo di soppesare le sue stesse parole. C’era stato un momento in cui aveva provato del risentimento verso suo fratello Tommy, verso il fatto che le aveva presentato Cooper. Ma nessuno le aveva puntato contro una pistola e l’aveva obbligata a scappare con lui. Non era colpa di Tommy, nè di nessun altro. Soltanto sua.

Arrivate alla carrozza, il cocchiere scese dalla sua postazione e aprì loro la porta. Guardò la bambina curiosamente per un momento, e poi distolse lo sguardo. Felicity mormorò ‘grazie’ e aiutò Charlotte a salire, poi accettò la mano del cocchiere e salì a sua volta. Si sedette di fianco ad una Charlotte piuttosto silenziosa.

Caitlin rivelò al cocchiere la direzione da prendere e si mise anche lei comoda. Poco dopo, la carrozza si mosse. Charlotte si scosse dal suo torpore e avvicinandosi a lei, osservò: “Sembri di nuovo triste.”

Probabilmente era perchè in quei giorni era più triste che non. “Mi dispiace,” disse.

La bambina alzò le spalle. “Non devi sentirti dispiaciuta perchè ti senti triste,” disse in quel modo troppo maturo che ormai Felicity si aspettava da lei. “E’ per via di quello che quelle donne sussurravano su di te?”

Felicity quasi affogò. La figlia del Marchese di Beaufort sembrava molto più astuta di molte delle donne che Felicity conosceva. Sentì un nodo allo stomaco. Bè non che ci parlasse molto ultimamente con queste donne. Tutte le amicizie che aveva erano morte il momento in cui l’informazione che era scappata con un uomo era stata resa pubblica.

“No, non è quello il motivo,” mentì. Anche se c’erano dei meriti nelle affermazioni di Charlotte.

“Tuo marito è morto come la mia mamma?”

Il cuore di Felicity si spezzò alla risoluta franchezza con cui la bambina disse quelle parole. “No,” rispose gentilmente. “Non sono sposata.” E non lo sarebbe mai stata.

Charlotte aggrottò la fronte. “Perchè? Sembri vecchia.” Dall’altra parte della carrozza, Caitlin tentò con tutte le sue forze di trattenere una risata. Felicity le lanciò uno sguardo pungente e poi riportò la sua attenzione verso Charlotte.

“Non sono vecchia.”

La bambina angolò la testa. “No, non vecchia come la signorina Watson.”

“Signorina Watson?”

“La nostra governante,” rispose Charlotte come se le avesse chiesto una domanda stupida.

“Oh, si..giusto..la signorina Watson.”

“Ma dovresti avere un marito,” Charlotte disse annuendo.

“Dovrei?” Si, ovvio che avrebbe dovuto. Sembrava che anche una bambina piccola potesse sapere un fatto così ovvio. Felicity avrebbe dovuto avere un gentiluomo rispettabile che anche se non l’amava, per lo meno le fosse affezionato e la proteggesse. Ma, Felicity aveva perso il diritto a queste cose il momento in cui si era comportata in modo avventato mesi prima.

“Oh, si,” Charlotte continuò. “Dovresti essere sposata, avere bambini, andare alle feste di ballo, esattamente come faceva la mamma.” Felicity trattenne l’urgenza di porre alla bambina domande sulla sua defunta madre, la quale un tempo era stata sposata a quel freddo e duro Marchese. Era stato un uomo diverso prima di quella perdita?

La bambina la studiò per un momento. “Sei abbastanza graziosa. Non bella come la mamma ovvio, ma graziosa abbastanza per trovare un marito.”

Le labbra di Felicity si contrassero. “Mmm..bè grazie, suppongo.”

Caitlin durante tutto lo scambio di battute, rimase con lo sguardo fisso al paesaggio esterno. Le sue spalle si scuotevano, sicuramente causa del divertimento che stava provando.

“Ha qualcosa che non va?” chiese Charlotte, indicando Caitlin.

“Non lo so,” rispose Felicity. “Perchè non glielo chiedi?”

“Ehi tu, c’è qualcosa che non va in te?” La domanda era piena di autorità, imparata senza ombra di dubbio dal padre.

Caitlin fece un diniego con la mano. “No. Sto bene,” si schiarì la gola, e si compose. “Scusatemi, sto bene.”

“Non è questo il modo con cui ci si rivolge alle altre persone, Charlotte,” si intromise gentilmente Felicity.

La bocca della bambina si chiuse in una linea dura. “Le ho semplicemente fatto una domanda.”

“Si, ovvio, ma è il come le hai posto la domanda. Non sei stata molto educata.”

“Devo essere educata anche verso i servi?” C’era dello scetticismo nella domanda.

Felicity registrò l’interesse di Caitlin durante lo scambio di battute. “Sopratutto verso i servi, Charlotte. Puoi immaginare quanto difficile sarebbe la vita senza di loro?” Caitlin le lanciò un sorriso luminoso.

Charlotte incrociò le braccia al petto. “Mamma non era d’accordo. Ha sempre detto che i servi esistono per servire quelli migliori di loro.”

Felicity fece una smorfia. Probabilmente avrebbe dovuto essere più clemente verso la memoria di una defunta, ma la Marchesa di Beaufort sembrava essere stata una creatura piuttosto spiacevole.

“Questo non è vero. I servi lavorano duramente e ci offrono aiuto, e a volte anche conforto quando ne abbiamo bisogno.” Catturò lo sguardo di Caitlin, e la giovane cameriera annuì impercettibilmente, una silenziosa conferma del legame che si era instaurato tra loro dopo che Felicity era caduta in disgrazia.

“Davvero?” chiese Charlotte.

“Davvero.”

La bambina sembrò dimenticarsi completamente della questione e riportò la sua attenzione sull’argomento meno preferito di Felicity, il matrimonio. “Non vuoi un marito?”

“Sei piena di domande.” La bambina la guardò in attesa. Felicity sospirò. “No.” Era la risposta più semplice da dare, perchè la verità era che non avrebbe mai avuto un marito.

Charlotte si rimise a sedere composta sul divanetto. “Tutte le donne vogliono un marito.”
No, le donne non volevano necessariamente un marito, più che altro ne avevano bisogno. Era la tristezza del loro mondo. Lasciava poco margine di errore nella vita di una giovane donna. Perchè quando facevi uno sbaglio, come Felicity aveva fatto, allora la conseguenza era una vita incerta di zitella, continuamente dipendente dalla generosità dei membri della propria famiglia.

“Non tutte le donne lo vogliono,” disse alla fine.

“Mmm,” rispose Charlotte. Guardò fuori dal finestrino e poi deglutì vistosamente il momento in cui la carrozza si fermò di fronte ad un edificio bianco. Il cocchiere saltò giù dalla sua postazione e aprì la porta. Fece per prendere giù Charlotte, ma la bambina esitò, torturandosi il labbro inferiore tra i denti.

Si voltò verso Felicity. “Verresti con me?” chiese improvvisamente. “A vedere papà. Potresti dirgli che mi sono persa e…” Felicity mise le sue mani su quelle di Charlotte, e le strinse.

“Lady Felicity,” annaspò Caitlin, rivolgendole uno sguardo preoccupato. Lei esitò un momento, e poi scosse la testa in segno di negazione. Non poteva abbandonare la bambina senza per lo meno essersi assicurata che entrasse in casa sana e salva. Non c’era più niente nella sua reputazione da salvare, e anche se rimanevano quelle delle sue sorelle, era convinta che loro avrebbero capito il bisogno di aiutare Charlotte.

Accettò l’offerta di aiuto a scendere del cocchiere. “Grazie, Farnsworth,” disse in modo calmo. Poi aiutò a far scendere Charlotte.

Mentre si avvicinavano al distretto costoso di Mayfair, Charlotte strinse forte il fiocco blu nella mano. Quante volte Felicity e le sue sorelle avevano avuto quell’espressione piena di senso di colpa, e quello sguardo di panico negli occhi?

Lei e Charlotte non avevano fatto nemmeno il quarto gradino degli scalini fuori dalla residenza del Marchese, che la porta si aprì e il maggiordomo, un gentiluomo anziano con un’espressione seria, disse: “Per i buoni santi del Paradiso, Lady Charlotte..”

“Salve, Russell,” Charlotte rispose con un gran sorriso, quello che Felicity sospettava fosse il sorriso che di solito gliela faceva passare liscia. La bambina liberò la mano dalla sua e corse dentro. Il maggiordomo esitò, il suo sguardo che si alternava tra Charlotte e Felicity.

Charlotte le fece cenno di entrare. “Questa è Lady…?”

“Felicity Smoak,” finì per lei. I gentiluomini e le signore che passavano sul marciapiede le lanciarono rapide occhiate incuriosite e lei si affrettò ad entrare dentro la casa del Marchese, grata quando il maggiordomo richiuse la porta dietro di lei.

“Mia signora, la prego di accettare, per conto del Marchese..” Le parole di gratitudine del servitore gli morirono in bocca quando un urlo scuotè il marmo italiano e riempì l’atrio. Felicity alzò lo sguardo e vide il Marchese in piedi sulle scale. Si affrettò a scendere, e lei fece un passo indietro involontario. Non aveva mai assistito ad un cambio così repentino di emozioni negli occhi di qualcuno.

“Charlotte,” tuonò. Felicity aprì la bocca, pronta a lanciarsi in difesa della bambina ma poi il potente Marchese prese la piccola in braccio, stringendola a sè. Le sue grandi mani le disegnarono piccoli cerchi sulla schiena.

“Ciao, papà,” disse il più dolcemente possibile come se stesse chiedendo una fetta di torta.

“La signorina Airedale è tornata senza di te. Dove sei stata, Charlotte? Che cosa ti è successo?” Mentre le domande gli uscivano dalla bocca, si guardò intorno. Il suo sguardo cadde su Felicity.

“Voi.” La parola uscì dura e brusca. Avrebbe dovuto essere spaventata dalla freddezza del suo tono, ma un’emozione indefinibile si sprigionò dai suoi occhi azzurri, scaldandola.

“Proprio io.” Poi tutte le tracce di gentilezza nell’espressione dell’uomo svanirono e lei rimase a chiedersi se per caso non si fosse immaginata l’intensità che gli aveva visto nello sguardo.

Charlotte cominciò a cinguettare, completamente incurante della tensione nell’aria. “Lady Felicity mi ha trovata, papà.” Si divincolò dalle sue braccia e gli mostrò il fiocco. “E mi ha comprato questo.”

“Davvero?” per tutto il tempo lo sguardo del Marchese rimase fisso su Felicity. Lei cercò di leggerci qualcosa, qualunque cosa, in quel ‘davvero?’, ma il suo tono distante era indecifrabile così come i suoi occhi blu.

Felicity dondolò sulle gambe. Non aveva nulla per cui sentirsi in colpa. Non aveva fatto nulla di sbagliato. Come si permetteva di farla sentire così..così..nell’esatto modo in cui il resto della società l’avrebbe trattata? Felicity fece un inchino teso. “Mio signore, sono lieta che Charlotte sia ritornata a casa sana e salva. Immagino,” guardò la bambina negli occhi. “Che non farà più qualcosa di così avventato come andarsene in giro da sola.”

Il Marchese strinse le labbra perfette in una linea dura. Attese l’arrivo di un’invettiva verso di lei, ma invece, lui riportò lo sguardo sulla figlia. “Te ne sei andata in giro senza la bambinaia?”

“L’ho fatto. Ma c’erano delle ragioni. Vedi la bambinaia…” Il suo sguardo incontrò quello di Felicity e poi lo abbassò sulla cravatta immacolata del padre.

“La bambinaia ha fatto cosa?” disse con il tono di un uomo che era abituato a vedere eseguiti tutti i suoi desideri.

“Niente,” finì Charlotte in un sussurro. “Me ne sono andata da sola. Volevo vedere i teatri in miniatura e pensavo di rubare un momento per..e..mi dispiace, papà.” Guardò il padre con occhi pieni di lacrime.

Come per magia, tutta la durezza dello sguardo dell’uomo svanì come neve al sole. “Va tutto bene, tesoro.”

Felicity sbuffò. Il marchese riportò l’attenzione su di lei. “C’è qualcosa che non va, mia signora?”

Se non avesse riguadagnato un pò di controllo verso i suoi bambini scapestrati, allora ci sarebbero state si, molte cose che non sarebbero andate bene in futuro. Felicity poteva nominargli quattro esempi perfetti. Invece, disse, “Non è affar mio.”

“Non è affar vostro,” ripetè lui, con mordacia. Forse avrebbe dovuto stare zitta. Ora, mentre ripensava alla sua risposta, poteva vedere come il suo ‘non è affar mio’ fosse suonato un pò accondiscendente e critico. Essendo stata giudicata lei stessa piuttosto frequentemente nei passati mesi, preferiva non essere colpevole delle stesse accuse.

“Mi dispiace,” disse. “Io…” fece un altro inchino. “Vi auguro una buona giornata. Charlotte, mio sigonore.”

Felicity lanciò un silenzioso grazie all’astuto maggiordomo che intepretando correttamente il suo bisogno di scappare, aprì la porta immediatamente. Scappò fuori, e lanciò un altro grazie silenzioso al suo fedele cocchiere, che la stava già aspettando con la porta della carrozza aperta.

“Mia signora?” Una voce profonda fermò la sua fuga. Si irrigidì e rimase con lo sguardo fisso sulla carrozza, sapendo che i passanti stavano studiando sia lei che il Marchese con grande interesse.

“Lady Felicity,” disse il Marchese in modo calmo e serio. Aveva affrontato il tradimento di Cooper, la sua conseguente rovina della reputazione, e il dolore della sua famiglia. Poteva certamente affrontare quest’orso di un uomo.

Felicity si sforzò di girarsi per affrontare il Marchese. “Mio signore?”

L’uomo si toccò i risvolti, segno che fosse un pò a disagio. “Volevo ringraziarvi, per aver aiutato Charlotte oggi. Non mi trovo spesso nei panni di quello che deve mostrare gratitudine…”

“Non voglio la vostra gratitudine,” lo interruppe. Fece una smorfia appena le parole le scapparono dalle labbra. E’ questo che Cooper l’aveva portata a diventare? Una donna acida e bisbetica?

Gli occhi del Marchese si oscurarono diventando di un intenso blu. Erano peccaminosi e oscuri, ma allo stesso tempo chiari e brillanti come il cielo in estate. L’accenno di un sorriso giocò sulle sue labbra. Si schiarì la voce. “Nondimeno, l’avete, mia signora.”

Felicity si diede un calcio mentalmente per essere stata scoperta ad osservarlo. Prima dello scandalo, gli avrebbe risposto in modo arguto, o si sarebbe limitata a dargli una risposta educata. Ma quella giovane donna probabilmente era morta grazie alle sapienti e crudeli mani di Cooper Seldon. Avrebbe tanto voluto essere ancora quella ragazza innocente e piena di vita, invece che questa difensiva e irritabile creatura che era ora. Perchè in quel caso, forse lei e il Marchese avrebbero smesso di accanirsi l’uno con l’altra. Il Marchese se ne stava in piedi stoico, con indosso solo una camicia, immune al freddo dell’inverno, in attesa di una risposta.

“Perdonatemi,” disse dolcemente. Sembrava che si scusassero spesso in presenza dell’altro. “Charlotte è una bambina meravigliosa e sono stata grata di averla potuta aiutare. E’ vivace,” si ritrovò a pensare a come lei e le sue sorelle non fossero state molto diverse a quell’età. Le sopracciglia del Marchese si aggrottarono. Felicity sistemò una piega immaginaria della propria gonna. “Proteggetela, mio signore.” Proteggetela dalle ingiustizie e dalla crudeltà del mondo. Si voltò per salire in carrozza.

“Aspetta!” Una voce di bambina spezzò l’aria invernale. Felicity si voltò. Charlotte corse giù per gli scalini di fronte casa sua, superò il padre e si fermò di fronte a lei.

“Felicity..voglio dire..mia signora..” disse in modo un pò affannato per via della corsa.

Felicity si abbassò e le mise una mano sulla guancia. “Cosa c’è, tesoro?”

“Gelato,” disse tutto d’un fiato. Felicity angolò la testa. La bambina si girò verso il padre. “Dovremmo ripagare Lady Felicity. Mi ha salvato, papà. Mi ha trovato e mi ha portato a casa. Un atto di gentilezza simile dovrebbe essere ripagato con del gelato.”

Felicity si alzò e il cuore le si riempì di calore. Lei era mai stata così dolcemente innocente? Anche prima della morte del padre?

Il Marchese si avvicinò e mise una mano sulla spalla della figlia. “Char..” iniziò.

La bambina lo interruppe. “Quando facciamo buone azioni ci porti sempre a prendere un gelato da Gunter. Lady Felicity ha fatto una buona azione.”

L’uomo si schiarì la voce e guardò momentaneamente Felicity. “Fa troppo freddo per andare a prendere un gelato, Char.” Tornò a guardare la figlia.

Felicity era stata congedata. Si morse il labbro per l’abietta umiliazione. Non avrebbe dovuto importare che Lord Queen non volesse portarla da Gunter. Dopotutto, non faceva anche lei di tutto per evitare gli sguardi della società più del necessario. Allora perchè si sentiva delusa?

Charlotte incrociò le braccia al petto con un’espressione ribelle. “Non fa mai troppo freddo per il gelato, papà.” Guardò Felicity. “Non è vero?”

Si sentìì arrossire. “Mmm..”

“Vedi?” Charlotte intervenne per lei. “Non fa mai troppo freddo per il gelato.”

“Non ho detto questo,” rispose Felicity stupefatta. Guardò verso Lord Queen con fare sicuro. “Non ho mai detto questo.”

Un altro sorriso gli comparì sulle labbra. “Lo so, mia signora.” Felicity piegò la testa. Era davvero magnifico quando sorrideva. Non la fredda e senza emozioni bellezza di una statua di pietra che aveva rimpito i suoi pensieri da quando si erano incontrati, ma qualcuno di reale, qualcuno pieno di vita.

“Ma papà,” pregò Charlotte, riportando Felicity alla realtà. “Come puoi non mostrare apprezzamento per..?”

“Basta così.” Le sue parole pronunciate in modo gentile, erano ferme e lasciavano poco spazio per repliche. Felicity odiava quella piccola e profonda parte di se stessa che avrebbe voluto essere invitata da Gunter. Si voltò.

“Mia signora?” la richiamò il Marchese. Lei si irrigidì. “Sicuramente non vorrete farmi passare per maleducato, non è vero?” C’era un leggero tono canzonatorio in quella domanda.

Felicity si girò di nuovo con fare confuso. “Mio signore?”

Lui si portò una mano al petto. Il sobrio gentiluomo a cui era abituata, aveva ora una felice luce negli occhi. “Rifiutereste davvero la mia offerta di gratitudine nel non acconsentire a venire con me e i bambini a prendere un gelato per ripagarvi degli sforzi fatti?”

“Non ho…” Arrossì di nuovo. “Oh.” Stava per replicare che non aveva fatto tutto questo per Charlotte per ricevere qualcosa in cambio ma si rese conto che il Marchese la stava semplicemente canzonando.

Charlotte le prese la mano e Felicity si sforzò di distogliere lo sguardo da quello affascinante del Marchese. “Oh, ti prego, dì che verrai. Ti prego.”

La cosa più conveniente da fare sarebbe stata declinare educatamente. Cosa avrebbero detto le pagine scandalistiche su Lady Felicity che andava a prendere un gelato da Gunter assieme al Marchese di Beaufort e ai suoi due bambini orfani di madre? Solo che..si abbassò di nuovo verso Charlotte. “Come potrei mai rifiutare un’offerta del genere?”

Strinse il naso della bambina con fare affettuoso. Charlotte ridacchiò. “Ma è splendido! Non è vero, papà?”

Felicity guardò il Marchese, il quale stava studiando lei e Charlotte con la sua solita solennità. La guardò dritta negli occhi e disse: “Splendido, davvero.”

Il suo tono mellifluo cadde su di lei come cioccolata calda, una risposta così diversa rispetto a quelle crude e burbere a cui l’aveva abituata. Quando si congedò da loro si accorse dell’assoluta follia dell’aver accettato l’offerta del Marchese. Nonostante questo, una volta in carrozza e di ritorno verso casa, non potè fare a meno di sorridere.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Oliver si era rinchiuso nel suo ufficio. Fece ticcheggiare la punta della penna sopra la superficie immacolata della sua scrivania.

Proteggetela.

Lady Felicity lo aveva incoraggiato a proteggere Charlotte, eppure, c’era qualcosa di più profondo, testimoniato dal dolore acuto negli occhi di lei, che gli suggeriva che lei avesse parlato per esperienza personale. Non per la prima volta dopo che l’aveva incontrata vicino al lago Serpentine si chiese cosa potesse rendere una così giovane donna così malinconica. Non poteva avere più di 20 anni, e anche se sembrava essere passata un’eternità da quando lui stesso aveva avuto quell’età, si ricordava ancora la spensieratezza della gioventù. Si ricordò di quando incontrò Laurel, la donna aveva avuto 19 anni, era vivace e spensierata, in sintesi tutto quello che non era Lady Felicity. Le differenze sottili tra le due erano decisamente un punto a favore di Felicity. Dopotutto, Laurel non avrebbe mai lanciato palle di neve a nessuno e nemmeno avrebbe riportato a casa una bambina che si era persa.

Le tende color oro si mossero, e la sua penna si fermò a mezz’aria. Alzò lo sguardo. “Mi chiedo cosa dovrei fare a Charlotte per avermi spaventato oggi,” disse. “Forse dovrei vietarle di mangiare dolci fino alla fine della stagione natalizia.” Un fargugliamento riecheggiò nell’aria seguito da una voce di bambino.

Oliver si sistemò meglio sulla sedia e posizionò le sue braccia sui lati. “Ovviamente anche Daniel dovrebbe essere punito.” Qualcuno da dietro le tende sghignazzò.

Suo figlio nè uscì e lo guardò con espressione torva. “Perchè dovresti punirmi? E’ lei quella che se ne è andata in giro senza bambinaia.” Puntò il dito contro la tenda.

Poteggetela, mia signore.

Oliver alzò un sopracciglio. “Ma come suo fratello, hai il dovere di proteggere tua sorella.” Anche se sapeva che gli stava dando un compito difficile. Specialmente considerando il fatto che lui stesso aveva fatto un lavoro alquanto deplorevole nel proteggere i suoi bambini dalle mani della madre.

Daniel fece scorrere la punta delle scarpe sul tappeto. “Ma stava guardando delle gonne, papà. Gonne,” ripetè aggiungendoci enfasi.

Charlotte spostò le tende e corse fuori. “Non stavo guardando le gonne. Stavo guardando dei teatri in miniatura.” Battè le mani e un’espressione sognante le passò sul viso. “Oh, papà, avresti dovuto vederlo. Era magnifico. Aveva..”

“A papà non interessa del tuo teatro in miniatura,” sbottò Daniel. I due bambini si misero a litigare, con le loro voci che si facevano sempre più squillanti.

“Ora basta,” disse Oliver in modo calmo. Entrambi immediatamente si acquietarono. Si alzò. “Ora, suppongo che ci sia una ragione per cui vi siete nascosti dietro le mie tende?” Fratello e sorella si scambiarono uno sguardo.

“Gelato,” disse Charlotte aggrottando le sopracciglia.

“Scusami, Charlotte?”

“Avevi promesso a Lady Felicity che ci avresti portato fuori a prendere un gelato. Sai, per avermi salvato,” disse, puntualizzando le ultime parole.

“Solo gli sciocchi mangiano un gelato in pieno inverno,” mormorò Daniel.

La sorella lo fulminò con lo sguardo. “Allora vorrà dire che a te non ne daremo uno.” Si tolse un immaginario granello di polvere dalla gonna. “Starai a casa con la bambinaia mentre noi andremo a prendere un gelato.”

“E perchè mai poi tu dovresti ricevere un gelato? Sei tu quella che è scappata dalla bambinaia.” I due ricominciarono a litigare.

“Silenzio. Silenzio!” Oliver questa volta li zittì con più fermezza. “Charlotte,” iniziò dolcemente. “Non è appropriato portare Lady Felicity a prendere un gelato.”

La bambina aggrottò la fronte. “E perchè mai?”

Oliver si passò una mano sul viso. Perchè, se non fosse stato attento, quella giovane donna con il suo animo gentile e il riguardo che aveva dimostrato verso i suoi figli, sarebbe stata una seria minaccia per il muro che aveva eretto attorno al suo cuore. “Bè prima di tutto è inverno e un gentiluomo non dovrebbe stare in compagnia di una giovane donna nei confini di una carrozza.”

Charlotte si grattò la testa: “Perchè?” Si, la sua vivace figlia avrebbe decisamente avuto bisogno di essere tenuta d’occhio negli anni a venire.

“Perchè potrebbero succedere cose improprie,” rispose Daniel con un sospiro.

“Che tipo di cose improprie?”

Oh, per l’amor di Dio.

Oliver lanciò un’occhiataccia a Daniel, il quale si fece subito silenzioso e spostò l’attenzione su Charotte. “Un gentiluomo non dovrebbe scortare nessuna giovane donna a prendere un gelato.” Un gelato poteva portare anche a balli e chiamate pomeridiane. Un modo per mostrare interesse. Tutto quello che lui non poteva offrire ad una signora.

“Perchè?” insistette Charlotte. Se fosse nata maschio, avrebbe potuto avere la meglio su tutti gli avvocati d’Inghilterra.

“Perchè semplicemente non lo fai,” si intromise Daniel. “Porti delle signore a prendere un gelato solo se sono le tue promesse spose o le tue mogli.” Il tono duro nelle parole del figlio fecero riflettere Oliver. Da quando Daniel era diventato così cinico e arrabbiato? E per quale motivo lui non lo aveva realizzato fino ad ora? Il bambino che sorrideva facilmente, con le fossette ben in vista se n’era andato. Dopo il tradimento della madre, era diventato troppo maturo per la sua età e sempre arrabbiato.

“Non è sempre vero,” disse Oliver.

“Vedi,” disse Charlotte in modo gioviale, in segno di vittoria. “Per cui..quando andiamo a prendere un gelato?”

Oliver si passò una mano sul viso. “Char..”

“Ma avevi detto che lo avremmo fatto,” pianse. “Lo hai promesso a Lady Felicity, e i gentiluomini non ritrattano mai una promessa.” Le sue parole risuonarono piene di condanna e verità nell’ufficio. Sospirò. La sua bambina di sette anni aveva ragione. Prese fuori un foglio dal cassetto della scrivania.

“Cosa stai facendo?” chiese Charlotte in modo sospettoso. Stava cercando di capire come diavolo avrebbe fatto a prendere tre gelati da Gunter e portarli discretamente in un posto più appropriato.

“Sto mandando un invito a Lady Felicity.”

Sua figlia battè le mani, mentre Daniel gemette in segno di irritazione. Un gentiluomo non ritrattava mai le sue promesse. Oliver si sedette a scrivere il suo invito. Sembrava proprio che sarebbero andati a prendere un gelato. Ovviamente, se Lady Felicity voleva ancora andare con lui e i suoi problematici bambini.

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Felicity si sedette su una sedia vicino alla finestra, guardando la coltre bianca che ricopriva le strade. Forse era stato il tempo tutt’altro che clemente. O forse aveva solo accontentato sul momento la sua insistente figlia. O forse, l’aveva solo presa in giro. Qualsiasi ragione fosse stata, il Marchese di Beaufort non aveva ancora mandato il suo invito.

Toccò con il dito il vetro ghiacciato. Se fosse stata onesta con se stessa poteva ammettere che si sentiva delusa. Non perchè amasse il gelato, anche se lo amava davvero. Ma perchè dopo mesi passati ad essere una reietta nella società, aveva apprezzato l’idea di uscire di nuovo, anche solo per un piccolo attimo, e fare finta di essere una signora rispettabile con un pretendente interessato a lei. Ripensò al comportamento alquanto brusco del Marchese e sorrise in modo malinconico. Il Marchese non poteva essere in nessun modo considerato un pretendente interessato. Ma lo stesso…le era piaciuto il sogno. La logica si fece strada nella sua mente. Le donne giovani e rispettabili non andavano con i gentiluomini in una carrozza chiusa a prendere un gelato da Gunter e le persone sensibili non se ne andavano in giro con quel freddo. Forse era meglio così.

Sentì bussare leggermente alla porta e alzò lo sguardo. “Posso entrare?” Sua sorella Sara se ne stava in piedi esitante.

“Si, certo.” Sara entrò e si sedette di fianco a lei con un’espressione sofferente. “Stai bene?” le chiese preoccupata.

“Sono un pò indisposta stamattina, ma niente che non sia naturale per le mie condizioni.” Sara era in dolce attesa. Lo aveva comunicato a tutti poche settimane prima, ed era stata una gioia per la famiglia Smoak, una lieta notizia dopo mesi di sofferenza grazie alla fuga di Felicity con Cooper Seldon.

Le due sorelle si sorrisero brevemente e poi guardarono silenziosamente la neve cadere.

“Odio vederti in questo stato, Felicity,” la voce di Sara ruppe il silenzio. “Non puoi passare tutto il tempo chiusa in casa.”

Lei sospirò. “Non posso farci nulla. Lo sai che la società non approva quelle come me.”

“Non parlare così,” le rispose Sara con una punta di rabbia. “Si hai commesso un errore, ma non meriti questa punizione.”

“Peccato che la società non la pensi come te.” Oh, quanto avrebbe voluto che le cose fossero diverse. Vivere in un mondo, dove un misero sbaglio non significasse la completa rovina della tua esistenza. Ma purtroppo il loro mondo non perdonava. Pensare il contrario, sarebbe stato da sciocchi.

Sara le strinse le dita. “Sei la persona più buona e generosa che io conosca. Meriti più di questo.” Felicity nonostante tutto le sorrise. “Posso farti una domanda che volevo farti da tempo? Puoi non rispondere se vuoi. Sei così intelligente, vibrante e amorevole..perchè Cooper Seldon?”

“Mi aveva prestato attenzione.” Fece una smorfia nel realizzare che completa stupida fosse stata per aver messo in pericolo ogni cosa semplicemente perchè qualcuno le aveva prestato attenzione. Diede una scrollata di spalle. “Lo sai quanti pochi pretendenti avessi avuto fino a quel momento e Cooper mi portava fiori, mi scriveva sonetti..” Lasciò le parole morire, perdendosi nei suoi pensieri. Cooper aveva flertato con lei, l’aveva corteggiata. Aveva lanciato una corda nera e l’aveva trascinata verso il suo vuoto e nero cuore. E per questo, lei aveva perso il suo orgoglio e il suo posto nella società.

Sara sospirò. “Se solo fossi stata più presente..magari tutto questo non sarebbe successo.”

Felicity scosse la testa in modo veemente. “Ti eri appena sposata, ti stavi costruendo una famiglia…lo stai facendo. Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno in realtà. Solo mia.”

Sara l’abbracciò. Dopo qualche istante disse: “Sai, chiamiami sciocca, ma credo fermamente che ci sia un gentiluomo là fuori che sia abbastanza coraggioso da guardare oltre ad uno stupido errore di gioventù.”

“Un pò sciocca lo sei,” le rispose Felicity in modo ironico.

Sara si mise a ridere e cominciò a farle il solletico. “Ehi, non dimenticarti chi è la sorella maggiore qui, un pò di rispetto.”

Felicity fu salvata dalla tortura in atto, dal maggiordomo, il quale entrò trasportando un vassoio d’argento. “Lady Felicity, c’è una missiva per voi,” urlò per farsi sentire oltre le risate delle due donne. Il cuore di Felicity si fermò per un istante e poi ritornò a battere in modo accelerato. “E’ stato consegnato da..” Si affrettò, quasi correndo, a prendere la missiva prima che il maggiordomo potesse dire troppo.

“Grazie, Smith! E’ tutto,” concluse lanciando uno sguardo incisivo al maggiordomo. L’uomo annuì brevemente. Poteva essere diventato sordo con l’età, ma capiva ancora le cose al volo. Smith si inchinò e se ne andò.

Incapace di resistere alla propria dolorosa curiosità, Felicity guardò la missiva e studiò il sigillo sconosciuto. Solo un uomo avrebbe potuto mandarle quella nota. Le sue dita tremarono per il desiderio di aprirla, ma..alzò lo sguardo e vide Sara che la guardava con un misto di apprensione e curiosità.

“Qualcosa che dovrei sapere?” le chiese la sorella.

“No, niente di importante.” Negò Felicity in modo poco convincente.

“Davvero? Bè, sono intrigata perchè credo che fossero mesi che non ti vedevo quell’espressione sul viso. Sembri quasi..felice.” E lo era, oh se lo era. Era felice perchè con l’arrivo di quella missiva, qualcosa di incredibilmente diverso e unico era successo in un mondo dove tutto quanto ormai era monotono e privo di significato.

Sara improvvisamente fece una smorfia e si portò la mano alla bocca. “Sei sicura di stare bene?” le chiese Felicity preoccupata. “Posso chiamare il medico, se vuoi..”

“No, no. Sto bene. Ho probabilmente solo bisogno di sdraiarmi.” La sorella si avvicinò a lei e la baciò sulla guancia. Poi la guardò profondamente negli occhi. “Se hai bisogno di parlare, di qualsiasi cosa, sappi che io ci sono sempre, Felicity.”

“Grazie,” mormorò. Sapeva di poter contare su di lei, e si sentì quasi in colpa per non averle rivelato del Marchese e dei suoi due bambini, ma..era un piccolo sogno che voleva tenersi per sè, finchè durava.

Sara la guardò come se volesse dirle di più, ma poi annuì e si congedò. Felicity aspettò diversi momenti prima di riportare l’attenzione sulla lettera che stringeva tra le mani. L’aprì e il suo cuore accelerò i battiti.

Lady Felicity,

mi scuso del ritardo con cui ricevete questa nota. A dire il vero, dopo la vostra dipartita, ho tenuto in considerazione la difficoltà del coordinare un viaggio rispettabile da Gunter nel cuore dell’inverno.

Il suo cuore fece un salto di disappunto. Ovviamente, dopo che se n’era andata, il Marchese aveva certamente realizzato lo scandalo nell’essere associato ad una come lei. Si sforzò di continuare a leggere.

Dopo aver discusso la logistica di un tale incomodo, e aver considerato le regole dell’etichetta e del tempo con i miei profondi bambini, vorrei chiedervi di essere coraggiosa abbastanza da affrontare il freddo inverno domani pomeriggio e di incontrarci ai bordi del lago Serpentine (voi sapete dove), in modo da poter ripagarvi della vostra buona azione (parole della mia cara Charlotte) con un gelato preso da Gunter. Se, ovviamente, non volete affrontare il freddo, dovete solo mandarmi una nota. Dovrò trattenere Charlotte per il disappunto..

Sospirò, sperando stupidamente che avrebbe provato anche lui un pò di disappunto.

..e ovviamente anche me stesso. Il vostro umile servitore.

Oliver

E, ovviamente anche me stesso. Quattro parole così importanti.

Felicity richiuse la nota, con un sorriso sulle labbra. Non c’era stato nessun bisogno di aggiungere quella frase, e nonostante questo lo aveva fatto. Forse ci stava leggendo troppo in queste quattro parole, ma non poteva farne a meno. Se fosse stata completamente onesta con se stessa, poteva ammettere che per la prima volta, dal tradimento di Cooper, la sua speranza di trovare il vero amore si stava alimentando. Forse era davvero una sciocca, dopotutto.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Il rumore della carrozza di Oliver si aggirava per le quiete strade di Londra, ma a parte questo non c’era nient’altro di quieto quel giorno.

“Non voglio incontrare Lady Felicity per degli stupidi gelati,” si lamentò Daniel.

Charlotte scosse la testa con una saggezza più tipica di una matrona che non di una bambina. “Oh, finiscila. Apprezzerai tantissimo il gelato.”

“Non lo farò.”

“Lo farai,” rispose di rimando Charlotte. “Papà digli…”

“Smettetela di litigare, voi due.” Forse anche nella loro tenera età potevano sentire la disperazione nella sua voce perchè i due bambini si scambiarono uno sguardo e si fecero silenziosi. Con un sospiro, Oliver si sedette meglio sul divanetto. Charlotte si sistemò anche lei accanto a lui, senza notare come il suo spostarsi minacciasse l’intera esistenza del gelato preso da Gunter che aveva in mano. Aggrottò la fronte. Non aveva mai considerato i due chilometri tra Berkley Square e Hyde Park come una lunga passeggiata in carrozza. Ma con la situazione precaria dei gelati nelle mani sue e in quelle di Daniel, cominciava a dubitare che sarebbero arrivati al parco con il gelato di Lady Felicity ancora intatto. Un pò di crema gli si sciolse sulla mano. Suo figlio aggrottò la fronte, sembrando indeciso se gettare il gelato sul pavimento della carrozza o semplicemente leccarlo. Di contrasto, gli occhi di Charlotte danzavano pieni di eccitazione. Saltellava su e giù dal divanetto, ricordandogli in quel momento la bambina serena e giocosa che era sempre stata.

Charlotte battè le mani. “Sono così eccitata di vedere…” Poi arrossì. “Ehm..il lago ghiacciato,” finì debolmente. Daniel le lanciò uno sguardo di disappunto. Gli occhi del bambino suggerivano che i suoi pensieri si erano diretti esattamente nello stesso luogo di quelli del padre. Oliver scosse la testa brevemente. Non avrebbe messo in imbarazzo la figlia rivelando ad alta voce che sapeva dei suoi piani romantici su lui e Felicity. La carrozza si fermò e Oliver disse un sentito ‘grazie’ interno quando il suo cocchiere aprì la porta.

Il servo sorrise a Charlotte. “Mia signora.”

Charlotte mise la sua mano gentilmente in quella del cocchiere. “Grazie mille, Alan.”

Oliver sbattè gli occhi vistosamente. Aveva spesso ripreso i suoi figli per il modo che avevano di trattare la servitù fin da quando avevano cominciato a parlare. Laurel, purtroppo, era stata vile e cattiva con lo staff e li aveva sempre trattati come se fossero nati per eseguire ogni suo capriccio. Questo aveva lasciato una brutta impressione su Charlotte e Daniel.

“Gli hai appena detto grazie?” chiese Daniel una volta uscito anche lui dalla carrozza. Oliver uscì anche lui mormorando un ringraziamento al servo.

“Ovvio che l’ho fatto.” Charlotte si sistemò il fiocco in un modo più consono ad una donna di 30 anni che non alla sua bambina vivace di sette. “Bisogna essere gentili verso i servi. Dopotutto, immagina quanto sarebbe difficile la vita senza di loro.” Pronunciò le parole come se le stesse recitando dalla sua memoria.

Mentre Oliver e i suoi bambini si facevano strada tra i sentieri deserti di Hyde Park, i loro passi risuonavano indisturbati sulla coltre di neve. Il loro respiro emanava nuvolette bianche, segno della completa pazzia di visitare Hyde Park durante quel freddo. Con in mano dei gelati, tra l’altro.

Charlotte arricciò il naso. “Fa freddo.”

“Bè questa è stata una tua idea,” sbottò Daniel, dandole una leggera gomitata.

“Stai attento Daniel, o li farai cadere. Papà, digli che li farà cadere.”

Oliver guardò i due gelati che portava tra le mani coperte dai guanti e per un breve attimo considerò l’idea di metterseli nelle orecchie per evitare di sentire il costante bisticciare dei suoi bambini. Era diventato molto peggio da quando Laurel era morta. Nei suoi tentativi di evitare che i suoi figli soffrissero ancora di più per via del tradimento e della morte della loro madre, aveva lasciato che diventassero degli scapestrati. Il senso di colpa lo attanagliò nel riconoscere come vere le accuse che Lady Felicity aveva rivolto verso di loro.

Eppure..mentre continuavano la loro passeggiata verso il lago, guardò Charlotte. Aveva ringraziato il cocchiere quando fino a poco tempo prima aveva sempre visto Alan, e anche tutti gli altri membri dello staff, come semplici servi. Cosa aveva potuto procurare un cambiamento simile in sua..?

D’un tratto una figura rossa attirò la sua attenzione. Il fiato gli si fermò in gola quando Lady Felicity si tolse il cappuccio. Sorrise ai suoi bambini e alzò una mano in segno di saluto. Poi il suo sguardo si spostò su di lui. Si fissarono per un lungo istante e Oliver si immobilizzò, colto di sorpresa dalla bellezza di lei, calda ed effervescente tra il resto del mondo freddo e ghiacciato.

“Felicity!” Charlotte urlò e chiuse la breve distanza tra loro correndo verso di lei. Non qualcosa. Qualcuno aveva perpetutato questo cambiamento in Charlotte. Poteva scommettere che ci fosse l’influenza di Lady Felicity dietro all’improvvisa gentilezza della figlia verso Alan.

Raggiunse anche lui le due, mentre la donna continuava a parlare con Charlotte. Sua figlia stava gesticolando in modo selvaggio, e parlando a vanvera. “Limone, ma io ho detto che sicuramente tu preferivi..”

Felicity rise e si avvicinò alla bambina, abbassando la voce in un sussurro cospiratorio. “Non penso che si possa avere solo un gusto preferito di gelato.”

“Ti abbiamo preso un gelato al limone,” sbottò Daniel e poi prese a calci un pò di neve come se fosse imbarazzato nell’essere d’accordo con una giovane donna.

Felicity spostò l’attenzione verso suo figlio. “Bè il limone è uno dei miei gusti preferiti. E’ sempre così delizioso.” Fece l’occhiolino a Charlotte e poi spostò la sua attenzione verso Oliver. “Non è per caso vero, mio signore?”

La gioia le danzava negli occhi. Tu sei deliziosa. Si aspettava di essere inorridito dalla sua quasi pazza fissazione per la giovane donna, ma non aveva mai conosciuto una donna come lei. Le giovani signore non si fermavano a parlare con i bambini o a scortare cosiddetti bambini a casa quando venivano separati dalle loro bambinaie. Molte giovani donne li avrebbero messi in carrozza, con un servo, e mandati a casa. Sempre ammesso che avessero notato il bambino sperduto prima.

“Papà?” Daniel gli diede un colpetto.

“Mmm? Oh..si, già.” Oliver si schiarì la gola e resistette all’urgenza di sistemarsi la cravatta. “Delizioso. Davvero delizioso,” finì malamente. Ormai a corto di parole, passò il gelato a Charlotte e sua figlia lo prese con mani impazienti, il tutto mentre lui continuava a fissare la curva del labbro inferiore di Felicity. Aveva un urgente desiderio di posarci sopra le sue labbra. La donna angolò la testa e lo studiò. Oliver le porse la mano. Lei esitò e poi mise le dita tra le sue.

“Lady Felicity.” Inchinò la testa e le passò il gelato preso da Gunter. “Il vostro gelato al limone.” La donna fissò in modo bramoso la delizia zuccherosa e poi si bagnò le labbra come un gatto in attesa di divorare un canarino.

“Papà possiamo andare a giocare?” pregò Charlotte.

“D’accordo, ma state attenti a non scivolare e non giocate troppo vicino alla riva,” istruì. Daniel e Charlotte corsero via mentre Oliver e Felicity rimasero in piedi vicino alla riva del lago in socievole silenzio. “Le manca la madre,” ruppe finalmente il silenzio lui.

“Immagino,” rispose lei. “Mio padre è morto quando ero solo una bambina e anche ora, non c’è giorno che non pensi a lui.”

Oliver strinse le mani sul proprio bicchiere di gelato, cercando di trattenersi dal chiederle maggiori dettagli sulla sua vita. Una simile curiosità poteva minacciare quel mondo che aveva costruito per i suoi bambini, nel quale non rimanevano feriti da persone esterne alla famiglia. “A cosa pensate?”

Felicity alzò le spalle. “Mi chiedo che tipo di cibo gli piaceva. Odiava il cioccolato come lo odio io?”

Oliver osservò il gelato che aveva in mano. “E’ una fortuna che non abbia portato del gelato al cioccolato allora.”

Felicity spalancò gli occhi. “Oh no!” si affrettò a dire. “Avrei comunque apprezzato. Io..” le sue guance già rosa per via del freddo, diventarono di un rosa acceso. “Oh, mi state stuzzicando.” Non sembrava infastidita dalla cosa.

L’espressione di Oliver si fece più dolce. “Si.”

Felicity giocherellò con il suo cucchiaio, poi lo immerse nel gelato e ne mangiò un boccone.
“Detestate il cioccolato? Credevo che piacesse a tutti.”

“Si lo detesto,” disse, mangiando un altro boccone di gelato. “E’ troppo dolce. Preferisco mangiare una scodella di fragole e lamponi.” Mentre parlava dei frutti deliziosi dell’estate, Oliver si ritrovò ad osservarle le labbra rosa e carnose. Un’ondata di desiderio lo assalì. Bramava la dolcezza della sua bocca. Deglutì un gemito.

Felicity, nel mentre, stava continuando a parlare del padre, non rendendosi conto dei suoi pensieri totalmente inopportuni. “Sospetto che le mie sorelle sarebbero più educate se fosse vissuto.” Sorrise. “Anche se probabilmente avrebbero trovato altri modi per comportarsi male.”

Oliver rispose al suo sorriso, e si rese conto che fino a quel momento si era dimenticato di come ci si sentisse ad essere felici semplicemente per la gioia di esserlo. Il suo sorriso si affievolì. “Immagino che sia stato un buon padre.”

Il viso le si riempì di malinconia. “Ero solamente una bambina quando è morto. A volte non riesco a ricordare com’era davvero in vita, o se il modo in cui lo immagino è solo frutto della mia fantasia. Ha senso, mio signore?”

“Si.” Sapeva esattamente cosa intendesse dire, dato il modo in cui Charlotte ricordava la donna senza cuore che l’aveva messa al mondo. “Grazie per essere venuta oggi..” Tossì coprendosi la bocca con la mano. “Voglio dire..grazie per aver accompagnato la mia famiglia.” Si guardò intorno per vedere se ci fosse la cameriera di Felicity da qualche parte.

Felicity si schiarì la gola. “La mia cameriera è dentro la carrozza. Non mi sembrava giusto trascinarla attraverso la neve e il freddo per un mio capriccio.”

Ah, questa sensibilità verso i servi. “Suppongo che siate stata voi a far notare a Charlotte il suo comportamento verso i servi?”

La donna si morse il labbro inferiore. “Capisco che non sia affare mio istruire vostra figlia su come si trattano i membri della servitù. Ma..”

“Non sono dispiaciuto della cosa, mia signora,” la fermò. Non le avrebbe mai fatto credere di essere un signore pomposo e grossolano che abusava dei suoi servi.

Felicity sbattè gli occhi. “Non lo siete?”

“No, non lo sono.” La donna conosceva sua figlia da pochi giorni e già aveva apportato in lei cambiamenti più positivi di quanto Laurel non avesse mai fatto. Di nuovo, si rese conto di quanto le due donne fossero differenti. Laurel era una vipera, mentre Felicity non mancava mai di donare un sorriso e una parola gentile al prossimo. Gli piaceva quanto spensierata Charlotte fosse in sua presenza. Così come apprezzava gli occasionali sorrisi luminosi che rivolgeva a lui.

Quando diventò chiaro che Felicity non intendeva rompere il silenzio, disse, “Charlotte ha chiaramente subito la mancanza di altre donne nella sua vita e credo che potrebbe beneficiare dall’influenza di una giovane donna per bene.” Entrambi i suoi figli ne avrebbero beneficiato.

Felicity si irrigidì e diventò fredda come il ghiaccio. La sua pelle si fece grigia come il cielo sopra di loro. “Sono bambini splendidi,” mormorò. “Sono uniti?” la domanda le uscì esitante dalle labbra. La punta della sua lingua le uscì dalla bocca e leccò il gelato dal retro del cucchiaio. Oliver deglutì un altro gemito, desiderando disperatamente di potersi scambiare di posto con quel gelato.

“Litigano spesso,” disse alla fine.

La donna sorrise e tutto il mondo intorno a loro si illuminò per un istante. “Questo è normale. Fa parte dell’essere fratelli.”

Pieno di desiderio di sapere di più su questa donna, la quale era riuscita a superare le barriere che aveva eretto attorno al suo cuore, chiese: “E cosa mi dite di voi, mia signora? Siete molto legata alle vostre sorelle o fratelli?”

“Senza ombra di dubbio,” replicò immediatamente. Arricciò il naso. “Vi prego, chiamatemi solo Felicity,” offrì. “Dopotutto considerando il nostro rapporto negli ultimi cinque giorni, immagino che abbiamo superato la categoria di estranei educati, mio signore.”

“Oliver,” corresse lui.

“Oliver,” mormorò lei. Il suono del suo nome tra le sue labbra lo riempì di desiderio. Bramava sentirglierlo dire all’infinito. “Vi dona,” gli sorrise. Avevano iniziato il loro rapporto come freddi e arrabbiati estranei e ora? Ora, il calore negli occhi di Felicity gli faceva dimenticare la promessa che aveva fatto a se stesso di non fidarsi mai più di un’altra donna.

Felicity continuò a parlare della sua famiglia, facendolo entrare nel suo mondo privato. “Ho tre sorelle, una più grande e due più piccole e un fratello. Il Conte di Sinclair.”

Oliver si irrigidì. Sinclair. Tommy. O meglio quello che era conosciuto come Tommy, il peccatore. Avevano frequentato gli stessi circoli anni addietro, giocando d’azzardo e frequentato pure le stesse donne.

Felicity, notando il suo sguardo, si affrettò a rassicurarlo. “Oh, ha messo la testa a posto ora.”

“Davvero?” chiese lui scettico.

La donna mangiò un altro boccone di gelato. “Oh, si.” Felicity leccò il cucchiaio. Di nuovo. Questa volta, Oliver non potè trattenere un lieve gemito alla vista erotica, desiderando che la giovane finisse il gelato in fretta in modo da non dover assistere alla tortura dei suoi movimenti inavvertitamente sensuali. “Mia madre si era ormai rassegnata al fatto che non si sarebbe mai sistemato, ma si è innamorato.” Un’espressione triste e malinconica scese sul viso di Felicity.

Il desiderio di Oliver svanì rimpiazzato da un’urgenza opprimente di toglierle il rimpianto doloroso che poteva leggerle negli occhi. “Deve essere stato interessante vivere in una casa così piena di persone.”

Felicity sorrise, e il dolore scomparì. “E’ stato decisamente movimentato.” Mangiò un altro boccone di gelato e una goccia di crema le andò a finire sull’angolo della bocca.

“Avete del gelato qui,” le fece vedere indicando la propria bocca come esempio.

La donna arrossì leggermente. “Qui?” mormorò e usò il retro della sua mano coperta da un guanto per tirarlo via. Un’altra goccia di gelato le si posò sulla guancia.

Le labbra di Oliver trattennero un sorriso. “Qui,” mormorò e prese il suo fazzoletto. “Permettetemi.” Le passò la stoffa bianca prima sulla guancia e poi vicino alle labbra. Il suo respiro si fermò. O era quello di lei? Questa era pura pazzia. Le ciglia di Felicity si abbassarono e lui abbassò la testa, mentre la realtà scivolava via e rimanevano solo loro due. Bramava di assaporarla. Alcuni urletti giocosi si sentirono in lontananza e lo riportarono alla realtà. Si allontanò dalla bellezza tentatrice in modo incerto. Cercò i suoi bambini con lo sguardo e li vide scomparire dietro una collinetta, lanciandosi palle di neve a vicenda.

“Perdonatemi,” mormorò.

Felicity sbattè gli occhi, confusa, come se avesse fatto giravolte per troppo a lungo. “Non c’è niente da perdonare, Oliver. Non avete fatto niente di improprio.” Ma lo voleva fare, o se lo voleva. Voleva baciarla fino a che lei non fosse stata preda di un’intensa e disperata fame come lui. Notò che il petto della donna si alzava ed abbassava in modo affannoso e sospettò che volesse baciarlo tanto quanto lo voleva lui. Era perso. Con un gemito, Oliver abbassò la testa e si impossessò delle sue labbra. Registò lontanamente il bicchiere di cristallo che le cadde dalle mani e finì sul terreno innevato. Posò le sue labbra su di lei, ancora e ancora. Leccò quel labbro inferiore così pieno e quando lei gemette, esplorò l’interno della sua bocca. La lingua di lei, fredda per via del gelato, gli scaldò il sangue. Sapeva di limone, e se avesse potuto annegare nella sua dolcezza, lo avrebbe fatto. Felicity avvolse le mani attorno al suo collo e pressò il suo corpo contro quello di lui. Le loro lingue si incontrarono in un’antica danza. Oliver gemette di nuovo, incoraggiato dall’audacia di lei e la strinse di più a sè. La donna combaciava perfettamente al suo corpo come se fosse nata per essere solo e soltanto sua.

Dio, aiutami. Voglio di più.

Oliver si sforzò di separarsi da lei, capendo in quel momento cosa Adamo avesse provato nel giardino dei peccati. “Perdonatemi, ora, allora,” ripetè. Avrebbe dovuto separarsi del tutto. Avrebbe dovuto fare un passo indietro. Ma non fece nessuna di queste cose. Invece, le baciò la fronte.

Felicity gli accarezzò la guancia con la mano. “Non c’è nulla da perdonare.”

Oliver serrò la mascella. Invece c’era. Era una donna giovane ed innocente. “C’è tutto da perdonare.” Si portò una mano ai capelli. Non era uno di quei signori depravati che se ne andavano a baciare a destra e a manca le giovani fanciulle nel bel mezzo di Hyde Park, tra l’altro. Non gli importava che la società potesse scoprirlo. Gli importava che si era comportato in modo completamente disonorevole.

———————————————-

Oliver, il 4° Marchese di Beaufort, aveva l’errata impressione che lei fosse una giovane donna per bene. Felicity incrociò le braccia al petto. Cosa avrebbe fatto un tale gentiluomo se avesse saputo quanto fosse disonorevole in realtà? Il senso di colpa l’assalì. Si era illusa che fosse interamente rispettabile avere la sua cameriera con sè durante le sue visite giornaliere ad Hyde Park. Caitlin le dava modo di riuscire a rimanere sola con i suoi pensieri, cosa che apprezzava molto. Solo che giusto ora, Felicity aveva tradito quella fiducia. Aveva tradito sua madre, suo fratello e le sue tre sorelle. E ora..

Guardò oltre verso la collinetta in cui Charlotte e Daniel erano spariti poco prima. Il suono delle loro risate riecheggiava nella fredda aria invernale. E ora, essendo in loro presenza, era anche un rischio per la reputazione dei bambini di Oliver. Rilasciò un sospiro tremante. Non poteva essere egoista. Non di nuovo. Nemmeno se lo avesse voluto. Non quando il suo egoismo era già costato alla sua famiglia così tanto. Aveva rubato alle sue sorelle più piccole l’opportunità di riuscire a sposarsi con dei rispettabili gentiluomini. La vergogna le fece salire l’acido in gola. Non poteva portare quel tipo di miseria ai bambini di Oliver.

“Siete diventata silenziosa, Felicity. Ho detto qualcosa che vi ha offesa? Se l’ho fatto..”

Felicity lo fermò con una mano. “No. No. Non avete fatto nulla.” Non l’aveva offesa. Più che altro le aveva ricordato gli sbagli che lei stessa aveva commesso. Le aveva semplicemente ricordato del bisogno di essere onesta. “Sono solo un pò malinconica per via di mio padre. Cosa mi dite di voi, mio… Oliver? Presumo che pensiate spesso a vostra moglie.”

La sua mascella si strinse. Qualcosa di crudele gli passò negli occhi. “Non penso a lei con affettuosità.”

La risata contagiosa di Charlotte dietro di loro faceva da contrasto alla freddezza di una tale ammissione. Si fermarono e si voltarono mentre Charlotte e Daniel continuavano a lanciarsi palle di neve. Avrebbe voluto chiedergli di più, ma si trattenne. Dopo il tradimento di Cooper, aveva imparato che era meglio non fare domande che non volevi facessero a te. Domande che non meritavano risposta. In assenza di una qualsiasi replica da parte di Oliver, disse: “Mi dispiace che vi sentiate così..”

Un muscolo gli si mosse ai bordi degli occhi. “Immagino che pensiate che io sia senza cuore.”

Felicity scosse la testa. “No, no, affatto.” Non senza cuore. Sospettava che Oliver fosse un uomo che era rimasto scottato dall’amore..esattamente come lei. “Mi chiedevo solo del perchè della vostra risposta. Non che sia affar mio, ovviamente,” disse velocemente quando lui aprì la bocca per parlare.

Lui rise, in modo brusco, senza traccia d’umorismo. “Ve lo chiedete perchè siete giovane, Felicity. Non dovreste avere più di 18 anni, forse 19? Una signora come voi è sicuramente piena di speranze e sogni per il futuro che non sono reali, non più di un sonetto scritto da stupidi romantici poeti. Non potete di certo sapere che esistono donne infedeli così come lo era la madre dei miei bambini.” Qualcosa di duro e accondiscente scese su di lui, rendendolo più simile all’uomo che aveva incontrato ad Hyde Park per la prima volta quasi una settimana addietro.

Felicity si indurì. Come si permetteva di presumere di sapere cosa lei avesse sperimentato o meno nella sua vita? “Parlate con assoluta certezza. Parlate come se sapeste dove vivo o che tipo di esperienza io abbia fatto basandovi solo sulla mia età e la percezione che avete su come dovrebbe essere una giovane donna.” No, non sapeva che anche lei aveva amato e perso nel modo più crudele.

La schernì. “Volete per caso dissentire della mia supposizione?”

“Si esatto. Non presumo di sapere nulla sulla vostra vita solo perchè vi ho visto in un parco insieme ai vostri due bambini e un’espressione seria sul vostro viso.” Poteva anche avere conosciuto il dolore grazie alla crudeltà della moglie, ma alla fine era diventato un genitore e aveva due preziosi bambini, una cosa che Felicity non poteva più sperare di avere.

Oliver la studiò con un’intensità che le fece spostare il peso del corpo da un piede all’altro. Aprì la bocca per parlare, come se volesse chiederle le stesse domande che lei stessa si era trattenuta dal chiedergli pochi istanti prima, ma poi pressò le labbra in una linea dura. “Avete ragione. Non dovrei presumere di conoscere la vostra vita. Perdonatemi.”

Felicity annuì bruscamente, non essendo abituata a sentire scuse da parte degli altri. Era cresciuta in una casa piena di persone rumorose che credevano sempre di essere nel giusto. Un colpo d’aria gelida le alzò all’improvviso leggermente la gonna. Un piccolo riccio biondo le scappò dal fiocco che aveva tra i capelli. Cercò di rimetterlo al proprio posto, ma il riccio le cadde di nuovo sulla fronte.

“Faccio io,” mormorò Oliver dolcemente. Alzò lievemente il fiocco e il respiro le si fermò in gola mentre le sistemava la ciocca dietro l’orecchio, e poi rimetteva il fiocco al suo posto. Il cuore le cominciò a battere all’impazzata e si mise a studiare le linee dure del suo viso.

“Gra..grazie,” balbettò. L’uomo aveva una bellezza dura, come un Adone scolpito.

“Vorrei potervi chiedere cosa abbia causato quella tristezza che avete negli occhi,” le disse dolcemente. “Ma sospetto che non mi rispondereste, non che meriti una risposta.” Prese le sue dita tra le mani. Anche con le loro mani coperte dai guanti, il suo palmo si scaldò al tocco gentile di lui. Avrebbe dovuto tirarsi indietro. Avrebbe dovuto essere indignata dal tocco audace di lui. Ma aveva già fatto innumerevoli cose nella sua vita che avrebbe dovuto fare diversamente.

“Meritate una risposta in realtà,” gli disse. Perchè non poteva permettere che lui la incontrasse insieme ai suoi bambini e rischiasse di mandare all’aria il futuro di Charlotte nel trovare un marito. Oliver la guardò intensamente, in attesa. Non era una codarda, ma le parole le morirono in gola. Lui fece per parlare..

“Sono scappata con un gentiluomo,” disse velocemente. L’umiliazione l’assalì. Il corpo di lui si irrigidì, ma non disse nulla. Continuò prima che il coraggio l’abbandonasse del tutto. “La scorsa primavera. E’ stato uno sbaglio colossale e penso che per questo, avendo a cuore il miglior interesse per i vostri bambini, sarebbe meglio che evitaste di essere visto in mia presenza.” Un singhiozzo le si fermò in gola, e cercò di mascherarlo con un colpo di tosse. I suoi occhi le si riempirono di lacrime, e si mise a guardare in basso verso il bicchiere di gelato che le era caduto. Si abbassò, prendendolo su. Prima che Oliver potesse replicare, scappò via, desiderando con tutta se stessa di aver preso decisioni diverse in vita sua.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Nuovo capitolo pronto per voi. Pensavo di non riuscire a postarlo fino al weekend invece sono riuscita ad avere un pò di tempo libero per scriverlo. Spero vi piaccia! I commenti sono sempre ben accetti ;)


Capitolo 7

Smith aprì le porte e Felicity entrò in casa. Le sue gonne completamente infradiciate lasciarono una scia bagnata sul pavimento di marmo. Si tolse il mantello, spostando in modo impacciato da una mano all’altra il bicchiere di cristallo che si era portata dietro da Hyde Park.

Il maggiordomo le prese l’indumento. “Mia..”

Felicity gli fece segno con il dito indice di non dire nulla, ma era troppo tardi.

“Dove sei stata?” le chiese Tommy da sopra le scale. Felicity deglutì vistosamente e cercò di sfoggiare il suo miglior sorriso per il fratello furioso che stava scendendo le scale in tutta fretta. Ma lui non si lasciò incantare. “Nel mio studio, ora.”

Felicity si guardò le gonne. “Potrei per lo meno..?”

“No, non puoi. Ora, Felicity.” Avrebbe voluto rispondere a tono, com’era solita fare quando suo fratello esagerava, ma sapeva che non ne aveva il diritto, non questa volta. Così lo seguì in modo riluttante nel suo studio.

Una volta chiusa la porta, Felicity iniziò con: “Quando sei tornato? Pensavo fossi..”

“Sono appena tornato, siediti.” Disse in un tono che non ammetteva repliche. Aspettò che la sorella lo facesse, e poi continuò. “Dove sei stata? E che diavolo hai in mano?”

Le sue guance si fecero rosse. “Ecco..è un bicchiere di cristallo.”

Tommy non potè fare a meno di trattenere un sorriso. Non era mai stato bravo a sfoggiare completamente la parte di fratello autoritario. “Questo lo posso vedere anche io. Quello che volevo dire è cosa ci fai con un bicchiere di cristallo in mano.”

Il cristallo le scaldò la mano ricordandole l’incontro di poco prima con il Marchese. Come poteva spiegare al fratello iperprotettivo l’urgenza di voler vedere un gentiluomo che prima si era comportato da uomo orso con lei e poi si era trasformato in un uomo che trasportava dei gelati vicino ad un lago ghiacciato?

Tommy sospirò e si sedette sulla sedia dietro la scrivania. “Chi è lui?” Se il suo tono fosse stato duro o di disapprovazione probabilmente non gli avrebbe risposto. Ma poteva vedere che il fratello era davvero preoccupato per lei, e non voleva ferirlo ulteriormente.

“So cosa sto facendo, Tommy. E non sto facendo niente,” si affrettò a replicare quando lui corrugò le sopracciglia. “Una bambina si era allontanata dalla sua bambinaia e io l’ho aiutata a tornare a casa.” Forse era perchè suo fratello era stato un pò un manigoldo anni addietro, prima che la moglie lo avesse completamente riformato, ma la guardò in modo accorto – come se sapesse che c’era molto di più rispetto a quello che gli stava dicendo.

Guardò dietro le sue spalle. “Non riuscirò mai a perdonarmi per quello che è successo, Felicity.”

La ragazza chiuse gli occhi. “Ti prego, Tommy, non è stata colpa tua.”

“Si invece, e lo sai…Cooper era un mio amico, te l’ho presentato io e..pensavo che fosse davvero interessato a te, non mi sono accorto di quello che stava succedendo..e come risultato Seldon si è approffittato della tua..tua..” si schiarì la gola.

“Della mia ingenuità? Della mia stupidità?” replicò lei. Della mia disperazione.

“Della tua innocenza.” Serrò la mascella. “E non farò di nuovo lo stesso errore.”

“Non posso davvero fare lo stesso sbaglio due volte, Tommy, non ti pare?” gli ricordò gentilmente. Dopotutto una volta rovinata, per sempre rovinata. L’unico rischio che correva ogni volta che incontrava Oliver era quello di compromettere ancora di più la posizione delle sue sorelle. Questo da solo avrebbe dovuto fungere da deterrente all’idea di incontrare di nuovo il Marchese. Ma a quanto pareva, non era cambiata. Era sempre la stessa sciocca egoista che era stata nove mesi fa. La logica avrebbe dovuto tenerla lontana dal Marchese, eppure il desiderio di sapere qualcosa di più su di lui continuava a spingerla ad incontrarlo.

Tommy battè le dita sul tavolo. “Te lo chiedo di nuovo, Felicity, chi è?”

“Non ha importanza perchè non lo vedrò di nuovo.” La tristezza si impadronì del suo cuore. Stupidamente, avrebbe voluto vederlo di nuovo. Le piaceva la sua compagnia. Le piaceva il fatto che fosse il solo che parlasse liberamente con lei e che non la guardasse con pietà o disapprovazione come il resto della Società faceva, inclusa la sua famiglia. Questo era successo però, prima che lui scoprisse la verità sul suo passato. Dopo averlo fatto, quasi sicuramente sarebbe entrato o nella categoria della pietà o in quella scandalizzata. Strano, non riusciva ad immaginarsi un uomo potente come Oliver Queen in nessuna delle due categorie.

Tommy gemette. Felicity lo guardò. “Cosa?” gli chiese aggrottando la fronte.

“Sei distratta.”

La sua confusione aumentò. “E..?”

“E riconosco le implicazioni della distrazione,” mormorò più a se stesso che a lei. “Ero distratto esattamente come te ora, quando mi sono innamorato di Juliet.” Quanto strano era sentire suo fratello parlare così liberamente dell’amore?

Felicity si portò una mano al cuore. “Ti posso assicurare che non ho alcuna intenzione di innamorarmi.” No, sarebbe stata la cosa più stupida che avesse mai fatto.

Si alzò e fece per prendere il bicchiere che aveva appoggiato sul tavolo. “Fermati,” istruì Tommy, il tono più simile ad un comandante che non ad un amorevole fratello. “Gelati in inverno?” Ovvio che avrebbe riconosciuto i bicchieri tipici che venivano dati da Gunter. “Ti prego, non farmelo chiedere di nuovo Felicity…chi è?”

Fu il ‘ti prego’ a colpirla. Spostò lo sguardo sul delicato bicchiere che stringeva tra le mani. “Il Marchese di Beaufort.” Forse Tommy non lo conosceva. Lei stessa non aveva mai sentito il nome di Oliver fino a poco meno di una settimana prima.

“Beaufort.” Lei annuì. “Beaufort.” Questa ripetizione del suo nome da parte del fratello non significava niente di buono. “Beaufort.”

Si leccò le labbra nervosamente. “Ehm..lo conosci?”

“Oh si.”

Si morse la lingua per evitare di porre al fratello un’infinità di domande. “Come lo conosci?” Che male c’era a farne solo una?

“Giravamo negli stessi circoli ad un certo punto,” rispose in modo brusco.

“Che è successo?” Perchè non lo avete più fatto? Ma sopratutto..cosa sarebbe successo se il fratello avesse continuato la sua amicizia con Oliver? Forse, sarebbero stati introdotti in modo più approppriato e magari non ci sarebbe mai stato un Cooper Seldon o uno scandalo o..

“Si è innamorato.”

Felicity si irrigidì. Non era preparata a questo. “Di chi?”

Tommy sembrò cercare nei recessi della sua mente. “Una Lady Laurel o qualcosa di simile,” ricordò. “E’ stato un matrimonio d’amore.”

Felicity ricordò il modo in cui Oliver aveva parlato freddamente della moglie morta. Cos’era successo alla coppia amorevole? “Che..?”

“Realizzi vero che per una donna non interessata al Marchese a parte avergli riportato il figlio..”

“Figlia,” corresse.

“..vuoi sapere parecchie cose su di lui?”

Felicity strinse le labbra. Si, poteva vedere come la cosa appariva ad uno spettatore esterno. “Volevo solo..”

“Stai attenta, Felicity. Voglio solo che tu sia felice.” I suoi occhi si fecero improvvisamente tristi. “Non potrei perdonarmi se ti succedesse qualcosa.” Di nuovo. La parola danzava nell’aria tra loro, non detta ma allo stesso tempo reale.

“E non credi che Oliv..” Gli occhi di suo fratello si strinsero in una linea. “Voglio dire, il Marchese,” si corresse, “potrebbe rendermi felice?”

“No,” disse categoricamente. “Non può. E’ un oscuro, serio e introverso gentiluomo ora come ora. Meriti di meglio.”

Felicity annuì e si alzò. “Non hai niente di cui preoccuparti, Tommy,” lo rassicurò.

“Spero proprio di no,” mormorò. Mentre si congedava dal suo studio, considerò le parole del fratello. Sembrava così sicuro nel dire che meritava meglio di Oliver. Si fermò improvvisamente. Il suo cuore accelerò i battiti. Ma se lei non avesse voluto nessun altro oltre al Marchese di Beaufort?

————————————————-

Oliver si passò il bicchiere di brandy tra le dita. Sentì dei passi familiari avvicinarsi al suo studio e si preparò per la solita frase.

“I tuoi figli hanno bisogno di una madre, Oliver.” Ah, eccola qui. Sua madre, Moira Queen, la Marchesa di Beaufort, era solita non perdere tempo con mezze frasi. Le sue visite iniziavano sempre con le stesse parole. Non, come stai? Mai un, è bello vedere i miei nipotini. Sempre un, i tuoi figli hanno bisogno di una madre, Oliver.

Si voltò e salutò la madre alzando il bicchiere e portandoselo alle labbra. Ne bevve un sorso, lasciando che il calore gli si diffondesse giù per la gola. “Pensavo che foste già andata in campagna per le vacanze, madre.”

La donna si distrasse un attimo. “Intendi venire con me e la famiglia di Walter? Te l’ho chiesto nei passati tre anni e mi hai sempre detto di no. Se hai cambiato idea sei il benvenuto.”

“Rimarremo a Londra,” declinò educatamente. Non aveva alcuna intenzione di passare le vacanze natalizie insieme al nuovo marito della madre e alla sua famiglia.

Sua madre aggrottò la fronte. “Molto bene, allora.” Il tempo per la tregua era finito. “Non cercare di cambiare argomento. I tuoi bambini hanno bisogno di una madre, Oliver. Diventano sempre più incorreggibili ogni volta che li vedo.” Lui non rispose, principalmente perchè sua madre era già abbastanza loquace di suo da portare avanti questa conversazione da sola. E anche perchè aveva ragione. Charlotte e Daniel stavano diventando sempre più incontrollabili. “Li vizi, e loro..”

“Conoscete per caso, Lady Felicity Smoak?” Il silenzio calò nella stanza. Sua madre si sedette sul divanetto, pensosa. “Lady Felicity Smoak? Lady Felicity Smoak?” La lieve enfasi che mise sull’ultima frase suggeriva che ci fosse di più. Non disse nulla, sapendo che se sua madre sapeva di più lo avrebbe detto senza bisogno che lui la incoraggiasse. “E’ stato uno scandalo. Decisamente uno scandalo.“ Ripensò all’ammissione di Felicity e anche se di solito odiava i pettegolezzi, prestò molta attenzione alle parole di Moira. “Ci sono state delle voci messe in giro da..da…” aggrottò la fronte, cercando di ricordare chi le avesse messe in giro. “Qualche servo, presumo. Bè, questo servo, chiunque egli fosse, affermò che Lady Felicity fosse scappata con un gentiluomo per sposarsi in segreto, ma oltre a questo, i dettagli mi sfuggono. Tutto molto scandaloso, ovviamente.”

Oliver ricordò com’era stata Felicity durante il loro primo incontro. Sobria, in completa solitudine, che guardava in modo malinconico il lago ghiacciato. I suoi occhi azzurri avevano lasciato intendere che ci fosse stato del dolore nella sua vita.

Parlate con assoluta certezza. Parlate come se sapeste dove vivo o che tipo di esperienza io abbia fatto basandovi solo sulla mia età e la percezione che avete su come dovrebbe essere una giovane donna.

Era rimasta scottata più di chiunque altra giovane donna. Oliver strinse le dita attorno al bicchiere. Aveva l’improvviso desiderio di tirare un pugno a quel farabutto senza nome che l’aveva rovinata e a quel servo che aveva osato infangarne il nome. Com’era stata Felicity prima che quel bastardo le avesse rovinato la reputazione? La immaginava sorridente, felice, solare. Non questa creatura guardinga che sorrideva con sincerità solo verso i suoi bambini.

“Perchè mi hai chiesto di Lady Felicity?” C’era del sospetto nella domanda.

“Charlotte si è separata dalla bambinaia qualche giorno fa e Lady Felicity l’ha riportata a casa.” Scelse di non dirle che si erano incontrati al parco diverse volte. Sua madre avrebbe visto il lancio di palle di neve come un’offesa ancora maggiore dello scappare con un gentiluomo.

“E’ stato gentile da parte sua,” disse Moira con riluttanza. “Se devo essere sincera, sono un pò dispiaciuta per la giovane donna. Nessuna ragazza merita di avere qualcuno che si prenda gioco dei suoi sentimenti e di avere la reputazione fatta in frantumi come Lady Felicity.” No, davvero. “Ma non è una buona compagnia per nessuno, Oliver, specialmente non per i tuoi bambini.”

Dall’altra parte della stanza, Oliver potè vedere le tende muoversi. Charlotte mise fuori la testa con un broncio sulle labbra. Lui le fece cenno lievemente di no. La bambina tornò a nascondersi. Il colore sulle sua guance indicava il vero e proprio oltraggio della piccola alle affermazioni della nonna verso Felicity. Strinse la mascella. Un oltraggio che condivideva.

“Questo non vuol dire che non sia una donna piacevole,” sua madre continuò. “Se ricordo bene, non era una bellezza che facesse girare la testa, ma possedeva un sorriso gentile.” Il casuale accantonamento di Moira nei confronti della donna lo fece rodere. Preferiva di gran lunga la gentile, sincera bellezza di Felicity rispetto a quella più ovvia della sua scomparsa moglie. Le sue tende erano chiaramente d’accordo con lui dato che emisero un gemito di disapprovazione. Si schiarì la voce per coprire l’irritazione di Charlotte.

“Sono passati tre anni, Oliver. Tempo sufficiente per onorare la morte di Laurel, e trovare una madre per Charlotte e Daniel.” Sua madre, così come il resto della società, interpretava e attribuiva il suo ritiro dalle scene ad un cuore spezzato. Erano stati testimoni del corteggiamento dell’affascinante Marchese di Beaufort verso la più bella del reame e ci avevano visto solo un matrimonio d’amore che si distingueva dalle unioni fredde e senza sentimenti che si facevano abitualmente nel loro mondo. Non sapevano, o magari non gli importava, che Laurel avesse un amante, dei suoi piani di abbandonare Daniel e Charlotte, e in ultimo della morte della coppia di amanti mentre cercava di lasciare l’Inghilterra per non farvi più ritorno. Strano che l’alta società sapesse così tanto, e allo stesso tempo così poco degli affari privati di una persona.

Alzò il bicchiere e se lo portò alle labbra per bere un altro sorso. Dopo un lungo silenzio, sua madre sembrò capire che non intendeva dire più nulla sull’argomento, per cui si alzò e si avvicinò a lui. “Voglio che tu sia felice, Oliver.”

“E pensate che una moglie mi renderebbe felice?” rispose in modo sarcastico. Nella sua esperienza, una moglie non rappresentava altro che dolore e preoccupazioni.

“Penso che una moglie renderebbe i tuoi figli felici.” Di nuovo, il volto di Felicity si fece strada nella sua mente. Mise il pensiero da parte. “E dato il tuo silenzio, figlio mio, sai anche tu che dico la verità.”

Le tende si mossero di nuovo, e Moira angolò la testa. “Che cos’era quello?”

Oliver non mosse un muscolo, non lasciando trapelare nulla. “Che cos’era cosa?” Dopotutto, se sua madre avesse scoperto le tendenze dei suoi figli ad origliare, non sarebbe più scampato all’infinito rimprovero su come stesse fallendo come padre.

“Nulla.” Moira scuotè la testa leggermente. “Ho creduto di aver sentito..nulla. E ricordati che gradiremmo molto averti con noi per le vacanze.”

Oliver annuì brevemente e aspettò diversi istanti dopo il congedo di sua madre prima di parlare. “Potete venire fuori ora.”

Daniel e Charlotte si affrettarono ad uscire dal loro nascondiglio dietro le tende, e il bambino diede una gomitata alla sorella. “Mi hai pestato un piede.”

“E’ stato un incidente,” si lamentò la piccola. “E’ stato un incidente, papà.”

Oliver trattenne un sorriso. “Immagino che se foste rimasti di sopra dove avreste dovuto essere, invece che nascondervi nel mio ufficio ad origliare, nessuno di voi due soffrirebbe per una pestata di piedi.”

Charlotte mise le mani sui fianchi. “Ma se lo avessimo fatto, non avremmo sentito tutte le cose orribili che la nonna ha detto su Lady Felicity. Penso che sia molto carina. Non lo pensi anche tu, Daniel?”

Daniel sbuffò. “Le ragazze non sono carine.”

“Si, ma Lady Felicity non è una ragazza. E’ una signora. Non è vero, papà?”

“Decisamente, Char.” E secondo sua madre, era una giovane signora con un cuore ferito. Avendo anche lui sofferto della stessa sofferenza, sentì empatia verso di lei. Forse era stato proprio quello a spingerlo verso la donna fin dall’inizio. Aveva riconosciuto qualcosa di incredibilmente triste in lei, in gran parte perchè lo riconosceva anche in se stesso.

Charlotte si avvicinò alla sua scrivania e si sedette sulla sua poltrona di pelle. Con la sua apparenza minuta faceva da contrasto alla grande poltrona, sembrando più una piccola bambola che non una bambina. “Penso che nonna abbia ragione.” Arricciò il naso. “Non su quelle brutte cose che ha detto di Lady Felicity.”

Oliver si portò il bicchiere alle labbra. “Davvero?” Ne bevve un lungo sorso.

Daniel si colpì il viso con la mano e scosse la testa. “E’ una terribile idea,” mormorò.

Charlotte sorrise in modo luminoso. “Abbiamo bisogno di una madre. Sopratutto lui,” puntò un dito verso il fratello.

Oliver quasi affogò sorseggiando il suo brandy.

“Esattamente la mia reazione,” disse Daniel annuendo.

Charlotte gli lanciò un’occhiataccia. “Non essere sciocco. Lady Felicity sarebbe una madre perfetta. E penso sia graziosa. E lancia palle di neve. E mi ha comprato un fiocco. E..”

“Tutte caratteristiche essenziali per essere una buona madre,” rispose Daniel con una buona dose di sarcasmo.

Il labbro inferiore della bambina tremò. “Ed è gentile,” replicò.

Una fitta di dolore esplose nel petto di Oliver. Suo figlio poteva anche prendersi gioco della semplice lista di Charlotte, ma questi dettagli che potevano sembrare profani ad occhi esterni, avevano una grande importanza per sua figlia. Non aveva mai conosciuto l’amore di una madre, e nemmeno cosa voleva dire avere una buona influenza materna nella propria vita. La sua mente corse alle rivelazioni di Moira su Felicity, e alle interazioni della giovane donna verso i suoi bambini.

“Che cosa c’è, papà?”

Aveva giurato a se stesso che non si sarebbe mai risposato. Il suo cuore era morto molto tempo addietro. Molto prima della morte di Laurel. Probabilmente era successo tra il momento in cui la donna gli aveva rivelato che stava continuando a vedere il suo amante e il momento in cui aveva schiaffeggiato Daniel.

“Papà?” pressò Charlotte.

Ma se avesse approcciato il matrimonio con la logica stavolta? Con un chiaro obiettivo? Senza amore, emozioni e affetto? Cosa sarebbe successo se si fosse sposato solo per il bene dei suoi figli?

Daniel gemette. “Non la starai davvero ascoltando papà, non è vero?”

Oliver bevve tutto in un colpo il brandy rimanente nel suo bicchiere. “Sai cosa, Daniel? Invece credo proprio che lo farò.”

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Vi avevo promesso un nuovo capitolo nel weekend, ed eccolo qui. Ringrazio ancora tutte le persone che stanno recensendo la mia fanfiction. Mi date la forza e l'ispirazione per continuarla. Spero vi piaccia anche questo capitolo ;)

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Capitolo 8

Felicity era seduta sul divanetto a suonare il piano. Le noti discordanti di “While Shepherds Watched Their Flocks by Night” riempivano la stanza. Sin, sempre la sorella fedele, cercava di tenere il ritmo di Felicity, cantando le parole con voce piatta.

“L‘enorme paura gli ha sconvolto la mente,” cantò la sorella.

“La loro inquieta mente,” la corresse Thea dalla sedia vicino alla finestra sulla quale era seduta.

Sin smise di cantare. “E’ quello che ho detto.”

“No,” puntualizzò Sara. “Hai detto la loro mente, non la loro inquieta mente.”

“Credo di essere l’unico con una mente inquieta al momento,” mormorò Tommy. Sua moglie, Juliet gli lanciò un’occhiataccia. Lui le rispose baciandole la guancia. Felicity incespicò le dita sul pianoforte e riportò l’attenzione su di esso. Meglio focalizzarsi sugli accordi, piuttosto che dar credito all’invidia nel suo cuore per quello che lei non sarebbe mai riuscita ad avere.

“Notizie di somma gioia vi porto,” cantò in modo soffice. La sua gola si strinse. Non c’era nessuna somma gioia. La bellezza del periodo natalizio non era altro che una grande illusione che serviva solo come temporaneo scudo di bellezza per la bruttezza del mondo.

Si alzò in piedi di scatto, le sue ginocchia presero contro il divanetto su cui era seduta facendolo cadere. Il respiro le si fece affannato, e un improvviso desiderio di scappare si impadronì di lei.

“Felicity?” sussurrò Sin nella stanza che si era fatta completamente silenziosa. D’un tratto, Felicity si rese conto delle cinque paia di occhi focalizzati su di lei. Alzò lo sguardo e subito si pentì di averlo fatto. Ah, eccoli lì. Gli sguardi di pietà. Odiava quegli sguardi più di qualsiasi altra cosa.

Si sentì bussare alla porta e un sospiro di sollievo le scappò dalle labbra per la tempestiva interruzione. Smith si schiarì la gola. “C’è un visitatore per Lady Felicity.”

Diversi sguardi sospettosi si posarono su di lei. Un uomo alto e imponente entrò nella stanza. Il suo cuore cominciò a battere in modo irregolare e Felicity si portò una mano al petto per cercare di calmarlo. “Oli..mio signore..”

“Il Marchese di Beaufort è qui per vedere Lady Felicity.” Smith si grattò la testa ricoperta dai capelli bianchi. “Pensavo di aver chiesto al gentiluomo di aspettare nell’atrio finchè non fossi stato certo che la signora fosse pronta per ricevere visitatori,” parlò in modo forte il maggiordomo sordo.

Tommy si alzò in piedi. “E’ tutto, Smith,” disse con voce alta per farsi sentire dall’uomo.

Mentre il maggiordomo se ne andava, Felicity rimase vicino al pianoforte con lo sguardo fisso sul viso imperscutabile di Oliver. Era più bello rispetto a qualsiasi uomo avesse il diritto di essere. “Mio signore,” ripetè, detestando le parole che le erano uscite senza fiato. Tommy aggrottò le sopracciglia. E dato che avrebbe potuto comandare l’armata del re con l’aura di potere che emanava, il Marchese avanzò nella stanza a suo agio come se quella fosse stata casa sua.

Juliet fu la prima a riprendersi e si alzò facendo un elegante inchino. “Mio signore,” lo accolse. Poi lanciò uno sguardo alle sorelle Smoak, le quali scossero la testa per togliersi di dosso lo shock, e fecero anche loro degli inchini.

Oliver rispose alle donne, senza mai togliere gli occhi da Felicity. Possedeva un’empia abilità nel far sentire una donna come se fosse l’unica donna al mondo.

“Mia signora,” le parole erano riferite a Juliet, ma dalla calda intensità nei suoi occhi, Felicity sapeva che si stava in realtà rivolgendo a lei.

La cognata spinse le tre sorelle ancora sotto shock verso la porta. “Ti lasciamo alla tua visita, Felicity.” Poi guardò in modo bieco il marito. “Non è vero?” Tommy esitò, un’espressione corrucciata sul viso, fece un breve cenno di saluto al Marchese e poi andò anche lui verso la porta. Si fermò sulla soglia, e dall’espressione preoccupata sul suo viso, Felicity potè vedere che aveva paura a lasciarla da sola con Oliver. Ma alla fine cedette, e se ne andò.

Rimasti soli, Oliver incrociò le mani dietro la schiena e si diresse verso di lei. “Felicity.”

Pensava che non lo avrebbe più rivisto. Aveva immaginato che dopo avergli rivelato il suo scandaloso passato, lui non avrebbe più voluto avere niente a che fare con lei come il resto della bella società. La sua bocca si fece secca, e visto che non aveva mai saputo cosa dire in presenza di un gentiluomo, disse un semplice, “Mio signore.”

Un leggero divertimento gli passò negli occhi. “Pensavo che aveste acconsentito nel chiamarmi Oliver.”

Lo aveva fatto. In modo imprudente. In modo stupido. “Oliver, allora,” disse come la sciocca imprudente che era sempre stata. “Io..”

“Voi..” Parlarono nello stesso momento e le guance di lei arrossirono per l’imbarazzo.

“Perdonatemi. Stavate dicendo?”

L’uomo chiuse la distanza tra loro. “Vi ho pensato spesso fin da quando ve ne siete andata, ieri.”

“Davvero?” I gentiluomini non pensavano a lei. O, per lo meno non lo avevano fatto nei precedenti due anni da quando era entrata in società. E al momento qualsiasi pensiero potessero aver avuto su di lei non era di certo piacevole.

Oliver le accarezzò il mento con la mano. “Vi aspettavate che vi avrei ignorato dopo che avete condiviso con me il vostro passato?” Il respirò le si fermò improvvisamente alla sensazione dei brividi silenziosi che le si sprigionarono nel corpo al suo tocco. Il suo passato. Un passato nel quale era stata talmente stupida da scappare con un uomo e rinunciare così alla speranza di un matrimonio per bene.

“Si, mi aspettavo che lo faceste, mio signore. Ignorarmi, dico.”

“Perchè avete una bassa opinione della società.” Bè dopotutto, la società le aveva dato davvero ben poche ragioni per fidarsi della sincerità, preoccupazione e affetto dei suoi nobili membri. “Chi era?” domandò.

Felicity si allontanò da lui e si diresse verso il pianoforte. Avrebbe dovuto probabilmente sentire un pò di oltraggio alla sua domanda impertinente. Non parlava di Cooper. Non con le sue sorelle. Non con sua madre. Certamente non con Tommy. Era come se la sua famiglia si aspettasse che non parlarne facesse scomparire magicamente tutto quello che era successo.

“Il suo nomer era..è Cooper. Sir Cooper Seldon,” si corresse. Smettila di parlare, Felicity. Smettila. Purtroppo però le parole le uscirono dalla bocca come se avessero volontà propria. “Dopo due anni, non avevo..non avevo avuto..” Nessuno, “molti pretendenti.” Scosse le spalle. “Mi aveva riempito le orecchie di elogi vuoti.” E stupida com’era, gli aveva creduto. “Mi aveva chiesto di andare con lui.” Felicity tremò, anche ora incapace di credere alla sua idiozia. Rilasciò un lungo sospiro e si sforzò di guardare Oliver negli occhi. “Lo repellevo, ora me ne rendo conto, non voleva nemmeno baciarmi.” Le labbra le tremarono per l’imbarazzo. “Mi ero convinta che le sue azioni..” O meglio non azioni. “Fossero per via del suo senso di onore come gentiluomo.” Una risata senza umorismo le scappò dalle labbra. “Che ironia non è vero? Sono considerata una donna dalla reputazione rovinata, quando in realtà tutto quello che ho fatto è stato tenere per mano un uomo durante gli eventi pubblici.” Felicity si aspettava di provare vergogna nel rivelare quanto Cooper l’avesse trovata poco desiderabile. Invece, c’era qualcosa di stranamente liberatorio nel condividere con Oliver una verità che nessuno conosceva, tantomeno una verità a cui nessuno avrebbe creduto.

Oliver si avvicinò e si fermò accanto a lei. Le prese una ciocca di capelli biondi e gliela portò dietro l’orecchio. “Era uno stupido, Felicity.” Gli occhi gli brillavano di desiderio. “Se foste mia, niente e nessuno potrebbe fermarmi da prendervi tra le mie braccia.”

Il suo cuore fece un balzo. Era impossibile pensare a Cooper con Oliver vicino, ma si sforzò di farlo. “In realtà era una questione di vendetta,” continuò. “Cooper aveva perso giocando d’azzardo con mio fratello diverse proprietà in passato. I due sono poi diventati amici, o meglio, per Tommy era un amico, Cooper in realtà meditava vendetta..e l’ha avuta alla fine.”

L’espressione di lui si fece cupa. “Quindi è stata colpa di vostro fratello?”

Felicity scosse la testa in modo veemente. “No. So cosa state pensando, che un fratello ha il dovere di proteggere la propria sorella. Ma, non posso farne una colpa a Tommy. Ha un buon cuore e vede sempre il meglio negli altri. E’ stata colpa mia, avrei dovuto essere meno sciocca e non farmi abbindolare.”

La tensione sul viso di Oliver scemò. “Credo che siate una donna straordinaria, Felicity Smoak.”

Cercò di rispondergli con un piccolo sorriso. “Non penso che siate venuto qui per parlare del mio passato scandaloso.”

Oliver le prese la mano e se la portò alle labbra. “No, Felicity.”

“Allora, per cosa..?” chiese in modo confuso.

“Sono venuto per chiedere la vostra mano.”

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Felicity era rimasta immobile e non aveva detto niente per – Oliver guardò l’orologio a pendolo dall’altra parte della stanza – per diversi minuti. Si rese conto che probabilmente avrebbe dovuto prepare meglio le sue parole. O almeno, dirglierlo in modo meno sconvolgente.

La donna tolse la mano dalla sua. “Siete venuto qui per prendervi gioco di me?” La dolce qualità della sua voce faceva da contrasto con la durezza nei suoi occhi. Felicity si allontanò da lui, mettendo il pianoforte tra loro. “Perchè vi garantisco che ho dovuto affrontare creature molto più vili e cattive di voi.”

Oliver aprì e richiuse le mani. Dio, quanto avrebbe voluto distruggere con le sue mani il mascalzone che le aveva causato tanto dolore. “Vi assicuro..”

La donna puntò un dito verso di lui. “Un vero gentiluomo non verrebbe qui per prendersi gioco..”

“Non volevo..”

“…gioco di me per gli sbagli che ho fatto. Non che creda più che esistano dei veri gentiluomini in tutta l’Inghilterra.”

“Avete finito?” disse strascicando le parole. Era stata decisamente la cosa sbagliata da dire, dato che Felicity si diresse furiosa verso di lui puntando questa volta il dito sul suo petto. Oliver fremette.

“No, non ho finito. Quale vile, abominevole, riprovevole, orrido cafone verrebbe qui e sarebbe così deliberatamente crudele?” Bè, non si poteva di certo dire che l’amorevole lady Felicity non possedesse un certo carattere. “Non mi guardate in quel modo,” scattò lei. “Con pietà,” concluse. “Non voglio, nè ho bisogno della vostra commiserazione.”

Lui alzò le mani, in segno di tregua. “C’è davvero qualcuno che desideri essere commiserato?” Felicity gli puntò di nuovo il dito al petto e questa volta lui le prese la mano, portandosela alle labbra. Le posò un bacio sulla pelle morbida del polso. Le dita di lei tremarono tra le sue. Accolse di buon grado la reazione del suo corpo in sua presenza, perchè stava ad indicare che riusciva a sconvolgere il suo mondo tanto quanto lei faceva con lui.

“Ve l’ho già detto Felicity. Non vi darò mai pietà come non mi permetterei mai di prendervi in giro. Posso essere candido?”

“Vi prego,” disse, guardandolo come se fosse un ladro venuto a rubare l’argenteria di famiglia.

“I miei bambini hanno bisogno di una madre. Vi sto chiedendo di essere la loro madre.”

Felicity incrociò le braccia al petto. “Se ho capito bene..volete sposare me, una donna che avete incontrato appena cinque giorni fa.”

“Sei giorni,” la corresse lui. Strano si ricordava esattamente com’era avvenuto il loro primo incontro e l’esatte ore che erano passate da quando l’aveva trovata a lanciare palle di neve ai suoi bambini. “E, si,” disse annuendo in modo sicuro.

“Una donna che ha scandalizzato la società con la sua fuga con un uomo.” Posò lo sguardo sul suo viso, quasi come se si aspettasse che lui mostrasse qualche segno di orrore a quell’ammissione. Dopo il tradimento di Laurel, ci sarebbe voluto molto più di questo per scioccarlo. “Dovrei continuare?” chiese lei in modo acido.

“Fate pure.” Più la donna parlava, più si sentiva affascinato da lei. “In realtà, non ho alcun desiderio di sposarmi, ma se non lo faccio i miei figli rimarranno senza madre.”

Un sorriso senza felicità giocò sulle labbra di Felicity. “Per cui mi sposereste per provvedere ad una madre per i vostri figli?”

Oliver annuì. Ma la verità era che la voleva per molto di più che essere un genitore per Charlotte e Daniel. Voleva lei..per lei. “La mia unica richiesta è che voi vi prendiate cura dei miei bambini.” Finì, realizzando quanto poco adeguata fosse una tale offerta. Qualsiasi donna avrebbe voluto di più e Felicity certamente meritava di più. Mentre aspettava la sua risposta, una leggera pressione gli bloccò i polmoni. La donna rimase in piedi in silenzio così a lungo che cominciò a sospettare che non avesse alcuna intenzione di rispondere alla sua offerta. E in fondo non poteva darle torto. Qualsiasi ragazza sognava la felicità con il proprio futuro marito. La sua offerta era più in linea con la fredda e calcolata filosofia del loro mondo.

Felicity alla fine sospirò. “La mia reputazione è rovinata, Oliver. Non c’è davvero nessun beneficio nel sposarmi per il bene dei vostri bambini.” Si fermò. “Specialmente Charlotte.” All’uomo non era, però, di certo sfuggito che non aveva detto di no, per cui si sentì incoraggiato. Per lo meno la giovane donna aveva preso in considerazione la sua bizzarra proposta.

“Sono il Marchese di Beaufort.”

“Ah, quanto siete arrogante, mio signore.” Il disapprovo era addolcito dalla luminosità nei suoi occhi. Le sue labbra si curvarono in un vero sorriso. Oliver si immobilizzò. Il sorriso la trasformava da una ragazza piuttosto carina in una donna bellissima. Vagò con lo sguardo sulle delicate caratteristiche del viso di lei. Come aveva potuto non apprezzare l’intensità della sua bellezza fino a quel momento? Come..

Il sorriso di Felicity diminuì. “Cosa c’è?”

Scosse la testa per schiarirsi le idee. “Charlotte è solo una bambina. Quando entrerà in società, probabilmente non ricorderanno neppure..”

Felicity scoppiò in una risata. “Siete un illuso allora, mio signore. La società si ricorda benissimo degli scandali di cui anche io sono colpevole.”

Oliver strinse le mani in un pugno. Se c’era qualcuno che era colpevole, era quel mascalzone che le aveva rovinato la reputazione. No, l’unica colpa dell’innocente Felicity era stata quella di dare amore ad un uomo che non lo meritava. Quanto odiava quel demonio.

Felicity si schiarì la gola. “Vi ringrazio per la vostra offerta, mio signore, ma non posso rischiare la buona reputazione dei vostri figli, anche se hanno bisogno di una madre.” Distolse lo sguardo. “E’ già abbastanza che abbia rovinato la reputazione delle mie sorelle.” Fece un inchino, si voltò e si diresse verso la porta per andarsene.

Diavolo, aveva proprio intenzione di lasciarlo così. Con un frettoloso no. Oliver chiuse la distanza tra loro in tre lunghe falcate. Posò le mani sulle spalle di lei. La donna si irrigidì ma non si allontanò. Oliver si abbassò e posò le labbra sulla curva elegante del suo collo.

“E se ti dicessi che voglio di più che una madre per i miei bambini? Se ti dicessi che voglio te?”

Il corpo di lei tremò, probabilmente sia per l’improvviso cambio di allocuzione, sia perchè continuava a baciarle il collo in modo sensuale.

“Direi..direi che siete pazzo, mio signore.”

Oliver spostò la sua attenzione sull’altra parte del collo. “Forse lo sono, Felicity. Ti voglio. E anche se non mi ami, ti darò una famiglia, ti darò dei bambini, e ti mostrerò i piaceri che si possono trovare tra le mie braccia.” La girò pigramente verso di lui. Notò subito che la donna stava respirando affannosamente. “Sposami.”

Felicity lo guardò per un lungo momento. Poteva vederle passare negli occhi intelligenti una gamma di domande. La donna chiuse gli occhi per un momento. Quando li riaprì, Oliver si preparò per un rifiuto. Invece lei, annuì sicura. “Si, ti sposerò.”

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Scusate il ritardo, ma purtroppo la vita di tutti i giorni si è messa in mezzo e ho avuto poco tempo per scrivere. Spero vi piaccia ;)

Capitolo 9

Il vento invernale soffiava contro le finestre ghiacciate dell’ufficio di Tommy. Felicity fissò la testa ricurva del fratello, così come l’aveva fissata ormai per – il suo sguardo si spostò sull’orologio a pendolo – sette minuti ora. Con un sospiro, riportò lo sguardo sulla cognata. Juliet era in piedi di fianco alla scrivania di Tommy, fissando il marito con la fronte aggrottata.

“No,” parlò finalmente l’uomo, non alzando lo sguardo dal libro mastro di fronte a lui. Felicity sbuffò infastidita. Poteva anche non essere d’accordo con quello che lei voleva fare, ma per lo meno avrebbero potuto parlarne in modo civile. Lanciò uno sguardo pregante a Juliet. L’altra donna mise le mani sulla scrivania e obbligò il marito a prestarle attenzione.

“Metti giù la penna , Tommy, e non comportarti come una rude bestia.”

L’uomo lanciò la penna sulla scrivania e fissò con sguardo truce Felicity. “Molto bene. Non lo sposerai. Grazie per averlo chiesto.”

Felicity fece un passo in avanti, mettendo le mani sulla poltrona in pelle. “Non lo stavo chiedendo, Tommy,” disse gentilmente.

Suo fratello si posizionò meglio sulla poltrona, guardandola in cagnesco,. “Non sono intervenuto prima quando avrei dovuto farlo, Lis,” disse, usando il soprannome con cui la chiamava da piccola. “Interverrò ora. Non ti lascerò sposare un uomo che hai appena incontrato..”

“Lo conosco da sei giorni,” lo corresse lei.

“D’accordo, lo conosci da una settimana. E per quale scopo? Così che tu possa fare da madre per i suoi bambini maleducati?” Felicity si accigliò. Anche se aveva avuto sentimenti simili sui bambini di Oliver durante il loro primo incontro, per qualche strana ragione la brutta opinione di Tommy su di loro le dava fastidio.

“Sono bambini amorevoli.” A parte il brutto vizio di tirare palle di neve, ovvio, ma i bambini Smoak non avevano per caso fatto di peggio?

Tommy scosse la testa e riprese in mano la penna. “Ho detto di no. Ti troverò un gentiluomo che ti ami e si prenda cura di te e..”

Una risata le scappò dalle labbra. “Sei così ingenuo.”

“Ti voglio bene,” rispose lui semplicemente. “Non sono stato un bravo fratello in passato, ma lo sarò ora. Meriti un marito che ti ami.” Il senso di colpa era ovunque nella sua ultima frase.

“Ho perso il diritto di amare quando sono scappata con Cooper,” disse con una franchezza che fece sobbalzare la cognata. Eppure..Felicity ripensò a quello che era successo prima. Il calore le si diffuse nel corpo nel ripensare alle labbra di Oliver sul suo collo.

E se ti dicessi che voglio di più che una madre per i miei bambini? Se ti dicessi che voglio te?

Suo fratello si alzò di scatto dalla poltrona. “Tommy,” mormorò Juliet, con un tono di ammonimento.

Lui si passò una mano tra i capelli e iniziò a camminare nervosamente. “Che razza di gentiluomo ti chiederebbe di rinunciare alla speranza e alla felicità per prendersi cura dei suoi bambini?”

“Tu lo hai fatto,” rispose Juliet gentilmente. Tommy si fermò di scatto. Felicity si morse l’interno della guancia per evitare di sorridere.

L’uomo rimase in piedi, immobile. Poi un lieve rossore gli si diffuse sulle guance. “Questo è..”

“Vero,” finì Juliet per lui, alzando un sopracciglio.

Tommy imprecò. “E’ diverso.”

“In che modo?” chiese Felicity.

L’uomo ricominciò a camminare. “Perchè..perchè..dannazione, sei mia sorella ed ero un libertino indegno. Esattamente come lo era Queen.”

Juliet emise un suono di protesta. Lui la fermò con la mano. “E’ vero. Non meritavo Juliet, ma lei è stata capace di andare oltre agli sbagli che ho commesso. Ma tu..”

“Lo voglio sposare, Tommy. Voglio una famiglia mia. E una casa mia.” E se non voleva passare il resto dei suoi giorni come la triste zitella Smoak, ricordata dalla sua famiglia e dalla società come colei che aveva fatto un grosso sbaglio che le aveva rovinato la reputazione, le conveniva accettare la proposta generosa di Oliver.

Qualcuno bussò alla porta. Smith entrò. “Il Marchese di Beaufort vorrebbe vedervi, mio signore.” Tossì in modo vistoso. “Mi sono preso la libertà di farlo aspettare nel salotto.”

Tommy si passò una mano sul viso. “Per tutti i diavoli,” mormorò, dimenticandosi delle donne presenti. “Fallo entrare.”

Juliet prese la mano del marito e la strinse. Uno sguardo di comprensione passò tra loro e lui annuì. Con un sorriso, la donna si avvicinò a Felicity. “Voglio che tu sia felice,” le disse a bassa voce, le parole intese solo per lei. “E, sospetto, Felicity, che non sposeresti il Marchese se non ci fosse più di un mero desiderio di una famiglia e di una casa tutta tua.”

Il calore le si diffuse sulle guance mentre guardava allontanarsi la cognata. Felicity teneva ad Oliver. In soli sei giorni, era giunta al punto in cui avvertiva la sua assenza e sorrideva quando le era vicino. Juliet aveva decisamente ragione – voleva sposarlo perchè c’era di più. Almeno da parte sua. Ma forse anche da parte di lui.

Ti mostrerò i piaceri che si possono trovare tra le mie braccia.

Sospettava che, chiunque pensasse che lei avesse donato la sua verginità a Cooper, quando in realtà, era ancora vergine. Cooper non aveva neanche mai provato a baciarla. Le sue labbra si chiusero in una linea dura. Questa avrebbe dovuto essere una ragione sufficiente per capire che non era per nulla interessato a lei.

Tommy parlò, riportandola al presente. “Sei certa, Lis, sei certa di volerlo sposare?”

Smith riapparse con Oliver al seguito. “Il Marchese di Beaufort.”

Il cuore cominciò a batterle all’impazzata. Sorrise ad Oliver. Sembrava così serio, così inflessibile. Ma poi le sorrise di rimando in modo luminoso. La consapevolezza l’avvolse, la certezza che la sua decisione fosse quella giusta. “Si, sono certa,” rispose in modo deciso.

Tommy annuì bruscamente e fece cenno ad Oliver di entrare. Lui si fermò di fianco a Felicity e le catturò la mano. “Mia signora,” mormorò, posandole le labbra sul polso. Molti gentiluomini sarebbero impalliditi al suono del borbottio che scappò dalle labbra di suo fratello, ma Oliver continuò a tenerle la mano, stringendole gentilmente le dita.

“Rilascia mia sorella,” tuonò Tommy. Il suo presto promesso sposo le baciò di nuovo la mano come se volesse sfidare apertamente il comando di suo fratello e poi la rilasciò.

Felicity fece un inchino e con un sorriso se ne andò.

—————————————

Il Conte di Sinclair gli indicò la sedia opposta alla scrivania. Oliver si sedette.

“Desidero sposare tua sorella,” disse, andando dritto al punto senza perdersi in inutili convenevoli.

“Ti direi di no e ti manderei all’Inferno se non pensassi che mia sorella probabilmente mi odierebbe per il resto dei suoi giorni.” Parlò con nonchalance come se gli stesse offrendo da bere. Si, da quello che Oliver aveva potuto vedere, Felicity possedeva una forza e una determinazione che avrebbe messo in cattiva luce parecchi gentiluomini. Anche il fratello non poteva quietare lo spirito della donna.

“Non mi piaci, Queen,” continuò Tommy.

Oliver incrociò le braccia al petto. “Eppure se non ricordo male, c’è stato un tempo in cui mi consideravi un’ottima compagnia.”

“Proprio per questo, preferirei che tu stessi lontano da mia sorella,” replicò l’uomo in modo acido. Si poteva vedere da dove venissero le sue perplessità, ma era un uomo molto diverso ora.

“Sono cambiato esattamente come hai fatto tu,” replicò in modo calmo. “Non sei più il libertino che ricordavo.”

Tommy sospirò. “No, non lo sono. E posso vedere anche io che sei cambiato. Ma questo non vuol dire che mi piaccia che tu abbia chiesto a mia sorella di sposarti solo per dare una madre ai tuoi bambini. Merita di meglio.” Si, su questo, Oliver era d’accordo. Felicity meritava molto di più che un uomo come lui. Meritava amore e un’unione basata sull’affetto e il calore. Si guardò la mano, la quale ancora bruciava per il contatto con quella di lei. Di calore ce ne sarebbe stato in abbondanza anche nella loro unione.

“Togliti quello sguardo dalla faccia, Queen,” sbottò Tommy.

Di tutta risposta lui gli sorrise luminosamente, provando un perverso piacere nel far innervosire il vecchio amico. “Non so di cosa tu stia parlando.”

“Lo sai benissimo invece.” Il Conte imprecò vivacemente. Si avvicinò al tavolo dei liquori e versò per entrambi un bicchiere di brandy.

“Cosa sai di mia sorella?”

Oliver accettò il liquore. “So di Seldon,” disse in modo calmo. Fissò il liquido color ambra nel suo bicchiere, desiderando di saperne di più, ma accettando anche il fatto che qualsiasi altra informazione sarebbe dovuta giungere da Felicity stessa.

La bocca di Tommy si strinse in una linea dura. “Il maledetto bastardo l’ha rovinata. L’ha ferita. Non permetterò che succeda di nuovo.”

L’ammissione del Conte colpì Oliver con la stessa forza di un pugno. “Non ho alcuna intenzione di ferirla,” rispose con convinzione. All’inizio aveva voluto offrire a Felicity un matrimonio di convenienza, ma ora, poteva ammettere con se stesso che c’era di più dietro. Voleva essere il gentiluomo che Felicity meritava. Voleva farla sorridere, riempire le sue giornate di felicità. Farle dimenticare che ci fosse mai stato un mascalzone di nome Cooper Seldon che aveva abusato della sua gentilezza.

Il Conte bevve un sorso di brandy e poi fece una smorfia. “Ma la ferirai,” disse. “Prima o poi lo farai. Imparerà a volerti bene e tu non ricambierai questi sentimenti.”

Oliver strinse la mascella. Tommy si sbagliava. Teneva a Felicity. Poteva ammetterlo con se stesso. Anche se non l’amava, poteva rendere le cose giuste per lei in qualsiasi altro modo. “Non sono Seldon.”

“Si, bè non ci vuole molto per quello,” mormorò il suo quasi cognato.

“Le darò la protezione del mio nome,” continuò Oliver.

Il Conte studiò il contenuto del suo bicchiere. Fece una smorfia. “Volevo di più per lei che questo.” Finì il resto del suo brandy in un solo sorso. “Ma dato che non ci sono altre prospettive più allettanti, questo dovrà essere sufficiente,” disse più a se stesso che non a lui.

Oliver rimase in silenzio mentre il fratello protettivo veniva a patti con l’idea di dover lasciare la sorella nelle mani di un uomo che non la meritava. Finalmente, Tommy alzò lo sguardo, con un’espressione dura negli occhi. “Se le fai del male, ti ucciderò.” Mise giù il bicchiere con forza e si sedette alla scrivania. “Discutiamo i termini del contratto?”

—————————————–

Poco dopo, Oliver si diresse a passo felpato verso casa sua. Il suo maggiordomo aprì la porta e si schiarì la gola. “Mio signore, vostra madre è arrivata poco tempo fa. Mi sono preso la libertà di farla aspettare nel salotto.”

Si tolse di dosso il mantello. “E i bambini?”

“Sono di sopra a fare lezione,” replicò il servo, accettando il capo d’abbigliamento.
Oliver annuì in segno di ringraziamento e continuò lungo il corridoio che portava al salotto. Non aveva saputo cosa aspettarsi dal suo incontro con Tommy. Capiva le riserve dell’uomo. Come padre, Oliver avrebbe ringhiato a qualsiasi persona avesse osato fare una proposta simile alla figlia. Tutte le rassicurazioni che aveva cercato di dare all’altro uomo erano state incontrate con un silenzio accorto. Sorprendentemente, ci aveva trovato della verità nella sua promessa. Si era detto che aveva proposto a Felicity il matrimonio per via dei suoi bambini e per le costanti lamentele di Moira sul fatto che avessero bisogno di una madre. Ma la verità era che lo spirito della giovane apportava luce alla sua oscura esistenza. Ovviamente amava i suoi bambini. Ma nei giorni passati a ripensare al tradimento della moglie, aveva cominciato a credere che tutte le donne fossero delle creature vili e infedeli. Aveva giurato a se stesso che non si sarebbe mai più innamorato. Ma Felicity con la sua bontà d’animo e le sue convinzioni lo avevano forzato a riconoscere quanto diversa fosse da tutte le altre.

Oliver si fermò davanti alla porta del salotto. Poggiò le mani sul muro e vi mise contro la fronte. In quel piccolo lasso di tempo, la giovane era riuscita a oltrepassare le sue difese e mandare in pezzi la sua sbagliata percezione sulle donne. Si separò dal muro e rilasciò un lungo respiro. Tommy e il resto del mondo avrebbero visto solo un matrimonio di convenienza. Non avrebbero visto una giovane che gli aveva mostrato che non tutte le donne mettevano la propria felicità davanti agli altri. Non avrebbero visto quanto già lei significasse per lui. Quel pensiero da solo avrebbe dovuto terrorizzarlo, eppure..

Sorrise ed entrò nella stanza. “Madre,” la salutò.

Moira si alzò in piedi, con un sorriso forzato sul viso. “Oliver.”

“A cosa devo l’onore della vostra visita?” disse dirigendosi a versarsi un bicchiere di brandy.

Le labbra della donna si strinsero in una linea dura. “Oh, smettila. Riconoscerei il tuo sarcasmo a chilometri di distanza.” Oliver alzò un sopracciglio, studiandola. Moira lo fissò con sguardo perentorio. “Non c’è davvero nulla che devi dirmi?”

Imprecò silenziosamente. Sua madre aveva scoperto il suo interesse per Felicity. Non c’era davvero nessun’altra ragione per lo sguardo di disapprovazione che gli stava rivolgendo. Oliver bevve un sorso, e nonostante sapesse che l’avrebbe fatta infuriare di più, replicò con: “Non mi viene nulla in mente.”

Moira incrociò le braccia al petto. “Non importa. Non c’è bisogno che tu dica nulla. I tuoi bambini sono stati molto esaustivi.”

Una piccola testa fece capolino dalla porta. ‘Scusa, papà,’ fece segno Charlotte con la bocca. Daniel la tirò indietro.

Sua madre spostò lo sguardo verso la porta, ora vuota. “Che cosa è stato?”

“Cosa è stato, cosa?” I suoi bambini non potevano per una volta rimanere di sopra dove dovevano stare?

“Mmm, niente, pensavo di aver sentito…non importa. Torniamo a noi. Charlotte mi ha detto che sei andato a prendere del gelato con quella donna.”

La rabbia gli percorse le ossa al tono di freddo disprezzo della madre. “Non difenderò le mie azioni,” rispose con un tono glaciale.

“E’ una scandolosa creatura che non sarà mai accettata di nuovo in società, Oliver. La tua reputazione..”

Oliver si mise a ridere. “Pensate davvero che me ne importi qualcosa della mia immagine, dopo..?” Spostò lo sguardo verso la porta e vide due piccole teste che si nascosero velocemente. Si diresse verso di essa e la chiuse. Poi raggiunse la madre e parlò a bassa voce per evitare che i suoi bambini sentissero. “Pensate davvero che me ne importi qualcosa della mia reputazione dopo aver subito lo scandalo di una moglie che se n’è andata con il suo amante abbandonando i suoi bambini?”

L’unico crimine di Felicity era stato quello di aver donato il cuore ad un mascalzone. Eppure, una donna con il suo coraggio, fedeltà e forza sarebbe stata per sempre bandita dalla società mentre le madri senza ritegno incapaci di amare sarebbero per sempre state le benvenute.

Moira scosse la testa con commiserazione. “Capisco che tu ti sia sentito ferito dalle attività..di tua moglie.” Oliver strinse la mascella. Attività. Era questa ora la parola per descrivere il disonorare i voti nuziali e aprire le gambe per il primo venuto? “Ma devi pensare ai tuoi bambini. Lo scandalo è strettamente collegato a quella donna.” Moira rabbrividì come se il solo pensiero della sua promessa sposa la ripugnasse.

“Felicity,” disse in modo brusco.

La bocca di lei di spalancò in segno di sorpresa. “Come, scusami?”

“Il suo nome è Lady Felicity Smoak e non deve alla società nessun tipo di spiegazione.” Felicity era considerata una reietta mentre quel bastardo di Seldon era libero di andare dove gli pareva, senza subire nessuna conseguenza per la sua ignobile condotta. L’ingiustizia di tutto questo gli dava la nausea.

Moira si fece pallida e si portò una mano alla gola. “Oh bontà divina. Ci tieni a quella do..” Lui la fissò malamente. “Lady Felicity,” si ricordò saggiamente. Si portò le dita alla fronte. “Oliver,” iniziò lentamente con lo stesso tono che utilizzava con i suoi bambini. “Capisco che ti senti solo ma..”

“Questo non riguarda la solitudine. Lady Felicity ha più forza e coraggio di tutta la società messa insieme.”

“Oh, no. Oh, no. Oh, no.” Il mantra nervoso era un chiaro segnale che il controllo della donna stava per scoppiare.

Oliver ne ebba pietà. “Madre,” disse in modo calmo. “Apprezzo la vostra preoccupazione e l’amore che avete sempre mostrato per i miei figli. Ma non c’è niente di cui dobbiate preoccuparvi. Non farò decisioni incaute per quanto riguarda Lady Felicity. Sono stato razionale, logico e attento nel considerare le implicazioni di una relazione con lei.” E in ultimo era arrivato all’inevitabile conclusione che sarebbe stata una buona moglie. Ma sopratutto, la voleva. Voleva il suo sorriso, la sua risata e anche il modo orribile che aveva di suonare il pianoforte. Voleva tutto. “E’ sempre stata molto brava con i bambini.”

“Non dovrebbe proprio starci insieme ai tuoi bambini,” replicò la madre bruscamente.

Oliver rilasciò un sospiro. Ora che la giovane aveva acconsentito a diventare sua moglie, sarebbe stata vicino ai suoi bambini ogni giorno. “Felicity ha salvato vostra nipote, riportandola a casa quando si era persa.”

“Felicity? Siete già così in confidenza?”

“E una donna simile dovrebbe essere trattata con il più sommo rispetto.”

Gli occhi di sua madre si chiusero. Sembrò pregare silenziosamente e poi annuì. “La mia preoccupazione deriva solamente da..”

“Lo so,” la rassicurò. La donna si alzò sulle punte e lo baciò sulla guancia. “E’ tutto?” chiese lui in modo secco, sorseggiando il suo brandy.

Moira sembrò pensarci su per un attimo, come se volesse aggiungere qualcosa ma poi si arrese. “Si, credo che lo sia. Andremo in campagna tra due giorni e non volevo andarmene senza..” Immischiarmi nella tua vita, concluse mentalmente Oliver per lei. “Buon Natale, figlio mio,” disse la madre dolcemente.

Oliver inclinò la testa. “Auguro un piacevole Natale anche a voi, madre.” Lei sorrise e fece per andarsene..

“Madre?” La donna si voltò con uno sguardo interrogativo. “Mi sono dimenticato di menzionarvi una cosa.”

“Che cosa?”

Finì con un solo sorso il contenuto del bicchiere. “Ho fatto visita al Conte di Sinclair questa mattiina. Sposerò Lady Felicity.” Trattenne un sorriso. “Di nuovo, Buon Natale.”

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Eccomi finalmente con un nuovo capitolo. Mi scuso per il tremendo ritardo, ma tra influenza e lavoro ho avuto poco tempo per scrivere. Spero vi piaccia ;)

Capitolo 10

Un furioso vento soffiava contro le finestre gelate del salotto. Felicity si avvicinò le ginocchia al petto. Il fuoco del camino del tardo pomeriggio riscaldava l’ambiente. Richiuse il libro che stava leggendo e guardò la neve cadere. Si sarebbe sposata. Con un gentiluomo che aveva incontrato solo sei giorni prima. Si aspettava che l’idea la terrorizzasse, ma la decisione in realtà le dava un senso di pace. Il matrimonio con il Marchese le avrebbe riempito la vita vuota. Avrebbe avuto dei bambini a cui aveva rinunciato dopo lo scandalo con Cooper. Avrebbe avuto qualcosa di suo.

Posò il libro sulla mensola della finestra. Con la sua serietà e la sua fredda logica, Oliver non sarebbe mai stato il gentiluomo che avrebbe sognato di sposare da ragazzina. Ma con gli occhi e il cuore da donna, apprezzava il fatto che non le riempisse le orecchie di banalità. Oliver rappresentava la scelta logica di una donna che stava per diventare una zitella. Eppure, se il matrimonio con lui fosse stato basato solo sulla logica, perchè il pensiero di sposarlo le faceva battere il cuore all’impazzata in un modo in cui Cooper non era mai riuscito a fare?

Felicity cominciò a canticchiare una canzoncina, mentre scriveva con il dito MofB sulla finestra appannata dal freddo, testando le lettere del titolo che avrebbe presto acquisito e poi lo cancellò rapidamente, imbarazzata. Passi veloci suonarono nell’atrio. “Cosa c’è Tommy? Se sei venuto per cercare di dissuadermi dal sposarlo, mi spiace ma stai sprecando il tuo tempo,” disse in modo deciso.

“Il Marchese di Beaufort è qui per vedere…” Le gambe di Felicity si alzarono di scatto, dimenticandosi che erano coperte dalle gonne. La ragazza barcollò e quasi cadde in avanti. Oliver in tre lunghe falcate la raggiunse prendendola tra le braccia. Felicity annaspò e deglutì in modo vistoso.

“C’è qualcosa che volete che faccia, mia signora?” chiese Smith, ignorando completamente il fatto che una delle sorelle Smoak fosse quasi caduta davanti ad un nobile. Oliver le sorrise in modo luminoso. Felicity angolò la testa, studiando la sua bellezza.

“Grazie, forse?” le suggerì in un sussurro.

Felicity corruggò la fronte. Perchè la stava ringraziando?

“Il maggiordomo. Ti stavo suggerendo di ringraziare il maggiordomo.” Le fece l’occhiolino.

“Ah, si, giusto.” Il rossore le salì sulle guance. “Grazie, Smith. E’ tutto.” Il vecchio servitore si congedò, mormorando parole incomprensibili sotto voce. Felicity continuò a fissare il Marchese. Avrebbe dovuto insistere che si staccasse da lei, ma il suo corpo bruciava nei punti in cui lui la stava toccando, ispirandole una serie di farfalle nello stomaco che non riusciva ad identificare. Non che le importasse. Era abbastanza che lui l’abbracciasse..e voleva che continuasse a farlo.

———————————-

Oliver avrebbe davvero dovuto lasciarla andare. Avrebbe dovuto fare tutte le cose che erano appropriate, ma invece si ritrovava con un insano desiderio di prenderla tra le sue braccia e baciarla fino a farla gemere. All’improvviso la punta della lingua di lei uscì, bagnandole le labbra. Oliver gemette.

La fronte di Felicity si aggrottò. “Stai bene?”

“Certo,” una bugia. La sua replica uscì più dura di quanto volesse. Combattè interiormente il desiderio per questa piccola giovane donna. Poi, si ricordò delle parole che aveva detto un attimo prima.

Gli occhi di lei si spalancarono, leggendogli la mente. “Oh.” Il suo sguardo si spostò da quello di lui. “Immagino che hai sentito le parole che ho inavvertitatemente detto ad alta voce.”

“Si, l’ho fatto,” era difficile odiare il fratello di lei per aver detto quello che Oliver sapeva essere la verità. Lady Felicity meritava di più che un’unione fredda e senza sentimenti.

“Stava semplicemente…” Lui alzò un sopracciglio. Lei sospirò. “Cercando di convincermi a non sposarti,” finì.

Il cuore gli batteva in modo doloroso nel petto. Rimise Felicity in piedi. “Oh?” Finse un’indifferenza che non provava. “E cosa avete deciso, mia signora?” Le aveva inizialmente offerto un matrimonio di convenienza, per dare ai suoi figli una madre, eppure, se tutto questo era quello che voleva da lei perchè sentiva un’ondata di panico all’idea che Felicity avesse cambiato idea?

Lei gli toccò la guancia, la carezza piena di audacia e innocenza insieme. “Ho già preso la mia decisione quando ho accettato la tua offerta, Oliver. Non cambierò idea.”

Al suono della risolutezza nelle sue parole, la pressione sul suo petto si affievolì. Le baciò le nocche. Questa donna con ogni incontro diventava sempre più importante per lui. Probabilmente questa consapevolezza avrebbe dovuto spaventarlo, ma stranamente, non lo faceva. Stranamente, sembrava giusto. Loro erano giusti insieme.

Si schiarì la voce. “Canti,” disse, sorprendendo entrambi con quella frase. Felicity angolò la testa al brusco cambio d’argomento. Oliver fece segno in modo impacciato verso il pianoforte.

“Spesso. E non bene.”

“Non è vero,” insistette con il familiare agio che usava prima che Laurel lo trasformasse in un uomo brusco.

Felicity sbuffò. “E’ molto gentile da parte tua, ma non ho illusioni sulle mie capacità canore.” Si avvicinò al pianoforte e fece passare le dita sui tasti. “Lo faccio solo per il piacere che mi provoca. Il mio unico morboso piacere.”

Oliver chiuse la distanza tra loro e mise le mani sullo strumento musicale. “E il gelato al limone,” le ricordò.

“Si, ovviamente. E il gelato al limone.” Si scambiarono un sorriso. Qualcosa passò tra loro. Gli occhi chiari di lei cercarono i suoi. Oliver si avvicinò, apprezzando per la prima volta la sua completa bellezza. I suoi occhi erano illuminati da un’intelligenza profonda e la sua figura sottile e i capelli biondi portavano alla mente tutti i possibili pensieri impuri, molti dei quali coinvolgevano Oliver e Felicity in un letto con le lunghe trecce di lei che li avvolgevano come tende di seta.

“Cosa c’è?” si portò una mano sulla testa, sistemandosi una ciocca. “C’è qualcosa che non va?”

Oliver delglutì in modo vistoso. Tutto non andava. La desiderava. Le prese la ciocca di capelli tra le dita, poi se la portò al naso, annusando profondamente. L’odore di lavanda gli riempì i sensi, un contrasto luminoso al giorno tempestoso, oscuro e invernale.

“O..Oliver?” Il piccolo tremolio nelle sue parole, la maniera in cui le ciglia le sbattevano indicavano la fisica consapevolezza del suo corpo.

“Canti in modo splendido, Felicity.” Una risata senza fiato le scappò dalle labbra. Lui le strofinò il pollice sulla guancia. “Canti dal cuore con gioia di vivere e passione e la passione è di gran lunga migliore di qualsiasi melodia cantata in modo perfetto ma senz’anima.”

La risata di lei morì. Oliver spostò lo sguardo sulle sue labbra carnose e rosse e con un gemito la baciò. Dapprima gentilmente, ma poi il suo corpo registrò il calore di lei pressato contro di lui; la curva dolce dei suoi fianchi, i piccoli, ma perfetti seni fatti per le sue mani e si perse. La baciò ancora e ancora. Lei gemette e lui fece entrare la lingua nella sua bocca, gustando, esplorandola. Felicity intrecciò le mani dietro al suo collo. Incoraggiato dalla sua risposta, cominciò a toccarla. Le afferrò i fianchi delicatamente e la portò vicino alla sua virilità. Poi le prese con una mano un seno. La testa di Felicity cadde all’indietro con un disperato gemito.

“Oliver,” pregò. Lui continuò ad esplorarle i seni, e tramite la fabbrica del vestito spostò la sua attenzione sui capezzoli. Felicity gemette di nuovo. Lui la riportò vicino a sè e angolò la sua testa per riempirle il collo di baci. Lei si arcuò contro di lui, stringendo la presa che aveva sui suoi capelli come se non volesse che si fermasse mai, come se volesse fondere i loro corpi in uno, esattamente come voleva lui.

Oliver con enorme sforzo si staccò da lei. Anche se voleva disperatamente sdraiarla sul pavimento e reclamare il suo corpo, non le avrebbe mai mancato di rispetto. Immaginò che i soldati avessero combattuto battaglie meno ardue del dover staccarsi dal corpo di Felicity in quel momento.

Gli occhi di lei annebbiati si aprirono confusi. “Perchè..? Cosa..?” Deglutì vistosamente. “Non ti è piaciuto…?” Le sue guance si fecero di un rosso acceso, come le cigliegie sul vischio.

Oliver le baciò la fronte. “Non fraintendermi, Felicity. Ti voglio.” Il suo rossore si fece ancora più acceso. “Voglio sdraiarti e farti mia, ma non voglio mancarti di rispetto.”

Meritava più di questo. Non sarebbe mai sceso ai livelli di Cooper Seldon anche se avesse dovuto vendere la sua anima per riuscire a conoscere i piaceri che si potevano trovare tra le sue braccia.

Oliver frugò tra le sue tasche e portò fuori una piccola scatola, avvolta da un fiocco rosso. Felicity la fissò e poi spostò lo sguardo verso di lui in modo dubbioso. “Cosa..?”

“Questo è per te,” disse dolcemente, mettendole la scatola tra le dita. Come suo promesso sposo, le poteva dare solo un piccolo dono. Ma quando sarebbe diventata sua moglie l’avrebbe sommersa di qualsiasi cosa desiderasse.

Felicity guardò per un istante la piccola scatola e poi sciolse il fiocco. Lo aprì e boccheggiò. Le sue dita passarono esitanti sul piccolo ciondolo a forma di fiocco di neve tempestato di diamanti.

“Permettimi,” mormorò lui. Prese fuori la collana dalla scatola e gliela mise al collo. “Pensavo che sarebbe servita come ricordo del nostro primo incontro.”

Felicity toccò il ciondolo. “E’ bellissima,” disse in modo soffice. Si voltò per guardarlo negli occhi. Il fantasma di un sorriso giocava sulle sue labbra. “Mi ricorderò sempre di quel giorno.”

Oliver le prese le mani tra le sue, portandosele alle labbra una alla volta. “Sono stato un completo bastardo quel giorno.” Sperava di passare il resto dei loro giorni a rimediare al suo comportamento da villano.

“Eri un padre che proteggeva i suoi bambini,” rispose lei in modo automatico. “E’ difficile prendersela con un uomo che è protettivo verso due piccole creature.”

“Anche se si tratta di bambini che erano stati imperdonabilmente maleducati e avevano lanciato palle di neve a delle educate signore?”

Lei sbuffò. “Le giovani educate signore non avrebbero risposto con altrettante palle di neve.”

Oliver la guardò intensamente negli occhi, immaginando quanto diverso sarebbe stato questo momento se lei non avesse lanciato a sua volta palle di neve a Charlotte e Daniel. “Sono così contento che tu l’abbia fatto.” Perchè se non l’avesse fatto, allora sarebbe stato ancora quell’uomo scontroso e infelice, un uomo che non avrebbe mai immaginato di poter sorridere di nuovo.

La porta si aprì di scatto e in modo così forte che colpì il muro. I loro sguardi si spostarono sull’entrata del salotto e si allontanarono l’uno dall’altra in fretta alla vista della giovane che vi era entrata.

“Sin..”, iniziò Felicity.

La ragazzina inghiottì in modo vistoso. “La mamma,” iniziò senza fiato.

Felicity angolò la testa. “Non so dove sia la mamma..”

“..sta per arrivare qui,” concluse Sin con l’ultimo fiato a disposizione. “Sono corsa dal piano di sopra, giù per gli alloggi della servitù, e sgattaiolata qui per dirtelo.” Guardò Oliver. “Ha sentito da un membro della servitù che eri con il Marchese e vuole venire qui a conoscerlo. Sai com’è fatta mamma…” La ragazza si bloccò di colpo, guardando Oliver in modo preoccupato. “Oh, non volevo mancarle di rispetto, è una cara donna, solo che..”

“E’ curiosa,” concluse Felicity per lei. Il Marchese capiva benissimo. Come la sua di madre, probabilmente le piaceva ficcare il naso negli affari delle sue bambine.

“Dobbiamo creare una scena come si deve,” pensò ad alta voce Sin. “Siediti,” ordinò ad Oliver.

Lui sbattè gli occhi. “Scusatemi?”

Sin indicò con il dito il divano color avorio. “Siediti. Per farlo devi piegare le gambe e..”

“Suppongo che il Marchese sappia cosa significhi sedersi,” disse Felicity divertita.

Sin continuò a guardarlo in modo fisso e ad Oliver non rimase che obbedire. Rivide la sua bambina di sette anni negli occhi di questa piccola, spiritata giovane ragazza. Gemette al pensiero. Le due giovani lo guardarono preoccupate. Lui fece cenno con la mano di stare bene.

“Tu invece siediti qui,” Sin indicò alla sorella il seggio davanti al pianoforte. “E suona.”

Un suono di protesta scappò dalle labbra di Felicity. “Non credo che il Marchese voglia sentirmi suonare.”

Lui e Sin parlarono all’unisono. “Sicuramente vuole.” “Lo voglio.”

Un barlume di approvazione passò negli occhi della sorella. E Felicity messa alle strette cominciò a suonare e..cantare.. God Rest Ye Marry Gentlemen? Bè, Oliver immaginava che fosse God Rest Ye Marry Gentlemen. Non riusciva a capire le parole durante i versi. La testa di lei si muoveva al ritmo della musica, un pò disarticolata. Felicity si accorse del suo sguardo e gli fece l’occhiolino. Il sorriso di lui si fece più luminoso e per la prima volta dal tradimento di Laurel, e dalla vergogna delle sue scappatelle scandalose, l’ultima ombra del suo risentimento se ne andò, rimpiazzato dall’entusiasmo che una volta aveva per la vita.

“Mio signore, è ovviamente un piacere incontrarvi.” Oliver spostò in modo riluttante lo sguardo dalla donna che sarebbe stata sua moglie alla signora affascinante che si trovava all’entrata della stanza. Si alzò e fece un inchino.

Il sorriso della donna più anziana si fece più profondo. “La mia Felicity non è semplicemente splendida?” Guardò storto la figlia che sbuffò.

Oliver guardò la sua promessa sposa intensamente. “Si, lo è davvero.,” disse lentamente.

“Perchè voi e i vostri bambini non vi unite a noi per Natale?”

“Oh, mamma. Non credo che il Marchese voglia farlo,” implorò Felicity.

Oliver si ricordò dei Natali felici passati in famiglia quando suo padre era ancora vivo. Era un lontano ricordo ormai. Come marito e padre, aveva passato troppi anni con un sorriso finto sul viso durante il periodo natalizio, creato ad arte per i suoi bambini mentre la loro madre rimaneva a Londra con il suo amante.Incrociò le braccia sul petto. “Mi farebbe molto piacere.”

“Immagino che la sua famiglia abbia già..” Felicity si fermò di colpo, angolando la testa. Una piccola ciocca di capelli le cadde su un occhio. “Davvero lo faresti?” chiese in modo sorpreso.

Sua madre battè le mani in modo eccitato. “E’ deciso, allora!”

Si, era deciso. Non c’era nessun altro luogo in cui avrebbe voluto essere se non accanto a Felicity.

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