Dusty heart

di Swish_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Tutto ebbe inizio... ***
Capitolo 3: *** Risveglio ***
Capitolo 4: *** Ripresa ***
Capitolo 5: *** Alla scoperta ***
Capitolo 6: *** Scoperte agghiaccianti ***
Capitolo 7: *** Sapore di fragole ***
Capitolo 8: *** Hell Rain ***
Capitolo 9: *** Somebody to love ***
Capitolo 10: *** Contatto ***
Capitolo 11: *** Proposta ***
Capitolo 12: *** Mostrami ***
Capitolo 13: *** Operazione: inizio. ***
Capitolo 14: *** Operazione: fase 1 ***
Capitolo 15: *** Operazione: fine. ***
Capitolo 16: *** In bilico ***
Capitolo 17: *** Colpo mancato: bacio mancato. ***
Capitolo 18: *** Brooklyn baby ***
Capitolo 19: *** Say I love you ***
Capitolo 20: *** Ad ogni affetto un compromesso ***
Capitolo 21: *** Stesso sangue ***
Capitolo 22: *** AVVISO URGENTE AUTRICE ***
Capitolo 23: *** Attesa ***
Capitolo 24: *** Dichiarazioni ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Se solo avessi saputo a cosa sarei andata in contro quando ancora avevo possibilità di scelta.
Se solo non avessi mai incontrato Ryuzaki… La mia vita avrebbe mai potuto avere ugualmente un senso?
E’ da quando ho capito di non poter più tornare indietro che ho smesso di chiedermelo. Perché pensarci su? In fondo, se ti rendessi conto che la tua condanna a morte fosse l’unica via di salvezza per la persona più importante della tua vita, riusciresti mai a resistere? Riusciresti mai a fregartene del resto del mondo?
Non so se mai riuscirò a rivedere Ryuzaki ancora una volta, ma l’idea di rivederlo mi brucia dentro come sale su una ferita aperta. Rivederlo potrebbe significare due sole possibilità, mai così differenti l’una dall’altra: la prima, che la vita di Ryuzaki sia ancora in  pericolo; la seconda, che chissà per quale gesto divino, io riesca a non morire qui, oggi, in questo tugurio.
Di queste due opzioni, preferisco pensare alla terza. Ovvero a niente. Le azioni migliori non provengono quasi mai dalla mente, ma dall’istinto. Per cui perché sprecare energie inutilmente?
Accenno un sorriso flebile, ignorando il dolore lancinante che puntuale come la morte mi assale al minimo movimento facciale. Quasi non riesco più a sentirmi la guancia destra. Dovrei preoccuparmene? Scuoto mentalmente la testa, rispondendomi con un “no” secco quasi subito.
Sorprendente. Riesco a sorridere perfino adesso, poco prima di morire. Beh, sarebbe difficile non farlo, pensando a come Ryuzaki avrebbe reagito alle mie parole.
“Le azioni migliori provengono dall’istinto!”
Come avrei mai potuto riuscire a farlo capire ad uno come lui? Un investigatore privato, calcolatore e cinico, come potrebbe mai arrivare a pensare che l’istinto possa rivelarsi fonte di un’azione buona, anche solo per una volta?
“Le azioni migliori provengono dall’istinto!”… Al suono di quelle parole avrebbe sicuramente sospirato rumorosamente, alzando gli occhi al cielo come solo lui saprebbe fare. E’ la sua reazione-tipo, quando qualcosa lo infastidisce. Ormai lo so, e credo di essere l’unica ragazza su questo mondo capace di trovarlo terribilmente sexy… Ovviamente solo perché sono l’unica a cui si sia mai mostrato. Chiunque lo troverebbe sexy a mio parere, solo che a lui non è mai importato.
Stavolta rido più forte, stringendomi le braccia in petto. Perché non riesco a distrarre le mie attenzioni da lui, nemmeno adesso? Sono davvero senza speranze.
Ricordo ancora la prima volta che lo sentii sbuffare, con tono esausto…
- Kanade, questo non è un gioco. – così mi aveva poi detto, voltandomi le spalle.
Mi ha sempre trattata come una bambina, ma io non lo sono affatto. Magari a volte mi piace fingere di averne la stessa ingenuità, ma solo per non crearmi altre noie. Forse a distanza di tempo, l’avrà capito.
Chiudo gli occhi e appoggio lentamente il capo al muro dietro di me, ignorandone il sudiciume. Mi stringo le ginocchia forte in petto e serro le palpebre, emanando un grande e lungo respiro. L’aria è sporca e putrida, ma la ignoro. Cerco con tutta me stessa di riuscirci, e alla fine ce la faccio.
Ignoro l’aria sporca. Ignoro il freddo agghiacciante che veloce mi divora i sensi. Ignoro il buio che mi circonda, i muri sudici e fetidi e le ferite ancora doloranti che porto sulla pelle e nel cuore, e mi concentro invece su l’unico centro focale di tutta la mia esistenza. Sull’unico pianeta del mio intero universo:  Lawliet, Ryuzaki… O meglio conosciuto come l’infallibile L.
L’uomo che inequivocabilmente ha cambiato la rotta del mio destino.

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Capitolo 2
*** Tutto ebbe inizio... ***


Tutto ebbe inizio l’estate scorsa, o meglio all’inizio di quel Giugno. Avevo da poco superato l’ultimo esame del primo anno nella facoltà di psicologia, a Roma. Mi ero trasferita lì un anno prima e condividevo il mio adorabile appartamento in affitto con una delle migliori compagne che la vita potesse presentarmi: Sarah.
Io e Sarah ci conoscevamo dal liceo, ed eravamo sempre state identiche sin dal primo istante. Ce ne accorgemmo in un attimo; e dopo innumerevoli avventure, esperienze e soprattutto risate isteriche, senza nemmeno reseci conto poi di aver già passato cinque anni assieme e quindi arrivate alla fine del periodo scolastico del nostro ultimo anno da liceale, decidemmo di scappare via insieme dalla monotonia asfissiante del paesino provinciale in cui eravamo state costrette a vivere fino a quel momento, e compiere la pazzia più grande e irragionevole che due giovani donne potessero mai concepire: andare a convivere nella capitale della propria nazione.
I primi due o tre mesi furono a dir poco difficili; trovata la casa, pagata la caparra ed altre spese, non ci rimaneva che lavorare per potercela mantenere.
- Un gioco da ragazzi… - disse Sarah, la sera dopo il nostro trasloco.
- Il posto di lavoro ce l’abbiamo già, ci basta solo mantenerlo per i prossimi cinque anni o poco più!– continuò, inspirando un’altra boccata di sigaretta con sguardo assorto.
Se ne stava lì, comodamente appollaiata sul nostro “nuovo” sofà, circondata da altri scatoloni che lei riusciva bene ad ignorare, a differenza mia.
- Sarah, vuoi darmi una mano? – le supplicai con tono stanco, ripiegando l’ennesimo scatolone appena svuotato. Mi passai una mano sulla fronte emanando un forte sospiro, cercando di asciugarmi il sudore che testimoniava tutta la fatica di quel giorno. Il trasloco mi aveva davvero sfinita.
- Mi senti o no? – insistette Sarah, ignorando ciò che le avevo appena chiesto.
- Sì, sì, ho sentito, lo so! – sbottai io, rinunciando anch’io all’ordine della casa, ancora ben lontano, e raggiungendola sul sofà. Ne avevo davvero abbastanza di scatoloni per quella giornata.
Sarah mi porse la sua sigaretta con un solo gesto della mano, che io accettai quasi subito.
- Non puoi davvero farmi credere che riuscirai a sopportare quel lavoro per così tanto tempo… - ripresi a dire io, espirando il fumo grigio intriso del sapore dei miei polmoni.
- Ce la posso fare! – protestò lei, riprendendosi con calma la sua sigaretta.
- Fare la cameriera in fondo non mi dispiace. Lavorando la sera ho la possibilità di frequentare i corsi universitari che mi serviranno… E poi, con la mancia posso lasciarmi scappare uno di questi sfizi ogni tanto! -
Sarah mi sorrise languidamente, porgendomi aperta la sua mano sinistra sotto i miei occhi per mostrarmi l’ennesimo anello gigante e psichedelico. Uno dei tanti, ormai era diventata la sua passione.
- Wow… - risposi divertita.
- Ottimo acquisto! – continuai, sorridendo.
- La prossima volta che qualcuno si rivela generoso con le mance, però, pensa pure alla tua nuova coinquilina… okay? – sogghignai.
- La solita egocentrica… - rispose lei, alzando ironicamente gli occhi al cielo mentre schiacciava la cicca consumata nel posacenere di metallo.
- Piuttosto non so come farai tu, con quell’impiego. Facendo la segretaria sarai impegnata quasi tutte le mattine. Come farai con l’università? -
- Me la caverò in qualche modo, non preoccuparti… - cercai di tranquillizzarla esibendo il migliore dei miei sorrisi, con tanto di occhiolino. Sarah reagì quasi subito, sorridendomi a sua volta; forse c’ero riuscita davvero.
- Quand’è che cominci, a proposito? – mi chiese poi, riponendo il posacenere sullo scatolone più vicino.
- Questo lunedì! – risposi rialzandomi, mentre pensavo a come sarei realmente riuscita a cavarmela nei prossimi mesi, se non anni. Sarei stata davvero capace di gestire lavoro e studio senza problemi? Ne dubitavo molto.
Mi stiracchiai lentamente, con tanto di sbadiglio, mentre Sarah restò a fissare il vuoto in silenzio, come incantata.  Era una giovane donna intelligente e perspicace, dal carattere non sempre piacevole, devo ammetterlo, ma d’altronde chi davvero può dimostrare di avere un carattere perennemente sopportabile? In compenso, stare con lei era sempre stato una pacchia assoluta, indipendentemente da come le girassero. Era chiara e sincera, senza peli sulla lingua, eppure riusciva sempre a mantenere una certa delicatezza nelle sue parole… Almeno fin quando per lei ne possa valere la pena. D’altro canto a volte se voleva davvero mandarti a ‘fanculo, lo faceva senza tanti giri di parole.
Avevamo sgobbato tutta la giornata quella volta, ripromettendoci di finire entro quel giorno, ma dopo aver cenato Sarah esibì bandiera bianca, posizionandosi sul sofà con la sua immancabile sigaretta… E così rimasi da sola a preoccuparmi di tutto quel casino, finché non issai anch’io la mia bandiera di resa e lascia perdere. In fondo non potevo darle tanto torto.
Io proprio non riuscii a capire come Sarah facesse a mantenersi così tranquilla nonostante tutti quei cambiamenti… La stessa persona che per il biglietto di un concerto era capace di urlare, piangere e sbraitare senza sosta almeno per un paio d’ore!
La osservai velocemente prima di “risvegliarla” dal suo stato di momentaneo limbo: i lunghi capelli castani legati con uno chignon, gli occhi scuri persi nel vuoto, canotta leggera bianca e pantaloncini neri sotto. Non so di preciso cosa avesse di così speciale, ma Sarah era di una bellezza rara, che non sono mai stata capace di rivedere in nessun altro.
- Sarah… -
Sarah balzò gli occhi su di me all’istante, con aria interrogativa.
- Benvenuta nella tua nuova vita. – le dissi, con tono dolce.
Rimanemmo così, a sorriderci in silenzio per qualche istante, dopodiché mi piegai veloce per riprendere il posacenere sullo scatolone e dopo averlo riposto al suo vero posto, me ne andai in camera mia, stanca ma curiosamente felice.

Un anno dopo le cose non erano cambiate poi così tanto. Sia io che Sarah eravamo riuscite a mantenere i nostri rispettivi posti di lavoro, anche se con non poca fatica. Dopo violenti litigi iniziali, alla fin fine eravamo riuscite con successo a stabilire un certo equilibrio in casa, da coinquiline rispettabili e civili quali volevamo essere. Quel preciso giorno, d’inizio Giugno, ero completamente in balia degli impegni asfissianti di una “giovane donna in carriera”, come Sarah amava tanto soprannominarmi. Ero la segretaria del vicedirettore di una grande impresa nel mondo della biochimica…
- Signor Bustri? – con molta cautela, sbirciai dietro la porta del suo studio. Era una grande stanza, illuminata e ariosa, con una devastante vetrata alle spalle della suntuosa scrivania che ospitava ogni giorno il fantomatico “Mister Ghiaccio”.
Vi fu un periodo abbastanza lungo in cui il signor Bustri veniva chiamato solamente con quel soprannome, tra i suoi dipendenti. Poco dopo essere arrivata qui però, venni a sapere anche che la donna che mi aveva preceduta come segretaria era stata licenziata proprio perché una volta sbagliò nome in sua presenza, invece che chiamarlo “signor Bustri”, lo chiamò “signor Ghiaccio”.
Da allora tutti i suoi impiegati ebbero il terrore totale di quel nome; addirittura arrivarono a sentirsi a disagio anche solo per chiedere il ghiaccio del tè ad alta voce.
Ovviamente ebbi modo di scoprire anch’io in prima persona quanto questo temibile uomo fosse “glaciale”, soprattutto quando qualche mese prima in vista di un grosso convegno a livello mondiale, mi fece sgobbare fino a notte fonda senza neanche l’ombra di un aumento.
Passai lo sguardo sulle larghe librerie per poi darmi coraggio e passare alla grande poltrona in pelle dove ormai ero abituata a ritrovarlo. Una piccola parte di me sperò vivamente di non trovarlo anche quella volta…
- Signorina De Ludi… Mi dica. - … ma ovviamente sapevo bene che era impossibile.
- Io avrei finito, quindi se a lei non dispiace, me ne vado… -
- Ha mandato tutti i fax che le avevo chiesto? -
- Certamente, signore. – “Altrimenti come avrei potuto dire di aver finito?” mi conservai mentalmente un’alzata d’occhi per quando sarei uscita.
- Va bene, allora… -
Tirai un lieve sospiro di sollievo e feci segno di richiudere la porta.
- Di nuovo in moto oggi? -
Mi bloccai all’istante, non riuscendo ancora a capire bene se avesse davvero parlato oppure me lo fossi sognata. Cercai di levarmi quell’espressione accigliata e risposi:
- Ehm, sì, signore. – mi sporsi di nuovo sull’orlo della porta per tornare a guardarlo, stentando automaticamente un sorriso imbarazzato.
Il signor Bustri d’altra parte non sembrò degnarmi nemmeno di un’occhiata, tenendo sempre gli occhi bassi sui suoi fogli.
- Capisco… - si limitò a rispondere, con tono vago.
Passarono lunghi istanti di terribile imbarazzo entro i quali rimasi lì impalata accanto alla suntuosa porta in legno intagliata del suo studio, non capendo se fosse tutto oppure non avesse ancora finito di parlare. Nonostante i secondi passassero lui non accennò ad altro, così mi decisi a chiudere di nuovo la porta.
- Faccia attenzione, stasera. – lo sentii dire poco prima del clic della serratura. Avrei dovuto riaprire quella porta e rispondergli? Rimasi immobile come un’imbecille dietro quella porta ancora per qualche secondo, indecisa. Fissai accigliata la mano ancora ben stretta alla maniglia di metallo dorato…
- Ooohh, ma vaffanculo! -
Girai i tacchi (da 165 euro) e me ne andai con passo svelto e deciso.
Il sole stava calando ma l’aria restò calda e afosa tutto il tempo. La città  era ancora viva e le strade brulicavano ancora di persone d’ogni genere. Mentre mi allontanavo dalla grande e anonima entrata dell’edificio per dirigermi verso il parcheggio, sentii il mio cellulare strimpellare “New Born”.
- Oh, cavoli! -
Incespicai con la borsa per un bel po’ prima di trovarlo, tanto che nel frattempo ero già arrivata alla mia adorabile e perfetta Ducati appena comprata.
- Pronto? – il mio tono fu tanto minaccioso e infastidito da farmi sembrare quel “pronto” un’ingiuria.
- Ehi tigre, tutto bene? -
- Sarah! Scusami ma vado di fretta, sono appena uscita da lavoro e stavo giusto per tornare a casa…-
- Oh, d’accordo. Volevo solo avvisarti che non mi troverai a casa al tuo ritorno, sono ancora in giro con amici e… -
- Non preoccuparti! Divertiti… - sentii Sarah sorridere all’altro capo del telefono.
- Va bene. E tu non correre col tuo nuovo missile! -
- Ci proverò! -
Staccai la chiamata con il sorriso sulle labbra. Sentire anche solo la voce di Sarah mi tranquillizzava… E proprio non riuscivo a capire il perché. Forse perché ormai associavo la parola “casa” a lei, e non più ai miei asfissianti genitori immaturi.
Riposi velocemente il telefono nella borsetta, la indossai a tracolla  e passai alla giacca di pelle e al casco. Indossati anche quelli, salii e misi in moto. Lasciai rombare il motore una, due, tre volte… Assaporando quelle vibrazioni che raggiungevano ogni punto focale del mio corpo. Ne era valsa la pena di aver fatto la fame per mesi pur di risparmiare qualcosa e comprarsela. Potrei definirla uno dei miei migliori obiettivi raggiunti, tra le soddisfazioni più grandi d’un’intera esistenza. Sognavo questo momento sin da piccola, e finalmente, adesso…
Partii decisa e veloce come un razzo, entrai in strada come un missile e puntai dritto verso casa.
Se solo avessi saputo cosa mi stesse aspettando dietro l’angolo…
Quando salii sulla strada statale, mi accorsi con non poca sorpresa di essere seguita. Me ne resi conto con certezza dal fatto che non appena effettuavo un sorpasso, una macchina di lusso bianca faceva altrettanto, e puntualmente me la ritrovavo dietro.
Cominciai a spingere ancora più veloce, preoccupata anche dal fatto che il buio era già calato e il tratto di strada che dovevo ancora superare era sempre poco trafficato.
Nonostante l’alta velocità la macchina bianca non ebbe difficoltà a starmi dietro, e fu proprio lì che cominciarono i miei veri problemi.
Sta’ calma e concentrati sulla strada…” ingranai la settima marcia con tutta l’energia e l’adrenalina che sentivo scorrermi nelle vene in quel momento, e per me fu come aver dichiarato appena guerra a chiunque stesse guidando quell’auto.
Concentrati sulla strada…” sgranai gli occhi fissi davanti a me. Sentivo il cuore balzarmi in petto con forza, come mai prima d’allora.
Sta’ calma…” feci balzare fugacemente gli occhi sullo specchietto retrovisore, e un altro tonfo mi colpì in pieno petto: la macchina era ancora lì dietro di me, anzi era addirittura avanzata.
Tutto ciò che accadde dopo quel preciso momento fu breve e conciso, e allo stesso tempo, tutto quello che riuscii a ricordare fu un lampo improvviso che mi accecò gli occhi, dopodiché un tonfo assordante, simile al suono di uno schianto, un dolore insopportabile, e poi… il buio.

- Smithers, basta con la morfina. -
- Signore, le ferite sono ancora ben profonde… -
- Non si sveglierà mai, se continua a dargliene. -
- Ma… Signor… -
- Smithers. -
- Va bene, signore. -
C… Cos… Dove sono? Cosa mi è successo? Chi parla?” in un primo momento ero davvero convinta di aver detto ad alta voce quelle parole, ma poi realizzando il fatto di sentirmi ancora persa nel buio e di non aver percepito nessuna risposta dall’altra pare, capii chiaramente che i miei sensi erano ancora ben lontani dalla mia vera e propria coscienza.
Dopo quell’attimo in cui riuscii a ricollegarmi alla realtà, anche se per poco, ritornò il buio assoluto e la completa incoscienza. Finché poi…
- C… Com… Cos… -
- Smithers! Smithers! Venga subito! -
Con uno sforzo che in quel momento mi parve sovrumano, finalmente fui di nuovo capace di riaprire gli occhi. La vista era ancora annebbiata, ma la luce bianca e accecante della stanza riuscì comunque a stordirmi. Cercai di sbattere il più possibile le palpebre per riuscire a vederci meglio qualcosa.
- Dove… Dove… - non riuscivo neanche a formulare più di una parola. Ero totalmente confusa e stordita, e per di più sentii i sensi del mio corpo ritornare lentamente,e di conseguenza  anche dei dolori acuti e insopportabili.
- Ahio… - cercai di toccarmi la gamba, che mi doleva da morire, ma appena provai a muovere il braccio sentii una fitta di dolore ancora più forte percuotermi per tutto il corpo.
- Ah! -
- Stia calma, signorina. Come si sente? -
Guardai l’uomo anziano che era improvvisamente apparso al mio fianco e che mi aveva appena posto quella domanda così terribilmente stupida, e lo fissai come se mi avesse appena detto che i pinguini avevano da poco imparato a volare.
E’ davvero stupido, o cosa?
- L… Lei… Che cosa dice? – sussurrai, irritata.
L’uomo sembrò abbastanza imbarazzato da quella risposta. Bene, una piccola vincita per me, dopotutto.
L’uomo in questione era sulla cinquantina, ma riuscii a capirlo solo dai capelli grigi e da qualche piccola ombra di rughe sul suo viso pallido; per il resto avrei potuto dire tranquillamente che se li portava bene i suoi anni. Non indossava un camice o alcun vestito professionale capace di farlo riconoscere come un dottore. Indossava un semplice maglioncino di cotone blu scuro e pantaloni classici bianchi. Lo vidi sbattere le palpebre giusto due volte, prima di eliminare ogni traccia del suo imbarazzo:
- Capisco. Sente molto dolore? -
Ma questo ci fa o ci è!?” schiusi le palpebre per risparmiarmi una sicuramente maleducata alzata d’occhi, anche se in quel momento avrei tanto voluto poterla fare.
- Si… - mi limitai a rispondere.
- Cerchi di resistere, signorina. Tra poco le somministrerò un’altra dose di morfina. -
- D… Dove mi trovo? C… Che cosa è succes… -
- Sei in un quartiere generale a capo delle indagini sulla Liebel&Co. -
Sentii la voce di chi mi aveva appena riposto ben lontana da me. Non era stato quell’uomo a parlare, ma qualcun altro che io non riuscivo a vedere.
- Chi… -
- Smithers, può andare, grazie. – gli sentii dire di nuovo. Dalla voce ero sicura che fosse un uomo… Un ragazzo. Ma dov’era? Provai a sporgermi piegando il collo, ma non feci altro che infliggermi da sola un’ennesima fitta di dolore lancinante.
- Ah! -
Voltai di nuovo lo sguardo verso l’uomo che avevo di fianco… Ma era sparito. Non c’era più. Per qualche istante sentii solo silenzio, dopodiché udii un piccolo clic, e il mio letto cominciò a vibrare.
Ma che cazz…
Sentii la parte superiore del mio corpo alzarsi lentamente, fino a farmi assumere una posizione eretta con la schiena, come se fossi seduta, dopodiché si fermò. Una volta messa in quella posizione, riuscii ad avere una visuale ben più chiara della stanza in cui mi ritrovavo.
Le pareti erano bianche e sobrie tranne che per quella alla mia destra, che per la sua metà superiore esibiva una larga vetrata che dava su grattacieli metallici e possenti che io non riuscivo a riconoscere. Di fronte a me invece, vi era un divano di pelle nero da dodici posti, e proprio al centro vi era un ragazzo. Aveva dei capelli lunghi e lisci, neri, lucidi ma scompigliati come quelli di un bambino. I suoi occhi, appena visibili sotto le sue lunghe ciocche ribelli, erano dello stesso colore del carbone, e mi fissavano con fin troppa concentrazione. Quel suo sguardo indagatore quasi mi spaventava. Era seduto su quel divano con una gamba stretta in petto, e l’altra a penzoloni. Sul ginocchio della gamba rialzata, inoltre, ci teneva poggiato un gomito, e con la mano di quello stesso braccio si premeva le labbra schiuse con un pollice.
- Ciao. – mi disse, con un tono dalla difficile interpretazione.
Io d’altro canto riuscii a distogliere lo sguardo fisso nei suoi occhi solo dopo qualche momento, e intravidi allora il telecomando che teneva stretto nell’altra mano, ancora puntato verso di me… O meglio, verso il mio letto.
- Chi sei…? -
Il ragazzo abbassò il telecomando e lo poggiò al suo fianco, senza però staccare mai i suoi occhi spalancati da me, nemmeno per un secondo.
- Strano… - rispose lui, con tono basso.
- Con chissà quante domande che ti staranno assalendo la testa in questo momento, perché la prima a cui dai voce è proprio questa? -
Sentii l’imbarazzo invadermi il viso e sperai con tutta me stessa di non stare arrossendo.
- I… Io… -
- Non sforzarti adesso, e ascoltami. Tutto ciò che sto per dirti ti sembrerà assurdo. Sempre ammesso che tu sia davvero stata all’oscuro di tutto fino ad oggi… Ma ad ogni modo, per adesso accontentati di questa… Sciocca domanda. Tu conosci… L, Sofia? -





 

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Capitolo 3
*** Risveglio ***


- “L”? -
Lo vidi alzare un sopracciglio, ma per il resto quello strambo ragazzo rimase completamente immobile come una statua. 
Se ne restò lì, in silenzio. Era ovvio che voleva lasciarmi continuare. Sentii il mio cervello andare sempre più veloce, finché non riuscii a lasciar uscire fuori le parole dai miei pensieri quasi passivamente, e farle scorrere come l’acqua di un fiume in piena:
- Lo stesso “L”… Del caso Kira? -
- Vedo che lo conosci… - sussurrò lui, con una sfumatura appena percettibile di compiacimento nella voce.
- Beh, si è parlato di lui ovunque, per qualche anno. Finché poi… -
Non fu dichiarata la sua morte.” pensai, confusa.
Rimasi così colpita da quell’ultima osservazione che non riuscii a proferirne più parola a voce alta. Perché mi stava chiedendo proprio di lui?
- Cosa sai di preciso su “L”, oltre che ha lavorato al caso Kira? –
Il ragazzo tirò giù il pollice che teneva premuto sulle labbra, e lo sostituì con l’indice.
- So… So che era l’investigatore privato più ambito dell’intero globo… Che ha lavorato per anni a quel caso… E poi… -
- Che è morto. Due anni fa. Non è così? -
- Sì. – risposi tutto d’un fiato.
- Bene. Tu ci hai creduto? -
- I media avevano detto questo… -
- E tu hai creduto ai media? -
- Sì. -
Alzai lo sguardo dalle mie mani pallide e lo piantai con una punta d’irritazione sul quel ragazzo. Rimanemmo a fissarci per istanti lunghissimi, finché poi, presa totalmente dall’imbarazzo, non lo distolsi di nuovo. Quegli occhi mi facevano sentire terribilmente in soggezione.
- Interessante. Beh, sappi che i media avevano torto marcio. O meglio, avevano volontariamente detto la notizia sbagliata. In effetti non è poi tanto un segreto  che “L” sia ancora vivo. Girano parecchie voci a riguardo tutt’oggi. Non te ne è mai arrivata nessuna? -
- No. In verità non ho mai ritenuto di vitale importanza sapere o meno della sua morte. Ho avuto ben altre faccende di cui preoccuparmi. -
Vidi un angolo della sua bocca rialzarsi appena, e le sue sopracciglia inarcarsi.
E’ un sorriso quello?
- Oh, perdonami. Non intendevo in alcun modo offenderti o ferire la tua sensibilità… -
- La mia sensibilità è apposto, grazie. -
- Se è davvero come dici come mai sei così sulle difensive? -
Tornai a guardarlo con un’espressione indecifrabile, con tanto di bocca spalancata per l’indignazione. Mi aveva preso in contropiede.
- Forse perché giochi a fare il commissario con me? -
A quelle parole fu lui ad assumere un’espressione confusa e in un certo senso anche ferita. Me ne meravigliai non poco. Allora ne era capace davvero?
- Cercavo solo di portarti al punto focale del discorso passo per passo, in modo che non ti sfuggisse nulla… -
- Puoi farlo anche senza inondarmi di domande come se fosse un vero e proprio interrogatorio. -
Ci fissammo di nuovo intensamente per dei minuti. In quel momento ero fortemente convinta che se fossimo stati in un’altra dimensione, in stile cartone animato, in quel preciso momento dai nostri occhi sarebbero sicuramente usciti dei fulmini in collisione. La cosa mi fece stranamente venir voglia di ridere, ma mi sforzai di non farlo e di mantenermi seria e tenebrosa almeno quanto lui (per quanto avrei potuto riuscirci). Continuai a fissarlo corrucciata, con tanto di lacrime agli occhi spuntate dal nulla all’improvviso, pregando Dio che lui non riuscisse a vederle; mentre lui invece azzardò un’espressione accigliata… O almeno così mi sembrava. Non era molto facile interpretare il suo viso quasi sempre marmoreo come pietra, sia per il colorito, sia per la staticità con cui cercava di esprimere (o forse di nascondere?) le sue espressioni.
- Pardòn. – disse poi, con tono acido.
Riabbassai lo sguardo verso le mie mani senza un preciso motivo. Semplicemente, quel ragazzo m’intimoriva.
- Ad ogni modo, sempre se mi dai il permesso, vorrei continuare a spiegarti… Ah, ma nessuno dei due è obbligato in alcun modo a sopportare l’altro, per cui se non ti va, posso anche andarmene. Forse è il caso di ricordartelo. -
Azzardai un’altra occhiata repentina, e quando tornai sul suo viso lo ritrovai sempre identico a prima, privo d’espressione. Non faceva altro che osservarmi attentamente quasi come se fossi una pietra preziosa od una nuova scoperta. Cominciò a darmi davvero sui nervi.
- Prima dimmi come sto messa. Fisicamente intendo… -
Vidi per un secondo i suoi occhi balzare al soffitto e poi ritornare su di me. Aveva davvero alzato gli occhi al cielo?!
- Collo, braccio destro e gamba destra fratturati. Più una costola inclinata e… Ah, una commozione cerebrale. Ma non preoccuparti, nulla di grave… Si spera.  In verità, sto ancora verificando. -
Scherza o fa sul serio?
- … Sono serio.  – aggiunse, quasi come se mi avesse letto nel pensiero.
- Quanto mi ci vorrà per guarire? -
- Per le ossa rotte una settimana circa… Ma i dolori dovrebbero cominciare già a diminuire entro domani. -
- E per la commozione? -
- Qual è l’ultimo evento di cui hai memoria? -
Quella domanda mi prese totalmente alla sprovvista, ma in effetti aveva senso. Qual era il mio ultimo ricordo? Ci misi qualche istante per rendermene conto…
- Ero sulla mia moto di ritorno a casa, quando… Una macchina bianca… - non riuscii a continuare la frase. Quei ricordi erano tornati, vivi e terrificanti come mai nessun altro.
- Il tuo ultimo ricordo risale all’incidente? – dal tono ne sembrava stupito.
- Sì. Perché? Cosa mi è successo dopo? -
- Sofia, dal giorno dell’incidente sono passate tre settimane. -
- C… Cosa? -
- Sei stata per due settimane ostaggio di alcuni uomini che lavoravano per la Liebel&Co, poi gli agenti dell’ FBI sono riusciti a recuperarti. Ti hanno trovata delirante… Con le tue ferite ancora così come si erano formate dopo l’incidente. Senza una cura, e quasi senza vita… - si fermò un istante, forse per studiarmi meglio, poi continuò:
- … Poi sei svenuta, hai perso i sensi… E ti abbiamo portata qui, dove ti abbiamo curata e tenuta in osservazione fino ad oggi… -
- Cosa!? – ripetei più forte, in preda al panico.
- Sofia, cerca di stare calma. Adesso sei in un posto sicuro. Davvero non ricordi nulla di quelle due settimane? -
- No! – urlai, ignorando il dolore acuto che mi percuoteva il corpo mentre cominciavo a tremare in modo sempre più violento.
Tre settimane…” cercai con tutta me stessa di capacitarmene, ma proprio non riuscivo a crederci. Perché a me? Cosa c’entravo io in tutto questo?
FBI… “L”… Liebel&Co…
- Aspetta… Liebel&Co è l’azienda dove io lavoro! -
- …Come segretaria, lo so. -
- M… Ma… Ma… -
I pensieri giravano sempre più veloci nella mia testa…
Tre settimane…
Quanta vita mi ero persa in quelle tre maledette settimane?
Tre settimane…
Cosa sarà successo alla mia moto, al mio lavoro, alla mia vita, al mio appartamento? I pensieri volteggiarono nella mia stessa veloci e violenti come un tornado, finché un fulmine non mi colpì in pieno, oscurando ogni altro pensiero:
- Sarah! -
Il ragazzo inarcò di nuovo le sopracciglia scure, mantenendosi ancora immobile in quella posizione così stramba:
- Chi? La tua coinquilina? Non preoccuparti, c’ho pensato io sia a lei che alla tua famiglia. Mi sono permesso di ingaggiare una tua “sostituta”… -
- Cosa!? – urlai ancora più forte, ignorando il dolore che ormai mi aveva completamente divorata.
- …Se mi lascia finire di parlare, Sofia… Stavo dicendo. Ho creato un alibi sia per Sarah che per la tua famiglia. A Sarah ho fatto dire che un tuo parente a New York stava male e sei dovuta accorrergli, e alla tua famiglia che eri in vacanza con Sarah, da sua sorella. -
- Ma sua sorella si trova sempre a… -
- New York. Già. -
- E cos’è questa storia della… -
- …Sostituta? – Un’idea mia. Giusto per qualche eventuale telefonata, per non fare in modo che qualcuno s’insospettisca. -
Oramai sapevo di non avere più controllo del mio viso, né tanto meno del mio corpo quanto delle mie reazioni. Ero a dir poco sconvolta, scioccata. Senza parole, eppure, con ancora miriadi di domande senza risposta.
Restai lì su quel letto, imbambolata, a fissare il vuoto con espressione scioccata e sconvolta.
Riprese il ragazzo a parlare:
- Hai idea di dove ti trovi adesso? -
Sentii passare secondi  eterni di silenzio assoluto. Era ovvio che voleva una risposta. Alzai lentamente lo sguardo su di lui, e lo fissai con occhi tremanti e stracolmi di lacrime:
- Lasciami indovinare… - bisbigliai furente.
- … A New York! – urlai all’improvviso, senza contegno. Sentii la prima lacrima scivolarmi sulla guancia, e le mani tornarono a tremarmi convulsamente. Le chiusi a pugno e mi morsi forte il labbro inferiore.
- Esatto. – rispose lui, atono.
- E’ assurdo! Completamente assurdo! – sbraitai.
Senza rendermene conto, in preda alla rabbia e all’esasperazione, alzai istintivamente entrambe le mani, e fu lì che il vero dolore si fece sentire.
- Aaaahh! – lasciai subito ricadere il braccio ingessato sul letto, mentre mi portavo l’altra mano sulla bocca per ricoprire i singhiozzi.
- Sofia! -
Alzai lo sguardo e mi ritrovai il viso di lui distante dal mio un solo centimetro, così all’improvviso da farmi balzare.
- Aaah! – tornai ad urlare, arretrando verso la parte opposta del letto.
- Sofia, basta! Sta’ calma! -
Il ragazzo mi afferrò entrambe le spalle e le tenne ben strette, ma senza farmi male. Mi guardò dritto negli occhi e disse:
- Sta’ calma, ho detto. Agitarsi non ti servirà a nulla, peggiorerai le cose a te e agli altri. Per cui, cerca di mantenere almeno un po’ di autocontrollo, per favore. E comunque ad ogni modo adesso sei in un posto sicuro, dove nessuno ti farà mai del male. Okay? -
Restai immobile, pietrificata dal terrore di tutte quelle notizie così surreali e spaventose… Senza parole.
- Okay? – ripeté lui, più forte.
Annuii flebilmente, per quanto potevo, ancora con la mano piantata sulla bocca spalancata.
- Bene… - continuò lui in un sospiro.
Chiuse per un istante gli occhi, e fu allora che notai le profonde occhiaie che portava più sotto. Come se non dormisse da interi giorni.
Mi lasciò le spalle delicatamente, e si accomodò sul letto di fianco a me. La semplice maglia bianca che indossava lasciava trasparire la sua pelle chiara, ed anche qualche lineamento sottile dei muscoli…
- Ora, come ti stavo dicendo all’inizio, L non è mai morto. E’ vivo, e si occupa di questa indagine… -
- E saresti tu? – mi azzardi a chiedere, in un sussurro.
Il ragazzo tornò a guardarmi con l’ombra di un sorriso sulle labbra:
- Chi? L? -
Annuii di nuovo in silenzio.
- Oh, non dire sciocchezze! Se io fossi L non sarei mica così stupido da espormi in questo modo, ti pare? Lui è la mente… Ed io sono un semplice braccio. Tutto qui. Chiamami Ryuzaki. Ovviamente è un nome falso, ma per adesso credo possa andare bene così. -
Mi guardò con espressione enigmatica, restando per qualche minuto in silenzio. Si aspettava forse un mio commento? Beh in tal caso non arrivò. Ero ancora paralizzata, inanime e incapace di formulare neanche un altro solo pensiero.
- Direi … Che dovremmo trovare un nome falso anche per te. Giusto per precauzione, capisci? -
Annuii per l’ennesima volta, senza aggiungere altro.
- Bene. Che ne dici di Kanade? Ti piace? -
- Sì… - sussurrai, come una bambina.
Non ci avrei giurato, ma subito dopo la mia risposta mi parve di vederlo sorridere davvero. Se non si fosse alzato e non mi avesse dato le spalle così velocemente, magari avrei saputo dire con certezza se l’avesse davvero fatto oppure no. Ad ogni modo avanzò verso la larga vetrata continuando a darmi le spalle. Notai con stupore che anche in piedi Ryuzaki assumeva una posizione alquanto insolita, con entrambe le mani sprofondate nelle tasche dei suoi bluejeans e la schiena ingobbita; ma soprattutto notai per la prima volta l’aspetto più curioso di tutti: i suoi piedi scalzi.
- La Liebel&Co è sospettata di grossi crimini, e di diverso genere. Inquinamento abusivo delle falde acquifere nazionali ed estere, corruzione da parte di grosse organizzazioni mafiose di tutto il mondo… -
…Altro che convegni…” pensai, allibita.
- …Ma soprattutto L sospetta che stiano sperimentando qualcosa che non è stato mai autorizzato dallo stato di nessuna nazione. Qualcosa di molto pericoloso… -
- Cosa? – chiesi subito, curiosa e allo stesso tempo riluttante.
- Sostanze altamente tossiche che loro ritengono possibili di grandi giovamenti sull’uomo. -
- Ma, se sono ritenute altamente tossiche… -
- E’ una situazione molto complicata. Loro, tra cui il tuo capo, Mister Bustri, ritengono che sia possibile aumentare le capacità motorie e intellettive dell’uomo. Una sorta di “superpoteri”. A mio parere… - si allontanò lentamente dalla vetrata e ritornò sul divano, di fronte a me, tornando a premersi le labbra con l’indice nella stessa ed identica posizione in cui l’avevo visto la prima volta.
- …Hanno semplicemente visto troppo film della Marvel. Devono essere fermati. -
- E perché non l’avete fatto? -
- Ogni volta che L e l’FBI si avvicinano ad una potenziale prova schiacciante, questa scompare. E’ da circa sei mesi che sono coinvolti. -
- Oh… - fu tutto quello che riuscii a rispondere.
Era diventato tutto così assurdo, così estraneo dalla mia vita che ancora stentavo a credere fosse tutto vero.
- Ma… Perché, perché io? -
- Ti stai chiedendo perché sei coinvolta in tutta questa faccenda? Beh, la stessa domanda me la sto facendo anch’io… E ancora ne cerco la risposta. Perché sei qui, Kanade? -
- Sono così confusa… - mi portai la mano sana nei capelli, mentre sentivo altre lacrime scorrermi sul viso freddo e immaginavo anche molto pallido.
- Adesso devi solo stare calma. E pensare a guarire. Quando starai meglio ci aiuterai con le indagini, e… -
- Come!? -
Ryuzaki inarcò le sopracciglia scure, con aria interrogativa.
- Quando tornerò a casa? – chiesi in tono quasi supplichevole.
- Kanade… - Ryuzaki s’interruppe subito, con aria stanca.
- Io voglio… Devo tornare a casa… -
- Non puoi. -
- Perché!? – tornai ad urlare, piantando una mano sul materasso con fare isterico. Sentii le lacrime non smettere di colarmi sulle mie guancie, la testa cominciò a girarmi forte e le ferite e le ossa rotte tornarono a farsi sentire sempre di più. Ryuzaki mi scrutò con un’espressione in volto indecifrabile. Si alzò di nuovo sospirando rumorosamente,  si avvicinò al mio letto e si accomodò di nuovo sopra come prima, solo adesso molto più vicino a me, che non avevo arretrato. Era pericolosamente vicino. Troppo vicino. Dopotutto ero troppo stordita in quel momento per accorgermene, e non ci feci troppo caso.
- Kanade. Capisco che possa essere tutto molto strano per te, ma… Servi qui. Non posso lasciarti andare. Ormai hanno coinvolto anche te, che ti piaccia o no, e non puoi tornare indietro. L non ti lascerà mai andare via prima che il motivo per cui sei stata coinvolta non uscirà fuori. -
- N… No.. -
Ryuzaki allungò lentamente una mano verso di me, mentre sentivo le mani tremare di nuovo come prima per la rabbia. Lo vidi avvicinare un indice sulle mie labbra, in segno di silenzio.
- Sta’ calma, ti ho detto che andrà tutto bene. – riabbassò la mano e la poggiò sulla mia, quella sana, che essendo libera dal gesso tremava più dell’altra.
Le sue dita erano fredde, e affusolate come quelle di un pianista. Mi strinse forte la mano e, non sapendo precisamente il perché, cominciai a calmarmi davvero.
Alzai lo sguardo verso di lui, sempre più confusa e stordita, ma soprattutto curiosa di vedere se dopo un gesto così inaspettatamente affettuoso fosse ancora capace di assumere quell’espressione fredda e calcolatrice che aveva cercato di mantenere tutto il tempo …
Ebbene, l’espressione che vi ritrovai sul suo viso fu di una confusione devastante. Non assunse nessuna smorfia, nessun segno chiaro o evidente. Le sue labbra sottili erano rimaste come prima, strette in una linea sottile, ma lo sguardo era perso, fisso sulle nostre mani che lui stesso aveva fatto incontrare.
Ci annegai nei suoi occhi in quegli attimi così intensi di sentimenti… Così intrisi di paura, di confusione, e di una sensazione così strana da non saper spiegare.
Quella volta non riuscii a capire quel suo gesto, né tanto meno quello sguardo così disorientato. L’unica cosa che fui capace di comprendere, era che mi piaceva. Più di quanto mi sarei concessa.
In un momento in cui la mia vita andava alla distruzione totale. In un momento in cui tutti i miei progetti, i miei piani, il mio intero futuro, erano improvvisamente scomparsi, dissolti come cenere spenta… Sentivo tutto d’un tratto di avere una via d’uscita, di avere una scialuppa di salvataggio. Di potermi aggrappare ancora a qualcosa.
Era totalmente e inevitabilmente stupido, e io lo sapevo bene, ma non me ne importava. Oramai ci ero già dentro in tutto quel fottuto casino, e forse anche più di quanto si poteva credere.
Fissai Ryuzaki senza fiatare, trattenendo addirittura il respiro, finché ad un tratto non scattò all’in piedi nel giro di un secondo, e se ne andò deciso dalla stanza senza degnarmi più d’un altro solo, fugace sguardo.
- Scusami… - borbottò a voce bassissima, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Poggiai la testa sui cuscini, chiudendo gli occhi ed espirando forte. Nessun’altra discussione mi aveva mai così stancata.
Era tutto così assurdo…
 

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Capitolo 4
*** Ripresa ***


Passarono cinque interi, lunghissimi giorni. E Ryuzaki non si fece vivo.
La maggior parte del tempo lo passai a dormire sotto effetto della morfina; non avendo nessuno con cui dialogare, a parte il signor Smithers che periodicamente veniva a chiedermi come mi sentissi, non avevo motivo di rifiutare una dose in più di morfina, dopotutto.
In effetti i dolori fisici smisero di presentarsi il giorno stesso dopo il mio risveglio, ma una piccola bugia non poteva nuocere a nessuno, no?
- Come va oggi, signorina? – mi chiese con tono educato Smithers, la mattina del sesto giorno.
Strabuzzai gli occhi come una bambina e lo guardai con aria stanca. In quei giorni… O meglio, in quei frangenti in cui ero sveglia, Smithers c’era sempre stato. Certo non per la mia persona, o perché mi trovasse simpatica. Chissà quanto veniva profumatamente pagato solo per somministrarmi un paio di dosi di morfina al giorno… Questo lo pensai fin da subito; tuttavia col tempo nacque in me la sensazione che lui stesse cominciando ad affezionarsi. Non lo dimostrava molto, ma io sono sempre stata brava ad osservare una persona, con ogni suo piccolo gesto, ed io la vedeva quella nota di dolcezza nei suoi occhi, ogni volta che gli chiedevo un’ennesima dose di morfina. Leggevo nel suo sguardo una sfumatura di preoccupazione, forse proprio perché aveva già ben capito l’ingiusto motivo per cui lo facevo. Eppure, puntualmente, non ne aveva mai ancora dato parola. Mi assecondava ogni volta, in silenzio.
- …Stanca. – risposi.
- Mh. – mugugnò a sua volta, fissando il mio braccio sano dove tenevo conficcato l’ago di una flebo.
- Novità sul caso? -
- Mi spiace signorina Sofia, ma non sono autorizzato a riferirglielo. -
- Oh, certo. Posso marcire qui dentro con la scusa del caso, e poi non posso nemmeno saperne qualcosa? -
- Ordini di L. Sono desolato. -
- Vorrei proprio poterlo incontrare, questo L. Giusto il tempo di uno sputo mirato sulla sua preziosa e misteriosa faccia… - borbottai sbigottita.
Vidi Smithers trattenere un sorriso. Stava cercando di mantenersi serio e professionale, come ogni altra volta dopotutto.
Ma cazzo qui la spontaneità viene lasciata fuori l’edificio?!
D’altra parte, anche se contenuto in quel modo, il suo “sorriso” mi sollevò un po’ l’umore.
- Abbia pazienza, signorina. L non si preoccupa mai di piacere o meno agli altri, ma col tempo capirà quanta saggezza ci sia in ogni sua decisione… -
Risposi con uno sbuffo, liquidando quell’argomento.
- Smithers… -
Sbattei le palpebre più volte tentando lo sguardo più innocente possibile e continuai:
- …mi somministra un’altra dose? Mi fa ancora tanto male la testa… - piagnucolai forzatamente.
- Signorina, posso darle del tu? -
La domanda mi colse impreparata.
- Oh, certo, Smithers. -
- Sofia… - mi poggiò delicatamente una mano sulla spalla, di nuovo con quello sguardo affettuoso come spesso faceva anche mio nonno quando voleva dirmi qualcosa di importante, col sorriso sulle labbra.
- Non sono stupido. Non prendermi ancora in giro, ti prego. -
Alzai lo sguardo al cielo, sospirando forte con aria di resa.
- E va bene. Tanto l’avevo capito che tu lo avevi capito. -
Stavolta lo vidi sorridere davvero, addirittura scoprendo i denti!
Wow! Che passo avanti!
- E io avevo capito sin da subito che eri una ragazzina per bene! -
- Grazie tante. – borbottai.
- E adesso cosa faccio? Hai forse qualche rivista, qualche giornaletto enigmistico, con i cruciverba e quant’altro? Dovrò pur trovarmi un passatempo fino a quando non potrò di nuovo interagire col mondo! – continuai con tono esasperato.
- Su questo posso darti una buona notizia. Oggi farai le dovute radiografie, e se avranno esiti positivi, potrai anche toglierti il gesso! -
Sentii un piccolo pizzico di gioia riscaldarmi di nuovo il cuore, dopo tanto tempo.
- Oh! Ma è fantastico! Quando? -
- Subito! -
Esultai con piccoli miagolii, non potendo in nessun altro modo.
Vidi Smithers spostarsi verso la mia destra, scoprendomi alla vista una sedia a rotelle.
- Ce la fai a spostarti qui? Oppure vuoi una mano? -
- Ce la faccio! No problem! -
Balzai su il più velocemente possibile, ignorai il forte dolore alla testa che mi colpì all’istante e poggiai il piede della gamba sana sul pavimento. Con un gemito di dolore mi diedi uno slancio e mi poggiai sulla sedia a rotelle, e tutto questo nel giro di pochi secondi. Fissai Smithers con occhi vivi e sfavillanti.
- Ah… - gli sentii dire, sorpreso.
- Beh, certo non è da tutti fare dei movimenti così velocemente dopo tante fratture… Ma, che dire, non siamo tutti uguali! -
Gli sorrisi con sguardo fiero.
- Su, allora andiamo adesso. –
E fu con queste parole che si posizionò alle mie spalle, afferrò le maniglie della mia sedia a rotelle (fin troppo comoda, notai con ingenuo stupore) e mi portò finalmente via da quella triste e anonima stanza dove avevo così tanto sofferto la solitudine.

La stanza adibita per le mie radiografie era non molto lontana. Oltrepassammo l’intero corridoio, largo e luccicante ma allo stesso tempo freddo e anonimo, e raggiungemmo l’ultima stanza. Lì non vi trovai nessun altro, come invece mi aspettavo. La stanza era vuota e spoglia, soprattutto considerate le sue dimensioni, e visto anche che le uniche cose che la occupavano erano dei macchinari che davano tanto l’aria di non essere mai stati usati prima. L’idea che tutti quei macchinari fossero stati comprati solo per me mi fece rabbrividire, così cercai di non pensarci e di concentrarmi invece su ciò che Smithers mi diceva di fare. Dopo circa una buona mezz’ora, Smithers aveva anche già finito di osservare tutti i risultati delle mie radiografie e l’esito parve ottimo.
- Eccellente! Provvederò a rimuovere il gesso sub… -
Si udì un rumore che catturò l’attenzione di entrambi, presso la porta. Qualcuno aveva bussato.
- Sì? – rispose Smithers, con tono improvvisamente grave.
Vidi la porta aprirsi appena, e un uomo sulla trentina dai capelli e gli occhi scuri che ne sbucava fuori, in giacca e cravatta.
- Ehm… Ryuzaki chiede di lei, al trentesimo piano. -
Trentesimo piano?
Quanto sarà stato alto quell’edificio? Al solo pensiero mi vennero le vertigini, così decisi di abbandonare anche quell’orribile pensiero e di concentrarmi invece su ciò che stava dicendo quell’uomo dall’aria vagamente impacciata.
- Il signor Ryuzaki sa perfettamente che adesso sono impegnato… -
- Mi ha anche detto che sapeva che mi avreste risposto così, e mi ha chiesto di insistere comunque. -
Smithers esitò per qualche istante, poi però si decise e si diresse velocemente verso la porta.
- Torno subito. – aggiunse solamente, prima di chiudersi la porta alle spalle e lasciarmi da sola.
Restai a fissare il posto vuoto che Smithers aveva lasciato, sovrappensiero.
Il signor Ryuzaki sa perfettamente che adesso sono impegnato…
Ah, allora lo sapeva che mi ero svegliata, il bastardo! Ed era forse quello il modo giusto di comportarsi?
Prima mi spara tutte quelle notizie sconvolgenti, e poi sparisce?
Eh no! Questa era guerra! Non potevo tornare a casa? Allora avrebbe dovuto sopportarmi, ventiquattr’ore su ventiquattro. Poco ma sicuro.
Certo, in fin dei conti non era proprio colpa sua… A decidere era L, quindi avrei dovuto prendermela con lui… Ma in che modo, se non si faceva vivo di persona?
Al diavolo. L non c’è? Allora me la prenderò con il suo ne-secondino!” e così decisi.
Certamente non potevo restare lì ferma, chiusa in quella stanza, da sola… Ne sarei diventata matta. Piuttosto sarei evasa, poco ma sicuro!
Ma come avrei fatto a vivere lì, senza soldi, senza documenti, o addirittura senza i miei vestiti?
Adocchiai il pigiama di cotone rosa pallido che in quel momento indossavo. Era di due taglie più grande, ma in fondo non mi dispiaceva. Chissà chi aveva provveduto a procurarmelo…
I miei pensieri andarono subito a Smithers, ma l’imbarazzo mi colpì in pieno non appena lo immaginai comperare per me anche le mutandine che indossavo. Allargai curiosa l’elastico dei pantaloni per osservarla. Erano anche quelle rose, semplici.
Mh, bel completo.” Pensai esterrefatta, lasciando l’elastico e abbandonando decisa quell’ennesimo spaventoso pensiero.
Troverò un modo per raggiungere Ryuzaki. Devo trovarlo…
Sentii di nuovo la porta aprirsi, mi voltai e vidi Smithers, improvvisamente pallido e con un’espressione grave in volta, che avanzava lentamente verso di me.
- E’ successo qualcosa? – gli chiesi, terrorizzata.
Lui alzò lo sguardo sul mio e cercò di cambiare espressione ostentando un sorriso, ma non era molto convincente.
- Nulla Sofia. Adesso preoccupiamoci di liberarti da questo gesso e passare alla fisioterapia. -
Non aggiunse altro, ed io neppure. Né tanto meno cercai di insistere per saperne di più. Qualcosa mi diceva che non sarebbe valso a nulla, e così me ne restai buona.
Tolto il gesso, finalmente, eseguii da brava ragazza tutti i movimenti che Smithers mi chiese di fare, e una volta finito anche quello, mi mandò dritta nel bagno della stanza dove avevo dormito fino ad allora.
- Sul letto troverai un borsone con tutti i tuoi vestiti… Più delle creme ottime per la tua pelle seccata per via del gesso. Usale! Dopo una bella doccia, magari, se mi permetti di dirti… Sai, non voglio risultare offensivo, ma penso tu ne abbia davvero bisogno… -
- Sai che ti dico? Hai proprio ragione, Smithers. Vado subito! –gli dissi entusiasta, dandogli subito le spalle e dirigendomi svelta verso la porta a piedi nudi.
- Ehi, ehi! Non correre! Ricorda che ti sei appena tolta più di un gesso! -
- Sì, sì! – risposi ancora senza girarmi, noncurante.
Aprii la porta e corsi diretta verso il capo opposto del corridoio. Ero a dir poco al settimo cielo. La sensazione che sentivo in quel momento era indescrivibile… Ritornare a camminare dopo tanto tempo. Quelle settimane mi parvero anni, sotto quel punto di vista.
Sentire di nuovo il proprio peso sorretto dalle proprie gambe… Sentire il pavimento freddo e chiaro sotto i propri piedi… Mentre i miei lunghi capelli ricci si dondolavano sulle spalle tra un saltello e l’altro. Sì, era davvero magnifico. Sorrisi da sola senza vergogna, godendomi quei piccoli istanti di gioia mentre arrivavo alla porta bianca della stanza. Mi fermai, feci un lungo sospiro ed entrai.
La camera era rimasta uguale a come l’avevo lasciata. Persino il letto era rimasto sfatto proprio nella stessa maniera, con l’unica differenza che ora sulle lenzuola chiare e disordinate era apparso un grande borsone nero. Lo raggiunsi in pochi secondi, afferrai la cerniera e lo aprii con uno strattone deciso, elettrizzata.
Sì!
Afferrai i primi vestiti che mi capitarono con le boccette di crema che Smithers si era preoccupato di procurarmi, e mi volatilizzai nel bagno, di fianco la vetrata. Catapultai il pigiama verso un angolino e m’infilai nella doccia.
Circa un’ora dopo ero asciutta e improfumata. Abbandonai al nascere l’idea di riordinarmi le lunghe ciocche ribelli in pieno stile “Ribelle- The Brave” e passai ai vestiti.
Merda, ho dimenticato l’intimo.
Non sapevo se preoccuparmi o meno di uscire solo con addosso un asciugamano, ma agii diretta, senza pormi tante domande, tranquillizzando me stessa pensando: “E’ comunque la mia stanza, per adesso…” e così, spalancai la porta ed uscii.
Il borsone era sempre lì sul letto, come prima, solo che adesso c’era un’altra figura al suo fianco, che in un primo momento faticai a realizzare. Eppure era lì, accovacciato sul bordo del letto con le ginocchia in petto, e con le mie mutandine di pizzo bianco fra le mani. Ryuzaki.

- Ma che ca… -
Indietreggiai d’impulso, sbattendo la schiena contro la porta ormai chiusa, e fissai con occhi sgranati Ryuzaki che dal canto suo non mostrò alcun segno di imbarazzo. Continuò a fissarmi senza ritegno, con aria tranquilla ma concentrata.
Anche lui mi parve identico a come l’avevo lasciato, sei giorni prima. O forse sarebbe stato meglio dire “come lui aveva lasciato me”.
- Non credi che dell’intimo così audace sia sprecato per una ragazza single? A meno che tu non sia… Come dire, dai facili costumi? – si fermò un secondo, piegò appena il collo e continuò a fissare la mia faccia indignata, con sguardo improvvisamente accigliato.
- … Eppure non lo sembri. – continuò a voce bassa.
Mi presi pochi secondi, giusto il tempo di prendere aria nei polmoni, e poi…
- Tu! -
…esplosi.
- Cosa diavolo credi di fare? E poi… Ma… Dico! Come diavolo ti permetti? Chi sei tu per giudicarmi!? -
Ryuzaki aprì bocca per replicare, ma non gliene lasciai modo.
- E ridammi le mie mutandine! Subito! -
Mi scaraventai su Ryuzaki in prenda alla rabbia, e per un attimo mi sembrò davvero di essere riuscita a prenderle. Un secondo dopo invece, mi ritrovai una mano di Ryuzaki fissa sulla mia fronte e l’altra alzata verso il soffitto, ben lontana da me, dove teneva ancora le mie mutandine penzolanti tra l’indice e il pollice.
Mai capitò di ritrovarmi in un posizione così stramba, né di vederci qualcun altro, come Ryuzaki. Cercai di dimenarmi per raggiungere il braccio che teneva alzato sopra la mia testa, ma fu tutto inutile. Mi teneva la testa bloccata a pochi centimetri da lui con una sola mano, ben piantata sulla mia fronte.
- Kan… Kana… de… ma… ti sembra… il… caso? – gli sentii dire, tra una gomitata mia ed una ginocchiata sua.
- Dam… me.. le! – urlai, sbigottita.
- Ti sembra… Ques…s…to… il… modo? -
- Non venirmi a parl… Ahhh! -
Non so se fu per sua volontà o meno, ma entrambi perdemmo l’equilibrio e ci ritrovammo stesi su letto, l’una sull’altro. Mi pietrificai, sconvolta.
- Dovresti chiedermi scusa. Lo sai? -
- Io!? E tu allora? -
Lo vidi inarcare le sopracciglia, mentre teneva ancora il braccio disteso lontano dalla mia portata.
- Cosa avrei da scusarmi? – mi chiese poi, sembrandomi falsamente confuso.
- Mi hai lasciata qui da sola a marcire… -
- C’era Smit… -
- Per cinque lunghissimi giorni! -
- Sei, in ver… -
- Ancor peggio! -
Non rispose subito allora. Lasciò che restassimo a fissarci in silenzio mentre io mi lasciavo di nuovo annegare nel buio dei suoi occhi, e ricordai perché nonostante l’avessi visto solo una volta prima, mi fosse mancata la sua presenza in quegli ultimi giorni quasi più della mia casa, o della mia vecchia vita per intero. Sapevo quanto fosse assurdo, ma era così. Punto.
- Ho delle indagini da gestire… - disse poi, con tono inaspettatamente profondo.
- Quelle può anche gestirsele L, ogni tanto. -
- Non è così semplice. -
- Ad ogni modo lasciarmi qui tutto questo tempo da sola, senza poter fare nulla, senza poter reagire alle notizie… assurde…. Che tu mi hai scaricato! Non è stato giusto per niente! -
- Non riceverai mai delle scusa da me. – rispose lui ad un tratto, con un filo di voce e terribilmente serio.
Quella risposta mi colse completamente alla sprovvista… Cavoli, due volte che lo vedevo e già avevo perso il conto di quante volte mi avesse preso in contropiede!
Dopo pochi secondi di esitazione mi affrettai a riprendere in mano le redini del discorso. Con me non poteva uscirne vincitore.
- Allora nemmeno tu da me ne avrai mai. – gli dissi sottovoce.
Lo vidi sorridere (a suo modo), per la prima volta.
- Adesso, se non ti dispiace…! – mi sporsi un po’ più in avanti e finalmente riuscii ad afferrare per davvero le mie mutandine, e lui lasciò che le prendessi senza opporre più resistenza.
Tornai a sorridergli smagliante, mostrando con aria fiera il mio trofeo.
- Davvero credi di aver vinto? -
Mi bloccai, con sguardo confuso.
- Non dovrei? -
- No. Credo proprio di aver vinto io. E sai perché? -
Lo guardai accigliata, non riuscendo proprio a capire dove volesse andare a parare.
- Dov’è l’asciugamano, Kanade? -
Mi tastai di riflesso il petto, in preda al panico. Non c’era.
- Oh porc…! -
Balzai in un lampo in piedi, voltai freneticamente lo sguardo intorno alla sua ricerca e solo dopo realizzai di averla intrecciata tra le gambe, appena sotto il ventre. Me la tirai con un braccio, mentre con l’altro mi preoccupai di coprirmi il seno.
Una volta ritornata coperta, morente di imbarazzo, alzai di nuovo lo sguardo su di lui, che frattanto si era rialzato e mi stava ancora osservando con un’espressione indescrivibile in volto.
- Esci subito… Da questa stanza! – sibilai, fuori di me.
- Ma io volevo sol… -
- VAAATTEENEE!- sbraitai senza controllo.
Lo vidi indietreggiare sul letto con un balzo, e per poco non cadere a terra.
- Va bene, va bene! Me ne sto andando! -
Mi voltò le spalle e mise i piedi a terra.
- Ero venuto a vedere come stavi, ma mi sembri in ottima form… -
- VAI VIIIAA! -
-Okay, okay! Me ne sto andando! -
Alzò entrambe le mani e si mise in piedi, dirigendosi poi veloce verso la porta. Lo vidi oltrepassarla e poi voltarsi verso di me prima di chiuderla.
- Lo vedi? Me ne sto and… -
Afferrai istintivamente una scarpa da terra e gliela scaraventai contro, ma per mio dispiacere, Ryuzaki finì di chiudere in tempo la porta e questa andò a sbatterle contro, provocando un rumore secco. Avrei tanto voluto riuscire a prendere in pieno il suo bel visino… Ma pazienza.
Aspetta un attimo…
Da dove avevo preso quella scarpa?
Mi inginocchiai a terra per vedere sotto il letto, e trovai la sua compagna. Semplici Convers bianche. Le mie Convers bianche!
Corsi a recuperare l’altra, di fianco la porta, presi anche il mio reggiseno ancora nel borsone, sempre di pizzo bianco, e tornai in bagno chiudendomi la porta alle spalle. A chiave.

Non mi sentivo più così debole come qualche ora prima, anzi, non mi ero mai sentita così viva e piena d’energia prima d’ora. Raggiunsi il largo specchio poco sopra il lavandino, sul muro dalle ennesime sembianze anonime, con semplici mattonelle celesti, e fissai il mio volto riflesso.
Ero arrossata e in completo disordine. I miei occhi castani brillavano di una strana luce e la mia bocca era curvata in un ridicolo sorriso. La ferita sulla fronte quasi non si vedeva, grazie ai miei voluminosi capelli… Ed io a stento ne feci caso.
Perché non riuscivo a prendere tutto quel macello in modo serio? Ero in un’altra nazione, in un edificio sconosciuto, sola, che quasi non ero morta stecchita per una corruzione biochimica a livello mondiale, e come mi stavo comportando io?
Sorridevo, di fronte al mio riflesso.
Sapevo di non essere mai stata davvero normale, ma non avrei mai creduto certo di reagire in questo modo di fronte a degli eventi così surreali.
Il 90% delle persone di solito reagirebbe in tutt’altro modo…
Beh, in effetti ripensandoci, lo stesso 90% non si sarà mai ritrovato nella mia stessa situazione. Io ero l’unica! Per cui, chi mai avrebbe potuto decidere se la mia reazione fosse davvero così inadeguata? L’importante era reagire!
Soprattutto, sapevo bene che avrei dovuto combattere e farmi valere. Se di una cosa potevo esserne sicura, era che non avrei mai lasciato a nessuno la possibilità di mettermi in disparte. Non avrei permesso a nessuno di costringermi a stare con le mani in mano, se si trattava anche solo per un decimo della mia vita, al costo di fare pazzie!
E allora cosa ci facevo ancora lì impalata senza far nulla?
Lasciai cadere l’asciugamano a terra e cominciai a vestirmi. Poco importava se ero sola. Poco importava se mi ritrovassi nelle mani di uno sconosciuto, nell’altro capo del mondo rispetto a dove avevo sempre vissuto, e poco importava se un ragazzo visto solo un paio di volte avesse già conquistato parte del mio cuore, o se mi avesse appena vista nuda.
C’era solo una cosa di cui adesso dovevo preoccuparmi.
Combattere.

 

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Capitolo 5
*** Alla scoperta ***


Una volta vestita e preparata, finalmente mi parve di riconoscere la mia immagine allo specchio. Certo, ero un po’ più pallida e sciupata, ma per il resto ero definitivamente ritornata me stessa.
Uscii svelta dal bagno e mi concessi qualche minuto per sbirciare fuori dalla vetrata a muro. Le sue dimensioni erano spaventose, perciò mi preoccupai di mantenermi comunque a qualche centimetro di distanza, visto anche che il piano su cui mi trovavo era sicuramente almeno il triplo di un normale palazzo italiano.
Wow…” la vista era sconvolgente. Si vedevano palazzi e grattacieli di vetro in lontananza, e, osando un passo in più verso la parete, riuscii anche a scorgere anche un piccolo pezzettino di strada, e la breve sfumatura gialla di un taxi americano in corsa. Era spettacolare.
Fu solo allora tuttavia che cominciai a sentire sulla mia pelle il peso di tutta quella stramba vicenda, e mi sentii sprofondare.
Cosa sarebbe accaduto domani, o dopodomani, o il giorno dopo ancora? Non riuscivo ad immaginarmi il giorno dopo, non sapevo dove avrei potuto essere, cosa avrei potuto fare o cosa mi sarebbe potuto accadere… Come potevo restare calma?
Sentii il terrore agghiacciante dell’ignoto diffondersi dentro il mio corpo, le mie vene, le mie vie respiratorie. Poggiai la mano sul mio petto e chiusi per qualche istante gli occhi, espirando forte. Ce l’avrei fatta. In qualche modo ne sarei uscita fuori, e vittoriosa per giunta. Non potevo lasciarmi prendere dalla paura, non in quel momento. Non in quella situazione.
Mi diedi una calmata e riaprii gli occhi. I grattacieli grigi quasi più non li vedevo; fissai la mia sagoma per intero sbiadita nel vetro.
I capelli ribelli mi ricadevano sulla canotta bianca che indossavo. Mi preoccupai di metterci sopra anche una camicia di cotone a quadri rossi e bianchi, della quale avevo arrotolato le maniche fino al gomito, perché da quel che sapevo, e da quel che avevo provato fino ad allora, il calore italiano non aveva niente a che fare con il clima newyorkese, ancora mite alla fine di Giugno.
O forse è solo colpa della temperatura troppo bassa dei climatizzatori?
Feci spallucce. Beh, finché sarei stata lì dentro non l’avrei mai saputo.
Tastai le tasche dei miei jeans neri, e sentii che c’era qualcosa. Infilai una mano, curiosa, e la tirai subito fuori.
Il mio polsino borchiato!
Erano settimane che non lo trovavo… Era finito lì!
Lo indossai con sguardo perso al polso destro, sorridendo dolcemente.

- Credo proprio che dovrai farti vedere tu da un bravo psicologo… -
Mi voltai di scatto verso la porta della mia stanza con aria sorpresa e la trovai lì, appoggiata allo stipite in leggins e felpa, che inalava un’ennesima boccata di fumo.
- Sarah! Mi hai spaventata… - le dissi con un sorriso, volgendole di nuovo le spalle per dedicarmi al riflesso della mia immagine nello specchio.
- Scusa… - borbottò lei, con aria stanca.
Sentii il suono dei suoi passi avanzare nella stanza, e poi un morbido tonfo. Distolsi di nuovo lo sguardo dal mio sobrio make-up e lo volsi verso il mio letto, dove trovai Sarah appollaiataci sopra come un gatto.
- Lo sai che ho un’indole felina… - disse poi, stiracchiandosi pigramente.
Sbuffai rumorosamente, cercando di mantenermi seria.
- No cara, tu sei un felino. In effetti ero indecisa… Sarebbe il caso di comprarti una cuccetta? -
La sentii espirare un’altra boccata di fumo, mentre la mia vista tornò a concentrarsi sul mio abbigliamento: jeans e canotta scollata, con Convers rosa ai piedi.
- Naah, il letto è più comodo. E poi la mia caratteristica felina principale è un’altra… -
Mi diedi un’ultima occhiata: poteva andare. Lo abbandonai definitivamente e mi voltai di nuovo verso la mia adorabile eccentrica coinquilina Sarah. Ora teneva la sigaretta fumante con una mano,mentre l’altra la teneva sotto il capo.
Inarcai le sopracciglia in modo interrogativo, con tanto di pugni chiusi sui fianchi.
- E quale sarebbe? -
- Vieni qui… -
Mi permisi un’alzata d’occhio al soffitto e la raggiunsi sul letto.
- …Sono le coooccooleee!! -
- Aaaahh! Sarah! -
Si catapultò su di me in due secondi, stringendomi forte in un abbraccio soffocante.
- Sarah! La sigaretta! – urlai tra una risata e l’altra.
Sarah si scostò e mi diede di nuovo il cosiddetto agio di respirare:
- Oh non preoccuparti, sono allenata. Oramai sarei in grado persino di scopare con una Marlboro Gold tra le mani! -
- Mhh… Intendi con la scopa o con un uomo? -
Sarah tirò un’altra boccata e mi fissò languidamente.
- Entrambi. Contemporaneamente. -
Ci bloccammo entrambe per dei secondi, fissandoci immobili, poi scoppiammo insieme in una grossa risata.
- Sei la solita! – le dissi poi, rialzandomi dal letto per recuperare le chiavi della moto.
- Dove stai andando? -
- A prenotare un esame… -
- Oh, il solito 18… - le sentii dire con tono sarcastico.
- Già! – mi limitai a rispondere, sovrappensiero.
- Comunque davvero, studi psicologia, ma credo che tu sia la prima ad aver bisogno di un buono psicologo! -
Mi voltai verso di lei, con le braccia incrociate in petto, una spalla appoggiata alla porta ed un casco nero penzolante in mano.
- Perché? -
- Hai un chiaro disturbo della personalità! -
La guardai a metà tra la confusione e il divertito.
- Non capisco… -
-Suvvia non fare la finta tonta! “Signor Bustri, le lascio gli archivi… Signor Bustri, gnegnegne…” E poi vieni qui e fai la metallara! In ufficio sembri una donna in carriera, con camicetta e tacchi a spillo, e fuori invece sei… -
- Una rompipalle? – la interruppi, sarcastica.
- No, un’adolescente figa e alternativa. – rispose Sarah, seria.
Mi bloccai per qualche istante. Non mi aspettavo una risposta del genere.
- Beh… - cominciai, volgendole un sorriso affettuoso.
- Invece tu… Sei tu. E non puoi immaginare quanto sia bello e ammirevole per una persona; restare sé stessi, qualsiasi cosa accada… E ne sono davvero felice, Sarah. -
La vidi ricambiarmi il sorriso, lievemente arrossita sulle guance.
- Prima che vai… Voglio darti una cosa che ho comprato apposta per la mia coinquilina adolescente… Che non ha niente a che vedere con la donna in carriera, ci tengo a precisare! Quella mi sta antipatica… - si alzò dal letto e si avvicinò a me, con timidezza.
- Tieni, questo è tuo. -

Ed era lì, nella tasca di quel vecchio paio di jeans, che solo settimane dopo tornai ad indossare, da quella sera. Un semplice polsino borchiato, ma che per me era diventato il simbolo della mia intera esistenza. Il simbolo della mia amicizia con Sarah, e soprattutto, di ciò che ero.
Forse Sarah aveva ragione, forse ero davvero affetta da una sindrome della personalità multipla e non me ne accorgevo. O forse era semplicemente la cosa più normale del mondo, e non ero l’unica. In fondo ognuno di noi ha infiniti spiriti dentro di sé, perché non dirlo?
Sarah…” quanto mi mancava.
Diedi un’ultima sistemata al polsino e mi voltai, diretta decisa verso la porta. Dovevo agire. Dovevo raggiungere Ryuzaki e darmi una mossa.
Uscii svelta dalla stanza e mi guardai attorno: il corridoio era deserto.
Dov’è Smithers?
Adocchiai delle grandi ante metalliche, ad un capo del corridoio.
Un ascensore!
Lo raggiunsi in pochi secondi.
Cazzo! 50 piani!?
Non appena premetti il pulsante, le grosse ante metalliche si spalancarono e lasciarono che entrassi in quelle enormi quattro mura luccicanti e splendenti, che riflettevano tutte l’immagine di una Sofia curiosa e spaventata allo stesso tempo. Vidi alla destra tutti i numeri da zero a cinquanta allineati uno sopra l’altro.
Trentesimo piano…
Puntai il dito sul numero trenta e le ante metalliche si richiusero alle mie spalle in un attimo, silenziosamente. Poco dopo sentii l’ascensore muoversi verso l’alto con forza, e seguii i numeri in rosso scorrere dal numero venti al trenta, di fronte a me, al ritmo di un secondo ciascuno.
…24…25…
Quanto andava veloce quel dannato ascensore? Alzai nervosamente gli occhi al cielo, cercando di non pensarci.
Driiinnn.
“…30. Trentesimo piano.

Sentii salirmi il batticuore a mille. Cosa ci avrei trovato dietro quelle enormi ante grigie? Ryuzaki? L’avrei trovato ancora là?
Sentii il sottile fruscio della ante scorrevoli, di nuovo, che al contrario della prima volta adesso di spalancavano. Uscii decisa dall’ascensore, proseguii di qualche passo e poi mi fermai, confusa.
Mi ritrovai in un enorme appartamento dall’aspetto lussuoso. Tanto grande quanto accogliente. Le alte pareti erano rosse corallo, tra cui una era composta da alti vetri limpidi e trasparenti, che davano sullo stesso grigio paesaggio della camera dov’ero stata fino ad allora, solo che lì si scorgeva un pezzo di cielo un po’ più grande.
I mobili erano anch’essi  lussuosi e di buon gusto; al centro della stanza erano disposti due lunghi divani di pelle neri uno di fronte a l’altro, e tra loro vi era un tavolino basso di vetro rettangolare, elegante e moderno.
Sulle pareti erano stati disposti alcuni quadri astratti, e su quella alla mia destra era stato posto anche un pianoforte a muro altrettanto lussuoso e lucente, nero.
Certo non era proprio quello che mi aspettavo.
Non credevo che Ryuzaki potesse seguire le indagini in un appartamento così lussuoso ed accogliente.
Me lo immaginavo in una grande sala cupa e professionale, piena zeppa di computer, schermi, radiotrasmittenti, agenti in divisa…
Forse i polizieschi mi avevano dato alla testa?
Non capisco…
- Who are you? -
Scattai lo sguardo verso l’entrata di un lungo corridoio di fronte la vetrata, dove avevo sentito provenire quelle parole, pronunciate con quel tono così delicato quanto minaccioso e ostile.
Era stato un ragazzo a parlare, apparso dal nulla e nel silenzio più assoluto. Alto e dal fisico slanciato, era dall’aspetto alquanto strambo, notai, con quei pantaloni aderenti di pelle nera e il panciotto sbottonato abbinato ai pantaloni, che lasciava intravedere i lineamenti dei suoi muscoli ben incisi sulle pelle. Restai ad osservarlo in silenzio quasi un intero minuto, e lui a sua volta rimase immobile come una statua a fulminarmi con lo sguardo in posizione di allerta, nemmeno fossi il suo peggior nemico.
- Kanade. You? -
Vidi il ragazzo rilassare la postura delle spalle, socchiudere gli occhi e sbuffare:
- Ah, allora sei soltanto tu, Sofia.- disse con tono riluttante, in un italiano ben più chiaro di quanto un normale americano potesse esibire. Si avvicinò lentamente ad uno dei due divani con fare annoiato, e si lasciò cadere con non molta grazia.
- Come fai a conoscere il mio vero nome? – gli chiesi, infuriata.
- Riponi le armi, ragazzina. Non sono io il tuo nemico. – mi rispose lui, distogliendo il suo sguardo annoiato dai miei occhi.
- Che ci fai qui, piuttosto? – continuò, guardando di fronte a sé e poggiando con fare spavaldo entrambi i gomiti sullo schienale.
Osservai per qualche istante il colorito rossiccio dei suoi capelli lisci, che gli ricadevano tutti sulla stessa cavità alla base del collo in un taglio netto, e quando lo vidi abbassare lo sguardo sulle bottiglie di vetro sopra il tavolino, osservai anche la sua stramba frangetta ricoprirgli gli occhi.
- Tu? -
- Beh, io ci vivo… Cara. -
Arretrai istintivamente di un passo, sorpresa e accigliata.
- Come? I… Io credevo… - balbettai.
- Cosa credevi, tu? – disse ad un certo punto lui, alzando il suo sguardo sprezzante di nuovo su di me; restò così  per dei minuti forse, a fissarmi come si potesse mai fissare un moscerino, o una mosca: con una certa sfumatura di noia e fastidio ben visibile.
Cercai presto di riprendere il controllo di me stessa. Non avevo la minima idea di chi potesse essere quell’uomo, ma una cosa era certa, non gli avrei mai dato la soddisfazione di mostrarmi in difficoltà.
Tirai un sospiro veloce, per darmi forza:
- In verità mi avevano riferito che Ryuzaki si trovasse qui, al trentesimo piano. -
- L’hai mancato allora. E’ andato via da un pezzo. -
- Oh. – risposi solamente, non sapendo cos’altro aggiungere.
- Oramai sei qui, comunque… Siediti, accomodati. E che non si dica che manchi di ospitalità! -
- Non accetto l’ospitalità di una persona di cui non conosco nemmeno il nome. – sibilai con tono ostile.
Vidi il ragazzo alzare di nuovo lo sguardo sul mio viso, stavolta con una piccola sfumatura di stupore.
- Ah sì? -
- Già. – risposi acidamente, continuando a fulminarlo con gli occhi.
Lui restò a fissarmi ancora per qualche secondo, con l’accenno minimo di un sorriso sulle labbra sottili, poi sospirò di nuovo con aria annoiata:
- E va bene. Accetteresti dunque l’ospitalità di un certo Mello? -

Esitai solo pochi istanti, poi risposi:
- Okay. – mi avvicinai con cautela al divano di fronte a quello dove si era placidamente accomodato lui, senza togliergli mai gli occhi di dosso… A differenza sua, che invece era già tornato sulle bottiglie di vetro. Ne afferrò una senza tappo e se la portò alla bocca senza tante cerimonie.
Io mi accomodai educatamente al centro del divano, accavallando compostamente le gambe e continuando a fissarlo freddamente.
- E così… Tu sei un’altra vittima del caro Bustri. Mh, nemmeno il fascino di una così bella giovane non lo trattiene dai suoi affari… - pronunciò l’ultima parola con un’evidente nota di sarcasmo.
Di certo avrebbe dovuto sembrarmi un complimento, il suo… Ma allora perché invece, nel modo in cui l’aveva detto lui, mi sembrava un insulto bello e buono?
- Tu… Sai chi è? -
- Ahimè, sì. – rispose Mello, poggiando di nuovo la bottiglia sul tavolino nello stesso ed identico posto in cui si trovava prima.
- Come vanno le ferite? A quel che vedo non sono tutte guarite… -continuò, indicando con un rapido gesto del mento la  mia fronte.
Mi riportai istintivamente la mano sulla ferita.
- Sai cosa mi è successo? -
- So tutto, Sofia. O preferisci che ti chiami Kanade? -
- Come ti pare. – risposi, irritata.
- In verità questa storia dei nomi falsi, personalmente, la trovo una vera e proprio stronzata. Kira è morto, mi dico! Il caso è chiuso! Da due anni, per giunta! E Ryuzaki invece ha ancora questa fissa… A volte penso che il caso Kira l’abbia traumatizzato. Altre volte rido dei miei stessi pensieri. Con lui non si sa mai con certezza! – esibì un’altra alzata d’occhi al soffitto e poi tornò a guardarmi, con quei suoi occhi… Di che colore? Azzurri? Dorati? Non si capiva molto bene.
- E così… Tu sei il nuovo punto interrogativo di L… -
- Ancora non capisco, né tu mi hai detto, come fai a sapere tutto questo… -
Lo vidi sorridere come se avessi appena fatto una battuta divertente sui poliziotti newyorkesi:
- E tu come mai fai tutte queste domande? -
- Forse perché ne ho motivo. E il diritto. -
Mello alzò un sopracciglio, sorpreso.
- Mh… Una ragazzina dalla lingua lunga e biforcuta entra nel mio appartamento, senza che nessuno la invitasse… Non ha voluto dirmi il suo vero nome di sua spontanea volontà… Si accomoda sul mio divano… E pretende anche il diritto di sapere la storia della mia vita? -
- Non ti ho chiesto la storia della tua vita. Ti ho solo chiesto come fai a sapere tutto di me, mentre io non so nemmeno il tuo vero nome. -
- Te l’ho detto, mi chiamo Mel… -
- Non crederai davvero che sia così ingenua? Non dovresti mai sottovalutare chi ti ritrovi davanti… Mello. – pronunciai il suo nome come tra virgolette.
Mello mi fulminò con gli occhi, improvvisamente serio e minaccioso. Pareva quasi che da un momento all’altro potesse balzarmi addosso e uccidermi, e invece se ne restò lì dov’era, in quella posizione così spavalda e intimidatoria, limitandosi alla letale violenza delle parole. Repressi un brivido.
- E tu come l’hai capito? – sibilò, portandosi una mano sul mento con aria curiosa.
- Ho notato la posizione delle tue braccia tese e il movimento del tuo sguardo, che è subito caduto verso il basso proprio mentre mi dicevi il tuo nome. Ti sei anche toccato i capelli, gesto ben evidente. Confesso che in situazioni normali però, non l’avrei nemmeno notato probabilmente… E magari, chissà, ti avrei anche creduto sulla parola. Ma, viste le circostanze… -
-Studi psicologia… -
- Esatto. -
- E immagino sarai una di quelle studentesse brillanti, dal cento e lode al diploma italiano e trenta ad ogni esame… -
- In verità dal liceo sono uscita con settanta… Ma per quel che riguarda l’università, hai ragione. Ho la media del trenta. -
- Settanta, eh? Ragazza ribelle, allora. -
Esibii una smorfia di disappunto.
- Quando serve, direi. -
Mi appoggiai allo schienale, incrociando le braccia in petto. Mello, a differenza di come aveva fatto all’inizio, adesso mi fissava assorto. Ero riuscita a conquistarmi la sua attenzione, allora.
- Quanti anni hai, Sofia? -
- Ancora non mi hai risposto, Mello. -
- Suvvia, Sofia! Ci stiamo appena conoscendo! Dammi tempo! -
Sbuffai rumorosamente, alzando gli occhi al soffitto con lo stesso fare annoiato e irritato che lui aveva esibito fino a poco tempo prima.
- Se c’è qualcosa che non ho adesso, Mello, è tempo da perdere. Per cui… - mi alzai educatamente.
- Chiederò spiegazioni a Ryuzaki, sul tuo conto. Visto che tu hai solo voglia di giocare. -
Mi avviai verso l’ascensore, con passo lento ma deciso.
- Peccato. Stavo giusto per raccontarti qualcosa di molto importante… Su Bustri. Ma se vuoi vedere se il tuo già caro e fidato Ryuzaki sarà disposto a raccontartelo al posto mio, va’ pure. Avrai il beneficio del dubbio. -
Mi bloccai di fronte le ante grigie dell’ascensore, in silenzio.
- Sempre che tu riesca a trovar… Oh, ma guarda! Sono già le sei del pomeriggio! Dovrebbe arrivare qui a momenti, per giunta! Ma non sei obbligata a restare, comunque… Puoi aspettarlo al ventesimo piano… -
Restai immobile per dei secondi, a riflettere. Diceva sul serio? Oppure era tutta una farsa?
Poco importava. In fin dei conti Ryuzaki a quell’ora avrebbe già dovuto scoprire della mia “scomparsa”…
Mi starà cercando, quindi indipendentemente dalle bugie di Mello, a momenti lui sarà davvero qui.
Sospirai in silenzio.
- Ventuno. – risposi, piano.
Mi voltai di nuovo verso di lui, e lo trovai a fissarmi ancora con quell’ambiguo sorriso sulle labbra.
- Come, scusa? – gli sentii chiedere, mentre tornavo al mio posto di fronte a lui sul divano.
- Ventun’anni. Mi chiamo Sofia De Ludi, ed ho ventun’anni. -

- Come immaginavo… - rispose lui, pensieroso.
- La seconda vittima di Bustri… Ha ventun’anni. – continuò, quasi tra sé e sé.
- Seconda? -
- Già. Bustri ha sperimentato su due sole persone fino ad oggi… -
Due?” sentii i pensieri tornare a  volteggiarmi velocemente nella testa, e l’ansia aumentare paurosamente insieme ai battiti del mio cuore.
- …Tu sei la seconda. – continuò.
- E… la prima vittima… chi… - sussurrai, confusa.
- Sono io. - rispose lui, in un sibilo divertito.










ANGOLO AUTRICE
Saaaaalve. Ehm. Ci tenevo a scusarmi per il mio imperdonabile ritardo, ma ahimè, io sono una ritardataria cronica anche nella mia vita reale, per cui... Portate pazienza, se potete. Quei pochi lettori che seguono la storia sono ben consapevole di averli trascurati, in tutto questo tempo, ma ci tengo a farvi sapere che non è del tutto colpa della mia svogliatezza, ma bensì anche della mia salute cagionevole, che fino ad oggi mi sta dando problemi. Vabbè, è Ottobre, chi è che non si ammala ad Ottobre?
Per il resto, pregherei chiunque si trovasse a passare tra le righe di questa storia, a lasciare un piccolo commento. 
Non m'interessa delle recensioni in sè, chiarisco. Di quelle non me ne faccio nulla. E' solo un bisogno che credo ogni piccola autrice senta nel profondo, di sapere e conoscere cosa il "lettore" pensa di ciò che scrive... Anche per migliorare, per creare qualcosa di più bello, in modo costruttivo. Per cui... Anche e soprattutto, direi, agli autori che seguono la mia storia, se per cortesia, solidarietà tra scrittori, o anche solo per un po' di tempo da perdere, come si suol dire, spendereste un paio di minuti a scrivermi il vostro pensiero su questa storia... Io lo apprezzerò molto. 
Grazie invece a chi già recensisce, spero continueranno a farlo. Sono le loro piccole considerazioni a darmi la forza di continuare questa storia. :')

 

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Capitolo 6
*** Scoperte agghiaccianti ***


-Cerca di stare calma. Sembri agitata… -
- …Tu!? -
- Già. Allora la vuoi sentire o no la storia della mia vita, Sofia? -
Rimasi pietrificata, immobile sul divano sotto il suo sguardo agghiacciante.
- Credo… - sussurrai:
- … che forse sia il caso. -
Vidi Mello esibirmi un sorriso amaro mentre si spostava lentamente, poggiando i gomiti sulle ginocchia:
- Abbiamo ancora un po’ di tempo… Bene. – sospirò minimamente:
- Due anni fa, quando ancora Kira esercitava il suo potere, io investigavo sul caso. Non ufficialmente, ma… avevo dei miei mezzi. Tu prima di venire qui sapevi che L era morto due anni fa, ma non è stato così. In verità lui ha davvero simulato la sua morte, ma non due anni fa. Precisamente… Sei anni prima, il vero L ha simulato la sua morte dinanzi a tutti volendosi tirare fuori dal caso, ma questa restò poi conosciuta solo all’intero della polizia, per scelta degli agenti stessi e delle altre organizzazioni ufficiali che si occupavano del caso. Un altro agente decise di prendere il suo posto ufficiale, e lo fece fino alla fine. O meglio, fino a quando Near non lo smascherò. Sì hai capito bene. Near lo smascherò. Perché proprio l’agente di polizia che aveva deciso di prendere il posto di L, si rivelò il vero Kira. Light Yagami. Fu uno shock per l’intero dipartimento di polizia… Ma questa è un’altra storia, che non mi riguarda. Durante le ultime indagini, mentre Near investigava su Kira con l’aiuto dell’ FBI, io continuavo a farlo per conto mio. In realtà non riuscii a fare molto, almeno nei primi periodi… Fino a quando poi non decisi di fare una pazzia, a favore delle indagini. Rapii Kyomi Takada, a quei tempi portavoce ufficiale di Kira, e lo feci ben consapevole che quasi con certezza mi sarebbe costata la vita. Tuttavia, ciò non bastò a fermarmi. Sono sempre stato testardo… - sorrise di nuovo, con sguardo perso.
- Non entro nei dettagli spiegandoti i precisi motivi per cui quel rapimento avrebbe dovuto aiutare le indagini, perché non potresti capire. Ad ogni modo, rinchiusi quella puttanella in un grosso camion, e il mio prossimo obiettivo era arrivare in un posto ben preciso… Ma non ci riuscii. -
Mello alzò lo sguardo sul mio volto, ancora pietrificato. Mi fissò intensamente per degli istanti eterni, e riuscii a scorgere nei suoi occhi, anche se per poco, una breve scintilla di terrore. Bianca e fredda come…
- Fui ucciso, quella sera. -
… la morte.
- Ma… E’ impossibile. – risposi, sorridendo istericamente.
- Credo sia il caso di doverti spiegare una cosa Sofia. Ti risolverò il grande mistero del potere di Kira, che l’intero mondo ignora ancora. -
Strinsi le dita sulla pelle fredda e dura su cui ero seduta, in silenzio. Pendevo dalle sue labbra, in completa tensione.
- Esisteva un quaderno. Un quaderno dalle capacità ben oltre l’umano, e Kira usava quel quaderno per uccidere. Scriveva il nome di qualcuno lì sopra, e quello moriva dopo quaranta secondi…. Di infarto, se non si voleva aggiungere alcun altro dettaglio alla sua morte. Quel quaderno non apparteneva a qualcuno di questo mondo, ma ad uno… - esitò per qualche secondo, esaminando il mio volto:
- “Shinigami”. Così li chiamano in Giappone. -
- Dèi… della morte. -
- Vedo che li conosci. Io fui ucciso così. La puttanella tenne nascosto un frammento di quel quaderno tra le mani, mentre guidavo il camion. Dirle di spogliarsi non bastò a salvarmi. Non so come ci riuscì, ma in qualche modo ci scrisse il mio nome sopra, e dopo quaranta secondi… Morii. -
- Smettila. – sibilai tra i denti.
Mello inarcò un sopracciglio:
- Di far cosa? -
- Di mentirmi, Mello. Smettila. Cosa ti fa pensare che io possa davvero credere a tutte queste assurdità? – continuai, pungente.
Lo vidi ridurre gli occhi in due fessure piccolissime, tornando ad appoggiare i gomiti sullo schienale e accavallando le gambe, gelido.
- Non m’interessa che tu ci creda o meno. Questa è la mia storia. E, per quanto io possa desiderare il contrario, tu sei obbligata ad ascoltarmi. Perché entrambe le nostre vite sono state cambiate dalla stessa persona. E tu sai di chi sto parlando. -
Incrociai a mia volta le braccia in petto e affondai le unghie nella pelle, fino a farne uscire un microscopico rivolo di sangue senza neanche accorgermene.
- Stavo dicendo… Quel giorno fui ucciso così, e uscii completamente di scena per quel che riguardò il caso Kira. Nessuno sapevo però, che in realtà il mio corpo non bruciò mai nell’incendio che lo stesso Kira fece scoppiare subito dopo, uccidendo Takada ed eliminando ogni traccia del quaderno. Bustri, già da allora capo del settore biochimico sperimentale, mandò dei suoi scagnozzi per pedinarmi proprio in quell’ultimo periodo. In verità non so come fosse stato capace di conoscere anche solo la mia esistenza, ma sta di fatto che, malgrado tutto, lui mi salvò la vita quella volta. In effetti… Salvata non proprio. Diciamo che, inavvertitamente, me ne ha donato una seconda. E’ per questo che sono ancora qui, a parlare della mia morte con una piccola sconosciuta come se fosse la notizia del giorno… -
- Ma… Come? -
- Gli scagnozzi di Bustri non mi persero di vista un attimo. Dovevano essere davvero bravi, visto che non è facile aggirarmi a questo modo, di solito. Ad ogni modo, mi seguirono anche durante l’intero rapimento, senza interferire, fino a quando poi non videro il mio camion sbandare e schiantarsi. Agirono giusto in tempo. Presero il mio corpo inanime proprio mentre Takada, già sotto effetto del quaderno, stava per darsi fuoco. Mi portarono da lui, da Bustri, ed insieme ad altri intervenirono. Era arrivato il momento che lui aveva aspettato per tutto quel tempo… Il motivo per cui aveva scelto proprio me. Perché lui sapeva, che a causa del mio carattere fin troppo istintivo, sarei morto presto. E lui quello attendeva. Una persona dalle doti intellettive fuori dal comune… Morta. – si fermò ancora, accennò un sorriso e poi continuò.
- Respira Sofia. Non stressarti. -
Lo guardai scioccata:
- Come se fosse possibile! – sbuffai, cercando di contenermi.
- Tranquilla, ho quasi finito. -
Annuii flebilmente, sospirando forte e cercando di soffrire in silenzio.
- Mi fecero delle iniezioni… Molte, in effetti. Tutt’oggi non so precisamente di che tipo di sostanze si trattasse, ma sta di fatto che esattamente dopo sei giorni… Mi risvegliai. Il mio cuore tornò letteralmente a battere di nuovo, dopo sei giorni. E non era finita lì. Tutte le mie cicatrici scomparvero, anche quelle più gravi. Ne avevo una qui… - mi indicò il lato destro del suo viso.
- …Grande quanto l’intera metà della mia faccia. E quando mi risvegliai era sparita. “Come è stato possibile?”, ti starai chiedendo… “Perché proprio tu?”… Queste domande furono le stesse che mi posi anch’io, appena sveglio. Fu il signor Bustri in persona a darmi delle risposte. Era molto fiero del risultato che aveva avuto su di me, e non aveva problemi a dimostrarlo. Mi parlò per ore, quella volta. Mi spiegò tutto. Mi spiegò degli scagnozzi, di quello che mi era successo fino ad allora, e perché… Era successo proprio a me. In effetti, le sostanze di cui il signor Bustri e il suo settore si occupano tutt’oggi, sono sostanze molto particolari e difficili da trovare… Ed hanno effetto solo su un determinato genere di persone, altrettanto raro. Persone che hanno esercitato qualsiasi area del cervello, e in un modo ben specifico (persone particolarmente intelligenti, per farti capire), e di un gruppo sanguigno altrettanto particolare. Tu conosci il tuo gruppo sanguigno? -
- AB… N… Ne… -
- … Negativo. Come me. – sospirò appena un attimo.
- Ecco perché Bustri ci ha scelti. Ecco perché anche tu sei qui con me, stasera, e sei in grado di correre, camminare, fare la “tipetta” ribelle con me nonostante il tuo incidente. -
- Ma… ma… è passato il giusto tempo… -
- Tu credi sia solo per quello? Davvero lo pensi? – mi fissò con aria scettica, e con appena un accenno di sorpresa.
- Dimmi, Sofia. Non ti senti… Diversa? Da dopo l’incidente, dal tuo risveglio, davvero non ti senti cambiata? Capace di cose che prima nemmeno immaginavi? Qualche abilità… Nascosta? -
Si fermò, ben soddisfatto del suo bel finale enigmatico del suo discorso e della mia reazione. Mi lasciò il tempo di assimilare tutte quelle notizie scioccanti ed agghiaccianti. Dovette aspettare parecchio in effetti. Dopo tutte quelle parole, e quella domanda finale, così… spiazzante. Come avrei dovuto reagire? Come avrebbe reagito una persona normale?
M’importava comunque?
Mentre la mia mente si contorceva dallo sforzo di capire tutte quelle cose, il mio corpo se ne restò completamente immobile, agghiacciato dallo shock. Restai a fissare il vuoto per dei minuti forse, con tanto di bocca spalancata per lo stupore.
Mi sentivo diversa? In effetti sì. Pensandoci, la sentivo dentro di me una certa… forza, energia, che nemmeno nei miei momenti migliori avevo mai provato.
“Ma da qui a dire che sono resuscitata…”
Eppure era davvero strano. Riflettendoci, avevo sofferto davvero poco quell’incidente. I dolori passarono durante lo stesso giorno in cui mi svegliai per la prima volta. Sì, c’era anche Smithers che mi procurava la morfina ogni giorno… Ma ne ero davvero sicura?
Un lampo mi balenò in testa, chiaro come una stella cadente. Ma che dico, quanto un’enorme meteora che da un momento all’altro si sta per schiantare non solo sul tuo pianeta, ma proprio sopra la tua casa.
Nello stesso istante, io balzai su dal divano come una furia e le ante grigie dell’ascensore si riaprirono.
Lanciai lo sguardo sgranato verso quella direzione, e riconobbi sin dal primo istante non il viso di chi stava avanzando, ma i capelli. Neri lunghi e in disordine. E lo vidi.
Vidi Ryuzaki avanzare ancora verso di noi con passo lento e sguardo assorto sul mio volto, con tanto di gobba, piedi scalzi e mani in tasca. Portava gli stessi panni di sempre: maglia bianca e jeans larghi. Ma non si cambiava mai?
- Sei qui.. – cominciò lui, fissandomi ancora con aria curiosa.
Per tutto il tempo in cui aveva taciuto, anch’io rimasi ferma a fissarlo, in piedi, tesa come una corda di violino e con i pugni chiusi. Lo stavo incenerendo con lo sguardo, e con mia sorpresa, la cosa non lo infastidiva. Sembrava invece che quasi gli piacesse.
- Dov’è… - sibilai a denti stretti, furiosa.
- Chi?- chiese lui, inarcando le sopracciglia con fare confuso.
- SMITHERS! – urlai, in preda alla rabbia.
Senza neanche pensarci mi scaraventai contro Ryuzaki e lo afferrai per il collo della sua maglietta di cotone, con fin troppa forza.
- Do-v’è?! – ringhiai, ad un palmo dal suo viso.
Suo malgrado, Ryuzaki non arretrò di un passo, né cercò di divincolarsi. Se ne restò lì, fermo, a fissarmi con quei suoi occhi enormi e spalancati per dei secondi eterni.
- Non la farei attendere ancora per molto, se fossi in te, Ryuzaki… - sentii dire dalla voce di Mello alle mie spalle, vagamente divertito.
Strinsi più forte la presa, furiosa e senza controllo.
Ryuzaki si decise a rispondere, finalmente con l’aria di chi è stato colto alla sprovvista:
- Al tuo piano. Il vent… -
Non gli lasciai il tempo di finire la frase che mollai la presa sulla maglia, lo scaraventai di lato e mi diressi svelta verso l’ascensore alle sue spalle.
Poco prima di premere il pulsante “20” al suo interno, e lasciare che le ante si richiudessero, sentii Mello ridere di gusto.

Farò meglio i conti anche con te, Mello.” Pensai tra me e me, mentre i numeri in rosso sfilavano dal trenta al venti.
Mi fissai ad una delle quattro pareti a specchio, e quel che vidi non mi piacque affatto.
I miei occhi… Non erano più castani. Avevano un colore completamente diverso. Dorati. Chiari come un raggio di sole. Come diavolo era possibile!?
Cominciai ad ansimare, in preda al panico. Passai lo sguardo al cerotto che portavo in fronte, e dopo qualche breve istante di esitazione, lo strappai con forza in un solo secondo. Non sentii dolore, come invece credevo. Appena un fastidio. Ma l’aspetto più sconcertante non era quello. Sotto quel cerotto non portavo nulla, e dico nulla. Niente. Nemmeno un graffio.
Sentii il terrore avvamparmi in petto come una stilettata al cuore.
- Ma che diav… -
Le ante si riaprirono ed io mi voltai all’istante. Il corridoio era vuoto.
- SMITHERS! – urlai, avanzando con passo svelto nel corridoio.
Non ricordavo di essere mai stata così infuriata in vita mia. Mai una sola volta. Non mi succedeva quasi mai di perdere le staffe. Tuttavia tutto quello che stava succedendo non era di certo roba da tutti i giorni. Perdere la testa forse era il minimo che Ryuzaki, o Mello, o L avrebbero dovuto aspettarsi da una persona normale. A quanto pareva ero l’unica ad esserlo, in quell’edificio.
Passai a rassegna ogni stanza, ogni porta…
- SMIIITHEEERS!! – urlai ancora, a squarciagola.
- Ehm… Signorina Sofia… -
Mi arrestai non appena percepii la sua voce dietro la porta chiusa che avevo raggiunto… L’ultima del corridoio.
Girai con forza la maniglia, ma la porta non si aprì. Era chiusa a chiave.
- Smithers! Perché ti sei chiuso qui dentro? -
- Ehm, precauzioni, signorina… Ryuzaki mi ha detto di fare così ed io così ho fatto... -
Bastardo!” pensai, trattenendo un ringhio.
“…Mi ha preceduta!
- E tu fai sempre tutto quello che Ryuzaki ti dice? – dissi, cercando di sembrare il più calma possibile.
Lo sentii esitare:
- Beh, so che lui lo fa sempre per il mio bene, per cui, sì… -
Bleah.
- Mi sembri Willy, Smithers. Il mio pastore tedesco. E’ morto, se proprio vuoi saperlo. Nonostante io e gli altri suoi “padroni” avessimo provveduto al suo bene… - sottolineai con tono sprezzante l’ultima parola.
- Non è carino, Sofia. -
- Ho solo detto ciò che penso. Adesso apri questa porta, per favore. -
Smithers esitò di nuovo, stavolta più a lungo.
- No. – disse poi, con tono incerto.
- Smithers… Non farmi perdere la pazienza. -
- Sono mortificato, ma no. -
Sentii di nuovo la furia offuscarmi il cervello.
- Okay! – esclamai, indietreggiando di alcuni passi dalla porta.
- Ti consiglio di allontanarti dalla porta, allora… -
E’ una pazzia…
Aspettai giusto qualche secondo, e poi mi scaraventai con tutta la mia forza contro la porta. Non mi accorsi di nulla, chiusi gli occhi e mi lanciai, ben consapevole che in fondo era davvero una pazzia per me lanciarmi contro una porta per sfondarla a spallate… Ma oramai, era tardi.
Fisicamente non sentii assolutamente nulla, come se mi fossi appena scaraventata contro un muro fatto di cuscini; fu il tonfo assordante che invece sentii con le orecchie poco dopo, che mi spaventò.
Mi bloccai subito e spalancai di nuovo gli occhi, sconvolta e a dir poco sorpresa di me stessa.
 
Ero entrata nella stanza, che pareva tanto la stessa dove avevo dormito fino ad allora, solo che invece del letto e della flebo lì c’era una scrivania di marmo scuro, una poltroncina di pelle dietro e un’enorme libreria di legno alle sue spalle.
Rintracciai lo sguardo scioccato di Smithers, fermo in piedi poco distante dalla scrivania, che mi fissava a bocca aperta.
Mi voltai di scatto alle mie spalle ancora ansimante: detriti di legno ovunque, sparsi fuori e dentro la stanza. C’ero riuscita davvero. Avevo sfondato la porta.
Oh mio Dio.
Restai immobile in quella posizione rivolta verso l’entrata per dei minuti, sconvolta, aspettando che finissi di ansimare.
Quando mi resi conto che era inutile, mi voltai di nuovo verso Smithers, restato completamente immobile come una statua anche lui per tutto il tempo.
Indicai le macerie alle mie spalle con fare accigliato:
- C… Come… -
Non riuscii a finire la frase. Socchiusi gli occhi e sospirai nervosamente, poi ci riprovai:
- Smithers, devi dirmi una cosa. Ma rispondimi con sincerità, ti prego… -
Tornai a guardarlo e lo vidi annuire in silenzio, ancora con gli occhi sgranati e fissi sul mio volto.
- Quando fingevo di stare male… e ti chiedevo la morfina, per addormentarmi… Tu fingevi di somministrarmela oppure lo facevi davvero? -
Si diede qualche secondo per un sospiro, e soprattutto per studiarmi abbastanza bene da poter capire se poteva davvero dirmi la verità oppure no. Alla fine sembrò optare per la prima, e vidi la sua postura rilassarsi un po’.
- Ti somministravo qualcosa… ma non era morfina. Non potevo. L in persona me l’aveva espressamente chiesto…. Di smettere all’istante la cura di morfina non appena tu ti fossi svegliata… E così è stato. Quello che iniettavo nella tua flebo era un semplice tranquillante… -
- E… Era anche un antidolorifico? -
Restò in silenzio per molto, troppo tempo.
- Dimmelo, Smithers! – avanzai istintivamente un passo nella sua direzione e lui ne fece subito uno indietro, di nuovo con aria allarmata.
Cercai per l’ennesima volta di darmi una calmata, sospirando ancora:
- Ho il diritto di saperlo… Ne ho bisogno. Ti prego…  - gli sussurrai, supplichevole.
Vidi l’espressione del suo volto ammorbidirsi.
- Hai ragione. No. Non era un antidolorifico. -


Strinsi forte i pugni, conficcandomi le unghie nella pelle. Non provai dolore. Nemmeno un briciolo di fastidio.
Cosa diavolo ero diventata?
Mi sentivo come di pietra. Come pietrificata sotto lo sguardo della gorgone Medusa; come un oggetto. Una fredda statua, inanime e senza vita…
Non potevo accettarlo, proprio non ci riuscivo.
- Va bene… - sussurrai, cercando di ignorare la gola che mi bruciava come in fiamme.
Annuii sistematicamente come un robot.
- Okay… - mi voltai lentamente verso la porta… O meglio, verso quel che ne rimaneva. Sorpassai la soglia a passo esageratamente lento, e lo sguardo basso.
Ignorai Smithers, lasciato lì da solo nella stanza ancora evidentemente scioccato; ignorai i detriti che stavo sorpassando quasi passivamente, ignorai il mondo esterno, e mi concentrai su me stessa. Un mostro. Ero diventata un mostro. Un essere… Che essere? Cos’ero? Non lo sapevo più, e nemmeno riuscivo ad immaginarmelo. Io avevo appena sfondato una porta… Io, che per un pizzico leggero ero capace di tenermi un livido per una settimana. Io, che non riuscivo nemmeno a giocare col mio cane, senza graffiarmi almeno una volta… E dovevo aspettare ore per vedere quel graffio smettere di sanguinare. Adesso invece potevo distruggere una porta di legno grossa quanto il doppio di me stessa, e senza nemmeno un graffio! E chissà quante altre cose sarei stata capace di fare!
L’immagine di Ryuzaki spintonato così forte da me, proprio qualche tempo prima, mi balenò di nuovo in testa.
Che cosa ho fatto…
Mentre che continuavo a pensare, le mie gambe si muovevano di nuovo verso l’ascensore… Fino a quando non sentii un ostacolo, contro il quale andai a sbattere, e fu solo allora che mi ridestai dai miei incubi.
Alzai subito lo sguardo, e appena lo feci mi accorsi di sentire gli occhi più pesanti e di avere la vista più appannata di quanto una semplice persona sovrappensiero potesse avere.
- Kanade… -
Sentii la prima lacrima scivolarmi sulla guancia; fissai con rabbia gli occhi scuri di Ryuzaki che a loro volta scrutavano i miei, con… Compassione? Malessere? Dispiacere? Il suo era uno sguardo che andava al di là delle parole. Come avrei mai potuto descriverlo?
- So a cosa stai pensando, ma non è così. Tu non sei cambiata. -
Eravamo praticamente uno di fronte l’altra, distanti un soffio. Io non mi spostai, lui non si spostò.
- Certo. – risposi, sarcastica.
- E tu cosa vorresti saperne? Che cazzo ne sai tu di chi sono io? Di chi ero!? – continuai, mentre altre lacrime cominciarono a rigarmi il viso.
- Hai ragione. Io non so nulla di te. Ma posso ugualmente dirti una cosa con certezza. Le tue capacità fisiche non possono cambiare ciò che tu sei davvero. Dentro, intendo. Non lo faranno, se non lo vuoi… Devi essere tu a decidere. -
- No… - cercai di scansarlo per poi raggiungere l’ascensore ormai poco distante… ma sentii prendermi un polso e mi fermai. Era una presa salda e forte, di quelle che in un’altra vita… Quella precedente, mi avrebbero fatto senz’altro male.  E  che in quel momento invece non mi procurò nulla. Niente di dispiacevole, almeno.
Mi voltai di nuovo  verso Ryuzaki, incurante di quante lacrime mi stessero rigando le guance o di che colore stessero prendendo i miei occhi.
- Lasciami. – sussurrai.
- No. – rispose, anche lui in un sussurro.
- Sai cosa posso fare. Anche più di me. -
- Sì, lo so. – rispose semplicemente, restando in quella posizione. Non mollò la presa su di me, anzi la strinse ancora più forte.
Mi sentii presa alla sprovvista, sorpresa, non sapendo nemmeno più cosa fare. Una mossa del genere da lui proprio non me l’aspettavo. Lo vidi avanzare ancora di più verso di me, fissandomi sempre più intensamente ed annullando ogni millimetrica distanza tra di noi.
- Non andartene. – disse, piano.
- …Resta. E combatti. -




  ANGOLO AUTRICE
Salve! Spero vi stia piacendo la storia... Spero di sì. Che ne dite voi che la seguite di commentare? Magari fareste un favore non a me, ma alla storia stessa... Mh... Nah vabbè. 
Sono contenta anche solo di essere seguita. x)
Tanti saluti e grazie di cuore a chi davvero ci tiene a questa storia e si fa sentire... E' soprattutto per loro che continuo. <3
 

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Capitolo 7
*** Sapore di fragole ***


L’agitazione che mi aveva così divorata fino a quel momento si dileguò col passare dei secondi, man mano che Ryuzaki attendeva in silenzio una mia risposta continuando a guardarmi con quegli occhi così profondi ed enigmatici. Ci guardammo a lungo, prima che iniziassi di nuovo a parlare.
- Esigo delle spiegazioni. Penso di averne il diritto, tu non credi? – bisbigliai.
Il volto di Ryuzaki restò inespressivo:
- Non posso semplicemente raccontarti tutta la verità come si possa raccontare una fiaba ad un bambino, lo capisci? -
- No, non capisco. – sibilai ancora, gelida.
- Cerca di ragionare, Kanade. Qui non si tratta di una semplice vicenda tra civili. Questo è un caso a livello mondiale. Ci sono ipotesi, indagini, prove… Cose che durano anni. Come puoi pensare che io possa davvero raccontarti tutto? Per non parlare poi del fatto che io ancora non ho ben chiaro il motivo della tua presenza qui… -
- Mello ha dett… -
- Mello ha detto qual è il motivo effettivo per cui l’esperimento di Bustri è riuscito anche su di te, ma non ha mai accennato al vero motivo per cui tu ti trovi qui… Anche perché non avrebbe potuto. -
Cercai di mantenere la calma, ricordandomi che Ryuzaki teneva ancora ben stretto il mio polso.
- Basta… - cominciai ad ansimare dallo sforzo.
Chiusi gli occhi e voltai il mio viso lontano da quello di Ryuzaki…
Sta’ ferma, Sofia… Mantieniti. Non è niente.
- Basta cosa, Kanade? Parlare? Sei tu che mi stai chiedendo di parlare. -
Sentii Ryuzaki avvicinarsi ancora. Si stava sporgendo per potermi vedere in faccia.
Calma…
- Io ho chiesto delle spiegazioni! Ti sembra davvero così strano!? -
Sentii le mie mani cominciare a tremare, quasi senza controllo. Voltai lo sguardo sul polso che Ryuzaki teneva ancora ben saldo. A differenza della mia mano libera l’altra non si muoveva di un millimetro. La sua presa era così ferma da riuscire a frenare i miei tremori.
- Kanade, per favore. Cerca di capire. Dobbiamo scoprire il motivo per cui tu ti trov… -
- Mi ci avete portato VOI qui! Ecco perché ci sto! -
Senza nemmeno rendermene conto, arretrai subito di un passo e strattonai con forza il braccio, istintivamente, per fargli lasciare la presa.
Ryuzaki, al di là di ogni mia aspettativa, tenne la presa ben salda nonostante sapesse bene cosa sarebbe accaduto di lì a poco.
Non a caso, riuscii a strattonarlo così forte da scaraventarlo dritto sulla parete a specchio all’interno dell’ascensore alle mie spalle, che si frantumò in tanti piccoli frammenti splendenti.
Li vidi tutti piovere sul corpo accasciato di Ryuzaki, e fu lì che mi spaventai davvero e tornai (se si potrebbe definire così) razionale, ingiuriando me e il mio cambiamento ancora incontrollabile.
- Ryuzaki! – corsi il più velocemente possibile verso di lui e mi accovacciai al suo fianco:
- …Ryuzaki? Stai bene!? -
Senza che lo toccassi lo vidi rialzarsi da solo, anche se con un certo affanno.
- Smithers! – urlò all’improvviso, scrollandosi i frammenti di vetro da dosso.
- Ryuzaki… - mi avvicinai ancora di più a lui pronta a dargli una mano, pronta a voltarlo verso di me per accertarmi che stesse bene.
- Kanade non toccarmi, per favore. Sto bene non preoccuparti… Smitheeeers! -
Mi rialzai da terra, sconvolta e sbalordita. Non solo per ciò che ero stata capace di fare io, ma anche per come era stato capace di cavarsela lui: solo con qualche lieve graffio… Tra cui uno proprio lungo la sua guancia destra, che però non lasciava scorrere nemmeno un rivolo di sangue. Erano  semplici graffi, nemmeno poi così tanto profondi.
Ce l’avessi avuta io la sua fortuna, col mio incidente…
Sentii il rumore di passi veloci avvicinarsi alle mie spalle.
- Signore! Sta bene? -
- Sì… - rispose lui atono, di nuovo in piedi.
- Senta, chiami il signor Gàspari e gli dica di mandare quante più risorse possibili… Soprattutto del mio genere preferito. -
- Posso scendere con voi nell’asc… -
- Io e la signorina Kanade andremo insieme all’ultimo piano… Non è il caso che venga con noi. Ce le faccia mandare là. -
Non sentii più alcuna obiezione, e immaginai bene che faccia stesse avendo Smithers in quel momento… Tuttavia, non avevo abbastanza forza per voltarmi alle mie spalle e vederla di persona. Mi bastò immaginarlo, anche perché ero rimasta per l’ennesima volta pietrificata, nell’angolo opposto dell’ascensore a quello dove si trovava Ryuzaki.
- Bene… - lo vidi schiacciare il pulsante più alto di tutti, quello col numero “50”, e le ante grigie si richiusero. Io rimasi immobile a fissarlo costernata, mentre lui invece non fece altro che sospirare flebilmente, fissare il vuoto e rimettersi le mani in tasca dando quasi l’impressione che di lì a qualche secondo prima non fosse successo nulla di così preoccupante.
Per qualche breve istante sentii la vaga sensazione di ritrovarmi in un manicomio.
- Ma… Ryuzaki… Sei scalzo. – farfugliai.
Lo vidi chinarsi a terra incurante, recuperare una grande e sottile scheggia di specchio, e avvicinarsi a me…
- Non preoccuparti per me. Il dolore è solo una faccenda psicologica. Se si usa la testa, riusciamo a dominarlo… -
Calpestò come se niente fosse le schegge e mi raggiunse:
- Ma… sanguini… -
- Ho detto di non preoccuparti per me. – mi afferrò forte il polso, lo stesso di poco prima, e se lo portò in viso esaminandolo quasi come se fosse una qualche sostanza tossica e letale.
- Adesso ti mostrerò qualcosa che nemmeno tu conosci di te stessa. – riabbassò il braccio di qualche centimetro. Vidi l’altra sua mano, che teneva ancora ben stretta la scheggia appuntita, rialzarsi…
- Ehi, ehi! Cosa diavolo vuoi fare? -
Ryuzaki alzò finalmente gli occhi di nuovo su di me, serio e pauroso, immobile.
- Ti fidi di me? -
- Dovrei fidarmi di uno sconosciuto? -
Vidi un angolo della sua bocca rialzarsi appena:
- Hai una scelta migliore? -
Lo fissai, socchiudendo gli occhi in silenzio.
Avrei dovuto fidarmi di lui?
- Sì, mi fido. -
Vidi l’altro angolo della sua bocca rialzarsi come il primo, esibendo un sorriso distorto e strano.
Dopo appena due secondi poi, scagliò veloce la punta della scheggia dritto sul lato interno del mio braccio, proprio sulle linee scure che segnavano le vene sottopelle. Urlai nel panico totale senza neanche pensarci e serrai gli occhi, sconvolta.
Restai così a lungo, non avendo il coraggio di guardare di nuovo il mio braccio… O quello che pensavo ne sarebbe rimasto. Non mi era mai piaciuta la vista del sangue, soprattutto se era il mio, e sapevo che ne avrei visto parecchio in quel momento.
- Apri gli occhi… - gli sentii dire.
Scossi la testa ad occhi chiusi, come una bambina.
- Apri gli occhi, Kanade. – gli sentii insistere.
- No… - risposi io, ancora terrorizzata.
- Dimmi una cosa. Senti per caso dolore? -
Quella domanda mi spiazzò, quasi quanto la sua risposta:
- N… No. -
- Allora che ne dici di aprire gli occhi? -
Sbirciai prima di sottecchi, poi mi convinsi e sbarrai gli occhi sul mio braccio… insieme alla bocca, che mi preoccupai di coprire con l’altra mano.
- Ma… -
- Visto? – Ryuzaki lasciò andare di nuovo delicatamente il mio polso, ben soddisfatto.
Io continuai a tenere il braccio ancora sotto i miei occhi stupiti: niente. Non mi ero fatta niente. Nemmeno un graffio, un piccolo segno… Niente.
Driiin.
Si udì di nuovo il sottile fruscio delle ante che si riaprivano.
- Andiamo… -
Sentii i passi di Ryuzaki allontanarsi nella stanza, fuori dall’ascensore, mentre io ancora fissavo la pelle bianca e pallida del mio braccio.
- Allora, Kanade? -
Balzai veloce lo sguardo verso di lui, già fuori.
Mi stava fissando con tanto di sopracciglia inarcate, mani in tasca, vestiti stracciati e schiena ingobbita.
Lo raggiunsi veloce, ignorando dove mi trovassi… D’altronde, avrei dovuto smettere di chiedermelo già da tempo.

La stanza era molto simile all’appartamento di Mello, solo che invece del rosso corallo, sulle pareti si esibiva un lucente azzurrino cielo, il pavimento era di marmo e non parquet, e invece che due divani e un tavolino, al centro vi era disposto un suntuoso e magnifico pianoforte a coda. Bianco.
Verso destra invece, volteggiavano vive e calde le fiamme di un grosso camino dall’aria stranamente tecnologica, barricate da una grossa lastra di vetro, e lì davanti infine vi era rivolto un altrettanto grosso divano ad angolo, blu scuro.
- E’ solo per estetica, non è un vero camino. Come potrai già sentire tu da sola, non produce calore… Almeno, non se non lo vogliamo. Il vetro che lo ricopre funge da isolante. Ad ogni modo… Vieni, sediamoci qui. -
Non feci domande e mi limitai a seguirlo.
Quando ci accomodammo sul divano, lui accovacciato al centro ed io nell’angolo, non feci altro che restare immobile a fissare il fuoco poco più avanti il tavolino di vetro che c’era, completamente abbandonata allo sconforto.
- Kanade… Tutto bene? -
Mi voltai a guardarlo, scettica:
- Tu che dici? -
- Cerca di non abbatterti troppo, ci sono ancora tante cose di cui potrai essere felice… Tutto passa. -
Tornai a guardare il camino:
- Hai intenzione di dirmi qualcosa in più su tutta questa merdosa faccenda? -
- Sì. – rispose lui, piano.
Mi strinsi le braccia in petto, dandomi forza.
- Ti ascolto… - dissi poi, in un sospiro.

- Quando ti sei risvegliata… Ti ho mentito. Ti ho detto una cosa che in realtà è accaduta in una maniera un po’ diversa. -
Strinsi i denti, continuando a fissare il rosso e il giallo accecanti del fuoco nel camino attraverso la lastra di vetro, in silenzio.
- Penso che però a questo ci sarai già arrivata da sola, dopo il discorso di Mello… -
Mi sforzai di non chiedermi come facesse lui a sapere cosa Mello mi avesse detto, senza essere presente.
- …Ebbene, tu in quell’incidente non sei sopravvissuta. Proprio come Bustri aveva deciso. Ti portò in Svizzera, dove aveva uno dei suoi innumerevoli nascondigli, e fece con te ciò che decise di fare anche con Mello, ma tu eri ferita, le tue ossa erano davvero rotte, ce l’avevi davvero una commozione cerebrale… Così, quando ti sei risvegliata dopo sei giorni, Bustri decise di ignorare le tue ferite e di lasciarle così com’erano, per vedere fin dove arrivasse il potere del Tuconial… Così abbiamo chiamato l’insieme delle sostanze che sono presenti nelle iniezioni che hanno fatto a te e a Mello. Toccati la nuca… -
Balzai gli occhi su di lui, accigliata. Per un attimo fui tentata di chiedergli il perché, ma dopo pochi secondi congedai subito l’idea, stufa di fare tante domande, e feci come mi aveva chiesto.
Sfiorai con l’indice e il medio la mia nuca… Non sentii nulla di strano. Tornai a guardarlo, confusa.
- Prova meglio… Non senti niente di niente sulla tua pelle? -
Continuai a tastare, più forte, e in effetti notai qualcosa. Un punto. Un piccolo, quasi microscopico punto. Una sottospecie di buco, alla base della nuca.
Sbarrai gli occhi, sconvolta.
- Immagino l’avrai trovato. Quello è il punto in cui ti hanno fatto l’iniezione. Ne hai altri due simili, nel lato posteriore delle tue gambe… Dietro le ginocchia. -
Mi portai istintivamente una mano proprio dove lui aveva appena detto, nonostante ricordassi bene di avere dei jeans in quel momento e che quindi non avrei potuto controllare davvero se ci fossero o meno… ma ci credevo. Oramai per me la parola “impossibile” era diventata un’utopia.
- Quando siamo riusciti a prenderti eri davvero delirante e in uno stato pessimo… Quasi in fin di vita, nonostante le iniezioni. Noi abbiamo provveduto a curarti, rimetterti apposto le ossa, e il medico che si è preso l’impegno di curarsi di te, Smithers, disse che la morfina era inevitabile almeno per i primi giorni… Io ed L dubitavamo fortemente che l’ago della siringa riuscisse a perforarti la pelle… Come tu stessa hai potuto provare poco prima, il Tuconial ha reso la tua pelle mille volte più resistente a quella di un normale essere umano. Eppure quando ci provammo quella volta, riuscimmo a farcela. Ciò significava che tutti gli effetti del Tuconial non si erano ancora compiuti del tutto, e così abbiamo proceduto. Non appena ti abbiamo somministrato la prima dose sei caduta all’istante in un sonno molto profondo, ed hai perso totalmente i sensi per circa una settimana. Ho ordinato a Smithers di smettere con la morfina dopo cinque giorni… -
Il racconto di Ryuzaki fu interrotto improvvisamente dal suono acustico dell’ascensore, che si apriva di nuovo sul nostro piano.
Ci voltammo entrambi verso quella direzione, e vidi un uomo a me del tutto sconosciuto in giaccia e cravatta spingere un grosso  carrello davanti a sé, traboccante di dolci d’ogni genere e misura.
- Oh, grazie Luke… Lascia pure qui, vicino al tavolino… -
L’uomo non rispose, si limitò a fare come Ryuzaki gli aveva appena ordinato seguendo poi un rapido gesto del capo a mo’ di congedo, e senza dire altro, tornò all’ascensore lasciandoci di nuovo soli.
- Prendi pure quello che più preferisci… -
Restai a fissare il carrello, sorpresa:
- E queste sarebbero le… “risorse” che avevi chiesto a Smithers? -
- Quale migliore risorsa del cibo? Avrai una gran fame… - si rialzò dal divano con uno slancio fin troppo aggraziato per i suoi standard, e si avvicinò al carrello armandosi di piattini e forchette:
- Vieni? – mi chiese poi, voltandosi a guardarmi con inaspettata vivacità negli occhi.
- Oh… - mi alzai di scatto, ancora un po’ stordita dall’assurdità di tutti quegli ultimi avvenimenti, e lo raggiunsi con fare incerto. Fissai prima lui, che a sua volta mi incoraggiava con lo sguardo, e poi la serie di dolci che si esibiva su quel carrello.
In effetti avevo fame. Una gran bella fame. Passai subito a rassegna tutti i dolci, finché non arrivai al mio preferito: plum-cake ripieni di cioccolato bianco. Mi morsi il labbro, accennando un sorriso, e glieli indicai portandomi un indice in bocca con l’altra mano, gesto molto degno di una “giovincella” di cinque anni. Ryuzaki ne trafisse un paio e li portò in un primo piatto, che poi mi passò. Per lui invece scelse una grande fetta di torta alle fragole:
- Bene… - disse ancora con un sospiro, mentre si dirigeva di nuovo sul divano. Io lo imitai, ancora titubante, e raggiunsi lo stesso posto di poco prima.
- Non hai reagito male a ciò che ti ho detto… Come invece hai fatto con Mello. Sei rimasta abbastanza calma. -
Alzai un sopracciglio, guardandolo riluttante:
- Sto cominciando a farci i calli su queste assurdità… Diciamo pure che mi sono arresa all’idea che tutto sia possibile. – conclusi, tornando sui miei plum-cake.
- Capisco. – rispose lui, semplicemente.

Addentai la prima forchettata, piena di dolci aspettative… E invece che assaporare la mia solita sensazione di piacere che il cioccolato bianco mi provocava ogni volta, mi ritrovai con un forte senso di disgusto, senza capire il perché. Esibii istintivamente una smorfia terribile, mugolando dalla sorpresa.
- Le tue pupille gustative non sono più le stesse di prima. Molti cibi che prima ti piacevano adesso potrebbero disgustarti… Come il cioccolato bianco, a quanto pare. -
Mi portai una mano alla bocca per costringermi a non sputare, e inghiottii quello schifo il più velocemente possibile.
- Potevi anche avvisarmi… - dissi poi, poggiando il mio piatto sul tavolino di vetro.
- Mi avresti creduto senza provare? -
Lo guardai per qualche istante per pensarci su, ancora disgustata.
- …In effetti no. -
Senza dire niente, Ryuzaki tornò a guardare il suo piatto, staccò un altro piccolo pezzo dalla sua fetta, lo trafisse con la forchetta e me lo porse.
Restai a guardarlo in silenzio, con aria interrogativa.
Di tutta risposta lui inarcò le sopracciglia:
- Vieni qui, prova questo… -
- Ma… Le fragole non mi sono mai piaciute… -
- Allora è quasi certo che adesso ti piacciano. – rispose, con una nota di dolcezza appena percettibile nella voce.
Mi avvicinai a lui lentamente, lasciandomi scorrere sul divano, combattuta tra la scelta di saltargli addosso e quella di allontanarmi. Fu la prima volta in assoluto in cui realizzai davvero quanto chiaramente fossi attratta da lui… E stranamente, non me ne vergognai. Lo raggiunsi con un ultimo avanzamento, non sapendo ancora bene come comportarmi.
- I… Io… -
Lui si avvicinò ancora di più verso di me, a pochi centimetri, in silenzio. Ci guardammo per degli istanti che mi parvero secoli, e subito dopo vidi la sua mano con la forchetta avvicinarsi alla mia bocca. Istintivamente, schiusi le labbra e mi lasciai imboccare. Appena richiusi la bocca, cercai di concentrarmi sul gusto e sulle nuove sensazioni che le fragole mi stavano provocando, e così chiusi anche gli occhi, finché non inghiottii. Era squisita.
Mugolai quasi passivamente per il piacere inaspettato, mentre aprivo di nuovo gli occhi, e così tornai a guardarlo… Lui, con un’espressione indecifrabile in volto, a sua volta continuava a fissarmi.
- A quanto pare ho indovinato… -
- Come sempre. – dissi, incantata dal suo sguardo.
Di solito non ero mai stata il tipo che si perdesse in romanticismi, almeno non troppo, eppure non avrei mai saputo il perché, in quel momento… Ero completamente persa, incantata su di lui. Sarà stato il suo sguardo così enigmatico, sarà stata l’atmosfera paradossalmente invernale a fine Giugno, la sera che stava calando, le luci che d’un tratto mi parvero soffuse, quel suo gesto così intrigante… Che sì, lo sentivo, mi attraeva; come falene ad un lampione.
- Mh, non credevo mi avresti mai concesso una soddisfazione simile… Sembri una ragazza abbastanza orgogliosa. -
- Infatti. – risposi ancora, sorridendo appena.
- Tieni, prendi pure la mia fetta di torta… Io me ne prendo un’altra. -
Afferrai il piatto che mi aveva appena offerto, e lo vidi alzarsi di nuovo verso il carrello.
Assaggiai un altro pezzo: buonissimo, ma non come il primo.
Mi lasciai scappare un altro mugolio incerto.
- Che c’è, cambiato idea? Non ti piace più? -
- Beh, è difficile da spiegare… -
Lo sentii armeggiare con altri piatti e forchette.
- Provaci. Sai, potrei intendermene… - notai la punta evidente di sarcasmo nel suo tono.
Genio.” Mi dissi anch’io sarcasticamente, in silenzio.
- Beh… Semplicemente, era più buona quando me la imboccavi tu. -
Sentii d’improvviso il rumore metallico di una forchetta che cadeva sul marmo chiaro. La forchetta che lui, Ryuzaki, teneva poco prima in mano.
Fissai con occhi sgranati le sue spalle incurvate, improvvisamente divenute immobili e rigide come di pietra.
L’avevo combinata grossa.
Non ebbi il tempo di maledirmi mentalmente in ogni modo, che il suono acustico dell’ascensore si fece sentire di nuovo.
- Signore! -
Era la voce di Smithers.
Nessuno dei due si mosse. Io rimasi immobile a fissare Ryuzaki, e Ryuzaki restò immobile a fissare il vuoto.
- …Signore! Un’emergenza! C’è bisogno di lei al piano di sotto, subito! -
Lo vidi restare impassibile, pietrificato… Ancora, come me.
- Ehm… Signor Ryuzaki? -
- Sì Smithers. Vengo subito. -
In un lampo lasciò tutto sul carrello e si mosse veloce verso l’ascensore, senza degnarmi di uno sguardo.
- Ehi, aspettate! -
Riposi svelta il mio secondo piatto sul tavolino e mi rialzai come un missile, cercando di stargli dietro.
- Voglio venire con voi! -
- No, Kanade. Sta’ qui. – rispose subito lui, continuando a tenermi le spalle.
- No! Riguarda anche me, no? Voglio partecipare! -
Lo vidi scattare verso di me e guardarmi, già dentro l’ascensore (magicamente ripulito da tutti quei frammenti di vetro di poco prima), e restò freddamente in silenzio per qualche secondo, riflettendo chiaramente su cosa fare. Ne approfittai per guardarlo meglio: i capelli lunghi e scompigliati come sempre, i vestiti stracciati che esibivano la sua candida pelle chiara macchiata di graffi qua e là, e il suo viso… Incantevole. E marmoreo. E freddo.
Era tornato il ragazzo che avevo conosciuto per la prima volta. Metodico e calcolatore.
Eppure rimaneva bellissimo.
- Va bene. Vieni con noi. Vedrai cosa ti aspetta. –

Oh si, eccome.” pensai entusiasta, mentre io e Smithers lo raggiungevamo nell’ascensore.
…E quasi mi sembra non vederne l’ora.








ANGOLO AUTRICE
Buon Halloweeeeeeeen a tutti! Spero vi stiate dando la pazza gioia, tra dolci, marshmallow e un sano film horror... Come me. xD
Che dire, finalmente grazie a questi pochi giorni festivi sono riuscita a pubblicare un altro capitolo... E finalmente ancora, la storia comincia a farsi un po' più caliente! Chissà la mia mente contorta cosa farà accadere in avvenire in questa storia! Eh già! Chi lo sa? Boh!
Grazie, grazie e ancora GRAZIE  a chi segue, ma soprattutto a chi recensisce! Quelle povere anime pie, come avranno fatto?
Gradirei qualche parere in più, ovviamente... Ma non voglio scomodarvi troppo. xD
Ad ogni modo, grazie lo stesso! Anche solo per avermi degnato della vostra attenzione e grazie ancora se continuerete a farlo!
Buone feste gente!

 

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Capitolo 8
*** Hell Rain ***


L’attesa all’interno dell’ascensore fu a dir poco snervante.
Ryuzaki se ne restò immobile in silenzio fissando il vuoto, io restai immobile in silenzio fissando lui, e quella povera anima pia di Smithers a sua volta giocava nervosamente con i suoi occhiali… Che avevo notato bene solo allora.
Quando vidi il numero cinquanta scendere a quaranta, Ryuzaki diede finalmente di nuovo segno di parola:
- Smithers, potrebbe smetterla di torturare i suoi occhiali e dirmi per favore in cosa consiste questa imminente emergenza che ci ha interrotto lo spuntino? -
A differenza di Ryuzaki, io mi voltai per la prima volta verso Smithers curiosa di vedere quanto fosse preoccupante questa “emergenza” attraverso il suo volto, e feci bene.
Di fatti, la figura contenuta e professionale dello stesso Smithers che avevo visto per la prima volta, ormai sembrava quasi annullata da un’altra persona evidentemente agitata, pur mantenendo (anche se a stento) un certo contegno. Notai che Smithers si sforzava sempre molto per non rendersi troppo “umano”, soprattutto agli occhi di Ryuzaki… Ormai era ovvio, ma praticando l’arte della pedagogia mi resi conto di essermene accorta già da tempo che in realtà la sua era tutta una maschera.
Lo vidi sbattere le palpebre con fare confuso, aggiustarsi per l’ennesima volta gli occhiali sul naso per poi abbandonarli e riunire le mani in basso quasi come uno scolaretto:
- Oh, ehm… Si è scoperta una spia. -
I tratti del viso di Ryuzaki si irrigidirono:
- Come sospettavo… -
Di quel discorso ci stavo capendo veramente poco. Chi era la spia scoperta? Era dalla nostra parte o da quella del nemico? Cosa avremmo dovuto fare di conseguenza? Era davvero così grave?
Ripensai alla fetta di torta di fragole lasciata sul tavolino…. E mi sconvolse come quasi non mi pesasse. La forte fame che provavo fino a qualche minuto prima era come sparita. Anzi quasi sentivo un certo senso di disgusto. Come se la fame non mi costituisse più un vero bisogno. Mi sentii stanca persino per preoccuparmene, così cercai di far ritornare la mia attenzione sulla fantomatica “spia” di cui avremmo dovuto occuparci.
Le ante finalmente si aprirono, e Smithers e Ryuzaki si precipitarono subito fuori. Prima di seguirli, lanciai un’occhiata veloce sui numeri scritti in rosso sopra le ante: dieci. Il piano più basso che avessi mai visitato fino ad allora.

Feci qualche passo avanti, nascondendomi dietro Ryuzaki quasi come una timida bambina.
- L… - sentii dire da una voce nuova e suadente.
L?E’ qui?
Vidi Ryuzaki bloccarsi all’istante, così all’improvviso che io, presa nell’osservare la grossa e scura stanza in cui ci ritrovavamo, andai a sbattere contro la sua schiena.
- Sta’ attenta, Kanade… - mi sussurrò voltandosi millimetricamente verso di me, ancora nascosta dietro le sue spalle.
Non so precisamente perché, ma quel posto m’impauriva da morire. Quando finii nell’appartamento di Mello convinta di raggiungere il vero quartier generale, dove lavoravano Ryuzaki ed L, pensai che quel posto fosse completamente inadeguato per delle indagini così serie, e ora sapevo di non aver avuto affatto torto.
Di fatti, quello che ora mi ritrovavo davanti, sì che era un vero e proprio quartier generale. Le pareti erano grigie, altissime ed anonime, senza neanche una finestra. In fondo, su tutte e tre le pareti di fronte vi erano spiegati decine di schermi d’ogni taglia, più altri marchingegni che non riuscivo a riconoscere sopra tavoli lunghi e scuri, dove sedevano uomini in silenzio,una scarsa decina, dandoci le spalle.
Per terra invece, al centro della stanza, vi era accovacciato un ragazzino dall’aria stranamente infantile, nonostante dimostrasse più o meno la mia stessa età. Era biondo, di un biondo quasi platino. I suoi occhi erano perfettamente in contrasto con i suoi capelli lunghi e ribelli; erano degli occhi scuri, quasi più dei m… Ehm, di quelli che avevo prima.
Il suo abbigliamento era molto simile a quello di Ryuzaki. L’unica sua differenza era la camicia bianca esageratamente larga al posto della maglietta semplice di Ryuzaki.
Anche il modo in cui era accovacciato a terra mi ricordava molto lui, ma ormai non mi dava più pensiero. Mi ci stavo abituando a tutti quegli aspetti così strani, a partire da quelli che riscontravo in me stessa fino a quelli che rivedevo negli altri.
Di fronte a quel ragazzo poi, vi era un puzzle ancora in corso, sul pavimento. Semplicemente bianco.
Che senso ha fare un puzzle senza immagine?
Notai solo qualche istante che l’aveva interrotto per poterci fissare bene, uno alla volta.
- Oh, c’è anche la Spector numero due. – disse poi, con tono sorpreso.
- Già, Near. Mi sembrava lo sapessi già. – sentii rispondere Ryuzaki, evidentemente irritato.
- Scusami… Ryuzaki. Credevo fossi L. Tutto qui. – vidi gli angoli della sua bocca rialzarsi appena mentre si scambiavano occhiate di fuoco.
- Kanade… Ti presento Near. Colui che mise fine al caso Kira. Immagino tu ne abbia sentito già parlare, all’epoca. Adesso mi affianca nelle indagini insieme all’ FBI e a Mello… a suo modo. – si limitò a rispondere lui, atono.
Mi decisi a farmi avanti. Feci un primo passo incerto, tenendo gli occhi su di lui, che a sua volta mi fissava con un’espressione indescrivibile. Il suo volto era freddo, calcolatore… ma i suoi occhi erano tutt’altro.
Vedendo che il suo sguardo non bastava a darmi la giusta sicurezza di cui avevo bisogno, si decise a fare un gesto nei miei confronti che quasi non mi sarei mai aspettata.
Allungò un indice verso la mia mano, nascosta dietro i nostri fianchi attaccati, e con quello afferrò il mio mignolo. Restai per qualche istante agghiacciata dal calore di quel gesto così impacciato e innocente, e non riuscii a fare a meno di sorridere. Fu proprio allora che sentii di nuovo di potercela fare.
Certo che quel Ryuzaki era davvero strano. Non la smetteva mai di stupirmi. Guardai prima Smithers, poi Near. Nessuno dei due sembrava essersene accorto di quel piccolo gesto d’affetto. Quel pensiero mi fece arrossire: significava che sarebbe rimasto nostro per sempre, intimo.
Smettila di distrarti su queste sciocchezze! Ricordati in che casino ti ritrovi!” la mia coscienza aveva proprio ragione.

Feci un breve ma profondo sospiro, e sentii la mano di Ryuzaki staccarsi di nuovo dalla mia; così mi decisi a fare anche un passo in più in avanti verso Near, a pochi centimetri dal suo puzzle.
- Perché mi hai chiamata… S… Spector? E perché parli in italiano come me? Non dovresti essere americano? -
Vidi Near fissarmi con aria annoiata per qualche secondo, per poi tornare sul suo puzzle.
- E’ il nome che abbiamo dato agli esperimenti umani di Bustri. E parlo l’italiano perché sarebbe sconveniente non farmi capire da una come… te. So bene come si parla la tua lingua, non vedo perché ignorare quest’altra mia capacità. -
- Ma… io non sono un esperimento umano! -
- Sì, lo sei. Non dirmi che ancore non te ne sei accorta. -
Perfetto, sono circa cinque minuti che lo conosco e già mi sembra di odiarlo.
- Sì. Me ne sono accorta. – mi voltai istintivamente indietro verso Ryuzaki, giusto per un secondo: anche se il volto non parlava, i suoi occhi ridevano. Io lo vedevo.
- Ryuzaki… Joe Barners si è rivelato una spia. E ti dirò di più… -
- …è uno Spector. Lo so. Se ne sta occupando già Mello. -
- Come immaginavo… Sapevi già tutto. – rispose Near incurante, continuando a concentrarsi sul suo puzzle.
Oh piantatela!
- Posso capire cosa diavolo state dicendo!? -
Smithers, Near e Ryuzaki si voltarono tutti contemporaneamente a fissarmi.
- Che c’è?! -
Vidi Near sospirare, ancora con la sua aria annoiata:
- Ryuzaki, mi spiegheresti per favore il motivo per cui dovremmo godere della presenza di questo Spector? Io lo ignoro. -
Mi voltai a guardarlo con occhi taglienti. Aprii bocca pronta a rispondergli per le rime, ma Ryuzaki mi anticipò:
- Interagendo con le indagini c’è la possibilità che riesca a ricordare qualcosa che potrebbe aiutarci ad incastrare Bustri. -
A quelle parole passai subito lo sguardo da Near a Ryuzaki, accigliata.
Non aveva detto che sarei dovuta restare al cinquantesimo piano?
Near fissò immobile Ryuzaki per qualche secondo, per poi liquidare il discorso con un semplice:
- Mh. – e per poi tornare sui pezzi del suo puzzle.
Incrociai le braccia in petto e sbuffai:
- Allora, chi è così gentile da spiegarmi la situazione? -
Fu ancora Ryuzaki a parlare:
- Barners era un nostro agente che interagiva al settore di ricerca sulle sostanze bioattive del Tuconial… -
Lo fissai ancora più accigliata, mentre lui rimetteva la mano, con la qualche mi aveva afferrato poco prima il mignolo, in tasca.
- …Ovvero il settore che si impegnava di scoprire quali sostanze precise venissero utilizzate per il Tuconial. – continuò, con un’alzata d’occhi al soffitto.
- Un chimico, in pratica. – precisò Near.
- …Ho mandato tutti gli agenti di turno per raggiungerlo e catturarlo. Si è dato alla fuga. – continuò Near, sempre con tono statico.
- Non avresti dovuto. Ci avevo già pensato io ad un’ipotesi simile… -
- Ormai è fatta. Smithers… -
Vidi Smithers rianimarsi di nuovo al richiamo di Near:
- Sì? -
- Richiami gli agenti, per favore. -
Smithers annuì deciso e si voltò verso l’ascensore, e fu solo allora che notai la presenza di ben altri due ascensori, di fianco al primo. Quella vista non mi aiutò affatto a chiarire le idee.
Nell’esatto momento in cui le ante del piano si richiudevano alle spalle di Smithers, che sparì senza aggiungere altro, si sentì rimbombare nella stanza il suono di un telefono squillante.
Fu Ryuzaki a tirar fuori il cellulare in questione, tenendolo penzolante con due sole dita, per poi rispondere.
- Sì? -
Lo vidi restare in silenzio per dei minuti, immobile e senza alcun tipo di espressione in particolare… Almeno, non fino agli ultimi due secondi di silenzio.
- Come è possibile? – chiese poi con aria infastidita.
Aspettò ancora qualche secondo, poi liquidò la chiamata velocemente:
- Ok. – staccò e ripose il telefonino in tasca in meno di un secondo.
- Dobbiamo scendere. Subito. -
Near si alzò velocemente, anche se contro voglia.
- Era Mello? – chiesi io, precipitandomi al fianco di Ryuzaki verso il secondo ascensore.
- Già. Ci aspetta giù e non può salire. -
Mi decisi a non fare altre domande, così mi sforzai di stare zitta. Non tanto per Ryuzaki, quanto per Near. Non avevo nessuna voglia di mostrarmi più inadeguata ai suoi occhi di quanto non lo fossi giù.
Pochi minuti dopo ci ritrovammo tutti e tre nell’atrio, in uno scenario non tanto piacevole. Le alte e suntuose vetrate dell’ingresso erano quasi tutte in frantumi; l’enorme bancone di marmo che evidentemente prima era destinato ad una specie di portinaio, adesso era letteralmente spaccato in due.
Sentii le mie mani cominciare a tremare dall’agitazione. I miei occhi balzarono veloci da una parte all’altra del posto, finché non si fermarono sulla figura informe di un uomo accovacciato sul pavimento, tremante.
- Contenti? -
Riconobbi subito la voce di Mello ancor prima di vederlo, a petto nudo e pantaloni in pelle, mentre avanzava verso di noi. Non mostrava neanche un graffio.
- Ti ho per caso sorpreso, Near? -
- Non più di quanto possa riuscirci una pestata di sterco. – rispose lui a sua volta.
Wow.
Mello ignorò la sua risposta, più che acida, e rivolse a me e a Ryuzaki un largo sorriso da mozzare il fiato:
- Un gioco da ragazzi. L’ho distrutto, KO! – disse poi, con aria molto fiera di sé.
- L’ho immobilizzato con le manette… - continuò, un po’ più serio.
- Non credo che delle semplici manette riusciranno a tenerlo… Se è anche lui uno… Spector. – dissi a mia volta sovrappensiero.
- Infatti non sono semplici manette. Sono fatte di un metallo molto più resistente… Fatto apposta per l’occasione. -
- S… Sofia… -
Al suono del mio nome sussurrato a quel modo sentii il sangue gelarmi nelle vene, all’istante. Tutti i miei sensi si misero in allerta, pietrificandomi. Notai che Mello, Ryuzaki e Near reagirono tutti allo stesso mio modo. Rimanemmo in silenzio, immobili, fissandoci l’uno con l’altro. Precisamente, quelli di Ryuzaki si fissarono nei miei.
Allora non me lo sono sognata…
- S… Soofiiaaa… - sussurrò l’uomo, ancora più forte.
Mi decisi a voltarmi verso di lui, e quasi senza rendermene nemmeno conto, cominciai ad avvicinarmi.
- Come fai a sapere chi sono? – sibilai, gelida.
- A… Avvicinati… ancora. -
Esitai per qualche secondo.
E’ pericoloso?”
Certo che era pericoloso… Ma una ben precisa consapevolezza che gradualmente sentivo nascere e crescere dentro di me, mi portò a continuare ad avanzare verso di lui, nonostante tutto, decisa e senza paura: quell’uomo, o Mello, non erano gli unici essere pericolosi in quella stanza. C’ero anch’io. Forse prima di tutti.
- A… Ancora… -
Finalmente più vicina, riuscii a guardarlo meglio. Era un uomo sulla quarantina, biondo con occhi scuri, in camicia e cravatta… o quel che ne rimanevano.
Non sembrava particolarmente malvagio, almeno non dal viso. Se mi fosse capitato di vederlo passare casualmente per strada, ne avrei immaginato un uomo colto, un po’ impacciato, ma coscienzioso e con la testa sulle spalle, fidanzato o magari sposato con dei figli… E invece era lì, la faccia distorta dal dolore, i vestiti divenuti stracci, abbandonato sul pavimento.
Mi inginocchiai in silenzio, fissandoci a vicenda. Lentamente il castano scuro dei suoi occhi cominciò a schiarirsi, mentre ridacchiava come un pazzo.
- Cosa vuoi? – sussurrai, riluttante.
Le risate dell’uomo crebbero, così come i suoi occhi continuavano a cambiare visibilmente colore… Passarono dei minuti, mentre aspettavo. Aspettavo con ansia sapere cosa quell’uomo volesse da me, come se in un certo senso lo sapessi già, solo che non ne avevo memoria. Sì, era proprio quella la sensazione che provavo in quei momenti.
Sentii improvvisamente una mano poggiarsi sulla mia spalla; era Mello, cupo e serio spaventosamente.
L’uomo continuava a dimenarsi per le grasse risate che adesso faceva, ad occhi chiusi… Finché poi, dopo qualche secondo, si fermò serio, si voltò verso di me e li spalancò: erano occhi rossi come il sangue.
- Sarah… - sussurrò, ancora con tono scherzoso.
- Sarah!? Cosa c’entra Sarah? -
- E’ nostra. – disse lui, improvvisamente serio. Sembrava indemoniato.
- Cosa!? -
Senza neanche pensarci lo afferrai per il collo e mi portai la sua lurida faccia ad un palmo dal naso:
- Cosa le avete fatto… - sibilai a denti stretti, fuori controllo.
- Sofia lo stai soffocando… Lascialo parlare, prima! -
Lo scaraventai sul pavimento, furiosa, mentre l’uomo cominciava a tossire.
- Allora!? Cosa le avete fatto? Dimmelo! -
Stavolta afferrai un lembo della sua camicia, per lasciarlo parlare.
- Solo due parole… - disse lui, di nuovo con tono scherzoso, guardandomi negli occhi e sorridendo:
- …Hell… Rain. -
Quelle due parole furono come la chiave nascosta di un lucchetto chiuso nella mia mente. Mi afferrai la testa tra le mani mentre cominciava a girarmi come un vortice. Persi completamente la cognizione di tempo e di spazio, e le mie improvvise grida di dolore mi parvero già un semplice eco lontano.

- … Sei stata una brava segretaria. Mi dispiace doverti allontanare, dopotutto. – la voce profonda del signor Bustri riecheggiava nella stanza buia. I tratti spigolosi del suo viso si scorgevano appena, grazie a un raggio di luce chiara che oltrepassava le sbarre di ferro in alto ad un muro di pietra alla mia destra.
- Ma adesso è arrivato il momento del secondo round… - e, avvicinandosi a me per poi afferrarmi forte per il collo e trascinarmi sul pavimento ruvido, rideva. Rideva di gusto.
Buio.

Presero forme oggetti, una scrivania, penne alla rinfusa, un computer, una flebo, un letto, e delle pareti bianche sullo sfondo.
Ed io raggomitolata sulle piastrelle fredde del pavimento, tremante.
- No, no, no! Niente gesso! Ce la farà da sola! Il Tuconial basterà… -
Adesso la luce era splendente, grazie alle lampadine al neon del soffitto, e l’agghiacciante figura di Bustri era ben visibile. Era in camice bianco, il volto pallido e stanco, la barba sfatta e i capelli in disordine. Quasi sembrava un’altra persona. Lo seguiva un altro uomo, molto più giovane , anche lui in camice bianco:
- Ma, signor Bustri… -
- Niente “ma”! – urlò improvvisamente in preda alla furia.
- Diglielo… - continuò, rivolgendosi a me.
- Diglielo tu che stai bene! Diglielo! – urlò di nuovo, afferrandomi per i capelli tirandomeli con forza.
- Signore… Non credo sia il caso di… - cercò di dire l’altro, con tono preoccupato.
- Lei non sente nulla. Nulla! – sembrava come impazzito; Bustri mi scaraventò il capo sulle piastrelle fredde del pavimento, facendomelo sbattere forte, e cominciò a calciarmi con rabbia nello stomaco.
Ogni calcio, ogni colpo, mi sembrava amplificato; come le onde d’acqua che si espandono in cerchi dopo aver lanciato un sassolino. Avrei voluto urlare per il dolore, gridare, supplicargli di smetterla o di uccidermi. Tutto, pur di farla finita. Eppure non ci riuscivo. Il massimo che riuscivo a fare era tremare, ad occhi sgranati e persi nel vuoto.
- Guarda! Lo vedi? Non reagisce! -
- Non reagisce perché non può… - sibilò l’uomo più giovane, ormai visibilmente irritato.
Bustri smise di colpirmi, voltandomi le spalle per dedicarsi completamente all’altro uomo:
- Non reagisce perché non ne sente il bisogno! Non prova dolore… Il Tuconial funziona. -
- Può provarlo? -
- Secondo te perché è viva, allora? -
L’altro uomo non rispose.
- Sofia… Sofia. Sofia cara… - si avvicinò di nuovo verso di me. Si inginocchiò, e fissandomi negli occhi, mi accarezzò il viso.
- Diglielo… Diglielo che stai bene. Che ti riprenderai… -
- Non parla, Bustri! Non l’ha mai fatto! Quando vorrà mai arrendersi!? -
- Lei… sta …bene. – sibilò lui, rialzandosi.
- Sì, è sicuramente per questo che adesso sta piangendo. Non è così? -
- Sono lacrime di gioia! -
- Lei un pazzo… -
- Stia attento con le parole, signor Carter, o non sarò più così clemente con lei! -
Buio. Di nuovo.

Il suono di un allarme mi risuonava forte nei timpani, continuo e stonante.
- Sofia… Non ho molto tempo. Ma ho fiducia in te… - il viso di Bustri era ad un palmo dal mio, con forti sfumature rosse che gli coloravano il volto ad intermittenza. Era così vicino da non riuscire a vedere nient’altro dietro di lui. Era in condizioni pietose, molto peggio di quanto potessi immaginare. Era sudato e ansimava, scorgevo le piccole goccioline rigargli la fronte mentre si guardava attorno con aria terrorizzata.
- Adesso tu rimani qui… Ma tornerò. Anzi tornerai tu da me. Ricorda. Ricorda quello che ti ho detto ieri nel mio studio… Ricorda, e fai come ti ho chiesto. Sei brava, ce la farai. Ricorda queste parole, quando le risentirai; Hell rain. Hell rain è metà del tuo percorso. Non avrai ancora finito. Anzi,tutto comincerà allora... Sei importante, Sofia. Hai un potere inimmaginabile. Impara a sfruttarlo… -
Buio. Ancora.

- C… C… Che… C… - ero io. Era la mia voce.
- Co… Che… -
Non riuscivo a capir nulla, né dove mi trovassi, né cosa stessi facendo. Non vedevo nulla, come se fossi incapace di comandare il mio corpo persino per aprire le palpebre.
Il tonfo assordante di un’esplosione si sentì d’improvviso.
- Code one. Code one. Mister. Code one. We’ve found her. -
Continuavo a non veder nulla, sentivo solo rumori e mani che mi toccavano. Tante voci, tanti rumori, tantissime mani. Per ogni singola mano, ad ogni singolo tocco, mi sembrava di morire per il dolore.
- Smithers… -
Quella voce… Sì! Era lui!
Finalmente riuscii a riaprire gli occhi.
Ci trovavamo su un elicottero. Oltre che vederlo lo sentivo, forte e chiaro, e Smithers si era appena precipitato su di me. Vedevo il terrore impresso sul suo volto.
- Oh, Dio santissimo… -
- Ce la può fare? – vidi anche se a fatica, la figura di Ryuzaki al suo fianco, la sua folta chioma era l’unico elemento che riuscivo a contraddistinguere con chiarezza.
- R… R… Rain… R… -
- Mi serve della morfina. -
- R… R… Rain… -
- Ma cosa vorrà mai dire? – sentii chiedersi quasi tra sé Ryuzaki.
- Smithers… Non possiamo sapere se riusciremo a farle l’iniezione. Lo sai, no? – continuò lui, atono.
- Dobbiamo provare. In fondo, tutto il resto del corpo è ricoperto di ferite ancora ben aperte… In altri casi sarebbe già morta da tempo. -
- Mi affido alle tue conoscenze mediche, allora. -
- Pioggia… Pioggia… Inferno… Inf… f… - non riuscivo a controllarmi, ero davvero in preda al delirio. Lo sentivo. Lo sapevo.
Vidi Smithers allontanarsi e Ryuzaki prendere il suo posto, così che riuscissi a vederlo davvero, in tutta la sua stranezza.
- Certo che sei davvero in condizioni disastrose… -
Il suo volto era indecifrabile.
- Infern… Piog… Pioggia… -
I suoi occhi si addolcirono, e con un solo indice mi sfiorò delicatamente la guancia.
- Dai, non piangere. Sei al sicuro adesso. Prometto che… -
Lo vidi esitare, mostrando una smorfia di dolore così intensa da sembrare che stesse patendo un dolore insopportabile. Eppure erano solo parole, quelle che scorrevano tra noi in quel momento.
Sospirò forte e parve riprendersi.
- … mi prenderò cura io, di te… -
Buio. Assoluto. Di nuovo.



 

 

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Capitolo 9
*** Somebody to love ***


La brezza leggera, fresca e danzante d’una serata di inizio estate si mosse flessuosa sul mio corpo. Fu quella la prima cosa che riuscii a percepire al mio risveglio.
Sbattei più volte le palpebre, ancora disorientata.
- D… Dove sono? – mi chiesi sovrappensiero.
Diedi uno sguardo veloce alla stanza dove mi ritrovavo, rialzando velocemente la schiena e restando seduta sul morbido materasso dove mi avevano riposta.
La stanza era appena illuminata da delle luci fioche, che splendevano tramite piccole lampade a muro a forma di rose. Una grande ed alta finestra ad arco alla mia destra ricoperta da tende leggere color bronzo era quasi spalancata, dando così adito all’aria fresca di quella sera newyorkese avanzare nella stanza, insieme ai suoi chiassosi della sua vita urbana come clacson, sirene di autoambulanze, e qualche volta anche il ruggito forte di una moto che sfrecciava sulla strada… Mi ricordavano tanto quello della mia Ducati. Che pena, sapere che fine avesse fatto dopo così poco tempo dal suo acquisto.
Cercai di non pensarci, e mi concentrai sui colori tenui e scuri dei grattacieli antistanti, non riuscendo a scorgere neanche un pezzo di cielo da dove mi trovavo, e fu lì che mi resi conto che ormai in effetti fosse già notte inoltrata.
Sbuffai, esausta, e feci per muovermi. Volevo scendere subito giù da quel letto, ma qualcosa mi bloccò un attimo dopo. Un nuovo senso, non del tutto umano, mi diede la certezza di non essere sola nella stanza. Mi sentivo osservata.

Mi voltai subito verso di lui, Ryuzaki, fermo sulla soglia della porta, appoggiato goffamente allo stipite con le mani in tasca e vestito come sempre… L’unica differenza dall’ultima volta che l’avevo visto, era che adesso indossava vestiti puliti ed integri e con mia meraviglia notai che anche i suoi graffi erano spariti. Forse era colpa della luce, così fioca da non darmi la possibilità di poterlo vedere bene e scorgere i segni dei graffi.
Quella stessa luce illuminava appena i tratti del suo viso, i lineamenti del suo corpo, e i lunghi capelli scuri che gli ricoprivano completamente gli occhi.
Nonostante sapessi bene che era tutto sbagliato ed assurdo, ciò non mi impedì di pensare come prima cosa, appena lo rividi lì, sulla soglia, che mi fissava in silenzio da chissà quanto tempo, che era di una bellezza ancora più rara e difficile di quanto potessi mai immaginare.
Restai immobile su quel letto matrimoniale, agghiacciata dal suo sguardo invisibile nascosto completamente dalle sue ciocche scure.
- Ciao. – disse lui, con un tono stranamente calmo e soffice come una piuma.
Qualcosa nella sua postura mi diceva che ci teneva a starsene alla larga da me; cercando di mantenersi distaccato, eppure…
Ricordai il suo volto, sull’elicottero, quando mi sfiorò la guancia con l’indice con un fare così impacciato quanto benevolo… Come un bambino. In quel momento la sua fu un’espressione tormentata, degna di una persona debole e forte al tempo stesso.
- …mi prenderò cura io di te… -“ aveva detto.
- Ciao… - risposi io, con tutta la dolcezza che potevo richiamare in quel momento.
- Come stai? -
Scrollai subito le spalle istintivamente, sbuffando appena:
- Sono uno Spector, no? – cercai di sorridergli, ma il suo volto restò serio e lui non si mosse di un centimetro. Non era buon segno.
- Sto bene… - mi rassegnai a dire, tornando seria.
- Hai ricordato qualcosa? – passò subito a chiedermi lui, con aria fredda e professionale.
Sentii una morsa premermi sullo stomaco: era la delusione.
- Su Bustri, intenderai ovviamente, no? -
Non mi rispose.
Ah, allora è per questo che è venuto da me, per le indagini, e non per sapere davvero come stessi…
Doveva parermi ovvio, dopotutto.
Sospirai, cercando di ricacciare indietro quel senso di tristezza che sentii pervadermi subito dopo.
- Sì… ma niente di utile per le indagini. -
Le immagini di Bustri che mi trascinava via per il collo, che mi calciava con violenza e rabbia nello stomaco, che mi parlava ansimante ad un palmo dalla mia faccia, mi riapparvero nitide e chiare nella mente.
- Sei brava, ce la farai… -“ aveva detto lui, con quel lume di pazzia che gli brillava negli occhi.
Cercai di reprimere un brivido.
- Non fa nulla, raccontamelo lo stesso. Ti va? -
Lo fissai con una certa confusione, mentre lui se ne restava sempre lì, immobile con quella postura come una statua. Non riuscire a guardarlo negli occhi per via dei suoi capelli m’innervosiva.
- No. Non mi va. –
Vidi i suoi tratti e le sue spalle irrigidirsi, ma non disse nulla.
- Parliamo di Sarah, piuttosto. – continuai, decisa.
Non ne ero sicura, ma mi parve di vedere la scintilla dei suoi occhi nell’ombra balzare al soffitto.
- Ti ricordi della sostituta? Beh le ho subito detto di chiamarla per accertarci che stesse bene… dopo che sei svenuta… -
- E quindi? – gli chiesi a quel punto con voce tremante, chiudendo le mani a pugno pur di contenere l’ansia che mi stava divorando.
- Sta bene. Non sembra le sia successo nulla. -
- Voglio chiamarla io. – sibilai ad un tratto tra i denti.
- Non puoi… -
- Oh si che posso. Ne ho tutto il diritto! – balzai giù dal letto e in un attimo mi precipitai di fronte a lui, ad un centimetro dal suo viso.
Lui proprio come mi aspettavo non indietreggiò di un solo passo, anzi mi sbarrò l’uscita.
- Dammi il tuo telefono. -
- Dove sono finite le buone maniere? -
- Ryuzaki… -
- Non puoi chiamarla, l’abbiamo già fatto noi e s’insospettirebbe. E’ sottocontrollo, fidati almeno una volta… -
- Non m’importa niente. -
- A noi sì. – ribatte lui, freddamente.
Quell’atteggiamento mi lasciò di sasso per qualche istante. Che fine aveva fatto quel ragazzo che mi aveva lasciato assaggiare la sua fetta di torta, che mi aveva afferrato il mignolo per tranquillizzarmi? Sembrava tutt’un’altra persona adesso, ma io non ci credevo del tutto. Sapevo, nel mio profondo, che lui agiva così con tutti pur di non mettersi a rischio in nessuna maniera.
Forse avevo sbagliato a dichiarargli, anche se in parte, cosa mi provocava la sua presenza e il suo contatto…
-…era più buona quando m’imboccavi tu… -
Se solo si potesse tornare indietro nel tempo.

Lo guardai per qualche secondo, indugiando sul posto, poi sospirai:
- Ho ricordato cose bruttissime, Ryuzaki. Una sofferenza inimmaginabile… - sentii le lacrime cominciare a pungermi gli occhi come spine.
- Bustri… mi teneva in uno scantinato, o in una sottospecie di… cella sotterranea… non so, con certezza. Non si vedeva nulla. So solo di essere impazzita lì sotto. E dopo le iniezioni… - deglutii a fatica, cercando di sciogliere il nodo che sentivo in gola. Ovviamente non servì a nulla.
- Mi picchiò a sangue, più di una volta, convinto di non infliggermi alcuna sofferenza… solo perché non riuscivo a parlare né a reagire in nessun modo. E Dio solo sa cos’altro mi avrà fatto e io ancora non lo ricordo! -
Ryuzaki non mostrò nessuna espressione, forse nascosta dal buio della stanza.
Quando vide che non riuscivo a continuare, in preda alla sofferenza di quei ricordi, alzò una mano verso il mio volto lentamente e in silenzio.
Non disse nulla, si limitò a sfiorarmi la guancia e lo zigomo in un modo così dolce e delicato da riscaldarmi il cuore.
Fu solo dopo quel suo tocco che mi accorsi di avere già il viso bagnato dalle mie stesse lacrime, che erano scivolate via senza che nemmeno me ne accorgessi. Sentii il suo indice scorrere lentamente dallo zigomo al mento, ripercorrendo la scia di una di quelle.
Senza neanche rifletterci su, afferrai quella sua mano e la strinsi nella mia, con la sua stessa dolcezza. Di certo non volevo rompergliela con la mia nuova “superforza”…
- …E poi alla fine, quasi a volermi consolare, la mente mi ha riportato a te Ryuzaki. Al primo ricordo che ho di te… -
Sentii la sua mano irrigidirsi nella mia, insieme alla sua bocca che si era velocemente ridotta ad una linea sottile.
Le sue dita erano fredde e lisce, e per un istante mi pervase l’idea di sentirmele scivolare sulla pelle della mia schiena… Sul mio collo, o in qualsiasi altro posto.
Arrossii all’istante, felice di sapere che lui non poteva vederlo a causa del buio… Come potevano venirmi in mente certe idee? In una situazione del genere poi? Non avevo ritegno.
- Mi hai accarezzato la guancia così come hai appena fatto anche adesso… E mi ha promesso una cosa. Te lo ricordi? -
Lo vidi esitare per qualche istante, prima di rispondermi con un sussurro:
- Sì… -
Sorrisi, di vera gioia, mentre sentivo altre lacrime rigarmi il volto e bagnare le nostre mani ancora unite.
- Perché, Ryuzaki, perché? Cosa ti porta ad essere così affettuoso nei miei confronti sin da subito? Perché proprio io? -
- Io… Non lo so. -
Avanzai di un altro passo, riempiendo quell’ultimo vuoto che ci divideva e avvicinando le mie labbra alle sue senza però toccarle davvero. Sentivo il suo respiro sulla mia bocca, che per qualche secondo mancò.
- Kanade… -
- Mi chiamo Sofia. Chiamami così, ti prego, almeno adesso… -
- Sofia… - sussurrò allora lui, assecondando la mia richiesta.
La mano che tenevo ben stretta tremò, anche se solo per un secondo.
- …Io non lo so. Non lo so proprio… -
- Cosa non sai? – gli chiesi con un bisbiglio, sfiorandoci i nasi.
- Io non so… come funzionano queste cose. Non so gestirle in prima persona. Io non so amare. Non so cosa significhi, non l’ho mai fatto. -
Sussultai dalla sorpresa:
- Tu non hai mai… amato? Nessuno? -
- Mai. -
- Ma… la tua famiglia? -
- Io… - si fermò. Sembrò quasi non  volerne parlare, ma con mia grande sorpresa, dopo poco continuò:
- Non l’ho mai avuta. Ho sempre vissuto da solo, prima in un orfanotrofio, e poi… in giro. -
Quella notizia mi gelò il sangue nelle vene, mentre l’immagine di un piccolo bambino dalla folta chioma scura e gli occhi stracolmi di lacrime mi si formava nella mente.
- Oh… - mi scaraventai all’improvviso su di lui, mossa dalla tristezza di quella visione, abbracciandolo e stringendolo forte a me.
- Mi dispiace… - dissi quasi singhiozzando sul suo petto.
- Non devi… - rispose lui a sua volta, con un tono vagamente sorpreso.
- Ryuzaki… - mi portai di nuovo il viso a pochi centimetri dal suo, e finalmente li rividi. I suoi occhi, che brillavano nel buio.
Senza neanche pensarci poggiai una mano sulla sua nuca, sotto le punte dei suoi capelli scuri e incredibilmente morbidi, e lo tirai verso di me premendo le sue labbra sulle mie.
- Chiudi gli occhi… - gli sussurrai pochi istanti prima.
E lui lo fece.

Era così alto rispetto a me che dovetti alzarmi sulle punte per raggiungere la sua bocca. In un primo momento lo sentii irrigidirsi come una pietra, senza alcun tipo di risposta; semplicemente mi lasciò fare, ed io feci.
Lo baciai con tutta la dolcezza che potessi richiamare, come non avevo mai baciato nessun altro, mentre le lacrime continuavano a scivolarmi sul viso bagnando le nostra guance, le nostre labbra, insinuandosi nel nostro bacio dandogli un retrogusto salato quasi a simboleggiare i nostri tormenti.
Fu quando schiusi le mie labbra sulle sue che lui cominciò a reagire. Con mio grande stupore, fu addirittura il primo a carezzarmi le labbra con la sua lingua, rendendo il nostro bacio più profondo e passionale, sebbene si sentisse ancora il suo impaccio. Ciò però non mi dispiacque affatto, anzi, mi intenerì ancora di più.
Teneva le mani ancora ferme lungo i fianchi, notai ad un certo punto, così per dargli un altro incentivo le afferrai entrambe e me le portai lungo i miei fianchi, dove le abbandonai per ritornare ad inondare le mie nella sua chioma morbida e liscia. Lasciai scorrere le dita tra i suoi capelli mentre assaporavo il suo odore. Profumava di sapone, caffè, e… fragole.
Le sue mani cominciarono a scorrermi lungo la schiena, con calma e senza fretta, soffermandosi su un piccolo lembo di pelle nuda dovuta ad un orlo della mia canottiera rialzata. Erano timide e impacciate, ma allo stesso tempo curiose di scoprire nuove soglie mai varcate. Scivolavano lente ed incerte ed io le davo tempo senza problemi, mentre le nostre lingue si intrecciavano in tutt’altro modo.
Ad un certo punto lo sentii mugolare. Indietreggiò e si staccò appena dalla mia bocca. Ansimava.
- Io… non credo sia giusto… -
Le sue mani erano ancora sulla mia schiena, le mie sul suo collo, e i nostri corpi si toccavano ancora.
- Vuoi smettere? – gli sussurrai suadente.
- In verità… - si fermò di nuovo, incerto:
- …no. Non voglio. -
- Allora non farlo. – e detto questo mi precipitai di nuovo sulla sua bocca, e stavolta in un modo anche meno delicato. Lui reagì alla stessa maniera.
Una sua mano si fermò sul fondo della mia schiena e l’altra raggiunse il mio collo, sfiorandolo con le dita proprio come mi ero immaginata poco tempo prima. Adesso ansimavamo entrambi, vittime dei respiri dell’altro, e quasi mi sembrò di ascendere al paradiso.
- N… No… - gli sentii dire di nuovo, sulle mie labbra.
- Non … Non posso. – si staccò bruscamente.
In un attimo lo vidi a svariati passi da me, le labbra ancora visibilmente umide, gli occhi sgranati e nel complesso con un’aria terrorizzata, mentre ancora ansimava. Quella visione per me fu come una secchiata d’acqua fredda in pieno volto.
Cosa diavolo ho fatto?!
- Scusami… - gli dissi di getto, con voce tremante.
- Non… Non farlo mai più, Sofia. -
Quella frase fu anche peggio. Mi sembrò di riceve una sberla in faccia, anzi dieci.
- Pensavo… Lo volessi anche tu… -
- Ed è vero, ma non devi farlo ugualmente. -
Sbam. Altra sberla.
- Scusa. – dissi di nuovo, non sapendo cos’altro aggiungere.
Ryuzaki cercò di darsi una controllata, chiuse gli occhi, smise di ansimare, e quando li riaprì tornò a guardarmi freddamente.
- Ad ogni modo… Questo è il tuo nuovo appartamento. Qui potrai sentirti a casa tua e potrai comportarti di conseguenza. I tuoi vestiti sono stati riposti nell’armadio in camera… - alzò la mano, e mentre indicava con un indice la stanza alle mie spalle, la vidi tremare visibilmente. Riabbassò il braccio in fretta e affondò entrambe le mani nelle tasche dei suoi bluejeans.
Lo vidi indugiare sul posto, evidentemente in imbarazzo. Per la prima volta…
- Beh, buonanotte allora… -
Senza aspettare una risposta, si voltò e scomparve nel buio del corridoio.
- Buonanotte, Ryuzaki… - sussurrai, sconfortata, mentre udivo già in lontananza il suono acustico dell’ascensore.

Indietreggiai e chiusi la porta di legno alle mie spalle, appoggiandomici con la schiena. Sospirai forte, cercando di darmi una calmata. Le lacrime si erano fermate, ma sentivo il mio volto ancora bagnato e le labbra ancora umide del suo sapore… della sua lingua calda e stranamente carezzevole…
- Ma porca puttana! – urlai in preda alla disperazione.
Possibile che debba per forza cercare di rovinarmi la vita più di quanto non lo sia già!?
Agitai le braccia in aria  poco prima di scaraventarmi sulle fresche lenzuola del letto, stringendo poi le mani a pugno sui cuscini.
- Che diamine… - brontolai con tono capriccioso.
Sprofondai il volto tra i cuscini e chiusi gli occhi.
Chissà in che condizioni era casa mia in quel momento. Cercai di immaginarmi di nuovo nella mia stanza, sul mio letto in pieno stile anni sessanta, l’aria intrisa di fumo e cannella, il sottofondo di qualche veicolo di passaggio decisamente molto più tranquillo del caos newyorkese che dovevo sopportare invece in quel momento…
Chissà a cosa stesse pensando Sarah in quel momento, cosa stesse facendo; sicuramente era già più che insospettita. Era troppo sveglia persino per L e Ryuzaki, ci avrei giurato.
In realtà mi meravigliava non averla ancora ritrovata sotto quel grattacielo a prendere a calci nel sedere L in  persona, chiunque esso sia, fino a quando non le avrebbe detto che fine avesse fatto la sua coinquilina scomparsa.
Sorrisi in silenzio. Era una ragazza forte, ma non come tutti gli altri. Non la si poteva classificare con certezza, ma su un fatto potevo essere certa: avrebbe sempre fatto la cosa giusta.
Mi mancava da morire. Mi mancava lamentarmi del perenne odore di fumo che lasciava in casa per colpa delle sue eterne sigarette. Mi mancavano le nostre battute, i nostri giochetti ( a volte, anzi molto spesso, anche abbastanza demenziali), il nostro scompisciarsi dalle risate per ogni qual si voleva stupidaggine… E i suoi occhioni dolci e scuri che mi rifilava quando aveva vergogna di dirmi ad alta voce quanto mi volesse bene; ma tanto a me bastava quello, ed ero più che felice. Non m’importava delle parole. Che ci volessimo così tanto bene ormai era ben chiaro, a noi quanto al resto del mondo.
Prima della convivenza già eravamo molto legate, ma riuscivamo comunque a trascorrere lunghi periodi senza vederci con tranquillità; invece adesso, dopo la convivenza, era quasi impossibile non soffrire la lontananza. Capimmo col tempo che eravamo diventate l’una la famiglia dell’altra. Lei era diventata ormai una nuova sorella della quale non avrei mai più potuto farne a meno.

No, infatti. Non potevo farne a meno, nemmeno in quel momento. Poco importava che si trattasse di un caso investigativo a livello mondiale, che L in persona si stesse occupando di quel caso, o che Ryuzaki mi aveva appena detto che non avrei dovuto chiamarla per nessun motivo.
Per quanto mi riguardava sarebbe potuta apparirmi anche la madonna in persona per vietarmelo, non avrei mai e poi mai voluto saperne niente. Avevo bisogno di lei. Punto.
Non ero proprio fatta per restare a guardare, proprio non ce la facevo.

Spalancai gli occhi e mi alzai di scatto. Fissai per qualche breve istante l’orologio digitale poggiato sul comodino di fianco: 01:45.
Pazienza.
Balzai decisa giù da quel letto e uscii veloce dalla stanza. Attraversai un lungo corridoio completamente avvolto nel buio, calpestando a piedi nudi quel che a tatto pareva parquet, e dopo quello attraversai veloce anche l’enorme salone dell’entrata, ignorando ogni suo dettaglio e cercando di raggiungere il prima possibile il mio primo obiettivo: il pulsante triangolare e luminescente dell’ascensore. Lo pigiai e le porte si spalancarono all’istante.
Driiiin.
Bene…” sospirai forte, sperando aiutasse a reprimere il nervosismo. Ebbe poco successo. Non mi meravigliai.
Entrai svelta cercando di ignorare la mia sagoma riflessa nelle pareti a specchio, e senza esitare puntai il dito dritto sul numero trenta.



ANGOLO AUTRICE
Consiglio: ascoltate Exogenesis: simphony part1/2/3 - Muse mentre leggete. 

 

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Capitolo 10
*** Contatto ***



L’attesa all’interno di quell’ascensore stavolta fu brevissima. A quanto pareva quello che sarebbe diventato il mio piano era giusto un paio sopra quello di Mello.
Lasciai scorrere passivamente lo sguardo sul mio riflesso allo specchio, poco prima che le porte si riaprissero. La camicia che indossavo sopra la canotta prima di svenire era sparita, insieme alle mie scarpe e calzini, ma per il resto i vestiti rimanevano gli stessi. Quanto avrei voluto poter dire la stessa cosa anche per i miei occhi… che invece avevano cominciato a prendere qualche tono più scuro dello strano colore che avevo visto l’altra volta. Erano molto simili al colore dell’oro colato, quello incandescente e che non ha preso ancora alcuna forma. Quello che è ancora semplicemente oro, e nulla in più.
Oro anonimo e senza vita… come me, che non sapevo più chi ero, che non sapevo più che forma avesse preso il mio di oro, l’oro della mia vita.
Driiin.
Uscii velocemente e avanzai di qualche passo, ispezionando la stanza buia con lo sguardo. Misi a fuoco ogni angolo, ogni figura vuota ed stabile dell’immobile, e persino qualche acaro di polvere svolazzante colpì la mia attenzione al riflesso lunare della notte. La mia vista non era più così imprecisa come un tempo.
Nel giro di un paio di secondi avevo già finito di controllare con lo sguardo l’intera camera. Non c’era. Attraversai l’ampio salone con passi decisi e più silenziosi di quanto un qualsiasi altro essere umano avrebbe mai potuto avere. Non volevo trovare Mello con qualcuno, tantomeno con Ryuzaki, per cui valeva la pena di controllare prima di farsi vedere.
Avanzai nel lungo corridoio attraversando stanze aperte e avvolte nel buio della notte; mi parve anche di superare un immenso bagno, poco prima di arrivare all’ultima porta. Chiusa.
Mi bloccai, chiusi gli occhi e avvicinai l’orecchio al legno scuro della porta. Restai in quella posizione per qualche minuto, concentrandomi sul mio udito alla ricerca di anche un solo, singolo, minimo accenno di voce. Niente. Forse non c’era. O forse dormiva.
Espirai velocemente nel tentativo di darmi coraggio, afferrai la maniglia, aprii la porta ed entrai.

Tutto ciò che avvenne poco dopo accadde in modo sorprendentemente breve e conciso e a stento ebbi modo di reagire.
La stanza era appena illuminata da delle lampade uguali a quelle che avevo ritrovato nella mia camera al risveglio, a forma di rose, solo che quelle invece che dorate erano rosse, dando una tonalità ancora più intima all’intera camera… E lì, avrei voluto esserne certa, non c’era nessuno. O almeno così parve.
Riuscii a notare solo questo nel giro di un paio di secondi, prima che delle braccia apparissero dal buio e mi afferrassero con forza dalle mie spalle, bloccandomi braccia e busto in un abbraccio violento e stritolante. Reagii senza nemmeno pensarci e d’istinto risposi; mi ripiegai in avanti, tirandomelo dietro, poi mi rialzai veloce colpendolo con una testata in piena faccia e feci leva sui gomiti per liberarmi, così rapidamente da quasi non accorgermene. Tentai di allontanarmi il più velocemente possibile, ma le stesse mani mi afferrarono per un braccio, tirandomi di nuovo indietro. Feci una giravolta, torcendoglielo con forza, e mi ritrovai subito dopo contro la sua schiena con quello stesso braccio così teso che quasi non si spezzava. Sentii un suo verso basso e rabbioso, di protesta. Segno che gli stavo facendo veramente male. Mi sbilanciai su una gamba sola cercando di mettere un piede tra le sue caviglie per immobilizzarlo definitivamente, ma lui approfittò della mia incertezza e balzò via, così che in un nanosecondo me lo ritrovai di nuovo attaccato alla mia schiena che mi cingeva il busto come al punto di partenza, solo che con una mano mi stritolava la vita, e con l’altra adesso mi aveva tappato la bocca, premendomela contro le labbra con forza. Sentii il mio petto alzarsi e riabbassarsi per l’agitazione velocemente in simbiosi col suo, premuto contro le mie scapole.
- Non sei affatto male per essere così giovane, dopotutto… -
Mugolai con tutta la forza che avevo in gola, cercando di liberarmi dalla sua presa muovendomi e strattonandolo, ma le sue mani erano troppo ferme e salde.
- Ti ci vuole ancora un po’ per superarmi, però. Sono desolato… - sentivo le labbra sfiorarmi il collo mentre parlava, e il suo fiato solleticarmi la pelle attraverso i capelli.
- Sei anche abile a non farti sentire. Sai, ai primi tempi ero molto più rumoroso di te… quasi ci riuscivi, a prendermi di sorpresa. Peccato che il tuo respiro sia ancora così rumoroso, e il mio udito già così sviluppato… -
“…Adesso mi ha stancata!
- Okay, sto per lasciarti andare, ma… Ahia! – allentò all’istante la presa ed io sgattaiolai subito fuori e lontano dalle sue mani, veloce e furtiva come un gatto accovacciandomi in posizione di allerta sul letto.
- Mello… - sibilai con rabbia.
- Perché cazzo mi hai morso la mano!? – sbraitò lui, più sorpreso che sofferente.
- E tu perché cazzo mi hai attaccato!? -
- E tu perché cazzo sei entrata di soppiatto a casa mia?! -
Chiusi gli occhi e sospirai forte, cercando di rilassare i nervi ormai tesi peggio di una corda di violino.
- Calmiamoci, okay? Mi serve il tuo aiuto… -
- Bel modo, di chiedere aiuto! -
- Volevo solo essere sicura che fossi da solo! -
Mello restò a guardarmi, in piedi di fronte a me, con occhi sgranati e delle sopracciglia così inarcate da quasi sparire dietro la sua frangetta rossiccia. Era ancora a petto nudo e pantaloni in pelle, ma i suoi capelli erano umidi e leggermente scompigliati, come se avesse appena finito di lavarseli.
Abbandonai ufficialmente la posizione di allerta e mi lasciai cadere sulle lisce lenzuola di seta scure del suo letto a baldacchino, abbinate alle sue tende.
Incrociai gambe e braccia sul materasso e ricambiai il suo sguardo con uno più tagliente:
- Allora? -
- Beh, se volevi passare la notte con me da sola bastava dirlo prima, magari mi sarei preparato meglio, avrei sfoggiato… che ne so, il mio pigiama di seta supersexy… -
- Mello! -
- Perché… - avanzò verso di me e si accomodò al mio fianco sul letto, con sguardo suadente:
- Vorresti dirmi che la prospettiva di passare una notte di sesso sfrenato con uno splendore come me non ti alletta? -
Inarcai un sopracciglio, scettica.
- Credimi, no. -
- Oh, questo è davvero offensivo da parte tua… -
Balzai lo sguardo al soffitto, con aria stanca:
- Possiamo passare al vero motivo per cui sono venuta qui? -
- …Senza invito né preavviso, a casa di uno sconosciuto, alle due di notte? Prego, fa’ pure! Perdona la mia maleducazione! -
- Beh ci sarebbe da precisare che lo “sconosciuto” in questione è al momento uno dei pochi esseri viventi con cui posso ancora dialogare, e mi ha appena proposto una notte di fuoco con lui… -
- Il sesso con sconosciuti è sempre il migliore. -
- Beh, ad ogni modo non m’importa. Adesso ho dei pensieri un po’ più importanti a cui pensare che ai tuoi gusti sessuali. -
Vidi Mello sbuffare, mentre si stendeva placidamente sul letto al mio fianco ad occhi chiusi, con entrambe le mani dietro la testa.
- E va bene. Cosa ti serva, principessa? -
- Un telefono con cui chiamare. – risposi velocemente, tagliando la testa al toro; lo dissi fissando il vuoto, cercando di sopprimere la sensazione di imbarazzo che mi stava assalendo per nulla mentre attendevo con ansia una sua risposta, che a sua volta tardò ad arrivare. Dopo qualche eterno secondo di esitazione però, finalmente si decise a rispondere:
- Le dirai la verità? – chiese lui piano, in tono neutro.
- Forse sì… -
- Le dirai di venire qui? -
Esitai io, stavolta. Gliel’avrei chiesto?
- Sì. Quelli sì. Ho bisogno di lei, Mello. -
- E ci hai pensato bene? -
- Più che altro sento di doverlo fare e basta. E’ una questione di… istinto. -
Mi decisi a voltarmi verso di lui, per vedere la sua reazione alle mie parole… e lo vidi sorridere, mentre fissava il soffitto.
- Non ridere… E’ la verità. -
In silenzio si alzò con un solo gesto aggraziato e raggiunse con passi calmi un tavolino di vetro poco distante. Lì sopra, di fianco una tavoletta di cioccolato bianco appena morsicata, c’era un i-phone. Lo afferrò e si girò di nuovo verso di me.
- E’ sbagliato. Quello che vuoi fare è totalmente sbagliato… L andrebbe su tutte le furie. Lo sai, vero? -
Lo fissai con sguardo desolato:
- Ti prego, Mello… Farò di tutto per non fare in modo che questo ostacoli in nessun modo le indagini, ma, ti prego, almeno lasciam… -
- Sofia... – m’interruppe lui bruscamente.
- … Io non sono L. – e detto ciò mi lanciò il telefono, che afferrai al volo esibendogli un nuovo sorriso smagliante.
Digitai il numero di casa come un fulmine, temendo quasi che Mello potesse cambiare idea da un momento all’altro. Portai il cellulare all’orecchio con una mano e con l’altra cominciai a mordicchiarmi le unghie nervosamente.
Rispondi rispondi rispondi…
Primo squillo.
Rispondi rispondi… rispondi…
Terzo squillo.
Rispondi Sarah, rispondi! Ti prego!
Quarto squillo.

- Prooonto? -
- Sarah! Uh grazie Gesù! Sono io, Sarah! Sofia! La VERA Sofia! -
L’iniziale tono assonnato di Sarah si mutò velocemente in uno strillo:
- Lo sapevo! Lo sapevo! Chi cazzo era quell’altra troia che si spacciava per te? -
- E’ una storia troppo lunga da spiegarti adesso… -
- Ehi ehi aspetta un attimo. E chi mi dice che non sia tu un altro falso? -
- Ma come, Sarah! Sono io! -
- Okay, pseudo-Sofia, allora rispondi alla mia domanda… -
Sbuffai esasperata e alzai gli occhi al soffitto, mentre dall’agitazione balzai giù dal letto e cominciai a passeggiare avanti e indietro nella stanza, cercando di ignorare lo sguardo curioso e calcolatore di Mello che mi fissava nell’ombra:
- Okay Sarah, spara! -
- Come si chiama il mio primo amico gay? -
- Non hai mai avuto amici gay, anche se avresti sempre voluto. -
- Sì, è vero, ma questa era troppo facile. Un’altra… -
Sbuffai di nuovo:
- Sarah cazzo sbrigati! Non ho tutta la notte! -
- Veramente qui è mattina, ma comunque… -
Alzai il braccio libero in aria in preda al nervosismo.
- Se dico “film su camorristi da quattro soldi”… -
- Ti rispondo… Ehm. Devo per forza dirlo adesso? Non sono sola in questo momento… -
- Dillo, altrimenti non ti credo! -
Esibii una smorfia sofferente mentre passavo imbarazzata lo sguardo su Mello che a sua volta mi ricambiava con aria sera e curiosa al tempo stesso.
Chiusi gli occhi e cercai di dimenticarlo anche solo per qualche secondo:
- Ti dico padelle bollenti e un dito che ti apre il cu… -
- Oh Dio! Sei tu! Dove cazzo sei? -
Tirai un sospiro di sollievo.
- Sono a New York… -
- Da tuo zio? – chiese lei con tono scettico.
- No. Sono vittima di Bustri, Sarah. E’ un criminale e anche molto pericoloso. Ti è capitato di sentirlo o di vederlo in questi giorni? -
- Strano, questa domanda me l’aveva già fatta la falsa Sofia… -
- E quindi? -
- E quindi no, non ha chiamato, e non capisco perché dovrebbe venire lui di persona a casa nostra… Oh Dio, sei sua ostaggio? -
- No, no… Non più, almeno. Ti ricordi di L? L’investigatore privato più ambito del mondo che fu ucciso per il caso Kira in Giappone? -
- Sì… - rispose lei, con tono confuso.
- Adesso sono sotto la sua sorveglianza. E’ ancora vivo, e sta investigando su Bustri. -
- Dio… Santissimo… Ma come è possibile? -
- Già… -
- E tu… stai bene? -
- Io sì. Tu? Stai bene? -
- A parte la sbronza di ieri… Senti, adesso prendo il primo volo per New York e ti raggiungo. Dove ti tengono di preciso? -
- Non lo so… Non sono mai uscita da qui… So solo di essere in un grattacielo, di cinquanta piani. -
- Oh Sofia… E’ New York! New York è strapiena di grattacieli! -
- Sì lo so, ma… Non so dirti altro. -
- Okay, okay. Stiamo calme. L’importante è che adesso tu sia al sicuro. Mi racconterai tutto da vicino. Un modo lo troverò per capire dove sei e ti raggiungo. Te lo prometto. -
Presa dalla felicità di risentire le sue parole rassicuranti, smisi di gironzolare e mi lasciai di nuovo cadere sul letto di Mello, con fare stanco:
- Oh, Sarah… Grazie… -
- E dai, non essere stupida! Ti pare il caso di ringraziare!? Ad ogni modo ti ritroverò con questo numero se ti richiamo? -
Lanciai un’occhiata rapida d’intesa a Mello, che ricambiò al volo e annuì quasi subito… Ovvio, col suo udito super sviluppato da Spector aveva sentito tutto. Meglio così, allora…
- Sì. Almeno spero… -
- Okay… Sofia? -
- Dimmi… -
- Sta’ attenta, per favore. Non essere avventata. -
- Non preoccuparti. Ci sentiamo… -
- Okay. Ciao... -
- Ciao… -

Restai a fissare il telefono immobile per dei minuti forse, riflettendo su quelle poche cose che ci eravamo dette. Stava bene. Sarah stava bene. Sentii il petto diventarmi più leggero all’improvviso; anche l’aria mi sembrò d’un tratto più fresca, e la mente cominciò ad alleggerirsi.
Tirai un lungo respiro
- Ti senti meglio adesso, non è così? -
- Sì… - risposi a Mello, confusa.
Lo vidi di nuovo avvicinarsi e sedersi accanto a me ai piedi del suo letto, poggiando i gomiti sulle ginocchia come l’avevo visto già fare l’altra volta nel salone.
- Forse è meglio se ti spiego qualcosa su… noi Spector. – disse, guardando il vuoto.
- Devi sapere, Sofia, che noi Spector non dipendiamo da particolari bisogni. Forse l’avrai già notato. L’unico nostro, grande bisogno comune sai qual è? -
- Oh per favore, non dirmi che è il sangue perché la vita da vampiro non mi eccita per niente… -
Mello sorrise divertito:
- No, sta’ tranquilla. Noi siamo decisamente migliori. A noi… Basta l’aria. L’ossigeno è il nostro unico bisogno. -
Restai di sasso:
- Wow… -
- Ecco perché ad ogni respiro ti senti sempre più forte. Ecco perché non sentiamo mai la VERA fame, o il VERO sonno… Sono abitudini umane che possiamo mantenere, ma di cui potremmo vivere benissimo anche senza. -
Restai a fissarlo scioccata, mentre lui mi ricambiava con un sorriso beffardo.
- Ti faccio un esempio. Io da umano amavo incondizionatamente il cioccolato fondente. Ce l’avevo per vizio, anzi per vera e propria necessità, così come altri potevano vivere di sigarette. E saprai che dopo la trasformazione i nostri gusti si sconvolgono, si modificano o addirittura si invertono… Di fatti, all’oggi non mi faccio mai mancare una tavoletta di puro cioccolato bianco, che nella mia vecchia vita detestavo alla sola vista… ne avrai sicuramente notato una tavoletta sul tavolino, immagino; ma il punto è che non me lo faccio mai mancare non perché io abbia davvero bisogno di mangiarne un po’ periodicamente, ma soltanto perché è il mio cervello che appena mi capita di essere alla vista di una di quelle tavolette mi fa ricordare come mi sentivo quando ne sentivo ancora la vera esigenza da umano, e mi dà ogni volta l’impressione di sentirmi di nuovo così, in quello stesso stato. In verità è solo una semplice illusione, Sofia. Un gioco beffardo della nostra mente… - si fermò per un secondo, prima di continuare:
- D’altronde, lo stesso non si può dire per i nostri pensieri. Le preoccupazioni ci appesantiscono la mente e la mente ci appesantisce il respiro. Di conseguenza… Poco ossigeno, poche forze, uguale: Spector pappamolle. Vuoi sapere il vero segreto per essere lo Spector più forte di tutti qual è Sofia? -
Annuii appena.
- Hacuna matata! Sai cosa significa no? -
- Mi… prendi… in giro? -
Al suono di quelle parole il sorriso di Mello scomparve, e i suoi occhi divenuti improvvisamente più luminescenti di una fiamma si schiusero in fessure taglienti.
Mi afferrò il mento con due dita, anche se non troppo forte in realtà, e mi portò il suo viso a pochi centimetri dal mio. Afferrai all’istante il polso della sua mano poco sotto il mio mento e quasi mi parve di sbriciolarlo per tutta la forza che stavo concentrando nello stringerlo.
- Ti sembro capace di dire bugie su una questione talmente importante? Ricordati che sono un detective, dopotutto. -
- E tu… - sibilai tra i denti:
- …ricordati che sono anch’io uno Spector, e non così stupido come sembra… -
- Se fossi stata davvero stupida… - sussurrò lui, avvicinandosi ancora di qualche millimetro in più al mio viso:
- … non saresti qui. Né nella mia camera, né in questo grattacielo, né da nessun’altra parte. Saresti morta. -
- E tu saresti stato più tranquillo per i fatti tuoi, giusto? -
- La mia non sarà mai una vita tranquilla. Mi piace così. -
Afferrai anche con l’altra mano il suo stesso polso e lo allontanai bruscamente in un attimo. Mi rialzai veloce e lasciai cadere il suo i-phone sul materasso accanto a lui, per poi voltarmi e dirigermi ancora più svelta verso l’uscita. Quel suo atteggiamento era diventato intollerabile per me. Dovevo andarmene.
- Sai, anche tu mi piaci Sofia… e parecchio, aggiungerei. – gli sentii dire proprio mentre varcavo la soglia della porta.
Mi fermai di riflesso, senza però voltarmi.
- … ma non sei fatta per me. Né io per te. Noi due siamo uguali, e questo non sarà mai un vantaggio per nessuno. -
Tenevo ancora le spalle verso l’intera stanza, immobilizzata dalle sue parole. Voltai appena il capo di qualche millimetro:
- Ed è per questo che mi stai aiutando? -
- No. Non solo, almeno. Semplicemente… mi ricordi me stesso. Quello che ero prima di morire. -
Non sapevo cosa poter dire o solamente rispondere, a quelle parole così inaspettate. Mi lasciò di sasso.
Certo che Mello era parecchio lunatico.
- Forse è il caso che ti avverta di un’altra cosa, comunque… - fece per continuare, ma io non gli diedi più tempo, stanca di tutte quelle parole, e fuggii subito via lungo il corridoio verso l’ascensore… e l’avrei anche raggiunto, se non fossi andata a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno.
- Ahia! -
- Kanade? -
- Ryuzaki? -
Solo allora riuscii a mettere a fuoco la sua sagoma nel buio.
- Che ci fai tu qui? – mi chiese lui con una lieve nota di sorpresa nella voce.
- E tu invece non dormi mai?! –
Improvvisamente le luci si accesero, e illuminarono l’intero corridoio in un secondo:
- Ryuzaki! – Mello ci stava rapidamente raggiungendo; lo sentii arrivare dal fondo del corridoio.
- A quanto pare nemmeno a te andava di dormire stanotte… Volevi tenerti impegnata? - sussurrò poi veloce Ryuzaki, in modo che potessi sentirlo solo io prima che Mello ci raggiungesse.
- C… Che? -
- Come mai da queste parti? –chiese Mello fermandosi appena dietro di me.
- Che strano… - rispose subito l’altro, passando l’attenzione da me a Mello con spietata freddezza.
- Com’è che qui siete tutti svegli? Non avrai per caso cercato di chiedere a Mello un cellulare per chiamare Sarah, Kanade? Mi sembrava di averti già chiarito la situazione… - continuò, fissandomi poi per qualche secondo con sguardo gelido.
- Infatti è venuta qui per tutt’altro… - rispose subito Mello, cingendomi la vita con un braccio e stringendomi forte contro la pelle nuda del suo busto. Avrei voluto reagire, allontanarlo, ma invece sapevo che non sarebbe convenuto a nessuno dei due, né a me, né a Mello… che avevo coinvolgo nei miei guai solo per interesse personale. Così lo lasciai fare, cercando di contenere la fitta di dolore che sentivo provenire dal profondo del mio petto.
- Sai, questioni molto… intime. – continuò lui, carezzandomi la schiena con dolcezza.
Gli occhi di Ryuzaki si fissarono sul viso di Mello attraverso sottili fessure taglienti, mentre le sue labbra si stringevano in una linea sottile. Vidi le sue mani chiudersi a pugno poco prima che le lasciasse sprofondare nelle tasche, ma poi sembrò subito calmarsi e annullò anche quei minimi segnali di irritazione che gli avevo appena notato in volto.
- Capisco. Allora tolgo il disturbo. – si limitò a rispondere in tono neutro, facendo segno di andarsene.
No… nonononono…
- Tanto avevamo finito… Volevi dirmi qualcosa riguardo le indagini, Ryuzaki? – gli chiese, mentre lui senza degnarmi di un altro sguardo ci voltò le spalle e si diresse di nuovo deciso e svelto verso l’ascensore.
Ryuzaki non gli rispose subito; le porte si spalancarono e lui entrò veloce senza voltarsi.
- Joe è morto. Di arresto cardiaco. – disse poi in tono gelido.

E senza darci nemmeno il tempo di rispondere, lasciò che le porte dell’ascensore si richiudessero alle sue spalle.

 

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Capitolo 11
*** Proposta ***


ANGOLO AUTRICE
Sì, stavolta l'angolo autrice lo faccio all'inizio! xD
In primis mi scuso per questo ritardo, ma potrete capirmi... Spero. Secondo, ho visto che il numero delle persone che seguono è un pochiiiino cresciuto, e sono contenta. Volevo ringraziarvi. :,)
Spero vi piaccia questa storia... Se si può definire tale. ,xD Ad ogni modo, vi consiglio di ascoltare Lana del Rey mentre leggete questo capitolo. A me ha dato molto. Soprattutto verso la fine, vi consiglio"Ride". Credo sia l'ideale per il finale di questo capitolo.
Ogni nuova opinione è sempre la benvenuta, ma in ogni caso... grazie infinite, anche solo per quei cinque minuti che spenderete/avete speso per questa storia.
Au revoir! <3


 

- Ma dico! - sbraitai appena un istante dopo il suono acustico dell'ascensore.
- Con tante scuse proprio questa dovevi inventarti!? - spintonai con forza Mello per allontanarlo, che dal suo canto mi lasciò fare senza proteste.
- Perché tutto questo fastidio? - rispose lui, curvando le labbra in un sorriso distorto.
Mi guardai le mani, in evidente imbarazzo. Mi ero tradita da sola.
- Oh! - esclamò lui, inarcando le sopracciglia con fare falsamente sorpreso:
- Ma era ovvio! C'è del tenero! -
Tirai un pugno dritto sul suo petto, infastidita. Ovviamente ne soffrì ben poco, non ci avevo messo abbastanza forza.
- N... No! Non essere ridicolo! - cercai di mantenermi calma e indifferente.
- ...Semplicemente mi dà fastidio fare la figura della sciacquetta di turno, tutto qui. -
- Avresti preferito che Ryuzaki sapesse la verità? Che sapesse che io ti ho dato il mio cellulare a prova di intercettazioni per chiamare la tua eccentrica coinquilina? - disse piano, con tono freddamente quieto.
- Potevi inventarti qualcos'altro. - mi limitai a rispondere, altrettanto gelidamente.
Vidi i suoi occhi raffreddarsi, nel senso che divennero d'un tratto più distanti e freddi mentre le sue labbra si stringevano e le sue braccia si incrociavano.
- Quello che ho usato era l'unica scusa che potesse reggere. Fine della discussione. -
Attese giusto qualche secondo, incenerendomi ancora con lo sguardo, poi si voltò per andarsene senza aggiungere altro.
- Perché era l'unica? - gli chiesi titubante, mentre andava via.
Lo vidi fermarsi sulla soglia della sua stanza, poggiò una mano sullo stipite della porta con aria inaspettatamente stanca e si voltò a guardarmi con uno sguardo totalmente nuovo, dopo un breve sospiro. Il suo fu uno di quegli sguardi che sono soliti celare grandi sofferenze e tormenti.
- Era l'unica scusa che potesse coinvolgere i suoi sentimenti, in modo da non farlo ragionare davvero lucidamente come suo solito. -
Restai a guardarlo scioccata, con tanto d'occhi sgranati e bocca spalancata.
Lo vidi sospirare ancora, prima di continuare:
- So cosa sta nascendo tra voi. E non perché qualcuno me l'ha detto o perché sono un detective. Lo so perché lo vedo, come potrebbe vederlo un altro ragazzo qualsiasi al mio posto. Si vede da mille miglia di distanza, che c'è qualcosa. - si fermò ancora, per qualche breve istante.
- Forse davvero non te ne sei ancora accorta, ma... Ryuzaki... - pronunciò il suo nome con freddezza:
- … con te non è più se stesso. Non è più lucido, non ragiona più come dovrebbe fare un investigatore privato. Da quando ti ha vista per la prima volta qualcosa in lui ha cominciato a cambiare, e sta continuando a cambiare sempre di più. Tu non hai idea... Non hai proprio idea, di cosa ha fatto e sta continuando a fare per te, ogni giorno. E se c'è qualcosa che tu possa fare, per il bene di tutti se non del mondo intero, è solo una la scelta: stargli alla larga. -
Quelle parole le sentii lacerarmi lo stomaco come profonde coltellate:
- I... Io... -
- Non mi devi dire niente. Non mi servono le tue giustificazioni. A me serve risolvere il caso. Ryuzaki con te non è più un vero detective, e se lui non è più un vero detective... L avrà un sacco di problemi. E ora lasciami cambiare, devo subito scendere al decimo piano e vedere come dobbiamo affrontare questo nuovo problema... -
- La morte di Joe è così tanto un problema? - pensai ad alta voce.
- Sofia... E' morto di arresto cardiaco. -
- E quindi? -
Mello sbuffò con fare esausto, alzando gli occhi al soffitto:
- E quindi l'idea dei falsi nomi di Ryuzaki forse non è più tanto una cattiva idea. D'ora in poi tieniti stretta il tuo vero nome. Potrebbe costarti la vita con un nuovo Kira nel mondo. - e detto ciò, non aspettò più una mia risposta ed entrò nella stanza senza tante cerimonie, sbattendosi la porta alle spalle.

Tutte quelle parole e tutti quei pensieri mi stavano dando alla testa; mi diressi quasi meccanicamente nell'ascensore e tornai a quello che sarebbe stato il mio nuovo appartamento. Avanzai nell'ombra senza problemi, trascurando ogni minimo dettaglio del luogo, e una volta raggiunto di nuovo il mio letto mi ci buttai a peso morto.
Con te non è più se stesso... Non è più lucido... Stargli alla larga...
Ma come potevo stargli alla larga, in quelle condizioni? Ormai ero perduta, ormai una parte di me stessa mi aveva definitivamente lasciata, lo sentivo, forse era la parte di me più importante, ed io sapevo dov'era rimasta: tra le sue labbra.
Caddi in un sonno profondo quella notte, immerso nei tormenti e nelle lacrime.
L'ultima immagine fissa incisa nella mia mente, fu quella di Ryuzaki mentre mi diceva di non avere mai amato prima di allora. Ne parlò come se fosse la cosa più semplice e normale di questo mondo... ma i suoi occhi brillavano, mentre lo diceva.
Il mio risveglio, tuttavia, non fu poi così agrodolce come il mio riposo.
- Signorina... Signorina Kanade! -
- Mmmhh... -
Cominciai a ricollegarmi al mondo reale gradualmente, e sentii delle grosse mani toccarmi delicatamente una spalla:
- Signorina Kanade, suvvia, si svegli! -
Sbattei più volte le palpebre mentre vidi d'improvviso la luce accecante del sole inondare l'intera stanza, compresa me.
- Smithers? -
- Sì, signorina, sono io. Come mai ancora a letto? -
Mi rialzai riluttante sui gomiti, ignorando le mie lunghe ciocche di capelli ribelli che mi ricoprivano quasi completamente il viso.
- Beh, cos'altro potrei fare se non dormire? Mi avete carcerata! -
- Su, su! Si sistemi quei capelli, si dia una ripulita e soprattutto si dia da fare! -
- Da fare cosa, visto che non mi è concesso far nulla? -
Restai a guardarlo mentre sistemava accuratamente le tende della finestra, ormai spalancata. Indossava un completo professionale quel giorno, di un grigio che richiamava molto i suoi occhi dal color del ghiaccio; aveva i capelli in ordine e un paio d'occhiali diversi, più spigolosi e geometrici. Sembrava quasi un'altra persona. In un certo senso, mi ricordò Bustri.
Impeccabile uomo d'affari, bello nonostante la matura età e soprattutto sicuro di sé. Forse era quell'ultima caratteristica che mancava a Smithers per essere a tutti gli effetti uguale a lui; si notava la sua incertezza nella postura, nel modo in cui camminava o muoveva le mani...
- Signorina Kanade? Mi sta sentendo? -
- Scusa, Smithers... - gli dissi, ancora frastornata.
Mi decisi a darmi quanto meno un aspetto presentabile, mi sistemai al meglio che potevo al momento i capelli, liberando così finalmente la mia faccia, mi stirai con le mani la canotta ormai tutta stropicciata e mi sfiorai le guance con le dita, nel vano tentativo di eliminare le scie di trucco che sicuramente si erano formate in viso nella nottata.
- La pregherei di non chiamarmi più col mio vero nome. L ha provveduto a darne uno nuovo a chi ancora non lo aveva... -
- In pratica a me e a te. - risposi acidamente.
- Più qualche agente di servizio. - continuò lui, finendo con le tende e concentrandosi su di me, ancora seduta sul letto.
- Ora può chiamarmi Shiro. - disse con un mezzo sorriso, incrociando le braccia in petto.
- Ed io? Come potrò chiamarmi adesso, Mila? -
- A lei rimane il nome affibbiatole da Ryuzaki, Kanade. -
Non sapendo come reagire, mi limitai a sbuffare con aria infastidita:
- Chi ti ha mandato stavolta, Shiro? - pronunciai il suo nome con pungente sarcasmo.
- Svegliata con la luna storta, stamane? - rispose lui, avvicinandosi cautamente al mio letto.
- Mh, conosci così bene l'italiano? La “luna storta” rientra nelle lezioni canoniche dei madrelingua? -
- Non ci crederà... Ma ho madre italiana, e ho passato più della metà della mia vita lì. Almeno fino a quando L non mi ha assunto... -
- Ah! Meridionale?-
- Purtroppo no, sono del trentino. -
- L'avrei giurato! - esclamai, rincuorata dall'idea di avere a che fare con qualcuno della mia stessa nazione. Certo, in quel momento non c'entrava minimamente niente, ma era pur sempre un conforto dato da un insensato patriottismo improvviso. O forse era la disperazione a ridurmi così. Probabilmente sarà stato così.
- E adesso si dia una mossa! - esclamò di nuovo lui.
Io sospirai:
- Non hai paura di stare nella stessa stanza da solo con uno Spector, Shiro? - sibilai, tornando scontrosa.
Una delle cose che più non riuscivo a sopportare era sentirmi dire da qualcuno cosa dovevo fare.
- Ho affrontato Spector in tenera età molto più intrattabili di lei, signorina. E penso che lei già sappia a chi mi riferisco. -
Mello.” scattò subito il mio cervello.
Ripensare a lui mi fece sentire improvvisamente di nuovo triste e angosciata, quasi prendessi parte a quella misteriosa aria di dolore che lo accompagnava in ogni momento. Chissà quanta sofferenza si celava dietro la sua freddezza e il suo sarcasmo...
- Comunque, per quanto possa sembrarle strano, Near ha chiesto di lei all'undicesimo piano. -
- Undicesimo? -
- E' il suo appartamento. -
- Ne ho abbastanza di investigatori dal carattere difficile, almeno per il resto della mia vita. -
- E invece se io fossi in lei ci andrei. - ribatté subito Smithers.
- Forse è la volta buona che vada d'accordo con qualcuno... -
- Con me no sicuro. - borbottai.
- Lei dice? Invece io nutro buone speranze. -
- Sei l'unico, allora. -
- Bando alle ciance! Si dia da fare! - esortò lui con aria benevola.
- Forse non mi sono spiegata bene... - sibilai ancora.
- … Io non vado da nessuna parte! - urlai, con rabbia.
Smithers, o meglio Shiro, restò a fissarmi impassibile per un intero minuto forse, prima di rispondere:
- Oh, va bene... - si voltò e avanzò di qualche passo verso l'uscita.
- Desumo che non le interessa sapere cosa avrà da dirle... Anche se potrebbe riguardarle strettamente.... Va bene, non c'era mica bisogno di agitarsi... -
Sapevo bene cosa stesse facendo... Voleva convincermi in altro modo. Pensava forse di riuscirci?
- Ci sarà anche Ryuzaki? -
La domanda sembrò sorprenderlo, ma non si lasciò scomporre più di tanto.
- No, non credo... Ha detto che oggi non avrebbe voluto essere disturbato per nessuna ragione. Resterà tutto il giorno a controllare alcuni video di sorveglianza e non si sarebbe mosso dal suo appartamento. O almeno così ha detto. -
Si voltò appena un attimo per guardarmi negli occhi, prima di uscire dalla stanza:
- Allora... Io vado. Le farò sapere se ci saranno novità. - e sparì verso il corridoio.
L'idea di affrontare un ennesimo asociale detective non mi entusiasmava per niente; d'altra parte però, per ridursi a chiedere di me, significava che Near aveva davvero qualcosa d'importante da dire... o forse, da sapere.
- Sm... Shiro? -
Sentii il rumore dei suoi passi interrompersi.
Se Smithers aveva davvero pensato di riuscire a convincermi in quel modo...
- Sì? -
- Dì a Near che scenderò da lui fra massimo un'ora. -
… Beh, ci aveva visto giusto.
Non sentii una sua risposta, Smithers si limitò a raggiungere l'ascensore e andarsene in silenzio... anche se in fondo sapevo bene che dietro quel silenzio si stava celando un sorriso sghembo di vittoria.
Decisi così di alzarmi e mi diressi in primis verso la finestra spalancata. Il perenne suono di clacson e l'aria afosa e pesante furono le prime cose che colpirono la mia attenzione, insieme ai colori accesi e sfavillanti del panorama: taxi gialli, cartelloni pubblicitari di ogni colore e misura, ma soprattutto... Miriadi e miriadi di persone. Con la mia nuova vista ci misi poco ad inquadrarle una ad una. Quella gente variava da persone serie dall'aria professionale in giacca e cravatta, con tanto di telefono all'orecchio, fino a ragazzi in jeans larghi e magliette stracciate. C'era di tutto, su quei marciapiedi, e ciò risvegliò in me una sensazione così forte di disorientamento che mi resi conto di non averla mai provata prima.
Ero piccola, così piccola, rispetto al resto del mondo... Rispetto a tutto quello.
Chiusi gli occhi ed indietreggiai, cercando di concentrarmi sugli aspetti più pratici del momento: primo, dovevo darmi una bella lavata; secondo, cambiare i vestiti.
Dopo una breve doccia, ancora con i lunghi capelli bagnati ma stavolta munita almeno di intimo sotto l'asciugamano (non fosse mai che ricapitasse di nuovo lo spiacevole episodio di Ryuzaki con in mano il mio intimo!), mi diressi veloce verso l'enorme armadio di legno scuro, di fianco la porta.
Spalancai le alte ante e ciò che vidi mi lasciò di sasso. Vestiti che non avevo mai visto prima erano riposti ognuno di essi su una gruccia: vi trovai di tutto lì dentro, dall'eleganza massima di un vestito lungo al casual giornaliero di gonne, minigonne e pantaloni. Aprii i cassetti poco più in basso, e altre magliette erano altrettanto ordinatamente riposte anche lì, di ogni colore e con ogni disegno e forma, insieme a jeans sportivi.
Solo alla fine, in basso a tutto, seminascosto nell'ombra, c'era il borsone con dentro la mia roba.
Lo tirai subito fuori contenta del fatto che non se ne siano sbarazzati senza il mio permesso, e richiusi con sgarbo l'armadio. Ricacciai la mia larga t-shirt bianca con la scritta nera: “NO PROBLEM”, una felpa a maniche lunghe che tirai su fino ai gomiti come mio solito, semplice, anch'essa nera con tanto di cappuccio largo, e poi jeans scuri e Converse bianche.
Tornai ad indossare il bracciale di Sarah, mi diedi giusto una sistemata di trucco, e incurante dei capelli ancora umidi mi decisi a scendere al fatidico “undicesimo piano”, chiedendomi mentre aspettavo che l'ascensore lo raggiungesse quale fosse la tonalità di colore che si potesse abbinare di più al dorato candido dei mie nuovi occhi, mentre mi fissavo per l'ennesima volta in quello stesso specchio.
Distolsi dopo poco lo sguardo, mordendomi nervosamente il labbro inferiore. Proprio non riuscivo ad abituarmici a quelle novità che ritrovavo in me stessa. Più le vedevo e più mi sembrava di allontanarmi da quella che ero prima.
Comincio ad odiarlo seriamente quest'ascensore...”
Driiiiin.

Undicesimo piano.

Non ebbi il coraggio di mantenere alto lo sguardo, così la prima cosa che notai d quel nuovo posto fu il pavimento: moquette grigia. Ovunque.
- Di solito un ospite educato dovrebbe essere abituato a salutare il padrone di casa... -
Alzai all'istante i miei nuovi occhi luminescenti e lo fissai: Near, accovacciato sul pavimento dietro infiniti pezzettini di puzzle. La stanza era completamente vuota; anche le vetrate enormi che avevo riscontrato in tutti gli altri appartamenti lì erano oscurate da lunghi pannelli scuri. Saranno state le dieci di pieno mattino in quel momento, ma lì dentro sembrava ancora notte inoltrata.
Le uniche fonti di luce erano file di lampade attaccate al soffitto, che tra l'altro riproducevano una luce diversa da tutte le altre; non erano dorate come nel mio appartamento, non scarlatte come quelle dell'appartamento di Mello o celestine come quelle dell'appartamento di Ryuzaki. Quella luce era bianca, anonima, fredda. Quasi riusciva a riflettere il cinismo vivido dei suoi occhi, che in quel momento mi fissavano così gelidamente.
- Non mi sembra di aver ricevuto un benvenuto... Se ti infastidiva così tanto ospitare una maleducata come me, perché non sei venuto a cercarmi nel mio appartamento, invece di pretendere che ti raggiungessi io? Ringrazia almeno che io abbia accettato... -
Near non rispose. Si limitò a fissarmi ancora immobile, in silenzio.
Inarcai le sopracciglia, sbuffai e incrociai le braccia in petto. Mi sentii terribilmente uguale a Mello in quel momento, con quella mossa così tipicamente da lui... Liquidai quel pensiero con rabbia e mi fissai su Near:
- Allora? Cosa volevi? -
Lo vidi esibire una smorfia di disappunto, prima che finalmente rispondesse:
- Ci servi. -
Rialzai un sopracciglio:
- Oh, ne sono felice. -
- Non mi sfugge il sarcasmo, Kanade, ma la realtà è questa. Dobbiamo scoprire se c'è realmente di nuovo un Death Note tra le mani di qualche umano, e per scoprirlo c'è bisogno di te. -
- Ma non ve ne siete liberati a suo tempo, di questo affare? -
- Sarà meglio che ti sieda... -
Passai a rassegna di nuovo l'intera stanza, quasi sperando che comparisse dal nulla un divano, da un momento all'altro. Per mio dispiacere ciò non accadde, così mi ritrovai a dover tirare giù le mie sopracciglia ormai arrivate fin sotto ai capelli, sospirare un irritato: -Okay... -, e sedermi a gambe incrociate sulla moquette grigia di fronte a lui. Una volta sistemata per bene, a schiena dritta e “petto in fuori”, poggiai i gomiti sulle gambe e lo guardai con aria interrogativa, a pochi centimetri di distanza. Lui non sembrò infastidirsi per nulla, rimanendo fermo e imparziale.
- Bene. Abbiamo scoperto poco prima che lo Spector Joe morisse che Bustri si trova qui a New York. Lo stesso Spector ha accennato ad un posto e ad una data. Sarebbe il caso che intervenissimo, ma mandare dei normali agenti sul posto significherebbe mandarli al suicidio, ed è un pericolo troppo grande per dei semplici umani. Così ho pensato: qui abbiamo delle vere macchine da guerra umane, perché non servircene? Mello andrà. Tu dovrai andare con lui e capire Bustri a che gioco sta giocando. E soprattutto dovete capire se c'è davvero un Death Note di nuovo su questo mondo. -
Aprii bocca per rispondere, ma lui mi anticipò:
- ...La risposta è no, Kanade. Di un Death Note non ci si può sbarazzare completamente. Lo abbiamo restituito al suo proprietario com'era giusto che fosse. -
Chiusi di nuovo la bocca, riflettendo su ciò che aveva appena detto.
Cosa ci avrei potuto perdere? Ormai ero quello che ero, come aveva appena detto Near ero “una macchina da guerra umana”, uno stupido appuntamento al buio non doveva spaventarmi. Eppure perché mi sentivo così agitata a quell'idea?
- Cosa ne pensa L di tutto questo? -
Il viso di Near divenne di pietra.
- E' d'accordo con me. -
- Mello e Ryuzaki? -
- Mello è già pronto per stasera. Quell'essere non aspetta altro. Ryuzaki lo stesso. -
- Mello starà con me? -
- Escludendo cambi di programma, sì, starà con te. Vi guarderete l'uno per l'altro. E' questo l'unico modo per far sì che quanto meno sopravviviate. Lo capisci, vero? -
Annuii meccanicamente, fissando il vuoto sovrappensiero.
Con Mello avrei potuto farcela.
- Quando è previsto l'appuntamento? - dissi con tranquillità, cercando di apparire quanto più spavalda possibile pur di nascondere l'ansia che intanto sentivo crescere orribilmente dentro me stessa.
- L'operazione è prevista per l'una in punto di stanotte, al Central Park. -
- Bene. - mi rialzai aggraziatamente da terra con uno slancio.
- Manda Mello nel mio appartamento allora. -
Feci per voltarmi verso l'ascensore, ma la voce di Near mi fermò.
- Kanade... -
- Cosa? -
- Potrebbe essere una trappola. Anzi, lo è quasi sicuramente. Ne sei cosciente? -
- Sì. - sospirai, stringendo segretamente i pugni.
Allora mi voltai per davvero, e mi diressi all'ascensore. Quando le porte si riaprirono girai di nuovo lo sguardo alle mie spalle, su Near.
Era già tornato ad ignorarmi, concentrandosi sul suo puzzle. Per un istante mi parve di vedere un semplice bambino un po' cresciuto, che si aggrappava ancora a quel che poteva rimanere della sua infanzia ormai strappatagli da tempo, con quel puzzle che per lui non avrebbe avuto mai fine. Un puzzle incompleto che lo avevo reso quello che era allora, un genio. Già, perché oramai era tutta lì, la sua vita, dispersa tra milioni di pezzettini di carta di un enorme puzzle sempre incompleto.
Fissandolo mi chiesi a quanti bambini fosse stata tolta la gioia dell'infanzia a quel modo e a quello scopo, e se dopotutto ne potesse mai valere davvero la pena.
No.” mi dissi quasi subito.
Non ne varrà mai la pena per davvero.
Immersa in quei pensieri restai immobile a fissare Near forse per dei minuti.
- Che c'è? - gli sentii dire ad un certo punto, risvegliandomi dai miei pensieri.
Near era tornato a fissarmi, e non tanto amichevolmente.
Grazie per avermi chiesto di far parte ad una missione suicida con così tanta gentilezza.” gli avrei voluto rispondere con tagliente sarcasmo.
- Niente. - mi limitai invece a rispondere.
Entrai nell'ascensore e lasciai che le porte di richiudessero senza aggiungere altro, mentre una prima lacrima cominciò a scivolare sul mio viso spento.

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Capitolo 12
*** Mostrami ***


Tornata al mio appartamento mi lasciai subito abbandonare sul divano che L mi aveva ormai gentilmente concesso, e mi consolai del silenzio confortante di quell'appartamento, con triste rassegnazione.
Non ebbi le forze per visitarlo tutto, nonostante a quanto pareva sarebbe diventato ufficialmente di mia proprietà... almeno in un certo senso. O per meglio dire, non avevo le forze mentali per affrontare altre novità del genere, perché d'altra parte di forze fisiche ne avevo eccome.
Passai forse un'ora o più, stesa su quei cuscini rossi di velluto, osservando il resto della stanza: le vetrate erano lì, di fronte a me, grandi quanto l'intera parete, ed erano contornate da candide tende rossicce, quasi color rame. Dovevano essere di seta molto probabilmente. Le larghe mattonelle del pavimento erano chiare e a forma ottagonale. In effetti erano molto curiose in sé, ma in fin dei conti davano maggiore eleganza ed originalità a tutta la stanza. Il tavolino poco più avanti il divano su cui ero stesa e abbandonata era moderno e di vetro. La ceneriera che vi era riposta sopra avrebbe fatto inorridire Sarah, poco ma sicuro. Da grande fumatrice sfegatata quale era, ci teneva sempre che le sue cicche fossero riposte in una ceneriera come si deve; e quella riposta su quel tavolino era troppo semplice, di terra cotta e bordeaux. Sarah l'avrebbe definita anonima, e forse avrebbe avuto anche ragione. Un'altra cosa che notai fu che non c'erano televisioni lì. Che noia. Fortunatamente almeno c'era una grossa libreria, sulla parete di fianco. Chissà se c'era anche Fleur du Mal...
- Kanade!! -
Quel grido fu così forte e improvviso che balzai all'istante dal divano. Mi colse così sovrappensiero che non avevo sentito nemmeno prima di lui il campanello dell'ascensore.
- Chi? Che cosa? -
- Cosa penseresti di fare, eh? - esclamò Ryuzaki con tanto d'occhi sgranati, esibendo subito un indice predicatorio su di me mentre che intanto avanzasse lentamente.
- Ma, cosa!? - esclamai a mia volta, confusa.
Lo vidi continuare ad avanzare ancora fino ad un palmo dal mio naso, nonostante avessi già praticamente spiaccicato la mia schiena contro lo schienale del divano. Aveva ancora il suo indice puntato dritto sul mio viso, e restò a fissarmi così per attimi eterni senza dir nulla.
- M... Ma... - con lui così vicino alle mie labbra non riuscivo a proferire una sola parola come si deve.
- C... Che c'è? - riuscii a sputare d'un fiato solo dopo un po' che vedevo che lui continuava a non dire nulla.
- Possibile che non capisci? - scoppiò di nuovo lui, allontanandosi e fissandomi in piedi, dall'alto, con occhi pieni di disapprovazione.
Wow. Ero riuscita a suscitare veri sentimenti umani in lui, allora. Certo non era proprio amore... ma era pur sempre un sentimento da umano.
- Ma di che diavolo parli!? -
Lo vidi sbuffare, alzare gli occhi al cielo e portarsi una mano nei capelli, mentre mi voltava le spalle, faceva due passi e poi si voltava di nuovo verso di me tornando a fulminarmi con gli occhi.
Attesi qualche secondo aspettandomi una sua risposta, ma non arrivò. Inarcai le sopracciglia per incentivarlo, ma niente.
- Allora? -
- E' una trappola! Come puoi davvero non pensarci? -
Eh!?
- Ryuzaki... - rimasi di stucco.
Allora era quello, il suo problema? Non credevo minimamente che potesse importargliene di me fino a quel punto, e la cosa mi colse di sorpresa.
- N... Near... -
- Near doveva dare conto a me, prima di parlarne con te. - sottolineò la parola “me” con superba superiorità.
- Che io sappia dovete dare tutti conto ad un'unica persona qui, ovvero L. - sbottai.
Lo vidi aprir bocca per replicare, ma non proferì parola. La richiuse dopo pochi istanti.
- … ed L è d'accordo. - dissi poi, gelida.
- E poi... - mi alzai in piedi e incrociai le braccia in petto, fissandolo dritto negli occhi seminascosti dalla chioma scura.
- Cosa potranno mai farmi? Sono una Spector... Una macchina da guerra umana, mi definisce addirittura Near! No? -
Ryuzaki sospirò di nuovo:
- Ci sono metodi di cui Bustri si serve che nemmeno noi siamo in grado di conoscere. Ricordati... - avanzò qualche passo verso di me, tenendo gli occhi fissi nei miei.
- … che è stato lui a renderti quello che sei oggi. Saprà sicuramente anche cosa potrebbe procurarti pene e sofferenze che noi possiamo solamente immaginare. Non devi mai sottovalutare il nemico, Kanade, mai. - si fermò ad un paio di passi da me.
Continuava a scrutarmi, quasi fosse convinto di potermi far cambiare idea anche solo con lo sguardo. Ed io quasi l'avrei fatto, per quegli occhi.
D'altro canto avevo un conto in sospeso con quel Bustri, e tante domande che cercavano ancora risposte che solo lui poteva darmi, senza tener conto che finalmente sarei potuta uscire da quell'immenso grattacielo che mi teneva imprigionata già da troppo tempo.
- E tu non sottovalutare me, Ryuzaki. Non mi conosci. -
- A questo punto lo spero... - rispose a voce bassa e in tono di resa.
- ...perché se così non fosse, mi costringerai a dirti che avevo ragione. Sempre ammesso che tu sopravviva. -
Senza nemmeno accorgermene avevo superato quei due passi che ci separavano e ora riuscivo di nuovo a sentire il suo profumo, il suo respiro.
Lo sentii sospirare per l'ennesima volta, mentre scostava di poco il volto.
- Kanade... Tu... - sembrò incespicarsi nelle sue stesse parole.
- Non preoccuparti, se la tua paura è che io ti baci di nuovo, non lo farò, sta' pure tranquillo. Non mi lascio rifiutare due volte. - risposi dal canto mio, con inaspettata freddezza.
Non sopportavo quella situazione, vedendolo costretto ad allontanarsi da me con quell'atteggiamento così... strano. Era in evidente disagio, e lo vedevo bene, così decisi di voltargli le spalle e andarmene nella mia stanza lasciandolo lì da solo.
- Tu mi fai sragionare. - gli sentii dire ad un certo punto come un lamento, mentre raggiungevo l'arco del corridoio.
Mi bloccai all'istante. Certo, quella era una di quelle frasi che mai mi sarei aspettata di sentirmi dire, da lui. Mi voltai a guardarlo con aria sconvolta.
- C... Cosa? - dissi con appena un filo di voce. Eppure era tutta quella che in quel momento riuscivo ad avere.
Lo fissai con aria sconvolta.
I suoi occhi non erano mai stati così sgranati, e le sue sopracciglia mai così aggrottate. Il suo sguardo sembrava perso nel vuoto eppure era rivolto verso di me. Forse si era perso nell'abisso che aveva visto nascere dentro di me, e io ancora non lo sapevo.
- Io... Non sono mai stato così. - disse poi, stranito.
Stargli alla larga...” le parole di Mello mi balenarono violente nei pensieri.
Tutto quel suo discorso su me e lui... si stava rivelando vero. Ryuzaki non era davvero così come in quel momento era con me, ormai era certo, e quasi m'impauriva pensarlo diversamente.
- Ryuzaki... Io ci ho pensato. - esordii, cercando di reprimere il tremore delle mie mani e il battito accelerato del mio ormai gelido cuore da Spector.
- Dopo questa operazione... Voglio andarmene. -
- Non puoi. Te ne ho già parlato. -
- Ed io voglio riparlarne. - risposi subito, decisa.
Lui mi fulminò con gli occhi ed io feci lo stesso, richiamando tutta la mia “tenebrosità” possibile. Se voleva fare la gara a chi faceva più occhiatacce, non aveva possibilità di vincere.
Dopo qualche minuto fu lui ad interrompere, sospirando fortemente e alzando una mano per poi sprofondare nei suoi capelli.
- E' troppo pericoloso, Kanade... Solo qui sei al sicuro. -
- ...E solo qui potete controllarmi per accertarmi che non sia una spia di Bustri. Non è così? -
Lo vidi esitare, anche se solo per qualche breve secondo:
- Anche. Sì. -
Sbuffai rabbiosamente, alzando le braccia in cielo per l'esasperazione. Questo era davvero troppo.
- Ma è inammissibile! - sbraitai.
- Come potete anche solo pensare ad una cosa del genere!? E se così fosse, perché mi avreste dovuto proporre di partecipare a quell'operazione stramaledetta? -
- Mello è preparato a qualunque evenienza... -
- Ma come!? -
- Kanade, noi dobbiamo prendere in considerazione tutto. Capisci? Tutto. Ogni possibilità. Se sei una sua complice... Quando ti ritroverai lì ti comporterai in un certo modo. Se invece non lo sei... Si avvarrà la mia teoria della trappola. Comunque, le probabilità che tu sia una sua complice secondo i miei calcoli equivarrebbero ad una quota molto bassa... -
- Ah sì, hai fatto i tuoi calcoli in base a cosa, se posso chiedere? - sbottai ancora, sgomenta.
- Varie cose. - liquidò lui la domanda.
- E a quanto “equivarrebbero”? - dissi ancora, scimmiottando sarcasticamente la sua voce in preda al nervosismo.
- Al 5%. - rispose con spavalda tranquillità.
- Tu sei pazzo! - tornai a sbraitare io, senza controllo.
Cominciai a vagare avanti e indietro nella stanza:
- Stai calma... -gli sentii dire.
- Come cazzo posso stare calma!? Ma dico! Io non dovrei nemmeno essere qui! -
- ...Insomma, Kanade! Smettila di piagnucolare! - scoppiò lui all'improvviso.
Le sue urla mi sorpresero, a tal punto da quasi spaventarmi per davvero. La sua voce non aveva mai raggiunto un tono così alto e scomposto. Mi fermai a fissarlo con la bocca spalancata, accigliata.
Non riuscii a dir nulla, anche perché non ebbi nemmeno il tempo di formulare un sola parola prima che il suono acustico dell'ascensore rompesse il gelido silenzio che si era velocemente formato tra me e Ryuzaki; così Mello uscì da quell'ascensore e avanzò con aria spavalda e annoiata nella stanza. Indossava una camicia esageratamente sbottonata sul petto, pantaloni in pelle scuri e anfibi con borchie che richiamavano la sua cintura. Sembrava una nuova raffigurazione di una specie di “signore del male”, con quel look così dark.
In un primo momento non sembrò accorgersi di noi; solo quando raggiunse il divano e alzò lo sguardo si accorse che sia io che Ryuzaki lo stavamo letteralmente incenerendo con lo sguardo, e allora si decise a parlare:
- Oh. - esordì con aria stupita, sbattendo più volte le palpebre.
- Ho interrotto qualcosa? -
Alzai occhi e braccia al soffitto, dando poi le spalle ad entrambi e scuotendo furiosamente la testa.
- Me ne vado, me ne vado... - gli sentii dire.
- No Mello, resta pure. Sono io che non sarei dovuto uscire dal mio appartamento oggi, ed ho già trasgredito abbastanza i miei impegni per nulla. - sentii rispondere Ryuzaki con spietata freddezza e tranquillità, quasi come se di lì a pochi secondi prima non avesse dato un urlo da spaccare i timpani.
- Hai detto bene. - risposi io voltandomi di nuovo verso entrambi, che a loro volta mi guardarono con aria strana, cauta... Come se la pazza fossi io, lì dentro.
- ...Proprio per nulla. Stasera andrò al Central Park, e domani voglio discutere con L in persona. -
- L non ha tempo da perdere con te. - rispose subito Ryuzaki, cercando di mantenersi fintamente indifferente mentre invece i suoi occhi mi stavano divorando con furia.
- E invece dovrà perderlo, se vorrà trattare con me. Altrimenti sarà lui a perderci. -
-Trattare cosa, Kanade? COSA? - rispose lui, cominciando a far sentire di nuovo qualche nota rabbiosa nella sua voce.
- ...Trattare con il suo Spector/sospettato/prigioniera o come mi ritiene lui, sul fatto che me ne vado! Capito? ME NE VADO. Io sono una persona e deve darmi ascolto, se mi vuole ancora al suo fianco almeno nelle indagini. -
- Ma se non contribuisci in niente! -
- Perché tu non mi fai contribuire in niente! - urlai a mia volta, furibonda.
Passai lo sguardo da Ryuzaki a Mello, che intanto ci fissava con gli occhi sgranati e un sorriso distorto, meravigliato.
- Diglielo tu, Mello, DIGLIELO! E' vero che è colpa sua se non partecipo alle indagini? -
Mello alzò le mani in alto, scuotendo la testa e indietreggiando di un passo:
- Oh no, no, no... In queste discussioni io non ci voglio proprio entrare... Potrei non uscirne vivo. - concluse, guardandomi con quell'irritante sorriso divertito sulle labbra.
In quel momento avrei tanto voluto spaccargliele, quelle bellissime labbra.
Cominciai a parlare di nuovo continuando a tenere gli occhi fissi su Mello, sperando con tutta me stessa di riuscire a sbriciolarlo con lo sguardo:
- Ad ogni modo sappi che il mio è un avvertimento, Ryuzaki. O mi fai parlare con L, o io me ne vado lo stesso... Con la differenza che non mi vedrete mai più. - conclusi, incrociando di nuovo le braccia in petto con tanto di broncio e faccia seria.
- E tu credi che non abbiamo mai preso in considerazione l'idea che tu potessi scappare via? Credi davvero che non mi sia preparato anche per questa evenienza? Come si vede Kanade, che sei tu a non conoscere ancora me... -
Tornai a voltare la mia furiosa occhiataccia su Ryuzaki, con un sopracciglio inarcato.
- Non riuscirai a fuggire da quest'edificio. - insistette, con aria minacciosa.
- Lo vedremo. - ribattei.
Mello continuava a fissarci con gli occhi sgranati, evidentemente divertito. Ma di che rideva?!
Ryuzaki sbuffò per l'ennesima volta, alzando gli occhi al cielo e voltandomi le spalle:
- Questo non è un gioco, Kanade... - disse poi, con tono cupo.
Avanzò verso l'entrata dell'ascensore, ancora aperto, poi si voltò e prima di premere il pulsante del suo piano, continuò:
- Vuoi andare al Central Park? Per te è una passeggiata, o almeno così pensi, non è così? Beh, va' pure. Ma non aspettarti nessun riconoscimento, se ne uscirai viva. - e detto ciò, pigiò il dito su uno dei pulsanti e le porte si chiusero davanti a lui senza darmi nemmeno il tempo di rispondergli.

E vorrebbe cavarsela così? Con quest'uscita di scena degna di un Oscar!?”
Avrei voluto fare a pezzi il mondo intero in quel momento. Ma tra le mani avevo solo... Mello.
- Tu! Brutto figlio di puttana io ti spacco la faccia! - dissi, catapultandomi diretta su Mello furibonda.
- Ehiehiehiehi! Calma eh! Io non c'entro niente! -
- “Io non c'entro niente!” - scimmiottai, una volta fermatami ad un passo di distanza da lui.
- Ti calmi o no?! -
- Tu non sei nessuno per dirmi che devo calmarmi. - sibilai a denti stretti.
- Infatti non era un ordine, ma solo una domanda a puro scopo informativo. Se ne hai ancora per molto, magari torno più tardi... -
- Eccone un altro! -
- Che c'è?! -
- Ma come fai a lavartene sempre le mani, di ogni fottutissima cosa!? -
- Ehi, vacci piano con le parole okay, tigre? Io non mi lavo le mani delle cosa importanti... - sottolineò.
- …e non voglio entrare in merito a questioni che non mi riguardano. - concluse, con tranquillità.
- Se solo tu non fossi uno Spector... - borbottai sgomenta, allontanandomi da lui e raggiungendo il corridoio.
- Che fai? Dobbiamo parlare di questa notte! -
- Va' a farti fottere tu, Near, Ryuzaki, L e tutti gli altri psicopatici di questo posto infernale! Compresi parenti e famiglie fino alla settima generazione! - urlai, mentre continuavo a camminare dritta lungo il corridoio.
- Suvvia, Kanade! Vuoi tornare a ragionare? - gli sentii urlare dal salone, mentre io entravo nella mia stanza.
- Dai, parliamone... - disse poi con tono più calmo e pacifico.
- Ti avviso, ti sto raggiungendo in camera... Vengo in pace! Okay? - sembrava stesse avendo a che fare con un animale selvatico.
Come se poi un animale selvatico potesse capirlo!
Mi fermai appena dopo l'entrata della mia stanza, senza però dir nulla in risposta alla sua domanda.
- Okay, come si dice lì da te? Aspetta... Chi tace... acconsente? Sì, chi tace acconsente, quindi lo prendo come un sì... - sentii la sua voce farsi sempre più forte man mano che avanzava nel corridoio. Sentivo addirittura lo scricchiolio dei suoi anfibi che avanzavano sulle piastrelle lisce.
Sospirai quanto più silenziosamente possibile, cercando di darmi una calmata.
Chiusi gli occhi ed attesi.
Ecco, ora era alle mie spalle, lo sentivo. Sentivo addirittura il suo calore arrivare fin sotto i miei vestiti, quasi come se sfiorasse per davvero la pelle della mia schiena.
Sentii le sue mani carezzarmi lentamente le spalle, e il suo viso ad un fiato dal mio.
- Ciao. - sussurrò poi, con tono gentile.
- ...Ti sei calmata? -
Sospirai ancora, cercando di eliminare del tutto la tensione che sentivo ancora pervadermi i sensi.
- Mh? - continuò lui.
Ora sentivo le sue labbra sfiorarmi la guancia... E non riuscivo più a capire se la tensione che provavo in quel momento fosse quella reduce della sfuriata con Ryuzaki, oppure fosse dovuta a qualcos'altro... Tipo Mello, che mi aveva praticamente stretta a sé con quel suo fare improvvisamente così... diverso.
Ci stava forse provando?

Ed io forse lo stavo facendo fare?
Ma in fondo... Cosa sarebbe cambiato? Ryuzaki non era fatto per me. Ryuzaki non era fatto per nessuno. Quindi, cosa sarebbe cambiato? Non potevo stare con l'uomo che amavo, cos'altro mi rimaneva?
Una dignità.” rispose all'istante la mia coscienza.
Già. Cosa mi stava passando per la testa? Forse era tutta quella situazione così... contorta, così strana... che mi stava divorando anche quel poco della vecchia Sofia che mi rimaneva. No, non dovevo fare in modo che mi abbandonasse anche quell'ultima parte. Non doveva succedermi. Non potevo abbandonarmi.

- Mello, sarei molto grata se allontanassi le tue mani dal mio corpo... Prima quelle, e poi anche il resto. Se permetti. - lo strattonai e mi liberai dalla sua presa. Con mia grande sorpresa lui mi lasciò fare senza alcun tipo di opposizione, restandosene semplicemente calmo e in silenzio. In effetti non me l'aspettavo.
Mi allontanai da lui di qualche passo, prima di voltarmi per guardarlo dritto negli occhi.
Mi fissò con sguardo assorto, dritto nei miei. I suoi ora erano blu cobalto, di una tonalità che quasi avrei potuto giurare di non aver mai visto prima. Cercai di tenere il suo sguardo col mio, in parte stregata dalla profondità di quegli occhi. Sembrava soffrisse per davvero, dietro quel blu cobalto. Eppure le sue labbra sorridevano.
Alla fine distolsi lo sguardo, puntandolo dritto sul pavimento:
- Di cosa dobbiamo parlare? Credevo fosse semplice la questione di stanotte. Si va lì, si aspetta Dio solo sa cosa, si reagisce, diamo un calcio in culo a Bustri e finisce lì. No? -
- Magari fosse così semplice... -
- Lo è. -
- Sei proprio come me... - gli sentii dire, sorridendo di gusto mentre scuoteva la testa.
- Hai mai pensato di avere ancora qualcos'altro da sapere a proposito delle tue nuove capacità? -
La domanda mi colse alla sprovvista.
No. Eccola la risposta.
- Immagino di no. Beh, prima di andare in avanscoperta sarebbe il caso che le conoscessi tutte, quanto meno... -
- Oh... - riuscii solo a dire, accigliata.
- Già. -
- E... Come...? -
- Ci penserò io a spiegarti tutto, e te lo farò anche provare. Oggi ti aspetta una dura giornata di allenamento! -
- Oh che bello. - borbottai, alzando gli occhi al cielo.
- Se fossi in te sarei davvero entusiasta. Non disdegnare così presto la tua nuova... “te”. - esibì un altro sorriso.
Ma sorride sempre?!
- Okay... - sospirai rassegnata.
- Dammi solo un attimo, okay? -
- Ci alleneremo in un bel posto... - disse con aria compiaciuta.
Lo guardai scettica.
- Non potrai andarci da sola, per cui... Tornerò fra un quarto d'ora. Non di più! - continuò, alzando l'indice come una maestrina fa ad un suo alunno.
- Usciremo dall'edificio? -
- Mhhh... Tecnicamente sì. -
L'idea di respirare aria fuori da quelle mura mi diede subito alla testa:
- Okay! Ci vediamo fra un quarto d'ora! - dissi subito, spintonandolo fuori dalla stanza.
- Ehiehiehi okay! Me ne vado! Non c'è bisogno di spingere! -

Feci di tutto pur di trattenere le risa che sentivo crescere sulle mie labbra, o almeno feci il possibile per nasconderle a Mello. Forse non erano nemmeno risa sincere, di quelle che si fanno quando ci si diverte. Probabilmente erano più risa di isteria... Ma che importava? Si ride per non piangere!
Lo vidi allontanarsi lungo il corridoio. Arrivato alla fine si voltò verso di me, che intanto lo osservavo dalla porta, e mi fece l'occhiolino.
- Era un occhiolino quello? - chiesi vagamente perplessa, ormai tra un sorriso e l'altro.
- Cosa credi? Io ci so fare con le donne! Non sono mica come Ryuzaki! A proposito... - indietreggiò ancora di un passo.
- Già litigate come marito e moglie? -
In preda di nuovo alla rabbia presi la prima cosa che mi capitò sotto mano e gliela tirai contro. In quel caso, lo spiacevole compito capitò ad una pantofola che fino a poco tempo prima non avevo nemmeno minimamente notato.
Gliela scaraventai contro e ancora prima di vedere se lo avessi colpito o meno entrai di nuovo nella stanza e chiusi con rabbia la porta alle mie spalle.
Serrai subito gli occhi per concentrarmi al meglio sull'udito: bam, solo un rumore secco. Forse c'ero riuscita...
- Mancato! - gli sentii urlare con tono divertito.
- Ahh! - sbraitai fra me, alzando le braccia al cielo.
Possibile che con tutti i poteri da Spector che dovrei avere non sono capace di centrare una persona!? Dannato Mello! Dannato Ryuzaki!
Tra una maledizione e l'altra, mi scappò un altro sorriso. Certo che almeno Mello riusciva a farmi sorridere, nonostante tutto. Forse non era poi così male come mi era parso all'inizio...

- Arrivati! - esclamò Mello, uscendo dall'ascensore poco prima di me.
Tornò a prendermi precisamente dopo quattordici minuti. Era davvero un fissato allora. Ero riuscita appena a cambiarmi i pantaloni per qualcosa di più comodo, come dei leggins.
Una volta entrati insieme nell'ascensore poi, tutte le mie vere speranze di allontanarmi da quel grattacielo morirono. Ebbene sì, gli allenamenti si sarebbero tenuti sul palco dell'edificio. Avrebbe fatto bene Mello a precisarlo sin da subito, che saremmo stati sopra l'edificio, e non fuori.
Anche lui si era cambiato, ora indossava una semplice t-shirt bianca a mezze maniche e dei pantaloni da ginnastica scuri. Senza dir nulla, ricacciò dalla tasca una chiavetta simile ad una USB, e la inserì in una piccola fessura poco sotto la fila dei pulsanti che corrispondevano ai piani del grattacielo.
- Solo con questa si può raggiungere il palco... - mi disse, esibendola ad un palmo dal mio naso. Era piccola... e blu. Nient'altro di così significativo. Eppure aveva un certo ruolo importante...
E così, nel silenzio del mio scontento e del suo divertimento, arrivammo a questo fatidico palco. E in qualità di palco, non aveva proprio niente di speciale. Nemmeno (e soprattutto) le ringhiere.
- Sarà sicuro non avere quanto meno le ringhiere? -
- Kanade... Qui sopra non ci sale nessuno, a parte me e adesso te. E noi siamo Spector, non dimenticarlo. -
Per quel che mi riguardava poteva dire ciò che voleva, ma l'idea di ritrovarmi a cinquanta piani da terra senza protezione mi metteva comunque una certa tensione, e anche abbastanza difficile da gestire.
Avevo da sempre sofferto le vertigini, almeno nella mia precedente vita, quindi in quell'occasione trovarmi così in alto non mi aiuto per niente.
Vidi Mello correre fino al centro dello spiazzo. Non ci mise molto. Anzi, ci mise appena tre secondi. Quella visione mi sbalordì, nonostante dovessi ormai aspettarmelo da uno Spector.
L'aria lassù era calda e in quel momento tirava appena qualche leggero alito di vento, forse perché era un orario molto caldo o forse perché in America il vento non si comportava come in Italia, ovvero soffiare sempre di più man mano che si aumentava l'altitudine. O forse questi pensieri erano solo frutto di un forte senso di panico che mi stava assalendo.
Mi bloccai a metà strada tra le ante dell'ascensore, ancora aperte, e Mello, ormai completamente terrorizzata.
Mello si voltò verso di me e, sorridendomi, mi porse la mano. A tre metri di distanza.
Il vento gli scompigliava appena i capelli e il sole di primo pomeriggio lo illuminava così intensamente da farlo sembrare quasi un angelo, con quelle sfumature dorate che evidenziavano ancor di più il rossiccio della sua chioma, e la sua pelle che aveva preso qualche tonalità più dorata.
Sembrava mi stesse sorridendo per davvero in quel momento, che quasi sembrava realmente felice. Eppure non stava accadendo nulla. Assolutamente nulla. Era lì, sperduto, con una sconosciuta a cui doveva insegnare di nuovo tutto. Come con una bambina che doveva imparare di nuovo a camminare, e a muovere i primi passi. Cosa c'era da essere così felici?
Cosa ci sarebbe rimasto in futuro di questo giorno, da essere così felici?
Forse era proprio questo il punto. A lui non sarebbe mai rimasto nulla, come sempre. Vivere in quel modo, come fantasmi, doveva davvero essere difficile. Doveva accontentarsi sempre di quello che aveva al momento, di quello che gli capitava. E anche solo vivere in sé doveva essere già un grande regalo... Se quella era vita.
E allora a me cosa sarebbe toccato di diverso, ora che mi accorgevo di essere così simile a lui? E cosa mi sarebbe rimasto?
Beh, in quel caso forse potevo scegliere.
Mi voltai verso l'ascensore alle mie spalle, lo fissai per qualche breve istante e poi di nuovo guardai Mello al lato opposto davanti a me, che ancora mi tendeva la mano.
Cosa avrei dovuto scegliere, chi sarei stata? Perché, davvero si può scegliere chi essere, oppure ci illudiamo solo di avercela una scelta quando poi invece siamo semplicemente ciò che siamo? E quanti intanto preferiscono tenere ancora gli occhi chiusi a sognare qualcosa o qualcuno che in realtà non saranno mai?
Chiusi gli occhi e respirai a fondo.
Non sapevo più chi ero, questo era certo, ma non mi sarei lasciata disorientare da questa presa di coscienza.
Sarebbe stato semplice, avrei solo dovuto imparare a conoscermi di nuovo.
Tutto sommato quindi la mia non era una vera possibilità di scelta, in quel momento. Era chiaro: quell'ascensore alle mie spalle non mi avrebbe mai portato da nessuna parte, mentre il ragazzo che adesso mi tendeva la mano... Poteva portarmi in posti rinchiusi in me stessa che forse senza di lui non avrei mai più potuto scoprire.

Riaprii decisa gli occhi, ricambiai il suo splendente sorriso, e una volta raggiunto gli strinsi la mano ancora tesa verso di me.
- Mostrami. - gli dissi, mentre sentivo la sua mano stringere forte la mia.
Posò lo sguardo per qualche secondo sull'orizzonte, che si estendeva tra nuvole e squarci di cielo, poi mi guardò di nuovo, e sorrise.

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Capitolo 13
*** Operazione: inizio. ***


- Immagina... Di essere lì, in quel punto... - gli sentii dire, mentre indicava un punto lontano oltre le nuvole all'orizzonte.
- Immagina di poter essere lì, sentire il vento soffiarti contro senza insistenza, quasi come un lungo sospiro... - continuò, tenendo il braccio teso verso l'orizzonte.
Mello era alle mie spalle, e mi parlava a voce bassa e rassicurante appena sopra la mia spalla destra. Non lo vedevo, ma lo sentivo. Lo sentivo forte e chiaro.
- Noi non abbiamo davvero la capacità di volare, ma possiamo... Cadere con stile. Abbiamo una resistenza mille volte più resistente di un normale essere umano e per questo, saremmo capaci di cadere a migliaia di metri di distanza senza accusare il minimo fastidio. Per cui... devi assolutamente vincere questa assurda paura che hai dell'altezza. -
- Come fai a saperlo...? -
- L'ho visto quando mi hai domandato delle ringhiere... Avevi una faccia terribile, se mi permetti di essere sincero. -
- Grazie tante. -
- Era solo una constatazione. - cercò di difendersi lui.
Lo sentii sorridere ancora.
- Ad ogni modo... Ascoltami. Cerchiamo di affrontare una cosa alla volta. Okay? -
- Okay... - sospirai forte, per darmi forza.
- Sei pronta? -
Annuii flebilmente col capo, in silenzio.
- Bene... Ora, chiudi gli occhi. -
Lo feci.
- Fatto? -
- Sì... -
- Concentrati su quello che riesci a sentire. Concentrati su te stessa, Kanade. Cerca di focalizzarti esattamente dove i tuoi occhi pochi secondi fa ti hanno lasciato... -
Strinsi le palpebre per lo sforzo.
Mello attese giusto qualche secondo, poi continuò:
- Ci sei? -
Annuii ancora, in silenzio.
- Ora prova a concentrare tutta la tua attenzione su quello che il tuo corpo riesce a percepire... Tutto, ogni cosa. Qualsiasi cosa... Concentrati... -
Avevo le mani sudate e gli occhi serrati, tanto che mi sentivo agitata.
- Devi rilassarti... Rilassati, Kanade. Sta' tranquilla, tira un lungo respiro e rilassati. Qui non può accaderti nulla... Qui e in nessun altro posto, perché adesso sei uno Spector. Questo non dimenticarlo mai. -
Tirai un lungo respiro come Mello mi aveva appena consigliato e cercai di darmi una calmata.
Calmati Sofia, calmati... Calmati...
D'un tratto sentii i miei sensi come dilatarsi; il leggero alito di vento caldo di poco fa adesso sembrava un flusso d'acqua gelida, il silenzio assorto che mi aveva accolto su quel palco adesso era sostituito da leggeri rumori che si facevano sempre più sonori, sempre più chiassosi e insistenti. Tutti i miei sensi si amplificarono, e cose che prima non avevo nemmeno immaginato adesso diventavano mano a mano sempre più reali.
Dopo pochi secondi, riuscii a distinguere persino i vari tipi di rumori che si differenziavano nel generale caos che riuscivo a sentire: clacson, grida di gioia, grida di rabbia, motori di motociclette, musica di autoradio, e addirittura... Sì, erano passi quelli che sentivo! I passi delle persone che camminavano a cinquanta piani di distanza da me! Li sentivo forte e chiaro, quasi fossi lì tra quella gente.
Anche il tatto si irradiò a metri e metri di distanza. Adesso riuscivo a sentire come delle sfere di calore, anche se molto lontane... ma le sentivo. Solo una sentivo infuocarmi la pelle, dalla vicinanza: era Mello, ancora fermo alle mie spalle. La sensazione che ebbi quando entrò nella mia stanza allora aveva davvero un senso: anche allora avevo chiuso gli occhi e mi ero concentrata su ciò che riuscivo a sentire, solo che adesso era tutto amplificato almeno cento volte di più. Ora quel leggero alone di calore che avevo sentito la prima volta era diventato una vera e propria sfera infuocata, che però non bruciava. Non mi dava fastidio. La avvertivo e nulla più, anzi quasi col tempo mi parve piacevole, differenziandosi da quegli getti d'aria, che era diventata improvvisamente così fredda e violenta. Eppure nemmeno quella mi dava poi così tanto fastidio.
Ero stupita, meravigliata, ma non più spaventata. Nonostante mi aspettassi una crisi di panico assicurata...
- Cosa senti? - gli sentii chiedere ad un certo punto, con appena un filo di voce.
- Te. - dissi di riflesso col sorriso sulle labbra, senza nemmeno pensarci su due volte.
- Curioso che la prima cosa che tu abbia fatto notare sia io... - gli sentii ancora dire con una nota di compiacimento nella voce.
- Cos'altro senti? - continuò, tornando serio.
- Tutto... -
- Mh, altrettanto interessante... - rispose, stavolta divertito.
- Ora apri di nuovo gli occhi... - mentre lo diceva sentii le sue mani afferrarmi entrambi i polsi con forza, senza però farmi davvero male.
- Perché mi hai preso i pols... Aaaaahh!! - non riuscii più a finire quella domanda, perché appena riaperti gli occhi accadde un'altra cosa del tutto inaspettata e, a mio parere, davvero spaventosa.
Appena riaprii quegli occhi, ciò che vidi non era più quello che avevo lasciato poco prima di richiuderli. Mi ero come catapultata a qualche decina di chilometri di distanza, lì in cielo fra le nuvole, proprio dove Mello mi aveva indicato poco prima. Fu come se i miei occhi fossero diventati un telescopio, e per qualche secondo mi parve davvero di essere lì, in aria, tra quelle nuvole sullo sfondo. Riuscii a vedere persino le particelle di cui quelle stesse nuvole erano formate, e tutta quella vista così all'improvviso... Sì, quella mi spaventò parecchio.
- Shh, shhh, calmati... - gli sentii dire come un sussurro.
Senza nemmeno rendermene conto mi ero precipitata su Mello e così mi ritrovai avvinghiata a lui, col capo poggiato sul suo petto. Era così piacevolmente caldo da darmi subito di nuovo un grande senso di conforto.
Nonostante ciò tenni ancora gli occhi serrati:
- Che cazzo è successo?! - dissi in preda al panico.
- Shhhh, calmati prima, okay? -
Non risposi. Mi resi conto di aver cominciato a tremare violentemente fra le sue braccia, che adesso mi tenevano ben stretta contro di lui come una barricata di protezione dal resto del mondo.
Cercai di annuire col capo, per quanto potevo, combattendo contro le convulsioni che sentivo sempre più invadere il mio corpo.
- Sei riuscita ad amplificare i tuoi sensi, Kanade. E la prima volta è sempre la peggiore... ma non preoccuparti, sei andata alla grande. Ti ho tenuto i polsi perché in quella situazione una reazione del genere era legittima, e adesso che hai i sensi completamente estesi, saresti stata capace di reagire con un balzo così forte da farti arrivare ad un paio di grattacieli più in là... O chissà dove. E non sarebbe stato il caso. Non trovi? -
- C... Che... Cosa... Cosa... Sono divent... diventata? -
- Ehi non prenderla così male, è una cosa fica! -
Continuavo a tremare convulsamente, ad occhi chiusi, e proprio non riuscivo più a fermarmi.
- Calmati, Kanade... Calmati, dai... -
All'improvviso mi sentii stretta ancora di più contro il suo petto. Mi stava stringendo a sé, con fare stranamente dolce e confortante. Cosa gli stava succedendo? Da dove arrivava tutta quella bontà d'animo improvvisa? In realtà non lo sapevo, e proprio non riuscivo ad immaginarmi una risposta plausibile, ma una cosa era certa: se il suo intento era quello di tranquillizzarmi, finalmente ci stava riuscendo.
Lentamente i tremori si indebolirono, fino a scomparire.
Restai con la guancia poggiata sul suo petto ancora un po', cercando di capire se ero di nuovo pronta a riaprire gli occhi oppure no... E se l'avessi fatto, cosa mi sarei ritrovata stavolta?
- Okay, ora... Lentamente, riapri gli occhi. Non preoccuparti, sarà più facile adesso. -
Mi feci coraggio e seguii il suo consiglio. Li riaprii lentamente, e in effetti, l'impatto fu più delicato della volta precedente. Ora riuscivo a scorgere tutte le tonalità di arancio che vedevo schiarire tra le nuvole, alcuni uccelli appena poco più in là... Ed anche un aeroplano, ma tutto questo solo quando e come lo volevo io.
- Ora dì a te stessa quello che vuoi fare. Imponi il comando sul tuo nuovo corpo. E' una cosa prettamente mentale, una volta superata questa barriera psicologica il resto sarà un gioco da ragazzi. -
Feci come mi aveva detto, e col passare dei secondi sentii i miei poteri sottostare sempre di più a ciò che io volevo, fino ad eseguire quasi perfettamente i miei comandi.
- Credo di esserci riuscita... - dissi con tono incerto.
- Brava! -
Solo allora mi resi conto di essere ancora aggrappata a Mello, così con l'impulso di allontanarmi il prima possibile da lui, lo spintonai con forza... Forse con troppa forza.
Mello fu colto di sorpresa, e il mio spintone lo scaraventò a dieci metri di distanza. Lo vidi accovacciarsi a terra e poggiarsi con una sola mano, strisciandola sul cemento duro per rallentare la caduta, lasciando una scia scura e fumante davanti a sé. Tutto ciò lo fece con una grazia superiore a qualsiasi ballerino, roba che non avevo visto da nessuna parte. Il suo viso divenne improvvisamente serio e concentrato, ma non sembrava arrabbiato.
Si alzò con calma, si lisciò i vestiti con fare disinteressato, e in un paio di secondi fu di nuovo ad un passo da me. Alzò entrambe le mani in alto, esibendo un sorriso distorto:
- Colpa mia, mi sono lasciato distrarre. -
- Farò finta di non aver capito l'aspetto malizioso di questa tua frase, Mello, altrimenti la prossima volta potresti ritrovarti chissà in quale altra parte di New York... A quanto pare, mi basta poco. -
- Ecco lo sapevo, adesso è davvero finita! Comincia a prenderci gusto, la signorina... - scosse la testa con un sorriso, e poi mi voltò le spalle.
- Vieni, mettiamoci più al centro del palco. Adesso proveremo con un corpo a corpo. -
- La tua materia preferita, immagino... - dissi, di nuovo sicura di me.
Col passare dei minuti stavo realizzando sempre di più la situazione, e mano a mano che lo facevo, riuscivo a lasciarmi attrarre sempre di più dal fascino del mistero, dalla curiosità di vedere adesso fino a dove ero capace di arrivare... E tutto questo mi piaceva. Mi piaceva soprattutto l'idea di una grande nuova possibilità: allontanare la paura per sempre... Già, non provare più paura, quello sì che sarebbe stato un grande traguardo, e forse per raggiungerlo non mi mancava più poi così tanta strada.
Una volta appostati all'esatto centro del palco (sì, Mello era ufficialmente pignolo e fissato su tutto), ci disponemmo uno di fronte all'altro:
- Beh, diciamo che un anticipo l'hai già avuto, nella mia stanza... Hai fatto tesoro di quell'esperienza? -
- In realtà quella volta è accaduto tutto così velocemente che sono riuscita a capirci ben poco... -
- Non so se prenderlo come un complimento o un'offesa... -
Alzai gli occhi al cielo, cercando di mantenermi seria:
- Non devi vedere tutto sempre a doppio senso, sai Mello? -
- Suvvia, cercavo solo di sdrammatizzare... A quanto pare ti sei ripresa in fretta dallo shock iniziale, eh? -
- Faccio subito i calli. - mi limitai a rispondere, con un'alzata di spalle.
In verità riconobbi che Mello mi aveva aiutato parecchio, e che senza di lui probabilmente sarei rimasta lì per terra a tremare per chissà quanto altro tempo... ma forse anche lui nel suo profondo, lo sapeva.
Si limitò ad annuire accennando appena un sorriso, poi divaricò le gambe tornando serio, e mi disse di fare altrettanto. Notai bene il sorriso malizioso che esibì mentre lo diceva, ma decisi di non dargli la soddisfazione di fargli capire che l'avevo notato, così me ne restai in silenzio e feci come mi aveva detto.
- Allora, come quella volta, quando ti trovi ad un faccia a faccia con qualcuno la scelta migliore è sempre attaccare alle spalle. Dimentica ogni tipo di morale sul combattimento, del tipo “alla schiena attaccano solo i vigliacchi”... Sono solo sciocche convenzioni medievali e decisamente lontane dall'aspetto pratico delle cose. Quando combatti è solo uno l'obbiettivo, e tutto diventa lecito pur di raggiungerlo: uccidere l'avversario. Non dimenticarlo mai Kanade, questo è importante. Se scegli di combattere, devi essere abbastanza forte da riuscire ad arrivare in fondo, perché si tratterà della tua vita, e se in quel caso salvarti significherebbe uccidere l'avversario, fallo. Non sentirti un'assassina, se sarai stata attaccata tu per prima, la tua sarà solo legittima difesa. Chiaro? -
- Sì... -
- Okay... - sospirò forte, tenendo lo sguardo dritto nei miei occhi.
- Ora, se io ti attacco dalla sinistra, volendoti tirare un bel pungo, tu... -
Trascorremmo forse un paio d'ore lì, al centro di un palco alto cinquanta piani, simulando ogni tipo di aggressione e di difesa, e con mia sorpresa Mello riuscì a mantenersi serio per tutto il tempo.
Quando avemmo finito tutto, tra corpo a corpo, qualche segreto e trucchetto per la vista, qualche aiuto su come gestire la mia nuova forza, rimase solo un ultimo punto interrogativo: la velocità.
- Per quest'ultima cosa, non preoccuparti... Avrai modo di provarla al momento. E sarà spettacolare, fidati. -
Decisi di non insistere e di lasciare che le cose andassero così come erano state decise... anche perché probabilmente non sarei riuscita nemmeno a modificarle più di tanto.

Quando rientrammo nell'ascensore, ormai era quasi inoltrata la serata...
- Il piano è questo... - mi disse Mello, mentre aspettavamo che l'ascensore arrivasse al mio appartamento.
- Dovrai raggiungere il decimo piano esattamente alle undici e mezza. Okay? -
Annuii, sorridendogli calorosamente.
Quel pomeriggio passato assieme a Mello mi fece cambiare idea su molti aspetti, e non solo riferenti alla mia nuova vita da Spector. Ora mi risultava tutto più facile, tutto quel gran macello che era esploso nella mia vita non mi spaventava più come una volta. Forse era normale, o forse era dovuto alla mia nuova presa di coscienza su ciò che ero diventata. Essere più forti, più agili, e avere la “supervista” e il “superudito” non era poi una sciocchezza. E poi...
Le porte dell'ascensore si riaprirono:
- Eccoci arrivati. - dissi con appena un filo di voce, quasi fra me e me. Feci un passo avanti per uscire, ma sentii afferrarmi un polso, bloccandomi.
- Aspetta. - gli sentii dire.
Mi voltai di nuovo verso Mello e lo guardai con aria interrogativa.
- So che ci sono vaghe possibilità che tu stia dalla parte di Bustri... ma, se così non fosse... - si fermò per qualche breve secondo.
- …Sappi che io non lascerò che ti accada qualcosa. -
...E poi, c'era Mello con me.
Restammo a fissarci per qualche istante, in silenzio.
Forse era vero quello che mi disse la notte prima nella sua stanza, forse gli piacevo davvero... Ma fu Mello stesso a dire per primo che insieme non saremmo mai andati da nessuna parte. E poi, io non ero davvero innamorata di lui. Forse, se non avessi mai incontrato Ryuzaki...
- Grazie, Mello. Di tutto. - istintivamente gli afferrai la mano e la strinsi con gentilezza, poi la lasciai ed uscii.
- A stasera. - gli sentii dire, poco prima che le porte si richiudessero alle mie spalle.
Che gran casino...” pensai, avanzando nel largo salone.
Qualche settimana fa ero una normale studentessa universitaria, e adesso invece... Uno Spector. Con tre detective alle calcagna. Anzi quattro, contando anche il misterioso L di cui tutti parlano... Ma come fa a gestire le indagini se non si fa vedere da nessuno?” arrivai alla mia stanza, mi spogliai di tutti i vestiti ormai madidi di sudore che indossavo e mi lasciai cadere sul materasso solo con l'intimo.
Il leggero cotone delle lenzuola a contatto con la mia pelle sembrava quasi erba di prato. Ora riuscivo a sentire ogni singola filatura, ogni singolo intreccio...
Avevo passato tutta la mia vita cercando qualcosa che mi facesse sentire davvero viva, e solo allora mi accorsi che tutto quello che dovevo aspettare in fin dei conti era la mia morte. Lì, dov'ero nata, non facevo altro che sentirmi sempre più estraniata, sempre più diversa rispetto a quel mondo banale e noioso che ero costretta a vivere, così che l'esasperazione arrivò a tal punto da farmi compiere la pazzia di scappare, di scappare via da quel piccolo paesino di provincia per rincorrere il sogno che nutrivo ogni giorno: vivere davvero la vita. Così scappai, e mi stabilii a Roma, nella capitale. E cosa cambiò?
Alla fin fine, dopo un anno, mi accorsi che anche lì era cambiato ben poco. Il lavoro e lo studio divoravano tutta la mia vita, ed io non potevo farci proprio niente.
Poi arrivò quel famoso giorno... In cui Bustri mi uccise, e mi rapì. E da allora... Le cose erano decisamente cambiate. Avrei dovuto sentirmi sola, perché in fin dei conti in quel posto ero davvero sola, eppure... Non mi ero mai sentita così bene. Non mi ero mai sentita così viva.
Avevo passato un'intera vita desiderando qualcosa di diverso, desiderando che il mondo intorno a me cambiasse, senza accorgermi che la prima a cambiare dovevo essere io.

Alle undici e mezza esatte, presi l'ascensore per raggiungere il decimo piano. Indossavo il completo scuro che Mello mi indicò qualche ora prima.
- Il secondo cassetto nell'armadio, aprilo... Vedrai un completo di cuoio scuro. Metti quello stasera, è stato appositamente creato per noi Spector. In verità non è fatto di vero e proprio cuoio, ma è ancora più resistente e soprattutto comodo... è l'ideale, credimi. -
Visto che sotto sotto sapevo di non avere tante possibilità di scelta, decisi di indossarlo.
Era molto, molto, molto aderente. Quasi divenne un'unica cosa con la mia pelle, una volta indossato. Ci misi un po' per capire come sistemarlo per bene, ma dopo un quarto d'ora di sofferenza ci riuscii. Raggiunsi il lungo specchio a muro che c'era appena poco più in là dell'armadio, e mi osservai. In effetti restai lì ad osservarmi per un po' di tempo, forse anche una buona mezz'ora.
Un'altra nuova cosa con cui dovevo fare in conti era sicuramente il mio nuovo aspetto.
I miei occhi erano ancora dorati e luminescenti, e ancora avevo difficoltà ad abituarmici. Ma un aspetto nuovo di me stessa che non avevo ancora notato prima di allora, era il mio fisico. Forse era il completo che avevo indossato, così aderente, che mi faceva sembrare un'attraente supereroina della Marvel, ma il fattore altezza non potevo giustificarlo. Ero più alta. E più snella. Certo prima non ero poi così male, comunque cercavo di mantenermi in forma, ma non ero mai riuscita a raggiungere quei livelli di bellezza. Sono sempre stata una ragazza formosa, ma non sempre nei punti giusti, e invece adesso ero formosa e basta, ai punti giusti.
Il completo in fin dei conti mi stava d'incanto, ed era anche uno stile che mi piaceva, con quel cuoio (o quello che era) scuro che mi fasciava ogni curva e la valorizzava... Sì, la nuova Sofia continuava a piacermi sempre di più. Forse, tutto sommato, avrei dovuto anche ringraziarlo, quell'uomo di merda di Bustri.
L'idea di poterlo incontrare quella stessa sera mi fece salire l'adrenalina a mille. Ero nervosa, ansiosa, ma allo stesso tempo non aspettavo altro. Fremevo dalla voglia di vederlo per mostrargli quello che ero diventata... per mostrargli che aveva ragione a dire che sarei stata forte, ma non seguendo i suoi metodi. E soprattutto, fremevo dalla voglia di rompergli il culo.
Come ultima cosa indossai gli anfibi, anch'essi di pelle, e raggiunsi l'ascensore.
Così rieccomi lì, in quella scatoletta di metallo che non faceva altro che andare su e giù ogni giorno, chissà quante volte.
Stavolta ignorai le mura a specchio... per la prima volta. Il cambiamento di me stessa continuava, correva e andava a mille, e io lo lasciavo fare. Basta soffermarsi e piagnucolare su ogni novità. Dovevo reagire anch'io alla vita, adesso potevo farlo, adesso avevo la forza che mi serviva.

Le ante si riaprirono ed io avanzai con passo sicuro nella plateale stanza. All'appello c'erano tutti: Mello, anche lui in completo, Near, come sempre accovacciato sul pavimento che giocherellava con dei walkie talkie ed altre cianfrusaglie, e poi c'era Ryuzaki, di fianco a Mello, e Smithers, più qualche agente in giacca e cravatta.
Appena sentirono il suono acustico dell'ascensore, tutti, e dico tutti, interruppero quello che stavano facendo e alzarono lo sguardo su di me, che intanto avanzavo verso di loro. Riuscii a fissare ognuno di loro dritto negli occhi, ignorando il silenzio glaciale che si era formato. L'unico rumore che si sentiva era quello dei tacchi dei miei anfibi che ticchettavano sul pavimento liscio, mentre camminavo sicura di me verso di loro.
Il primo che guardai fu Mello, che restò a fissarmi con aria incantata per chissà quanto tempo, con tanto di bocca dischiusa. Appena si accorse che lo stavo guardando, mi fece l'occhiolino e sorrise, ed io ricambiai con appena un accenno in silenzio. Il secondo che guardai fu Near, che dal canto suo non sembrava affatto sorpreso. In effetti non sembrava niente, mi fissava forse con appena un accenno di noia negli occhi, ma non trasmetteva nient'altro. Poi passai a Smithers, che a sua volta mi sorrideva, e ancora lentamente passai a tutti gli agenti, dalla curiosità stampata in volto di alcuni alla semplice meraviglia di altri.
Solo alla fine, quasi arrivata di fronte a loro, voltai lo sguardo su Ryuzaki.
La sua fu l'espressione più complessa di tutte, forse la più complessa in generale. La prima sfumatura che riuscii a notargli in volto fu quella rabbiosa. Quasi sembrava furibondo da come teneva le labbra ristrette in una linea sottile; eppure gli occhi mi fissavano diversamente... Mi squadrò dall'alto in basso, spogliandomi con gli occhi in modo spassionato, quasi famelico. Non credevo fosse mai possibile una cosa del genere.
Forse non ero l'unica che stava cambiando.
- Beh? - esordii, incrociando le braccia in petto.
- Cosa sono quelle facce? -
Distolsi lo sguardo da Ryuzaki e lo portai su Near:
- Che si fa? -
Near sospirò, ancora con aria disinteressata, prima di rispondere:
- Devi indossare alcune cose... Sulla tua tenuta c'è una cinta con degli agganci, dovrai metterci varie cose... Comincia a prendere questo... - disse, porgendomi un walkie talkie.
Pensavo fosse un giocattolo...
Mi limitai ad un'alzata di spalle appena accennata, e m'inchinai per afferrarlo.
- Il resto lo trovi sulla scrivania alle mie spalle. Ci sono armi più qualcos'altro... -
- Armi? - chiesi, confusa.
- Il combattimento corpo a corpo usala come ultima risorsa... - sentii rispondermi da Mello.
- Qualche precauzione in più non guasta mai. - concluse, mantenendosi serio e professionale.
Annuii appena e senza dire altro mi diressi verso la scrivania che Near mi aveva appena indicato. Lì sopra, vi trovai coltelli di ogni genere e dimensione, più qualche pistola. Riconobbi anche qualche revolver, ma quella che più attirò la mia attenzione fu un'altra, una pistola dalla linea sinuosa e completamente dorata. La afferrai per osservarla meglio.
- ...E' una Taurus. -
Mi voltai di scatto, allarmata: era Ryuzaki.
Mi fissai subito attorno circospetta: erano tutti di nuovo impegnati in qualcosa. Gli agenti erano tornati alle sue scrivanie, e Mello era intento a discutere con Near e Smithers sulle dinamiche del piano. Nessuno ci stava osservando.
- Ti ho spaventata? -
Sospirai, tornando a guardare la pistola che avevo tra le mani.
- Un po'. -
- Scusa. -
- Per così poco... - tastai il ferro della Taurus, alla ricerca dei proiettili. Era piena. Misi la sicura e la infilai in un primo aggancio della cintura.
- No, intendo dire scusa per oggi... -
- Oh... - cercai di non guardarlo negli occhi, concentrandomi ora su un pugnale di media taglia con il manico intagliato da motivi floreali, che risalivano fin sulla base della lama... Era davvero carino e con un certo stile. Per un attimo mi domandai fra me e me come si fossero ricavati tutte quelle armi così particolari...
Ryuzaki si avvicinò ancora di più a me; lo sentii. Sentivo il calore del suo corpo mettermi in perenne allerta fin sotto la pelle.
- Beh, il contenuto era più che giusto, non cambio il mio pensiero. Ma forse avrei dovuto usare dei modi più gentili. -
- Te ne sei accorto, allora. - sbottai, cercando di mantenermi indifferente. Rinfilai il pugnale nella sua fodera e agganciai anche quello alla cintura.
- Metti questo... - disse, porgendomi un auricolare microscopico. Lo afferrai, stranita.
- Indossalo bene, devi infilarlo tutto dentro l'orecchio... Sarà l'unica via di comunicazione tra me e te. Ti osserverò via satellite, più quest'altro oggetto... -
Con l'altra mano mi porse una scatolina bianca. La aprii, e vi trovai due lenti a contatto trasparenti.
Mi decisi a guardarlo di nuovo, ancor più confusa. Mi rispose con una semplice alzata di spalle:
- Se le indossi, riuscirò a vedere esattamente quello che vedrai tu. Sono ordigni di ultimissima generazione, sta' attenta. -
- Non ho mai messo le lenti a contatto... -
Afferrò la scatolina e la portò via dalle mie mani, con fare gentile.
- Mi permetti? - chiese, inaspettatamente garbato .
- Oh, ehm. Certo. -
- Guarda in su... -
- Ahia... -
- Suvvia, non dirmi che ti fanno male, perché è impossibile... -
La prima lente fu messa. In effetti già non la sentivo più.
- No, solo che... E' strano. -
- Non piagnucolare, dai... - gli sentii dire ancora, mentre avvicinava l'altra lente al mio secondo occhio.
Stavolta cercai di contenermi, così mi limitai a mugolare infastidita giusto per qualche secondo...
- Ecco fatto. -
Sbattei le palpebre più e più volte, finché anche la seconda non si stabilizzò.
Ryuzaki mi guardò con uno strano senso di... cos'era, affetto?
Nah.
Mi sorrise. Io ricambiai.
- Non credere però che non sia ancora arrabbiato con te. Lo sono, eccome. -
- Ah sì? -
- Sì. - rispose, di nuovo serio.
- Ho solo scelto di starti comunque accanto. - continuò, con aria sofferente.
- Cosa c'è, Ryuzaki? -
- No, niente... Solo... - scosse il capo.
- Ehi... - istintivamente poggiai le dita sul suo polso, in senso di conforto.
- ...Niente, è solo che non riesco più a capirmi. - concluse poi, con aria perplessa.
Quella frase m'intenerì. Era confuso, disorientato da se stesso. E tutto questo per colpa mia.
Allontanai di nuovo la mano dal suo braccio.
- Riguardo a quello che è successo oggi... Volevo chiederti se hai parlato ad L di quello che ho intenzione di fare. -
- Non parlerà con te, Kanade. - rispose lui, di nuovo con aria terribilmente severa.
- E non te ne andrai. Non si discute. -
- Ryuzaki, insomma! Avrò almeno il diritto di parola? -
- No, quando si tratta di un caso investigativo così importante non ce l'hai. -
- Come se poi riguardasse davvero il caso! - esclamai, irritata.
Ryuzaki inarcò un sopracciglio.
- E' inutile che fingi di non capire, sai bene a cosa mi riferisco! - continuai, sempre più sgomenta.
- Tu sei innamorato di me, Ryuzaki. Ammettilo. -
- Non dire idiozie, Kanade. E soprattutto, abbassa la voce. - rispose, incenerendomi con lo sguardo.
- Puoi nasconderlo a te stesso, Ryuzaki, ma non al mondo intero! Lo so che mi ami... So che è vero, che sei innamorato di me. Come io... - mi bloccai. Stavo andando troppo oltre, e quello non era affatto il momento giusto, né il luogo giusto.
- Come tu...? - disse lui, accigliato.
- Non possiamo parlarne un'altra volta? - dissi, sbuffando esasperata.
- Kanade, forse non ti rendi conto della gravità della situazione... Da questa operazione non potresti più tornare. - disse con appena un filo di voce.
Lo fissai con occhi sgranati, presa completamente alla sprovvista. Non l'avevo mai vista sotto questo aspetto.
- Kanade? - era Mello, che mi chiamava.
Mi voltai verso di lui, ancora con aria scioccata.
- Hai preso tutto? - mi chiese, con una nuova tonalità di voce... fredda, quasi gelida.
- Oh... -
Girai di nuovo lo sguardo sulle armi: afferrai un altro paio di pugnali ed una revolver, infilai tutto in fretta nella cinta mentre arrancavo un:
- Un attimo! -, e quando ebbi finito, prima di raggiungerlo, mi voltai di nuovo verso Ryuzaki, che mi stava ancora fissando con un'espressione indecifrabile.
- Giurami che se torno... Guarderai la realtà per quella che è. - gli sussurrai.
Lui non rispose.
- Andiamo? E' già quasi la mezza! - sentii gridare dall'altra parte della stanza. Mello era già arrivato all'ascensore.
Non attesi un attimo di più, così con un sospiro distolsi lo sguardo dai suoi occhi scuri e mi decisi a raggiungere Mello.
Una volta raggiunto, Mello chiamò l'ascensore e le ante si aprirono quasi subito.
- Su, andiamo...- disse, con una nota di nervosismo nella voce.
- Kanade... - mi voltai verso Ryuzaki, che mi aveva appena chiamato.
- Se tornerai, giuro che farò quello ed altro ancora. - disse, con sguardo profondo.
Non risposi nulla, mi limitai a seguire Mello all'interno dell'ascensore sforzando tutte le energie che avevo per contenere il sorriso che sentivo crescere sempre di più sulle mie labbra.


L'ascensore ci portò di nuovo al palco, che io e Mello avevamo lasciato solo poche ore prima.
- Perché non siamo scesi invece di salire? - gli chiesi perplessa.
- Perché è da lì che arriveremo al Central Park. - rispose, mantenendosi serio e distaccato.
- Ehi cos'è tutta questa freddezza? - mi decisi a chiedergli, fermandomi di botto per guardarlo dritto negli occhi.
Lui avanzò ancora di qualche passo, poi si voltò verso di me e mi lanciò un altro di quei suoi sguardi profondi e sofferenti.
- Ho sentito tutto, prima. -
- Oh... -
- Lascia stare. Tu non hai voluto dare ascolto a quello che ti ho detto su te e Ryuzaki? Va bene, ma lasciami almeno il diritto di non essere d'accordo. -
- Mello, io... non posso controllare quello che sento. -
- Già, e purtroppo non posso farlo nemmeno io. - disse ancora, voltandomi di nuovo le spalle e riprendendo a camminare verso il bordo del palco.
- Cosa intendi dire? - gli chiesi confusa, correndogli dietro.
Si fermò ancora, senza però voltarsi. Mi fermai anch'io, appena dietro di lui. Osservai la sua postura rigida, le spalle dritte e le sue mani chiuse a pugno.
- Intendo dire che anch'io non posso decidere di chi innamorarmi. Quindi scusa, se ti amo. -

Spalancai bocca e occhi per la sorpresa. Mi aveva davvero detto “ti amo”!?
- Mello, io... non so che dirti. -
- Non devi dirmi niente. - rispose, continuando a guardare avanti verso l'orizzonte, ormai tetro e scuro, della notte.
- Non è un problema. Stasera dovremo essere al massimo delle nostre capacità e non intendo lasciarmi soggiogare da queste stronzate dei sentimenti. Posso farne a meno della persona che amo. -
Quando si ama non si può fare a meno di quella persona, Mello...” gli avrei tanto voluto rispondere. Ma in fondo lui cosa poteva saperne, se prima di allora non aveva mai amato nessuno?
Così non risposi, mi limitai a seguirlo e a raggiungere il bordo appena dietro di lui in silenzio. Una volta arrivati, mi decisi a dirgli quanto meno una sola cosa.
- Mello... -
Guardammo entrambi verso il basso. Oltre i cinquanta piani, correva una lunga strada ormai desolata.
- Mh? -
- Se può valere qualcosa... Neanch'io lascerò che ti accada qualcosa. Potrei morirne. -
Tornò a guardarmi, con appena un accenno di meraviglia negli occhi. Ricambiai il suo sguardo con inaspettato affetto.
- Conta più di quanto tu possa credere. - rispose.



ANGOLO AUTRICE
Beh spero vi stia continuando a piacere la storia... A me sta piacendo più di quanto mi aspettassi, ma forse il mio giudizio non vale per niente xD
Fatemi sapere cosa ne pensate, e grazie ancora per la vostra attenzione. <3

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Capitolo 14
*** Operazione: fase 1 ***


- Al mio tre ci buttiamo... - gli sentii dire, tornando a guardare quell'abisso che ci accoglieva più sotto.
Le strade erano decisamente troppo isolate e lontane, e i palazzi antistanti erano diventati semplici sagome geometriche che tagliavano lo sfondo poco più chiaro del cielo alle loro spalle.
- Ecco, lo sapevo... - imprecai sottovoce.
- Guarda che ti sento anche se bisbigli. -
Alzai gli occhi al cielo ricacciando dentro tutte le parolacce che sentivo scorrere sulla mia lingua. D'improvviso mi sentii di nuovo tremendamente osservata: mi girai e colsi Mello a fissarmi con serietà. Deglutii di forza. Mello serio non mi piaceva per niente.
- Sei pronta? -
- Se non lo fossi cambierebbe qualcosa? -
- Beh... Non molto. -
- Appunto. - sospirai.
- Al mio tre... - ribadì, deciso.
Annuii in silenzio, stringendo i pugni.
- ...Uno... -
Ecco, ora erano guai seri. Stavo per precipitarmi di mia spontanea volontà da un grattacielo di cinquanta piani... Già, stavo per farlo.
Io, che ho sempre sofferto l'altezza. Io, che non sopportavo inciampare sui miei stessi piedi, mi stavo volontariamente buttando a capofitto da un grattacielo. Beh, non l'avrei mai immaginato, poco ma sicuro; forse al limite solo in caso di suicidio... ma non credevo che sarebbe mai potuto succedere neanche in quel caso. Avrei preferito morire in qualsiasi altro modo, pur di evitare le altezze... E invece ora stavo per farlo davvero, e ci sarei riuscita, sarei sopravvissuta.
- Due... -
Respira Sofia. Respira....
- Tr... -
- AAAAHHHH!! Aspetta! Aspetta!! - riuscii a bloccare Mello proprio per un nanosecondo, prima che si lanciasse nel vuoto. Inciampò solo sui suoi stessi piedi appena qualche centimetro prima del limite.
- Che c'è!? - sbraitò poi, irritato.
- Ehm, i... io, ecco... Ho ancora l'auricolare in mano... - rialzai la mano destra verso di lui e la riaprii, mostrandoglielo.
- … devo indossarlo. - conclusi, con tono terrorizzato.
Vidi Mello fulminarmi con gli occhi per qualche secondo, poi però alzò lo sguardo al cielo scuro e lo riportò su di me con un sonoro sospiro e sembrò passargli.
- E va bene... - senza dirmi niente, afferrò l'auricolare dal mio palmo ancora aperto e si avvicinò al mio orecchio sinistro. Sentii le sue mani scostarmi i capelli con fare stranamente delicato, indugiare appena sulla pelle del mio collo mentre lo faceva, per poi di nuovo sospirare lievemente e infilare quell'arnese nel mio orecchio.
- Ecco fatto. - disse poi atono.
- Sei pronta adesso? -
Annuii ancora una volta forzatamente, sforzandomi solo un po' di più della prima volta per mostrarmi maggiormente convinta. Servì a ben poco.
- Goditi la visione, Ryuzaki... - sibilò poi nel mio orecchio.
Sentii le sue labbra sfiorare la mia pelle e il suo fiato solleticarmela con delicatezza, mentre parlava, e quella sensazione mi fece venire un brivido lungo tutta la spina dorsale. Mi pietrificai.
Mello si allontanò da me e tornò al suo posto di partenza.
- Puoi contarci. - sentii improvvisamente sibilare direttamente nel mio timpano, tramite l'auricolare. Era la sua voce, quella di Ryuzaki, fredda e ostile come non mai. Quasi mi sembrarono una dichiarazione di guerra, quelle due semplici parole.
- … E adesso basta giocare. - sentii poi dire di nuovo da Mello al mio fianco, con tono teso ma cauto.
Mi guardò ancora dritto negli occhi per qualche istante, poi mi sorrise a stento.
- Uno... Due... -
Oh cazzo, no.
- Tre! - senza rendermene conto mi afferrò per il busto e mi trascinò con sé nel vuoto... Sapeva bene che anche quella volta non mi sarei buttata, così approfittando del mio disorientamento mi forzò senza tante cerimonie.
- AAAAAAAAAAAHHHH!! - le mie urla erano così alte e forti che mi parvero lontane, come se l'artefice non ne fossi io. Chiusi gli occhi senza neanche pensarci, mentre il vento forte mi scompigliava i capelli verso l'alto, frustando in pieno la mia faccia, e mentre il braccio di Mello mi stringeva forte a lui lungo i fianchi, intanto che con l'altra mano mi teneva forte la mia.
Quei secondi durante il quale cadevo nel vuoto per la prima volta mi sembrarono eterni, almeno fino a quando Mello non urlò:
- Stendi le gambe! Stiamo per atterrare! -
Non siamo in un aereo!!” avrei voluto urlargli contro, ma la paura me lo impediva.
Senza neanche riuscire a realizzare il tutto mi ritrovai già a terra, accovacciata sul cemento ruvido... completamente aggrappata a Mello, che a sua volta si reggeva con una sola mano poggiata a sua volta a palmo aperto sul pavimento (visto che con l'altra mi cingeva ancora la vita), ed entrambe le gambe ripiegate, proprio come quelle di una piccola rana.
D'altro canto, io non seppi realizzare ancora molto bene la mia di posizione, e tutto sommato non ebbi nemmeno modo di farlo... semplicemente perché non ci riuscivo. Ero troppo impegnata a pensare al nulla e al tutto contemporaneamente, ormai definitivamente traumatizzata.
Solo dopo qualche minuto mi resi conto di stare ancora aggrappata alle spalle di Mello, tremando flebilmente e fissando il vuoto.
- Kanade? - sentii chiamarmi contemporaneamente sia da Mello affianco a me che da Ryuzaki tramite l'auricolare, risuonandomi nei timpani.
Entrambi mi avevano chiamato, sì, ma con dei toni così diversi da darmi i brividi. Mello si era mantenuto serio, ma anche chiaramente sereno; Ryuzaki invece in quelle tre semplici sillabe vi fece trapelare un universo di agonia inesprimibile. La sua improvvisa preoccupazione per me fece sì che mi preoccupassi ancor di più io per lui.
- S... Sto... Sto bene. - rassicurai entrambi.
Mello sospirò appena e mi tirò su... Visto che ancora non volevo saperne di reggermi da sola sulle mie gambe.
- Dai, Kanade... Sicura? - chiese piano poi Mello, con strana cautela.
Mi voltai verso di lui e lo fissai dritto negli occhi, con sguardo stralunato, a solo qualche millimetro di distanza. Lo vidi mantenere lo sguardo con un calore così spassionato e dannato da infiammare il mondo intero... ed io mi sentii bruciare.
- Concentratevi sull'operazione. - sibilò gelidamente Ryuzaki.
La sua voce mi catapultò di nuovo sul pianeta Terra... Ma cosa diavolo mi stava succedendo?
Di colpo balzai lontano da Mello e mi raddrizzai sulle mie spalle, distogliendo lo sguardo.
- Di questo passo mi farai impazzire... - sibilai d'istinto a Ryuzaki, ignorando volutamente per qualche istante Mello al mio fianco.
- … Di solito un ragazzo normale se lo sognerebbe la notte di sentirsi dire una frase del genere da una ragazza, ma... chissà perché, ora come ora, non mi sembra più così intrigante. - mi sentii rispondere dall'auricolare, con un certo tono ironico.
Sbuffai con fare esasperato:
- Quando ti rivedo ti taglio la lingua. - sibilai ancora, irritata.
- Se magari Ryuzaki la smettesse di distrarti, noi potremmo restare concentrati sull'operazione così come lui ha detto! - abbaiò d'improvviso Mello, tornato a sua volta freddo e cinico.

Quella situazione mi avrebbe davvero fatto perdere la testa, ci avrei potuto scommettere.
Come avrei fatto a dividermi tra Mello e Ryuzaki?
Più che per il pericolo dell'ignoto che mi aspettava, cominciavo a spaventarmi di più per quella situazione.
- Okay, okay! - dissi io, facendo un lungo sospiro ad occhi chiusi per calmarmi.
Non ebbe proprio l'effetto desiderato, ma aiutò.
- Cosa dobbiamo fare adesso? - continuai, mostrandomi di nuovo decisa.
- Dobbiamo svoltare l'angolo verso la 2nd avenue e poi... -
- … Non sono di qui, Mello, quindi lascia perdere, okay? Ti seguirò e basta. -
Mello si voltò di nuovo a guardarmi, stavolta con tanto di sopracciglio inarcato:
- Bene. - disse poi, dopo qualche istante.
- Allora concentrati, e... comincia a correre! - non ebbi il tempo di rispondere che lo vidi improvvisamente sparire nel nulla per poi riapparire un centinaio di metri più lontano; dopo appena qualche secondo poi, si accovacciò a terra e si diede lo slancio per raggiungermi di nuovo con un solo lungo salto. Roba da film della Marvel per davvero...
Nel giro di tre secondi lo sentii di nuovo vicino a me, alle mie spalle. La sua velocità provocò un leggero alito di vento che si distolse subito nell'aria, e la cosa cominciò a sconcertarmi.
- Dai, non è difficile... - mi disse poi, poggiandomi una mano sulla spalla.
- … Concentrati sulla strada che hai davanti a te... -
Per quanto possibile, cercai di farlo.
- Ci sei? -
- Sì. - risposi quasi subito.
- Bene. Ora prepara le gambe... mettine una di due passi più dietro dell'altra, per darti lo slancio... -
Lo feci.
- E ora, al mio tre... Parti. E stavolta non ammetto false partenze! - sottolineò, con appena un accenno di calore nella voce.
Continuava ad alternarsi tra la freddezza cinica e spietata e il calore di un... di chi? Un fratello?
No, quello era diverso... Seppur somigliandogli appena.
Attese giusto per qualche secondo, durante i quali si posizionò di nuovo al mio fianco.
- Uno, due... - mi afferrò la mano.
- … Tre! - urlai io, con l'adrenalina a mille, e senza nemmeno aspettare mi buttai a capofitto in avanti e cominciai a correre.

In un primo momento persi completamente la percezione tempo-spazio, e non capii se Mello mi tenesse ancora la mano oppure per la sorpresa fosse rimasto indietro; per quel primo breve istante non pensai a nulla, se non alla magnificenza di quella vita che avevo appena iniziato, di quell'esperienza così bella e singolare che forse in tutto il mondo nessuno l'avrebbe mai conosciuta, se non quelle poche persone coinvolte nel caso.
Tutto ciò che mi circondava si mescolò come una goccia di sangue in un piccolo bicchierino d'acqua; i colori scuri e freddi della notte si fusero tra loro e quasi mi sembrò volare, invece di correre. Il vento mi sfiorava con prepotente forza il viso e i capelli, che sentivo ondeggiare sulla mia schiena. Che meraviglia, che bella sensazione... poter correre senza fatica alcuna, o addirittura volare a pochi centimetri dal suolo.
Ad un certo punto sentii trapelare nell'aria un alto urlo di gioia, proferito poco distante da me: era Mello, che teneva il mio passo e ancora stringeva la mia mano.
- Fermati! - urlò ancora.
Entrambi ci fermammo nello stesso istante, perfettamente al centro di un vicolo che divideva due altissimi grattacieli. L'aria era pesante e in quei paraggi i rumori chiassosi della città si mantenevano ancora tenui e distanti, appena percettibili.
Non ci furono sospiri né lunghi fiatoni di ripresa, solo sorrisi ed occhi sfavillanti. Io e Mello mantenemmo un anomalo respiro regolare e per la sorpresa quasi non saltellai dalla gioia come una bimba in festa.
- Ahah! E' fantastico! - esclamai entusiasta.
Mello mi sorrise con aria soddisfatta:
- Te l'avevo detto, oggi... -
Annuii vivacemente.
- Adesso non possiamo più perdere tempo però... Andiamo, è ora. -
Annuii ancora, stavolta più seria.
- Vuoi ancora che ti tenga la mano? - Mi chiese con sguardo profondo e tendendomene una.
Un lungo sospiro di evidente irritazione invase il mio udito: Ryuzaki.
- Ora no, grazie. - risposi istintivamente in modo freddo.
Non volevo sopportare ancora l'irritazione di Ryuzaki... non quella notte, almeno. Tanto valeva concentrarsi davvero sul piano.
Un esatto istante dopo vidi negli occhi di Mello qualcosa che si rompeva, che si spezzava. Una certa luce nei suoi occhi che svanì nel nulla, e senza dire niente ritirò la mano. Non era la prima volta che succedeva sotto il mio sguardo.
- Seguimi. - disse poi in tono neutro, dopo avermi voltato le spalle.
E così senza neanche aspettare un secondo di più, partì di nuovo a raffica ed io lo seguii subito.
Durante il tragitto il rumore del vento e dell'aria che noi tagliavamo come lame affilate occupò il nostro udito abbastanza da poter rassicurarmi che Mello, a qualche metro di distanza da me, che me ne ero rimasta dietro, potesse non sentirmi. Bastava mantenere un tono basso... Bene. Fui ben attenta a tenermi a quella distanza o poco più, e parlai:
- Ryuzaki? -
- Sì? - la risposta fu immediata.
- Chi altri può sentirmi a parte te? -
- Nessuno. -
Esitai qualche secondo:
- Sei solo? -
Anche lui esitò per qualche istante prima di rispondermi:
- Sì. -
Vidi la sagoma di Mello svoltare diverse strade, tutte stranamente desolate, ma non me ne preoccupai troppo e continuai a seguirlo senza tanti problemi.
- Bene. Allora posso chiederti di mantenerti calmo? Sei o non sei un detective? Sai com'è, sentire i tuoi sospiri esasperati e le tue frasi acide potrebbero non aiutarmi al momento. -
Lo sentii esibire uno strano verso, come una sorta di risata isterica appena accennata:
- Beh... Sì, sono un detective... e no, non sono agitato. Le mie sono solo osservazioni che ogni detective al mio posto sarebbe tenuto a fare. -
- Non mi imbrogli, Ryuzaki. - risposi a mia volta, risoluta.
- Io ti piaccio, ti si legge in faccia... - continuai in tono compiaciuto.
- Che espressioni infantili, Kanade... Una persona normale ti crederebbe più matura... -
- … Ma tu sei un detective e la mia immaturità l'hai scoperta sin da subito, non è così? -
- Dal primo istante. - certificò lui, con voce profonda.
- Allora userò un'espressione un po' più profonda... -
- Non credo sia il cas... -
- Tu mi ami. - gli sputai tutto d'un fiato.
Dirlo ad alta voce mi faceva salire un brivido lungo tutta la schiena, nonostante ogni circostanza. Attesi qualche istante, mentre la corsa al seguito di Mello continuava attraverso vicoli sempre più bui e stretti man mano che avanzavamo... ma da Ryuzaki non arrivò risposta.
Non sapevo se il mio era stato un colpo basso oppure un azzardo inappropriato, stava di fatto che smise di parlare.
- Ryuz... -
- ATTENTA! - sentii improvvisamente urlare da Mello e Ryuzaki in simbiosi; nonostante le urla non ebbi il tempo di capire a cosa si stessero riferendo, perché una sagoma scura si fiondò su di me come un proiettile un attimo dopo e mi fece precipitare al suolo dopo un lungo volo, forse di una decina di metri.
L'impatto con l'asfalto fu più forte e ruvido del previsto. Mi scappò un urlo acuto che in un'altra circostanza non avrei creduto fosse il mio, mentre un essere informe si contorceva sul mio corpo disteso e cercava di attaccarmi in modo scomposto e insensato. Tirai calci e pugni alla rinfusa:
- M... Mel...! -
C'era troppa poca luce per vedere il volto dell'essere che cercava di attaccarmi, ma dopo istanti e istanti di attesa dopo il mio richiamo Mello ancora non mi raggiungeva, e quell'essere informe continuava a ringhiare e sferrare gli artigli sul mio volto.
Doveva essere un uomo... O almeno quello che ne rimaneva.
Un altro Spector?” ebbi appena il tempo di pensare, che l'istinto mi chiarì subito che non potevo più aspettare... dovevo reagire, e subito.
- Kanade! - sentii urlare improvvisamente da Mello a squarciagola, a metri di distanza.
Nel frattempo gli artigli del mio avversario riuscirono a colpirmi in pieno volto, e il dolore fu stranamente lancinante. Sputai un altro urlo e finalmente mi decisi. Sentii come un'altra forza nascere e crescere dentro di me, una forza inspiegabile e feroce... e una sola frase mi balenò in testa, ripetendosi come un mantra... “NON TOCCARMI”.
Strinsi i denti e ripiegai con forza una gamba, per poi posizionarne il piede all'altezza del busto dell'avversario e lanciarlo il più lontano possibile; subito dopo sentii un tonfo sordo.
Finalmente me ne ero liberata, ma sapevo che non era ancora finita.
Mi rialzai svelta e ispezionai nel giro di un secondo il luogo, appollaiata sull'asfalto come un gatto. Mello era occupato con altri due Spector, che gli stavano addosso contemporaneamente... Ecco perché non era venuto a soccorrermi! Avrei dovuto capirlo da sola. Che stupida.
Dopo poco individuai il mio avversario, accasciato a terra a tre metri di distanza, che si stava appena rialzando per tornare ad attaccarmi.
Più che decidere cosa fare, lasciai che fosse l'istinto a guidarmi... E feci bene. Tirai fuori tutte le angosce, le paure e la tensione che mi avevano divorato in tutti quei giorni così assurdi, e li lasciai fare.
Ammortizzai lo slancio sulla gambe e mi lanciai su di lui, proprio mentre un altro di loro cercò di attaccarmi a sua volta... Mello lo fermò giusto in tempo con spiccata agilità, e mi coprì le spalle.
Con tutta la mia forza scaraventai pugni e calci sull'uomo ormai ben inquadrato. Era sulla trentina, e sebbene il calore estivo, indossava un cappotto scuro.
Dopo parecchi pugni e calci senza controllo, quando ormai lo vidi cominciare a sanguinare spaventosamente, cercai anche di darmi una calmata, ma dovevo sapere che era troppo tardi per tirarsi indietro e riprendere il controllo.
Lo afferrai per il collo e lo scaraventai contro un muro di mattoni appena dietro di lui, tenendolo fermo alla mia altezza e stringendo sempre più forte sulla gola. Sentivo il battito del suo cuore come se fosse il mio, sentivo il sangue che scorreva nelle sue vene allo stesso ritmo del mio, la vena del suo collo che si ingrossava per lo sforzo sotto il palmo della mia mano.
- Dov'è... - gli ringhiai ad un palmo dal naso, fulminandolo dritto negli occhi.
Dalla sua bocca sanguinante non uscirono che rivoli scuri e sussurri insensati.
In preda ad una furia bestiale lo tirai lontano dal muro di mattoni alle sue spalle per qualche secondo per poi farlo sbattere di nuovo, contro quegli stessi mattoni, con ancor più violenza.
- Do-v'è!? Bustri, dov'è!? -
- S... S... Sof... -
- Oh no! Non provarci! Non provare a nominare il mio nome! - esplosi io.
- Kanade! - era di nuovo la voce di Mello, tesissima. Mi voltai di scatto alle mie spalle: li aveva uccisi tutti, ed erano diventati tre. I corpi giacevano a terra immobili e in posizioni malsane. Fissai Mello poco distante per qualche secondo, allarmata: stava bene?
Ma certo che stava bene. A parte la chioma divenuta improvvisamente scomposta, nel resto era rimasto lo stesso di prima; neanche un graffio, anzi nei suoi occhi quasi sembrava nascere un nuovo bagliore: eccitazione mista a felicità.
- Stai bene... - dissi d'istinto, sovrappensiero.
- Sì... Non preoccuparti. - rispose lui con un accenno di sorriso.
- La mia non era una domanda. - dissi io, atona.
- Kanade! - esclamò ancora lui, indicando subito le mie spalle.
Appena il tempo di girarmi e vidi arrivarmi un pugno in piena faccia. Lo evitai per un solo, giusto, millimetro. In un secondo Mello mi fu accanto e prese lui il controllo della situazione. L'essere di fronte a noi ormai a stento si manteneva all'in piedi, ma era temerario e ancora stranamente combattivo.
Dopo un suo gesto lasciai la presa su di lui e Mello prese il mio posto. A differenza mia lui dosava bene ogni gesto, si vedeva lontano un miglio che aveva molta più esperienza di me.
- E' quasi morto... - osservò quasi tra sé, dopo averlo immobilizzato di nuovo contro il muro e avergli dato un'occhiata veloce.
Non sapevo più cosa rispondergli e così restai in silenzio, catturata dalla curiosità che sentivo suscitare in me attraverso i suoi gesti, tutti così calcolati e misurati al punto giusto. Come faceva a porsi delle soglie e a non superarle anche in quella situazione? Era uno Spector come me, dopotutto... Proprio non riuscivo a spiegarmelo.
- Perché il tuo burattinaio ci ha fatti venire qui? Qual è il suo scopo? - lo vidi ringhiare all'altro, con voce improvvisamente seria e spietata.
L'essere dinanzi a noi cominciò a ridere di gusto... come vidi già fare prima di lui da quell'altro Spector, all'entrata del nostro edificio, non molto tempo prima.
- Parla, se non vuoi morire subito. - insisté Mello minacciosamente.
- Th... Th... The Center... Of Centr... - cominciò poi a blaterare, come un ubriaco.
Attraverso la luce flebile della strada, ben lontana dal vicolo dove ci trovavamo, riuscii a scorgere una strana sfumatura negli occhi di quell'uomo... Qualcosa che stava cambiando. Da un verde chiaro le sue iridi cominciarono a mostrarsi sempre più scure... fino a diventare nel giro di pochi istanti completamente scarlatte, proprio come avevo già visto quella volta.
- Center... Central Park? - sussurrò Mello tra sé, con fare pensieroso.
- ...Perché dobbiamo and... - Mello non ebbe il tempo di finire la sua domanda che l'uomo dopo pochi altri sussurri esalò l'ultimo respiro e morì, accasciandosi tra le sue braccia e fissando oramai il vuoto con occhi inespressivi.

- Oh, perfetto! - esclamò Mello, scaraventandolo a terra senza tante cerimonie.
- La prossima volta mi occupo io di chi dobbiamo tenere in vita. Tu non sei capace. - disse poi con tono irritato, mentre mi dava le spalle.
- Mello si sbaglia. - sentii dire da Ryuzaki, attraverso l'auricolare.
- Sarà meglio and... -
- Aspetta, Mello! Ryuzaki mi sta parlando! - lo interruppi, improvvisamente agitata.
Lo vidi fermarsi all'istante, prima di voltarsi di nuovo verso di me con tanto di sopracciglio inarcato.
Sapevo che era tremendamente sexy quell'espressione, ma repressi con tutta me stessa quell'osservazione.
- Cosa intendi dire, Ryuzaki? - chiesi poi, voltando lo sguardo passivamente sul corpo inanime del nostro ultimo nemico, accasciato scompostamente a terra.
- Non è del tutto certo, ma... tecnicamente, quell'essere è morto... -
- ...Di arresto cardiaco. - concluse Mello, all'unisono con Ryuzaki.
Aveva spalancato gli occhi, fissi nel vuoto, mentre lo diceva. Forse per la prima volta sembrò cominciare a preoccuparsi davvero, e la cosa non mi piaceva. La sua espressione sembrava troppo scioccata per i suoi canoni.
Sentii cominciare a crescere una strana sensazione dentro di me, insidiandosi come radici lungo tutto il mio corpo: era una sensazione fredda, intimidatoria, pericolosa, che sussurrava come un alito di vento alla mia coscienza: “Non siete soli...”.
- Ci stanno osservando. - continuò Mello, con un'espressione terribilmente allarmata.
- Sì... E' molto probabile, se è vera l'ipotesi di un Death Note nelle mani di Bustri, che ci sia qualcuno con quel quaderno tra le mani che giostra la morte delle sue pedine a suo piacimento. E se questa ipotesi fosse vera... - le parole di Ryuzaki si dispersero in un silenzio agghiacciante.
- …Ci seguono a distanza. - conclusi io con un sussurro, cominciando finalmente a capire davvero di cosa stessero parlando.
Appena realizzata la situazione, sgranai a mia volta gli occhi dallo shock, tornando a guardare Mello.
- C... Cosa facciamo? -
Lo vidi distogliere lo sguardo allarmato dal vuoto per poi dirigerlo verso di me, quasi contemporaneamente al mio, trasformando la sua espressione per qualche momento sbalordita in una più seria e terribilmente severa.
- Non possiamo più tornare indietro. Scoprirebbero il nostro quartiere generale. Non ci resta che continuare ad avanzare, e vedere che cosa succede. Da questo punto in poi... Si fa sul serio. - concluse, tetro.
- Dobbiamo subito raggiungere il centro del parco. - dissi a mia volta, senza pensarci su due volte.
Bustri voleva giocare a nascondino? Bene, che il gioco iniziasse! L'avrei cacciato via dalla sua fetida tana a calci in culo, ci avrei potuto giurare.
- Dove si trova? - chiesi poi a Mello, improvvisamente determinata.
- Seguimi. - rispose subito lui, voltandomi le spalle e cominciando a correre.
- Kanade... -
Attesi giusto qualche secondo, poi seguii Mello senza sforzo mantenendo la stessa distanza di poco prima.
- Sì, Ryuzaki? -
Lo sentii esitare per molti secondi, prima di rispondermi:
- Sta' attenta. - mi disse poi, trascinando la sua voce come in un lamento.
Il suo tono così tormentato m'impaurì, lasciandomi perplessa. Non riuscii a rispondergli nulla. Cosa avrei potuto mai dirgli? Così restai in silenzio per qualche istante, prima che Ryuzaki con mia grande sorpresa continuasse:
- Ti prego... - il suo tono era divenuto inaspettatamente supplichevole.
Intanto insieme a Mello scavalcai una specie di recinto in metallo, e fu lì che cominciai a vedere qualche panchina, con tanti alberi alle loro spalle.
Ad un certo punto vidi Mello fermarsi, al centro di uno spiazzo, e così rallentai.
- … Torna. - gli sentii ancora dire.
Mi mancava ancora qualche metro per raggiungere Mello. Mi fermai a quella distanza, prima di rispondergli.
Adesso sapevo cosa dirgli.
- Tornerò... - gli dissi seria, nonostante cominciasse a tremarmi la voce.
- … Ma solo per costringerti ad ammettere che senza di me non è più la stessa cosa. E sai cosa intendo... è uno spettacolo a cui non ho nessunissima intenzione di rinunciare. -
Non rispose, ma io sapevo nel mio profondo che nonostante tutto stesse sorridendo.

Mi decisi a raggiungere Mello... in attesa del nemico. In attesa di combattere per la mia vita e per quella di chissà quanti altri.
Improvvisamente non vedevo l'ora di finire quell'operazione solo per poter tornare da lui, da Ryuzaki, anche solo per sentirlo di nuovo materialmente al mio fianco.
- Mòno ghia sèna... - sussurrai, poco prima di raggiungere Mello e fermarmi spalla contro spalla con lui, ispezionando le ombre scure che ci circondavano e saziandomi di quella forza che sentivo trasmettermi da quella persona così distante, ormai per chilometri... eppure ancora così vicina al mio petto. Sì, lì, proprio al centro... leggermente inclinato a sinistra.

Solo per te”.




ANGOLO AUTRICE
Okaaaaay, va bene, lo so, sono pessima. E' passato troppo tempo dall'ultimo capitolo, lo so, vi dò la libertà di cercarmi e uccidermi. xD
Mi dispiace, avrei voluto/dovuto pubblicare molto prima ma sono successe tante cose che non me l'hanno permesso. Ho trascurato quelle poche persone che apprezzano o almeno dimostrano di apprezzare quello che scrivo, e mi dispiace davvero. >.<
In compenso prometto di pubblicare almeno un altro capitolo in questi giorni, e come sempre aspetto vostre notizie. Spero che con questo capitolo la storia continui a piacervi. x)
Grazie ancora infinitamente a voi lettori/lettrici, la vostra attenzione è sempre la miglior ricompensa. :)
Aspetto vostre notizie. <3

 

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Capitolo 15
*** Operazione: fine. ***


CONSIGLIO MUSICALE: Se vi va, ascoltate su youtube "How he did it for 10 minutes- Sherlock series 03"... è lei che mi ha ispirato, e in verità mi ha aiutato parecchio.
Buona lettura! <3


- Kanade... Tieniti contro la mia schiena, e cerca di non allontanarti. Per nessuna ragione. - la voce di Mello era quella di uno che non voleva sentire repliche, bassa e grave.
Mi posizionai subito come mi aveva indicato, e una volta schiena contro schiena, ispezionammo insieme di nuovo l'intera area aguzzando la nostra vista in tutte le sue capacità.
Regnava un silenzio tombale ed agghiacciante in quel momento, e oltre qualche rumore lontano chilometri di clacson e il verso di qualche animale, altrettanto lontani, non si udiva nient'altro di più vicino.
- Fa' in modo di mantenerti sempre alla portata della mia vista, quantomeno... Nel caso che nonostante ogni tuo sforzo ti prendano con la forza e ti portino lontana da me... Ricordati del walkie talkie. Chiaro? - continuò, severo.
- Sì... - risposi atona, cercando di rassicurarlo.
Restammo in quella posizione per dei minuti eterni, in attesa di qualcosa che ancora non conoscevamo, e più trascorrevano i secondi più sentivo crescere quella strana sensazione di ansia mista ad adrenalina dentro di me, reduce del combattimento di poco prima.
D'un tratto sentii la schiena di Mello drizzarsi e irrigidirsi:
- Hai sentito? -
Aggrottai le sopracciglia:
- Cosa? -
- Si stanno avvicinando dei corpi circospetti... - sentii sibilare da Ryuzaki.
- ...Il satellite ne ha rilevati cinque. - continuò.
- Ha detto Ryuzaki che ne stanno arrivando cinque. - comunicai a Mello.
- Sì, li sento. -
Mi sforzai per aumentare la mia concentrazione: dovevo riuscire ad individuarli anch'io, e al più presto... Non ebbi il coraggio di chiudere gli occhi, ma farlo in quel momento mi avrebbe aiutato molto.
All'inizio continuavo a non sentire nulla di anomalo, fino a quando poi finalmente qualcosa non raggiunse la mia percezione... passi. Passi accelerati: stavano correndo.
Avrei voluto avvertire Mello del fatto che adesso li sentivo anch'io, ma non ebbi il tempo di prendere fiato per aprir bocca che dei ringhi più forti e acuti trapelarono nell'aria: erano quasi arrivati. Mello mi afferrò all'istante la mano e me la strinse forte.
- Sono tutti davanti a me. - sibilò.
- Ce ne sono altri da te? -
- No. - risposi subito.
- Non lasciarmi la mano... Possiamo combatterli assieme. - mi disse poi, deciso.
- Okay... - risposi con un sospiro appena trattenuto, voltandomi al suo fianco.
Dall'ansia quasi non respiravo più.
- ...VAI! - urlò, e insieme ci catapultammo contro i nostri avversari appena arrivati.
Erano cinque, come aveva detto Ryuzaki, e a quanto pareva erano anche loro Spector, dello stesso genere degli altri precedenti. Trascurati, quasi del tutto privi dell'intelletto umano... Più bestie che uomini. Ringhiavano ed inveivano contro di noi... già, noi, mano nella mano catapultati al combattimento.
Piombati su di loro, Mello tirò senza aspettare un solo istante di più un pugno con la mano libera ad uno, mentre con una gamba colpiva un altro, giusto sullo stomaco. Nel frattempo io scaraventai letteralmente i miei artigli sulla faccia di uno, che subito per il dolore dei graffi profondi che gli avevo provocato si accasciò a terra per qualche istante... Giusto il tempo per occuparmi di un altro, lanciandogli in pieno volto il tacco dei miei anfibi con una giravolta. Alla vista di quella mossa persino Mello si fermò per un esatto secondo guardandomi con meraviglia. Non se l'aspettava.
Ah-ah. Uno a zero per me, Mello.
Il combattimento continuò a lungo, Mello si occupava dei tre che si trovavano sulla sinistra ed io dei due rimanenti sulla destra. Quando entrambi i miei avversari furono eliminati Mello mi strattonò il braccio della mano ancora stretta nella sua.
- Kanade!! - il tempo di un'occhiata d'intesa, e all'istante si ripiegò verso il basso per darmi lo slancio giusto contro il penultimo dei due avversari rimasti. Balzai con una giravolta sulla schiena di Mello e fiondai un calcio per ogni piede all'avversario: uno in pieno volto, e l'altro a lato, sull'orecchio destro.
L'essere, frastornato dal forte impatto, si ripiegò su se stesso. Giusto in tempo per una ginocchiata sul naso, qualche calcio... e anche quello fu fatto fuori. Ora bisognava tenere in vita l'ult...
- Ehi!! Where are you goin'? - sentii urlare Mello con furia.
Alzai subito lo sguardo dal corpo privo di sensi che avevo appena eliminato e vidi la sagoma scura dell'ultimo Spector allontanarsi tra le file d'alberi oltre il viale.
D'istinto lasciai la presa di Mello e corsi all'inseguimento.
- Nooo!! - inveì Mello, ma era già troppo tardi per tornare indietro.

- Kanade... - era la voce di Ryuzaki.
Continuai a correre, arbusto dopo arbusto, svoltando a destra e a sinistra, saltando vecchi tronchi e accelerando con tutte le mie forze... ma l'altro Spector non scherzava. Era veloce.
La luce si faceva sempre più fioca e le ombre aumentavano mano a mano che ci addentravamo, ma l'aria era ancora fresca e leggera e mi dava la forza necessaria per continuare.
- … Kanade, è quello che vuole Bustri. Fermati! Non seguirlo! - la voce di Ryuzaki divenne sempre più tesa e rigida.
D'istinto mi scappò un ringhio grave e basso, quasi simile a quello pronunciato dagli Spector che stavamo combattendo. Cosa mi stava succedendo? Sentivo l'istinto prendere sempre di più il sopravvento, quasi il controllo totale del mio corpo e della mia mente. Volevo solo combattere, e non riuscivo a pensare a nient'altro.
- Kanade, hell's bells!! - urlò Ryuzaki, completamente fuori controllo anche lui.
Le sue urla mi riportarono qualche passo più indietro. La logica cominciò di nuovo a prendere il suo posto, mentre che continuavo a correre istintivamente all'inseguimento di quella ormai lontana sagoma scura.
- Mi porterà da lui... - sibilai.
- No. O se lo farà, non sarà una cosa che ti aiuterà. Devi subito tornare indietro... Hai seminato anche Mello, il che è davvero preoccupante. Come ti senti? -
Quelle parole mi colsero di sorpresa: stare bene?
- Certo che st... AH!! -
Distratta dal dialogo con Ryuzaki persi l'attenzione sullo Spector nemico e quando si fermò all'improvviso andavo ad una velocità così accelerata che lo schianto fu spettacolare. Inciampai sul suo corpo raggomitolato a terra e feci un breve volo di qualche metro forse, fino a sbattere contro l'arbusto di una quercia.
L'impatto non fu dei migliori, e rialzandomi sentii qualche fitta di dolore alla testa e in viso... ma stavo bene. Dovevo stare bene. Cercai di riprendermi il prima possibile, e difatti appena qualche secondo dopo ero giù di nuovo in posizione di allerta. Ispezionai il luogo: eravamo nel bel mezzo degli alberi e della fauna del Central Park. La luce era diventata quasi del tutto un sottile velo che a stento delineava i contorni di ogni sagoma, e nulla più.
Probabilmente senza la mia “supervista” non sarei riuscita a vederci un bel niente.
Ma la “supervista” ce l'avevo, e quindi non mi risultò nemmeno tanto difficile, una volta concentrata, fissare bene il mio avversario.
Si era rialzato, e adesso mi fissava esibendo un sogghigno maligno e pazzoide molto simile a quello dei suoi precedenti.
Era anche lui un uomo, ma molto più giovane degli altri. Questo era poco più grande di me, robusto di corporatura e molto trascurato. Anche lui indossava stranamente un cappotto.
- Kanade! Stai bene? - di nuovo Ryuzaki.
Non potevo rispondere davanti a lui, davanti a quello Spector. Avrebbe capito che ero in contatto col quartiere generale e una sua reazione possibile era imprevedibile.
Dopo qualche istante di silenzio, durante i quali mi scambiai fulmini e saette col mio ultimo avversario, Ryuzaki ci arrivò.
- Che stupido... Non rispondermi. - si corresse, teso come una corda di violino.
Era davvero difficile immaginare che Ryuzaki potesse incepparsi in queste cose, e vederlo succedere era così inaspettato da quasi sconvolgermi... se non fosse tutto già così complicato.
- Perché Bustri ci ha fatti venire qui? - ringhiai gelidamente al mio avversario, dritto sulla schiena che continuava ad osservarmi dall'alto in basso.
- Lui non vuole. Non vuole che tu muoia... -
Aggrottai le sopracciglia:
- Cosa? -
- Tu sei speciale! - sputò lui, privo d'ogni decenza umana.
- Lui vuole che ti mettiamo alla prova... Devi prepararti bene! Così dice! -
Nel giro di due secondi sparì dal posto dov'era e me lo ritrovai ad un palmo dal naso, con una mano che stringeva sulla mia gola, sbattendomi contro lo stesso arbusto di quercia di poco prima.
Accadde tutto così velocemente che la paura improvvisa mi fece tirare un urlo breve ma acuto.
- Noi dobbiamo farti male... Oh sì, tanto male... Lui dice. - sibilò sulla mia faccia.
Il suo alito era fetido e sporco, da voltare qualsiasi stomaco. Cercai di girare la faccia, ma lo Spector mi bloccò.
Più premeva sul mio collo, più l'aria cominciava a mancare e con essa subito vennero meno anche le mie forze... La vista cominciò a non essere più efficiente come prima e pian piano si offuscò sempre di più.
Sentii un altro ringhio, stavolta dall'auricolare.
- RINTRACCIATE MELLO!! - sentii urlare Ryuzaki, completamente fuori controllo.
- Oh, cos'è che ho sentito? Ah, ma certo... Un auricolare, eh? L'aveva detto, lui... -
Lo Spector infilò due dita nell'orecchio e con un solo strattone me lo strappò via.
- AHHHH!! - urlai, soffrendo un dolore inaspettato.
Perché soffro così tanto? Non è troppo per uno Spector mille volte più resistente del normale?” non riuscivo a darmi una ragione di tutto quello che mi stava succedendo... Avevo sbagliato ad abbandonare Mello. Avevo sbagliato proprio ad accettare quella proposta, non dovevo venirci. Avevo fatto il gioco di Bustri, oltre che lasciare Mello da solo, e non me lo sarei perdonata tanto facilmente.
D'improvviso sentii arrivarmi un altro colpo in pieno volto, che mi catapultò a terra una volta che lui lasciò finalmente la presa sul mio collo.
Accasciata a terra tossii violentemente, inspirando quanta più aria era possibile... ma non ebbi molto tempo, perché appena un attimo dopo mi scaraventò altri due calci violenti sullo stomaco, e di nuovo tosse, e tosse...
Basta, ti prego...” mi venne in mente, ma non era la prima volta. In verità per me quella frase fu più un deja-vu. Sì, quella frase l'avevo già detta. Non ricordavo ancora dove o quando, ma l'avevo già pensata e già detta.
- Che... bello! - esclamò lui, tra un calcio e l'altro.
Colpo dopo colpo, il dolore aumentava... ed io non riuscivo a reagire. Come quella volta.
- Son of a bitch! - sentii improvvisamente imprecare da una voce familiare, e appena un istante dopo i colpi contro il mio corpo finirono.
Seguirono versi animaleschi, di rabbia, tonfi sordi e rumori di rami che si spezzavano. La mia vista era diventata come quella di un normale umano e non vedevo praticamente nulla... Ci misi qualche istante prima di riuscire a vedere di nuovo qualcosa, e quello che vidi mi diede di nuovo il conforto di cui avevo bisogno.
Mello era lì, mi stava salvando.
La lotta non sembrò difficile per lui, anzi dopo pochi minuti ce l'aveva già in pugno... ma lo Spector era testardo, veloce e resistente, e richiedeva del tempo in più.
Dopo poco feci lo sforzo di rialzarmi, e con qualche sacrificio ci riuscii anche. Quando rialzai lo sguardo, mantenuta a stento sulle mie gambe, Mello aveva già quasi concluso.
Nell'istante esatto in cui Mello si posizionò alle sue spalle per afferrargli la testa, lo Spector urlò a squarciagola:
- Sofia!! -
A quel nome ci fermammo tutti: io, ingobbita e frastornata, fissandolo... Mello, pronto a rompergli l'osso del collo in un secondo, e lui, che mi guardava sorridendo mentre le sue iridi si scurivano.
- Heaven Cross... -
Ecco, di nuovo quel lucchetto che si apriva; ma a differenza della volta precedente, quella accadde in modo diverso.

Quelle parole innescarono come un meccanismo automatico di autodifesa dentro di me, e senza più un controllo mentale del mio corpo, lasciai che tutto fosse fatto secondo come doveva succedere.
Non riuscii a capirci molto in realtà, prima di chiudere gli occhi e svenire, l'unica cosa che riconobbi fu un grosso abbaglio, come delle lingue infuocate, e... il viso di Mello, che all'istante uccise lo Spector e mi corse vicino, guardandomi con un' espressione grave ed allarmata... poco prima di quel bagliore.
- Kanade... Kanade! - con la sua voce che cercava il mio nome quelle furono le ultime parole che riuscii a sentire, prima del buio.

Riaprii gli occhi. Ero tornata nella stanza chiara, con le mattonelle, il letto e tutto il resto.
- Sofia! Oggi sarà un giorno speciale per te! -
Eccolo, Bustri. Inginocchiato sul pavimento al mio fianco. Sembrava davvero felice.
- Visto che tu non parli... Perché sei ancora arrabbiata con me, voglio farti vedere una cosa. Una cosa bella! - esclamò, esibendomi un sorriso smagliante che avrebbe attratto tante donne al mio posto... magari, in un'altra circostanza.
Mi afferrò la mano e la portò bene alla mia vista, senza troppa delicatezza. Sanguinava, spaventosamente, ma lui non sembrava esserne preoccupato.
D'altra parte io a quella vista vomitai all'istante, e lui aspettò tranquillamente che finissi, per poi continuare come se niente fosse.
- La vedi? Questa è la tua mano. Sì, adesso può sembrare ridotta un po' male, ma... credimi, sei da invidiare. Sei la prima al mondo capace di fare grandi cose, Sofia! Vuoi vederle? -
Non arrivò nessuna risposta da me, immobile, inanime. Il massimo dello sforzo che riuscivo a compiere era quello di tenere gli occhi aperti e nulla più, e lui lo sapeva. Lo sapeva bene.
Non attese molto, infatti, prima di proseguire:
- Oh, ma è ovvio che vuoi vederle. Bene! - esibii uno strano oggetto alla mia vista, di fianco la mano.
Era una lastra, una grossa lastra scura... Una calamita.
- Ora, se la avvicino alla tua mano... - lo fece, lentamente, e appena raggiunse due o tre centimetri di distanza dal mio palmo aperto, la calamita cominciò a tremare.
- Il tuo corpo reagisce! Lo vedi? - si fermò qualche secondo per ridere di gusto, prima di continuare.
- E adesso, se avvicino un po' di più... - lo fece, e appena accadde le lampade al neon della stanza cominciarono a spegnersi e riaccendersi più volte.
- Sei un campo elettromagnetico indipendente! - esclamò in tono scherzoso Bustri, molto divertito.
- E vuoi vedere cos'altro succede, se continuo ad avvicinarlo? -
Ancora una volta era una domanda retorica, visto che non arrivò risposta.
Appena avvicinò la grossa calamita un po' di più, quasi sfiorandola, quest'ultima prese letteralmente fuoco e Bustri la lasciò subito cadere a terra, ancora in fiamme.
Non sapevo se fosse fisicamente o materialmente possibile, ma era successo. Successo per davvero. Ed ero stata io...
- Hai visto? Hai visto!? Sono o no un genio! - esclamò, guardandomi di nuovo dritto negli occhi con sguardo spassionato.
Dopo qualche secondo di sguardi non del tutto ricambiati, però, Bustri cambiò subito espressione trasformandola in una più tenebrosa e ostile:
- Suvvia Sofia, non essere così irriconoscente! Non devi piangere, il mio è un dono! Sei la prescelta! Dovresti ringraziarmi! -

Buio.






ANGOLO AUTRICE
Per favore, apprezzate il mio sforzo. Non so quando riuscirò a pubblicare ancora e per non sentirmi in colpa (mi ha fatto anche piacere in realtà xD) ho affrettato quest'altro capitolo! Spero non sia venuto troppo male... 
Fatemi sapere tutti cosa ne pensate! E' importante, perchè adesso mi fermerò un po' per rielaborare bene il seguito della storia... Come potrete capire, siamo arrivati a metà. Non manca molto alla fine, dopotutto!
Grazie ancora per l'attenzione, di cuore. 
Aspetto le opinioni di tutti! Baci! <3

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Capitolo 16
*** In bilico ***


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CONSIGLIO MUSICALE: Per questo capitolo suggerisco VIVAMENTE l'ultimo singolo di Lana del Rey “Ultraviolence”. E' semplicemente magnifico... come del resto ogni altra sua canzone. Voi l'avete già ascoltata? Piaciuta? Ad ogni modo per questo capitolo è perfetta! Buona lettura. <3

 

 

Confusione. Oppressione. Disperazione.
Buio, lotta, paura, tristezza.
Quante parole possono venirci in mente quando ripensiamo a qualche amaro ricordo? Le mie prime sette parole sono state queste, e non mi sembra poi così strano tutto sommato. In questa cella così buia e desolata, è più facile vivere nei ricordi che nella realtà stessa.”

 

INIZIO SECONDA PARTE

 

Cosa diavolo è successo!? - sibilò Ryuzaki.
Sembrava infuriato, e quel suo tono di voce avrei tanto voluto non sentirlo mai, soprattutto se non potevo reagire proprio come in quel momento. Per l'ennesima volta avevo perso totalmente i sensi, e il primo contatto col mondo che riuscii di nuovo ad avere era stato quello: la sua voce.
- Stava combattendo con l'ultimo Spector della zona... - sentii rispondere Mello, con voce affannata.
Con lo scorrere degli attimi cominciavo di nuovo ad avvertire il mio corpo, anche se ancora non ne ero tornata la vera padrona.
Qualcuno mi stava tenendo imbraccio a peso morto, senza tante difficoltà. Il mio capo era poggiato contro un petto duro e caldo... Caldo come il fuoco. E non un fuoco qualunque, ma uno di quelli che ti riscalda e non brucia, lo stesso che avevo riconosciuto in una sola persona: Mello.
- E tu dov'eri!? - ringhiò Ryuzaki.
Sentii le braccia e il petto da cui ero circondata irrigidirsi come pietra.
- Non ti permetto di mettere in discussione le mie capacità in missione... - ringhiò a sua volta Mello, con voce grave e minacciosa.
- ...Ho dato tutto me stesso per proteggerla, o almeno io ci ho provato! - continuò, sempre più fuori controllo.
- Io ero lì, sul campo. Tu e Near dov'eravate? -
- ...Io posso metterti in discussione in qualsiasi momento, Mello. Posso permettermi qualsiasi cosa in questo edificio e se voglio in tutto il resto del mondo. Capito bene, Mihael? -
- Tu dovevi scendere in campo con lei, se davvero ti importava! - sbraitò d'improvviso Mello.
- Sei il solito... - sospirò nervosamente Ryuzaki.
- ...A te non deve interessare se a me importava o meno, chiaro!? Io servivo qui, punto e basta! - continuò, ormai nelle urla.
Quella discussione stava diventando sempre più violenta, e la mia testa ne stava risentendo. Cercai di mantenermi quanto meno cosciente, per sentire cos'altro si sarebbero detti o almeno fin dove sarebbero arrivati.
Avrei tanto voluto fermarli... Al costo di sgridarli come una madre farebbe coi suoi bambini e perché no, mollandogli anche un ceffone se necessario. Avrei voluto urlare anch'io, dirgli che stavo bene e potevano smetterla lì... ma non potevo.
- Credo che discutere in questa situazione, con la signorina ancora in queste condizioni, non sia per nulla producente. - sentii d'un tratto intervenire Smithers, sorprendentemente calmo.
Seguii qualche minuto di silenzio, prima che Mello accennasse ad andarsene con me ancora tra le sue braccia.
- No. - lo interruppe Ryuzaki.
- ...Give me her. - continuò poi, con voce grave.
- Fuck. - rispose l'altro, facendomi sentire che stava ricominciando a camminare.
Dopo qualche secondo però avvertii uno sbando improvviso, che mi fece scivolare la testa via dal suo petto a peso morto.
- Signori! - sentii Smithers.
- Don't you dare challenging me, Mells. She's not yours. - sentii sibilare Ryuzaki, improvvisamente vicinissimo.
- Neither she's yours, and she'll never be. - ringhiò ancora Mello.
- Let's see. - replicò Ryuzaki.
Sentii le dita di Mello stringersi più forte attorno alla mia pelle:
- You just want her to suffer, and I won't allow it. - gli sentii rispondere.
- Give me her. - lo interruppe l'altro, senza tante cerimonie.
Trascorsero degli istanti di silenzio gelido, senza riuscire a sentire nient'altro.
Arrivai addirittura a pensare di aver perso di nuovo completamente i sensi, per qualche momento, visto che la fatica a restare quanto meno cosciente si faceva sempre più insopportabile. Sapevo che da un momento all'altro sarebbe successo, se ancora non era accaduto.
- No. - sentii poi sibilare di nuovo Mello.
Un altro urto più forte si fece sentire sul corpo mio e di Mello; probabilmente Ryuzaki lo aveva colpito... e addirittura era riuscito a smuoverlo! Come poteva la furia di Ryuzaki competere con uno Spector?
- Give me her! - lo sentii sbraitare ancora.
E di nuovo caddi nell'incoscienza.

Il mio risveglio vero e proprio accadde poco più tardi. Aprii gli occhi senza quasi accorgermene, e ad accogliermi ci fu di nuovo la mia stanza rischiarata dalle luci di un mattino inoltrato. L'aria era sorprendentemente fresca e una brezza leggera mi carezzava la pelle scoperta, mentre che mi accertavo di essere davvero del tutto cosciente avvicinando entrambe le mani ai miei occhi. Restai ad osservare le mie dita sporche di terreno che si muovevano con sguardo accigliato per dei minuti forse, prima che mi accorgessi di non essere sola. Nell'abisso del silenzio di quegli istanti si distinse un flebile sospiro; di quelli che un umano forse non avrebbe mai sentito, a differenza dello Spector che invece ero diventata. Balzai dritta sulla schiena in un secondo, e non ci misi molto ad inquadrare Ryuzaki seduto sul bordo del letto a braccia incrociate, che a sua volta mi fissava con occhi spalancati e con tanto di sopracciglia super-inarcate... Effettivamente i suoi occhi erano così spalancati che quasi mi sembrò che da un momento all'altro potessero cadergli fuori dalle orbite, e le sue labbra erano così ristrette in una sottile linea tagliente da quasi scomparire. Aveva una faccia spaventosa.
Mentre che pensavo confusamente al suo bizzarro modo di svegliarmi, lo guardai dalla testa ai piedi (sempre scalzi) con tanto di bocca spalancata: per il resto era rimasto lo stesso, stessi vestiti, stessa massa scomposta di capelli, stessa gobba... Solo le occhiaie, ora mi accorgevo, erano divenute più profonde.
- Alla buon'ora. - si decise poi a borbottare, capendo che il mio silenzio confuso sarebbe andato ancora per le lunghe.
- C... Che... -
- Sono passate nove ore da quando sei svenuta. - continuò, fulminandomi con lo sguardo.
- Grazie al tuo brillante intervento quelle poche possibilità che avevamo di trarre informazioni su Bustri dalla missione sono andate a prostitute. - disse ancora, con falsa nonchalance.
- Brava. - concluse poi, stringendo ancor di più le braccia incrociate contro il suo petto.
- Io... non capisco. - mi limitai a rispondere, sempre più accigliata.
- Hai mandato in fiamme un quinto del Central Park. - rispose lui, mantenendo letteralmente il broncio (ovviamente in modo alquanto stravagante).
- ...Avrei dovuto occuparmi io di mandare al più presto degli agenti e fare in modo che la cosa rimanesse... come dite voi italiani latinisti? Inter nos. Già. E non ho potuto fare nemmeno quello. Ci ha dovuto pensare Near.
- E perché? - gli chiesi quasi senza pensarci.
Ryuzaki rispose con un'eclatante alzata di sopracciglia.
...Wow. In mimica facciale facciamo progressi, a quanto pare.
- Tu che dici? -
- E che ne so! - risposi io, ormai nella confusione più totale.
Lo vidi sospirare ancora, alzando gli occhi al soffitto:
- Guardati. -
Al suono di quell'invito il mio sguardo e la mia mente raggiunsero il massimo stato di confusione.
“...Che?
Dopo svariati istanti di occhiate strane non corrisposte, mi decisi a fare come mi aveva detto...

- Ma che cazz...!? -
Ero quasi del tutto nuda! La divisa era completamente distrutta e quel che ne rimaneva dei brandelli erano le uniche cose che indossavo... e a malapena coprivano le mie nudità.
D'istinto balzai giù dal letto e scaraventai la mia schiena contro il muro al suo fianco, ovviamente tutto nel giro di mezzo secondo. Solo dopo mi preoccupai di coprirmi petto e inguine con le mie braccia, pur sapendo che non sarei mai riuscita a coprire più di quanto non facessero già quegli stessi stracci.
- Come cazzo è successo!? - sbraitai.
- Sei letteralmente andata in fiamme... dalle braccia in giù. - lo sentii rispondere ancora col “broncio”.
- Esci subito fuori! - esclamai, fuori controllo.
- Mh, tutto questo non ti sembra un deja vu? Okay Kanade, calmati... per una volta cerca di non sragionare... e mantieniti lucida! -
- Ma che cazzo dici!? - risposi istericamente.
Vidi l'espressione di Ryuzaki diventare improvvisamente più grave e seria. Si alzò senza dir nulla e con fare deciso mi venne incontro. Una volta di fronte a me alzò entrambe le braccia e mi afferrò le spalle, stringendole con forte pressione. La sua espressione divenne così grave che quasi sembrava sofferente, mentre che mi guardava con occhi indescrivibili.
Quella sua azione fu così improvvisa e inaspettata che a stento riuscii a realizzarla; restai così ferma a fissarlo senza far nulla, aspettando le sue intenzioni. Fin dove sarebbe voluto arrivare?
E passarono dei minuti frattanto, e Ryuzaki ancora non si decideva.
Eppure era a pochi centimetri da me...
- Non preoccuparti, se la tua paura è che io ti baci di nuovo, non lo farò, sta' pure tranquillo. Non mi lascio rifiutare due volte. -
Già. Non l'avrei mai più fatto di mia iniziativa... anche se in quel preciso momento, con le sue mani che stringevano parte della mia pelle nuda e i suoi occhi così vicini ai miei... avrei tanto voluto.
Mi morsi istintivamente il labbro, per sfogare l'esasperazione che cresceva in me a pari passo con i miei pensieri, mentre Ryuzaki finalmente diede di nuovo segni di vita.
Sospirò ancora più forte, e continuando a restare in silenzio mi tirò violentemente contro di lui, stringendomi contro il suo petto in un abbraccio quasi asfissiante. Quella fu una mossa così sorprendente da lasciarmi ancora più esterrefatta: mi stava abbracciando. Wow.
Solo dopo qualche momento riuscii a rialzare le braccia e ricambiare l'abbraccio; sentivo le sue mani ora premere contro la pelle nuda della mia schiena, le sue labbra e il suo mento poggiarsi sulla mia cavità tra il collo e la spalla destra... e persino le punte dei suoi capelli mi solleticavano la pelle all'altezza delle clavicole.
Risentivo il suo odore misto a sapone e caffè... e accompagnato a quella vicinanza fisica dava vita ad un insieme di sensazioni stupende, quasi divine.
- Mi sono reso conto che non sarei riuscito a fare nient'altro se non stare con te, finché non avrei potuto vedere con i miei occhi che ti saresti risvegliata sana e salva. - gli sentii dire appena, in un sussurro soffocato, con le labbra che strofinavano la mia pelle mentre che pronunciavano quelle parole... così surreali, così umane.
- R... Ryuzaki... -
Lo sentii stringermi ancor più forte a sé:
- Non riesco più a capirci niente, con te... Ed è così snervante! -
- Non ci credo.. - sussurrai sconvolta, quasi tra me e me.
Si distaccò appena da me, in modo da potermi di nuovo guardare dritto negli occhi:
- Prima che te ne andassi... ieri notte, ti ho fatto un giuramento. -
Oh mio Dio.” al suono di quelle parole mi si gelò il sangue.
- ...Ho giurato che avrei guardato in faccia la realtà per quella che era... Ebbene, in verità io non ero sinceramente predisposto a farlo, anzi più ci pensavo dopo averlo detto e più mi maledicevo... ma alla fine non ho avuto bisogno di sforzarmi, perché è stata la circostanza ad obbligarmi a farlo. - si fermò per qualche istante, sospirando ancora. Era in evidente difficoltà e i suoi occhi umidi ne erano la conferma schiacciante.
- Vedere ciò che ti stava accadendo e non poter intervenire di persona... è stato insopportabile. Ecco l'ho detto. Non riuscivo a sopportare quella situazione, proprio non ci riuscivo... e più vedevo quell'essere infierire su di te, più la mia rabbia cresceva. Dovevo proibirti di andare, a costo di chiuderti anche per tutta la notte in una stanza sotto chiave, pur di non lasciarti partecipare a quella missione. Eppure non l'ho fatto... Sai Kanade, sto imparando che con te è sempre difficile dire di no. Sarà una colpa mia o tua? -
Entrambi, guardandoci negli occhi, accennammo ad un timido sorriso. Seguì poi un'aria più leggera, più serena, intorno a noi. La sentivo sempre di più ad ogni respiro, con la piena consapevolezza che anche per lui era lo stesso.
Distrattamente alzai una mano e la posai con delicatezza sulla sua guancia, a mo' di carezza. Aveva la pelle fredda e liscia, quasi come quella di una bambola, e il suo pallore era così in contrasto con i suoi occhi color carbone da crearne paradossalmente un'eccentrica sintonia. Per me lui rimaneva bellissimo, anche nei suoi piccoli difetti.
Una sfumatura di paura si fece spazio nel suo sguardo, non appena le mie dita toccarono la pelle morbida della sua guancia, ma non disse nulla e nemmeno si scostò... Anzi, dopo qualche istante di esitamento, alzò anch'egli la sua mano per poi poggiarla sulla mia.
- Inoltre... - continuò, cercando di schiarirsi la voce.
- … Non ho giurato solo quello. Giusto? -
Le parole pronunciate da Ryuzaki qualche ora prima rimbombarono subito nella mia testa...
“-...se tornerai, giuro che farò quello ed altro ancora.-
- Si... - risposi, sempre più disorientata.
Lo vidi socchiudere gli occhi e sospirare brevemente.
- Bene... - si limitò a dire, prima di sporgere impacciatamente il viso verso di me e avvicinare le sue labbra alle mie. Appena si sfiorarono lui si arrestò, ed io non arretrai né mi avvicinai: stavolta no, doveva essere una sua scelta.
In quei secondi di silenzio, sentii i suoi respiri che scivolavano lenti lungo la pelle del mio viso, fino al collo. I suoi occhi, sprofondati nei miei, erano improvvisamente divenuti più neri, come l'ombra di un precipizio.
Dopo pochi istanti, quando quasi ci avevo perso le speranze, lui si decise. Forse per la prima vera volta in tutta la sua vita.
Avanzò quei millimetri che ci dividevano e premette la sua bocca contro la mia. Accadde tutto così improvvisamente da quasi non accorgermene. Realizzai davvero che era successo solo quando d'un tratto sentii le sue mani scorrere lungo la pelle nuda della mia schiena, con lentezza, e ciò diede inizio ad una reazione a catena che ognuno di noi nella sua vita prima o poi si ritroverà sempre a far parte.

Le dita della mia mano poggiate sul suo viso scesero lentamente sul collo, mentre che con l'altro braccio mi stringevo più forte a lui. Schiusi le labbra, e ormai completamente abbandonata a lui, lasciai che fossero i miei istinti a comandare.
Mi lasciai trasportare dalle sue labbra stavolta, assecondavo tutto quello che lui faceva senza più forzature. Ryuzaki era cambiato da quel primo bacio; quasi sembrava un'altra persona. Un po' di impaccio era rimasto e lo si vedeva dalla lentezza con cui si muoveva, ma col passare degli attimi anche quella andò scemando, dando spazio all'uomo che si era sempre nascosto dietro enigmi e jeans schiariti. Le mie mani scivolarono lungo il suo petto, e poi giù fino alla cintura dei jeans, soffermandosi appena, poi risalirono lungo il suo busto, sotto la maglietta di cotone che gli avevo sempre visto indossare sin dalla prima volta... mentre che sentivo le sue mani carezzare la mia schiena con una certa nota di impazienza, d'un tratto le sentii accelerare, fino a ritrovarsi sui miei fianchi. Le nostre labbra continuarono a toccarsi, seguendo una passionale danza che prendeva un ritmo sempre più veloce e istintivo, mentre che le nostre lingue ci esploravano. Lui mi tirò con i fianchi contro il suo corpo, e di risposta gli morsi un labbro. Lo sentii mugolare, forse per la sorpresa, ma non ebbi il tempo di preoccuparmene che sorprendentemente sorrise di gusto. Facemmo qualche passo, insieme, attaccati, fino ad arrivare al letto dove ci lasciammo cadere senza mai separare le nostre labbra. Le sue dita divennero più coraggiose e intrepide, così che arrivarono all'altezza del mio ventre, afferrando quei pochi brandelli rimasti per farli scivolare via. Sentirlo così vicino a me mi diede alla testa, e quel suo ultimo gesto fu quello che mi fece definitivamente diventare sua. Passai dalle sue labbra al suo collo, mordendolo con delicatezza e passione al tempo stesso. Afferrai la sua maglia e la tirai via, mentre che la sua bocca seguiva il mio esempio ed esplorava posti del mio corpo che non aveva mai sentito, scivolando verso il collo, e poi ancora il mio seno, scoprendo anche quello.
Non rimaneva molto della nostra vita reale, lì, su quel letto. Tutto ciò che era mio al di fuori del mio corpo fu completamente abbandonato, e lo feci con una nuova gioia nel cuore.
I nostri respiri divenivano sempre più veloci, i gemiti più frequenti... La pelle pallida e nuda del suo busto al contatto con la mia sembrava ghiaccio; era freddo, ma non mi dispiaceva riscaldarlo.
- Oh, Ryuzaki... Non lasciarmi mai. - sussurrai senza alcuna cognizione di causa.
- C... Cosa? - gli sentii dire, con voce improvvisamente strana.
Si fermò, sopra di me, allontanò il viso e tornò a guardarmi con occhi sgranati. Sembrava scioccato.
Mi diedi mentalmente tremila ceffoni, prima di formulare una risposta decente da dargli.
- S... scusa. Ho parlato senza rendermene conto... -
- Mi hai detto... - si bloccò, con aria sempre più sorpresa.
- Cosa diavolo sto facendo...!? - borbottò fra sé solo qualche istante dopo, mentre che si rialzava.
Certo, non è che dire quelle cose sia stata una buona mossa da parte mia... ma quella reazione mi sembrava un po' esagerata.
- Non lo so. - risposi in tono serio, mentre che lo vedevo gironzolare per la stanza alla ricerca della sua maglietta.
- … Cosa stai facendo? - gli chiesi, proprio quando lui l'aveva appena trovata dietro il comodino di legno di fianco il letto, e l'aveva appena afferrata.
Al suono delle mie parole si bloccò, ancora con la maglia in mano, tenendo lo sguardo basso.
- Non doveva succedere niente di tutto questo. -
Quella frase fu peggio di una pugnalata in pieno petto. Fu così forte il dolore che istintivamente mi portai davvero una mano al petto, ora nudo, guardandolo accigliata.
- Come...? - mormorai, con voce tramante.
Lo vidi infilarsi la maglietta con fare svelto, tenendo sempre lo sguardo sul pavimento.
- Ti odio quando fai così... - borbottò con tono grave, dandomi le spalle mentre che avanzava di qualche passo verso la porta.
- Cosa? Tu mi odi? - esclamai dal canto mio.
- Non puoi fingere di non capire! Perché continui a sedurmi!? -
- Ma stai scherzando! - esplosi io, inorridita dalle sue parole.
- … Io seduco te!? Stavolta non puoi incolparmi di niente! Sei stato tu ad avvicinarti! -
Non rispose. Se ne restò lì, a metà strada tra il letto e la porta, con lo sguardo nascosto dalla massa di capelli che gli ricopriva quasi tutto il volto.
- … Non mi sono spogliata da sola. Questo non puoi negarlo. - continuai.
Lo vidi finalmente reagire, anche se non nel modo che desideravo. Sprofondò entrambe le mani nelle tasche dei jeans, a pugni chiusi, avanzando verso la porta senza degnarmi di un altro solo sguardo. Probabilmente non lo faceva perché ero ormai nuda, e la cosa poteva infastidirlo... ma come poteva, se fino solo a qualche minuto prima era stato proprio lui a spogliarmi?
Non ci stavo capendo più niente... Era già tutto così confuso, al di fuori di quell'amore malsano.
- E' stato uno sbaglio che non dovrò più ripetere. Non dovevo giurarti un bel niente... - sibilò poi, poco prima di varcare la soglia ed andarsene.
E così mi lasciò sola. Di nuovo. Abbandonata al mio malessere. Ma non piansi quella volta; ero stanca di tutta quella sofferenza, di tutti quei problemi e quelle difficoltà... di tutto quel mondo così assurdo e così lontano dalla vita che facevo io. Ero esausta, non volevo più piangere, né sprecare energie per qualcosa che non avrei avuto mai. L'avevo capito: non ero abbastanza.
Non ero abbastanza da convincerlo a cambiare, a fare in modo che la sua vita cambiasse. Preferiva se stesso agli altri, e lo stavo capendo bene. Per questo scelsi di non piangere più.
Eccola, l'ultima lacrima, pungente come uno spillo e fredda come il vento invernale. Sarebbe stata l'ultima, me lo giurai.


Feci una via dritta verso il bagno. Mi ci chiusi a chiave e col cuore ormai diventato un grosso pezzo di ghiaccio mi feci una doccia altrettanto fredda. Dovevo risvegliarmi definitivamente, dovevo riprendermi e trovare un modo per andarmene.
Avevo ben capito che non sarei potuta comunque scappare da Bustri, né da quello che stava facendo... dovevo scoprire cosa aveva intenzione di fare in futuro, capire fin dove sarebbe arrivato e quanto pericoloso stesse diventando. Non potevo più ignorare il fatto che ormai c'ero dentro, e questo di certo non era colpa di L, o Ryuzaki o degli altri investigatori. Ormai era chiaro: era stato Bustri a scegliermi una vita che non volevo, e l'avrebbe pagata cara per questo.
Quindi, pensando a lungo durante la doccia, mi decisi che in segreto sarei scappata, avrei trovato un modo per sistemarmi (non mi serviva molto, visto che la temperatura, la fame, il sonno ed altri bisogni umani non mi appartenevano più) e poi avrei continuato ad investigare da sola. Non c'era altra scelta, non potevo più restare con Ryuzaki. Quell'amore malsano che ci univa mi avrebbe portato alla follia.
Ma come scappare?
Ci misi un po' per raggiungere una buona risposta, ma alla fine ci riuscii, come con un fulmine in pieno cielo sereno: Mello!
Quella strana chiavetta blu che mi aveva mostrato il giorno prima in ascensore... Sarebbe stata la mia via d'uscita. Dovevo solo persuadere Mello a darmela... o magari procurarmela senza che lui ne sapesse niente. Facile.
-Quindi scusa, se ti amo. - ...” la voce di Mello invase i miei pensieri, mentre che uscivo dalla doccia per poi coprirmi con un'asciugamano.
Mi amava... Mello, mi amava. Forse il suo poteva davvero essere un amore diverso da quello che Ryuzaki era disposto a darmi? Se quello poteva definirsi amore? Ma anche lui non aveva mai amato prima d'allora, e anche lui aveva sempre vissuto in un mondo cinico ed enigmatico... Quanto poteva essere diverso da Ryuzaki?
Eppure lo era, diverso. Il suo era un amore più schiavo degli istinti, più caldo, confortante... Seppur inesperto. Ma io? Lo amavo a tal modo a mia volta?
No. Lo sapevo bene. L'amore che sentivo per Ryuzaki non me l'avrebbe mai permesso... ma da qui a dire che non lo amavo, comunque ce n'era di strada.
E quindi qual era la mia vera posizione?
E chi lo sapeva. In bilico, forse, sulla fune tra due torri che Nietzsche nominava nel suo Zarathustra, a combattere tra ciò che ero prima di salire su quella fune e quello che mi aspettava dall'altra parte. Il dubbio, il dolore di quel momento, erano tutti lì: nell'abisso che mi accoglieva di sotto. Nietzsche diceva che per diventare un oltreuomo bisognava staccarsi completamente da tutto ciò che si era in passato, abbandonare la morale, la vita quotidiana, uccidere il proprio Dio e farsi forza da solo... e questo avrebbe fatto la differenza: se raggiungere la fine della fune e diventare il proprio Dio, oppure cadere di sotto e lasciarsi morire. Io quella fine della fune l'avrei raggiunta, mi sarei superata, e avrei finalmente accettato la mia nuova persona... ma sarà scelta da me, e da nessun altro. Vivrò la vita che mi sceglierò, e non avrei voluto saperne più niente di nessuno. Era questo il mio nuovo obiettivo.
E così, a metà strada tra Ryuzaki e Mello, il mio cuore scelse me.

Mi vestii velocemente e mi diedi una nuova sistemata. Scelsi un paio di sneackers chiare, jeans blu e canotta bianca. Tornai ad indossare il polsino di Sarah, e dopo un'ultima occhiata allo specchio (ero cresciuta minimo un altro paio di centimetri dalla sera prima!) mi decisi a raggiungere l'ascensore. Prima di entrare diedi un'occhiata al paesaggio urbano dietro la grande vetrata del salone. Le tonalità della luce suggerivano che le prima ore del pomeriggio erano appena inoltrate, frattanto che mi sistemassi; il giallo dorato dei raggi del sole si riflettevano sui vetri scuri dei grattacieli di fronte a me, creando una sorta di aura nella stanza che ricordava i riflessi dorati dei capelli di Mello alla luce del tramonto.
Mi avrebbe mai perdonata per tutto quello che avevo fatto, e che avrei fatto ancora in futuro? Sarebbe stato capace di vedere oltre le barriere del mio istinto?
Lo speravo davvero.
Forse proprio perché sapevo che in fondo Mello aveva ragione a dire che noi due eravamo simili... Forse per questo ci speravo. Forse poteva capirmi, almeno lui.
Dopo un lungo e forte sospiro, distolsi lo sguardo dalla stanza e varcai la soglia dell'ascensore, lasciando che le porte metalliche si chiudessero alle mie spalle dopo che premetti di nuovo il fatidico pulsante, l'unico con il quale avevo preso confidenza: il numero 30. Trentesimo piano.


ANGOLO AUTRICE:
Okaaaaay, ora posso essere insultata e minacciata quanto vorrete! XD
Lo so, mi son fatta attendere e anche troppo... So bene che io al posto vostro non l'avrei sopportato! XD
Mi scuso ufficialmente! Spero almeno che questo capitolo abbia mantenuto le vostre aspettative, e quindi ne sia valsa la pena per voi di aspettare... Confesso che io ne sono particolarmente fiera! XD
Ad ogni modo, volevo dirvi che forse per il prossimo ci sarà ancora da aspettare, perché ho la maturità e programmi interi da recuperare nonché la tesina da finire. Quindi ho pensato una cosa! Se qualcuno di voi è stufo di adocchiare ogni tanto per poi vedere che non è stato pubblicato ancora nulla, se volete, potete anche farmelo sapere e vi avviserò io con un messaggio in posta che il capitolo è pubblicato! Oddio spero non vi sembri troppo invadente. °w°'
Insomma io lo dico solo per essere d'aiuto eh! Giusto per chiarire xD
Okay detto questo, ringrazio ancora chi ha recensito e spero continueranno a farlo... Fatemi sapere tutti cosa ne pensate! Per me, ma soprattutto per la storia, è molto importante! Grazie ancora. Baci. <3

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Capitolo 17
*** Colpo mancato: bacio mancato. ***


Durante l'attesa mi arrovellai il cervello su come poter agire con Mello per quel che riguardava la chiavetta. Dovevo prenderlo “di petto” (sotto ogni punto di vista) e persuaderlo a darmela, oppure dovevo agire in silenzio senza che ne sapesse nulla? Effettivamente c'erano forti possibilità che non mi aiutasse lo stesso, se glielo chiedessi... Forse addirittura anche dopo averlo sedotto!
D'altra parte lui non era Ryuzaki... Lui era molto più preda dei suoi istinti rispetto alla gelidità dell'altro, e magari chissà, avrebbe potuto stupirmi.
Cosa avrei dovuto fare?
Diedi un'occhiata ai numeri in rosso sopra le ante metalliche chiuse dell'ascensore che indicavano i piani... Ero quasi arrivata.
Cominciai a mordermi freneticamente le unghie in preda all'ansia... Dovevo darmi una mossa a decidere.
Stiamo calmi... non è la fine del mondo dopotutto... In fondo, Sofia, cos'altro potrebbe succederti di peggio rispetto a tutto quello che hai già passato?”
- Bene... - sospirai tra me e me.
Deciso. Avrei prima visto la sua situazione... Come si sarebbe mostrato e come si sarebbe comportato nei miei confronti, e interpretando le sue espressioni e il suo comportamento, avrei capito cosa fare di conseguenza.
“...Grazie Dio per avermi dato l'innato talento dell'interpretazione gestuale!
Driiin.
Eccoci arrivati. Mi morsi istintivamente un labbro e alzai gli occhi al cielo, dando un ultimo libero sfogo alla tensione che sentivo sempre più divorarmi le interiora; dopodiché avanzai decisa nella stanza e diedi un'occhiata in giro.
“...Oh, Cristo!
L'intero salone era completamente sottosopra! Come se ci fosse appena passata una mandria di bufali inferociti o un tornado o un qualsiasi altro fenomeno catastrofico!
Spalancai senza quasi accorgermene la bocca per la sorpresa: persino i mobili erano capovolti, spostati, scaraventati al muro (che ne portava addirittura delle crepe) o distrutti. Mi voltai verso la vetrata, e anche quella portava un enorme crepa che si diramava lungo tutta la sua larghezza... Feci ancora qualche passo nella stanza, in preda al panico: cosa cazzo era successo a Mello? Chi era entrato nel suo appartamento e l'aveva ridotto in quello stato? E dov'era finito lui? Già si formarono nella mia mente tutte le possibili ipotesi... Mello che combatteva contro un nuovo Spector; Mello che cercava di eliminarlo; Mello che non riusciva a farlo fuori e che veniva portato via con la forza... Se non addirittura...
NO!!”
Senza accorgermene mi ritrovai col fiato corto e gli occhi lucidi. Le mani mi tremavano e le gambe quasi non riuscivo più a sentirle.
- Mello... - sussurrai sovrappensiero, cominciando a correre verso il corridoio completamente avvolto dall'ombra.
Riuscii appena a raggiungere l'arco che ne dava l'inizio, che una voce mi interruppe:
- Go away. - sentii dire dal fondo.
Si... Non potevo sbagliarmi, era proprio lui...
- Mello! Oh Dio, sei vivo! -
Sforzai al massimo la mia supervista per inquadrare quanto meno la sua sagoma nel buio e mi precipitai su di lui senza pensarci sù due volte. Nel giro di un secondo mi ritrovai già da lui, stringendolo in un abbraccio soffocante. Lui non aveva ancora ricambiato, anzi per la verità non si era proprio mosso nemmeno di un millimetro. Per un attimo quasi mi sembrò di abbracciare una colonna di marmo; ma il suo calore lo sentivo, unico, ineguagliabile a nient'altro sulla Terra, confortante... L'unica sensazione che da quando ero arrivata a New York mi faceva sentire di nuovo a casa, mi resi conto.
Continuai a stringerlo a me per lunghi istanti, e ancora, e ancora... Non volevo per forza che lui mi ricambiasse, in verità avevo solo bisogno di convincermi che stava bene, e quello di averlo stretto a me era il gesto più convincente che potessi fare.
- Sofia... - gli sentii poi dire piano, con tono sorpreso.
Sentii le sue mani finalmente muoversi e circondarmi, ricambiando così il mio abbraccio, anche se con un certo impaccio. Strano, da parte sua... Non era da lui essere impacciato.
Dopo qualche istante di esitamento però lo sentii tornare in se stesso, e stringendomi ancora più forte e sprofondando il viso tra i miei capelli Mello mi fece capire che la sorpresa di avermi visto aveva lasciato spazio a qualcos'altro.
- S... Stai bene... - continuò, mantenendo un tono sorpreso.
- Io? Ma certo che sto bene! - gli dissi, sciogliendomi dall'abbraccio per provare a vedere se riuscivo a guardarlo negli occhi... Sì, li vedevo, quei due diamanti che riflettevano un'insolita scintilla nell'ombra.
- Tu piuttosto! Cosa diavolo è successo? - continuai, stavolta con una nota di rabbia.
- Niente, lascia perdere... Cosa ci fai qui? -
Quella domanda mi fece istintivamente arretrare di un passo.
- Se non vuoi che resti, me ne vado. - gli dissi in tono serio.
Lo vidi esitare per dei lunghi istanti, prima che rispondesse:
- No, non voglio che te ne vai. Perché dovrei cacciarti? -
Ecco, quella risposta proprio non me l'aspettavo.
- Oh, beh... Hai appena detto che dovevo andarmene... -
- Non avrei mai immaginato potessi essere tu. - mi interruppe subito.
- … Non sapevo ti fossi svegliata. Credevo stessi ancora dormendo o, se non questo... Comunque sapevo che non eri sola. -
L'immagine di Ryuzaki che aspettava il mio risveglio lì, sul letto, al mio fianco, si fece spazio primo fra tutti gli altri miei pensieri. Ma quanto tempo in effetti era stato lì?
“...Ma certo!”
Durante quel litigio, dove io ero ancora semi-svenuta... Mello doveva aver ceduto consegnandomi a Ryuzaki! E lui poi doveva avermi portato subito in camera... Dove aveva aspettato fino al mio risveglio.
“- ...Avrei dovuto occuparmi io di mandare al più presto degli agenti e fare in modo che la cosa rimanesse... come dite voi italiani latinisti? Inter nos. Già. E non ho potuto fare nemmeno quello. Ci ha dovuto pensare Near.-”
Ma certo! Solo che... se era davvero andata così... ed io mi ero risvegliata dopo nove ore, questo significava che Ryuzaki aveva aspettato in silenzio nella mia stanza per nove ore!?
Quell'idea fece subito nascere in me una nuova sensazione di strana lusinga, accompagnata a qualcos'altro... amore.
Oh no, non potevo ricaderci. Cercai di allontanarmi di nuovo da quei dolorosi pensieri, e ripensando così alle condizioni dell'appartamento di Mello, capii subito un'altra, sconcertante, cosa. Mentre che io dormivo e Ryuzaki mi aspettava in silenzio da solo nella mia stessa stanza... Mello come poteva sentirsi dal canto suo?
Vedersi costretto a lasciare la ragazza che ama nelle mani del suo “superiore”, pur sapendo l'altro cosa può provare a sua volta nei suoi confronti... non doveva esser stato per nulla facile. E ormai era chiara anche la sua reazione. Non potendo prendersela con nessuno, aveva lasciato che la rabbia si lasciasse corrodere solo contro se stesso, e il luogo in cui viveva.
Ora la vera immagine di Mello, che in preda alla furia scaraventava tutto ciò che gli si ritrovava davanti, mi colpì in mente come un lampo. Doveva esser stato terribile...
- Mello... - finalmente riuscii a guardarlo con occhi diversi.
Senza pensare a nessuna conseguenza, e annullando ogni mio precedente piano, cercai nel buio la sua mano e quando la trovai la afferrai con dolcezza.
- … c'è una stanza che hai lasciato intatta? - gli chiesi, con calma.
Dopo qualche secondo di silenzio, lo sentii accennare un sorriso amaro:
- ...No. -
Una nuova luce si accese nella mia testa...
...Sì! Se gioco bene le mie carte forse posso mantenere il piano e avere due piccioni con una fava!
- Beh, e... tu cosa diresti se... ti proponessi di trovarci un posto tranquillo? -
In qualsiasi altra circostanza sapevo bene che quella domanda avrebbe inevitabilmente portato ad una battuta maliziosa di Mello, come risposta, ma quella volta... Non arrivò nulla del genere.
- E dove? -
- Che ne dici del posto dove mi hai allenata? La... chiavetta ce l'hai ancora no? Lì dovrebbe essere perf... -
- Sì, ci sto. - rispose subito, senza un minimo accenno di esitazione.
“...EVVAI!


Una volta uscita dall'ascensore, ancora mano nella mano con Mello, sentii di nuovo la brezza d'aria fresca del pieno pomeriggio che stava trascorrendo; sembrava un fiume in piena che scorreva e attraversava il mio corpo veloce ma cauto. L'aria aperta mi fece subito sentire meglio, i miei sensi si ampliarono più di quanto potessi mai ricordare, e sapere di essere uscita di nuovo da quelle quattro mura così grige e cupe, mi fece sentire ancor meglio.
Accennai subito ad avanzare verso il bordo, senza più la minima paura dell'altezza che invece mi aveva accompagnato così tante volte nella mia precedente vita... ma Mello mi bloccò.
Mi voltai a guardarlo con aria interrogativa, e il viso di Mello che mi ritrovai di fronte si rivelò una sorpresa; sembrava il mio specchio. Aveva appena qualche segno, sottospecie di graffi, sul viso, forse dovuti alle schegge dei mobili che aveva disintegrato poco tempo prima... indossava una t-shirt nera e jeans scuri, entrambi abbastanza maltrattati, ma nonostante ogni cosa, il suo viso era cambiato. Durante l'attesa di risalire in ascensore non parlò molto e non ne sembrava nemmeno tanto in vena. In verità sembrava in pessimo stato. Non l'avevo mai visto così, né credevo di averlo mai potuto vedere... Ma in quel preciso istante, con i capelli che seguivano la danza invisibile del vento, il suo volto era cambiato. C'era qualcosa di più stavolta, qualcosa che riconoscevo molto in me stessa. Grinta. Aspettative. Fiducia in se stessi.
- Cosa c'è? - gli chiesi, non riuscendo a trattenere un sorriso.
Continuò a fissarmi dritto negli occhi con vivace esitazione. Sembrava quasi che aspettasse che capissi da sola, ma io sono sempre stata molto, molto lenta a capire certe situazioni... E quella volta non era diverso.
Inarcai un sopracciglio, confermando la mia domanda, e fu lì che lo vidi reagire:
- Perché mi hai portato qui? - mi chiese, con un'espressione intraducibile.
- Io... Ecco. Tecnicamente non ti ci ho portato io. E comunque... Volevo che andassi via da quell'inferno che ti eri costruito intorno. - mi sentii di rispondere, sorprendentemente sincera.
- Cosa ti fa credere che fosse il mio appartamento sottosopra il vero inferno? -
Quella domanda mi lasciò di sasso. Cosa avrei potuto rispondergli? Non ero nemmeno sicura di aver capito bene cosa intendesse dire...
- Il mio inferno è l'intero grattacielo, Sofia. Il mio inferno è qualsiasi posto nel mondo dove c'è o ci sarà Near, o dove c'è o ci sarà sempre qualcuno pronto a darmi degli ordini... -
Ryuzaki...” avvertì subito il mio cervello.
- Credo che tu debba sapere una cosa, Mello. - sputai d'un tratto, prima che potessi cambiare idea.
Dovevo dirglielo...
- Vi ho sentiti, te e Ryuzaki... litigare per come era andata la missione. L'altra notte. Mi tenevi imbraccio mentre che succedeva, non è così? -
Lo vidi aggrottare curiosamente le sopracciglia.
- Eri già sveglia e non hai voluto dircelo...? -
- No! No, no, no... Assolutamente; diciamo che ero semi-cosciente, ma non riuscivo nemmeno ad aprire gli occhi, davvero. Riuscivo solo a sentire voci confuse... Che per alcuni momenti si sono fatte più chiare, ed erano le vostre. -
- Oh. Bene. - si limitò a rispondere, lasciando la presa sulla mia mano e incupendo lo sguardo più di quanto già non lo fosse.
- Mi dispiace, davvero. Avrei voluto fermarvi... Far capire in qualche modo a Ryuzaki che non era per nulla colpa tua... -
Avanzai un passo verso di lui, vedendo il suo improvviso distacco.
- ...Lo so che hai dato tutto te stesso in battaglia. Io l'ho visto. E ti ringrazio. -
Quelle parole furono come la chiave di un lucchetto. Improvvisamente vidi una scintilla illuminarsi nella chiarezza dei suoi occhi (vagamente) celesti.
- Lo pensi davvero? -
- Perché mai dovrei mentire? - gli risposi, esibendo un sorriso.
- Solo... Potresti spiegarmi qualcosa di più dell'altra notte? - continuai, dando liberamente voce ai miei pensieri.
- Sono svenuta per l'ennesima volta e non so più cosa credere... -
- Cosa vuoi sapere? - lo sentii rispondere subito, senza una minima esitazione.
- Tutto. -
Passarono alcuni istanti in pieno silenzio, prima che parlasse di nuovo.
- Okay... - disse, riprendendomi la mano che poco prima aveva lasciato.
- … ma non adesso! Non abbiamo tempo... - e dicendo questo, mi trascinò verso il bordo che fino a poco tempo prima ero io stessa a voler raggiungere.
Non abbiamo tempo? Cosa significa?
- Mello, ma cos... -
Mello si bloccò di botto per girarsi di nuovo verso di me. Mi guardò giusto per due secondi, prima di parlare:
- Andiamocene. - disse in un sussurro pieno d'aspettative.
- C... Che... Cosa? - tutta quella situazione stava prendendo un verso decisamente sbagliato... Cosa diavolo stava succedendo!?
- So bene che anche tu vuoi andartene. Te lo si leggeva in faccia subito dopo aver detto la parola “chiavetta”. -
Diamine!
Ero partita con l'intento di leggere le sue espressioni ed approfittarmene, ed eravamo finiti col risultato opposto!
- Odio avere a che fare con voi investigatori... - sospirai nervosamente, girando lo sguardo lontano da quello di Mello.
Aveva capito tutto. Porca miseria.
Io non avevo minimamente messo in conto di scappare in compagnia! Soprattutto non con Mello!
- Sofia, non abbiamo tempo... Se vuoi farlo, dobbiamo andarcene adesso. L ci sta osservando e avrà sicuramente già capito... A momenti verrà qualcuno a fermar... -
- Fermi dove siete! - sentii urlare alle mia spalle.
Entrambi ci voltammo di scatto verso l'origine di quell'urlo, e ci ritrovammo davanti una decina di uomini, tutti armati di... cos'erano, fucili forse? Una tipologia però alquanto strana, non aveva la forma tipica di un fucile ma la ricordavano. E tutti quegli uomini erano coperti in viso da un casco scuro e in divisa abbinata. Sembravano essere usciti appena da un film action.
- Ma che diavolo...!? - esclamai esterrefatta, appena mi resi conto che tutti miravano le loro armi a me e Mello.
- Corri Sofia, corri! - urlò Mello, strattonandomi per il braccio e correndo a velocità supersonica verso il bordo. Senza nemmeno accorgermene corsi davvero, seguendolo, almeno fino a quando non era giunto il momento di saltare. Sarebbe stato per me lì mi sarei fermata, ma Mello non me lo permise... e proprio mentre ci stavamo scaraventando ad oltre cinquanta piani d'altezza verso il vuoto, il suono di migliaia di spari si sparse nell'aria, alle nostre spalle.
Stava accadendo tutto così velocemente che quasi mi pareva un sogno, o un'illusione. Eppure lo sentii bene l'atterraggio, sulle mie gambe, una volta arrivata a terra... ma non ci fermammo. Mello continuò a tenermi per mano e a correre, costringendomi a seguirlo...
Fummo così veloci che probabilmente le persone che stavano in strada in quel momento quasi non si accorsero di noi... Se non per il tremendo rumore del nostro atterraggio. Ma per me furono tutti solo macchie indistinte, correvamo così forte che non ebbi nemmeno il tempo di realizzare per dove stessimo passando o chi stessimo superando.
Solo dopo qualche minuto di questa corsa sfrenata lo vidi fermarsi, in un vicolo ristretto che separava due lunghi edifici, buio nonostante l'orario ancora odierno, e terribilmente, insopportabilmente... Puzzolente.
- Ma cosa diavolo hai fatto!? - sbraitai più per lo shock che per la rabbia.
Vidi Mello lasciarmi finalmente la mano e allontanarsi da me; si appoggiò con la schiena contro il muro di mattoni alle sue spalle non molto lontano e incrociò le braccia in petto, con aria solenne e minacciosa al tempo stesso.
- Se fossimo rimasti lì ci avrebbero sparati. - rispose semplicemente.
- E allora? Siamo Spector, no? -
- E secondo te L non mi ha mai esaminato a fondo per scoprire ogni mio punto debole? -
Aggrottai grossolanamente le sopracciglia:
- E tu gliel'hai lasciato fare? - chiesi poi, dubbiosa.
- In fondo non avevo molta scelta. E poi mi disse che avrei aiutato per un futuro possibile attacco da parte di qualche altro esperimento di Bustri... ma ovviamente non gli dispiaceva avere anche la possibilità di tenere ancor più sotto il suo controllo un essere come me, imprevedibile e ingovernabile. -
- Che modestia... - dissi quasi sovrappensiero,
- Un qualsiasi Spector lo è. A maggior ragione quelli istintivi come me... e te. -
Alzai di scatto lo sguardo di nuovo su di lui:
- Cosa è successo ieri, Mello? -
Anche lui rialzò lo sguardo per ricambiare il mio, in modo terribilmente serio e grave.
- Hai incendiato qualsiasi cosa ti fosse intorno. Non era poi tanto difficile, visto che ci trovavamo completamente immersi nella natura con legno e foglie ovunque, ma tu hai superato ogni aspettativa. Ah, prima di svenire hai scaraventato letteralmente un... non so come definirlo. Un'onda di fuoco forse, verso lo Spector che ti aveva attaccato... Nonostante fosse già stato messo fuori da me. - si fermò giusto qualche secondo prima di continuare, accennando appena un sorriso.
- … E hai continuato. E' stato terribilmente strano... Non sembravi più... umana. E i tuoi occhi erano diventati rossi, come i nostri nemici. - disse infine, tornando serio.
- Oh, mio Dio. -
Non riuscii a dire nient'altro.
- … Ho cercato di superare le fiamme di cui ti eri circondata, ma appena lo feci e provai ad afferrarti... Sono rimasto elettrizzato. Emanavi corrente elettrica, Sofia. Non so come sia possibile... ma temo proprio che Bustri con te abbia messo qualche sostanza in più nelle tue dosi. Sei uno Spector... unico. -
Quelle ultime parole mi fecero tornare nel mio ultimo flashback. Bustri che afferrava le mie mani sanguinanti... La calamita...
- Sì! - esclamai subito, realizzando finalmente la mia situazione.
- Oh, mio Dio... - ripetei, sentendo aggredirmi dall'angoscia. Cos'altro doveva succedermi!?
- Devi conoscere meglio il tuo corpo, Sofia. E al quartiere non sarebbe mai stato possibile. -
- Lo so. - gli risposi gelidamente.
- ...Ma non volevo andarmene via con te. - continuai, mantenendomi distante.
Una sfumatura di sorpresa invase il suo sguardo, mentre che inarcava un sopracciglio con fare scettico:
- E come avevi in mente di allenarti con i tuoi nuovi poteri? E se se ne rivelassero altri, ancora nascosti? O se svenissi di nuovo, chi si occuperebbe di te? -
Quelle parole furono per me come una secchiata d'acqua gelida in pieno volto.
Era difficile da ammettere, ma aveva ragione.
- E che cazzo, porco Giu...! -
- Ehi, ehi! Sei una signorina! -
- ...Ma vaffanculo! - gli sputai con furia, dirigendomi a passo svelto verso l'uscita del vicolo.
Da un momento all'altro mi ritrovai Mello davanti, contro il quale andai subito a sbattere.
- Dove pensi di andare? - mi chiese, con uno strano sorriso sulle labbra.
- Mello, levati. - gli ringhiai.
- Altrimenti che mi fai? - mi chiese poi, con occhi divenuti improvvisamente languidi.
Azzardò un passo verso di me e senza rendermene conto, di tutta risposta, gli scaraventai un pugno in pieno volto... che però fu bloccato appena in tempo da una sua mano ad un millimetro di distanza dalla sua guancia.
Lo fulminai con lo sguardo, mentre lui mi ricambiava con uno molto più... seducente.
Voleva giocare?
- Mi stai sfidando, Mello? -
- Forse. - si limitò a rispondere, allontanando la mia mano dal suo volto, prima di lasciarla.
Accennò ad un altro passo verso di me, ma non gli diedi il tempo di farlo che lo spintonai così forte da farlo volare per un metro; ma si rialzò in un lampo e s lanciò di nuovo contro di me, e stavolta sembrava fare sul serio.
Appena mi raggiunse gli scaraventai con una giravolta un calcio in pieno viso... ma anche quello fu bloccato dalla sua mano. Mi lasciò così a testa in giù per dei secondi, continuando a tenere ben stretta la mia caviglia.
- Sei ancora una dilettante... - gli sentii dire, con finto disprezzo.
- Ah si? -
Poggiai le mani sul cemento putrido del vialetto per darmi lo slancio e tirai via la gamba dalle sue mani, con forza, per poi ritornare dritta in piedi.
Lo fulminai di nuovo con lo sguardo, accogliendo la sua sfida, e di tutta risposta lui sorrise di gusto.
Mi scaraventai subito contro di lui, stavolta di mia iniziativa, e con molta più decisione. Provai con un pugno, ma fermò anche quello:
- Bloccato. - disse lui, compiaciuto.
Tirai via anche il polso, lasciandomi sfuggire un ringhio. Provai ancora con un calcio, e anche quello fu fermato.
- Bloccato, ancora. Cominci ad annoiarmi... -
Lo spintonai con forza, facendolo sbattere contro il muro di mattoni. Un enorme alone di polvere ne fuoriuscì e si rialzò subito nell'aria, circondandoci, ma non mi diede alcun fastidio.
E di nuovo mi scaraventai su di lui e ci ritrovammo a combattere... io cercavo di colpire lui, lui mi bloccava. E poi lui cercava di colpire me, ed io lo bloccavo. Tutto sommato la competizione sembrava essere di pari livello. Finché però, ad un certo punto, non vidi una scintilla distinguersi tra di noi... che divenne in un nanosecondo molto più grande e lucente.
- Ahhhh!! - sentii improvvisamente Mello lamentarsi.
Dopo qualche istante di completa confusione, realizzai ciò che stavo effettivamente vedendo. Avevo afferrato Mello per un braccio, e intorno alla mia mano si era formata una luce grigia a intermittenza... Era... corrente!
- V... Vorresti... m... mollarmi? - disse Mello con tono sofferente, mentre che vedevo il suo braccio tremare.
- Ah... Ahhh... - continuò a lamentarsi.
- Oh Dio! - esclamai poi, lasciandolo ed allontanandomi da lui.
Non sapevo cosa dire... Mi portai le mani vicino al viso per osservarle meglio. Per qualche secondo si distinguevano ancora delle piccole scintille chiare, sparse sui miei palmi, prima di sparire completamente. Continuai a tenere lo sguardo fisso su di loro, mentre che continuavano a tremare.
- Sofia... - sapevo che era Mello, ma non lo sentii davvero. Sembrava lontano, molto lontano, da dove mi trovavo io. Ero definitivamente scioccata.
- Sofia... - ripeté ancora, adesso vicino a me, mentre che afferrava entrambi i miei polsi per allontanarli dal mio viso.
- Come ti senti? -
Ci volle un po' prima che ritrovassi la forza per parlare di nuovo.
- ...I... Io? Come sto io? Tu come stai!? -
- Mhhh... se non mi sbaglio, in italiano c'è un termine proprio adatto... mi pare... ah si. Acciaccato. - rispose lui con un sorriso, marcando le prime due “c” con un accento molto americano.
- Oh, Dio... io... non so che dire. -
- Ci sono riuscito... - gli sentii dire d'un tratto, con tono fiero.
- ...Come? -
- Aspettavo che uscisse fuori, questo tuo nuovo potere... e come credevo, era solo questione di tempo. Bisognava darti il giusto incentivo. -
Rimasi a fissarlo intensamente per dei secondi, prima di tranquillizzarmi.
- Sei proprio un figlio di puttana. - gli dissi poi tutto d'un fiato, sorridendo istericamente.
Lui non sembrò offendersi della mia reazione, anzi rise a sua volta.
Dopo qualche istante però, quasi senza rendercene conto, rimanemmo a fissarci negli occhi con un'intensità inimmaginabile. I nostri sguardi assumevano a mano a mano sempre più una sfumatura diversa... seducente.
D'un tratto lo vidi avanzare ancora di più verso di me, portandomi a poggiare la mia schiena contro il muro alle mia spalle... fino poi a travolgermi completamente contro il suo corpo.
Così mi ritrovai il suo corpo che aderiva al mio, mentre che le sue braccia mi avevano circondata a destra e a sinistra all'altezza del mio viso, poggiate ai mattoni.
Io non volevo tutto questo...
O forse, una parte di me sì?
Sentire il corpo di Mello contro il mio era una sensazione completamente diversa da quella avvertita con Ryuzaki. Mello era fuoco, Ryuzaki ghiaccio. Mello mi voleva, lo sentivo... e di Ryuzaki avrei mai potuto dire con sicurezza la stessa cosa?
Di fatto Ryuzaki mi aveva rifiutata. Mello sarebbe stato capace di fare lo stesso?
No, non credevo proprio.
E forse proprio quello mi spaventava.

Dopo minuti interi passati così, a fissarci a pochi centimetri di distanza tra i nostri volti, Mello decise di continuare, avvicinando la sua bocca alla mia. Le nostre labbra si sfiorarono mentre che i suoi respiri lenti scorrevano lungo il mio collo...

Improvvisamente però la suoneria di un cellulare interruppe le nostre intenzioni.
Mello si bloccò all'istante.
Il suono sembrava abbastanza distante, ma continuava a squillare.
- Dimmi di non rispondere, ed io non lo farò. - mi sussurrò serio, mantenendo le nostre labbra vicinissime.
E intanto il cellulare continuava, e continuava...
- Ecco... - cercai di arrancare qualche frase da dire, qualcosa... qualsiasi cosa.
Ma dico, io stavo davvero per perdere la testa, e tu mi poni pure questioni del genere? Ma ti pare il caso?!”
Sospirai esasperata, voltando il viso e abbassando lo sguardo.
- ...Immagino sia un no. - gli sentii dire, e con ciò si allontanò, raggiunse il suo cellulare, che si trovava a terra e ancora squillante, e prima di arronzare una giustificazione al fatto che fosse finito lì, dicendo che probabilmente era caduto mentre che “giocavamo” a picchiarci, rispose controvoglia.

- Spero sia importante. - accolse così la chiamata, in tono gelido.
Lo vidi esitare solo qualche secondo, prima di sospirare dirigendosi di nuovo verso di me. Una volta raggiunta poi, mi porse il telefono, mantenendosi distaccato.
- E' per te. - disse semplicemente, senza guardarmi negli occhi.
Per... me?
Restai a fissare inebetita il suo cellulare per dei minuti forse, prima di decidermi a prenderlo. Lentamente poi lo avvicinai al mio orecchio...
- Pronto? - dissi a mia volta, in modo ancor più gelido di quello di Mello e ormai pronta a tutto.
- Sofia! Oh sia lodato Buddah, Cristo, e tutte le religioni! Dove cazzo sei? -
Quella voce mi fece raggelare e ribollire il sangue a ritmi intervallati minimo una decina di volte. L'ultima voce che m'immaginavo di sentire, proprio in quel momento... Eppure non potevo essermi confusa.
- Sarah! -

ANGOLO AUTRICE
Soooooorpreeeeeesaaa! Okay ce l'ho fatta, ci sono riuscita. Però dopo questo DAVVERO se ne parlerà a Luglio, mi dispiace! XD Ho fatto le corse perché... non riuscivo a non scrivere, ecco. @-@
Poi ho dato un'occhiata alle vostre recensioni e... non me la sono sentita di farvi aspettare così tanto.
Mi state rendendo la ragazza più felice del mondo, con i vostri complimenti e le vostre considerazioni, davvero. Adesso mi sento più forte, capace di affrontare anche la fine di questa storia. Sapete, in tutta la mia vita non ne ho mai finita una! MAI! XD
Però questa sì, promesso.u.u
Grazie infinite per quello che fate con le vostre recensioni a me e alla nostra storia. Sì, perché è tutta nostra. Fa parte anche di voi, in qualche modo. Sappiatelo.
Grazie. Grazie mille.
Spero continuerà a piacervi... Al prossimo capitolo!

E buona maturità a tutte le povere persone che adesso si trovano nella mia stessa, disperata, situazione! Vi sono vicina. <3
Ciaaaooo! *-*

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Capitolo 18
*** Brooklyn baby ***


 

- Sarah! -
Puntai gli occhi di nuovo su Mello, che nel frattempo ricambiava con freddezza.
- Stai bene? Sei viva? Chi era quello che mi ha risposto prima di te? Sta con te? -
Restai qualche secondo imbambolata, prima di risponderla, stando molto attenta ad evitare l'argomento “Mello”:
- Viva? Beh... tecnicamente sì, altrimenti non starei qui a parlarti. Anche se “viva” forse è una parola grossa... -
Sarah mi interruppe bruscamente, come se non mi avesse davvero ascoltata.
- Ma stai bene? -
“Sì, a parte che rischio la vita, sono scappata dall'unico posto sicuro dell'intero continente in cui mi trovo, e alla ricerca di non so ancora cosa... ma...”
- ...Sto bene! -
- Okay, dimmi dove sei. Ti vengo a prendere immediatamente, torniamo a casa... -
Quelle parole mi fecero inumidire gli occhi. “Casa” ormai era anche più lontana di quanto lei potesse immaginare, ma nonostante ancora non lo sapesse, sentirle dire “torniamo a casa” mi smosse qualcosa all'altezza del cuore. Malinconia, forse. O stanchezza, di una vita completamente diversa da quella che mi sarei sempre aspettata. Forse entrambe le cose o ancora di più.
- Oh, Sarah... - sentii una lacrima scorrermi lenta lungo uno zigomo.
Senza che me ne accorgessi Mello alzò una mano e me l'asciugò con le dita, con fare preoccupato e sguardo interrogativo.
Scossi la testa e accennai un sorriso:
- Niente Mello, davvero... -
- Con chi stai parlando!? - esclamò ancora Sarah, dall'altro capo del telefono.
Sembrava alquanto esagitata. Certo, non che la circostanza non lo richiedesse... ma lei forse lo sembrava un po' troppo. Al suo solito, mai una volta che si contenesse, quella pazza coinquilina.
- ...Ti sta dando fastidio! Chi è? Eh!? - continuò.
Alzai istintivamente gli occhi al cielo:
- Sarah, sta' calma per favore! E' una lunga storia adesso da spiegare. Noi siamo... - effettivamente non lo sapevo nemmeno io. Mi voltai di nuovo verso Mello:
- … Dove siamo? -
Lo vidi fulminarmi con lo sguardo, scuotendo il capo con fare non molto contento.
Con un gesto alla velocità della luce mi strappò il telefono dall'orecchio:
- Tu dove sei? - chiese poi con tono teso a telefono.
Nello stesso momento mi afferrò una mano e cominciò di nuovo a camminare velocemente verso l'uscita del vicolo, trascinandomi dietro.
Non volendo fare di nuovo la stessa fine di poco tempo prima, accelerai il passo e gli stetti quasi affianco, tenendo il suo ritmo ancora umano.
Lo vidi alzare nervosamente gli occhi al cielo, prima di parlare di nuovo:
- No, forse non ci siamo capiti. - sibilò a denti stretti.
- ...O mi dici subito dove ti trovi, senza fare domande perditempo, oppure sta' pur certa che non risentirai mai più la tua compagna. -
Quelle parole furono taglienti come lame sottili. Non sentivo quel tipo di tono così ostile e tipico di un investigatore da... dal nostro primo incontro. Giorni prima.
Mi sembrava fosse passato un secolo.
Conoscendo Sarah sapevo bene che minacce del genere non l'avrebbero intimorita, infatti dopo appena qualche secondo lo vidi espirare dal naso in segno di esasperazione.
- Bene, allora a mai più... - fece per staccare la chiamata, ma si bloccò. Dopo qualche istante sorrise in silenzio.
- Perfetto. - gli sentii dire infine, con tono compiaciuto.
Senza aggiungere altro staccò per davvero la chiamata, proprio mentre imboccavamo l'enorme movimento della strada che si apriva all'uscita di quel fetido vicoletto.

Dopo qualche passo poi, si fermò giusto un attimo lasciandomi la mano, nel bel mezzo della brulicante folla tipica di New York di prima mattina che non guardava in faccia nessuno, e con pochi gesti smontò l'intero telefono. Afferrò il primo pezzo e lo scaraventò a terra con una forza così potente da addirittura ridurlo in un sol colpo in milioni di piccoli frammenti.
Restai a guardarlo scioccata, mentre disintegrava il secondo pezzo tra le mani come fosse plastilina.
- Ma... ma... siamo per strada! -
- Guardati intorno, non ci bada nessuno. E quei pochi che lo fanno al massimo penseranno che sono solo il tuo ragazzo in preda ad un attacco di gelosia, che rompe il cellulare della sua amata per qualche prova di tradimento. -
- Ah. Beh... E invece perché lo fai? - gli chiesi scettica.
Lo vidi bloccarsi per poi alzare di nuovo quegli enormi occhi color indaco su di me, appena un po' ricoperti dalla frangetta che, ci badavo solo adesso, sembrava più lunga. Quasi avrebbe potuto sistemarla di lato come un ciuffo qualunque...
Ma perché mi perdevo in stronzate del genere?
Strabuzzai gli occhi come un stralunata, per poi guardare cos'altro gli rimaneva tra le mani: la batteria.
- Pensaci, secondo te perché perderei tempo per fare una cosa del genere? -
La risposta mi colpì come un fulmine. Spalancai occhi e bocca per la sorpresa:
- ...Non dirmi che ci hanno intercettato! -
Lo vidi abbozzare un sorriso:
- Brava, sapevo che ci saresti arrivata con un po' di sforzo. -
Alzai un sopracciglio con fare offeso:
- Con un po' di sforzo? - ripetei in tono grave, incrociando le braccia in petto.
Mello scossa la testa, liquidando il discorso, e si avvicinò per porgermi la batteria.
- A questa dovresti pensarci tu, ingegna il tuo nuovo potere. - mi sussurrò con fare enigmatico.
Di mia risposta lo guardai per qualche istante immobile, confusa.
- Me... -
- Non chiamarmi in pubblico. - mi interruppe bruscamente.
- ...Io... Non posso. Non riesco ancora a controllarlo... -
- Provaci. Ma fa' presto. - disse lui, ponendomi la batteria con decisione fra le mani.
Annuii malvolentieri, e cercai di fare come mi aveva proposto. Dovevo sciogliere la batteria con il calore dell'elettricità.
Restai a fissarla per ore, mi sembrava, senza riuscirci. Cercavo in tutti i modi di ricordare come avevo potuto riuscirci poco prima, ma non mi veniva in mente niente. Mi sforzai a tal punto da strizzare gli occhi fissi su di essa, pur di concentrarmi e dimenticare le persone che avevo attorno, i problemi che col tempo crescevano, il pensiero di L alle nostre calcagna... avrebbero potuto raggiungerci da un momento all'altro.
Sì, eravamo in piena New York brulicante di gente, ma sarebbe bastato a fermarli pur di mantenersi in segreto?
Dopo un lasso di tempo che a me parve un'eternità, Mello mi strappò di nuovo tra le mani la batteria, e con fare sempre più impaziente la spezzò in due e scaraventò anche quella sul cemento duro del marciapiede. Dopodiché mi guardò di nuovo, anche se giusto per qualche istante, e abbozzò un sorriso:
- Fa niente, imparerai. Adesso non abbiamo più tempo, dobbiamo andare. -
L'ultima frase la pronunciò di nuovo con tono serio e teso.
Io non gli risposi. Davvero non sapevo cosa dire, ero solo terribilmente arrabbiata con me stessa. Perché diavolo non avevo ancora il pieno controllo del mio corpo? Per qualche momento mi era sembrato di esserci riuscita, dopo tanti sforzi... e invece mi ritrovavo di nuovo punto e d'accapo. Ero furibonda.
Mello dal canto suo sembrò aver capito da solo, così senza aggiungere altro mi afferrò ancora la mano e cominciammo di nuovo a correre tra la folla.



Arrivammo di fronte ad un palazzo dall'aria molto vecchia e dai mattoni sottili e spogli. Anche la strada era meno popolata e l'aria sapeva più di putrido.
Con passo svelto scivolammo oltre il cancello d'entrata di ferro vecchio e scrostato, già aperto, e raggiungemmo il quinto piano nel giro di pochi secondi.
Ci ritrovammo davanti ad una porta alta e larga, rossa, con in alto un piccolo spioncino e poco sotto un numero inciso: 237.
Mello ignorò il campanello e batté con forza il braccio contro il metallo invecchiato della porta. Lo fece tre volte, senza scomporsi, prima di fermarsi. Si girò poi verso di me, ci guardammo per degli istanti, e dopo di questi abbassò lo sguardo sulle nostre mani ancora intrecciate.
Fece per lasciarla ma d'istinto la strinsi forte, in modo che non potesse farlo.
Mello reagì increspando le sopracciglia.
- Mi dispiace. - sussurrai in un soffio.
Prima che Mello potesse rispondermi la porta si spalancò, e in un attimo Sarah balzò fuori come una bomba in piena esplosione.
Ignorò completamente Mello e mi strinse forte, sprofondando il viso nei miei capelli lunghi e ricci.
- Oh diamine, Sofia! - disse poi con un sospiro di sollievo.
Sentire di nuovo il suo profumo, e tenerla di nuovo così vicina, stretta a me, mi fece di nuovo sentire a casa. Mi si aprì come una voragine nel cuore, di quelle che lasciano via libera alla luce, illuminando il buco buio che avevo sempre sentito e nascosto in silenzio dentro di me da quando mi ero risvegliata dopo l'incidente.
Dopo qualche momento lasciammo entrambe la presa, e solo allora Sarah notò anche Mello.
- Oh! - esclamò, restando a fissarlo e squadrarlo dalla testa ai piedi, mentre che l'altro ricambiava lo sguardo con occhi ora taglienti e gelidi.
- ...Tu invece devi essere Mister Simpatia! - esclamò ancora, acidamente.
Il suo sguardo poi si posò sulle nostre mani ancora intrecciate, e a quella vista spalancò la bocca, tornando a guardare me. Fissandomi dritto negli occhi, cominciò anche a notare i miei nuovi aspetti da Spector. In primis...
- ...Gli occhi! Cosa ti è successo agli occhi? Non sono lentine, vero!? -
Con aria spiacente, scossi lentamente la testa, mentre che gli occhi di Sarah continuavano a scorrermi lungo tutto il corpo.
- E sei... Alta! Quando mai sei stata così alta!? Oh Cristo! - continuò, a voce sempre più alta, agitando le braccia in preda allo stupore.
- Beh, ecco... Ci sono molte cose di cui ti dovrei parlare... Per darti delle spiegazioni a quello che vedi... -
- ...Ma non abbiamo molto tempo. - m'interruppe Mello bruscamente, restando gelido e serio.
- Hai un computer? - chiese poi a Sarah, inarcando un sopracciglio.
Lei lo fulminò con lo sguardo, senza farsi intimorire.
Sapevo ancora prima di farli incontrare, che con Sarah Mello avrebbe avuto anche più filo da torcere di quanto ne avesse potuto avere con me... e la cosa era ormai ovvia anche a lui.
Non sembrò però infastidirlo, anzi, per qualche secondo vidi le sue labbra incurvarsi appena. Ad una persona meno attenta non sarebbe parso, ma io lo notai bene, e capii allora che a Mello le persone di carattere come me e Sarah a lui piacevano, anche se ci metteva un po' a dimostrarlo.
Vidi Sarah poi incrociare le braccia in petto, con fare altezzoso:
- Ti importa? -
Mello alzò gli occhi al cielo:
- Altrimenti non l'avrei chiesto, no? Ci serve. Devo fare un'operazione importante. -
Sarah stava per aprire di nuovo bocca, sicuramente per dire con parole molto poco eleganti che non gliel'avrebbe prestato, ma prevedendo le sue intenzioni la bloccai subito.
- Sarah! - esclamai con tono esausto.
- Ti prego... -
La vidi esitare, scrutandomi in volto con aria preoccupata:
- Davvero ti fidi di lui? - mi chiese poi in un sussurro, coprendosi la faccia con una mano.
Credeva forse di non farsi sentire? Peccato che stesse avendo a che fare con due Spector...
In silenzio, mi limitai ad annuire, cercando di farle capire quanto fosse importante col potere dello sguardo tra vecchie amiche.
- E va bene... - sospirò infine in tono di resa.
...Aveva funzionato.

Dopo qualche minuto ci ritrovammo nel loft glamour di Clara, sorella di Sarah, che emanava aura femminile da ogni angolo.
Mello si accomodò su un sofà rosso sangue col pc poggiato sulle ginocchia; da quando Sarah gliel'aveva consegnato si era cimentato così tanto nel lavoro misterioso che aveva detto di dover fare che ora ci ignorava completamente. Le sue dita picchiettavano freneticamente sulla tastiera scura, e i suoi occhi balenavano da una parte all'altra dello schermo in modo anche più veloce.
Gli avevo chiesto se potevo essergli utile in qualcosa, ma aveva rifiutato categoricamente.
E così io e Sarah ci ritrovammo poggiate sul letto, separate dal salotto dove c'era Mello da una semplice serranda.

Appena Sarah la chiuse, si girò a fissarmi.
I suoi capelli scuri e arruffati erano cresciuti ancora di qualche centimetro dall'ultima volta che l'avevo vista; e anche i lineamenti si erano arrotondati. Aveva preso qualche chiletto!
Indossava la sua solita tenuta da leggins e maglia lunga: New York non l'aveva cambiata.
La vidi incrociare le braccia in petto e picchiettare il piede sul pavimento, guardandomi con aria curiosa.
Aggrottai le sopracciglia, con fare interrogativo.
- E' inutile che cerchi di far finta di niente! - esplose poi lei, raggiungendomi sulle coperte chiare del letto matrimoniale sul quale ero poggiata anch'io.
- Ci sono taaaante cose che mi devi spiegare! Prima fra tutte quel bono della madonna che ti teneva per mano! State insieme? Come l'hai conosciuto? Ma soprattutto... come cazzo ti sei ritrovata a New York!? -
Scossi freneticamente la testa. Dovevo sapere che Sarah mi avrebbe bombardato di domande appena mi avrebbe rivista, così come stava facendo, eppure cercai di non pensarci fino a quando non accadde.
- Sarah per favore, è complicato... -
Come potevo raccontarle tutto? Da dove cominciare? E immischiarla in queste cose non sarebbe stato rischioso?
Ma in fondo già lo era, ed io non potevo farci niente...
Dovevo accettarlo. Accettare che tutta quella dannata faccenda era come un tornado, immenso e onnipotente, capace di coinvolgere chiunque si ritrovasse davanti. Compresa una come Sarah... ed io davvero non potevo farci niente.
Sprofondai il viso tra le mani, sospirando con esasperazione.
- Ehi, Sofia... - sentii la mano di Sarah poggiarsi delicatamente sulla mia spalla.
Sentii di nuovo anche il suo tipico odore, ed anche quello non era cambiato. Sapeva ancora di sigaretta e caffè, con una certa sfumatura alla vaniglia appena percettibile. Quella ad esempio non l'avevo mai sentita prima... merito dei miei nuovi super-sensi probabilmente.
- Ti ascolto, okay? Tanto l'angelo dai capelli rossi che ti ha accompagnata ha detto che ci sarebbe voluto un po' di tempo, quindi... parla pure con calma. -
- Non so da dove poter cominciare... Sono successe così tante cose... - dissi in tono esausto, scuotendo il viso sotto i palmi delle mie mani.
- Beh... - ora il tono di Sarah sembrava davvero cambiato. Sembrava improvvisamente divenuto serio e comprensivo.
- … Parti da dove vuoi. Sarà pur sempre un inizio. - disse poi, carezzandomi la schiena in segno di conforto.
Sospirai profondamente e abbassai le mani, liberando il mio viso, e la guardai dritta negli occhi.
- Promettimi che... non delirerai! E aspettati notizie davvero... fuori dal normale. Perché toccheremo il sovrannaturale. Okay? -
La vidi inarcare le sopracciglia come mai prima di allora, e i suoi grandi occhi castani si spalancarono ancora di più, ma non disse nulla. Si limitò ad annuire in silenzio.
- Bene... -
Così, cominciai proprio dall'incidente. Mi sembrava il punto di partenza più logico, e raccontai da lì tutto il resto... del mio risveglio a New York, con Ryuzaki... e poi ancora... tutto, in ogni dettaglio. E lei ascoltava in silenzio. A volte la vedevo esibire espressioni assurde, come quando le dissi di quando avevo baciato Ryuzaki la prima volta... o di quando Mello mi aveva detto “Ti amo” in quel modo così inaspettato e ruvido. Ecco, in quei momenti lei oltre che esibire smorfie da teatro si faceva scappare anche qualche verso di sorpresa, ma si sforzò di non interrompermi.
Lo fece solo una volta in verità, quando arrivai alla storia degli Spector.
- No, no no no no.... - disse, scuotendo la testa ad occhi chiusi.
- Mi rifiuto di crederci. - continuò in tono risoluto.
- Sarah... -
- No, Sofia! Se davvero ci ritroviamo nel mondo di Spider Man dove davvero un ragno radioattivo potrebbe creare poteri così come delle sostante miscelate, ti renderai conto che la faccenda non è uno scherzo! Allora preferisco non crederci. No, non ci credo. -
- Sarah, io sono uno Spector. -
A quelle parole la vidi raggelare; dopo qualche minuto di completo congelamento poi, scosse di nuovo la testa nervosamente e si rialzò in piedi:
- Basta... Adesso basta. -
Mi rialzai anch'io, capendo bene che per farla ragionare bisognava sbatterle in faccia la realtà per quella che era.
Afferrai la parte inferiore del letto e senza il minimo sforzo lo rialzai a mezz'aria, con una mano sola.
Sarah restò a guardare la scena scioccata, coprendosi la bocca spalancata con entrambe le mani per la sorpresa.
- Forza. - dissi a voce alta, senza guardarla direttamente negli occhi.
Riabbassai il letto senza troppa delicatezza, provocando un leggero tonfo. Poi riaprii la serranda, proprio mentre Mello si stava rialzando. Ci guardammo per qualche secondo, prima di parlare:
- Non è successo niente, sto facendo vedere a Sarah i nostri poteri... -
- Vostri!? - esclamò Sarah.
- Oh, va bene. Comunque ho quasi finito. - rispose Mello, rimettendosi comodo nella stessa e identica posizione con cui l'avevamo lasciato tempo prima.
Decisi così di continuare, e feci l'intero giro del loft alla massima velocità, ritrovandomi di fronte a Sarah nel giro di pochi secondi.
La vidi arretrare appena di un passo, ancora con entrambe le mani sopra la bocca.
- ...Velocità. -
Mi diressi di nuovo dalla parte opposta dell'appartamento, vicino la porta dalla quale poco tempo prima eravamo entrati, e le dissi:
- Copriti la bocca e sussurra qualcosa. La sentirò. -
Le mani le caddero a peso morto, esibendo per qualche tempo la bocca ancora spalancata.
- Dai, fallo... - la esortai, cominciando quasi a divertirmi.
Dopo qualche minuto di esitazione, finalmente ridiede un contegno alla sua espressione e fece come le avevo chiesto. Si coprì la bocca con una mano e sussurrò.
Dopo averla ascoltata mi scappò un sorriso:
- Sarah, no. Non esistono i ragni radioattivi. Non che io sappia almeno! - conclusi, con un'altra risata.
- Oh mio Dio! Allora... tu... -
Sospirai ancora, abbassando lo sguardo per qualche momento sul parquet consumato:
- … Udito. Sì. Questi sono alcuni dei “poteri” degli Spector. Ma non tutti. Riesco a vedere anche la polvere che si è posata sulla tua maglia da qui... -
- In effetti ho notato anch'io che avesse un'aria molto vecchia quella maglia. - mi interruppe Mello, senza alzare gli occhi dallo schermo del pc.
- Ehi! - ribatté appena Sarah, non sapendo cos'altro dire.
Si sistemò la maglietta e la colpì più volte, nel tentativo di scrollarsi la polvere di dosso.
Ritornai così da lei e richiusi la serranda. La invitai a sedersi di nuovo di fianco a me, e una volta che mi accertai che si stesse davvero riprendendo dallo shock iniziale, ricominciai il racconto... arrivando così a quel momento esatto.
- ...E' tutto, adesso. - conclusi con un sospiro di sollievo.
Trascorsero diversi secondi di silenzio, prima che Sarah potesse esplodere di nuovo:
- Che cazzo di macello! - esclamò, ora semplicemente sorpresa.
- Ma quindi... Adesso cosa hai intenzione di fare? -
Scossi nuovamente la testa, stringendo le labbra in una linea sottile.
- Non ne ho ancora idea. Per adesso sto lasciando fare a Mello, visto che ormai me lo ritrovo con me. In fondo mi fido di lui, e poi resta sempre uno dei detective più bravi al mondo, quindi... -
- A me questo Ryuzaki invece non convince... - la vidi borbottare, aggrottando le sopracciglia con fare pensieroso.
- Ha detto chiaramente che Ryuzaki non è il suo vero nome. E capisco che all'inizio possa essere una buona mossa, ma dopo tutto quello che è successo tra voi, perché non dirvi la verità? Capisco che lui molto probabilmente non si sia mai ritrovato una ragazza davanti gli occhi, soprattutto così bella, ma... resta comunque strano. E questo L poi? Se davvero c'è lui al di sopra di tutto... perché non si fa mai vedere nemmeno dai suoi? E perché se Ryuzaki resta bloccato, anche per L è lo stesso? Tipo quando ti sei risvegliata dopo l'incendio... Ha fatto precisamente il nome di Near quando ha detto che era stato obbligato ad abbandonare la gestione della missione? Non ha citato anche L? -
Tutto quel discorso mi stava intontendo... Scossi confusamente la testa, aggrottando a mia volta le sopracciglia.
- Mah, davvero... A questo punto direi quasi con certezza che L non esiste. E' solo un sotterfugio per depistare le ricerche. -
- Che? Dici sul serio!? -
- Beh, sì. O questo, oppure... L in realtà è uno dei due: o Near, o Ryuzaki. -
Stavolta fu lei a sconvolgermi, facendomi spalancare la bocca per la sorpresa.
Com'era che io non ci ero mai arrivata nemmeno lontanamente ad una soluzione del genere?
- Questo... - sussurrai con sguardo perso.
- ...sarebbe un altro bel problema, sì. Però almeno, se metti caso Ryuzaki si rivelasse davvero L... si mostrerebbe anche più comprensibile il suo comportamento. Le responsabilità che avrebbe sulle sue spalle sarebbero molto più pesanti. -
- Forse... - mi limitai a rispondere, prima che la nostra conversazione non venisse interrotta dal rumore della serranda che si riapriva.
Mello comparve di nuovo in tutto il suo splendore, con un nuovo sorriso sulle labbra. Sembrava fiero di sé.
- Bene! - esordì, sorridendoci in modo spavaldo.
- Se il comizio è finito, io direi che è ora di andare... -
- Va bene... - sospirai io, rialzandomi per raggiungerlo.
- Ma quando ci rivedremo? - sentii chiedere Sarah, dalle mie spalle.
- Praticamente non vi rivedrete. - mi anticipò Mello con tono tagliente.
- Cosa!? - esclamammo entrambe, allarmate.
Lo vidi ripiegare un angolo della bocca, alzando entrambe le mani in segno di difesa:
- Signorine, state calme! Non vi rivedrete perché tecnicamente... non vi separerete. -
- Eh? - esclamò ancora Sarah in tono confuso.
- Mello, spiegati meglio. Che intenzioni hai? -
- Non possiamo lasciarla qui, Sofia. Dobbiamo portarla con noi. -
Si voltò verso la mia compagna:
- Per cui, Sarah, prendi le tue cose nel minor tempo possibile e andiamocene. L verrà a cercare anche te, finché saprà che non te ne sei andata. -

Due ore dopo così, ci ritrovammo in una villetta di lusso nell' Upper East Side. Ci arrivammo in...
- Limousine!? - esclamammo io e Sarah, appena uscite dal palazzo del suo appartamento, mentre che vedevamo Mello aprire la portiera di una lunga limousine nera.
Sentendo la nostra reazione Mello si voltò a guardarci con fare sorpreso:
- E allora? -
- ...E allora!? - gli feci eco, scioccata.
- Come hai fatto a trovarti una limousine? E con quali soldi? -
- Ho anch'io i miei contatti, Sofia... Ora, prima che ti faccia notare ancora dai passanti e barboni tipici di Brooklyn, vorremmo entrare? -

E così, nel tragitto in limousine fino alla villetta Mello ci spiegò tutto, a cosa gli era servito il pc, e come aveva agito...
- Ho fatto un'operazione bancaria via internet. Ho spostato parte dei miei conti secondari su una carta a nome falso che avevo da sempre lì pronta in caso di queste evenienze, proprio per non avere problemi di soldi... - ci disse con aria annoiata, mentre che scartava una tavoletta di cioccolato bianco trovata lì di fianco champagne e bicchieri.
- In quanto alla limousine... ho fatto più o meno lo stesso, via computer. -
E così, proprio in quel momento, capii di aver fatto la cosa giusta a lasciarlo fare, e in fondo, anche se era difficile da ammettere in quel momento, capii anche di essere stata fortunata ad essere scappata con lui senza scelta.
Quando Mello ebbe finito di spiegare i suoi piani, mi rilassai per qualche momento sulla pelle chiara del sediolino su cui ero seduta, e passai il tempo scrutando oltre i vetri scuri che coprivano i nostri volti ai passanti. New York era la città più luminosa e affascinante che avessi mai visto. Certo, non avevo mai affrontato viaggi importanti, ma ciò che vedevo in quel momento sembrò superare qualsiasi altra aspettativa nel mondo intero. Il melting pot di cui avevo sempre sentito parlare, letto sui libri, immaginato con tanto fervore, era davvero lì, ma in una maniera completamente diversa da come me l'aspettavo. Lì c'erano tutti e nessuno, ognuna di quelle persone che vedevo camminare sui larghi marciapiedi non aveva paura di mostrarsi per quello che era; c'era l'uomo d'affari, camicia e cravatta, la ragazza snob degli alti ranghi, cappottino rosso e scarpe col tacco... ma anche ragazzi di strada, jeans larghi e maglie scure... e ancora, e ancora, e ancora.
Osservare quel mondo non mi avrebbe mai stancata.
- Sofia? -
La voce di Mello mi destò bruscamente:
- Sì? -
- Ci stiamo fermando. Siamo arrivati. - mi disse poi, cambiando tono di voce.
Mi posò una mano sulla gamba ed io la strinsi forte, stentando un sorriso.

La villetta che ci aspettava ostentava lusso a prima vista. Il quartiere in sé già emanava soldi e benessere, ma quella villetta si distingueva comunque.
La facciata esterna era caratterizzata da un largo muro di mattoni rossi che si apriva in un arco, entro il quale una piccola e sinuosa scala di marmo chiaro,dello stesso colore delle pareti dalla tonalità panna, saliva dal lato sinistro fino alla porta d'ingresso alla sua destra, delimitata da una ringhiera sottile in ferro scuro, che richiamava quello del basso cancelletto che a sua volta delimitava l'entrata dalla strada.
Appena entrati poi, il gusto del lusso si manifestò in tutto il suo splendore: un parquet chiaro rifletteva la luce del sole di mattinata inoltrata, un alto dipinto a muro sormontava alla nostra sinistra, esibendo lo scenario fiabesco di una cascata in un bosco come in un cartone animato. Alla destra dominava una scala simile a quella dell'esterno, che si rampicava fin oltre le mie spalle sulla mia testa al piano di sopra. Avanzai qualche passo, osservando ogni piccolo dettaglio, mentre che Sarah già saliva i gradini per sistemare le valige in camera sua al piano di sopra, dove Mello le aveva indicato. Sotto quelle stesse scale c'era un pezzo d'antiquariato, sicuramente di fine ottocento: una piccola sedia di legno con schienale intagliato con motivi floreali e un cuscinetto rosa scuro.
Avanzando oltre le scale e il dipinto, si apriva un salone con tappeti, lampadari, divani, sofà, finestre alte ad arco e persino un camino... il tutto nelle tonalità oro e gialle, con qualche parvenza di nero o bianco qua e là in contrasto.
Era uno spettacolo.
- Ti piace? - la voce di Mello mi sorprese ancora, come in limousine, ridestandomi.
Mi voltai verso di lui al mio fianco, con un sussulto.
- Ti ho spaventata? - mi chiese con un sorriso stranamente dolce.
- No! - risposi subito, senza pensarci sù due volte.
Mi fissò più intensamente, inarcando un sopracciglio.
Alzai gli occhi al cielo e sospirai:
- Okay, forse un po'... - ammisi, malvolentieri.
- ...Comunque sì, è bellissima questa casa. -
Lo vidi annuire con un sorriso dall'aria superba.
- Sì, lo so... -
- Scommetto che l'hai comprata già così arredata. - borbottai scetticamente, trattenendo un sorriso.
- Già, a Matthew Jeevas non piace applicare le proprie energie per arredare una casa. Qualche migliaio in più e il gioco è già fatto! -
- Matthew Jeevas? Adesso è così che ti chiami? - gli chiesi, non preoccupandomi più di esibire un sorriso.
- Già... Matt. -
- Matt? -
- No, nulla. Lascia perdere. -
E detto ciò si allontanò, dirigendosi oltre le finestre ad arco senza aggiungere altro.




ANGOLO AUTRICE
Già, è passato del tempo. Rinnovo le mie ormai quotidiane scuse di routine, ma imprevisti su imprevisti mi hanno dannato fino ad oggi, mi dispiace. xD
Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo, seppure, come dire... "di passaggio". Ma non preoccupatevi, fra un po' saremo alla fine, e lì si che ci saranno colpi di scena!
Grazie ancora per la vostra attenzione, è merito vostro se nonostante tante avversità, ho insistito nel continuare la storia. Grazie. 
Fatemi sapere cosa ne pensate, questo capitolo in verità non mi convince... :S
Aspetto vostri giudizi! A presto! <3
P.S.
Vi "linko" le immagini dalle quali mi sono ispirata per la struttura della villetta!


https://www.google.it/search?q=upper+east+side&espv=2&source=lnms&tbm=isch&sa=X&ei=Rr_PU4orye85muSAeA&ved=0CAYQ_AUoAQ&biw=1280&bih=613#facrc=_&imgdii=_&imgrc=wpB-hLX-_tn2MM%253A%3BejuARu62SYVcTM%3Bhttp%253A%252F%252Fcdn.cstatic.net%252Fimages%252Fgridfs%252F50f705a0f92ea110d700a743%252F4122587512221123.jpeg%3Bhttp%253A%252F%252Fny.curbed.com%252Farchives%252F2013%252F01%252F16%252Fupper_east_side_mansion_back_on_the_market_for_245_million.php%3B1000%3B703


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Capitolo 19
*** Say I love you ***


Vidi Mello allontanarsi a passo svelto, con le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni scuri, senza voltarsi.
Oltrepassò le alte finestre ad arco verso quello che sembrava un giardinetto. 
Avevo forse detto qualcosa, fatto qualcosa, per farlo reagire così? Non capivo... ma sarebbe stato comunque il caso di inseguirlo? In fondo cosa gli avevo offerto fino ad allora? Sofferenza, e soltanto problemi. Anche se forse lui c'era abituato, ai problemi. Tutta la sua vita sarà stata sicuramente un enorme problema, e qualcuno in più forse non faceva tanta differenza.
No, non potevo giustificarmi così e far finta di niente.

Inspirai a fondo e lo raggiunsi. Appena oltrepassato l'arco a finestra lo ritrovai sotto l'ombra di un piccolo e sottile ciliegio, appena germogliato. Mi dava le spalle, e con una mano poggiata sul tronco scuro teneva lo sguardo perso nel vuoto.
- Mello? -
Sapevo bene di non averlo colto di sorpresa; avrà sentito il suono dei miei passi sin dal salotto, eppure preferì far finta di niente ed ignorarmi.
Dopo aver aspettato per qualche istante la sua risposta senza successo capii che forse non era il momento adatto per insistere.
- Okay... - sospirai.
- … Allora io me ne vad... -
- Ho sentito tutto. - mi interruppe lui, proprio mentre stavo per girare i tacchi e tornarmene.
Quelle tre parole mi raggelarono, dentro e fuori. Mi bloccai a metà, con gli occhi spalancati.
“No...” 
Lo vidi muoversi verso di me, fino a raggiungermi al mio fianco. Non alzò una mano, non una carezza, non un gesto, nemmeno di quelli minimi.
Calai lo sguardo verso il verde prato dall'aria impeccabile sotto i nostri piedi.
- Mi dispiace... Ma non credevo che ancora non ti fosse chiaro quanto forti possano essere diventati i nostri sensi. - mi disse con un sussurro.
... Ma che imbecille!” mi urlai mentalmente.
- Mello... Io... - proprio non riuscivo a guardarlo di nuovo negli occhi, e lui se ne accorse subito.
- ...Lascia stare! - esplose improvvisamente.
- Non voglio sentire niente! - mi interruppe ancora.
- Così ti piace di più il fascino del trasandato? Beh bastava dirlo sin da subito! - continuò, alzando il tono di voce e agitando le braccia in aria.
- Ma, Mel... -
- E lui poi... - continuò lui, ignorandomi completamente e scuotendo la testa con le braccia ora incrociate in petto.
- … ma come si può essere così... così... Ahh! - tornò ad agitare una mano in aria, voltandomi le spalle.
Vedevo i suoi lunghi capelli scuotersi, mentre che muoveva ancora la testa in segno di dissenso:
- Come ci si può comportare in un modo simile!? E' gay... E' gay! -
- Mello, posso sapere a cosa ti stai riferendo? - gli chiesi con aria scettica e allo stesso tempo confusa.
Dopo qualche istante di esitazione si voltò di nuovo verso di me, guardandomi dritto negli occhi in un modo dannatamente intenso:
- Ti sei offerta a lui. - sibilò, gravando il suo tono.
Ora sembrava più stanco, rassegnato.
Finalmente capii con chiarezza a cosa si riferiva: l'episodio accaduto qualche ora prima, nella sua stanza, con Ryuzaki... mezzo nudo.
Inarcai un sopracciglio:
- Io non... mi “offro”! - esplosi allora io, di mia risposta.
- ...E poi son cose che, detto molto francamente Mello, non ti riguardano! Se permetti! - 
- Così io sono solo quello che recita la parte dello zimbello in tutto questo, non è vero? Quello che patisce per un amore non corrisposto, right? Quello che hai semplicemente USATO, fino a questo momento. No? - continuò lui, accentuando una certa nota di sarcasmo nelle sue ultime parole.
- …ma ti sbagli, darling! Non puoi semplicemente usarmi per i tuoi scopi e i tuoi comodi, comprandomi con qualche carezza o qualche sbattimento di ciglia ogni tanto! - la rabbia gli fece accentuare anche l'accento, che ora capivo bene che era inglese, e non americano.
Lo guardai stranita:
- Mello, ma ti ascolti quando parli!? Sembri... una ragazzina di dodic'anni! - esclamai ormai del tutto fuori controllo.
Quella frase lo colpì nel profondo. Lo vidi spalancare la bocca, mentre che il cielo si incupiva e le prima gocce di pioggia scivolavano giù verso di noi, inumidendoci il viso.
- Okay, scusami... Io... - cercai di recuperare, pentendomi subito delle parole che avevo sputato fuori senza pensarci.
- ...Mi dispiace. - conclusi semplicemente, non sapendo cos'altro dire.
Lo vidi esibire un'espressione che gli avevo già visto in volto... sul tetto del quartier generale. Era quella di un ragazzo. L'unica che avesse mai davvero dimostrato l'età che aveva in realtà; da quando l'avevo visto per la prima volta era sempre parso più grande del suo aspetto, tranne che in quel momento.
Il dolore, la sofferenza, e la solitudine di una vita intera si rovesciarono nel riflesso di quegli occhi azzurri, che mi fissavano con rabbia e tristezza.

La pioggia aveva cominciato a cadere in modo più deciso, bagnandoci completamente, ma a nessuno dei due sembrava importargliene. Vidi i suoi capelli attaccarsi alla pelle del viso, coprendo a ciocche persino gli occhi per quanto erano cresciuti, addirittura toccavano le spalle, e in più li vidi scurire, trasformandosi nel giro di pochi istanti da un rosso rame ad un castano rossiccio.
Passarono così dei minuti forse, dove restammo a fissarci ad un passo l'uno dall'altro.
Quando stavo quasi per rinunciarci e tornarmene in casa, fu lui a sorprendermi.
Senza dir nulla avanzò quel passo che ci separava con decisione, mi afferrò il viso con entrambe le mani e in un lampo posò le labbra sulle mie.
Aveva deciso, così, che era giunto il momento di baciarci. Era un gesto completamente frutto dell'istinto, ovviamente, ma rimaneva paradossalmente preso con coscienza. Sentiva di volerlo fare, e con sicurezza aveva deciso di farlo.
Quando finalmente accadde, quasi mi parve di sognare. Soprattutto perché successe tutto in un modo così inaspettato e veloce che non capii niente. Per i primi momenti difatti restai immobile, come di pietra, scioccata. 
Baciare Mello, come mi aspettavo, non era affatto come baciare Ryuzaki. Se con il secondo dovevo stare attenta a non lasciarmi troppo andare, a moderarmi, con la paura che mi potesse spingere via da un momento all'altro, con Mello invece... era tutta un'altra storia. Con lui ormai era sempre tutta un'altra storia. Con lui ero io quella che doveva lasciarsi più andare, seppur non ci riuscissi, mentre invece lui aveva tutto il diritto di temere che potessi rifiutarlo io, da un momento all'altro. 
Capii così che Mello era l'esasperazione del mio istinto. Manifestava tutto quello che io ero capace di fare o di provare potenziandolo a dieci volte tanto. Così era stato per l'operazione, così era stato per l'appartamento, così per la fuga... e così ancora una volta, in quel giardino, baciandomi sotto la pioggia.
Le sue labbra erano più morbide di quelle di Ryuzaki, le sue mani più calde nonostante la pioggia, e il suo corpo più audace. 
Mi tirò a sé e mi strinse forte, e appena schiusi le labbra non esitò a carezzarmele con la sua lingua. Sentivo i nostri corpi entrare sempre più in contatto, grazie anche ai nostri abiti che con l'acqua della pioggia aderivano sempre di più ai nostri corpi. La sua t-shirt aveva preso perfettamente la forma dei pettorali... 
Ma non era lo stesso.
L'immagine di me sotto la pelle nuda del busto di Ryuzaki lampeggiò come una luce a intermittenza nella mia testa.
Senza rendermene conto indietreggiai, liberandomi dalle sue braccia.
Tornai a guardarlo dritto negli occhi, a distanza di sicurezza.
Entrambi ci ritrovammo ad ansimare senza nemmeno essercene resi conto, e dallo sguardo di Mello capivo la sua sorpresa. Solo che non sapevo se quella sorpresa fosse causata dalla mia risposta al bacio, o dalla mia reazione di poco dopo.
Restammo quindi a fissarci così, come prima del bacio, solo che ora eravamo entrambi  completamente inzuppati da capo a piedi. Anch'io sentivo la massa dei miei capelli folti e lunghi aderirmi alle guance e lungo la schiena... e i vestiti li sentivo come se fossero diventati di plastica sottile.
Tutto il mondo attorno a noi si era incupito, lasciando tonalità scure con appena qualche sfarzo di colore date da qualcosa qua e là; un palazzo in lontananza, una margherita appena cresciuta dietro Mello... e poi c'erano i suoi occhi. Divenuti blu cobalto con qualche accenno di dorato. 
In quegli istanti di silenzio mi sforzai di capire perché avessi risposto a quel bacio... ma ancora di più perché l'avessi fermato. Insomma non riuscivo a capirci più nulla!
Sapevo solo che qualcosa mi bloccava con Mello. Qualcosa... o meglio qualcuno.
La risposta mi arrivò come un colpo in pieno viso: allontanarmi da Ryuzaki non funzionava. Cercare di non pensare a lui era inutile, se non impossibile, e anche se non l'avessi mai più rivisto capii che il suo ricordo mi avrebbe accompagnata per sempre, nel cuore. Magari un giorno sarei riuscita a conviverci, a superarlo... ma in quel momento era ancora troppo presto. 
Ecco cosa mi bloccava nel donarmi a Mello.
- Forse hai ragione... - gli dissi.
- ...ho seriamente pensato di approfittarmi del tuo debole per me. Stamattina. - continuai con tono deciso e allo stesso tempo pieno di rammarico, mentre che lo vedevo rimanere immobile, continuando a sua volta a fissarmi, come una statua illeggibile.
- Eri l'unica via di salvezza, Mello. L'unico punto di riferimento. - continuai.
- … Qualche giorno fa, le prime volte che ci siamo  visti, mi hai detto che le cose tra me e te non avrebbero mai potuto funzionare. Perché io e te siamo dannatamente simili. Non so se darti ragione, ma sappi che... - le parole stentavano ad uscire, ma una parte di me, quella irrazionale, ormai stava prendendo  il controllo. Dovevo dare voce ai miei sentimenti una volta per tutte. In fondo, sapevo con certezza che Mello mi avrebbe ascoltata.
- ...I love you. - gli dissi in inglese.
Quelle parole parvero sorprenderlo, ma non si scompose.
Dopo appena qualche secondo di silenzio, anche lui parlò:
- In inglese non c'è differenza. - mi disse, atono.
- Ed è per questo che l'ho usato. Io... -
... credo di amarti, Mello. Ma non quanto Ryuzaki.” quelle parole erano troppo da dire. Cercai di trovare il coraggio, ma non ci riuscii.
Lo vidi scuotere la testa, con un sospiro:
- Ho capito. - si limitò a dire, con tono grave.
- Ho capito benissimo... - mosse i suoi passi e mi oltrepassò, dirigendosi verso l'interno del salone alle mie spalle.
Mi voltai per seguirlo con gli occhi:
- Mello! - 
Si voltò appena, tornando a colpirmi col suo sguardo penetrante.
- Ti prego, tu sei... molto più di quello che pensi, per me. Scusami se ho pensato di approfittarmene, ma credimi, non sono mai stata brava in queste cose. - 
Lo vidi distogliere lo sguardo, tornando a guardare davanti a sé, ma ancora non si mosse:
- Forse sono diventato uno stupido... - disse quasi tra sé.
- … ma ti perdono. In fondo sono anch'io un detective, e so capire quando qualcuno mente. Ho capito perfettamente cosa vuoi dire. Finché ci sarà Ryuzaki sarò l'eterno secondo. - esitò giusto qualche istante prima di continuare.
- Bene, me ne farò una ragione. - e detto ciò, continuò i suoi passi fino a rientrare nella villetta, sparendo su per le scale diretto al piano di sopra.


Con un sospiro voltai di nuovo lo sguardo davanti a me. La pioggia ormai era diventata scrosciante e insistente. Se fossi stata umana avrei già starnutito un paio di volte e avrei avuto brividi a non finire... ero sempre stata molto freddolosa. Invece gli Spector non soffrivano le temperature, per cui me ne restai semplicemente dov'ero, cercando di rimuginare su quanto accaduto. E più ci pensavo più mi sarei presa a schiaffi... non c'era niente da fare, mi sentivo una gatta morta. Avevo sempre odiato l'idea di avere due ragazzi nella mia vita contemporaneamente, ero sempre stata contraria a queste cose... Che gli altri due ne fossero a conoscenza o meno, per me era comunque sbagliato. 
eppure, dopo appena qualche ora da quando ero con Ryuzaki su un letto quasi entrambi nudi, ora ero lì, in quel giardinetto, a baciarmi con Mello. Odiavo profondamente quella situazione.
Mentre che rimuginavo su questo e su quello, rendendomi conto di stare complicando ancor di più la situazione, di per sé già tragicamente complessa, osservai passivamente il naturale paesaggio che mi circondava. 
C'era qualcosa nel suo aspetto che mi ricordava l'Inghilterra, forse la pioggia ne creava anche la giusta atmosfera. Oltre l'albero di ciliegio, dove poco prima Mello si era fermato, c'erano cespugli e arbusti di tantissimi fiori diversi. Dalle rose alle peonie, dalle margherite alle primule, e l'intero giardinetto era delimitato da un muro di mattoni alto più o meno quanto me, scurito anch'esso dalla pioggia. Intorno ad esso girava anche un piccolo sentiero di pietra, sul quale stavo camminando.
Non mi andava di rientrare, nonostante il tempo. Non volevo sentirmi estranea un'altra volta, in un posto che non avevo mai visto prima. Per non parlare di Sarah... chi avrebbe sopportato la sua esuberanza in una situazione del genere? Per quello feci appello alla speranza: seppur vivace, rimaneva sempre una persona lunatica... magari si sarebbe chiusa in se stessa da sola, senza che nessuno le dicesse niente. Le capitava spesso, anche a casa nostra.
Mentre che passeggiavo sovrappensiero sotto la pioggia, un bocciolo attirò la mia attenzione. Era un girasole, appena più basso di me di qualche centimetro, che ancora non era sbocciato. Era il mio fiore preferito da sempre...
Lo accarezzai con timidezza, ripensando a tutta la mia vita precedente... a quanto avevo sofferto la mia adolescenza, sentendomi anch'io come Mello sempre più grande di quanto non fossi, ai miei primi amori, al mio primo bacio, alla mia prima volta...
Mi invase un forte senso di malinconia, lo sentivo colmare ogni mio vuoto, appesantendomi. Sentii i miei occhi pungere, e capii che tra le gocce di pioggia che stavano ancora scrosciando sul mio viso si stavano fondendo anche quelle salate dei miei occhi.
Ricordai con tristezza tutto il dolore, tutti i sacrifici, le sofferenze sin dall'infanzia... Tutte le volte che chiudevo gli occhi, mi tappavo le orecchie e mi dicevo: arriverà anche il mio momento.
Arriverà anche per me il momento in cui mi sentirò bene. 
La prima volta accadde all'età di cinque anni. Già, sin da bambina non avevo mai chiesto molto. Solo una casa tranquilla. E invece più gli anni passavano e più mi rendevo conto che desiderarla non serviva a niente. Vivere con i miei genitori divenne sempre più difficile, fino a quando non decisi di andar via.
Sì, dopo quattordici anni, in treno da sola verso Roma, con la testa poggiata sul vetro del finestrino, chiusi di nuovo gli occhi e mi dissi ancora: arriverà il mio momento. Il momento in cui potrò sentirmi viva, libera.
E ora potevo farlo. Potevo davvero, senza legami, senza catene, con un potere invidiabile... e allora perché ero ancora ferma appena dopo il punto di partenza? L'esasperazione non riusciva a contenersi, né io lo volevo, in fondo.
Mentre che la mia mano scivolava lungo una metà del bocciolo, accadde qualcosa di totalmente inaspettato. Il bocciolo... prese vita. E lentamente, il fiore sbocciò. Così, sotto la pioggia, appena dopo il tocco della mia mano.
Non avevo mai visto nulla del genere, né credevo potesse essere possibile. Di fatti non poteva esserlo, non in una situazione normale... ero stata io. 
Ricordai una lontana lezione di biologia, dove il professore spiegò con disinteresse una certa reazione... della natura, a livello molecolare. Microscopiche scariche, della quantità giusta, potevano mutare l'aspetto di piante o fiori.
Schiusi le labbra con stupore, incredula.
In silenzio raddrizzai la schiena e mi diressi alla ricerca di altri boccioli... ne trovai alcuni di rosa. Mi calai alla loro altezza e toccai quello centrale, mentre che il tonfo di un tuono echeggiava nell'aria. La pioggia continuava insistente e non mostrava segno di voler smettere, il cielo era diventato completamente grigio e il rumore dell'acqua arrivò ad essere così forte da potermi impedire di sentire altri rumori della strada tipici di New York... se non fossi stata uno Spector.
Appena sfiorai il bocciolo, accadde la stessa cosa... a tutta la pianta. Tutti i fiori di quell'arbusto sbocciarono simultaneamente.
Ormai certa di quello che stava succedendo, mi rialzai con il sorriso sulle labbra: era uno spettacolo bellissimo. Mi fissai attorno... e con il passare del mio sguardo anche il paesaggio mutava. Le piante mi rispondevano.
“Incredibile...” 
A seconda di dove mi voltavo le piante seguivano il mio sguardo, i boccioli ora sbocciavano anche solo grazie ad un minimo gesto della mia mano, seppure fosse troppo lontano all'apparenza.
Mentre che rialzavo la mano per un'ennesima volta però, accadde qualcos'altro.
Un piccolo lampo di luce fuoriuscì dal palmo della mia mano e sembrò risalire verso l'alto, arrampicandosi lungo le gocce di pioggia che scendevano nel verso opposto.
Stavolta sobbalzai dalla sorpresa, ma cercai allo stesso tempo di controllarmi... Stavo conoscendo il mio corpo, dovevo concentrarmi e non andare nel panico.
Provai a rifare lo stesso gesto con più decisione, voltando il palmo della mia mano verso l'alto, e dopo qualche istante... Di nuovo una linea sottile bluastra e grigia si dimenò nell'aria, ma non si fermò come la prima volta. Quella salì fin sopra le nubi scure, scomparendo oltre i suoi aloni... e in risposta, sentii un altro tuono. Di scatto mi girai e lo vidi cadere poco più avanti, impetuoso come un vero e proprio fulmine. Quella vista mi scioccò: avevo sempre avuto paura dei tuoni e dei fulmini, sin da piccola... se la me stessa di qualche mese fa mi avrebbe vista adesso, sarebbe morta dalla paura.
Subito dopo quel fulmine la mia “connessione” finì, e la linea si interruppe fino a scomparire dopo pochi secondi. Riflettei un momento su quanto era appena accaduto, fissandomi la mano con occhi sgranati. Delle vere e proprie scosse percorrevano il palmo della mia mano... le vedevo, ma non facevano male per niente. Anzi, la sensazione che mi dava era quasi piacevole. Mi sentii più carica, più forte, invincibile... Come se il cielo mi avesse donato una forza che prima non avevo. Sorrisi con più convinzione, cominciando ad intuire qualcosa, e ci riprovai... e di nuovo, accadde. 

Una linea distorta arrivò dalla mia mano sin sopra le nubi, e un altro fulmine ricadde poco lontano. Senza nemmeno rendermene conto concentrai le mie attenzioni su di esso sin dalla sua prima manifestazione... e senza sapere il perché gli ordinai di fermarsi.
La cosa ancora più impressionante del fatto che non sapessi come potesse venirmi in mente di voler fermare un fulmine, fu che quest'ultimo... scomparve davvero. E istantaneamente sentii scorrermi nelle vene ancora più energia, più forza, attraverso la mano che tenevo a palmo aperto, e che emanava quella linea di energia... Come se fosse una via di comunicazione tra me e le nuvole. 
Dopo qualche istante di esitazione capii: assorbivo elettricità. Ne assorbivo e ne... emanavo. L'entusiasmo di quella nuova scoperta mi lasciò senza fiato. Erano degli spettacoli stupefacenti, e più li sperimentavo più mi sentivo invincibile. 
Da quel momento in poi fu come se qualcuno mi avesse annebbiato la vista. Presa totalmente da un attacco di euforia, fuori controllo, corsi alla velocità della luce. Saltai oltre il muro di mattoni e ancora... correvo, correvo. Non vedevo nemmeno realmente dove stavo andando, semplicemente... seguivo quello che stavo sentendo, ovvero un'enorme presenza di energia, molto più grande di quella che percepivo dentro di me.
Dopo pochi istanti mi ritrovai sulle rive dell' East River... eccola, la mia fonte di energia.
L'acqua. 
In fin dei conti tutti sapevano che l'acqua era un ottimo conduttore di energia elettrica... e quella ne emanava a quantità spaventose. La pioggia continuava a cadere e nei dintorni non si scorgevano molte persone... ma non mi importava nemmeno più quello.
Seguendo ormai alla cieca il mio istinto, che aveva dominato completamente la ragione, mi accovacciai a terra e lentamente posizionai le mie mani verso l'acqua.
Ciò che accadde dopo fu qualcosa di... indescrivibile.
Una schiera di fulmini, lampi, tuoni si riversarono sulle acque del fiume, lungo tutto il suo percorso, e tramite quest'ultime arrivarono a me... ai palmi delle mie mani. L'energia che ne scaturì fu spaventosa, ma non mi agitai per niente. Chiusi gli occhi e mi lasciai andare, non temendo più nessuno. Mi sentivo onnipotente.
Quando li riaprii sentii i miei capelli come a mezz'aria, e solo dopo qualche istante capii che si stavano muovendo come se fossero in acqua, seguendo le onde del fiume. 
Si... eccolo giunto il mio momento. Il momento che aspettavo dalla nascita. Il momento che avevo agognato per una vita intera... Era lì, lo stavo vivendo. 
Mi sentivo forte, potente, invincibile, libera... viva.
Fu molto simile a quella volta al Central Park, la sera precedente, quando senza rendermene conto emanai fuoco. Era più o meno la stessa cosa, avevo completamente perso il controllo razionale di me stessa... ma una buona parte della vecchia Sofia non se ne disperava: se era quello il costo da pagare per sentirsi liberi, sarei stata capace di accettarlo col sorriso sulle labbra.

- SOFIA! - sentii improvvisamente urlarmi alle spalle, con furia.
Quell'urlo pieno di rabbia misto a preoccupazione fu come uno schiaffo in viso: ridestò la mia ragione e la fece tornare al suo posto di comando. 
Mi rialzai di scatto e mi voltai verso l'origine di quel suono, anche se sapevo già di chi si stesse trattando.
- Mello! - risposi con tono scioccato.
E infatti era lui, a qualche metro di distanza da me, senza maglia e con pantaloni diversi: ora erano dei jeans chiari. Non aveva nemmeno le scarpe.
- Sofia, guardati! - urlò ancora lui, ponendomi contro un indice accusatorio. 
Seguii la direzione del suo dito e feci come mi aveva detto... e la vista mi mandò (finalmente) nel panico, come avrebbe fatto sin dall'inizio se avessi mantenuto il controllo razionale di me stessa.
Dalle mie mani si originavano ancora delle vere e proprie scosse, che si riversavano in modo discontinuo attorno a me, arrampicandosi sulle gocce d'acqua ad una velocità incomprensibile. Emanavo una certa sfumatura bluastra, attorno a tutto il mio corpo, e i miei lunghi capelli fluttuavano ancora a mezz'aria.
Solo dopo essermene resa conto anche quello finì. Lentamente, secondo dopo secondo... si indebolì fino a scomparire del tutto, facendomi tornare come prima... normale.
Se così potevo ancora reputarmi.
Effettivamente al momento avevo serie difficoltà.
La faccia di Mello non prometteva nulla di buono. Sembrava furioso e allo stesso tempo...
spaventato, avrei osato dire. Non potevo dirlo con certezza, comunque.
A passo lento si avvicinò verso di me, fino a raggiungermi. 
Lo vedevo esitante, forse era tentato nel prendermi un braccio ma non lo fece. Non mi toccò.
- Le cose si stanno facendo più complesse di quanto mi aspettassi. - mormorò cupo.
- Muoviti, torniamo in casa e raggiungiamo Sarah. - disse poi, voltandomi le spalle.
- Mello, cos... cos'è successo? -
Restò immobile, porgendomi la schiena senza voltarsi:
- Lo sai meglio di me. - rispose gelidamente. 
Dopodiché mi fece segno di seguirlo... ed io lo feci.
Non mi prese per mano, né mi toccò in nessun altro modo per tutto il tragitto, tenendosi anzi a debita distanza. 
Mi accompagnò fino alla porta della mia camera:
- Cambiati e asciugati in fretta, quando hai finito vieni in camera mia. E' l'ultima a destra. - senza aspettare alcuna risposta fece segno di allontanarsi, ma d'istinto lo fermai afferrandogli un polso.
- Ahhhh! - esclamò lui subito dopo, cadendo sulle ginocchia con una smorfia di dolore in volto spaventosa.
Vedendo la sua reazione mi staccai subito, scioccata:
- Oh mio Dio, scusami... -
Lo vidi aspettare qualche secondo prima di rialzarsi e riprendersi, ma nel complesso fortunatamente riuscì a farlo in fretta. Per qualche secondo vidi sul polso che avevo appena afferrato la forma della mia mano, rossa, ma anche quella dopo qualche secondo scomparve.
- Non toccarmi, per favore. - mi disse infine, con qualche difficoltà.
- Mello... - 
Finalmente lo vidi rialzare lo sguardo verso di me, dritto negli occhi.
- Mello, com'è che eri lì? Mi hai seguita? -
- Sì. - rispose subito lui, mantenendosi distante. 
- ...E comunque sarei riuscito a rintracciarti anche se non l'avessi fatto, dato lo spettacolo che hai messo in scena davanti tutta New York! - disse poi acidamente.
- E perché... - indicai i suoi jeans, ormai anche quelli zuppi d'acqua.
- Mi stavo cambiando con dei panni asciutti, quando ho visto quello che stavi facendo. A stento ho avuto il tempo di indossare questi, prima di scendere per seguirti. Ma in fondo dovevo aspettarmelo... -
- Come? Aspettartelo? - chiesi, confusa.
- ...Cosa dovevi aspettarti? Sai qualcosa che io non so? - 
Lo vidi scuotere la testa, riabbassando lo sguardo.
- Ne parliamo dopo in camera mia... -
- No, noi ne parliamo adesso! - insistetti, cominciando a mostrarmi arrabbiata anch'io.
In verità quella frase mi uscì dalla bocca con un tono terribile, minaccioso come mai prima di allora.
Anche Mello se ne accorse, e non ne sembrò contento.
- Dimmi subito cosa sai. - gli dissi, furibonda.
- Prima di andarmene... Mentre che tu dormivi in camera tua, ieri notte, Near mi ha convocato. - cominciò lui, freddamente.
- Cosa ti ha detto? - 
- Ha comunicato a me e a L una nuova... scoperta. - mi rispose, abbassando lo sguardo.
- Continua. - gli dissi, cominciando a preoccuparmi.
- Ti hanno fatto un prelievo appena arrivata al quartier generale, dopo il tuo svenimento. Ci sono degli aghi che L ha fatto ideare apposta, capaci di prelevarci del sangue, anche se in piccole quantità. E dalle  tue analisi... hanno visto che qualcosa è cambiato. Te ne fecero anche la prima volta che arrivasti. E' difficile da spiegare così su due piedi, ma... dopo le iniezioni di Bustri, il sangue di uno Spector è come diviso in due metà. In una rimane il sangue umano, del tutto comune a tutto il resto del mondo, e nell'altra... le iniezioni. Non sto qui a spiegarti il preciso meccanismo, ma detto con parole molto semplici è così. La tua parte sanguigna, quella “umana”, sta reagendo... ed è una cosa che già sapevamo. Solo che non credevamo potesse accadere così presto. -
- Che significa... che sta reagendo? -
- Cambia le modalità con cui provvede al nutrimento di sostanze del tuo corpo. Serve a quello il sangue, lo sai no? -
- Lo so benissimo, va' avanti. -
- Se cambiano le sostanze con cui il tuo corpo si nutre, cambia anche quest'ultimo, no? Noi Spector non abbiamo fame, sete, sonno o qualsiasi altro bisogno perché la metà del sangue normale occupata dalle iniezioni provvede a sintetizzare le sostanze nutritive ricavandole dall'ossigeno, e questo grazie a delle nuove proprietà dategli dal Tuconial... -
- Mello, va' al dunque. -
Lo vidi esitare, prima di continuare con un sospiro ansioso:
- Sofia, stai impazzendo. -
Lo guardai scioccata, arretrando di un passo.
- C... Cosa? -
- Siamo tutti destinati ad impazzire... Tutti gli Spector lo sono. Anch'io. La media di sopravvivenza non è molto lunga, ma nemmeno così corta come sta succedendo a te. -
- Ma... ma tu sei uno Spector da qualche anno! - 
- Io uso a mia volta delle iniezioni periodicamente, che mi permettono di regolare l'influenza del Tuconial sul mio sangue. -
- E perché... non avete fatto lo stesso per me? -
- Hai visto anche tu Sofia, che il tuo Tuconial non è lo stesso che è stato dato a me. Il tuo è completamente diverso e ancora L non ha capito di cosa è composto, di conseguenza... non c'è ancora un siero capace di salvarti. -
- No, non puoi dirmi una cosa del genere... -
- Sofia ti prego... - mi interruppe lui, con tono supplichevole e ansioso al tempo stesso.
- Non allarmarti. C'è una soluzione. Ti fidi di me? -
Lo guardai dritto negli occhi:
- Sei l'unica persona fidata che mi rimane. - gli dissi con sincerità.
- E allora adesso cambiati e raggiungimi in camera mia. - mi disse, finalmente cambiando tono. Ora sembrava più calmo. 
Ma qualcosa mi diceva che stava fingendo. Anche lui era preoccupato, lo avvertivo, anche se non sapevo ancora come.
Lo vidi allontanarsi in fondo al corridoio, fino alla sua porta. Poi si girò verso di me, e vedendomi ancora lì, ne approfittò per aggiungere:
- Prima di raggiungermi, va' da Sarah. Ma non dirle niente di quello ti ho appena detto o di quello che è appena successo. Tranquillizzala un po'... anzi, tranquillizzati prima tu. - e con ciò, mi sorrise debolmente con aria bonaria ed entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle.


ANGOLO AUTRICE
Okaaay, anche quest'altro è fatto! Immagino la maggior parte di voi stiate nel periodo migliore delle vostre vacanze, indaffarati a farvi la tintarella... (io no. Ahah.) e quant'altro, ma c'è una novità!
C'ho riflettuto, e alla fine mi son detta: perché no?
Avrei in mente di fare una sottospecie di "riedizione" della fanfic una volta finita, curandola di più esteticamente e correggendo ulteriormente la grammatica e periodi vari che nella fretta mi saranno sfuggiti... (ho riletto i primi capitoli e ci sono degli orrori vergognosi! xDD) 
E allora, per la parte estetica... vi piacerebbe darmi una mano? Sarebbe il massimo! E' una cosa che vorrei costruire insieme a voi! x)
Tipo avevo pensato ad inserire dei disegni che riprendessero qualche scena della fanfic... Ho visto che alcune di voi sono brave a disegnare, non faccio nomi (inizia per S e finisce con 9!) ... intelligenti pauca! xDD
No okay seriamente, queste sarebbero le mie intenzioni... Se vi va di partecipare, non fatevi problemi. Chi ha già recensito avrà ben capito che sono una persona normalissima e abbastanza alla mano, quindi non fatevi nessuno scrupolo! xD
Ovviamente se davvero qualcuno sarà interessato e vorrà contribuire (cosa che ahimè dubito), metterò nome e cognome o anche il nickname del sito per riconoscervi il merito.
Vorrei fare qualche fan art anch'io... ma non so disegnare *ehms*.
Quindi insomma, se qualcuno ha voglia, io sono qui! ^-^
In ogni caso, se nessuno si farà avanti, vedrò di farne una ri-edizione lo stesso... Curandola da sola per quanto riesco xD Solo che mi sembrava carino condividere il lavoro con voi, che seguite la storia con così tanto interesse... Come ho già detto, questa fanfic è nostra, di tutte noi! *D* (se c'è qualche maschietto in anonimato mi perdoni!)
Bene, detta questa "buona nuova", andiamo al capitolo! Le cose si fanno interessanti? A mio parere si! *D*
Non so quando riuscirò a pubblicare di nuovo, perché, vi confesso, sto avendo problemi difficili da ignorare, e quindi... devo arrangiare!
Ma insomma la fine non è tanto lontana! In compenso gli ultimi due capitoli sono più lunghetti del solito... spero mi sopportiate xD
Bene, se avete delle dritte, fatevi sentire! In ogni caso aspetto notizie di tutte le vecchie lettrici che in precedenza hanno già lasciato un pensiero... e se c'è qualcuno nuovo, sei il benvenuto! Insomma, vi piace come la storia prende piega? Ho bisogno di convincermene! xD
Okay ora basta con i soliti *blablabla*, vi rimando ai vostri lettini da spiaggia! 
L'angolo autrice è finito. Andate in pace! <3

P.S.
Lo so, oggi sono iperattiva. Come ho già detto... sopportatemi, se potete.



 

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Capitolo 20
*** Ad ogni affetto un compromesso ***


Quasi meccanicamente, come se non fossi più partecipe delle piccole azioni che stavo compiendo, aprii la porta al mio fianco ed entrai nella stanza che era stata assegnata a me da Mello. Ignorai la sua bellezza e i suoi colori (rosso e oro), ignorai la splendida finestra all'altro capo della stanza che dava direttamente sulla strada, ormai oscurata dalle ombre della sera inoltrata, e mi diressi verso l'armadio.
Come ormai avevo dato per scontato, era completamente pieno di abiti nuovi, e per giunta della mia taglia... anche se per la maggior parte portavano taglie uniche tra le tante opzioni di scelta, io mi decisi per un jeans chiaro stracciato con qualche borchia dorata, una semplice canotta scollata bianca e delle scarpette da passeggio dello stesso colore.
Non mi asciugai i capelli, né mi fiondai sotto la doccia, che sapevo bene si trovasse dietro la seconda porta in legno scuro della stanza, bensì mi limitai da asciugarmi quel che bastava per cambiarmi.
Tutti quegli avvenimenti, così incredibili e così repentini, mi stavano lentamente portando al limite della sopportazione.
Davvero non riuscivo a crederci.
Ryuzaki tra le mie braccia, mezzo nudo...
Io e Mello sul tetto in fuga...
Sarah...
Il mio bacio con Mello sotto la pioggia nel suo giardino...
I miei poteri.
La mia pazzia.
Troppo. Era davvero troppo da assorbire solo in una giornata. Non ce la facevo.
Fu come uno scontro frontale contro un tir, di quelli enormi e pieni di lampadine al neon sulla facciata... che ti avrebbero accecato poco prima dell'impatto.
Sentii i miei occhi pungere, ma non lasciai che altre lacrime mi rigassero il viso. No, non più.
Non avrei mai più versato una lacrima, finché portavo in me la consapevolezza di essere dotata di doti UNICHE. IO ero unica. Il mio destino si era rivelato molto più grande di quello che mi aspettavo, ma non dovevo lasciarmi intimorire. Dovevo esserne FIERA.
Strinsi così forte la maniglia della porta, poco prima di aprirla, e così intensamente da vederne la sagoma annerita dopo averla lasciata.
La rabbia cresceva sempre di più nel mio petto, e più essa aumentava, più la mia forza era alimentata dal suo calore.
Una volta uscita di nuovo dalla stanza mossi i primi passi verso la stanza di Mello... ma dopo appena qualche istante ricordai di ciò che mi aveva suggerito prima di congedarsi. Sarah.
Allora girai i tacchi e seguii la direzione opposta; in fondo non era una cattiva idea, vedere come stesse. Non dovevo dimenticarmi che lei non c'entrava proprio niente in tutta quella faccenda, se non per colpa di un'amica-coinquilina dal destino misterioso... Mi sentivo così in colpa per lei.
Accennai appena due tocchi sul legno chiaro della sua porta, prima di aprire.
- Sarah... -
La ritrovai appollaiata al centro del grande letto a baldacchino che era toccato a lei, con una Marlboro rossa in una mano e il suo telefono nell'altra, che teneva spiaccicato contro l'orecchio:
- Sì, lo so sorella. Non preoccuparti okay? - alzò lo sguardo verso di me, e in silenzio mi fece un largo gesto col braccio libero in segno di silenzio.
- O... Okay... S... Sì, sì... Cazzo ho detto già che mi dispiace ma non credevo fosse il finimondo! Sofia mi ha fatto una sorpresa, te l'ho già detto... Sì, ho ben capito che lasciare un biglietto non basta prima di fare le valige e andarsene, me l'hai ripetuto un centinaio di volte! Comunque sto bene, okay? Sono a casa sua insieme ad un suo amico e forse resto per poco... Non lo so. Comunque le chiavi ce le ho, posso tornare da te quando voglio, sempre che tu non cambi idea... - aspettò la sua risposta, approfittandone per tirar sù una lunga ed esasperata boccata di fumo dalla sigaretta.
Vidi il bagliore rossastro riaccendersi, risaltando nel buio della sera, e la cartina che si trasformava in cenere dopo il suo passaggio, mentre che mi accomodavo lentamente sul bordo del letto al suo fianco.
- Si, si... Sono all' Upper East Side, te l'ho già detto. Va bene. Ci sentiamo baby. Bye! - e senza nemmeno aspettare una risposta attaccò, con fare frenetico.
Alzò gli occhi al cielo prima di girarsi di nuovo verso di me, guardandomi in modo truce:
- Perché hai i capelli bagnati? -




Le pareti grigie del quartier generale un tempo offrivano un certo senso di conforto nel cuore di Ryuzaki, nonostante non avesse mai dato troppa importanza a quelle cose, come lo stile di una casa, o anche di una persona... Lo si capiva bene da come si conciava. Semplice, comodo, efficace. Un po' come voleva nell'intimo che fosse la sua vita, nonostante sapesse bene di viverla completamente nel verso opposto.
Non che non gli piacesse investigare... Quello era DAVVERO tutta la sua vita. Dopo i primi casi, le prime ipotesi, era riuscito a convincersi di aver trovato il senso che la sua esistenza cercava, e per un orfano non si poteva chiedere di meglio, no? Grazie a Watari aveva raggiunto la sicurezza e la caparbietà che aveva nascoste lì da qualche parte senza mai uscir fuori sin dall'infanzia.
Gli piaceva osservare, restare a guardare il comportamento dei suoi compagni, ed era stato così sin dai suoi primi anni nell'istituto dove era cresciuto.
Gli altri bambini giocavano in giardino, facendo a gara a chi raggiungesse prima lo scivolo, o chi riuscisse a raggiungere il punto più alto coi piedi lanciandosi sulle altalene. Loro miravano al cielo, e lui mirava ad esso attraverso di loro. Un po' come il riflesso di uno specchio.
Adorava restarsene all'ombra di un albero, appollaiato con le ginocchia in petto e i piedi nudi che sfioravano l'erba, mentre si divertiva ad ipotizzare cosa sarebbe accaduto di lì a poco.
“Oh, ecco un ragazzino che tira le trecce di Mary...”
- Forse gli piaci. - aveva sentito dirle da una dei professori di storia dell'investigazione... “ma no, non poteva essere così.”
Il piccolo Ryuzaki non aveva mai creduto ad un'ipotesi simile. Piuttosto avrebbe detto che era stata Mary ad essere colpita da lui, tant'era vero che gli stava sempre attorno... e forse lui ne era stufo. Non riusciva a dargli tutti i torti, in fondo.
“Come può un maschio volere la compagnia di una femmina? Sono noiose, per la maggior parte, e quando non lo sono, sono anche peggio. Sono presuntuose, e portano solo guai. Chi bambino avrebbe mai voluto un'amica femmina?”
Lui non ne sopportava nemmeno uno maschio, figurarsi... Era troppo, per lui. Non era bravo con le relazioni, non lo era mai stato. Non gli piaceva sforzarsi di farsi piacere, e sapeva che una qualsiasi relazione al di là della conoscenza richiedeva quello sforzo.
- Ad ogni affetto un compromesso. - aveva detto una volta a Watari, all'età di dieci anni, mentre che concludeva con fare passivo e annoiato l'ennesimo caso di omicidio simulato che il professor Dothman gli aveva assegnato, tra un biscotto ed una cioccolata calda fumante, appollaiato sul letto nella sua stanza.
Watari veniva a trovarlo spesso nella sua stanza. Sapeva bene che lo faceva grazie ai numerevoli casi reali che era riuscito a risolvere prima di tutti gli altri, ad un'età sorprendente. Spesso si sentiva chiamare “genio”, ma a lui dava fastidio quel nomignolo. Lo categorizzava, e a lui non piaceva.
Dopo aver sentito quella frase, Watari distolse lo sguardo dalle innumerevoli cartine di dolci sparse per terra e lo alzò dritto su di lui, esibendo dopo un attimo di sorpresa un sorriso dolce:
- Anche la pace, è fatta di compromessi. - si sentii rispondere.
E lui non fu più capace di dimenticare.
A distanza di anni ora si ritrovava all'ennesimo quartier generale al suo ennesimo caso, e frugando nella sua mente con lo sguardo perso sul grigio pallido delle mura di fronte a lui, ripescò quell'attimo.
E non solo quello purtroppo.
Aveva ridotto a ferro e fuoco ogni piano, prima e dopo la fuga di Mello e Sofia. Era furibondo, come mai prima di allora.
Tutta quella rabbia così improvvisa lo sconvolse, lo inquietò profondamente, così che quando Near, col suo solito sangue freddo, gli intimò con educazione che camminare avanti e indietro tra gli agenti mordicchiando qualsiasi cosa di commestibile nell'edificio non avrebbe aiutato nessuno, lo ringraziò e si isolò in un angolo, come faceva da piccolo.
Fu come se la parte razionale di se stesso l'avesse ripreso, attraverso le parole di Near... e così, appollaiandosi su una delle tante sedie girevoli nella stanza, e piazzandosi un dito sulle labbra per impedirsi di farle sanguinare a morsi, cercò di trovare l'autocontrollo che per la prima volta nella sua vita doveva ammettere a malincuore di aver perso.
Non gli era successo nemmeno quella volta che davvero avrebbe dovuto farlo, ovvero quando vide per la prima volta, con meraviglia e panico di tutti, uno Shinigami. Neanche allora si era ridotto in quello stato... perché quindi doveva succedere proprio adesso?
Aveva davvero avuto ragione sin da piccolo...
Le donne. Portavano solo guai.
L'unica donna che avesse conosciuto dal vivo in prima persona, infatti, prima di Sofia... si era rivelata una serial killer, nonché una terribile oca. Le parole “Secondo Kira” gli straziarono le meningi come un lento e lungo stridio...
E il suo migliore amico, l'unico che avesse mai avuto, si era rivelato il primo vero Kira in persona... proprio come le sue ipotesi avevano da sempre teorizzato.
Fu capace di intuire tutto... TUTTO, di quel giorno. Quando Light Yagami, o Kira, anni prima aveva deciso di ammazzarlo grazie all'aiuto di uno Shinigami. Lo aveva capito, che se le sue ipotesi fossero state davvero corrette, ci stava per rimettere la pelle... Peccato per Light che quel ragazzo dai capelli neri e le occhiaie profonde, non era che un' ombra del vero L. Una semplice mano che continuava ad usare la mente.
Aveva calcolato tutto, tutto. Sin dall'inizio.
Dopo il suo primo incontro con gli agenti della polizia al suo hotel di turno a Tokyo, di quei tempi, fu costretto a verificare di persona l'innocenza di ognuno di loro, e questo non poteva farlo nessun altro. Ma... dopo quell'incontro, aveva pensato bene di ingaggiare un attore al suo posto, che imitasse alla perfezione ogni sua movenza senza davvero sapere che lo stesse facendo così bene, controllandolo con auricolari, microfoni e telecamere.
E così in quello stesso giorno, quello in cui l'attore prese il suo posto nel regno dei morti, quando capì davvero di aver visto fin troppo attraverso i suoi occhi, e vissuto attraverso il suo corpo, sentì che non mentiva quando disse a Kira che era davvero l'unico amico che avesse mai avuto. Si era affezionato a lui, e questo non poteva succedere per nessuna ragione al mondo. Nessuna.
Fu lui stesso, in prima persona, a farsi trovare sul tetto sotto la pioggia quella volta. Voleva poter guardare dritto negli occhi il suo miglior amico e il suo carnefice, perché sapeva che l'avrebbe raggiunto. E tutto ciò che fece anche dopo, come prendersi cura dei suoi piedi bagnati, con sua meraviglia, gli fece capire che era tutto davvero fatto con affetto, tanto da inquietarsene proprio come in quel momento, a distanza di anni.
Fortuna volle che poco dopo capì di dover sparire al momento giusto, così che lo Shinigami uccidesse qualcun altro al suo posto.
Quasi sembrò di averlo scelto, di uscire fuori dai giochi una volta per tutte. Il suo affetto lo stava accecando, non rendeva giustizia alla sua bravura sul campo, non gli permetteva di fermare quel terribile genocidio che si nascondeva sotto profana giustizia. E fu per questo che decise di non intervenire più, di restarsene sulle sue e sparire per un po'. Confidava in Near e Mello, e sapeva che se fossero riusciti a collaborare avrebbero anche potuto superare quei limiti che invece Ryuzaki si era segnato da solo. Non a caso, anche se dopo anni, la storia gli diede ragione.
Sapeva che avrebbe potuto e dovuto intervenire di nuovo dopo quell'avvenimento, mettere le manette a Light e continuare a combattere quella guerra. Dire: ”Ehi, sono ancora vivo! Non puoi sconfiggermi!”... ma non ne ebbe la forza.
Riconobbe i suoi nuovi limiti, e con infinita amarezza li accettò.
Addirittura in quegli anni pensò seriamente di non riprendere mai più il suo lavoro, di continuare a vivere da solo perché in fondo poteva farselo bastare, con qualche sforzo, e finire la sua vita nell'anonimato, nascosto dal mondo come uno spettatore a teatro, seduto nel buio.
E l'avrebbe fatto, se non fosse stato per la notizia non poco curiosa della resurrezione di Mello dopo la sua morte. Sapeva bene che fosse realmente morto, aveva analizzato ogni documento, ogni briciola di notizia inerente a quell'episodio. Furono trovati resti di ossa tra le macerie, e tutti avevano pensato che fossero le sue insieme a quelle di Takada. Invece ora sapeva bene che erano semplicemente le ossa di chissà chi, sostituite dagli scagnozzi di Bustri.
Trovò il coraggio di rimettersi in gioco, ricontattare Near in persona e con lui combattere quel nuovo nemico.
Eppure, nonostante tante avventure, nonostante tante esperienze... Nulla, NULLA, riusciva ormai a superare la priorità che ora nella sua mente aveva solo un pensiero: lei. La sua pelle chiara quasi quanto la sua, i suoi occhi castani, i suoi capelli lunghi e quel sorriso incerto che gli faceva venir voglia di baciarla, come non gli era mai successo.
Sin dalla prima volta che l'aveva vista, in una pozza di sangue delirante, sentì qualcosa di diverso, che non aveva mai provato prima. Qualcosa che addirittura superava l'affetto malato per Light... era qualcosa di molto, molto più grande e importante. Un colpo imponente che ti cambiava il ritmo del cuore.
Sin dalla prima volta sentì di doverla proteggere, di doverla studiare... e quell'attaccamento così malsano e inspiegabile lo rese ancor più cinico. Aveva sbagliato una volta con Light, e nessuno poteva dire che non lo stesse per fare ancora una volta. E forse quella volta avrebbe anche potuto rimetterci davvero la pelle. Di fatti fu solo con lei che lui iniziò a decidersi di farsi rivedere al di fuori di Near e Mello. Non l'aveva mai fatto con nessun altro... e aveva deciso che non l'avrebbe più fatto, se non all'interno del quartier generale e dei suoi agenti.
A volte si arrovellava ancora il cervello nel capire perché non fosse riuscito a mantenere la sua parola, a restarsene lì da solo e agire nell'ombra... ma anche in quel caso non trovò risposta.
Con lei era diventato tutto così inspiegabile, così illogico, così... fin troppo umano, da farlo sentire completamente inerte.
Come una foglia d'albero in autunno caduta dal suo ramo si poggiava sulle rive del fiume, e si lasciava trasportare dalle sue onde verso una meta che non conosceva, allo stesso modo si sentiva Ryuzaki quando si trovava di fronte a quella creatura così straordinaria, dalla bellezza così feroce, selvaggia ma allo stesso tempo così innocente.
Lo stava distraendo troppo, si stava lasciando prendere e sapeva che sin dalla prima volta che era successo non poteva più reputarsi un detective.
L'immagine di Mello e Sofia mano nella mano che fuggivano via dal tetto balenò di nuovo come una fotografia vecchia e consumata dal tempo nella sua mente... e senza pensarci addentò il polpastrello del dito che teneva premuto sulle labbra. Li aveva visti attraverso uno dei tanti monitor del quartiere, insieme a Near e al resto degli agenti.
Non fece caso alla reazione confusa del primo, come se non riuscisse a capire quel gesto romantico, e nemmeno a quella dei secondi, che lo imitavano anche se in modo meno accentuato. Non fece caso a più niente, se non lei, e la sua mano stretta in quella di lui.
La furia di aver scoperto di aver avuto ancora ragione pensando a quell'ipotesi si riversò insieme al rumore dei proiettili degli agenti che aveva inviato sul tetto di sua stessa iniziativa. In quel momento non riuscì a capacitarsene, non riusciva a ragionare, voleva solo che non se ne andasse, e lo voleva a qualsiasi costo.
Dopo poco però, capì che quello non era per niente un giusto pensiero. Se ne vergognò per tutto il resto del tempo, ripromettendosi di non pensarlo mai, mai, e mai più.
Era restato così tanto tempo al suo fianco... sin dalla prima volta che l'aveva vista non fece che quello. La osservò mentre dormiva i primi giorni, quasi interamente ricoperta da gesso e bende... la sorvegliò anche i giorni dopo il suo risveglio, da lontano, in modo che lei non potesse vederlo. E anche dopo lo faceva di nascosto così spesso che l'aveva trovata quasi come un'abitudine... e non averla più in giro, sapere in cuor proprio che non sarebbe bastato un paio di minuti in ascensore per raggiungerla, lo rendeva nervoso. Inefficiente ancor più di quanto già non lo fosse diventato.
- Ryuzaki... - lo chiamò Near, dall'altro lato della sala.
Con la punta del piede, come sempre scalzo, Ryuzaki si diede lo slancio per girare la sedia verso di lui.
- Si? -
Near dal canto suo non si sforzò di fare lo stesso, così che mantenendogli le spalle e tenendo lo sguardo fisso su un monitor, in una posizione molto simile alla sua, gli rispose:
- Sta succedendo qualcosa... All'East River. -
- Spector? -
- Si... e no. Non uno qualunque. Il nostro. -
Ryuzaki drizzò la schiena
- Mello? -
- L'altro. - rispose ancora, con appena un accenno di insicurezza nella voce.
Al suono di quella risposta Ryuzaki balzò sù dalla sedia e lo raggiunse, spalancando gli occhi sullo schermo.
- E' molto peggio di quanto pensassimo... - sentii Near borbottare.
E sapeva che quando capitava di borbottare proprio a Near, significava che non era nulla di buono.




- Oh, va bene, va bene... farò finta di non avervi visto dalla finestra a limonare come due adolescenti sotto la pioggia... - sentii dire da Sarah con finto disinteresse.
- Oh che palle, Sarah! Non mettertici pure tu. E' tutto così... difficile. Non posso pensare anche a questo ora. - divagai, con tono esasperato.
- Comunque ora devo andare... - dissi, rialzandomi dal morbido materasso ricoperto con lenzuola di lino chiaro.
- Ah, un'altra limonata in privato? O forse sarà proprio una piantagione di veri limoni? - continuò a scherzare lei, con non poca malizia.
Alzai gli occhi al cielo e le voltai le spalle, dirigendomi verso la porta.
- Attenta ai semi, sorella... Meglio non fare frutti al momento! - le sentii urlare poco prima che la porta si richiudesse alle mie spalle.
Buona parte di me era seriamente tentata di tornare lì dentro e strangolarla, ma capii che non era il caso, soprattutto con tutti quei nuovi poteri... così mi limitai ad un'alzata di spalle e uno sbuffo appena accennato, mentre che tornavo a muovere i passi verso la stanza di Mello.
Attesi appena qualche istante, poco prima di aprire quell'ennesima porta chiusa. La maniglia era diversa, rotonda, come quelle vecchio stile.
Sbarrai d'improvviso gli occhi: una forte sensazione ostile, come un sesto senso, allertò tutti i miei sensi superdotati... Non sapevo né come né dove, ma stava accadendo qualcosa di strano. Come dell'aria calda che riuscivo a sentire oltre quella porta in legno...
Quando vidi del fumo volare sopra la mano stretta sulla maniglia dorata, capii che non potevo più esitare, stavo esplodendo, dovevo sapere.
Spalancai la porta in un solo gesto violento, esaminando la stanza con una certa sorpresa mista a nervosismo. La stanza era quasi completamente avvolta nel buio, se non per i raggi pallidi della luna ormai sorta in cielo in tutto il suo splendore, che invadeva la zona oltre le ante delle finestre spalancate. Non sembrava esserci nessuno, ma ancora non ne ero convinta. Quella sensazione appena accennata di poco prima ora stava divampando come un incendio, senza più controllo. Avanzai ancora di qualche passo, lentamente, concentrando lo sguardo nelle zone più buie alla ricerca di qualcosa, o meglio, di qualcuno.
- Mello? -
Il suono improvviso della porta che si chiudeva alle mie spalle mi fece sobbalzare in un attimo, voltandomi di scatto. Istintivamente ripiegai la schiena e le ginocchia, quasi come se mi stessi accovacciando. Alcune scintille cominciarono a brillare di nuovo dai palmi delle mie mani, risplendendo ad intermittenza nel buio. Tutto il mio corpo era teso ed elettrizzato. L'ansia e la paura diedero di nuovo vita al mio istinto di sopravvivenza, e non mi sentii mai come in quel momento così spietata.
Una risata maschile echeggiò nella stanza dal buio:
- Se fossi in te non darei troppo sfogo alle tue scosse... Potresti mandare l'intera casa in fiamme. -
Quella voce non l'avevo mai sentita prima, e anche se buona parte di me ormai doveva saperlo che Mello non c'era, ne restò comunque delusa.
- Chi sei? - sibilai a denti stretti, mentre che con lo sguardo ispezionavo ogni angolo alla ricerca di anche solo un accenno di sagoma umana... niente.
- Nessuno di cui ti possa importare direttamente, purtroppo... - quella risposta mi sembrò arrivare da un posto diverso dalla prima volta... Stava cambiando posto ogni volta che parlava, in modo da disorientarmi. Sapeva di star avendo a che fare con uno Spector... ma soprattutto, temevo davvero di non essere l'unica in quella stanza.
- Dov'è Mello? -
Un'altra risatina diabolica arieggiò nella stanza:
- Tranquilla, lo rivedrai... Forse. -
No, quell'essere non aveva nessun'intenzione rassicurante, era certo. L'ansia di non sapere cosa fosse capitato a Mello si stava presto mescolando alla preoccupazione per Sarah, incosciente di tutto a pochi metri da quella stanza.
Quei pensieri fomentarono le cariche, e con grande piacere le lasciai fare. Ora erano diventate come l'ultima volta, linee sottili blu elettrico che si dilungavano nell'aria in modo discontinuo per qualche secondo, prima di scomparire.
- Vattene. - ringhiai, ormai furibonda.
Qualche istante dopo una stretta morsa mi colpì alla gola, quasi soffocandomi. Mi aveva raggiunta e afferrata... ma perché non crollava per le scosse?
- I tuoi trucchetti con me non funzionano, Sofia. - sibilò lui minaccioso, mentre che stringeva ancor di più le dita attorno al mio collo. Erano lisce e morbide, seppure strette attorno alla mia pelle...
Gomma.”pensai subito.
Annaspai e mi dimenai senza controllo, sentendo i sensi affievolirsi sempre di più... L'ossigeno che non arrivava più ai polmoni...
- Adesso tu vieni con me. - continuò, con una certa nota di compiacimento nella voce.
Sentivo il suo fiato mentre parlava sul collo.
- ...Al richiamo di un padre non si rifiuta mai, nemmeno se si è un figliuol prodigo avvenente come te. -
Non ebbi il tempo di rielaborare il significato di quelle strane parole, che il buio mi accolse di nuovo come un buon amico che non ti rivede da molto tempo.

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Capitolo 21
*** Stesso sangue ***


Il mio risveglio fu più difficile di quanto mi aspettassi. La luce accecante di un paio di grosse lampade al neon colpì i miei occhi ancora prima di aprirli. Nei primi momenti non ricordavo nemmeno come c'ero finita in quel posto, da sola, ma l'amnesia durò comunque poco.
Sbattei le palpebre più volte, prima di abituarmi a quella luce, e mentre lo facevo mi rendevo terribilmente conto di quanto grave fosse la mia situazione. Entrambe le mie mani erano legate dietro lo schienale della sedia su cui ero seduta, avvolte da qualcosa... ma non riuscivo a capire bene cosa.
La stanza mi parve subito familiare, con le sue pareti chiare, le piastrelle, e le sue sembianze così anonime e vuote. La scena parsami in mente durante uno dei miei dolorosi flashback riapparve nitida per qualche secondo davanti ai miei occhi: era la stessa stanza dove Bustri attuava i suoi esperimenti sul mio corpo, quando non ero nella cantina sotterranea o quello che era quella fetida cella. Ovviamente non c'erano finestre, ma un orologio elettronico appeso sopra la porta metallica di fronte a me, che ero immobilizzata su quella sedia, segnava le cinque del mattino.
Il terrificante ricordo di Bustri e quello che mi aveva fatto mi invase di nuovo la mente, offuscandola come nebbia fitta... poi, un lampo di luce: la stanza di Mello, il buio, quella voce... Adesso era tutto chiaro. Doveva parermi ovvio fin dall'inizio: Bustri aveva mandato uno dei suoi Spector a prendermi.
Il rumore metallico e secco della porta che veniva aperta riprese la mia attenzione. Oltre di essa intravidi un corridoio lungo e fitto di porte, ma non ebbi tempo di sbirciare altro perché l'alta e sontuosa figura che stava entrando se la richiuse subito alle spalle. Aveva i capelli brizzolati, ma in modo elegante, era vestito di un completo in giacca e cravatta sotto il suo camice bianco sbottonato, il viso pallido, gli occhi color ghiaccio... e un sorriso tirato e tagliente sulle labbra sottili.
Era un uomo.
- Ciao, Sofia. -
Era Bustri.




- Dobbiamo subito setacciare l'intera zona! - esclamò Ryuzaki in tono di allerta.
- Ogni singolo palazzo, di ogni singolo quartiere. - sottolineò terribilmente serio; poi si voltò verso Near, che intanto lo fissava con aria sorpresa e curiosa al tempo stesso.
In verità Ryuzaki era sempre stato l'unico che riusciva a far trasparire delle vere e proprie emozioni sul volto di Near in modo così evidente.
- Near, voglio che tu ti occupi di trovare l'appartamento o quello che sarà dove sono stati fatti contratti di locazione o vendita in modo sospetto negli ultimi tempi. E' lì che Mello sarà andato. -
- Ma Ryuzaki... - ribatté Near.
- … Le ricerche su Bustri? -
Ryuzaki esitò giusto un attimo, prima di rispondergli.
- Dividi l'intero quartiere in due metà. La prima aiuterà te nelle ricerche di Mello e Kanade, e l'altra continuerà con quelle di Bustri. -
- Ma così verremo rallentati. -
- Hai qualcosa di migliore da proporre... Enne? - gli chiese l'altro gelido, in tono di sfida.
Near rimase a guardarlo per qualche istante, con gli occhi freddi spalancati e le braccia attorno alle gambe tirate in petto. Ryuzaki sembrava improvvisamente trasformato, notò il ragazzo dai capelli ramati. Quello sguardo loquace ma freddo su quel viso terribilmente pallido non gliel'aveva mai visto prima, come se si fosse improvvisamente ripreso da un lungo sonno, tornato a tutti gli effetti il temibile L di un tempo. Quello del caso Kira.
Eppure non tutto quadrava...
Concentrarsi di più sulle ricerche del nostro criminale, piuttosto che su quelle di uno Spector già condannato a morte.” pensò Near, mentre che continuava a tenere lo sguardo su quello del collega.
- No. - rispose invece, andando per la prima volta in assoluto contro la sua stessa volontà.
Quella parola tuttavia bruciò lo stesso come fuoco sulle sue labbra, quando la disse.
- Spero solo che te ne renda conto, Ryuzaki. -
- Di cosa? - chiese l'altro, mentre che sprofondava di nuovo le mani nelle tasche dei jeans, mantenendosi freddo e cinico.
- Del fatto che stai rischiando. Forse per te ne varrà la pena di cercare di salvare uno Spector già condannato a morte, solo perché è una donna, e l'unica aggiungerei, che sia stata capace di farti innamorare... ma qui ci sono anche agenti che hanno moglie e figli a casa che li aspettano, e non credo che anche loro sarebbero disposti a rischiare la loro stessa vita solo per una ragazzina come stai facendo tu. -
Subito dopo quelle parole, l'intera stanza si avvolse di una strana atmosfera. Degli agenti che erano presenti alcuni si zittirono, fissando i due detective in silenzio, e altri bisbigliarono appena sottovoce, senza comunque togliere gli occhi di dosso ai due giovani detective che, a quanto pareva per la prima volta nella storia, si stavano chiaramente scontrando.
- Stai criticando il mio modo di lavorare? - chiese allora Ryuzaki, con una certa nota di rabbia nella voce.
- Credi forse che saresti qualcuno tu, senza di me? - scoppiò subito dopo senza dargli neanche il tempo di rispondere, pur mantenendosi immobile e temibile in piedi di fronte al ragazzino accovacciato sulla sedia girevole in un modo così simile al suo.
- Ho risolto infiniti casi impossibili nella mia carriera, e l'ho fatto da solo, grazie unicamente al mio modo di lavorare che tu hai appena criticato! - disse ancora, guardandolo con spietata freddezza.
- …Tranne uno. - ribatté Near, quasi in un sussurro.
A quelle parole Ryuzaki spalancò gli occhi. L'immagine di Light Yagami che lo guardava con preoccupazione sotto la pioggia fitta lo colpì come una lama in petto.
Light...” pensò tra sé.
- Quel caso... - disse atono, dopo qualche istante di esitazione.
- …sarebbe stato impossibile anche per te, se non avessi avuto Mello al tuo fianco. E lui ci ha rimesso una vita, ricordatelo. - sibilò infine.
- … Ma sappiamo entrambi cosa sarebbe successo se ti fossi ritrovato da solo, come me. -
Alzò lo sguardo color carbone sugli agenti che erano nella stanza intorno a loro due, ora tutti immobili e concentrati a fissarlo con sguardo scioccato.
- Signori! - esclamò poi verso di loro.
- Davvero la pensate come il mio collega? Pensavo vi fosse stato chiarito sin dal principio che lavorare con detective come noi avrebbe potuto comportare il rischio della vostra vita. No? - aspettò qualche secondo per vedere la loro reazione. La maggior parte annuì con la testa, mentre altri restarono di pietra.
- Bene, perché pensare solo adesso, quando tutto è già cominciato, alla propria famiglia... sarebbe da stupidi. - concluse, guardandoli uno ad uno dritto negli occhi prima di ritornare su Near.
- Beh, ho cambiato idea, Enne. - sottolineò di nuovo il suo soprannome con appena una nota impercettibile di disprezzo.
- Visto che ci tieni tanto, guida tu le ricerche su Bustri. Ti concedo il 90% dei nostri agenti... il restante 10% mandalo al mio piano. - disse poi, voltandogli le spalle.
- Ho tenuto testa a Kira in persona con un numero di agenti che si potrebbero contare sulle dita di una sola mano, figurarsi se adesso dovrebbe cambiare qualcosa. - continuò, mentre che raggiungeva l'ascensore.
- Ah, e per la cronaca... - disse infine, proprio mentre che le porte metalliche si aprivano e lui entrava al suo interno, voltandosi di nuovo verso Near all'altro capo dell'enorme stanza.
- …Ho scelto io, di uscire fuori dai giochi e non concludere quel caso. Quindi Near, forse sarebbe il caso di ringraziarmi. - e detto ciò, le porte si richiusero in un istante, coprendo finalmente quello sguardo famelico e furibondo che aveva agghiacciato l'intero quartier generale. Compreso Near.



- Salve, Bustri. - risposi gelidamente, fulminandolo con lo sguardo più tagliente che avessi mai potuto sfoggiare.
Lo vidi sorridere:
- Sei in gran forma, a quanto vedo. - rispose lui, ricacciando da una delle larghe tasche bianche del camice una sottile sigaretta.
Di tutta risposta inarcai un sopracciglio, non potendo fare altro:
- Beh sai, potrei stare molto meglio in effetti. - gli dissi in tono tagliente.
- Strano, prima d'ora non avevi mai osato darmi del tu. - gli sentii rispondere rifilandomi un altro sorriso sghembo e avanzando verso di me di qualche passo.
- Le circostanze sono cambiate. - gli dissi, tenendo tutto il mio corpo in allerta man mano che si avvicinava. Sapevo di essere bloccata su quella scomoda sedia vecchia, ma non potevo comunque arrendermi.
Bustri sprofondò di nuovo la sua mano in una tasca, e stavolta tirò fuori un accendino di metallo con il quale accese con fare spavaldo la sua sigaretta. Il tutto senza mai togliermi gli occhi di dosso.
Per qualche istante dimenticai la sua matura età e quasi mi sembrò che mi stesse spogliando con gli occhi. Subito sentii il sapore della bile risalirmi alla bocca al solo pensiero, mentre che lui continuava a schiacciarmi sotto il suo sguardo impenetrabile. Era molto diverso da quel flashback dove lo vidi darmi le ultime “rassicurazioni” prima che la squadra di L mi recuperasse. Effettivamente sembrava più giovane, pur mantenendo in silenzio la sua vera età oltre la quarantina. Non vi erano occhiaie sotto i suoi occhi, e i suoi capelli erano in perfetto ordine. Sarebbe sicuramente parso un impeccabile uomo d'affari ad occhi incoscienti... ma i miei non lo erano più ormai. Sapevo bene chi mi ritrovavo davanti, ci avrei giurato. Dopo un primo tiro di sigaretta, durante il quale staccò per qualche istante lo sguardo su di me solo per schiudere le palpebre con fare compiaciuto, riprese poi a parlare:
- Sono felice di rivederti. -
Quella frase sembrò così sincera da confondermi... ma solo per qualche istante. Dopo poco tempo cercai di stendermi di nuovo la fronte che frattanto si era aggrottata e schiusi anch'io gli occhi, per cercare di mantenere la calma.
- Non posso dire lo stesso. -
- Così mi ferisci, Sofia... - lo sentii rispondere, con fare dispiaciuto ma composto.
- ...Io ho investito e sto ancora investendo tanto su di te... tutto. Tutta la mia vita. Non ho mai voluto farti del male... -
- Eppure l'hai fatto. Anzi, hai fatto anche peggio: mi hai uccisa... Uccisa, signor Bustri! Questo non è fare del male? -
Vidi il suo sguardo indurirsi prima di rispondermi:
- Era solo una delle fasi di un processo molto più grande, Sofia. Insomma, guardati adesso! -
Bustri mi indicò con un largo gesto della mano:
- Sei forte, invincibile... Immortale. Non hai bisogno di niente e di nessuno... Libera! -
- Ah, è questo che tu vedi? Io invece vedo una giovane donna rapita, maltrattata, legata su una sedia e per poco non imbavagliata da un lurido bastardo. Il tutto senza la sua volontà! - sputai tutto d'un fiato, cominciando a perdere la pazienza.
- Sofia... Non dovresti parlarmi così. -
- Ah no? E perché mai? -
- Perché... - lo vidi esitare giusto per qualche secondo.
- La realtà non è quella che credi. -
- E quale sarebbe!? - risposi, mentre che ormai stanca di tutto quel parlare non decisi di tornare ad agire, agitando e dimenando le braccia nel tentativo di allentare le catene, spezzarle o comunque liberarmi in qualche assurdo modo.
- Tu... sei mia figlia. -
Quelle parole mi ghiacciarono il sangue, pietrificandomi.
No, non poteva essere... si stava sicuramente prendendo gioco di me.
- No. - sibilai a denti stretti e abbassando il volto.
- Si, invece. -
- E' una bugia. Un'assurda, terribile... bugia. -
- Sofia... sono stato io ad assegnarti questo nome. Abbiamo lo stesso sangue nelle vene... Appena nata ho dovuto assegnarti ad una coppia dei miei fedeli compagni, i quali tu adesso conosci come i tuoi veri genitori... così avrei potuto darti un lavoro, seguirti e vegliare su di te senza che tu te ne accorgessi. Mi dispiace averti iniettato il Tuconial così presto, so che hai appena vent'anni, quasi ventuno, ma quanto più si è giovani, tanto più efficaci saranno gli effetti. E poi, il tuo caso è stato ancor più speciale... -
- Non ti credo! - gli urlai in faccia.
- Beh, non è necessario che tu lo faccia. Volevo solo che tu sapessi la verità. -
- Ah si!? Davvero ti sei fatto scrupoli del genere? Un vero spreco, farseli solo adesso! - esclamai ancora, furibonda.
- Adesso basta! - urlò lui all'improvviso con voce grave e minacciosa.
- Basta con questi capricci! Le cose stanno così, sono tuo padre e in quanto tale avevo tutto il diritto di decidere della tua vita! E nonostante ciò... - disse poi, tornando lentamente calmo.
- … Voglio darti una possibilità di scelta, perché in quanto mia figlia io... ti voglio bene. -
Quelle parole sembrarono qualcosa di anomale, mentre che uscivano dalla sua bocca. Non mi sembrava vero, non riuscivo proprio a crederci che il capo glaciale per cui lavoravo era MIO PADRE, e... che mi aveva appena detto che MI VOLEVA BENE!
Lo vidi aspettare giusto qualche secondo, forse per vedere la mia reazione che però non arrivò mai. Cosa si aspettava? Un “ti voglio bene anch'io paparino”? Beh di certo non avrebbe mai sentito qualcosa del genere. Non da me, almeno. Mi limitai invece a rialzare lo sguardo su di lui, inarcando un sopracciglio.
Possibilità di scelta?
- Bene, visto che hai perso la lingua, continuo a spiegarti. - continuò.
- Le chiamate che i tuoi attuali genitori adottivi hanno fatto al tuo numero sono state tutte intercettate. Alquanto ridicola l'idea di una sostituta, una finta Sofia... Non trovi? Non c'è voluto molto a capire dove si trovasse il tuo telefono, di conseguenza... So dove vi trovate. Per non parlare dello Spector che avete tenuto con voi, finché non l'ho ucciso... Sciocco, non trovi anche questo? Proprio come se avessero deciso di farsi trovare! -
- Tu... l'hai ucciso? -
- Si, figlia mia. - rispose in tono fiero.
- … Con questo. - disse poi, cacciando fuori un quaderno nero dalla tasca interna del suo camice.
- Saprai sicuramente cos'è, no? -
Lo sguardo sconvolto che avevo diretto su quella sagoma nera si spostò per qualche secondo sul viso dell'uomo che mi ritrovavo davanti, per poi tornare di nuovo al quaderno.
- Il... quaderno... -
- … della morte. Sì, proprio quello. Spero mi vorrai credere sulla parola, ma se non ti fidi, posso provarlo davanti ai tuoi occhi... -
- No! No! Ti... Ti credo! -
Si fermò per sorridermi calorosamente.
- Bene. E allora arriviamo al dunque. Così come so il luogo in cui vi nascondete... So anche altro. Una notizia fondamentale che non ho ancora utilizzato a mio favore SOLO per te. -
Cominciai a provare fitte fortissime di dolore alla testa... tutto quel discorso così confuso... Dove diavolo voleva arrivare?
- Sarò pronto a lasciarti libera, ma sappi... che io conosco il vero nome e il vero volto dell'investigatore più famoso al mondo, che adesso mi sta dando la caccia per sbattermi dentro... ancora non trova prove sufficienti! -
Spalancai gli occhi e drizzai la schiena per la sorpresa, mentre che lui rideva di gusto.
- Già... - continuò con una forte nota di compiacimento nella voce.
- So l'identità di L. Quindi... come ho appena detto, sarò pronto a lasciarti andare per sempre, e non cercarti mai più, lo giuro, ma in cambio... mi prenderò la vita di L. -
Per la prima volta da quando ero diventata uno Spector sentii dei forti brividi corrermi lungo la schiena.
- Cosa deciderai? Sono curioso... Oh, su Sofia. Non farmi quella brutta faccia! - disse ancora, avvicinandosi a me di qualche passo abbastanza per potersi calare e toccarmi la guancia con una mano. All'istante mi voltai dall'altra parte, nascondendo i miei occhi umidi dal suo sguardo.
- Dai, per farti contenta... adesso ti lascerò andare. Ti riporterò nello stesso posto da dove ti abbiamo presa. Ma dovrai sapere che se non ritornerai da me entro le prossime 72 ore... L morirà. - le sue labbra sottili si incurvarono appena.
- Se vorrai tornare da me, basterà uscire dall'edificio dove ti troverai e restare ad aspettare nello stesso posto per qualche minuto. Non ti perderò mai di vista, mai, per le prossime 72 ore. La morte di L segnerà il nostro addio, nel caso decidessi di abbandonare tutto. Nel caso invece farai come ti ho detto e deciderai di stare al mio fianco per un mondo migliore, sappi che dopo poco verrà Alec a prenderti. Ora sta per arrivare, ti riporterà lui indietro. - si prese una pausa per sospirare rumorosamente, mentre che drizzava di nuovo la schiena e tirava un'altra boccata di fumo, tornando a guardarmi dall'alto e risistemando il suo Death Note nella tasca interna del camice.
Avrei voluto dirgli tante cose... Perlopiù insulti, ma non riuscii a pronunciare neanche quelli. Ero sconvolta, scioccata, distrutta. Un'ennesima volta.
- Forse non mi crederai che io sia davvero capace di uccidere L... - disse ancora lui, voltandomi le spalle e dirigendosi di nuovo verso la porta.
- …ma sei sicura di voler correre il rischio? - si voltò di nuovo verso di me, che intanto continuavo a tenere lo sguardo basso.
- E ricorda: abbiamo lo stesso... identico... sangue, nelle vene. Io e te. - dopodiché sorrise, e senza aggiungere altro aprì la porta ed uscì, chiudendosela alle spalle.
Repressi un singhiozzo, tremando, mentre che le lacrime cominciarono di nuovo a rigarmi il viso.
Si, quello ero davvero un buon motivo per lasciarsi finalmente andare e piangere ancora una volta.

Dopo qualche tempo, non avrei saputo dire quanto, la porta di metallo chiaro di fronte a me si riaprì lasciando avanzare però un'altra persona. Appena capii che non si trattava di Bustri sospirai istintivamente per il sollievo. Non avrei mai più voluto rivederlo, soprattutto in quel momento.
- Ciao. - disse atono il ragazzo che invece entrò al posto suo.
Aveva i capelli folti e neri, in contrasto con gli occhi grigi e la pelle chiara. Sembrava giovane, ma comunque un po' più grande di me... con quei suoi jeans strappati, gli anfibi e il chiodo di pelle scuri. Quello stile un po' dark mi ricordò Mello, ma il dolore di non sapere dove fosse era troppo forte così che fui costretta a ricacciare indietro quel pensiero.
Vidi lo strano ma affascinante ragazzo inarcare un sopracciglio con aria infastidita.
- Cos'hai da guardare? - sbottò.
- Non hai mai visto un bel ragazzo? - fece poi, indicandosi con entrambe le mani e incurvando appena le labbra.
A quelle parole fui io ad inarcare le sopracciglia, fulminandolo con lo sguardo ancora umido e reduce del pianto disperato di poco prima.
Fin troppi.” pensai.
“... e tutti fuori dal comune.”
- Così... - provai invece a dire, trovando di nuovo la forza di parlare.
- …Tu saresti quel bel figlio di troia che ha pensato bene a come farmi svenire per poi portarmi qui. -
- Oh, hai ammesso che sono bello. - rispose lui con un'alzata di spalle.
A prima vista sembrava non aver nemmeno sentito il mio insulto, ma dopo un'analisi attenta capii che stava solo fingendo. L'aveva sentito e come: aveva incrociato le braccia in petto, la postura si era irrigidita e i suoi occhi grigi si erano induriti spaventosamente mentre che mi rispondeva.
Dopo qualche istante poi passò ad un gelido e tagliente sorriso:
- Beh, stavolta non perderai i sensi. Contenta? -
Tornai a lanciargli uno sguardo di fuoco:
- Al settimo cielo. - risposi quasi con un ringhio.
Incurvando appena le labbra lo vidi avanzare di qualche passo verso di me. Sospirai rumorosamente: quella era la seconda volta che ero costretta a farmi toccare da qualcuno senza che io potessi allontanarlo.
Il ragazzo si accovacciò appena per tenere lo sguardo poco distante dal mio alla stessa altezza, dopodiché tirò fuori una benda scura e me la mostrò.
- In compenso dovrò metterti questa. - disse poi, cominciando già a spostarmi i capelli.
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, cercando di sopportare e non perdere ancora la pazienza.
- Hai dei capelli terribilmente simili a quelli... di una persona. - disse poi atono, con mia grande sorpresa.
Lo vidi sospirare appena, tenendo lo sguardo basso.
- E... chi? - mi azzardai a chiedere, capendo dalla improvvisa tristezza del suo sguardo che doveva essere una persona importante.
- Nessuno. - rispose lui, tornando freddo e indecifrabile.
- Comunque... Io sono Alec. -
Restammo a fissarci appena per qualche secondo... Beh, di certo non avrei potuto dirgli: “Io Sofia, piacere di conoscerti!”, no?
Mi limitai così ad annuire:
- Tu sai già chi sono io. -
Alec riabbassò lo sguardo sulla benda che teneva ancora fra le mani. Il suo viso parlava più di mille parole, e anche quello mi ricordò subito Mello. Tanta maturità e sofferenza concentrata su un volto così giovane.
- Già. - rispose semplicemente.
- Ora basta parlare. - e detto ciò, mi coprì gli occhi con la benda.
Non spese una sola parola per rassicurarmi, né tanto meno per dirmi come ci saremmo arrivati di nuovo a casa di Mello... ma non potevo certo aspettarmi che lo facesse.
Ero solo curiosa. Com'era diventato lui uno Spector? Qual era la sua storia? Quando era venuto a prendermi sembrava quasi un mostro... ma in fondo avevo solo sentito la sua voce, non avevo visto il suo viso, non avevo letto i suoi occhi, e ora che avevo potuto farlo capivo che non era così spietato e cattivo come mi era parso all'inizio. Era un'armatura, sicuramente. Ne ero quasi certa.
Mi liberò velocemente dalle catene che mi tenevano legate alla sedia, ma mi tenne quelle alle mani, compresi i guanti di gomma. Cingendomi la schiena con un braccio e tenendomi una mano sul gomito mi fece camminare velocemente verso l'uscita. Per tutto il tragitto concentrai le mie attenzioni sull'udito e su ciò che sentivo: l'eco dei nostri passi, porte che si aprivano e si chiudevano... ma nient'altro che non fosse causato dai nostri spostamenti. Dopo essere usciti dall'edificio andammo più veloci, quasi correvamo, e lo facemmo per un po'. Arrivati ad un certo punto poi, ci fermammo bruscamente e salimmo su una macchina. Gli interni in pelle mi ricordarono la limousine su cui ero salita qualche ora prima con Sarah e Mello. Dopo un arco di tempo che non riuscii a calcolare infine, finalmente, Alec mi tolse guanti e manette e con mio grande piacere mi liberai con le mie stesse mani anche della benda.
Per un attimo la possibilità di poter usare di nuovo i miei poteri mi fece venire una strana idea in mente...
- Non provarci. - mi ammonì Alec all'istante, come se mi avesse appena letto nel pensiero.
- … Sei arrivata, vedi? - disse poi, indicandomi il cancelletto scuro della villa di Mello oltre il finestrino scuro.
- Se usassi i tuoi poteri adesso creeresti solo disordine senza concludere niente. -
Tornai a fulminarlo con lo sguardo, ora che potevo.
- Chi ti dice che l'avrei fatto? - risposi infastidita.
Alec alzò di nuovo le spalle, stavolta insieme allo sguardo, con aria annoiata.
- Istinto. - rispose poi, e senza aggiungere altro mi fece segno che potevo andarmene.
- E Mello? Sarah? -
- Sono tutti dove li hai lasciati. Li troverai in casa. -
Guardai di nuovo la villetta oltre il finestrino, poi di nuovo Alec.
Non credevo che sarebbe stato così semplice... e comodo.
Vidi Alec rialzare un sopracciglio scuro come i suoi capelli:
- Beh? -
Svolazzò le sue dita in aria come si fa con un animaletto indesiderato.
- Sciò! Via! -
Non me lo feci ripetere ancora. Senza saluti né arrivederci aprii la portiera di quella che in effetti era davvero una limousine e di corsa superai il cancelletto con un solo salto, bussando poi alla porta. Dopo svariati tentativi e lunghe suonate di campanello, finalmente la porta si riaprii.
- Ma che... -
- Mello! - senza neanche pensarci gli buttai subito le braccia al collo e lo strinsi forte, sprofondando il viso sul suo collo.
All'inizio non ricambiò, forse per la sorpresa, poi però le sue braccia si decisero a circondarmi a loro volta.
- Sofia... - sospirò, con una nota evidente di sorpresa nella voce.
- Pensavo... che non sarei più tornata. - gli dissi con voce tremante.
- Ehi, adesso calmati. - gli sentii rispondere, sciogliendo l'abbraccio.
- Che ci fai qui fuori? Dove sei stata? -
- Oh non ne hai idea! -
- Okay, parliamone dentro... -
Con una mano mi fece segno di entrare, ed io lo feci. Poco prima che richiudesse la porta mi voltai verso la strada: come avrei dovuto aspettarmi, la limousine non c'era più.


ANGOLO AUTRICE
Beeeeene, lo scorso capitolo non ho fatto un angolo autrice perché ero davvero distrutta, capitemi, ogni tanto succede a tutti.
Ad ogni modo! Le faccende si stanno facendo serie qui! Forse è un po' noioso come capitolo questo, sotto il punto di vista sentimentale... ma direi che era necessario!
Non preoccupatevi... Presto ne vedrete ancora delle belle: Ryuzaki è resuscitato! Yeeeeehhh!
Che ne pensate? E' riuscito bene? Ultimamente sto faticando un po' per continuare la storia perché sono presa da tantissimi impegni e quando sono libera sono distrutta!
Ma è sempre un piacere tornare al mio buon vecchio posto alla scrivania per tornare al mio mondo. Anzi, al NOSTRO mondo!
Perdonate i miei infiniti ritardi, chiedo per sempre venia!
P.S.
Vi adoro!
Fatemi sapere che ne pensate! <3

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Capitolo 22
*** AVVISO URGENTE AUTRICE ***


Care ragazze (se c'è qualche maschio, cosa molto poco probabile, mi perdoni) sto facendo uno stage fuori regione e sono perennemente impegnata. Volevo avvisarvi che non mi sono dimenticata di voi, sto continuando la storia a mano ma dovrò riportarla a computer quando torno... il 4 ottobre. Sorry!
Grazie delle recensioni che ho visto aumentare, ma le leggerò quando avrò del vero tempo libero... Scusatemi davvero! <3

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Capitolo 23
*** Attesa ***


- Come? -
- Si! - risposi subito con uno strillo.
Dopo essermi accertata che Sarah stesse dormendo tranquilla in camera sua, io e Mello ci eravamo accomodati in salotto, su un comodo divano dorato col rivestimento in stoffa.
- Ma... a proposito, tu mi avevi detto che avresti aspettato che ti raggiungessi nella tua stanza. Perchè non c'eri? - gli chiesi poi, fissandolo dritto negli occhi.
Lo vidi distogliere lo sguardo e portarlo al pavimento. Notai anche che non si era cambiato, aveva solo indossato un panciotto di pelle nero sopra i jeans chiari, molto probabilmente ancora umidi per la sera prima.
- In effetti ricordo di averti aspettata, ma poi ho come un vuoto. Non so cosa sia successo, so solo di essermi ritrovato qui sul tappeto in salotto poco prima del tuo arrivo. -
- Mh. - riuscii appena a rispondere, sovrappensiero.
Quindi non era entrato solo Alec in casa. Oppure si? E allora come...
- Ma dimmi... - riprese lui, aggrottando la fronte:
- ...Ti ha preso uno Spector e ti ha portato da Brustri. Ovviamente non sei riuscita a capire dove si stesse nascondendo, non è così? -
Annuii vivacemente:
- Già. -
- E poi ti ha riportata subito qui. Davvero strano... e perchè correre un rischio del genere? - si soffermò un attimo, portandosi le dita al mento con aria pensierosa:
- Mh... pensandoci bene, di sicuro sarà stata una bella mossa per intimorirti. Come per farti capire che lui ha molto più potere di quello che puoi pensare, e che avrebbe potuto riprenderti in qualsiasi momento, se solo avesse voluto. Cosa ti ha detto? -
Tornai a guardarlo scioccata, mentre che la voce di Bustri risuonava di nuovo nella mia testa... "Sarò pronto a lasciarti andare per non cercarti mai più, lo giuro sulla mia vita, ma in cambio..."
- Mi ha detto che sono sua figlia. - dire una frase del genere ad alta voce rievocò i brividi sul mio corpo, mente che Mello se ne restava immobile a fissarmi con un'intensità spaventosa. Mi stava analizzando, riuscivo a capirlo con chiarezza.
- ... che ha il Death Note nelle sue mani. - continuai quasi meccanicamente, come se non fosse davvero la mia voce a parlare.
- Me l'ha mostrato. Ha proposto di provarlo davanti ai miei occhi ma io ovviamente ho rifiutato. - dissi ancora prima di bloccarmi.
- E poi? - mi esortò ancora Mello, con calma e voce bassa.
- Niente. - gli risposi subito, distogliendo lo sguardo dal suo per dirigerlo altrove, verso la finestra che affacciava sul giardino, ora pieno di fiori sbocciati.
- Capisco. - rispose lui, improvvisamente distaccato.
- Comunque resta strano che ti abbia lasciata andare così in questo modo. Tornerà a cercarti. Lo sai questo vero? -
"Solo se io lo vorrò." pensai subito, poco prima che i pensieri prendessero un'altra piega.
"L morirà..."
L... ma chi era in realtà questo L? Allora esisteva davvero? E se... fosse stato come aveva sospettato Sarah?
No, Mello non poteva essere L, ormai era assodato. Quindi rimanevano Near e... Ryuzaki.
Al solo pensiero mi si contrasse lo stomaco. No, non poteva essere così... Ryuzaki non poteva essere L. Nemmeno Near. Sarah si sbagliava. In fondo, che senso avrebbe mentirmi su una cosa del genere?
Eppure il solo dubbio mi attanagliava le meningi.
- Sono già le otto del mattino... - sospirò Mello.
- Sarà meglio ritirarci nelle nostre stanze. Hai bisogno di riposare.
Annuii appena, e proprio mentre stavamo per raggiungere le scale dopo esserci rialzati, un fortissimo tonfo ci bloccò.
Nel giro di pochi secondi l'intera casa fu invasa da agenti in nero. Non riuscii a capirci niente, soprattutto perchè non ne ebbi nemmeno il tempo. Uno dei tanti agenti prese subito la mira e con nostra grande sorpresa... sparò. Avrei voluto urlare, scappare, distruggere qualsiasi cosa in quel momento... ma non ebbi modo di fare neanche quello. Dopo pochi istanti caddi sulle mie ginocchia, mentre che con la coda dell'occhio vedevo Mello fare lo stesso. Sul suo viso una smorfia di dolore e rabbia.
Due agenti si mossero circospetti verso di noi infilandoci frettolosamente un auricolare all'orecchio.
- Beeene... - sentii subito dirmi con una forte nota di compiacimento nella voce. Il suo suono  suscitò subito in me una sensazione tra la meraviglia e... l'amore.
Sentii Mello al mio fianco dire qualcosa, forse un'ingiuria. Dopo quegli spari cominciai a sentirmi sempre più stanca, mano a mano che gli istanti passavano e lo stupore cresceva assieme alla confusione. Per l'ennesima volta non sapevo cosa se ne sarebbe fatto di me, completamente inerme.
- ...Il solito Mello. - rispose atono Ryuzaki dagli auricolari.
- Non c'è bisogno che vi agitiate, ho dimezzato la dose dei proiettili quindi dovreste sentirvi solo un po' debilitati. Giusto per accertarmi che non facciate qualche sciocchezza... come, ad esempio, elettrizzare un intero fiume. Vero Kanade? -
Vidi Mello sbattere un pugno  sul pavimento, contro il marmo chiaro. Se non fossi stata distratta avrei giurato di aver sentito provenire il suono di una risatina a stento repressa dal mio auricolare, prima che Ryuzaki ricominciasse:
- Si torna a casa, ragazzi. -
"Magari." avrei tanto voluto rispondergli.

 

Il ritorno al quartiere generale fu così confuso e veloce che quasi non me ne accorsi, considerando anche gli effetti del proiettile "sonnifero", se così si poteva definire davvero. Riuscii a sentirmi meglio e del tutto cosciente solo qualche ora dopo.
Ero di nuovo nella mia stanza. Fu come risvegliarsi dopo un lungo sonno, solo che quella volta era successo tutto per davvero.
Voltai lo sguardo verso la grande finestra a lato: le tonalità chiare dei raggi del sole che illuminavano la stanza mi dicevano che doveva essere all'incirca orario di pranzo o massimo primo pomeriggio. Le ante di vetro erano chiuse, così che i rumori delle movimentate strade di New York non fossero talmente insistenti da distrarmi completamente dai miei pensieri.
Man mano che i secondi scorrevano lenti e veloci al tempo stesso, i ricordi confusi nella mia testa ripresero colore: gli agenti in nero che ci afferravano fortemente per le braccia e ci trascinavano fuori dalla villa, le furiose urla di Sarah che si distinguevano sopra ogni altro rumore, il viso di Mello segnato dalla rabbia... fino a lì, in quella stanza, in quel momento. Ancora stentavo a crederci che tutto quel fottuto casino fosse capitato proprio ad una come me. Un attimo prima una furia distruttrice e minacciosa per chiunque, e un attimo dopo una ragazza incosciente finita per l'ennesima volta nelle mani di qualcun altro senza nemmeno averne avuto la minima intenzione. Era chiaro, dovevo imparare a farci l'abitudine a queste puttanate. Eppure non ci riuscivo. Ogni volta era sempre come la prima. Era stata davvero un'ironia della sorte che gli agenti di Ryuzaki ci avessero raggiunto solo poco tempo dopo il mio ritorno da Bustri. Cosa sarebbe successo se non fossi riuscita ad arrivare in tempo? Probabilmente vedendo la casa vuota avrei comunque tratto le giuste conclusioni e sarei tornata qui... Date le circostante, proprio quando avevo una minima possibilità di ritornare libera, dovevo invece accettare di essere ancora in gabbia. Dovevo scoprire a tutti i costi chi era questo L. Dovevo capire soprattutto se dietro quel nome, quella semplice lettera, si nascondeva Ryuzaki... e se anche non lo fosse stato, avrei mai potuto andarmene sapendo che la mia libertà sarebbe costata la vita di un altro essere umano? E ancor di più, un essere umano che a sua volta aveva salvato e avrebbe in futuro ancora potuto salvare chissà quante altre vite umane? Potevo davvero scappare via, sapendo che Bustri era mio padre, che aveva il Death Note, e che non si sarebbe mai fermato? Quello sì che era un bel guaio. Proprio non sapevo cosa fare. Più ci pensavo, fissando il vuoto nella stanza e ingarbugliandomi tra le lenzuola del letto, e più mi sentivo dietro le sbarre. Ritornai alla realtà vera e propria solo quando l'odore di bruciato non coprì l'intera stanza: lenzuola, compresi i miei vestiti, stavano andando a fuoco. Con un sussulto balzai subito giù dal materasso, mi strappai via i vestiti e li gettai tra le lenzuola. Le fiamme si stavano alzando, e proprio quando stavo per decidermi a fare qualcosa, l'allarme antincendio scattò e nella stanza cominciò a cadere una leggera ma intensa pioggerellina artificiale che spense il fuoco... Oh, il mio povero letto, completamente annerito e distrutto!
- Sto seriamente cominciando a pensare che tutte queste tue azioni siano dovute a un forte bisogno di attenzioni. -
La voce di Ryuzaki invase l'intera stanza. Voltai lo sguardo ovunque, mentre che recuperavo un asciugamano per coprirmi alla velocità della luce.
No, non c'era.
- Non sprecare il tuo tempo a cercarmi, ti sto parlando da un microfono. -
Non ebbi il tempo di tirare un sospiro di sollievo che lui, quasi come se mi leggesse nella  mente, continuò:
- ...Ma hai fatto bene a coprirti, perchè ti vedo. -
- E che cazzo! - borbottai furente.
Nella rabbia scaraventai un pugno contro il muro alle mie spalle, dove si formò una crepasottile.
- Vorresti smetterla di distruggere il mio quartiere? Tra te e Mello fra un po' bisognerà ristrutturarlo d'accapo! -
- Il TUO quartiere, Ryuzaki? Io pensavo fosse di L! -
La pausa di silenzio che seguì alterò cento volte di più i miei nervi. Perchè esitava? Perchè, diavolo? Perchè solo con me?
Non era lui L. No. Non poteva essere lui!
- E' anche mio. Quindi, la prossima volta che desideri le attenzioni di qualcuno, faresti bene a chiamarlo... - si fermò un attimo, prima di aggiungere:
- ... invece di fuggire. -
Aggrottai le sopracciglia, sorpresa dal suo tono, mentre che concentravo al massimo la mia vista nell'intento di individuare anche solo una telecamera. Fingendomi indifferente, cominciai a camminare lentamente per la stanza.
- Perchè non sei venuto qui di persona, Ryuzaki? Prima lo facevi. -
- Ho ritenuto meglio così. -
Mi fermai per qualche secondo, prima di riprendere a camminare continuando l'ispezione. Dove diavolo erano quelle fottute telecam... oh si! In alto, in uno spigolo tra due muri, c'era un buco, e sapevo per certo che non era vuoto. Mi posizionai di fronte e la guardai intensamente:
- Devo parlarti. . dissi poi, incrociando le braccia in petto.
- Potrai dire tutto a Near. -
Scossi la testa, decisa:
- No. O con te, o con nessuno. - Lo sentii sospirare fortemente, prima di rispondermi:
- Di che si tratta? Spero qualcosa che abbia a che fare col caso. -
L'ultima sua frase non mi piacque per niente. Strinsi ancora di più le braccia incrociate, drizzando la schiena e affondando le unghie sottili nella carne:
- Ho visto Bustri. E' abbastanza "nel caso" per te? -
Seguì di nuovo un lungo silenzio. Stava riflettendo chissà quante ipotesi.
- Bene. - riprese poi.
- Ti farò sapere. Nel frattempo, ti consiglio di farti una doccia. -
"E a te una buona dose di Prozac." pensai nervosamente, mentre che alzavo gli occhi al cielo e mi dirigevo verso il bagno, sbattendomi la porta alle spalle.
Dopo un'ora ero di nuovo lì, pulita e rivestita con abiti comodi e semplici: leggins neri, canotta rossa e giacca grigia, con un paio di scarpe da passeggio. Mi preoccupai a malapena di asciugare i miei lunghi e fastidiosi capelli, ricordando che uno Spector non poteva mai ammalarsi, nemmeno della malattia più contagiosa. Con un pizzico di sfacciataggine mi rivestii in camera, ben cosciente di essere perennemente osservata. In fondo, ragionandoci, chi mi assicurava che non ci fossero altre telecamente in bagno? Effettivamente tra il lavandino e lo specchio c'erano altri buchi sospetti, come quelli in camera. Cercai di rassegnarmi semplicemente a quell'idea e smisi definitivamente di cercare telecamere e buchi sospetti. Quando ormai avevo finito tutto quello che avevo da fare, rimasi per qualche attimo perplessa: cosa avrei dovuto fare adesso?
Subito il rossiccio della chioma di Mello mi tornò in mente. Che fine aveva fatto? Non ne avevo saputo più nulla! Attraversai l'intero appartamento con passo veloce, raggiungendo l'ormai familiare anta grigia dell'ascensore. Premetti con altrettanta fretta il pulsante per richiamarlo, e solo dopo qualche minuto capii che non aveva funzionato. Aggrottando la fronte ripetei il gesto contro il pulsante: niente. Non funzionava! Restai per qualche secondo a ragionare, prima di capire cosa fosse successo, e all'istante sentii di nuovo la rabbia fare i suoi effetti:
- Ryuzaaaaakiii! - urlai furibonda, sbattendo un piede a terra e correndo a velocità supersonica di nuovo nella mia camera, dritto verso la telecamera che avevo individuato.
- Ryuzaki!! - urlai di nuovo.
- Che c'è? - lo sentii sbottare.
- Perchè il mio ascensore non funziona!? - sbraitai.
- Mhhh... Che dispiacere. Sarà guasto. -
- Non fare il figlio di puttana con me, pseudo-investigatore dei miei stivali! -
- Non capisc... -
- Credi davvero che sia così stupida? Eh!? A chi la vuoi dare a bere!? Mi hai rinchiusa qui dentro come un criminale! Questo è rapimento! Ma lo sai che anche questo è contro la legge?! -
- Tendi sempre al drammatico... - gli sentii rispondere incurante.
- Dov'è Mello? Che ne avete fatto? -
- Non parlarmi in questo modo, Kanade! Io non sono Bustri! - scattò all'improvviso.
Arretrai di un passo per la sorpresa:
- Io... Non lo so. -
- Cosa... Non sai cosa? -
- Non lo so più chi è davvero il buono e chi il cattivo... in tutta questa merda! Entrambi non fate altro che trattarmi allo stesso modo! Come se fossi... un pacco postale! Sempre rinchiusa in quattro mura! - sentii il battito del mio cuore accelerare, il sangue divenire più caldo, quasi bollente. Non volevo perdere ancora il controllo, così tentai di attenuare i nervi nel mio solito modo: sospirare ad occhi chiusi.
- Dimmi solo dove sono Mello e Sarah, e che cosa hai intenzione di fare. - gli dissi poi, quasi in tono di resa.
La sua risposta non tardò ad arrivare:
- Sono nell'edificio. Mello al suo piano e Sarah in un nuovo appartamento. Sono nella tua stessa situazione, ma stanno bene. - lo sentii fermarsi appena un attimo, giusto il tempo di sospirare stancamente a sua volta.
- Ok, va bene. Aspettami lì. Arrivo. -
Quella fu un'altra sorpresa... aveva ceduto! Quasi ci avevo rinunciato a vederlo arrivare.
Sospirai di nuovo, voltando le spalle alla stanza e cominciando a dirigermi verso il salotto:
- E cos'altro dovrei fare, rinchiusa qui dentro? - 

 

Dolore. Desiderio. Vita. Erano proprio queste tre parole che lo avevano attanagliato sin dai suoi primi anni. Il dolore per il suo passato, il desiderio di un futuro nuovo, e la vita che sognava... Vivere. Lui adorava vivere. Adorava tutto ciò che lo facesse sentire vivo.
Quando aveva appena solo sei anni, era diventato già una presenza fissa all'interno dell'infemeria del suo istituto:
- Mihael, insomma! - esclamava ogni volta la signorina Johnsons, capo infermiera del prestigioso Wammy's House. 
Ricordava ancora il modo affettuoso con cui lo poggiava ai piedi del lettino e gli medicava le ginocchia sbucciate e i graffi sparsi sul viso.
- Possibile che ogni giorno ne abbiamo delle nuove? Così non guarirai mai tutte le ferite! Devi smetterla di fare a botte con i bambini più grandi, capito? Smettila! -
Non era la prima volta che si sentiva dire una frase del genere, anzi, ormai l'aveva presa come un'abitudine. Ogni volta si limitava ad annuire in silenzio, per poi tornare il giorno dopo.
I graffi e le ferite cominciarono a sparire solo quando la vera competizione con Near ebbe inizio, qualche tempo dopo. Si, era proprio quello che cercava: la lotta, la competizione, mettersi in discussione. Era proprio questo che gli dava la possibilità di sentirsi vivo, e non aveva mai avuto nessun problema a farlo. Era sicuro di se stesso, o almeno era questo che ostentava al mondo da sempre.
Tutto con Near ebbe inizio in un giorno qualunque, proprio mentre che Mello si dirigeva come ormai era diventato suo solito in inferneria con una grossa busta di ghiaccio che manteneva alta sulla fronte,e proprio in quel momento, qualcosa interruppe il suo solito tragitto. Una voce.
- Mihael. -
Mello si fermò all'istante, con aria perplessa. Guardò davanti a sè e poi alle sue spalle, lungo tutto il corridoio, ma non c'era anima viva. Capiva che la botta che aveva dato con la testa era stata forte,  ma mica fino al punto di immaginarsi le cose? In fondo aveva già nove anni e mezzo cavolo, era grande per gli amici immaginari!
Solo dopo qualche istante capì da dove era provenuto quel richiamo: la stanza che aveva appena superato; era l'unica con la porta aperta. Arretrò così di qualche passo per affacciarsi, ancora col ghiaccio che pian piano diventava acqua fredda premuta contro la sua fronte e tenuta stretta con una mano. Quello che vi trovò dentro era una vera e propria camera. Una di quelle che era stata assegnata ad ognuno di loro lì in quell'istituto, solo che quella in particolare era quasi del tutto spoglia: una grande finestra, un letto, un armadio... e un bambino accovacciato sulle mattonelle pallide e bianche, che aveva appena interrotto la costruzione di un'intera città in Lego ferma a metà lavoro solo per guardarlo dritto negli occhi, attraverso la sua lunga chioma bionda e scomposta.
- Che c'è? - gli rispose subito Mello con aria minacciosa, abbassando subito la busta col ghiaccio e nascondendola dietro la schiena dritta.
In verità non si sorprese molto a vederlo; Mello aveva già avuto modo di conoscere in precedenza Near. Lo aveva visto spesso accovacciato a terra proprio come in quel momento, da solo, in giro per l'istituto. Non era mai uscito fuori da quelle mura, nemmeno in giardino, la sua pelle sciupata e pallida ne dava la conferma. Inoltre aveva visto il suo nome primo fra tutti  nella classifica dei punteggi scolastici di fine quadrimestre... tranne ginnastica e autodifesa, ovviamente. Il primo era lui.
- Faresti bene a smetterla di perdere tempo in questo modo. Oggi hai preso una bella botta alla testa, potresti rimetterci la tua intelligenza. - disse l'altro atono, continuando a fissarlo immobile con quegli occhi spalancati.
- E tu non perdere tempo a sperarci. So chi sei, lo so che hai paura di me. Sono una bella minaccia, dopotutto. -
Near alzò appena di qualche millimetro un sopracciglio:
- Mihael, secondo in tutte le materie. Da me ti ha sempre separato un punto solo, prezzo che ti ritrovi a pagare ogni quadrimestre a causa del tuo comportamento. -
- Ah, allora avevo ragione. Non ti saresti informato di me se non fossi preoccupato. - disse ancora Mello con fierezza. Near scosse la testa:
- Non mi dispiaci, invece. Anzi mi diverti. Solo che sarebbe tutto ancora più noioso se tu divenissi stupido... Quindi volevo darti questo consiglio, anche se non ci conosciamo. -
- Non ti ringrazio. - rispose il bambino dai capelli rossi, con un broncio minaccioso bene in mostra.
- Non mi aspettavo il contrario. - disse a sua volta Near, tornando a guardare la sua città di Lego senza aggiungere altro.
C'era qualcosa in quel bambino, che nonostante tutto interessava profondamente Mello. Un nuovo punto fisso... si, eccola di nuovo, l'aria di competizione.
- Dove sono le istruzioni? - chiese curioso, indicando i pezzi di Lego che ora Near stava di nuovo afferrando.
- Qual è il senso di giocarci con le istruzioni? - rispose tranquillamente l'altro bambino, osservando con accuratezza pezzo per pezzo prima di capire come assemblarli.
Okay, forse avrebbe fatto bene Mello ad impegnarsi, se voleva superarlo. Non era impossibile, ma doveva comunque lavorarci. L'aveva capito.
- E... dormi qui? -
- Si. - rispose di nuovo lui con un sospiro. Sembrava che stesse cominciando ad irritarsi.
Mello non sapeva che in realtà Near si fosse addirittura quasi pentito di averlo chiamato, in quel momento. A quell'età odiava le persone. Un po' tutte, però solo quando si avvicinavano a lui. Per Near dovevano essere tutti come delle stelle: belle, ma lontane anni luce.
- Ma qui ci sono solo uffici... -
- Ho chiesto io di spostarmi. Adesso ho da fare. -
Mello non se lo fece ripetere due volte. Restò giusto il tempo per un altra occhiata curiosa all'intera figura che aveva davanti: Near, la città di Lego costruita senza istruzioni, la stanza spoglia...
- Vedrai. - disse poi prima di andarsene, tornando a tamponarsi la fronte rigonfia e sporca di sangue con la busta di ghiaccio.
- Ti supererò. In tutto. Lo giuro. -
E quel giuramento non fu più capace di dimenticarlo. Riprese la sua direzione e corse con tutte le sue forze verso l'infermeria, già pensando a come parlarne con Matt. Il suo migliore amico da sempre.
Appena uscito da lì, con le sue bende nuove che stavolta avrebbe fatto attenzione a non maltrattare, ripassò di nuovo per quella stanza. Ora la porta era socchiusa, e sentiva delle voci provenire dall'interno. La sua curiosità era troppo forte, così si accovacciò per origliare.
- Cosa mi dice di Mihael, signore? - sentì chiedere dalla voce sottile e flebile di Near.
- Oh... beh. - la voce di chi gli stava rispondendo era profonda e adulta: il preside. Cosa ci faceva il preside in camera di Near? Perchè tutte quelle attenzioni solo per quello strano bambino biondo? Una nuova sensazione si impadronì del suo piccolo cuore: invidia.
- E' un ragazzo difficile da gestire, ma resta uno dei migliori nell'accademia... anche L lo ha detto. -
"L!" Si, proprio lui! Ne aveva sentito parlare... il genio in assoluto. Wow, persino L lo aveva notato, allora non era del tutto ignorato!
- L'ho visto per anni passare ogni mattina fuori dalla mia stanza, ogni giorno con ferite diverse. Dovreste fargli capire che è davvero stupido quando fa così, signore. - sentì dire da Near, con freddezza.
Al suono di quelle parole Mello per poco non spalancò la porta per poi catapultarsi sul bambino biondo. Come si permetteva? Lui, Mihael in persona, uno stupido!? A fermarlo in tempo fu la voce del preside:
- Non posso permetterti di dire una cosa del genere su quel ragazzo, Near... - il tono severo con cui aveva pronunciato quelle parole stupì a tal punto Mello da fermarlo.
- ...ha un comportamento particolare, è vero, ma ha i suoi perchè. -
- E quali sarebbero? - chiese ancora Near in tono scettico.
- Ha visto morire i suoi genitori, a cinque anni. E' il suo primo ricordo. Solo dopo è arrivato qui. -
All'istante staccò l'orecchio dal legno scuro della porta e la spalancò. Entrambi si voltarono a guardarlo:
- Non doveva dirglielo! - urlò furibondo.
- Mihael... - tentò di riprenderlo il preside.
- Tu! - urlò ancora, indicando con l'indice Near.
- Stai giocando sporco! Sei già primo in tutto per adesso, che bisogno hai di scoprire il mio passato? Fai bene a temermi, perchè ti batterò, Near! Ti batterò! Fosse l'ultima cosa che faccio! - urlò ancora, prima di scappare via. Corse lungo tutto il corridoio verso la sua camera al piano inferiore, dove sapeva che Matt lo stava aspettando, e sperando con tutto il suo cuore di non sbattere di nuovo la testa ferita contro qualcosa, a causa dei suoi occhi annebbiati dalle lacrime.
E ora era tornato lì, al presente... ed era successo. Sia lui che Near sapevano che quello che aveva urlato anni prima era accaduto davvero, proprio quando morì insieme a Takada. Ce l'aveva fatta, l'aveva superato. Aveva capito tutto prima di lui... ed era anche sopravvissuto. D'altro canto Matt non c'era più. Nessuno era rimasto, lì pronto a riparare i buchi della sua anima, e si ritrovava ancora una volta da solo a fare i conti con se stesso. Non erano molte le volte in cui si soffermava a ricordare il passato, ma senza capire il vero motivo,  quella volta era successo e basta, in quella giornata piovosa di New York, chiuso nella sua nuova gabbia di lusso.
L'intero appartamento era stato risistemato; solo la grande crepa sottile che aveva fatto lui stesso ore prima era rimasta lungo la larga vetrata del salone, in bella vista. Era quasi certo che fosse stata una mossa ben calcolata da L, per essere sicuro che non dimenticasse mai quello che era successo. Per non dimenticare mai chi era il vero capo lì dentro, primo fra tutti. Era proprio questo che lo faceva imbestialire, non solo la sensazione di non essere il primo, ma addirittura di non essere nemmeno libero. Sapeva che non era di sicuro un bel pensiero, ma spesso pensava che quando L era ancora come morto tutto fosse più bello. Ed ogni volta che arrivava a pensarlo, l'immagine di Sofia lo arrestava subito dopo. Se non fosse stato per L, Mello non avrebbe mai conosciuto Sofia, e non si sarebbe mai più innamorato... dopo Matt. Odiava ammetterlo, ma per questo sarebbe stato capace di ringraziare L in eterno, nonostante anche Sofia lo ritenesse un secondo... Lui lo preferiva lo stesso alla vita che faceva prima.
E così, seduto comodamente sul nuovo divano nero in pelle con una  tavoletta di cioccolato bianco in mano, fermo a fissare il paesaggio che c'era oltre quella stessa crepa, non gli rimaneva che aspettare. Aspettare che le circostanze prendessero la loro strada... e che quella sua  e di Sofia, si ritrovassero ancora una volta.

 

284. Erano 284 tutti gli oggetti presenti nel salone. Compresi mobili e quadri. Non sembravano così tanti, e di certo mai avrei pensato di ritrovarmi a contarli, pur di ammazzare il tempo. Eppure avevo già osservato con assoluta attenzione e scrupolosità il paesaggio attraverso le alte vetrate, lungo le strade americane, contando il numero dei colori che riuscivo a riconoscere (756, tra tonalità e sfumature diverse).
Niente. Ancora niente. Assolutamente NIENTE! Quanto tempo sarà passato? Un'ora? Due? L'unica cosa di cui avevo perso il conto. Che ironia. Con fare annoiato avanzai verso il divano e mi ci lasciai cadere con grazia.
Chissà Sarah come si trovava nel suo appartamento. In quel momento avrei tanto voluto starle vicino, dirle che era tutto apposto, che L non era come Bustri e che stavamo comunque al sicuro... anche se i suoi metodi un po' psicopatici potevano infondere una certa paura, per chi non avesse avuto ancora modo di conoscerlo... quindi tutto sommato anche se Sarah fosse rimasta scettica sarebbe stato del tutto normale. Scommettevo tutto l'oro del mondo che Ryuzaki non si fosse mostrato a Sarah come fece con me la prima volta. Non sapevo dire il vero motivo per cui ne fossi così sicura, lo sapevo e basta... In realtà non sapevo nemmeno se se ne stava occupando lui oppure... oh no, speriamo proprio di no!
Già mi stavo immaginando Sarah imprecare contro Near... Povero Near, cosa gli aspettava. Dovevo ricordarmi di chiederglielo a Ryuzaki non appena mi avrebbe dato l'onore della sua presenza. Quanto ero annoiata e nervosa al tempo stesso, in quel momento... ricordo ancora il modo in cui osservavo la stanza a testa in giù, con le gambe poggiate sullo schienale del divano, pur di distrarmi. Avevo cambiato abitudini  da quando ero diventata uno Spector, persino quelle quotidiane, e lo notavo solo adesso. Quando ero in casa non mi mettevo mai le scarpe, se non quasi fuori la porta prima di uscire. Adoravo camminare a piedi nudi per la casa... e pensare di farlo anche dopo averci camminato con le scarpe, era disgustoso. Amavo l'igiene, ecco un'altra cosa che però almeno in parte era rimasta. E soprattutto, quando non avevo niente da fare mi rannicchiavo sulla prima superficie morbida che trovavo e mi appisolavo fino a quando non avrei avuto qualcosa da fare... amavo dormire. Abitudine completamente cancellata. Ora ogni volta che dormivo era perchè o ero svenuta, o qualcuno mi aveva rapito, o avevo avuto un flashback... Dopo tutte quelle esperienze, tutto il piacere di dormire che provavo prima era del tutto sparito, e per sempre. Contando anche che come Spector se solo avessi voluto, avrei potuto non sentirne più il bisogno per il resto della mia lunga e infinita vita... cosa me ne importava? Ah, già. Un altro bel problema... l'immortalità. Che diavolo ne avrei fatto!? Ancora non ci avevo davvero pensato, ma... cazzo, io, immortale! Ma dove diavolo si può imparare a gestire una vita del genere? Tra qualche anno già mi ci vedevo... sarei diventata uno pseudo- vampiro, tipo la versione femminile di Edward Cullen che tutti trovavano strano... e poi mi sarebbe toccato innamorarmi di uno sfigato, la versione femminile di Bella, con la differenza che io non avrei mai  potuto renderlo figo e affascinante, perchè mai avrei potuto trasformarlo in uno Spector. Bella fregatura. Meglio rimanere sola... E che vita noiosa! Che me ne sarei fatta dell'immortalità, di tutto questo dannato tempo? Forse ero destinata ad una vita triste, ridotta ad incontri occasionali di sesso con chiunque pur di passare il tempo facendo qualcosa di interessante, tanto non potevo ammalarmi nemmeno di malattie sessualmente trasmissibili o roba del genere... Al posto mio Sarah all'idea avrebbe fatto i salti di gioia. Una pazza stralunata, ecco chi mi ritrovavo come migliore amica... ma forse era proprio quello che la rendeva perfetta ai miei occhi.
Stare senza di lei mi fa male tutt'ora.
- Perchè sei a testa in giù? - la voce curiosa di Ryuzaki interruppe ancora una volta le mie fantasticherìe.
Fino a qualche giorno prima sarei scattata all'istante e sarei arrossita violentemente per la vergogna, ma invece tutto ciò non accadde. In fin dei conti quella stessa persona mi aveva vista nuda (più volte), e anche se non fosse stato lui... era tutta l'intera faccenda un'enorme stranezza: tutto il grattacielo brulicava di pazzi e tic nervosi, tra L Mello Near e Ryuzaki, quindi cosa ne restava della normalità? Tanto valeva fare anche io quello che mi passasse per la testa e smettere di fregarmene degli altri.
- Ti aspetto. - dissi quindi di tutta risposta, restandomene tranquilla al mio posto sottosopra.
- Mi piace vedere che il sangue che arriva al cervello non mi dà più fastidio come quando ero un'innocua, inutile umana. - continuo con tono incurante.
- Bene... Mh, mi fa piacere. -
- Che cosa vuoi Ryuzaki? -
- Beh, sei stata tu a chiedermi di venire da te, o sbaglio? -
- Sì, ma poi tu hai detto di no ed io ci avevo quasi rinunciato. Come mai hai cambiato idea? -
- In verità non volevo che distruggessi ancora una volta l'appartamento per la rabbia. Sai, i soldi non mancano... ma sarebbe meglio tenerli per qualcosa di più utile per il futuro, non trovi? -
- Mh... - risposi a mia volta, scettica.
Con un sonoro sospiro lo sentii sedersi sul divano al mio fianco, portandosi una gamba al petto e circondandola con un braccio.
- Allora... Parlami di quello che è successo dopo essertene scappata via da qui. Voglio sapere tutto. -
- Come sei gentile a chiedermi se ne ho voglia... - gli risposi con pungente sarcasmo.
- Kanade, non c'è molto temp... - alzò la mano per afferrarmi un braccio, ma nell'istante esatto in cui mi toccò prese una scossa e con un gemito di dolore la allontanò. Sorrisi in silenzio, ma di gusto: ero padrona del mio potere.... almeno per il momento.
- Fossi in te sarei più gentile, Ryuzaki... Potrei essere imprevedibile. - dissi ancora, con tono compiaciuto.
Non riuscivo a vederlo in quella posizione, ma sapevo perfettamente che lui stava cominciando a capire il mio gioco. Sorrisi di nuovo.
- Guarda che se non me lo dici tu andrò da Mello. - gli sentii dire in tono serio e scettico.
- Ed io verrò con te. - risposi semplicemente con un'alzata di spalle.
- Non puoi. -
- Ah si? - all'istante misi di nuovo giù le gambe e ritornai a sedermi in modo normale. Avvicinai di qualche centimetro la mia faccia alla sua, prima di parlare:
- Davvero credi di essere più veloce di uno Spector? A meno che tu non voglia usare il teletrasporto, sarai costretto a sottostare ai tempi di un normale... - mi avvicinai ancora.
- ... lento... - e ancora.
-  ... ascensore. - mi fermai, ad un paio di centimetri dal suo viso.
Lo guardai dritto negli occhi e capii che dentro di sè in quel momento era profondamente combattuto, mentre che il viso rimaneva immutato.
- Ecco perchè non volevo venire. - borbottò poi, voltandosi.
Restai a guardarlo giusto per qualche altro secondo, prima di reagire:
- Okay! - sospirai, mettendomi a sedere proprio come era suo solito: gambe al petto.
Sapeva che lo stavo prendendo in giro, me ne accorsi perchè i suoi occhi si stavano improvvisamente illuminando, mentre lo facevo. La cosa un po' gli piaceva, anche se non l'avrebbe mai ammesso.
- Ti dirò tutto. - continuai, alzando le spalle in segno di resa.
Ovviamente sapeva anche che stavo fingendo. Era solo una momentanea tregua.
Fu così che mi decisi a cominciare il lungo discorso, e gli dissi tutto... o quasi. In quel primo momento pensai che il bacio di Mello non era importante che lo sapesse, così come l'ultimatum di Brustri contro L. Non me la sentii di dirglielo.
Alla fine del racconto se ne restò così immobile, fissandomi con sguardo perso ed occhi schiusi. Inarcai le sopracciglia con aria curiosa:
- Allora? -
- ... Allora avrei dovuto trovarti prima. E, per la cronaca, tutto questo non sarebbe successo se tu e Mello non foste fuggiti. Qui Bustri non ha alcun modo di entrare. - sembrava vagamente irritato... ovviamente a suo modo. Col tempo stavo imparando a leggere il suo strano linguaggio.
- Tu non mi dai mai ascolto. - borbottai stavolta io.
- Ah, perchè tu qualche volta ne hai dato a me? - mi chiese, inarcando un sopracciglio.
Lo fulminai con lo sguardo, ancora accovacciata in stile Ryuzaki sul divano di fronte a lui:
- Va bene, abbiamo sbagliato entrambi... Ma se fossi rimasta qui, non avrei mai avuto modo di scoprire i miei veri poteri! Quindi in fondo non abbiamo fatto poi così male. -
Lo vidi scuotere la testa con impazienza, prima di parlare:
- Tu... non hai la minima idea, di quello che mi hai provocato. -
A quelle parole rimasi congelata:
- In... In che senso? -
- Lo sai che... - si bloccò, prima di riprovarci.
- Lo hai capito molto bene... cosa sta succedendo fra noi due. Così come avrai capito che io non posso... non sono fatto per queste cose. Non sono cresciuto in questo modo... -
- Ciò non significa che tu non possa amare, Ryuzaki. - sibilai irritata.
- Tutti al mondo riescono ad amare qualcuno. Perchè tu non puoi? -
Restammo a guardarci in silenzio per qualche secondo, prima di capire che i miei occhi si stavano bagnando un'altra volta. Feci del mio meglio per non piangere, così da lasciarli umidi.
- Beh... non hai avuto problemi subito dopo di me, a farti amare da qualcun altro. - disse freddamente Ryuzaki, continuando a fissarmi dritto negli occhi.
- Se ti riferisci a Mello... Beh, c'è da dire che anche lui è un detective, proprio come te, e non si è  mai comportato come tu hai fatto con me. Oh, insomma Ryuzaki, diciamocelo! - esplosi ad un certo punto, rialzandomi dal divano con un largo gesto delle braccia per poi tornare a guardarlo dritto negli occhi:
- Lui ha saputo dimostrarmi molto, molto di più di quello che hai saputo fare tu! Ti sono corsa dietro sin dalla prima volta che ti ho visto! - continuai, terribilmente seria.
- E in alcuni momenti pensavo anche che... la cosa fosse davvero ricambiata. Ma allora perchè dopo aver fatto un passo avanti, tu ne fai cento indietro? Io non ho mai dato a Mello le attenzioni e... l'amore che ho dato a te, in questi pochi giorni che ci conosciamo. Non gli ho dato nemmeno la metà, di tutto questo. E' stato lui il primo, sin da subito. E' stato lui ad avere il coraggio di mettersi in discussione così come ho fatto io con te... e l'unico che non ci riesce qui sei TU! - dissi ancora, indicandolo.
- E sai qual è la cosa più assurda? E' che io l'ho respinto. Sì, vuoi saperlo? Io ho respinto Mello, perchè... - mi bloccai ancora una volta, stavolta per più tempo. Le parole erano lente ad uscire, eppure sentivo il bisogno allarmante di buttarle fuori il più presto possibile:
- ... perchè amo te, prima di tutti gli altri. -
A quelle parole Ryuzaki spalancò ancora di più gli occhi, e lasciò cadere via la mano del dito che era intento a mordicchiare mentre che mi ascoltava.
Aspettai qualche istante, sperando forse in una sua risposta che però come potevo immaginare non arrivò; così tornai a parlare io, ormai completamente esasperata dalla sua freddezza:
- Ma possibile che non ti faccia niente? Direi quasi che davvero non ti interesso per niente... ma allora perchè il bacio? Perchè stavi per andare a letto con me, per poi rifiutarmi... se davvero non ti interesso? Dimmelo, perchè io non lo capisco... Anzi, sai che ti dico? Tu vuoi fare l'uomo di ghiaccio, non è così? Ma non puoi negare di essere un umano, con dei sentimenti umani... quindi... - mi avvicinai a lui, e lentamente poggiai la mia mano sul suo polso, per fargli capire che se volevo lui non correva alcun pericolo di scossa. Mai come in quel momento mi riuscì così bene comandare i miei poteri, e non sapevo nemmeno come. Forse era ancora una volta merito di Ryuzaki...
Fermai il mio viso ad un palmo dal suo, per poi sussurrargli:
- Io e Mello... ci siamo baciati. Lui mi ha baciata, sotto la pioggia, e ti dirò... non è stato per niente male. Avrebbe potuto essere il bacio più bello di tutta la mia vita, e credimi, ne ho fatta di esperienza... ma non lo è stato, perchè ho baciato te per primo. -
All'istante Ryuzaki si rialzò anche lui dal divano, immobile davanti a me, in silenzio. Lo guardai per qualche minuto, prima di continuare:
- Cosa provi a sapere che lui l'ha fatto, e di sua iniziativa? Non ti fa niente sapere che anche lui mi ha stretta tra le sue braccia? Non provi nien... - non mi lasciò finire la frase, che subito mi afferrò il viso con entrambe le mani e con un movimento un po' goffo mi tirò a sè per baciarmi con inaspettata e violenta passione.


ANGOLO AUTRICE
SONO.
RESUSCITATA.

Già.
Okaaaayyy. Se durante questa storia ho chiesto in precedenza delle scuse per non essermi fatta viva per tipo un mese... adesso che ne sono passati (... quanti ne sono passati? Tre? Quattro?) .... Oddio ho perso persino il conto! A questo punto non mi resta che implorare miserabilmente pietà. Credo.
PIETA'!!!!
.... Mi dispiace infinitamente, so bene che ormai a quest'ora ci avrete perso le speranze, e so bene che ci sono molte probabilità che le poche persone che stavano realmente tenendo a cuore la mia storia ho rischiato seriamente di perderle, probabilmente ne ho perso qualcuna... ma spero in qualche superstite! xD
Durante questa lunga pausa ne ho passate davvero di tutti colori, e in tutta sincerità ne sto ancora passando delle belle (più brutte che belle, ma vabbè...). La differenza? Finalmente ho un computer relativamente (molto relativamente) nuovo che mi lascia la possibilità di scrivere appena posso. Giuro di continuare da adesso fino alla fine, promesso. Dovranno ammazzarmi! xD
No davvero, farò del mio meglio.

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Capitolo 24
*** Dichiarazioni ***


Le mani di Ryuzaki scivolarono subito lungo i miei fianchi, con forza, la sua bocca non trovò più alcuna traccia di quell'impaccio della volta precedente. Ora c'era tutt'altra cosa dell'esitazione, in lui: rabbia, esasperazione... gelosia. Possessione. Quasi non mi sembrò più lo stesso. Di tutta risposta, io nemmeno mi rivelai così calma come in passato. Vedendolo d'improvviso così disposto, quell'atteggiamento lo interpretai come un permesso. Il permesso di lasciare ogni limite oltre quell'ascensore da noi poco distante, unico collegamento rimasto con il mondo esterno.
Gli lanciai le braccia al collo quasi subito, attirando il mio corpo contro il suo. La mossa mi venne con un po' troppo entusiasmo, tanto da dimenticare la mia forza da Spector che ci fece perdere l'equilibrio e inciampare sul divano, dove ci ritrovammo distesi l'uno sull'altro. In fondo non mi era andata male. Continuammo a baciarci, e a baciarci ancora... Solo dopo qualche momento realizzai che le sue mani erano passate sotto il cotone leggero della mia canotta, lungo la mia schiena. Quella sensazione mi mandò in estasi...
- Ah! - mugolò Ryuzaki.
...forse un po' troppo in estasi.
- Mi hai dato una scossa tremenda. - si lamentò.
Quelle parole mi raggelarono all'istante. Alzai la testa per guardarlo meglio, aveva l'aria vagamente sconvolta... ma era difficile a dirsi. Con un sospiro mi rialzai da sopra il suo (bellissimo) corpo, e mi sedetti con aria stanca al suo fianco risistemandomi la canotta. Lo vidi dopo poco fare lo stesso, con più lentezza, e passarono dei minuti prima che uno dei due si decidesse a parlare di nuovo.
- Mi dispiace. - sospirai atona, guardando fisso il pavimento. Nessuno dei due aveva avuto il coraggio di alzare lo sguardo verso l'altro. In un altro momento l'avrei fatto io, ma... per la prima volta, non avevo quasi più voglia. Quel piccolo incidente della scossa mi aveva fatto ricordare che non eravamo soli. Non lo eravamo per niente, e non potevamo permetterci di fare finta che non fosse così, anche se solo per qualche minuto. Non potevamo ignorare un pazzo criminale che era lì fuori, chissà dove, capace di uccidere e torturare le persone a suo piacimento. E se l'avevo pensato io... figurarsi Ryuzaki.
- A cosa ti stai riferendo, di preciso? - mi rispose.
Abbozzai un sorriso tristemente. Sapevo cosa voleva dire quella domanda: per quale delle tue tante colpe ti stai scusando?
- Per tutto. - risposi quindi a mia volta.
- ...Forse avresti dovuto lasciarmi lì in quel buco dove Bustri mi stava facendo morire. Sono sicura di non essermi rivelata l'aiuto che in realtà pensavi che fossi. - conclusi con amarezza.
Non sapevo se aspettare o meno una risposta, ma dopo qualche istante di silenzio, la ebbi.
- Si. Hai ragione. - rispose lui con un tono terribilmente serio.
Si protese verso di me e allungò una mano verso il mio braccio, poi si fermò per qualche istante, quasi come se volesse chiedermi il permesso. Annuii così in silenzio e solo dopo quel mio gesto continuò afferrando saldamente la mia mano.
- Guardami, Kanade. Per favore. -
Furono quelle ultime due parole a colpirmi, il tono con cui le aveva pronunciate era quasi supplichevole. Morbido come velluto.
Alzai così finalmente lo sguardo e tornai a guardarlo. Vidi i suoi occhi spalancati fissarmi come mai prima di allora, con un'intensità ineguagliabile. Ciò mi lasciò di sasso, senza fiato a tal punto da schiudere le labbra, e in quel brevissimo attimo vidi i suoi occhi cadere sulla mia bocca, per poi tornare subito dritti di nuovo sui miei, espirando rumorosamente:
- Tu sei stata... molto, molto di più... di un semplice aiuto. - mentre che parlava sembrava quasi che soffrisse. Come se stesse lottando contro una forza sconosciuta che non voleva che pronunciasse quelle parole... ma lui la stava vincendo. Dopo una breve pausa continuò, portandosi la mia mano più vicino a sè, e stringendola con più forza.
- ...E hai cominciato ad esserlo ancor prima che ti prendessi con me al quartiere. Mesi prima di quell'incidente avevamo trovato degli indizi che portavano il tuo nome, e ti abbiamo seguita da allora. Hai incuriosito questo cuore ricoperto di polvere sin da subito, con la tua gioia indefinita, la tua esuberanza... l'amore che riuscivi a donare a chiunque, in un modo così disinteressato. A volte ho addirittura pensato che fosse tutta una farsa, ma col tempo mi sono ricreduto. Io... - si bloccò, con un'espressione terribile in volto.
- ...Io... mi sono innamorato di te già da allora. Osservandoti in silenzio e da lontano. In effetti era l'unico modo che ritenevo possibile, prima che ti ritrovassi morente sul mio elicottero. Da quel momento è cambiato tutto... sono cambiato io. -  e così diede fine al suo discorso.
Ascoltarlo, con quegli occhi così limpidi e sinceri come quelli di un bambino, e quella voce così... intensa. Calma. Sofferente. Fu come alzarsi fino a migliaia e migliaia metri di altezza, nel bene e nel male. Cominciò addirittura a girarmi la testa, mentre gli occhi mi si inumidivano.
- Wow... - era tutto quello che riuscii a pronunciare, in un soffio, accennando a malapena un sorriso. In quel momento non riuscivo più a staccare gli occhi dal suo sguardo, sentendomi il petto sempre più forte, più caldo, grazie al calore che trapelavano.
Fu il rumore invasivo ed elettronico di un cellulare, che interruppe tutta quella magia. Ovviamente era quello di Ryuzaki, visto che io non avevo più un cellulare già da tempo. Lo lasciò squillare parecchio, prima di afferrarlo con un sospiro infastidito e rispondere, portandolo all'orecchio con quel suo modo così strano... Sorrisi in silenzio e con più convinzione, mentre lui tornava a guardarmi con aria interrogativa e rispondeva nel suo solito tono da detective:
- Si? -
I suoi atteggiamenti bizzarri mi divertivano parecchio, e mi riscaldavano dannatamente il cuore. Certo, all'inizio potevano sembrare davvero inquietanti, ma col tempo... capivi che erano solo segni di un bambino che non aveva mai avuto la possibilità di esistere e di vivere la sua infanzia. Quasi senza rendermene conto, mi allungai verso di lui e mi sedetti accovacciata sulle sue gambe, poggiandogli la testa sulla spalle.
La sua pelle era liscia e fredda... e io avrei potuto riscaldarla.
Con mia sorpresa, Ryuzaki dal canto suo non manifestò la minima resistenza. L'unica reazione percettibile che vi notai fu il suo respiro mancato e la schiena che si irrigidiva. Nient'altro.
- Capisco. - disse poi, rilassandosi un po' e provando a poggiarmi la mano libera sul fianco, forse per dimostrarmi che approvava... o almeno quella doveva esserne l'intenzione, visto che il risultato fu solo una mano esitante che si agitava nell'aria senza sapere dove poggiarsi. Risi di nuovo, stavolta sonoramente, e afferrando la sua mano me la portai al viso e la baciai con dolcezza. Ryuzaki inspirò a bocca aperta:
- Che... Cosa hai detto Near? -
Ascoltando la risposta all'altro capo del telefono il suo viso si rabbuiò, severo.
- Non una sola parola di troppo, Near. Cominci a stancarmi. - rispose poi, con tono falsamente tranquillo.
- Sarò lì. - attese ancora un attimo prima di staccare:
- ...E perchè mai dovrei portarla con me? - dopo pochi secondi lo vidi alzare gli occhi al cielo: - Va bene. - e senza aspettare una risposta, riattaccò.
Drizzai subito la schiena, poggiando i gomiti sulle spalle, e lo guardai con tanto di sopracciglia inarcate:
- Allora? Dove andiamo? - gli chiesi poi, sbattendo le ciglia con aria schifosamente innocente e civettuola.
Lo vidi alzare un sopracciglio e un angolo della bocca, prima di rispondere:
- Sei fortunata, Near ci vuole entrambi. -
- Sì! - esultai come una bambina, stampandogli un sonoro bacio sulla bocca prima di rialzarmi.
Per qualche secondo mi parve quasi spaesato, ma non ne ero del tutto sicura. In fondo con lui non era mai chiaro cosa potesse provare di preciso, dentro quella testolina tutta ciuffi e pizzi neri.
- Kanade... - disse poi, mentre si rialzava anche lui dal divano.
- Sai che la discussione di prima non può finire qui... -
- Si. Lo so. - mi sbrigai a rispondere, tornando seria.
Ryuzaki si fermò a fissarmi, stavolta di nuovo in modalità-detective. Forse per capire se facessi sul serio oppure no. Alla fine parve convincersene:
- Okay, andiamo. - disse semplicemente e senza aggiungere altro, entrambi ci dirigemmo all'interno dell'ascensore (tornato "magicamente" funzionante).
L'attesa all'interno di quella scatola metallica, con mia sorpresa, non fu per niente piacevole. Dopo tutti quei discorsi complicati, più la chiamata di Near, la tensione crebbe sempre di più, diventando palpabile. Di conseguenza, mentre vedevamo i numeri scorrere, nessuno dei due disse niente. Quando le ante grigie si riaprirono, accompagnate dall'ormai familiare "dindon", senza quasi rendermene conto tirai un sospiro di sollievo.
- Oh, avete fatto presto. - disse subito Near, vedendoci avanzare verso di lui. L'enorme stanza senza finestre era sempre la stessa, compresi gli anonimi agenti in giacca e cravatta che avevano l'accurata accortezza di ignorarci tranquillamente, continuando col loro lavoro.
Mi girai per un attimo verso Ryuzaki, e notai solo allora la glaciale e spietata freddezza con cui stava guardando Near. Di conseguenza, anche se abbastanza confusa, voltai lo sguardo verso il ragazzo ormai cresciuto ancora accovacciato nella stessa identica posizione con la quale l'avevo lasciato, stavolta però circondato da nuovi giocattoli: myth di metallo perfettamente curati nel dettaglio di tutti i cavalieri dello zodiaco... o quasi tutti. In mano aveva l'ultimo, ancora in fase di costruzione, e solo guardandolo meglio capii dalla lunga chioma della testa ancora separata dal suo corpo che si trattasse di Virgo.
- Io sono sempre puntuale, Near. - si limitò a rispondere Ryuzaki.
Era sempre difficile interpretare i gesti di Ryuzaki, ma osservandolo bene, sembrava quasi che vi fosse accaduto qualcosa tra di loro che io non sapevo. Era una cosa molto probabile, anche se davvero non capivo cosa mai avrebbe potuto farli discutere.
D'altro canto Near sembrò che ignorasse volutamente l'atteggiamento quasi provocatorio del collega e continuò:
- Andrò subito al dunque. Ho problemi con un altro dei due ospiti rimanenti... -
- Mello? - chiese subito Ryuzaki, e di riflesso vedendo l'immagine di Mello accasciato sul marmo chiaro della sua villa passarmi vivida nella mia testa, agii di rimando. Avanzai di un altro passo verso Near:
- Sta bene, vero? - chiesi poi, in tono allarmato.
Seguì un lungo silenzio, durante il quale guardai sia Near sia Ryuzaki, che ricambiavano le mie attenzioni con altra freddezza.
- No, lui sta bene. O almeno non ci sta dando problemi . - si decise poi a rispondermi il giovane detective dai capelli chiari.
- ...E' l'altra ragazza che invece sta davvero dando i  numeri... - bofonchiò poi, alzando gli occhi al cielo. Era la prima volta che lo vedevo fare un gesto così... umano. Allora forse, mi passò per la mente, c'era ancora speranza. C'è sempre speranza, anche per una vita fredda e difficile come quella che avrà dovuto vivere Near.
Il pensiero che fosse stata proprio Sarah, inoltre, a suscitargli un po' di "umanità", mi fece sorridere.
- Perchè ridi, Spector? - mi chiese poi, fissandomi con sincera curiosità mista al suo solito fare scettico.
- E' tipico di lei. I vostri modi con Sarah non possono funzionare... fatemi parlare con lei. Di me si fida, se le dirò che è al sicuro, capirà. -
In effetti non ero del tutto sicura che Sarah mi avrebbe dato ascolto, con lei non si poteva mai sapere; e non capivo nemmeno perchè invece volevo sembrarne così certa. Forse perchè DOVEVO e basta.
Intanto lo sguardo di Near esitò per qualche istante su di me, prima di passare su Ryuzaki:
- Tu cosa ne pensi, Ryuzaki? -
Di rimando tornai anche io a guardarlo, sperando di riuscire a supplicarlo con gli occhi.
- Va bene. Ma lo farai qui. La chiamerai con un nostro telefono e in nostra presenza, con l'altoparlante. -
Non ci ero riuscita.
Il mio sguardo passò dal supplichevole allo sgomento, spalancando la bocca. Avrei voluto incenerirlo con lo sguardo. Ma perchè faceva così?
Prima così permissivo da venire nel mio appartamento e baciarmi come se niente fosse, e adesso acido e scettico quasi quanto Near? Eh no, non l'avrebbe passata liscia. Gliel'avrei fatta pagare al momento giusto... ma non era ancora arrivato, così sospirai un'ennesima volta richiudendo la bocca e mi sforzai di fingere con più convinzione possibile un'espressione neutra e incurante.
- Va bene. - dissi quindi, sorridendo a Near e lanciando un'ennesima fulminata con lo sguardo a Ryuzaki, come preavviso del conto tra di noi che sarà lasciato in sospeso. Lui capì subito, perchè di tutta risposta alzò prima un sopracciglio, fingendosi confuso, e poi alzò in modo eclatante lo sguardo al soffitto, sospirando in modo appena percettibile.
- Dov'è il telefono in questione? - chiesi ancora, tornando a guardare Near.


 

- Prendi questo. - mi disse Near, porgendomi un cordless nascosto dietro di lei.
Con un po' di imbarazzo mi abbassai per prenderlo stando attenta a non sfiorare le sue dita, e senza quasi rendermene conto voltai di nuovo lo sguardo verso Ryuzai alle mia spalle.
- Premi 1 e attendi i due squilli. Dopodichè attiverai le casse del suo appartamento e potrai parlare. Se ti avvicini alla scrivania alle mie spalle potrai anche vederla attraverso le telecamere. -
Un po' spaesata, abbozzai appena un cenno di assenso col capo e avanzai lentamente verso gli schermi che mi aveva indicato. Non avevo mai spiato una persona, tantomeno in quel modo con tanto di telecamere nascoste!
Una volta raggiunta la scrivania, uno di quegli agenti dal volto e il fare anonimi mi porse gentilmente una sedia che accettai con piacere. Una volta seduta rimasi per qualche secondo di sasso: c'erano riquadri ovunque di fronte a me. Non riuscivo nemmeno a contarli per quanti ne erano. Erano abbastanza piccoli, ma io non ebbi problemi grazie alla mia vista. C'erano riprese della camera da letto, dell'ingresso, del corridoio... persino del bagno! Di riflesso poggiai la fronte sulla mia mano aperta, esasperata e sbigottita. Che bisogno c'era di mettere tante telecamere persino nel bagno? Questo superava la follia! Con ancora più angoscia mi sbrigai a cercare la sagoma familiare del corpo di Sarah, e non ci misi molto: era lì, nel salotto, attaccata alla vetrata che dava sulla strada come una stella marina su uno scoglio. La tenerezza che mi suscitò fu abissale, così che subito mi sbrigai a premere il numero e aspettai i due squilli come Near mi aveva avvertito di fare. Dopo i due squilli, seguì un leggero ronzio che mi fece capire che potevo parlare. Sospirai in silenzio e iniziai:
- Sarah? -
La vidi scattare verso le sue spalle, per poi guardarsi in giro. Era rossa in volto per la rabbia. Non l'avevo mai vista così.
- Chi cazzo sei!? - urlò furibonda.
Spalancai la bocca per la sorpresa, mentre la vedevo serrare i pugni lungo i fianchi guardandosi attorno. Era frenetica, segno evidente della paura che stava provando.
- Sarah, sono io... - sentii la mia voce tremare appena. Gli occhi si erano inumiditi e un nodo in gola mi stava attanagliando sempre di più.
La vidi portare una mano al petto, spalancando occhi e bocca:
- Sofia, sei tu! Come stai? Che ti hanno fatto? Perchè sono rinchiusa qui dentro!? Fammi uscire ti prego! -
Stava davvero dando i numeri, e mi sorprese parecchio. Lei era sempre stata famosa per il suo spirito tranquillo che ricordava un po' il nirvana buddhista. Si, aveva i suoi momenti di euforia ma mai in quel modo, a quei livelli. Quasi non riuscivo più a riconoscerla.
- Sarah ti prego, calmati. Io sto bene, davvero. E anche tu devi tranquillizzarti perchè questi non sono nemici, ma amici. Sono con Ryuzaki in questo momento... - mi fermai appena per qualche secondo, sorpresa da una mano sulla spalla. Sapevo di chi era ancor prima di girarmi. Abbozzai un falso sorriso a Ryuzaki prima di riprendere con Sarah.
A quelle parole Sarah sembrò riprendere un po' del suo vecchio carattere, lucido e sereno.  Raddrizzò la schiena per recuperare un po' di contegno:
- E se sono così amici, come dici tu... perchè sono rinchiusa qui dentro? -
- Per la nostra sicurezza. Anche io ero rinchiusa nel mio appartamento. Mi hanno tirata fuori di lì solo per parlare con te... -
- E allora... - vidi il suo petto balzare per un singhiozzo soppresso.
Sarah non piangeva mai, ma quella volta vidi una sua lacrima bagnarle la guancia. Quella visione di lei ridotta così a causa mia, fu come morire. Lentamente e in modo atroce.
- ...Quando potremo uscire? -
Era anche giusto che lei fosse esasperata in quel modo, era uno spirito libero, come si poteva pretendere di rinchiudere uno spirito libero come lei?
- Presto Sarah. Te lo prometto. Ma per il momento goditi l'appartamento. In fondo... - cercai di trovare uno spunto per alleviare un po' di tensione.
- ...Beh, in fondo è un appartamento di lusso! Hai una vetrata pazzesca. Non ti piace? -
La vidi alzare appena un lato della bocca, prima di girarsi di nuovo verso la vetrata in questione:
- Beh in effetti, hai ragione. E' una bella vista da qui. - la sentii sospirare rumorosamente e poi rigirarsi verso la stanza. Forse non sapeva che io potevo guardarla da ogni direzione.
- Okay, ci sto. Sono disposta ad aspettare... qualche giorno. Ma voglio poche e semplici richieste. Altrimenti renderò la vita difficile a chiunque si stia occupando di me in questo momento. -
Stavolta sorrisi con convinzione:
- Non ne dubitavo. - dissi con appena un accenno di allegria.
Sarah incrociò le braccia in petto:
- Bene, innanzitutto, due pacchetti di sigarette al giorno. Da venti, ovviamente. E le MIGLIORI che ci siano sul mercato qui in America! Dopodichè, voglio... TV via cavo, connessione ad internet, colazione pranzo e cena come ordinerò io, e libri. Tanti e tanti libri. Riporta a chi di dovere. -
Ovviamente non sapeva neanche che non c'era bisogno che riportassi a Near e Ryuzaki, visto che la conversazione era stata a portata di tutti all'interno di quella sala. Guardai in silenzio Ryuzaki, ancora al mio fianco. Mi strinse la spalla con la sua mano ancora appoggiata e mi sorrise, annuendo con capo.
Rimasi per qualche istante incantata dal suo sguardo e dalla facilità con cui mi aveva detto di sì senza appellare nessun altro. Allora forse era davvero potente... addirittura quanto quel fantomatico L.
"Che poi tutto sommato, questo L fa fare sempre tutto il lavoro sporco ai suoi dipendenti. Poveri detective... Povero Ryuzaki..." pensai ingenuamente tra me e me.
- Okay Sarah, ci stanno. -
- Perfetto! Ah, e un'ultima cosa... -
Trattenni il fiato: cos'altro voleva chiedere? Non stava tirando troppo la corda?
Avevo paura di girarmi per vedere che faccia stesse avendo Near in quel momento, probabilmente la stessa, ma ero sicura che in quel momento quella piccola parte umana di Near avrebbe voluto uccidere Sarah per la sua insolenza.
- ... Voglio sentirti almeno una volta al giorno finchè non sarò libera. -
- Okay. Questo è sicuro. - le risposi ancor prima di cercare qualsiasi conferma. A quello ci avevo pensato anch'io, ed ero d'accordo con lei sul metterlo come punto fondamentale.
- Mi raccomando, Sarah... sta' tranquilla. Prometto che farò il più possibile per fare in modo che finisca presto. -
- Già... lo spero... - fu tutto quello che mi rispose, mentre la vedevo dirigersi verso un divano di pelle nero come quelli che vi erano nell'appartamento di Mello.
- Ti voglio bene. - le dissi col cuore, mentre sentivo gli occhi pungermi per il rammarico.
- Anch'io. - mi rispose con un debole sorriso, prima di stendersi.

ANGOLO AUTRICE
Chiedo immensamente ed eternamente venia per tutto questo tempo durante il quale vi ho fatto aspettare senza farvi avere più notizie. Davvero, scusatemi, ma ho passato un periodo abbastanza frastornato e difficile e continuare a scrivere non è stato facile. Questo è un capitolo di passaggio ma abbastanza carino a mio parere. Perdonate qualche errore qui e lì, ma non ho avuto modo di rivederlo come ho fatto con tutti gli altri capitoli. Ho preferito anticipare la pubblicazione piuttosto che aspettare chissà quanto altro tempo per ulteriori modifiche e miglioramenti, considerando anche che a fine fanfic riprenderò comunque ogni singolo capitolo e lo perfezionerò per una nuova "versione" della stessa fanfic. Progetto ambizioso, ma con calma e un po' alla volta spero di riuscirci. Dovete sapere che questa storia si è rivelata per me come una storia d'amore, e questo periodo è stato proprio come una pausa di riflessione.
Tranquille, siamo tornati assieme. :)
A presto, promesso! <3

P.S. risponderò alle prossime recensioni al più presto! Le ho lette tutte e mi hanno riscaldato il cuore. Grazie a tutti, davvero, ribadisco quello che ho detto altre volte: se non fosse stato per tanto calore da parte di chi legge, probabilmente la pausa di riflessione non sarebbe mai finita. Anticipo un immenso grazie a tutti, siete nel mio cuore. <3

 

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